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Daniel Pennac.
Come un Romanzo.

Titolo dell'opera originale:
COMME UN ROMAN.

Per Franklin Rist
gran lettore di romanzi
e romanzesco lettore.

Alla memoria di mio padre
e nel ricordo quotidiano
di Frank Vlieghe.

I. Nascita dell'alchimista.

1.

Il verbo leggere non sopporta l'imperativo, avversione
che condivide con alcuni altri verbi: il verbo "amare"... il
verbo "sognare"...
Naturalmente si pusempre provare. Dai, forza: "Ama-
mi! " "Sogna! " "Leggi! " "Leggi! Ma insomma, leggi, diami-
ne, ti ordino di leggere!
" Sali in camera tua e leggi! "
Risultato?
Niente.
Si addormentato sul libro. All'improvviso la finestra
gli apparsa spalancata su qualcosa di desiderabile, e da l volato via, per sfuggire al libro. Ma un sonno vigile, il libro
ancora aperto davanti a lui e se aprissimo la porta della sua
camera, lo troveremmo seduto alla scrivania tutto preso dal-
la lettura. Anche se siamo saliti con passo felpato, dalla su-
perficie del sonno ci avrsentiti arrivare.
"Allora, ti piace?"
Non ci risponderdi no, sarebbe un delitto di lesa mae-
st Il libro sacro, come punon piacergli leggere? No, ci
dirche le descrizioni sono troppo lunghe.
Tranquillizzati, torneremo alla nostra televisione. E ma-
gari la sua osservazione susciterun appassionante dibattito
fra noi e gli altri di casa...
"Trova le descrizioni troppo lunghe. Bisogna capirlo,
siamo nel secolo dell'audiovisivo, in fondo i romanzieri del
XIX secolo dovevano descrivere tutto..."
"Non una buona ragione per lasciargli saltare met delle pagine!"
Non stanchiamoci, si riaddormentato.




2.

Tanto piinconcepibile, questa avversione per la lettu-
ra, se apparteniamo a una generazione, a un'epoca, a un am-
biente, a una famiglia dove la tendenza era piuttosto quella
di impedirci di leggere.
"Ma smettila di leggere, insomma, ti rovinerai gli oc-
chi! "
"Vai fuori a giocare, piuttosto, che c'un tempo stu-
pendo."
"Spegni la luce! tardi!"
S allora il tempo era sempre troppo bello per leggere,
e la notte troppo buia.
Se ci fate caso, leggere o non leggere, il verbo era gico-
niugato all'imperativo. Anche nel passato, la musica sem-
pre quella. Cosicchleggere era a quei tempi un atto sovver-
sivo. Alla scoperta del romanzo si univa l'eccitazione di di-
sobbedire alla famiglia. Duplice incanto! Oh, il ricordo di
quelle ore di lettura rubate sotto le coperte alla luce di una
torcia elettrica! Come correva Anna Karenina verso il suo
Vronskij in quelle ore della notte! Si amavano, quei due, ed
era gibello, ma si amavano contro la proibizione di leggere
e questo era ancora pibello! Si amavano contro mamma e
pap si amavano contro i compiti di matematica da finire,
contro l'esercizio di francese da consegnare, contro la stan-
za da mettere in ordine, si amavano invece di andare a tavo-
la, si amavano prima del dolce, si preferivano alla partita di
calcio e alla raccolta dei funghi... si erano scelti e si preferi-
vano a tutto... Dio, che passione!
E com'era corto il romanzo.




3.

Siamo giusti: non abbiamo pensato subito di imporgli la
lettura come un dovere. All'inizio abbiamo pensato solo al
suo piacere. I suoi primi anni ci hanno messo in uno stato di
grazia e l'assoluto stupore dinanzi a questa nuova vita ci ha
conferito una sorta di genialit Per lui siamo diventati nar-
ratori. Dal primo sbocciare in lui del linguaggio abbiamo in-
cominciato a raccontargli delle storie. Era un talento che
ignoravamo di avere. Ma il suo piacere ci ispirava, la sua fe-
licitci dava le ali. Per lui abbiamo moltiplicato i personag-
gi, concatenato gli episodi, raffinato gli accorgimenti. Come
il vecchio Tolkien con i suoi nipotini, gli abbiamo inventato
un mondo. Al confine fra il giorno e la notte, siamo diventa-
ti il suo romanziere.
Se invece non abbiamo avuto questo talento, se gli ab-
biamo raccontato le storie degli altri, e anche piuttosto ma-
le, cercando le parole, storpiando i nomi propri, confonden-
do gli episodi, unendo l'inizio di un racconto con la fine di
un altro, poco importa... E anche se non abbiamo racconta-
to affatto, se ci siamo limitati a leggere a voce alta, eravamo
il suo romanziere, il narratore unico grazie al quale ogni se-
ra lui si infilava nel pigiama del sogno prima di scomparire
sotto le lenzuola della notte. O meglio, eravamo il Libro.
Ricordatevi di quell'intimitcosineguagliabile.
Come ci piaceva spaventarlo per il puro piacere di con-
solarlo! E lui, come chiedeva quello spavento! Gicospo-
co credulone, eppure tutto tremante di paura. Un vero let-
tore, insomma. Questa era la coppia che formavamo allora,
lui, il lettore, cosastuto, e noi, il libro, coscomplice!




4.

Insomma, gli abbiamo insegnato tutto del libro all'epo-
ca in cui non sapeva leggere. Gli abbiamo rivelato l'infinita
diversitdelle cose immaginarie, l'abbiamo iniziato alle
gioie del viaggio verticale, l'abbiamo dotato dell'ubiquit li-
berato da Crono, immerso nella solitudine favolosamente
affollata del lettore... Le storie che gli leggevamo brulicava-
no di fratelli, sorelle, doppi ideali, squadriglie di angeli cu-
stodi, schiere di amici tutelari che si facevano carico delle
sue pene, ma che, lottando contro i propri orchi, trovavano
anch'essi rifugio fra i battiti inquieti del suo cuore. Era di-
ventato il loro angelo reciproco: un lettore. Senza di lui, il lo-
ro mondo non esisteva. Senza di loro, lui rimaneva impri-
gionato nello spessore del suo. Cosscoprla virtparados-
sale della lettura, che quella di astrarci dal mondo per tro-
vargli un senso.
Da quei viaggi tornava muto. Era mattino, e si passava
ad altro. In verit non cercavamo di sapere che cosa avesse
conquistato laggie lui, innocentemente, alimentava questo
mistero. Era, come Si usa dire, il suo universo. I suoi rappor-
ti personali con Biancaneve o con uno qualsiasi dei sette na-
ni rientravano nella sfera dell'intimit che esige il segreto.
Grande piacere di lettore, questo silenzio dopo la lettura!
S gli abbiamo insegnato tutto del libro.
E abbiamo meravigliosamente stimolato il suo appetito
di lettore.
Al punto, ricordate, al punto che aveva fretta di impara-
re a leggere!




5.

Che pedagoghi eravamo, quando non ci curavamo della
pedagogia !




6.

E ora eccolo, adolescente chiuso nella sua stanza, di
fronte a un libro che non legge. Tutta la sua voglia di essere
altrove forma tra lui e le pagine aperte uno schermo opaco
che confonde le righe. seduto davanti alla finestra, con la
porta chiusa alle spalle. Pagina 48. Non ha il coraggio di
contare le ore passate per arrivare a questa quarantottesima
pagina. Il libro ne conta esattamente quattrocentoquaranta-
sei. Come dire cinquecento. 500 pagine! Se almeno ci fosse-
ro dei dialoghi. Figurati! Pagine zeppe di righe compresse
fra margini strettissimi, neri paragrafi ammassati gli uni sugli
altri, e, qua e l l'elemosina di un dialogo - due virgolette,
come un'oasi, a indicare che un personaggio parla a un altro
personaggio. Ma l'altro non gli risponde. Segue un blocco
compatto di dodici pagine! Dodici pagine di inchiostro ne-
ro! Manca l'aria! Uh, se manca l'aria! Puttana merda! Gli
scappa una parolaccia. Spiacente, ma gli scappa una paro-
laccia. Puttana merda che libro del cazzo! Pagina quaran-
totto... Se almeno si ricordasse del contenuto delle prime
quarantasette pagine! Non osa neanche pensarci e invece,
inevitabilmente, glielo chiederanno. E scesa la notte d'inver-
no. Dalle profonditdella casa sale fino a lui la sigla del tele-
giornale. C'ancora una mezz'ora da passare prima della
cena. E straordinariamente compatto, un libro, non si lascia
intaccare e d'altronde dicono che faccia fatica a bruciare, il
fuoco non riesce a insinuarsi fra le pagine. Mancanza di os-
sigeno. Tutte riflessioni che lui fa a margine. E i suoi margi-
ni sono enormi. E spesso, compatto, denso, un oggetto
contundente, un libro. Pagina quarantotto o centoquaran-
totto, che differenza fa? Il paesaggio lo stesso. Rivede le
labbra del professore annunciare il titolo. Sente la domanda
unanime dei compagni:
"Quante pagine?"
"Tre o quattrocento..."
(Bugiardo. ..)
"Per quando?"
L'annuncio della data fatidica scatena un concerto di
proteste:
"Quindici giorni? Quattrocento pagine (cinquecento)
da leggere in quindici giorni! Ma, prof, non ce la faremo
mai! "
Il prof inflessibile.
Un libro un oggetto contundente ed un blocco di
eternit E la materializzazione della noia. E il libro. "Il li-
bro." Non lo chiama mai in altro modo nei suoi temi: il li-
bro, un libro, i libri, dei libri.
"Nel suo libro, I Pensieri, Pascal ci dice che..."
Il professore ha un bel protestare in rosso che questa
non la denominazione esatta, che si deve parlare di ro-
manzo, di saggio, di raccolta di novelle, di libretto di poesie,
che la parola "libro", in s nella sua attitudine a designare
qualsiasi cosa non dice niente di preciso, che una guida del
telefono un libro, allo stesso modo di un dizionario, di una
guida turistica, di un album di francobolli, di un libro con-
tabile...
Niente da fare, la parola si imporrdi nuovo alla sua
penna nel prossimo tema:
"Nel suo libro, Madame Bovary, Flaubert ci dice che..."
Perchdal punto di vista della sua attuale solitudine un
libro un libro. E ogni libro pesa come un'enciclopedia.
Per esempio come quell'enciclopedia dalla copertina carto-
nata di cui, non molto tempo fa, gli mettevano i volumi sot-
to il sedere di bambino perchfosse all'altezza della tavola
familiare.
E il peso di ogni libro di quelli che ti tirano verso il
basso. Si era seduto relativamente leggero sulla sedia - la
leggerezza delle decisioni prese. Ma dopo qualche pagina si
sentito invaso da quella pesantezza dolorosamente familia-
re, il peso del libro, il peso della noia, l'insopportabile far-
dello dello sforzo che non ha portato a niente.
Le palpebre gli annunciano l'imminenza del naufragio.
Lo scoglio della pagina 48 ha aperto una falla sotto la
sua linea di risoluzioni.
Il libro lo trascina.
Affondano.




7.

Intanto, di sotto, davanti alla televisione, la tesi della te-
levisione corruttrice fa adepti:
"La stupidit la volgarit la violenza dei programmi...
E inaudito! Uno non pupiaccendere la televisione senza
vedere..."
"I cartoni animati giapponesi... Avete mai provato a guar-
dare uno di quei cartoni animati giapponesi?"
"Non solo una questione di programmi... E la tivin
s.. questa facilit.. questa passivitdel telespettatore..."
"S uno accende, si siede..."
"Fa un po' di zapping..."
"Questa dispersione..."
"Ma almeno ti permette di evitare la pubblicit"
"Neanche. Hanno messo a punto dei programmi sin-
croni: lasci una pubblicite subito ti ritrovi su un'altra."
"A volte la stessa! "
A questo punto, silenzio: brusca scoperta di uno di que-
gli ambiti "consensuali" illuminati dall'accecante riverbero
della nostra intelligenza adulta.
Allora qualcuno, a mezza voce:
"Leggere, ovviamente, un'altra cosa, leggere un at-
to! "
"Hai detto una cosa giustissima, leggere un atto, 'l'at-
to di leggere', verissimo..."
"Viceversa la tiv e anche il cinema a pensarci bene...
tutto gidato, in un film, non c'niente da conquistare,
tutto gipreconfezionato, l'immagine, il suono, le scene, la
musica d'atmosfera se per caso uno non avesse capito le in-
tenzioni del regista..."
"La porta che cigola per indicarti che il momento di
aver paura. . . "
"Nella lettura tutto questo bisogna immaginarselo... La
lettura un atto di creazione permanente."
Altro silenzio.
(Questa volta, fra "creatori permanenti".)
Poi:
"Quel che mi colpisce il numero di ore che in media
un bambino passa davanti alla tivrispetto alle ore di lette-
re a scuola. Ho letto delle statistiche, al riguardo".
"Dev'essere qualcosa di incredibile!"
"Un'ora di lettere per sei o sette ore di tiv Senza con-
tare le ore passate al cinema. Un bambino (non parlo del no-
stro) passa in media - media minima - due ore al giorno da-
vanti a un apparecchio televisivo e dalle otto alle dieci ore
durante il week-end. Cioun totale di trentasei ore, contro
le cinque ore settimanali di lettere."
"Evidentemente, la scuola non all'altezza."
Terzo silenzio.
Quello degli abissi insondabili.




8.

Si sarebbero potute dire molte cose, insomma, per mi-
surare la distanza fra lui e il libro.
Le abbiamo dette tutte.
Per esempio che la televisione non l'unica responsabile.
Che fra la generazione dei nostri figli e la nostra giovi-
nezza di lettori, i decenni sono stati secoli.
Cosse ci sentiamo psicologicamente pivicini ai nostri
figli di quanto i nostri genitori non lo fossero rispetto a noi,
siamo rimasti, intellettualmente parlando, pivicini ai nostri
genitori.
A questo punto, controversia, discussione, definizione
degli avverbi "psicologicamente" e "intellettualmente".
Rinforzo di un altro avverbio:
"Affettivamente pivicini, se preferisci".
"Effettivamente? "
"Non ho detto effettivamente, ho detto affettivamente."
"In altri termini, affettivamente siamo pivicini ai no-
stri figli, ma effettivamente ai nostri genitori, cos"
"E un 'dato sociale'. Una somma di 'dati sociali' che po-
trebbero riassumersi in questo: i nostri figli sono anche i figli
della loro epoca mentre noi eravamo solo i figli dei nostri ge-
nitori. "
" ...? "
"Ma s Quando eravamo adolescenti non eravamo i
clienti della nostra societ Commercialmente e cultural-
mente parlando, era una societdi adulti. Vestiti comuni, ci-
bi comuni, cultura comune, il fratellino ereditava i vestiti del
maggiore, mangiavamo le stesse cose, alle stesse ore, alla
stessa tavola, la domenica facevamo le stesse gite, la televi-
sione inchiodava la famiglia a un unico e identico canale
(migliore, peraltro, di tutti quelli odierni...) e in materia di
letture l'unica preoccupazione dei nostri genitori era di met-
tere certi libri su scaffali inaccessibili."
"Quanto alla generazione precedente, quella dei nostri
nonni, si limitava semplicemente a proibire la lettura alle ra-
gazze. "
"E vero! Soprattutto quella dei romanzi: 'l'immagina-
zione, la pazza di casa'. Deleteria per il matrimonio..."
"Mentre oggi... gli adolescenti sono clienti a pieno tito-
lo di una societche li veste, li distrae, li nutre, li educa; nel-
la quale spuntano macdonald, paninoteche e jeanserie varie.
Noi andavamo alle 'festicciole', loro vanno 'in disco', noi
leggevamo un libro, loro si sparano delle cassette... A noi
piaceva comunicare sotto l'egida dei Beatles, loro si rinchiu-
dono nell'autismo del walkman... E assistiamo anche a que-
sta cosa inaudita, di vedere interi quartieri colonizzati dagli
adolescenti, giganteschi territori urbani destinati ai loro va-
gabondaggi."
A questo punto, evocazione di Beaubourg.
Beaubourg...
La Barbarie-Beaubourg...
Beaubourg, l'incubo brulicante, Beaubourg-vagabon-
daggio-droga-violenza... Beaubourg, e la voragine della me-
tropolitana... il Buco delle Halles !
"Da cui emergono orde di illetterati ai piedi della pi grande biblioteca pubblica di Francia!"
Nuovo silenzio... uno dei pibelli: quello dell"angelo
paradossale'.
"I suoi figli frequentano Beaubourg?"
"Molto di rado. Fortunatamente abitiamo nel Quindi-
cesimo. "
Silenzio...
Silenzio..
"Insomma, non leggono pi"
"No."
"Troppo sollecitati da altre cose."
"S"




9.

E se non il processo alla televisione o al consumismo
selvaggio, sarquello all'invasione elettronica. E se la colpa
non dei piccoli giochi ipnotici, sardella scuola: gli aber-
ranti metodi di apprendimento della lettura, l'anacronismo
dei programmi, l'incompetenza dei maestri, la vetustdei lo-
cali, la mancanza di biblioteche.
Cos'altro ancora?
Ah, s! I fondi del ministero della Cultura. .. una miseria!
E l'infima percentuale riservata al "Libro" di questa cifra gi irrisoria.
Come vuole che in queste condizioni mio figlio, mia fi-
glia, i nostri ragazzi, i giovani, leggano?
"D'altronde i francesi leggono sempre meno..."
"E vero."




10.

Cosprocedono i nostri discorsi, eterna vittoria del lin-
guaggio sull'opacitdelle cose, silenzi luminosi che dicono
pidi quel che tacciono. Siamo persone attente e informate,
non ci facciamo certo infinocchiare dalla nostra epoca. Il
mondo intero in quel che diciamo - e tutto illuminato da
quel che omettiamo. Siamo lucidi. O meglio, abbiamo la
passione della lucidit
Da dove viene allora questa vaga tristezza da dopo con-
versazione? Questo silenzio di mezzanotte, nella casa di
nuovo restituita a se stessa? E solo la prospettiva dei piatti
da lavare? Oppure... A qualche centinaio di metri da l- se-
maforo rosso - i nostri amici sono immersi nello stesso si-
lenzio che, passata l'ebbrezza della lucidit prende le cop-
pie di ritorno da una serata, nelle auto immobili. E come un
retrogusto di sbronza, la fine di un'anestesia, una lenta risa-
lita verso la coscienza, il ritorno a se stessi e la sensazione va-
gamente dolorosa di non riconoscerci in quel che abbiamo
detto. Non c'eravamo. Tutto il resto c'era, sicuro, gli argo-
menti erano giusti - e da questo punto di vista avevamo ra-
gione - ma noi non c'eravamo. E indubbio, ancora una sera-
ta sacrificata alla pratica anestetizzante della lucidit
E cos.. uno crede di tornare a casa e invece torna in se
stesso.
Quel che dicevamo prima, intorno al tavolo, era agli an-
tipodi di quello che veniva detto in noi. Parlavamo della ne-
cessitdi leggere, ma eravamo vicini a lui, lass nella sua ca-
mera, lui che non legge. Enumeravamo le buone ragioni che
quest'epoca fornisce per non amare la lettura, ma cercava-
mo di attraversare il libro muraglia che ci separa da lui. Par-
lavamo del libro, ma non pensavamo che a lui.
Lui che non ha migliorato le cose scendendo a tavola
all'ultimo momento, sedendosi senza una parola di scusa
con la sua pesantezza adolescenziale, non facendo il minimo
sforzo per partecipare alla conversazione, e che, alla fine, si
alzato senza aspettare il dolce:
"Scusate, devo andare a leggere!"




11.

L'intimitperduta...
A ripensarci in quest'inizio di insonnia, il rituale della
lettura, ogni sera, ai piedi del suo letto, quando era piccolo -
orario fisso e gesti immutabili - aveva qualcosa della pre-
ghiera. Quell'improvviso armistizio dopo il frastuono della
giornata, quell'incontro al di ldi ogni contingenza, quel
momento di silenzio raccolto che precede le prime parole
del racconto, la nostra voce finalmente identica a se stessa, la
liturgia degli episodi... S la storia letta ogni sera assolveva la
pibella funzione della preghiera, la pidisinteressata, la
meno speculativa, e che concerne solamente gli uomini: il
perdono delle offese. Non confessavamo nessun peccato,
non cercavamo di conquistarci nessuna fetta di eternit era
un momento di comunione, tra di noi, l'assoluzione del te-
sto, un ritorno all'unico paradiso che valga: l'intimit Senza
saperlo, scoprivamo una delle funzioni essenziali del raccon-
to e piin generale dell'arte, che quella di imporre una tre-
gua alla lotta degli uomini.
L'amore ne usciva rinato.
Era gratis.




12.

