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Dopo Filastrocche in cielo e in terra (1960), le Favole al telefono (1962) hanno costituito il secondo importante appuntamento di Rodari col grande pubblico infantile, sono entrate a pieno titolo nella scuola e nelle case dei bambini di tutto il mondo e hanno mostrato che la straordinaria capacit di invenzione dello scrittore poteva coniugarsi con l'osservazione della realt contemporanea senza scadere mai nel moralismo e in una soffocante vocazione didattica; alcune 竄favole al telefono罈, d'altra parte, erano gi state
竄collaudate罈 con successo sul 竄Corriere dei piccolissimi罈, inserto del 竄Corriere dei piccoli罈, e avevano portato alla ribalta
personaggi destinati ad occupare ruoli da
protagonisti nel ricchissimo universo rodariano, dalla minuscola Alice Cascherina a Giovannino Perdigiorno, imprevedibile viaggiatore in straordinari paesi. Anche l'invenzione della 竄cornice罈 癡 decisamente stimolante: il ragionier Bianchi, rappresentante di commercio degli anni Sessanta, che al telefono ogni sera raccontava alla sua bambina favole dagli esiti imprevedibili (magari oggi userebbe con altrettanta disinvoltura il
竄cellulare罈 o il fax), appartiene alla nostra vita quotidiana, pu簷 essere uno di noi ed 癡 anche per questo che Favole al telefono sono un testo
ormai classico, non conoscono il passare del
tempo, conservano immutate le doti originali di eleganza, di ironia, di freschezza: i personaggi anticonformisti e gli eventi imprevisti, le dolcissime strade di cioccolato, i saporitissimi palazzi di gelato, i numeri paradossali e le domande assurde costituiscono i punti di forza di quella inesauribile capacit di invenzione che Gianni Rodari sapeva coniugare con la puntuale, seria e civile osservazione della realt contemporanea.












L O S C A F F A L E D ' O R O















































穢 1993, Edizioni EL, S. Dorligo della Valle (Trieste)
穢 1993, Altan/Quipos S.r.l. per le illustrazioni
穢 1995, Edizioni EL, per la presente edizione
ISBN 88-7926-201-7





Gianni Rodari

Favole al telefono

Illustrazioni di Francesco Altan


































Einaudi Ragazzi













A Paoletta Rodari e ai suoi amici di tutti i colori










Favole al telefono


G I A N N I R O D A R I


















C'era una volta...
... il ragionier Bianchi, di Varese. Era un rappresentante di commercio e sei giorni su sette girava l'Italia intera, a Est, a Ovest, a Sud, a Nord e in mezzo, vendendo medicinali. La domenica tornava a casa sua, e il luned穫 mattina ripartiva. Ma prima che partisse la sua bambina gli diceva: - Mi raccomando, pap: tutte le sere una storia.
Perch矇 quella bambina non poteva dormire senza una storia, e la mamma, quelle che sapeva, gliele aveva gi raccontate tutte anche tre volte. Cos穫 ogni sera, dovunque si trovasse, alle nove in punto il ragionier Bianchi chiamava al telefono Varese e raccontava una storia alla sua bambina. Questo libro contiene appunto le storie del ragionier Bianchi. Vedrete che sono tutte un po' corte: per forza, il ragioniere pagava il telefono di tasca sua, non poteva mica fare telefonate troppo lunghe. Solo qualche volta, se aveva concluso buoni affari, si permetteva qualche 竄unit罈 in pi羅. Mi hanno detto che quando il signor Bianchi chiamava Varese le signorine del centralino sospendevano tutte le telefonate per ascoltare le sue storie. Sfido: alcune sono proprio belline.





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G I A N N I R O D A R I























































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Il cacciatore sfortunato

- Prendi il fucile, Giuseppe, prendi il fucile e vai a caccia, - disse una mattina al suo figliolo quella donna. - Domani tua sorella si sposa e vuol mangiare polenta e lepre.
Giuseppe prese il fucile e and簷 a caccia. Vide subito una lepre che balzava da una siepe e correva in un campo. Punt簷 il fucile, prese la mira e premette il grilletto. Ma il fucile disse: Pum!, proprio con voce umana, e invece di sparar fuori la pallottola la fece cadere per terra.
Giuseppe la raccatt簷 e la guardava meravigliato. Poi osserv簷 attentamente il fucile, e pareva proprio lo stesso di sempre, ma intanto invece di sparare aveva detto: Pum!, con una vocetta allegra e fresca. Giuseppe scrut簷 anche dentro la canna, ma com'era possibile, andiamo, che ci fosse nascosto qualcuno? Difatti dentro la canna non c'era niente e nessuno.
- E la mamma che vuole la lepre. E mia sorella che vuol mangiarla con la polenta...
In quel momento la lepre di prima ripass簷 davanti a Giuseppe, ma stavolta aveva un velo bianco in testa, e dei fiori d'arancio sul velo, e teneva gli occhi bassi, e camminava a passettini passettini.
- Toh, - disse Giuseppe, - anche la lepre va a sposarsi. Pazienza, tirer簷 a un fagiano.
Un po' pi羅 in l nel bosco, difatti, vide un fagiano che passeggiava sul sentiero, per nulla spaventato, come il



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primo giorno della caccia, quando i fagiani non sanno ancora che cosa sia un fucile.
Giuseppe prese la mira, tir簷 il grilletto, e il fucile fece:
Pam!, disse: Pam! Pam!, due volte, come avrebbe fatto un bambino col suo fucile di legno. La cartuccia cadde in terra e spavent簷 certe formiche rosse, che corsero a rifugiarsi sotto un pino.
- Ma benone, - disse Giuseppe che cominciava ad arrabbiarsi, - la mamma sar contenta davvero se torno col carniere vuoto.
Il fagiano, che a sentire quel pam, pam, si era tuffato nel folto, ricomparve sul sentiero, e stavolta lo seguivano i suoi piccoli, in fila, con una gran voglia di ridere addosso, e dietro a tutti camminava la madre, fiera e contenta come se le avessero dato il primo premio.
- Ah, tu sei contenta, tu, - borbott簷 Giuseppe. - Tu ti sei gi sposata da un pezzo. E adesso a che cosa tiro?
Ricaric簷 il fucile con gran cura e si guard簷 intorno. C'era soltanto un merlo su un ramo, e fischiava come per dire:
竄Sparami, sparami罈.
E Giuseppe spar簷. Ma il fucile disse: Bang!, come i bambini quando leggono i fumetti. E aggiunse un rumorino che pareva una risatina. Il merlo fischi簷 pi羅 allegramente di prima, come per dire: 竄Hai sparato, hai sentito, hai la barba lunga un dito罈.
- Me l'aspettavo, - disse Giuseppe. - Ma si vede che oggi c'癡 lo sciopero dei fucili.
- Hai fatto buona caccia, Giuseppe? - gli domand簷 la mamma, al ritorno.
- S穫, mamma. Ho preso tre arrabbiature belle grasse.
Chiss come saranno buone, con la polenta.







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Il palazzo di gelato

Una volta, a Bologna, fecero un palazzo di gelato proprio sulla Piazza Maggiore, e i bambini venivano di lontano a dargli una leccatina.
Il tetto era di panna montata, il fumo dei comignoli di zucchero filato, i comignoli di frutta candita. Tutto il resto era di gelato: le porte di gelato, i muri di gelato, i mobili di gelato.
Un bambino piccolissimo si era attaccato a un tavolo e gli lecc簷 le zampe una per una, fin che il tavolo gli croll簷
addosso con tutti i piatti, e i piatti erano di gelato al cioccolato, il pi羅 buono.
Una guardia del Comune, a un certo punto, si accorse che una finestra si scioglieva. I vetri erano di gelato alla fragola, e si squagliavano in rivoletti rosa.
- Presto, - grid簷 la guardia, - pi羅 presto ancora!
E gi羅 tutti a leccare pi羅 presto, per non lasciar andare perduta una sola goccia di quel capolavoro.
- Una poltrona! - implorava una vecchiettina, che non riusciva a farsi largo tra la folla, - una poltrona per una povera vecchia. Chi me la porta? Coi braccioli, se 癡 possibile.
Un generoso pompiere corse a prenderle una poltrona
di gelato alla crema e pistacchio, e la povera vecchietta, tutta beata, cominci簷 a leccarla proprio dai braccioli.
Fu un gran giorno, quello, e per ordine dei dottori nessuno ebbe il mal di pancia.


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Ancora adesso, quando i bambini chiedono un altro gelato, i genitori sospirano: - Eh gi, per te ce ne vorrebbe un palazzo intero, come quello di Bologna.

















































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La passeggiata di un distratto

- Mamma, vado a fare una passeggiata.
- Va' pure, Giovanni, ma sta' attento quando attraversi la strada.
- Va bene, mamma. Ciao, mamma. - Sei sempre tanto distratto.
- S穫, mamma. Ciao, mamma.
Giovannino esce allegramente e per il primo tratto di strada fa bene attenzione. Ogni tanto si ferma e si tocca.
- Ci sono tutto? S穫, - e ride da solo.
cos穫 contento di stare attento che si mette a saltellare come un passero, ma poi s'incanta a guardare le vetrine, le macchine, le nuvole, e per forza cominciano i guai.
Un signore, molto gentilmente, lo rimprovera:
- Ma che distratto, sei. Vedi? Hai gi perso una mano.
- Uh, 癡 proprio vero. Ma che distratto, sono.
Si mette a cercare la mano e invece trova un barattolo vuoto. Sar proprio vuoto? Vediamo. E cosa c'era dentro prima che fosse vuoto. Non sar mica stato sempre vuoto fin dal primo giorno...
Giovanni si dimentica di cercare la mano, poi si dimentica anche del barattolo, perch矇 ha visto un cane zoppo, ed ecco per raggiungere il cane zoppo prima
che volti l'angolo perde tutto un braccio. Ma non se ne accorge nemmeno, e continua a correre.
Una buona donna lo chiama: - Giovanni, Giovanni, il tuo braccio!


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Macch矇, non sente.
- Pazienza, - dice la buona donna. - Glielo porter簷 alla sua mamma.
E va a casa della mamma di Giovanni.
- Signora, ho qui il braccio del suo figliolo.
- Oh, quel distratto. Io non so pi羅 cosa fare e cosa dire.
- Eh, si sa, i bambini sono tutti cos穫. Dopo un po' arriva un'altra brava donna.
- Signora, ho trovato un piede. Non sar mica del suo
Giovanni?
- Ma s穫 che 癡 suo, lo riconosco dalla scarpa col buco. Oh, che figlio distratto mi 癡 toccato. Non so pi羅 cosa fare e cosa dire.
- Eh, si sa, i bambini sono tutti cos穫.
Dopo un altro po' arriva una vecchietta, poi il garzone del fornaio, poi un tranviere, e perfino una maestra in pensione, e tutti portano qualche pezzetto di Giovanni: una gamba, un orecchio, il naso.
- Ma ci pu簷 essere un ragazzo pi羅 distratto del mio? - Eh, signora, i bambini sono tutti cos穫.
Finalmente arriva Giovanni, saltellando su una gamba sola, senza pi羅 orecchie n矇 braccia, ma allegro come sempre, allegro come un passero, e la sua mamma scuote
la testa, lo rimette a posto e gli d un bacio. - Manca niente, mamma? Sono stato bravo, mamma? - S穫, Giovanni, sei stato proprio bravo.















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Il palazzo da rompere

Una volta, a Busto Arsizio, la gente era preoccupata perch矇 i bambini rompevano tutto. Non parliamo delle suole delle scarpe, dei pantaloni e delle cartelle scolastiche: rompevano i vetri giocando alla palla, rompevano i piatti a tavola e i bicchieri al bar, e non rompevano i muri solo perch矇 non avevano martelli a disposizione.
I genitori non sapevano pi羅 cosa fare e cosa dire e si rivolsero al sindaco.
- Mettiamo una multa? - propose il sindaco.
- Grazie tante, - esclamarono i genitori, - e poi la paghiamo con i cocci.
Per fortuna da quelle parti ci sono molti ragionieri. Ce n'癡 uno ogni tre persone e tutti ragionano benissimo. Meglio di tutti ragionava il ragionier Gamberoni, un vecchio signore che aveva molti nipoti e quindi in fatto di
cocci aveva una vasta esperienza. Egli prese carta e matita e fece il conto dei danni che i bambini di Busto Arsizio cagionavano fracassando tanta bella e buona roba a quel modo. Risult簷 una somma spaventevole: millanta tamanta quattordici e trentatre.
- Con la met di questa somma, - dimostr簷 il ragionier
Gamberoni, - possiamo costruire un palazzo da rompere e obbligare i bambini a farlo a pezzi: se non guariscono con questo sistema non guariscono pi羅.



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La proposta fu accettata, il palazzo fu costruito in quattro e quattro otto e due dieci. Era alto sette piani, aveva novantanove stanze, ogni stanza era piena di mobili e ogni mobile zeppo di stoviglie e soprammobili, senza contare gli specchi e i rubinetti. Il giorno dell'inaugurazione a tutti i bambini venne consegnato un martello e a un segnale del sindaco le porte del palazzo da rompere furono spalancate.
Peccato che la televisione non sia arrivata in tempo per trasmettere lo spettacolo. Chi l'ha visto con i suoi occhi e sentito con le sue orecchie assicura che pareva - mai non sia! - lo scoppio della terza guerra mondiale. I bambini passavano di stanza in stanza come l'esercito di Attila e fracassavano a martellate quanto incontravano sul loro cammino. I colpi si udivano in tutta la Lombardia e in mezza Svizzera. Bambini alti come la coda di un gatto si erano attaccati ad armadi grossi come incrociatori e li demolirono scrupolosamente fino a lasciare una montagna di trucioli. Infanti dell'asilo, belli e graziosi nei loro grembiulini rosa e celesti, pestavano diligentemente i servizi da caff癡 riducendoli in polvere finissima, con la quale si incipriavano il viso. Alla fine del primo giorno non era rimasto un bicchiere sano. Alla fine del secondo giorno scarseggiavano le sedie. Il terzo giorno i bambini affrontarono i muri, cominciando dall'ultimo piano, ma quando furono arrivati al quarto, stanchi morti e coperti di polvere come i soldati di Napoleone nel deserto, piantarono baracca e burattini, tornarono a casa barcollando e andarono a letto senza cena. Ormai si erano davvero sfogati e non provavano pi羅 gusto a rompere nulla, di colpo erano diventati delicati e leggeri come farfalle e avreste potuto farli giocare al calcio
su un campo di bicchieri di cristallo che non ne avrebbero scheggiato uno solo.



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Il ragionier Gamberoni fece i conti e dimostr簷 che la citt di Busto Arsizio aveva realizzato un risparmio di due stramilioni e sette centimetri.
Quello che restava in piedi del palazzo da rompere, il Comune lasci簷 liberi i cittadini di farne quel che volevano. Allora si videro certi signori con cartella di cuoio e occhiali a lenti bifocali - magistrati, notai, consiglieri delegati - armarsi di martello e correre a demolire una parete o a smantellare una scala, picchiando tanto di gusto che ad ogni colpo si sentivano ringiovanire.
- Piuttosto che litigare con la moglie, - dicevano allegramente, - piuttosto di spaccare i portacenere e i piatti del servizio buono, regalo della zia Mirina...
E gi羅 martellate.
Al ragionier Gamberoni, in segno di gratitudine, la citt di Busto Arsizio decret簷 una medaglia con un buco d'argento.




























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La donnina che contava gli starnuti

A Gavirate, una volta, c'era una donnina che passava le giornate a contare gli starnuti della gente, poi riferiva alle amiche i risultati dei suoi calcoli e tutte insieme ci facevano sopra grandi chiacchiere.
- Il farmacista ne ha fatti sette, - raccontava la donnina.
- Possibile!
- Giuro, mi cascasse il naso se non dico la verit, li ha fatti cinque minuti prima di mezzogiorno. Chiacchieravano, chiacchieravano e in conclusione dicevano che il farmacista metteva l'acqua nell'olio di ricino.
- Il parroco ne ha fatti quattordici, - raccontava la donnina, rossa per l'emozione.
- Non ti sarai sbagliata?
- Mi cascasse il naso se ne ha fatto uno di meno. - Ma dove andremo a finire!
Chiacchieravano, chiacchieravano e in conclusione dicevano che il parroco metteva troppo olio nell'insalata.
Una volta la donnina e le sue amiche si misero tutte insieme, ed erano pi羅 di sette, sotto le finestre del signor Delio a spiare. Ma il signor Delio non starnutiva per nulla, perch矇 non fiutava tabacco e non aveva il
raffreddore.
- Neanche uno starnuto, - disse la donnina. - Qui gatta ci cova.
- Sicuro, - dissero le sue amiche.


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Il signor Delio le sent穫, mise una bella manciata di pepe nello spruzzatore del moschicida e senza farsi scorgere lo soffi簷 addosso a quelle pettegole, che se ne stavano rimpiattate sotto il davanzale.
- Etc穫! - fece la donnina.
- Etc穫! Etc穫! - fecero le sue amiche. E gi羅 tutte insieme a fare uno starnuto dopo l'altro.
- Ne ho fatti di pi羅 io, - disse la donnina.
- Di pi羅 noi, - dissero le sue amiche. Si presero per i capelli, se le diedero per diritto e per traverso, si strapparono i vestiti e persero un dente ciascuna.
Dopo quella volta la donnina non parl簷 pi羅 con le sue amiche, compr簷 un libretto e una matita e andava in giro tutta sola soletta, e per ogni starnuto che sentiva faceva una crocetta.
Quando mor穫 trovarono quel libretto pieno di croci e dicevano: - Guardate, deve aver segnato tutte le sue buone
azioni. Ma quante ne ha fatte! Se non va in Paradiso lei non ci va proprio nessuno.

























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Il Paese senza punta

Giovannino Perdigiorno era un grande viaggiatore. Viaggia e viaggia, una volta capit簷 in un paese dove gli spigoli delle case erano rotondi, e i tetti non finivano a punta ma con una gobba dolcissima. Lungo la strada correva una siepe di rose e a Giovannino venne l穫 per l穫 l'idea di infilarsene una all'occhiello. Mentre coglieva la rosa faceva molta attenzione a non pungersi con le spine, ma si accorse subito che le spine non pungevano mica, non avevano punta e parevano di gomma, e facevano il solletico alla mano.
- Guarda, guarda, - disse Giovannino ad alta voce. Di dietro la siepe si affacci簷 una guardia municipale, sorridendo.
- Non lo sapeva che 癡 vietato cogliere le rose?
- Mi dispiace, non ci ho pensato.
- Allora pagher soltanto mezza multa, - disse la guardia, che con quel sorriso avrebbe potuto benissimo essere lmino di burro che portava Pinocchio al Paese dei Balocchi. Giovannino osserv簷 che la guardia scriveva la multa con una matita senza punta, e gli scapp簷 di dire:
- Scusi, mi fa vedere la sua sciabola?
- Volentieri, - disse la guardia. E naturalmente nemmeno la sciabola aveva la punta.
- Ma che paese 癡 questo? - domand簷 Giovannino.





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- Il Paese senza punta, - rispose la guardia, con tanta gentilezza che le sue parole si dovrebbero scrivere tutte con la lettera maiuscola.
- E per i chiodi come fate?
- Li abbiamo aboliti da un pezzo, facciamo tutto con la colla. E adesso, per favore, mi dia due schiaffi. Giovannino spalanc簷 la bocca come se dovesse inghiottire una torta intera.
- Per carit, non voglio mica finire in prigione per oltraggio a pubblico ufficiale. 1 due schiaffi, semmai,
dovrei riceverli, non darli.
- Ma qui usa cos穫, - spieg簷 gentilmente la guardia, - per una multa intera quattro schiaffi, per mezza multa due soli.
- Alla guardia? - Alla guardia.
- Ma 癡 ingiusto, 癡 terribile.
- Certo che 癡 ingiusto, certo che 癡 terribile, - disse la guardia. - La cosa 癡 tanto odiosa che la gente, per non essere costretta a schiaffeggiare dei poveretti senza colpa, si guarda bene dal fare niente contro la legge. Su, mi dia quei due schiaffi, e un'altra volta stia pi羅 attento.
- Ma io non le voglio dare nemmeno un buffetto sulla guancia: le far簷 una carezza, invece.
- Quand'癡 cos穫, - concluse la guardia, - dovr簷 riaccompagnarla alla frontiera.
E Giovannino, umiliatissimo, fu costretto ad abbandonare il Paese senza punta. Ma ancor oggi sogna di poterci tornare, per viverci nel pi羅 gentile dei modi, in una bella casetta col tetto senza punta.










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Il paese con l'esse davanti

Giovannino Perdigiorno era un grande viaggiatore. Viaggia e viaggia, capit簷 nel paese con l'esse davanti. - Ma che razza di paese 癡? - domand簷 a un cittadino che prendeva il fresco sotto un albero.
Il cittadino, per tutta risposta, cav簷 di tasca un temperino e lo mostr簷 bene aperto sul palmo della mano.
- Vede questo?
- E un temperino.
- Tutto sbagliato. Invece 癡 uno 竄stemperino罈, cio癡 un temperino con l'esse davanti. Serve a far ricrescere le matite, quando sono consumate, ed 癡 molto utile nelle scuole.
- Magnifico, - disse Giovannino. - E poi? - Poi abbiamo lo 竄staccapanni罈.
- Vorr dire l'attaccapanni.
- Lttaccapanni serve a ben poco, se non avete il cappotto da attaccarci. Col nostro 竄staccapanni罈 癡 tutto diverso. L穫 non bisogna attaccarci niente, c'癡 gi tutto attaccato. Se avete bisogno di un cappotto andate l穫 e lo staccate. Chi ha bisogno di una giacca, non deve mica andare a comprarla: passa dallo staccapanni e la stacca. C'癡 lo staccapanni d'estate e quello d'inverno, quello per uomo e quello per signora. Cos穫 si risparmiano tanti soldi.
- Una vera bellezza. E poi?





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- Poi abbiamo la macchina 竄sfotografica罈, che invece di fare le fotografie fa le caricature, cos穫 si ride. Poi abbiamo lo 竄scannone罈.
- Brr, che paura.
- Tutt'altro. Lo 竄scannone罈 癡 il contrario del cannone, e serve per disfare la guerra.
- E come funziona?
- facilissimo, pu簷 adoperarlo anche un bambino. Se c'癡 la guerra, suoniamo la stromba, spariamo lo scannone e la guerra 癡 subito disfatta.
Che meraviglia il paese con l'esse davanti.





































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Gli uomini di burro

Giovannino Perdigiorno, gran viaggiatore e famoso esploratore, capit簷 una volta nel paese degli uomini di burro. A stare al sole si squagliavano, dovevano vivere sempre al fresco, e abitavano in una citt dove al posto delle case c'erano tanti frigoriferi. Giovannino passava per le strade e li vedeva affacciati ai finestrini dei loro frigoriferi, con una borsa di ghiaccio in testa. Sullo sportello di ogni frigorifero c'era un telefono per parlare con l'inquilino.
- Pronto. - Pronto. - Chi parla?
- Sono il re degli uomini di burro. Tutta panna di prima qualit. Latte di mucca svizzera. Ha guardato bene il mio frigorifero?
- Perbacco, 癡 d'oro massiccio. Ma non esce mai di l穫? - D'inverno, se fa abbastanza freddo, in un'automobile di ghiaccio.
- E se per caso il sole sbuca d'improvviso dalle nuvole mentre la Vostra Maest fa la sua passeggiatina? - Non pu簷, non 癡 permesso. Lo farei mettere in prigione dai miei soldati.
- Bum, - disse Giovannino. E se ne and簷 in un altro paese.








