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DACIA MARAINI
LA LUNGA VITA DI MARIANNA UCRIA
PREMIO CAMPIELLO 1990

Un padre e una figlia eccoli l lui biondo, bello, sorriden-
te, lei goffa, lentigginosa, spaventata. Lui elegante e trasan-
dato, con le calze ciondolanti, la parrucca infilata di traverso,
lei chiusa dentro un corsetto amaranto che mette in risalto la
carnagione cerea.
La bambina segue nello specchio il padre che, chino, si
aggiusta le calze bianche sui polpacci. La bocca in movi-
mento ma il suono delle parole non la raggiunge, si perde pri-
ma di arrivare alle sue orecchie quasi che la distanza visibile
che li separa fosse solo un inciampo dell'occhio. Sembrano
vicini ma sono lontani mille miglia.
La bambina spia le labbra del padre che ora si muovono
piin fretta. Sa cosa le sta dicendo anche se non lo sente: che
si sbrighi a salutare la signora madre, che scenda in cortile
con lui, che monti di corsa in carrozza perch come al solito
sono in ritardo.
Intanto Raffaele Cuffa che quando alla "casena" cam-
mina come una volpe a passi leggeri e cauti, ha raggiunto il
duca Signoretto e gli porge una larga cesta di vimine intrec-
ciato su cui spicca una croce bianca.
Il duca apre il coperchio con un leggero movimento del
polso che la figlia riconosce come uno dei suoi gesti picon-
sueti: il moto stizzoso con cui getta da una parte le cose che
lo annoiano. Quella mano indolente e sensuale si caccia fra le
stoffe ben stirate, rabbrividisce al contatto col gelido crocifis-
so d'argento, duna strizzata al sacchetto pieno di monete e
poi sguscia fuori rapida. Ad un cenno, Raffaele Cuffa si af-
fretta a richiudere la cesta. Ora si tratta solo di fare correre i
cavalli fino a Palermo.
Marianna intanto si precipitata nella camera da letto
dei genitori dove trova la madre riversa fra le lenzuola, la ca-
micia gonfia di pizzi che le scivola su una spalla, le dita della
mano chiuse attorno alla tabacchiera di smalto.
La bambina si ferma un attimo sopraffatta dall'odore del
trinciato al miele che si mescola agli altri effluvi che accom-
pagnano il risveglio materno: olio di rose, sudore rappreso,
orina secca, pasticche al profumo di giaggiolo.
La madre stringe a sla figlia con un gesto di pigra tene-
rezza. Marianna vede le labbra che si muovono ma non vuo-
le fare lo sforzo di indovinarne le parole. Sa che le sta dicendo
di non attraversare la strada da sola perchsorda com'po-
trebbe trovarsi stritolata sotto una carrozza che non ha senti-
to arrivare. E poi i cani, che siano grandi o piccoli, che stia
alla larga dai cani. Le loro code, lo sa bene, si allungano fino
ad avvolgersi intorno alla vita delle persone come fanno le
chimere e poi zac, ti infilzano con quella punta biforcuta che
sei morta e neanche te ne accorgi...
Per un momento la bambina fissa lo sguardo sul mento
grassoccio della signora madre, sulla bocca bellissima dalle
linee pure, sulle guance lisce e rosee, sugli occhi ingenui, ar-
resi e lontani: non diventermai come lei, si dice, mai, nean-
che morta.
La signora madre le sta ancora parlando dei cani chimera
che si allungano come serpenti, che ti solleticano coi baffi
che ti incantano con gli occhi maliziosi, ma lei scappa via do-
po averle dato un bacio frettoloso.
Il signor padre giin carrozza. Ma anzichsbraitare,
canta. Lo vede da come gonfia le gote, da come alza le so-
pracciglia. Appena lei appoggia un piede sul predellino si
sente agguantare da dentro e spingere sul sedile. Lo sportello
viene chiuso dall'interno con un colpo secco. E i cavalli par-
tono al galoppo frustati da Peppino Cannarota.
La bambina si abbandona sul sedile imbottito e chiude
gli occhi. Alle volte i due sensi su cui conta di pisono tal-
mente all'erta che si azzuffano fra di loro miserevolmente
Gli occhi hanno l'ambizione di possedere le forme complete
nella loro integrite l'odorato a sua volta si impunta preten-
dendo di fare passare il mondo intero attraverso quei due mi-
nuscoli fori di carne che si trovano in fondo al naso.

Ora ha abbassato le palpebre per riposare un momento le
pupille e le narici hanno preso a sorbire l'aria riconoscendo e
catalogando gli odori con pignoleria: com'prepotente l'ac-
qua di lattuga che impregna il panciotto del signor padre!
sotto, si indovina la fragranza della cipria di riso che si me-
scola all'unto dei sedili, all'acido dei pidocchi schiacciati, al
pizzicore della polvere della strada che entra dalle giunture
degli sportelli, nonchad un leggero sentore di mentuccia
che sale dai prati di casa Palagonia.
Ma uno scossone pirobusto degli altri la costringe ad
aprire gli occhi. Vede il padre che dorme sul sedile di fronte,
il tricorno rovesciato su una spalla, la parrucca di traverso
sulla bella fronte sudata, le ciglia bionde posate con grazia
sulle guance appena rasate.
Marianna scosta la tendina color mosto dalle aquile do-
rate in rilievo. Vede un pezzo di strada impolverata e delle
oche che schizzano via davanti alle ruote aprendo le ali. Nel
silenzio della sua testa si intrufolano le immagini della cam-
pagna di Bagheria: i sugheri contorti dal tronco nudo e ros-
siccio, gli ulivi dai rami appesantiti da minuscole uova verdi,
i rovi che tendono a invadere la strada, i campi coltivati, i fi-
chi d'India, i ciuffi di canne e dietro, sul fondo, le colline ven-
tose dell'Aspra.
La carrozza ora supera i due pilastri del cancello di villa
Butera e si avvia verso Ogliastro e Villabate. La piccola ma-
no aggrappata alla tenda rimane incollata alla stoffa, incu-
rante del calore che trasuda dal tessuto di lana ruvida. Nel
suo stare rigida e ferma c'anche la volontdi non svegliare
il signor padre con dei rumori involontari. Ma che stupida! e
i rumori della carrozza che rotola sulla strada piena di bu-
che, e le urla di Peppino Cannarota che incita i cavalli? e gli
schiocchi della frusta? e l'abbaiare dei cani? Anche se per lei
sono solo rumori immaginati, per lui sono veri. Eppure lei ne
disturbata e lui no. Che scherzi fa l'intelligenza ai sensi mu-
tilati!
Dalle canne che saltano su indolenzite appena mosse dal
vento africano, Marianna capisce che sono arrivati nei pressi
di Ficarazzi. Ecco in fondo sulla sinistra il casermone giallo
chiamato "a fabbrica du zuccaru". Attraverso le fessure dello
sportello chiuso si insinua un odore pesante, acidulo. E l'odo-
re della canna tagliata, macerata, sfibrata, trasformata in
melassa.
I cavalli oggi volano. Il signor padre continua a dormire
nonostante le scosse. Le piace che sia labbandonato nelle
sue mani. Ogni tanto si sposta in avanti e gli tira su il tricor-
no, gli allontana una mosca troppo insistente.
Il silenzio un'acqua morta nel corpo mutilato della
bambina che da poco ha compiuto i sette anni. In quell'ac-
qua ferma e chiara galleggiano la carrozza, le terrazze dai
panni stesi, le galline che corrono, il mare che si intravvede
da lontano, il signor padre addormentato. Il tutto pesa poco
e facilmente cambia posto ma ogni cosa legata all'altra da
quel fluido che impasta i colori, scioglie le forme.
Quando Marianna torna a guardare fuori dal vetro si tro-
va di colpo davanti al mare. L'acqua limpida e si butta leg-
gera SUi grossi ciottoli grigi. Sopra la linea dell'orizzonte una
grossa barca dalle vele flosce si dirige da destra verso sini-
stra.
Un ramo di gelso si schianta contro il vetro. Delle more
porporine vengono schiacciate con forza contro il finestrino.
Marianna Si scosta ma in ritardo: l'urto le ha fatto sbattere la
testa contro lo stipite. La signora madre ha ragione: le sue
orecchie non sono buone a fare da sentinella e i cani possono
agguantarla da un momento all'altro per la vita. Perciil suo
naso diventato cosfino e gli occhi sono rapidissimi nell'av-
vertirla di ogni oggetto in moto.
Il signor padre ha aperto gli occhi per un istante e poi tornato a sprofondare nel sonno. E se gli desse un bacio?
quella guancia fresca coi segni di un impaziente rasoio le d voglia di abbracciarlo. Ma si trattiene perchsa che lui non
ama le smancerie. E poi perchsvegliarlo mentre dorme cos di gusto, perchriportarlo ad un'altra giornata di "camur-
rie come dice lui, gliel'ha pure scritto su un foglietto con la
sua bella grafia tutta tonda e tornita.
Dai sussulti regolari che scuotono la carrozza la bambina
indovina che sono arrivati a Palermo. Le ruote hanno preso a
girare sulle "balate" e le pare di udirne lo strepito cadenzato.
Fra poco volteranno verso Porta Felice, poi prenderanno
il Cassaro Morto e poi? il signor padre non le ha fatto sapere
dove la sta portando ma dalla cesta che gli ha consegnato
Raffaele Cuffa puindovinarlo. Alla Vicaria?

E proprio la facciata della Vicaria che la bambina si tro-
va davanti quando scende dalla carrozza aiutata dal braccio
del padre. Una mimica che l'ha fatta ridere: il risveglio preci-
pitoso, una calcata sulle orecchie della parrucca incipriata,
una manata al tricorno e un salto dal predellino con una
mossa che voleva essere disinvolta ma risultata impacciata;
per poco non cadeva lungo disteso tanto le gambe gli si erano
informicolite.
Le finestre della Vicaria sono tutte uguali, irte di grate
arricciolate che finiscono con delle punte minacciose. Il por-
tone tempestato di bulloni arrugginiti, una maniglia in forma
di testa di lupo dalla bocca aperta. E proprio la prigione con
tutte le sue bruttezze che quando la gente ci passa davanti gi-
ra la testa dall'altra parte per non vederla.
Il duca fa per bussare ma la porta gli viene spalancata e
lui entra come se fosse casa sua. Marianna gli va dietro fra
gli inchini dei guardiani e dei servitori. Uno le sorride sor-
preso, un altro le fa la faccia scura, un altro ancora cerca di
trattenerla per un braccio. Ma lei si svincola e corre dietro
al padre.
Un corridoio stretto e lungo: la figlia fatica a tenere dietro
al padre che procede a grandi passi verso la galleria. Lei sal-
tella sulle scarpette di raso ma non riesce a raggiungerlo. Ad
un certo punto crede di averlo perso, ma eccolo dietro un an-
golo che la aspetta.
Padre e figlia si trovano insieme dentro una stanza trian-
golare illuminata malamente da una sola finestra arrampica-
ta sotto il soffitto a volta. Lun inserviente aiuta il signor pa-
dre a togliersi la giamberga e il tricorno. Gli prende la par-
rucca, l'appende al pomello che sporge dal muro. Lo aiuta a
indossare il lungo saio di tela bianca che stava riposto nella
cesta assieme al rosario, a una croce e a un sacchetto di mo-
nete.
Ora il capo della Cappella della Nobile Famiglia dei
Bianchi pronto. Nel frattempo, senza che la bambina se ne
accorga, sono arrivati altri gentiluomini, anche loro in saio
bianco. Quattro fantasmi col cappuccio floscio sul collo.
Marianna guarda in su mentre gli inservienti con le mani
esperte trafficano attorno ai Fratelli Bianchi come fossero at-
tori che Si preparano ad andare in scena: le pieghe dei sai che
siano ben dritte, che caschino candide e modeste sui piedi
calzati dai sandali, i cappucci che siano calati fino al collo
drizzando le punte bianche verso l'alto.
Ora i cinque uomini sono uguali, non si distinguono l'u-
no dall'altro: bianco su bianco, pietsu piet solo le mani
quando fanno capolino fra le pieghe e quel poco di nero che
balugina dai due fori del cappuccio lasciano indovinare la
persona.
Il pibasso dei fantasmi si china sulla bambina, agita le
mani rivolto verso il signor padre. E indignato, lo si capisce
da come batte un piede sul pavimento. Un altro Fratello
Bianco interviene facendo un passo avanti. Sembra che si
debbano prendere per il collo. Ma il signor padre li mette a
tacere con un gesto autoritario.
Marianna sente il tessuto freddo e molle del saio paterno
che casca sul suo polso nudo. La mano destra del padre si
stringe attorno alle dita della figlia. Il naso le dice che sta
per succedere qualcosa di terribile, ma cosa? Il signor padre
la trascina verso un altro corridoio e lei cammina senza
guardare dove mette i piedi, presa da una curiositlivida ed
eccitata.
In fondo al corridoio incontrano delle scale ripide di pie-
tra scivolosa. Le mani dei nobiluomini si aggrappano ai sai
come fanno le signore con le loro gonne ampie sollevandone i
lembi per non inciampare. I gradini di pietra trasudano umi-

dite si vedono male per quanto un guardiano li preceda te-
nendo alta una torcia accesa.
Non ci sono finestre, nalte nbasse. D'improvviso sce-
sa giuna notte che sa di olio bruciato, di escrementi di topo,
di grasso di maiale. Il Capitano giustiziere consegna le chiavi
del "dammuso" al duca Ucr駮 che si spinge avanti fino a
raggiungere un portoncino di legno dalle assi rinforzate. L
aiutato da un ragazzo a piedi scalzi apre il catenaccio inchia-
vardato, sfila una grossa sbarra di ferro.
La porta si apre. La fiamma fumosa illumina un pezzo di
pavimento su cui degli scarafaggi prendono a correre all'im-
pazzata. Il guardiano solleva la torcia e butta qualche lingua
di luce su due corpi seminudi che giacciono lungo la parete,
le caviglie imprigionate da grosse catene.
Il fabbro ferraio, sbucato non si sa da dove, si china ora a
schiodare i ferri di uno dei prigionieri. Un ragazzo dagli oc-
chi cisposi che si spazientisce per la lentezza dell'operazione,
tira su un piede fino quasi a solleticare con l'alluce il naso del
fabbro. E ride mostrando una bocca grande, sdentata.
La bambina si nasconde dietro al padre che ogni tanto
si china su di lei, le fa una carezza ma brusca piper con-
trollare che stia davvero guardando piuttosto che per rin-
cuorarla.
Quando infine libero, il giovanotto si alza in piedi Ma-
rianna scopre che quasi un bambino, avrse no l'etdel
figlio di Cannarota morto di febbri malariche pochi mesi fa a
tredici anni.
Gli altri prigionieri sono rimasti muti a guardare. Appe-
na il ragazzino prende a camminare su e gicon le caviglie li-
bere ripigliano il gioco lasciato a metcontenti di disporre
per una volta di tanta luce.
Il gioco consiste nell'ammazzare pidocchi: chi ne schiac-
cia di pie pirapidamente fra i due pollici vince. I pidocchi
morti vengono delicatamente posati sopra una monetina di
rame. Colui che vince si prende la monetina da un grano.
La bambina assorta a guardare i tre che giocano, le loro
bocche che si aprono al riso, che gridano parole per lei mute.
La paura l'ha lasciata, ora pensa con iranquillitche il si-
gnor padre la vuole portare con sall'inferno: ci saruna ra-
gione segreta, un "perchtrallalallera" che capirdopo.
La condurra vedere i dannati immersi nel fango, quelli
che camminano con i macigni sulle spalle, quelli che si tra-

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sformano in alberi, quelli che fumano dalla bocca avendo
rnangiato carboni ardenti, quelli che strisciano come serpen-
ti, quelli che vengono mutati in cani che allungano la coda fi-
no a farne degli arpioni con cui uncinare i passanti e portar-
seli alla bocca, come dice la signora madre.
Ma il signor padre lanche per questo, per salvarla dai
trabocchetti. E poi l'inferno, se visitato da vivi come faceva il
signor Dante, puessere anche bello da vedere: loro di lche
patiscono e noi di qua che guardiamo. Non questo l'invito
di quegli incappucciati candidi che si passano il rosario di
mano in mano?

III





Il ragazzo la osserva stralunato e Marianna ricambia le
sue occhiate decisa a non farsi intimidire. Ma le palpebre di
lui sono gonfie e spurgano; probabilmente non distingue be-
ne, si dice la bambina. Chisscome la vede; se grande e cic-
ciotta come si ritrova nello specchio deformante di zia Mani-
na oppure piccola e senza carne. In quel momento, a una
smorfia di lei, il ragazzo si scioglie in un sorriso buio, storto.
Il signor padre con l'aiuto di un Fratello Bianco incap-
pucciato lo prende per le braccia, lo tira verso la porta. I gio-
catori ritornano alla semioscuritdi tutti i giorni. Due mani
asciutte sollevano di peso la bambina e la posano con delica-
tezza sul primo gradino della scala.
Riprende la processione: il guardiano con la torcia acce-
sa, il signor duca Ucr駮 con il prigioniero al braccio, gli altri
Fratelli Bianchi, il fabbro ferraio e due inservienti in giubba
nera dietro. Di nuovo si ritrovano nella stanza triangolare fra
un via vai di guardie e valletti che reggono fiaccole, avvicina-
no sedie, portano bacinelle d'acqua tiepida, asciugamani di
lino, vassoi con sopra pane fresco e frutta candita.
Il signor padre si china sul ragazzo con gesti affettuosi.
Mai l'ha visto costenero e premuroso, si dice Marianna.
Con una mano a conca prende su l'acqua dalla "b趓ara", la
fa scorrere sulle guance impiastricciate di muco del ragazzo;
poi lo pulisce con l'asciugamano di bucato che gli porge il
valletto. Subito dopo prende fra le dita un pezzo di pane
bianco e spugnoso e sorridendo lo porge al prigioniero come
se fosse il picaro dei suoi figli.
Il ragazzo si lascia accudire, pulire, imboccare senza dire
una parola. A momenti sorride, a momenti piange. Qualcu-
no gli mette in mano un rosario dai grossi chicchi di madre-
perla. Lui lo tasta con i polpastrelli e poi lo lascia cadere per
terra. Il signor padre ha un gesto di impazienza. Marianna
si china a raccogliere il rosario e lo ripone nelle mani del ra-
gazzo. Avverte per un attimo il contatto di due dita callose,
diacce.
Il prigioniero stira le labbra sulla bocca a metvuota di
denti. Gli occhi rossicci sono stati bagnati con una pezzuola
imbevuta di acqua di lattuga. Sotto lo sguardo indulgente dei
Fratelli Bianchi il condannato allunga una mano verso il vas-
soio, si guarda un momento intorno intimorito, poi si caccia
in bocca una prugna color miele incrostata di zucchero.
I cinque gentiluomini si sono inginocchiati e sgranano il
rosario. Il ragazzo, le guance gonfie di canditi, viene spinto
dolcemente in ginocchio perchpreghi anche lui.
Le ore picalde del pomeriggio trascorrono cosin pre-
ghiere sonnolente. Ogni tanto un valletto si avvicina reggen-
do un vassoio carico di bicchieri d'acqua e anice. I Bianchi
bevono e riprendono a pregare. Qualcuno si asciuga il sudo-
re, altri Si appisolano e si svegliano di soprassalto tornando a
sgranare il rosario. Il ragazzo si addormenta pure lui dopo
avere ingollato tre albicocche cristalline. E nessuno ha cuore
di svegliarlo.
Marianna osserva il padre che prega. Ma sarquell'in-
cappucciato lil signor duca Signoretto o sarquell'altro con
la testa ciondoloni? le sembra di sentire la sua voce che recita
lentamente l'avemaria.
Nella conchiglia dell'orecchio, ora silenziosa, conserva
qualche brandello di voce familiare: quella gorgogliante, rau-
ca, della signora madre, quella acuta della cuoca Innocenza,
quella sonora, bonaria del signor padre che pure ogni tanto si
impuntava e Si scheggiava sgradevolmente.
Forse aveva anche imparato a parlare. Ma quanti anni
aveva? quattro o cinque? una bambina ritardata, silenziosa e
assorta che tutti avevano la tendenza a dimenticare in qual-
che angolo per poi ricordarsene tutto d'un tratto e venirla a
rimproverare di essersi nascosta.
Un giorno, senza una ragione, era ammutolita. Il silenzio
si era impadronito di lei come una malattia o forse come una

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vocazione. Non sentire pila voce festosa del signor padre le
era sembrato tristissimo. Ma poi ci aveva fatto l'abitudine.
Ora prova un senso di allegrezza nel guardarlo parlare senza
afferrarne la parole, quasi una maliziosa soddisfazione.
俊u sei nata cos sordomuta le aveva scritto una volta
il padre sul quaderno e lei si era dovuta convincere di essersi
inventata quelle voci lontane. Non potendo ammettere che il
signor padre dolcissimo che l'ama tanto dica delle menzogne,
deve darsi della visionaria. L'immaginazione non le manca e
neanche il desiderio di parola perci

e pl e pl e pl
sette fimmini p'un tar e pe pe p un tartroppu pocu
sette fimmini p'un varcuocu...

Ma i pensieri della bambina vengono interrotti dal movi-
mento di un Bianco che esce e torna con un grosso libro su
cui c'scritto a lettere d'oro SCARICHI DI COSCIENZA. Il si-
gnor padre sveglia con un colpetto gentile il ragazzo e insie-
me si appartano in un angolo della sala dove il muro fa una
nicchia e una lastra di pietra incastrata a mo' di sedile.
Lil duca Ucr駮 di Fontanasalsa si china sull'orecchio
del condannato invitandolo a confessarsi. Il ragazzo biascica
qualche parola con la giovane bocca sdentata. Il signor pa-
dre insiste affettuoso incalzandolo. L'altro finalmente sorri-
de. Ora sembrano un padre e un figlio che parlano disinvolti
di cose di famiglia.
Marianna li osserva presa dallo sgomento: cosa crede di
fare quel pappagalletto appollaiato vicino al padre, come se
lo conoscesse da sempre, come se avesse tenuto fra le sue dita
le mani impazienti di lui, come se ne conoscesse a memoria i
contorni, come se avesse sempre avuto da appena nato gli
odori di lui nelle narici, come se fosse stato preso mille volte
per la vita da due braccia robuste che lo facevano saltare da
una carrozza, da una portantina, dalla culla, dalle scale con
quell'impeto che solo un padre carnale puprovare per la
propria figlia. Cosa crede di fare?
Un desiderio struggente di assassinio le sale da sotto l'u-
gola, le invade il palato, le brucia la lingua. Gli tirerun vas-
soio in testa, gli caccerun coltello in petto, gli strappertut-
ti i capelli che ha in testa. Il signor padre non appartiene a
lui ma a lei, a quella disgraziata mutola che nel mondo ha un
solo bene e quello il signor padre.
I pensieri omicidi spariscono ad un brusco spostamento
d aria. La porta si spalancata e sulla soglia apparso un
uomo dalla pancia a melone. E vestito come un buffone, me-
tdi rosso e metdi giallo: giovane e corpulento ha le gambe
corte, le spalle robuste, le braccia da lottatore, gli occhi pic-
cOIi e storti. Mastica dei semi di zucca e sputa le bucce per
aria con allegria.
Il ragazzo quando lo vede, sbianca. I sorrisi che gli ha
strappato il signor padre gli muoiono sulla faccia; le labbra
prendono a tremargli e gli occhi a spurgargli. Il buffone gli si
avvicina sempre sputando per aria i semi di zucca. Quando
lo vede scivolare per terra come uno straccio bagnato fa un
gesto ai due inservienti che lo sollevano per le ascelle e lo tra-
scinano verso l'uscita.
L'aria scossa da vibrazioni cupe come il battito delle ali
gigantesche di un uccello mai visto. Marianna si guarda in-
torno. I Fratelli Bianchi si stanno dirigendo verso la porta
d ingresso con passo cerimonioso. Il portone si spalanca di
colpo e quel battito d'ali si fa tanto vicino e forte da stordirla.
Sono i tamburi del Vicere con essi la folla che urla, agita le
braccia, gioisce.
La piazza Marina che prima era vuota ora gremita: un
mare di teste ondeggianti, colli che si allungano, bocche che
si aprono, stendardi che si levano, cavalli che scalpitano, un
finimondo di corpi che si accalcano, si spingono, invadendo
la piazza rettangolare.

Le finestre straboccano di teste, i balconi sono un pigia
pigia di corpi che si sbracciano, si sporgono per vedere me-
glio. I Ministri di Giustizia con le verghe gialle, la Guardia
Regia con lo stendardo viola e oro, i Granatieri muniti di
baionetta, sono lfermi che trattengono a stento l'impazien-
za della calca.
Cosa sta per succedere? la bambina lo indovina ma non
osa rispondersi. Tutte quelle teste vocianti sembrano bussare
al suo silenzio chiedendo di entrare.
Marianna distoglie lo sguardo dalla ressa, lo dirige verso
il ragazzo sdentato. Lo vede fermo, impettito: non trema pi
non casca su se stesso.- Ha un luccichio di orgoglio negli oc-
chi: tutto quel putiferio per lui! quella gente vestita a festa,
quei cavalli, quelle carrozze, aspettano proprio lui. Quegli
stendardi, quelle divise dai bottoni scintillanti, quei cappelli
piumati, quegli ori, quelle porpore, tutto per lui solo, un
miracolo!
Due guardiani lo distolgono brutalmente dall'estatica
contemplazione del proprio trionfo. Attaccano alla cordicella
con cui gli hanno legato le mani, un'altra corda pilunga e
robusta che assicurano alla coda di una mula. E coslegato lo
trascinano verso il centro della piazza.
In fondo sullo Steri fa mostra di suna splendida bandie-
ra rosso sangue. E da l dal palazzo Chiaramonte che escono
adesso i Grandi Padri dell'Inquisizione, a due a due, prece-
duti e seguiti da un nugolo di chierichetti.
Al centro della piazza un palco alto due o tre bracci, pro-
prio come quelli su cui si rappresentano le storie di Nofriu e
Travaglino, di Nardo e di Tiberio. Solo che al posto della tela

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nera c'un tetro aggeggio di legno; una specie di L capovolta
a CUi e appesa una corda con un cappio.
Marianna viene spinta dal signor padre che segue il pri-
gioniero che segue a sua volta la mula. Ora la processione partita e nessuno pufermarla per nessuna ragione: i cavalli
della Guardia Regia in testa, i Signori Bianchi incappucciati,
i Ministri della Giustizia, gli Arcidiaconi, i sacerdoti, i frati
scalzi, i tamburini, le trombe, un lungo corteo che si apre fa-
ticosamente la strada fra la folla eccitata.
La forca la qualche passo di distanza eppure sembra
lontanissima dal tempo che impiegano per arrivarci facendo
dei giri capziosi attorno alla piazza.
Finalmente il piede di Marianna urta contro un gradino
di legno. Ora sono proprio approdati. Il signor padre sta sa-
lendo le scale assieme al condannato preceduto dal boia e se-
guito dagli altri Fratelli della Buona Morte.
Il ragazzo ha di nuovo quel sorriso stralunato sulla faccia
bianca. E il signor padre che lo incanta, lo affascina con le
sue parole di consolazione, lo spinge verso il paradiso descri-
vendogli le delizie di un soggiorno fatto di riposi, di ozii, di
mangiate e di dormite colossali. Il ragazzo proprio come un
bambino imbambolato dalle parole di una madre piche di
un padre, sembra non agognare altro che correre nel mondo
dell'aldildove non ci sono prigioni npidocchi nmalattie
npatimenti ma solo giulebbe e riposo.
La bambina allarga le pupille indolenzite; ora un deside-
rio le salta in groppa: essere lui, anche solo per un'ora, essere
quel ragazzo sdentato con gli occhi che spurgano per potere
ascoltare la voce del signor padre, bersi il miele di quel suono
perduto troppo presto, solo una volta, anche a costo di mori-
re poi impiccata a quella fune che penzola al sole.
Il boia continua a mangiare semi di zucca che poi sputa
in alto con aria di sfida. Tutto proprio come nel teatrino del
Casotto: ora Nardo tirersu la testa e il boia gli darun frac-
co di legnate. Nardo agiterle braccia, cadrsotto il palco e
poi tornersu vivo pidi prima per prendere altre legnate,
altri insulti.
E proprio come a teatro la folla ride, chiacchiera, mangia
aspettando le bastonate. I venditori di acqua e "zamm
vengono fin sotto il palco a porgere i loro "gotti" prendendosi
a spintoni coi venditori di "vasteddi e meusa", di polipi bolli-
ti e di fichi d'India. Ciascuno vanta la sua merce a colpi di
gomito.
Un caramellaio arriva sotto il naso della bambina e quasi
indovinando che sorda, le porge con gesti eloquenti lo scaf-
faletto portabile legato al collo con un laccio bisunto. Lei
butta uno sguardo di sbieco su quei cilindretti di metallo. Ba-
sterebbe allungare una mano, tirarne su uno, spingere col di-
to per aprire il cerchietto e fare sgusciare fuori il piccolo cilin-
dro al gusto di vaniglia. Ma non vuole distrarsi; la sua atten-
zione rivolta altrove, al di sopra di quei gradini di legno an-
nerito dove il signor padre continua a parlare basso e dolce al
condannato come se fosse carne della sua carne.
Gli ultimi gradini sono stati raggiunti. Ora il duca Ucr駮
accenna un inchino alle autoritsedute in faccia al palco: ai
senatori, ai principi, ai magistrati. E poi si inginocchia pen-
soso col rosario fra le dita. La folla per un momento si ac-
quieta. Perfino i venditori ambulanti smettono di agitarsi e se
ne stanno lcon i lorD banchetti mobili, le loro cinghie, le loro
merci esposte, a bocca aperta e il naso per aria.
Finita la preghiera il signor padre porge il crocifisso da
baciare al condannato. E sembra che al posto di Cristo in
croce ci sia lui stesso, nudo, martoriato, con le belle carni
d'avorio e la corona di spine in testa a offrirsi a quelle labbra
stolide di ragazzo impaurito per rassicurarlo, ammansirlo, e
mandarlo all'altro mondo contento e placato.
Con lei non mai stato costenero, mai coscarnale, cos vicino, si dice Marianna, non le ha mai dato il suo corpo da
baciare, non le mai stato addosso coscome se volesse co-
varla coprendola di parole tenere e rassicuranti.
Lo sguardo della bambina si sposta sul condannato e lo
vede piegarsi penosamente sulle ginocchia. Le parole sedu-
centi del duca Ucr駮 vengono spazzate via dal contatto fred-
do e viscido della corda che il boia gli sta girando intorno al
collo. Ma pure riesce in qualche modo a rimanere in piedi
mentre il naso prende a colargi. E lui tenta di liberare una
mano per pulirsi il moccio che gli gocciola sulle labbra, sul
mento. Ma la mano resta legata dietro la schiena. Due, tre

2
volte la spalla si alza, il braccio si torce, sembra che pulirsi il
naso in quel momento sia la sola cosa che conti.
L'aria vibra per i colpi di un grosso tamburo. Il boia ad
un cenno del Magistrato dun calcio alla cassetta su cui ave-
va costretto il ragazzo a salire. Il corpo ha un sussulto, si sti-
ra, ricade su se stesso, prende a girare.
Ma qualcosa non ha funzionato. L'impiccato anzich penzolare come un sacco continua a torcersi sospeso per aria,
il collo gonfio, gli occhi strabuzzati fuori dalle orbite.
Il boia vedendo che la sua opera non riuscita si issa
con la forza delle braccia sulla forca, salta addosso all'im-
piccato e per qualche secondo ciondolano tutti e due appesi
alla corda come due ranocchi in amore mentre la folla trat-
tiene il fiato.
Ma ora davvero morto; lo si capisce dalla consistenza di
pupazzo che ha preso il corpo appeso. Il boia scivola disin-
volto lungo il palo, casca sul palco con un salto agile. La gen-
te prende a lanciare i berretti per aria. Un giovanissimo bri-
gante che ha ammazzato una decina di persone stato giusti-
ziato. Questo lo saprdopo, la bambina. Ora la chiedersi
cosa puavere fatto un bambino poco pigrande di lei e dal-
la faccia cosspaurita e stupida.
Il signor padre si china sulla figlia, estenuato. Le tocca la
bocca come se si aspettasse un miracolo. Le agguanta il men-
to, la guarda negli occhi minaccioso e supplice. 非evi parla-
redicono le sue labbra, 削evi aprire quella maledetta bocca
di pesce! La bambina prova a spiccicare le labbra ma non ce la fa.
Il suo corpo preso da un tremito inarrestabile. Le mani an-
cora aggrappate alle pieghe del saio paterno sono rigide, di
pietra.
Il ragazzo che voleva uccidere morto. E si chiede se pu essere stata lei a ucciderlo avendo desiderato la sua morte co-
me si desidera un bene proibito.

I fratelli in posa davanti a lei. Un gruppo colorato, scalpi-
tante: Signoretto cossimile al signor padre con quei capelli
fini, le gambe tornite, la faccia festosa e fiduciosa; Fiammetta
nel suo vestitino da suora, i capelli raccolti dentro la cuffia
merlettata; Carlo dalle brache corte che gli stringono le cosce
grasse, gli occhi neri scintillanti; Geraldo che da poco ha per-
so i denti di latte e sorride come un vecchio; Agata dalla pelle
chiara e trasparente cosparsa di morsi di zanzara.
I cinque osservano la sorella mutola china sulla tavolozza
e sembra che siano loro a dipingere lei e non lei loro. La spia-
no mentre curva sui colori, pasticcia con la punta del pennel-
lo nel grasso e poi torna alla tela e di colpo il bianco si copre
di un giallo tenerissimo e sul giallo si stende il celeste a pen-
nellate limpide e felici.
Carlo dice qualcosa che li fa scoppiare a ridere. Marian-

na li prega a gesti di stare fermi ancora un poco. Il disegno a
carboncino lsulla tela con le teste, i colletti, le braccia, le
facce, i piedi. Il colore stenta a prendere corpo, tende a di-
luirsi, a colare verso il basso. E loro si irrigidiscono pazienti
ancora per qualche minuto. Ma poi Geraldo che rompe l'e-
quilibrio dando un pizzicotto a Fiammetta che reagisce con
un calcio. E subito sono gomitate, spintoni, schiaffi. Finch Signoretto non li mette a posto con degli scappellotti: il
maggiore e pufarlo.
Marianna riprende a intridere il pennello nel bianco, nel
rosa, mentre i suoi occhi si spostano dalla tela al gruppo. C' qualcosa di incorporeo in questo suo ritratto, qualcosa di
troppo levigato, irreale. Sembra quasi uno di quei "portretti'
ufficiali che si fanno fare le amiche della signora madre, tutti
impettiti e irrigiditi in cui dell'immagine originale non rima-
ne che un ricordo lontano.
Dovrripensare di piai loro caratteri, si dice, se non
vuole lasciarseli sfuggire. Signoretto che si messo in rivalit col padre, i suoi modi autoritarii, le sue sonore risate. E la si-
gnora madre che lo protegge: quando li vede scontrarsi, pa-
dre e figlio, li guarda sorniona, quasi divertita. Ma gli sguar-
di di indulgenza si soffermano sul capo del figlio con una tale
intensitda risultare evidenti a tutti.
Il signor padre, invece, ne irritato: quel bambino non
solo gli assomiglia sorprendentemente ma rifi suoi movi-
menti meglio di lui, con pigarbo e tensione. Come avere da-
vanti uno specchio che lo adula e nello stesso tempo gli ricor-
da che presto sarsostituito senza dolore. Fra l'altro il pri-
mo e porta il suo stesso nome.
Con la sorella mutola Signoretto di solito protettivo, un
poco geloso delle attenzioni che le rivolge il signor padre;
sprezzante a momenti verso la sua mutilazione, a momenti
invece la prende a pretesto per mostrare agli altri quanto generoso; ma non si sa mai dove comincia la verite dove la
recita.
Accanto a lui Fiammetta nel vestito da monaca, le so-
pracciglia a stanghetta, gli occhi troppo vicini, i denti acca-
vallati. Non bella come Agata e percil'hanno destinata al
convento. Anche se trovasse marito non si potrebbe certo
contrattare come si fa con una autentica bellezza. Nella pic-
cola faccia storta e accesa della bambina c'gila sfida con-
tro un futuro di prigioniera che d'altronde ha accettato spa-
valdamente portando quella tunica che cancella ogni forma
del suo corpo femminile.
Carlo e Geraldo, quindici anni l'uno e undici l'altro, sono
cossimili che sembrano gemelli. Ma uno finirin convento e
l'altro faril dragone. Spesso vestiti come un abate e un sol-
dato in miniatura, Carlo in saio e Geraldo in uniforme, appe-
na si trovano in giardino si divertono a scambiarsi gli abiti
rotolandosi poi per terra avvinghiati in modo da rovinare sia
il saio color crema che la bella divisa dagli alamari d'oro.
Carlo tende a ingrassare. E avido di dolci e di cibi spezia-
ti. Ma anche il piaffettuoso dei fratelli, con lei, e spesso
viene a cercarla solo per tenerle una mano.

Agata la pipiccola la pibella. Per lei si sta gicon-
trattando un matrimonio che, non togliendo niente alla Ca-
sata, salvo una dote di trentamila scudi, darla possibilit alla famiglia di estendere la sua influenza, di contrarre pa-
rentele utili, di stabilire discendenze danarose.
Quando Marianna torna ad alzare gli occhi sui fratelli si
accorge che sono spariti. Hanno approfittato del suo starsene
assorta sulla tela per squagliarsela, contando sul fatto che
non li avrebbe sentiti sghignazzare e correre.
Voltando la testa fa in tempo a scorgere un pezzo della
gonnella di Agata che scompare dietro la "casena" fra gli
spunzoni delle agavi.
Ora come fara continuare il quadro? dovrpescare nel-
la memoria, tanto sa giche non torneranno mai a raggrup-
parsi davanti a lei come hanno fatto oggi dopo tanto insistere
e aspettare.
Il vuoto lasciato dai loro corpi stato subito riempito dal-
la palma nana, dai cespugli di gelsomini e dagli ulivi che di-
gradano verso il mare. Perchnon dipingere quel paesaggio
quieto e sempre uguale a se stesso invece dei fratelli che non
stanno mai fermi? ha piprofondite mistero, si mette gen-
tilmente in posa da secoli e sembra pronto ad ogni gioco.
La mano adolescente di Marianna si allunga verso un'al-
tra tela che appoggia al posto della prima sul cavalletto; in-
tinge il pennello nel verde molle e oleoso. Ma da dove comin-
ciare? dal verde tutto nuovo e brillante della palma nana o
dal verde formicolante di azzurro della piana degli ulivi o dal
verde striato di giallo delle pendici di monte Catalfano?
Potrebbe anche dipingere la "casena" coscome l'ha co-
struita il nonno Mariano Ucr駮, con le sue forme squadrate
e tozze, le sue finestre piadatte a una torre che a una casa
di campagna. Un giorno la "casena" sartrasformata in vil-
la, ne certa e lei la abiteranche d'inverno perchle sue
radici affondano in quella terra che ama pidelle "balati"
di Palermo.
Mentre se ne sta incerta col pennello gocciolante sulla te-
la si sente tirare per una manica. Volta la testa. E Agata che
le porge un foglietto.
俠u puparu arriv vieni!dalla grafia capisce che si trat-
ta di Signoretto. Infatti suona picome un ordine che come
un invito.
Si alza in piedi, asciuga il pennello grondante di verde
sullo straccetto umido, si pulisce le mani stropicciandole con-
tro il grembiule di cotone a righe e si incammina verso il cor-
tile d'ingresso seguendo la sorella.
Carlo, Geraldo, Fiammetta e Signoretto sono giattorno
al Tutui. Il puparo ha legato l'asino al fico e sta finendo di
montare il suo teatrino. Quattro assi verticali che si incrocia-
no con tre pertiche orizzontali. Torno torno quattro braccia
di tela nera.
Intanto alle finestre si sono affacciate le serve, la cuoca
Innocenza, don Raffaele Cuffa e perfino la signora madre a
cui il puparo si rivolge subito con un grande inchino.
La duchessa gli lancia una moneta da dieci tare lui la
raccoglie rapido, se la caccia dentro la camicia, fa un'altra ri-
verenza teatrale e poi va a prendere i suoi pupazzi in una bi-
saccia appesa sui fianchi dell'asino.
Marianna ha givisto quelle bastonate, quelle teste che
crollano sotto il palco per riapparire subito dopo baldanzose
e irridenti. Ogni anno in questa stagione il Tutui appare alla
"casena" di Bagheria per divertire i bambini. Ogni anno la
duchessa lancia una moneta da dieci tare il puparo si consu-
ma in inchini e scappellate talmente esagerate da apparire
delle prese in giro.
Nel frattempo non si sa come avvertiti e da chi, arrivano
decine di "picciriddi" dalle campagne vicine. Le serve scen-
dono in cortile asciugandosi le mani, ravviandosi i capelli.
Spuntano pure il vaccaro don Ciccio Calcon le figlie gemel-
le Lina e Lena, il giardiniere Peppe Geraci con la moglie Ma-
ria e i cinque figli, nonchil lacchdon Peppino Cannarota.
Ecco Nardo che prende a legnate Tiberio e bum e bum.
Lo spettacolo cominciato e ancora i bambini non hanno
smesso di giocare. Ma un momento dopo sono tutti lseduti
per terra col naso per aria, gli occhi fissi sulla scena.
Marianna rimane in piedi un poco in disparte. I bambini
le mettono paura: troppo spesso stata oggetto dei loro
scherzi. Le saltano addosso senza farsi vedere per godersi le
sue reazioni, scommettono fra di loro su chi riuscira fare
esplodere un petardo senza che lei se ne accorga.


26

Intanto dal fondo di quella tela nera apparso un oggetto
nuovo, imprevisto: una forca. Non si era mai visto un patibo-
lo nel teatrino del Tutui e al suo apparire i "picciriddi" trat-
tengono il fiato per l'emozione, questa sche una novitec-
citante!
Un gendarme con la spada al fianco, dopo avere rincorso
il solito Nardo su e gilungo la tela nera, lo afferra per il col-
lo e gli infila la testa nel cappio. Un tamburino appare sulla
sinistra e Nardo viene fatto salire su un panchetto. Poi, ecco,
con un calcio il gendarme scaraventa via il panchetto e Nar-
do ricade su se stesso mentre la corda prende a girare.
Marianna scossa da un tremito. Qualcosa si agita nella
sua memoria come un pesce preso all'amo, qualcosa che non
vuole venire su e tira scuotendo le acque quiete della sua co-
scienza. La mano si alza a cercare il saio ruvido del signor
padre ma non incontra che i peli ispidi della coda dell'asino.
Nardo penzola nel vuoto, penzola con tutta la leggerezza
del suo corpo di ragazzo cisposo e sdentato, lo sguardo fisso
in uno stupore senza scampo e sembra che ancora alzi la
spalla spasmodico per liberare una mano per potersi pulire il
naso che cola.
Marianna cade all'indietro rigida e pesante battendo la
testa sulla terra nuda e dura del cortile. Tutti si voltano. Aga-
ta accorre verso di lei seguita da Carlo che scoppia a piange-
re chino sulla sorella. La moglie di Cannarota le fa vento col
grembiule mentre una serva si slancia a chiamare la duches-
sa. Il puparo si affaccia da sotto la tenda nera con il pupazzo
in mano, a testa in gi mentre Nardo continua a penzolare
in alto sulla forca.
VI





Un'ora dopo, Marianna si sveglia nella camera da letto
dei genitori con una pezzuola fradicia che le pesa sulla fronte.
L'aceto le cola fra le ciglia bruciandole gli occhi. La signora
madre china su di lei: l'ha riconosciuta prima ancora di
aprire le palpebre dall'odore forte di trinciato al miele.
La figlia guarda alla madre da sotto in su: le labbra tonde
e appena velate da una peluria bionda, le narici annerite dal-
le tante prese di tabacco, gli occhi grandi gentili e bui; non
saprebbe dire se sia bella oppure no, certo c'qualcosa in lei
che la indispone, ma cosa? forse quel suo cedere a ogni spin-
ta, quella quiete inamovibile, quel suo sprofondare nei fumi
dolciastri del tabacco, indifferente a tutto.
Ha sempre sospettato che la signora madre, in un lontano
passato in cui era giovanissima e immaginosa, ha scelto di
farsi morta per non dovere morire. Da ldeve venire quella
sua speciale capacitdi accettare ogni noia col massimo della
accondiscendenza e il minimo dello sforzo.
La nonna Giuseppa prima di morire le scriveva qualche
volta della madre sul quaderno dai gigli di Francia: 亟ra cos bella che tutti la volevano a tua madre, ma lei non voleva
nessuno. "Cabeza de cabra" come quella testarda di sua ma-
dre, Giulia che veniva dalle parti di Granada. Non voleva
sposare il cugino, non lo voleva a tuo padre Signoretto. E tut-
ti ci dicevano: ma un beddu pupu, e veramente beddu
non perchfiglio mio ma ci si sciacqua gli occhi a guardar-
lo. Si sposcon la "funcia" tua madre che pareva andasse al
funerale e poi dopo un mese di matrimonio si innamordel
marito e tanto lo amava che comincia fumare... la notte
non dormiva pie perciprendeva il laudano...

28

Quando la duchessa Maria vede che la figlia si riprende
va verso lo scrittoio, afferra un foglio di carta e vi scrive sopra
qualcosa. Asciuga l'inchiostro con la cenere e porge il foglio
alla ragazzina.
青ome stai figghiuzza? Marianna tossisce sputando l'aceto che le colato fra i
denti nel tirarsi su. La signora madre le toglie ridendo lo
straccio bagnato dalla faccia. Poi si dirige alla scrivania, sca-
rabocchia ancora qualcosa e torna col foglio verso il letto.
保ra hai tredici anni approfitto per dirtelo che ti devi
maritari che ti avimu trovato uno zito per te perchnon ti
fazzu monachella come destino di tua sorela Fiametta. La ragazzina rilegge le parole frettolose della madre che
scrive ignorando le doppie, mescolando il dialetto con l'ita-
liano, usando una grafia zoppicante e piena di ondeggiamen-
ti. Un marito? ma perch pensava che mutilata com' le
fosse interdetto il matrimonio. E poi ha appena tredici anni.
La signora madre ora aspetta una risposta. Le sorride af-
fettuosa ma di una affettuositun poco recitata. A lei questa
figlia sordomuta mette addosso un senso di pena insostenibi-
le, un imbarazzo che la gela. Non sa come prenderla, come
farsi intendere da lei. Gilo scrivere le piace poco: leggere
poi la grafia degli altri una vera tortura. Ma con abnegazio-
ne materna si dirige docile verso la scrivania, afferra un altro
foglio, prende la penna d'oca e la boccetta dell'inchiostro e
porta ogni cosa alla figlia distesa sul letto.
隹lla mutola un marito?scrive Marianna appoggiando-
si su un gomito e macchiando nella confusione, il lenzuolo di
inchiostro .
侵l signor padre tutto fici per farti parlari portandoti cu
iddu perfino alla Vicaria chti giovava lo scantu ma non
parlasti perchsei una testa di balata, non hai volont.. tua
sorella Fiammetta si sposa con Cristo, Agata promessa col
figghiu del principe di Torre Mosca, tu hai il dovere di accet-
tare lu zitu che ti indichiamo perchti vogliamo bene e per-
cinon ti lasciamo niescere dalla familia per questo ti diamo
allo zio Pietro Ucr駮 di Campo Spagnolo, barone della Scan-
natura, di Bosco Grande e di Fiume Mendola, conte della
Sala di Paruta, marchese di Sollazzi e di Taya. Che poi oltre
a essere mio fratello pure cugino di tuo padre e ti vuole be-
ne e in lui solo ci puoi trovare un ricetto all'anima. Marianna legge accigliata non facendo picaso agli erro-
ri di ortografia della madre nalle parole in dialetto gettate l a manciate. Rilegge soprattutto le ultime righe: quindi il fi-
danzato, lo "zitu", sarebbe lo zio Pietro? quell'uomo triste,
ingrugnato, sempre vestito di rosso che in famiglia chiamano
"il gambero"?
俏on mi marito scrive rabbiosa dietro il foglio ancora
umido delle parole della madre.
La duchessa Maria torna paziente allo scrittoio, la fronte
cosparsa di goccioline di sudore: che fatica le fa fare questa fi-
glia mutola: non vuole capire che un impiccio e basta.
俏essuno ti prende attia Mariannina mia. E per il con-
vento ci vuole la dote, lo sai. Gistiamo preparandQ i soldi
per Fiammetta, costa caro. Lo zio Pietro ti prende senza
niente perchti vuole bene e tutte le sue terre seriano le tue,
intendisti? Ora la signora madre ha posato la penna e le parla fitto
fitto come se lei potesse sentirla, accarezzandole con un gesto
distratto i capelli bagnati di aceto.
Infine strappa la penna dalle mani della figlia che sta
per scrivere qualcosa e traccia rapida, con orgoglio, queste
parole:
侵n contanti e subito quindicimila scudi.
VII





Una pila di mattoni di tufo sparsi per il cortile. Secchi di
gesso, montagnole di sabbia. Marianna cammina su e gi sotto il sole con la gonna legata in vita per non infradiciarsi
gli orli.
Gli scarponcini dai bottoni slacciati, i capelli raccolti sul-
la nuca con gli spadini d'argento regalatile da suo marito. In-
torno c'una grande confusione di pezzi di legno, cazzuole,
pale, palette, carriole, martelli e asce.
Il mal di schiena diventato quasi insopportabile; gli oc-
chi cercano un posto dove riposare per qualche minuto al-
l'ombra. Un grosso sasso vicino alla stalla, perchno, anche
se intorno si sdrucciola per il fango. Marianna si lascia scivo-
lare sulla pietra tenendosi la schiena con le mani. Si guarda il
ventre; il gonfiore si vede appena eppure sono gicinque me-
si ed la terza gravidanza.
Eccola lla villa bellissima davanti a lei. Della "casena"
non c'pitraccia. Al suo posto un corpo centrale a tre pia-
ni, una scala che si snoda elegante con un movimento serpen-
tino. Dal tronco centrale partono due ali colonnate che si al-
largano e poi si stringono fino a compiere un cerchio quasi
completo. Le finestre si alternano secondo un ritmo regolare:
uno, due, tre, uno; uno, due tre, uno, quasi una danza, un ta-
rascone. Alcune sono vere, altre dipinte per mantenere il
tempo della fuga. In una di quelle finestre ci fardipingere
una tenda e forse una testa di donna che si affaccia, forse lei
stessa che guarda da dietro il vetro.
Il signor marito zio voleva lasciare la "casena" cosco-
m'era stata costruita dal nonno Mariano, coscome i cugini
se l'erano divisa di buon accordo per tanto tempo. Ma lei
aveva insistito, tanto che alla fine l'aveva convinto a farne
una villa dove si potesse passare anche l'inverno, fornita di
stanze per i figli, per la servit per gli amici ospiti. Intanto il
signor padre aveva preso un'altra "casena" da caccia dalle
parti di Santa Flavia.
Sul cantiere il signor marito zio si faceva vedere poco.
Aveva in uggia i mattoni, la polvere, la calce. Preferiva rima-
nere a Palermo nella casa di via Alloro mentre lei a Bagheria
trafficava con gli operai e i pittori. Anche l'architetto ci veni-
va poco volentieri e lasciava tutto in mano al capomastro e
alla giovane duchessa.
Di soldi ne aveva giingoiati tanti quella villa. Solo l'ar-
chitetto aveva voluto seicento onze. I mattoni di pietra are-
naria si rompevano in continuazione e bisognava farne veni-
re dei nuovi ogni settimana, il capomastro era caduto da una
impalcatura rompendosi un braccio e i lavori si erano dovuti
fermare per due mesi.
Quando mancavano solo i pavimenti, poi, era scoppiato
il vaiolo, a Bagheria: tre muratori si erano ammalati e di
nuovo i lavori si erano dovuti interrompere per mesi. Il si-
gnor marito zio era andato a rifugiarsi a Torre Scannatura
con le figlie Giuseppa e Felice. Lei era rimasta nonostante i
biglietti ingiuntivi del duca: 侮enite via o vi prenderil ma-
le... avete il dovere di pensare al figlio che tenete in petto
Ma lei aveva resistito: voleva restare e aveva chiesto per
ssolo la compagnia di Innocenza. Tutti gli altri potevano
andarsene sulle colline di Scannatura.
Il signor marito zio si era offeso ma non aveva insistito
troppo. Dopo quattro anni di matrimonio aveva rinunciato
all'obbedienza della moglie; rispettava le volontdi lei pur-
chnon lo coinvolgessero troppo in prima persona, purch non contraddicessero la sua idea di educazione per i figli e
non ostacolassero i suoi diritti di marito.
Non pretendeva, come il marito di Agata, di intervenire
in ogni decisione della sua giornata. Silenzioso, solitario, la
testa incassata fra le spalle come una vecchia tartaruga, l'a-
ria sempre scontenta e severa, lo zio marito era in fondo pi tollerante di tanti altri mariti che lei conosceva.
Non l'aveva mai visto sorridere salvo una volta che lei si
era tolta una scarpa per infilare il piede nudo nell'acqua del-
la fontana. Poi mai pi Fin dalla prima notte quell'uomo
freddo e timido aveva preso l'abitudine di dormire sul bordo
del letto, voltandole la schiena. Poi una mattina, mentre lei
ancora era immersa nel sonno, le si era buttato addosso e l'a-
veva violentata.
Il corpo della moglie tredicenne aveva reagito a calci e
unghiate. La mattina dopo molto presto Marianna era scap-
pata a Palermo dai genitori. E lla signora madre le aveva
scritto che aveva fatto malissimo ad andarsene dal suo posto
di "mugghieri", comportandosi come "un purpu inchiostra-
to" che butta discredito su tutta la famiglia.
青hi si marita e non si pente, compra Palermo a sole cen-
t'onzee 青u si marita p' amuri sempri campa 'n dulurie
亭emmina e gaddina si perde si troppu camminae 俠a bo-
na mugghieri fa bonu maritul'avevano investita con rim-
proveri e proverbi. Con la madre ci si era messa anche la zia
Teresa professa scrivendole che andandosene dal tetto coniu-
gale aveva fatto "peccato mortale".
Per non parlare della vecchia zia Agata che l'aveva presa
per una mano, le aveva strappata la fede e gliela aveva fatta
mettere fra i denti con la forza. E infine perfino il signor pa-
dre l'aveva redarguita e poi l'aveva riaccompagnata a Ba-
gheria col suo calesse personale consegnandola al marito,
con la preghiera che non infierisse su di lei per riguardo alla
sua giovane ete alla sua mutilazione.
青hiudi gli occhi e pensa ad altroaveva scritto la zia
Professa cacciandole il foglietto nella tasca, dove l'aveva tro-
vato pitardi tornando a casa: 促rega lu Signuri, iddu ti ri-
compenser鉬.
La mattina il signor marito zio si alzava presto, verso le
cinque. Si vestiva in fretta mentre lei dormiva e se ne andava
per le sue campagne con Raffaele Cuffa. Rientrava verso l'u-
na e mezzo. Mangiava con lei. Poi dormiva un'ora e quindi
tornava fuori oppure si chiudeva in biblioteca con i suoi libri
di araldica.
Con lei era cortese ma freddo. Sembrava dimenticarsi di
avere una moglie per giornate intere. Alle volte se ne andava
a Palermo e ci rimaneva per una settimana. Poi d'improvviso



tornava e Marianna sorprendeva uno sguardo tetro e insi-
stente sul suo petto. Istintivamente si copriva la scollatura.
Quando la giovane moglie si pettinava seduta vicina alla
finestra, il duca Pietro a volte la spiava di lontano. Ma appe-
na si accorgeva di essere visto scappava via. D'altronde era
difficile che restassero soli di giorno perchc'era sempre una
serva che girava per le stanze accendendo un lume, rifacendo
il letto, riponendo la biancheria pulita negli armadi, lucidan-
do le maniglie delle porte, sistemando gli asciugamani appe-
na stirati nel "cantaranu" accanto alla bacinella dell'acqua.
Una zanzara grossa come un moscone si posa sul braccio
nudo di Marianna che la guarda un istante incuriosita prima
di cacciarla via. Da dove puvenire una zanzara cosgigan-
tesca? la pozza vicino alle stalle l'ha fatta prosciugare gida
sei mesi, il canale che porta l'acqua ai limoni stato ripulito
l'anno scorso; i due pantani sul sentiero che scende all'ulive-
to sono stati riempiti di terra gida qualche settimana. Ci
deve essere dell'altra acqua stagnante da qualche parte, ma
dove?
Le ombre intanto si sono allungate. Il sole scivolato die-
tro la casa del vaccaro Ciccio Callasciando il cortile a met all'oscuro. Un'altra zanzara viene a posarsi sul collo sudato
di Marianna che fa un gesto di impazienza: dovrgettare
della calce viva nelle stalle; forse proprio l'acqua dell'abbe-
veratoio che serve anche per le mucche messinesi a dare vita
a quelle sanguisughe. Ci sono dei giorni dell'anno in cui non
c'rete, non c'velo, non c'essenza che possa tenere lonta-
ne le zanzare. Una volta la preferita, quella che le attirava
tutte, era Agata. Ora che anche lei si sposata, ed andata a
vivere a Palermo, sembra che gli insetti amino soprattutto le
braccia bianche, nude, il collo sottile di Marianna. In came-
ra da letto stanotte dovrfare bruciare delle foglie di ver-
bena.