Gratis. Proprio coslo intendeva. Un regalo, un mo-
mento fuori da qualsiasi momento. A dispetto di tutto. La
storia notturna lo sgravava dal peso della giornata. Moll輆i
gli ormeggi, lui si faceva portare dal vento, infinitamente leg-
gero, e il vento era la nostra voce.
In cambio di questo viaggio, non pretendevamo niente
da lui, neanche un soldo, non gli chiedevamo la minima con-
tropartita. Non era neanche una ricompensa. (Ah! le ricom-
pense... come ci si doveva mostrare degni di essere stati ri-
compensati!) Qui tutto avveniva all'insegna della gratuit
La gratuit che la sola moneta dell'arte.




13.

Cos'dunque accaduto fra l'intimitdi allora e lui ades-
so, arenato davanti a un libro-scogliera, mentre noi cerchia-
mo di capirlo (ciodi tranquillizzarci) incolpando il secolo e
la televisione - che forse abbiamo dimenticato di spegnere?
colpa della tiv
Il ventesimo secolo troppo "visivo"? Il diciannovesimo
troppo descrittivo? E perchno il diciottesimo troppo ra-
zionale, il diciassettesimo troppo classico, il sedicesimo
troppo rinascimentale, Puskin troppo russo e Sofocle trop-
po morto? Come se i rapporti fra l'uomo e il libro avessero
bisogno di secoli per diradarsi.
Basta qualche anno.
Qualche settimana.
Il tempo di un malinteso.
All'epoca in cui, ai piedi del suo letto, evocavamo la
mantellina di Cappuccetto rosso, e, fin nei minimi dettagli, il
contenuto del suo cestino, senza dimenticare le profondit del bosco, le orecchie della nonna divenute d'un tratto stra-
namente pelose, e il paletto dell'uscio, non ricordo che tro-
vasse le nostre descrizioni troppo lunghe.
Da allora non sono passati secoli. Ma momenti che chia-
miamo la vita, a cui diamo un'andatura di eternita forza di
princ髹i intangibili: "Bisogna leggere".





14.

In questo come in altri casi la vita si manifestcon l'ero-
sione del nostro piacere. Un anno di storie ai piedi del letto.
Facciamo due anni. Tre, se proprio vogliamo. In tutto fanno
1095 storie, in ragione di una per sera. 1095 una bella ci-
fretta! E ci fosse solo il quarto d'ora del racconto... no, c' anche quello che precede. Cosa gli racconterstasera? Cosa
gli legger
Abbiamo conosciuto i tormenti dell'ispirazione.
All'inizio, lui ci fu di aiuto. Quel che il suo stupore ci
chiedeva non era una storia, ma la stessa storia.
"Pollicino, ancora Pollicino! Ma, micio, santo cielo,
non c'solo Pollicino! C'anche..."
Pollicino, nient'altro.
Chi avrebbe mai detto che un giorno avremmo rimpian-
to l'epoca felice in cui il suo bosco era abitato solo da Polli-
cino? Quasi ci malediremmo di avergli insegnato la diver-
sit dandogli la scelta.
"No, questa me l'hai giraccontata! "
Pur senza diventare un incubo, il problema della scelta
si trasformin un rompicapo. Con brevi decisioni: correre
sabato prossimo in una libreria specializzata e dare uno
sguardo alla letteratura per l'infanzia. Il sabato mattina ri-
mandavamo al sabato successivo. Quel che per lui rimaneva
un'attesa sacra per noi era entrato a far parte dei problemi
domestici. Problema minore, certo, ma che andava ad ag-
giungersi agli altri, di proporzioni piconsiderevoli. Minore
o non minore, una preoccupazione ereditata da un piacere
va tenuta d'occhio. E noi non l'abbiamo fatto.
Abbiamo conosciuto momenti di rivolta.
"Perchio? Perchnon tu? Stasera, mi spiace, ma la
storia gliela racconti tu!"
"Ma lo sai che non ho fantasia..."
Ogni volta che se ne presentava l'occasione, delegava-
mo presso di lui un'altra voce, cugino, cugina, baby-sitter,
zia di passaggio, una voce finora risparmiata, che trovava an-
cora qualche piacere nell'esercizio, ma che spesso si smonta-
va di fronte alle sue esigenze di pubblico pignolo:
"Non cosche risponde la nonna!"
Abbiamo anche giocato vergognosamente d'astuzia. Pi di una volta siamo stati tentati di trasformare in moneta di
scambio il valore che lui attribuiva alla storia.
"Se continui cos stasera niente storia!"
Minaccia che raramente attuavamo. Fare un'urlata o
privarlo del dolce non aveva gravi conseguenze. Ma man-
darlo a letto senza raccontargli la storia voleva dire far pre-
cipitare la sua giornata in una notte troppo nera. E lasciarlo
senza averlo ritrovato. Punizione intollerabile, sia per lui, sia
per noi.
Rimane che quella minaccia l'abbiamo proferita... oh!
una sciocchezza, solo un'espressione indiretta di stanchezza,
la tentazione appena confessata di utilizzare una volta tanto
quel quarto d'ora per qualcos'altro, un'altra incombenza
domestica o semplicemente un momento di silenzio... una
lettura per s
Il narratore in noi aveva il fiato corto, pronto a cedere il
testimone.




15.

La scuola giunse a proposito.
Prese in mano il futuro.
Leggere, scrivere, contare...
All'inizio, lui si buttpieno di entusiasmo.
Era troppo bello che tutte quelle aste, quelle gambette,
quei cerchi, quei piccoli ponti messi insieme formassero del-
le lettere. E quelle lettere delle sillabe, e quelle sillabe, testa
a testa, delle parole. Non riusciva a capacitarsi! E che alcu-
ne parole gli fossero cosfamiliari, era qualcosa di magico!
Mamma, per esempio, mamma, tre piccoli ponti, un cer-
chio, una gambetta, sei piccoli ponti, un altro cerchio, un'al-
tra gambetta, risultato: mamma. Come riaversi da un simile
prodigio?
Bisogna cercare di immaginarsi la cosa. Si alzato pre-
sto. E uscito, accompagnato appunto dalla mamma, sotto
una pioggerellina autunnale (s una pioggerellina autunnale
e una luce da acquario abbandonato, non lesiniamo sulla
drammatizzazione atmosferica), si diretto verso la scuola
ancora tutto avvolto dal calore del letto, in bocca un retro-
gusto di cioccolata, stringendo forte la mano sopra la sua te-
sta, filando spedito, due passi per ogni passo della mamma,
con la cartella che gli dondola sulle spalle, ed ecco il porto-
ne della scuola, il bacio frettoloso, il cortile di cemento e i
castagni neri, i primi decibel... Si rintanato sotto il portico,
oppure si buttato nella mischia, dipende, poi tutti si sono
ritrovati seduti dietro a banchi lillipuziani, immobilite si-
lenzio, tutti i movimenti del corpo irrigiditi nel tentativo di
controllare lo spostamento della penna in quel corridoio dal
soffitto basso che la riga! Lingua fuori, dita intorpidite e
polso rigido... piccoli ponti, aste, gambette, cerchi e piccoli
ponti... a mille miglia dalla mamma, adesso, immerso nella
strana solitudine chiamata sforzo, circondato da tutte le altre
solitudini con la lingua fuori... ed ecco l'insieme delle prime
lettere, righe di "a"... righe di "m"... righe di "t" (mica faci-
le, la "t", con quella sbarretta trasversale, ma uno scherzo ri-
spetto alla doppia rivoluzione della "f", o all'incredibile evo-
luzione della "z"...) difficoltperaltro vinte una dopo l'al-
tra... al punto che le lettere, calamitatesi a vicenda, finiscono
per aggregarsi da sole in sillabe... righe di "ma"... righe di
"pa" e a loro volta le sillabe...
Insomma un bel mattino o un pomeriggio, con le orec-
chie ancora ronzanti del frastuono della mensa, eccolo assi-
stere al silenzioso sbocciare della parola sulla pagina bianca,
ldavanti a lui: mamma.
Certo, l'aveva givista alla lavagna, l'aveva riconosciuta
pivolte, ma l sotto i suoi occhi, scritta con le sue dita...
Con voce prima incerta, recita le due sillabe separata-
mente: "Mam-ma " .
E d'un tratto:
"Mamma!"
Questo grido di gioia celebra l'esito del pigigantesco
viaggio intellettuale che Si possa immaginare, una sorta di
primo passo sulla luna, il passaggio dall'assoluto arbitrario
grafico al significato picarico di emozione! Piccoli ponti,
gambette, cerchi... e... mamma! E scritto proprio ldavanti
ai suoi occhi, ma dentro di lui che sboccia! Non una
combinazione di sillabe, non una parola, non un concet-
to, non una mamma, la sua mamma, una trasmutazione
magica, infinitamente pieloquente della pifedele foto-
grafia, eppure nient'altro che qualche piccolo cerchio, qual-
che ponte... ma che d'un tratto - e per sempre - hanno
smesso di essere se stessi, di essere niente, per trasformarsi
in questa presenza, questa voce, questo profumo, questa
mano, questo grembo, questa infinitdi dettagli, questo tut-
to cosintimamente assoluto, e cosassolutamente estraneo
a quel che tracciato l sui binari della pagina, fra le quattro
pareti dell'aula...
La pietra filosofale.
Npinmeno.
Ha scoperto la pietra filosofale.




16.

Non si guarisce da questa metamorfosi. Non si torna in-
denni da un simile viaggio. A ogni lettura presiede, per
quanto inibito, il piacere di leggere; e per la sua stessa natura
- questa gioia da alchimista - il piacere di leggere non ha
nulla da temere dall immagine, anche televisiva, e anche sot-
to forma di massicce dosi quotidiane.
Se peril piacere di leggere andato perduto (se, come
diciamo: mio figlio, mia figlia, i giovani non amano leggere)
non si perduto molto lontano.
Appena smarrito.
Facile da ritrovare.
Ma bisogna sapere lungo quali sentieri cercarlo, e, per
fare questo, avere presenti alcune veritsenza rapporto con
gli effetti della modernitsui giovani. Alcune veritche ri-
guardano solo noi... Noi che affermiamo di "amare leggere",
e che sosteniamo di voler far condividere questo amore.




17.

Ancora tutto pieno di stupore se ne torna dunque da
scuola, molto fiero se non addirittura contento di s Esibi-
sce le macchie di inchiostro come altrettante medaglie, e
sfoggia con orgoglio le ragnatele della biro a quattro colori.
Una felicitche puancora ripagarlo dei primi tormen-
ti della vita scolastica: lunghezza assurda delle ore di lezione,
esigenze della maestra, baccano della mensa, prime pene
d'amore...
Arriva, apre la cartella, mostra le sue prodezze, riprodu-
ce le parole sacre (e se non "mamma", sar"pap, o "ca-
sa", o "gatto" o il suo nome...).
In giro per la cittsi trasforma nell'instancabile doppio
della grande epistola pubblicitaria... FORD, BANCA PO-
POLARE, COCA-COLA, le parole gli cadono dal cielo, le
loro sillabe colorate gli esplodono in bocca. Non una sola
marca di detersivo resiste alla sua passione per la decifra-
zione.
"'La-va-pibian-co', cosa vuol dire 'lavapi鸑ianco?"'
Poichgiunta l'ora delle domande cruciali.




18.

Ci siamo forse lasciati abbagliare da questo entusiasmo?
Abbiamo creduto che a un bambino bastasse godere delle
parole per padroneggiare i libri? Abbiamo forse pensato che
l'apprendimento della lettura si facesse da solo, come l'an-
datura eretta o il linguaggio - un altro privilegio della specie,
insomma? Comunque sia, stato a questo punto che abbia-
mo deciso di porre fine alle nostre letture serali.
La scuola gli insegnava a leggere, lui lo faceva con pas-
sione, era una svolta della sua vita, una nuova autonomia,
un'altra versione dei primi passi, ecco quel che ci siamo det-
ti, molto confusamente, senza davvero dircelo, tanto l'avve-
nimento ci sembr"naturale", una tappa come un'altra in
un'evoluzione biologica senza scosse.
Adesso era "grande", poteva leggere da solo, cammina-
re da solo nel territorio dei segni...
E lasciarci finalmente il nostro quarto d'ora di libert
Il suo recentissimo orgoglio non fece quasi nulla per
smentirci. Si infilava nel letto, con il suo BABAR aperto sul-
le ginocchia e una ruga di concentrazione fra gli occhi: leg-
geva.
Rassicurati da questa pantomima, uscivamo dalla sua
stanza senza capire - o senza voler confessare a noi stessi -
che la prima cosa che un bambino impara non l'atto, ma il
gesto dell'atto, e che se questa ostentazione puaiutare l'ap-
prendimento, in realtessa soprattutto destinata a rassicu-
rarlo, compiacendoci.




19.

Non per questo siamo diventati genitori indegni. Non
l'abbiamo abbandonato alla scuola. Al contrario, abbiamo
seguito da vicino i suoi progressi. La maestra ci conosceva
quali genitori attenti, presenti a tutte le riunioni, "aperti al
dialogo".
Abbiamo aiutato l'apprendista a fare i compiti. E quan-
do ha cominciato ad avere il fiato corto in materia di lettura
abbiamo valorosamente insistito perchleggesse la sua pagi-
na quotidiana, ad alta voce, e ne capisse il senso.
Non sempre facile.
Un parto per ogni sillaba.
Il significato della parola perso nello sforzo stesso della
sua composizione.
Il senso della frase polverizzato dal numero delle parole.
Tornare indietro.
Ricominciare.
Instancabilmente.
"Allora, cos'hai letto, l Cosa vuol dire?"
E tutto ci nel momento peggiore della giornata. Al suo
ritorno da scuola, o al nostro ritorno dal lavoro. All'apice
della sua stanchezza o al minimo delle nostre forze.
"Non ti applichi!"
Nervosismo, urla, rinunce spettacolari, porte che sbat-
tono o invece ostinazione.
"Ricominciamo, ricominciamo dall'inizio!"
E lui ricominciava, dall'inizio, ogni parola deformata
dal tremito delle labbra.
"E non fare tutte queste scene!"
Ma quel magone non era un trucco per infinocchiarci.
Era un magone vero, incontrollabile, che ci diceva appunto
il dolore di non controllare piniente, di non recitare pila
parte come piaceva a noi. Era un magone che si alimentava
all'origine della nostra preoccupazione molto piche alle
manifestazioni della nostra impazienza.
Percheravamo preoccupati.
Preoccupati al punto da cominciare a confrontarlo con
altri bambini della sua et a interrogare i nostri amici Tal dei
tali la cui figlia, no, no, andava molto bene a scuola, e divo-
rava libri, s
Era sordo? O magari dislessico? Non aveva mica inten-
zione di farci un "rifiuto scolastico" ? O di accumulare un ri-
tardo irrecuperabile?
Consultazioni varie: audiogrammi normalissimi, dia-
gnosi rassicuranti degli ortofonisti, serenitdegli psicologi...
Allora?
Pigro?
Semplicemente pigro?
No, seguiva il suo ritmo, ecco tutto, che non necessa-
riamente quello di un altro, e che non necessariamente il
ritmo uniforme di una vita. Il suo ritmo di apprendista let-
tore, che conosce accelerazioni e brusche regressioni, perio-
di di bulimia e lunghe sieste digestive, la sete di progredire e
la paura di deludere...
Solo che noialtri "pedagoghi" siamo usurai impazienti.
Detentori del Sapere, lo prestiamo contro interessi. E vo-
gliamo che renda, e in fretta! Se cinon accade, di noi stes-
si che dubitiamo.




20.

Se, come usiamo dire, mio figlio, mia figlia, i giovani non
amano leggere - e il verbo giustissimo, poichproprio di
una ferita d'amore si tratta - non bisogna incolpare nla te-
levisione, ni tempi moderni, nla scuola. Oppure, se vo-
gliamo, tutte queste cose insieme, ma solo dopo esserci po-
sti una domanda fondamentale: che cosa ne abbiamo fatto
del lettore ideale che lui era all'epoca in cui noi stessi svolge-
vamo contemporaneamente il ruolo del narratore e quello
del libro?
Quale enorme tradimento !
Lui, il racconto e noi formavamo una Trinitogni sera
riunificata. Adesso lui solo, davanti a un libro ostile.
La leggerezza delle nostre frasi lo liberava dalla forza di
gravit ora l'indecifrabile brulichio delle lettere soffoca per-
sino le sue tentazioni di sogno.
L'avevamo iniziato al viaggio verticale, ora schiacciato
dallo stupore dello sforzo.
L'avevamo dotato dell'ubiquit eccolo imprigionato
nella sua camera, nella sua classe, nel suo libro, in una riga,
in una parola.
Dove mai si nascondono tutti quei personaggi magici,
quei fratelli, quelle sorelle, quei re, quelle regine, quegli eroi,
cosperseguitati da costanti cattivi, e che lo liberavano dal-
la preoccupazione di essere chiamandolo in loro aiuto? E
possibile che abbiano qualcosa a che fare con le tracce d'in-
chiostro brutalmente schiacciate che chiamiamo lettere? E
possibile che quei semidei siano stati a tal punto sbriciolati,
ridotti a semplici segni di stampa? E che il libro sia diventa-
to questo oggetto? Strana metamorfosi! Il rovescio della ma-
gia. Lui e i suoi eroi soffocati insieme dalla muta pesantezza
del libro!
E non la minore delle metamorfosi l'accanimento di
pape mamma a volere, come la maestra, che lui liberi quel
sogno imprigionato.
"Allora, cos'successo al principe, eh? Sto aspettan-
do! "
Quei genitori che mai, mai, quando gli leggevano un li-
bro, Si curavano di sapere se avesse capito che la Bella ad-
dormentata dormiva nel bosco perchsi era punta con il fu-
so, e Biancaneve perchaveva mangiato la mela. (Le prime
volte, d'altronde, non aveva veramente capito. C'erano cos tante meraviglie, in quelle storie, costante parole carine,
tante di quelle emozioni ! Con grande impegno si metteva ad
aspettare il pezzo preferito, che recitava fra squand'era il
momento; poi venivano gli altri, pioscuri, dove si intrec-
ciavano tutti i misteri, ma pian piano lui capiva tutto, assolu-
tamente tutto, e sapeva benissimo che se la Bella addormen-
tata dormiva era per via del fuso, e Biancaneve per questioni di
mela...)
"Ripeto la domanda: che cosa successo alprincipe quan-
do il padre l'ha cacciato dal castello?"
Noi insistiamo, insistiamo. Santo Dio, non possibile
che questo bambino non abbia capito il contenuto di quin-
dici righe! Non sono poi la fine del mondo, quindici righe!
Eravamo il suo narratore, siamo diventati il suo conta-
bile.
"Se cos allora stasera niente tiv"
Eh! S..
S.. La televisione elevata alla dignitdi ricompensa... e,
come corollario, la lettura relegata al rango di corv E no-
stra, questa gran trovata...




21.

"La lettura il flagello dell'infanzia e quasi la sola occu-
pazione che le si sappia dare (...) Un fanciullo non gran che
desideroso di perfezionare lo strumento col quale lo si tor-
menta, ma fate che questo strumento serva ai suoi piaceri, e
ben presto egli vi si applichervostro malgrado.
Ci si preoccupa enormemente di cercare i migliori metodi
per imparare a leggere, si inventano tavole, carte, si fa della
stanza del bambino un laboratorio di stamperia (. . .) Che pena!
Un mezzo pisicuro di tutta questa roba, e quello che da sem-
pre si dimentica, il desiderio di apprendere. Date al bambino
questo desiderio poi lasciate da parte le tavole (...), ogni meto-
do sarbuono per lui.
L'interesse presente, ecco il gran movente, il solo che con-
duca sicuramente e lontano.
(...)
Aggiungersolo questo, ch'una massima importante: di
solito si ottiene con tutta sicurezza e assai presto ciche non si
ha fretta di ottenere. " (nota 1)
Certo, certo, Rousseau non dovrebbe avere voce in ca-
pitolo, lui che ha buttato i suoi bambini con l'acqua sporca
del bagno di famiglia! (Che modo di dire idiota...)
Ma capita a proposito per rammentarci che l'ossessione
adulta del "saper leggere" cosa di vecchia data... come
l'idiozia delle trovate pedagogiche elaborate contro il desi-
derio di imparare.
E poi (oh, il ghigno dell'angelo paradossale!) pusuc-
cedere che un cattivo padre abbia eccellenti princ髹i educa-
tivi e un buon pedagogo princ髹i esecrabili. Cosvanno le
cose.
Ma, lasciando stare Rousseau, cosa pensare di Val廨y
(Paul) - che non faceva certo lega con l'Assistenza pubblica
- quando, rivolgendosi alle giovinette dell'austera Legion
d Honneur con il discorso piedificante, pirispettoso nei
confronti dell istituzione scolastica, giunge in un colpo solo
all essenziale di ciche si pudire in materia di amore, di
amore del libro:
"Signorine, non certo sotto le specie del vocabolario e
della sintassi che la Letteratura inizia a sedurci. Ricordate
semplicemente come le Lettere entrano nella nostra vita. Nel-
la pitenera et appena non ci viene picantata la canzone
che fa sorridere e addormentare il neonato, si apre l'era dei
racconti. Il bambino li beve come prima beveva il latte. Pre-
tende il seguito e la ripetizione dell'incanto; un pubblico im-
placabile ed eccelso. Dio sa quante ore ho perduto per nutrire
di maghi, di mostri, di pirati e di fate dei piccoli che urlavano:
'Ancora ! ' al padre sfinito".