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Alice Cascherina

Questa 癡 la storia di Alice Cascherina, che cascava sempre e dappertutto.
Il nonno la cercava per portarla ai giardini:
- Alice! Dove sei, Alice?
- Sono qui, nonno. - Dove, qui?
- Nella sveglia.
S穫, aveva aperto lo sportello della sveglia per curiosare un po', ed era finita tra gli ingranaggi e le molle, ed ora le toccava di saltare continuamente da un punto all'altro per non essere travolta da tutti quei meccanismi che scattavano facendo tic-tac.
Un'altra volta il nonno la cercava per darle la merenda:
- Alice! Dove sei, Alice?
- Sono qui, nonno. - Dove, qui?
- Ma proprio qui, nella bottiglia. Avevo sete, ci sono cascata dentro.
Ed eccola l che nuotava affannosamente per tenersi a galla. Fortuna che l'estate prima, a Sperlonga, aveva imparato a fare la rana.
- Aspetta che ti ripesco.
Il nonno cal簷 una cordicina dentro la bottiglia, Alice vi si aggrapp簷 e vi si arrampic簷 con destrezza. Era brava in ginnastica.
Un'altra volta ancora Alice era scomparsa. La cercava il nonno, la cercava la nonna, la cercava una vicina che



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veniva sempre a leggere il giornale del nonno per risparmiare quaranta lire.
- Guai a noi se non la troviamo prima che tornino dal
lavoro i suoi genitori, - mormorava la nonna, spaventata.
- Alice! Alice! Dove sei, Alice?
Stavolta non rispondeva. Non poteva rispondere. Nel curiosare in cucina era caduta nel cassetto delle tovaglie e dei tovaglioli e ci si era addormentata. Qualcuno aveva chiuso il cassetto senza badare a lei. Quando si svegli簷, Alice si trov簷 al buio, ma non ebbe paura: una volta era caduta in un rubinetto, e l dentro S穫 che faceva buio.
竄Dovranno pur preparare la tavola per la cena, - rifletteva Alice. - E allora apriranno il cassetto罈. Invece nessuno pensava alla cena, proprio perch矇 non si trovava Alice. I suoi genitori erano tornati dal lavoro e sgridavano i nonni: - Ecco come la tenete d'occhio!
- I nostri figli non cascavano dentro i rubinetti, -
protestavano i nonni, - ai nostri tempi cascavano soltanto dal letto e si facevano qualche bernoccolo in testa.
Finalmente Alice si stanc簷 di aspettare. Scav簷 tra le tovaglie, trov簷 il fondo del cassetto e cominci簷 a batterci sopra con un piede.
Tum, tum, tum.
- Zitti tutti, - disse il babbo, - sento battere da qualche parte.
Tum, tum, tum, chiamava Alice.
Che abbracci, che baci quando la ritrovarono. E
Alice ne approfitt簷 subito per cascare nel taschino della giacca di pap e quando la tirarono fuori aveva fatto in tempo a impiastricciarsi tutta la faccia giocando con la penna a sfera.







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La strada di cioccolato

Tre fratellini di Barletta una volta, camminando per la campagna, trovarono una strada liscia liscia e tutta marrone.
- Che sar? - disse il primo.
- Legno non 癡, - disse il secondo.
- Non 癡 carbone, - disse il terzo.
Per saperne di pi羅 si inginocchiarono tutti e tre e diedero una leccatina.
Era cioccolato, era una strada di cioccolato.
Cominciarono a mangiarne un pezzetto, poi un altro pezzetto, venne la sera e i tre fratellini erano ancora l穫 che mangiavano la strada di cioccolato, fin che non ce ne fu pi羅 neanche un quadratino. Non c'era pi羅 n矇 il cioccolato n矇 la strada.
- Dove siamo? - domand簷 il primo.
- Non siamo a Bari, - disse il secondo.
- Non siamo a Molfetta, - disse il terzo.
Non sapevano proprio come fare. Per fortuna ecco arrivare dai campi un contadino col suo carretto.
- Vi porto a casa io, - disse il contadino. E li port簷 fino a Barletta, fin sulla porta di casa. Nello smontare dal carretto si accorsero che era fatto tutto di biscotto. Senza
dire n矇 uno n矇 due cominciarono a mangiarselo, e non lasciarono n矇 le ruote n矇 le stanghe.
Tre fratellini cos穫 fortunati, a Barletta, non c'erano mai stati prima e chiss quando ci saranno un'altra volta.


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A inventare i numeri

- Inventiamo dei numeri?
- Inventiamoli, comincio io. Quasi uno, quasi due, quasi tre, quasi quattro, quasi cinque, quasi sei.
- E troppo poco. Senti questi: uno stramilione di biliardoni, un ottone di millantoni, un meravigliardo e un meraviglione.
- Io allora inventer簷 una tabellina:
tre per uno Trento e Belluno tre per due bistecca di bue
tre per tre latte e caff癡
tre per quattro cioccolato tre per cinque malelingue tre per sei patrizi e plebei tre per sette torta a fette
tre per otto piselli e risotto tre per nove scarpe nuove tre per dieci pasta e ceci.
- Quanto costa questa pasta?
- Due tirate d'orecchi.
- Quanto c'癡 da qui a Milano?
- Mille chilometri nuovi, un chilometro usato e sette cioccolatini.
- Quanto pesa una lacrima?
- Secondo: la lacrima di un bambino capriccioso pesa meno del vento, quella di un bambino affamato pesa
pi羅 di tutta la terra.


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- Quanto 癡 lunga questa favola?
- Troppo.
- Allora inventiamo in fretta altri numeri per finire. Li dico io, alla maniera di Modena: unci dunci trinci, quara quarinci, miri miminci, un fan d癡s.
- E io li dico alla maniera di Roma: unzi donzi trenzi, quale qualinzi, mele melinzi, riffe raffe e dieci.











































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Brif, bruf, braf

Due bambini, nella pace del cortile, giocavano a inventare una lingua speciale per poter parlare tra loro senza far capire nulla agli altri.
- Brif, braf, - disse il primo.
- Braf, brof, - rispose il secondo. E scoppiarono a ridere.
Su un balcone del primo piano c'era un vecchio buon signore a leggere il giornale, e affacciata alla finestra dirimpetto c'era una vecchia signora n矇 buona n矇 cattiva.
- Come sono sciocchi quei bambini, - disse la signora. Ma il buon signore non era d'accordo:
- Io non trovo.
- Non mi dir che ha capito quello che hanno detto.
- E invece ho capito tutto. Il primo ha detto: che bella giornata. Il secondo ha risposto: domani sar ancora pi羅 bello.
La signora arricci簷 il naso ma stette zitta, perch矇 i bambini avevano ricominciato a parlare nella loro lingua.
- Maraschi, barabaschi, pippirimoschi, - disse il primo.
- Bruf, - rispose il secondo. E gi羅 di nuovo a ridere tutti e due.
- Non mi dir che ha capito anche adesso, - esclam簷
indignata la vecchia signora.
- E invece ho capito tutto, - rispose sorridendo il vecchio signore. - Il primo ha detto: come siamo contenti



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di essere al mondo. E il secondo ha risposto: il mondo 癡 bellissimo.
- Ma 癡 poi bello davvero? - insist矇 la vecchia signora.
- Brif, bruf, braf, - rispose il vecchio signore.















































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A comprare la citt di Stoccolma

Al mercato di Gavirate capitano certi ometti che vendono di tutto, e pi羅 bravi di loro a vendere non si sa dove andarli a trovare.
Un venerd穫 capit簷 un ometto che vendeva strane cose: il Monte Bianco, l'Oceano Indiano, i mari della Luna, e aveva una magnifica parlantina, e dopo un'ora gli era rimasta solo la citt di Stoccolma.
La compr簷 un barbiere, in cambio di un taglio di capelli con frizione. Il barbiere inchiod簷 tra due specchi il
certificato che diceva: Proprietario della citt di Stoccolma, e lo mostrava orgoglioso ai clienti, rispondendo a tutte le loro domande.
- una citt della Svezia, anzi 癡 la capitale.
- Ha quasi un milione di abitanti, e naturalmente sono tutti miei.
- C'癡 anche il mare, si capisce, ma non so chi sia il
proprietario.
Il barbiere, un poco alla volta, mise da parte i soldi, e l'anno scorso and簷 in Svezia a visitare la sua propriet. La citt di Stoccolma gli parve meravigliosa, e gli svedesi gentilissimi. Loro non capivano una parola di quello che diceva lui, e lui non capiva mezza parola di quello che gli rispondevano.
- Sono il padrone della citt, lo sapete o no? Ve l'hanno fatto, il comunicato?



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Gli svedesi sorridevano e dicevano di S穫, perch矇 non capivano ma erano gentili, e il barbiere si fregava le mani tutto contento:
- Una citt simile per un taglio di capelli e una frizione! L'ho proprio pagata a buon mercato.
E invece si sbagliava, e l'aveva pagata troppo. Perch矇 ogni bambino che viene in questo mondo, il mondo intero 癡 tutto suo, e non deve pagarlo neanche un soldo, deve soltanto rimboccarsi le maniche, allungare le mani e prenderselo.






































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A toccare il naso del re

Una volta Giovannino Perdigiorno decise di andare a Roma a toccare il naso del re. I suoi amici lo sconsigliavano dicendo: - Guarda che 癡 una cosa pericolosa. Se il re si arrabbia ci perdi il tuo naso con tutta la testa.
Ma Giovannino era cocciuto. Mentre preparava la valigia, per fare un po' di allenamento and簷 a trovare il curato, il sindaco e il maresciallo e tocc簷 il naso a tutti e tre con tanta prudenza e abilit che non se ne accorsero nemmeno.
竄Ecco che non 癡 difficile罈, pens簷 Giovannino. Giunto nella citt vicina si fece indicare la casa del governatore, quella del presidente e quella del giudice e and簷 a far visita a quegli illustri personaggi e anche a loro tocc簷 il naso con un dito o due. I personaggi ci rimanevano un po' male, perch矇 Giovannino pareva una persona bene educata e sapeva parlare di quasi tutti gli argomenti. Il presidente ci si arrabbi簷 un tantino, ed esclam簷: - Ma che, mi sta prendendo per il naso?
- Per carit, - disse Giovannino, - c'era una mosca. Il presidente si guard簷 intorno, non vide n矇 mosche n矇 zanzare, ma intanto Giovannino si inchin簷 in fretta e se ne and簷 senza dimenticarsi di chiudere la porta.
Giovannino aveva un libretto e ci teneva il conto dei nasi che riusciva a toccare. Tutti nasi importanti.
A Roma per簷 il conto dei nasi sal穫 tanto rapidamen-


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te che Giovannino dovette comprare un quaderno pi羅 grosso. Bastava camminare per la strada e da qui a l穫 si era sicuri di incontrare un paio di eccellenze, qualche sotto-ministro e una decina di grandi segretari.
Non parliamo poi dei presidenti: c'erano pi羅 presidenti che mendicanti. Tutti quei nasi di lusso erano abbastanza a portata di mano. I loro proprietari infatti scambiavano la tastatina di Giovannino Perdigiorno per un omaggio alla loro autorit e qualcuno si spinse fino a suggerire ai suoi dipendenti di fare altrettanto, dicendo:
- D'ora in avanti, invece di farmi l'inchino, potreste tastarmi il naso. un'usanza pi羅 moderna e pi羅 raffinata.
I dipendenti, in principio, non osavano allungare le mani sui nasi dei loro superiori. Questi per簷 li incoraggiavano con sorrisi larghi cos穫, e allora gi羅 toccatine, strizzatine, tastatelle: i nasi altolocati diventavano lucidi e rossi per la soddisfazione.
Giovannino non aveva dimenticato il suo scopo principale, che era di toccare il naso del re, e aspettava soltanto l'occasione buona. Questa si present簷 durante un corteo. Giovannino not簷 che ogni tanto qualcuno dei presenti usciva dalla folla, balzava sui gradini della carrozza reale e consegnava al re una busta, certo una
supplica, che il re passava sorridendo al suo primo ministro.
Quando la carrozza fu abbastanza vicina, Giovannino salt簷 sul predellino e mentre il re gli rivolgeva un sorriso invitante, lui disse:
- Compermesso, - allung簷 il braccio e strofin簷 la punta del suo dito indice sulla punta del naso di sua Maest.
Il re si tocc簷 il naso stupefatto, apr穫 la bocca per dire qualcosa ma Giovannino, con un salto indietro, si era gi messo al sicuro tra la folla. Scoppi簷 un grande applauso e subito altri cittadini si affrettarono con entusiasmo a



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imitare l'esempio di Giovannino: saltavano sulla carrozza, acchiappavano il re per il naso e gli davano una buona scrollatina.
- E un nuovo segno di omaggio, maest, - mormorava sorridendo il primo ministro nelle orecchie del re.
Ma il re non aveva pi羅 tanta voglia di sorridere: il naso gli faceva male e cominciava a colare e lui non aveva nemmeno il tempo di asciugarsi la candela perch矇 i suoi fedeli sudditi non gli davano tregua e continuavano allegramente a prenderlo per il naso.
Giovannino torn簷 al paese soddisfatto.





































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La famosa pioggia di Piombino

Una volta a Piombino piovvero confetti. Venivano gi羅 grossi come chicchi di grandine, ma erano di tutti i colori: verdi, rosa, viola, blu. Un bambino si mise in bocca un chicco verde, tanto per provare, e trov簷 che sapeva di menta. Un altro assaggi簷 un chicco rosa e sapeva di fragola.
- Sono confetti! Sono confetti!
E via tutti per le strade a riempirsene le tasche. Ma non facevano in tempo a raccoglierli, perch矇 venivano gi羅 fitti fitti.
La pioggia dur簷 poco ma lasci簷 le strade coperte da un tappeto di confetti profumati che scricchiolavano sotto i piedi. Gli scolari, tornando da scuola, ne trovarono ancora da riempirsi le cartelle. Le vecchiette ne avevano messi insieme dei bei fagottelli coi loro fazzoletti da testa.
Fu una grande giornata.
Anche adesso molta gente aspetta che dal cielo piovano confetti, ma quella nuvola non 癡 passata pi羅 n矇 da Piombino n矇 da Torino, e forse non passer mai nemmeno da Cremona.











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La giostra di Cesenatico

Una volta a Cesenatico, in riva al mare, capit簷 una giostra. Aveva in tutto sei cavalli di legno e sei jeep rosse, un po' stinte, per i bambini di gusti pi羅 moderni. L'ometto che la spingeva a forza di braccia era piccolo, magro, scuro, e aveva la faccia di uno che mangia un giorno s穫 e due no. Insomma, non era certo una gran giostra, ma ai bambini doveva parere fatta di cioccolato, perch矇 le stavano sempre intorno in ammirazione e facevano capricci per salirvi.
竄Cos'avr questa giostra, il miele?罈 si dicevano le mamme. E proponevano ai bambini: - Andiamo a vedere i delfini nel canale, andiamo a sederci in quel caff癡 coi divanetti a dondolo.
Niente: i bambini volevano la giostra.
Una sera un vecchio signore, dopo aver messo il nipote in una jeep, sal穫 lui pure sulla giostra e mont簷 in sella a un cavalluccio di legno. Ci stava scomodo, perch矇 aveva le gambe lunghe e i piedi gli toccavano terra, rideva. Ma appena l'ometto cominci簷 a far girare la giostra, che meraviglia: il vecchio signore si trov簷 in un attimo all'altezza del grattacielo di Cesenatico, e il suo cavalluccio galoppava nell'aria, puntando dritto il muso verso le nuvole. Guard簷 gi羅 e vide tutta la Romagna, e poi tutta l'Italia, e poi la terra intera che si allontanava sotto gli zoccoli del cavalluccio e ben presto fu anche lei



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una piccola giostra azzurra che girava, girava, mostrando uno dopo l'altro i continenti e gli oceani, disegnati come su una carta geografica.
竄Dove andremo?罈 si domand簷 il vecchio signore. In quel momento gli pass簷 davanti il nipotino, al volante della vecchia jeep rossa un po' stinta, trasformata in un veicolo spaziale. E dietro a lui, in fila, tutti gli altri bambini, tranquilli e sicuri sulla loro orbita come tanti satelliti artificiali.
L'omino della giostra chiss dov'era, ormai; per簷 si sentiva ancora il disco che suonava un brutto cha-cha-
cha: ogni giro di giostra durava un disco intero.
竄Allora il trucco c'era, - si disse il vecchio signore. - Quell'ometto dev'essere uno stregone罈.
E pens簷 anche: 竄Se nel tempo di un disco faremo un giro intero della terra, batteremo il record di Gagarin罈. Ora la carovana spaziale sorvolava l'Oceano Pacifico con
tutte le sue isolette, l'Australia coi canguri che spiccavano salti, il Polo Sud, dove milioni di pinguini stavano col naso per aria. Ma non ci fu il tempo di contarli: al loro posto gi gli indiani d'America facevano segnali col fumo, ed ecco i grattacieli di Nuova York, ed ecco un solo grattacielo, ed era quello di Cesenatico. Il disco era
finito. Il vecchio signore si guard簷 intorno, stupito: era di nuovo sulla vecchia, pacifica giostra in riva all'Adriatico, l'ometto scuro e magro la stava frenando dolcemente, senza scosse.
Il vecchio signore scese traballando.
- Senta, lei, - disse all'ometto. Ma quello non aveva tempo di dargli retta, altri bambini avevano occupato i cavalli e le jeep, la giostra ripartiva per un altro giro del mondo.
- Dica, - ripet矇 il vecchio signore, un po' stizzito. L'ometto non lo guard簷 nemmeno. Spingeva la giostra, si



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vedevano passare in tondo le facce allegre dei bambini che cercavano quelle dei loro genitori, ferme in cerchio, tutte con un sorriso d'incoraggiamento sulle labbra.
Uno stregone quell'ometto da due soldi? Una giostra magica quella buffa macchina traballante al suono di un brutto cha-cha-cha?
- Via, - concluse il vecchio, - 癡 meglio che non ne parli a nessuno. Forse riderebbero alle mie spalle e mi direbbero: 竄Non sa che alla sua et 癡 pericoloso andare in giostra, perch矇 vengono le vertigini?罈






































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Sulla spiaggia di Ostia

A pochi chilometri da Roma c'癡 la spiaggia di Ostia, e i romani d'estate ci vanno a migliaia di migliaia, sulla spiaggia non resta nemmeno lo spazio per scavare una buca con la paletta, e chi arriva ultimo non sa dove piantare l'ombrellone.
Una volta capit簷 sulla spiaggia di Ostia un bizzarro signore, davvero spiritoso. Arriv簷 per ultimo, con l'ombrellone sotto il braccio, e non trov簷 il posto per piantarlo. Allora lo apr穫, diede un'aggiustatina al manico e subito l'ombrellone si sollev簷 per aria, scavalc簷 migliaia di migliaia di ombrelloni e and簷 a mettersi proprio in riva al mare, ma due o tre metri sopra la punta degli altri ombrelloni. Lo spiritoso signore apr穫 la sua sedia a sdraio, e anche quella galleggi簷 per aria; si sdrai簷 all'ombra dell'ombrellone, lev簷 di tasca un libro e cominci簷 a leggere, respirando l'aria del mare, frizzante di sale e di iodio.
La gente, sulle prime, non se ne accorse nemmeno. Stavano tutti sotto i loro ombrelloni, cercavano di vedere un pezzetto di mare tra le teste di quelli che stavano davanti, o facevano le parole crociate, e nessuno guardava per aria. Ma ad un tratto una signora sent穫 qualcosa cadere sul suo ombrellone, pens簷 che fosse una palla, usc穫 per sgridare i bambini, si guard簷 intorno, guard簷 per aria e vide lo spiritoso signore sospeso sulla sua testa. Il signore guardava in gi羅 e disse a quella signora:


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- Scusi, signora, mi 癡 caduto il libro. Me lo ributta su per cortesia?
La signora, per la sorpresa, cadde seduta nella sabbia e
siccome era molto grassa non riusciva a risollevarsi. Accorsero i parenti per aiutarla, e la signora, senza parlare, indic簷 loro col dito l'ombrellone volante.
- Per piacere, - ripet矇 lo spiritoso signore, - mi ributtano su il mio libro?
- Ma non vede che ha spaventato nostra zia!
- Mi dispiace tanto, non ne avevo davvero l'intenzione.
- E allora scenda di l穫, 癡 proibito.
- Niente affatto, sulla spiaggia non c'era posto e mi sono messo qui. Anch'io pago le tasse, sa?
Uno dopo l'altro, intanto, tutti i romani della spiaggia si decisero a guardare per aria, e si additavano ridendo quel bizzarro bagnante.
- Anvedi quello, - dicevano, - ci ha l'ombrellone a
reazzione!
- A Gagarin, - gli gridavano, - me fai mont puro amm癡?
Un ragazzino gli gett簷 su il libro, e il signore lo sfogliava nervosamente per ritrovare il segno, poi si rimise a leggere sbuffando. Pian piano lo lasciarono in
pace. Solo i bambini, ogni tanto, guardavano per aria con invidia, e i pi羅 coraggiosi chiamavano:
- Signore, signore!
- Che volete?
- Perch矇 non ci insegna come si fa a star per aria cos穫? Ma quello sbuffava e tornava a leggere. Al tramonto, con un leggero sibilo, l'ombrellone vol簷 via, lo spiritoso signore atterr簷 sulla strada vicino alla sua motocicletta, mont簷 in sella e se ne and簷. Chiss chi era e chiss dove aveva comprato quell'ombrellone.




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Il topo dei fumetti

Un topolino dei fumetti, stanco di abitare tra le pagine di un giornale e desideroso di cambiare il sapore della carta con quello del formaggio, spicc簷 un bel salto e si trov簷 nel mondo dei topi di carne e d'ossa.
- Squash! - esclam簷 subito, sentendo odor di gatto. - Come ha detto? - bisbigliarono gli altri topi, messi in soggezione da quella strana parola.
- Sploom, bang, gulp! - disse il topolino, che parlava solo la lingua dei fumetti.
- Dev'essere turco, - osserv簷 un vecchio topo di bastimento, che prima di andare in pensione era stato in servizio nel Mediterraneo. E si prov簷 a rivolgergli la parola in turco. Il topolino lo guard簷 con meraviglia e disse:
- Ziip, fiiish, bronk.
- Non 癡 turco, - concluse il topo navigatore. - Allora cos'癡?
- Vattelapesca.
Cos穫 lo chiamarono Vattelapesca e lo tennero un po' come lo scemo del villaggio.
- Vattelapesca, - gli domandavano, - ti piace di pi羅 il parmigiano o il groviera?
- Spliiit, grong, ziziziiir, - rispondeva il topo dei fumetti.
- Buona notte, - ridevano gli altri. I pi羅 piccoli, poi,



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gli tiravano la coda apposta per sentirlo protestare in quella buffa maniera: - Zoong, splash, squarr!
Una volta andarono a caccia in un mulino, pieno di
sacchi di farina bianca e gialla. I topi affondarono i denti in quella manna e masticavano a cottimo, facendo: crik, crik, crik, come tutti i topi quando masticano. Ma il topo dei fumetti faceva: - Crek, screk, schererek.
- Impara almeno a mangiare come le persone educate, - borbott簷 il topo navigatore. - Se fossimo su un bastimento saresti gi stato buttato a mare. Ti rendi conto o no che fai
un rumore disgustoso?
- Crengh, - disse il topo dei fumetti, e torn簷 a infilarsi in un sacco di granturco.
Il navigatore, allora, fece un segno agli altri, e quatti quatti se la filarono, abbandonando lo straniero al suo destino, sicuri che non avrebbe mai ritrovato la strada di casa.
Per un po' il topolino continu簷 a masticare. Quando finalmente si accorse di essere rimasto solo, era gi troppo buio per cercare la strada e decise di passare la notte al mulino. Stava per addormentarsi, quand'ecco nel buio accendersi due semafori gialli, ecco il fruscio sinistro di quattro zampe di cacciatore. Un gatto!
- Squash! - disse il topolino, con un brivido.
- Gragrragnau! - rispose il gatto. Cielo, era un gatto dei fumetti! La trib羅 dei gatti veri lo aveva cacciato perch矇 non riusciva a fare miao come si deve.
I due derelitti si abbracciarono, giurandosi eterna amicizia e passarono tutta la notte a conversare nella strana lingua dei fumetti. Si capivano a meraviglia.