Il lavoro della villa quasi alla fine ormai. Mancano solo
le rifiniture degli interni. Per gli affreschi ha interpellato l'In-
termassimi che si presentato con un rotolo sotto il braccio,
un tricorno sudicio in testa, gli stivali larghi in cui nuotavano
due gambine secche e corte.

sceso da cavallo, ha fatto un inchino, le ha sorriso com-
punto fra seducente e baldanzoso. Ha srotolato il foglio sotto
gli occhi di lei spianandolo con due mani piccole e grassocce
che l'hanno inquietata.
I disegni sono arditi e fantasiosi, rigorosi nelle forme, ri-
spettosi della tradizione ma come abitati da un pensiero not-
turno, malizioso e sfolgorante. Marianna aveva ammirato le
teste delle chimere che non avevano forma di leone, corne
vuole il mito, ma portavano sul collo una testa donna. Osser-
vandole una seconda volta si era accorta che assomigliavano
stranamente a lei e questo l'aveva un poco stupita; come ha
fatto a ritrarla in quelle strane bestie mitiche avendola vista
una volta sola e nel giorno del suo matrimonio, cioquando
lei contava appena tredici anni?
Sotto quelle teste bionde dai larghi occhi azzurri si al-
lunga un corpo di leone coperto di riccioli bizzarri, il dorso
mosso da creste, piume, criniere. Le zampe sono irte di un-
ghie a becco di pappagallo, la coda lunga fa degli anelli, delle
spirali che si lanciano in avanti e tornano indietro con la
punta biforcuta proprio come i cani che tanto terrorizzano la
signora madre. Qualcuna porta sul dorso, a metschiena,
una testina di capra che sporge occhiuta e petulante. Altre
no. Ma tutte guardano fra le ciglia lunghe con un'aria di stu-
pita sorpresa.
Il pittore le buttava gli occhi addosso, ammirato, per
niente imbarazzato dal suo mutismo. Anzi, aveva subito co-
minciato a parlarle con gli occhi, senza allungare la mano
verso i foglietti che lei teneva cuciti alla vita assieme con l'a-
stuccio delle penne e l'inchiostro.
Le pupille lucenti dicevano che il piccolo e peloso pittore
di Reggio Calabria era pronto a impastare con le sue manine
scure e gonfie il corpo latteo della giovane duchessa come fos-
se una pasta messa la lievitare per lui.
Lei lo aveva guardato con disprezzo. Non le piaceva quel
modo spavaldo e arrogante di proporsi. E poi cos'era? un
semplice pittore, un oscuro individuo venuto su da qualche
catapecchia calabrese, messo al mondo da genitori magari
vaccari o pecorai. /
Salvo poi a ridere di s nel buio della camera da letto.

35
Sapeva che quello sdegno sociale era finto, che nascondeva
un turbamento mai provato, una paura improvvisa che le
chiudeva la gola. Nessuno finora aveva mostrato in sua pre-
senza un desiderio cosvisibile e ostentato per il suo corpo e
questo le sembrava inaudito ma anche l'incuriosiva.
Il giorno dopo aveva fatto dire al pittore che non c'era e il
giorno appresso gli aveva scritto un biglietto per ordinargli
che cominciasse pure i lavori, gli metteva a disposizione due
ragazzi per mescolare i colori e pulirgli i pennelli. Lei se ne
sarebbe rimasta chiusa in biblioteca a leggere.
E cosera stato. Ma due volte era uscita sul pianerottolo
a guardarlo mentre, appollaiato sulle impalcature, trafficava
col carboncino sulle pareti bianche. Le piaceva osservare co-
me si muovevano quelle piccole mani pelose e paffute. I di-
segni erano sicuri ed eleganti, rivelavano un mestiere cos profondo e delicato che non potevano non suscitare ammira-
zione.
Con quelle mani sporche di colore si stropicciava il naso
macchiandolo di giallo e di verde, agguantava il "vasteddu
ca meusa" e se lo portava alla bocca perdendo filetti di milza
fritta e briciole di pane.

VIII





Nessuno si aspettava che il terzo figlio, anzi la terza figlia
nascesse cospresto, quasi un mese in anticipo e con i piedi in
avanti come un vitello frettoloso. La levatrice aveva sudato
tanto che i capelli le si erano incollati al cranio come se aves-
se preso una secchiata d'acqua in testa.
Marianna aveva seguito i movimenti delle mani di lei co-
me se non le avesse mai viste. A mollo nella catinella d'acqua
bollente e poi nel grasso di sugna, un segno di croce sul petto
e di nuovo sprofondate nell'acqua della "cantara". Intanto
Innocenza passava delle pezzuole bagnate nell'essenza di
bergamotto sulla bocca e sul ventre teso della puerpera.

Niesci niesci cosa fitenti
ca lu cumanna Diu 'nniputenti.

Marianna conosceva le formule e le leggeva sulle labbra
della levatrice. Sapeva che stava per essere raggiunta dai
suoi pensieri ma non aveva fatto niente per scansarli. Forse
allevieranno il dolore, si era detta e aveva chiuso gli occhi per
concentrarsi.
Che fa questo fetente?... perchnon niesci? si messo
male questa testa di rapa... che fece, si rivolt le gambe ci
escono di davanti e le braccia sono inquartate di lato, pare
che balla... e balla e balla minchiuneddu... ma perchnon
niesci babaluceddu?... se non niesci ti prendo a bastona-
te... alla duchessa poi come ce li chiedo i quaranta tarpro-
messi?. . ahhhh ma questa na picciridda! ahi ahi, tutte fem-
mine ci escono da questo ventre sciagurato, che disgrazia!
mutola com'non ha fortuna... Niesci niesci fetentissima
femmina... e se ti prometto un agnello di zucchero niesci? no,
non vuole niescere... e se ti prometto una cantara di baci nie-
sci?... se questa non niesce mi gioco il mestiere... tutti sa-
pranno che Titina la mammana sbaglitravaglio, non ce la
fece a farla niescere e fece morire madre e figghia... santa
madonna aiutami tu... anche se non hai partorito madon-
nazza mia, aiutami... ma che ne sai tu di parti e trava-
gli... fammi nascere questa femmina che poi ti accendo un
cero grosso quanto una colonna, te lo giuro su Dio, dovessi
spendere tutto il denaro che mi darla duchessa buonani-
ma... Se perfino la levatrice la dava per morta forse era tempo
di prepararsi ad andare via con la bambina chiusa nella pan-
cia. Doveva subito recitare mentalmente qualche preghiera,
chiedere perdono al Signore per i suoi peccati, si diceva Ma-
rianna.
Ma proprio nel momento in cui si apparecchiava a mori-
re era uscita la bambina, colore dell'inchiostro, senza fiato. E
la mammana l'aveva afferrata per i piedi scuotendola come
fosse un coniglio pronto per la pentola. Finchla "piccirid-
da" aveva fatto una faccia da vecchia scimmietta e si era
messa a piangere spalancando la bocca sdentata.
Innocenza intanto aveva porto le forbici alla levatrice che
aveva reciso con un colpo il cordone ombelicale e poi con una
candeletta lo aveva bruciato. Il puzzo di carne era salito alle
narici ansanti di Marianna: non doveva pimorire, quel fu-
mo aspro la riportava alla vita e improvvisamente si era sen-
tita stanchissima e contenta.
Innocenza continuava a darsi da fare: puliva il letto, lega-
va una "cincinedda" pulita attorno ai fianchi della puerpera,
metteva del sale sull'ombelico della neonata, dello zucchero
sul piccolo ventre ancora sporco di sangue e dell'olio sulla
bocca. Infine, dopo averla sciacquata con acqua di rose, ave-
va avvolto la neonata nelle bende stringendola da capo a pie-
di come una mummia.
E ora chi ce lo dice al duca che un'altra fimmi-
na?... deve essere qualcuno che ci fici la fattura a questa po-
vera duchissa... se fosse una viddana ci darebbe un cucchia-
rino di ovu di canna: uno al primo giorno, due al secondo e
tre al terzo e la bambina non voluta se ne va all'altro mon-
do... ma questi sono signori e le femmine se le tengono pure
quando sono troppe... Marianna non riusciva a staccare gli occhi dalla mamma-
na che asciugandole il sudore la medicava con il "conzu" che
una pezzuolina di tela bruciata inzuppata nell'olio, nella
chiara d'uovo e nello zucchero. Tutto questo lo conosceva
gi ogni volta che aveva partorito aveva visto le stesse cose,
solo che questa volta le vedeva con gli occhi brucianti e no-
stalgici di una che sa di non dovere pimorire. E provava un
piacere tutto nuovo a seguire i gesti misurati e sicuri delle
due donne che si occupavano del suo corpo con tanta soler-
zia.
Ora la mammana tagliava con l'unghia lunga e acumina-
ta quella pellicola che tiene ancorata la lingua del neonato,
altrimenti da grande diventa balbuziente; come vuole la tra-
dizione e per consolare la bambina che piangeva, le aveva
ficcato in bocca una ditata di miele.
L'ultima cosa che aveva visto Marianna prima di spro-
fondare nel sonno erano state le due mani callose della leva-
trice che alzavano verso la finestra la placenta, per mostrare
che era intera, che non l'aveva stracciata, che non ne aveva
lasciato dei brandelli nel ventre della partoriente.
Quando aveva aperto gli occhi dopo dodici ore di inco-
scienza Marianna si era trovata davanti le altre due figlie,
Giuseppa e Felice, vestite a festa, coperte di fiocchi, di trine e
di coralli. Felice giin piedi, Giuseppa in braccio alla tata.
Tutte e tre la guardavano sbalordite e impacciate quasi che si
fosse alzata dalla bara in mezzo al funerale. Dietro di loro
c'era pure il padre, il signor marito zio, nel suo migliore abito
rosso e abbozzava qualcosa di simile a un sorriso.
Le mani di Marianna si erano subito allungate a cercare
la neonata accanto a s e non trovandola era stata presa dal
dubbio: che fosse morta mentre lei dormiva? ma il mezzo sor-
riso di suo marito e l'aria cerimoniosa della tata vestita a fe-
sta l'avevano rassicurata.
Che si trattasse di una bambina l'aveva saputo dal primo
mese di gravidanza: la pancia si ingrossava in tondo e non a
punta come succede quando si aspetta un maschio. Cosle
aveva insegnato la nonna Giuseppa e in effetti la sua pancia
ogni volta aveva preso una dolce forma di melone e ogni vol-
ta aveva sgravato una figlia. Inoltre l'aveva sognata: una te-
stina bionda che si appoggiava contro il suo petto e la guar-
dava con aria annoiata. La cosa strana era che sul dorso la
bambina portava una testina di capra dai ricci scomposti.
Che ne avrebbe fatto di un mostro simile?
Invece era nata perfetta, nonostante il mese di anticipo,
solo un poco piminuta ma bella e chiara senza i tanti peli di
cui era ricoperta Giuseppa quando era uscita al mondo e sen-
za la testa a pera paonazza di Felice.
Si era subito mostrata una bambina tranquilla, quieta
che prendeva il latte quando glielo davano, senza chiedere
mai niente. Non piangeva e dormiva nella posizione in cui la
posavano nella culla per otto ore di seguito. Se non fosse sta-
to per Innocenza che, con l'orologio in mano, andava a sve-
gliare la duchessa per la poppata, madre e figlia avrebbero
continuato a dormire senza tenere affatto conto di quello che
dicevano le levatrici, le mammane, le balie e le madri tutte:
che i figli neonati vanno allattati ogni tre ore se no sono capa-
ci di morire di fame gettando nell'infamia la famiglia.
Aveva partorito due figlie con facilit Questa era la ter-
za volta e aveva rifatto una figlia. Il signor marito zio non
era contento anche se gentilmente le aveva risparmiato le
critiche. Marianna sapeva che finchnon avesse partorito il
maschio avrebbe dovuto continuare a tentare. Temeva di
vedersi gettare addosso uno di quei biglietti lapidari di cui
giaveva una collezione, del tipo 亟 lu masculu, quando vi
decidete?
Sapeva di altri mariti che avevano tolto la parola alla mo-
glie dopo la seconda femmina. Ma lo zio Pietro era troppo
sbadato per una simile determinazione. E poi le scriveva gi cospoco.
Eccola Manina, nata proprio durante gli ultimi lavori
della villa, la figlia dei suoi diciassette anni. Ha preso il nome
dalla vecchia zia Manina sorella nubile del nonno Mariano.
L'albero genealogico appeso nella sala rosa pieno di Mani-
ne: una nata nel 1420 e morta nel 1440 di peste; un'altra nata
nel 1615 e morta nel 1680, Carmelitana scalza; un'altra an-

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cora nata nel 1650 e morta due anni dopo, e l'ultima, nata
nel 1651, la pivecchia della famiglia Ucr駮.
Della nonna Scebarr跴 ha preso i polsi sottili, il collo lun-
go. Dal padre duca Pietro ha preso una certa aria malinconi-
ca e severa, anche se poi ha i colori festosi e la bellezza mor-
bida del ramo Ucr駮 di Fontanasalsa.
Felice e Giuseppa giocano volentieri con la sorellina met-
tendole in mano dei pupazzetti di zucchero e pretendendo
che li mangi, col risultato di farle impiastricciare la culla e le
bende. A volte Marianna ha l'impressione che il loro affetto
sia talmente rumoroso e manesco da risultare pericoloso per
la neonata. E percile tiene continuamente d'occhio quando
sono nei pressi della culla.
Da quando nata Manina hanno perfino smesso di anda-
re a giocare da Lina e Lena, le figlie del vaccaro Ciccio Cal
che abitano accanto alle stalle. Le due ragazze non si sono
sposate. Dopo la morte della madre si sono dedicate comple-
tamente al padre, alle vacche e alla casa. Sono diventate alte
e robuste, si distinguono a malapena l'una dall'altra, vanno
vestite uguali con delle gonne rosse stinte, dei corpetti di vel-
luto lilla e dei grembiuli azzurrini sempre sporchi di sangue.
Da quando Innocenza ha deciso che le galline non le ammaz-
za pi il compito di strangolarle e farle a pezzi passato a lo-
ro che lo fanno con molta determinazione e rapidit
Le malelingue dicono che Lina e Lena si coricano col pro-
prio padre nello stesso letto dove una volta dormiva con la
madre, che gidue volte sono rimaste gravide e che hanno
abortito col prezzemolo. Ma sono pettegolezzi che Raffaele
Cuffa le ha scritto un giorno dietro il foglio dei conti di casa e
a cui non ha voluto dare retta.
Quando stendono la biancheria le ragazze Calcantano
che una meraviglia. Anche questo l'ha saputo per vie tra-
verse, da una delle serve che viene a casa a lavare i panni. E
Marianna si scoperta qualche mattina appoggiata alla ba-
laustra dipinta della lunga terrazza sopra le stalle, a guarda-
re le ragazze che stendono la biancheria sui fili. Come si chi-
nano insieme sul grande paniere, come si sollevano sulle
punte dei piedi con un gesto elegante, come prendono un len-
zuolo, lo attorcigliano stando una da un capo e una dall'altro
41
che sembrano giocare al tiro alla fune. Vedeva che aprivano
le bocche ma non poteva sapere se cantassero. E la voglia
struggente di ascoltare le loro voci, che dicevano bellissime,
le rimaneva insoddisfatta.
Il vaccaro loro padre le chiama con un fischio come fa
con le sue mucche messinesi. E loro accorrono saltando con
passi decisi e bruschi come di chi abituato a lavori pesanti e
ha muscoli forti e guizzanti. Quando il padre via Lina e Le-
na chiamano a loro volta con un fischio il baio Miguelito, ci
montano sopra e fanno un giro nell'uliveto aggrappandosi
l'una al dorso dell'altra, senza preoccuparsi dei rami che si
rompono sui fianchi del cavallo, dei rovi penzolanti che si ag-
grovigliano ai loro capelli lunghi.
Felice e Giuseppa vanno a trovarle nella casa "scurusa"
accanto alla stalla, fra immagini di santi e orci pieni di latte
messi da parte per la ricotta. Si fanno raccontare storie di
morti ammazzati, di lupi mannari che poi loro ripetono al
padre zio il quale ogni volta si indigna e proibisce loro di tor-
narci. Ma appena lui se ne va a Palermo le due bambine si
precipitano in casa delle gemelle, dove mangiano pane e ri-
cotta in mezzo a un nugolo di mosche cavalline. E il signor
marito zio talmente distratto che non si accorge neanche
dell'odore che si portano addosso quando rientrano a casa di
nascosto, dopo essere rimaste accovacciate per ore sulla pa-
glia ad ascoltare storie raccapriccianti.
La notte le due bambine vengono spesso a infilarsi nel let-
to della madre per la paura che quelle storie hanno messo lo-
ro addosso. Qualche volta si svegliano sudate e piangenti.
俟ono cretine le tue figlie, se hanno paura perchci torna-
no?E la logica del signor marito zio e non gli si pudare
torto. Solo che la logica non basta a spiegare il piacere di pra-
ticare coi morti nonostante la paura e l'orrore. O forse ap-
punto per quello.
Pensando a quelle due prime figlie sempre in fuga Ma-
rianna tira fuori dalla culla l'ultima nata. Affonda il naso nel-
la vestina merlettata che le scende oltre i piedi e annusa quel-
l'odore inconfondibile di borace, di orina, di latte acido, di
acqua di lattuga che si portano addosso tutti i neonati e non
si sa per quale ragione l'odore pisquisito del mondo. Pre-
me contro la guancia il piccolo corpo quieto dell'ultima nata
e si chiede se parler Anche di Felice e di Giuseppa aveva
avuto paura che non parlassero. Aveva spiato con trepidazio-
ne i loro respiri tastando con le dita le piccole gole per sentire
passare il suono delle prime parole. E ogni volta si era rassi-
curata vedendo i labbruzzi che si aprivano e si chiudevano
seguendo il ritmo delle frasi.
Il signor marito zio ieri sera entrato in camera, si se-
duto sul letto. L'ha guardata allattare con un'aria pensosa e
annoiata. Poi le ha scritto un biglietto timido: 青ome sta la
picciridda?> e 侮i sentite meglio col petto? Infine ha ag-
giunto, bonario: 俠u masculu verr lassamu tempu al tem-
pu. Non vi sconfortate, verr鉬.
IX





Lu "masculu" arrivato come voleva il signor marito zio,
si chiama Mariano. E nato dopo due anni giusti dalla nascita
di Manina. E biondo come la sorella, bello pidi lei, ma di
carattere differente: piange facilmente e se non ci si occupa di
lui in continuazione, din escandescenze. Il fatto che tutti
lo tengono in palmo di mano come un gioiello prezioso e a
pochi mesi ha gicapito che le sue voglie saranno comunque
soddisfatte.
Questa volta il signor marito zio ha sorriso apertamente,
ha portato in regalo alla signora sposa una collana di perle
dai chicchi rosati, grossi come ceci. Le ha pure fatto una do-
nazione di mille scudi perch嶩cos剌anno i re con le regine
quando partoriscono un maschio
La casa si riempita di parenti mai visti, di fiori e di dol-
ci. La zia Teresa Professa ha portato con suna frotta di ra-
gazzine di famiglie nobili, future monache, ciascuna con un
regalo per la puerpera: chi le consegnava un cucchiaino d'ar-
gento, chi un portaspilli in forma di cuore, chi un cuscino ri-
camato, chi un paio di pianelle incrostate di stelle.
Il signor fratello Signoretto rimasto seduto per un'ora
vicino alla finestra bevendo cioccolata calda con un sorriso
felice impresso sulle labbra. Con lui sono venuti anche Agata
e il marito don Diego con i bambini vestiti a festa.
Anche Carlo arrivato dal suo convento di San Martino
delle Scale portandole in regalo una Bibbia copiata a mano
da un frate del secolo scorso, cosparsa di miniature dai colori
lievi.
Giuseppa e Felice per la mortificazione di essere state di-
menticate fingono di disinteressarsi del bambino. Hanno ri-
preso l'abitudine di andarsene da Lina e Lena dove hanno
pigliato i pidocchi. Innocenza ha dovuto strigliare le loro te-
ste col petrolio e poi con l'aceto ma sebbene i pidocchi adulti
cadessero morti, quelli dentro le uova rimanevano vivi e tor-
navano ad infestare le capigliature moltiplicandosi rapida-
mente. Cossi deciso di raparle e ora vanno in giro come
due dannate col cranio nudo e un'aria umiliata che fa ridere
Innocenza.
Il signor padre poi si accampato alla villa per 厚otere
spiare il colore degli occhi del picciriddu Dice che le pupille
dei neonati sono bugiarde, che non si capisce se 哀ono rape o
fagiolie ogni momento se lo prende in braccio e lo "annaca"
come se fosse suo figlio.
La signora madre venuta una volta sola e lo spostamen-
to le costato una tale fatica che poi si messa a letto per tre
giorni. Il viaggio da Palermo a Bagheria le era apparso "eter-
no", e le buche "abissali" e il sole "screanzato" e la polvere
"minchiona" .
Ha trovato che Mariano era 咨roppu beddu pi essere nu
masculu e che ne facciamo di una bellezza simile?aveva
scritto su un foglietto azzurrino profumato di violetta. Poi gli
ha scoperto i piedi e li ha mordicchiati delicatamente. 非i
chistu ne facimu nu ballerinu.Contrariamente al suo solito
ha scritto molto e volentieri. Ha riso, ha mangiato, si aste-
nuta dal tirare tabacco per qualche ora e Poi si ritirata nella
camera degli ospiti assieme al signor padre e hanno dormito
fino alla mattina dopo alle undici.
Tutti i dipendenti della villa hanno voluto prenderlo in
braccio questo bambino tanto aspettato: il vaccaro Ciccio
Calreggendolo teneramente con due mani tagliate e rigate
di nero. Lina e Lena baciandolo in bocca e sui piedi con ina-
spettata dolcezza. C'erano anche Raffaele Cuffa che per l'oc-
casione indossava una giamberga nuova di damasco arabe-
scato coi colori degli Ucr駮 e la moglie Severina che non esce
mai di casa perchsoffre di mali di testa che quasi l'accieca-
no; don Peppino Geraci il giardiniere accompagnato dalla
moglie Maria e dai cinque figli, tutti rossi di capelli e di ci-
glia, ammutoliti per la timidezza; Peppino Cannarota il lac-
chcol figlio grande che fa il giardiniere in casa Palagonia
Il neonato se lo sono passato di mano in mano come fosse
il bambino Ges sorridendo come babbei, inciampando nei
lunghi strascichi della vestina trinata, annusando beati i pro-
fumi che emanavano da quel corpicino principesco.
Manina intanto andava in giro per la stanza a quattro
zampe e solo Innocenza si occupava di lei spingendosi carpo-
ni sotto i tavoli mentre gli ospiti entravano, uscivano, calpe-
stando i preziosi tappeti di Erice, sputando nei vasi di Calta-
girone, pescando a piene mani nel vassoio colmo di torronci-
ni catanesi che Marianna teneva vicino al letto.
Una mattina il signor padre era arrivato con una sorpre-
sa: un completo da scrittura per la figlia mutola: un retino di
maglia d'argento con dentro una boccetta dal tappo avvita-
bile, per l'inchiostro, un astuccio in vetro per le penne, un
sacchetto in pelle per la cenere nonchun taccuino legato a
un nastro fissato con una catenella al retino di maglia. Ma la
cosa pisorprendente era una mensolina portatile, pieghevo-
le, in legno leggerissimo da appendere alla cintura con due
catenelle d'oro.
侵n onore di Maria Luisa di Savoia Orl嶧ns, la pigio-
vane e la piintelligente regina di Spagna, perchti sia di
esempio, Amen.Con queste parole il signor padre aveva vo-
luto inaugurare il nuovo completo da scrittura.
Alle insistenze della figlia, si era accinto a scrivere in bre-
ve la storia di questa regina morta nel 1714 e mai dimenti-
cata.
俗na ragazzina forse non bella ma vivacissima. Figlia di
Vittorio Amedeo il nostro re dal 1713 e della principessa An-
na d'Orl嶧ns nipote di Luigi quattordicesimo, era diventata
moglie di Filippo quinto a sedici anni. Presto il suo sposo fu
mandato in Italia a combattere e lei, per suggerimento dello
zio Luigi di Francia, fu fatta Reggente. I pibrontolavano:
come, una ragazzina di sedici anni a capo dello Stato? E in-
vece si scoprche era stata una scelta piche giudiziosa. La
piccola Maria Luisa aveva il talento della politica. Passava
ore e ore al Consiglio ascoltando tutti e tutto, intervenendo
con osservazioni brevi e azzeccate. Quando un oratore si di-
lungava troppo e inutilmente, la regina tirava fuori da sotto il
tavolo il ricamo e si occupava solo di quello. Tanto che ad un

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certo momento capirono l'antifona e quando la vedevano
mettere mano al ricamo tagliavano corto. In questo modo re-
se molto pirapide e concrete le sedute al Consiglio di Stato.
俟i teneva in corrispondenza con lo zio Re Sole e ascolta-
va con grazia i suoi consigli ma quando c'era da dire no, lo
diceva e con che decisione! Gli anziani erano a bocca aperta
davanti a quell'intelligenza politica. Il popolo l'adorava.
侶uando si seppe delle sconfitte dell'esercito spagnolo la
giovane Maria Luisa per dare l'esempio, vendette tutte le sue
gioie e anddi persona dai piricchi ai pipoveri a racco-
gliere i soldi per rimettere in sesto l'armata. Ebbe un primo
figlio, il principe delle Asturie. Diceva che se fosse dipeso da
lei sarebbe andata al fronte a cavallo col figlioletto in braccio.
E tutti sapevano che ne sarebbe stata capace.
侶uando arrivla notizia delle vittorie di Brihuega e Vil-
laviciosa tale fu la sua gioia che scese in strada mescolandosi
alla gente ballando e saltando con loro.
亟bbe un altro figlio che permordopo solo una setti-
mana. Intanto fu colpita da una infezione alle glandole del
collo di cui pernon si lamentmai e cercdi coprire i gon-
fiori con delle gorgiere merlettate. Fece un altro figlio, Ferdi-
nando Pietro Gabriele che per fortuna vive. Il male persi
aggravava. I medici dissero che si trattava di tisi. Intanto
moriva il gran Delfino, padre di Filippo, e subito dopo la so-
rella di Maria Luisa, Maria Adelaide, di vaiolo, assieme al
marito e al figlio pigrande.
非ue anni dopo capche era arrivato il tempo anche per
lei di morire. Si confess si comunic saluti figli, il marito
con una serenitche stuptutti e spirall'etdi ventiquattro
anni, senza avere pronunciato una sola parola di lamento. L'intera carovana dei parenti era scappata via il giorno
che uno dei figli di Peppino Geraci si era ammalato di vaiolo.
Un'altra volta il vaiolo a Bagheria! era gila seconda da
quando Marianna aveva cominciato a trasformare la "case-
na" in villa. Nella prima epidemia erano morti in tanti, fra
cui la madre di Ciccio Cal il piccolo dei Cuffa che era anche
figlio unico ed da allora che la moglie Severina soffre di do-
lori alla testa cosdevastanti che costretta a portare sempre
le tempie fasciate con bende intrise di aceto dei sette ladri e
dovunque vada si porta dietro quell'odore acido e pungente.
Nella seconda epidemia sono morti altri due dei quattro
figli rimasti di Peppino Geraci. E morta la fidanzata del figlio
di Peppe Cannarota, una bella ragazza di Bagheria, serva in
casa Palagonia; sono morti due cuochi di casa Butera e la
vecchia principessa Spedalotto che da poco si era sistemata
nella nuova villa non lontana dalla loro.
Anche la zia Manina che era arrivata tutta avvolta in
scialli di lana sorretta da due lacch e aveva tenuto fra le
braccia scheletriche il piccolo Mariano, morta. Ma non si
sa se per via del vaiolo. Fatto sta che se n'andata, proprio
li a villa Ucr駮 e nessuno se n'accorto. L'hanno trovata solo
due giorni dopo: posata sul suo letto come un uccellino dalle
penne arruffate, la testa leggera leggera che poi il signor pa-
dre aveva scritto che 厚esava quanto una noce bacata La zia Manina da giovane era stata "molto corteggiata"
匍inuta nei tratti, aveva un corpo da sirena e gli occhi erano
COSi vivaci e i capelli cosluminosi che il bisnonno Signoretto
aveva dovuto ricredersi dal farla monaca per non scontentare
i pretendenti. Il principe di Cutla voleva per moglie e an-
che il duca di Altavilla barone di San Giacomo, nonchil
conte Patanbarone di San Martino.
俑a lei aveva voluto restare nubile in casa del padre. Per
sfuggire ai matrimoni si era finta malata per anni cosrac-
contava il signor padre. 俊anto che poi si era ammalata sul
serio, ma nessuno sapeva di cosa. Tossiva piegandosi in due,
perdeva i capelli, si faceva sempre pimagra, sempre pi leggera. Nonostante le sue malattie la zia Manina ha campato
quasi ottant'anni e tutti la volevano alle loro feste perchera
una acuta osservatrice e sapeva rifare il verso alle persone
vecchie e giovani, uomini e donne, suscitando le risate di
amici e parenti.
Anche Marianna ne rideva sebbene non sentisse quello
che diceva. Le bastava guardarla, piccola e agile, come muo-
veva le mani da prestigiatore, come prendeva l'espressione
contrita di quello, balorda di quell'altro, vanesia di quell'al-
tro ancora per rimanerne conquistata.
Era conosciuta per la sua malalingua, la zia Manina e
tUtti cercavano di farsela amica per il terrore che sparlasse
dietro le spalle. Ma tanto lei non si lasciava incantare dalle
adulazioni: quando vedeva una persona buffa la metteva in
berlina. Non era il pettegolezzo in sche l'attirava ma gli ec-
cessi a cui portavano i vari caratteri dell'avaro, del vanitoso,
del debole, dello sbadato. A volte le sue battute erano cosaz-
zeccate che finivano per diventare proverbiali. Come quando
aveva detto del principe di Rache 削isprezzava i soldi ma
trattava le monete come sorelle>. O quando aveva detto che
il principe Des Puches aspettava che la moglie partorisse--
il principe era conosciuto per la sua bassa statura--剃am-
minando su e ginervosamente sotto il letto O quando an-
cora aveva definito il marchesino Palagonia 哎n manico di
scopa senza uno scopo nella vita E cosvia con molto diver-
timento di tutti.
Di Mariano aveva farfugliato che era un 咨opolino trave-
stito da leone travestito da topolino E si era guardata intor-
no con gli occhi scintillanti aspettando la risata. Ormai era
come una attrice sul palcoscenico e per niente al mondo
avrebbe rinunciato al suo pubblico.
非a morta andrall'infernoaveva detto una volta. E
aveva aggiunto pasticcerie. Io tanto non amo i dolci.E dopo un attimo:
青omunque ci starmeglio che in quella sala da ballo dove
le sante fanno tappezzeria, che il paradiso
E morta senza disturbare nessuno, da sola. E la gente non
ha pianto. Ma le sue battute continuano a circolare, salate e
piccanti come alici in salamoia.
Il duca Pietro Ucr駮 non ha mai discusso una virgola di
quello che la moglie man mano decideva per la villa. Si so-
lo impuntato perchnel giardino sia costruita una piccola
coffee house" come la chiama lui, in ferro battuto con il
soffitto a cupola, le mattonelle bianche e blu per terra, la vi-
sta sul mare.
E cosstato fatto, o per lo meno sarfatto perchi ferri
sono gia pronti ma mancano i mastri ferrai che li montino A
Bagheria in questo periodo si costruiscono decine di ville e gli
artigiani, i muratori, sono difficili da trovare. Il signor marito
zlo spesso dice che la "casena" era picomoda, soprattutto
per la caccia. Ma non si sa perchlo dica visto che lui a cac-
cia non ci va mai. Odia la selvaggina Odia i fucili sebbene
ne abbia una collezione. I suoi amori sono i libri di araldica e
il vvhist nonchle passeggiate nelle campagne, fra i limoni di
CUI cura personalmente gli innesti.
Sa tutto sugli avi, sulle origini della famiglia Ucr駮 di
Campo Spagnolo e di Fontanasalsa, sulle precedenze, sugli
ordini, sulle onorificenze. Nel suo studio tiene un grande
quadro che rappresenta il martirio di san Signoretto. Sotto
inciso nel rame: 雨eato Signoretto Ucr駮 di Fontanasalsa e
Campo Spagnolo, nato a Pisa il 1269 E, in piccolo, la storia
della vita del beato, di come sia arrivato a Palermo e si sia
dato alle opere di piet剌requentando ospedali e soccorrendo
i moltissimi poveri che infestavano la citt鉬. Di come poi si
sia ritirato SUI trent'anni in un 勁uogo desertissimo in borda-
tura mare Ma dove sarstato questo 勁uogo desertissimo che sia andato a finire sulle coste africane?
In quel deserto 勇n bordatura mareSignoretto fu 匍ar-

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tirizzato dai Saraceni ma non si capisce perchfu martiriz-
zato, la targa non lo dice. Solo perchera beato? ma no, che
scema, beato lo diventato dopo.
Un braccio del beato Signoretto, recita la didascalia, in
possesso dei frati Domenicani che lo venerano come una reli-
quia. Il signor marito zio in effetti, ha fatto di tutto per recu-
perare questa reliquia di famiglia ma fino ad ora non ci riu-
scito. I Domenicani dicono di averla ceduta a un convento di
suore Carmelitane e le Carmelitane dicono di averla regalata
alle Clarisse le quali sostengono di non averla mai vista.
Nel quadro si vede una buia marina: una barca ormeg-
giata a riva, vuota, una vela arrotolata, marroncina. In pri-
mo piano un fascio di luce che piove da sinistra come se qual-
cuno reggesse appena fuori dalla cornice una torcia accesa.
Un uomo anziano, ma non era trentenne? viene colpito dai
pugnali di due robusti giovanotti dal torso nudo. In alto a de-
stra tre angeli sollevano volando una corona di spine.
Per il duca Pietro la storia di famiglia, per quanto mitica
e fantasiosa, picredibile delle storie che raccontano i pre-
ti. Per lui Dio 哀ta lontano e se ne impipa Cristo 哀e era fi-
glio di Dio veramente era a dir poco un dissennato In
quanto alla Madonna 哀e fosse stata una nobildonna non si
sarebbe comportata con tanta leggerezza portando quel po-
vero picciriddu in mezzo ai lupi, lasciandolo in giro tutto il
santo giorno, dandogli a credere di essere invincibile quando
poi tutti videro la fine che fece
Secondo il signor marito zio il primo degli Ucr駮 era nien-
te di meno che un re del Seicento avanti Cristo e precisamen-
te un re della Lidia. Da quella terra impervia, sempre secon-
do lui, gli Ucr駮 passarono a Roma dove divennero Senatori
della Repubblica. Infine si fecero cristiani sotto Costantino.
Quando Marianna gli scrive, per burla, che certo questi
Ucr駮 erano dei gran voltagabbana che si mettevano sempre
coi piforti, lui si incupisce e non la guarda piper qualche
giorno. Coi morti di famiglia non si puscherzare.
Se invece gli chiede qualche spiegazione sui grandi qua-
dri che stanno accatastati nel salone giallo aspettando di tor-
nare sulle pareti, a casa finita, si precipita ad afferrare la pen-
na per scriverle di quel vescovo Ucr駮 che combattcontro i
5
Turchi e di quell'altro senatore Ucr駮 che fece il famoso di-
scorso per difendere il diritto di maggiorasco.
Non importa che lei risponda. ; raro che lui legga quello
che gli scrive la moglie sebbene ne ammiri la grafia nitida e
veloce. Il fatto che lei bazzichi continuamente la biblioteca lo
sconcerta ma noh osa opporsi; sa che per Marianna la lettura
e una necessite mutola com'ha pure le sue ragioni. Lui i
libri li evita perchsono "bugiardi". La fantasia un arbitrio
leggermente nauseabondo. La realtfatta, per il duca Pie-
tro, di una serie di regole immutabili ed eterne a cui ogni per-
sona di buon senso non punon adeguarsi.
Solo quando c'da fare una visita a una puerpera, come
si usa a Palermo o da presenziare a una cerimonia ufficiale,
pretende che la moglie si vesta in ghingheri, che si appunti la
spilla di diamanti della nonna Ucr駮 di Scannatura sul petto
e lo segua in citt
Se si decide a rimanere a Bagheria fa in modo che ci sia
sempre gente alla tavola di villa Ucr駮. Ora invita Raffaele
Cuffa che gli fa da amministratore, da guardiano e da segre-
tario, ma sempre senza la moglie. Ora fa venire l'avvocato
Mangiapesce da Palermo; oppure manda la portantina dalla
zia Teresa professa alle Clarisse o ancora spedisce un invito a
cavallo a uno dei cugini Alliata di Valguarnera.
Il signor marito zio ama soprattutto l'avvocato Mangia-
pesce perchgli permette di starsene zitto. Non c'bisogno
di pregarlo perchtenga conversazione il giovane "causidi-
co come lo chiama il duca Pietro. E uno a cui piace molto
disquisire su sottili questioni di diritto e poi ferratissimo su
tUtti gli ultimi fatti di politica cittadina e non perde niente
dei pettegolezzi delle grandi case palermitane.
Quando c'la zia Teresa perpidifficile per l'avvoca-
to tenere conversazione perchlei gli taglia la parola in bocca
e in effetti per quanto riguarda i pettegolezzi cittadini, la zia
ne sa plU dell'avvocato.
Di tutti i parenti la zia Teresa, sorella del signor padre, la plU amata dal signor marito zio. Con lei qualche volta par-
la e anche appassionatamente. Si scambiano notizie sulla fa-
miglia Si scambiano regali: reliquie, rosari benedetti, antichi
oggettl di famiglia. La zia porta dal convento dei fagottelli
pieni di ricotta pestata con lo zucchero e la finocchiella, che
sono una delizia. Il duca Pietro ne mangia fino a dieci alla
volta arricciando il naso come una talpa golosa.
Marianna lo guarda masticare e si dice che il cervello
del signor marito zio assomiglia in qualche modo alla sua
bocca: trita, scompone, pesta, arrota, impasta, inghiotte.
Ma del cibo che trangugia non trattiene quasi niente. Per
questo sempre cosmagro. Ci mette tanto di quell'impeto
nello stritolare i pensieri che gli rimangono in corpo solo i
fumi. Appena ingoia preso dalla fretta di eliminare le sco-
rie che gli sembrano indegne di soggiornare nel corpo di un
gentiluomo.
Per molti nobili della sua et vissuti e maturati nel secolo
passato, i pensieri sistematici hanno qualcosa di ignobile, di
volgare. Il confronto con altre intelligenze, altre idee, consi-
derato per principio una resa. I plebei pensano come gruppo
o come folla; un nobile solo e di questa solitudine costitui-
ta la sua gloria e il suo ardimento.
Marianna sa che lui non la considera sua pari per quanto
la rispetti come moglie. Per lui la moglie una bambina di
un secolo nuovo, incomprensibile, con qualcosa di triviale
nella sua ansia per i mutamenti, per il fare, il costruire.
L'azione aberrante, pericolosa, inutile e falsa, dicono i
suoi occhi malinconici, guardandola aggirarsi indaffarata per
il cortile ancora ingombro di secchi di calce e di mattoni. L'a-
zione scelta e la scelta necessit Dare forma all'ignoto,
renderlo familiare, noto, significa venire meno alla libertdel
caso, al principio divino dell'ozio che solo un nobile vero pu permettersi ad imitazione del Padre celeste.
Anche se non ha mai sentito la sua voce Marianna sa co-
sa cuoce in quella gola scontrosa: un amore superbo e vigile
per le infinite possibilitdella fantasticheria, della volont senza mete, del desiderio non realizzato. Una voce resa stri-
dula dalla noia eppure pienamente controllata come di chi
non si lascia mai andare. Deve essere cos lo capisce dai fiati
che la raggiungono aspri e caldi quando gli sta vicina.
Era l'altro il duca Pietro considera insensata questa sma-
nia della moglie di restare a Bagheria anche nei mesi freddi
quando dispongono di una casa grande e accogliente a Paler-
mo. E gli secca anche dovere rinunciare alle sue serate al Ca-
sino dei nobili dove pugiocare al vvhist per ore bevendo bic-
chieri di acqua e anice, ascoltando annoiato il chiacchiericcio
innocuo dei suoi coetanei.
Per lei invece la casa di via Alloro troppo buia e ingom-
bra di quadri di antenati, troppo frequentata da visitatori in-
desiderati .
E poi il viaggio da Bagheria a Palermo con quella strada
zeppa di buche e di polvere la immalinconisce. Troppe volte
passando per Acqua dei Corsari si trovata davanti le picche
del Governatore con sopra infilzate le teste dei banditi a fare
da monito ai cittadini. Teste asciugate dal sole, mangiate
dalle mosche, accompagnate spesso da pezzi di braccia e di
gambe dal sangue nero, incollato alla pelle.
Inutile voltare la testa, chiudere gli occhi. Un piccolo
vento vorticoso prende a spazzare i pensieri. Sa che tra poco
passeranno fra i due colonnati di Porta Felice, imboccheran-
no il Cassaro Morto, e subito entreranno nel largo rettango-
lare di piazza Marina, fra il palazzo della Zecca e la chiesa di
Santa Maria della Catena. Sulla destra apparirla Vicaria e
il vento nella testa si fartempesta, le dita si contrarranno a
stringere il saio del signor padre incappucciato finendo per
stracciare la mantellina di velluto che porta sulle spalle.
Perciodia andare a Palermo e preferisce restarsene a
Bagheria; perciha deciso, salvo occasioni eccezionali di fu-
nerali o battesimi o parti che purtroppo si alternano con
grande frequenza fra i parenti tutti molto prolifici, di siste-
mare i suoi quartieri d'inverno a villa Ucr駮. Anche se co-
stretta dal freddo a vivere in poche stanze circondata da bra-
cieri con la carbonella accesa.
Ormai tutti lo sanno e vengono a trovarla lquando le
strade non sono rese inaccessibili dallo straripamento del-
l'Eleuterio che spesso allaga le campagne fra Ficarazzi e Ba-
gheria.
Il signor padre venuto da ultimo ed rimasto con lei
una settimana intera. Loro due soli, come ha sempre deside-
rato, senza la presenza dei figli, dei fratelli, dei cugini e di al-
tri parenti. Da quando morta la signora madre, di improv-
vlso senza ammalarsi, lui viene spesso a trovarla da solo. Si

54

siede nella sala gialla sotto il ritratto della nonna Giuseppa e
fuma o dorme. Ha sempre dormito molto il signor padre, ma
invecchiando peggiorato; se non si prende ogni notte le sue
dieci ore di sonno sta male. E siccome difficile che riesca a
farsi tante ore filate-di sonno, finisce che si addormenta di
giorno ciondolando sulle poltrone, sui divani.
Quando si sveglia invita la figlia a una partita di picchet-
to. Sorridente, allegro nonostante i reumatismi che gli defor-
mano le mani e gli incurvano la schiena, non se la prende
mai per niente, pronto in ogni momento a divertirsi e a di-
vertire gli altri. Non ha la prontezza della zia Manina, pi lento, ma possiede lo stesso senso della comicite se non fos-
se pigro sarebbe anche lui un ottimo imitatore.
Alle volte afferra il taccuino che Marianna tiene legato al-
la cintola, ne strappa un foglio e vi scrive sopra impetuosa-
mente: 俟ei una babbasuna, figlia mia, ma invecchiando ho
scoperto che preferisco i babbasuni a tutti gli altri 俊uo
marito, il signor cognato zio, un minchione, ma ti vuole be-
ne.俑orire mi dispiace perchlascio te ma non mi dispiace
andare a vedere se vale la pena di conoscere Nostro Signore. La cosa che non finirmai di sorprenderla la diversit dello zio Pietro dalla sorella, la signora madre e dal cugino, il
signor padre. Come la signora madre opulenta, pigra, cos lui asciutto e atletico, sempre pronto a muoversi anche se
solo per misurare in lungo e in largo le sue vigne. Come lei disponibile e arresa coslui spinoso e cocciuto. Per non par-
lare del cugino signor padre che tanto sereno quanto l'altro
cupo, tanto ben disposto verso gli altri quanto il duca Pie-
tro ostile e sospettoso verso tutti. Insomma il signor marito
zio sembra nato da un seme straniero che caduto storto nel
terreno di famiglia ed cresciuto a sghimbescio ruvido e ri-
sentito.
L'ultima volta hanno fatto le due, Marianna e il signor
padre giocando a picchetto, mangiando canditi, bevendo del
profumato vino di Malaga. Il duca Pietro era partito per
Torre Scannatura in occasione della vendemmia.
E cosfra una partita e una bevuta, il signor padre le ave-
va scritto di tutti gli ultimi pettegolezzi di Palermo: dell'a-
mante del Vicerche dicevano dormisse fra lenzuola nere per
mettere in evidenza la sua pelle bianchissima, dell'ultimo ga-
leone venuto da Barcellona con un carico di vasi da notte di
vetro trasparente che tutti regalavano agli amici; della moda
della gonna all"'Adrienne" lanciata dalla Corte di Parigi e
rotolata su Palermo come una valanga inarrestabile che ave-
va messo in agitazione tutti i sarti. Le ha perfino confessato
di un suo amore per una merlettaia di nome Ester che lavora-
va in una casa di sua proprietal Papireto. 俠e ho regalato
una stanza, quella dove lavora che dsulla strada... vedessi
come contenta. Eppure quest'uomo che le padre e che la ama tenera-
mente le ha fatto provare il pigrande orrore della sua vita.
Ma lui non lo sa. Lui l'ha fatto per aiutarla: un grande medi-
co della scuola salernitana gli aveva consigliato di guarire la
sorditdella figlia che pareva sortita da una grande paura,
con un'altra pigrande paura. Ti morfeci t vitium timor recuera-
bit salutem. Non era colpa sua se l'esperimento era fallito.
L'ultima volta che venuto a trovarla il signor padre le
ha portato un regalo: una bambina di dodici anni, figlia di un
condannato a morte da lui ac.compagnato alla forca. 俠a ma-
dre se l'portata via il vaiolo, il padre fu impiccato e me la
raccomandsul punto di morte. I Fratelli Bianchi la voleva-
no chiudere in un convento di orfane ma ho pensato che sta-
rebbe meglio qui con te. Te la regalo, ma voglile bene, sola
al mondo. Pare che abbia un fratello ma non si sa dove si sia
cacciato, forse morto. Il padre mi ha detto di non averlo pi visto da quando aveva dato a balia il "nicuzzo" a una cam-
pagnola. Prometti che la terrai bene? Cosentrata in casa Filomena, detta Fila. Ed stata ve-
stita, calzata, nutrita ma ancora non ha preso confidenza:
parla poco o niente, si nasconde dietro le porte e non riesce a
tenere un piatto in mano senza farlo cadere. Appena pu
scappa nella stalla e si siede sulla paglia accanto alle vacche.
E quando rientra si porta addosso un odore di letame che si
sente a dieci passi di distanza.
Inutile rimproverarla. Marianna riconosce in quello
sguardo terrorizzato sempre all'erta qualcosa dei suoi umori
infantili e la lascia fare suscitando le ire di Innocenza, di Raf-
faele Cuffa e perfino del signor marito zio che sopporta a
stento la nuova venuta e solo per rispetto verso il cognato
suocero e verso la moglie mutola.