22.

"un pubblico implacabile ed eccelso."
E, da subito, il buon lettore che rimarrse gli adulti che
lo circondano nutrono il suo entusiasmo invece di dimostra-
re a se stessi la propria competenza, stimolano il suo deside-
rio di imparare prima di imporgli il dovere di recitare, lo ac-
compagnano nel suo sforzo senza accontentarsi di aspettar-
lo al varco, accettano di perdere qualche serata invece di
tentare di guadagnare tempo, fanno vibrare il presente sen-
za agitare la minaccia del futuro, evitano di trasformare in
corvquel che era un piacere, alimentano questo piacere fin-
chper lui non sarun dovere, fondano questo dovere sulla
gratuitdi qualsiasi esperienza culturale, e riscoprono an-
ch'essi il piacere di questa gratuit




23.

Questo piacere a portata di mano, facile da ritrovare.
Basta non lasciar passare gli anni. Basta aspettare che faccia
notte, aprire ancora una volta la porta della sua camera, se-
derci accanto al suo letto e riprendere la nostra lettura co-
mune.
Leggere.
A voce alta.
Gratuitamente.
Le sue storie preferite.
Quel che succede allora merita una descrizione. Tanto
per cominciare, non crede alle sue orecchie. E girimasto
scottato una volta.. Con le coperte tirate fin sotto il mento,
se ne sta sul chi vive, temendo un tranello.
"Bene, cos'ho letto?"
E invece no, questa domanda non gliela facciamo. N nessun'altra. Ci limitiamo a leggere. Gratis. Lui a poco a po-
co si rilassa. (Noi pure.) Ritrova pian piano quella concen-
trazione sognante che gli si dipingeva in viso la sera. E final-
mente ci riconosce dalla nostra voce ritrovata.
Per la forte emozione pusuccedere che si addormenti
gidai primi minuti... che sollievo.
La sera seguente, steSSappuntamento. E probabilmen-
te stessa lettura. S molto facile che ci chieda la stessa sto-
ria, per dimostrare a se stesso che il giorno prima non stava
sognando. E forse ci far跐e stesse domande, negli stessi pun-
ti, solo per la gioia di sentire le stesse risposte. La ripetizio-
ne rassicura. E prova di intimit E il respiro stesso dell'inti-
mit E lui ha proprio bisogno di ritrovare quel soffio:
"Ancora!"
"Ancora, ancora..." vuol dire, su per gi "Dobbiamo
proprio volerci bene, noi due, per accontentarci di
quest'unica storia, ripetuta all'infinito!" Rileggere non ri-
petersi, ma dare una prova sempre nuova di un amore in-
stancabile.
Quindi rileggiamo.
Ha lasciato la sua giornata dietro le spalle. Ora siamo
qui, finalmente insieme, finalmente altrove. Ha ritrovato il
mistero della Trinit lui, il testo, e noi (nell'ordine che si
vorr visto che tutta la felicitsta proprio nel fatto di non
poter mettere in ordine gli elementi di questa fusione!).
Fino a quando non si concederl'estremo piacere del
lettore, che quello di stancarsi del testo, e ci chiederdi
passare ad altro.
Quante sere abbiamo perso cosa togliere i catenacci
dalle porte dell'immaginario? Qualcuna, non di pi Qual-
cun'altra, ammettiamolo. Ma il gioco valeva la candela. Ec-
colo di nuovo aperto a tutti i racconti.
Intanto, la scuola prosegue nell'insegnargli la lettura. Se
lui non fa ancora grandi progressi nel recitare le letture sco-
lastiche, non facciamoci prendere dal panico: il tempo dal-
la nostra parte da quando abbiamo rinunciato a fargliene
guadagnare.
I progressi, i famosi "progressi" si manifesteranno in un
altro modo, quando meno ce l'aspettiamo.
Una sera che per caso avremo saltato una riga lo senti-
remo gridare:
"Hai saltato un pezzo!"
" Scusa? "
"C'un buco, hai saltato un pezzo!"
"Ma no, ti assicuro..."
"Dammi qua!"
Ci toglieril libro di mano e con un dito vittorioso indi-
cherla riga saltata. Che lui leggera voce alta.
il primo segno.
Gli altri seguiranno. Prenderl'abitudine di interrom-
pere la nostra lettura:
"Come si scrive?"
"Cosa? "
"Preistorico. "
"P.R.E.I.S... "
"Fa' vedere!"
Non facciamoci illusioni, questa improvvisa curiositha
in parte a che fare con la sua recentissima vocazione di al-
chimista, certo, ma soprattutto con il suo desiderio di pro-
lungare la serata.
(Prolunghiamo, prolunghiamo...)
Un'altra sera, dichiarer
"Leggo con te!"
Con la testa al di sopra della nostra spalla, seguirper
un po' le righe che leggiamo.
Oppure:
"Comincio io! "
E partirall'assalto del primo paragrafo.
Una lettura difficoltosa, la sua, certo, subito affannata.
Ma non importa: ritrovata la calma, leggersenza timore. E
leggersempre meglio, sempre pivolentieri.
"Stasera leggo io!"
Lo stesso paragrafo, ovviamente - potere della ripeti-
zione - poi un altro, il suo "pezzo preferito", poi testi interi.
Testi che conosce quasi a memoria, che riconosce piche
leggerli, ma che comunque legge per la gioia di riconoscerli.
Ormai non lontano il momento in cui lo sorprenderemo, a
un'ora qualsiasi della giornata, con Il libro della giungla sul-
le ginocchia intento a seguire il piccolo Mowgli e l'orso Ba-
loo nelle loro avventure.
Qualche mese fa gli sembrava incredibile di poter rico-
noscere "mamma"; oggi un intero racconto a emergere
dalla pioggia delle parole. E diventato il protagonista delle
sue letture, colui che da sempre l'autore aveva incaricato di
venire a liberare i personaggi imprigionati nella trama del te-
sto - affinchloro stessi lo strappassero alle contingenze del-
la giornata.
Ecco. E fatta.
E se vogliamo fargli un ultimo piacere, addormentiamo-
ci mentre ci legge una storia.




24.

"Non si riuscirmai a far capire a un ragazzo che, la sera,
nel bel mezzo di una storia avvincente, non si riuscirmai a
fargli capire, con una dimostrazione limitata a lui stesso, che
deve interrompere la lettura e andare a letto."
E Kafka a scrivere questo nel diario, il piccolo Franz,
che papavrebbe preferito veder passare tutte le notti della
sua vita a fare conti.






II. Bisogna leggere (il dogma).




25.

Resta il problema del ragazzo, su, nella sua stanza.
Anche lui avrebbe bisogno di essere riconciliato con "i
libri"!
Casa vuota, genitori a letto, televisore spento, eccolo
dunque solo... davanti alla pagina 48.
E la "scheda di lettura" da consegnare domani...
Domani...
Breve calcolo mentale:
446 meno 48=398.
Trecentonovantotto pagine da sciropparsi durante la
notte.
Riattacca a leggere. Una pagina spinge l'altra. Le parole
del "libro" danzano fra gli auricolari del walkman. Senza
gioia. Le parole hanno piedi di piombo. Cadono le une do-
po le altre, come cavalli che ricevono il colpo di grazia.
Neanche l'assolo di batteria riesce a farle resuscitare. (Con
tutto che i Guns'n Roses hanno un gran batterista!) Prose-
gue la lettura senza voltarsi a guardare i cadaveri delle paro-
le. Le parole hanno reso il senso, pace alle loro lettere. Ma
questa ecatombe non lo spaventa. Legge come si avanza,
spinto dal dovere. Pagina 62, pagina 63.
Legge.
Cosa legge?
La storia di Emma Bovary.
La storia di una ragazza che aveva letto molto:
"Lei aveva letto Paolo e Virginia e aveva sognato la caset-
ta di bamb il negro Domingo, il cane Fido, ma soprattutto la
dolce amicizia di un affettuoso fratellino, capace di andare a
cercarti rossi frutti su alberi pialti di campanili, di correrti
incontro a piedi nudi sulla sabbia recando in dono un nido
d'uccello." (nota 2)
La cosa migliore telefonare a Thierry o a St廧hanie
per farsi passare la loro scheda di lettura. Domattina la co-
pierin fretta prima di entrare in classe, senza farsi vedere
da nessuno. In fondo, glielo devono.
"Quando ebbe tredici anni, il padre la portin cittper
metterla in convento. Scesero in un albergo del quartiere
Saint-Gervais e a tavola li servirono con certi piatti su cui era
dipinta la storia de La Valli鋨e. Le leggende esplicative sinco-
pate qua e ldai graffi di coltelli eran tutte a gloria della reli-
gione, le delicatezze del cuore e i fasti della corte. " (nota 3)
L'espressione: "Li servirono con certi piatti su cui era di-
pinta la storia de La Valli鋨e" gli strappa un sorriso stanco:
"Gli hanno dato da mangiare dei piatti vuoti? Gli hanno fat-
to pappare la storia di quella La Valli鋨e?" Fa il furbo. Cre-
de di essere ai margini della lettura. Errore, la sua ironia ha
colpito nel segno. Infatti le loro simmetriche sventure deri-
vano proprio da questo: Emma capace di considerare il
suo piatto come un libro, e lui il suo libro come un piatto.




26.

Nel frattempo, a scuola (come dicevano in corsivo i fu-
metti belgi della loro generazione), i genitori:
"Sa, mio figlio... mia figlia... i libri..."
Il professore di lettere ha capito: l'allievo in questione
"non ama leggere".
"E la cosa tanto pisorprendente in quanto da picco-
lo leggeva molto ... li divorava, addirittura, i libri, vero, caro,
si pudire che li divorava?"
Il caro annuisce: li divorava.
"C'da dire che gli abbiamo proibito la televisione!"
(Ecco un'altra possibilit l'interdizione assoluta della
tiv Risolvere il problema sopprimendo l'enunciato, l'enne-
sima gran trovata pedagogica!)
"vero, niente televisione durante l'anno scolastico, un principio sul quale non abbiamo mai voluto transigere!"
Niente televisione, ma pianoforte dalle cinque alle sei,
chitarra dalle sei alle sette, danza il mercoled judo, tennis,
scherma il sabato, sci di fondo ai primi fiocchi di neve, cor-
so di vela ai primi raggi di sole, ceramica i giorni di pioggia,
viaggio in Inghilterra, ginnastica ritmica...
Nessunissima possibilitlasciata al pipiccolo quarto
d'ora di faccia a faccia con se stesso.
Guerra al sogno!
Dagli alla noia!
La bella noia...
La lunga noia...
Che rende possibile la creazione...
"Facciamo in modo che non debba mai annoiarsi."
(Poveretto.. .)
"Ci teniamo, come dire, ci teniamo che abbia una for-
mazione completa. .. "
"Utile, soprattutto, cara, direi piuttosto utile."
"Altrimenti non saremmo qui."
"Per fortuna i suoi risultati in matematica non sono
male. "
"Sa com' lettere..."
Oh, il povero, triste, patetico sforzo che imponiamo al
nostro orgoglio di andare sconfitti a consegnarci nelle mani
del professore di lettere - che ascolta, il professore, e dice s
s e vorrebbe illudersi, almeno una volta nella sua lunga vi-
ta di prof, solo una piccola illusione... e invece no:
"Lei pensa che con un'insufficienza in lettere si possa
essere bocciati?"





27.

Cosprocedono le nostre vite: lui nel traffico delle sche-
de di lettura, noi di fronte allo spettro della sua bocciatura e
il professore di lettere con la sua materia beffeggiata... Evvi-
va il libro!




28.

Ben presto il professore diventa un vecchio professore.
Non che questo mestiere logori pidi un altro, no... il fat-
to di sentire tanti genitori parlargli di costanti figli - e cos facendo parlare di se stessi - e sentire i racconti di tante vi-
te, tanti divorzi, tante storie di famiglia: malattie infantili,
adolescenti che non tieni pi figlie predilette il cui affetto ti
sfugge, pianti per i fallimenti e moti di orgoglio per i succes-
si, tante opinioni su tanti argomenti, e sulla necessitdi leg-
gere, in particolare, l'assoluta necessitdi leggere, che ottie-
ne l'unanimit
Il dogma.
Ci sono quelli che non hanno mai letto e se ne vergo-
gnano, quelli che non hanno pitempo per leggere e se ne
rammaricano, quelli che non leggono romanzi, ma libri uti-
li, saggi, testi tecnici, biografie, libri di storia, quelli che leg-
gono di tutto, quelli che "divorano libri" e gli brillano gli oc-
chi, quelli che leggono solo i classici, signore, "perchnon
c'miglior critico del vaglio del tempo", quelli che passano
l'etmatura a "rileggere", e quelli che hanno letto l'ultimo
Tale e l'ultimo Talaltro, perchbisogna pure, signore, tener-
si al corrente...
Ma tutti, tutti, in nome della necessitdi leggere.
Il dogma.
Compreso colui che oggi non legge pima, afferma, un
tempo ha letto molto, solo che ormai ha gli studi alle spalle
e una vita "riuscita" - solo con le proprie forze, naturalmen-
te (di quelli che "non devono niente a nessuno") - ma am-
mette senza difficoltche quei libri, di cui non ha pibiso-
gno, gli sono stati molto utili... addirittura indispensabili, s
"in-dis-pen-sa-bi-li!"
"Bisogna che questo ragazzino se lo ficchi in testa!"
Il dogma.




29.

Ebbene, "il ragazzino" ha proprio questo in testa. E
nemmeno per un istante gli passa per la mente di mettere in
discussione il dogma. Almeno ciquanto risulta chiara-
mente dal suo tema:
Tema: Cosa pensate della seguente ingiunzione di Gusta-
ve Flaubert all'amica Louise Collet: "Leggete per vivere!"
Il ragazzino d'accordo con Flaubert, il ragazzino e i
suoi compagni, e le sue compagne, tutti d'accordo, "Flau-
bert aveva ragione!" Un'unanimitdi trentacinque compiti:
bisogna leggere, bisogna leggere per vivere, e questa assolu-
ta necessitdella lettura anche ciche ci distingue dalla
bestia, dal selvaggio, dal bruto ignorante, dal settario isteri-
co, dal dittatore trionfante, dal materialista bulimico, biso-
gna leggere ! bisogna leggere !
"Per imparare."
"Per riuscire negli studi."
"Per informarci."
"Per sapere da dove veniamo."
"Per sapere chi siamo."
"Per conoscere meglio gli altri."
"Per sapere dove andiamo."
"Per conservare la memoria del passato."
"Per illuminare il nostro presente."
"Per trarre profitto dalle esperienze precedenti."
"Per non ripetere le sciocchezze dei nostri predeces-
sori."
"Per guadagnare tempo."
"Per evadere."
"Per trovare un senso alla vita."
"Per capire le fondamenta della nostra civilt"
"Per soddisfare la nostra curiosit"
"Per distrarci."
"Per informarci."
"Per acculturarci."
"Per comunicare."
"Per esercitare il nostro spirito critico."
E il professore approva a margine: "S s Bene, Benissi-
mo!, Molto Bene, esatto, interessante, corretto, giusto", e si
trattiene per non gridare: "Ancora! Ancora!" lui che stamat-
tina, nel corridoio del liceo, ha visto "il ragazzino" copiare a
tutto vapore la scheda di lettura di St廧hanie, lui che sa per
esperienza che la maggior parte delle citazioni incontrate in
questi scritti pieni di saggezza vengono da un dizionario
all'uopo, lui che capisce dalla prima occhiata che gli esempi
scelti ("citate alcuni esempi tratti dalla vostra esperienza per-
sonale") vengono da letture fatte da altri, lui che ha ancora
nelle orecchie le urla provocate imponendo la lettura del
prossimo romanzo:
"Cosa? Quattrocento pagine, in quindici giorni! Ma
non ce la faremo mai, prof! "
"C'il compito di matematica!"
"E la relazione di biologia da consegnare per la settima-
na prossima!"
E pur conoscendo il ruolo svolto dalla televisione
nell'adolescenza di Mathieu, di Leila, di Brigitte, di Camel o
di C嶮ric, il professore approva ancora, con tutto il rosso
della sua biro, quando C嶮ric, Camel, Brigitte, Leila o
Mathieu affermano che la tiv("niente abbreviazioni nei te-
mi!") il nemico Numero Uno del libro - e anche il cinema
a pensarci bene - perchl'una e l'altro presuppongono la
piinsulsa passivit mentre leggere implica un atto respon-
sabile (Molto Bene!).
Ma a questo punto il professore appoggia la penna, alza
lo sguardo come un allievo perso in qualche fantasticheria, e
si domanda - oh! soltanto fra se s- se alcuni film, per
non gli hanno lasciato ricordi simili a quelli dei libri. Quan-
te volte ha "riletto" La morte corre sul fiume, Amarcord
Manhattan, Camera con vista, Il pranzo di Babette, Fanny e
Alexander? Quelle immagini gli sembravano ricche del mi-
stero dei segni. Certo, questi non sono discorsi da specialisti
- lui non sa nulla della sintassi cinematografica e non capisce
il lessico dei cinefili - sono discorsi che gli vengono dagli oc-
chi, ma gli occhi gli dicono chiaramente che ci sono immagi-
ni di cui non si esaurisce il senso e la cui visione rinnova ogni
volta l'emozione, e anche immagini televisive, s il viso del
vecchio padre Bachelard, molto tempo fa, a Lecture pour
tous...il ciuffo di Jank幨憝itch ad Apostrophe... quel gol di
Papin contro il Milan di Berlusconi...
Ma il tempo passa. Il professore si rimette a correggere
i compiti (chi mai dirla solitudine del correttore fondista?).
Ancora qualche tema e le parole cominciano a saltellargli
davanti agli occhi. Gli argomenti tendono a ripetersi, lui ini-
zia a innervosirsi. Un breviario, ecco cosa gli recitano i suoi
studenti. Bisogna leggere! Bisogna leggere! L'interminabile
litania del discorso educativo: Bisogna leggere. Quando
ognuna delle loro frasi prova che non leggono mai!




30.

"Ma perchte la prendi, tesoro? I vostri allievi scrivono
quello che vi aspettate da loro!"
"E cio"
"Che bisogna leggere! Il dogma! Non dirmi che ti
aspettavi di trovare un pacco di temi a gloria dei roghi."
"Quel che mi aspetto che spengano il loro walkman e
si mettano a leggere sul serio! "
"Niente affatto... Tu ti aspetti che ti consegnino buone
schede di lettura sui romanzi che tu gli imponi, che 'inter-
pretino' correttamente le poesie di tua scelta, che il giorno
della maturitanalizzino sottilmente i testi della tua lista,
che 'commentino' oculatamente, o 'riassumano' intelligente-
mente ciche l'esaminatore gli piazzerdavanti quella mat-
tina... Ma nl'esaminatore, ntu, ni genitori desiderate in
modo particolare che questi ragazzini leggano. Non deside-
rate neanche il contrario, nota bene. Solo che riescano negli
studi, punto e basta ! Quanto al resto, avete altre gatte da pe-
lare. D'altronde, anche Flaubert aveva altre gatte da pelare!
Se rimandava la Louise ai suoi libri, era perchnon gli rom-
pesse le scatole, perchlo lasciasse lavorare tranquillo alla
sua Bovary, e non le venisse in mente di farsi mettere incin-
ta. Eccola, la verit lo sai benissimo. 'Leggete per vivere',
sotto la penna di Flaubert quando scriveva a Louise, voleva
dire in soldoni: 'Leggete per lasciarmi vivere', gliel'hai spie-
gato, questo, ai tuoi allievi? No? Perch"
Lei sorride. Posa la mano su quella di lui:
"Devi abituarti, tesoro: il culto del libro rientra nella tra-
dizione orale. E tu ne sei il gran sacerdote".




31.

"All'insegnamento di Stato io non devo impulsi di nessun
genere. Anche se la materia di studi fosse stata piricca e pi attraente di quel che era in realt la cupa pedanteria dei pro-
fessori bavaresi avrebbe sciupato l'argomento piinteressan-
te..."
"Ciche io conosco dei grandi autori del mio paese lo de-
vo alle letture extrascolastiche..."
"Le voci del poeta si mescolano nel mio ricordo con le vo-
ci di coloro che primi me lo rivelarono. Ci sono capolavori del
la Scuola romantica che non posso ora rileggere senza risenti-
re la voce commossa e sonora di mia madre. Finchfummo
bambini fu lei a leggere per noi. "
( )
"E tuttavia con pireligiosa attenzione ancora ascoltava-
mo la pacata voce del Mago... I suoi autori prediletti erano i
russi. Egli ci leggeva I Cosacchi di Tolstoj e quelle parabole in-
fantili dei suoi ultimi anni, improntati a un primitivo didasca-
lismo. Ci leggeva racconti di Gogol' e di Dostoevskij, - quella
farsa terrifica che s'intitola Una storia ridicola."
(...)
"Quelle belle orserali nello studio paterno non eran so-
lo un eccitamento alla nostra fantasia, ma anche alla nostra
curiosit Quando si assaggiato il fascino e il conforto della
grande letteratura, se ne vuole sempre di pi Si comincia allo-
ra a leggere per proprio conto. . . " (nota 4)
Cosdiceva Klaus Mann, figlio di Thomas, il Mago, e di
Mielen, dalla voce commossa e sonora.