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Storia del regno di Mangionia

Sul lontano, antico paese di Mangionia, a est del ducato di Bevibuono, regn簷 per primo Mangione il Digeritore, cos穫 chiamato perch矇 dopo aver mangiato gli spaghetti sgranocchiava anche il piatto, e lo digeriva a meraviglia.
Gli successe sul trono Mangione Secondo, detto Tre Cucchiai, perch矇 mangiava la minestra in brodo adoperando contemporaneamente tre cucchiai d'argento: due li teneva lui con le sue mani, il terzo glielo reggeva la Regina, e guai se non era pieno.
Dopo di lui, nell'ordine, salirono sul trono di Mangionia, che era collocato a capo di una tavola imbandita giorno e notte:
Mangione Terzo, detto l'Antipasto;
Mangione Quarto, detto Cotoletta alla Parmigiana; Mangione Quinto, il Famelico;
Mangione Sesto, lo Sbranatacchini;
Mangione Settimo, detto 竄Ce n'癡 ancora?罈, che divor簷 perfino la corona, e s穫 che era di ferro battuto;
Mangione Ottavo, detto Crosta di Formaggio, che sulla tavola non trov簷 pi羅 nulla da mangiare e inghiott穫 la tovaglia;
Mangione Nono, detto Ganascia d'Acciaio, che si mangi簷 il trono con tutti i cuscini.
Cos穫 la dinastia fin穫.



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Alice casca in mare

Una volta Alice Cascherina and簷 al mare, se ne innamor簷 e non voleva mai uscire dall'acqua.
- Alice, esci dall'acqua, - la chiamava la mamma.
- Subito, eccomi, - rispondeva Alice. Invece pensava: - Star簷 in acqua fin che mi cresceranno le pinne e diventer簷 un pesce.
Di sera, prima di andare a letto, si guardava le spalle nello specchio, per vedere se le crescevano le pinne, o almeno qualche squama d'argento. Ma scopriva soltanto
dei granelli di sabbia, se non si era fatta bene la doccia.
Una mattina scese sulla spiaggia pi羅 presto del solito e incontr簷 un ragazzo che raccoglieva ricci e telline. Era figlio di pescatori, e sulle cose di mare la sapeva lunga.
- Tu sai come si fa a diventare un pesce? - gli domand簷
Alice.
- Ti faccio vedere subito, - rispose il ragazzo.
Pos簷 su uno scoglio il fazzoletto con i ricci e le telline e si tuff簷 in mare. Passa un minuto, ne passano due, il ragazzo non tornava a galla. Ma poi ecco al suo posto comparire un delfino che faceva le capriole tra le onde e lanciava allegri zampilli nell'aria. Il delfino venne a giocare tra i piedi di Alice, ed essa non ne aveva la minima paura.
Dopo un po' il delfino, con un elegante colpo di coda, prese il largo. Al suo posto riemerse il ragazzo delle telline e sorrise:


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- Hai visto com'癡 facile?
- Ho visto, ma non sono sicura di saperlo fare.
- Provati.
Alice si tuff簷, desiderando ardentemente di diventare una stella marina, invece cadde in una conchiglia che stava sbadigliando, ma subito richiuse le valve, imprigionando Alice e tutti i suoi sogni.
竄Eccomi di nuovo nei guai罈, pens簷 la bimba. Ma che silenzio, che fresca pace, laggi羅 e l dentro. Sarebbe stato bello restarci per sempre, vivere sul fondo del mare come
le sirene d'una volta. Alice sospir簷. Le venne in mente la mamma, che la credeva ancora a letto; le venne in mente il babbo, che proprio quella sera doveva arrivare dalla citt, perch矇 era sabato.
- Non posso lasciarli soli, mi vogliono troppo bene. Torner簷 a terra, per questa volta.
Puntando i piedi e le mani riusc穫 ad aprire la conchiglia
abbastanza per saltarne fuori e risalire a galla. Il ragazzo delle telline era gi lontano. Alice non raccont簷 mai a nessuno quello che le era capitato.
























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La guerra delle campane

C'era una volta una guerra, una grande e terribile guerra, che faceva morire molti soldati da una parte e dall'altra. Noi stavamo di qua e i nostri nemici stavano di l, e ci sparavamo addosso giorno e notte, ma la guerra era tanto lunga che a un certo punto ci venne a mancare il bronzo per i cannoni, non avevamo pi羅 ferro per le baionette, eccetera.
Il nostro comandante, lo Stragenerale Bombone Sparone Pestafracassone, ordin簷 di tirar gi羅 tutte le campane dai campanili e di fonderle tutte insieme per fabbricare un grossissimo cannone: uno solo, ma grosso abbastanza da vincere tutta la guerra con un sol colpo.
A sollevare quel cannone ci vollero centomila gru; per trasportarlo al fronte ci vollero novantasette treni. Lo Stragenerale si fregava le mani per la contentezza e diceva: - Quando il mio cannone sparer i nemici scapperanno fin sulla luna.
Ecco il gran momento. Il cannonissimo era puntato sui nemici. Noi ci eravamo riempiti le orecchie di ovatta, perch矇 il frastuono poteva romperci i timpani e la tromba di Eustachio.
Lo Stragenerale Bombone Sparone Pestafracassone
ordin簷: - Fuoco!
Un artigliere premette un pulsante. E d'improvviso, da un capo all'altro del fronte, si ud穫 un gigantesco scampanio: - Din! Don! Dan!


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Noi ci levammo l'ovatta dalle orecchie per sentir meglio.
- Din! Don! Dan! - tuonava il cannonissimo. E
centomila echi ripetevano per monti e per valli: - Din! Don! Dan!
- Fuoco! - grid簷 lo Stragenerale per la seconda volta: -
Fuoco, perbacco!
L'artigliere premette nuovamente il pulsante e di nuovo un festoso concerto di campane si diffuse di trincea in trincea. Pareva che suonassero insieme tutte le campane della nostra patria. Lo Stragenerale si strappava i capelli per la rabbia e continu簷 a strapparseli fin che gliene rimase uno solo.
Poi ci fu un momento di silenzio. Ed ecco che dall'altra parte del fronte, come per un segnale, rispose un allegro, assordante: - Din! Don! Dan!
Perch矇 dovete sapere che anche il comandante dei
nemici, il Mortesciallo Von Bombonen Sparonen Pestafrakasson, aveva avuto l'idea di fabbricare un cannonissimo con le campane del suo paese.
- Din! Dan! - tuonava adesso il nostro cannone.
- Don! - rispondeva quello dei nemici. E i soldati dei due eserciti balzavano dalle trincee, si correvano incontro, ballavano e gridavano: - Le campane, le campane! E festa! scoppiata la pace!
Lo Stragenerale e il Mortesciallo salirono sulle loro automobili e corsero lontano, e consumarono tutta la benzina, ma il suono delle campane li inseguiva ancora.












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Una viola al Polo Nord

Una mattina, al Polo Nord, l'orso bianco fiut簷 nell'aria un odore insolito e lo fece notare all'orsa maggiore (la minore era sua figlia):
- Che sia arrivata qualche spedizione?
Furono invece gli orsacchiotti a trovare la viola. Era una piccola violetta mammola e tremava di freddo, ma continuava coraggiosamente a profumare l'aria, perch矇 quello era il suo dovere. .
- Mamma, pap, - gridarono gli orsacchiotti.
- Io l'avevo detto subito che c'era qualcosa di strano, - fece osservare per prima cosa l'orso bianco alla famiglia. - E secondo me non 癡 un pesce.
- No di sicuro, - disse l'orsa maggiore, - ma non 癡 nemmeno un uccello.
- Hai ragione anche tu, - disse l'orso, dopo averci pensato su un bel pezzo.
Prima di sera si sparse per tutto il Polo la notizia: un piccolo, strano essere profumato, di colore violetto, era apparso nel deserto di ghiaccio, si reggeva su una sola zampa e non si muoveva. A vedere la viola vennero foche e trichechi, vennero dalla Siberia le renne, dall'America i buoi muschiati, e pi羅 di lontano ancora volpi bianche, lupi
e gazze marine. Tutti ammiravano il fiore sconosciuto, il suo stelo tremante, tutti aspiravano il suo profumo, ma ne restava sempre abbastanza per quelli che arrivavano ultimi ad annusare, ne restava sempre come prima.


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- Per mandare tanto profumo, - disse una foca, - deve avere una riserva sotto il ghiaccio.
- Io l'avevo detto subito, - esclam簷 l'orso bianco, - che
c'era sotto qualcosa.
Non aveva detto proprio cosi, ma nessuno se ne ricordava.
Un gabbiano, spedito al Sud per raccogliere informazioni, torn簷 con la notizia che il piccolo essere profumato si chiamava viola e che in certi paesi, laggi羅, ce n'erano milioni.
- Ne sappiamo quanto prima, - osserv簷 la foca. - Com'癡 che proprio questa viola 癡 arrivata proprio qui? Vi dir簷 tutto il mio pensiero: mi sento alquanto perplessa.
- Come ha detto che si sente? - domand簷 l'orso bianco a sua moglie.
- Perplessa. Cio癡, non sa che pesci pigliare.
- Ecco, - esclam簷 l'orso bianco, - proprio quello che penso anch'io.
Quella notte corse per tutto il Polo un pauroso scricchiolio. I ghiacci eterni tremavano come vetri e in pi羅 punti si spaccarono. La violetta mand簷 un profumo pi羅 intenso, come se avesse deciso di sciogliere in una sola volta l'immenso deserto gelato, per trasformarlo in un
mare azzurro e caldo, o in un prato di velluto verde. Lo sforzo la esaur穫. All'alba fu vista appassire, piegarsi sullo stelo, perdere il colore e la vita. Tradotto nelle nostre parole e nella nostra lingua il suo ultimo pensiero dev'essere stato pressappoco questo: - Ecco, io muoio... Ma bisognava pure che qualcuno cominciasse... Un giorno le viole giungeranno qui a milioni. I ghiacci si
scioglieranno, e qui ci saranno isole, case e bambini.







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Il giovane gambero

Un giovane gambero pens簷: 竄Perch矇 nella mia famiglia tutti camminano all'indietro? Voglio imparare a camminare in avanti, come le rane, e mi caschi la coda se non ci riesco罈.
Cominci簷 ad esercitarsi di nascosto, tra i sassi del ruscello natio, e i primi giorni l'impresa gli costava moltissima fatica. Urtava dappertutto, si ammaccava la corazza e si schiacciava una zampa con l'altra. Ma un po' alla volta le cose andarono meglio, perch矇 tutto si pu簷 imparare, se si vuole.
Quando fu ben sicuro di s矇, si present簷 alla sua famiglia e disse:
- State a vedere.
E fece una magnifica corsetta in avanti.
- Figlio mio, - scoppi簷 a piangere la madre, - ti ha dato di volta il cervello? Torna in te, cammina come tuo padre e tua madre ti hanno insegnato, cammina come i tuoi fratelli che ti vogliono tanto bene.
I suoi fratelli per簷 non facevano che sghignazzare. Il padre lo stette a guardare severamente per un pezzo, poi disse: - Basta cos穫. Se vuoi restare con noi, cammina come gli altri gamberi. Se vuoi fare di testa tua, il ruscello 癡 grande: vattene e non tornare pi羅 indietro.
Il bravo gamberetto voleva bene ai suoi, ma era troppo sicuro di essere nel giusto per avere dei dubbi: abbracci簷



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la madre, salut簷 il padre e i fratelli e si avvi簷 per il mondo.
Il suo passaggio dest簷 subito la sorpresa di un crocchio
di rane che da brave comari si erano radunate a far quattro chiacchiere intorno a una foglia di ninfea.
- Il mondo va a rovescio, - disse una rana, - guardate quel gambero e datemi torto, se potete.
- Non c'癡 pi羅 rispetto, - disse un'altra rana. - Ohib簷, ohib簷, - disse una terza.
Ma il gamberetto prosegu穫 diritto, 癡 proprio il caso di
dirlo, per la sua strada. A un certo punto si sent穫 chiamare da un vecchio gamberone dall'espressione malinconica che se ne stava tutto solo accanto a un sasso. - Buon giorno, - disse il giovane gambero.
Il vecchio lo osserv簷 a lungo, poi disse: - Cosa credi di fare? Anch'io, quando ero giovane, pensavo di insegnare ai gamberi a camminare in avanti. Ed ecco che cosa ci ho
guadagnato: vivo tutto solo, e la gente si mozzerebbe la lingua piuttosto che rivolgermi la parola. Fin che sei in tempo, da' retta a me: rassegnati a fare come gli altri e un giorno mi ringrazierai del consiglio.
Il giovane gambero non sapeva cosa rispondere e stette zitto. Ma dentro di s矇 pensava: 竄Ho ragione io罈. E
salutato gentilmente il vecchio riprese fieramente il suo cammino.
Andr lontano? Far fortuna? Raddrizzer tutte le cose storte di questo mondo? Noi non lo sappiamo, perch矇 egli sta ancora marciando con il coraggio e la decisione del primo giorno. Possiamo solo augurargli, di tutto cuore: - Buon viaggio!









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I capelli del gigante

Una volta c'erano quattro fratelli. Tre erano piccolissimi ma tanto furbi, il quarto era un gigante dalla forza smisurata ma era molto meno furbo degli altri.
La forza ce l'aveva nelle mani e nelle braccia, ma l'intelligenza ce l'aveva nei capelli. I suoi furbi fratellini gli tagliavano i capelli corti corti, perch矇 restasse sempre un po' tonto, e poi tutti i lavori li facevano fare a lui, che era tanto forte, e loro stavano a guardarlo e intascavano il guadagno.
Lui doveva arare i campi, lui spaccare la legna, far girare la ruota del mulino, tirare il carretto al posto del cavallo, e i suoi furbi fratellini sedevano a cassetta e lo guidavano a suon di frusta.
E mentre sedevano a cassetta tenevano d'occhio la sua testa e dicevano:
- Come stai bene con i capelli corti.
- Ah, la vera bellezza non sta mica nei riccioli.
- Guardate quel ciuffetto che si allunga: stasera ci vorr un colpetto di forbici.
Intanto si strizzavano l'occhio, si davano allegre gomitate nei fianchi e al mercato intascavano i soldi, andavano all'osteria e lasciavano il gigante a fare la
guardia al carretto.
Da mangiare gliene davano abbastanza perch矇 potesse lavorare; da bere poi, gliene davano ogni volta che aveva sete, ma solo vino di fontana.


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Un giorno il gigante si ammal簷. I suoi fratellini, per paura che morisse mentre era ancora buono a lavorare, fecero venire i migliori medici del paese a curarlo, gli davano da bere le medicine pi羅 costose e gli portavano la colazione a letto.
E chi gli aggiustava i cuscini, chi gli rimboccava le coperte. E intanto gli dicevano:
- Vedi quanto ti vogliamo bene? Tu dunque non morire, non farci questo torto.
Erano tanto preoccupati per la sua salute che si
dimenticarono di tener d'occhio la capigliatura. I capelli ebbero il tempo di crescere lunghi come non erano mai stati e con i capelli torn簷 al gigante tutta la sua intelligenza. Egli cominci簷 a riflettere, a osservare i suoi fratellini, a sommare due pi羅 due e quattro pi羅 quattro. Comprese finalmente quanto essi fossero stati perfidi, e lui tonto, ma subito non disse nulla. Aspett簷 che gli tornassero le forze e una mattina, mentre i suoi fratellini dormivano ancora, egli si alz簷, li leg簷 come salami e li caric簷 sul carretto.
- Dove ci porti, fratello caro, dove porti i tuoi amati fratellini?
- Ora vedrete.
Li port簷 alla stazione, li ficc簷 in treno legati come stavano e per tutto saluto disse loro: - Andatevene, e non fatevi pi羅 rivedere da queste parti. Mi avete ingannato abbastanza. Adesso il padrone sono io.
Il treno fischi簷, le ruote si mossero, ma i tre furbi fratellini se ne stettero buoni buoni al loro posto e nessuno li ha rivisti mai pi羅.









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Il naso che scappa

Il signor Gogol ha raccontato la storia di un naso di Leningrado, che se ne andava a spasso in carrozza e ne combinava di tutti i colori.
Una storia del genere 癡 accaduta a Laveno, sul Lago Maggiore. Una mattina un signore che abitava proprio di fronte al pontile dove si prendono i battelli si alz簷, and簷 in bagno per farsi la barba e nel guardarsi allo specchio grid簷:
- Aiuto! Il mio naso!
Il naso, in mezzo alla faccia, non c'era pi羅, al suo posto c'era tutto un liscio. Quel signore, in vestaglia come stava, corse sul balcone, giusto in tempo per vedere il naso che usciva sulla piazza e si avviava di buon passo verso il pontile, sgusciando tra le automobili che si stavano imbarcando sulla motonave traghetto per Verbania.
- Ferma, ferma! - grid簷 il signore. - Il mio naso! Al ladro, al ladro!
La gente guardava in su e rideva:
- Le hanno rubato il naso e le hanno lasciato la zucca? Brutto affare.
A quel signore non rimase che scendere in strada e inseguire il fuggitivo, e intanto si teneva un fazzoletto
davanti alla faccia come se avesse il raffreddore. Purtroppo arriv簷 appena in tempo per vedere il battello che si staccava dal pontile. Il signore si butt簷 coraggiosamente in acqua per raggiungerlo, mentre


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passeggeri e turisti gridavano: Forza! Forza! Ma il battello aveva gi preso velocit e il capitano non aveva nessuna intenzione di tornare indietro per imbarcare i ritardatari.
- Aspetti l'altro traghetto, - grid簷 un marinaio a quel signore, - ce n'癡 uno ogni mezz'ora!
Il signore, scoraggiato, stava tornando a riva quando vide il suo naso che, steso sull'acqua un mantello, come San Giulio nella leggenda, navigava a piccola velocit.
- Dunque non hai preso il battello? E stata tutta una
finta? - grid簷 quel signore.
Il naso guardava fisso davanti a s矇, come un vecchio lupo di lago, e non si degn簷 neanche di voltarsi. Il mantello ondeggiava dolcemente come una medusa.
- Ma dove vai? - grid簷 il signore.
Il naso non rispose, e il suo disgraziato padrone si rassegn簷 a raggiungere il porto di Laveno e a passare in mezzo alla folla di curiosi per tornare a casa, dove si tapp簷, dando ordine alla domestica di non lasciar entrare nessuno, e passava il tempo a guardarsi nello specchio la faccia senza naso.
Qualche giorno dopo un pescatore di Ranco, tirando su la rete, ci trov簷 il naso fuggitivo, che aveva fatto naufragio in mezzo al lago perch矇 il mantello era pieno di buchi, e pens簷 di portarlo al mercato di Laveno.
La serva di quel signore, che era andata al mercato per comprare il pesce, vide subito il naso, esposto in bella vista in mezzo alle tinche e ai lucci.
- Ma questo 癡 il naso del mio padrone! - esclam簷 inorridita. - Datemelo subito che glielo porto.
- Di chi sia non so, - dichiar簷 il pescatore, - io l'ho pescato e lo vendo.
- A quanto?




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- A peso d'oro, si sa. un naso, non 癡 mica un pesce persico.
La domestica corse a informare il suo padrone. - Dagli
quello che domanda! Voglio il mio naso!
La domestica fece il conto che ci voleva un sacco di denaro, perch矇 il naso era piuttosto grosso: ci volevano tremendamila lire, tredici tredicioni e mezzo. Per mettere insieme la somma dovette vendere anche i suoi orecchini, ma siccome era molto affezionata al suo padrone li sacrific簷 con un sospiro.
Compr簷 il naso, lo avvolse in un fazzoletto e lo port簷 a casa. Il naso si lasci簷 ricondurre buono buono, e non si ribell簷 nemmeno quando il suo padrone lo accolse tra le mani tremanti.
- Ma perch矇 sei scappato? Che cosa ti avevo fatto?
Il naso lo guard簷 di traverso, arricciandosi tutto per il disgusto, e disse: - Senti, non metterti mai pi羅 le dita nel naso. 0 almeno tagliati le unghie.



























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La strada che non andava in nessun posto

All'uscita del paese si dividevano tre strade: una andava verso il mare, la seconda verso la citt e la terza non andava in nessun posto.
Martino lo sapeva perch矇 l'aveva chiesto un po' a tutti, e da tutti aveva avuto la stessa risposta:
- Quella strada l穫? Non va in nessun posto. inutile camminarci.
- E fin dove arriva?
- Non arriva da nessuna parte.
- Ma allora perch矇 l'hanno fatta?
- Non l'ha fatta nessuno, 癡 sempre stata l穫.
- Ma nessuno 癡 mai andato a vedere?
- Sei una bella testa dura: se ti diciamo che non c'癡 niente da vedere...
- Non potete saperlo, se non ci siete stati mai.
Era cos穫 ostinato che cominciarono a chiamarlo Martino Testadura, ma lui non se la prendeva e continuava a pensare alla strada che non andava in nessun posto.
Quando fu abbastanza grande da attraversare la strada senza dare la mano al nonno, una mattina si alz簷 per tempo, usc穫 dal paese e senza esitare imbocc簷 la strada misteriosa e and簷 sempre avanti. Il fondo era pieno di buche e di erbacce, ma per fortuna non pioveva da un pezzo, cos穫 non c'erano pozzanghere. A destra e a sinistra si allungava una siepe, ma ben presto cominciarono i


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boschi. I rami degli alberi si intrecciavano al di sopra della strada e formavano una galleria oscura e fresca, nella quale penetrava solo qua e l qualche raggio di sole a far da fanale.
Cammina e cammina, la galleria non finiva mai, la strada non finiva mai, a Martino dolevano i piedi, e gi cominciava a pensare che avrebbe fatto bene a tornarsene indietro quando vide un cane.
竄Dove c'癡 un cane c'癡 una casa, - riflett矇 Martino, - o per lo meno un uomo罈.
Il cane gli corse incontro scodinzolando e gli lecc簷 le mani, poi si avvi簷 lungo la strada e ad ogni passo si voltava per controllare se Martino lo seguiva ancora.
- Vengo, vengo, - diceva Martino, incuriosito. Finalmente il bosco cominci簷 a diradarsi, in alto
riapparve il cielo e la strada termin簷 sulla soglia di un grande cancello di ferro.
Attraverso le sbarre Martino vide un castello con tutte le porte e le finestre spalancate, e il fumo usciva da tutti i comignoli, e da un balcone una bellissima signora salutava con la mano e gridava allegramente:
- Avanti, avanti, Martino Testadura!
- Toh, - si rallegr簷 Martino, - io non sapevo che sarei arrivato, ma lei s穫.
Spinse il cancello, attravers簷 il parco ed entr簷 nel salone del castello in tempo per fare l'inchino alla bella signora che scendeva dallo scalone. Era bella, e vestita anche meglio delle fate e delle principesse, e in pi羅 era proprio allegra e rideva:
- Allora non ci hai creduto. - A che cosa?
- Alla storia della strada che non andava in nessun posto.
- Era troppo stupida. E secondo me ci sono anche pi羅 posti che strade.