XI





Marianna si sveglia di soprassalto con una sensazione di
gelo. Aguzza gli occhi nel buio per vedere se il dorso del ma-
rito sempre al suo posto sotto le lenzuola; ma per quanto si
sforzi non riesce a vedere il rigonfiamento familiare. Il cusci-
no le pare intatto e il lenzuolo tirato. Fa per accendere la can-
dela ma si accorge che la stanza inondata di una luce liqui-
da azzurrina. La luna pende bassa sulla linea dell'orizzonte e
gocciola latte sulle acque nere del mare.
Il signor marito zio sarrimasto a dormire a Palermo co-
me fa sempre pispesso da ultimo. Questo non la inquieta,
anzi la solleva. Domani finalmente potrchiedergli di appa-
recchiare il suo letto in un'altra stanza; nel suo studio maga-
ri, sotto il quadro del beato Signoretto, fra i libri di araldica e
di storia. Oltre tutto da un po' di tempo ha preso ad agitarsi
nel letto come una tarantola svegliandola in continuazione
con degli improvvisi terremoti.
In questi casi lei ha voglia di alzarsi e di uscire ma non lo
fa per non svegliarlo. Se dormisse da sola non dovrebbe stare
Ia chiedersi se sia il caso di accendere la candela oppure no,
se potrleggere un libro o scendere in cucina a prendersi un
bicchiere d'acqua.
Da quando morta la signora madre, seguita in poche
settimane da Lina e Lena prese all'improvviso dalle febbri
quartane, Marianna inquietata spesso da incubi e da risve-
gli cupi e tumultuosi.
Della signora madre le appaiono nel dormiveglia dei par-
ticolari a cui non ha mai fatto attenzione, come se la vedesse
ora per la prima volta: i due piedi gonfi e bianchi che ciondo-
lavano dal bordo del letto, i due alluci come funghi porcini
che muoveva come se dovesse suonare una immaginaria spi-
netta con i piedi. La bocca dalle labbra carnose che apriva
neghittosamente per ricevere il cucchiaio pieno di brodo. Il
dito che immergeva nella bacinella dell'acqua calda per pro-
varne la temperatura e poi portarselo alla lingua come se do-
vesse bersela quell'acqua e non lavarsi la faccia. E di colpo
eccola in piedi che si allacciava la cintura di seta dietro la
schiena facendosi rossa per lo sforzo.
A tavola, dopo avere mangiato una arancia, prendeva un
seme e con i denti davanti lo spaccava in due, lo sputava sul
piatto, ne prendeva un altro per spaccare anche quello, fin-
chnon riduceva il piatto a un piccolo cimitero di semi bian-
chi che, sbudellati, diventavano verdi.
Se n'era andata senza disturbare come aveva fatto in tut-
ta la sua breve vita, talmente timorosa di essere considerata
di troppo da mettersi in un canto da sola. Troppo pigra per
prendere una decisione qualsiasi lasciava fare agli altri, ma
senza acrimonia. Il suo posto ideale era alla finestra con una
ciotola di frutti canditi accanto, una tazza di cioccolata calda
ogni tanto, un bicchiere di laudano per sentirsi in pace, una
presa di tabacco per la gioia del naso.
Il mondo poteva in fondo apparirle come un bello spetta-
colo purchnon le chiedessero di partecipare. Era generosa
nel battere le mani alle imprese altrui. Rideva volentieri, si
entusiasmava anche, ma era come se tutto fosse giaccaduto
tanto tempo fa e ogni cosa non fosse che la ripetizione previ-
sta di una storia ginota.
Marianna non riusciva a immaginare che da ragazza fos-
se stata snella e vivace come la descriveva nonna Giuseppa.
L'aveva sempre vista uguale: la faccia larga dalla pelle deli-
cata, gli occhi appena un poco troppo sporgenti, le sopracci-
glia folte e scure, i capelli riccioluti e chiari, le spalle tonde, il
collo taurino, i fianchi colmi, le gambe corte rispetto al tron-
co, le braccia appesantite da anelli di grasso. Aveva un modo
di ridere delizioso, fra timido e sfrontato, quasi non sapesse
decidere se abbandonarsi al divertimento o tirarsi indietro
per risparmiare energie. Quando scuoteva la testa faceva sal-
tellare le ciocche bionde sulla fronte e sulle orecchie.
Chissperchle torna cosspesso alla memoria ora che morta. E non sono ricordi ma visioni improvvise quasi fosse
Icol suo corpo sfasciato dopo tanti parti e aborti a compiere
quei piccoli gesti quotidiani che mentre era viva sembravano
eseguiti da una moribonda e ora che non c'pimantengono
il sapore amaro e crudo della vita.
Adesso il sonno le andato via del tutto. Impossibile ri-
mettersi a dormire. Si rizza sul letto, fa per cacciare i piedi
nelle pantofole ma si ferma a mezz'aria e agita le dita come se
dovesse suonare una immaginaria spinetta. Ecco le sugge-
stioni della signora madre. Che vada al diavolo, perchnon
la lascia in pace?
Stanotte le gambe la portano verso le scale di servizio che
salgono sui tetti. Le piace sentire il fresco dei gradini sotto le
pianelle di rafia. Dieci scalini, una sosta, dieci scalini, un'al-
tra sosta. Marianna riprende a montare leggera: il lembo del-
la larga vestaglia di raso le struscia sul dorso dei piedi nudi.
Da una parte le porte delle soffitte, dall'altra alcune stan-
ze della servit Non ha portato la candela con s il naso ba-
sta a guidarla fra corridoi, scale, strettoie, cunicoli, ripostigli,
bugigattoli, rampe improvvise e scalini traditori. Gli odori
che la guidano sono di polvere, di escrementi di topo, di cera
vecchia, di uva messa ad asciugare, di legno marcio, di vasi
da notte, di acqua di rose e di cenere.
La porta bassa che dsui tetti chiusa. Marianna prova
a girare la maniglia ma sembra che sia incollata, non si spo-
sta di un'unghia. Vi appoggia contro la spalla e prova a spin-
gere tenendo la maniglia fra le dita. In questo modo la porta
cede di colpo e lei rimane sulla soglia, sbilanciata in avanti,
spaventata all'idea di avere fatto chissche fracasso.
Dopo qualche minuto di attesa si decide ad allungare un
piede sulle tegole. La luce lunare la colpisce in faccia come
una secchiata d'argento, il vento tiepido le scompiglia i ca-
pelli.
La campagna attorno allagata di luce. Capo Zafferano
scintilla al di ldella piana degli ulivi ricoperta da migliaia
di scaglie metalliche. I gelsomini e le zagare mandano in alto
i loro profumi come riccioli vaporosi che si sfaldano fra le te-
gole.
Lontano, all'orizzonte, il mare nero e immobile attra-

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versato da una larga striscia bianca formicolante. Pivicino,
all'interno della valle concava, si indovinano le sagome degli
ulivi, dei carrubi, dei mandorli e dei limoni addormentati.
亟cco pel bosco un cavallier venire/il cui sembiante d'uom gagliardo e fiero/candido come nieve il suo vestire,/un
bianco pavoncello ha per cimiero...sono versi di Ariosto che
le salgono dolci alla memoria. Ma perchproprio questi e
proprio ora?
Le sembra di scorgere da lontano la figura piacevole del
signor padre. Il solo "cavalliere candido come nieve" che si
sia proposto al suo amore. Fin da quando aveva sei anni il
"cavalliere" l'aveva ammaliata col suo "p幯nacchio di bian-
co pavoncello" e poi quando lei si era messa ad inseguirlo lui
se n'era andato ad ammaliare altri cuori, altri occhi inquieti.
Forse si era stancato di aspettare che la figlia parlasse,
forse lei lo aveva deluso col suo mutismo pertinace, inco-
sciente. Fatto sta che quando aveva compiuto i tredici anni
lui era giarcistufo di lei e l'aveva ceduta, in un impeto di ge-
nerositcavalleresca, al disgraziato cognato Pietro che ri-
schiava di morire senza moglie e senza figli. Fra disgraziati si
intenderanno, sarstato il pensiero paterno. E aveva alzato
le spalle come solo lui sa fare, con festosa noncuranza.
Ma ora cos'questo odore di sego che brucia? Marianna
gira intorno gli occhi ma non ci sono luci in vista. Chi pues-
sere sveglio a quest'ora? In bilico sulle tegole fa qualche pas-
so in avanti, si sporge sul muretto che circonda i tetti e su cui
si alzano le statue mitologiche: un Giano, un Nettuno, una
Venere e quattro enormi putti armati di arco e di frecce.
La luce viene da una finestra del sottotetto. Se si sporge
ancora puintravvedere un pezzo della stanza. E Innocenza
che ha acceso la candela accanto al letto. Strano che sia an-
cora tutta vestita come se entrasse in camera solo in quel mo-
mento.
Marianna la osserva mentre si slaccia le scarpe dal collo
alto. Dai gesti stizziti indovina quello che la donna sta pen-
sando: 保diosi questi lacci che debbono essere infilati negli
occhielli; ma la duchessa Marianna se le fa fare su misura
quejte scarpe e poi le regala a noi... e come sputare su un
paio di viennesine di camoscio da trenta tar `

Ora Innocenza si avvicina alla finestra e guarda fuori.
Marianna ha un moto di paura: e se la vede lche spia dai
tetti? ma Innocenza punta gli occhi in basso, incantata anche
lei da quello straordinario chiarore lunare che bagna il giar-
dino, lo rende fosforescente, accende di lontano il mare.
La vede piegare un poco la testa come per ascoltare un
inatteso rumore. Probabilmente il baio Miguelito che batte
lo zoccolo sul pavimento della stalla. E ancora una volta Ma-
rianna viene raggiunta, quasi aggredita dal pensiero di Inno-
cenza: 隹vrfame Miguelito, avrfame quel cavallo... don
Calo ruba sul fieno, lo sanno tutti, ma chi glielo va a dire al
duca? mica faccio la spia io... che si arrangino!
A piedi nudi, con addosso il corsetto rosa dalle gore di su-
dore sotto le ascelle, la camicia slacciata e la gonna ampia
marroncina che le casca sui fianchi, Innocenza si dirige verso
il centro della stanza. Lsi inginocchia, solleva con delicatez-
za un'asse. Fruga con le mani impazienti in una buca, ne tira
fuori un sacchetto di pelle legato con un cordoncino nero.
Se lo porta al letto. Slega con due dita sicure il nodo, im-
merge la mano nel sacchetto, chiude gli occhi mentre tasta
qualcosa di caro. Poi con lentezza estrae dalla borsa delle
grosse monete d'argento, le posa a una a una sul lenzuolo con
un gesto da giardiniere che maneggia i fiori appena in boccio.
非omattina alle cinque di nuovo con le mani nel car-
bone, le zaffate di fumo in faccia prima di riuscire ad accen-
dere quel maledetto fuoco sotto la marmitta e poi ci sono i
pesci da sbudellare e quei poveri conigli che quando li sente
con la testa penzoloni sulle dita ripensa a tutta la pena che si
e data per nutrirli, crescerli, e poi zac, un colpo alla testa e
quegli occhi che diventano opachi ma non la smettono mai di
guardare come a dire: ma perch domattina toccheralla
gallina, ma che disgrazia che sono morte le due figlie di Cal
erano cosbrave ad ammazzare i polli... sicuramente erano
vergini anche se Severina le ha detto che le ha viste una mat-
tina nella stalla che mentre una mungeva la vacca l'altra
mungeva il padre, cosdiceva lei ma chissse vero, Severi-
na da quando le morto il figlio non ci sta con la testa e vede
cose strane dappertutto... perche abbiano perso il mestruo
prima l'una e poi l'altra per qualche mese vero, gliel'ha det-

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to Maria che una di cui ci si pufidare... lei controllava tut-
ti i pannolini stesi ad asciugare ogni mese e teneva i conti... e
se fossero state ingravidate da qualcun altro? perchproprio
il padre? eppure altri lo dicevano, pure don Peppino Geraci
che li aveva Visti una mattina a letto tutti e tre insieme quan-
do era andato a prendere il latte molto presto... e poi hanno
abortito... povere babbasane... sicuramente sono andate dal-
la Pupara, la chiamano cosperchfa e disfa i picciriddi... di
preciso non Sl sa come fa... conosce le radici, le erbe... per tre
giorni cachi, ti torci, vomiti e al terzo giorno tiri fuori il feto,
morto... Cl vanno pure le baronesse dalla Pupara... le lascia-
no fino a tre onze per un aborto riuscito... ma riesce sempre,
brava la Pupara... Marianna si tira indietro, sazia di pensieri altrui, su quel
tetto che da deserto che era si popolato di fantasmi indaffa-
rati. Ma non facile liberarsi della voce di Innocenza, quella
voce silenziosa che continua a incalzarla con l'odore dolcia-
stro del sego bruciato.
亟 poi dovrdecifrare i bigliettini disegnati da quella
pazza della duchessa che ogni cinque minuti cambia idea su
quello che vuole mangiare e pretende di farglielo capire con
dei disegni stravaganti: un topo infilzato allo spiedo vuol dire
pollo arrosto, una rana in padella vuol dire anatra fritta, una
patata nell'acqua vuol dire melanzane al forno. E poi scende-
rquella sfacciata di Giuseppa che verra mettere il naso e
le dita nei suoi intingoli, si porteri pezzi di torta ancora non
cotta in biblioteca, rovesceril latte sempre cantando come
un'allocca... avrebbe voglia di schiaffeggiarla ma non lo fa
nemmeno la madre che madre, figuriamoci!... ma dove va
con la testa? c'ancora tanto da fare: il duca non le ha ordi-
nato per domani, che il compleanno di Manina, lo storione
al cartoccio? e quello va tenuto una notte a bagno nel vi-
no... vuole anche la torta alle mille foglie che ogni foglia va
lavorata a furia di gomiti e poi va messa a riposare... sarl'u-
na di notte ed dalle cinque della mattina che traffica in cu-
cina... tutto per quelle miserabili quattro monete d'argento
che ogni mese la fanno penare a chiedere e a richiedere per-
chtutti se lo scordano che devono pagarla... hanno terre e
palazzi questi duchi ma non hanno mai soldi, accidenti a chi
li ha inventati!...

俠a duchessa qualche volta le rifila cinque grani o anche
due carlini ma che se ne fa lei degli spiccioli... ci vuole altro
per la sua borsa che ha sempre fame e allarga la bocca come
un pesce in cerca d'aria... non li ripone neanche, quei babba-
suni di carlini, sotto il pavimento... vogliamo mettere uno
scudo d'oro con la testa di Carlo terzo che puzza ancora di
zecca? o un bel doblone d'oro con l'effigie di Filippo quinto
buonanima?... Don Raffaele conta e riconta prima di darglie-
le quelle maledettissime monete, una volta voleva rifilarglie-
ne una limata... che minchione! come se lei non le conoscesse
a occhi chiusi, meglio di come una moglie conosce l'uccello
del marito. Marianna scuote la testa disperata. Non riesce a scrol-
larsi di dosso i pensieri di Innocenza che sembrano uscire in
quel momento dalla sua stessa mente ubriaca di luce lunare.
Si stacca dal muretto in preda a un'insofferenza rabbiosa
mentre la voce della cuoca, nella sua testa, continua a bor-
bottare 剃on tutti quei soldi che ci fai? prenditi un marito, te
lo potresti pure comprare... un marito io? per fare la fine
delle mie sorelle che una prende le pedate appena apre boc-
ca e l'altra rimasta sola come un ciuccio perchlui se n' andato con una di vent'anni pigiovane lasciandola senza
casa, senza soldi, con sei figli da mantenere?... Ie gioie del
letto? ne parlano le canzoni, i libri che legge la duches-
sa... ma forse che lei, con tutti quei vestiti di damasco e di
seta, con quelle carrozze, quei gioielli, ha mai conosciuto le
gioie del letto? Ia povera mutola sempre incollata ai libri e
alle carte... a me mi fa pena...sembra incredibile ma co-
s la cuoca Innocenza Bordon, figlia di un soldato di ventu-
ra delle lontane terre venete, analfabeta, con le mani piene
di tagli, senza un affetto al mondo che non sia se stessa, pro-
va pietper la grande duchessa che discende direttamente
da Adamo per via paterna...
Marianna di nuovo appoggiata al muretto, incapace di
sottrarsi alle chiacchiere mentali di Innocenza, e accetta gli
sgarbi della sua cuoca come la sola cosa vera di quella notte
soffice e irreale. Non pufare a meno di guardarla mentre
con mani fatte esperte dai traffici in cucina solleva a due a
due i grossi scudi d'argento e li avvia appaiati nel sacchetto

62 1 63
come per metterli a dormire accompagnati. Le dita ne cono-
scono il peso con tale precisione che perfino a occhi chiusi sa-
prebbe se ne mancasse anche solo un pezzetto.
Con un sospiro Innocenza ora lega il cordoncino attorno
al collo del sacchetto. Lo ripone nel suo buco al centro della
stanza. Sistema l'asse prima con le mani e poi col piede, dopo
essersi alzata. Quindi ritorna verso il letto e con gesti rapidi
si libera della gonna, della camicia, del corpetto, mentre la
testa si scuote come in un ballo da tarantolata e le forcine vo-
lano per aria assieme ai pettinini di tartaruga che una volta
erano della padrona.
Marianna si tira indietro chiudendo gli occhi. Non vuole
posare lo sguardo sulle nuditdella sua cuoca. Ora tocca a
lei scrollare la testa per liberarsi di quei pensieri inopportuni,
appiccicosi come il succo delle carrube. Le gisuccesso al-
tre volte di essere raggiunta dal rimuginio di chi le sta accan-
to, ma mai cosa lungo. Che stia peggiorando? da piccola co-
glieva delle frasi, dei pezzi di pensieri sparsi ma erano sem-
pre scoperte casuali, impreviste. Quando voleva veramente
capire cosa stesse pensando il signor padre, per esempio, non
ci riusciva per niente.
Da ultimo ci casca dentro, alle persone, attratta da un
certo sfarfall髺 brioso dei loro pensieri che promettono chis-
squali sorprese. Ma poi si trova inghiottita, persa in loro
senza sapere picome uscirne. Come vorrebbe non essere
mai salita su quel tetto, non avere mai spiato dentro la stan-
za di Innocenza, non avere mai respirato quell'aria chiara,
velenosa.





. La lunga uita di MadadM Uccia

XII





促apfa scandalo con le sue ultime volont俊olse al
primogenito per dare alle figlie.青ose che mai successero. 俟ignoretto meschinu.青on Geraldo si sciarriaru.俠a zia
canonica dissente.隹ttia che ci teneva ti lassla sua parte
della villa Ucr駮 di Bagheria, picchchianci, cretina?俠'av-
vocato Mangiapesce dice che il Diritto proibisce una eredit del genere.俟artutto annullato, ci pensa la legge del mag-
giorasco. Marianna rimescola i biglietti che le sorelle e le zie le
hanno buttato rapidamente sul piatto. Le parole le si confon-
dono sotto il naso. Le mani le si bagnano di lagrime. Come si
pudiscutere di feudi e di case quando la faccia pallida e dol-
ce del padre morto ancora nei suoi occhi?
A guardarli gesticolare se ne dicono di cotte e di crude. E
non servono le prelibatezze di Innocenza a fare loro chinare
la testa sul piatto. Il pensiero che mentre lei era sui tetti a
guardare la campagna allagata dalla luce della luna, suo pa-
dre moriva nel suo letto di via Alloro a Palermo, le toglie
l'appetito Possibile che non abbia sentito, lei che sente pure
il chiacchlericcio interno della gente, il respiro affannato di
lui morente? squalcosa c'era stato, le era sembrato di vedere
il suo corpo amabile fra le palme nane; aveva pensato al "ca-
valliere niveo". Ma non l'aveva interpretato come un presen-
timento di morte. Era sulla seduzione che si era interrogata,
senza pensare che stava vicina all'ultima delle seduzioni, la
plU profonda.
Ed ecco che il pranzo di compleanno per cui il duca Pie-
tro aveva ordinato a Innocenza storione al cartoccio e torta
alle mille foglie Sl trasformato in un pranzo di doglia. Che

65
poi di doglia ce n'poca, soprattutto c'scandalo per l'inu-
suale testamento del signor padre. Un testamento che non si
sa come sia stato giaperto, prima ancora di seppellire il cor-
po del morto.
Sono tutti sconcertati ma soprattutto Geraldo che ha pre-
so la liberalitdel padre verso le sorelle come una offesa per-
sonale. Anche se poi si tratta di piccoli lasciti. Il grosso co-
munque va a Signoretto e di questa ereditinattesa usufrui-
ranno anche i maschi cadetti. Ma lo sconvolgimento delle
abitudini li ha presi tutti di sorpresa e anche se in fondo non
sono dispiaciuti di avere qualcosa per s si sentono in dovere
di protestare.
Signoretto, da gran gentiluomo qual non interviene
sebbene sia il pidanneggiato. Ci pensa la zia Agata cano-
nica, sorella del nonno Mariano a difendere i suoi diritti. E
lche allunga il collo e le mani in un parossismo di indigna-
zione.
Il signor marito zio il solo a non curarsi di quelle beghe.
Lui non c'entra con l'ereditdel cognato ngli importa a chi
andr Ha abbastanza del suo. Tanto sa giche la villa Ucr駮
di Bagheria a cui tiene tanto sua moglie sarinteramente lo-
ro; perciversa il vino e pensa ad altro, mentre gli occhi si
posano con qualche ironia sulle facce rabbiose, accaldate dei
nipoti.
Seduto dirimpetto a Marianna, Signoretto forse il solo
che si senta in dovere di mostrare una compunzione dolorosa
per la scomparsa del padre. Quando qualcuno gli rivolge la
parola, mette su una espressione accigliata che ha qualcosa
di comico per lo studio che si immagina l'abbia preceduta.
I titoli gli sono piovuti addosso tutti insieme: duca di
Ucr駮, conte di Fontanasalsa, barone di Bosco Grande, di
Pesceddi, di Lemmola, marchese di Cuticchio e di Dogana
Vecchia.
La moglie ancora non l'ha trovata. La signora madre gli
aveva scelto una donna ma lui non l'ha voluta. Poi lei mor-
ta da un giorno all'altro, di un mancamento al cuore e nessu-
no si pioccupato di portare avanti i complicati rapporti di
dare-avere con la famiglia Uzzo di Agliano.
Il signor padre, quando il figlio ha compiuto i venticin-

66

que anni da scapolo, si affrettato, in un impeto di responsa-
bilitpaterna, a trovargli un'altra moglie: la principessa Tri-
gona di Sant'Elia. Ma anche questa non gli era andata a ge-
nio e il signor padre era troppo debole per costringerlo al-
l'ubbidienza.
Che poi, piche debolezza si trattava di incredulitpro-
babilmente. Il signor padre non credeva del tutto alla sua au-
toritanche se d'istinto era prepotente. Tutte le sue decisioni
erano minate dall'incertezza, da una stanchezza interna che
lo portava pial sorriso che al cipiglio, piall'accomoda-
mento che alla rigidezza.
CosSignoretto, all'etin cui tutti i giovanotti delle fami-
glie nobili palermitane erano sposati e padri a loro volta di fi-
gli, era ancora celibe.
Da qualche tempo si appassiona di politica: dice che vuo-
le diventare senatore, ma non di comodo come gli altri; la sua
intenzione di incrementare l'esportazione del grano dall'i-
sola riducendo per questo i prezzi, aprendo delle strade verso
l'interno che facilitino il trasporto; di comprare per conto del
Senato delle navi da mettere a disposizione dei coltivatori.
Cosper lo meno va dicendo e molti giovanotti gli danno cre-
dito.
侵 senatori al Senato ci vanno solo ogni morte di papale
ha scritto una volta Carlo di nascosto da Signoretto, 前 quan-
do ci vanno solo per discutere di questioni di precedenza
mangiando gelati al pistacchio, scambiandosi l'ultimo pette-
golezzo della citt Hanno barattato una volta per tutte il
proprio diritto di dire no con la garanzia di essere lasciati in
pace nei loro feudi. Ma Signoretto ambizioso, dice che se ne andralla cor-
te dei Savoia, a Torino, dove altri giovanotti palermitani
hanno fatto fortuna con il loro garbo, la loro tenacia e la loro
intelligenza pronta a spaccare il capello in quattro. Percidi
recente stato a Parigi, ha imparato bene il francese e studia
i classici con accanimento.
La persona che pilo ama e lo protegge Agata, la sorel-
la del signor nonno Mariano, canonica alle Carmelitane Co-
perta di scialli dalle lunghe frange dorate gettati sbadata-
mente sopra il saio, fa collezione di biografie: generali, capi
di stato, e, principi, vescovi, e papi.
Per gli interessi che hanno in comune dovrebbero andare
d'accordo lei e il duca Pietro, ma non cos Il fatto che lui
sostiene che la famiglia Ucr駮 ha origine nel 600 avanti Cri-
sto, mentre lei giura che apparsa negli annali storici nel
188 avanti Cristo con Quinto Ucr駮 Tuberone diventato
console a soli sedici anni. Per questo contrasto non si parla-
no da anni.
Fiammetta invece, da quando si monacata ha perso
quell'aria striminzita e rassegnata che aveva da bambina.
Ha fatto il petto pieno, la pelle rosata, gli occhi accesi. Le
mani le sono diventate robuste per il tanto impastare, taglia-
re, pelare, agitare. Ha scoperto che "manciari pane e sputaz-
za" secondo le regole della Casa non fa per lei: cossi ingegn in mezzo ai rami a c,ucinare pietanze prelibate.
Accanto a lei Carlo, che sempre piassomiglia alla signo-
ra madre: pigro, lento, enigmatico, le braccia cicciute, il
mento che tende a farsi doppio, triplo, gli occhi miopi e dolci,
la tonaca che gli scoppia sul petto massiccio. E diventato
bravissimo a decifrare vecchi manoscritti religiosi. Di recente
stato chiamato al convento di San Calogero di Messina per
carpire i segreti di alcuni libri del Duecento che nessuno ca-
piva pi E lui li ha ricopiati, parola per parola, mettendoci
forse qualcosa di suo, fatto sta che lo hanno riempito di doni
e di ringraziamenti.
E poi Geraldo, che "studia da generale" come diceva la
zia Manina. Forbito, cerimonioso, freddo. Indossa delle di-
vise che sembrano ancora calde di ferro da stiro, corteggia
le donne da cui molto ricercato. Rifiuta di sposarsi perch non dispone di grandi proprietndi titoli. Ci sarebbe un
partito caldeggiato dalla zia Agata: una certa Domenica Ri-
spoli, ricchissima figlia di certi campieri che hanno fatto i
soldi sull'insipienza di un indolente proprietario di terre,
ma lui non ne vuole sapere. Dice che non mescoleril suo
sangue con quello di una "zappitedda" neanche se fosse
"bella come Elena di Troia". Solo ora venuto a sapere che
il padre gli ha lasciato un pezzo di terra a Cuticchio da cui,
se saprdarsi da fare, potrricavarci di che mantenere una
carrozza e una casa in citt Ma lui aspira a qualcosa di pi sfarzoso. Una carrozza ce l'hanno pure i commercianti di
piazza San Domenico.

68

Seduta in pizzo alla sedia come una bambina, con le
braccia coperte di morsi di zanzara, c'Agata, la bellissima
Agata, data in moglie a dodici anni al principe Diego di Tor-
re Mosca. Una volta con lei si capivano solo guardandosi, si
dice Marianna. Ora sono diventate quasi due estranee.
Qualche volta ci andata al palazzo dei Torre Mosca in
via Maqueda. Ha ammirato i loro arazzi, i loro mobili vene-
ziani, le loro enormi specchiere incorniciate di legno dorato.
Ma ogni volta trovava la sorella stranita, presa da pensieri
lontani e cupi.
Dopo il primo figlio ha cominciato a rattrappirsi. Quella
pelle bianchissima tanto amata dalle zanzare per la sua fra-
granza si prosciugata, raggrinzita anzitempo. I tratti le si
sono deformati, dilatati e gli occhi le si sono infossati come se
il guardare ciche la circonda le fosse penoso.
Fiammetta che era considerata la brutta della famiglia diventata quasi bella zappando l'orto e impastando il pane in
convento. Agata che a quindici anni "faceva innamorare gli
angeli" come scriveva il signor padre, a ventitrha preso l'a-
ria di una madonna incartapecorita, di quelle madonne che
stanno in capo ai letti, dipinte da mani ignote che sembra
debbano cadere gisbriciolate tanto sono consumate.
Ha avuto sei figli di cui due morti. Al terzo figlio una ma-
lattia del sangue l'ha quasi portata via. Poi si ripresa ma
non del tutto. Ora soffre di piaghe ai seni. Ogni volta che al-
latta si torce dal dolore e finisce per dare al proprio figlio pi sangue che latte.
Il marito le ha portato in casa delle balie, ma lei si ostina
a volere fare da s Testarda nel suo sacrificio materno fino a
ridursi una larva sempre divorata da febbri di puerperio, gli
occhi ritirati nella conca delle orbite, protetti da due soprac-
ciglia tenere e bionde, non accetta nconsigli naiuto da
nessuno.
Si legge una volontquasi eroica nella piega di quelle
labbra di giovane madre, la fronte divisa da un solco, il men-
to irrigidito, il sorriso stentato, i denti privati della porcella-
na, ingialliti e scheggiati precocemente.
Il marito ogni tanto le afferra una mano, gliela bacia
guardandola da sotto in su. Chissqual il segreto del loro

69
matrimonio, si chiede Marianna. Ogni matrimonio ha i suoi
segreti che non si raccontano nemmeno a una sorella. Il suo
segnato dal silenzio e dalla freddezza, interrotti sempre pi raramente per fortuna, da momenti di brutalitnotturna. E
quello di Agata? Il signor marito don Diego sembra innamo-
rato di lei nonostante le deformazioni e le devastazioni do-
vute alle maternitravvicinate e sopportate come dei marti-
rii. E lei? da come accetta quelle carezze, quei baci, sembra
che si sforzi di trattenere una insofferenza che sconfina nel
disgusto.
Gli occhi di don Diego sono limpidi, grandi e celesti. Ma
sotto una apparente premura amorosa ci si puscorgere
qualcosa d'altro che fa fatica a venire a galla; forse gelosia, o
forse la trepidazione di un possesso che non sente compiuto.
Fatto sta che a momenti quegli occhi candidi rivelano dei
lampi di soddisfazione per lo sfiorire precoce della moglie e la
sua mano Sl allunga con gioia sospetta mescolando la pietal
compiacimento.
Ma ecco che il guardare di Marianna viene interrotto da
un urtone che quasi la fa cadere dalla seggiola. Geraldo si alzato di scatto mandando a sbattere la propria sedia contro
la parete, ha scaraventato il tovagliolo per terra dirigendosi
verso la porta non senza avere prima urtato la sorella sordo-
muta.
Il signor marito zio si precipita verso di lei per vedere se
si fatta male. Marianna gli sorride per rassicurarlo. E si
stupisce di trovarsi dalla parte di lui, contro i fratelli, per una
volta complici, amici.
A lei basta la villa di Bagheria che si costruita su misura
e in cui pensa di invecchiare. Certo sarebbe contenta di ere-
ditare una delle terre della famiglia paterna per disporre di
qualche soldo suo di cui non rendere conto a nessuno, anche
se le terre di Scannatura del signor marito rendono bene. Ma
di ogni soldo che spende deve dare conto al duca Pietro, e
spesso non ha di che comprarsi la carta per scrivere.
Anche il solo noccioleto di Pesceddi o l'uliveto di Baghe-
ria le farebbero comodo. Poterne disporre a modo suo, avere
una entrata non controllata da nessuno e di cui non rendere
conto ad altri... Ecco che senza accorgersene, si trova anche

7n

lei dentro la logica della spartizione, anche lei a calcolare, de-
siderare, pretendere, rivendicare. Per fortuna non dispone di
una voce che si faccia largo in quella stupida lite fra fratelli
altrimenti chisscosa direbbe! D'altronde nessuno la inter-
pella. Sono troppo presi dal suono delle loro parole che certa-
mente acquistano, col montare della rissa, i toni vibranti del-
le trombe. Che lei non ha mai udito ma che immagina come
uno scotimento metallico che fa ballare i piedi.
Spesso si comportano come se lei non ci fosse del tutto. Il
silenzio l'ha agguantata come avrebbe fatto uno dei cani del-
la signora madre, per la vita, e l'ha trascinata lontano. E l
fra i parenti, sta come un fantasma che si vede e non si vede.
Sa che ora la baruffa sta girando proprio intorno alla villa
di Bagheria ma nessuno si rivolge a lei. Il signor padre posse-
deva una parte di quella che era stata la "casena" del nonno
e metdegli ulivi e dei limoni che crescono attorno alla villa.
Con una disinvoltura che appare scandalosa ha lasciato tutto
alla figlia mutola. Ma c'gichi pensa a "impugnare il testa-
mento, troppo scannalusu". Il signor marito zio si e allonta-
nato e un biglietto lasciatole in grembo parla di 剃hissquali
processi, tanto gli avvocati crescono come i funghi a Paler-
mo>.
Il pensiero che il signor padre ora se ne stia disteso morto
nel suo letto di via Alloro mentre lei qui a mangiare in mez-
zo ai fratelli che si azzuffano, le pare improvvisamente una
cosa molto buffa. E si scioglie in una risata solitaria, muta,
che si trasforma un momento dopo in una cascata silenziosa,
una pioggia dissennata che la scuote come una tempesta.
Carlo il solo che si sia accorto della sua desolazione. Ma
troppo preso dalla lite per alzarsi. Si limita a fissarla con
occhi generosi ma anche sbalorditi perchi singhiozzi senza
voce sono come lampi senza tuoni, qualcosa di monco e di
sgraziato.
XIII





La sala gialla stata sgombrata in parte per fare posto a
un gigantesco presepe. I mastri falegnami hanno lavorato
due giorni tirando su una montagna che non ha niente da in-
vidiare al monte Catalfano. In lontananza si vede un vulcano
dai bordi dipinti di bianco. Al centro un pennacchio di fumo
fatto di piume cucite insieme. Sotto la valle degli ulivi, il ma-
re di sete sovrapposte, gli alberelli di terracotta dalle foglie di
stoffa.
Felice e Giuseppa sono sedute sul tappeto, intente a bor-
dare un laghetto fatto di specchi con dei pennacchi di carta
spruzzata di verde. Manina le osserva stando in piedi appog-
giata contro la parete. Mariano intento a mangiare un bi-
scotto impiastricciandosi le guance e le labbra. Fila accanto a
IUi, dovrebbe sistemare le statuine dei pastori sul prato di la-
netta color bottiglia, ma se ne dimenticata presa com'da
incantamento per quel magnifico presepe. Innocenza, presso
la stalla, dgli ultimi ritocchi alla mangiatoia da cui escono
ciuffi di vera paglia.
Signoretto, l'ultimo nato, dorme in braccio a Marianna
che I ha avvolto nel suo scialle spagnolo e lo "annaca" dolce-
mente andando avanti e indietro col busto.
Ora il lago pronto ma anzichriflettere l'azzurro della
carta incollata dietro la stalla, rispecchia gli occhi dileggianti
di una chimera che si affaccia fra il fogliame del soffitto
Innocenza posa con delicatezza il Gesbambino dalla
pesante aureola di ceramica sulla paglia fresca. Accanto a
1Uj, la Madonna inginocchiata viene ricoperta di un mantello
turchese che le ricopre la testa e le spalle. San Giuseppe por-
ta delle brache di p鋩le di pecora e un cappello a falde larghe

color nocciola. Il bue grasso e bitorzoluto assomiglia ad
un rospo e l'asino dalle orecchie lunghissime, rosate, a un
coniglio.
Mariano, che ha compiuto da poco i sette anni, si avvia
verso la cesta infiocchettata in cui giacciono ancora delle sta-
tuine e con una mano impiastricciata di zucchero, tira su un
re magio dal turbante tempestato di pietre dure. Subito Giu-
seppa gli salta addosso, gli strappa la statuina dalle mani.
Lui perde l'equilibrio, casca per terra, ma non si perde d'ani-
mo e torna a tuffare le mani dentro la cesta per tirare su un
altro re magio dalla giamberga lustra di ori.
Questa volta Felice a precipitarsi sul fratello per toglier-
gli dalle dita la preziosa statuina. Ma lui resiste. I due casca-
no sul tappeto, lui tirando calci e lei morsi. Giuseppa accorre
in aiuto della sorella e tutte e due mettono sotto Mariano
riempiendolo di botte.
Marianna si alza col bambino in braccio e si slancia sui
tre, ma Innocenza l'ha preceduta agguantandoli per le brac-
cia e per i capelli. La statuina del re magio giace spezzata per
terra.
Manina li osserva avvilita. Si dirige verso il fratello, lo
abbraccia, gli bacia la guancia umida di lagrime. Subito do-
po afferra le mani delle sorelle e le attira a sper abbrac-
ciarle.
Quella bambina ha il talento della paciera, si dice Ma-
rianna, piche mangiare, piche giocare, ama la concordia.
Adesso, per distogliere le due sorelle dalla lite si gonfiata le
gote e soffia sul presepe in modo da fare svolazzare il manto
della Madonna, sollevare la vestina di Cristo, spingere da
una parte la lunga barba di san Giuseppe.
Felice e Giuseppa scoppiano a ridere. E Mariano, strin-
gendo ancora nella mano la metdi una statuina, ride anche
lui. Perfino Innocenza ride di quel vento che viene a scompi-
gliare le palme di stoffa, fa volare i cappelli dei pastori.
Giuseppa presa da una idea: perchnon vestire Manina
da angelo? la testa dai ricci biondi ce l'ha gi la faccia roton-
da e dolce dai grandi occhi in preghiera ne fanno una creatu-
ra del paradiso. Le mancano solo le ali e una lunga gonna co-
lor del cielo.
Con questa idea in testa srotola un foglio di carta d'oro
aiutata da Felice. Prende a tagliarla per lungo e per largo
mentre Mariano, che vorrebbe fare quello che fanno loro ma
non ne capace, viene spinto via.
Manina, una volta capito che fare l'angelo impedirai
fratelli di bisticciare per un po', lascia fare: la fasceranno con
una mantiglia della madre, le cuciranno le ali sul corsetto, le
impiastricceranno la faccia di rosso e di bianco. Ogni cosa
saraccettata se riuscircon le sue buffonaggini a conquista-
re le loro risate.
Marianna annusa l'odore dei colori: quella trementina
pungente, quel grasso oleoso. Una improvvisa nostalgia le
stringe la gola. Una tela bianca, un carboncino e le dita leste
ricostruirebbero un pezzo di presepe, un angolo di finestra, il
pavimento bagnato dal sole, le due teste chine di Giuseppa e
Felice, il corpo paziente di Manina con un'ala giincollata
alla schiena, l'altra distesa per terra, il torso massiccio di In-
nocenza chino misteriosamente fra gli alberelli di ceramica,
gli occhi di Fila in cui si riflettono le luci di una gigantesca
cometa d'argento.
Intanto Signoretto si svegliato e sbuca con la testina
calva dallo scialle della madre guardandola innamorato. Co-
spelato, senza denti, assomiglia a uno "spiritu nfullettu" dal
cuore saltellante, "nun ave paci lu nfullettu" scriveva la non-
na Giuseppa sul quaderno dai gigli d'oro e "ride di avere ri-

so
Una madre con i suoi figli. Saprebbe metterci anche se
stessa in quel quadro dalla tela molto ampia. Comincerebbe
dalle chimere, passerebbe ai capelli corvini di Fila, e poi alle
mani callose di Innocenza, e ai ricci giallo canarino di Mani-
na, agli occhi color notte di Mariano, alle gonnelle viola e ro-
sa di Giuseppa e Felice.
La madre sarebbe ritratta seduta sopra un cuscino, come
sta ora lei e le linee dello scialle si intreccerebbero con quelle
del vestito che si aprirebbe all'altezza dell'ascella, per rivela-
re la testina nuda del figlio di pochi mesi.
Ma perchha quella faccia stupita e dolorosa la madre di
quei figli, in quel quadro che ritrae un felice momento fami-
liare? cos'quella stranita meraviglia?

74

La immaginaria pittura raggela la mano di Marianna co-
me un colpevole tentativo di opporsi al volere di Dio. Se non
lui, chi che tanto ansiosamente li spinge avanti, li fa roto-
lare su se stessi, li fa crescere e poi invecchiare e poi morire
nel tempo di dire un amen?
La mano che dipinge ha istinti ladroneschi, ruba al cielo
per regalare alla memoria degli uomini, finge l'eternite di
questa finzione si bea, quasi avesse creato un suo ordine pi stabile e intimamente pivero. Ma non un sacrilegio, non un abuso imperdonabile nei riguardi della fiducia divina?
Eppure altre mani hanno fermato con sublime arroganza
il tempo, rendendoci familiare il passato. Che sulle tele non
muore, ma si ripete all'infinito come il verso di un cuculo,
con tetra malinconia. Il tempo, si dice Marianna, il segreto
che Dio cela agli uomini. E di questo segreto si campa ogni
giorno miseramente.
Una ombra si intromette fra il suo quadro immaginario e
il sole che allaga gioiosamente il pavimento. Marianna solle-
va lo sguardo alla finestra. E il signor marito zio che li osser-
va da dietro il vetro. Gli occhi piccoli, penetranti, sembrano
abitati dalla soddisfazione: davanti a lui, raccolta sul tappeto
della piluminosa stanza della villa, l'intera famiglia, la sua
discendenza. Adesso che sono due i maschi, i suoi sguardi so-
no diventati vittoriosi e protettivi.
L'occhiata dello zio marito si incontra con quella della
giovane nipote sposa. C'della gratitudine nel sorriso appe-
na accennato di lui. E lei prova una sorta di antico e patetico
appagamento.
Aprirla portafinestra il signor marito zio? li raggiunger accanto al presepe oppure no? Se lo conosce bene preferir
dopo essersi rassicurato, allontanarsi da solo evitando il te-
pore della sala riscaldata. Infatti lo vede voltare loro la schie-
na, cacciarsi le mani nelle tasche e incamminarsi a grandi
passi verso la coffee house. L al riparo dei vetri e degli ar-
rampicanti, si farportare un caffmolto zuccherato e con-
templeril paesaggio che conosce a memoria: a destra, la
punta protesa del Pizzo della Tigna, di fronte i ciuffi di acacie
del monte Solunto, il dorso scuro e nudo di monte Catalfano
e accanto, arruffato, il mare che oggi verde come un prato
primaverile.
XIV





La camera in penombra. Una cuccuma d'acqua bolle
sopra un braciere posato per terra. Marianna se ne sta spro-
fondata nella poltrona bassa, le gambe allungate sul pavi-
mento, la testa abbandonata sopra il cuscino. Dorme.
Accanto a lei la grande culla di legno dai fiocchi azzurri
che ha giospitato Manina e Mariano. I nastri sono mossi
da un filo di aria che entra dalla finestra socchiusa.
Tnnocenza entra piano spingendo la porta con un piede.
Fra le mani tiene un vassoio con del punch bollente e un paio
di biscotti al miele. Posa il vassoio sopra una sedia vicino alla
duchessa e fa per allontanarsi, ma poi ci ripensa e va a pren-
dere una coperta sul letto per riparare dal freddo la madre
addormentata. Non l'ha mai vista cosmalridotta la signora
Marianna, smagrita, sbiancata, con le occhiaie nere e un che
di unto e disordinato nella persona che non le appartiene. Lei
che di solito tutti prendono per una giovane donna di ven-
t'anni, oggi ne dimostra una decina di pi Se per lo meno
non si stancasse tanto a leggere! Un libro aperto giace per
terra riverso.
Innocenza le stende la coperta sulle gambe, poi si affaccia
sulla grande culla e osserva l'ultimo nato, Signoretto che suc-
chia l'aria sibilando. 侶uesto bambino non passerla notte si dice e il pensiero drastico sveglia Marianna che si tira su
con un sussulto.
Stava sognando di volare, aveva gli occhi e il naso pieni
di vento: le zampe del cavallo rampavano fra le nuvole e lei si
rendeva conto di stare a cavalcioni sul baio Miguelito davan-
ti a suo padre che teneva le redini e incitava la bestia al ga-
loppo fra quei massi di bambagia. Sotto, in mezzo alla valle

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si vedeva villa Ucr駮 in tutta la sua bellezza, il corpo elegante
color ambra, i due bracci ad arco tempestati di finestre, le
statue come ballerine intente a saltare in bilico sul cornicione
del tetto.
Apre gli occhi e si trova la faccia grassa, bonaria di Inno-
cenza a un dito dalla sua. Si tira indietro con un movimento
brusco. Il primo istinto di darle una spinta; perchla spia a
quel modo? ma Innocenza sorride con una tale apprensione
affettuosa che Marianna non ha il coraggio di scacciarla. Si
rizza sul busto, si allaccia il colletto, si ravvia i capelli con le
dita.
Ora la cuoca si accosta di nuovo al bambino sperduto
nella culla, sposta con due dita i nastri di seta, scruta quella
faccina rattrappita che apre la bocca disperata cercando
l'aria.
Marianna si chiede per quale infausta alchimia i pensieri
di Innocenza la raggiungano chiari e limpidi come se li po-
tesse udire. Non lo vuole quel carico, le sgradevole. Nello
stesso tempo le piace aspirare gli odori di quella gonna grigia
che sa di cipolla fritta, di tintura di rosmarino, di aceto, di
sugna, di basilico. E l'odore della vita che si insinua imperti-
nente fra gli odori di vomito, di sudore e di olio canforato che
esalano da quella culla infiocchettata.
Le fa cenno di sedersi accanto a lei. Innocenza ubbidisce
quieta tirandosi su la larga gonna a pieghe. Si accomoda sul
pavimento allungando le gambe sopra il tappeto.
Marianna tende una mano verso il bicchierino di punch.
Veramente avrebbe voglia di una lunga bevuta di acqua fre-
sca ma Innocenza ha pensato che il liquore caldo potrebbe
aiutarla a superare il gelo della notte e non pudeluderla
chiedendole qualcos'altro. Percimanda giil liquido bol-
lente e dolciastro di un fiato bruciandosi il palato. Anzich sentirsi picalda perprende a tremare per il freddo.
Innocenza le afferra una mano con un gesto premuroso e
gliela struscia fra le sue per riscaldarla. Marianna si irrigidi-
sce: non pufare a meno di pensare al sacchetto di monete,
ai gesti sensuali di quelle dita che mettevano a dormire i de-
nari a due a due.
Per non mortificarla con un rifiuto Marianna si alza, si
avvia verso il letto. L dietro il paravento dai cigni ricamati,
si accuccia sul vaso da notte pulito e lascia cadere qualche
goccia di orina. Quindi prende il vaso e lo porge alla cuoca
come se le facesse un regalo.
Innocenza lo afferra per il manico, lo copre con un lembo
del suo grembiule e si avvia verso le scale per andare a rove-
sciarlo nel pozzo nero. Cammina cauta, tenendosi dritta, co-
me se reggesse qualcosa di prezioso.
Ora il bambino sembra che non respiri piper niente.
Marianna gli spia le labbra violacee, si china su di lui inquie-
ta, gli appoggia un dito sulle narici. Un poco d'aria esce a in-
tervalli rapidi, sbilanciati.
La madre appoggia la testa sul petto del figlio ascoltando
i battiti di un cuore fievole appena percettibile. L'odore del
latte rigurgitato e dell'olio di canfora le entra con prepotenza
nelle. narici. Il medico ha proibito di lavarlo e quel povero
corpicino giace avvolto nelle bende che sempre pisi impre-
gnano dei suoi odori di moribondo.
Forse ce la far anche gli altri sono stati malati: Manina
ha avuto due volte gli "oricchiuni" con la febbre alta per
giorni, Mariano stato per morire di risipola. Ma nessuno
ha mai emanato quell'odore di carne in disfacimento che
esala ora dal corpo di Signoretto che ha appena compiuto
quattro anni.
Lo rivede aggrappato al suo seno nei primi mesi di vita,
con due manine da ragno. E nato anzitempo, come Manina,
ma mentre lei venuta al mondo un mese prima del previ-
sto lui voluto saltare fuori con due mesi di anticipo. Ha
stentato a crescere ma pareva sano, per lo meno cosdiceva
il dottor Cannamela: che in pochi mesi avrebbe raggiunto i
fratelli.
Al seno lo sentiva che non sapeva tirare, dava degli strat-
toni, si ingurgitava e poi lo sputava, il latte. Eppure stato il
piprecoce nel riconoscerla, nel rivolgersi a lei con sorrisi ir-
requieti ed entusiasti.
Nessuno al mondo poteva tenerlo in braccio salvo lei. E
non c'erano balie, tate, "bonnes" che potessero acquietarlo:
finchnon tornava in collo a sua madre non smetteva di
striilare.

Un bambino allegro e intelligente che sembrava avere in-
tuito la sorditdella madre e aveva inventato lper lun lin-
guaggio per farsi capire da lei e solo da lei. Le parlava scal-
ciando, scalmanando, ridendo, tempestandola di baci appiccico-
si. Le incollava la grande bocca senza denti sulla faccia, le
lambiva gli occhi chiusi con la lingua, le stringeva con le gen-
give i lobi delle orecchie, ma senza farle male, come un ca-
gnolino che conosce le sue forze e sa dosarle per giocare.
Era cresciuto pirapido degli altri. Era diventato lungo
lungo con due piedi enormi che Innocenza prendeva in mano
ammirata: giorno e il signor marito zio si era affrettato a scriverlo su un
foglietto perchla moglie ne ridesse.
Mai grasso, questo no, nell'abbracciarlo sentiva le costole
leggere come quarti di luna sotto le dita: quando si decider a mettere su un poco di carne questo bambino? si chiedeva e
gli baciava l'ombelico che sporgeva in fuori, sempre un poco
rosso e gonfio come se fosse stato reciso solo da mezz'ora.
Si portava appresso un odore di latte rappreso che nean-
che il bagno nella tinozza colma di acqua e sapone riusciva a
togliergli del tutto. Lo riconosceva ad occhi chiusi questo ul-
timo figlio dei suoi trent'anni. E lo prediligeva apertamente
per quell'amore smodato di cui la faceva oggetto e da cui lei
si lasciava rapire.
Qualche volta la mattina presto si svegliava con un senso
di calore sulla spalla nuda e poi scopriva che era lui, entrato
furtivamente nel letto, che le incollava la bocca sdentata sul-
la carne e tirava come fosse un capezzolo.
Lo afferrava per il collo e ridendo se lo abbracciava nel
caldo delle coperte, al buio. E lui, ridendo a crepapelle, si ag-
grappava a lei baciandola, annusando gli odori notturni di
lei, prendendola a testate sul seno.
A tavola lo faceva sedere accanto a snonostante i bi-
glietti perentori del signor marito zio: 侵 bambini devono sta-
re con gli altri bambini, nella nursery che lper questo
Ma lei sapeva intenerirlo con l'argomento della magrez-
za: 俟enza di me non mangia signor marito zio 亟 non
chiamatemi signor zio.侵l bambino troppo asciutto.亭i-
nirdi asciugarlo io se non lo mandate nelle sue stanze.俟e

78 1 79
lo cacciate me ne vado anch'io.Un via vai di biglietti di-
spettosi che facevano ridere Fila e le sguattere dietro di lei
Infine Marianna aveva ottenuto che di mattina, solo a
pranzo, il bambino sedesse accanto a lei, cosda poterlo im-
boccare con "sfinciuni" ripieni di pollo schiacciato, pasta al-
l'uovo e cacio, zabaione con spuma d'arancia, tutte cose che
come diceva Innocenza 剌anno sangue
Non ingrassava Signoretto ma si allungava, cresceva in
alto, metteva su un collo da cicogna e due braccine da scim-
mia che i fratelli ridicolizzavano apertamente. A due anni era
pialto del figlio di Agata che ne aveva tre. Solo di peso non
cresceva, Sl spingeva in alto come una pianta che cerchi l'a-
ria. I denti non gli venivano fuori e neanche i capelli. La testa
pareva una boccia e lei gliela copriva con delle cuffie ricama-
te, arricciate e sbuffanti.
All'etin cui tutti gli altri bambini cominciano a parlare,
lui faceva solo delle risate. Cantava, urlava, sputava, ma non
parlava. E il signor marito zio aveva cominciato a scrivere bi-
glietti minacciosi: 俑io figlio non lo voglio mutolo come
voi E di seguito: 俊occa separare, cosdice lo speziale, e
anche il dottor Cannamela
Marianna aveva avuto una tale paura che glielo portasse-
ro via che era stata presa dalla febbre. E il duca Pietro, men-
tre lei delirava, si aggirava esasperato per la casa in preda ad
una indecisione forsennata: doveva approfittare dell'inco-
scienza di sua moglie per toglierle il figlio e metterlo in con-
vento dalla zia Teresa professa, dove lo avrebbero educato
alla parola o lasciarlo pietosamente presso la madre che gli
era cosspasmodicamente legata?
Mentre si torceva indeciso-lei si era sfebbrata. E gli ave-
va fatto promettere di lasciarle il figlio vicino, per lo meno
ancora per un anno. In cambio gli avrebbe preso in casa un
maestro e l'avrebbe costretto a imparare l'abbecedario. Or-
mai aveva quattro anni e quel rifiuto alla parola inquietava
anche lei.
Cosera stato. E il signor marito zio si era messo l'animo
in pace: il bambino stava bene, era allegro, mangiava, cre-
sceva; come si faceva a strapparlo dalle braccia della madre?
ma di parlare non dava cenno.