32.

Deprimente, per questa unanimit.. Come se, dalle
osservazioni di Rousseau sull'apprendimento della lettura, a
quelle di Klaus Mann sull'insegnamento delle Lettere nello
Stato bavarese, all'ironia della giovane moglie del professore
fino alle lamentele dei nostri studenti di oggi, il ruolo della
scuola si limitasse sempre e dovunque all'apprendimento di
tecniche, all'imperativo del commento e con la proscrizione
del piacere di leggere impedisse l'accesso immediato ai libri.
Sembra assodato, da sempre, sotto ogni latitudine, che il
piacere non debba figurare nei programmi scolastici e che la
conoscenza possa essere solamente il frutto di una sofferen-
za ben capita.
una tesi difendibile, certo.
Gli argomenti non mancano.
La scuola non puessere una scuola del piacere, il qua-
le presuppone una buona dose di gratuit La scuola una
fabbrica necessaria di sapere che richiede sforzo. Le materie
insegnate sono gli strumenti della coscienza. I docenti di
queste materie ne sono gli iniziatori, e non si pupretende-
re da loro che vantino il carattere gratuito dell'apprendi-
mento intellettuale, quando tutto, assolutamente tutto nella
vita scolastica - programmi, voti, esami, pagelle, cicli, orien-
tamento, sezioni - esprime la finalitcompetitiva dell'istitu-
zione, essa stessa indotta dal mercato del lavoro.
Che l'allievo di tanto in tanto incontri un professore
pieno di entusiasmo che sembra considerare la matematica
per se stessa, e la insegna come una delle Belle Arti e la fa
amare in virtdella sua personale vitalit e grazie al quale lo
sforzo diventa un piacere, questo dipende dalla casualit dell'incontro, non dalla genialitdell'Istituzione.
E proprio degli esseri viventi di fare amare la vita, anche
sotto forma di un'equazione di secondo grado, ma la vitalit non mai stata inserita nei programmi scolastici.
Qui c'l'utilit
La vita altrove.
Leggere, si impara a scuola.
Quanto ad amare leggere...




33.

Bisogna leggere, bisogna leggere...
E se invece di esigere la lettura il professore decidesse
improvvisamente di condividere il suo personale piacere di
leggere?
Il piacere di leggere? Che roba questa, il piacere di
leggere?
Domande che infatti presuppongono un gran bell'esa-
me di coscienza!
E per cominciare l'ammissione di una veritche si op-
pone radicalmente al dogma: la maggior parte delle letture
che ci hanno modellati non le abbiamo fatte per, ma contro.
Abbiamo letto (e leggiamo) per proteggerci, per rifiutare o
per opporci. Se questo ci dun'aria da fuggiaschi, se la
realtdispera di raggiungerci oltre l'incantesimo" della no-
stra lettura, siamo perdei fuggiaschi impegnati a costruir-
ci, degli evasi intenti a nascere.
Ogni lettura un atto di resistenza. Di resistenza a cosa?
A tutte le contingenze. Tutte:
"Sociali. "
" Professionali . "
"Psicologiche."
"Affettive. "
"Climatiche."
"Familiari. "
"Domestiche."
"Gregarie. "
"Patologiche."
"Pecuniarie. "
"Ideologiche."
"Culturali. "
"O narcisistiche."
Una lettura ben fatta salva da tutto, compreso da se
stessi.
E, soprattutto, leggiamo contro la morte.
E Kafka che legge contro i progetti mercantili del padre,
Flannery O'Connor che legge Dostoevskij contro l'ironia
della madre ("L'idiota? Solo tu potevi chiedere un libro con
un titolo del genere!"), Thibaudet che legge Montaigne nel-
le trincee di Verdun, Henri Mondor immerso nel suo Mal-
larmnella Francia dell'Occupazione e del mercato nero, il giornalista Kauffmann che rilegge all'infinito lo stesso vo-
lume di Guerra e pace nelle prigioni di Beirut, il malato, ope-
rato senza anestesia, di cui Val廨y ci dice che "trovqualche
sollievo, o piuttosto qualche ripresa delle forze e della pazien-
za recitandosi, fra due estremi di dolore, una poesia che ama-
va". Ed naturalmente, la confessione di Montesquieu, il
cui sviamento pedagogico fece coprire di inchiostro pagine
e pagine di temi: "Lo studio stato per me il rimedio sovrano
contro l'insofferenza e la noia non avendo io mai avuto pene
che un'ora di lettura non abbia dissipato".
Ma piquotidianamente, il rifugio del libro contro il
crepitio della pioggia, il silenzioso bagliore delle pagine nel
frastuono cadenzato del metro, il romanzo nascosto nel cas-
setto della segretaria, la breve lettura del professore quando
gli allievi sono interrogati alla lavagna e l'allieva in fondo al-
la classe che legge di nascosto, in attesa di consegnare il
compito in bianco...




34.

Difficile insegnare le Belle Lettere, quando la lettura im-
pone a tal punto l'isolamento e il silenzio!
La lettura, atto di comunicazione? Ecco un'altra simpa-
tica frottola da commentatori ! Quel che noi leggiamo, lo ta-
ciamo. Il piacere del libro letto lo teniamo spesso gelosa-
mente segreto. Sia perchnon vi vediamo materia di con-
versazione, sia perchprima di poterne dire una parola dob-
biamo lasciar fare al tempo la sua splendida opera di distil-
lazione. Questo silenzio il garante della nostra intimit Il
libro l'abbiamo letto, ma noi ci siamo ancora dentro. La sua
semplice evocazione offre un rifugio ai nostri no. Il libro ci
mette al riparo dal Grande Esterno, ci offre un osservatorio
posto molto al di sopra dei paesaggi contingenti. Abbiamo
letto e taciamo. Taciamo perchabbiamo letto. Pensate un
po' come sarebbe bello vedere qualcuno aspettarci al varco
della nostra lettura per domandarci: "E allooora? E bello?
Hai capito? A rapporto!"
A volte l'umilta esigere da noi il silenzio. Non la glo-
riosa umiltdegli analisti di professione, ma l'intima, solita-
ria, quasi dolorosa consapevolezza che questa lettura, que-
sto autore ci hanno, come si usa dire, "cambiato la vita"!
Oppure, all'improvviso, quest'altra folgorazione, da la-
sciarti senza parole: com'possibile che quel che mi ha tanto
sconvolto non abbia minimamente modificato l'ordine del
mondo? Puil nostro secolo essere stato quello che stato
dopo che Dostoevskij ebbe scritto I Demoni? Da dove ven-
gono fuori Pol Pot e gli altri dopo che stato inventato un
personaggio come Piotr Verchovenskij? E l'orrore dei campi,
se Cechov ha scritto L'isola di Sachalin. Chi si illuminato al-
la bianca luce di Kafka, dove le nostre peggiori evidenze si
stagliavano come lamiere di zinco? E mentre l'orrore imper-
versava, chi ha udito Walter Benjamin? E come puessere
che quando tutto fu compiuto il mondo intero non abbia let-
to La specie umana di Robert Antelme, anche soltanto per li-
berare il Cristo di Carlo Levi, definitivamente fermatosi a
Eboli?
Che dei libri possano sconvolgere a tal punto la nostra
coscienza e lasciare che il mondo vada a rotoli ha di che to-
glierci la parola.
Silenzio, dunque...
Salvo, naturalmente, per i parolai del potere culturale.
Ah! Le chiacchiere da salotto, dove poichnessuno ha
niente da dire, la lettura passa al rango di possibile argo-
mento di conversazione. Il romanzo ridotto a strategia di co-
municazione! Tante urla silenziose, tanta ostinata gratuit perchil primo cretino possa rimorchiare la smorfiosa di
turno "Come, non ha letto il Viaggio di C幨ine?"
Si uccide per molto meno.




35.

Tuttavia, pur non essendo un atto di comunicazione im-
mediata, la lettura alla fine, l'oggetto di una condivisione.
Ma una condivisione lungamente differita, e tenacemente
selettiva.
Se dovessimo tener conto delle letture importanti che
dobbiamo alla Scuola, ai Critici, a tutte le forme di pubbli-
cite, viceversa, di quelle che dobbiamo all'amico, all'aman-
te, al compagno di scuola, vuoi anche alla famiglia - quando
non mette i libri nello scaffale dell'educazione - il risultato
sarebbe chiaro: quel che abbiamo letto di pibello lo dob-
biamo quasi sempre a una persona cara. Ed a una persona
cara che subito ne parleremo. Forse proprio perchla pecu-
liaritdel sentimento, come del desiderio di leggere, il fat-
to di preferire. Amare vuol dire, in ultima analisi, far dono
delle nostre preferenze a coloro che preferiamo. E queste
preferenze condivise popolano l'invisibile cittadella della
nostra libert Noi siamo abitati da libri e da amici.
Quando una persona cara ci dun libro da leggere, la
prima cosa che facciamo cercarla fra le righe, cercare i suoi
gusti, i motivi che l'hanno spinta a piazzarci quel libro in
mano, i segni di una fraternit Poi il testo ci prende e di-
mentichiamo chi in esso ci ha immersi: tutta la forza di
un'opera consiste proprio nel saper spazzar via anche questa
contingenza!
Eppure, con il passare degli anni, accade che l'evocazio-
ne del testo faccia tornare alla mente il ricordo dell'altro: al-
cuni titoli sono allora di nuovo dei volti.
E, siamo giusti, non sempre il volto di una persona ama-
ta, ma anche quello (oh! raramente) del tal critico o del tal
professore.
il caso di Pierre Dumayet, del suo sguardo, della sua
voce, dei suoi silenzi, che nelle Letture per tutti della mia in-
fanzia dicevano tutto il suo rispetto per il lettore che grazie
a lui sarei diventato. E il caso di quel professore la cui pas-
sione per i libri sapeva dotarlo di un'infinita pazienza e re-
galarci perfino l'illusione dell'amore. Doveva proprio prefe-
rirci - o stimarci - noialtri allievi, per darci da leggere quel
che gli era picaro.




36.

Nella biografia da lui dedicata al poeta Georges Perros,
Jean-Marie Gibal cita la frase di una studentessa di Rennes,
dove Perros insegnava:
"Lui (Perros) arrivava il martedmattina, con i capelli
scompigliati dal vento e dal freddo, sulla sua moto azzurra ar-
rugginita. Curvo, con addosso un cappotto da marinaio, e la
pipa in bocca o in mano. Svuotava sulla cattedra una tracolla
piena di libri. Ed era la vita".
Quindici anni dopo, la stupenda stupita ne parla anco-
ra. Riflette, con il sorriso chino sulla tazza di caff e richia-
ma lentamente alla memoria i suoi ricordi.
"S era la vita, una mezza tonnellata di libri, pipe, ta-
bacco, un numero di France-soir o de L'Equipe, chiavi, tac-
cuini, fatture, una candela della moto... Da questo caos tira-
va fuori un libro, ci guardava, partiva con una risata che ci
stuzzicava l'appetito e si metteva a leggere. Leggeva cammi-
nando, con una mano in tasca e l'altra, quella che teneva il li-
bro, un po' tesa, come se leggendolo lo offrisse. Tutte le sue
letture erano dei regali. Non ci chiedeva niente in cambio.
Quando l'attenzione di qualcuno di noi diminuiva, lui smet-
teva per un attimo di leggere, guardava il distratto e fischiet-
tava. Non era una rimostranza, era un gioioso richiamo alla
coscienza. Non ci perdeva mai di vista, e nei momenti piin-
tensi della lettura ci guardava al di sopra delle righe. Aveva
una voce sonora e luminosa, un po' ovattata, che riempiva
perfettamente lo spazio delle aule, come avrebbe potuto col-
mare un'aula ad anfiteatro, un teatro, il campo di Marte
senza che mai una parola fosse pronunciata sopra un'altra.
Indovinava d'istinto le dimensioni dello spazio e dei nostri
cervelli. Era la cassa di risonanza naturale di tutti i libri, l'in-
carnazione del testo, il libro fatto uomo. Attraverso la sua
voce noi scoprivamo d'un tratto che tutto ciera stato scrit-
to per noi. Quella scoperta giungeva dopo che per lunghi
anni l'insegnamento delle Lettere ci aveva tenuti a rispetto-
sa distanza dai libri. Cosa faceva dunque di pidei nostri al-
tri professori? Niente. Per certi versi, faceva addirittura di
meno. Solo che, ecco, non ci somministrava la letteratura
con il contagocce analitico, ce la serviva a gran bicchieroni...
E noi capivamo tutto quello che ci leggeva. Noi lo sentiva-
mo. Non c'era spiegazione del testo piluminosa del suono
della sua voce quando anticipava le intenzioni dell'autore,
rivelava un sottinteso, svelava un'allusione... rendeva impos-
sibile il fraintendimento. Dopo averlo sentito leggere La
doppia incostanza, era assolutamente impensabile continua-
re a farneticare sul 'marivaudage' e vestire di rosa i manichi-
ni umani di quel teatro della dissezione. La precisione della
sua voce ci introduceva in un laboratorio, la chiarezza della
sua dizione ci invitava a una vivisezione. Ma non calcava la
mano in questo senso e non faceva di Marivaux l'anticame-
ra di Sade. Ciononostante, per tutto il tempo che durava la
sua lettura avevamo la sensazione di vedere lo spaccato del
cervello di Arlecchino e Silvia, come se fossimo noi stessi i
laboratoristi di quell'esperimento.
Con lui avevamo un'ora di lezione alla settimana e
quell'ora assomigliava al suo tascapane: un trasloco. Quan-
do a fine anno ci lascifeci un po' di conti: Shakespeare,
Proust, Kafka, Vialatte, Strindberg, Kierkegaard, Moli鋨e,
Beckett, Marivaux, Val廨y, Huysmans, Rilke, Bataille,
Gracq, Hardellet, Cervantes, Laclos, Cioran, Cechov, Hen-
ri Thomas, Butor... li cito alla rinfusa e ne dimentico alme-
no altrettanti. In dieci anni, non ne avevo sentito la decima
parte !
Ci parlava di tutto, ci leggeva tutto, perchnon dava per
scontato che avessimo una biblioteca in testa. Era il grado ze-
ro della malafede. Ci prendeva per quel che eravamo, dei
giovani maturandi incolti che meritavano di sapere. E nien-
te a che vedere con l'idea di patrimonio culturale, di sacri se-
greti appesi alle stelle; con lui, i testi non cadevano dal cielo
li raccattava da terra e ce li regalava da leggere. Tutto era l
intorno a noi, brulicante di vita. Ricordo la nostra delusione,
agli inizi, quando affronti colossi, quelli di cui i nostri pro-
fessori ci avevano comunque parlato, i pochi che pensavamo
di conoscere bene e che ritenevamo inaccessibili: La Fontai-
ne, Moli鋨e... In un'ora perdettero il loro statuto di divinit scolastiche per diventarci intimi e misteriosi - cioindispen-
sabili. Perros resuscitava gli autori. Alzati e cammina: da
Apollinaire a Zola, da Brecht a Wilde, ce li vedevamo arri-
vare tutti in classe, vivi e vegeti, come se uscissero da Mi-
chou, il caffdi fronte. Caffdove a volte lui ci regalava un
secondo tempo. Non faceva il prof-amicone, non era il suo
genere, proseguiva semplicemente quella che chiamava la
sua 'lezione di ignoranza'. Con lui la cultura smetteva di es-
sere una religione di Stato e il bancone di un bar valeva
quanto un palco. Noi stessi, ascoltandolo, non provavamo il
desiderio di prendere i voti, di mettere l'abito talare del sa-
pere. Avevamo voglia di leggere, punto e basta... Appena ta-
ceva, correvamo a svaligiare le librerie di Rennes e di Quim-
per. E pileggevamo, piin effetti ci sentivamo ignoranti,
soli sulla riva della nostra ignoranza, e di fronte a noi il ma-
re. Ma con lui non avevamo pipaura di buttarci. Ci tuffa-
vamo nei libri, senza perdere tempo in sguazzamenti fred-
dolosi. Non so quanti di noi sono diventati professori... non
molti, probabilmente, e forse in fondo un peccato, perch senza parere lui ci ha lasciato in eredituna gran bella voglia
di trasmettere. Ma di trasmettere ai quattro venti. Lui, che se
ne sbatteva dell'insegnamento, sognava ridendo un'uni-
versititinerante:
'Se andassimo un po' in giro... a trovare Goethe a Wei-
mar, a insultare Dio con il padre di Kierkegaard, a spararci
Le notti bianche sulla Prospettiva Nevski..."'




37.

"La lettura, resurrezione di Lazzaro,
sollevare la pietra delle parole."
GEORGES PERROS (Sciancrature)




38.

Quel professore non inculcava un sapere, regalava quel
che sapeva. Non era tanto un professore quanto un maestro
trobadorico - uno di quei giullari delle parole che popola-
vano le locande del cammino di Compostela recitando le
canzoni di gesta ai pellegrini illetterati.
Siccome ci vuole un inizio a tutto, raccoglieva ogni anno
il suo piccolo gregge alle origini orali del romanzo. La sua
voce, come quella dei trovatori, si rivolgeva a un pubblico
che non sapeva leggere. Apriva occhi, illuminava menti, invi-
tava i SUOI sulla strada dei libri, pellegrinaggio senza fine n certezza, cammino dell'uomo verso l'uomo.
"La cosa piimportante era il fatto che ci leggesse tutto
ad alta voce! La fiducia che riponeva di primo acchito nel
nostro desiderio di capire... L'uomo che legge ad alta voce ci
eleva all'altezza del libro. Dveramente da leggere!"





39.

Viceversa, noi che abbiamo letto e affermiamo di voler
diffondere l'amore per il libro, preferiamo troppo spesso il
ruolo di commentatori, interpreti, analisti, critici, biografi,
esegeti di opere rese mute dalla devota testimonianza che
diamo della loro grandezza. Imprigionata nella fortezza del-
le nostre competenze, la parola dei libri lascia il posto alla
nostra parola. Invece di permettere all'intelligenza del testo
di parlare per bocca nostra, ci affidiamo alla nostra persona-
le intelligenza, e parliamo del testo. Non siamo gli emissari
del libro ma i custodi giurati di un tempio di cui vantiamo le
meraviglie con parole che ne chiudono le porte: "Bisogna
leggere! Bisogna leggere! "




40.

Bisogna leggere: una petizione di principio per orec-
chie adolescenti. Per quanto brillanti siano le nostre dimo-
strazioni... nient'altro che una petizione di principio.
Quelli fra i nostri allievi che hanno scoperto il libro at-
traverso altri canali continueranno semplicemente a leggere.
I picuriosi fra loro indirizzeranno le loro letture seguendo
i fari delle nostre spiegazioni piluminose.
Fra coloro "che non leggono" i piaccorti impareran-
no, come noi, a parlare intorno: eccelleranno nell'arte infla-
zionistica del commento (leggo dieci righe, sforno dieci pa-
gine), nella pratica restringitiva della scheda (percorro 400
pagine, le riduco a cinque), nella caccia alla citazione intelli-
gente (in quei compendi di cultura congelata disponibili
presso qualsiasi venditore di successi scolastici), sapranno
maneggiare lo scalpello dell'analisi lineare e diventeranno
esperti nella sapiente navigazione fra i "brani scelti", che
conduce sicuramente al diploma di maturit alla laurea,
persino al dottorato... ma non necessariamente all'amore
per il libro.
Restano gli altri allievi
Quelli che non leggono e che ben presto sono terroriz-
zati dalle radiazioni del significato.
Quelli che si credono stupidi...
Privati per sempre dei libri...
Per sempre senza risposte...
E ben presto senza domande.




41.