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- Certo, basta aver voglia di muoversi. Ora vieni, ti far簷 visitare il castello.
C'erano pi羅 di cento saloni, zeppi di tesori d'ogni
genere, come quei castelli delle favole dove dormono le belle addormentate o dove gli orchi ammassano le loro ricchezze. C'erano diamanti, pietre preziose, oro, argento, e ogni momento la bella signora diceva: - Prendi, prendi quello che vuoi. Ti prester簷 un carretto per portare il peso.
Figuratevi se Martino si fece pregare. Il carretto era ben pieno quando egli ripart穫. A cassetta sedeva il cane,
che era un cane ammaestrato, e sapeva reggere le briglie e abbaiare ai cavalli quando sonnecchiavano e uscivano di strada.
In paese, dove l'avevano gi dato per morto, Martino Testadura fu accolto con grande sorpresa. Il cane scaric簷 in piazza tutti i suoi tesori, dimen簷 due volte la coda in segno di saluto, rimont簷 a cassetta e via, in una nuvola di
polvere. Martino fece grandi regali a tutti, amici e nemici, e dovette raccontare cento volte la sua avventura, e ogni volta che finiva qualcuno correva a casa a prendere carretto e cavallo e si precipitava gi羅 per la strada che non andava in nessun posto.
Ma quella sera stessa tornarono uno dopo l'altro, con la faccia lunga cos穫 per il dispetto: la strada, per loro, finiva
in mezzo al bosco, contro un fitto muro d'alberi, in un
mare di spine. Non c'era pi羅 n矇 cancello, n矇 castello, n矇 bella signora. Perch矇 certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova, e il primo era stato Martino Testadura.










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Lo spaventapasseri

Gonario era l'ultimo di sette fratelli. I suoi genitori non avevano soldi per mandarlo a scuola, perci簷 lo mandarono a lavorare in una grande fattoria agricola. Gonario doveva fare lo spaventapasseri, per tener lontani gli uccelli dai campi. Ogni mattina gli davano un cartoccio di polvere da sparo e Gonario, per ore ed ore, faceva su e gi羅 per i campi, e di tratto in tratto si fermava e dava fuoco a un pizzico di polvere. L'esplosio-ne spaventava gli uccelli che fuggivano, temendo i cacciatori.
Una volta il fuoco si appicc簷 alla giacca di Gonario, e se il bambino non fosse stato svelto a tuffarsi in un fosso certamente sarebbe morto tra le fiamme. Il suo tuffo spavent簷 le rane, che fuggirono con clamore, e il loro clamore spavent簷 i grilli e le cicale, che smisero per un attimo di cantare.
Ma il pi羅 spaventato di tutti era lui, Gonario, e piangeva tutto solo in riva al fosso, bagnato come un brutto anatroccolo, piccolo, stracciato e affamato. Piangeva cos穫 disperatamente che i passeri si fermarono su un albero a guardarlo, e pigolavano di compassione per consolarlo. Ma i passeri non possono consolare uno
spaventapasseri.
Questa storia 癡 accaduta in Sardegna.





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A giocare col bastone

Un giorno il piccolo Claudio giocava sotto il portone, e sulla strada pass簷 un bel vecchio con gli occhiali d'oro, che camminava curvo, appoggiandosi a un bastone, e proprio davanti al portone il bastone gli cadde.
Claudio fu pronto a raccoglierlo e lo porse al vecchio, che sorrise e disse:
- Grazie, ma non mi serve. Posso camminare benissimo senza. Se ti piace, tienilo.
E senza aspettare risposta si allontan簷, e pareva meno
curvo di prima. Claudio rimase l穫 col bastone fra le mani e non sapeva che farne. Era un comune bastone di legno, col manico ricurvo e il puntale di ferro, e niente altro di speciale da notare.
Claudio picchi簷 due o tre volte il puntale per terra, poi, quasi senza pensarci, inforc簷 il bastone ed ecco che non era pi羅 un bastone, ma un cavallo, un meraviglioso
puledro nero con una stella bianca in fronte, che si slanci簷 al galoppo intorno al cortile, nitrendo e facendo sprizzare scintille dai ciottoli.
Quando Claudio, meravigliato e un po' spaventato, riusc穫 a rimettere il piede a terra, il bastone era di nuovo un bastone, e non aveva zoccoli ma un semplice puntale
arrugginito, n矇 criniera, ma il solito manico ricurvo.
- Voglio riprovare, - decise Claudio, quando ebbe ripreso fiato.



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Inforc簷 di nuovo il bastone, e stavolta esso non fu un cavallo, ma un solenne cammello a due gobbe, e il cortile era un immenso deserto da attraversare, ma Claudio non aveva paura e scrutava in lontananza, per veder comparire l'oasi.
竄 certamente un bastone fatato罈, si disse Claudio, inforcandolo per la terza volta. Adesso era un'automobile da corsa, tutta rossa, col numero scritto in bianco sul cofano, e il cortile una pista rombante, e Claudio arrivava sempre primo al traguardo.
Poi il bastone fu un motoscafo, e il cortile un lago dalle acque calme e verdi, e poi un'astronave che fendeva lo spazio, lasciandosi dietro una scia di stelle.
Ogni volta che Claudio rimetteva il piede a terra il bastone riprendeva il suo pacifico aspetto, il manico lucido, il vecchio puntale.
Il pomeriggio pass簷 veloce tra quei giochi. Verso sera
Claudio si riaffacci簷 per caso sulla strada, ed ecco di ritorno il vecchio dagli occhiali d'oro. Claudio lo osserv簷 con curiosit, ma non pot矇 vedere in lui niente di speciale: era un vecchio signore qualunque, un po' affaticato dalla passeggiata.
- Ti piace il bastone? - egli domand簷 sorridendo a
Claudio.
Claudio credette che lo rivolesse indietro, e glielo tese, arrossendo.
Ma il vecchio fece cenno di no.
- Tienilo, tienilo, - disse. - Che cosa me ne faccio, ormai, di un bastone? Tu ci puoi volare, io potrei soltanto appoggiarmi. Mi appogger簷 al muro e sar lo stesso.
E se ne and簷 sorridendo, perch矇 non c'癡 persona pi羅 felice al mondo del vecchio che pu簷 regalare qualcosa ad un bambino.




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Vecchi proverbi

- Di notte, - sentenziava un Vecchio Proverbio, - tutti i gatti sono bigi.
- E io son nero, - disse un gatto nero attraversando la strada.
- E impossibile: i Vecchi Proverbi hanno sempre ragione.
- Ma io sono nero lo stesso, - ripet矇 il gatto.
Per la sorpresa e per l'amarezza il Vecchio Proverbio cadde dal tetto e si ruppe una gamba.
Un altro Vecchio Proverbio and簷 a vedere una partita di calcio, prese da parte un giocatore e gli sussurr簷 nell'orecchio: - Chi fa da s矇 fa per tre!
Il calciatore si prov簷 a giocare al pallone da solo, ma era una noia da morire e non poteva vincere mai, perci簷 fece ritorno in squadra. Il Vecchio Proverbio, per il disappunto, si ammal簷 e dovettero levargli le tonsille.
Una volta tre Vecchi Proverbi si incontrarono e avevano appena aperto bocca che cominciarono a litigare:
- Chi bene incomincia 癡 a met dell'opera, - disse il primo.
- Niente affatto, - disse il secondo, - la virt羅 sta nel mezzo.
- Gravissimo errore, - esclam簷 il terzo, - il dolce 癡 in fondo.
Si presero per i capelli e sono ancora l che se le danno.


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Poi c'癡 la storia di quel Vecchio Proverbio che aveva voglia di una pera, e si mise sotto l'albero, e intanto pensava: 竄Quando la pera 癡 matura casca da s矇罈.
Ma la pera casc簷 soltanto quando fu marcia fradicia, e si spiaccic簷 sulla zucca del Vecchio Proverbio, che per il dispiacere diede le dimissioni.












































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L'Apollonia della marmellata

A Sant'Antonio, sul Lago Maggiore, viveva una donnina tanto brava a fare la marmellata, cos穫 brava che i suoi servigi erano richiesti in Valcuvia, in Valtravaglia, in Val Dumentina e in Val Poverina. La gente, quand'era la stagione, arrivava da tutte le valli, si sedeva sul muricciolo a guardare il panorama del lago, coglieva qualche lampone dai cespugli, poi chiamava la donnina della marmellata:
- Apollonia! - Che c'癡?
- Me la fareste una marmellata di mirtilli?
- Eccomi.
- Mi aiutereste a fare una buona marmellata di prugne?
- Subito.
L'Apollonia, quella donnina, aveva proprio le mani d'oro, e faceva le migliori marmellate del Varesotto e del Canton Ticino.
Una volta capit簷 da lei una donnetta di Arcumeggia, cos穫 povera che per fare la marmellata non aveva neanche un cartoccio di ghiande di pesca, e allora, strada facendo, si era riempito il grembiule di ricci di castagne.
- Apollonia, me la fareste la marmellata?
- Coi ricci?
- Non ho trovato altro...
- Pazienza, prover簷.
E l'Apollonia tanto fece che dai ricci delle castagne cav簷 la meraviglia delle marmellate.


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Un'altra volta quella donnina di Arcumeggia non trov簷 nemmeno i ricci delle castagne, perch矇 le foglie secche, cadendo, li avevano ricoperti; perci簷 arriv簷 con un grembiule pieno di ortiche.
- Apollonia, me la fate la marmellata?
- Con le ortiche?
- Non ho trovato altro...
- Pazienza, si vedr.
E l'Apollonia prese le ortiche, le inzuccher簷, le fece bollire come sapeva lei e ne ottenne una marmellata da leccarsi le dita.
Perch矇 l'Apollonia, quella donnina, aveva le mani d'oro e d'argento, e avrebbe fatto la marmellata anche con i sassi.
Una volta pass簷 di l穫 l'imperatore e volle provare anche lui la marmellata dell'Apollonia, e lei gliene dette un piattino, ma l'imperatore dopo la prima cucchiaiata si
disgust簷, perch矇 c'era caduta dentro una mosca.
- Mi fa schifo, - disse l'imperatore.
- Se non era buona, la mosca non ci cascava, - disse l'Apollonia.
Ma ormai l'imperatore si era arrabbiato e ordin簷 ai suoi soldati di tagliare le mani all'Apollonia.
Allora la gente si ribell簷 e mand簷 a dire all'imperatore che se lui faceva tagliare le mani all'Apollonia loro gli avrebbero tagliato la corona con tutta la testa, perch矇 teste per fare l'imperatore se ne trovano a tutte le cantonate, ma mani d'oro come quelle dell'Apollonia sono ben pi羅 preziose e rare.
E l'imperatore dovette far fagotto.









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La vecchia zia Ada

La vecchia zia Ada, quando fu molto vecchia, and簷 ad abitare al ricovero dei vecchi, in una stanzina con tre letti, dove gi stavano due vecchine, vecchie quanto lei. La vecchia zia Ada si scelse subito una poltroncina accanto alla finestra e sbriciol簷 un biscotto secco sul davanzale.
- Brava, cos穫 verranno le formiche, - dissero le altre due vecchine, stizzite.
Invece dal giardino del ricovero venne un uccellino, becc簷 di gusto il biscotto e vol簷 via.
- Ecco, - borbottarono le vecchine, - che cosa ci avete guadagnato? Ha beccato ed 癡 volato via. Proprio come i nostri figli che se ne sono andati per il mondo, chiss dove, e di noi che li abbiamo allevati non si ricordano pi羅.
La vecchia zia Ada non disse nulla, ma tutte le mattine sbriciolava un biscotto sul davanzale e l'uccellino veniva a beccarlo, sempre alla stessa ora, puntuale come un
pensionante, e se non era pronto bisognava vedere come si innervosiva.
Dopo qualche tempo l'uccellino port簷 anche i suoi piccoli, perch矇 aveva fatto il nido e gliene erano nati quattro, e anche loro beccarono di gusto il biscotto della vecchia zia Ada, e venivano tutte le mattine, e se non lo
trovavano facevano un gran chiasso.
- Ci sono i vostri uccellini, - dicevano allora le vecchine alla vecchia zia Ada, con un po' d'invidia. E lei correva, per modo di dire, a passettini passettini, fino al


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suo cassettone, scovava un biscotto secco tra il cartoccio del caff癡 e quello delle caramelle all'anice e intanto diceva:
- Pazienza, pazienza, sono qui che arrivo.
- Eh, - mormoravano le altre vecchine, - se bastasse mettere un biscotto sul davanzale per far tornare i nostri figli. E i vostri, zia Ada, dove sono i vostri?
La vecchia zia Ada non lo sapeva pi羅: forse in Austria, forse in Australia; ma non si lasciava confondere, spezzava il biscotto agli uccellini e diceva loro:
- Mangiate, su, mangiate, altrimenti non avrete abbastanza forza per volare.
E quando avevano finito di beccare il biscotto:
- Su, andate, andate. Cosa aspettate ancora? Le ali sono fatte per volare.
Le vecchine crollavano il capo e pensavano che la vecchia zia Ada fosse un po' matta, perch矇 vecchia e
povera com'era aveva ancora qualcosa da regalare e non pretendeva nemmeno che le dicessero grazie.
Poi la vecchia zia Ada mor穫, e i suoi figli lo seppero solo dopo un bel po' di tempo, e non valeva pi羅 la pena di mettersi in viaggio per il funerale. Ma gli uccellini tornarono per tutto l'inverno sul davanzale della finestra e
protestavano perch矇 la vecchia zia Ada non aveva preparato il biscotto.
















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Il sole e la nuvola

Il sole viaggiava in cielo, allegro e glorioso sul suo carro di fuoco, gettando i suoi raggi in tutte le direzioni, con grande rabbia di una nuvola di umore temporalesco, che borbottava:
- Sciupone, mano bucata, butta via, butta via i tuoi raggi, vedrai quanti te ne rimangono.
Nelle vigne ogni acino d'uva che maturava sui tralci rubava un raggio al minuto, o anche due; e non c'era filo d'erba, o ragno, o fiore, o goccia d'acqua, che non si
prendesse la sua parte.
- Lascia, lascia che tutti ti derubino: vedrai come ti ringrazieranno, quando non avrai pi羅 niente da farti rubare.
Il sole continuava allegramente il suo viaggio, regalando raggi a milioni, a miliardi, senza contarli.
Solo al tramonto cont簷 i raggi che gli rimanevano: e
guarda un po', non gliene mancava nemmeno uno. La nuvola, per la sorpresa, si sciolse in grandine. Il sole si tuff簷 allegramente nel mare.












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Il re che doveva morire

Una volta un re doveva morire. Era un re assai potente, ma era malato a morte e si disperava: - Possibile che un re tanto potente debba morire? Che fanno i miei maghi? Perch矇 non mi salvano?
Ma i maghi erano scappati per paura di perdere la testa. Ne era rimasto uno solo, un vecchio mago a cui nessuno dava retta, perch矇 era piuttosto bislacco e forse anche un po' matto. Da molti anni il re non lo consultava, ma stavolta lo mand簷 a chiamare.
- Puoi salvarti, - disse il mago, - ma ad un patto: che tu ceda per un giorno il tuo trono all'uomo che ti somiglia pi羅 di tutti gli altri. Lui, poi, morir al tuo posto.
Subito venne fatto un bando in tutto il reame: - Coloro che somigliano al re si presentino a Corte entro ventiquattr'ore, pena la vita.
Se ne presentarono molti: alcuni avevano la barba
uguale a quella del re, ma avevano il naso un tantino pi羅 lungo o pi羅 corto, e il mago li scartava; altri somigliavano al re come un'arancia somiglia a un'altra nella cassetta del fruttivendolo, ma il mago li scartava perch矇 gli mancava un dente, o perch矇 avevano un neo sulla schiena.
- Ma tu li scarti tutti, - protestava il re col suo mago. -
Lasciami provare con uno di loro, per cominciare.
- Non ti servir a niente, - ribatteva il mago.





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Una sera il re e il suo mago passeggiavano sui bastioni della citt, e a un tratto il mago grid簷: - Ecco, ecco l'uomo che ti somiglia pi羅 di tutti gli altri!
E cos穫 dicendo indicava un mendicante storpio, gobbo, mezzo cieco, sporco e pieno di croste.
- Ma com'癡 possibile, - protest簷 il re, - tra noi due c'癡 un abisso.
- Un re che deve morire, - insisteva il mago, - somiglia soltanto al pi羅 povero, al pi羅 disgraziato della citt. Presto, cambia i tuoi vestiti con i suoi per un giorno,
mettilo sul trono e sarai salvo.
Ma il re non volle assolutamente ammettere di assomigliare al mendicante. Torn簷 al palazzo tutto imbronciato e quella sera stessa mor穫, con la corona in testa e lo scettro in pugno.































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Il mago delle comete

Una volta un mago invent簷 una macchina per fare le comete. Somigliava un tantino alla macchina per tagliare il brodo, ma non era la stessa, e serviva per fabbricare comete a volont, grandi o piccole, con la coda semplice o doppia, con la luce gialla o rossa, eccetera.
Il mago girava per paesi e citt, non mancava mai a un mercato, si presentava anche alla Fiera di Milano e alla Fiera dei cavalli, a Verona, e dappertutto mostrava la sua macchina e spiegava com'era facile farla funzionare. Le comete uscivano piccole, con un filo per tenerle, poi man mano che salivano in alto diventavano della grandezza voluta, ed anche le pi羅 grandi non erano pi羅 difficili da governare di un aquilone. La gente si affollava intorno al mago, come si affolla sempre intorno a quelli che mostrano una macchina al mercato, per fare gli spaghetti pi羅 fini o per pelare le patate, ma non comprava mai neanche una cometina piccola cos穫.
- Se era un palloncino, magari, - diceva una buona donna, - ma se gli compro una cometa il mio bambino chiss che guai combina.
E il mago: - Ma fatevi coraggio! I vostri bambini andranno sulle stelle, cominciate ad abituarli da piccoli. -
No, no, grazie. Sulle stelle ci andr qualcun altro, mio figlio no di sicuro.
- Comete! Comete vere! Chi ne vuole? Ma non le voleva nessuno.


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Il povero mago, a furia di saltar pasti, perch矇 non rimediava una lira, era ridotto pelle e ossa. Una sera che aveva pi羅 fame del solito trasform簷 la sua macchina per fare le comete in una caciottella toscana e se la mangi簷.















































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Il pescatore di Cefal繳

Una volta un pescatore di Cefal羅, nel tirare in barca la rete, la sent穫 pesante pesante, e chiss cosa credeva di trovarci. Invece ci trov簷 un pesciolino lungo un mignolo, lo afferr簷 con rabbia e stava per ributtarlo in mare quando ud穫 una vocina sottile che diceva:
- Ahi, non mi stringere cos穫 forte.
Il pescatore si guard簷 intorno e non vide nessuno, n矇 vicino n矇 lontano, e alz簷 il braccio per buttare il pesce, ma ecco di nuovo la vocina:
- Non mi buttare, non mi buttare!
Allora cap穫 che la voce veniva dal pesce, lo apr穫 e ci trov簷 dentro un bambino piccolo piccolo, ma ben fatto, coi piedi, le mani, la faccina, tutto proprio a posto, solo che dietro la schiena aveva due pinne, come i pesci.
- Chi sei?
- Sono il bambino di mare.
- E che vuoi da me?
- Se mi terrai con te ti porter簷 fortuna. Il pescatore sospir簷:
- Ho gi tanti figli da mantenere, proprio a me doveva toccare questa fortuna di averne da sfamare un altro.
- Vedrai, - disse il bambino di mare.
Il pescatore lo port簷 a casa, gli fece fare una camicia per nascondere le pinne e lo mise a dormire nella culla del suo ultimo nato, e non occupava nemmeno mezzo cuscino con tutta la persona.


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Quello che mangiava, per簷, era uno spavento: mangiava pi羅 lui di tutti gli altri figli del pescatore, che erano sette, uno pi羅 affamato dell'altro.
- Una bella fortuna davvero, - sospirava il pescatore. - Andiamo a pescare? - disse la mattina dopo il bambino di mare con la sua vocetta sottile sottile. Andarono, e il bambino di mare disse: - Rema diritto fin che te lo dico io. Ecco, siamo arrivati. Butta la rete qua sotto.
Il pescatore ubbid穫, e quando ritir簷 la rete la vide piena come non l'aveva mai vista, ed era tutto pesce di prima
qualit.
Il bambino di mare batt矇 le mani: - Te l'avevo detto, io so dove stanno i pesci.
In breve tempo il pescatore arricch穫, compr簷 una seconda barca, poi una terza, poi tante, e tutte andavano in mare a buttare le reti per lui, e le reti si riempivano di pesce fino, e il pescatore guadagnava tanti soldi che
dovette far studiare da ragioniere uno dei suoi figli per contarli.
Diventando ricco, per簷, il pescatore dimentic簷 quel che aveva sofferto quando era povero. Trattava male i suoi marinai, li pagava poco, e se protestavano li licenziava.
- Come faremo a sfamare i nostri bambini? - essi si
lamentavano.
- Dategli dei sassi, - egli rispondeva, - vedrete che li digeriranno.
Il bambino di mare, che vedeva tutto e sentiva tutto, una sera gli disse:
- Bada che quel che 癡 stato fatto si pu簷 disfare.
Ma il pescatore rise e non gli diede retta. Anzi, prese il bambino di mare, lo rinchiuse in una grossa conchiglia e lo gett簷 in acqua.