80

Finchun giorno, all'approssimarsi della scadenza di un
anno stabilita dal padre, si era ammalato. Era diventato gri-
gio a furia di vomitare.
Il dottor Cannamela dice che si tratta di un delirio dovu-
to ad una 勇nfiammazione al cervello Gli ha fatto cavare
una scodellina di sangue dal cerusico Pozzolungo; il quale, a
sua volta, l'ha messo a digiuno in una stanza isolata dove so-
lo la madre e Innocenza possono entrare. Il cerusico infatti
ha decretato che non si tratta di una infiammazione al cervel-
lo ma di una forma abnorme di vaiolo.
La cuoca ha giavuto il vaiolo e ne uscita mezza morta
ma ne uscita. Marianna non l'ha avuto ma non lo teme.
Non rimasta sola in villa quando tutta Bagheria era stata
assalita dalle febbri e dai vomiti, senza contagiarsi? Allora si
lavava ogni momento le mani con l'aceto, mangiava limoni
col sale e si teneva la bocca coperta con un fazzoletto legato
dietro la nuca come un brigante.
Da quando Signoretto malato pernon prende neanche
le solite precauzioni. Dorme sulla poltrona imbottita accanto
alla culla di legno in cui il figlio ansima, cogliendone ogni re-
spiro. La notte si sveglia di soprassalto, allunga una mano
verso la bocca del bambino per vedere se respira ancora.
Quando lo vede succhiare l'aria in quel modo straziante,
le labbra livide, le manine aggrappate ai bordi della culla,
pensa che il miglior modo di aiutarlo sarebbe di farlo morire.
Il cerusico dice che dovrebbe essersene giandato. Ma lei lo
tiene in vita con il calore della sua vicinanza, baciandolo, re-
galandogli ogni poco un sorso del suo respiro.
xv





Il signor padre ha un modo tutto suo di montare sul baio
acchiappandosi alla criniera corvina e parlando al cavallo
con fare persuasivo. Quello che gli racconta, Marianna non
1 ha mai saputo, ma assomiglia molto a-lle chiacchiere sibilli-
ne e affettuose che versava nell'orecchio del condannato a
morte sul palco di piazza Marina.
Quando sopra la sella le fa cenno di avvicinarsi, si china
sul collo della bestia e tira su la figlia, la fa sedere davanti a
lui a cavalcioni sulla criniera. E non c'bisogno che lo frusti
o lo sproni il baio Miguelito perchlui parte appena il signor
padre prende una certa posizione con le gambe ben serrate
contro i fianchi e il petto proteso in avanti.
Cosimboccano la discesa che dalla villa porta allo slargo
della fonte di San Nicola, ldove i pecorai stendono le pelli
delle pecore scuoiate ad asciugare. Vi stagna sempre un odo-
re forte di carne in putrefazione e di concia. Ed eccoli padre e
figlia che oltrepassano i cancelli di villa Trabia, attraversano
il vicolo che sfiora il giardino di villa Palagonia lasciando i
due mostri monocoli di pietra rosata sulla sinistra. Si inoltra-
no sulla strada polverosa fiancheggiata da infiniti cespugli di
more e di fichi d'India per dirigersi verso Aspra e Monger-
bino.
Il signor padre si spinge in avanti, il baio Miguelito
prende il galoppo e si slanciano oltre i carrubi contorti, oltre
le case sparse dei contadini, oltre gli ulivi e i gelsi, le vigne e
il fiume.
Quando il vap犡e umido del mare prende a salire alle na-
rici fresco e salato, il baio solleva le zampe anteriori e in po-
chi attimi, con una spinta poderosa dei fianchi, si solleva da

82

terra. L'aria si fa pileggera, pulita; dei gabbiani vengono lo-
ro incontro stupefatti. Il signor padre incita il cavallo, la
bambina si aggrappa alla criniera tenendosi in bilico sullo
snodato e dolcissimo collo di Miguelito che pare il collo di
una giraffa.
Il vento si infiltra fra i capelli, le spezza il fiato in gola,
una nuvola avanza tiepidamente verso di loro e con un balzo
il baio vi entra dentro, prende a nuotare nella schiuma flut-
tuante scalciando e nitrendo. Per un momento Marianna
non vede piniente, solo una nebbia appiccicosa che le riem-
pie gli occhi. Poi eccoli di nuovo fuori, nel limpido cilestrino
di un cielo accogliente.
Il signor padre certamente questa volta la sta conducen-
do con sin paradiso, si dice Marianna e guarda con soddi-
sfazione gli alberi che sotto di loro si fanno sempre piminuti
e scuri. I campi in lontananza si scompongono in geometrie
azzurrate; quadrati e triangoli che si sovrappongono tumul-
tuosi.
Peril baio ora non sta puntando il cielo ma la cima di
una montagna. Marianna ne riconosce la punta piatta e
brulla, la forma di castello dal corpo grigio. E il monte Pelle-
grino. In un lampo sono arrivati fin l Ora si caleranno su
quelle rocce bruciate per riposare un poco prima di prosegui-
re verso chissquali cieli felici.
Ma sotto di loro si radunata una gran folla e in mezzo
alla folla c'qualcosa che nereggia: un palco, un uomo, una
corda appesa. Il baio Miguelito sta facendo dei giri concen-
trici. L'aria diventa picalda, gli uccelli rimangono indietro.
Ora lo vede con chiarezza: il signor padre sta per posarsi, con
cavallo e figlia, davanti al patibolo dove un ragazzo dagli oc-
chi che spurgano sta per essere giustiziato.
Nel momento in cui gli zoccoli di Miguelito toccano terra
Marianna si sveglia, la camicia da notte fradicia di sudore, la
bocca arsa. Da quando morto il piccolo Signoretto, di notte
non riesce a dormire. Ogni due ore si sveglia col fiato corto,
nonostante la valeriana e il laudano che ingolla assieme alle
tisane di biancospino, di fiori d'arancio e di camomilla.
Con un moto di insofferenza scansa le lenzuola, tira fuori
i piedi nudi. Il tappetino di pelle di capra le procura un leg-
83
gero solletico sotto le piante. Allunga una mano verso i fosfo-
ri. Accende la candela sul comodino. Si infila il mantello di
ciniglia color violacciocca e si avvia verso il corridoio
Sotto la porta della camera del signor marito zio si dise-
gna una listella di luce. Anche lui insonne? o si addormen-
tato col libro in mano e la candela accesa come gli succede
sempre pispesso?
Piavanti la porta della camera di Mariano socchiusa.
Marianna la spinge con due dita. Fa qualche passo in dire-
zione del letto. Trova il figlio che dorme a bocca spalancata.
E si chiede se sia il caso di consultare di nuovo il dottor Can-
namela. E sempre stato debole di gola quel ragazzo, ogni mo-
mento un raffreddore e il naso gli si gonfia, gli si chiude e la
tosse lo scuote, stizzosa.
L'ha gifatto visitare da due medici importanti, uno ha
ordinato il solito salasso che l'ha solo indebolito. Un altro ha
detto che bisogna aprire il naso, togliergli un polipo che lo di-
sturba e tornare a chiuderlo. Ma il signor marito zio non ne
ha voluto sapere: 侶ui si aprono e si chiudono solo le porte,
figghiu di buttana
Per fortuna il carattere, crescendo, gli migliorato: non fa
plU tanti capricci, non si butta per terra quando viene con-
traddetto. Un poco va assomigliando alla signora madre, sua
nonna: e pigro, bonario, facile agli entusiasmi ma altrettanto
facile agli scoramenti. Ogni tanto viene a baciarle la mano e
a raccontarle qualche fatto, riempiendo i foglietti di una gra-
fia larga e confusa.
Alle volte Marianna sente lo sguardo impietoso del figlio
sulle mani che sono precocemente invecchiate. Sa che in
qualche modo lui ne gioisce come di una punizione meritata
per avere concentrato in maniera impudica e incontrollata
tutte le sue cure sul corpiciattolo disgustoso del fratellino
morto a quattro anni.
Ii duca Pietro e la zia professa Teresa fanno di tutto per
convincerlo a comportarsi da duca. Alla morte del padre tan-
to pianziano della madre, ereditertutti i titoli nonchle
ricchezze del ramo morto dei Scebarr跴 lasciati in dono allo
Z10 Pietro. E lui un po' sta al gioco, si inorgoglisce, diventa
arrogante, un po' si stufa e torna a giocare a nasconderello

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con le sorelle sotto gli occhi scandalizzati del padre. Ma ha
solo tredici anni.
Marianna si ferma davanti alla stanza di Giuseppa che la piinquieta delle tre figlie: rifiuta le lezioni di musica, di
ricamo, di spagnolo, avida solo di dolci e di corse a cavallo.
Sono state Lina e Lena prima che se le portasse la febbre
quartana, quando chiamavano il baio con un fischio e corre-
vano abbracciate fra gli ulivi, a insegnarle a cavalcare. Il si-
gnor marito zio non approva: 青i sono le portantine per le si-
gnore, ci sono le lettighe, ci sono le carrozze, non voglio
amazzoni in giro
Ma appena il padre se ne va a Palermo, Giuseppa prende
Miguelito e con lui se ne va fino al mare. Marianna lo sa ma
non l'ha mai tradita. Anche lei avrebbe voluto montare a ca-
vallo e galoppare sui sentieri polverosi ma non glielo hanno
mai permesso. La signora madre l'aveva convinta che una
mutola non pufare quasi niente di quello che desidera sen-
za essere afferrata "dai cani dalla lunga coda biforcuta". Solo
il signor padre, dopo molte insistenze, l'aveva portata di na-
scosto, due o tre volte, in groppa a Miguelito quando era an-
cora un cavallino giovane e allegro.
Il duca Pietro particolarmente severo con Giuseppa. Se
la ragazza si rifiuta di alzarsi presto la mattina, la chiude nel-
la stanza e ce la tiene per tutta la giornata. Innocenza di na-
scosto le porta su dei manicaretti cucinati apposta per lei.
Ma questo il signor marito zio non lo sospetta nemmeno.
俊ua figlia Giuseppa, a diciotto anni, si comporta come
una bambina di settescrive lui su un foglio e glielo getta ad-
dosso con aria indispettita. Che la figlia sia scontenta se ne
accorge anche Marianna ma non saprebbe dire perch Sem-
bra che provi piacere a rotolarsi fra le lenzuola fradicie di la-
grime, in una frana di briciole di biscotto, i capelli unti, pron-
ta a dire di no a tutto e a tutti.
俑ale di crescerescriveva il signor padre 勁asciatela
stare. Ma il signor marito zio non la lascia stare affatto:
俗bbie sono E ogni mattina le si mette davanti in capo al
letto e le rivolge delle lunghissime prediche che sortiscono re-
golarmente l'effetto opposto. Soprattutto la rimprovera di
non volersi sposare. 隹 diciotto anni ancora "schietta", uno
sconcio. A diciotto anni vostra madre aveva gifatto tre figli.
E voi siete zitella. Che me ne faccio di una zitella? che me ne
faccio? Marianna avanza a tentoni: il corridoio lungo e le stan-
ze dei figli si susseguono come le stazioni della Via Crucis.
Qui dormiva Manina prima di andare sposa, per volontdel
padre, a soli dodici anni. E sempre stata la preferita del pa-
dre, la piubbidiente, la pibella. E lui aveva pensato di fa-
re un grande sacrificio rinunciando a lei 厚er sposarla bene,
con un uomo giusto e agiato
Il letto col baldacchino frangiato, le tende di velluto ocra,
il completo di pettine e spazzola e arricciacapelli in tartaruga
e oro, regalo del nonno Signoretto quando aveva compiuto
dieci anni. Ogni cosa al suo posto come se la ragazza vivesse
ancora l
Marianna ripensa alle tante lettere indignate che ha scrit-
to al marito per dissuaderlo da quel matrimonio precoce. Ma
stata sconfitta da parenti, amici, consuetudini. Oggi si chie-
de se non stato troppo poco quello che ha fatto per la figlia
pigiovane. Non ha avuto abbastanza coraggio. Certamente
si sarebbe battuta con pienergia se si fosse trattato di Si-
gnoretto. Con Manina, dopo le prime battaglie, ha lasciato
correre, per stanchezza, per noia, chiss per vilt
In fretta si allontana dalla camera della figlia rischiarata
malamente da un piccolo lume che arde sotto un quadro del-
la Madonna. Accanto, in una stanza che dsulle scale, fino a
pochi anni fa ha dormito Felice, la pigaia delle sue figlie.
Entrata in convento a undici anni, si costruita tra le Fran-
cescane un piccolo regno su cui governa capricciosamente.
Entra ed esce quando vuole, dpranzi e cene per ogni occa-
sione. Spesso il padre le manda la portantina e viene per un
giorno o due a Bagheria e nessuno le dice niente.
Anche lei ha lasciato un vuoto. Le figlie femmine le ha
perse troppo presto, si dice Marianna. Salvo Giuseppa che
ingoia veleno e si rotola nel letto non sapendo neanche lei
perch C'qualcosa di idiota nel covare i figli come uova,
con l'esterrefatta pazienza di una chioccia.
Ha trasferito sui corpi dei figli in trasformazione il pro-
prio corpo, privandosene come se l'avesse perso nel momento
di maritarsi. E entrata e uscita dai vestiti come un fantasma,
inseguendo un sentimento del dovere che non nasceva da in-
clinazione ma da un cupo e antico orgoglio femminile. Nella
maternitha messo la sua carne, i suoi sensi, adeguandoli,
piegandoli, limitandoli. Solo con il piccolo Signoretto ha
strafatto, lo sa, il loro stato un amore che andava al di ldel
rapporto madre e figlio, per sfiorare quello di due amanti. E
come tale non poteva durare. L'aveva capito prima lui di lei
nella sua meravigliosa intelligenza infantile e aveva preferi-
to andarsene. Ma si puvivere senza corpo, come ha fatto
lei per oltre trent'anni, senza diventare la mummia di se
stessi?
Ora i piedi la portano altrove, giper le scale di pietra
coperte dal tappeto a fiori: l'angolo dell'ingresso, le piante
che serpeggiano lungo le pareti, il corridoio livido, la grande
finestra sul cortile addormentato, la sala gialla dove Sl intrav-
vede la spinetta verniciata di chiaro, le due statue romane
messe a guardia dell'alta portafinestra, le chimere che si af-
facciano occhiute fra le fronde del soffitto, la sala rosa col suo
divano imbottito, l'inginocchiatoio di legno rossiccio, la tavo-
la da pranzo su cui spicca il cesto bianco colmo di pere e di
uve di ceramica. L'aria gelida. Da giorni su Bagheria ca-
lato un freddo inusuale e inaspettato. Da anni non Sl ricorda
un freddo simile.
La cucina l'accoglie appena un poco pitiepida col suo
odore di fritto e di pomodoro seccato. Dalla porta aperta en-
tra una lista di luce azzurrina. Marianna si avvia verso lo sti-
po. Ne apre gli sportelli con un gesto meccanico. Lodore del
pane avvolto negli stracci entra prepotente nelle narici. Le
viene in mente quello che ha letto su Democrito in Plutarco:
per non addolorare con la sua morte la sorella che doveva
sposarsi, il filosofo ha protratto l'agonia annusando i1 pane
appena sfornato.
Con la coda dell'occhio, Marianna intravvede qualcosa
di nero che serpeggia sul pavimento. Si china a guardare. Da
qualche anno non vede pibene da lontano. Il signor marito
zio le ha fatto venire da Firenze delle lenti da miope a cui pe-
rnon riesce ad abituarsi. E poi si sente ridicola con quell'at-
trezzatura sul viso. A Madrid pare che li portino i giovani, gli
occhiali, anche senza motivo, giusto per inalberare le grandi
montature di tartaruga. E questa sarebbe giuna buona ra-
gione per non metterseli.
Guardando da vicino si accorge che sono formiche: una
fila laboriosa composta da migliaia di bestioline che vanno e
vengono dalla credenza alla porta. Attraversando l'intera cu-
cina, arrampicandosi sulla parete, raggiungono lo strutto che
riempie la zuppiera di maiolica in forma di anitra.
Ma lo zucchero dov' Marianna si guarda intorno cer-
cando i barattoli di metallo smaltato dove viene conservato
da quando era bambina, il prezioso granulato. E li trova infi-
ne, vicini alla persiana, allineati sopra un'asse. Cosa non ha
saputo inventare l'ingegno di Innocenza per tenere lontane le
formiche! l'asse sta in bilico fra due sedie; le zampe delle se-
die sono immerse dentro delle pentoline piene d'acqua, sopra
ogni barattolo una fondina colma di aceto.
Marianna estrae da un cesto posato per terra un limone
bitorzoluto, ne annusa l'odore fresco e aspro, lo taglia a met con un coltellino dal manico di corno. Da una metricava
una fetta carnosa col bianco morbido e spugnoso. Ci spruzza
sopra un pizzico di sale e se la porta sulla lingua.
E una abitudine che ha preso dalla nonna Giuseppa la
quale ogni mattina, prima ancora di lavarsi la faccia, si man-
giava un limone tagliato a spicchi. Era il suo modo di conser-
vare i denti sani, la bocca fresca.
Marianna si tocca i denti con un dito cacciandolo fra le
gengive e la lingua. Certamente sono ben saldi e robusti an-
che se due se li portati via il cerusico l'anno scorso e ora da
una parte non mastica pitanto bene. Qualcuno scheggia-
to, qualcun altro appannato. I figli si vedono dai denti. Non
si sa perch sono avidi di osso, quando sono nella pancia.
Quel molare forse si poteva salvare, ma doleva e il cerusico,
si sa, fa il mestiere di tagliare, non di aggiustare. Ha fatto
tanta fatica per tirarle quei due denti che sudava, tremava
come avesse la febbre. Con quella tenaglia fra le mani tirava,
tirava ma il dente non si spostava. Allora l'aveva spezzato
con un martellino ed era riuscito ad estrarre i pezzi rotti solo
puntando un ginocchio contro il petto di lei, soffiando come
un bufalo.

Col limone in mano Marianna si dirige verso la credenza.
Apre lo sportellino forzandolo con l'unghia, afferra il barat-
tolo del borace. Poi, col pugno pieno di polvere bianca si av-
vicina alla fila delle formiche, ne lascia sgusciare dei rivoletti
sul serpentone in moto. Subito le formiche prendono ad agi-
tarsi scomponendo le file, saltando le une sulle altre, rifu-
giandosi nelle fessure della parete.
Con le dita impolverate di borace Marianna si avvicina
alle imposte chiuse. Le scosta leggermente lasciando entrare
il chiarore della luna. Il cortile spennellato di calce, risplen-
de. Gli oleandri formano delle masse scure che fanno pensare
a dorsi di gigantesche tartarughe addormentate col muso
contro vento per ripararsi dal freddo.
Il sonno le fa lagrimare gli occhi: i passi si dirigono da soli
verso la camera da letto. E quasi mattina. Dalle finestre chiu-
se filtra un leggero odore di fumo. Qualcuno nelle "casene"
vicino alla stalla ha acceso il primo fuoco.
Il letto disfatto non piuna prigione da cui fuggire ma
un rifugio in cui riparare. I piedi le si sono congelati e le dita
intirizzite. Dalla bocca escono nuvole di vapore. Marianna si
caccia sotto le coperte e appena appoggia la testa sul cuscino
sprofonda in un sonno buio e senza sogni.
Ma non fa in tempo a saziarsene che viene svegliata da
una mano fredda che le solleva la camicia da notte. Si rizza a
sedere con un soprassalto. La faccia del signor marito zio l a un dito dalla sua. Cosda vicino non l'ha mai guardato, le
sembra di fare un sacrilegio. Nel ricevere i suoi abbracci ha
sempre chiuso gli occhi. Ora invece lo osserva e lo vede disto-
gliere lo sguardo infastidito.
Ha le ciglia bianche il signor marito zio; quand'che so-
no scolorite a quel modo? com'che non se n'mai accorta?
da quando? Lui alza una mano lunga e ossuta come se voles-
se colpirla. Ma solo per chiuderle gli occhi. Il ventre arma-
to preme contro le gambe di lei.
Quante volte ha ceduto a quell'abbraccio da lupo chiu-
dendo le palpebre e stringendo i denti! Una corsa senza
scampo, le zampe del predatore sul collo, il fiato che si fa
grosso, pesante, una stretta sui fianchi e poi la resa, il vuoto.
Lui sicuramente non si mai chiesto se questo assalto le

89
sia gradito o meno. Il suo il corpo che prende, che inforca.
Non conosce altro modo di accostarsi al ventre femminile. E
lei l'ha lasciato al di ldelle palpebre calate, come un intru-

so.
Che si possa provare piacere in una cosa cosmeccanica e
crudele non le mai passato per la mente. Eppure qualche
volta, annusando il corpo tabaccoso e sonnolento della signo-
ra madre, aveva indovinato l'odore di una segreta beatitudi-
ne sensuale a lei del tutto sconosciuta.
Ora per la prima volta, guardando in faccia il signor ma-
rito zio, riesce a fare un segno di diniego con la testa. E lui si
paralizza, con il membro rigido, la bocca aperta, talmente
sorpreso del suo rifiuto da rimanere limpalato senza sapere
che fare.
Marianna scende dal letto, si infila la cappa e si avvia
rabbrividendo per il freddo e senza rendersene conto verso la
stanza del marito. Lsi siede sulla sponda del letto e si guar-
da intorno come se la vedesse per la prima volta questa ca-
mera tanto vicina alla sua e pertanto lontana. Com'pove-
ra e scostante! bianche le pareti, bianco il letto ricoperto da
una trapunta strappata, una pelle di pecora dai peli sporchi
sul pavimento, un tavolinetto di legno di ulivo su cui giaccio-
no lo spadino, un paio di anelli e una parrucca dai riccioli ap-
pannati.
Allungando l'occhio puscorgere, dietro lo sportello se-
miaperto della "rinaliera" il vaso da notte bianco bordato
d'oro a metpieno di un liquido chiaro in mezzo a cui galleg-
giano due salsicce scure.

Questa stanza pare volerle dire qualcosa che lei non ha
mai voluto ascoltare: una povertdi uomo solitario che nel-
l'ignoranza di sha messo tutto il suo terrorizzato sentimen-
to d'orgoglio. Proprio nel momento in cui ha trovato la forza
di negarsi prova una dolcezza sfinita per lui e per la sua vita
di vecchio brusco e abbrutito dalla timidezza.
Lo cerca con gli occhi tornando verso la sua stanza fra
piante grasse, chimere che si allungano sulle pareti e sui sof-
fitti, vasi di fiori dai petali brinati. Ma lui non c' E la porta
'`che conduce sul corridoio chiusa. Allora si avvia verso la
grande finestra che dsul balcone e lo trova l accovacciato
per terra, la testa incassata fra le spalle, lo sguardo rivolto
verso la campagna lattiginosa.
Marianna si lascia scivolare per terra accanto a lui.
Davanti a loro la valle degli ulivi si va facendo sempre pi luminosa. In fondo, fra capo S鏊anto e Porticello, di un cele-
ste slavato che si confonde con il cielo, il mare calmo, senza
onde.
Nel freddo della mattina, in quell'angolo riparato Ma-
rianna fa per allungare una mano verso il ginocchio del si-
gnor marito zio, ma le sembra un gesto di tenerezza che non
appartiene al loro matrimonio, qualcosa di imprevedibile e
inaudito. Avverte il corpo dell'uomo impietrito accanto a s
abitato da stracci di pensieri che sgusciano come spifferi
d'aria da quella testa sbiancata e priva di saggezza.
XVI





Le mani di Fila nello specchio si muovono goffe e rapide
districando la matassa dei capelli di Marianna. La duchessa
osserva le dita della giovane serva che stringono il pettine di
avorio come fosse un aratro. Ogni nodo uno strattone, ogni
inciampo una tirata. C'qualcosa di rabbioso e di crudele in
quei polpastrelli che si cacciano nei suoi capelli come se vo-
lessero disfare dei nidi, togliere delle erbacce.
D'un tratto la padrona strappa l'arnese dalle mani della
ragazza e lo spezza in due; poi lo scaraventa fuori dalla fine-
stra. La serva rimane in piedi a guardarla sbigottita. Non ha
mai visto la signora cosadirata. E vero che da quando le morto il figlio piccolo perde spesso la pazienza ma ora esage-
ra: che colpa ne ha lei se quei capelli sono un groviglio di
sterpi?
La signora osserva la propria faccia contratta nello spec-
chio, accanto a quella stupefatta della domestica. Con un
gorgoglio che sale dal fondo del palato, una parola sembra
emergere dalle cavitdella memoria atrofizzata: la bocca si
apre ma la lingua resta inerte fra i denti, non vibra, non suo-
na. Dalla gola rattrappita esce infine uno strido acuto che fa
paura a sentirsi. Fila rabbrividisce visibilmente e Marianna
le fa cenno di andarsene.
Ora sola e alza gli occhi sullo specchio. Una faccia nu-
da, arsa, dagli occhi disperati la fissa dal vetro argentato.
Possibile che sia lei quella donna appannata dalla desolazio-
ne, un solco come una sciabolata che divide in due per verti-
cale la fronte spaziosa? dove sono le dolcezze per cui innamo-
rava di sl'Intermassimi? dove sono le rotonditsoffici delle
guance, i colori morbidi degli occhi, il sorriso contagioso?

92

Le pupille si sono fatte pichiare, di un celeste sbiadito,
stanco; stanno perdendo quel luccichio vivace fatto di cando-
re e di sorpresa, stanno diventando dure, vetrose. Una ciocca
di capelli bianchi le scivola sulla fronte. Fila qualche volta
gliel'ha tinta quella ciocca con l'estratto di camomilla, ma
ormai si affezionata alla pennellata di calce sulla massa dei
capelli biondi: un segno di frivolezza sopra una faccia allaga-
ta dall'impotenza.
Lo sguardo si sposta sui ritratti dei figli: piccoli acquarelli
dalle pennellate rapide e leggere, schizzi quasi rubati duran-
te i loro giochi e il loro sonno. Mariano col naso eternamente
gonfio, la bellissima bocca sensuale, gli occhi sognanti; Ma-
nina mezza sepolta nei capelli ricci biondi e aerei, Felice con
quell'aria di topo ingordo di cacio e Giuseppa che piega le
labbra in un broncio scontroso.
俟cantu la 'nsurdiu e scanto l'avi a sanariaveva trovato
scritto un giorno in una lettera del signor padre alla signora
madre. Ma di quale spavento parlava? c'era stato un intop-
po, un inciampo, un arresto involontario del suo pensiero
quando era bambina? e a cosa era dovuto?
Il dolce fantasma del signor padre si limita a sorriderle al
di ldel vetro con la sua solita aria festosa. Al dito porta l'a-
nello d'argento con i due delfini che Manina, alla morte di
lui, ha voluto per s
Il passato una raccolta di oggetti usati e rotti, il futuro nelle facce di questi bambini che ridono indifferenti dentro le
cornici dorate. Ma anche loro si avviano a diventare passato,
assieme alle zie monache, alle balie, ai campieri. Tutti corro-
no verso il paradiso ed impossibile fermarli, anche per un
momento.
Solo Signoretto si fermato. L'unico dei suoi figli che non
corra, che non si trasformi giorno per giorno. E lin un ango-
lo del pensiero di lei, sempre uguale a se stesso e ripete al-
l'infinito i suoi sorrisi d'amore.
Aveva voluto non farsi mangiare dai figli come sua sorella
Agata che a trent'anni sembra una vecchia. Li aveva voluti
tenere a una certa distanza preparandosi alla loro perdita.
Con l'ultimo pernon ne era stata capace, suscitando con il
suo affetto eccessivo, imperdonabile, il rancore degli altri.
Non aveva resistito al richiamo di quella sirena. Aveva gioca-
to con quell'amore fino a gustarne l'amaro sapore di feccia.
Una luce intanto si insinuata nel grigiore lattiginoso
dello specchio Non si accorta che sta calando la sera e sulla
porta c'Fila con un candelabro. E incerta se entrare. Ma-
rianna la chiama con la mano. Fila cammina a piccoli passi
titubanti; posa il candelabro sul tavolo, fa per andarsene.
Marianna la ferma per un braccio, le solleva con due dita
l'orlo della gonna e vede che non porta le scarpe. La ragazza,
sentendosi scoperta, la guarda con occhi di topo in trappola.
Ma la signora sorride, non vuole rimproverarla; lo sa
che Fila ha la passione di andarsene scalza per casa. Le ha
regalato tre paia di scarpe ma lei, appena puse le sfila e
gira a piedi nudi fidando nelle gonne lunghe che si portano
appressO la polvere e nascondono bene i calcagni screpolati
e callosi.
Marianna fa un movimento brusco e vede Fila che si cur-
va nelle spalle come per schivare un colpo. Eppure non l'ha
mai picchiata, cosa ha da temere? quando solleva una mano
ai capelli la ragazza si curva ancora di picome a dire: non
rifiuto la sberla, cerco solo di ridurre il dolore. Marianna fa
scivolare le dita sulla testa di lei. Fila le pianta addosso gli
occhi selvatici. La carezza sembra inquietarla pidello
schiaffo. Forse teme che l'acciuffi per i capelli e glieli tiri, do-
po averli avvoltolati attorno al pugno, come fa qualche volta
Innocenza quando perde la pazienza.
Marianna prova a sorridere ma Fila talmente sicura del
castigo che bada solo a capire da dove possa arrivare il colpo.
Scoraggiata Marianna lascia che Fila corra via saltellando
sulle punte dei piedi nudi. Le insegnera leggere, si propone
raccogliendo i capelli e annodandoli in modo da farne un
grosso e.bitorzoluto "scign.
vIa la porta si apre di nuovo per lasciare entrare Inno-
cenza che tiene per mano una Fila riluttante e immusonita.
Anche la cuoca si accorta dei piedi nudi che tanto infastidi-
scono il duca Pietro o semplicemente si insospettita dalla
fuga precipitosa della ragazza?
Marianna accenna una piccola risata muta che smonta
Innocenza e rincuora la ragazza. E il solo modo che ha per
mostrare che non adirata, che non ha l'intenzione di punire
nessuno. Fare sempre la parte del giudice, del censore, l'an-
noia. D'altronde non vuole provocare Innocenza che nell'an-
sia di farsi capire da lei prende a sbracciarsi, a torcersi, a fare
versi e gesti scomposti. Per levarsele di torno tira fuori da un
cassetto della scrivania due monete da un tare le posa sui
palmi delle loro mani tese.
Fila se la svigna dopo avere accennato un inchino goffo e
stizzoso. Innocenza gira e rigira la moneta fra le dita con l'a-
ria di chi se ne intende. Marianna, guardandola, avverte la
minaccia di una valanga di pensieri che gravitano pericolosa-
mente verso di lei. Chissperchproprio le riflessioni di In-
nocenza, fra le tante persone a lei vicine, hanno questa capa-
citdi rendersi leggibili.
Per fortuna Innocenza ha fretta di tornare in cucina, og-
gi. Per questo le porge rapida un foglietto in cui riconosce la
grafia gigantesca e traballante di Cuffa: 侮uscienza chi vulis-
si pi manciari? E Marianna, sull'altra faccia del biglietto scrive distrat-
tamente 青icirata e purpu senza pensare che il signor ma-
rito odia i ceci e non sopporta i polpi. Piega il foglio e lo
caccia in una tasca del grembiule di Innocenza, perchse lo
faccia leggere da Raffaele Cuffa o da Geraci. Poi la spinge
verso la porta.
XVII





保ggi autodafin piazza Marina. Richiesta mia parteci-
pazione. E d'uopo che ci sia anche la duchessa signora sposa.
Consiglio vestito porpora croce di Malta sul petto. E per una
volta niente selvatichezze campagnole. Marianna legge il biglietto perentorio del signor marito
zio posato sotto il barattolo della cipria. L'autodafsignifica
rogo, piazza Marina e la folla delle grandi occasioni: le auto-
rit le guardie, i venditori di acqua e "zamm, di polpi bol-
liti, di caramelle e di fichi d'India; l'odore di sudore, di fiati
marci, di piedi inzaccherati, nonchl'eccitazione che monta
si fa carnosa, visibile, e tutti aspettano mangiando e chiac-
chierando quel colpo di rasoio al ventre che porta pena e de-
lizia. Non ci andra.
In quel momentO vede entrare il signor marito zio in una
camicia profumata coperta di pizzi. Ai piedi un paio di scar-
pe nuove di pelle lucida che sembra laccata.
俏on me ne vogliate ma non potrvenire con voi all'au-
todaf暺 scrive rapida Marianna e gli porge il foglio ancora
bagnato di inchiostro.
亟 perchno? 俑i lega i denti come l'uva acerba. 促ortano al rogo due eretici conosciuti, suor Palmira Ma-
laga e frate Reginaldo Venezia. Ci sarl'intera Palermo e ol-
tre. Non posso esimermi. E neanche voi signora. La signora fa per scrivere una risposta ma il duca Pietro
ha giimboccato la porta. Come fara sottrarsi a questo or-
dine? quando il signor marito zio prende quell'aria indaffara-
ta e frettolosa impossibile contraddirlo; si impunta come un
mulo. Bisognerinventarsi una malattia che gli dia la scusa
per presentarsi da solo.

96


Suor Palmira Malaga, un guizzo della memoria, ha letto
di lei da qualche parte, forse nel libro di storia delle eresie? o
in una pubblicazione sul Quietismo? o in uno di quegli elen-
chi che mette in giro la Santa Inquisizione con i nomi dei so-
spetti di eresia?
Suor Palmira, ora ricorda, su di lei ha letto un libretto
stampato a Roma, capitato non si sa come nella biblioteca di
casa. C'era pure una sua caricatura con due cornetti sulla te-
sta e una lunga coda d'asino, ora ricorda, che le usciva da
sotto il saio e finiva in una punta biforcuta, non molto dissi-
mile da quelle dei cani temuti dalla signora madre.
La vede salire ad uno ad uno i gradini di legno del patibo-
lo. I piedi scalzi, le mani legate dietro la schiena, la faccia
contratta in una smorfia bizzarra quasi che quell'orrore fosse
l'ultimo suggello di una sua decisione di pace. Dietro di lei
fra Reginaldo che immagina barbuto, il collo esile e il petto
cavo, i grandi piedi sporchi e callosi stretti nei sandali alla
francescana .
Il boia ora li lega ai pali sopra una pila di ciocchi tagliati
con l'accetta. Due assistenti con le torce accese si avvicinano
ai legni ammucchiati. La fiamma non si attacca subito ai ra-
metti di sambuco e alle canne spezzate che qualcuno ha rac-
colto e legato col salice per facilitare l'accensione. Del vapore
bianco sbuffa sulle facce dei primi spettatori.
Suor Palmira sente salire l'odore aspro delle fascine e la
paura le contrae i muscoli del ventre, un rivolo di orina le
scorre lungo le cosce. Eppure il martirio appena comincia-
to. Come fara resistere fino alla fine?
Il segreto le viene soffiato nell'orecchio da una voce dol-
cissima. Il segreto il consenso, Palmira mia, non irrigidirsi
e resistere, ma raccogliere nel proprio grembo quei brandelli
di fuoco come fossero fiori volanti e ingoiare il fumo come se
fosse un incenso e rivolgere verso chi guarda un occhio di pie-
t Sono loro che soffrono, non tu.
Quando delle mani sbrigative si alzano sulla sua testa e le
impiastricciano i capelli di pece, suor Palmira rivolge uno
sguardo d'amore verso i torturatori. Essi ora avvicinano, con
serietesaltata, una torcia accesa verso quei capelli imbrat-
tati e la testa della donna si accende e fiammeggia come una
corona splendente. E il pubblico applaude.
Essi vogliono che la sua morte faccia spettacolo e se il
Signore lo permette vuol dire che anche lui lo vuole, nel mo-
do misteriosO e profondo i~ cui il Signore vuole le cose del
mondo.
Fra Reginaldo apre la bocca per dire qualcosa, ma forse
solo un urlo di dolore Di fronte a lui la testa di suor Palmira
arde come un sole, mentre la bocca di lei tenta di sorridere e
si torce e si accartoccia nel calore del fuoco.
Marianna vede il signor marito zio seduto su una bella
seggiola dorata foderata di velluto viola, accanto ai santissi-
mi Padri dell'Inquisizione, eleganti nei loro abiti rieamati
eon disegni di grappoli d'uva.
La folla intorno a loro eospigiata ehe non si distinguo-
no quasi le faeee l'una dall'altra. Un unieo eorpo oeehiuto,
spasmodieamente in attesa, ehe guarda in su, palpita, gioi-
see.
Nel momento in eui le fiamme a raggiera hanno aeeeso i
eapelli di suor Palmira Malaga seoppiato il boato. Marian-
na lo sente vibrare nella paneia. Il signor marito zio ora si
sporge in avanti, il eollo rugoso proteso, la faeeia rattrappita
da uno spasimo ehe lui stesso non eapisee: di raeeaprieeio o
di eonsolazione?
Marianna allunga una mano al eordone del eampanello.
Lo tira pivolte, insistente. Poeo dopo vede aprirsi la porta e
affaeeiarsi la testa di Fila Le fa cenno di entrare. La ragazza
non si azzarda, teme i suoi malumori. Marianna le guarda i
piedi: sono nudi. Sorride per non spaventarla e piega l'indice
su se stesso come fa qualehe volta eon i bambini per ehiamar-
li a s
Fila si avvieina titubante. Marianna le fa eapire ehe deve
aiutarla a sbottonare il vestito sulla sehiena. Le maniehe ven-
gono via da sole, eome tubi di legno, eon le loro inerostazioni
di perle. La gonna rimane in piedi su se stessa ed eome se la
duehessa si sdoppiasse: da una parte un eorpo di donna snel-
lo, frettoloso, nella sua eamiciola di cotone bianco; dall'altro
Sua Eccellenza Ucr駮 con le dovute preziosite armonie,
ehiusa nei rigidi broeeati ehe si inehina, sorride, annuisee,
aeeonsente.
E il punto di sutura fra questi due eorpi ehe difficile da

98

seoprire: dove l'uno si riconosce nell'altro, dove se ne fa scu-
do, dove si mostra e dove si nasconde per perdersi definitiva-
mente.
Fila intanto si inginocchiata per aiutarla a sfilarsi le
scarpe ma Marianna ha fretta e per farle eapire ehe farda s l'allontana con un piccolo calcio affettuoso. Fila solleva la te-
sta impermalita: nel suo sguardo cova una offesa senza rime-
dio. Ci penserdopo, si dice Marianna, ora ha troppa fretta.
Si toglie le scarpe, le lancia una di qua e una di l afferra la
liseuse giallo uovo e si caccia dentro il letto appena rifatto.
Giusto in tempo: la porta si apre prima ancora che abbia
avuto l'agio di sistemarsi i capelli. Il guaio della sorditche
nessuno bussa prima di entrare, sapendo di non essere udito.
E coslei si trova sempre impreparata all'arrivo del visitatore
di turno. Il quale spalanca l'uscio e le si mette davanti con un
sorriso di trionfo come a dire: eccomi qua, non mi avete sen-
tito, ora mi vedete!
Questa volta si tratta di Feliee, la signorina figlia mona-
ca, elegantissima nel suo saio bianeo latte, la cuffia color
panna da cui sgusciano impertinenti dei rieeioli castani.
Felice va dritta allo scrittoio della madre. Usa la penna,
la carta, l'inchiostro della boccetta d'argento. E in pochi atti-
mi le consegna il foglio scritto: a Palermo, che fate? vi sentite male?>~.
Marianna legge e rilegge il foglio. Da quando in con-
vento Felice ha migliorato la sua grafia. Inoltre ha preso
un'aria spigliata e disinvolta che non ha nessuno degli altri
figli. La guarda mentre parla con Fila e muove le labbra con
grazia sensuale.
Certamente la sua voce deve essere dolcissima, si dice
Marianna, le piacerebbe poterla aseoltare. Qualehe volta
sente nelle cavitinterne un ritmo che si forma come un gru-
mo in moto, che si dipana, si seioglie, seorre, e lei prende a
battere col piede per terra seguendo una armonia lontana,
sotterranea.
Ha letto di Corelli, di Stradella e di Haendel come di me-
raviglie dell'architettura musicale. Ha provato a immaginare
un arco teso fatto di una cupola di luei dai eolori ineantevoli,
ma quello che esce dai sotterranei della sua memoria infanti-
le sono solo pochi sgorbi sonori, conati di musiche sepolte,
smembrate. Solo gli occhi hanno la capacitdi afferrare il
piacere, ma la musica puessere trasformata in corpi da ab-
bracciare con lo sguardo?
俟ai cantare?scrive alla figlia porgendole un bel foglio
pulito. Felice si volta sorpresa; che c'entra adesso il canto?
tutta la casa in preparativi per questo viaggio a Palermo in
occasione del grandissimo spettacolo dell'autodafe la signo-
ra madre si perde in domande sciocche e fuori luogo: alle vol-
te pensa che sia proprio mentecatta, le difetta la ragione. Sa-
rperchle manca la parola e ogni pensiero diventa scritto e
gli scritti, si sa, hanno la pesantezza e la levigata goffaggine
delle cose imbalsamate.
Marianna indovina il pensiero della figlia, lo precede, lo
insegue con un gusto crudele di scoperta: 俠a nonna morta
a meno di cinquanta anni, pudarsi che anche la signora
madre Marianna muoia presto... lo sa che ha solo trentasette
anni ma un colpo potrebbe venirle in ogni momento... in fon-
do una minorata... nel caso che morisse potrebbe lasciarle
per lo meno un grosso usufrutto sull'ereditdel padre... di-
ciamo tremila onze o forse cinquemila... le spese del conven-
to stanno diventando sempre piimponenti... e poi c'la
portantina nuova con i putti dorati e le frange damasca-
te... non pusempre aspettare che il signor padre le mandi la
sua... e lo zucchero aumentato di cinque grani al rotolo, lo
strutto di venti, la cera poi diventata impossibile: sette gra-
ni il moccolo e dove li prende lei tutti quei soldi? non che le
auguri la morte, alla signora madre... a volte cosbuffa, pi bambina di tutti i suoi figli, crede di capire tutto perchlegge
tanti libri ma non capisce assolutamente niente... d'altronde
perchManina ha avuto una dote pigrande della sua? solo
per sposare quel macaco di Francesco Chiaranddei baroni
di Magazzinasso... Sarpiimportante essere sposate con
Cristo no?... che debba andare tutto, ma proprio tutto a Ma-
riano un insulto... in Olanda dicono che non si fa picos
Se poi li vogliono spogliare e lasciare nudi e crudi i figli per-
chli fanno?... non sarebbe meglio lasciarli in paradiso fra
gli alberi di manna e le fontane di vino dolce? quella babba
della zia Fiammetta vorrebbe che lei zappasse l'orto in con-

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vento, come le altre... "picch non siete uguale a tutte, picci-
ridda mia?". Ma una Ucr駮 di Campo Spagnolo di Scannatu-
ra e di Bosco Grande pumettersi a zappare l'orto come una
contadina qualsiasi? hanno le rape nel cervello certe badesse,
sono piene di gelosia e di invidia. "Se lo faccio io che sono no-
bile come te..." dice la zia Fiammetta e bisogna vederla come
si rimbocca le maniche, come si piega su quella zappa, col
piedino a premere sul bordo di ferro... una demente... chiss dove ha scovato quella passione per i lavori umili... il bello che non lo fa nemmeno per mortificarsi... no, a lei piace la
zappa, piace la terra, piace chinarsi sotto il sole e diventare
scura di pelle come una "viddana"... valla a capire quella
scimunita. 青osa ti aggrada nel vedere bruciare due eretici?scrive
Marianna alla figlia, nel tentativo di scrollarsi di dosso quei
pensieri frivoli e risentiti. Sebbene sappia che c'piingenui-
tche malevolenza in quei rimuginii, se ne sente urtata.
俊utto il convento di Santa Chiara`sarall'autodaf la
badessa, la priora, le professe... dopo ci saranno preghiere e
rinfreschi. 非unque per i dolci, confessa. 非olci me ne regalano quanti ne voglio le consorelle, ba-
sta che ne chiedarisponde stizzita Felice piegando le elle su
un fianco come se volesse buttarle gicon un soffio.
Marianna si avvicina per abbracciarla sforzandosi di di-
menticare quei pensieri smargiassi. Ma trova la figlia immu-
sonita e pronta a cacciarla via: non le piaciuto che l'abbia
trattata come una tredicenne ora che ha compiuto i ventidue
anni e se ne sta lrigida a scrutarla con occhio malevolo.
侶uel camicione lungo... quei calzoncini alle ginoc-
chia... roba del secolo scorso... vecchi, fuori moda... a tren-
tasette anni con delle figlie grandi, cosa crede di fare?... in
quella testa buia e sorda pivecchia del signor padre zio
che ne ha settanta. Lui, col corpo lungo e stretto sembra sul-
l'orlo della tomba ma ha mantenuto la freschezza dello
sguardo, mentre lei dentro quelle vesti da Infante di Spagna?
con i colletti che sembrano bavagli, ha un che di stant髺 che
la spinge irrimediabilmente verso il passato... quegli scar-
poncini allacciati stile Casa Asburgo, quelle calze color lat-
te... le madri delle sue amiche portano calze colorate intessu-
te di fili d oro e fiocchi lucidi alla vita, gonne flosce trapunte
di coroncine, scarpette scollate con la punta fina dai disegni
orientali. . . Come le succede spesso, una volta afferrato il bandolo di
un pensiero Marianna non riesce piad abbandonarlo, se lo
rigira tra le dita tirandolo e annodandolo ai suoi stessi inten-
dimenti.
Una voglia rabbiosa di ferire la figlia per quel chiacchie-
riccio interno troppo disinvolto e brutale le fa tremare le ma-
ni. Ma nello stesso tempo il desiderio di chiederle di nuovo di
cantare la spinge verso lo scrittoio. E sicura che in qualche
modo riuscirebbe ad ascoltarla e giavverte la fluiditfarfal-
jna di quella voce nelle orecchie murate.

XVIII





俠'intelletto quando agisce da solo e secondo i suoi pi generali principii, distrugge del tutto se stesso... noi ci salvia-
mo da questo scetticismo totale soltanto per mezzo di quella
singolare e apparentemente volgare proprietdella fantasia
per la quale entriamo con difficoltnegli aspetti pireconditi
delle cose... Marianna legge con il mento appoggiato alla mano. Un
piede si scalda sull'altro riparandosi, sotto una coperta, dal-
le gelide correnti che filtrano attraverso le finestre chiuse.
Chisschi ha lasciato questo quaderno dalla fodera marmo-
rizzata in biblioteca. Che l'abbia portato il fratello Signoret-
to da Londra? ne tornato qualche mese fa e due volte ve-
nuto a trovarli a Bagheria con dei doni inglesi. Ma questo
quaderno non l'ha mai visto. Che sia stato dimenticato dal-
Il'amico di Mariano, quel giovanotto piccolo e corvino, nato
a Venezia da genitori inglesi e che ha girato mezzo mondo a
piedi~
Era rimasto qualche giorno a Bagheria dormendo nella
camera di Manina. Un tipo insolito: si alzava a mezzogiorno
perchpassava la notte a leggere. Le lenzuola si trovavano la
mattina imbrattate di cera. Prendeva i libri in biblioteca e
poi si dimenticava di riportarli indietro. Accanto al letto si
era formata una pila alta un braccio. Mangiava molto, era
goloso delle specialitsiciliane: caponata, pasta con le sarde,
"sfinciuni" con la cipolla e l'origano, gelati al gelsomino e al-
lo zibibbo.
Tutto nero di capelli aveva perla pelle chiarissima e ba-
stava un poco di sole per sbucciargli il naso. Ma come si
chiama~ Dick o Gilbert oJerome? non riesce a ricordare. Per-
fino Mariano lo chiamava col cognome: Grass e lo pronun-
ciava con tre esse.
Sicuramente quel quadernetto era appartenuto al giova-
ne Grass che veniva da Londra e andava a Messina in un
viaggio di "ragionamento" come diceva lui. Innocenza non
lo sopportava per quell'abitudine di leggere a letto con la
candela posata sul lenzuolo. Il signor marito zio lo tollerava
ma lo guardava con sospetto. Lui l'inglese l'aveva anche im-
parato da ragazzo ma si era sempre rifiutato di parlarlo. Cos 1 aveva dimenticato.
Con lei Grass comunicava raramente con dei biglietti pu-
liti e ben scritti. Solo negli ultimi giorni avevano scoperto di
amare gli stessi libri. E la loro corrispondenza si era fatta im-
provvisamente fitta e congestionata.
Marianna sfoglia il quadernetto e si ferma stupita: nella
prima pagina in basso c'una dedica scritta a penna in ca-
ratteri minuscoli: 隹 colei che non parla perchaccolga nella
sua testa spaziosa questi pensieri che mi sono vicini
Ma perchl'aveva nascosto fra i libri della biblioteca~
Grass sapeva che solo lei metteva le mani fra i libri. Persa
peva anche che il signor marito zio ogni tanto andava a con-
trollare. Quindi era un regalo clandestino, nascosto in modo
che lo trovasse lei dopo la partenza dell'ospite, in solitudine
隹vere il senso della virtnon significa altro che provare
una soddisfazione particolare nel contemplare certe quali-
t . ed proprio in questa soddisfazione per la qualitche
nol osserviamo che risiede la nostra lode o la nostra ammira-
zione. Noi non andiamo oltre, non andiamo a cercare la cau-
sa della soddisfazione. Non decidiamo che una qualitsia
virtuosa perchci piace ma nel sentire che ci piace in un cer-
to modo particolare sentiamo che in effetti virtuosa. Ciac-
cade anche nei nostri giudizi su ogni genere di bellezza, gusti
e sensazioni. La nostra approvazione implicita nel piacere
immediato che le cose ci danno.Sotto, in piccolo, con l'in-
chiostro verde un nome: David Hume.
Il ragionamento si fa strada fra i sentieri scompigliati del-
la mente della duchessa disabituata a pensare secondo un or-
dine preciso, radicale. Deve rileggere due volte per entrare
nel ritmo di questa prorompente intelligenza, cosdiversa
dalle altre intelli~enze che l'hanno tirata su.