Facciamo un sogno.
E la prova detta dell'unitdidattica, all'esame di con-
corso per l'insegnamento di Lettere.
Argomento dell'unitdidattica: I registri della coscienza
letteraria in Madame Bovary.
La giovane candidata seduta al suo banco, molto al di
sotto dei sei membri della commissione, immobili, lass sul-
la loro pedana. Per aggiungere solennitalla cosa, diciamo
che la scena si svolge nella grande aula ad anfiteatro della
Sorbona. Un odore di secoli e di legno sacro. Il profondo si-
lenzio del sapere.
Un esiguo pubblico di parenti e amici sparpagliati sulle
gradinate sente il suo cuore battere al ritmo della paura del-
la ragazza. Tutte immagini viste dal basso in alto, e la ragaz-
za sullo sfondo, schiacciata dal terrore di quel che le resta di
ignoranza.
Lievi scricchiolii, colpi di tosse soffocati: l'eternitpri-
ma della prova.
La mano tremante della ragazza sistema gli appunti da-
vanti a se apre la sua partitura del sapere: I registri della co-
scienza letteraria in Madame Bovary.
Il presidente della commissione (un sogno, e allora
diamo al presidente una toga color sangue di bue, un'etve-
neranda, spalle di ermellino e una parrucca stile cocker che
mette in risalto le rughe di granito), il presidente della com-
missione, dunque, si china alla sua destra, solleva la parruc-
ca del collega e gli mormora due parole all'orecchio. L'assi-
stente (pigiovane, una maturitrosea e dotta, stessa toga,
stessa acconciatura) annuisce gravemente e riferisce al vici-
no mentre il presidente mormora alla sua sinistra. Il consen-
so si propaga fino ai due estremi del tavolo.
I registri della coscienza letteraria in Madame Bovary.
Persa nei suoi appunti, terrorizzata dall'improvviso disordi-
ne delle sue idee, la ragazza non vede la commissione alzar-
si, non vede la commissione scendere dalla pedana, non ve-
de la commissione avvicinarsi a lei, non vede la commissio-
ne circondarla. Alza gli occhi per riflettere e si trova impri-
gionata nella rete dei loro sguardi. Dovrebbe avere paura,
ma troppo presa dalla paura di non sapere. Si domanda
soltanto: cosa ci fanno cosvicini a me? Si rituffa negli ap-
punti. I registri della coscienza letteraria... Ha perso lo sche-
ma dell'unitdidattica. Pensare che era uno schema cos chiaro! Che cosa ne ha fatto, dello schema dell'unitdidat-
tica? Chi le restituirle limpide prospettive della sua dimo-
strazione?
"Signorina.. . "
La ragazza non dretta al presidente. La ragazza cerca,
cerca lo schema dell'unitdidattica, volato via nel vortice
del suo sapere.
"Signorina.. . "
Cerca e non trova. I registri della coscienza letteraria in
Madame Bovary... Cerca e trova tutto il resto, tutto quello
che sa. Ma non lo schema dell'unitdidattica. Non lo sche-
ma dell'unitdidattica.
"Signorina, la prego..."
E la mano del presidente che si posata sul suo braccio?
(E da quando in qua i presidenti delle commissioni di con-
corso posano la mano sul braccio delle candidate?) E il tono
infantile di supplica, cosinatteso in quella voce? E il fatto
che gli assistenti cominciano ad agitarsi sulle sedie (perch ognuno di loro ha portato la sedia e sono tutti seduti intor-
no a lei)... La ragazza finalmente alza gli occhi:
"Signorina, la prego, lasci perdere i registri della co-
scienza. .. "
Il presidente e gli assistenti si sono tolti le parrucche.
Hanno capelli fini da bambini, occhi spalancati, un'impa-
zienza da affamati:
"Signorina... Ci racconti Madame Bovary! "
"No! No! Ci racconti piuttosto il suo romanzo preferi-
to!
"S La ballata del cafftriste! Signorina, lei che ama tan-
to Carson McCullers, ci racconti La ballata del cafftriste!"
"E poi ci faccia venir voglia di rileggere La principessa di
Cl鋦es. Eh?"
"Ci faccia venire voglia di leggere, signorina! "
"Tanta voglia!"
"Ci racconti Adolphe! "
"Ci legga Dedalus, il capitolo degli occhiali!"
"Kafka! Una cosa qualsiasi dal Diario... "Svevo! La coscienza di Zeno! "
"Ci legga il Manoscritto trovato a Saragozza! "
"I libri che preferisce! "
"Harper Lee! "
侵l buio oltre la siepe!"
"Non guardi l'orologio, abbiamo tempo!"
"La prego..."
"Ci racconti! "
"Signorina.. . "
"Ci legga! "
侵 tre moschettieri..."
"Marcovaldo..."
"Jules e Jim... "
"Pippi Calzelunghe!"
"Peter Pan ! "






III. Dare da leggere.




42.

Immaginiamo una classe di adolescenti. Circa trentacin-
que studenti. Oh! Non quel genere di studenti accurata-
mente calibrati per varcare in gran fretta gli alti portoni del-
le grandi universit no, gli altri, quelli che sono stati respin-
ti dai licei del centro perchla loro pagella non lasciava pre-
vedere un gran voto alla maturit naddirittura una matu-
rit
l'inizio dell'anno.
Sono approdati qui.
In questa scuola.
Davanti a questo professsore.
Ma sarebbe meglio dire che si sono arenati qui. Respin-
ti sulla riva, mentre i loro compagni di ieri hanno preso il lar-
go a bordo di licei-transatlantici in partenza per grandi "car-
riere". Relitti abbandonati dalla marea scolastica. Cossi de-
scrivono nella classica scheda di inizio anno.
Cognome. nome. data di nascita...
Informazioni varie:
"Sono sempre andato malissimo in matematica... "Le lin-
gue non mi interessano"... "Non riesco a concentrarmi"...
Non so scrivere". . . "Ci sono troppi vocaboli nei libri" "(sic !
Eh! s sic!)... " "Non capisco niente di fisica"... "Ho sempre
avuto zero in ortografia"... "In storia, potrebbe andare, ma non
mi ricordo le date"... "Credo di non esercitarmi abbastanza"...
"Non riesco a capire"... 'Ho sbagliato un mucchio di cose"...
"Mi piacerebbe disegnare ma non sono molto portato"... "Era
troppo difficile per me"... "Non ho memoria"... "Mi mancano
le basi"... "Non ho idee"... "Mi mancano le parole"...
Finiti...
Cossi dipingono.
Finiti ancor prima di aver cominciato.
Certo, calcano un po' la mano. Ma il genere a richie-
derlo. La scheda personale, come il diario, ha molto dell'au-
tocritica. In essa si tende istintivamente a denigrarsi. Inoltre,
accusandosi di tutto, ci si mette al riparo da molte pretese.
Almeno questo dalla scuola l'avranno imparato: il conforto
della fatalit Non c'nulla di costranquillizzante come un
eterno zero in matematica o in ortografia. Escludendo
l'eventualitdi un progresso, esso sopprime gli inconve-
nienti dello sforzo. E confessare che i libri contengono
"troppi vocaboli", chiss forse li esonererdalla lettura...
Eppure, questo ritratto che gli adolescenti fanno di se
stessi non fedele: non hanno la faccia del ritardato dalla
fronte bassa e dalla mascella quadrata quale potrebbe im-
maginare un cattivo regista che leggesse i loro telegrammi
autobiografici.
No, hanno la faccia molteplice della loro generazione:
ciuffo a banana e stivaletti per il rocker di turno, calze ingle-
si e jeans firmati per il cultore della moda, chiodo nero per il
centauro senza moto, capelli lunghi o a spazzola a seconda
delle tendenze di famiglia... Quella ragazza, laggi nuota
nella camicia del padre che sfiora le ginocchia strappate dei
suoi jeans, quell'altra ostenta la sagoma nera di una vedova
siciliana ("questo mondo non mi concerne pi) mentre la
sua bionda compagna di banco ha puntato tutto sull'esteti-
ca: corpo da cartellone pubblicitario e faccia da copertina
accuratamente patinata.
Sono appena guariti dagli orecchioni e dal morbillo e
gisi beccano i virus della moda.
E la maggior parte sono anche alti! Gli mangiano in te-
sta, al professore! E grossi, i ragazzi! E le ragazze, gidi
quelle figurine!
Il professore ha l'impressione che la sua adolescenza
fosse piimprecisa... piuttosto mingherlino, lui... robetta
del dopoguerra... latte in polvere del piano Marshall...
all'epoca era in ricostruzione, il professore, come il resto
dell 'Europa...
Loro, invece, hanno facce da risultato.
Questa salute e questo ossequio alle mode conferiscono
loro un'aria di maturitche potrebbe intimidire. Le loro
pettinature, i loro vestiti, i loro walkman, le loro calcolatrici,
il loro lessico, il loro atteggiamento distante, fanno addirit-
tura pensare che potrebbero essere pi"adatti" al loro tem-
po di quanto non lo sia il professore. Saperne molto di pi di quanto non ne sappia lui...
Molto di pisu che cosa?
E proprio questo l'enigma dei loro volti...
Nulla di pienigmatico di un'aria matura.
Se non fosse un veterano, il professore potrebbe sentir-
si espropriato del presente dell'indicativo, un po' passatel-
lo... Solo che, ecco... ne ha visti di bambini e di adolescenti
in vent'anni di scuola... almeno tremila, se non di pi.. ne
ha viste passare, di mode... tanto che ne ha persino viste tor-
nare!
L'unica cosa di immutabile il contenuto della scheda
personale. L'estetica "frana" in tutta la sua ostentazione: so-
no pigro, sono scemo, sono uno zero, ho provato in mille
modi, non sprecate le vostre forze, il mio passato non ha fu-
turo...
Per farla breve, non si piacciono. E lo proclamano con
una convinzione ancora infantile.
Sono fra due mondi, insomma, e hanno perso i contatti
con entrambi. Sono "tipi di tendenza", certo, "davvero to-
sti" (eccome!) ma la scuola "una pizza", le sue esigenze li
"stressano", non sono pidei bambini ma "si rompono"
nell'eterna attesa di diventare grandi.
Vorrebbero essere liberi e si sentono abbandonati.




43.

E naturalmente non amano leggere. Troppi vocaboli nei
libri. E troppe pagine. Per farla breve, troppi libri.
No, decisamente, non amano leggere.
Almeno questo quanto si desume dalla selva di mani
alzate quando il prof chiede:
"A chi non piace leggere?"
C'persino un che di provocatorio in questa quasi una-
nimit Quanto alle rare mani che non si sono alzate (tra cui
quella della Vedova siciliana), per ostinata indifferenza al
problema.
"Bene," dice il prof, "visto che non vi piace leggere...
sario a leggervi dei libri."
Senza transizione, apre la cartella e tira fuori un librone
grossissimo, un affare cubico, veramente enorme, dalla co-
pertina patinata. Quanto di piimpressionante si possa im-
maginare in fatto di libri.
"Ci siete?"
Non credono nai loro occhi nalle loro orecchie. Quel
tiZio ha intenzione di leggere tutto quell'affare? Ma ci vorr l'intero anno scolastico! Perplessit.. Anche una certa ten-
sione... Non esiste! Un prof che si propone di passare tutto
l'anno a leggere. O proprio uno che non ha voglia di far
niente, oppure... gatta ci cova. C'sotto qualche fregatura.
Ci toccherfarci la quotidiana lista di vocaboli, il resoconto
di lettura...
Si guardano. Alcuni, non si sa mai, si piazzano davanti
un foglio e mettono le bic in posizione di attacco.
No, no, e inutile prendere appunti. Cercate solo di
ascoltare. "
Si pone allora il problema dell'atteggiamento. Che cosa
ne di un corpo in un'aula scolastica, se non ha pil'alibi
della penna a sfera e del foglio bianco? Che cosa si pumai
fare di sin una simile circostanza?
"Mettetevi comodi, rilassatevi..."
(S figurati... rilassatevi...)
Ma siccome la curiositfinisce per avere la meglio, Ba-
nana-e-stivaletti domanda:
"Ci leggertutto quel libro... a voce alta?"
"Non vedo come potresti sentirmi se leggessi a voce
bassa..."
Discreta ridacchiata. Ma la giovane Vedova siciliana
non ci sta. In un mormorio abbastanza forte per essere sen-
tito da tutti, dice:
"Abbiamo passato l'et.
Pregiudizio comunemente diffuso... soprattutto fra co-
loro che non hanno mai ricevuto il vero dono di una lettura.
Gli altri sanno che non c'etper questo genere di regali.
"Se fra dieci minuti sarai ancora dell'idea di aver passa-
to l'et alzi la mano e facciamo qualcos'altro. D'accordo?"
"Che libro " domanda Calze inglesi, con un tono che
ha detto cose peggiori.
"Un romanzo."
"E di cosa parla?
"Difficile dirlo prima di averlo letto. Bene, ci siamo? Fi-
ne delle trattative. Si parte."
Ci sono... Scettici, ma ci sono.
"Capitolo primo:
'Nel diciottesimo secolo visse in Francia un uomo, tra le
figure pigeniali e scellerate di quell'epoca non povera di ge-
niali e scellerate figure'. " (nota 5)




44.

(...)
"Al tempo di cui parliamo, nelle cittregnava un puzzo a
stento immaginabile per noi moderni. Le strade puzzavano di
letame, i cortili interni di orina, le trombe delle scale di legno
marcio e di sterco di ratti, le cucine di cavolo andato a male e
di grasso di montone, le stanze non aerate puzzavano di pol-
vere stantia, le camere da letto di lenzuola bisunte, dell'umido
dei piumini e dell'odore pungente e dolciastro di vasi da not-
te. Dai camini veniva puzzo di zolfo, dalle concerie veniva il
puzzo di solventi, dai macelli puzzo di sangue rappreso. La
gente puzzava di sudore e di vestiti non lavati, dalle bocche ve-
niva un puzzo di denti guasti, dagli stomaci un puzzo di cipol-
le, dai corpi, quando non erano pitanto giovani, veniva un
puzzo di formaggio vecchio e latte acido e malattie tumorali.
Puzzavano ifiumi, puzzavano le piazze, puzzavano le chiese,
c'era puzzo sotto i ponti e nei palazzi. Il contadino puzzava co-
me il prete, l'apprendista come la moglie del maestro, puzzava
tutta la nobilt perfino il re puzzava, puzzava come un ani-
male feroce, e la regina come una vecchia capra, sia d'estate sia
d'inverno...




45.

Caro signor Suskind, grazie! Le sue pagine esalano un
odore di selvatico che dilata le narici e torce le budella dal ri-
dere. Mai il suo Profumo ebbe lettori pientusiasti di quei
trentacinque, cospoco disposti a leggerlo. Trascorsi i primi
dieci minuti la prego di credere che la Vedova siciliana la
trovava assolutamente adatto alla sua et Era quasi commo-
vente, con tutte le smorfie che faceva per impedire alla sua
risata di soffocarle la prosa; Calze inglesi spalancava occhi
grandi come orecchie, e "sst! porca miseria, vuoi star zit-
to!", appena uno dei compagni si lasciava andare all'ilarit
Intorno alla pagina ventisette, nelle righe in cui paragona il
suo Jean-Baptiste Grenouille, allora a pensione presso Ma-
dame Gaillard, a una zecca eternamente in agguato (ha pre-
sente? "la zecca solitaria, che, raccolta in s sta rannicchiata
sul suo albero, cieca, sorda e muta e si limita a fiutare, a fiuta-
re per anni, a distanza di miglia, il sangue di animali di pas-
saggio..."), bene, verso queste pagine, dove si scende per la
prima volta nelle umide profonditdi Jean-Baptiste Gre-
nouille, Banana-e-stivaletti si addormentato, la testa ap-
poggiata sulle braccia incrociate. Un bel sonno dal respiro
regolare. No, no, non svegliatelo, non c'niente di meglio di
una bella dormita dopo una ninnananna, anzi, il primo
piacere nell'ordine della lettura. Banana-e-stivaletti ridi-
ventato bambino ... tutto fiducioso... e non molto pigran-
de quando, alla fine dell'ora, esclama:
"Merda, mi sono addormentato! Cos'successo da Ma-
dame Gaillard?"




46.

E grazie anche a voi, signori M嫫quez, Calvino, Steven-
son, Dostoevskij, Saki, Amado, Gary, Ajar, Fante, Dahl, Ro-
cher, vivi o morti che siate! Non uno, fra quei trentacinque
refrattari alla lettura, ha aspettato che il professore arrivasse
alla fine di uno dei vostri libri per terminarlo prima di lui.
Perchrimandare alla settimana prossima un piacere che ci
si puconcedere in una serata?
"Chi questo Suskind?"
"vivente?"
"Cos'altro ha scritto?"
"scritto in francese Il profumo? Sembra scritto in fran-
cese." (Grazie, grazie signor Lortholary, signore e signori
della traduzione, luci di Pentecoste, grazie!)
E le settimane passano...
" Stupendo, Cronaca di una morte annunciata ! E
Cent'anni di solitudine, prof, di cosa parla?"
"Oh! Fante, prof, Fante! Mio stupido cane! veramen-
te troppo forte!"
"La Vita dinanzia s Ajar... cio Gary, bellissimo!"
"E veramente troppo tosto, il Roald Dahl! La storia del-
la donna che uccide il suo tipo con un colpo di cosciotto sur-
gelato e dda mangiare agli sbirri il corpo del reato mi ha
fatto impazzire!"
Vabbe', s... le categorie critiche non sono ancora affi-
nate... ma ci arriveranno... lasciamoli leggere e ci arriveran-
no...
"In fondo, prof, Il Visconte dimezzato, Dottor Jekyll e
Mister Hyde, Il ritratto di Dorian Gray sono libri che tratta-
no un po' tutti lo stesso argomento: il bene, il male, il dop-
pio, la coscienza, la tentazione, la morale sociale, tutte que-
ste cose, no?
"S"
"Raskolnikov, possiamo dire che un personaggio 'ro-
mantico'? "
Vedete... ci arrivano.




47.

Eppure, non successo niente di straordinario. Il meri-
to del professore quasi nullo in tutta la vicenda. Il fatto che il piacere di leggere era vicinissimo, imprigionato in
quelle soffitte adolescenti da una paura segreta: la paura
(molto molto antica) di non capire.
Avevano semplicemente dimenticato che cos'era un li-
bro, cos'aveva da offrire. Avevano dimenticato, per esempio,
che un romanzo racconta prima di tutto una storia. Non sa-
pevano che un romanzo deve essere letto come un romanzo:
placare prima di tutto la nostra sete di racconto.
Per soddisfare questa voglia si erano affidati da tempo al
piccolo schermo, che sbrigava il suo lavoro a catena, infilan-
do cartoni animati, telefilm, telenovele e film gialli in una col-
lana senza fine di stereotipi intercambiabili: la nostra dose
quotidiana di finzione. La testa si riempie come si riempie la
pancia, ci si sente sazi, ma il corpo non assimila niente. Di-
gestione immediata. Dopo, ci si sente soli come prima.
Con la lettura pubblica del Profumo si sono trovati di
fronte a Suskind: una storia, certo, un bel racconto, strano e
barocco, ma anche una voce, quella di Suskind (piavanti,
in un tema, la chiameranno "stile"). Una storia, s ma rac-
contata da qualcuno.
"Incredibile l'inizio, eh prof: 'le camere da letto puzzava-
no... La gente puzzava... puzzavano i fiumi, puzzavano le piaz-
ze, puzzavano le chiese... il re puzzava' e a noi che ci proibi-
scono le ripetizioni! Perbello, eh? E forte, ma anche
bello, no?
S il fascino dello stile accresce il piacere dato dal rac-
conto. Girata l'ultima pagina, l'eco di quella voce ci tiene
compagnia. E poi, la voce di Suskind, anche attraverso il du-
plice filtro della traduzione e della voce del prof, non quel-
la di M嫫quez, "questo si nota subito!", o di Calvino. Da ci la strana impressione che, mentre lo stereotipo parla a tutti
la stessa lingua, Suskind, M嫫quez e Calvino, parlando il lo-
ro proprio linguaggio, si rivolgono solo a me, raccontano la
loro storia solo per me, giovane Vedova siciliana, Chiodo
senza moto, Banana-e-stivaletti, per me, Calze inglesi, che
ginon confondo pile loro voci e mi concedo delle prefe-
renze.
"Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il co-
lonnello Aureliano Buend駮 si sarebbe ricordato di quel remo-
to pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il
ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di ar-
gilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle
acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate,
bianche ed enormi come uova preistoriche." (nota 7)
"La conosco a memoria, la prima frase di Cent'anni di
solitudine! Con quelle pietre bianche ed enormi come uova
preistoriche... "
(Grazie, signor M嫫quez, con lei abbiamo inaugurato
un gioco che durertutto l'anno: individuare e ricordare le
prime frasi o i passaggi preferiti di un romanzo che ci pia-
ciuto.)
"A me piace l'inizio di Adolphe, sai, quel pezzo sulla ti-
midezza: 'Io non sapevo che - persino con suofiglio - mio pa-
dre era timido, e che spesso, dopo aver lungamente atteso da
me qualche manifestazione di affetto, che la sua apparente
freddezza sembrava impedirmi, egli mi lasciava con gli occhi
gonfi di lacrime e si lagnava poi con altri che io non lo ama-
vo. (nota 8)
"Proprio come me e mio padre!"
Erano sigillati davanti al libro chiuso. Adesso sguazzano
liberi fra le sue pagine.
Certo, la voce del professore ha contribuito alla riconci-
liazione. Risparmiando lo sforzo della decodificazione, deli-
neando chiaramente le situazioni, dipingendo le scene, in-
carnando i personaggi, sottolineando i temi, accentuando le
sfumature, facendo nel modo pichiaro possibile il suo la-
voro di rivelatore fotografico.
Ma ben presto la voce del professore diventa un'interfe-
renza: piacere parassita di una gioia pisottile.
"Il fatto che lei legga ci aiuta, prof, ma poi sono conten-
to di ritrovarmi solo con il libro."
La voce del professore - racconto regalato - mi ha ri-
conciliato con la scrittura, e, cosfacendo, mi ha restituito il
gusto della mia segreta e silenziosa voce di alchimista, la
stessa che, una decina d'anni prima, si stupiva del fatto che
mamma sulla pagina fosse proprio la mamma nella vita.
Il vero piacere del romanzo tutto nella scoperta di
questa intimitparadossale: l'autore e io... La solitudine del-
la scrittura che invoca la resurrezione del testo attraverso la
mia voce muta e solitaria.
In tutto questo il professore soltanto una mezzana ed
e giunto il momento che se ne vada in punta di piedi.