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E chiss quanto tempo dovr passare prima che il bambino di mare possa liberarsi. Voi cosa fareste al suo posto?

















































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Il re Mida

Il re Mida era un grande spendaccione, tutte le sere dava feste e balli, fin che si trov簷 senza un centesimo. And簷 dal mago Apollo, gli raccont簷 i suoi guai e Apollo gli fece questo incantesimo: - Tutto quello che le tue mani toccano deve diventare oro.
Il re Mida fece un salto per la contentezza e torn簷 di corsa alla sua automobile, ma non fece in tempo a toccare la maniglia della portiera che subito la macchina divent簷 tutta d'oro: ruote d'oro, vetri d'oro, motore d'oro. Era diventata d'oro anche la benzina, cos穫 la macchina non camminava pi羅 e bisogn簷 far venire un carro coi buoi per trasportarla.
Appena a casa il re Mida andava in giro per le stanze a toccare pi羅 cose che poteva, tavoli, armadi, sedie, e tutto diventava d'oro. A un certo punto ebbe sete, si fece portare un bicchiere d'acqua, ma il bicchiere divent簷 d'oro, l'acqua pure, e se volle bere dovette lasciarsi imboccare dal suo servo col cucchiaio.
Venne l'ora di andare a tavola. Toccava la forchetta e diventava d'oro e tutti gli invitati battevano le mani e dicevano: - Maest, toccatemi i bottoni della giacca, toccatemi questo ombrello.
Il re Mida li faceva contenti, ma quando prese il pane per mangiare anche quello divent簷 d'oro e se volle cavarsi l'appetito dovette farsi imboccare dalla regina. Gli invitati si nascondevano sotto il tavolo a ridere e il re Mida si


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arrabbi簷, ne acchiapp簷 uno e gli fece diventare d'oro il naso, cos穫 non poteva pi羅 soffiarselo.
Venne l'ora di andare a dormire, ma il re Mida, senza
volerlo, tocc簷 il cuscino, tocc簷 le lenzuola e il materasso, diventarono d'oro massiccio ed erano troppo duri per dormirci. Gli tocc簷 di passare la notte seduto su una poltrona, con le braccia alzate per non toccare niente, e la mattina dopo era stanco morto. Corse subito dal mago Apollo per farsi disfare l'incantesimo, e Apollo lo accontent簷.
- Va bene, - gli disse, - ma sta' bene attento, perch矇 per far passare l'incantesimo ci vogliono sette ore e sette minuti giusti, e in questo tempo tutto quello che toccherai diventer cacca di mucca.
Il re Mida se ne and簷 tutto consolato, e stava bene attento all'orologio, per non toccare niente prima che fossero passati sette ore e sette minuti.
Purtroppo il suo orologio correva un po' pi羅 del necessario, e andava avanti un minuto ogni ora. Quando ebbe contato sette ore e sette minuti il re Mida apr穫 la macchina e ci mont簷, e subito si trov簷 seduto in mezzo a un gran mucchio di cacca di mucca, perch矇 mancavano ancora sette minuti alla fine dell'incantesimo.



















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Il semaforo blu

Una volta il semaforo che sta a Milano in piazza del Duomo fece una stranezza. Tutte le sue luci, ad un tratto, si tinsero di blu, e la gente non sapeva pi羅 come regolarsi.
- Attraversiamo o non attraversiamo? Stiamo o non stiamo?
Da tutti i suoi occhi, in tutte le direzioni, il semaforo diffondeva l'insolito segnale blu, di un blu che cos穫 blu il cielo di Milano non era stato mai.
In attesa di capirci qualcosa gli automobilisti
strepitavano e strombettavano, i motociclisti facevano ruggire lo scappamento e i pedoni pi羅 grassi gridavano: - Lei non sa chi sono io!
Gli spiritosi lanciavano frizzi: - Il verde se lo sar mangiato il commendatore, per farci una villetta in campagna.
- Il rosso lo hanno adoperato per tingere i pesci ai
Giardini.
- Col giallo sapete che ci fanno? Allungano l'olio d'oliva.
Finalmente arriv簷 un vigile e si mise lui in mezzo all'incrocio a districare il traffico. Un altro vigile cerc簷 la cassetta dei comandi per riparare il guasto, e tolse la
corrente.
Prima di spegnersi il semaforo blu fece in tempo a pensare:



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竄Poveretti! Io avevo dato il segnale di "via libera" per il cielo. Se mi avessero capito, ora tutti saprebbero volare. Ma forse gli 癡 mancato il coraggio罈.

















































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Il topo che mangiava i gatti

Un vecchio topo di biblioteca and簷 a trovare i suoi cugini, che abitavano in solaio e conoscevano poco il mondo.
- Voi conoscete poco il mondo, - egli diceva ai suoi timidi parenti, - e probabilmente non sapete nemmeno leggere.
- Eh, tu la sai lunga, - sospiravano quelli.
- Per esempio, avete mai mangiato un gatto?
- Eh, tu la sai lunga. Ma da noi sono i gatti che mangiano i topi.
- Perch矇 siete ignoranti. Io ne ho mangiato pi羅 d'uno e vi assicuro che non hanno detto neanche: Ahi!
- E di che sapevano?
- Di carta e d'inchiostro, a mio parere. Ma questo 癡 niente. Avete mai mangiato un cane?
- Per carit.
- Io ne ho mangiato uno proprio ieri. Un cane lupo. Aveva certe zanne... Bene, si 癡 lasciato mangiare quieto quieto e non ha detto neanche: Ahi!
- E di che sapeva?
- Di carta, di carta. E un rinoceronte l'avete mai mangiato?
- Eh, tu la sai lunga. Ma noi un rinoceronte non l'abbiamo visto mai. Somiglia al parmigiano o al gorgonzola?



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- Somiglia a un rinoceronte, naturalmente. E avete mai mangiato un elefante, un frate, una principessa, un albero di Natale?
In quel momento il gatto, che era stato ad ascoltare dietro un baule, balz簷 fuori con un miagolio minaccioso. Era un gatto vero, di carne e d'ossa, con baffi e artigli. I topolini volarono a rintanarsi, tranne il topo di biblioteca, che per la sorpresa era rimasto immobile sulle sue zampe come un monumentino. Il gatto lo agguant簷 e cominci簷 a giocare con lui.
- Tu saresti il topo che mangia i gatti?
- Io, Eccellenza... Lei deve comprendere... Stando sempre in libreria...
- Capisco, capisco. Li mangi in figura, stampati nei libri.
- Qualche volta, ma solo per ragioni di studio.
- Certo. Anch'io apprezzo la letteratura. Ma non ti pare che avresti dovuto studiare un pochino anche dal vero? Avresti imparato che non tutti i gatti sono fatti di carta, e non tutti i rinoceronti si lasciano rosicchiare dai topi.
Per fortuna del povero prigioniero il gatto ebbe un attimo di distrazione, perch矇 aveva visto passare un ragno sul pavimento. Il topo di biblioteca, con due salti, torn簷 tra i suoi libri, e il gatto dovette accontentarsi di mangiare il ragno.
















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Abbasso il nove

Uno scolaro faceva le divisioni:
- Il tre nel tredici sta quattro volte con l'avanzo di uno. Scrivo quattro al quoto. Tre per quattro dodici, al tredici uno. Abbasso il nove...
- Ah no, - grid簷 a questo punto il nove. - Come? - domand簷 lo scolaro.
- Tu ce l'hai con me: perch矇 hai gridato 竄abbasso il nove罈? Che cosa ti ho fatto di male? Sono forse un nemico pubblico?
- Ma io...
- Ah, lo immagino bene, avrai la scusa pronta. Ma a me non mi va gi羅 lo stesso. Grida 竄abbasso il brodo di dadi罈,
竄abbasso lo sceriffo罈, e magari anche 竄abbasso l'aria fritta罈, ma perch矇 proprio 竄abbasso il nove罈?
- Scusi, ma veramente...
- Non interrompere, 癡 cattiva educazione. Sono una semplice cifra, e qualsiasi numero di due cifre mi pu簷 mangiare il risotto in testa, ma anch'io ho la mia dignit e voglio essere rispettato. Prima di tutto dai bambini che hanno ancora il moccio al naso. Insomma, abbassa il tuo naso, abbassa gli avvolgibili, ma lasciami stare.
Confuso e intimidito, lo scolaro non abbass簷 il nove, sbagli簷 la divisione e si prese un brutto voto. Eh, qualche volta non 癡 proprio il caso di essere troppo delicati.





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Tonfino l'invisibile

Una volta un ragazzo di nome Tonino and簷 a scuola che non sapeva la lezione ed era molto preoccupato al pensiero che il maestro lo interrogasse.
竄Ah, - diceva tra s矇, - se potessi diventare invisibile...罈 Il maestro fece l'appello, e quando arriv簷 al nome di
Tonino, il ragazzo rispose: - Presente! - ma nessuno lo sent穫, e il maestro disse: - Peccato che Tonino non sia venuto, avevo giusto pensato di interrogarlo. Se 癡 ammalato, speriamo che non sia niente di grave.
Cos穫 Tonino comprese di essere diventato invisibile, come aveva desiderato. Per la gioia spicc簷 un salto dal suo banco e and簷 a finire nel cestino della carta straccia. Si rialz簷 e si aggir簷 qua e l per la classe, tirando i capelli a questo e a quello e rovesciando i calamai. Nascevano rumorose proteste, litigi a non finire. Gli scolari si accusavano l'un l'altro di quei dispetti, e non potevano
sospettare che la colpa era invece di Tonino l'invisibile.
Quando si fu stancato di quel gioco Tonino usc穫 dalla scuola e sal穫 su un filobus, naturalmente senza pagare il biglietto, perch矇 il fattorino non poteva vederlo. Trov簷 un posto libero e si accomod簷. Alla fermata successiva sal穫 una signora con la borsa della spesa e fece per sedersi proprio in quel sedile, che ai suoi occhi era libero.
Invece sedette sulle ginocchia di Tonino, che si sent穫 soffocare. La signora grid簷: - Che tranello 癡 questo? Non



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ci si pu簷 pi羅 nemmeno sedere? Guardate, faccio per posare la borsa e rimane sospesa per aria.
La borsa in realt era posata sulle ginocchia di Tonino.
Nacque una gran discussione, e quasi tutti i passeggeri pronunciarono parole di fuoco contro l'azienda tranviaria.
Tonino scese in centro, si infil簷 in una pasticceria e cominci簷 a servirsi a volont, pescando a due mani tra maritozzi, bign癡 al cioccolato e paste d'ogni genere. La commessa, che vedeva sparire le paste dal banco, diede la colpa a un dignitoso signore che stava comprando delle
caramelle col buco per una vecchia zia. Il signore protest簷: - Io un ladro? Lei non sa con chi parla. Lei non sa chi era mio padre. Lei non sa chi era mio nonno!
- Non voglio nemmeno saperlo, - rispose la commessa.
- Come, si permette di insultare mio nonno!
Fu una lite spaventosa. Corsero le guardie. Tonino l'invisibile scivol簷 tra le gambe del tenente e si avvi簷 verso la scuola, per assistere all'uscita dei suoi compagni. Difatti li vide uscire, anzi, rotolare gi羅 a valanga dai gradini della scuola, ma essi non lo videro affatto. Tonino si affannava invano a rincorrere questo e quello, a tirare i capelli al suo amico Roberto, a offrire un leccalecca al suo amico Guiscardo. Non lo vedevano, non gli davano retta per nulla, i loro sguardi lo trapassavano come se fosse stato di vetro.
Stanco e un po' scoraggiato Tonino rincas簷. Sua madre era al balcone ad aspettarlo. - Sono qui, mamma! - grid簷 Tonino. Ma essa non lo vide e non lo ud穫, e continuava a scrutare ansiosamente la strada alle sue spalle.
- Eccomi, pap, - esclam簷 Tonino, quando fu in casa,
sedendosi a tavola al suo solito posto. Ma il babbo mormorava, inquieto: - Chiss perch矇 Tonino tarda tanto. Non gli sar mica successa qualche disgrazia?




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- Ma sono qui, sono qui! Mamma, pap! - gridava
Tonino. Ma essi non udivano la sua voce.
Tonino ormai piangeva, ma a che servono le lacrime, se nessuno pu簷 vederle?
- Non voglio pi羅 essere invisibile, - si lamentava Tonino, col cuore in pezzi. - Voglio che mio padre mi veda, che mia madre mi sgridi, che il maestro mi interroghi! Voglio giocare con i miei amici! brutto essere invisibili, 癡 brutto star soli.
Usc穫 sulle scale e scese lentamente in cortile.
- Perch矇 piangi? - gli domand簷 un vecchietto, seduto a prendere il sole su una panchina.
- Ma lei mi vede? - domand簷 Tonino, pieno d'ansia. - Ti vedo S穫. Ti vedo tutti i giorni andare e tornare da scuola.
- Ma io non l'ho mai visto, lei.
- Eh, lo so. Di me non si accorge nessuno. Un vecchio pensionato, tutto solo, perch矇 mai i ragazzi dovrebbero guardarlo? Io per voi sono proprio come l'uomo invisibile.
- Tonino! - grid簷 in quel momento la mamma dal balcone.
- Mamma, mi vedi?
- Ah, non dovrei vederti, magari. Vieni, vieni su e sentirai il babbo.
- Vengo subito, mamma, - grid簷 Tonino pieno di gioia.
- Non ti fanno paura gli sculaccioni? - rise il vecchietto.
Tonino gli vol簷 al collo e gli diede un bacio. - Lei mi ha salvato, - disse.
- Eh, che esagerazione, - disse il vecchietto.







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Tante domande

C'era una volta un bambino che faceva tante domande, e questo non 癡 certamente un male, anzi 癡 un bene. Ma alle domande di quel bambino era difficile dare risposta.
Per esempio, egli domandava: - Perch矇 i cassetti hanno i tavoli?
La gente lo guardava, e magari rispondeva: - I cassetti servono per metterci le posate.
- Lo so a che cosa servono i cassetti, ma non so perch矇 i cassetti hanno i tavoli.
La gente crollava il capo e tirava via. Un'altra volta lui domandava:
- Perch矇 le code hanno i pesci? Oppure:
- Perch矇 i baffi hanno i gatti?
La gente crollava il capo e se ne andava per i fatti suoi. Il bambino, crescendo non cessava mai di fare domande. Anche quando divent簷 un uomo andava intorno a chiedere questo e quello. Siccome nessuno gli rispondeva, si ritir簷 in una casetta in cima a una montagna e tutto il tempo pensava delle domande e le scriveva in un quaderno, poi ci rifletteva per trovare la risposta, ma non
la trovava. Per esempio scriveva:
竄Perch矇 l'ombra ha un pino?罈
竄Perch矇 le nuvole non scrivono lettere?罈 竄Perch矇 i francobolli non bevono birra?罈
A scrivere tante domande gli veniva il mal di testa, ma lui non ci badava. Gli venne anche la barba, ma lui non se


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la tagli簷. Anzi si domandava: 竄Perch矇 la barba ha la faccia?罈
Insomma era un fenomeno. Quando mor穫, uno studioso
fece delle indagini e scopr穫 che quel tale fin da piccolo si era abituato a mettere le calze a rovescio e non era mai riuscito una volta a infilarsele dalla parte giusta, e cos穫 non aveva mai potuto imparare a fare le domande giuste. A tanta gente succede come a lui.









































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Il buon Gilberto

Il buon Gilberto era molto desideroso di imparare e perci簷 stava sempre attento a quello che dicevano i grandi.
Una volta sent穫 dire da una donna: - Guardate la Filomena come vuol bene alla sua mamma: le porterebbe l'acqua nelle orecchie.
Il buon Gilberto riflett矇: 竄Magnifiche parole, le voglio proprio imparare a memoria罈.
Qualche tempo dopo la sua mamma gli disse: -
Gilberto, vammi a prendere un secchio d'acqua alla fontana.
- Subito, mamma, - disse Gilberto. Ma intanto pensava:
竄Voglio mostrare alla mamma quanto le voglio bene. Invece che nel secchio, l'acqua gliela porter簷 nelle orecchie罈.
And簷 alla fontana, ci mise sotto la testa e si riemp穫
d'acqua un orecchio. Ce ne stava quanto in un ditale e per portarla fino a casa il buon Gilberto doveva tenere la testa tutta storta.
- Arriva quest'acqua? - brontol簷 la mamma che ne aveva bisogno per fare il bucato.
- Subito, mamma, - rispose Gilberto, tutto affannato.
Ma per rispondere drizz簷 la testa e l'acqua usc穫 dall'orecchio e gli and簷 gi羅 per il collo. Corse alla fontana a riempire l'altro orecchio: ci stava esattamente tanta acqua come nel primo e il buon Gilberto doveva tenere la


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testa storta dall'altra parte e prima di arrivare a casa l'acqua si era tutta versata.
- Arriva quest'acqua? - domand簷 la mamma stizzita.
竄Forse ho le orecchie troppo piccole罈, pens簷 rattristato il buon Gilberto. Intanto per簷 sua madre aveva perso la pazienza, credeva che Gilberto se ne fosse stato a giocherellare alla fontana e gli allung簷 due scapaccioni, uno per orecchio.
Povero buon Gilberto.
Si prese in santa pace i due scapaccioni e decise che un'altra volta avrebbe portato l'acqua col secchio.





































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La parola piangere

Questa storia non 癡 ancora accaduta, ma accadr sicuramente domani. Ecco cosa dice.
Domani una brava, vecchia maestra condusse i suoi scolari, in fila per due, a visitare il Museo del Tempo Che Fu, dove sono raccolte le cose di una volta che non servono pi羅, come la corona del re, lo strascico della regina, il tram di Monza, eccetera.
In una vetrinetta un po' polverosa c'era la parola
Piangere.
Gli scolaretti di Domani lessero il cartellino, ma non capivano.
- Signora, che vuol dire?
- un gioiello antico?
- Apparteneva forse agli Etruschi?
La maestra spieg簷 che una volta quella parola era molto usata, e faceva male. Mostr簷 una fialetta in cui erano conservate delle lacrime: chiss, forse le aveva versate uno schiavo battuto dal suo padrone, forse un bambino che non aveva casa.
- Sembra acqua, - disse uno degli scolari.
- Ma scottava e bruciava, - disse la maestra.
- Forse la facevano bollire, prima di adoperarla? Gli scolaretti proprio non capivano, anzi cominciavano gi ad annoiarsi. Allora la buona maestra li accompagn簷 a visitare altri reparti del Museo, dove c'erano da vedere cose pi羅 facili, come: l'inferriata di una prigione, un cane


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da guardia, il tram di Monza, eccetera, tutta roba che nel felice paese di Domani non esisteva pi羅.


















































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La febbre mangina

Quando la bambina 癡 malata anche le sue bambole debbono ammalarsi per farle compagnia, il nonno le visita, prescrive le medicine del caso e fa loro moltissime iniezioni con una penna a sfera.
- Questo bambino 癡 malato, dottore.
- Vediamo un po'. Eh S穫, eh gi. Mi pare che abbia una buona brontolite.
- grave?
- Gravissimo. Gli dia da bere questo sciroppo di matita blu e gli faccia dei massaggi con la carta di una caramella all'anice.
- E quest'altro bambino non le pare malaticcio anche lui?
- Malatissimo, si vede senza cannocchiale.
- E che cosa ha?
- Un po' di raffreddore, un po' di raffreddino e due etti di fragolite acuta.
- Mamma mia! Morir?
- Non c'癡 pericolo. Gli dia queste pastiglie di stupidina sciolte in un bicchiere di acqua sporca, per簷 prenda un bicchiere verde perch矇 i bicchieri rossi gli farebbero venire il mal di denti.
Una mattina la bambina si sveglia guarita, il dottore le dice che pu簷 alzarsi ma il nonno vuole visitarla personalmente, mentre la mamma prepara i vestiti.



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- Sentiamo un po'... dica trentatre... dica perepep癡... provi a cantare... tutto a posto: una magnifica febbre mangina.

















































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La domenica mattina

Il signor Cesare era molto abitudinario. Ogni domenica mattina si alzava tardi, girellava per casa in pigiama e alle undici si radeva la barba, lasciando aperta la porta del bagno.
Quello era il momento atteso da Francesco, che aveva solo sei anni, ma mostrava gi molta inclinazione per la medicina e la chirurgia. Francesco prendeva il pacchetto del cotone idrofilo, la bottiglietta dell'alcool denaturato, la busta dei cerotti, entrava in bagno e si sedeva sullo sgabello ad aspettare.
- Che c'癡? - domandava il signor Cesare, insaponandosi la faccia. Gli altri giorni della settimana si radeva col rasoio elettrico, ma la domenica usava ancora, come una volta, il sapone e le lamette.
- Che c'癡?
Francesco si torceva sul seggiolino, serio serio, senza rispondere.
- Dunque?
- Be', - diceva Francesco, - pu簷 darsi che tu ti tagli. Allora io ti far簷 la medicazione.
- Gi, - diceva il signor Cesare.
- Ma non tagliarti apposta come domenica scorsa, - diceva Francesco, severamente, - altrimenti non vale. - Sicuro, - diceva il signor Cesare.
Ma a tagliarsi senza farlo apposta non ci riusciva. Tentava di sbagliare senza volerlo, ma 癡 difficile e quasi


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impossibile. Faceva di tutto per essere disattento, ma non poteva. Finalmente, qui o l, il taglietto arrivava e Francesco poteva entrare in azione. Asciugava la stilla di sangue, disinfettava, attaccava il cerotto.
Cos穫 ogni domenica il signor Cesare regalava una stilla di sangue a suo figlio, e Francesco era sempre pi羅 convinto di avere un padre distratto.











































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A dormire, a svegliarsi

C'era una volta una bambina che ogni sera, al momento di andare a letto, diventava piccola piccola:
- Mamma, - diceva, - sono una formica.
E la mamma capiva che era ora di metterla a dormire. Allo spuntare del sole la bambina si svegliava, ma era
ancora piccolissima, ci stava tutta sul cuscino e ne avanzava un pezzo.
- Alzati, - diceva la mamma.
- Non posso, - rispondeva la bambina, - non posso, sono ancora troppo piccola. Adesso sono come una farfalla. Aspetta che ricresca.
E dopo un po' esclamava: - Ecco, ora sono ricresciuta. Con uno strillo balzava dal letto e cominciava la nuova
giornata.




















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Giacomo di cristallo

Una volta, in una citt lontana, venne al mondo un bambino trasparente. Attraverso le sue membra si poteva vedere come attraverso l'aria e l'acqua. Era di carne e d'ossa e pareva di vetro, e se cadeva non andava in pezzi, ma al pi羅 si faceva sulla fronte un bernoccolo trasparente.
Si vedeva il suo cuore battere, si vedevano i suoi pensieri guizzare come pesci colorati nella loro vasca. Una volta, per sbaglio, il bambino disse una bugia, e subito la gente pot矇 vedere come una palla di fuoco dietro la sua fronte: ridisse la verit e la palla di fuoco si dissolse. Per tutto il resto della sua vita non disse pi羅 bugie.
Un'altra volta un amico gli confid簷 un segreto, e subito tutti videro come una palla nera che rotolava senza pace nel suo petto, e il segreto non fu pi羅 tale.
Il bambino crebbe, divent簷 un giovanotto, poi un
uomo, e ognuno poteva leggere nei suoi pensieri e indovinare le sue risposte, quando gli faceva una domanda, prima che aprisse bocca.
Egli si chiamava Giacomo, ma la gente lo chiamava
竄Giacomo di cristallo罈, e gli voleva bene per la sua lealt, e vicino a lui tutti diventavano gentili.
Purtroppo, in quel paese, sal穫 al governo un feroce dittatore, e cominci簷 un periodo di prepotenze, di ingiustizie e di miseria per il popolo. Chi osava protestare spariva senza lasciar traccia. Chi si ribellava era fucilato.