俏on parliamo ncon rigore ncon filosofia quando par-
liamo di una lotta fra la passione e la ragione. La ragione e
deve essere schiava delle passioni e non purivendicare in
nessun caso una funzione diversa da quella di servire obbe-
dire a esse. Il contrario esatto di quello che le hanno insegnato. La
passione non quel fagotto ingombrante dalle cui cocche
sbucano brandelli di ingordigie da tenere nascoste? E la ra-
gione non quella spada che ciascuno tiene al fianco per ta-
gliare la testa ai fantasmi del desiderio e imporre la volont della virt il signor marito zio inorridirebbe a leggere anche
una sola delle frasi di questo libretto. Giall'epoca della
guerra di Secessione aveva dichiarato che 勁u munnu fin鮇 a
schifiue tutto per colpa di gente come Galileo, Nevvton,
Cartesio che 哉ogliono forzare la natura in nome della scien-
za ma in realtla vogliono mettere in tasca per usarla a mo-
do loro, pazzi presuntuosi, fedifraghi!
Marianna chiude il quaderno di scatto. Lo nasconde
istintivamente fra le pieghe del vestito. Poi si ricorda che il
duca Pietro a Palermo da ieri e ritira fuori il libretto. Lo
porta al naso; ha un buon odore di carta nuova e inchiostro
di buona qualit Lo apre e fra le pagine trova un disegno co-
lorato: un uomo sui trent'anni con un turbante di velluto a ri-
ghe che gli copre le tempie. Una faccia larga, soddisfatta, gli
occhi che guardano verso il basso come a dire che tutto il sa-
pere viene dalla terra su cui poggiamo i piedi.
Le labbra sono leggermente dischiuse, le sopracciglia fol-
te e scure suggeriscono una capacitdi concentrazione quasi
dolorosa. Il doppio mento fa pensare a un signore che man-
gia a saziet Il collo delicato fasciato da un colletto molle di
tela bianca sbuca da una giacchetta a fiorami, a sua volta ri-
coperta da una giubba disseminata di larghi bottoni di osso.
Anche qui la minuta grafia di Grass ha segnato un nome:
非avide Hume, un amico, un filosofo troppo inquieto per es-
sere amato se non dagli amici fra cui mi lusingo di annovera-
re anche la amica dalla parola tagliata
Davvero bizzarro questo Grass. Perchnon glielo aveva
dato in mano anzichfarglielo trovare un mese dopo la sua
partenza, nascosto fra i libri di viaggi?
侶uale il nostro disappunto quando impariamo che le
connessioni delle nostre idee, i legami, le energie sono mera-
mente in noi stessi e sono niente altro che una disposizione
della mente. Accidenti signor Hume! come dire che Dio una 削ispo-
sizione della mente...Marianna ha un moto di sconcerto e
di nuovo nasconde il quaderno fra le pieghe della gonna. Per
un pensiero simile, espresso a voce alta, si pufinire bruciati
per volontdei santissimi Padri dell'Inquisizione che occu-
pano il grande palazzo dello Steri alla Marina.
俗na disposizione della mente acquisita con l'abitudi-
ne.. qualcosa di simile l'aveva pur letto su qualche bigliet-
to dl pugno del signor padre che del resto era un uomo ligio
alle tradizioni. Ma con queste tradizioni a volte si permette-
va di giocare, per puro divertimento, arricciando il labbro in
un sorriso capriccioso e incredulo.
隹d ogni formicola ci piaci lu su pirtusu... e ci mette la
sua proprietin quel pirtusu e la sua morale che subito di-
ventano una cosa sola: morale e manciari, patri e figghiu... La signora madre dava uno sguardo alle parole scritte dal
marito sul quaderno della figlia, si portava una presa di ta-
bacco al naso, scatarrava, si rovesciava addosso mezza botti-
glia di acqua nanfa per togliersi l'appiccicaticcio del tabacco.
Chissa che aveva in quella testa sempre languidamente recli-
nata su una spalla la dolcissima signora madre! Possibile che
sia entrata da una porta e uscita da un'altra senza fermarsi~
anche lei preda di 哎na disposizione della mente acquisita
con l'abitudine con quella tendenza a impigrirsi dentro un
letto sfatto, dentro una poltrona, perfino dentro un vestito in
CUl Sl assestava appoggiandosi con le carni molli alle stecche
di balena, ai ganci, financo alle asole. Una pigrizia pifonda
di un pozzo nel tufo, un torpore che la conteneva come un
baccello di carruba contiene il seme duro, morbido, color
della notte. Dentro le sue scorze brune e buie era dolce la si-
gnora madre, appunto come un seme di carrubo, arresa da
sempre al piccolo cosmo familiare. Innamorata del marito
tanto da dimenticarsi. Si era fermata con un piede nel vuoto
e per non cadere si era seduta a rimirare affascinata il deserto
davanti a s

La voce della signora madre, chisscom'era? A immagi-
narla viene in mente una voce profonda, dalle vibrazioni bas-
se, sgranate. E difficile amare qualcuno di cui non si conosce
la voce. Eppure suo padre l'ha amato senza averlo mai udito
parlare. Un leggero sapore amaro le tinge la lingua, si diffon-
de sul palato: che sia rimorso?
俟e chiamiamo abitudine ciche procede da una antece-
dente ripetizione senza nessun nuovo ragionamento e infe-
renza, possiamo stabilire come veritcerta che ogni credenza
la quale segue una impressione presente ha in questa la sua

unica ragione. Come dire che la certezza, ogni certezza va buttata alle
ortiche, e che l'abitudine ci tiene in soggezione fingendo di
educarci. La voluttdelle abitudini, la beatitudine delle ripe-
tizioni. Queste sarebbero le glorie di cui si rimugina?
Le piacerebbe conoscere questo signor Hume col suo tur-
bante verdolino, le sopracciglia folte e nere, lo sguardo sorri-
dente, il doppio mento e le giubbe fiorite.
俠a credenza e l'assenso che sempre accompagnano la
memoria e i sensi non consistono in altro che nella vivacit delle loro percezioni le quali in questo solo si distinguono
dalle idee della immaginazione. Credere in questo caso,
sentire una impressione immediata dei sensi o la ripetizione
di questa impressione nella memoria. Diavolo di una logica petulante e ostinata! non punon
sorridere di ammirazione. Una frustata nelle gambe di un
pensiero come il suo che ha girovagato sbadatamente fra ro-
manzi di avventure, libri d'amore, libri di storia, poesie, al-
manacchi, favole. Un pensiero abbandonato all'incuria delle
antiche certezze, quelle s dal sapore delle melanzane in
agrodolce. O stato quel suo continuo interrogarsi sulla sua
sorte di mutilata che l'ha distratta da altri giudizi pifondi e
succosi?
俟iccome vi certamente una grande differenza fra il
semplice concetto dell'esistenza di un oggetto e la credenza
in essa, e poichquesta differenza non risiede nelle parti o nel
complesso dell'idea che concepiamo, ne segue che essa debba
risiedere nel modo in cui la concepiamo. Pensare il pensiero, ecco qualcosa di spericolato che la
107
tenta come un esercizio a cui indulgere segretamente. Il si-
gnor Grass con impertinenza degna di un giovane studioso si
messo a calpestare i prati della sua testa. Non contento, ha
portato con sun amico: il signor David Hume con quel ridi-
colo turbante. E ora vogliono confonderla. Ma non ci riusci-
ranno.
Intanto cos'quel dondolio di gonne sulla porta? qualcu-
no entrato nella biblioteca senza che lei se ne accorgesse.
Sara bene nascondere il quaderno dalla copertina marmoriz-
zata, pensa Marianna, ma si rende conto che troppo tardi
Fila viene avanti con un bicchiere e una brocca in bilico
su un vassoio. Accenna una lieve riverenza, posa il vassoio
sul ripiano del tavolo coperto di carte, solleva con un gesto
malizioso le grosse pieghe della veste per mostrare che ha in-
dosso le scarpe e poi si appoggia allo stipite aspettando un
ordine, un cenno.
Marianna contempla quella faccia tonda e fresca, quel
corpo snello. Ha quasi trent'anni, Fila, eppure sembra sem-
pre una bambina. 俊e la regalo, tua aveva scritto il signor
padre. Ma dove detto che le persone si possono dare, pren-
dere, buttare come cani o uccellini? 青he babbasunate dici scriverebbe il signor marito zio, 剌orse che Dio non ha fatto i
nobili e i viddani, i cavalli e le pecore?Non sarquesto suo
interrogarsi sulla uguaglianza, uno di quei semi indigesti vo-
lati dalle pagine del quadernetto di Grass a scombussolare il
suo opaco cervello di mutola?
Di suo poi cosa ha che non sia la suggestione di altre
menti, altre costellazioni di pensieri, altre volont altri inte-
ressi? un ripetersi nella memoria di simulacri che appaiono
veri perchsi muovono come lucertole sbilenche sotto il sole
dell'esperienza quotidiana.
Marianna torna al suo quaderno, anzi alla mano che reg-
ge i1 quaderno, cosprecocemente sciupata: unghie rotte,
nocche rugose, vene sporgenti. Eppure una mano che non
conosce l'acqua saponata, una mano abituata al comando.
Ma anche all'obbedienza, dentro una catena di obblighi e
doveri che ha sempre ritenuto fatali. Cosa direbbe il signor
Hume dal serafico turbahte orientale, di una mano cosdi-
sposta all'ardimento e cosprona alla soggezione?

XIX





Frugando fra i vecchi bauli e le damigiane d'olio saltata
fuori una vecchia tela scurita e impolverata. Marianna la tira
su, la pulisce con la manica del vestito e scopre che non al-
tro che il ritratto dei fratelli, dipinto da lei quando aveva tre-
dici anni. E il quadro interrotto quella mattina in cui stata
chiamata al Tutui nel cortile della "casena", il giorno stesso
in cui la signora madre le aveva annunciato che avrebbe spo-
sato lo zio Pietro.
L'ombra nera che copre la tela si apre, compaiono delle
facce chiare, sbiadite: Signoretto, Geraldo, Carlo, Fiammet-
ta, Agata, la bellissima Agata che sembrava riserbarsi un fu-
turo da regina.
Sono passati pidi venticinque anni: Geraldo morto in
un incidente: una carrozza contro un muro, il corpo sbaliato
per aria e poi precipitato per terra, una ruota che gli passa
sopra il petto. E tutto per una questione di preceden~a. 俠a-
sciatemi spazio, ho il diritto di priorit侶uale diritto, sono
Grande di Spagna, ricord輆elo!L'hanno riportato a casa
senza una goccia di sangue sui vestiti, ma con l'osso del collo
spezzato.
Signoretto diventato senatore come si era proposto. Ha
sposato, dopo anni di celibato, una marchesa givedova, di
dieci anni pianziana di lui mettendo sottosopra per lo scan-
dalo la famiglia. Ma lui l'erede degli Ucr駮 di Fontanasalsa
e pupermetterselo.
A Marianna simpatica questa cognata spregiudicata che
se ne infischia degli scandali, cita Voltaire e Madame de Se-
vign si fa venire i vestiti da Parigi e tiene in casa un mae-
stro di musica che anche, come tutti sussurrano, il suo "ci-
cisbeo". Un giovanotto che conosce bene il greco oltre al
francese e all'inglese, e ha la battuta facile. Li ha visti qual-
che volta insieme, lui e lei, ai balli palermitani in quelle rare
occasioni in CUl Vl stata tirata dal marito: un "cantusciu" di
damasco coperto di balze lei, stretto in una giamberga blu
dagli alamari d'argento sbiancati ad arte lui.
Signoretto non si adonta affatto di quella frequentazione.
Anzi si vanta che sua moglie ha l'accompagnatore privato e
fa capire che alla fine non altro che un guardiano messole
alle costole da lui stesso, tanto come "un cantante alla mo-
da secentesca", cioun castrato. Ma che sia vero, molti ne
dubitano .
Fiammetta diventata canonica del convento delle Car-
melitane di Santa Teresa. Porta i capelli castani folti chiusi
dentro una cuffia che ogni tanto si strappa di testa, soprattut-
to quando cucina. Le mani le si sono fatte grandi e robuste,
abituate come sono a trasformare il crudo in cotto, il freddo
in caldo, il liquido in solido. I denti accavallati danno un sen-
so di allegro disordine a una bocca sempre pronta a ridere.
Agata ha continuato a prosciugarsi. Non saprebbe nem-
meno dire quanti figli ha fatto, fra vivi e morti, avendo co-
minciato a dodici anni e non avendo ancora smesso. Ogni
anno rimane incinta e se non fosse che molti muoiono prima
ancora di venire alla luce, ne avrebbe un esercito
Il sapore dei colori sulla lingua. Marianna sposta il quadro
verso la finestra e riprende a strusciare la tela con la manica
per toglierle quella patina di opacitche la rende illeggibile.
Peccato avere perso la pratica dei colori. Ma successo senza
una ragione, alla nascita della prima figlia. Uno sguardo di
riprovazione del signor marito zio, una parola ironica di sua
madre, il pianto di una delle bambine: aveva riposto i pen-
nelli e i tubetti nella scatola laccata, regalo del signor padre e
non li aveva tirati fuori che molti anni dopo quando la mano
si era ormai inselvatichita.
Il blu genziana, che sapore aveva il blu genziana? sotto l'o-
dore della trementina, dell'olio e dello straccio unto trapela-
va un aroma unico, assoluto. Chiudendo gli occhi lo si poteva
sentire entrare in bocca, posarsi sulla lingua e depositare un
gusto curioso, di mandorle schiacciate, di pioggia.primaveri-
le, di vento marino.

E il bianco, pio meno lucido, pio meno granuloso? il
bianco delle pupille dentro un quadro sco, forse gli occhi
impudichi e insolenti di Geraldo, il bianco delle mani delica-
te di Agata, i bianchi dimenticati che hanno bivaccato in
questa tela sporca e ora, dopo una strisciata della manica,
occhieggiano timidi, con l'ardimento incosciente dei testimo-
ni del passato.
Quando ha dipinto quel quadro la villa ancora non c'era.
Al suo posto la "casena" da caccia costruita dal bisnonno
quasi un secolo prima. Dal giardino alla piana degli ulivi si
poteva andare solo percorrendo un viottolo di capre e Baghe-
ria non esisteva ancora come villaggio ma era composta dai
quartieri di servitdi villa Butera, dalle stalle, dai "dammu-
si", dalle chiesucole che il principe faceva costruire, a cui si
aggiungevano ogni anno nuove stalle, nuovi ''dammusi'',
nuove chiese e nuove ville di amici e parenti palermitani.
雨agheria nata da un tradimentoaveva scritto la nonna
Giuseppa quando si era messa in testa di insegnare la storia
della Sicilia alla piccola nipote sordomuta. 隹l tempo di Fi-
lippo IV, anzi alla morte di stu re, in Spagna nacque una di-
sputa per la successione, non si sapeva chi doveva diventare
re fra i vari nipoti picchiddu figli non ne aveva. Una scrittura minuta, contratta, stiracchiata. La nonna,
come tante donne nobili del suo tempo, era semianalfabeta.
Si pudire che aveva imparato a scrivere per "entrarci 'nna
cucuzza della nipote mutola".
侵l pane si faceva sempre picaro figghiuzza, tu non sai
cosa fu la fame che la gente si manciava la terra per riempire
la pancia, si manciava pure la crusca come i maiali, le ghian-
de, si manciava le unghie come te che sei una piccola scimu-
nita senza discernimentu. Ora non siamo in carestia e lascia
stare le unghie! Qualche volta le apriva la bocca con due dita, le spiava fra
i denti e poi scriveva: 厚icchnun parri, picchi babbasuna?
hai un bel palatuzzo rosato, hai dei beddi dentuzzi robusti,
due labbruzze prelibate, ma perchnon dici una parola?
Lei perdalla nonna voleva sentire le storie. E la vecchia
Giuseppa, pur di non farla scappare via si disponeva a scri-
t vere sul quaderno della nipote trafficando con l'inchiostro e
la penna.

110

i.
俟ui marciapiedi di Palermo allora camminavi e inciam-
pavi in uno che non sapevi se dormiva, se sognava o se stava
morendo di stenti. Ci furono penitenze pubbliche per ordine
dell'arcivescovo che la gente si inginocchiava sui vetri e si
frustava in mezzo alla piazza. Ci furono pure delle principes-
se che ricevettero per penitenza in casa propria delle puttane
matricolate e le nutrirono col poco pane che avevano
俑io padre e mia madre scapparono nel feudo di Fiume-
freddo dove si presero le febbri di stomaco. Per non farle
prendere pure a me mi mandarono indietro con la balia; tan-
to, dicevano, a una picciridda, che ci pozzunu fari?
青osmi trovai sula sula a Palermo nel palazzo vuoto
quando scoppiarono le rivolte del pane. Un certo La Pilosa
andava gridando che c'era la guerra dei poveri contro i ric-
chi. E presero a bruciare i palazzi. I
雨rucia e brucia si fecero tutte le facce nere di fumo e La
Pilosa che era il pinero di faccia tanto che sembrava un to-
ro di Spagna andava a testa bassa contro i baroni e i principi.
Me lo raccontava la balia che aveva una grande paura che
venivano al palazzo Gerbi Mansueto. Infatti vennero. Ciccio
Rasone il portiere ci disse che non c'era nessuno. "Megghiu
accuss dissero "che non ci bisogna di scappellarci davanti
alle sue Eccellenze." E col cappello in testa entrarono ai pia-
ni superiori, si portarono i tappeti, l'argenteria, gli orologi di
vermeil, i quadri, i vestiti, i libri e fecero un fal bruciarono
tutto, ogni cosa. Marianna vedeva le fiamme che si alzavano dalla casa e
immaginava che la nonna ne fosse rimasta travolta ma non
osava chiederglielo per iscritto. E se poi risultava che era
morta e che quella che parlava con lei non era altro che uno
spettro di quelli che popolavano le notti placide della signora
madre?
Ma la nonna Giuseppa, come indovinando i pensieri della
nipote, scoppiava in una delle sue risate larghe, gioiose e ri-
prendeva a scrivere con foga.
俠a balia ad un certo punto, per la paura scapp Io per non lo sapevo; dormivo pacifica nel mio letto quando chisti
rapunu a porta e vengono vicini al letto: "E chista cu " di-
cono. "Sugnu la principessa Giuseppa Gerbi di Mansueto" ci

112

dissi io che ero una scimunita peggio di te. Cosmi avevano
insegnato e portavo l'orgoglio come na cammisa d'argento
che tutti dovevano ammirarla. Quelli mi guardano e mi fan-
no: "Ah se noi alle principesse ci tagliamo la testa e la por-
tiamo in trionfo". E io, sempre piscimunita e babba ci dico:
"Se non ve ne andate, popolaccio, chiamo i dragoni del si-
gnor padre."
俠a fortuna fu che la presero a ridere: "U soldu di caciu fa
u paladinu" dissero e per il gran ridere si misero a sputare di
qua e di l ancora oggi sulla tappezzeria di palazzo Gerbi al
Cassaro ci puoi trovare i segni di quegli sputi. A questo punto rideva anche lei, rovesciando la testa al-
l'indietro e poi tornava a occuparsi della sorditdella nipote
scrivendo: 侵l buco c'qui nelle tue orecchiuzze belle, ora ci
provo a soffiare, senti niente?
La nipotina scuoteva la testa, rideva contagiata dall'alle-
gria della nonna e lei scriveva: 俊u ridi ma senza suono, devi
soffiare; soffia, apri la bocca e manda un suono dalla gola, co-
s ah ah ah... figghiuzza mia sei un disastro, non imparerai
mai
La nonna scriveva tutto con una pazienza da certosina. E
dire che di natura non era affatto paziente. Le piaceva corre-
re, ballare. Dormiva poco, passava ore in cucina a guardare i
cuochi che lavoravano e qualche volta ci metteva mano pure
lei. Si divertiva a chiacchierare con le cameriere, si faceva
raccontare le loro storie d'amore, sapeva suonare il violino e
pure il flauto, era un portento, la nonna Giuseppa.
Ma aveva il suo "ma" la nonna Giuseppa, come sapevano
tutti in famiglia ed erano i giorni di buio in cui si chiudeva in
camera e non voleva vedere nessuno. Se ne stava al chiuso
con una pezzuola sulla testa e non voleva nbere nmangia-
re. Quando usciva, tirata per un braccio dal nonno, sembra-
va ubriaca.
Marianna faticava a mettere insieme le due persone, per
lei erano due donne diverse, una amica e una nemica. Quan-
do attraversava i suoi periodi di "ma" la nonna Giuseppa di-
ventava scostante, quasi brutale. Per lo pirifiutava di par-
lare o di scrivere, e se si sentiva tirare per la manica dalla
bambina, afferrava con un gesto rabbioso la penna e scriveva
ingarbugliando le parole: 俑utola e babba, megghiu morta
che Marianna Oppure: 隹vessi a finire come La Pilosa,
mutola noiosaE anche: 非i unni niscisti mutola camurriu-
sa, fai pena ma lO pena non ne ho E le gettava il foglietto in
faccia con gesto sgarbato.
Ora le dispiace di non averli conservati quei foglietti catti-
Vl. Solo dopo la sua morte aveva davvero capito che erano la
stessa persona quelle due donne cosdiverse perchle erano
mancate tutte e due in un solo sentimento di perdita.
La Pilosa lo sapeva come era finito, perchglielo aveva
scritto pidi una volta con un certo gusto malandrino: 亭at-
to a pezzi con le tenaglie roventi E proseguiva: 促ape
mamma tornarono butterati e io diventai una eroina... E
rideva gettando indietro la testa come avrebbe fatto una po-
polana, sfrontatamente.
亟 il tradimento da cui nacque Bagheria nonna Giusep-
pa? 俟enza orecchi e senza lingua ti stai facendo curiusaz-
za... che VUOl sapere cucuredda? il tradimento di Bagheria~
ma una lunga storia, te la racconto domani. Domani era ancora domani. E poi magari nel frattempo
arrivava il suo "ma" e la nonna si chiudeva in camera al buio
per giorni e giorni senza affacciarsi neanche con la punta del
naso. Finalmente una mattina che il sole era appena uscito,
nuovo nuovo come un tuorlo d'uovo, dalle nuvole di coccio e
aveva rallegrato il palazzo di via Alloro, la nonna si era sedu-
ta alla scrivania e le aveva raccontato con i suoi caratteri mi-
nuti e rapidi la storia del famoso tradimento.
Respirava male, come se l'aria le mancasse e il petto voles-
se uscirle dal corsetto che le stringeva sotto le ascelle. La pel-
le le Sl chiazzava di rosso, peril suo "ma" se n'era andato
assieme col vento polveroso che veniva su dall'Africa e lei di
nuovo era pronta a ridere e a raccontare storie.
俠a gabella lo sai cos' non importa, e il dazio? manco
quello? sei una babbasuna... dunque il VicerLos Veles se la
faceva sotto dalla paura perchin maggio c'era stato La Pilo-
sa e in agosto l'orologiaio anche lui un capochiacchiera che
comandava a tutti i pezzenti che volevano il pane e si rivolta-
vano per questo. Ma l'orologiaio era pidevoto al re di Spa-

114

gna e puranco all'Inquisizione. Alesi, perchcossi chiama-
va l'orologiaio, aveva saputo fermare il popolaccio che ruba-
va, mangiava, bruciava, non aveva la faccia niura questo
"ruggiari" e le principesse si fecero in quattro per presentar-
gli regali: guantiere d'argento, coperte di seta, anelli di bril-
lanti. Finchiddu si montla testa e si credette bello e forte
come il re di tutte le Austrie: si fece fare sindaco a vita, capi-
tano generale, illustrissimo Pretore e si faceva riverire e si fa-
ceva portare Paliermu Paliermu sopra un cavallo con un fu-
cile in ogni mano e tante corone di rose in testa.
俊ornil Vicerdalla Spagna e dice: "Chistu chi buole?"
"Abbassare il prezzo del grano eccellenza". "E noi lo abbas-
siamo" rispose iddu, "perquesto buffone deve sparire." Co-
slo presero e lo scannarono che lo buttarono poi a mare, sal-
vo la testa che fu portata su una pertica per tutta la citt
非ue anni dopo scoppiun'altra rivolta, il 2 dicembre del
1649 e quella volta ci si immischiarono pure dei grandi baro-
ni che volevano l'isola indipendente e farsi padroni delle ter-
re del re; c'era pure un avvocato di nome Antonio Del Giudi-
ce che anche lui voleva l'indipendenza. E c'erano preti, c'era-
no nobili degnissimi con tanto di carrozza che si misero in
questo rivoltone. Pure mio padre c'era, tuo bisnonno che si
infiammper una nuova Sicilia libera. Si trovavano in casa
di questo avvocato Antonio di nascosto, facevano grandi di-
scorsi sulla libert Ma dopo poco si divisero in due fazioni,
quelli che volevano al posto del Viceril principe don Giu-
seppe Branciforti e quelli che invece volevano a don Luigi
Moncada Aragona di Montalto.
侵l principe Branciforti che era ombroso, si penstradito
per certe voci che circolavano e a sua volta traddenuncian-
do il complotto al padre gesuita Giuseppe Des Puches. Iddu
subbito subbito ci spifferla cosa al Santo Ufficio che lo fece
sapere al capitano di Giustizia di Palermo e iddu ce lo disse
al Vicer
非etto fatto li presero tutti, li torturarono coi ferri roventi.
All'avvocato Lo Giudice ci tagliarono la testa e la appiccaro-
tlO ai Qua-ttro Canti di citt Tagliarono pure la testa al conte
Recalmuto e all'abate Giovanni Caetani che aveva solo ven-
tidue anni. Mio padre si fece solo due giorni di prigione ma
115
perse una gran quantitdi picciuli per potersi tenere la testa
sulle spalle.
侵n quanto a don Giuseppe Branciforti Mazzarino, ebbe il
perdono per avere denunciato il Moncada. Ma iddu era tri-
ste, la politica l'aveva sdelluso e venne a ritirarsi a Bagheria
unni aveva le sue terre. Si costruuna villa sontusa e nel fron-
tespicente ci scrisse: "Ya la speranza es perdida/ Y un sol
bien me consuela/ Que el tiempo que pasa y buela/ Llever presto la vida".
青osnacque Bagheria Mariannuzza mia, mutola babba-
suna, per il tradimento di un'ambizione. Persi trattdi un
tradimento principesco e perciu Signuri non la puncome
Sodoma e Gomorra con la distruzione ma anzi la fece cos bella e ambita che tutti la vogliono questa terra ingioiellata
fra gli antichi monti di Catalfano, Giancaldo, e Consuono, la
marina di Aspra e la meravigliosa punta di Capo Zafferano.
xx





侵o non lo voglio lo zio, signora madre diteglielo voi.Il
biglietto viene schiacciato contro le dita di Marianna.
隹nche tua madre ha sposato uno ziorisponde alla fi-
glia il signor marito zio.
俑a lei era mutola, e chi la voleva?Mentre scrive, Giu-
seppa guarda la madre come a dire: perdonami ma di queste
armi dispongo adesso per difendere la mia volont
俊ua madre mutola ma picoltivata di te che sembri
l'erba cipollina senza un filo di saggezza. Era pure piav-
venente di te, tua madre, bella e regale.E la prima volta che
Marianna legge un complimento del signor marito zio e ne
rimane cosstupita da non trovare le parole per difendere la
figlia .
Inaspettatamente Signoretto viene in aiuto alle due don-
ne. Da quando ha sposato la veneziana diventato tolleran-
te. Ha preso dei modi ironici che ricordano quelli del signor
padre.
Marianna lo vede discutere, aprendo le braccia e chiu-
dendole, col signor marito zio. Il quale certamente gli sta fa-
cendo notare che Giuseppa ha ormai ventitranni ed in-
concepibile che a quell'etnon sia ancora sposata. Le sem-
bra di vedere la parola "zitella" tornare pie pivolte sulle
labbra del duca. E Signoretto avrtirato fuori l'argomento
della libert che tiene in gran conto da un po' di tempo a
questa parte? gli avrricordato che il bisnonno Edoardo
Gerbi di Mansueto stato in carcere per 削ifendere la sua li-
bert anzi la nostra
Signoretto si vanta molto di questa gloria familiare. Ma
la cosa non fa che indispettire di piil cognato. Per essere
coerente con le idee di "indipendenza" il fratello ha preso un
atteggiamento incoraggiante verso le donne della famiglia.
Permette alle figlie di studiare assieme ai fratelli, cosa che sa-
rebbe stata assolutamente inconcepibile vent'anni fa.
Il signor marito zio ribatte con disprezzo che Signoretto
剃on la sua insipienza si sta mangiando tutto il suo e ai figli
istruitissimi, lascersapienza e lagrime
Giuseppa, in mezzo allo zio e al padre che litigano, sem-
bra contentissima. Forse ce la fara non sposare lo zio Gerbi.
A questo punto la madre intercederper lei e per Giulio Car-
bonelli, eoetaneo, amieo d'infanzia e fidanzato segreto da an-
ni.
Un momento dopo eeeoli sparire tutti e tre verso il salone
giallo. Con grande naturalezza si sono dimentieati di lei. O
forse l'idea di eontinuare a diseutere davanti a una mutola
ehe spia le loro labbra li indispone. Fatto sta che chiudono la
porta lasciandola sola come se la cosa non la riguardasse.
Pitardi Giuseppa entra ad abbracciarla. 青e l'ho fatta
mam sposo Giulio. 亟 il signor padre? 亟 Signoretto che l'ha convinto. Piuttosto che lasciarmi
zitella accetta Giulio. 俏onostante la sua fama di perdigiorno e la sua magra
ricchezza? 俟 ha detto s 保ra bisognerpreparare. 俏iente preparativi. Ci sposiamo a Napoli, senza fe-
ste... non si usano piqueste antichit.. Ci pensate, una fe-
sta con tutti quei parrucconi amici del signor padre zio... Ci
sposiamo a Napoli e partiamo subito per Londra. Un attimo dopo Giuseppa volata via dalla porta
lasciandosi dietro un tenero odore di sudore misto a fior di
SpigO.
Marianna si ricorda di avere in tasca una letterina della
figlia Manina che non ha ancora letto. Dice solo: 侮i aspetto
per l'Avemaria Ma l'idea di andare a Palermo non la al-
letta. L'ultimo figlio Manina l'ha chiamato Signoretto come
il nonno. Assomiglia moltissimo al piccolo Signoretto morto
a quattro anni di vaiolo. Ogni tanto Marianna va in casa

118

Chiaranda Palermo per tenere in braccio questo nipotino
dall'aria fragile e vorace. L'impressione di stringere al petto il
pieeolo Signoretto eosforte ehe a volte lo posa subito e
scappa via eol cuore zuppo.
Se Felice l'accompagnasse... Ma Feliee, dopo essere stata
novizia tanti anni si definitivamente monaeata con una ce-
rimonia che durata dieei giorni. Dieei giorni di festa, di ele-
mosine, di messe, di pranzi e di eene suntuose.
Per l'entrata in eonvento della figlia il signor marito zio
ha speso pidi diecimila seudi, fra dote, cibarie, liquori e
ceri. Una festa che tutti se la ricordano in.cittper il suo
sfarzo. Tanto che il Vicerconte Giuseppe Griman, presi-
dente del regno, si risentito e ha emesso un bando per am-
monire i signori baroni che spendono troppo e si coprono di
debiti vietando l'uso di feste monacali che durino pidi due
giorni. Cosa di cui naturalmente nessuno ha tenuto conto a
Palermo.
Chi poteva dargli retta? la grandezza dei nobili consiste
proprio nel disprezzare i conti, quali che siano. Un nobiluo-
mo non fa mai caleoli, non eonosee nemmeno l'aritmetiea.
Per questo ei sono gli amministratori, i maggiordomi, i se-
gretari, i servitori. Un nobiluomo non vende e non compra.
Semmai offre ciche vi di meglio sul mercato a chi consi-
dera degno della sua generosit Putrattarsi di un figlio, di
un nipote, ma anche di un accattone, di un imbroglione, di
un avversario al gioco, di una cantante, di una lavandaia,
secondo il capriccio del momento. Poichtutto quello che
cresce e si moltiplica nella bellissima terra di Sicilia gli ap-
partiene per nascita, per sangue, per grazia divina, che sen-
so ha calcolare profitti e perdite? roba da commercianti e
borghesucci .
Quegli stessi commercianti e borghesucci che, a detta del
duca Pietro, 哎n giorno si mangeranno tutto come gista
succedendo, rosicchiando come topi, morsetto dopo morset-
to, gli ulivi, i sugheri, i gelsi, il grano, i carrubi, i limoni ecce-
tera. 侵l mondo in futuro apparterragli speculatori, ai ladri,
agli accaparratori, agli arruffoni, agli assassini secondo il
pensiero apocalittico del marito zio e tutto andrin rovina
perch剃on i nobili si perderqualcosa di incalcolabile: quel

119
senso spontaneo dell'assoluto, quella gloriosa impossibilit di accumulare o di mettere da parte, quell'esporsi con ardi-
mento divino al nulla che divora tutti quanti senza lasciare
tracce. Si inventerl'arte del risparmio e l'uomo conoscerla
volgaritdi spirito
Cosa rimarrdopo di noi? dicono gli occhi insofferenti del
duca Pietro. Solo alcune vestigia diroccate, qualche brandel-
lo di villa abitata da chimere dall'occhio lungo e sognante,
qualche pezzullo di giardino in cui suonatori di pietra diffon-
dono musiche di pietra fra scheletri di limoni e di ulivi.
La festa della monacazione di Felice non poteva essere
pigloriosa, fra una folla di nobili vestiti con grande elegan-
za. Le signore facevano girare i loro strascichi, i loro "cantu-
sci", le loro "Andri, le loro mussoline leggere come ali di
farfalla, i capelli avvolti in reti d'oro e d'argento, i nastri di
vellutino trinato, di pizzo e di seta che scendevano dalle cinte
colorate.
Fra piume, spadini, guanti, manicotti, cuffie, fiori finti,
scarpette dalle fibbie tempestate di perle, tricorni felpati, tri-
corni lucidi, venivano servite cene da trenta portate. E fra
una portata e l'altra le coppe di cristallo si riempivano di sor-
betti di limone profumati al bergamotto.
La neve veniva gidai monti Gibellini avvolta nella pa-
glia sulle groppe degli asini, dopo essere stata tenuta sepolta
per mesi sottoterra e Palermo non mancava mai dei suoi pro-
digiosi gelati.
Quando in mezzo all'oratorio, fra due ali di invitati, suor
Maria Felice Immacolata si era prostrata a terra a braccia
aperte come una morta, e le suore l'avevano coperta con una
coltre nera accendendo due candele ai piedi e due alla testa,
il signor marito zio si era messo a singhiozzare appoggiando-
si al braccio della moglie mutola. Una cosa che l'aveva riem-
pita di stupore. Mai l'aveva visto piangere da quando si era-
no sposati, neanche per la morte del piccolo Signoretto. E ora
quella figlia che andava sposa a Cristo gli spezzava il cuore.
Finita la festa il duca Pietro ha mandato alla figlia mona-
ca una cameriera per aiutarla a vestirsi e a tenere in ordine le
sue cose. Le ha anche inviato in prestito la sua portantina di
velluto imbottito, coi puttini dorati sul tetto. E ancora oggi
non le fa mancare i denari per "favorire" il confessore a cui
bisogna offrire in continuazione frutti prelibati, sete e ricami.
Ogni mese sono cinquanta tarper la cera delle candele e
altri cinquanta per le offerte dell'altare, settanta per le tova-
glie nuove e trenta per lo zucchero e la pasta di mandorle.
Un migliaio di scudi se ne sono andati per ricostruire il giar-
dino del convento che certo ora una meraviglia, abbellito
com'da laghi artificiali, fontane di pietra, viali, loggiati, bo-
schetti e grotte finte in cui le sorelle si riposano mangiando
confetti e sgranando il rosario.
Il realtil duca Pietro non affatto rassegnato a sapere
lontana la figlia e ogni volta che pule manda la carrozza
perche venga a casa per un giorno o due. La zia Fiammetta
vede il convento come un orto in cui la zappa deve accompa-
gnare le preghiere. La nipote Felice ha fatto della sua cella
una oasi suntuosa in cui ritirarsi dalle brutture del mondo,
dove gli occhi si possano posare solo su cose belle e piacevoli.
Il giardino per Fiammetta il luogo della meditazione, e del
raccoglimento, per Felice un centro di conversazione dove
starsene comodamente sedute all'ombra di un fico a scam-
biarsi notizie e pettegolezzi.
Fiammetta accusa Felice di "corruzione". La pigiovane
accusa la zia di bigotteria. L'una legge solo il Vangelo e se lo
porta dietro sia nell'orto che in cucina tanto da averlo ridotto
a un ammasso di pagine unte, l'altra legge vite romanzate dei
santi in libriccini candidi rilegati in pelle. Fra le pagine com-
paiono improvvise immagini di sante dal corpo coperto di
piaghe, distese in pose sensuali e chiuse in drappi carichi di
volute e ghirigori.
Quando era viva la zia Teresa professa erano in due a cri-
ticare Felice. Ora che la zia Teresa se n'andata quasi nello
stesso giorno in cui morta la zia Agata canonica, rimasta
solo Fiammetta a recriminare e certe volte si ha l'impressione
che non sia pitanto sicura di essere dalla parte della ragio-
ne. Proprio per questo diventa piaspra, pidura. Ma Feli-
ce non le bada. Sa di avere dalla sua il padre e si sente forte.
In quanto alla madre mutola non l'ha mai considerata mol-
to: legge troppi libri e questo la rende distante, un poco "paz-
zotica" come dice alle amiche per giustificarla.
Mariano a sua volta considera la sorella "pretenziosa"
ma ne condivide i gusti per lo sfarzo e le novit Preparandosi
ad ereditare tutte le ricchezze paterne si fa ogni giorno pi arrogante e pibello. Con la madre paziente anche se di
una pazienza leggermente artefatta. Quando la vede si inchi-
na a baciarle la mano, poi si impossessa della penna e della
carta di lei per scrivere qualche bella frase in una grafia gi-
gantesca e piena di volute.
Anche lui si innamorato, e di una bella ragazza che gli
porta in dote una ventina di feudi: Caterina Moldi Flores e
Pozzogrande. A settembre ci saril matrimonio e giMa-
rianna immagina le fatiche dei preparativi per le feste che
dureranno non meno di otto giorni e si concluderanno con
una notte di fuochi d'artificio.

XXI





Fuori buio. Il silenzio avvolge Marianna sterile e asso-
luto. Fra le sue mani un libro d'amore. Le parole, dice lo
scrittore, vengono raccolte dagli occhi come grappoli di una
vigna sospesa, vengono spremuti dal pensiero che gira come
una ruota di mulino e poi, in forma liquida si spargono e
scorrono felici per le vene. E questa la divina vendemmia del-
la letteratura?
Trepidare con i personaggi che corrono fra le pagine, bere
il succo del pensiero altrui, provare l'ebbrezza rimandata di
un piacere che appartiene ad altri. Esaltare i propri sensi at-
traverso lo spettacolo sempre ripetuto dell'amore in rappre-
sentazione, non amore anche questo? Che importanza ha
che questo amore non sia mai stato vissuto faccia a faccia di-
rettamente? assistere agli abbracci di corpi estranei, ma
quanto vicini e noti per via di lettura, non come viverlo
quell'abbraccio, con un privilegio in pi di rimanere padro-
ni di s
Un sospetto le attraversa la mente: che il suo sia solo uno
spiare i respiri degli altri. Coscome cerca di interpretare sul-
le labbra di chi le sta accanto il ritmo delle frasi, rincorre su
queste pagine il farsi e il disfarsi degli amori altrui. I~Ton una caricatura un po' penosa?
Quante ore ha trascorso in quella biblioteca, imparando
a cavare l'oro dalle pietre, setacciando e pulendo per giorni e
giorni, gli occhi a mollo nelle acque torbide della letteratura.
Che ne ha ricavato? qualche granello di ruvido bitorzoluto
sapere. Da un libro all'altro, da una pagina all'altra. Centi-
naia di storie d'amore, di allegria, di disperazione, di morte,
di godimenti, di assassinii, di incontri, di addii. E lei sempre

123
lseduta su quella poltrona dal centrino ricamato e consunto
dietro la testa.
La parte bassa degli scaffali, quelli raggiungibili da mani
infantili contengono soprattutto vite di santi: La sequenza di
santa Eulalia, La vita di san Leodegario, qualche libro in francese
Le jeu de saint Nicolas, il Cymbalum mundi, qualche libro in spa-
gnolo come il Rimado de palacio o il Lazarillo de Tormes. Una
montagna di almanacchi: della Luna nuova, degli Amori sotto
Marte, del Raccolto, dei Venti; nonchstorie di paladini di
Francia e alcuni romanzi per signorine che parlano d'amore
con ipocrita licenza.
Pisopra, negli scaffali ad altezza d'uomo si possono tro-
vare i classici: dalla Vita nuova all'Orlandofurioso, dal De rerum
natura ai Dialoghi di Platone nonchqualche romanzo alla mo-
da come il Colloandro fedele e La leggenda delle vergini.
Questi erano i libri della biblioteca di villa Ucr駮 quando
l'ha ereditata Marianna. Ma da quando la frequenta assi-
duamente i libri sono raddoppiati. Da principio la scusa era
lo studio dell'inglese e del francese. E quindi vocabolari,
grammatiche, compendii. Poi, qualche libro di viaggi con di-
segni di mondi lontani e infine, con sempre piardimento,
romanzi moderni, libri di storia, di filosofia.
Da quando i figli sono andati via ha molto pitempo a
disposizione. E i libri non le bastano mai. Li ordina a dozzine
ma spesso ci mettono dei mesi per arrivare. Come il pacchet-
to che conteneva il Paradise Lost che rimasto cinque mesi al
porto di Palermo senza che nessuno sapesse dove fosse anda-
to a finire. Oppure la Histoire comique de Francion che andato
perso nel tragitto fra Napoli e la Sicilia in un battello che af-
fondato al largo di Capri.
Altri li ha prestati e non ricorda pia chi; come i Lais di
Maria di Francia che non sono pitornati indietro. O il Ro-
mance de Brut che deve essere nelle mani di suo fratello Carlo
al convento di San Martino delle Scale.
Queste letture che si protraggono fino a notte fonda sono
prostranti ma anche dense di piaceri. Marianna non riesce
mai a decidersi ad andare a letto. E se non fosse per la sete
che quasi sempre la strappa alla lettura continuerebbe fino a
giorno.

Uscire da un libro come uscire dal meglio di s Passare
dagli archi soffici e ariosi della mente alle goffaggini di un
corpo accattone sempre in cerca di qualcosa comunque una
resa. Lasciare persone note e care per ritrovare una se stessa
che non ama, chiusa in una contabilitridicola di giornate
che si sommano a giornate come fossero indistinguibili.
La sete ha messo il suo zampino in quella quiete sensuale
togliendo profumo ai fiori, ispessendo le ombre. Il silenzio di
questa notte soffocante. Tornata alla biblioteca, alle cande-
le consumate, Marianna si chiede perchqueste notti le stan-
no diventando strette. E perchogni cosa tenda a precipitare
verso l'interno della sua testa come dentro un pozzo dalle ac-
que scure in cui ogni tanto echeggia un tonfo, una caduta,
ma di che?
I piedi scivolano delicati e silenziosi sui tappeti che co-
prono il corridoio; raggiungono la sala da pranzo, attraversa-
no il salone giallo, quello rosa; si fermano sulla soglia della
cucina. La tenda nera che nasconde il grande orcio dove si
conserva l'acqua da bere scostata. Qualcuno sceso a bere
prima di lei. Per un momento presa dal panico di un incon-
tro notturno col signor marito zio. Da quella notte del rifiuto
non l'ha picercata. Le sembra di avere intuito che amoreg-
gi con la moglie di Cuffa. Non la vecchia Severina che mor-
ta ormai da un po', ma la nuova moglie, una certa Rosalia
dalla folta treccia nera che le ciondola sulla schiena.
Ha una trentina d'anni, di temperamento energico, ma
col padrone sa essere dolce e lui ha bisogno di qualcuno che
accolga i suoi assalti senza raggelarsi.
Marianna ripensa ai loro frettolosi accoppiamenti al
buio, lui armato e implacabile e lei lontana, impietrita. Do-
vevano essere buffi a vedersi, stupidi come possono esserlo
coloro che ripetono senza un barlume di discernimento un
dovere che non capiscono e per cui non sono tagliati.
Eppure hanno fatto cinque figli vivi e tre morti prima di
nascere che fanno otto; otto volte si sono incontrati sotto le
lenzuola senza baciarsi ncarezzarsi. Un assalto, una forza-
tura, un premere di ginocchia fredde contro le gambe, una
esplosione rapida e rabbiosa.
Qualche volta chiudendo gli occhi al suo dovere si di-

124 125
tratta er,sando agli accoppiamenti di Zeus e di Io, di Zeus
e di LedPa come sono descritti da Pausania o da Plutarco. Il
corpo divir~sceglie un simulacro terreno: una volpe, un ci-
gno un,a ~ ila, un toro. E pOl, dopo lunghi appostamenti fra
i su'gheri e le querce, l'improvvisa apparizione. Non c'il
tempo di dire una parola. L'animale curva i suoi artigli, in-
chioda col becco la nuca della donna, e la ruba a se stessa e al
re. Un battere di ali, un fiato ansante sul collo, il ta-
- glioPdei dellti su una spalla ed finito. L'amante se ne va la-

sciandoti dol郢ante e umiliata.
Avrebbe voglia di chiedere a Rosalia se anche con lei i1 si-
gnor maritO zio si trasforma in lupo che azzanna e scappa.
Ma sa gi~ che non glielo chieder Per discrezione, per timi-
dezza m~3 forse anche per paura di quella treccia nera che
quando di malumore sembra alzarsi e soffiare come una

serpe ballerina
Non ci sono lumi nelle stanze da basso e Marianna sa con
certezza che il signor marito zio non andrebbe in giro al buio
come fa lei a CUi la sorditha reso lo sguardo particolarmente

acut al pari dudag urniditA toccarlo fresco e poroso,
manda u~l buon odore di terracotta. Marianna vi immerge il
secchielldi metallo attaccato a una canna e beve avidamen-
te facendOsi colare l'acqua sul corpetto ricamato.
Con la coda dell occhio vede una luce debole che filtra da
uno degli usci della servitu. E la camera di Fila la CUl porta rimasta sOcchiusa. Non saprebbe dire che ore sono ma certo
passata la mezzanotte e anche l'una, forse siamo vicini alle
tre Le p~,re di avere avvertito quella contrazione dell'aria,
quella increspatura leggera della notte che provoca la cam-
pana della chiesa di casa Butera quando batte le due.
Senza quasi che se ne accorga i suOi piedi la portano ver-
so la luce e lo sguardo si insinua in quella fessura rimasta
aperta cercando di distinguere qualcosa fra i guizzi fumosi

di un moccO10 aCCeso.
C',~1l braccio nudo che ciondola sospeso al bordo del
letto uP piede calzato che si alza e si abbassa. Marianna si
tira indietrindignata con se stessa: spiare non degno di lei.
Ma poi Sorride di s lo sdegno lasciamolo alle anime belle, la
curiositsta alla radice dell'inquietudine come direbbe il si-
gnore Davide Hume di Londra, ed parente di quell'altra
curiositche la porta a intrufolarsi nei libri con tanta passio-
ne. Allora perchfare gli ipocriti?
Con un ardire che la sorprende, torna a spiare dallo spi-
raglio aperto col fiato sospeso come se da ciche vedrdi-
pendesse il suo futuro, come se il suo sguardo fosse gistato
colpito prima di avere guardato.
Fila non sola. Con lei c'un ragazzo dai tratti armoniosi
che piange desolato. I capelli ricci e neri gli stanno raccolti
dietro la nuca in un treccino striminzito. A Marianna sembra
di averlo givisto quel ragazzo, ma dove? le sue membra so-
no morbide e terragne, il colore della sua pelle quello del
pan di Spagna. Intanto vede Fila che estrae dalla tasca un
fazzoletto appallottolato e con quello pulisce il naso al ragaz-
zo piangente.
Ora Fila sembra incalzare il ragazzino con delle doman-
de a cui lui non ha voglia di rispondere. Ciondolando riotto-
so, ridacchiando e piangendo si siede sul bordo del letto a
guardare con meraviglia le scarpe di pelle di daino che giac-
ciono a terra coi lacci in disordine.
Fila continua a parlargli seccata, ma intanto ha riposto in
tasca il fazzoletto bagnato e ora si china su di lui, insistente e
materna. Lui non piange pi afferra una scarpa e se la porta
al naso. In quel momento Fila si butta su di lui e lo colpisc con veemenza; gli duna botta con la mano aperta sulla nu-
ca, pOl sulla guancia, infine coi pugni chiusi gli tempesta il
cranio di colpi.
Lui si lascia picchiare senza reagire. Intanto la candela,
nel movimento, si spenta. La stanza rimane al buio. Ma-
rianna fa qualche passo indietro, ma Fila deve avere riacce-
so il moccolo perchla luce riprende a tremolare lungo lo
stipite.
E l'ora che torni di sopra, si dice Marianna, ma una cu-
riositsconosciuta, incontrollabile che fra sgiudica oscena
l'attira di nuovo verso la visione proibita. Ed ecco Fila che si
siede sul letto e lui le si accoccola vicino appoggiando la testa
sul seno di lei. Un momento dopo lei gli bacia dolcemente le
tempie arrossate e passa la lingua sul graffio che lei stessa gli
ha fatto sotto l'occhio sinistro.
Marianna questa volta si costringe a tornare verso l'orcio
dell'acqua fresca. L'idea di assistere a un atto d'amore fra Fi-
la e quel ragazzo la sgomenta: giabbastanza scombussola-
ta dalla sorpresa. Immerge di nuovo la canna col coppino di
metallo nell'acqua; se lo porta alle labbra e beve chiudendo
gli occhi, a grandi sorsate. Non si accorge che nel frattempo
la porta si aperta e Fila sta sulla soglia a guardarla.
Il corpetto slacciato, le trecce disfatte, lo stupore la tiene
lgelata, incapace di fare qualsiasi cosa che non sia rimirarla
a bocca aperta. Intanto anche il ragazzo venuto avanti e si
fermato alle spalle di lei, il codino che gli pende da dietro
un orecchio arrossato.
Marianna li osserva ma senza cipiglio e forse i suoi occhi
ridono perchfinalmente Fila si scioglie dalla sorpresa para-
lizzata e prende ad allacciarsi il corpetto con dita frettolose.
Il ragazzo non mostra nessuna paura. Viene avanti, nudo fi-
no alla cintola, piantando gli occhi arditi sulla duchessa. Pro-
prio come uno che l'abbia vista sempre da lontano, fra porte
socchiuse, forse spiandola come ha fatto poco fa lei con lui, al
di ldi tende semitirate, standosene nascosto e fermo, in ag-
guato. Come chi abbia sentito molto parlare di lei e ora vo-
glia vedere di che stoffa fatta questa grande signora dalla
gola di pietra.
Ma Fila ha qualcosa da dire. Si avvicina a Marianna,
l'afferra per un polso, le parla nell'orecchio sordo, le fa dei
cenni con ldita davanti agli occhi. Marianna la guarda af-
fannarsi mentre i capelli neri sgusciano fuori dalle trecce e le
scivolano sulle guance rigandole di nero.
Per una volta la sorditla protegge senza farla sentire
una minorata. Il gusto del castigo le accende le guance. Sa
benissimo che una punizione non avrebbe senso- lei la col-
pevole che gira per casa al buio di notte - ma in quel momen-
to ha bisogno di ribadire una distanza che stata pericolosa-
mente sospesa.
Si avvicina a Fila con la mano alzata come una padrona
che ha scoperto la domestica con uno sconosciuto sotto il
proprio tetto. Il signor marito zio l'approverebbe, anzi le
metterebbe in mano la frusta.
Ma Fila le agguanta la mano al volo e la trascina verso



4. La lunga uila di Mananna llcna

l'interno della stanza, verso lo specchio illuminato di sguin-
cio dal moccolo ancora acceso. Con l'altra mano ha tirato a
sil ragazzino e una volta davanti allo specchio gli afferra
la testa per i capelli e l'accosta alla sua, guancia contro
guancia.
Marianna fissa quelle due teste dentro il vetro offuscato
dal fumo e in un attimo capisce quello che Fila le vuole dire:
due bocche tagliate dalla stessa mano, due nasi modellati
dalla stessa matrice, ingobbiti al centro, stretti in alto e in
fondo, gli occhi grigi appena un poco troppo distanti, gli zi-
gomi larghi, rosati: sono fratelli.
E Fila che ha capito di averla convinta con la forza delle
immagini annuisce e si succhia il labbro gioiosamente. Ma
come avrfatto a nascondere il ragazzo tutto quel tempo, che
neanche il signor padre sapeva della sua esistenza?
Ora Fila, con una autoritche solo una sorella matura
pupretendere, impone al ragazzo di inginocchiarsi davanti
alla duchessa e di baciare il lembo del suo prezioso vestito co-
lor ambra. E lui, docile, guardando da sotto in su con la fac-
cia compunta e teatrale, le sfiora l'orlo della gonna con le
labbra. Un guizzo di astuzia bambina, una lontana sapienza
seduttiva, di quelle che solo chi si sente escluso dal mondo
delle meraviglie pumanifestare.
Marianna osserva con tenerezza i quarti di luna che ap-
paiono sul suo dorso piegato. Rapida, gli fa cenno di alzarsi.
E Fila ride e batte le mani. Il ragazzo le si pianta in piedi di
fronte e ha qualcosa di spudorato che la indispone ma nello
stesso tempo la incuriosisce. I loro sguardi si intrecciano un
momento emozionati.
XXII