48.

Oltre all'ossessione di non capire, un'altra fobia da vin-
cere per riconciliare questo piccolo mondo con la lettura in-
dividuale quella della durata.
Il tempo della lettura: il libro considerato come una mi-
naccia di eternit
Quando hanno visto Il profumo uscire dalla borsa del
professore, hanno subito creduto all'apparizione di un ice-
berg! (Precisiamo che il professore in questione aveva - vo-
lontariamente - scelto l'edizione francese corrente di
Fayard, caratteri grossi, paginatura molto spaziata, ampi
margini, un libro enorme agli occhi di quei refrattari alla let-
tura, e che preannunciava un supplizio interminabile.)
Ma appena lui si mette a leggere, loro vedono l'iceberg
liquefarsi tra le sue mani!
Il tempo non piil tempo, i minuti volano come se-
condi e quando l'ora finisce sono gistate lette quaranta pa-
gine.
Il prof fa i quaranta all'ora.
Cio 400 pagine in dieci ore. Con cinque ore alla setti-
mana, potrebbe leggere 2400 pagine in un trimestre! 7200 in
un anno scolastico! Sette romanzi di 1000 pagine! Solo con
cinque piccole ore di lettura settimanali!
Prodigiosa scoperta, che cambia tutto! Un libro, tutto
sommato, si legge in fretta: con una sola ora di lettura al
giorno, in una settimana vengo a capo di un romanzo di 280
pagine! Che posso leggere in soli tre giorni se gli dedico un
po' pidi due ore! 280 pagine in tre giorni! Cio560 pagi-
ne in sei giorni. Se poi il libro veramente "tosto" - "Via col
vento, prof, veramente tosto!" - e mi sparo quattro ore
supplementari la domenica (non impossibile: di domenica
la periferia di Banana-e-stivaletti un mortorio e Calze in-
glesi trascinato dai genitori a rompersi in campagna) ecco-
ci con 160 pagine in pi totale, 720 pagine!
O 540, se faccio i trenta all'ora, media alquanto ragio-
nevole.
O 360, se viaggio a venti all'ora.
"360 pagine la settimana! E tu?"
Contate le vostre pagine, ragazzi, contate... anche i ro-
manzieri lo fanno. Bisogna vederli, quando raggiungono la
pagina 100! il capo Horn del romanziere, la pagina cento!
Arrivato l stappa una piccola bottiglia interiore, con di-
screti salti di gioia, sbuffando come un cavallo da soma, e
poi via, si rituffa nel calamaio per affrontare la pagina 101.
(Un cavallo da soma che si tuffa in un calamaio, grande im-
magine!)
Contate le pagine... Si comincia meravigliandosi del nu-
mero di pagine lette, e poi si arriva a spaventarsi del poco
che rimane da leggere. Solo 50 pagine! Vedrete... Non c' nulla di pidolce di questa tristezza: Guerra e pace, due
grossi tomi... e solo 50 pagine da leggere.
Uno rallenta, rallenta, ma niente da fare...
Natasha finisce per sposare Pierre Bezuchov, ed la fine.




49.

S ma a quale dei miei impegni rubare quest'ora di let-
tura quotidiana? Agli amici? Alla tiv Agli spostamenti?
Alle serate in famiglia? Ai compiti?
Dove trovare il tempo per leggere?
Grave problema.
Che non esiste.
Nel momento in cui mi pongo il problema del tempo
per leggere, vuol dire che quel che manca la voglia. Poich
a ben vedere, nessuno ha mai tempo per leggere. Ni piccoli,
ngli adolescenti, ni grandi. La vita un perenne ostacolo
alla lettura.
"Leggere? Vorrei tanto, ma il lavoro, i bambini, la casa,
non ho pitempo..."
"Come la invidio, lei, che ha tempo per leggere!"
E perchquesta donna, che lavora, fa la spesa, si occu-
pa dei bambini, guida la macchina, ama tre uomini, fre-
quenta il dentista, trasloca la settimana prossima, trova tem-
po per leggere e quel casto scapolo che vive di rendita, no?
Il tempo per leggere sempre tempo rubato. (Come il
tempo per scrivere, d'altronde, o il tempo per amare.)
Rubato a cosa?
Diciamo, al dovere di vivere.
E forse questa la ragione per cui la metropolitana - as-
sennato simbolo del suddetto dovere - finisce per essere la
pigrande biblioteca del mondo.
Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il
tempo per vivere.
Se dovessimo considerare l'amore tenendo conto dei
nostri impegni, chi ci si arrischierebbe? Chi ha tempo di es-
sere innamorato? Eppure, si mai visto un innamorato non
avere tempo per amare?
Non ho mai avuto tempo di leggere, eppure nulla, mai,
ha potuto impedirmi di finire un romanzo che mi piaceva.
La lettura non ha niente a che fare con l'organizzazione
del tempo sociale. La lettura come l'amore, un modo di
essere.
La questione non di sapere se ho o non ho tempo per
leggere (tempo che nessuno, d'altronde, mi dar, ma se mi
concedo o no la gioia di essere lettore.
Discussione che Banana-e-stivaletti riassume con uno
slogan devastante:
"Il tempo per leggere? Ce l'ho in tasca!"
Alla vista del libro che estrae (Leggende d'autunno, di
Jim Harrison) Calze inglesi approva, pensoso:
" S.. quando si compra una giacca, l'importante che le
tasche siano del formato giusto!"




50.

In argot francese leggere si dice ligoter, che vuole anche
dire "incatenare".
Nel linguaggio figurato un grosso libro un mattone.
Sciogliete quelle catene e il mattone diventeruna nu-
vola.




51.

Una sola condizione a questa riconciliazione con la let-
tura: non chiedere niente in cambio. Assolutamente niente.
Non erigere alcun bastione di conoscenze preliminari intor-
no al libro. Non porre la benchminima domanda. Non da-
re alcun compito. Non aggiungere una sola parola a quelle
delle pagine lette. Nessun giudizio di valore, nessuna spie-
gazione del lessico, nessuna analisi testuale, nessuna indica-
zione biografica...
Proibirsi assolutamente di "parlare intorno".
Lettura-regalo.
Leggere e aspettare.
Non si forza la curiosit la si risveglia.
Leggere, leggere, e avere fiducia negli occhi che si apro-
no, nelle facce che si rallegrano, nella domanda che sta per
arrivare e che provocheraltre domande.
Se il pedagogo in me si risente di non poter "presentare
l'opera nel suo contesto", persuadere il suddetto pedagogo
che l'unico contesto che conta, per ora, quello di questa
classe.
E questa classe non il punto d'arrivo, ma il punto di
partenza dei sentieri della conoscenza.
Per il momento, leggo dei romanzi a un uditorio che cre-
de di non amare leggere. Non potrinsegnare nulla di serio
finchnon avrdissipato questa illusione e fatto il mio lavo-
ro di intermediario.
Quando questi adolescenti saranno riconciliati con i li-
bri, percorreranno volentieri il cammino che va dal roman-
zo al suo autore e dall'autore alla sua epoca, e dalla storia let-
ta ai suoi molteplici significati.
Tutto sta nel tenersi pronto.
Aspettare a pifermo la valanga delle domande:
"E inglese Stevenson?"
"Scozzese. "
"Di che periodo?"
"XIX secolo, sotto la regina Vittoria."
"Dicono che ha regnato a lungo, quella..."
"64 anni: 1837-1901."
"64 anni! "
"Regnava da tredici anni alla nascita di Stevenson, e lui
morto sette anni prima di lei. Oggi tu hai quindici anni, lei
sale sul trono, e tu ne avrai 79 alla fine del suo regno! (In
un'epoca in cui la vita media era di una trentina d'anni.) E
non era certo una simpaticona, come regina."
"Per questo Hyde nato da un incubo!"
L'osservazione viene dalla Vedova siciliana. Stupore di
Calze inglesi:
"E tu questo come lo sai?"
La vedova, enigmatica:
"Ci si informa..."
Poi, con un sorriso discreto:
"Posso anche dirti che era un gran bell' incubo. Quan-
do Stevenson si svegliato, si chiuso nel suo studio e in
due giorni ha buttato gila prima versione del libro. Ma sua
moglie gliel'ha subito fatta bruciare, perchlui si sentiva
troppo un dio nei panni di Hyde, a saccheggiare, violentare,
sgozzare tutto quel che gli passava sotto il naso! Alla grossa
regina non sarebbe piaciuto. Allora, lui ha inventato Jekyll" .




52.

Ma leggere ad alta voce non basta, bisogna anche rac-
contare, offrire i nostri tesori, spiattellarli sull'incolta spiag-
gia. Udite, udite, e vedete quant'bella una stori
Per risvegliare l'appetito di un lettore non c'modo mi-
gliore che dargli da fiutare un'orgia di lettura.
Di Georges Perros, la studentessa stupita diceva anche:
"Non si limitava a leggere. Ci raccontava! Ci raccontava
Don Chisciotte! Madame Bovary! Enormi brani di intelligen-
za critica, che lui ci serviva prima di tutto come semplici sto-
rie. Per bocca sua Sancho diventava un otre di vita, e il Ca-
valiere dalla Faccia Triste un sacco d'ossa armato di certezze
terribilmente dolorose! Emma, come ce la raccontava lui,
non era solo un'idiota rovinata dalla 'polvere dei vecchi gabi-
netti di lettura' ma un fascio di energia fenomenale. Attra-
verso la voce di Perros sentivamo Flaubert ridacchiare da-
vanti a quell'immenso disastro".
Care bibliotecarie, custodi del tempio, una fortuna
che tutti i titoli del mondo abbiano trovato il loro alveolo
nella perfetta organizzazione delle vostre memorie (come
potrei raccapezzarmi, senza di voi, io che ho una memoria
che non vale un soldo?), prodigioso che voi siate al cor-
rente di tutti i soggetti ordinati nelle scaffalature che vi cir-
condano... ma come sarebbe bello, anche, sentirvi racconta-
re i vostri romanzi preferiti ai visitatori smarriti nella foresta
delle letture possibili... come sarebbe bello che faceste loro
omaggio dei vostri migliori ricordi di lettura ! Narratrici, sia-
te - maghe - e i libri voleranno direttamente dagli scaffali al-
le mani del lettore.
cosfacile raccontare un romanzo. Tre parole bastano,
a volte.
Ricordi d'infanzia e d'estate. L'ora della siesta. Il fratel-
lo maggiore disteso bocconi sul letto, con il mento nei palmi
delle mani, immerso in un enorme tascabile. Il fratello mi-
nore, mosca cocchiera: "Cosa leggi?"
IL MAGGIORE: "La grande pioggia.
IL MINORE: E bello?
IL MAGGIORE: "Un casino ! "
IL MINORE: "Di cosa parla? '
IL MAGGIORE: "E la storia di un tale che all inizio beve
molto whisky, alla fine molta acqua ! "
Non ho avuto bisogno di altro. E ho passato la fine di
quell'estate bagnato fino alle ossa dalla Grande pioggia di
Louis Bromfield, rubato a mio fratello che non l'ha mai fini-
to.




53.

Tutto questo molto bello, Suskind, Stevenson, M嫫-
quez, Dostoevskij, Fante, Chester Himes, Lagerlof, Calvino,
tutti questi romanzi letti alla rinfusa e senza contropartita,
tutte queste storie raccontate, questo anarchico festino della
lettura per il piacere della lettura... ma il programma, dio
santo, il Programma! Le settimane volano e non abbiamo
ancora iniziato il programma. Terrore dell'anno che passa,
spettro del programma non finito...
Niente panico, il programma sartrattato, come si dice
di quegli alberi che danno frutti calibrati.
Contrariamente a quel che immaginava Banana-e-stiva-
letti, il professore non passertutto l'anno scolastico a leg-
gere. Ahim Ahim Perchha dovuto risvegliarsi cospre-
sto il piacere della lettura muta e solitaria? Appena lui inizia
un romanzo ad alta voce loro si precipitano in libreria per
farsi "il seguito" prima della lezione successiva. Appena lui
racconta due o tre storie "... la fine no, prof, non ci racconti
la fine!"... vanno subito a beccarsi i libri da cui le ha tratte.
(Unanimitche pernon deve trarlo in inganno. No,
no, il professore non ha trasformato con un colpo di bac-
chetta magica il 100% dei refrattari al libro in lettori. In
questo inizio dell'anno tutti leggono, certo, la paura vinta,
leggono sulla scia dell'entusiasmo, dell'emulazione. Forse
persino, che lui lo voglia o no, leggono un po' per far piace-
re al prof, il quale, peraltro, non deve addormentarsi sugli
allori... nulla si raffredda piin fretta dell'entusiasmo, lo sa
per esperienza! Ma per il momento leggono tutti, sotto l'in-
fluenza di quel cocktail ogni volta particolare che fa sche
una classe fiduciosa si comporti come un individuo pur con-
servando la sua trentina di individualitben distinte. Ci non significa che una volta diventato grande, ognuno dei
suoi studenti "amerleggere". Altri piaceri prenderanno
forse il sopravvento sul piacere del testo. Resta il fatto che in
queste prime settimane loro leggono, e rapidamente, forse
perchl'atto di leggere - il famoso "atto di leggere"! - non
terrorizza pinessuno.
Ma che cos'hanno, poi, questi romanzi, per essere letti
cosrapidamente? Facili da leggere? Cosa vuol dire "facile
da leggere"? Facile da leggere La saga di Gosta Berling? Fa-
cile da leggere Delitto e castigo? Pifacili de Lo straniero, de
Il rosso e il nero? No, quel che hanno anzitutto il fatto di
non essere in programma, qualitinestimabile per i compa-
gni della Vedova siciliana, pronti a qualificare come una
"palla" qualsiasi opera scelta dall'autoritscolastica per l'ac-
crescimento ragionato della loro cultura. Povero "program-
ma", non certo colpa sua. (Rabelais, Montaigne, La Bruy
re, Montesquieu, Verlaine, Flaubert, Camus, "una palla"?
No, ma vogliamo scherzare??) Solo la paura purendere
"una palla" i testi del programma. Paura di non capire, pau-
ra di rispondere a sproposito, paura dell'altro che si erge so-
pra il testo, paura del francese considerato come materia
opaca: quanto basta per confondere le righe, per annegare il
senso nel letto della frase.
Calze inglesi e Chiodo sono i primi a stupirsi quando il
professore annuncia che Il giovane Holden di Salinger, che
loro hanno appena finito di gustarsi, sta facendo soffrire le
pene dell'inferno ai loro coetanei americani per la semplice
ragione che incluso nel loro programma. Sicchpossibi-
le che vi sia un Chiodo texano intento a divorarsi di nasco-
sto Madame Bovary mentre il professore si sfianca nello sfor-
zo di propinargli Salinger!
Qui (piccola parentesi) intervento della Vedova siciliana:
"Un texano che legge, prof, non esiste".
"Ah s E come lo sai?"
"Da Dallas. Ha mai visto un personaggio di Dallas con
un libro in mano?"
(Chiudiamo la parentesi.)
In poche parole, spaziando in tutte le letture, viaggian-
do senza passaporto nelle opere straniere (soprattutto stra-
niere. questi inglesi, questi italiani, questi russi, questi ame-
ricani sembrano fatti apposta per tenersi alla larga dal "pro-
gramma") gli studenti, riconciliati con quello che si legge, si
avvicinano in cerchi concentrici alle opere che si devono leg-
gere e ben presto vi si immergono, come se niente fosse, per
la semplice ragione che La principessa di Cl鋦es diventato
un romanzo "come un altro", bello come un altro... (Pibel-
la di tutte, anzi, questa storia di un amore difeso dall'amore,
coscuriosamente vicina alla loro adolescenza moderna, che
con troppa fretta consideriamo asservita alle leggi del con-
sumismo).
Cara Madame de Lafayette,
nel caso la notizia le interessasse, so che in alcune classi ri-
tenute poco "letterarie" e alquanto "indisciplinate" la sua
Principessa di Cl鋦es ha raggiunto i vertici della hit-parade
delle migliori letture dell'anno.
Il programma sardunque svolto, le tecniche della rela-
zione scritta, dell'analisi testuale (deliziose griglie, oh, quan-
to metodologiche), del commento organico, del riassunto e
della discussione verranno debitamente trasmesse, e l'intero
meccanismo sarmesso perfettamente a punto affinchil
giorno dell'esame risulti ben chiaro alle istanze competenti
che non ci siamo limitati a leggere per distrarci, ma che ab-
biamo anche capito, abbiamo compiuto il famoso sforzo di
capire.
Il problema di sapere che cosa abbiamo "capito" (pro-
blema finale) non privo di interesse. Capito il testo? S s certo... ma capito soprattutto che una volta che ci siamo ri-
conciliati con la lettura, il testo ha perso, per noi, il suo sta-
tuto di enigma paralizzante e il nostro sforzo di afferrarne il
senso si trasforma in un piacere. Cos una volta vinta la pau-
ra di non capire, le nozioni di sforzo e di piacere operano po-
tentemente l'una in favore dell'altra: il mio sforzo garantisce
l'accrescimento del mio piacere, e il piacere di capire mi im-
merge fino all'ebbrezza nell'ardente solitudine dello sforzo.
E abbiamo capito anche un'altra cosa. Con una punta di
divertimento abbiamo capito "come funziona". Abbiamo
capito l'arte e il modo di "parlare intorno", di farsi valere sul
mercato degli esami e dei concorsi. Inutile nasconderlo, uno degli scopi dell'operazione. In materia di esami e di as-
sunzioni, "capire" significa capire quel che ci si aspetta da
noi. Un testo "capito bene" un testo intelligentemente ne-
goziato. Sono i dividendi di questa contrattazione che il gio-
vane candidato spia sul viso dell'esaminatore quando gli lan-
cia un'occhiata furtiva dopo avergli servito un'interpretazio-
ne ingegnosa - ma non troppo audace - di un alessandrino
dalla fama oscura. ("Ha l'aria contenta, continuiamo su que-
sta strada, che porta dritta alla lode.")
Da questo punto di vista, per un buon percorso di studi
letterari la strategia conta almeno quanto la capacitdi com-
prendere i testi. E un "cattivo studente" pispesso di
quanto si creda, un ragazzino tragicamente privo di doti tat-
tiche. Solo che, preso dal terrore di non darci quel che ci
aspettiamo da lui, comincia subito a confondere studi scola-
stici e cultura. Abbandonato dalla scuola, si crede ben pre-
sto un paria della lettura. Immagina che "leggere" sia di per
sun atto elitario, e si priva di libri per tutta la vita non aven-
do saputo parlarne quando glielo chiedevano.
Cisignifica che c'ancora qualcosa da "capire".




54.

Resta da "capire" che i libri non sono stati scritti perch mio figlio, mia figlia, i giovani, li commentino, ma perch se
ne hanno voglia, li leggano.
Il nostro sapere, i nostri studi scolastici, la nostra carrie-
ra, la nostra vita sociale sono una cosa. La nostra intimitdi
lettore, la nostra cultura un'altra. E buono e giusto fabbrica-
re diplomati, laureati, docenti e tecnocrati, la societne ha
bisogno, su questo non si discute... ma quanto piessenzia-
le aprire a tutti le pagine di tutti i libri.
Lungo tutta la loro carriera scolastica, dalle elementari
fino alle medie superiori, gli studenti si vedono imporre
l'obbligo della chiosa e del commento. Le modalitdi que-
st'obbligo suscitano in loro un tale terrore da privare la mag-
gior parte di essi della compagnia dei libri. Questa fine seco-
lo non migliora le cose: il commento regna sovrano, al pun-
to, il piU delle volte, di sottrarci alla vista l'oggetto commen-
tato. Questo brusio accecante ha un nome travisato: comu-
nicazione...
Parlare di un'opera a degli adolescenti, e pretendere da
loro che ne parlino purivelarsi molto utile, ma non un fi-
ne in s Il fine l'opera. L'opera nelle loro mani. E il primo
dei loro diritti, in materia di lettura, il diritto di tacere.





55.