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I poveri erano perseguitati, umiliati e offesi in cento modi.
La gente taceva e subiva, per timore delle
conseguenze.
Ma Giacomo non poteva tacere. Anche se non apriva bocca, i suoi pensieri parlavano per lui: egli era trasparente e tutti leggevano dietro la sua fronte pensieri di sdegno e di condanna per le ingiustizie e le violenze del tiranno. Di nascosto, poi, la gente si ripeteva i pensieri di Giacomo e prendeva speranza.
Il tiranno fece arrestare Giacomo di cristallo e ordin簷 di gettarlo nella pi羅 buia prigione.
Ma allora successe una cosa straordinaria. I muri della cella in cui Giacomo era stato rinchiuso diventarono trasparenti, e dopo di loro anche i muri del carcere, e infine anche le mura esterne. La gente che passava accanto alla prigione vedeva Giacomo seduto sul suo
sgabello, come se anche la prigione fosse di cristallo, e continuava a leggere i suoi pensieri. Di notte la prigione spandeva intorno una grande luce e il tiranno nel suo palazzo faceva tirare tutte le tende per non vederla, ma non riusciva ugualmente a dormire. Giacomo di cristallo, anche in catene, era pi羅 forte di lui, perch矇 la verit 癡 pi羅
forte di qualsiasi cosa, pi羅 luminosa del giorno, pi羅 terribile di un uragano.
















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Le scimmie in viaggio

Un giorno le scimmie dello zoo decisero di fare un viaggio di istruzione. Cammina, cammina, si fermarono e una domand簷:
- Cosa si vede?
- La gabbia del leone, la vasca delle foche e la casa della giraffa.
- Come 癡 grande il mondo, e come 癡 istruttivo viaggiare.
Ripresero il cammino e si fermarono soltanto a
mezzogiorno.
- Cosa si vede adesso?
- La casa della giraffa, la vasca delle foche e la gabbia del leone.
- Come 癡 strano il mondo e come 癡 istruttivo viaggiare. Si rimisero in marcia e si fermarono solo al tramonto
del sole.
- Che c'癡 da vedere?
- La gabbia del leone, la casa della giraffa e la vasca delle foche.
- Come 癡 noioso il mondo: si vedono sempre le stesse cose. E viaggiare non serve proprio a niente.
Per forza: viaggiavano, viaggiavano, ma non erano
uscite dalla gabbia e non facevano che girare in tondo come i cavalli di una giostra.





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Il signor Fallaninna

Il signor Fallaninna era molto delicato, ma tanto delicato che se un millepiedi camminava sul muro lui non poteva dormire per il rumore, e se una formica lasciava cadere un granellino di zucchero balzava in piedi spaventato e gridava: - Aiuto, il terremoto.
Naturalmente non poteva soffrire i bambini, i temporali e le motociclette, ma pi羅 di tutto gli dava fastidio la polvere sotto i piedi, perci簷 non camminava mai neanche in casa, ma si faceva portare in braccio da un servitore molto robusto. Questo servitore si chiamava Guglielmo e dalla mattina alla sera il signor Fallaninna lo copriva di strilli:
- Piano, Guglielmo, fa ben pianino, se no mi rompo.
A non camminare mai diventava sempre pi羅 grasso, e pi羅 diventava grasso pi羅 diventava delicato. Perfino i calli sulle mani di Guglielmo gli davano noia.
- Ma Guglielmo, quante volte ti devo dire che per portarmi devi metterti i guantini.
Guglielmo sbuffava e si infilava a fatica certi guantoni che sarebbero andati larghi a un ippopotamo.
Ma il signor Fallaninna era ogni giorno pi羅 pesante e il povero Guglielmo sudava d'inverno come d'estate, e una
volta gli venne in mente:
- Che cosa succederebbe se buttassi gi羅 il signor
Fallaninna dal balcone?



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Successe che proprio quel giorno il signor Fallaninna si era messo un vestito di lino bianco e quando Guglielmo lo butt簷 gi羅 dal balcone cadde su una cacchettina di mosca e si fece una macchiolina sui calzoni. Per vederla ci voleva la lente, ma Fallaninna era tanto delicato che mor穫 dal dispiacere.












































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Uno e sette

Ho conosciuto un bambino che era sette bambini. Abitava a Roma, si chiamava Paolo e suo padre era un tranviere.
Per簷 abitava anche a Parigi, si chiamava Jean e suo padre lavorava in una fabbrica di automobili.
Per簷 abitava anche a Berlino, e lass羅 si chiamava Kurt, e suo padre era un professore di violoncello.
Per簷 abitava anche a Mosca, si chiamava Juri, come
Gagarin, e suo padre faceva il muratore e studiava matematica.
Per簷 abitava anche a Nuova York, si chiamava Jimmy e suo padre aveva un distributore di benzina.
Quanti ne ho detti? Cinque. Ne mancano due: uno si chiamava Ci繳, viveva a Shanghai e suo padre era un pescatore; l'ultimo si chiamava Pablo, viveva a Buenos Aires e suo padre faceva l'imbianchino.
Paolo, Jean, Kurt, Juri, Jimmy, Ci繳 e Pablo erano sette, ma erano sempre lo stesso bambino che aveva otto anni, sapeva gi leggere e scrivere e andava in bicicletta senza appoggiare le mani sul manubrio.
Paolo era bruno, Jean biondo, e Kurt castano, ma erano lo stesso bambino. Juri aveva la pelle bianca, Ci繳 la pelle
gialla, ma erano lo stesso bambino. Pablo andava al cinema in spagnuolo e Jimmy in inglese, ma erano lo stesso bambino, e ridevano nella stessa lingua.



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Ora sono cresciuti tutti e sette, e non potranno pi羅 farsi la guerra, perch矇 tutti e sette sono un solo uomo.


















































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L'uomo che rubava il Colosseo

Una volta un uomo si mise in testa di rubare il Colosseo di Roma, voleva averlo tutto per s矇 perch矇 non gli piaceva doverlo dividere con gli altri. Prese una borsa, and簷 al Colosseo, aspett簷 che il custode guardasse da un'altra parte, riemp穫 affannosamente la borsa di vecchie pietre e se le port簷 a casa. Il giorno dopo fece lo stesso, e tutte le mattine tranne la domenica faceva almeno un paio di viaggi o anche tre, stando sempre bene attento che le guardie non lo scoprissero. La domenica riposava e contava le pietre rubate, che si andavano ammucchiando in cantina.
Quando la cantina fu piena cominci簷 a riempire il solaio, e quando il solaio fu pieno nascondeva le pietre sotto i divani, dentro gli armadi e nella cesta della biancheria sporca. Ogni volta che tornava al Colosseo lo osservava ben bene da tutte le parti e concludeva fra s矇:
竄Pare lo stesso, ma una certa differenza si nota. In quel punto l 癡 gi un po' pi羅 piccolo罈. E asciugandosi il sudore grattava un pezzo di mattone da una gradinata, staccava una pietruzza dagli archi e riempiva la borsa. Passavano e ripassavano accanto a lui turisti in estasi, con la bocca aperta per la meraviglia, e lui ridacchiava di
gusto, anche se di nascosto: - Ah, come spalancherete gli occhi il giorno che non vedrete pi羅 il Colosseo.
Se andava dal tabaccaio, le cartoline a colori con la veduta del grandioso anfiteatro gli mettevano allegria,


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doveva fingere di soffiarsi il naso nel fazzoletto per non farsi vedere a ridere: - Ih! Ih! Le cartoline illustrate. Tra poco, se vorrete vedere il Colosseo, dovrete proprio accontentarvi delle cartoline.
Passarono i mesi e gli anni. Le pietre rubate si ammassavano ormai sotto il letto, riempivano la cucina lasciando solo uno stretto passaggio tra il fornello a gas e il lavandino, colmavano la vasca da bagno, avevano trasformato il corridoio in una trincea. Ma il Colosseo era sempre al suo posto, non gli mancava un arco: non sarebbe stato pi羅 intero di cos穫 se una zanzara avesse lavorato a demolirlo con le sue zampette. Il povero ladro, invecchiando, fu preso dalla disperazione. Pensava: 竄Che io abbia sbagliato i miei calcoli? Forse avrei fatto meglio a rubare la cupola di San Pietro? Su, su, coraggio: quando si prende una decisione bisogna saper andare fino in fondo罈.
Ogni viaggio, ormai, gli costava sempre pi羅 fatica e dolore. La borsa gli rompeva le braccia e gli faceva sanguinare le mani. Quando sent穫 che stava per morire si trascin簷 un'ultima volta fino al Colosseo e si arrampic簷 penosamente di gradinata in gradinata fin sul pi羅 alto terrazzo. Il sole al tramonto colorava d'oro, di porpora e di viola le antiche rovine, ma il povero vecchio non poteva veder nulla, perch矇 le lacrime e la stanchezza gli velavano gli occhi. Aveva sperato di rimaner solo, ma gi dei turisti si affollavano sul terrazzino, gridando in lingue diverse la loro meraviglia. Ed ecco, tra tante voci, il vecchio ladro distinse quella argentina di un bimbo che gridava: - Mio! Mio!
Come stonava, com'era brutta quella parola lass羅, davanti a tanta bellezza. Il vecchio, adesso, lo capiva, e avrebbe voluto dirlo al bambino, avrebbe voluto




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insegnargli a dire 竄nostro罈, invece che 竄mio罈, ma gli mancarono le forze.


















































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Ascensore per le stelle

A tredici anni Romoletto venne assunto come aiuto garzone al bar Italia. Gli affidarono i servizi a domicilio, e tutto il giorno egli correva su e gi羅 per strade e per scale, reggendo in equilibrio vassoi pericolosamente carichi di chicchere, tazze e bicchieri. Pi羅 che altro gli davano fastidio le scale: a Roma, come del resto in altri posti del mondo, le portinaie sono gelose dei loro ascensori e ne vietano l'accesso, di persona o con cartelli, a baristi, lattai, fruttaroli e simili.
Una mattina telefon簷 al bar l'interno quattordici del numero centotre, voleva quattro birre e un t癡 ghiacciato,
竄ma subito, o li butto dalla finestra罈, aggiunse una voce burbera, ed era quella del vecchio marchese Venanzio, terrore dei fornitori.
L'ascensore del numero centotre era di quelli proibitissimi, ma Romoletto sapeva come ingannare la
sorveglianza della portinaia, che sonnecchiava nella guardiola: sgattaiol簷 non visto nella cabina, infil簷 le cinque lire nell'apparecchio a scatto, schiacci簷 il bottone del quinto piano e l'ascensore part穫 cigolando. Ecco il primo piano, il secondo, il terzo. Dopo il quarto piano, invece di rallentare, l'ascensore acceler簷 la corsa, schizz簷
davanti al pianerottolo del marchese Venanzio senza fermarsi, e prima che Romoletto avesse il tempo di meravigliarsi tutta Roma giaceva ai suoi piedi e



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l'ascensore saliva alla velocit di un razzo verso un cielo tanto azzurro da sembrar nero.
- Ti saluto, marchese Venanzio, - mormor簷 Romoletto
con un brivido. Con la mano sinistra egli reggeva sempre in equilibrio il vassoio con le consumazioni, e la cosa era piuttosto da ridere, considerando che intorno all'ascensore si allargava ormai ai quattro venti lo spazio interplanetario, e la terra, laggi羅 laggi羅, in fondo all'abisso celeste, ruotava su se stessa trascinando nella sua corsa il marchese Venanzio che aspettava le quattro birre e il t癡 ghiacciato.
竄Almeno non arriver簷 tra i marziani a mani vuote罈, pens簷 Romoletto, chiudendo gli occhi. Quando li riaperse, l'ascensore aveva ricominciato a scendere, e Romoletto tir簷 un respiro di sollievo:
- Dopo tutto, il t癡 arriver ghiacciato ugualmente. Purtroppo l'ascensore tocc簷 terra nel cuore di una
selvaggia foresta tropicale e Romoletto, guardando attraverso i vetri, si vide circondato da strane scimmie barbute che se lo indicavano eccitate, chiacchierando con straordinaria rapidit in una lingua incomprensibile.
竄Forse siamo cascati in Africa罈, riflett矇 Romoletto. Ma ecco che il cerchio delle scimmie si apriva per lasciar
passare un personaggio inatteso: uno scimmione in divisa blu, montato su un enorme triciclo.
- Una guardia! Forza, Romoletto!
E senza contare n矇 uno n矇 due il giovane aiuto garzone del bar Italia schiacci簷 un bottone dell'ascensore, il primo che gli capit簷 sotto le dita. L'ascensore ripart穫 a velocit supersonica, e solo quando fu a una certa distanza Romoletto, guardando in basso, si rese conto che il pianeta dal quale stava fuggendo non poteva essere la Terra: i suoi continenti e i suoi mari avevano un disegno del tutto diverso, e mentre dallo spazio la Terra gli era



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apparsa di un bell'azzurro tenero, i colori di questo globo variavano dal verde al viola.
- Sar stato Venere, - decise Romoletto, - ma al
marchese Venanzio cosa dir簷?
Tocc簷 con le nocche delle dita i bicchieri sul vassoio: erano gelati come quando era uscito dal bar. Tutto sommato, non dovevano essere trascorsi che pochi minuti.
L'ascensore, dopo aver attraversato a velocit incredibile un enorme spazio deserto, riprese a scendere.
Romoletto, stavolta, non poteva aver dubbi:
- Accipicchia! - esclam簷, - stiamo atterrando sulla
Luna. Che ci faccio io qui?
I famosi crateri lunari si avvicinavano rapidamente. Romoletto corse con le dita della mano libera dal vassoio alla bottoniera dell'ascensore, ma:
- Alt! - si ordin簷, prima di schiacciare un bottone
qualsiasi, - riflettiamo un momentino.
Esamin簷 la fila dei bottoni. L'ultimo in basso recava in rosso la lettera 竄T罈, che vuol dire terra.
- Proviamo! - sospir簷 Romoletto.
Schiacci簷 il bottone del pianterreno e l'ascensore invert穫 immediatamente la rotta. Pochi minuti dopo riattraversava il cielo di Roma, il tetto del numero centotre, la tromba delle scale, e atterrava accanto alla nota portineria, dove la portinaia, ignara di quel dramma interplanetario, continuava a sonnecchiare.
Romoletto si precipit簷 fuori, senza nemmeno voltarsi a richiudere la porta. Stavolta le scale le fece a piedi. Buss簷 all'interno quattordici e ascolt簷 a testa bassa, senza fiatare, le proteste del marchese Venanzio:
- Be', ma dove sei stato tutto questo tempo? Ma ce lo sai che da quando vi ho ordinato queste maledette birre e questo stramaledetto t癡 ghiacciato sono passati ben



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quattordici minuti? Al posto tuo Gagarin sarebbe gi arrivato sulla Luna.
竄Anche pi羅 in l罈, pens簷 Romoletto, ma non apr穫
bocca. E per fortuna le bevande erano ancora ghiacciate a puntino.
Eh, ne deve fare di corse, in un giorno, l'aiuto garzone del bar Italia addetto ai servizi a domicilio...











































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Il filobus numero 75

Una mattina il filobus numero 75, in partenza da Monteverde Vecchio per Piazza Fiume, invece di scendere verso Trastevere, prese per il Gianicolo, svolt簷 gi羅 per l'Aurelia Antica e dopo pochi minuti correva tra i prati fuori Roma come una lepre in vacanza.
I viaggiatori, a quell'ora, erano quasi tutti impiegati, e leggevano il giornale, anche quelli che non lo avevano comperato, perch矇 lo leggevano sulla spalla del vicino. Un signore, nel voltar pagina, alz簷 gli occhi un momento, guard簷 fuori e si mise a gridare:
- Fattorino, che succede? Tradimento, tradimento! Anche gli altri viaggiatori alzarono gli occhi dal giornale, e le proteste diventarono un coro tempestoso: - Ma di qui si va a Civitavecchia!
- Che fa il conducente? - impazzito, legatelo! - Che razza di servizio!
- Sono le nove meno dieci e alle nove in punto debbo essere in Tribunale, - grid簷 un avvocato, - se perdo il processo faccio causa all'azienda.
Il fattorino e il conducente tentavano di respingere l'assalto, dichiarando che non ne sapevano nulla, che il filobus non ubbidiva pi羅 ai comandi e faceva di testa sua.
Difatti in quel momento il filobus usc穫 addirittura
di strada e and簷 a fermarsi sulle soglie di un boschetto fresco e profumato.
- Uh, i ciclamini, - esclam簷 una signora, tutta giuliva.


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- proprio il momento di pensare ai ciclamini, - ribatt矇 l'avvocato.
- Non importa, - dichiar簷 la signora, - arriver簷 tardi al
ministero, avr簷 una lavata di capo, ma tanto 癡 lo stesso, e giacch矇 ci sono mi voglio cavare la voglia dei ciclamini. Saranno dieci anni che non ne colgo.
Scese dal filobus, respirando a bocca spalancata l'aria di quello strano mattino, e si mise a fare un mazzetto di ciclamini.
Visto che il filobus non voleva saperne di ripartire, uno
dopo l'altro i viaggiatori scesero a sgranchirsi le gambe o a fumare una sigaretta e intanto il loro malumore scompariva come la nebbia al sole. Uno coglieva una margherita e se la infilava all'occhiello, l'altro scopriva una fragola acerba e gridava:
- L'ho trovata io. Ora ci metto il mio biglietto, e quando 癡 matura la vengo a cogliere, e guai se non la
trovo.
Difatti lev簷 dal portafogli un biglietto da visita, lo infil簷 in uno stecchino e piant簷 lo stecchino accanto alla fragola. Sul biglietto c'era scritto: 竄Dottor Giulio Bollati罈.
Due impiegati del ministero dell'Istruzione appallottolarono i loro giornali e cominciarono una partita
di calcio. E ogni volta che davano un calcio alla palla gridavano: - Al diavolo!
Insomma, non parevano pi羅 gli stessi impiegati che un momento prima volevano linciare i tranvieri. Questi, poi, si erano divisi una pagnottella col ripieno di frittata e facevano un picnic sull'erba.
- Attenzione! - grid簷 ad un tratto l'avvocato.
Il filobus, con uno scossone, stava ripartendo tutto solo, al piccolo trotto. Fecero appena in tempo a saltar su, e l'ultima fu la signora dei ciclamini che protestava: - Eh,




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ma allora non vale. Avevo appena cominciato a divertirmi.
- Che ora abbiamo fatto? - domand簷 qualcuno. - Uh,
chiss che tardi.
E tutti si guardarono il polso. Sorpresa: gli orologi segnavano ancora le nove meno dieci. Si vede che per tutto il tempo della piccola scampagnata le lancette non avevano camminato. Era stato tempo regalato, un piccolo extra, come quando si compra una scatola di sapone in polvere e dentro c'癡 un giocattolo.
- Ma non pu簷 essere! - si meravigliava la signora dei ciclamini, mentre il filobus rientrava nel suo percorso e si gettava gi羅 per via Dandolo.
Si meravigliavano tutti. E s穫 che avevano il giornale sotto gli occhi, e in cima al giornale la data era scritta ben chiara: 21 marzo. Il primo giorno di primavera tutto 癡 possibile.




























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Il paese dei cani

C'era una volta uno strano piccolo paese. Era composto in tutto di novantanove casette, e ogni casetta aveva un giardinetto con un cancelletto, e dietro il cancelletto un cane che abbaiava.
Facciamo un esempio. Fido era il cane della casetta numero uno e ne proteggeva gelosamente gli abitanti, e per farlo a dovere abbaiava con impegno ogni volta che vedeva passare qualcuno degli abitanti delle altre novantotto casette, uomo, donna o bambino. Lo stesso facevano gli altri novantotto cani, e avevano un gran da fare ad abbaiare di giorno e di notte, perch矇 c'era sempre qualcuno per la strada.
Facciamo un altro esempio. Il signore che abitava nella casetta numero 99, rientrando dal lavoro, doveva passare davanti a novantotto casette, dunque a novantotto cani che gli abbaiavano dietro mostrandogli le fauci e facendogli capire che avrebbero volentieri affondato le zanne nel fondo dei suoi pantaloni. Lo stesso capitava agli abitanti delle altre casette, e per la strada c'era sempre qualcuno spaventato.
Figurarsi se capitava un forestiero. Allora i novantanove cani abbaiavano tutti insieme, le novantanove massaie uscivano a vedere che succedeva, poi rientravano precipitosamente in casa, sprangavano la porta abbassavano in fretta gli avvolgibili e stavano zitte



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zitte dietro le finestre a spiare fin che il forestiero non era passato.
A forza di sentir abbaiare i cani gli abitanti di quel
paese erano diventati tutti un po' sordi, e tra loro parlavano pochissimo. Del resto non avevano mai avuto grandi cose da dire e da ascoltare.
Pian piano, a starsene sempre zitti e immusoniti, disimpararono anche a parlare. E alla fine capit簷 che i padroni di casa si misero ad abbaiare come i loro cani. Loro forse credevano di parlare, ma quando aprivano
bocca si udiva una specie di 竄bau bau罈 che faceva venire la pelle d'oca. E cos穫, abbaiavano i cani, abbaiavano gli uomini e le donne, abbaiavano i bambini mentre giocavano, le novantanove villette sembravano diventate novantanove canili.
Per簷 erano graziose, avevano tendine pulite dietro i vetri e perfino gerani e piantine grasse sui balconi. Una
volta capit簷 da quelle parti Giovannino Perdigiorno, durante uno dei suoi famosi viaggi. I novantanove cani lo accolsero con un concerto che avrebbe fatto diventare nervoso un paracarro. Domand簷 un'informazione a una donna ed essa gli rispose abbaiando. Fece un complimento a un bambino e ne ricevette in cambio un
ululato.
- Ho capito, - concluse Giovannino, - 癡 un'epidemia.
Si fece ricevere dal sindaco e gli disse: - Io un rimedio sicuro ce l'avrei. Primo, fate abbattere tutti i cancelletti, tanto i giardini cresceranno benissimo anche senza inferriate. Secondo, mandate i cani a caccia, si divertiranno di pi羅 e diventeranno pi羅 gentili. Terzo, fate una bella festa da ballo e dopo il primo valzer imparerete a parlare di nuovo.
Il sindaco gli rispose: - Bau! Bau!