Saro e Raffaele Cuffa sono ai remi. La barca sguscia sul-
l'acqua calma e nera con dei brevi strattoni cadenzati. Sotto
un festone di lumi di carta si intravvedono delle sedie dorate.
La duchessa Marianna: una sfinge chiusa in un mantello ver-
de bottiglia, la faccia rivolta verso il porto.
Sugli scanni, seduti di traverso: Giuseppa col marito
Giulio Carbonelli e il figlio di due anni, Manina con la figlia
minore Giacinta. A prua, su due rotoli di corda, Fila e In-
nocenza.
Una barca li affianca, a poche braccia di distanza. Un al-
tro festone, un'altra sedia dorata su cui siede il duca Pietro.
Accanto a lui la figlia monaca Felice, il figlio maggiore Ma-
riano accompagnato dalla sposa signora Caterina Moldi
Flores, la giovane moglie di Cuffa, Rosalia che ha avvolto la
treccia nera sul capo come fosse un turbante.
Disseminate sull'acqua della baia di Palermo centinaia di
barche: gozzi, caicchi, feluche, ciascuna con la sua bardatura
di festoni luminosi, le sue seggiole padronali, i suoi rematori.
Il mare quieto, la luna nascosta dietro straccetti di nu-
vole orlate di viola. I limiti fra cielo e acqua scompaiono nel
nero fitto di una calma e solida notte di agosto.
Fra poco dalla macchina dei fuochi che si alza imponente
sulla marina partiranno le girandole, i razzi, le fontane di lu-
ce che pioveranno sul mare. Sul fondo, Porta Felice pare un
presepe tutto cosparso di lumi a olio. Sulla destra il Cassaro
Morto, la sagoma scura della Vicaria, le abitazioni basse del-
la Kalsa, la massicciata dello Steri, le pietre grigie di Santa
Maria della Catena, le mura squadrate del Castello a mare,
la costruzione lunga e chiara di San Giovanni de' Leprosi e
subito dietro un pullulare di vicoli storti, bui, da cui migliaia
di persone Sl rovesciano verso il mare.
Marianna legge un foglietto sgualcito che tiene in grembo
su cui una mano gentile ha scritto 匍acchina costruita per
grazia dei maestri tessitori, dei maestri palafrenieri e dei
maestri venditori di caci, amen
Ora gli uomini hanno smesso di remare. La barca oscilla
leggermente sulle onde con il suo carico di luci, di corpi ag-
ghindati a festa, di fette di cocomero, di bottiglie d'acqua e
anice. Marianna gira la testa su quel popolo di imbarcazioni
che nel silenzio della sua notte si dondolano come piume fioc-
canti sospese nel vuoto.
侮iva Ferdinando, il nuovo figlio di Carlo III re di Sici-
lia, amendice un altro biglietto cadutole sulla scarpa. Parte
il primo razzo. Esplode in alto, quasi coperto dalle nuvole.
Una pioggia di fili d'argento precipita sui tetti di Palermo,
sulle facciate delle case principesche, sulle strade con le loro
"balate" grigie, sui muretti del porto, sulle imbarcazioni ca-
riche di spettatori e si spegne friggendo nell'acqua nera.
俠'altro ieri le feste per l'incoronazione di Vittorio Ame-
deo di Savoia, ieri le luminarie per la salita al trono di Carlo
VI d'Asburgo, oggi si festeggia la nascita del figlio di Carlo
III di Borbone... stesse baldorie, stesso pot-pourri: primo
giorno: messa solenne in cattedrale, secondo giorno: combat-
timento del leone col cavallo, terzo giorno i musici al teatro
marmoreo, quindi ballo al palazzo del Senato, corsa di caval-
li, processione e fuochi alla Marina... che infinito morto-
rio. . . A Marianna bastato uno sguardo al signor marito per
sapere cosa stia rimuginando. Da ultimo diventato traspa-
rente per lei: gli occhi sbiaditi, la fronte stempiata non riesco-
no pia nascondere i pensieri come facevano prima gelosa-
mente. Sembra che abbia perso la pazienza di dissimulare.
Per anni ne aveva fatto un vanto: nessuno doveva penetrare
al di ldi quelle sopracciglia, al di ldi quella fronte nuda e
austera. Ora pare che quell'arte gli sia diventata troppo fa-
miliare e di conseguenza priva di interesse.
雨estie noi a chinare sempre il collo... chiddu Vittorio
Amedeo lassamulu stari, voleva fare di Paliermu un'altra To-
rino, miserere nobis! gli orari, le tasse, i dazi, le guarnigioni...
volessi mettere il dazio alla malattia, alla fame, signor re? le
piaghe nostre profumano di gelsomino, imperatore mio e solo
noi le capiamo deo gratias... il trattato di Utrecht, un'altra
cavolata, si sono spartiti i bocconi: uno ammia, uno attia... e
quella troia di Elisabetta Farnese si scapricciper l'isola,
volle un trono "pe' so figghiu". Il cardinale Alberoni ci tenne
bordone e Filippo V allunguna mano... A Capo Passero gli
inglesi ci fecero mangiare aceto a quel babbasone di Filippo
V ma Elisabetta non molll'osso, quella una madre "pa-
cinziusa"; gli austriaci vinti in Polonia ci voltarono le spalle a
Napoli e alla Sicilia, cossuo figlio don Carlo mise la mano
sul settebello... ci salirono sul collo e chissquannu scinnu-
nu. . . Quella voce senza voce non riesce pia fermarla. Il si-
gnore le ha fatto questo dono, di entrare nella testa degli al-
tri. Ma una volta chiusa la porta si trova a respirare un'aria
stantia in cui le parole prendono un odore raffermo.
Due mani si fermano sulle spalle della duchessa, solleva-
no lo scialle sul collo, le aggiustano i capelli. Marianna si vol-
ta per ringraziare Fila e si trova davanti la faccia scanzonata
di Saro.
Poco dopo, mentre ammira le parabole di luci verdi e
gialle che fioriscono contro il cielo avverte un'altra volta la
presenza del ragazzo alle spalle. Due dita leggere hanno sco-
stato lo scialle e sfiorano l'attaccatura dei capelli.
Marianna fa per scacciarlo ma una spossatezza muta e
molle la inchioda alla sedia. Ora il ragazzo con una mossa da
gatto si spostato a prua e indica il cielo col braccio.
E andato lper farsi ammirare, chiaro. Se ne sta in piedi
sul triangolo convesso, in equilibrio precario a mostrare il
corpo snello e alto, la faccia bellissima illuminata a tratti dal-
le scintille volanti.
Tutte le teste sono rivolte verso l'alto, tutti gli sguardi se-
guono l'esplosione dei fuochi. Solo lui guarda altrove, nella
direzione della regale seggiola piantata in mezzo alla imbar-
cazione. Negli sprazzi di luce che colorano l'aria Marianna
vede gli occhi del "picciutteddu" fissi su di s Sono occhi

amorosi, allegri, forse anche arroganti, ma privi di malizia.
Marianna lo osserva un attimo e subito ritrae lo sguardo. Ep-
pure dopo un momento non pufare a meno di tornare a ri-
mirarlo: quel collo, quelle gambe, quella bocca sembrano es-
sere lper sgomentarla e appagarla.
XXIII





Che sia in giardino a leggere un libro, che sia nel salone
giallo a fare i conti con Raffaele Cuffa, che sia in biblioteca a
studiare l'inglese, Saro se lo trova sempre davanti, sbucato
dal nulla, in procinto di sparire nel nulla.
Sempre la fissarla con occhi accesi e dolci che supplica-
no una risposta. E Marianna si stupisce che quella devozione
duri, si faccia piardita e insistente ogni giorno che passa.
Il signor marito zio l'ha preso a benvolere e gli ha fatto fa-
re su misura una bella livrea dai colori della Casa, blu e oro.
Il codino non gli ballonzola pidietro l'orecchio, striminzito
come una coda di topo. Una ciocca di capelli neri e lucidi gli
scivola sulla fronte e lui se la tira indietro con un gesto spi-
gliato e seducente.
C'solo un luogo dove lui non puentrare ed la camera
da letto padronale ed lche lei si rifugia sempre pispesso
con i suOi libri, sotto gli occhi enigmatici delle chimere, chie-
dendosi se lui osercontinuare a cercarla.
Ma ogni tanto si scopre a scrutare giin cortile aspettan-
do il suo arrivo. Le basta vederlo passare con quel suo passo
ciondolante e vago per mettersi di buon umore.
Pur di non incontrarlo si era perfino decisa ad andare a
stare a Palermo per qualche tempo nella sua casa di via Al-
loro. Ma una mattina l'aveva visto arrivare sulla carrozza del
signor marito zio, ritto in piedi sul predellino posteriore, al-
legro e ben vestito: il tricorno piantato sui ricci neri, un paio
di scarpini luccicanti, ornati da una fibbia di ottone.
Fila dice che si messo a studiare. L'ha raccontato a In-
nocenza che l'ha spifferato a suor Felice che l'ha scritto in un
foglietto alla madre: 侵ddu impara a scrivere per parlarci con
vuscienza Non si sa se detto con malignito ammirazione.

134

Oggi piove. La campagna velata: ogni cespuglio, ogni
albero zuppo d'acqua e il silenzio di cui prigioniera pare a
Marianna piingiusto del solito. Una nostalgia profonda dei
suoni che accompagnano la vista di quei rami brillanti, di
quella campagna formicolante di vita la prende alla gola. Co-
me saril canto di un usignolo? l'ha letto tante volte nei libri
che si tratta del canto pisoave che si possa immaginare,
qualcosa che fa tintinnare il cuore. Ma come?
La porta si apre come in certi incubi, spintda una mano
sconosciuta. Marianna la guarda muoversi lenta, senza sape-
re cosa ne verrfuori: una gioia o un dolore, una faccia amica
o nemica?
E Fila che entra col candelabro acceso. Ancora una volta
scalza, e si capisce che si tratta di una voluta insubordina-
zione, un segnale rivolto ai padroni troppo esigenti. Ma nello
stesso tempo conta sull'indulgenza di Marianna, non dovuta
alla tolleranza ma a un segreto increscioso, sembra pensare,
che le lega con un bel fiocco, al di ldelle differenze di et di
denaro, di stato sociale.
CGsa vuole da lei? perchpianta con tanto gusto i piedi
nudi e sporchi nei tappeti preziosi? perchcammina con tan-
ta disinvoltura, incurante che la gonna si alzi e lasci scoperti i
calcagni callosi e macchiati?
Marianna sa che il solo modo di ristabilire le distanze sa-
rebbe di alzare una mano da padrona per uno schiaffo, anche
leggero. E cosche si usa. Ma basta che il suo sguardo si posi
su quella faccia dai tratti teneri, cossimile a quell'altra ma-
schile dai lineamenti solo un po' pimarcati, che le passa
ogni voglia di batterla.
Marianna si porta una mano al colletto che le si stringe
sotto la gola. Il corpetto di lana di pecora le preme ruvido
contro la schiena sudata; pare fatto di spine. Con due dita fa
cenno a Fila di andarsene. La ragazza esce facendo dondola-
re l'ampia gonna di pannicello rosso. Nei pressi della porta fa
un inchino secco accompagnato da una mezza smorfia.
Rimasta sola Marianna si inginocchia davanti a un pic-
colo Cristo in avorio che le ha regalato Felice e prova a pre-
gare: 俑io Signore, fai che io non mi perda ai miei stessi oc-
chi, fai che sappia mantenere l'integritdel cuore
Lo sguardo si ferma sul crocifisso: le sembra che sul volto
di Cristo appaia una smorfia di derisione. Anche lui come Fi-
la sembra ridere di lei. Marianna si alza, va a stendersi sul
letto coprendosi gli occhi con le braccia.
Si gira su un fianco. Allunga una mano verso il libro che
le ha regalato il signor fratello abate Carlo alla nascita di
Mariano. Apre e legge:

Il mio spirito viene meno
i miei giorni Sl spengono
non sono in balia dei beffardi?
fra i loro insulti veglia il mio occhio
sii tu la garanzia di te stesso.

Le parole di Giobbe sembrano lper ricordarle un crimi-
ne, ma quale? quello di pensare il pensiero secondo i suggeri-
menti del signor Hume o quello di lasciarsi tentare da un de-
siderio sconosciuto e temibile? I suoi giorni certamente ven-
gono meno, si spengono man mano le luci del suo corpo, ma
chi la salverdai beffardi?
La porta prende a muoversi un'altra volta, scivola sui
cardini allungando un'ombra quadrata sul pavimento. Cosa
si trascina dietro? che corpo, che sguardo? forse quello di un
ragazzo che mostra dodici anni e invece ne ha diciannove?
Questa volta Giuseppa col figlio piccolo che viene a tro-
varla. Com'ingrassata! I vestiti trattengono a stento la car-
ne, la faccia pallida, spenta. Entra con passo risoluto, si sie-
de sul bordo del letto, si sfila le scarpe che le serrano i piedi,
distende le gambe sul pavimento, guarda la madre e scoppia
a piangere.
Marianna le si avvicina amorevolmente, la stringe al pet-
to; ma la figlia anzichacquetarsi si lascia andare ai sin-
ghiozzi mentre il bambino, a quattro zampe, si infila sotto il
letto.
促er caritche hai?scrive Marianna su un foglietto e lo
caccia sotto il naso della figlia.
Giuseppa si asciuga le iagrime col dorso della mano, in-
capace di frenare i singhiozzi. Torna ad abbracciare la ma-
dre, poi afferra un lembo dello spolverino di lei e si soffia il

136

naso rumorosamente. Solo dopo molte sollecitazioni, metten-
dole la penna fra le dita, Marianna riesce a farle scrivere
qualcosa.
亮iulio mi maltratta, me ne voglio andare. 青he t'ha fatto meschinedda? 俑i portin casa una ''cuffiara'', me la mise nel letto con
la scusa che malata e poi siccome non ciaveva vestiti le re-
galle mia con tutti i ventagli francesi che tenevo ammuccia-
ti. 俏e parlercon il signor padre zio. 俏o mamti pregassi, lassalu stari. 青he posso fare allora? 侮oglio che lo fai bastonare. 俏on siamo mica ai tempi di tuo bisnonno... e poi a che
servirebbe? 促er vindicarimi. 青he ci fai con la vendetta? 俑i piace, mi faccio pena e mi voglio ristorare. 俑a perchnel letto la cuffiara, non capiscoscrive Ma-
rianna in fretta; le risposte arrivano sempre pilente, storte e
disordinate .
促er sfregio. 俑a perchvuole sfregiarti tuo marito? 俟usapiddu. Una storia curiosa, incredibile: se il signor marito Giulio
Carbonelli vuole divertirsi non ha bisogno di cacciare nel let-
to della moglie l'amante ''cuffiara''. Cosa ci puessere dietro
questo gesto insensato?
Ed ecco che piano piano, fra parole mozze e frasi dialetta-
li fanno capolino alcune rivelazioni: Giuseppa diventata
amica della zia Domitilla, la moglie di Signoretto, la quale
l'ha introdotta ai libri proibiti dei pensatori francesi, alle ri-
flessioni laiche, alle richieste di libert
Don Giulio Carbonelli, che odia le idee nuove che circola-
no fra i giovani peggio del signor marito zio, aveva cercato di
fermarla su quella strada 冠ssolutamente disdicevole per una
Carbonelli dei baroni di Scarapull頠. Ma la moglie non gli
aveva dato retta e coslui aveva trovato un modo obliquo e
brutale per dimostrarle senza tante parole che il padrone in
casa era lui.
137
Ora si tratta di convincere la figlia che le vendette r~chia-
mano altre vendette e che fra marito e moglie impensabile
un simile litigio. Di separarsi da lui non se ne parla nemme-
no: ha un figlio piccolo e non pulasciarlo senza padre e d'al-
tronde una donna priva del marito, per non essere tacciata di
prostituta, potrebbrifugiarsi solo in convento. Deve per trovare un modo per farsi rispettare da lui senza vendette n ritorsioni. Ma che fare?
Mentre riflette Marianna si scopre a scrivere: 俑a cosa
sono questi ventagli francesi?
亭ra stecca e stecca si scoprono scene da letto mam鉬
scrive la figlia con impazienza e Marianna annuisce imba-
razzata.
非evi guadagnarti la sua stimainsiste la madre e la ma-
no fatica a mantenersi composta, autorevole.
俟iamo cane e gatto. 亟ppure sei stata tu a volerlo. Se sposavi lo zio Antonio
come ti proponeva tuo padre... 俑eglio morta... lo zio Antonio un vecchio cimurrusu,
cu l'occhio di gaddina. Preferisco Giulio con la sua "cuff駮-
ra". Solo tu povera mutola ti potevi prendere a uno zotico co-
me lo zio padre... se lo dico a Mariano credi che mi sapr vendicare? 俊oglitelo dalla testa, Giuseppa. 青he lo aspettino fuori della porta e lo mazzol駮no, solo
chistu vogghiu mam Marianna rivolge alla figlia uno sguardo rannuvolato. La
ragazza fa una smorfia bizzosa, si morde il labbro. Ma anco-
ra la madre ha dell'ascendente su di lei e dinanzi a quegli oc-
chi severi, Giuseppa si tira indietro rinunciando al proposito
della vendetta.

XXIV





Le tende tirate. Il velluto che cade in grosse pieghe. Il sof-
fitto a volta che raccoglie le ombre. Qualche goccia di luce
che si infiltra fra i panneggi, si scioglie sul pavimento for-
mando delle pozzette polverose.
C'odore di canfora nell'aria stantia: l'acqua bolle in un
pentolino appoggiato sulla stufa. Il letto cosgrande che oc-
cupa una intera parete della stanza: poggia su quattro colon-
nine di legno scolpito, fra cortine ricamate e cordoni di seta.
Sotto le lenzuola spiegazzate il corpo sudato di Manina,
da giorni e giorni se ne sta fermo a occhi chiusi. Non si sa se
riuscira sopravvivere. Gli stessi odori dell'agonia di Signo-
retto, la stessa consistenza gelatinosa, lo stesso calore malato
dal sapore dolciastro e nauseabondo. Marianna allunga una
mano verso la mano della figlia che giace col palmo rovescia-
to sulla coperta. Con due dita, cautamente, accarezza il pal-
mo umido.
Quante volte si aggrappata alle sue gonne quella mano
da bambina, come a sua v olta si era aggrappata lei al saio del
signor padre, con una richiesta di attenzione e una serie di
domande che si potevano racchiudere in una sola: posso fi-
darmi di te? ma forse anche la figlia aveva scoperto che non possibile confidare in chi, pur amandoti ciecamente, alla fine
resterincomprensibile e lontano.
Una mano il cui biancore spesso guastato dai morsi ros-
sastri delle zanzare, come quella di Agata. Simili in molte co-
se zia e nipote, tutte e due molto belle, con una vocazione alla
crudelt Aliene da ogni civetteria, ogni cura, ogni sentimen-
to di s tutte e due cupamente dedite all'amore materno, ra-
pite in una adorazione per i figli che rasenta l'idolatria.
Sola differenza: l'umorismo di Manina che cerca di met-
tere pace facendo ridere, pur restando seria lei. Agata si im-
mola alla maternitsenza chiedere niente in cambio, ma con
quale giudizio spregiativo verso le donne che non fanno la
stessa scelta. Ha gia partorito otto figli e continua a partori-
re, nonostante i SUOl trentanove anni, mai stanca, sempre alle
prese con balie, tate, cerusici, varveri e mammane.
Manina ama troppo la concordia per disprezzare chic-
chessia. Il suo sogno di cucire con lo stesso filo il marito, i
figli, i genitOri, i parenti e tenerli saldi a s A venticinque an-
ni ha gifatto sei figli, ed essendosi sposata a dodici, man
mano che crescono i figli, vanno assomigliando piche altro
a dei fratelli.
Se la ricorda ancora traballante sulle gambe grassocce
chiusa dentro un vestito a palloncino coperto di fiocchi rossi
che lei aveva fatto copiare da un quadro di Vel嫙quez di cui
possedeva una riproduzione ad acquarello. Una bambina ro-
sea, tranquilla, con gli occhi color acquamarina.
Non era ancora uscita da quel quadro che giera entrata
in un altro, al braccio del marito, la pancia enorme portata in
giro come un trofeo, offerta spudoratamente all'ammirazione
dei passanti.
Due aborti e un figlio nato morto. Ma ne era uscita senza
troppi danni. 侵l mio corpo una sala d'aspetto: c'sempre
qualche infante che entra o che escescriveva di salla ma-
dre E di quelle entrate e uscite non si adontava per niente,
anzl se ne beava: la confusione di bambini sempre in procin-
to di correre, mangiare, cacare, dormire, strillare, le metteva
addosso una grande allegria.
L'ultimo parto ora rischia di ucciderla. Il bambino era
messo bene, cosper lo meno diceva la mammana, il seno
aveva gicominciato a fabbricare latte e Manina si divertiva
a farlo assaggiare ai pipiccoli che accorrevano, si arrampi-
cavano sulle sue ginocchia, si attaccavano al capezzolo striz-
zando e tirando la carne affaticata.
Il bambino nato morto e lei ha continuato a perdere
sangue fino a diventare grigia. La levatrice, a furia di tampo-
nare e zaffare, riuscita a fermare l'emorragia ma di notte la
giovane madre ha cominciato a delirare. Ora legata a un fi-
lo, la faccia gessosa, gli occhi offuscati.

140

Marianna prende un batuffolo di cotone, lo intinge nel-
l'acqua e limone, lo accosta alle labbra della figlia. Per un
momento la vede aprire gli occhi ma sono ciechi, non la di-
stinguono.
Un sorriso compiaciuto passa su quella faccia esangue,
una sbavatura di sublime noncuranza di s un fulgore di sa-
crificio. Chi puaverle inculcato questa smania di abnega-
zione materna? questo entusiasmo per la perdita consapevole
di s la zia Teresa professa o la tata dai capelli bianchi e il
cilicio sotto il corpetto che la costringeva a pregare per ore in
ginocchio accanto al letto? oppure don Ligustro che anche
il confessore di zia Fiammetta e che le stato vicino per anni
insegnandole il catechismo e la dottrina? Eppure don Ligu-
stro non affatto un fanatico, anzi a un certo momento sem-
brava che amoreggiasse con il grande Cornelius Jansen detto
Giansenio. Da qualche parte ci deve essere conservato un bi-
glietto di padre Ligustro che comincia con una citazione di
Aristotele: 非io troppo perfetto per potere pensare ad altro
che a se stesso
NAgata nManina si aspettano niente dai loro mariti:
non amore namicizia. E forse per questo invece sono amate.
Don Diego di Torre Mosca non si allontana un momento dal-
la moglie ed geloso di lei fino allo spasimo.
Il marito di Manina, don Francesco Chiaranddi Ma-
gazzinasso, anche lui molto legato alla moglie anche se que-
sto non gli impedisce di assalire governanti e serve che circo-
lano per casa, soprattutto quando vengono dal "continente".
Com'successo con una certa Rosina venuta da Benevento,
una ragazza bella e sdegnosa che faceva la "cammarera di fi-
no". E rimasta incinta del signor barone e tutti si sono molto
agitati. La baronessa signora suocera Chiaranddi Magazzi-
nasso l'ha prelevata dalla casa del figlio e l'ha spedita a Mes-
sina in casa di certi amici che avevano bisogno di una serva
elegante. Fiammetta venuta dal convento per fare una stri-
gliata al nipote. Zie, cognate, cugine, si sono precipitate nel
grande salone del palazzo Chiaranddi via Toledo per com-
patire la "meschinedda".
La sola che non si sia curata per niente di tutta la faccen-
da invece proprio Manina che si pure offerta di allevare

141
lei il bastardo tenendo in casa anche la madre. E diceva delle
spiritosate sulla somiglianza di padre e figlio che 厚ortano lo
stesso naso a beccuccio Ma la signora suocera stata irre-
movibile e Manina ha ceduto, con la solita remissivit chi-
nando la bella testa su cui ha preso l'abitudine di appuntare
un vezzo di perle rosate.
Ora quelle perle sono lsul comodino e mandano dei ba-
gliori color malva nella penombra della camera. Accanto,
quattro anelli: il rubino della nonna Maria che porta ancora
addosso le macchie e gli odori del trinciato di Trieste, un
cammeo con la testa di Venere che appartenuto alla bis-
nonna Giuseppa, e prima di lei alla trisavola Agata Ucr駮,
una fede di oro massiccio e l'anello d'argento coi delfini che
portava il nonno Signoretto. Accanto, un fermacapelli di tar-
taruga tempestato di brillanti che passato dai capelli corvi-
ni della suocera a quelli biondi della nuora.
L'anello dei delfini il signor padre una volta l'aveva perso
mettendo in allarme tutta la famiglia. Poi era stato ritrovato,
vicino alla vasca delle ninfee, da Innocenza. La quale, dopo
quella volta, come dice il proverbio "fatti a fama e curcati",
era diventata per tutti "l'onesta Innocenza". Ma l'anello coi
delfini si era perso ancora: il signor padre questa volta lo ave-
va lasciato in casa di una cantante d'opera di cui si era inva-
ghito.
促er rispetto mi toglievo l'anello e lo posavo sul tavolino
da notteaveva scritto una volta confidenzialmente alla fi-
glia.
俘ispetto di che signor padre? 非ella mamma, della famiglia.Ma nello scriverlo gli era
sfuggito un sorriso. Coscredulo e incredulo insieme. Gli pia-
cevano i gesti ripetuti, le serate in famiglia ma anche le reci-
te, le ostentazioni, gli ardimenti di una sola notte vagabonda.
Non voleva che l'antica geometria degli affetti e delle abi-
tudini andasse stravolta, ma nello stesso tempo era curioso di
ogni idea nuova, di ogni emozione inaspettata, tollerante ver-
so le proprie contraddizioni e impaziente verso quelle degli
altri.
俑a poi l'avete ritrovato l'anello? 亟ro io il "vastaso", credevo che l'avesse rubato Clemen-

42

tina e invece me l'ha fatto trovare sul cuscino due giorni do-
po... una brava picciotta era... Di questi biglietti del signor padre ne ha una scatola
piena che tiene chiusa a chiave nel comdella camera da
letto. I suoi li butta via ma quelli del padre, qualcuno della
madre, qualcuno dei figli li conserva e ogni tanto va a rileg-
gerseli. La grafia disinvolta e slegata del signor padre, quel-
la stentata e affaticata della signora madre, le O strette e
slanciate di suo figlio Mariano, le esse e le elle svolazzanti
di sua f駪lia Felice, la firma storta e macchiata di inchiostro
della figlia Giuseppa.
Di Manina non ne ha neanche uno. Forse perchle ha
scritto poco o forse perchle sue parole sui fogli materni sono
sempre state cosinsignificanti da non lasciare traccia. Scri-
vere non le mai piaciuto a quella figlia dalle bellezze sun-
tuose e svagate. Semmai la musica, le note piche la parola.
E le spiritosaggini, che avevano sempre il fine di distogliere
gli altri da pensieri cupi, da liti o da malumori, arrivavano a
Marianna solo quando qualcuno glieli trascriveva. Non era
mai Manina a farlo.
Durante i primi anni di matrimonio Manina e Francesco
usavano invitare ogni sera amici e amiche nella grande casa
di via Toledo. Avevano un cuoco francese dalla faccia butte-
rata che preparava degli squisiti "fois gras" e delle buonissi-
me "coquilles aux herbes". Dopo le solite gremolate alla me-
lagrana e al limone passavano nel salone affrescato dall'In-
termassimi. Anche lchimere dal corpo di leonessa e la faccia
femminile che ricordava Marianna.
Manina sedeva al clavicembalo e faceva scorrere le dita
sui tasti, prima timidamente, con precauzione, poi sempre
pispedita e sicura e a questo punto la bocca le si piegava in
una smorfia amara, quasi feroce.
Dopo la morte del secondogenito e i due aborti che erano
seguiti, i Chiarandavevano smesso di ricevere. Solo la do-
menica qualche volta invitavano i parenti a pranzo e poi Ma-
nina veniva spinta quasi con la forza al clavicembalo. Ma la
sua faccia non si deformava pi rimaneva liscia e soave co-
me la si puvedere nel ritratto dell'Intermassimi che sta ap-
peso nella sala da pranzo fra un nugolo di angeli, uccelli del
paradiso e serpenti dalla testa di pesce.
In seguito ha rinunciato del tutto. Ora al clavicembalo
siede la figlia Giacinta di sette anni, accompagnata dal mae-
stro ticinese che batte il tempo sul coperchio con una bac-
chetta di legno di ulivo.
Marianna si assopita stringendo nel pugno la mano feb-
bricitante della figlia. Nella sua testa vuota rimbomba lo
scalpicc髺 degli zoccoli del baio Miguelito. Chissdove sta
galoppando ora il vecchio cavallo regalato al signor padre da
un lontano cugino, Pipino Ondes, che a sua volta l'aveva
comprato da uno zingaro.
Per anni Miguelito aveva vissuto nelle stalle dietro villa
Ucr駮 accanto al "dammuso" dei Cal assieme agli altri ca-
valli arabi. Poi il signor padre aveva preso a prediligerlo per
il suo carattere docile e coraggioso e lo montava per andare a
trovare i Butera o i Palagonia e qualche volta si faceva porta-
re fino a Palermo. Da vecchio era finito in casa Cal prima
spinto a fughe precipitose fra gli ulivi dalle due gemelle Lina
e Lena, e poi, cieco di un occhio, trasportava il vecchio Cal dietro le vacche per la piana di Bagheria. Alla morte delle ge-
melle lo si vedeva ancora girare per l'uliveto, magrissimo ma
pronto ad infuocarsi appena imbroccava la discesa polverosa
della villa.
Fra poco gli salterin groppa, si dice Marianna e andre-
mo a trovare il signor padre, ma dove? il cavallo orbo e spela-
to, i denti ingialliti e rotti per l'et non ha perso la sua aria
ardimentosa, la folta criniera color caffper cui andava fa-
moso. Ha qualcosa di strano peralla coda, gli si allungata,
attorcigliata, e gonfiata. E ora si stende, si snoda, mette fuori
una punta aguzza; pare che voglia afferrarla per la vita e
sbatterla contro una roccia. Che si stia trasformando in uno
di quei cani che popolavano i sogni della signora madre?
Marianna apre gli occhi giusto in tempo per scorgere die-
tro la porta socchiusa, un ciuffo nero saltellante, uno sguardo
liquido e nero che la spia.

xxv





Da lontano fanno pensare a tre grosse tartarughe che si
muovano lentamente lungo il viottolo in mezzo alle erbe alte
e ai sassi. Tre tartarughe: tre lettighe, ciascuna preceduta e
seguita da due mule. In fila indiana, una dietro l'altra fra i
boschi e i dirupi, lungo un sentiero impervio che da Bagheria
porta verso i monti delle Serre passando per Misilmeri, Vil-
lafrati, fino a raggiungere le alture della Portella del Coni-
glio. Quattro uomini armati seguono la carovana, altri quat-
tro aprono la strada con i moschetti sulle spalle.
Marianna se ne sta seduta sospesa, incassata nello stretto
sedile, le gonne pesanti sollevate un poco sulle caviglie suda-
te, i capelli tirati e attorcigliati sulla nuca perchfacciano
meno calore. Ogni tanto alza una mano per cacciare via una
mosca.
Di fronte a lei, sul sedile foderato di broccato, in un vesti-
to bianco di velo d'India, un fiscidi seta azzurro buttato
sulle ginocchia, dorme Giuseppa incurante delle scosse e del-
le oscillazioni della lettiga.
Ora il sentiero si fatto piripido e pistretto, da una
parte in bilico su un precipizio cosparso di roccioni grigio ro-
sati, dall'altra sovrastato da una parete ripida di terre nere e
cespugli intricati. Gli zoccoli delle mule ogni tanto slittano
sulle rocce facendo pencolare la lettiga, ma poi si riprendono,
salgono ancora schivando le buche.
Il mulattiere guida i loro passi tenendo ritta davanti a s una pertica per saggiare il terreno pantanoso. A volte le zam-
pe delle mule sprofondano nell'argilla e non ne escono che a
fatica, a furia di frustate, appesantite da zolle di fango; altre
145
volte l'erba alta e aguzza si aggroviglia attorno alle caviglie
delle bestie impedendo loro il passo.
Marianna si afferra alla maniglia di legno, lo stomaco in
subbuglio, chiedendosi se finirper vomitare. Affaccia la te-
sta allo sportello, vede la lettiga sospesa sopra un dirupo: ma
perchnon Sl arrestano, perchnon cessa quel dondolio esa-
sperante che scombussola le viscere? Il fatto che fermarsi pericoloso piancora che camminare e le mule, come se lo
capissero, vanno avanti a testa bassa, soffiando, mantenendo
con un sapiente gioco dei muscoli l'equilibrio fra le stanghe
Le mosche vanno e vengono dai musi delle bestie all'in-
terno della vetturetta: il movimento le eccita. Passeggiano sui
capelli raccolti della duchessa, sulle labbra dischiuse di Giu-
seppa. Meglio guardare lontano, si dice Marianna, cercare di
dimenticare quella situazione di prigionia sospesa fra due pa-
li in equilibrio sul vuoto.
Sollevando lo sguardo puvedere, oltre il precipizio pie-
troso, oltre un bosco di sugheri, in mezzo a un digradare di
campi gialli bruciati, la valle di Sciara dai larghi appezza-
menti coltivati a grano: distese di terreni coperti da una la-
nuggine gialla piumata appena scossa dal vento. Fra i campi
di grano, VlVO e snodato come un serpente dalle scaglie lu-
centi, il San Leonardo che si butta nel golfo di Termini Ime-
rese.
Negli occhi dilatati di Marianna il grosso fiume dal colore
metallico, i boschi di sugheri dalle striature rossicce, le diste-
se di canne, sono chiusi dentro un blocco di calore vetroso
appena scosso da un verminare interno appena percettibile.
Il paesaggio grandioso le ha fatto dimenticare le mosche e
il mal di mare. Fa per allungare una mano verso la figlia che
dorme con la testa penzoloni su una spalla; ma poi si ferma
con la mano a metstrada. Non sa se svegliarla per mostrar-
le il panorama o lasciarla riposare ricordando che la mattina
si sono alzate alle quattro e il dondolio non aiuta certo a ri-
manere sveglie.
Cercando di non mettere in pericolo l'equilibrio del fragi-
le involucro a cupola Marianna si sporge per vedere se le al-
tre lettighe seguono. In una si trovano Manina, tornata ma-
gra e bella dopo la guarigione, e Felice che si "sciuscia" con
un gran ventaglio di seta gialla. Nell'altra viaggiano Inno-
cenza e ~`ila.
Fra gli uomini armati ci sono Raffaele Cuffa, Calogero
Usura, suo cugino, Peppino Geraci, il giardiniere di villa
Ucr駮, il vecchio Ciccio Cal TotMilza suo nipote e Saro
che da quando il signor marito zio morto lasciandogli in
ereditcento scudi pitutti i suoi vestiti ha preso un'aria di
studiata lentezza che lo rende un poco ridicolo ma gli dan-
che un nuovo splendore.
Gli sono scomparsi i quarti di luna dal petto. Il ciuffo ne-
ro non scivola piimpertinente sulla fronte ma viene caccia-
to a forza dentro un parrucchino dai riccioli bianchi di quan-
do il duca Pietro era un giovanotto che gli sta un po' largo e
tende a scivolargli sulle orecchie.
E sempre molto bello anche se di una bellezza diversa,
meno infantile, piconsapevole e compunta. Ma soprattutto
cambiato nei modi che ora sono quasi quelli di un signore
nato fra i lini di un grande palazzo di Palermo. Ha imparato
a muoversi con garbo ma senza affettazione. Monta a cavallo
come un principe mettendo la punta dello stivale nella staffa
e tirandosi su con un balzo leggero e composto. Ha imparato
a inchinarsi davanti alle signore tendendo la gamba in avanti
e compiendo col braccio un'ampia curva, non senza rovescia-
re all ultimo momento il polso che scuote le piume del tricor-
no.
Ha salito a uno a uno gli scalini della gloria, il risoluto or-
fano scoperto una notte seminudo nella camera di Fila col co-
dino da topo e il sorriso contrito. Ma non si accontenta, ora
vuole imparare a scrivere e a fare di conto. Tanta la diligen-
za che ci mctte, tanta la pazienza che anche il signor marito
zio l'aveva preso a stimare e lo aveva aiutato dandogli lui
stesso lezioni di araldica, di buone maniere e di cavalleria.
Ora rimangono da salire gli ultimi gradini e fra questi c' la conquista della sua stessa signora, la bella mutola che con
tanta arroganza si rifiuta al suo amore. E questo che lo rende
cosardito? o c'dell'altro? difficile dirlo. Il ragazzo ha anche
imparato a dissimulare.
Al funerale del signor marito zio era il piafflitto, come
gli fosse morto un padre. E quando gli hanno detto che il du-

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ca gli aveva lasciato una piccola ereditin monete d'oro, ve-
stltl, scarpe e parrucche diventato pallido per la sorpresa e
ha continuato a ripetere che "non ne era degno".
Quel funerale aveva stallcato Marianna fino a farle per-
dere il fiato: nove giorni di cerimonie, di messe, di cene fra
parenti, la preparazione dei vestiti di lutto per l'intera fami-
glia, gli addobbi dei fiori, le centinaia di ceri per la chiesa, le
reputatrici che hanno pianto per due notti e due giorni ac-
canto al cadavere.
Infine il corpo era stato portato alle catacombe dei Cap-
puccini per l'imbalsamazione. Lei avrebbe preferito che ripo-
sasse sotto terra ma Mariano e il signor fratello Signoretto
erano stati irremovibili: il duca Pietro Ucr駮 di Campo Spa-
gnolo, barone di Scannatura, conte della Sala di Paruta,
marchese di Sollazzi, doveva essere imbalsamato e conserva-
to nelle cripte dei Cappuccini come i suoi avi.
Erano discesi nelle catacombe in molti, inciampando ne-
gli strascichi, rischiando di mandare a fuoco con le torce il
catafalco, in un traffico di mani, scarpe, cuscini, fiori, spade,
livree, candelabri.
Poi erano spariti tutti e lei si era trovata sola col corpo
nudo del marito morto mentre i frati preparavano il colatoio
e la cella nel salnitro.
Da principio si era rifiutata di guardarlo: le sembrava in-
discreto. I suoi occhi si erano posati piin lsopra tre vecchi
dalla pelle incatramata incollata alle ossa che la fissavano
dalle pareti a cui erano agganciati per il collo, le mani schele-
triche legate sul petto con un laccio.
Sopra gli scaffali di legno laccato giacevano altri morti:
donne eleganti nei loro vestiti di festa, le braccia incrociate
sul petto, le cuffie dagli orli ingialliti, le labbra stirate sui
denti. Alcune stavano lallungate da qualche settimana e
mandavano un odore acuto di acidi. Altre erano lda cin-
quant'anni, un secolo e avevano perso ogni odore.
Una usanza barbara, si diceva Marianna cercando di ri-
cordare le parole del signor Hume sulla morte; ma la sua te-
sta era vuota. Meglio essere bruciati e gettati nel Gange co-
me fanno gli indiani, piuttosto che starsene in questi sotterra-
nei, ancora una volta tutti insieme fra parenti e amici dai
grandi nomi, la pelle che si sbriciola come carta.

Il suo sguardo si era posato su un corpo sotto vetro, que-
sto sperfettamente conservato: una bambina dalle ciglia
lunghe, bionde, le orecchie come due minuscole conchiglie
appoggiate su un cuscino ricamato, la fronte alta, scoperta su
cui brillavano due gocciole di sudore. E di colpo l'aveva rico-
nosciuta: era la sorella di sua nonna Giuseppa, morta a sei
anni di peste. Una prozia mai cresciuta che sembrava volere
annunciare il miracolo della eternitdella carne.
Di tutti i corpi ammucchiati ldentro solo quello della
bambina si era mantenuto come tutti sperano di mantenersi
dopo morti: integri, morbidi, assorti in una tranquilla noia. E
invece l'imbalsamazione dei frati, tanto famosa per l'uso del
salnitro naturale, dopo qualche tempo si sfalda, si indurisce,
tira fuori gli scheletri che rimangono appena velati da una
pellicola di carne scura e secca.
Marianna aveva riportato gli occhi sul corpo nudo del
marito disteso di fronte a lei. Ma perchl'avevano voluta la-
sciare lsola? forse perchgli desse l'ultimo saluto o perch riflettesse sulla fragilitdel corpo umano? Stranamente la vi-
sta di quelle membra abbandonate la rassicurava: era cos diverso dagli altri corpi che la circondavano, cosfresco e
quieto, tutto segnato da vene, ciglia, capelli, labbra in rilievo
che sono proprie dei vivi. Quell'onda di capelli grigi conser-
vava intatto il ricordo delle campagne assolate, le guance
trattenevano ancora qualche brandello della luce rosata delle
candele.
Appena sopra di lui una piccola targa incisa nel rame di-
ceva 匍emento mori>; ma il cadavere del signor marito zio
sembrava invece dire 匍emento vivere tanta era la forza di
quelle carni indolenzite in confronto alla sfarzosa cartapesta
del popolo degli imbalsamati. Cosnudo non l'aveva mai vi-
sto; cosnudo e arreso eppure composto e dignitoso nei suoi
muscoli assopiti, nelle pieghe severe del volto impietrito.
Un corpo che non le ha mai ispirato amore per quei modi
austeri, violenti e freddi a cui si accompagnava. Da ultimo
aveva cambiato qualcosa nella maniera di avvicinarsi a lei:
furtivo sempre come se dovesse rubarle qualcosa, ma preso
da una incertezza nuova, un dubbio che veniva dall'inspiega-
bile rifiuto sub鮅o tanti anni prima.
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Quella dolcezza ruvida, un poco recitata che nasceva da
un perplesso e silenzioso rispetto glielo aveva reso meno
estraneo. Anzi, a volte si era scoperta a desiderare di strin-
gergli una mano ma sapeva che anche l'idea di una carezza
era per lui inammissibile. Aveva ereditato dai padri un'idea
dell'amore da rapace: si punta, si assale, si lacera, e si divora.
Dopo di che si va via sazi lasciandosi dietro una carogna, una
pelle svuotata di vita.
Quel corpo nudo abbandonato sulle lastre di pietra,
pronto a essere tagliato, svuotato, riempito di salnitro, le
ispirava adesso una improvvisa simpatia. O forse qualcosa di
pi della piet Aveva allungato una mano e gli aveva carez-
zato una tempia con due dita leggere mentre delle lagrime
non previste e non volute prendevano a scenderle giper le
gote.
Scrutando quel viso affilato e livido, seguendo la curva
sfuggente delle labbra, le sporgenze degli zigomi, le minusco-
le pinne scure del naso, cercava di capire il segreto di quel
corpo.
Non l'aveva mai immaginato bambino il signor marito
zio. Era impossibile. Da quando lo conosceva era sempre sta-
to vecchio, chiuso dentro quei vestiti rossi che ricordavano
gli addobbi secenteschi piche le eleganze del nuovo secolo,
la testa eternamente coperta da parrucche arzigogolate, i ge-
sti misurati, rigidi.
Eppure una volta aveva visto un ritratto di lui bambino
che poi si era perso. Davanti a un festone di fiori e frutta spic-
cavano le teste dei due fratelli Ucr駮 di Campo Spagnolo:
Maria bionda, sognante e giun poco pingue; Pietro dai ca-
pelli pichiari, stopposi, alto e legnoso, con uno sguardo di
tristezza orgogliosa negli occhi. Dietro, come in una bacheca,
apparivano le teste dei genitori: Carlo Ucr駮 di Campo Spa-
gnolo, e Giulia Scebarr跴 di Avila. Lei robusta e nera di ca-
pelli, un'aria zelante e autoritaria; lui delicato e sfuggente
chiuso dentro una giubba dai colori smorti. Era dalla parte
degli Ucr駮 che veniva quella morbidezza dei tratti di Maria,
mentre Pietro aveva preso dai vecchi Scebarr跴, razza di in-
vasori e despoti rapaci.
Nonna Giulia raccontava che Pietro da piccolo era pigno-

150

lo e suscettibile: attaccava brighe per un nonnulla e si diver-
tiva a fare a pugni con chiunque. Vinceva sempre, pare, per-
chnonostante l'aria sofferente aveva muscoli guizzanti, di
ferro. In famiglia era tenuto per uno stravagante. Parlava po-
co, era attaccato morbosamente ai suoi vestiti che pretende-
va di seta e di damasco, bordati d'oro.
Eppure aveva anche degli slanci di generositche lascia-
vano sbalorditi i familiari. Un giorno aveva radunato i figli
dei vaccari di Bagheria e aveva regalato loro tutti i suoi gio-
cattoli. Un altro giorno aveva preso alcuni gioielli di sua ma-
dre e li aveva consegnati a una poveretta che chiedeva l'ele-
mosina.
Amava il gioco ma sapeva moderarsi. Non passava le
notti al tavolino fra le carte, come molti dei suoi amici; non
manteneva camiciaie o stiratrici, non beveva che un poco di
vino delle vigne del padre. Solo la lotta lo attirava, anche con
gente al di sotto del suo rango e per questo era stato punito
dalla signora nonna Giulia con la frusta.
Contro i genitori pernon si era mai rivoltato: anzi li ve-
nerava e ogni volta aveva accettato le punizioni con fredda
compunzione. Per tutta l'adolescenza e la giovinezza non
aveva avuto amori che non fossero la sorella Maria. Con lei
faceva delle interminabili partite a faraone.
Quando la piccola Maria si era sposata lui si era chiuso
in casa e non era pivoluto uscire per quasi un anno. Come
tutta compagnia teneva una capretta che faceva coricare sul
suo letto e mentre mangiava la lasciava sotto la tavola assie-
me ai cani.
In famiglia era stata tollerata finchera rimasta una be-
stiola dalla testa morbida e le zampettine leggere. Ma quan-
do crescendo aveva messo corna ritorte e si era trasformata
in un grosso animale che prendeva a testate i mobili, la si-
gnora nonna Giulia aveva ordinato di portarla in campagna
e lasciarla 1i.
Pietro aveva ubbidito ma poi di notte usciva di nascosto
per andare a dormire nella stalla con la capra. Nonna Giulia
l'aveva saputo e aveva fatto uccidere la bestia. E poi, davanti
a tutta la famiglia, aveva frustato il figlio sulle natiche nude.
Proprio come faceva con lei e i suoi fratelli il vecchio bisnon-
no Scebarr跴 quando erano ragazzini.
Da quel giorno il paziente Pietro era diventato "reticu e
strammu". Spariva per settimane e nessuno sapeva dove an-
dasse. Oppure si chiudeva nella sua stanza e non lasciava en-
trare neanche la cameriera che andava a portargli il cibo.
Con la madre non parlava anche se nel vederla si inchinava
come era suo dovere.
A quarant'anni non si era ancora sposato e, salvo per il
bordello dove andava qualche volta, non sembrava conosce-
re l'amore. Solo con la sorella Maria aveva qualche confi-
denza. Andava spesso a trovarla nella casa del marito e con
lei qualche parola la diceva. Il padre era morto poco dopo
la morte della capra ma nessuno lo aveva rimpianto perch era un uomo talmente spento da parere defunto anche men-
tre era vivo.
Quando era nata la nipote Marianna era diventato anco-
ra piassiduo a via Alloro pur non avendo una grande sim-
patia per il cugino cognato Signoretto. Si era affezionato alla
bambina che prendeva in braccio e coccolava come aveva
fatto con la capretta anni prima.
Nessuno pensava di dargli moglie, finchnon era morto
uno zio scapolo del ramo Scebarr跴 che aveva accumulato
terre e soldi lasciando poi ogni cosa all'unico nipote. Allora
la signora nonna Giulia aveva deciso di dargli in sposa una
grande dama palermitana da poco rimasta vedova: la mar-
chesa Milo delle Saline di Trapani, una donna di polso che
avrebbe potuto temperare le stranezze del figlio. Ma Pietro si
era opposto e aveva dichiarato che lui non avrebbe mai dor-
mito nello stesso letto con una donna salvo che non fosse una
delle figlie di sua sorella Maria. E poichdi figlie ce n'eranQ
tre e una era promessa monaca, ne restavano due: Agata e
Marianna. Agata era troppo piccola, Marianna era sordo-
muta, ma aveva appena compiuto tredici anni, l'etin cui le
ragazze vanno spose.
Fra l'altro, si erano detti la signora madre Maria e il si-
gnor padre, Agata era sprecata darla allo zio, con la sua bel-
lezza si poteva contrattare un magnifico matrimonio. Perci era giusto che fosse Marianna a sposare l'eccentrico Pietro.
D'altronde lui mostrava di esserle molto affezionato. Inoltre
c'era un bisogno urgente di soldi freschi per pagare debiti an-

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tichi e nuovi, c'era da rimettere a posto il palazzo di via Al-
loro che cadeva a pezzi, da ricomprare carrozze e cavalli e ri-
fare tutte le livree di casa. Marianna non avrebbe perduto
niente: se non si fosse sposata sarebbe stata chiusa in un mo-
nastero. Cos invece, avrebbe aperto una nuova dinastia: gli
Ucr駮 di Campo Spagnolo, baroni di Scannatura, conti della
Sala di Paruta, marchesi di Sollazzi e di Taya, nonchbaroni
di Scebarr跴 di Avila.
Prima di morire la nonna Giulia aveva chiamato il figlio e
gli aveva chiesto di perdonarla per averlo frustato davanti al-
la servitper quella storia della capra. Il figlio Pietro l'aveva
guardata senza dire una parola e poi, solo un momento pri-
ma che lei spirasse aveva detto con voce forte: 俟pero che ab-
biate la fortuna di incontrare i vostri parenti Scebarr跴 al-
l'inferno E questo mentre il prete snocciolava il gloria patri
e le prefiche si preparavano a piangere a pagamento per tre
notti e tre giorni.
CosPietro aveva avuto la nipote. Ma da quando si era
sposato era stato incapace di ripetere quei gesti che aveva
avuto quando lei era bambina. Come se il matrimonio, con-
sacrandola, avesse raggelato la sua tenerezza paterna.
XXVI





亟 don Mariano?侮ostru figghiu non vinni cu voscien-
za?青he fa, si scant俠o aspettassimo u novu signuri. 青on la morte di don Pietro ci toccava... Marianna cinci-
schia con le dita inquiete i biglietti che tiene in grembo. Co-
me giustificare l'assenza di Mariano diventato improvvisa-
mente capofamiglia, erede e proprietario dei feudi di Campo
Spagnolo, di Scannatura, di Taya, della Sala di Paruta, di
Sollazzi e Fiumefreddo? come dire a questi campieri e gabel-
loti venuti a riverirli che il giovane Ucr駮 rimasto a Palermo
con la moglie perch semplicemente, non aveva voglia di
muoversi?
隹ndateci voi mam io ho da farele aveva scritto com-
parendole improvvisamente davanti nella nuova giamberga
di broccatello inglese tempestato di incrostazioni d'oro.
E vero che dodici ore di lettiga su per quei sentieri di mon-
tagna sono una punizione e davvero pochi dei baroni paler-
mitani si assoggettano a simili fatiche per visitare i loro feudi
dell'interno. Ma questa di oggi una delle rare occasioni ri-
tenute essenziali sia dai parenti e dagli amici che dai dipen-
denti. Il nuovo padrone deve andare a fare un giro delle sue
propriet deve farsi conoscere, parlare, sistemare le vecchie
case padronali, informarsi sugli avvenimenti accaduti duran-
te le lunghe assenze cittadine, cercare di suscitare un poco di
ammirazione, di simpatia, o per lo meno di curiosit
Forse ha fatto male a non insistere, si dice Marianna, ma
lui non gliene aveva lasciato il tempo. Le aveva baciato la
mano e se n'era andato veloce come era venuto smuovendo
l'aria col suo acuto profumo alle rose. Lo stesso che usava il
signor padre, solo che lui si inumidiva appena le "dentelles"
della camicia, mentre il figlio se ne serve senza discrezione
versandosene addosso delle bottigliate intere.
Di lei, mutola, i campieri e i gabelloti hanno una soggezio-
ne che rasenta la paura. La considerano una specie di santa,
una che non appartiene alla razza grandiosa dei signori ma a
quella miserabile e in qualche modo sacra degli storpi, dei
malati, dei mutilati. Ne hanno pietma sono anche irritati
dai suoi occhi curiosi e penetranti. E poi non sanno scrivere e
lei con i suoi biglietti, le sue penne, le mani macchiate d'in-
chiostro li mette in uno stato di agitazione insopportabile.
Di solito incaricano il prete don Pericle di scrivere per loro,
ma nemmeno questa intercessione li soddisfa. E poi una
donna e per quanto padrona, che pucapire una "fimmina"
di propriet di grani, di campi di semina, di debiti, di gabel-
le, eccetera?
Per questo ora la guardano delusi, ripetendo quel ritornel-
lo su don Mariano, anche se non l'hanno mai visto. Il duca
Pietro stato da loro un anno prima di morire. Era arrivato a
cavallo come sempre, rifiutando il sedile foderato di raso del-
la lettiga, col suo fucile, i suoi guardiani, i suoi rotoli di carta,
le sue bisacce.
Ora si trovano davanti la signora duchessa Marianna e
non sanno da dove cominciare. Don Pericle se ne sta seduto
mezzo disteso sulla seggiolona di pelle unta e sgrana un rosa-
rio fra le dita paffute. Aspetta che comincino a parlare. Da
come gli uomini allungano il collo verso la veranda, Marian-
na capisce che le figlie stanno passeggiando e ridendo sotto i
portici, forse spazzolandosi i capelli all'ombra degli archi di
pietra.
Avrebbe voglia di chiudersi in camera a dormire. Ha la
schiena indolenzita, gli occhi brucianti, le gambe irrigidite
dalla fatica di stare ferme e piegate per ore. Ma sa che in
qualche modo deve affrontarla quella gente, deve farsi perdo-
nare l'assenza del figlio e cercare di convincerli che davvero
non poteva venire. Percisi fa forza e con un gesto li invita a
parlare. Don Pericle trascrive nel suo linguaggio lapidario.
俊redici onze per rifare pozzo. Ma risulta asciutto. Occor-
rono altre dieci onze. 隹 Sollazzi manca manovalanza. Vaiolo si portdieci uo-
mini.
154 1 155
俗n prigioniero per insolvenza. Contadino feudo Campo
Spagnolo. In catene da venti d 亮rano venduto: 120 salme. Aumentate tratte di vendita.
Manca liquido. Soldi in cassa: 0,27 onze, tar110. 青acio delle vostre pecore che sono 900 uguale 30 rotoli e
10 di ricotta. 俠ana: quattro rotoli. Marianna legge con pignoleria tutti i foglietti che don Peri-
cle le passa mano mano che gli uomini parlano. Annuisce col
capo; osserva le facce dei suoi gabelloti e dei suoi campieri:
Carlo Santangelo detto "u zoppu" sebbene non zoppichi af-
fatto; l'ha conosciuto quando venuta col signor marito zio
subito dopo essersi sposata. Una testa dai tratti forti, i capelli
radi sul cranio abbronzato, la bocca dalle labbra aride, spac-
cate dal sole. Tiene in mano un cappello grigio dalle falde
molli e larghe che sbatte contro una coscia con impazienza.
C'Ciccio Panella il quale ha preteso che don Pericle scri-
vesse per la "duchissa" il suo nome in grande su un foglio pu-
lito. ~ un nuovo campiere: avrse no ventidue anni. Ma-
gro scannato, gli occhi vivi, una grande bocca a cui mancano
due denti sul lato destro. Sembra il piincuriosito da lei, il
meno infastidito dall'idea di avere a che fare con una padro-
na anzichcon un padrone. Le osserva la scollatura dell'abi-
to con gli occhi accesi, chiaramente affascinato dal biancore
della pelle di lei.
C'Nino Settanni, veterano del feudo: anziano, ben pian-
tato, con gli occhi che sembrano dipinti tanto sono neri, orla-
ti di nero e chiusi dall'arco di due sopracciglia folte e scure. I
capelli invece sono bianchi e gli cadono a ciocche disordinate
sulle spalle.
Don Pericle continua a porgerle foglietti riempiti dalla sua
lunga e larga scrittura a pioggia. Lei adesso li accumula sul
palmo rovesciato e si propone di leggerli pitardi con calma.
In realtnon sa bene cosa farne di quei foglietti ncosa ri-
spondere a questi uomini venuti a "darci cuntu" delle entrate
e delle uscite, nonchdelle tante questioni che accompagna-
no la vita dei campi.
Ma sarvero del prigioniero tenuto in casa? avrcapito
bene? e dove lo avranno messo?