All'inizio dell'anno scolastico, mi capita di chiedere ai
miei studenti di descrivermi una biblioteca. Non una biblio-
teca pubblica. No, il mobile, quello dove si mettono i libri.
E loro mi descrivono un muro. Una scogliera di sapere, ri-
gorosamente ordinata, assolutamente impenetrabile, una
parete contro la quale non si pufare altro che rimbalzare.
"E un lettore? Descrivetemi un lettore."
"Un vero lettore?"
"Se volete, anche se non so cosa intendete per vero let-
tore."
I pi"rispettosi" fra loro mi descrivono il Padreterno in
persona, una specie di eremita antidiluviano, seduto da sem-
pre su una montagna di libri dei quali avrebbe succhiato il
senso fino a capire il perchdi tutte le cose. Altri mi abboz-
zano il ritratto di un individuo affetto da autismo profondo,
talmente assorbito nei libri da andare a sbattere contro tutte
le porte della vita. Altri ancora mi fanno un ritratto in nega-
tivo, applicandosi a enumerare tutto ciche un lettore non
non sportivo, non vivace, non simpatico, non gli pia-
ce nil mangiare, nil vestirsi, nle auto, nla tiv nla
musica, ngli amici... altri, infine, pi"strateghi" erigono
davanti al professore la statua accademica del lettore consa-
pevole dei mezzi messi a disposizione dai libri per accresce-
re le sue conoscenze e affinare le sue facoltintellettuali. Al-
cuni mescolano questi diversi registri, ma non ce n'uno,
uno solo che descriva se stesso, o un membro della sua fa-
miglia o uno degli innumerevoli lettori che incrocia tutti i
giorni sulla metropolitana.
E quando chiedo loro di descrivermi "un libro", un
UFO a posarsi in classe: oggetto misteriosissimo, pratica-
mente indescrivibile vista la preoccupante semplicitdelle
sue forme e la proliferante molteplicitdelle sue funzioni.
Un "corpo estraneo", dotato di tutti i poteri e carico di tutti
i pericoli, oggetto sacro, infinitamente vezzeggiato e rispet-
tato, riposto con gesti da officiante sugli scaffali di una bi-
blioteca impeccabile, per essere lvenerato da una setta di
adoratori dallo sguardo enigmatico.
Il sacro Graal.
Bene.
Vediamo di desacralizzare un po' questa visione del li-
bro che gli abbiamo ficcato in testa con una descrizione pi "realistica" del modo in cui, noi che amiamo leggere, trattia-
mo i nostri libri.




56.

Pochi oggetti risvegliano quanto il libro il sentimento di
assoluta propriet Caduti nelle nostre mani, i libri diventano
i nostri schiavi, - schiavi, s perchdi materia vivente, ma che
nessuno si sognerebbe di affrancare, perchfatti di fogli
morti. Come tali subiscono i peggiori maltrattamenti, frutto
dei piforti amori o di tremendi furori. Eccoti le orecchie al-
le pagine (oh! che ferita, ogni volta, la vista della pagina con
l'angolo piegato! "Ma per sapere dove sono arriva-
tooo! "), eccoti la tazza del caffsulla copertina, quelle au-
reole, quei rilievi di pane e burro, quelle macchie di olio so-
lare... eccoti un po' dovunque l'impronta del pollice che
riempie la pipa mentre leggo... eccoti la Pl嶯ade che asciuga
miserrima sul termosifone dopo essere caduta nella vasca do-
ve facevi il bagno ("il tuo bagno, cara, ma il mio Swift!")... e
quei margini scarabocchiati di commenti fortunatamente il-
leggibili, quei paragrafi aureolati da pennarellifluorescenti...
quel libro definitivamente invalido dopo essere rimasto
un'intera settimana aperto sul taglio, quell'altro sedicente-
mente protetto da un'orrenda copertina di plastica traspa-
rente dai riflessi color petrolio... quel letto coperto da una
banchisa di libri sparpagliati come uccelli morti... quella pila
di tascabili lasciati alla muffa del solaio... quei poveri libri per
l'infanzia che nessuno legge pi esiliati in una casa di cam-
pagna dove nessuno piva... e tutti gli altri, sul lungosenna,
svenduti ai mercanti di schiavi...
Di tutto, ai libri facciamo subire di tutto. Ma solo il mo-
do in cui gli altri li maltrattano ci ferisce...
Non molto tempo fa ho visto con i miei occhi una lettri-
ce gettare dal finestrino di un'auto in corsa un grosso ro-
manzo: l'aveva pagato troppo caro, fidandosi di critici com-
petenti, e poi ne era rimasta delusa. Il nonno del romanziere
Tonino Benacquista, dal canto suo, arrivato al punto difu-
marsi Platone! Prigioniero in Albania durante la Grande
Guerra, con un avanzo di tabacco in tasca, una copia del
Cratilo (va a sapere cosa ci facesse l), un fiammifero... e
zac! un nuovo modo di dialogare con Socrate... attraverso
segnali di fumo.
Altro effetto della stessa guerra, ancora pitragico: Al-
berto Moravia ed Elsa Morante, costretti a rifugiarsi per di-
versi mesi nella capanna di un pastore, erano riusciti a salva-
re solo due libri: la Bibbia e I fratelli Karamazov Da ci un
atroce dilemma: quale di questi due monumenti utilizzare
come carta igienica? Per quanto crudele, una scelta una
scelta. Con la morte nel cuore, scelsero.
No, per quanto sacro sia il discorso intessuto intorno ai
libri, non ancora nato chi impedira Pepe Carvalho, il per-
sonaggio prediletto dello spagnolo Manuel V嫳quez Mon-
talb嫕, di accendere ogni sera un bel fuoco con le pagine di
lettura preferite.
il costo dell'amore, il prezzo dell'intimit
Appena un libro finisce nelle nostre mani, nostro, pro-
prio come dicono i bambini: "il mio libro"... parte inte-
grante di me stesso. E forse questa la ragione per cui cosdif-
ficilmente restituiamo i libri che ci vengono prestati. Non
esattamente un furto... (no, no, non siamo dei ladri; no...),
diciamo, un passaggio di propriet o meglio, un trasferi-
mento di sostanza: quel che era dell'altro sotto i suoi occhi
diventa mio mentre il mio occhio lo mangia. E se quel che
ho letto mi piaciuto, parola mia, ho qualche difficolta
"restituirlo " .
Mi riferisco solamente al modo in cui noi, i privati, trat-
tiamo i libri. Ma cosa dire dei professionisti? Eccoti le pagi-
ne rifilate con la taglierina a un pelo dalle parole perchla
collezione tascabile sia piredditizia (testo senza margini
con le lettere rattrappite dalla mancanza di spazio), eccoti il
romanzetto smilzo gonfiato come un pallone per far credere
al lettore che avrper quel che spende (testo annegato e fra-
si stordite da tanto biancore), eccoti le "sovraccoperte" pu-
gno-in-un-occhio i cui colori e titoli enormi strillano a un
chilometro "mi hai letto? mi hai letto?". Eccoti le copie
"club" in carta spugnosa e copertina cartonata agghindata
con illustrazioni demenziali, eccoti le cosiddette edizioni " di
lusso", tali solo perchuna copertina in finta pelle stata
miniata con un'orgia di dorature...
Prodotto di una societiperconsumistica, il libro coc-
colato quasi quanto un pollo gonfiato agli ormoni e molto
meno di un missile nucleare. Il pollo agli ormoni dalla cre-
scita istantanea non un paragone casuale se lo applichiamo
ai milioni di libri "di circostanza" che vengono scritti in una
settimana, con il pretesto che, quella settimana, la regina ha
tirato le cuoia o il presidente ha perso il posto.
Da questo punto di vista, quindi, il libro non npin meno che un oggetto di consumo, effimero come qualsiasi
altro. Subito mandato al macero se "non funziona", esso
muore il pidelle volte senza essere stato letto.
Quanto al modo in cui l'universittratta i libri, non sa-
rebbe male domandare agli autori che cosa ne pensano. Ec-
co quel che scrisse al riguardo Flannery O'Connor, il giorno
in cui venne a sapere che gli studenti erano interrogati sulle
sue opere:
"Se i professori hanno oggi come principio quello di af-
frontare un'opera come se si trattasse di un problema di ricer-
ca per il quale ogni risposta buona a condizione che non sia
evidente, temo che gli studenti non scopriranno mai il piacere
di leggere un romanzo..."



57.

Questo per quanto riguarda il "libro".
Passiamo al lettore.
Perch ancor piistruttivo del nostro modo di trattare
i libri, c'il nostro modo di leggerli.
In fatto di lettura, noi "lettori" ci accordiamo tutti i di-
ritti, a cominciare da quelli negati ai giovani che affermiamo
di voler iniziare alla lettura.
1) Il diritto di non leggere.
2) Il diritto di saltare le pagine.
3) Il diritto di non finire un libro.
4) Il diritto di rileggere.
5) Il diritto di leggere qualsiasi cosa.
6) Il diritto al bovarismo.
7) Il diritto di leggere ovunque.
8) Il diritto di spizzicare.
9) Il diritto di leggere a voce alta.
10) Il diritto di tacere.
Mi fermerarbitrariamente al numero 10, in primo luo-
go perchfa cifra tonda e poi perchil numero sacro dei
famosi Comandamenti ed bello, per una volta, vederlo ser-
vire a una lista di autorizzazioni.
Poichse vogliamo che mio figlio, mia figlia, i giovani
leggano tempo di concedere loro i diritti che accordiamo a
noi stessi.







IV. Il cosa-leggerla gente:
imprescrittibili del lettore.




1.

Il diritto di non leggere.

Come ogni elenco di "diritti" che si rispetti, quello dei
diritti alla lettura dovrebbe aprirsi con il diritto di non ser-
virsene - nella fattispecie, il diritto di non leggere - in man-
canza del quale non saremmo di fronte a una lista di diritti
ma a un perverso tranello.
Per cominciare, la maggior parte dei lettori si concede
quotidianamente il diritto di non leggere. Piaccia o meno al-
la nostra reputazione, ma tra un buon libro e un brutto tele-
film, il secondo ha, pispesso di quanto vorremmo confes-
sare, la meglio sul primo. Inoltre, non leggiamo sempre. I
nostri periodi di lettura si alternano sovente a lunghi digiuni
durante i quali la sola vista di un libro risveglia in noi i mia-
smi dell'indigestione.
Ma la cosa piimportante un'altra.
Siamo circondati da un gran numero di persone assolu-
tamente rispettabili, a volte laureate, talora "eminenti" - al-
cune proprietarie di bellissime biblioteche - che non leggo-
no, o leggono talmente poco che mai ci verrebbe in mente di
regalare loro un libro. Non leggono. O non ne provano il bi-
sogno, o hanno troppo da fare (ma il risultato lo stesso:
queste cose da fare li appagano o li obnubilano), oppure col-
tivano un'altra passione e la vivono in modo assolutamente
esclusivo. In poche parole, queste persone non amano legge-
re. Questo non vuol dire che non siano frequentabili, o ad-
dirittura piacevolissime da frequentare. (Almeno non ci
chiedono a ogni pisospinto il nostro parere sull'ultimo li-
bro che abbiamo letto, ci risparmiano le loro riserve ironi-
che sul nostro romanziere preferito e non ci considerano de-
gli idioti se non abbiamo divorato l'ultimo Tale, appena
pubblicato da Tizio e di cui il critico Caio ha detto un gran
bene.) Sono "umani" almeno quanto noi, sicuramente sensi-
bili alle disgrazie del mondo, attenti ai " diritti dell'Uomo" e
impegnati a rispettarli nella loro sfera di influenza persona-
le, il che gitanto... Ma, ecco, non leggono. Liberissimi di
non farlo.
L'idea che la lettura "umanizzi l'uomo" giusta in linea
generale, ma ammette alcune tristi eccezioni. Dopo aver let-
to Cechov si probabilmente un po' pi"umani", inten-
dendo con questo un po' pisolidali con la specie (un po'
meno "belve") di quanto non lo si fosse prima.
Ma guardiamoci dall'associare a questo teorema il co-
rollario secondo il quale ogni individuo che non legge do-
vrebbe essere considerato a priori come un potenziale bruto
o un cretino assoluto. Poich cosfacendo, faremmo passa-
re la lettura per un obbligo morale e questo sarebbe solo
l'inizio di una spirale che porterebbe poi a giudicare, per
esempio, la "moralit dei libri, in funzione-di criteri che
non avrebbero alcun rispetto per l'altra libertinalienabile:
la libertdi creare. A quel punto il "bruto" saremmo noi,
per quanto "lettori". E Dio sa se il mondo non pieno di
bruti di questa specie.
In altri termini la libertdi scrivere non puammettere il
dovere di leggere.
Il dovere stesso di educare consiste in fondo, insegnan-
do a leggere ai bambini, iniziandoli alla Letteratura, nel for-
nire loro gli strumenti per giudicare liberamente se provano
o meno il "bisogno di libri". Perch se possiamo tranquilla-
mente ammettere che un singolo individuo rifiuti la lettura,
intollerabile che egli sia - o si ritenga - rifiutato da essa.
E una tristezza immensa, una solitudine nella solitudine
essere escluso dai libri. Anche da quelli di cui si pufare a
meno.




2.

Il diritto di saltare le pagine.

Ho letto per la prima volta Guerra e pace a dodici o tre-
dici anni (pitredici che dodici, ero in seconda media e non
particolarmente avanti negli studi). Dall'inizio delle vacanze
estive vedevo mio fratello (lo stesso della Grande pioggia)
immerso in quell'enorme romanzo, con lo sguardo sempre
pidistante, come l'esploratore che da un pezzo ha smesso
di pensare alla terra natale.
"E proprio cosbello?"
"Stupendo! "
"Di cosa parla?"
"E la storia di una ragazza che ama un tizio e poi sposa
un terzo."
Mio fratello ha sempre avuto il dono dei riassunti. Se gli
editori lo assumessero per scrivere le loro "quarte di coper-
tina" (quelle patetiche esortazioni alla lettura piazzate dietro
ai libri), ci risparmierebbero un sacco di chiacchiere inutili.
"Me lo presti?".
"Te lo regalo."
Essendo io in collegio, quello era un regalo inestimabi-
le. Due grossi volumi che mi avrebbero tenuto caldo per tut-
to il trimestre. Di cinque anni maggiore di me, mio fratello
non era uno stupido (e non lo neanche ora) e sapeva be-
nissimo che Guerra e pace molto pidi una semplice storia
d'amore, per quanto ben costruita. Ma lui conosceva la mia
predilezione per gli incendi della passione e sapeva stuzzica-
re la mia curiositcon la formulazione enigmatica dei suoi
riassunti. (Un "pedagogo" per il mio cuore.) Credo proprio
che fu il mistero aritmetico della sua frase a farmi mettere
temporaneamente da parte la mia Biblioteca dei ragazzi per
gettarmi a capofitto in quel romanzo. "Una ragazza che ama
un tizio e sposa un terzo": non so chi avrebbe saputo resi-
stere. E in effetti, non sono stato deluso, anche se mio fra-
tello aveva sbagliato i conti. Eravamo in quattro ad amare
Natasa: il Principe Andrej, quel mascalzone di Anatole (ma
si puchiamarlo amore?), Pierre Bezuchov e io. Non aven-
do molte chance, fui costretto a "identificarmi" con gli altri.
(Ma di certo non con quella carogna di Anatole!)
Lettura tanto pipiacevole dal momento che si svolse di
notte, alla luce di una lampada tascabile, e sotto le coperte
tirate su come una tenda in mezzo a un dormitorio di cin-
quanta sognatori, russatori e sussultatori vari. L'angolo del
sorvegliante, da cui scaturiva la luce del lume da notte, era
vicinissimo, ma insomma, in amore si gioca sempre il tutto
per tutto. Sento ancora lo spessore e il peso di quei volumi
fra le mie mani: era l'edizione tascabile, con in copertina un
principesco Mel Ferrer dalle pesanti palpebre di rapace in-
namorato che contemplava il delizioso musettto di Audrey
Hepburn. Ho saltato tre quarti del libro per interessarmi
esclusivamente al cuore di Natasa. Ho provato compassione
per Anatole, nonostante tutto, quando gli hanno amputato
la gamba, ho maledetto quel cretino del principe Andrej per
essere rimasto in piedi davanti a quella palla di cannone, al-
la battaglia di Borodino ("Ma buttati a terra, santo dio, non
vedi che sta per esplodere... Non puoi farle questo, lei ti
ama!")... Mi sono interessato all'amore e alle battaglie e ho
saltato le questioni di politica e di strategia. Siccome le teo-
rie di Clausewitz passavano senza sfiorarmi, ho lasciato che
passassero senza sfiorarmi. Ho seguito da vicino le delusioni
coniugali di Pierre Bezuchov e della moglie H幨鋝e ("niente
simpatica", H幨鋝e, la trovavo proprio "niente simpatica") e
ho lasciato Tolstoj dissertare da solo dei problemi agrari
dell'eterna Russia.
Ho saltato delle pagine, insomma.
E tutti i ragazzini dovrebbero fare altrettanto.
In questo modo potrebbero buttarsi prestissimo su tut-
te le meraviglie ritenute inaccessibili per la loro et
Se hanno voglia di leggere Moby Dick ma si scoraggiano
di fronte alle digressioni di Melville su materiali e tecniche
della caccia alla balena, che non rinuncino alla lettura, ma
saltino, saltino quelle pagine, per inseguire Achab senza cu-
rarsi del resto, come lui insegue la sua bianca ragione di Vi-
vere e di morire! Se vogliono fare la conoscenza di Ivan, di
Dmitrij, di Alesa Karamazov e del loro incredibile padre,
che aprano e che leggano I fratelli Karamazov, per loro, an-
che se devono saltare il testamento dello st跫ets Zosima o la
leggenda del Grande Inquisitore.
Un grave pericolo li minaccia se non decidono da soli
quel che alla loro portata saltando le pagine che vogliono:
altri lo faranno al posto loro. Si armeranno delle grosse for-
bici dell'imbecillite taglieranno tutto ciche giudicheran-
no troppo "difficile" per loro. Con risultati spaventosi:
Moby Dick o I Miserabili ridotti a riassunti di centocinquan-
ta pagine, mutilati, pasticciati, rattrappiti, riscritti per loro in
una lingua rachitica che si suppone sia la loro! Un po' come
se a uno saltasse in testa di ridipingere Guerntca con il pre-
testo che Picasso vi avrebbe messo un po' troppi segni per
un occhio di dodici o tredici anni.
E poi, anche una volta "grandi", e anche se ci ripugna
ammetterlo, ci capita ancora di "saltare delle pagine", per
ragioni che riguardano soltanto noi e il libro che stiamo leg-
gendo. Ci puanche succedere di vietarcelo categoricamen-
te, e- leggiamo tutto fino all'ultima parola, osservando che
qui l'autore tira un po' per le lunghe, lsi concede un vir-
tuosismo abbastanza gratuito, in quel punto cade nella ripe-
tizione, e in quell'altro nell'idiozia. Ma qualsiasi cosa dicia-
mo, la caparbia noia che imponiamo a noi stessi non rientra
nell'ambito del dovere, una categoria del nostro piacere di
lettori.




3.

Il diritto di non finire un libro.

Ci sono mille ragioni per abbandonare un romanzo pri-
ma della fine: la sensazione del giletto, una storia che non
ci prende, il nostro totale dissenso rispetto alle tesi dell'au-
tore, uno stile che ci fa venire la pelle d'oca o viceversa
un'assenza di stile non compensata da alcuna ragione per
proseguire oltre. Inutile enumerare le 995 altre ragioni, fra le
quali si debbono tuttavia annoverare la carie dentale, le an-
gherie del capufficio o un terremoto del cuore che ci para-
lizza la mente.
Il libro ci cade dalle mani?
Lasciamo che cada.
In fondo, non tutti possono essere come Montesquieu e
concedersi a comando la consolazione di un'ora di lettura.
Tuttavia, fra le ragioni che abbiamo di abbandonare una
lettura, ce n'una su cui val la pena di soffermarsi: la vaga
sensazione di una sconfitta. Ho aperto, ho letto, e ben presto
mi sono sentito sopraffatto da qualcosa che percepivo come
piforte di me. Ho chiamato a raccolta le mie cellule grigie,
mi sono azzuffato con il testo, ma niente da fare. Pur aven-
do la sensazione che quel che scritto lmerita di essere let-
to, non ci capisco un tubo - o quasi -, vi colgo una "estra-
neit che non mi offre alcuna presa.
Lascio perdere.
O meglio, lascio da parte. Ripongo il libro nella biblio-
teca con il vago progetto, un giorno o l'altro, di riprenderlo
in mano. Pietroburgo di Andrej Belyj, Joyce e il suo Ulisse,
Sotto il vulcano di Malcolm Lowry mi hanno aspettato qual-
che anno. Altri mi aspettano ancora, e alcuni di questi non li
raggiungerprobabilmente mai. Non un dramma, cos
Il concetto di "maturit una cosa strana in materia di let-
ture. Fino a una certa etnon abbiamo l'etper certe lettu-
re, d'accordo. Ma, contrariamente alle buone bottiglie, i
buoni libri non invecchiano. Ci aspettano sui nostri scaffali
e siamo noi a invecchiare. Quando ci riteniamo abbastanza
"invecchiati" per leggerli, li affrontiamo un'altra volta. Allo-
ra possono succedere due cose: o l'incontro ha luogo o un
nuovo fiasco. Forse tenteremo ancora, forse no. Ma non certo colpa di Thomas Mann se finora non sono riuscito a
raggiungere la vetta della sua Montagna incantata.
Il grande romanzo che ci resiste non necessariamente
pidifficile di un altro... Fra lui - per quanto grande sia - e
noi - per quanto in grado di "capirlo" ci sentiamo - c'una
reazione chimica che non opera. Un giorno simpatizziamo
con l'opera di Borges che fino a quel momento ci teneva a
distanza, ma rimaniamo per tutta la vita estranei a quella di
Musil...
Allora possiamo scegliere: o pensare che sia colpa no-
stra, che ci manchi una rotella, che una parte di noi sia irri-
mediabilmente stupida, oppure andare a curiosare nella no-
zione alquanto controversa di gusto, cercando poi di stende-
re la mappa dei nostri.
E opportuno raccomandare ai nostri figli la seconda so-
luzione.
Tanto piche essa puoffrire un piacere raro: quello di
rileggere un libro capendo finalmente perchnon ci piace. E
un raro piacere: quello di sentire senza scomporci il pedan-
te di turno che ci urla nell'orecchio:
"Ma come punon piacerti Stendhal?"
Pu




4.