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- Ho capito, - disse Giovannino, - il peggior malato 癡 quello che crede di essere sano.
E se ne and簷 per i fatti suoi.
Di notte, se sentite abbaiare molti cani insieme in lontananza, pu簷 darsi che siano dei cani cani, ma pu簷 anche darsi che siano gli abitanti di quello strano, piccolo paese.











































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La fuga di Pulcinella

Pulcinella era la marionetta pi羅 irrequieta di tutto il vecchio teatrino. Aveva sempre da protestare, o perch矇 all'ora della recita avrebbe preferito andare a spasso, o perch矇 il burattinaio gli assegnava una parte buffa, mentre lui avrebbe preferito una parte drammatica.
- Un giorno o l'altro, - egli confidava ad Arlecchino, - taglio la corda.
E cos穫 fece, ma non fu di giorno. Una notte egli riusc穫 a impadronirsi di un paio di forbici dimenticate dal
burattinaio, tagli簷 uno dopo l'altro i fili che gli legavano la testa, le mani e i piedi, e propose ad Arlecchino:
- Vieni con me.
Arlecchino non voleva saperne di separarsi da Colombina, ma Pulcinella non aveva intenzione di portarsi dietro anche quella smorfiosa, che in teatro gli aveva giocato centomila tiri.
- Andr簷 da solo, - decise. Si gett簷 coraggiosamente a terra e via, gambe in spalla.
竄Che bellezza, - pensava correndo, - non sentirsi pi羅 tirare da tutte le parti da quei maledetti fili. Che bellezza mettere il piede proprio nel punto dove si vuole罈.
Il mondo, per una marionetta solitaria, 癡 grande e
terribile, e abitato, specialmente di notte, da gatti feroci, pronti a scambiare qualsiasi cosa che fugge per un topo cui dare la caccia. Pulcinella riusc穫 a convincere i gatti che avevano a che fare con un vero artista, ma ad ogni


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buon conto si rifugi簷 in un giardino, si acquatt簷 contro un muricciolo e si addorment簷.
Allo spuntare del sole si dest簷 e aveva fame. Ma
intorno a lui, a perdita d'occhio, non c'erano che garofani, tulipani, zinnie e ortensie.
- Pazienza, - si disse Pulcinella e colto un garofano cominci簷 a mordicchiarne i petali con una certa diffidenza. Non era come mangiare una bistecca ai ferri o un filetto di pesce persico: i fiori hanno molto profumo e poco sapore. Ma a Pulcinella quello parve il sapore della
libert, e al secondo boccone era sicuro di non aver mai gustato cibo pi羅 delizioso. Decise di rimanere per sempre in quel giardino, e cos穫 fece. Dormiva al riparo di una grande magnolia le cui dure foglie non temevano pioggia n矇 grandine e si nutriva di fiori: oggi un garofano, domani una rosa. Pulcinella sognava montagne di spaghetti e pianure di mozzarella, ma non si arrendeva. Era diventato
secco secco, ma cos穫 profumato che qualche volta le api si posavano su di lui per suggere il nettare, e si allontanavano deluse solo dopo aver tentato invano di affondare il pungiglione nella sua testa di legno.
Venne l'inverno, il giardino sfiorito aspettava la prima neve e la povera marionetta non aveva pi羅 nulla da
mangiare. Non dite che avrebbe potuto riprendere il viaggio: le sue povere gambe di legno non lo avrebbero portato lontano.
竄Pazienza, - si disse Pulcinella, - morir簷 qui. Non 癡 un brutto posto per morire. Inoltre, morir簷 libero: nessuno potr pi羅 legare un filo alla mia testa, per farmi dire di s穫 o di no罈.
La prima neve lo seppell穫 sotto una morbida coperta bianca.
In primavera, proprio in quel punto, crebbe un garofano. Sottoterra, calmo e felice, Pulcinella pensava:



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竄Ecco, sulla mia testa 癡 cresciuto un fiore. C'癡 qualcuno pi羅 felice di me?罈
Ma non era morto, perch矇 le marionette di legno non
possono morire. ancora l sotto e nessuna lo sa. Se sarete voi a trovarlo, non attaccategli un filo in testa: ai re e alle regine del teatrino quel filo non d fastidio, ma lui non lo pu簷 proprio soffrire.











































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Il muratore della Valtellina

Un giovane della Valtellina, non trovando lavoro in patria, emigr簷 in Germania, e proprio a Berlino trov簷 un posto in un cantiere come muratore. Mario - cos穫 si chiamava il giovane - ne fu molto contento: lavorava sodo, mangiava poco, e quel che guadagnava lo metteva da parte per sposarsi.
Un giorno per簷, mentre si stavano gettando le fondamenta di un palazzo nuovo, un ponte croll簷, Mario cadde nella gettata di cemento armato, mor穫, e non fu possibile recuperare il suo corpo.
Mario era morto, ma non sentiva alcun dolore. Era chiuso in uno dei pilastri della casa in costruzione, e ci stava un po' stretto, ma a parte questo pensava e sentiva come prima. Quando si fu abituato alla sua nuova situazione, pot矇 perfino aprire gli occhi e guardare la casa che cresceva intorno a lui. Era proprio come se fosse lui a reggere il peso del nuovo edificio, e questo compensava la tristezza di non poter pi羅 dare notizie di s矇 a casa, alla povera fidanzata.
Nascosto nel muro, nel cuore del muro, nessuno poteva vederlo o almeno sospettare che fosse l穫, ma questo a Mario non importava.
La casa crebbe fino al tetto, furono collocate al loro posto porte e finestre, gli appartamenti vennero venduti e comperati, e popolati di mobili, e da ultimo ci vennero ad abitare numerose famiglie. Mario le conobbe tutte, dai


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grandi ai piccini. Quando i bambini zampettavano sul pavimento, studiando i loro primi passi, gli facevano il solletico alla mano. Quando le ragazze uscivano sui balconi o si affacciavano alle finestre per veder passare i loro innamorati, Mario sentiva contro la propria guancia il morbido fruscio dei loro capelli biondi. Di sera udiva i discorsi delle famiglie radunate intorno alla tavola, di notte i colpi di tosse degli ammalati, prima dell'alba il trillo della sveglia di un fornaio che era il primo ad alzarsi. La vita della casa era la vita di Mario, le gioie della casa, piano per piano, e i suoi dolori, stanza per stanza, erano le sue gioie e i suoi dolori.
Ed ecco che un giorno scoppi簷 la guerra. Cominciarono i bombardamenti su tutta la citt e Mario sent穫 che anche per lui si avvicinava la fine. Una bomba colp穫 la casa e la fece crollare al suolo. Non rimase che un mucchio informe di macerie, di mobili infranti, di suppellettili schiacciate sotto cui dormivano per sempre donne e bambini sorpresi nel sonno.
Fu soltanto allora che Mario mor穫 davvero, perch矇 era morta la casa nata dal suo sacrificio.






















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La coperta del soldato

Il soldato Vincenzo Di Giacomo, alla fine di tutte le guerre, torn簷 a casa con una divisa lacera, una gran tosse e una coperta militare. La tosse e la coperta rappresentavano tutto il suo guadagno per quei lunghi anni di guerra.
- Ora mi riposer簷, - disse ai suoi familiari. Ma la tosse non gli diede riposo, e in pochi mesi lo port簷 alla tomba. Alla moglie ed ai figli rimase solo la coperta per ricordo. I figli erano tre, e il pi羅 piccolo, nato tra una guerra e l'altra, aveva cinque anni. La coperta del soldato tocc簷 a lui. Quando vi si avvolgeva per dormire, la mamma gli narrava una lunga favola, e nella favola c'era una fata che tesseva una coperta grande abbastanza da coprire tutti i bambini del mondo che avevano freddo. Ma c'era sempre qualche bambino che restava fuori, e piangeva, e chiedeva invano un angolo di coperta per scaldarsi. Allora la fata doveva disfare tutta la coperta e ricominciare da capo a tesserla, per farla un po' pi羅 grande, perch矇 doveva essere una coperta di un solo pezzo, tessuta tutta in una volta, e non si potevano fare aggiunte. La buona fata lavorava giorno e notte a fare e disfare, e non si stancava mai, e il piccolo si addormentava sempre prima che la favola fosse finita, e non seppe mai come andava a finire.
Il piccolo si chiamava Gennaro, e quella famigliola abitava dalle parti di Cassino. L'inverno fu molto rigido, da mangiare non ce n'era, la madre di Gennaro si ammal簷.


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Gennaro venne affidato a certi vicini, che erano girovaghi, e avevano un carrozzone, e viaggiavano per i paesi un po' chiedendo l'elemosina, un po' suonando la fisarmonica, un po' vendendo ceste di vimini che fabbricavano nelle soste lungo la strada. A Gennaro diedero una gabbia con un pappagallo che, col becco, toglieva da una cassettina un biglietto con i numeri da giocare al lotto. Gennaro doveva mostrare il pappagallo alla gente, e se gli davano qualche moneta faceva pescare un bigliettino al pappagallo. Le giornate erano lunghe e noiose, spesso si capitava in paesi dove la gente era povera e non aveva niente da dare in elemosina, e allora a Gennaro toccava una fetta di pane pi羅 sottile, e una scodella di minestra pi羅 vuota. Ma quando la notte calava Gennaro si avvolgeva nella coperta del babbo soldato, che era tutta la sua ricchezza, e nel suo odoroso tepore si addormentava sognando un pappagallo che gli raccontava una favola.
Uno dei girovaghi era stato soldato col padre di Gennaro, si affezion簷 al bambino, gli spiegava le cento cose che si incontravano lungo la strada e per divertimento gli insegnava a leggere i cartelli coi nomi dei paesi e delle citt.
- Vedi? Quella 癡 A. Quell'altro secco secco, che pare un bastone senza manico, 癡 I. Quel bastone con la gobba 癡 P.
Gennaro imparava presto. Il girovago gli compr簷 un quaderno e una matita e gli insegnava a ricopiare i cartelli stradali. Gennaro riempiva pagine e pagine col nome di ANCONA, o con quello di PESARO, e un giorno riusc穫 a
scrivere da solo il proprio nome, lettera per lettera, senza un errore. Che bei sogni, quella notte, nella coperta del babbo soldato.




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E che bella storia 癡 questa, anche se non finisce e rimane l穫, a mezz'aria, come un punto interrogativo senza risposta.

















































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Il pozzo di Cascina Piana

A met strada tra Saronno e Legnano, sulla riva di un grande bosco, c'era la Cascina Piana, che comprendeva in tutto tre cortili. Ci vivevano undici famiglie. A Cascina Piana c'era un solo pozzo per cavare l'acqua, ed era uno strano pozzo, perch矇 la carrucola per avvolgervi la corda c'era, ma non c'era n矇 corda n矇 catena. Ognuna delle undici famiglie in casa, accanto al secchio, teneva appesa una corda, e chi andava ad attingere acqua la staccava, se l'avvolgeva al braccio e la portava al pozzo; e quando aveva fatto risalire il secchio staccava la corda dalla carrucola, e se la riportava gelosamente a casa. Un solo pozzo e undici corde. E se non ci credete, andate a informarvi e vi racconteranno, come hanno raccontato a me, che quelle undici famiglie non andavano d'accordo e si facevano continuamente dispetti, e piuttosto che comprare insieme una bella catena, e fissarla alla carrucola perch矇 potesse servire per tutti, avrebbero riempito il pozzo di terra e di erbacce.
Scoppi簷 la guerra, e gli uomini della Cascina Piana andarono sotto le armi raccomandando alle loro donne tante cose, e anche di non farsi rubare le corde.
Poi ci fu l'invasione tedesca, gli uomini erano lontani,
le donne avevano paura, ma le undici corde stavano sempre al sicuro nelle undici case.
Un giorno un bambino della Cascina and簷 al bosco per raccogliere un fascio di legna e ud穫 uscire un lamento da


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un cespuglio. Era un partigiano ferito a una gamba, e il bambino corse a chiamare sua madre. La donna era spaventata e si torceva le mani, ma poi disse: - Lo porteremo a casa e lo terremo nascosto. Speriamo che qualcuno aiuti il tuo babbo soldato, se ne ha bisogno. Noi non sappiamo nemmeno dove sia, e se 癡 ancora vivo.
Nascosero il partigiano nel granaio e mandarono a chiamare il medico, dicendo che era per la vecchia nonna. Le altre donne della Cascina, per簷, avevano visto la nonna proprio quella mattina, sana come un galletto, e indovinarono che c'era sotto qualcosa. Prima che fossero passate ventiquattr'ore tutta la Cascina seppe che c'era un partigiano ferito in quel granaio, e qualche vecchio contadino disse: - Se lo sanno i tedeschi, verranno qui e ci ammazzeranno. Faremo tutti una brutta fine.
Ma le donne non ragionarono cos穫. Pensavano ai loro uomini lontani, e pensavano che anche loro, forse, erano feriti e dovevano nascondersi, e sospiravano. Il terzo giorno, una donna prese un salamino del maiale che aveva appena fatto macellare, e lo port簷 alla Caterina, che era la donna che aveva nascosto il partigiano, e le disse: - Quel poveretto ha bisogno di rinforzarsi. Dategli questo salamino.
Dopo un po' arriv簷 un'altra donna con una bottiglia di vino, poi una terza con un sacchetto di farina gialla per la polenta, poi una quarta con un pezzo di lardo, e prima di sera tutte le donne della Cascina erano state a casa della Caterina, e avevano visto il partigiano e gli avevano portato i loro regali, asciugandosi una lacrima. E per tutto il tempo che la ferita impieg簷 a rimarginarsi, tutte le undici famiglie della Cascina trattarono il partigiano come se fosse un figlio loro, e non gli fecero mancare nulla.




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Il partigiano guar穫, usc穫 in cortile a prendere il sole, vide il pozzo senza corda e si meravigli簷 moltissimo. Le donne, arrossendo, gli spiegarono che ogni famiglia aveva la sua corda, ma non gli potevano dare una spiegazione soddisfacente. Avrebbero dovuto dirgli che erano nemiche tra loro, ma questo non era pi羅 vero, perch矇 avevano sofferto insieme, e insieme avevano aiutato il partigiano. Dunque non lo sapevano ancora, ma erano diventate amiche e sorelle, e non c'era pi羅 ragione di tenere undici corde.
Allora decisero di comprare una catena, coi soldi di tutte le famiglie, e di attaccarla alla carrucola. E cos穫 fecero. E il partigiano cav簷 il primo secchio d'acqua, ed era come l'inaugurazione di un monumento.
La sera stessa il partigiano, completamente guarito, ripart穫 per la montagna.






























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Case e palazzi

Sono andato al ricovero dei vecchi a trovare un vecchio muratore. Erano tanti anni che non ci vedevamo. - Hai viaggiato? - mi domanda.
- Eh, sono stato a Parigi.
- Parigi, eh? Ci sono stato anch'io, tanti anni fa. Costruivamo un bel palazzo proprio in riva alla Senna. Chiss chi ci abita. E poi dove sei stato?
- Sono stato in America.
- L'America, eh? Ci sono stato anch'io, tanti anni fa, chiss quanti. Sono stato a Nuova York, a Buenos Aires, a San Paulo, a Montevideo. Sempre a fare case e palazzi e a piantare bandiere sui tetti. E in Australia ci sei stato?
- No, ancora no.
- Eh, io ci sono stato S穫. Ero giovane allora e non muravo ancora, portavo il secchio della calcina e passavo la sabbia al setaccio. Costruivamo una villa per un signore di l. Un bravo signore. Ricordo che una volta mi domand簷 come si cucinavano gli spaghetti, e scriveva tutto quello che dicevo. E a Berlino ci sei stato?
- Non ancora.
- Eh, io ci sono stato prima che tu nascessi. Bei palazzi, che facevamo, belle case robuste. Chiss se sono ancora in piedi. E ad Algeri ci sei stato? Ci sei stato al Cairo, in Egitto?
- Ci voglio andare proprio quest'estate.



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- Eh, vedrai belle case dappertutto. Non per dire, i miei muri sono sempre cresciuti ben diritti, e dai miei tetti non 癡 mai entrata una goccia d'acqua.
- Ne avete costruite, di case...
- Eh qualcuna, non per dire, qua e l per il mondo.
- E voi?
- Eh, a far le case per gli altri sono rimasto senza casa io. Sto al ricovero, vedi? Cos穫 va il mondo.
S穫, cos穫 va il mondo, ma non 癡 giusto.








































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Il maestro Garrone

Novit, novit: dappertutto novit.
La Befana quest'anno 癡 arrivata a bordo di un razzo a diciassette stadi, e in ogni stadio c'era un armadio zeppo di doni, e davanti ad ogni armadio un robot elettronico con tutti gli indirizzi dei bambini. Non solo dei buoni, ma di tutti: perch矇 bambini cattivi non ne esistono, e la Befana, finalmente, lo ha imparato.
Novit a Carnevale: il vecchio Pulcinella ha indossato una tuta spaziale, Gianduia lanciava coriandoli da uno sputnik d'argento, le Damine Rococ簷 e la Fata Turchina seguivano il corteo mascherato in elicottero.
Novit a Pasqua. Rompiamo l'uovo di cioccolato e chi ne salta fuori? Sorpresa: un pulcino marziano, con un'antenna sul berretto. L'uovo era un uovo volante. (Leggete tutta la storia del pulcino cosmico a pagina 195.) Novit da tutte le parti. Perch矇 dunque il maestro Garrone (nipote di quel bravo Garrone del libro Cuore) 癡
tanto malinconico?
- Caro signor Gianni, - egli dice, - anche a me le novit fanno piacere. Che belle macchine ci sono nelle fabbriche, che belle astronavi in cielo. E anche il frigorifero, com'癡 bello. Ma la mia scuola, l'ha vista? tale e quale come era ai tempi di mio nonno Garrone e dei suoi compagni: il Muratorino, De Rossi e Franti, quel cattivello. Di belle macchine, l dentro, neanche l'ombra. Gli stessi banchi graffiati e scomodi d'una volta. Vorrei


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che la mia scuola fosse bella come un bel televisore, come una bella automobile. Ma chi mi aiuta?


















































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Il pianeta della verit

La pagina seguente 癡 copiata da un libro di storia in uso nelle scuole del pianeta Muri, e parla di un grande scienziato di nome Brun (nota, lass羅 tutte le parole finiscono in 竄un罈: per esempio non si dice 竄la luna罈 ma
竄lun lun罈; 竄la polenta罈 si dice 竄lun polentun罈, eccetera). Ecco qua:
竄Brun, inventore, vissuto duemila anni, attualmente conservato in un frigorifero, dal quale si risveglier tra
49000 secoli per ricominciare a vivere. Era ancora un
bambino in fasce quando invent簷 una macchina per fare gli arcobaleni, che funzionava ad acqua e sapone, ma invece che semplici bolle ne uscivano arcobaleni di tutte le misure, che si potevano distendere da un capo all'altro del cielo e servivano a molti usi, anche per appendervi il bucato ad asciugare. All'asilo infantile, giocando con due bastoncelli, invent簷 un trapano per fare i buchi nell'acqua. L'invenzione fu molto apprezzata dai pescatori, che l'usavano come passatempo quando il pesce non abboccava.
In prima elementare invent簷: una macchina per fare il solletico alle pere, una pentola per friggere il ghiaccio, una bilancia per pesare le nuvole, un telefono per parlare con i sassi, il martello musicale, che mentre piantava i chiodi suonava bellissime sinfonie, eccetera.
Sarebbe troppo lungo ricordare tutte le sue invenzioni. Citiamo solo la pi羅 famosa, cio癡 la macchina per dire le


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bugie, che funzionava a gettoni. Per ogni gettone si potevano ascoltare quattordicimila bugie. La macchina conteneva tutte le bugie del mondo: quelle che erano gi state dette, quelle che la gente stava pensando in quel momento, e tutte le altre che si sarebbero potute inventare in seguito. Quando la macchina ebbe recitato tutte le bugie possibili, la gente fu costretta a dire sempre la verit. Per questo il pianeta Mun 癡 detto anche il pianeta della verit罈.








































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Il marciapiede mobile

Sul pianeta Beh hanno inventato un marciapiede mobile che gira tutt'intorno alla citt. Come la scala mobile, insomma: soltanto che non 癡 una scala, ma un marciapiede, e si muove a piccola velocit, per dare alla gente il tempo di guardare le vetrine e per non far perdere l'equilibrio a quelli che debbono scendere e salire. Sul marciapiede ci sono anche delle panchine, per quelli che vogliono viaggiare seduti, specialmente vecchietti e signore con la sporta della spesa. 1 vecchietti, quando si sono stancati di stare ai giardini pubblici e di guardare sempre lo stesso albero, vanno a fare una crociera sui marciapiedi. Stanno comodi e beati. Chi legge il giornale, chi fuma il sigaro, si riposano.
Grazie all'invenzione di questo marciapiede sono stati aboliti i tram, i filobus e le automobili. La strada c'癡 ancora ma 癡 vuota, e serve ai bambini per giocarci alla palla, e se un vigile urbano tenta di portargliela via, prende la multa.














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Cucina spaziale

Un mio amico cosmonauta 癡 stato sul pianeta x213, e mi ha portato per ricordo il men羅 di un ristorante di lass羅. Ve lo ricopio tale e quale:

ANTIPASTI
- Ghiaia di fiume in salsa di tappi
- Crostini di carta asciugante
- Affettato di carbone

MINESTRE
- Rose in brodo
- Garofani asciutti al sugo d'inchiostro
- Gambe di tavolini al forno
- Tagliatelle di marmo rosa al burro di lampadine tritate
- Gnocchi di piombo

PIATTI PRONTI
- Bistecca di cemento armato
- Tristecca ai ferri
- Tristezze alla griglia
- Arrosto di mattoni con insalata di tegole
- Do di petto di tacchino
- Copertoni d'automobile bolliti con pistoni
- Rubinetti fritti (caldi e freddi)
- Tasti di macchina da scrivere (in versi e in prosa)


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PIATTI DA FARSI
- A piacere


Per spiegare quest'ultima espressione, un po' generica, aggiunger簷 che il pianeta x213, a quanto pare, 癡 interamente commestibile: ogni cosa, lass羅, pu簷 essere mangiata e digerita, anche l'asfalto della strada. Anche le montagne? Anche quelle. Gli abitanti di x 213 hanno gi divorato intere catene alpine.
Uno, per esempio, fa una gita in bicicletta: gli viene fame, smonta e mangia la sella, o la pompa. 1 bambini
sono ghiottissimi di campanelli.
La prima colazione si fa cos穫: suona la sveglia, tu ti svegli, acchiappi la sveglia e la mangi in due bocconi.

































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La caramella istruttiva

Sul pianeta Bih non ci sono libri. La scienza si vende e si consuma in bottiglie.
La storia 癡 un liquido rosso che sembra granatina, la geografia un liquido verde menta, la grammatica 癡 incolore e ha il sapore dell'acqua minerale. Non ci sono scuole, si studia a casa. Ogni mattina i bambini, secondo l'et, debbono mandar gi羅 un bicchiere di storia, qualche cucchiaiata di aritmetica e cos穫 via.
Ci credereste? Fanno i capricci lo stesso.
- Su, da bravo, - dice la mamma, - non sai quanto 癡 buona la zoologia. dolce, dolcissima. Domandalo alla Carolina - (che 癡 il robot elettronico di servizio).
La Carolina, generosamente, si offre di assaggiare per prima il contenuto della bottiglia. Se ne versa un dito nel bicchiere, lo beve, fa schioccare la lingua:
- Uh, se 癡 buona, - esclama, e subito comincia a
recitare la zoologia: 竄La mucca 癡 un quadrupede ruminante, si nutre di erba e ci d il latte con la cioccolata罈.
- Hai visto? - domanda la mamma trionfante.
Lo scolaretto nicchia. Sospetta ancora che non si tratti di zoologia, ma di olio di fegato di merluzzo. Poi si rassegna, chiude gli occhi e trangugia la sua lezione tutta in una volta. Applausi.
Ci sono, si capisce, anche scolaretti diligenti e studiosi:
anzi, golosi. Si alzano di notte a rubare la storia-granatina,


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e leccano fin l'ultima goccia dal bicchiere. Diventano sapientissimi.
Per i bambini dell'asilo ci sono delle caramelle
istruttive: hanno il gusto della fragola, dell'ananas, del ratafi, e contengono alcune facili poesie, i nomi dei giorni della settimana, la numerazione fino a dieci.
Un mio amico cosmonauta mi ha portato per ricordo una di quelle caramelle. L'ho data alla mia bambina, ed essa ha cominciato subito a recitare una buffa filastrocca nella lingua del pianeta Bih, che diceva pressappoco:

anta anta pero pero penta pinta pim per簷,

e io non ci ho capito niente.