俗nni sta u priggiunieri? 促roprio sotto a nuautri, nelle cantine, voscienza.>~
非ite ai gabelloti e ai campieri di tornare domani. Don Pericle non si scompone per nessuna ragione, fa un
gesto col capo e i gabelloti e i campieri si avviano verso l'usci-
ta dopo essersi inchinati a baciare la mano alla duchessa mu-
tola.
Sulla porta incontranFila che entra reggendo un vassoio
carico di bicchieri dal gambo lungo e sottile. Marianna fa per
mandarla indietro ma troppo tardi. Con dei gesti di corte-
sia invita gli uomini a tornare sui loro passi per accettare il
rinfresco apparso al momento sbagliato.
Le mani si allungano incerte, preoccupate, sul vassoio
d'argento, si chiudono delicatamente attorno agli steli come
se dovessero col solo tocco delle dita ruvide fare esplodere il
cristallo, si portano cautamente il calice alla bocca.
Poi eccoli rimettersi in fila per il baciamano ma la padrona
li congeda risparmiando loro questo obbligo seccante. Ed es-
si le sfilano davanti inchinandosi rispettosi, compunti, coi
cappelli in mano.
隹ccompagnatemi sotto al dammuso don Periclescrive
Marianna con mano spazientita. E don Pericle, impertur-
babile, le porge un braccio ricoperto di profumato panno
nero.
Un lungo corridoio, un ripostiglio buio, la sala delle con-
serve, la cucina, l'essiccatoio, un altro corridoio, il salone del-
la caccia coi fucili appesi alla rastrelliera, dei panieri sparsi
sul pavimento, due anatre di legno appoggiate su una sedia.
Un odore acuto di pelle mal conciata, di polvere da sparo e di
grasso di montone. Poi ecco, la saletta delle bandiere: lo sten-
dardo sabaudo arrotolato goffamente in un angolo, la ban-
diera bianca dell'Inquisizione, quella celestina di Filippo V,
quella bianca, rossa e argento di Elisabetta Farnese, quella
con l'aquila degli Asburgo e quella azzurra coi gigli d'oro dei
Borboni.
Marianna si ferma un momento in mezzo alla sala indi-
cando a don Pericle le bandiere arrotolate. Vorrebbe dirgli
che tutti quei cenci messi insieme sono inutili, andrebbero
buttati via; che rivelano solo l'indifferenza politica del si-

156 1 157
gnor marito zio il quale dubitando della stabilitdelle Case
regnanti se le teneva tutte lpronte. E se nel 1713 ha issato,
come tutti, la bandiera sabauda sulla torre di Scannatura e
nel 1720 ha fatto sventolare quella austriaca di Carlo VII
d'Asburgo, con altrettanta tranquillitnel '35 ha issato
quella di Carlo III re delle Due Sicilie, senza mai mettere
via quelle precedenti. Pronto a tirarle fuori come nuove nel
caso di un ritorno, come d'altronde successo con gli spa-
gnoli che cacciati dall'isola ci sono tornati trentacinque anni
dopo una guerra terribile che ha fatto pimorti di una epi-
demia di vaiolo nero.
Piche opportunismo quello del duca Pietro era disprez-
zo per 叛uei vastasi che vengono a mangiarci sulla testa
Di accordarsi con altri scontenti, di porre delle condizioni,
di resistere alle prepotenze straniere non gli sarebbe mai
passato per la mente. I suoi passi di lupo lo portavano ldo-
ve c'era qualche pecora solitaria da assalire. La politica gli
era incomprensibile; i guai si dovevano risolvere da soli in
un tu per tu col proprio Dio, in quel luogo desolato ed eroico
che era per lui la coscienza di un nobile siciliano.
Don Pericle, dopo essere rimasto un po' ad aspettare che
lei si decidesse a riprendere il cammino, le duna tirata alla
manica, ma appena percettibile, con un fare restio da topo.
E lei si muove rendendosi conto solo ora della sotterranea
fretta di lui. E probabile che abbia fame, lo capisce dalla
pressione appena un poco troppo marcata della mano che la
guida.

XXVII





Gli scalini sprofondano nel buio, l'umido le incolla ad-
dosso la camicia, da dove viene questo calore che puzza di to-
pi e di paglia? e dove portano questi gradini sdrucciolevoli di
pietra macchiata?
I piedi di Marianna si impuntano, la sua faccia si volta
contratta verso don Pericle che la guarda stupito senza capi-
re. Un ricordo improvviso le ha annebbiato gli occhi: il si-
gnor padre chiuso nel saio col cappuccio calato, il ragazzo
dagli occhi che spurgano, il boia che sputa semi di zucca: tutto lcorposo e compatto, basta allungare un dito per met-
tere in movimento la ruota che tira su l'acqua sporca del pas-
sato.
Don Pericle si agita cercando un appiglio a cui tenersi nel
caso che la duchessa gli svenga fra le braccia: la soppesa con
gli occhi e gibutta le mani in avanti piantandosi solidamen-
te sulle gambe.
La faccia spaventata del prete fa sorridere Marianna ed
ecco che le visioni sono gisparite; di nuovo salda sulle gi-
nocchia. Ringrazia col capo don Pericle e riprende a scendere
le scale. Qualcuno intanto sopraggiunto reggendo una tor-
cia. La tiene alta col braccio per fare luce sui gradini.
Dall'ombra che si disegna contro la parete Marianna in-
dovina che si tratta di Saro. Il respiro le si fa piaffrettato.
Ora davanti a loro si para una grossa porta di quercia chiara
tutta martoriata da chiodi e bulloni. Saro infila la torcia in
un anello di ferro che sporge dalla parete, allunga una mano
per farsi dare la chiave e si dirige con grazia disinvolta verso
il pesante catenaccio. Con poche mosse rapide apre la porta,

1~,9
riprende in mano la torcia e fa strada alla duchessa e al prete
dentro la cella.
Seduto su un mucchietto di paglia c'un uomo dai capelli
bianchi, tanto sporchi che sembrano gialli; un farsetto di la-
na sdrucita sopra il petto nudo, un paio di brache rattoppate,
i piedi scalzi, gonfi e feriti.
Saro solleva la torcia sul prigioniero che li guarda stupito
stropicciandosi gli occhi. Sorride e accenna una piccola rive-
renza alla vista degli abiti suntuosi della duchessa.
青hiedetegli perchsta rinchiuso qua dentroscrive Ma-
rianna appoggiando il foglio su un ginocchio. Nella fretta ha
dimenticato la tavoletta.
侮e l'ha gidetto il campiere, per insolvenza. 侮oglio saperlo da lui. Don Pericle, paziente, si avvicina all'uomo, gli parla.
L'altro ci pensa su un pezzo, poi risponde. Don Pericle tra-
scrive le parole dell'uomo appoggiando il foglio contro la pa-
rete, tenendosi a distanza col corpo per hon schizzarsi con
l'inchiostro e chinandosi ogni momento per immergere la
penna nella boccetta posata sul pavimento.
非ebiti col gabelloto non pagati da un anno. Ci portaro-
no via le tre mule che aveva. Aspettarono un altro anno al 25
per cento. L'anno dopo il debito era avanzato di 30 onze e lui
mancandoli lo incarcerarono. 亟 perchfece debiti col gabelloto? 侵l raccolto non gli bast 俟e sapeva di non potere pagare perchchiese ancora? 俏on c'era di che manciari. 俊esta d'asino, il gabelloto come mai mangia e lui no? La risposta non arriva. L'uomo alza gli occhi pensosi sul-
la grande signora che traccia con mano rapida dei misteriosi
segni neri su piccoli fogli di carta bianca, impugnando una
piuma che ha tutta l'aria di essere stata strappata dal culo di
una gallina.
Marianna insiste, batte le dita sul foglio e lo caccia sotto
il naso del prete. Il quale riprende a interrogare il contadino.
Finalmente quello risponde e don Pericle scrive, questa volta
appoggiando il foglio sulla schiena di Saro che compiacente
si inchina in avanti facendo da scrittoio.



5. La lYnga vita di Mananna Uc~ia

侵l gabelloto prende in affitto la terra da voscienza, du-
chissa, e la din colon駮 al qui presente viddanu che la colti-
va e si prende il quarto del raccolto, su questo quarto iddu
deve dare al gabelloto una quantitdi sementi superiore a
quella anticipata dal gabelloto, deve pagare i diritti di prote-
zione e se il raccolto non buono e se c'da riparare un at-
trezzo deve tornare a chiedere al gabelloto. A questo punto
arriva il campiere a cavallo col fucile e lo porta in prigione
per insolvenza... cap髺 voscienza? 亟 quanto deve stare qui dentro? 隹ncora un anno. 亭atelo uscirescrive Marianna e sotto ci mette la firma
quasi fosse un giudizio di Stato. E in effetti, in quella casa, in
quel feudo, il padrone ha i poteri di un re. Quest'uomo, come
Fila a suo tempo, stato "regalato" a Mariano dal signor
marito zio che a sua volta l'ha avuto in regalo dallo zio Anto-
nio Scebarr跴 che a sua volta...
Non scritto da nessuna parte che questo vecchio dai ca-
pelli gialli appartenga agli Ucr駮, ma di fatto possono farne
quello che vogliono, tenerlo nei sotterranei finchmarcisce o
mandarlo a casa e persino farlo frustare, nessuno ci trovereb-
be niente da ridire. E un debitore che non pupagare e quin-
di virtualmente deve rispondere col suo corpo del suo debito.
非al tempo di Filippo II i baroni siciliani, in cambio del-
la loro acquiescenza e dell'inazione del Senato, hanno otte-
nuto i diritti di un monarca nelle loro terre, possono farsi giu-
stizia da soli.Dove l'ha letto? il signor padre la chiamava
"l'ingiustizia giustificata" e la sua magnanimitgli aveva
sempre impedito di approfittarne.
I campieri fanno semplicemente quello che gli Ucr駮 con
le loro mani bianche non oserebbero mai fare, ma di cui han-
no bisogno: mettere in riga quelle teste di corno dei "vidda-
ni", menando botte, minacciando tratti di corda, imprigio-
nando nei "dammusi" della torre i debitori.
Non difficile da Gapire: sta scritto su quei foglietti inva-
si dalla grafia sgangherata di don Pericle che, nella sua one-
sto nella sua pigrizia, ha riferito le parole del vecchio come
avrebbe riferito quelle di un monsignore o di un padre del
Sant' Uffizio .
Adesso se ne sta con le mani in mano a guardare, appog-
giandosi sulla grossa pancia che gli tende la tonaca, cercando
di capire dove voglia arrivare quella "stramma" della du-
chessa che arriva improvvisamente e vuole sapere quello che
in genere i signori fingono di ignorare e che certamente non opportuno sia conosciuto da una signora di buon gusto.
青apricci, ubbie, ciondolamenti dello spirito.. Marian-
na sente il pensiero del prete che rimugina accanto a s
亮hiribizzi di una gran dama choggi va di moda l'intelli-
genza misericordiosa, ma domani con la stessa intelligenza
teorizzerebbe l'uso della frusta o dello spillone... Marianna si gira verso don Pericle con gli occhi accesi;
ma lui lmogio e discreto in atteggiamento rispettoso e di
che purimproverarlo?
侶uesta povera mutola a quarant'anni, con quelle carni
bianche e lisce... chissche confusione tiene in testa... sem-
pre a leggere libri... sempre dietro alle parole scritte... c' qualcosa di ridicolo in questa smania di capire... sempre in
punta di forchetta, in punta di naso, in punta di sedia... non
sanno godersi la vita queste aristocratiche di oggi, si impic-
clano di tutto, non conoscono l'umilt preferiscono la lettura
alla preghiera... una duchessa mutola, figuriamoci!... eppure
qualcosa che riluce nel suo viso c'.. povera anima... biso-
gna compatirla, stata disgraziata, tutta testa e niente corpo,
se almeno leggesse libri edificanti, ma ho visto quello che si portata dietro: libri in inglese, in francese, tutte porcherie, fu-
misterie moderne... se per lo meno si decidesse a tornare su,
ldentro c'un caldo che si soffoca e.poi la fame comincia a
fare sentire i suoi morsi... oggi, almeno, si mangerqualcosa
di buono... quando arrivano i signori arrivano le leccor-
nie... in quanto al vecchio, tutti questi sentimentalismi sono
fuori luogo... la legge legge e a ogniuno ci tocca il suo... 俑oderate i vostri pensieri!scrive Marianna a don Peri-
cle che legge stupito non sapendo come interpretare il rim-
provero. Alza gli occhi pacifici sulla duchessa che gli accenna
un piccolo sorriso malizioso e lo precede su per le scale. Saro
si precipita a farle luce. E lei si mette a correre sui tappeti
polverosi, raggiunge la sala da pranzo ridendo del prete e di
s Le figlie sono gisedute a tavola: Felice nella sua elegante

162

tonachella su cui brilla la croce di zaffiri, Manina in nero e
giallo, Giuseppa in bianco, il fiscidi seta azzurra buttato su
una spalla Stanno aspettando lei e don Pericle per comincia-
re a manglare.
Marianna dun bacio alle figlie ma non si siede alla tavo-
la. L'idea di sentirsi raggiungere dai pensieri di don Pericle la
annoia. Meglio mangiare da sola in camera. Per lo meno,
puleggere in pace. Intanto scrive un biglietto per assicurar-
si che il vecchio prigioniero sia liberato subito, che il suo de-
bito sia pagato dalla sua cassa personale.
Per le scale raggiunta da Saro che le porge cavalleresca-
mente il braccio. Ma lei lo rifiuta e corre avanti saltando a
due a due gli scalini. Quando arriva in camera gli chiude la
porta in faccia. Ha appena girato la chiave nella toppa che si
pente di non essersi appoggiata a quel braccio, di non avere
nemmeno accennato un ringraziamento. Si avvicina alla fi-
nestra per vederlo attraversare il cortile col suo passo legge-
ro. Infatti eccolo lche esce dalla porta delle scale. All'altezza
delle stalle lo vede fermarsi, levare la testa e cercare con gli
occhi la sua finestra.
Marianna fa per ripararsi dietro la tenda ma, rendendosi
conto che cosfacendo mostrerebbe di stare al gioco, rimane
ritta dietro i vetri, gli occhi fissi su di lui, severa e pensosa. La
faccia di Saro si apre in un sorriso di tale seduzione e dolcez-
za che per un momento ne contagiata e si trova a sorridere
anche lei senza volerlo.
XXVIII





La spazzola inumidita con un poco di acqua di nanfa af-
fonda nei capelli sciolti liberandoli dalla polvere, profuman-
doli leggermente di scorza d'arancia. Marianna piega indie-
tro il collo indolenzito. L'acqua di nanfa finita, dovrfarse-
ne preparare un'altra brocca. Anche il barattolo della cipria
di riso quasi vuoto, dovrordinarla al solito profumiere ve-
neziano. Solo a Venezia preparano delle ciprie impalpabili,
chiare e odorose come fiori. L'essenza di bergamotto invece
viene da Mazara e gliela manda il profumiere Mastro Turrisi
dentro una scatola dai motivi cinesi che lei adopera poi per
tenerci i biglietti che riceve dai familiari.
Nello specchio succede qualcosa di strambo: un'ombra
invade l'angolo destro in alto e poi si dilegua. Un baluginio
di occhi, una mano aperta contro il vetro chiuso. Marianna si
ferma con le braccia in alto, la spazzola fra le dita, le soprac-
ciglia corrugate.
Quella mano preme contro la finestra come se potesse spa-
lancarsi per un miracolo del desiderio. Marianna fa per al-
zarsi: il suo corpo gilalla finestra, le sue mani corrono al-
la maniglia delle imposte. Ma una volontinerte la tiene in-
chiodata alla sedia. Ora ti alzerai, dice la voce silenziosa, an-
drai alla finestra e tirerai le tende. Dopo di che spegnerai le
candele e ti metterai a dormire.
Le gambe ubbidiscono a quella voce savia e tirannica; i
piedi si muovono pesanti trascinando le pantofole sul pavi-
mento. Una volta raggiunta la tenda, il suo braccio si alza
meccanico e con un brusco movimento del polso tira la tenda
fino a oscurare completamente la finestra che dsul terrazzi-
no della torre. Non ha osato alzare gli occhi ma ha sentito

164

con la pelle, con le unghie, con i capelli, la rabbia del ragazzo
respinto.
Ora come una sonnambula si avvia verso il letto; spegne
a una a una le candele con un soffio debole che la lascia svuo-
tata e si infila sotto le lenzuola facendosi il segno della croce
con le dita diacce.
青he Cristo mi aiuti.Ma anzichil volto rigato di san-
gue del Signore in croce, le balza davanti agli occhi quella
compassata e ironica del signor David Hume col suo tur-
bante di velluto chiaro e gli occhi sereni, le labbra dischiuse e
irridenti.
俠a ragione non pumai da sola essere motivo di una
qualsiasi azione della volont鉬 si ripete pensosa e un sorriso
dolente le stira le labbra. Il signor David Hume un bello
spirito, ma che ne sa della Sicilia? 俠a ragione e deve essere
solo schiava delle passioni e non purivendicare in nessun
caso una funzione diversa da quella di servire e obbedire a
esse.Punto e basta. Che burlone quel signor Hume dentro il
suo turbante asiatico, con quel doppiomento di chi sa man-
giare e dormire bene, quegli occhi insolenti, lontani. Che ne
sa lui di una donna mutilata torturata dall'orgoglio e dal
dubbio?

Si sulu l'armuzza mia ti rimirassi
quant'un parpitu d'occhi e poi murissi...

Le parole del poeta catanese Paolo Maura copiate nel suo
libriccino damascato le si affacciano dolci alla memoria e la
distraggono per un momento dal dolore che con le sue stesse
mani si sta procurando.
La testa non riesce a posare sul cuscino sapendo che lui ancora ldietro il vetro e aspetta che lei si ricreda. Anche se
non lo vede sa bene che l basterebbe un niente per averlo
accanto a s Talmente un niente che si chiede quanto potr durare questo crudele proposito.
Per prevenire ogni tentazione decide di alzarsi e di accen-
dere una candela, di infilarsi le pantofole e uscire dalla porta.
Il corridoio buio, c'odore di tappeti vecchi e mobili tarla-
ti. Marianna si appoggia contro la parete sentendosi piegare
le gambe. Quell'odore le ricorda un'altra remota visita a
Torre Scannatura. Doveva avere forse otto anni e il corridoio
era coperto dallo stesso logoro tappeto. Con lei c'era solo la
signora madre. Doveva essere agosto anche allora. Nella tor-
re faceva caldo e dalle rupi intorno salivano odori di carogne
abbandonate al sole.
I\'on era contenta la signora madre: il marito era sparito
per giorni e giorni con una delle sue innamorate e lei, dopo
averlo aspettato bevendo laudano e tirando tabacco, aveva
deciso improvvisamente di partire con la figlia sordomuta
per la campagna degli zii Scebarr跴. Avevano passato dei
giorni malinconici, lei a giocare da sola sotto i portici, e la si-
gnora madre a dormire, drogata, nella piccola camera da let-
to della torre che ora la sua.
Uniche consolazioni erano l'odore eccitante del vino nuo-
vo dentro i tini di legno e quello dei pomodori appena colti
che brucia le narici tanto forte.
Marianna si porta una mano al petto per calmare quella
trottola del cuore che continua a girare a vuoto. Proprio in
quel momento vede venirle incontro Fila, chiusa dentro una
mantellina marrone che le copre la lunga camicia da notte
blanca.
E lche la guarda come se volesse dirle qualcosa di im-
portante. Gli occhi grigi morbidi sono induriti dall'astio.
Marianna alza un braccio e la mano parte da sola a colpire
quella faccia sconvolta. Non sa perchlo faccia ma sa che la
ragazza se lo aspetta e che suo dovere in quel momento se-
condare la fatalitdi uno stupido rapporto serva padrona.
Fila non reagisce: lentamente si lascia scivolare per terra.
Mariannla aiuta ad alzarsi, le asciuga con tenerezza le la-
grime dalle guance, la stringe a scon tale impeto che Fila ne
spaventata. Ora chiaro perchsia salita e perchquello
schiaffo abbia gicancellato il crimine di una sorella che di
soppiatto spia gli spostamenti del fratello. Ora Fila putor-
nare a letto.
Marianna scende una rampa di scale, si ferma davanti al-
la porta della camera di Giuseppa da cui trapela una lama di
luce. Bussa. Entra. Giuseppa, ancora vestita, seduta allo
scrittoio con la penna in mano, la boccetta dell'inchiostro

166

scoperchiata. Appena vede la madre fa per nascondere il fo-
glio ma poi ci ripensa, la guarda con aria di sfida, afferra un
altro foglio e scrive:
俏on lo voglio piper marito, me lo toglierdi dosso, do-
vessi creparci. La madre riconosce negli occhi della figlia i suoi stessi im-
peti di orgoglio spericolato.
促apmorto, il Seicento finito da un pezzo, mam,
oggi si usa diversamente, a Parigi chi lo bada piil matrimo-
nio? sposati sma senza doveri, ogniuno per s E invece lui
pretende che faccio come vuole lui. Marianna si siede accanto alla figlia. Le toglie la penna
dalle mani.
亟 la ''cuffiara'' come fin 亭inche se n'andper conto suo. Pisavia di Giulio di
certo io la compatisco, a furia di dormire insieme ci nacque
una amicizia, la compatisco mam 隹llora non lo vuoi pibastonare?scrive Marianna e si
accorge che le sue dita stringono spasmodicamente la penna
come se volesse scrivere altre cose completamente diverse.
La punta di osso scricchiola pesantemente sulla carta.
俟traniero lo considero. Mortu. 亟 ora a chi scrivi allora? 俗n amico mam il cugino Olivo che mi cape mi parl affettuosamente quando Giulio mi scansava. 非evi troncare Giuseppa, il cugino Olivo sposato e non
puoi scrivergli. Marianna intravvede la sua testa riflessa nello specchio
dietro la scrivania, accanto a quella della figlia e si trova cos somigliante a lei, quasi fossero sorelle.
俑a io gli voglio bene. Marianna fa per scrivere un altro divieto ma si trattiene.
Come suona arrogante la sua interdizione: stroncare, recide-
re, tagliare... con un brivido ripensa alle mani del cappucci-
no che penetrano nelle carni del signor marito zio per strap-
pare via le viscere, pulire, scarnificare, raschiare, conservare.
Chi vuole conservare usa sempre coltelli finissimi. Anche lei,
da madre apprensiva, ora lpronta ad amputare i senti-
menti di sua figlia.
Giuseppa non ha neanche ventisette anni. Dal suo giova-
ne corpo salgono odori teneri di capelli inumiditi dal sudore
di pelle arrossata dal sole. Perchnon indulgere ai suoi desi-
deri anche se sono proibiti?
俟crivi pure la tua lettera, non ti guarder.sono le sue , ~ XXIX
mani da sole che vergano il foglio e vede la figlia sorridere

Marianna attira la testa della giovane donna sul petto, la
stringe a sancora una volta troppo precipitosamente, anco-
ra una volta preda di un impeto eccessivo che la sbilancia, la
svuota e la lascia stremata. Una mattina di agosto. Sotto le ombre del portico quattro
donne se ne stanno sedute attorno a un tavolo di canne in-
trecciate. Delle mani si spostano leggere dalla zuccheriera di
cristallo alle tazze di terracotta colme di latte, dalla confettu-
ra di pesche al panetto di burro, dal caffschiumante ai
"moffoli" ripieni di ricotta e zucca candita.
Marianna scaccia una vespa dall'orlo della sua tazza e la
vede posarsi un attimo dopo, insistente, sulla fetta di pane
che Manina si sta portando alla bocca. Fa per scacciarla an-
che da lma la figlia le ferma la mano, la fissa con un sorriso
mansueto e continua a mangiare il suo pane con la vespa po-
sata sopra.
E Giuseppa a questo punto che, con la bocca piena di mof-
foli alza un dito per scacciare la vespa inopportuna e viene
fermata a mezz'aria dalla~sorella che di punto in bianco si
mette a fare il verso dell'insetto suscitando l'ilaritdelle so-
relle.
Felice, chiusa nella sua tonaca candida, il crocefisso di zaf-
firi che le pende sul petto, ride, manda giil suo latte seguen-
do il volo di un'altra vespa intraprendente che sembra inde-
cisa se posarsi sui capelli di Manina o sulla zuccheriera aper-
ta. Altre ne stanno arrivando attirate da quella abbondanza
inconsueta di squisitezze.
Ormai sono a Torre Scannatura da venti giorni. Marianna
ha imparato a distinguere i campi di grano da quelli di ave-
na, i campi di sulla da quelli lasciati a pascolo. Conosce il co-
sto di una forma di cacio sul mercato e quanto va al pastore e
quanto agli Ucr駮. Le si sono chiariti i meccanismi degli affit-
ti e delle mezzadrie Ha comprezo chi zono i campieri e a co-

Giuseppa non ha neanche ventisette anni Dal suo giova-
ne corpo salgono odori teneri di capelli inumiditi dal sudore
di pelle arrossata dal sole. Perchnon indulgere ai suoi desi-
deri anche se sono proibiti?
俟crivi pure la tua lettera, non ti guarder..sono le sue
mani da sole che vergano il foglio e vede la figlia sorridere
contenta.
Marianna attira la testa della giovane donna sul petto, la
stringe a sancora una volta troppo precipitosamente, anco-
ra una volta preda di un impeto eccessivo che la sbilancia, la
svuota e la lascia stremata.

XXIX





Una mattina di agosto. Sotto le ombre del portico quattro
donne se ne stanno sedute attorno a un tavolo di canne in-
trecciate. Delle mani si spostano leggere dalla zuccheriera di
cristallo alle tazze di terracotta colme di latte, dalla confettu-
ra di pesche al panetto di burro, dal caffschiumante ai
"moffoli" ripieni di ricotta e zucca candita.
Marianna scaccia una vespa dall'orlo della sua tazza e la
vede posarsi un attimo dopo, insistente, sulla fetta di pane
che Manina si sta portando alla bocca. Fa per scacciarla an-
che da lma la figlia le ferma la mano, la fissa con un sorriso
mansueto e continua a mangiare il suo pane con la vespa po-
sata sopra.
E Giuseppa a questo punto che, con la bocca piena di mof-
foli alza un dito per scacciare la vespa inopportuna e viene
fermata a mezz'aria dalla~sorella che di punto in bianco si
mette a fare il verso dell'insetto suscitando l'ilaritdelle so-
relle.
Felice, chiusa nella sua tonaca candida, il crocefisso di zaf-
firi che le pende sul petto, ride, manda giil suo latte seguen-
do il volo di un'altra vespa intraprendente che sembra inde-
cisa se posarsi sui capelli di Manina o sulla zuccheriera aper-
ta. Altre ne stanno arrivando attirate da quella abbondanza
inconsueta di squisitezze.
Ormai sono a Torre Scannatura da venti giorni. Marianna
ha imparato a distinguere i campi di grano da quelli di ave-
na, i campi di sulla da quelli lasciati a pascolo. Conosce il co-
sto di una forma di cacio sul mercato e quanto va al pastore e
quanto agli Ucr駮. Le si sono chiariti i meccanismi degli affit-
ti e delle mezzadrie. Ha compreso chi sono i campieri e a co-
sa servono: a fare da tramite fra proprietari distratti e conta-
dini riottosi, rubando a man bassa agli uni e agli altri: guar-
diani armati di una pace miracolosamente mantenuta. I ga-
belloti a loro volta sono affittuari che prendono in prestito la
terra, torcono il collo a chi la lavora e in due generazioni, se
sono abili, mettono a parte di che comprarla.
Ha passato lunghe ore col contabile don Nunzio che pa-
zientemente le spiega cosa deve fare. Sui quaderni dei conti
la mano di don Nunzio traccia dei segni spigolosi e difficili da
decifrare ma pieni di attenzione meticolosa per la mente, che
lui giudica puerile, della signora duchessa mutola.
Don Pericle che ha da fare con la parrocchia, viene solo la
sera per la cena e dopo si ferma a giocare a picchetto o a fa-
raone con le ragazze. Marianna non ha simpatia per lui e ap-
pena pu lo lascia con le figlie. Don Nunzio invece le piace: i
suoi pensieri sono ben legati, non c'pericolo che sgorghino
da quella testa quieta, chiusa a doppia mandata. Le mani di
don Nunzio corrono sui foglietti della duchessa, oltre che per
spiegare con pignoleria il funzionamento dei prezzi e delle
imposte, anche per citare Dante, Ariosto.
Anche se fatica a leggere la scrittura del vecchio, Marian-
na la preferisce a quella inanellata e piegata all'indietro di
don Pericle che sembra tessere le parole con la saliva, come
un ragno goloso.
Le figlie sono tornate bambine. Quando le guarda passeg-
giare per il giardino con i loro ombrelli bianchi merlettati,
quando le osserva, come adesso, sedute sui seggioloni di vi-
mini riempirsi la bocca di pane e burro, le sembra di tornare
indietro di vent'anni quando a villa Ucr駮, dalla finestra del-
la sua camera da letto, le guardava sfrenarsi e quasi le pare-
va di udire le loro risate e i loro richiami prima che andasse-
ro spose.
Lontane dai mariti e dai figli passano le giornate a dormi-
re, a passeggiare, a giocare. Si ingozzano di maccaroni pa-
sticciati, di tortini di melanzane, golosissime di quel dolce
fatto di cedro tritato cotto col miele che si chiama "petrafen-
nula" e che Innocenza prepara meravigliosamente. .
Non sembra, a guardarla ora, che Manina pochi mesi fa
stesse per morire di febbri puerperali. E che Giuseppa pian-

17~

geva disperata per i tradimenti del marito e che Felice si at-
taccava al cadavere del padre come se volesse essere chiusa
con lui nella grotta del salnitro.
Ieri sera hanno ballato. Felice suonava la spinetta, don Pe-
ricle le girava i fogli sul leggio e aveva un'aria beata. Sono
stati invitati il cugino Olivo, figlio di Signoretto e il suo ami-
co Sebastiano che abiteranno per qualche settimana nella
villa di Dogana vecchia, a poche miglia di distanza. E hanno
ballato fino a notte t`onda.
A un certo momento hanno invitato pure Saro che se ne
stava su una gamba sola come una gru. Fila, anche lei invita-
ta, non ha voluto partecipare alla danza. Forse perchnon
ha mai imparato "u minuettu" e i piedi nelle scarpe le si
muovono con impaccio. Per convincerla hanno improvvisato
il tarascone ma lei non si lasciata tentare.
Saro invece, che ha preso lezioni di ballo dal maestro di
Manina, ora si muove come un esperto ballerino. Ogni gior-
no di pisi lascia indietro il suo dialetto, i suoi calli, i suoi
ricci scomposti, la sua voce acuta, il suo camminare goffo e
cauto. E; con loro si lascia indietro anche la sua Fila che non
ha voglia di imparare come lui, sia per disdegno, sia per un
piprof犥do sentimento della propria integrit
Una mattina che Marianna montata sulla mula per an-
dare a vedere la pigiatura dell'uva nel feudo di Fiume Men-
dola, se l'trovato davanti con un foglio in mano, il bel Saro.
Porgendole furtivamente il biglietto ha avuto un mo~o di or-
goglio che gli ha fatto lampeggiare gli occhi.
侮I AMOaveva scritto con caratteri pomposi e stentati
ma decisi. E lei aveva cacciato di furia il foglietto nella scolla-
tura. Quel biglietto non era riuscita a gettarlo, come si era ri-
promessa mentre andava sulla mula verso il palmento e l'a-
veva nascosto in fondo alla scatola di latta dai disegni cinesi~
sotto un mucchio di biglietti del signor padre.
Mentre don Nunzio le mostrava i tini pieni cli mosto dal
colore sanguigno, le era sembrato di sentire sotto i piedi le v i-
brazioni degli zoccoli di un cavallo e aveva sperato che fosse
lui sebbene si dicesse che non doveva aspettarlo.
Don ~Tunzio la tirava per una manica, timidamente. Un
momento dopo erano avvolti da una nube di vapori acidi e
ubriacanti, davanti a un palco alto da terra quasi cinque
spanne. Sul palco, degli uomini vestiti solo di un paio di
braghe corte, i piedi nudi che affondavano nel mosto, pesta-
vano e ripestavano l'uva schizzando il liquido rossiccio at-
torno a s
Da un buco nel pavimento inclinato il vino ancora non fer-
mentato colava dentro delle tinozze larghe spumeggiando,
gorgogliando, trascinandosi dietro pezzi di raspo e fili d'erba.
Marianna si affacciava su quel liquido ribollente e provava
voglia di buttarsi dentro e farsi inghiottire da quella melma.
Interrogava continuamente la sua volont la trovava robu-
sta, chiusa in se stessa come un soldato nella sua armatura.
Per compensare la severitverso i propri desiderii Marian-
na ha preso a essere indulgente con le figlie. Giuseppa amo-
reggia con Olivo che ha lasciato a Palermo la giovane moglie
per inseguire la cugina in campagna. Manina viene corteg-
giata apertamente da Sebastiano, l'elegantissimo timido na-
poletano.
Felice che per la sua condizione di monaca non punbal-
lare namoreggiare, si data alla cucina. Sparisce per ore fra
i fornelli e torna con dei timballi di riso e fegatini di pollo che
vengono divorati dalle sorelle e dagli amici. La notte ha pre-
so l'abitudine di dormire con Fila. Ha fatto sistemare un letto
di legno all'altro capo della stanza; dice che nella torre ci so-
no i fantasmi e non riesce a dormire da sola. Ma dai suoi oc-
chi ridenti si capisce che una scusa per chiacchierare fino a
tardi con Fila.
La mattina qualche volta Marianna le trova abbracciate
nello stesso letto, la testa dell'una sulla spalla dell'altra, i ca-
pelli biondi di Felice intrecciati a quelli neri di Fila, le larghe
camicie da notte dai laccetti chiusi sul collo sudato. Un ab-
braccio coscasto e infantile che non ha mai osato rimprove-
rarle.

xxx





Quando scende nel salone delle armi, Marianna trova le
tre figlie gipronte: vestiti leggeri e lunghi grembiuli, scar-
pette chiuse alle caviglie contro le spine, ombrelli e fagotti,
ceste e tovaglie. Oggi giornata di vendemmia al feudo di
Bosco Grande e le ragazze hanno deciso di andare alle vigne
portandosi dietro la colazione.
Le solite lettighe le condurranno al di ldelle colline di
Scannatura, ai piedi di Rocca Caval廨i. Ciascuna col suo om-
brelletto di seta, i suoi fazzoletti di batista: tutta la mattina
che si preparano correndo dalla cucina alla camera da letto.
Hanno voluto portarsi il "gatt di melanzane, le uova man-
dorlate e una farcita di noci.
Marianna andravanti, "vis vis" con Felice sulla prima
lettiga, dietro verranno Manina e Giuseppa e dietro ancora
Fila e Saro con le vettovaglie.
Alle vigne saranno raggiunte anche dal cugino Olivo e
dall'amico Sebastiano. L'aria ancora fresca, l'erba non ha
fatto in tempo ad asciugarsi, gli uccelli volano bassi.
Il silenzio attorno al suo corpo spesso e vetroso, si dice
Marianna, eppure i suoi occhi vedono le gazze che si posano
sui fichi d'India, vedono i corvi che saltellano sulla terra spo-
glia e secca, vedono la pelle delle mule scossa da un tremito e
le grosse code che spazzano i mulinelli di tafani.
Il silenzio le madre e sorella: 俑adre santa di tutti i si-
lenzi, abbi pietdi me.. le parole le salgono alla gola senza
suono, vorrebbero prendere corpo, farsi udire, ma la bocca
rimane muta, e la lingua un piccolo cadavere chiuso nella
cassa dei denti.
Il viaggio questa volta dura poco; in capo a un'ora sono
giarrivate. Le mule si fermano in mezzo alla radura assola-
ta. "U zoppu" e don Ciccio che le hanno accompagnate con
gli schioppi in spalla, saltano gidal cavallo e si accostano
alle lettighe per aiutare le dame a scendere.
Ciccio Panella ha uno strano modo di guardare, si dice
Marianna, a testa bassa come se si preparasse a darle una
cornata. E Saro si messo all'erta, giodiandolo e disprez-
zandolo dall'alto della sua nuovissima cultura
Ma l'altro non lo guarda nemmeno; non lo considera un
uomo ma un servo e i servi, si sa, non contano nulla. Lui un
gabelloto, ben altra cosa. Non porta "ruoggi" d'oro attaccati
alla vita, non si adorna di riccioli incipriati, non inalbera tri-
corni in testa, la sua giubba di panno marrone stata com-
prata da un venditore ambulante ed pure guarnita di due
visibili toppe sulle maniche. Ma il suo prestigio presso i con-
tadini pari a quello dei padroni; sta accumulando denaro,
tanto che se non lui, certamente i suoi figli o i suoi nipoti arri-
veranno a comprarsi parte dei terreni che ora ha solo in affit-
to. Gista costruendosi una casa che assomiglia pialla tor-
re degli Ucr駮, con i suoi corpi annessi, che alle casucce dei
SUOl compaesani.
俠e donne se le acchiappa quando vuole iddule aveva
scritto don Nunzio un giorno sul quaderno dei conti, 勁'anno
scorso inguaiuna ragazza di tridici anni. Il fratello di lei ci
voleva tagghiari la gola ma ebbe paura perchPanella lo fece
minacciari da due campieri armati.Eccolo lil bel Ciccio
dal sorriso smagliante, gli occhi neri profondi, pronto a fare
bottino dell'universo intero.
Saro non lo sopporta per quella sfacciataggine di "mala-
fruscula" che trova insopportabile. Ma nello stesso tempo ne
ha paura. Si direbbe che non sa se affrontarlo o blandirlo.
Nell'incertezza si limita a proteggere la sua amata con gesti
da gran slgnore.
Intanto sono arrivati alle vigne dette della "niura". Gli
uomini che erano curvi a spiccare i grappoli si rizzano sulle
gambe guardando a bocca aperta quel gruppetto di signori
dai vestiti leggeri e colorati. Mai in vita loro hanno visto un
insieme cosgaio di mussole, cappelli, ombrelli, cuffie, scar-
pini, fazzoletti, nastri e fisci

Anche i signori, anzi le signorine guardano allibite quegli
esseri che sembrano usciti dal fondo della montagna come
tanti Vulcani anneriti dal fumo, curvati dalla fatica, accecati
dal buio, pronti a gettarsi su quelle figlie di Demetra per por-
tarseie nel ventre della terra.
I braccianti sanno ogni cosa sulla famiglia Ucr駮 Scebar-
r跴, padroni di quelle terre, di 4uelle vigne, di quegli ulivi,
dei boschi e di tutta la selvaggina, nonchdelle pecorc, dei
buoi e dei muli da chissquante generazioni. Sanno che la
duchessa sordomuta e hanno pregato per lei con don Peri-
cle in chiesa la domenica. Sanno che Pietro Ucr駮 morto da
poco, che stato aperto e svuotato delle viscere per essere
riempito di sali e di acidi che lo conserveranno intatto e pro-
fumato per secoli e secoli come un santo. Sanno pure chi so-
no le tre belle ragazze che si pettinano ridendo sulla veran-
da: una rnonaca e due maritate con figli e si mormora che ai
mariti ci mettono le corna perchcossi usa fra i gran signori
e Dio chiude Ull occhio.
Ma non li hanno mai visti cosda vicino. S tutti rag-
gruppati, quando erano bambini, nella cappella della Chiesa
Madre, li hanno sbirciati anni fa, contando gli anelli sulle lo-
ro dita, commcntando i vestiti di gran lusso. Ma mai si sa-
rebbcro aspettati cli v ederseli arrivare sul posto di lavoro, do-
ve non ci sono balaustre ncappelle appartate o sedili specia-
li per loro ma solo aria e sole e nugoli di mosche che si posano
indif~erenti sia sulle mani nere e colaticce dei contadini che
su quelle tanto bianche e trasparenti che sembrano polli
spennati, delle signorine.
E; poi in chiesa in qualche modo erano protetti dai vestiti
festivi: le camicie rattoppate ma pulite, ricevute in eredit dai padri, lc fasce di cotone che coprono le gambe pelose e i
piedi coperti di calli. Qui invece sono esposti, quasi nudi, agli
sguardi impietosi delle signorine. A torso nudo, con le cica-
trici, i gozzi, i denti che mancano, le gambe sporche, i cenci
bisunti che cascano sulle anche, le teste coperte da cappe!lac-
ci induriti dall'acqua e dal sole.
Marianna si volta turbata e affonda gli occhi nella valle
di un giallo irreale quasi bianco. Il sole sta salendo e con lui
gli odori forti di mentuccia, di finocchio selvatico c di uva
schiacciata .

i74
175
Manina e Giuseppa sono lcome due "babbe" a fissare
quei corpi seminudi e non sanno che fare. Da quelle parti
non si usa che le donne lavorino nei campi lontane da casa e
quelle signorine piovute dal cielo hanno l'aria di trasgredire
a una consuetudine millenaria con una incoscienza da balor-
di. Come se fossero entrate in un convento di frati e si mettes-
sero a curiosare nelle celle fra i monaci in preghiera. Non cosa che si possa accettare.
E Manina che interrompe lo stato di disagio reciproco
con una battuta di spirito che fa scoppiare a ridere gli uomi-
ni. Poi afferra un fiasco e prende a versare il vino nei bicchie-
ri che distribuisce fra i lavoratori e loro allungano le mani
esitanti, volgendo uno sguardo al gabelloto, uno al campiere,
uno alla duchessa e uno al cielo.
Ma bastata la risata provocata da Manina per rompere
il silenzio irrigidito che si era creato fra i due gruppi. I "vid-
dani decidono di accettare le signore come una novitstra-
vagante e piacevole che viene a rompere la fatica di una gior-
nata dura e calda. Decidono di approvare il capriccio della
duchessa come una cosa tipica dei signori che non capiscono
un accidente ma per lo meno rallegrano la vista con le loro
movenze delicate, le loro vesti svo~azzanti, le loro mani ina-
nellate.
Ciccio Panella ora li sprona al lavoro, brusco ma condi-
scendente, quasi fosse un padre burbero che si preoccupa
della salute dei figli. Recita con cinismo ed esagerazione la
propria parte, si accosta alla principessa Manina e la incita a
gettare con le sue mani un grappolo di uva nel paniere come
farebbe con una bambina un poco scema, ridendo del gesto
di lei come di un prodigio inaudito.
Fra quegli uomini curvi corrono decine di ragazzi scalzi
che caricano i.cesti, li trasportano all'ombra dell'olmo, ta-
gliando con un tronchetto le lunghe ramificazioni dei rovi
che intralciano il lavoro degli adulti, portando l'acqua fresca
della "quartaredda" a chi la chiede, cacciando le mosche da-
gli occhi dei loro padri, zii, fratelli con mosse rapide e di-
stratte.
Il cugino Olivo si seduto con Giuseppa sotto l'olmo e le
sta parlando nell'orecchio. Marianna li guarda e trasale:

176

quei due hanno l'aria di conoscersi intimamente. Ma lo
sguardo allarmato si trasforma presto in ammirazione osser-
vando quanto si assomiglino i due ragazzi e come sono belli:
lui biondo come tutti gli Ucr駮, alto e magro, la fronte stem-
piata, gli occhi tondi e azzurri; non ha le forme perfette del
padre ma ha qualcosa della grazia del nonno. Si pucapire
perchGiuseppa ne sia incantata.
Lei, dopo l'ultimo figlio ingrassata, le braccia, il petto
premono sotto la stoffa leggera dell'abito. La bocca dalle lab-
bra ben disegnate, ha preso una piega dura che non le aveva
mai visto. Ma gli occhi sono in festa: alzano bandiere. I ca-
pelli le scendono sulle spalle come un'onda di miele.
Dovrdividerli, si dice, ma i piedi non le ubbidiscono.
Perchturbare quella contentezza, perchinterferire in quel
chiacchiericcio amoroso?
Manina intanto si inoltrata fra i bassi tronchi delle vi-
gne seguita da Sebastiano. E curioso quel ragazzo: gentile, ti-
mido, ma privo di discrezione. Manina non ha molta simpa-
tia per lui: lo trova inopportuno, di una premurositeccessi-
va e artefatta. Ma lui insiste a corteggiarla offrendole con
spavalderia la propria timidezza.
Manina scrive tutti i giorni delle lunghe lettere al marito.
La sua vocazione al sacrificio materno stata sospesa per un
periodo che lei fa coincidere con la convalescenza. Ma niente
di pi Appena si sentirpiforte torneralla buia casa di
via Toledo, tappezzata di tende viola e ricomincerad accu-
dire ai bambini con la dedizione ossessiva di sempre, magari
facendo anche subito un altro figlio.
Eppure qualcosa in questa villeggiatura, che poi non una villeggiatura ma una presa di possesso dei feudi paterni
per conto di Mariano, qualcosa l'ha scossa. Il ritorno alle
abitudini dell'adolescenza, i giochi con le sorelle che a Paler-
mo non vede mai, la vicinanza di Marianna da cui si sepa-
rata a dodici anni, le hanno ricordato che oltre a essere una
madre anche una figlia, la pibistrattata figlia di se stessa.
A vederla sembra che stia ficcando i denti nella polpa di
una pesca matura. Invece solo presa dall'allegria dei gio-
chi. Non c'sensualitin lei come invece c'in Giuseppa che
la pesca l'ha gidivorata e si prepara ad addentarne un'altra
e un'altra ancora.
C'perfino pisensualitin Felice chiusa dentro le sue
tonachelle candide che in Manina che pure porta le braccia
nude e i vestiti scollati fino al seno. La sua bellezza assoluta,
risorta dopo la malattia con la forza dei suoi venticinque an-
ni, e in contraddizione con la profonda naturale castitche la
possiede.
Felice scodella in tavola complicate pietanze farcite di
spezie. Passa ore ai fornelli a preparare schiume di latte dol-
ce, "ravazzate di ricotta", "nucatelli", "muscardini", cassati-
ne, amarene e limonate al dragoncello.
Un pensiero sacrilego attraversa rapido la mente di Ma-
rianna: perchnon indirizzare l'amore di Saro verso la bella
Manina? in fondo hanno quasi la stessa ete starebbero cos bene appaiati.
Lo cerca con lo sguardo, lo scopre addormentato con la
testa appoggiata sul gomito, le gambe dist廥e sugli sterpi, che
Sl gode 1 ombra dell'olmo accanto ai cesti pieni di uva
Ma lo vorrebbe davvero? una fitta alla radice degli occhi
le dice che no, non lo vorrebbe. Per quanto si rifiuti a quell'a-
more che considera impraticabile sa di covarlo con una dol-
cissima determinazione. Da dove le viene poi questa solleci-
tudine ruffianesca nei riguardi della figlia minore? che cosa le
da la certezza che un amore con Saro la renderebbe felice?
non sarebbe un principio di incesto il loro, con quel corpo
maschiie a fare da laccio fra un cuore di madre e uno di fi-
glia?
A mezzogiorno il soprastante dl'ordine di interrompere
il lavoro. E dall'alba che chini sulle basse viti, gli uomini
strappano grappoli carichi di acini e di vespe e li gettano nel-
le ceste in mezzo a grovigli di viticci arricciolati. Ora avran-
no un'ora per mangiare una fetta di pane e qualche oliva,
una cipolla e un bicchiere di vino.
Saro e Fila sono indaffarati a stendere la tovaglia sotto i
rami fronzuti dell'olmo. Gli occhi dei "viddani" sono fissi
sulle sporte di vimini chiuse dalle cerniere di ottone, da cui
vengono fuori come per un miracolo di Santa Ninfa, delle
meraviglie mai viste: piatti di porcellana delicati come piu-
me, blcchieri di cristallo dai riflessi argentini, posatine da na-
ni che scintillano al sole.