Il diritto di rileggere.

Rileggere quel che una prima volta ci aveva respinti, ri-
leggere senza saltare nessun passaggio, rileggere da un'altra
angolazione, rileggere per verificare, s.. ci accordiamo tutti
questi diritti.
Ma rileggiamo soprattutto in modo gratuito, per il pia-
cere della ripetizione, la gioia di un nuovo incontro, la mes-
sa alla prova dell intimit "Ancora, ancora", diceva il bambino che eravamo un
tempo. Le nostre riletture di adulti nascono dallo stesso de-
siderio: incantarci di una permanenza e trovarla ogni volta
cosricca di nuovi incanti.




5.

Il diritto di leggere qualsiasi cosa.

A proposito di "gusto", i miei studenti sono molto in
difficoltquando si trovano davanti all'iperclassico tema dal
titolo: "possibile parlare di buoni e cattivi romanzi?" Sic-
come, dietro la loro apparenza non-faccio-concessioni, sono
dei bravi ragazzi, invece di considerare l'aspetto letterario
del problema, lo affrontano da un'ottica morale e trattano la
questione dal punto di vista delle libert Cos l'insieme dei
loro temi potrebbe riassumersi in questa formula: "Ma no,
ma no, ognuno ha il diritto di scrivere quello che vuole, e
tutti i gusti sono nella natura, dai..." S s sper carit posi-
zione assolutamente onorevole...
Cinon toglie che vi siano buoni e cattivi romanzi. Pos-
siamo fare dei nomi, possiamo portare delle prove.
Per essere brevi diciamo a grandi linee che esiste quella
che chiamerei una "letteratura industriale" che si limita a ri-
produrre all'infinito gli stessi tipi di racconti, che fabbrica
stereotipi a catena, fa commercio di buoni sentimenti e sen-
sazioni forti, prende al volo tutti i pretesti offerti dall'attua-
litper sfornare una narrativa di circostanza, effettua "studi
di mercato" per piazzare secondo la "congiuntura" un de-
terminato tipo di "prodotto" che si ritiene debba infiamma-
re una determinata categoria di lettori.
Ecco, a colpo sicuro, dei cattivi romanzi.
Perch Perchnon sono il risultato della creazione ma
della riproduzione di "formule" prestabilite, perchsono
un'opera di semplificazione (ciodi menzogna) mentre il ro-
manzo arte di verit(ciodi complessit, perchfacendo
leva sui nostri automatismi addormentano la nostra curio-
sit e infine, soprattutto, per il fatto che l'autore non c' n la realtche pretende di descriverci.
Insomma, una letteratura "usa-e-getta" fatta con lo
stampo e che in quello stampo vorrebbe imprigionare anche
noi.
Non si creda che queste idiozie siano un fenomeno re-
cente, legato all'industrializzazione del libro. Niente affatto.
Lo sfruttamento del sensazionalismo, dell'operetta da due
lire, del brivido facile in una frase senza autore cosa di vec-
chia data. Per citare solo due esempi, sia il romanzo cavalle-
resco, sia, molto tempo dopo, il romanticismo, ci sono ca-
scati. Ma il danno servito perchla reazione a questa lette-
ratura deviata ci ha dato due dei pibei romanzi che ci sia-
no al mondo: Don Chisciotte e Madame Bovary.
Dunque ci sono "buoni" e "cattivi" romanzi.
Molto spesso sono i secondi che incontriamo per primi
sulla nostra strada.
E, parola mia, quando tocca me, ricordo di averli tro-
vati "belli un casino". Ma sono stato fortunato: nessuno mi
ha preso in giro, nessuno ha alzato gli occhi al cielo, nessuno
mi ha dato dello scemo. Qualcuno ha solo lasciato sul mio
passaggio qualche "buon" romanzo guardandosi bene dal
proibirmi gli altri.
Quella era saggezza.
Per un certo periodo leggiamo, insieme, buoni e cattivi
romanzi. Coscome non rinunciamo dall'oggi al domani al-
le nostre letture infantili. Tutto si confonde. Usciamo da
Guerra e pace per rituffarci nella Biblioteca dei ragazzi. Pas-
siamo dalla collezione Harmony (storie di bei dottori e lode-
voli infermiere) a Boris Pastern嫜 e al suo Dottor Zivago - un
bel dottore, anche lui, e Lara, un'infermiera oh, quanto lo-
devole!
E poi, un bel giorno, Pastern嫜 ad avere la meglio. In-
sensibilmente, i nostri desideri ci spingono alla frequenta-
zione dei "buoni" romanzi. Cerchiamo degli scrittori, cer-
chiamo uno stile, basta con i compagni di giochi, vogliamo
compagni di essere. L'aneddoto non ci basta pi arrivato il
momento in cui al romanzo chiediamo qualcosa di pidel-
la soddisfazione immediata ed esclusiva delle nostre sensa-
zioni,
Una delle pigrandi soddisfazioni del "pedagogo" quella - premesso che tutte le letture sono concesse - di ve-
dere uno studente sbattere la porta della fabbrica dei best-
seller e salire a prendere una boccata d'aria buona dall'ami-
co Balzac.




6.

Il diritto al bovarismo.

(malattia testualmente contagiosa).
questo, a grandi linee, il "bovarismo", la soddisfazio-
ne immediata ed esclusiva delle nostre sensazioni: l'immagi-
nazione che si dilata, i nervi che vibrano, il cuore che si ac-
cende, l'adrenalina che sprizza, l'identificazione che diventa
totale e il cervello che prende (momentaneamente) le luc-
ciole del quotidiano per le lanterne dell'universo romanze-
sco. ..
il nostro primo stato di lettori.
Delizioso.
Ma piuttosto impressionante per l'osservatore adulto
che il pidelle volte si affretta a sbandierare un "buon tito-
lo" sotto il naso del giovane bovarista, esclamando:
"Ma insomma, Maupassant ben 'meglio' no?"
Calma... non bisogna a propria volta cedere al bovari-
smo, bisogna dirsi che in fondo Emma era solo un perso-
naggio di romanzo, cioil prodotto di un determinismo do-
ve le cause suscitate da Gustave producevano solo gli effetti
- per quanto veri- desiderati da Flaubert.
In altri termini, il fatto che mia figlia faccia collezione di
libri Harmony non significa che finircol trangugiare me-
stolate di arsenico.
A questo stadio delle sue letture, forzarla vuol dire per-
dere il contatto con lei rinnegando la nostra stessa adole-
scenza. E privarla dell'incomparabile piacere di scoprire lei
stessa, un domani, gli stereotipi che oggi sembrano avvin-
cerla
cosa alquanto saggia riconciliarsi con la propria ado-
lescenza, mentre odiare, disprezzare, rinnegare o semplice-
mente dimenticare l'adolescente che fummo in sun at-
teggiamento adolescente, una concezione dell'adolescenza
come malattia mortale.
Da cila necessitdi ricordare le nostre prime emozio-
ni di lettori, e di alzare un piccolo altare alle nostre letture di
un tempo, comprese le pi"stupide", che svolgono il ruolo
inestimabile di commuoverci di ciche fummo ridendo di
quel che ci commuoveva. Le ragazze e i ragazzi che vivono
accanto a noi Ci guadagneranno a colpo sicuro in rispetto e
in tenerezza.
E ricordarsi inoltre che il bovarismo una delle cose pi diffuse nel mondo, ma sempre nell'altro che lo vediamo.
Mentre vituperiamo la stupiditdelle letture adolescenti,
non raro che collaboriamo al successo di uno scrittore tele-
genico di cui ci faremo beffe appena sarpassato di moda.
Gli idoli letterari si spiegano ampiamente con la nostra alter-
nanza di infatuazioni illuminate e rinnegamenti perspicaci.
Mai ingenui, sempre lucidi, passiamo il nostro tempo a
succedere a noi stessi, eternamente convinti che madame
Bovary sia l'altro.
Anche Emma doveva pensarla cos




7.

Il diritto di leggere ovunque.

Chalons sur Marne, 1971, inverno.
Caserma della Scuola di Applicazione di Artiglieria.
All assegnazione mattutina delle corv il soldato di se-
conda classe Tizio (Matricola 14672/1, ben noto ai nostri re-
parti) si offre sistematicamente volontario per la corvmeno
popolare, piingrata, assegnata spesso a titolo di punizione,
vero oltraggio agli onori pitemprati: la leggendaria, infa-
mante, innominabile corvdelle latrine.
Tutte le mattine.
Con lo stesso sorriso. (Interiore.)
"Corvdelle latrine?"
Fa un passo avanti:
"Tizio!"
Con la gravitestrema che precede l'assalto, egli afferra
lo spazzolone da cui pende lo strofinaccio come se si trattas-
se dell insegna della compagnia, e scompare, con gran sol-
lievo della truppa. E un coraggioso: nessuno lo segue. L'in-
tera armata rimane trincerata al sicuro fra le corvrispetta-
bili.
Le ore passano. dato per perso. quasi dimenticato.
dimenticato. Ma a fine mattina riappare, battendo i tacchi
per il rapporto al maresciallo della compagnia: "Latrine im-
peccabili, mio signor maresciallo!" Il maresciallo recupera
spazzolone e straccio con negli occhi un interrogativo
profondo che non formula mai. (Rispetto umano impedi-
sce.) Il soldato saluta, fa mezzo giro e si ritira, portando con
se il suo segreto.
Il segreto pesa un bel po' nella tasca destra della tuta mi-
metica: 2900 pagine del volume che la Pl嶯ade dedica alle
opere complete di Nicolas Gogol'. Un quarto d'ora di stro-
finaccio per una mattinata di Gogol'... Ogni mattina da due
mesi di inverno, comodamente seduto sul trono nella ritira-
ta chiusa a doppia mandata, il soldato Tizio vola ben al di so-
pra delle contingenze militari. Tutto Gogol'! Dalle nostalgi-
che Veglie, agli esilaranti Racconti di Pietroburgo, passando
per il terribile Taras Bul'ba, e il riso nero delle Anime morte,
senza dimenticare il teatro e la corrispondenza di Gogol',
quell'incredibile Tartufo.
PerchGogol' come un Moli鋨e inventato da Tartufo
- cosa che il soldato Tizio non avrebbe mai capito se avesse
passato ad altri quella corv
L'esercito ama celebrare i fatti d'armi.
Di questo non restano che due alessandrini, incisi mol-
to in alto sulla ghisa di uno sciacquone e che sono da consi-
derarsi fra i pieccelsi della poesia francese:
Non mento se dico, sedete, maestrine,
che tutto Gogol' io lessi nelle latrine.
(Dal canto suo, il vecchio Clemenceau, "il Tigre", famo-
so soldato anche lui, era grato a una cronica stitichezza sen-
za la quale, affermava, non avrebbe mai avuto la fortuna di
leggere le Memorie di Saint-Simon.)




8.

Il diritto di spizzicare.

Io spizzico, noi spizzichiamo, lasciamoli spizzicare.
la libertche ci concediamo di prendere un volume a
caso della nostra biblioteca, di aprirlo dove capita e di im-
mergercisi un istante, proprio perchsolo di quell'istante di-
sponiamo. Alcuni libri si prestano meglio di altri allo spizzi-
care, fatti come sono di testi brevi e separati: le opere com-
plete di Alphonse Allais o di Woody Allen, i racconti di
Kafka o di Saki, i Papiers coll廥 di Georges Perros, il buon
vecchio La Rochefoucauld, e la maggior parte dei poeti...
Detto questo, si pubenissimo aprire a casaccio Proust
Shakespeare o la Corrispondenza di Raymond Chandler e
spizzicare qua e l senza correre alcun rischio di rimanere
delusi.
Quando non si ha nil tempo ni mezzi per conceder-
si una settimana a Venezia, perchnegarsi il diritto di pas-
sarvi cinque minuti?




9.

Il diritto di leggere a voce alta.

Le domando:
"Ti leggevano delle storie a voce alta quando eri pic-
cola? "
Lei mi risponde:
"Mai. Mio padre era spesso via per lavoro e mia madre
era troppo occupata".
Le domando:
"Allora da dove ti viene questa passione per la lettura ad
alta voce?"
Mi risponde:
"Dalla scuola".
Felice di sentire che qualcuno riconosce un merito alla
scuola, esclamo, tutto contento:
"Ah! Lo vedi! "
Mi dice:
"Non mi sono spiegata. La scuola ci proibiva la lettura
ad alta voce. Lettura silenziosa, questo era giil credo
dell'epoca. Direttamente dall'occhio al cervello. Trascrizio-
ne immediata. Rapidit efficacia. Con un test di compren-
sione ogni dieci righe. La religione dell'analisi e del com-
mento, da subito! La maggior parte dei bambini aveva una
strizza enorme, ed era solo l'inizio! Tutte le mie risposte era-
no giuste, se vuoi saperlo, ma tornata a casa rileggevo tutto
ad alta voce".
"Perch "
"Per la meraviglia. Le parole pronunciate si mettevano
a esistere al di fuori di me, vivevano veramente. E poi mi
sembrava che fosse un atto d'amore, che fosse l'amore stes-
so. Ho sempre avuto l'impressione che l'amore per i libri
passi attraverso l'amore tout court. Mettevo a dormire le
bambole nel mio letto, al mio posto, e leggevo loro qualco-
sa. Spesso mi addormentavo ai loro piedi, sul tappeto."
La ascolto... la ascolto, e mi sembra di sentire Dylan
Thomas, ubriaco come la disperazione, che legge le sue poe-
sie con quella voce da cattedrale...
La ascolto e mi sembra di vedere il vecchio Dickens, os-
suto e pallido, prossimo alla morte, entrare in scena... il suo
vasto pubblico di illetterati improvvisamente immobile, si-
lenzioso, al punto che si sente il libro aprirsi... Oliver Twist...
la morte di Nancy... ci leggerla morte di Nancy!...
La ascolto e sento Kafka ridere fino alle lacrime leggen-
do La Metamorfosi a Max Brod che non molto sicuro di ca-
pire... e vedo la piccola Mary Shelley offrire lunghi pezzi del
suo Frankenstein a Percy e agli amici sbalorditi...
La ascolto e appare Martin du Gard che legge a Gide i
suoi Thibault... ma Gide sembra non ascoltarlo... sono sedu-
ti sulla riva di un fiume... Roger legge, ma lo sguardo di Gi-
de altrove... gli occhi di Gide sono volati laggidove due
adolescenti si tuffano... una perfezione che l'acqua riveste di
luce... Roger incavolato... ma no, ha pur letto... e Gide ha
ascoltato tutto... e gli dice tutto il bene che pensa di quelle
pagine... ma che, per si dovrebbe forse modificare questo
e quello, qua e l..
E Dostoevskij, che non si limitava a leggere a voce alta,
ma che scriveva a voce alta... Dostoevskij, senza fiato, dopo
aver urlato la sua requisitoria contro Raskolnikov (o Dmitrij
Karamazov, non ricordo pi... Dostoevskij che domanda ad
Anna Grigorievna, la moglie stenografa: "Allora? Secondo
te, il verdetto? Eh? Eh?"
ANNA: "Condannato!
E lo stesso Dostoevskij, dopo averle dettato l'arringa
della difesa...: "Allora? Allora?"
ANNA: "Assolto!
Si...
Strana scomparsa, quella della lettura a voce alta. Cosa
avrebbe pensato Dostoevskij? E Flaubert? Non si ha pidi-
ritto di mettersi le parole in bocca prima di ficcarsele in te-
sta? Niente piorecchie? Niente pimusica? Niente pisa-
liva? Parole senza pigusto? E poi cos'altro! Forse che
Flaubert non se l'urlata fino a farsi scoppiare i timpani, la
sua Bovary? Non forse la persona in assoluto piadatta per
sapere che l'intelligenza del testo passa attraverso il suono
delle parole da cui scaturisce tutto il loro significato? E non
lui che pidi ogni altro sa, lui che si azzuffato con la mu-
sica intempestiva delle sillabe e la tirannia del ritmo, che il si-
gnificato si pronuncia? Cosa? Testi muti per puri spiriti? A
me, Rabelais! A me, Flaubert! Dostoevskij! Kafka! Dickens,
a me! Giganteschi urlatori di senso, accorrete! Venite a sof-
fiare nei nostri libri! Le nostre parole hanno bisogno di cor-
po! I nostri libri hanno bisogno di vita!
vero che comodo, il silenzio del testo... almeno non
si rischia la morte di Dickens, che i medici supplicavano
di tacere una volta per tutte i suoi romanzi... il testo e se stes-
si... tutte quelle parole imbavagliate nella delicata cuci-
na della nostra intelligenza... come ci si sente qualcuno nel
silenzioso sferruzzare dei nostri commenti!... e poi, giu-
dicando il libro tra se snon si corre il rischio di essere
giudicati da lui... perchil fatto che appena ci si mette di
mezzo la voce il libro la dice lunga sul lettore... Il libro dice
tutto...
L'uomo che legge a viva voce si espone completamente.
Se non sa che cosa legge, ignorante nelle parole, qualco-
sa di penoso, e lo si capisce. Se si rifiuta di abitare la sua let-
tura, le parole rimangono lettera morta, e si sente. Se riem-
pie il testo della sua presenza, l'autore si ritrae, un numero
da circo e si vede. L'uomo che legge a viva voce si espone
completamente agli occhi che lo ascoltano.
Se legge veramente, se ci mette il suo sapere dominan-
do il piacere, se la lettura un atto di simpatia per l'uditorio
come per il testo e il suo autore, se egli riesce a far sentire la
necessitdi scrivere risvegliando i nostri pioscuri biso-
gni di capire, allora i libri si spalancano e in essi, dietro a lui
Si riversa la folla di coloro che si credevano esclusi dalla let-
tura.




10.

Il diritto di tacere.

L'uomo costruisce case perchvivo ma scrive libri per-
chsi sa mortale. Vive in gruppo perchgregario, ma leg-
ge perchsi sa solo. La lettura per lui una compagnia che
non prende il posto di nessun'altra, ma che nessun'altra po-
trebbe sostituire. Non gli offre alcuna spiegazione definitiva
sul suo destino ma intreccia una fitta rete di connivenze tra
la vita e lui. Piccolissime, segrete connivenze che dicono la
paradossale felicitdi vivere, nel momento stesso in cui illu-
minano la tragica assurditdella vita. Cosicchle nostre ra-
gioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vive-
re E nessuno autorizzato a chiederci conto di questa inti-
mit
I rari adulti che mi hanno dato da leggere hanno sempre
ceduto il passo ai libri e si sono ben guardati dal chiedermi
che cosa avessi capito. A loro, naturalmente, parlavo delle
mie letture. Vivi o morti che siano, a loro dedico queste pa-
gine.
NOTE.

1: Jean-Jacques Rousseau, Emilio, Laterza, Bari 1953 (a cura di A.
Visalberghi).

2: Gustave Flaubert, Madame Bovary, Garzanti, Milano 1965 (tradu-
zione di Oreste Del Buono).

3: Ibid.

4: Klaus Mann, La Svolta, Il Saggiatore, Milano 1962 (traduzione di
Barbara Allason).

5: Patrick Suskind, Il profumo, Longanesi, Milano 1985 (traduzione
di Giovanna Agabio).

6: Patrick Suskind, op. cit.

7: Gabriel Garc燰 M嫫quez, Cent'anni di solitudine, Feltrinelli, Mila-
no 1968 (traduzione di Enrico Cicogna).

8: Benjamin Constant, Adolphe-Diario, UTET, Torino 1944 (a cura
di Giulia Gerace).







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