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Il pulcino cosmico

L'anno scorso a Pasqua, in casa del professor Tibolla, dall'uovo di cioccolata sapete cosa salt簷 fuori? Sorpresa: un pulcino cosmico, simile in tutto ai pulcini terrestri, ma con un berretto da capitano in testa e un'antenna della televisione sul berretto.
Il professore, la signora Luisa e i bambini fecero tutti insieme: 竄Oh罈, e dopo questo oh non trovarono pi羅 parole.
Il pulcino si guardava intorno con aria malcontenta.
- Come siete indietro su questo pianeta, - osserv簷, - qui 癡 appena Pasqua; da noi, su Marte Ottavo, 癡 gi mercoled穫.
- Di questo mese? - domand簷 il professor Tibolla.
- Ci mancherebbe! Mercoled穫 del mese venturo. Ma con gli anni siamo avanti di venticinque.
Il pulcino cosmico fece quattro passi in su e in gi羅 per
sgranchirsi le gambe, e borbottava: - Che seccatura! Che brutta seccatura.
- Cos'癡 che la preoccupa? - domand簷 la signora Luisa.
- Avete rotto l'uovo volante e io non potr簷 tornare su
Marte Ottavo.
- Ma noi l'uovo l'abbiamo comprato in pasticceria.
- Voi non sapete niente. Questo uovo, in realt, 癡 una nave spaziale, travestita da uovo di Pasqua, e io sono il suo comandante, travestito da pulcino.
- E l'equipaggio?


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- Sono io anche l'equipaggio. Ma ora sar簷 degradato. Mi faranno per lo meno colonnello.
- Be', colonnello 癡 pi羅 che capitano.
- Da voi, perch矇 avete i gradi alla rovescia. Da noi il grado pi羅 alto 癡 cittadino semplice. Ma lasciamo perdere. La mia missione 癡 fallita.
- Potremmo dirle che ci dispiace, ma non sappiamo di che missione si trattava.
- Ah, non lo so nemmeno io. Io dovevo soltanto aspettare in quella vetrina fin che il nostro agente segreto
si fosse fatto vivo.
- Interessante, - disse il professore, - avete anche degli agenti segreti sulla Terra. E se andassimo a raccontarlo alla polizia?
- Ma s穫, andate in giro a parlare di un pulcino cosmico, e vi farete ridere dietro.
- Giusto anche questo. Allora, giacch矇 siamo tra noi, ci
dica qualcosa di pi羅 su quegli agenti segreti.
- Essi sono incaricati di individuare i terrestri che sbarcheranno su Marte Ottavo tra venticinque anni.
- piuttosto buffo. Noi, per adesso, non sappiamo nemmeno dove si trovi Marte Ottavo.
- Lei dimentica, caro professore, che lass羅 siamo avanti
col tempo di venticinque anni. Per esempio sappiamo gi che il capitano dell'astronave terrestre che giunger su Marte Ottavo si chiamer Gino.
- Toh, - disse il figlio maggiore del professor Tibolla, - proprio come me.
- Pura coincidenza, - sentenzi簷 il cosmopulcino. - Si chiamer Gino e avr trentatre anni. Dunque, in questo
momento, sulla Terra, ha esattamente otto anni.
- Guarda guarda, - disse Gino, - proprio la mia et. - Non mi interrompere continuamente, - esclam簷 con severit il comandante dell'uovo spaziale. - Come stavo



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spiegandovi, noi dobbiamo trovare questo Gino e gli altri membri dell'equipaggio futuro, per sorvegliarli, senza che se ne accorgano, e per educarli come si deve.
- Cosa, cosa? - fece il professore. - Forse noi non li educhiamo bene i nostri bambini?
- Mica tanto. Primo, non li abituate all'idea che dovranno viaggiare tra le stelle; secondo, non insegnate loro che sono cittadini dell'universo; terzo, non insegnate loro che la parola nemico, fuori della Terra, non esiste; quarto...
- Scusi comandante, - lo interruppe la signora Luisa, - come si chiama di cognome quel vostro Gino?
- Prego, vostro, non nostro. Si chiama Tibolla. Gino
Tibolla.
- Ma sono io! - salt簷 su il figlio del professore. - Urr!
- Urr che cosa? - esclam簷 la signora Luisa. - Non crederai che tuo padre e io ti permetteremo...
Ma il pulcino cosmico era gi volato in braccio a Gino.
- Urr! Missione compiuta! Tra venticinque anni potr簷 tornare a casa anch'io.
- E l'uovo? - domand簷 con un sospiro la sorellina di
Gino.
- Ma lo mangiamo subito, naturalmente. E cos穫 fu fatto.



















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Processo al nipote

GIUDICE Imputato, alzatevi! Come vi chiamate? IMPUTATO Rossi Alberto, nipote di Rossi Pio. GIUDICE Conosco il signor Rossi Pio: ottima persona
sotto tutti i punti di vista. Di che cosa siete accusato?
PUBBLICO MINISTERO Per l'appunto, signor Giudice, l'imputato 癡 accusato di avere gravemente offeso suo zio. Si figuri che in un tema in classe ha scritto: 竄Lo zio 癡 il padre dei vizi罈!
LO ZIO Capisce? E non sono nemmeno sposato!
PUBBLICO MINISTERO I testimoni sono tutti concordi: il signor zio 癡 un modello di virt羅. Non beve, non fuma, non esce la sera, non gioca al totocalcio, non consuma i tacchi delle scarpe, non si asciuga i piedi nell'asciugamano delle mani, non prende il sale con le dita, non si mette le dita nel naso, non ficca il naso negli affari altrui.
GIUDICE vero tutto questo? Imputato, rispondete. IMPUTATO verissimo, signor Giudice.
GIUDICE E voi avete osato calunniare vostro zio? Avete osato scrivere nel vostro tema che questo cittadino esemplare 癡, nientemeno, il padre dell'invidia, dell'avarizia, della gola, dell'ira, e chiss di quali altri
terribili e viziosissimi teddy-boy?
IMPUTATO Ma signor Giudice, 癡 stata tutta colpa di un apostrofo.
GIUDICE Quale apostrofo? Io qui non vedo apostrofi.


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IMPUTATO Appunto. Si tratta di un apostrofo mancante.
GIUDICE Capisco, si 癡 dato alla macchia. Diventer
un bandito da strada.
AVVOCATO DIFENSORE Signor Giudice, l'imputato Rossi Alberto aveva intenzione di scrivere:
竄l'ozio 癡 il padre dei vizi罈. Ma l'apostrofo, forse consigliato dai cattivi compagni, 癡 fuggito dalla penna.
LO ZIO S穫, signor Giudice, sono convinto anch'io che mio nipote, in fondo, 癡 un bravo ragazzo.
GIUDICE Un bravo ragazzo? Dica piuttosto che si merita la galera.
LO ZIO Capisco, signor Giudice. Ma mi dispiacerebbe molto vederlo finire dentro. Vede, avevo fatto dei progetti sul suo conto. Io sono titolare di un avviato negozio di elettrodomestici. Vendo a rate, faccio ottimi sconti alla clientela.
GIUDICE Lasciamo perdere gli elettrodomestici.
LO ZIO Ecco, io avevo intenzione di assumere mio nipote in qualit di commesso, appena finite le scuole. Io non ho figli miei: se non aiuto Albertino, chi dovrei aiutare?
GIUDICE (commosso) Lei 癡 proprio una persona di
buon cuore. Faremo come dice lei. Imputato, avete sentito?
IMPUTATO S穫, signor Giudice.
GIUDICE Cercherete di rintracciare l'apostrofo fuggitivo e di convincerlo a rientrare anche lui sulla retta via?
IMPUTATO Lo prometto, signor Giudice.
GIUDICE Va bene: per questa volta siete perdonato. (Zio e nipote si abbracciano. Anzi: s'abbracciano, con l'apostrofo.)




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A sbagliare le storie

- C'era una volta una bambina che si chiamava
Cappuccetto Giallo.
- No, Rosso!
- Ah, S穫, Cappuccetto Rosso. La sua mamma la chiam簷 e le disse: Senti, Cappuccetto Verde...
- Ma no, Rosso!
- Ah, S穫, Rosso. Vai dalla zia Diomira a portarle questa buccia di patata.
- No: vai dalla nonna a portarle questa focaccia.
- Va bene. La bambina and簷 nel bosco e incontr簷 una giraffa.
- Che confusione! Incontr簷 un lupo, non una giraffa.
- E il lupo le domand簷: 竄Quanto fa sei per otto?罈 - Niente affatto. Il lupo le chiese: 竄Dove vai?罈
- Hai ragione. E Cappuccetto Nero rispose... - Era
Cappuccetto Rosso, rosso, rosso!
- S穫, e rispose: 竄Vado al mercato a comperare la salsa di pomodoro罈.
- Neanche per sogno: 竄Vado dalla nonna che 癡 malata, ma non so pi羅 la strada罈.
- Giusto. E il cavallo disse... - Quale cavallo? Era un lupo.
- Sicuro. E disse cos穫: 竄Prendi il tram numero settantacinque, scendi in piazza del Duomo, gira a destra, troverai tre scalini e un soldo per terra, lascia stare i tre



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scalini, raccatta il soldo e comprati una gomma da masticare罈.
- Nonno, tu non sai proprio raccontare le storie, le
sbagli tutte. Per簷 la gomma da masticare me la comperi lo stesso.
- Va bene: eccoti il soldo.
E il nonno torn簷 a leggere il suo giornale.











































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Promosso pi羅 due

- Aiuto, aiuto, - grida fuggendo un povero Dieci.
- Che c'癡? Che ti succede?
- Ma non vedete? Sono inseguito da una Sottrazione. Se mi raggiunge sar un disastro.
- Eh, via, addirittura un disastro...
Ecco, 癡 fatta: la Sottrazione ha acchiappato il Dieci, gli balza addosso menando fendenti con la sua spada affilatissima. Il povero Dieci perde un dito, ne perde un altro. Per sua fortuna passa una macchina straniera lunga cos穫, la Sottrazione si volta un momento a guardare se 癡 il caso di accorciarla e il buon Dieci pu簷 svignarsela, scomparire in un portone. Ma intanto non 癡 pi羅 un Dieci: 癡 soltanto un Otto, e per giunta perde sangue dal naso.
- Poverino, che ti hanno fatto? Ti sei picchiato coi tuoi compagni, vero?
Misericordia, si salvi chi pu簷: la vocina 癡 dolce e
compassionevole, ma la sua proprietaria 癡 la Divisione in persona. Lo sventurato Otto bisbiglia 竄buonasera罈, con un filo di voce, e cerca di riguadagnare la strada, ma la Divisione 癡 pi羅 svelta, e con un solo colpo di forbici, zac, ne fa due pezzi: Quattro e Quattro. Uno se lo mette in tasca, l'altro ne approfitta per scappare, torna in strada di corsa, salta su un tram.
- Un momento fa ero un Dieci, - piange, - e adesso guardate qua! Un Quattro! Gli scolari si scansano frettolosamente, non vogliono avere niente a che fare con


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lui. Il tranviere borbotta: - Certa gente dovrebbe almeno avere il buon senso di andare a piedi.
- Ma non 癡 colpa mia! - grida tra i singhiozzi l'ex
Dieci.
- S穫, 癡 colpa del gatto. Dicono tutti cos穫.
Il Quattro scende alla prima fermata, rosso come una poltrona rossa.
Ahi, ne ha fatta un'altra delle sue: ha schiacciato i piedi a qualcuno.
- Scusi, scusi tanto, signora!
Ma la Signora non si 癡 arrabbiata, anzi, sorride. Guarda, guarda, guarda, 癡 nientemeno che la Moltiplicazione! Ha un cuore grosso cos穫, lei, e non pu簷 sopportare la vista delle persone infelici: seduta stante moltiplica il Quattro per tre, ed ecco un magnifico Dodici, pronto per contare un'intera dozzina d'uova.
- Evviva, - grida il Dodici, - sono promosso! Promosso pi羅 due.



























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L'omino di niente

C'era una volta un omino di niente. Aveva il naso di niente, la bocca di niente, era vestito di niente e calzava scarpe di niente. Si mise in viaggio su una strada di niente che non andava in nessun posto. Incontr簷 un topo di niente e gli domand簷: - Non hai paura del gatto?
- No davvero, - rispose il topo di niente, - in questo paese di niente ci sono soltanto gatti di niente, che hanno baffi di niente e artigli di niente. Inoltre, io rispetto il formaggio. Mangio solo i buchi. Non sanno di niente ma sono dolci.
- Mi gira la testa, - disse lmino di niente.
- una testa di niente: anche se la batti contro il muro non ti far male.
L'omino di niente, volendo fare la prova, cerc簷 un muro per batterci la testa, ma era un muro di niente, e siccome lui aveva preso troppo slancio casc簷 dall'altra
parte. Anche di l non c'era niente di niente.
L'omino di niente era tanto stanco di tutto quel niente che si addorment簷. E mentre dormiva sogn簷 che era un omino di niente, e andava su una strada di niente, e incontrava un topo di niente e mangiava anche lui i buchi del formaggio, e il topo di niente aveva ragione: non sapevano proprio di niente.






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Storia Universale

In principio la Terra era tutta sbagliata, renderla pi羅 abitabile fu una bella faticata. Per passare i fiumi non c'erano ponti. Non c'erano sentieri per salire sui monti. Ti volevi sedere? Neanche l'ombra di un panchetto. Cascavi dal sonno? Non esisteva il letto. Per non pungersi i piedi, n矇 scarpe n矇 stivali. Se ci vedevi poco non trovavi gli occhiali. Per fare una partita non c'erano palloni: mancava la pentola e il fuoco per cuocere i maccheroni, anzi a guardare bene mancava anche la pasta. Non c'era nulla di niente. Zero via zero, e basta. C'erano solo gli uomini, con due braccia per lavorare, e agli errori pi羅 grossi si pot矇 rimediare. Da correggere, per簷, ne restano ancora tanti: rimboccatevi le maniche, c'癡 lavoro per tutti quanti!





















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Favole al telefono

C'era una volta... 9
Il cacciatore sfortunato 12
Il palazzo di gelato 14
La passeggiata di un distratto 16
Il palazzo da rompere 18
La donnina che contava gli starnuti 21
Il Paese senza punta 23
Il paese con l'esse davanti 25
Gli uomini di burro 27
Alice Cascherina 28
La strada di cioccolato 30
A inventare i numeri 31
Brif, bruf, braf 33
A comprare la citt di Stoccolma 35
A toccare il naso del re 37
La famosa pioggia di Piombino 40
La giostra di Cesenatico 41
Sulla spiaggia di Ostia 44
Il topo dei fumetti 46
Storia del regno di Mangionia 48
Alice casca in mare 49
La guerra delle campane 51
Una viola al Polo Nord 53
Il giovane gambero 55
I capelli del gigante 57
Il naso che scappa 59
La strada che non andava in nessun posto 62
Lo spaventapasseri 65
A giocare col bastone 66


Vecchi proverbi 68
L'Apollonia della marmellata 70
La vecchia zia Ada 72
Il sole e la nuvola 74
Il re che doveva morire 75
Il mago delle comete 77
Il pescatore di Cefal繳 79
Il re Mida 82
Il semaforo blu 84
Il topo che mangiava i gatti 86
Abbasso il nove 88
Tonfino l'invisibile 89
Tante domande 92
Il buon Gilberto 94
La parola piangere 96
La febbre mangina 98
La domenica mattina 100
A dormire, a svegliarsi 102
Giacomo di cristallo 103
Le scimmie in viaggio 105
Il signor Fallaninna 106
Uno e sette 108
L'uomo che rubava il Colosseo 110
Ascensore per le stelle 113
Il filobus numero 75 117
Il paese dei cani 120
La fuga di Pulcinella 123
Il muratore della Valtellina 126
La coperta del soldato 128
Il pozzo di Cascina Piana 131
Case e palazzi 134
Il maestro Garrone 136
Il pianeta della verit 138
Il marciapiede mobile 140
Cucina spaziale 141
La caramella istruttiva 143


Il pulcino cosmico 145
Processo al nipote 148
A sbagliare le storie 150
Promosso pi羅 due 152
L'omino di niente 154
Storia Universale 155



Einaudi Ragazzi
Lo scaffale d'oro







Gianni Rodari, La torta in cielo Mario Lodi e i suoi ragazzi, Cip穫 Gianni Rodari, Favole al telefono Gianni Rodari, Il libro degli errori Roberto Piumini, Lo stralisco
Gianni Rodari, C'era due volte il barone Lamberto
Lella Gandini, Filastrocche
Mario Lodi, Bandiera
Gianni Rodari, Prime fiabe e filastrocche Bianca Pitzorno, Extraterrestre alla pari Gianni Rodari, Storie di Marco e Mirko
Bianca Pitzorno, L'incredibile storia di Lavinia
Bruno Munari - Enrica Agostinelli, Cappuccetto Rosso Verde
Giallo Blu e Bianco
Nicoletta Costa, C'era una volta la nuvola Olga
Jean Jacques Semp矇 - Ren矇 Goscinny, Le vacanze di Nicola
Bianca Pitzorno, Streghetta mia
Gianni Rodari, Filastrocche in cielo e in terra Daniel Pennac, Kamo - L'agenzia Babele Gianni Rodari, Il pianeta degli alberi di Natale Pinin Carpi, Il mare infondo al bosco
Gianni Rodari, Novelle fatte a macchina
Nico Orengo, A - ul穫 - ul癡
Gianni Rodari, Il gatto in gondola Francesco Altan, In barca con Nino Daniel Pennac, L'evasione di Kamo Ian McEwan, L'inventore di sogni Lella Gandini, Ninnenanne e tiritere
Henriette Bichonnier - Pef, Storie da ridere


Agostino Traini, Mucca Moka, sei grande!
Gianni Rodari, Bolle di sapone
Jean Jacques Semp矇 - Rene Goscinny, I divertimenti di Nicola
Sabina Colloredo, Il bosco racconta Anthony Browne, Orsetto e matita Roberto Piumini, Mattia e il nonno Angela Nanetti, Angeli
Stefano Bordiglioni, In crociera con No癡. Filastrocche per ridere
Isaac Bashevis Singer, Una notte di Hanukkah Angela Nanetti, Mio nonno era un ciliegio Daniel Pennac, Io e Kamo
Gianni Rodari, Fra i banchi
Axel Scheffler, L'erba del vicino... - Proverbi da tutto il mondo
Roberto Piumini, Giulietta e Romeo
Rime per tutto il giorno
Marion S繹ffker, Aggiungi latte e mescola
Jean Jacques Semp矇 - Rene Goscinny, Le trovate di Nicola
Sigrid Heuck, Storie sotto il melo
Mino Milani, La storia di Dedalo e Icaro
Gianni Rodari, Fiabe e Fantafiabe Roberto Piumini, C'era una volta, ascolta
H.A. Rey, Le avventure di Curious Gorge
Daniel Pennac, Kamo - L'idea del secolo
Hans Magnus Enzensberger, Il mago dei numeri
Storie di streghe, lupi e dragolupi
Sophie Arnould, 101 Filastrocche e raccontini di campagna per scoprire la natura
Jean Jacques Semp矇 - Ren矇 Goscinny, Gli amici di Nicola
Serguei Kozlov, Il Riccio e i suoi amici - Racconti per i dodici mesi dell'anno
Roberto Piumini - Emanuela Bussolati, Fiabe per occhi e bocca La cicala e la formica e altre favole di animali, riscritte da Graham Percy
Boschi e foreste incantate, a cura di Mary Hoffman


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Erwin Moser, La barca dei sogni - Storie della buonanotte
Penne, matite e astucci - Storie di scuola
Favole di Esopo
Roberto Piumini - Francesco Altan, Mi leggi un'altra storia? Raccontini strampalati e divertenti
Serguei Kozlov, L'orsetto e il riccio - Storie dal profondo
della foresta
Graham Percy, Re, papere e rape
Mino Milani, La storia di Tristano e Isotta
Era una notte buia e tempestosa, a cura di Arnhild Kantelhardt
Le vacanze di Matilde
Giardini e castelli fatati, a cura di Mary Hoffman Martina G羹rth, Che succede nel bosco di notte? Mino Milani, La storia di Ulisse e Argo
Erwin Moser, Il gatto ha trovato qualcosa - Storie nella
fattoria
Stefano Bordiglioni - Manuela Badocco, Dal diario di una bambina troppo occupata
Pef, Gli uomini rossi
Ingo Siegner, Nocedicocco - Draghetto sputafuoco G矇rard Nicolas, Il teatro della Grande Foresta Stefano Bordiglioni, Scuolaforesta
Erwin Moser, Plim il pagliaccio - Storie di animali
Oscar Wilde, Il fantasma di Canterville
Edna O'Brien, Elfi e draghi - Racconti irlandesi Stefano Bordiglioni, Un problema 癡 un bel problema Jonathan Langley, Il grande libro delle fiabe
Beatrice Masini, A pescare pensieri
Roberto Piumini, Storie per chi le vuole
Furio Scarpelli, Opopomoz. Una storia magica
Graham Percy, E cammina cammina... Storie da tutto il mondo Christine N繹stlinger, Le avventure nel bosco di Tato Tasso Nicoletta Costa, Storie di foglie e di cielo
Geraldine McCaughrean, Sotto il segno di Giove - Miti romani










































Finito di stampare, per conto delle Edizioni EL
presso Editoriale Lloyd S. r. l. - S. Dorligo della Valle (Ts)



Ristampa
7 8 9 10
Anno
2004 2005 2006


Gianni Rodari, nato a Omegna (Novara) nel
1920, dopo una breve esperienza di insegnamento elementare, lavor簷 come
giornalista all'竄Unit罈 e a 竄Paese Sera罈 e
scrisse per l'infanzia, curando anche alcuni programmi per bambini della RAI. Diresse il
竄Pioniere罈, settimanale illustrato per ragazzi, e il 竄Giornale dei Genitori罈; collabor簷 lungamente al 竄Corriere dei Piccoli罈 e a 竄La
Via Migliore罈, diffuso periodico delle casse di
risparmio italiane. 1 suoi libri hanno avuto innumerevoli traduzioni e hanno meritato diversi riconoscimenti tra cui il prestigioso Premio Andersen (1970), Nobel della letteratura per l'infanzia. Rodari 癡 morto a Roma nel i 98o.
Di Rodari Einaudi Ragazzi ha ripubblicato con le illustrazioni di Altan: Prime fiabe e
filastrocche, La torta in cielo, Il libro degli
errori, La gondola fantasma, Fiabe e Fantafiabe, Gli affari del Signor Gatto, Novelle fatte a macchina, Le favolette di Alice, Storie di Marco e Mirko, Zoo di storie e versi, Versi e storie di parole, I viaggi di Giovannino Perdigiorno, Il gioco dei quattro cantoni, Il Pianeta degli alberi di Natale, Filastrocche in cielo e in terra, Marionette in libert, Il secondo libro delle filastrocche, C'era due volte il barone Lamberto, Agente X.99: storie e versi dallo spazio, Altre storie, Fra i banchi, Il gatto in gondola, Bolle di sapone.


Una volta, a Bologna, fecero un palazzo di gelato proprio sulla Piazza Maggiore, e i bambini venivano di lontano a dargli una leccatina.
Il tetto era di panna montata, il fumo dei comignoli di zucchero filato, i comignoli di frutta candita. Tutto il resto era di gelato: le porte di gelato, i muri di gelato, i mobili di gelato. Un bambino piccolissimo si era attaccato a un tavolo e gli lecc簷 le zampe una per una, fin che il tavolo gli croll簷 addosso con tutti i piatti, e i piatti erano di gelato al cioccolato, il pi羅 buono.
Una guardia del Comune, a un certo punto, si accorse che una finestra si scioglieva. I vetri erano di gelato alla fragola...

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