Le dame si seggono su dei grossi sassi che Ciccio Panella
ha sistemato in forma di sedile, per loro, sotto l'olmo. Ma le
belle gonne di batista e di mussola sono giinzaccherate di
polvere e irte di raspi d'uva e forasacchi incollati alle balze.
Gli uomini, seduti da una parte, al riparo di due ulivi che
fanno ben poca ombra, bevono, mangiano, ma in silenzio,
non osando sbracarsi come fanno di solito. Le mosche pas-
seggiano sulle loro facce come sui musi delle mule e il fatto
che nessuno si preoccupi di cacciarle come invece fanno le
bestie, ferma il boccone in gola a Marianna. Mangiare quelle
prelibatezze davanti ai loro sguardi vogliosi e discretamente
abbassati le pare improvvisamente una arroganza intollera-
bile.
Percisi alza seguita dallo sguardo preoccupato di Saro e
si dirige verso "u zoppu" il pianziano dei suoi campieri, per
chiedergli notizie dell'uva raccolta. La sua porzione di "gat-
t la lascia sul piatto, intatta.
"U zoppu" manda giin fretta l'enorme boccone di pane
e frittata che si era cacciato in bocca, si pulisce le labbra col
dorso della mano striata di nero e si inchina pudicamente da-
vanti al foglietto che gli porge la duchessa. Ma non sapendo
leggere, il suo sguardo si fa assente; poi fingendo di avere ca-
pito, prende a parlarle fitto come se lei potesse sentire le sue
parole. Nell'imbarazzo ciascuno ha dimenticato il difetto del-
l'altro.
Saro, che ha segui~o i loro gesti, arriva in aiuto al campie-
re, gli strappa dalle mani il foglio, lo legge a voce alta e poi si
accinge a trascrivere le parole di "u zoppu" sul complicato
aggeggio che la padrona si porta dietro: tavoletta pieghevole,
calamaio col tappo avvitabile appeso a una catenella d'ar-
gento, penna d'oca e cenere.
Ma Ciccio Panella non approva quella presunzione: co-
me si permette un servo di mettersi a tu per tu con la sua pa-
drona? come si permette di mostrare il suo sapere di fronte a
lui che di sapienza ne ha molta di pima non si rivela certo
attraverso quella cosa ridicola e fumosa che la scrittura?
Marianna d'improvviso vede Saro che cambia posa; i
muscoli delle gambe gli si irrigidiscono, le braccia si slancia-
no in avanti coi pugni chiusi, gli occhi si stringono fino a di-
179
ventare due fessure. Panella deve avergli detto qualcosa di
offensivo. E lui ha subito messo da parte le pretese aristocra-
tiche per prepararsi allo scontro.
Marianna dirige lo sguardo verso Ciccio Panella giusto in
tempo per vederlo tirare fuori un coltello corto e appuntito.
Saro sbiancato ma non si tira indietro e, afferrato un legno
per terra, si accinge ad affrontare il nemico.
Marianna fa per accorrere ma i due sono gil'uno addos-
so all'altro. Un colpo di bastone ha fatto volare il coltello e
ora i due si picchiano a pugni, a calci, a morsi. "U zoppu" d un ordine: in cinque si precipitano a dividerli e ci riescono
dopo qualche fatica. Saro ha una mano ferita che butta san-
gue e Ciccio Panella ha un occhio pesto.
Marianna fa cenno alle figlie di rimontare sulle lettighe.
Poi versa del vino sulla mano sanguinante di Sar`o mentre "u
zoppu" improvvisa una fasciatura con foglie di vite e fili d'er-
ba. Intanto Ciccio Panella, su ordine dei pianziani, si in-
ginocchiato a chiedere scusa alla duchessa e le ha baciato la
mano.
In lettiga Marianna si trova seduta davanti a Saro: il ra-
gazzo ha approfittato della confusione per infilarsi nel sedile
di fronte al suo e ora lcon gli occhi chiusi, la testa sporca di
terra, la camicia strappata a farsi ammirare da lei.
Sembra un "anciulu", si dice sorridendo Marianna, che
per mostrare la sua grazia, ha perso l'equilibrio ed caduto
dal cielo e ora giace trafelato e contuso aspettando di essere
curato. E tutto un po' troppo teatrale... eppure poco fa "l'an-
ciulu" si battuto contro un uomo armato di coltello con un
coraggio e una generositche non gli conosceva.
Marianna distoglie gli occhi da quella faccia angiolesca
che le si offre con tanta mansueta improntitudine. Osserva il
paesaggio assolato: la terra dalle zolle rivoltate, un groviglio
di ginestre di un giallo insolente, una polla d'acqua livida che
riflette il violetto del cielo, ma qualcosa la riporta all'interno
della lettiga. Saro la sta osservando con occhi penetranti e
dolcissimi. Quegli occhi dicono di una volontsfacciata,
estenuante, di farsi figlio, pur senza perdere l'orgoglio e l'in-
dipendenza, con tutto l'amore di un ragazzo ambizioso e in-
telligente.

E la sua cos' si chiede Marianna, se non una voglia al-
trettanto impaziente di farsi madre e stringere quel figlio per
custodirlo in grembo?
Lo sguardo alle volte pufarsi carne, unire due persone
pidi un abbraccio. CosMarianna e Saro, all'interno di
quella vetturetta strettissima sospesa fra due muli e ciondo-
lante sul vuoto, si lasciano cullare dal movimento, fermi in-
collati ai loro sedili, mentre gli sguardi corrono dall'uno al-
l'altra commossi e inteneriti. Nle mosche nil caldo nle
scosse riescono a distrarli da quel fitto scambio di aspre de-
lizie.
XXXI





Entrando nella casa sconosciuta un buio appiccicoso e
pesante di odori la inchioda alla soglia. L'aria molle le sbatte
contro la faccia come un panno bagnato: non si vedono che
ombre nere immerse nell'oscuritdella stanza.
Poi piano piano, abituando gli occhi a quel nero, ecco
sorgere dal fondo un letto alto da terra e circondato da una
fitta zanzariera, un catino di ferro ammaccato, una madia
dalle zampe rabberciate, un fornello in cui brucia della legna
che sprigiona un fumo acre.
I tacchetti della duchessa affondano nella terra battuta
del pavimento rigato dalle scope di saggina. Vicino alla porta
un asino mangia un poco di fieno ammucchiato, delle galline
accoccolate dormono con la testa nascosta sotto l'ala
Una minuscola donna vestita di bianco e di rosso sbuca
dal nulla con un bambino in braccio e rivolge alla visitatrice
un sorriso circospetto che le increspa la faccia butterata. Ma-
rianna non riesce a non storcere la bocca all'assalto di quegli
odori sfacciati: di sterco, di orina secca, di latte cagliato, di
carbonella, di fichi secchi, di minestra di ceci. Il fumo le pe-
netra negli occhi, nella bocca facendola tossire.
La donna col bambino la guarda e il sorriso si fa piaper-
to, dileggiante. E la prima volta che Marianna entra nella ca-
sa di una "viddana" delle sue terre, la moglie di uno dei suoi
coloni. Per quanto abbia letto di loro nei libri non aveva mai
immaginato una simile povert
Don Pericle che l'accompagna si fa vento con un calenda-
rio regalatogli dalle suore. Marianna lo guarda per capire se
lui conosce queste case, se le frequenta. Ma don Pericle per
fortuna oggi impenetrabile: tiene gli occhi fissi nel vuoto

182

appoggiandosi alla grossa pancia protesa come fanno le don-
ne gravide che non si sa se sono loro a reggere la pancia o la
pancia a reggere loro.
Marianna fa segno a Fila che rimasta fuori in strada con
un grosso paniere pieno di provviste. La ragazza entra, si fa il
segno della croce, arriccia il naso disgustata. Probabilmente
anche lei nata in una casa come questa ma ha fatto di tutto
per dimenticarlo. Ora lche si agita impaziente come una
che sia abituata all'aria odorosa di lavanda di grandi stanze
luminose .
La donna col bambino in braccio scaccia con un calcio le
galline che prendono a svolazzare per la camera starnazzan-
do; sposta con una mano le poche povere stoviglie che si tro-
vano sulla tavola e aspetta la sua parte di doni.
Marianna estrae dal cesto dei salumi, dei sacchetti di ri-
so, dello zucchero e appoggia ogni cosa sulla mensa con ge-
sti bruschi. A ogni regalo che offre si sente piridicola, pi oscena. L'oscenitdel beneficare che pretende dall'altro
l'irnmediata gratitudine. L'oscenitdi una coscienza che si
appaga della sua prodigalite chiede al Signore un posto in
paradiso .
Intanto il bambino ha preso a singhiozzare. Marianna ne
vede la bocca che si allarga sempre di pi gli occhi che si
stringono, le mani che si levano coi pugni chiusi. E quel sin-
gulto pare comunicarsi a poco a poco alle cose intorno facen-
dole singhiozzare anch'esse; dalle galline all'asino, dai letti
alla madia, dalle gonne sbrindellate della donna alle pentole
irrimediabilmente ammaccate e bruciate.
Uscendo, Marianna si porta le mani al collo sudato, re-
spira a bocca aperta tirando su l'aria pulita a larghe sorsate.
Ma gli odori che stagnano nel vicolo non sono molto migliori
di quelli all'interno della casa: escrementi, verdure marce,
olio fritto, polvere.
Ora molte donne si affacciano dalle porte aspettando il
loro turno di elemosina. Alcune se ne stanno sedute davanti
alla soglia di casa spidocchiando i figli e chiacchierando al-
legramente fra di loro.
Il principio della corruzione non sta proprio in questo da-
re che seduce chi riceve? il signore coltiva l'aviditdel suo di-
pendente, adulandola e saziandola, non solo per farsi bello
coi guardiani del cielo ma anche perchsa benissimo che l'al-
tro si abbasserai suoi stessi occhi accettando quel regalo
che pretende gratitudine e fedelt
侶ui soffoco, torno alla torrescrive Marianna sulla ta-
voletta e consegna il foglio a don Pericle; 剃ontinuate voi. Fila dun'occhiata di sbieco, di malumore, al cesto pre-
muto contro un fianco ancora zeppo di cibi. Ora dovrconti-
nuare il lavoro da sola, perchsu Felice che si fermata dalla
parte del selciato per non sporcarsi le scarpe non c'da con-
tare. Le altre due poi chissquando arriveranno. Hanno gio-
cato a carte fino a notte alta e stamattina non si sono viste al-
la colazione sotto il portico.
Intanto Marianna si avvia a grandi passi verso Torre
Scannatura che le pare di scorgere al di sopra di quel rovinio
di tetti su cui cresce di tutto, dall'erba cipollina alla finoc-
chiella, dai capperi alle ortiche.
Svoltando per un vicolo incespica in un vaso da notte che
una donna sta rovesciando in mezzo alla strada. Anche a Ba-`
gheria succede lo stesso e anche a Palermo nei quartieri po-
polari: le massaie la mattina svuotano i bisogni della notte in
mezzo alla via, poi escono con un secchio d'acqua e spingono
ogni cosa un poco piavanti, dopodichsi disinteressano di
quello che succede. Ma siccome c'sempre qualcuno a mon-
te che fa la stessa operazione, la viuzza percorsa eterna-
mente da uno scolo maleodorante e coperto di mosche
Quelle stesse mosche che vanno a posarsi a nugoli sulle
facce dei "picciriddi" seduti a giocare sui bordi del vicolo e si
aggrappano alle loro palpebre come fossero squisitezze da
succhiare. I bambini, con quei grappoli di insetti attaccati
agli occhi, finiscono per assomigliare a delle maschere stram-
palate e mostruose.
Marianna cammina svelta cercando di schivare le im-
mondizie, seguita da una frotta di creature saltellanti di cui
indovina il numero dal frullio di ali che le si leva intorno. Il
suo passo si fa pirapido, inghiotte bocconi d'aria puzzolen-
te e procede a testa bassa verso l'uscita del paese. Ma ogni
volta, quando crede di avere raggiunto la strada per la torre
si trova davanti un muretto coperto di cocci, una svolta, un

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recinto per galline. La torre sembra la portata di mano ma
il paese nella sua piccolezza ha una struttura labirintica diffi-
cile da dipanare.
Camminando e tornando indietro, girando e rigirando, di
improvviso Marianna si trova in mezzo a una piazzetta qua-
drata dominata da una alta statua della Madonna. L sotto
la stele, si ferma un momento a riprendere fiato appoggian-
dosi alla base di pietra grigia.
O-vunque giri lo sguardo la stessa cosa: case basse ad-
dossate le une alle altre, spesso munite della sola entrata che
fa da finestra e da porta. Dentro si intravvedono stanze scu-
re abitate da persone e animali in tranquilla promiscuit E
fuori, rivoli di acqua sudicia, qualche bottega di granaglie
esposte in grandi cesti, un fabbro ferraio che lavora sulla so-
glia sprizzando scintille, un sarto che alla luce della porta
taglia, cuce e stira; un fruttivendolo che espone le merci in
cassette di legno, su ogni mercanzia un cartello col prezzo:
FICHI: 2 GRANI AL ROTOLO; CIPOLLA: 4 GRANI AL ROTO-
LO; OLIO PER LUME: 5 GRANI AL ROTOLO; UOVA: MEZZO
GRANO L'UNO. Gli occhi si aggrappano ai cartelli coi prezzi
come a delle boe in alto mare: i numeri sono rassicuranti,
danno un senso ai misteri geometrici di quel paesaggio osti-
co e polveroso.
Ma ecco che sotto i piedi avverte uno zoccolio familiare,
un battito ritmato che le fa sollevare gli occhi. Infatti, sbuca-
to non si sa da dove, vede venirle incontro Saro in groppa al
cavallino arabo che il signor marito zio gli ha regalato prima
di morire e che lui ha chiamato pomposamente Malagigi.
Finalmente potruscire dal dedalo, si dice Marianna e fa
per andargli incontro ma cavaliere e cavallo sono gispariti,
ingoiati da un muretto tappezzato di capperi. Marianna si
avvia verso quel muretto, ma aggiratolo, si trova davanti una
folla di bambini e di donne che la sbirciano sorpresi come se
fosse un essere soprannaturale. Due storpi che si trascinano
sul selciato appoggiandosi a delle stampelle, si mettono ad
arrancare dietro di lei con l'idea di cavarle del denaro: una
dama coselegante non punon portarsi appresso sacchetti
pieni di oro sonante. Percile si avvicinano, le toccano i ca-
pelli, la tirano per la manica, le strappano i fiocchi che tengo-
no annodate alla vita la tavoletta per scrivere e la sacchetta
con l'inchiostro e le penne.
Di nuovo a Marianna sembra di scorgere Malagigi che
caracolla in fondo a un~ vicolo e Sarino che la saluta da lonta-
no levando in alto il cappello. Marianna si sbraccia per farsi
vedere, per chiedergli che venga a prenderla. Nel frattempo
qualcuno ha messo le mani sulla sacchetta delle penne cre-
dendo che proprio lstiano le monete e tira da ogni parte sen-
za riuscire a staccarla dalla cintura.
Per liberarsi, Marianna strappa con uno strattone la fib-
bia e lascia ogni cosa ai bambini e agli storpi riprendendo a
correre.
I piedi si sono fatti arditi, scavalcano gli scoli, si precipi-
tano giper le scalette scoscese, attraversano correndo buche
piene di fango, affondano nei mucchi di immondizia e di ster-
co di cui foderata la strada.
Improvvisamente, quando meno se l'aspetta, si trova fi-
nalmente fuori, sola, in mezzo a una stradina dalle erbacce
alte. Davanti a s contro un cielo di coccio smaltato, la sago-
ma di Saro che sta giocando a fare il cavallerizzo da circo:
Malagigi si alza in bilico sulle zampe posteriori, rompe l'aria
con quelle anteriori, le appoggia infine per terra per sollevar-
si di nuovo scalciando e sgroppando come se fosse un taran-
tolato.
Marianna lo osserva divertita e allarmata: quel ragazzo
cadre si romperl'osso del collo. Gli fa dei cenni da lontano
ma lui non si avvicina, non le va incontro, anzi l'attira come
un incantatore di serpenti verso le colline.
E lei lo segue tenendo sollevate le gonne fradicie di fango
e i capelli sudati che scappano dai lacci, il fiato corto, allegra
come non si ricorda di essere mai stata. Quel ragazzo perde-
rl'equilibrio, si farmale, deve trovare il modo di fermarlo,
si dice. Ma il pensiero in festa, perchsa che quello un
gioco e nei giochi il rischio fa parte del piacere.
Cavallo e cavaliere ora hanno raggiunto, sempre caracol-
lando, un bosco di noccioli ma non accennano a fermarsi.
Balzano e corrono in avanti tenendosi sempre a una certa di-
stanza da lei. Sembra che in tutta la sua vita non abbia fatto
altro che praticare cavalli, come uno zingaro, il bel Saro.

Ormai il noccioleto rimasto alle spalle e davanti ci sono
solo campi di sulla, alte siepi di ricino e distese di pietraie. Di
colpo Marianna vede il ragazzo volare in alto come un fan-
toccio e subito dopo precipitare a testa in gisull'erba alta.
Riprende a correre, saltando, inciampando negli intrecci dei
rovi, la gonna tirata su con le due mani. Da quando non cor-
reva cos il cuore le salito in gola e sembra voglia saltarle
fuori assieme alla lingua.
Ed ecco, finalmente l'ha raggiunto. Lo trova riverso a
braccia aperte, mezzo sepolto dall'erba, gli occhi chiusi, la
faccia svuotata di sangue. Si china su di lui con delicatezza e
prova a spostargli il collo, a muovergli un braccio, poi una
gamba. Ma il corpo non reagisce: labbandonato, privo di
sensi.
Con le mani che le tremano Marianna gli slaccia la cami-
cia sul collo. E solo svenuto, si dice, si riprender Intanto
non pufare a meno di guardarlo: sembra nato in quel mo-
mento per lei in tutta la bellezza del suo giovane corpo. Se gli
desse un bacio lui.non lo saprebbe mai. Perchnon lasciare
per una volta, una volta sola, libero il desiderio imbracato
nei lacci di una volontnemica?
Con un movimento morbido si china sul ragazzo riverso e
gli sfiora con la bocca la guancia. Per un attimo le sembra di
vedere vibrare le lunghe ciglia di lui. Si tira su, lo guarda an-
cora. E proprio un corpo abbandonato e perso nell'incoscien-
za. Si china di nuovo attenta, con movimenti di farfalla e gli
appoggia le labbra sulle labbra. Le sembra di sentirlo trema-
re. E se fosse un delirio mortale? Si rizza sulle ginocchia, e
prende a battergli le dita sulle guance finchlo vede aprire
gli occhi grigi, bellissimi. Quegli occhi ridono di lei e dicono
che stata tutta una recita, una trappola per rubarle un ba-
cio. Che ha funzionato perfettamente. Solo il battito delle di-
ta sulle guance non era previsto e forse gli ha fatto scoprire il
gioco prima del previsto.
青he babba sono, che babba!si dice Marianna mentre
cerca di rimettersi a posto i capelli. Sa che lui non muover un dito senza il suo consenso; sa che sta aspettando e per un
momento pensa di rendere esplicito quello che prima era un
pensiero clandestino: premerlo contro di sin un abbraccio
che colmi anni di attesa e di rinuncia.

186
l87
青he babba, che babba.. la trappola sarla gioia delle
sue gioie. Perchnon lasciarsi chiudere da quel laccio? Ma
c e un leggero odore di confettura che non le piace in quel
giOcO, un minuscolo segno di compiacenza e di prevedibilit
Le sue ginocchia si impuntano sull'erba, il suo busto si rizza
i suoi piedi sono giin moto. Prima che Saro abbia capito le
sue intenzioni, lei givia, che corre verso la torre.

XXXI I





I due candelabri accesi mandano fiammelle verdi. Ma-
rianna osserva quelle linguette smeraldine con apprensione:
da quando in qua un moccolo di cera vergine di api fa una lu-
ce verde che si alza in colonnine sottili verso i! soffitto e rica-
de in forma di liquido schiumoso? Anche i corpi accanto a lei
sono diversi dal solito e si dilatano minacciosamente: la pan-
cia di don Pericle per esempio si scuote e tira fuori degli im-
provvisi bitorzoli come se dentro vi abitasse un bambino che
scalcia e sgomita. Sulla tavola le dita di Manina paffute e co-
perte di fossette si aprono e si chiudono rapide, manovrando
le carte: sembra che vadano per conto loro, staccate dalle
braccia; afferrano e rigirano le figure mentre i polsi rimango-
no sepolti dentro le maniche.
I capelli di don Nunzicadono a ciocche sulla tavola. La
neve in pieno agosto? subito dopo lo vede cavare dalla tasca
della giubba un fazzoletto enorme, appallottolato e cacciarvi
il naso dentro. E evidente che assieme all'aria sta espellendo i
suoi malumori. Marianna gli prende il polso e glielo stringe;
continuando cosdon Nunzio soffiernel fazzoletto la sua
stessa vita e cadrmorto sul tavolo da gioco.
Al gesto spaventato della madre le figlie scoppiano a ride-
re. Ride anche don Pericle, ride Felice con la croce di zaffiri
che le balla sul petto, ride Sarino mettendosi una mano da-
vanti alla bocca, ride persino Fila che se ne sta in piedi ac-
canto a Giuseppa reggendo una teglia piena di maccheroni al
sugo.
La mano di Felice si allunga a toccare la fronte della ma-
dre. Le facce si fanno serie. Marianna legge sulle labbra della

189
figlia la parola "febbre". E vede altre mani allungarsi verso
la sua fronte.
Non sa come sia salita su per le scale, forse l'hanno porta-
ta; non sa come si sia spogliata, come si sia cacciata s鏒to le
lenzuola. Il dolore della testa febbricitante la tiene sveglia;
ma finalmente sola e ripensa con disgusto alla sua dabbe-
naggine di quella mattina: prima la recita alla "buona sama-
ritana" e poi quella corsa da collegiale per pietraie e noccio-
leti: l'arrendevolezza di un corpo abitato da fantasmi, l'inge-
nuitdi un bacio che credeva di rubare ed era rubato. E ora
questa febbre maligna che porta gli echi di un brusio interno
che non puintendere.
Puuna donna di quarant'anni, madre e nonna, svegliar-
si come una rosa ritardataria da un letargo durato decenni
per pretendere la sua parte di miele? che cosa glielo proibi-
sce? niente altro che la sua volont o forse anche l'esperien-
za di una violazione ripetuta tante volte da rendere sordo e
muto tutto intero il suo corpo?
In qualche momento della notte deve esserci stato qual-
cuno vicino a lei: Felice? Fila? qualcuno che le ha sollevato la
testa e l'ha costretta a mandare giuna bevanda zuccherata.
Lasciatemi in pace, aveva pensato di gridare ma la sua bocca
era rimasta chiusa in una smorfia stup鮅a e amara.

Mi ha portata nella cella del vino...
il suo frutto dolce al mio palato
sostenetemi coi pomi perchio sono malata d'amore...

Che bestemmia: mescolare nel disordine della memoria le
parole sgargianti del Cantico dei Cantici con i brandelli di un
ricordo di allegrezza; come ha fatto a dimenticare la sua am-
putazione?

Somiglia il mio diletto a un capriolo...

Sono parole che non dovrebbe pronunciare, che suonano
ridicole sulle sue labbra tirate, non le possono appartenere.
Eppure sono lquelle parole d'amore e si amalgamano alle
angustie della febbre.

Prendete le volpi
le volpi piccoline
che guastano le vigne...

La stanza ora allagata dalla luce del giorno. Qualcuno
deve avere aperto le imposte mentre lei dormiva. Gli occhi le
bruciano come se avesse dei grani di sale sotto le palpebre. Si
porta una mano alla fronte. E vede un gufo sul pomello della
sedia. Le sembra che la guardi con tenerezza. Fa per muove-
re una mano sul lenzuolo ma scopre che sul risvolto ricamato
c'una grossa serpe arrotolata che dorme tranquilla. Forse il
gufo si mangerla serpe. Forse no. Se per lo meno arrivasse
Fila con l'acqua... Da come tiene le mani incrociate sul petto
Marianna capisce di essere gimorta. Ma i suoi occhi sono
aperti e vedono la porta che si apre da sola, lentamente, pro-
prio come nella vita. Chi sar
Il signor marito zio, tutto nudo, con una grande cicatrice
che gli attraversa per lungo il petto e la pancia. I capelli sono
radi come quelli dei tignosi e manda uno strano odore di can-
nella e burro rancido. Lo vede chinarsi su di lei armato, come
per crocifiggerla. Una sorta di melanzana morta eppure pul-
sante gli esce dal ventre, oscenamente rigida e vogliosa. Far l'amore per piet si dice, perchl'amore prima di tutto mi-
sericordia.
俟ono in agoniagli dice a labbra chiuse. E lui sorride
misteriosamente complice. 俟to per morireinsiste lei. Lui
annuisce. Sbadiglia e annuisce. Strano, perchi morti non
possono avere sonno.
Un senso di gelo le fa alzare gli occhi sulla finestra aperta.
Un quarto di luna pende in cima alla cornice del vetro. Ogni
soffio di vento lo fa dondolare dolcemente; sembra uno spic-
chio di zucca candita dai grani di zucchero cristallino incol-
lato alla polpa.
亭arl'amore per piet鉬 ripete la sua bocca muta, ma il
signor marito zio non vuole il suo consenso, la pietnon gli
aggrada. Il corpo bianco di lui ora le sta sopra e preme su di
lei ghiacciandole il ventre. La carne morta manda odore di
fiori secchi e di salnitro. La melanzana di carne chiede, esige
di entrare nel SllO grembo.




1
All'alba la casa viene svegliata da un grido atroce e pro-
lungato. Felice balza a sedere sul letto. Non possibile che
sia stata la signora madre mutola, eppure il grido proveniva
dalla sua stanza. Si precipita a svegliare la sorella Giuseppa
che a sua volta tira gidal letto Manina. Le tre giovani don-
ne in camicia accorrono al letto della madre che sembra stia
ingoiando gli ultimi disperati sorsi d'aria.
Viene chiamato in fretta il "varveri" percha Torre
Scannatura non ci sono medici. Il "varveri" che si chiama
Mino Pappalardo e arriva tutto vestito di giallo uovo, tasta il
polso all'ammalata, le esamina la lingua, le rovescia le palpe-
bre, caccia il naso nel vaso da notte.
青ongestione da febbri pleuriticheil suo verdetto. Bi-
sogna cavare subito del sangue dalle vene infiammate. Per
questo gli servono uno sgabello alto, una bacinella d'acqua
tiepida, una tazza capiente, un lino pulito e un aiutante.
Felice si presta a fargli da assistente mentre Giuseppa e
Manina si rannicchiano in un angolo della stanza. Il "varve-
ri" estrae da una valigetta di legno chiaro un astuccio in for-
ma di rotolo di tela. Dentro il rotolo appaiono, legati da lac-
cetti, dei coltellini appuntiti, delle seghette, delle pinze, delle
cesoie minuscole.
Con gesti sicuri Pappalardo denuda il braccio della mala-
ta, ne tasta il cavo del gomito per trovare la vena, stringe con
un laccio la parte superiore, e poi con un colpo preciso incide
la carne, raggiunge la vena con la lama e la fa sanguinare.
Felice, inginocchiata accanto al letto, raccoglie in una tazza
il sangue che gocciola, storcendo appena la bocca.
Marianna apre gli occhi. Vede una faccia di uomo dalla
barba malrasata, due solchi scuri sopra le guance. L'uomo le
rivolge un sorriso pesto e svogliato. Ma il serpente, che stava
arrotolato sul lenzuolo, deve essersi svegliato perchle sta
cacciando i dentini aguzzi nel braccio. Vorrebbe avvertire
Felice ma non riesce a muovere neanche gli occhi.
Ma chi quest'uomo che le sta addosso e ha un odore
sgradevole, estraneo? qualcuno che si travestito da qualcun
altro. Il signor marito? il signor padre? lui ssarebbe capace
di trasformarsi per gioco.
In quel momento una idea la attraversa da capo a piedi

92


6. Ia lunga L~ita di Manan~a U~na

come una saetta: per la prima volta nella sua vita capisce con
limpidezza adamantina che lui, suo padre, il responsabile
della sua mutilazione. Per amore o per distrazione non lo sa-
prebbe dire; ma lui che le ha tagliato la lingua ed lui che
le ha riempito le orecchie di piombo fuso perchnon sentisse
nessun suono e girasse perpetuamente su se stessa nei regni
del silenzio e dell'apprensione.
XXXIII





Un cal鋃he col mantice tirato, il cavallo coperto da fini-
menti dorati. Deve essere quello stravagante di Agonia, il
principe di Palagonia. E invece no: a smontare una signora
coperta da un velo buttato alla maniera spagnola sull'alta
torre di capelli. Certamente la principessa di Santa Riverdi-
ta: ha avuto due mariti e tutti e due sono morti di veleno.
Dietro di lei un calessino elegantissimo tirato da un cavallo
giovane e spipirinzito. Questo deve essere il barone Pallavici-
no; da poco ha vinto contro il fratello una causa che durava
da quindiei anni per una ereditpoeo ehiara. Il fratello ri-
masto in brache di tela e non gli resta ehe farsi frate o sposare
una donna rieea. Ma le donne rieehe a Palermo non sposano
uno spiantato anehe se ha un bel nome, a meno ehe non deb-
bano comprarselo il nome e in questo caso la spesa molto
salata. In pila "zita" deve essere molto bella e come mini-
mo deve sapere suonare con grazia la spinetta.
Una sfilata di carrozze cosnon si vedeva da anni. Il cor-
tile di villa Ucr駮 tutto ingombro: cal鋃hes, portantine, fia-
cres, lettighe, berline passano sotto le luci del grande arco di
fiori ehe congiunge la strada d'accesso al cortile.
Da quando morto il signor marito zio la prima volta
che si duna grande festa alla villa. E l'ha voluta lei, Ma-
rianna, per festeggiare la guarigione dalla pleurite. I capelli
hanno ricominciato a ereseere e il eolorito sta riaequistando i
rosa naturali.
Ora se ne sta in piedi dietro la tenda seostata nel salone
azzurro del primo piano e osserva il via vai dei valletti, degli
staffieri, dei laeeh dei faeehini, dei eamerieri in polpe.
Durante la serata si inaugureranehe il teatro, fatto eo-
struire da lei per il piaeere di una musiea ehe non potr aseoltare, per la gioia di spettaeoli di eui non potrgodere.
Proprio in onore della sua sorditha voluto che il palco fosse
largo, alto e splendidamente deeorato dall'Intermassimi.
Ha ordinato che i palehetti fossero foderati di damasco
giallo con i bordi di velluto azzurro, ha voluto il soffitto am-
pio, a volta, dipinto con motivi di ehimere dalla faccia enig-
matica, uccelli del paradiso e liocorni.
L'Intermassimi arrivato da Napoli tutto azzimato, ac-
eompagnato da una giovane moglie, una eerta Elena dalle
orecchie minuscole e le dita eariehe di anelli. Sono rimasti in
casa tre mesi, mangiando maniearetti e amoreggiando dap-
pertutto: in giardino, nei eorridoi, sulle impalcature, fra le
ciotole di colore. Lui ha quarantaeinque anni, lei quindici.
Quando Marianna per easo si imbatteva nei due ehe con
le vesti slacciate e il fiato corto si abbraeciavano da qualche
parte della villa, lui le sorrideva malizioso come a dire 哉ede-
te cosa vi siete persa?
Marianna gli voltava le spalle infastidita. Da ultimo evi-
tava del tutto di girare per la villa quando sapeva che poteva
incontrarli. Ma nonostante le sue precauzioni finiva spesso
per trovarli sulla sua strada, quasi lo facessero apposta.
Cosse n'era andata a Palermo nel suo palazzo di via Al-
loro, girando di malumore fra le stanze buie e sovraccariche
di quadri, arazzi e tappeti. Si era portata dietro Fila lascian-
do Innoeenza a Bagheria. Anehe Saro l'aveva lasciato alla
villa. Da qualche tempo diventato eapoeantiniere e bisogna
vedere eome assaggia il vino, sballottolandolo da una guan-
cia all'altra, a ocehi ehiusi e eome poi lo sputa lontano facen-
do schioccare la lingua. Ormai indovina anche le annate.
Era tornata a lavoro finito, in maggio e aveva trovato gli
affreschi cosbelli che aveva perdonato al pittore le sue esibi-
zioni e le sue vanterie. Erano partiti lui e la moglie ragazzina
proprio il giorno della morte di Cieeiuzzo Calche da ultimo
era diventato pazzo e girava per il eortile eereando le figlie,
mezzo nudo, eon gli oeehi fuori della testa.
Oggi festa. Nel salone illuminato da grappoli di vetri di
Murano in eui bruciano le eandele, si aggirano tutte le gran-
di dame di Palermo. I vestiti enormi, a pallone, tenuti su da
"tonti" e "cianchetti" in legno e ossi di balena, i corpetti at-
tillati e scollati, di sete dai colori delicati. Accanto a loro i si-
gnori cavalieri indossano per l'occasione lunghe giamberghe
rosse, viola, verdi ricamate in oro e argento, camicie sbuffan-
ti di merletti e di trine, parrucche incipriate e profumate.
Marianna si guarda intorno soddisfatta: sono giorni e
giorni che prepara questa festa e sa di avere predisposto ogni
cosa in modo che la serata ruoti come un congegno ben olea-
to: gli antipasti sul terrazzo del primo piano fra i geranei e le
piante grasse africane; una parte dei bicchieri se li dovuti
fare prestare da casa Torre Mosca perchdopo la morte del
marito zio non aveva pirimpiazzatO quelli che mano mano
si rompevano. In questi bicchieri, prestati da Agata, vengono
versati rosolii leggeri e speziati, limonate e vini frizzanti.
La cena invece sarservita in giardino, fra le palme nane
e i gelsomini, su tavoli coperti di lino, nei servizi cosiddetti
"della regina" in bianco e azzurro con l'aquila nera. Il pasto
si comporrdi maccheroni "di zitu", triglie rosate, lepri al-
l'agro, cinghiali al cioccolato, tacchini ripieni di ricotta, sara-
ghi affogati, porcelli alla fiamma, riso dolce, conserva di scor-
zanera, cassate, trionfi di gola, teste di turco, gremolate e vini
di casa Ucr駮 dai sapori aspri e forti delle vigne di Torre
Scannatura.
Dopo cena ci sarla rappresentaziOne teatrale: Olivo, Se-
bastiano, Manina, Mariano canteranno l'Arteserse del Meta-
stasio con la musica di Vincenzo Ciampi suonata da una or-
chestra di signori: il duca di Carrera Lo Bianco, il principe
Crescimanno signore delle Gabelle del Biscotto, la baronessa
Spitaleri, il conte della Cattolica, il principe Des Puches di
Caccamo e la principessa Mirabella.
Il cielo per fortuna pulito, cosparso di piccoli bottoni lu-
centi. La luna non si vede ancora. In compenso la fontana
del tritone illuminata dall'interno delle nicchie scavate nella
roccia, riempite di candele, fa un effetto sorprendente.
Seguendo una coreografia preparata in anticipo, ogni co-
sa Sl muove secondo un ritmo conosciuto solo da chi l'ha pre-
disposto, anche gli ospiti con i loro vestiti preziosi, i loro scar-
pini tempestati di pietre, partecipaninconsapevoli a un gio-
co di innesti.

Marianna non ha voluto indossare il vestito da cerimonia
per potersi muovere piagevolmente fra gli ospiti, fare delle
puntate rapide in cucina, correre al teatro, tornare verso l'or-
chestra che sta provando gli strumenti nella casa gialla, con-
trollare le torce a vento, tenere d'occhio le figlie, le nipoti, da-
re segnali con il capo al cuoco e a Saro perchporti su altri
vini dalla cantina.
Alcune dame non possono neanche sedersi tanto sono
elaborate e gonfie le loro gonne rette da strutture rigide che le
fanno assomigliare a delle cupole con la torretta dell'orologio
in cima. Quest'anno va di moda "la volante", un vestito che
viene dalla corte di Parigi: un cerchio tanto ampio che po-
trebbe dare asilo a due clandestini accovacciati, fatto di un
intreccio di vimini ricoperto da una ampia gonna lunga sor-
montata da una tunichetta scivolosa tutta pieghe, fiocchi e
fronzoli, munito di due cannelli sul dorso che dal collo scen-
dono fino alla vita.
Alle undici ci saril ballo e a mezzanotte i fuochi di artifi-
cio. Una macchina stata costruita apposta e sistemata nel
limoneto di fianco al teatro in modo che le esplosioni av-
vengano proprio sulle teste degli ospiti e le gocce di fuoco va-
dano a morire dentro la vasca delle carpe o fra le aiole di rose
e di violacciocche.
Una notte benigna, tiepida, allagata di profumi. Una leg-
gera brezza salina che arriva a tratti dal mare, rinfresca l'a-
ria. Marianna, nel trambusto non riuscita a mandare gi neanche un "vol-au-vent". I cuochi sono stati affittati per la
serata: il primo francese o per lo meno si dice tale e si fa
chiamare monsieur Trebbian ma lei sospetta che abbia solo
soggiornato per qualche tempo in Francia. Cucina bene, " la franc~aise", ma i suoi piatti piriusciti sono quelli isolani.
Sotto i nomi piastrusi si possono riconoscere i soliti sapori
che piacciono a tutti.
Le grandi famiglie di Palermo se lo contendono da anni
per cene e pranzi affollati. E a monsTrebbianpiace tra-
smigrare da una casa all'altra a pagamento, portandosi die-
tro uno stuolo di aiutanti, di assistenti, di "petites-maines" di
fiducia, nonchuna valanga di pentole, coltelli e forme di sua
proprieta.

197
Marianna si siede un momento sfilandosi, sotto le lunghe
gonne, le scarpette a punta. Sono anni che non vede tutta la
famiglia insieme alla villa: Signoretto i cui affari non vanno
bene, ha dovuto ipotecare il feudo di Fontanasalsa per paga-
re i debiti. Pernon ha l'aria di preoccuparsene. Il lento pre-
cipitare della famiglia verso la rovina lui lo considera parte
del destino comune, un destino a cui inutile opporsi, tanto
avrragione di loro comunque.
Carlo diventato famoso per la sua dottrina e ora lo chia-
mano da tutte le parti d'Europa per decifrare antichi mano-
seritti. E appena tornato da Salamanea dove stato invitato
dall Universidad Real ehe alla fine del soggiorno gli ha offer-
to un posto di insegnante, ma lui ha preferito rientrare ai suoi
giardini di San Martino delle Seale, fra i suoi libri, i suoi al-
lievi, i suOi bosehi, i suoi eibi. 俟ogni e favole io fingole ha
seritto su un foglietto ehe le ha eaeeiato quasi di naseosto nel-
la tasea, 俊utto menzogna, delirando io vivo alla maniera
di Metastasio.
Marianna rilegge il foglietto spiegazzato ehe rimasto in
fondo alla tasea. Cerea eon gli oeehi il fratello affondato in
una dormeuse, i eapelli radi sulla testa, gli oeehi poreini. Bi-
sogna osservarlo bene per seoprire un brieiolo di spiritualit in quel eorpo sfuggito ormai a ogni eontrollo, ehe straripa da
ogni parte.
Dovrei vederlo pispesso, si diee Marianna notando il
pallore malsano della faeeia del fratello ehe sembra volere fa-
re il verso a quella materna. Le pare di sentirne l'odore anehe
a distanza: di laudano e di tabaeeo.
Anehe Agata si molto trasformata. Testimoni della sua
bellezza sono rimasti i grandi oeehi bovini, in eui il bianeo e
1 azzurro si dividono eon limpidezza. Tutto il resto eome se
fosse stato immerso nell'aequa del bueato per troppe ore e
pOl strapazzato eon la eenere e sbattuto sulla pietra eome si
fa eon i panni al fiume.
Aeeanto a lei, la figlia Maria ehe sembra il suo ritratto da
ragazza: le spalle aneora aspre di sedieenne ehe sguseiano eo-
me mandorle fresehe dal vestito di trine eoperto di fioeehi lil-
la. Per fortuna Agata riuseita a impedire ehe venisse sposa-
ta a dodiei anni eome avrebbe voluto il marito. Se la tiene vi-
eina e la veste da bambina perehsembri pipieeola, indi-
spettendo la figlia ehe inveee vorrebbe apparire pigrande.
Giuseppa e Giulio seggono vieini, si guardano in eontinua-
zione, ridono per ogni nonnulla. Il eugino Olivo li osserva da
un altro tavolo, immusonito. La moglie aeeanto a lui meno
sgradevole di come l'avevano dipinta a Marianna: piecolina,
irrigidita ma eapace di sciogliersi in risate liquide e sensuali.
Non sembra faceia easo ai musi del giovane marito; forse non
sospetta neanehe questo amore fra eugini. O forse sed per
questo che quando seria sembra che abbia mangiato una
scopa. Le sue risate sono certo un modo per farsi coraggio.
Mariano invece si fa sempre pibello e maestoso. In
certi momenti rammenta il padre nelle espressioni aggron-
date e superbe, ma i colori sono del nonno Signoretto: colori
del pane appena uscito dal forno e gli occhi sono profondi e
turchini .
La moglie, Caterina Moldi Flores, ha avuto diversi
aborti e nessun figlio: questo ha finito per creare una acrimo-
nia fra i due che si vede a occhio nudo. Lui le si rivolge sem-
pre in un tono un po' stizzito e rimproverante; lei gli risponde
per le rime ma senza spontaneit come se pensasse di dovere
comunque espiare le colpe della sua sterilit
Lei gli parla di libertnuove, incantata dalle parole della
zia Domitilla, ma con sempre meno convinzione. Lui non fin-
ge neppure pidi ascoltarla. I suoi occhi vigilano costante-
mente che nessuno invada il cerchio incantato in cui si chiu-
de a sognare. Da appassionato che era per i divertimenti,
sempre in giro per balli e giochi da una villa all'altra, di-
ventato negli ultimi anni pigro e contemplativo. La moglie lo
trascina per i salotti e lui si lascia condurre ma non partecipa
alle conversazioni, si rifiuta di giocare a carte, mangia poco,
beve appena. Gli piace guardare gli altri senza essere guar-
dato, sprofondando nei suoi vapori.
Che cosa sogna Mariano? difficile dirlo. Qualche volta
Marianna l'ha indovinato standogli vicina e sono sogni di
grandi avventure militari fra genti straniere, di spade levate,
cavalli sudati, odori di battaglie e di polvere da sparo.
Possiede una collezione di armi come il padre e ogni volta
che la ospita per un pranzo di famiglia gliele illustra metico-
199
losamente: la spada di Filippo II, un archibugio del duca di
Angi un moschetto delle guardie di Luigi XIV, la scatola
intarsiata che l'Infante di Spagna usava per la polvere nera e
altre meraviglie del genere. Alcune le ha ereditate dal signor
marito zio, altre le ha comprate da solo.
Eppure non si muoverebbe dal suo palazzo di via Alloro
neanche se avesse la sicurezza di una vittoria strepitosa sul
campo. I sogni sono in qualche modo picorposi della realt quando diventano una seconda vita a cui ci si abbandona
con strategica intelligenza.
Marianna osserva il figlio che si alza dalla tavola dove ha
cenato con Francesco Gravina, figlio di quell'altro Gravina
di Palagonia detto Agonia. Il giovanotto sta riammodernan-
do la villa costruita dal nonno, riempiendola di statue strava-
ganti: uomini con la testa di capra, donne a metscimmia,
elefanti che suonano il violino, serpenti che impugnano il
flauto, draghi vestiti da gnomi e gnomi dalle code di drago
nonchuna collezione di gobbi, pulcinella, mori, mendicanti,
soldati spagnoli e musici vaganti.
La gente di Bagheria lo considera tocco. I familiari hanno
tentato di farlo interdire. Gli amici invece lo amano per un
certo modo candido e pudico di ridere di s Anche all'inter-
no pare che stia trasformando villa Palagonia in un luogo di
incantesimi: sale foderate di specchi che rompono e moltipli-
cano l'immagine riflessa fino a renderla irriconoscibile; mezzi
busti di marmo che si sporgono dalle pareti con le braccia te-
se verso i ballerini, gli occhi di vetro che girano nelle orbite.
Le camere da letto poi, sono popolate di bestie imbalsamate:
asinelli, sparvieri, volpi ma anche serpenti, scorpioni, lucer-
tole, lombrichi, animali che nessuno ha mai pensato di impa-
gliare.
I maligni dicono che il nonno Ignazio Sebastiano riscuo-
tesse fino alla sua morte, ciofino all'anno scorso, una gabel-
la "sul coito" in cambio della rinuncia allo jus primae noctis
feudale. Il giovane Palagonia brutto come la fame: mento
affilato, occhi troppo vicini, naso a becco; ma chi lo conosce
dice che gentile e allegro, incapace di fare male a una mo-
sca, cortese con i sottoposti, tollerante, pensoso e dedito alle
letture di romanzi di avventure e di viaggi.

200


1

Strano che siano amici lui e Mariano, sono cosdiversi,
ma forse proprio questo che li avvicina. Mariano non legge-
rebbe un libro neanche costretto. Le sue fantasie si nutrono
di racconti fatti a voce e certamente preferisce un qualsiasi
cantastorie anche della strada a un libro della biblioteca ma-
terna. Ora le sembra di averlo perso nella folla, dove saran-
dato il bel Mariano sognatore? e lo scopre poco piin lche
cammina solitario dirigendosi verso la "coffee house" imper-
lata di luci.
Lo vede sorbire un caff scottarsi la lingua e fare un gesto
di stizza, saltellare su un piede solo, esattamente come faceva
da piccolo. Con la tazzina in mano lo vede prendere posto su
una sedia rigida mentre il suo sguardo si posa ingordo sui
corpi scoperti delle invitate. Le pupille fosche, le labbra ser-
rate: uno sguardo insistito e penetrante. Quel luccichio le ri-
corda il signor marito zio. Riconosce in esso l'occulto im-
provviso desiderio di stupro.
Marianna chiude le palpebre. Le riapre. Mariano non pinella "coffee house" e Caterina lo sta cercando. Adesso il
gazebo si riempito di dame e signori, ciasGuno con la sua
tazzina di caffin mano. Li conosce tutti da quando nata,
sebbene li frequenti poco. Piche altro li vede ai matrimoni,
alle cerimonie di monacazione, alle visite che si fanno per un
puerperio, per una cresima.
Sono sempre le stesse donne dall'intelligenza lasciata a
impigrire nei cortili delle delicate teste acconciate con arte
parigina. Di madre in figlia, di figlia in nipote, sempre inten-
te a girare intorno ai guai che portano i figli, i mariti, gli
amanti, i servi, gli amici, e a inventare nuove astuzie per non
farsene schiacciare. I loro uomini sono occupati da altri guai,
altre gioie, diverse e parallele: l'amministrazione delle pro-
prietlontane, sconosciute, il futuro delle casate, la caccia, il
gioco, le carrozze, il corteggiamento, le questioni di prestigio
e di precedenza.
Pochissimi sono quelli che qualche volta salgono sul tetto
pialto e danno uno sguardo intorno per vedere dove sta
bruciando la citt dove invece le acque stanno allagando i
campi, dove ancora la terra sta facendo maturare il grano e le
vigne, e come la loro isola stia rovinando nell'incuria e nella
rapina.
201
Le debolezze di quelle famiglie sono anche le sue, conosce
le infamie segrete di cui discorrono le donne dietro i ventagli,
le iniziazioni dei giovani maschi fatte sulle serve ragazzine, le
quali poi quando rimangono incinte vengono "cedute" ad
amici disinvolti o spedite nelle case religiose per "pericolan-
ti" o in ospizi per "fanciulle cadute"; i debiti astronomici, gli
strozzinaggi, le malattie nascoste, le nascite sospette, le sera-
te passate al circolo giocandosi castelli e terreni, le intempe-
ranze al bordello, le cantanti contese a suon di scudi, le liti
furibonde tra fratelli, gli amori segreti, le terribili vendette.
Ma ne conosce anche i sogni; il ritmo incantato delle bat-
taglie fra Orlando, Art Ricciardetto, Malagigi, Ruggero,
Angelica, Gano di Maganza e Rodomonte che scandisce le
loro "reveries". La capacitdi nutrirsi di pane e rape pur di
mantenere una carrozza dai riccioli di legno dorato. Ne cono-
sce il mostruoso orgoglio, l'intelligenza capricciosa che si pic-
ca di rimanere oziosa per dovere di nobilt L'umorismo se-
greto, amaro, che si congiunge spesso con una sensuale vo-
lontdi corruzione e di annullamento.
Non cosanche lei? carne di quella carne, oziosa, vigile,
segreta e soffocata da sogni di grandezza insensata? Di diver-
so c'forse solo la menomazione che l'ha resa piattenta a s e agli altri, tanto da riuscire talvolta a carpire i pensieri di chi
le sta accanto.
Ma non ha saputo trasformare questo talento in una arte
come avrebbe suggerito il signor David Hume; l'ha lasciato
fiorire a casaccio subendolo piche guidandolo, senza trarne
partito.
Nel suo silenzio abitato da parole scritte, ha elaborato
delle teorie lasciate a met ha rincorso brandelli di pensieri
ma senza coltivarli con metodo, lasciandosi andare alla pigri-
zia tipica della sua gente, sicura dell'immunit pure davanti
a Dio, poich咨utto sardato a chi ha e niente a chi non ha
E per "avere" non si intende propriet ville, giardini, ma
delicatezze, riflessione, complicazioni intellettuali, tutto ci che il tempo di cui dispongono in abbondanza favorisce a lo-
ro signori che poi si divertono a buttarne via le briciole ai po-
veri di spirito e di moneta.
Le gremolata ha finito di sciogliersi nella coppa di cristal-

202

lo dal gambo alto. Il cucchiaio scivolato per terra. Un soffio
d'aria tiepida, un alito di fichi secchi le solletica l'orecchio.
Saro chino su di lei e le sfiora con le labbra la nuca. Ma-
rianna ha un soprassalto, si alza, traffica comicamente con le
scarpe sotto la gonna, pianta gli occhi rabbiosi sul ragazzo
Perchvenirla a tentare di soppiatto mentre persa nei su
pensieri?
Afferra con mano decisa il taccuino e la penna e scrive
senza guardare: 信o deciso, ti sposi Quindi tende il foglio
al ragazzo che se lo porta sotto la torcia a vento per leggere
meglio.
Marianna lo osserva un momento incantata: nessuno del
giovani signori invitati ha la grazia di quel corpo su cui cor-
rono le ombre saltellanti della festa. Ci sono in lui delle trepi-
dazioni, delle incertezze che ne alleggeriscono i movimenti,
rendendolo fragile e come sospeso per aria; si ha voglia di
prenderlo per la vita e tirarlo giverso il pavimento.
Ma appena vede lo sguardo smarrito di lui su di s Ma-
rianna si alza e va a mescolarsi frettolosa fra la massa degli
ospiti. Ormai l'ora della rappresentazione e dovrcondurre
gli invitati lungo i sentieri del giardino, fra le siepi di sambu-
co e di gelsomini, fino alle porte appena verniciate del teatro.
XXXIV





Il signor fratello abate le ha messo in mano una tazza di
cioccolata e ora le sorride con aria interrogativa. Marianna intenta a guardare, al di ldegli alti gigli e dei tronchi dei
melograni, la cittdi Palermo che si stende come un tappeto
cinese dai colori rosa e verde, in uno spolverio di case grigio
piccione.
La cioccolata sulla lingua ha un sapore amarognolo e
profumato. Ora il fratello batte un piede sul pavimento di le-
gno della veranda. Che sia impaziente di mandarla via? ep-
pure appena arrivata, dopo due ore di lettiga su per i viot-
toli rocciosi che portano verso San Martino delle Scale
侮oglio dare sposa a un famiglio. Chiedo il vostro consi-
glio per una brava ragazzascrive Marianna usando i suoi
complicati strumenti letterari: la tavoletta pieghevole appesa
a una cinghia, la penna d'oca dalla punta smontabile appena
arrivata da Londra, il calamaio attaccato ad una catenella,
un quadernetto dai fogli estraibili.
La sorella spia la faccia larga del fratello mentre legge le
sue parole. Non fretta quella che gli corruga la fronte, ora
se ne rende conto, ma imbarazzo. Questa sorella, chiusa co-
m e nei SUO1 silenzi forzati, gli sempre apparsa lontana,
straniera. Salvo forse per quel periodo quando era ancora vi-
va la nonna Giuseppa, in cui tutti e due si infilavano nel letto
di lei. Allora lui aveva l'abitudine di stringerla e baciarla cos forte che la lasciava senza fiato. Poi, non si sa come, non si
sono plU frequentati. Ora lui sembra chiedersi cosa ci sia die-
tro a quella richiesta di consiglio della sorella sordomuta
una pretesa di alleanza contro il fratello maggiore che sta
precipitando nei debiti? o un curiosare nella sua vita di abate
solitario? o una richiesta di soldi?

Grappoli di pensieri disordinati gli sgusciano fuori dagli
occhi, dalle narici, senza armonia, senza intenzioni. Marian-
na lo vede tormentare con le dita grassocce una foglia appun-
tita di giglio e sa che non potrsfuggire all'onda delle rifles-
sioni di lui che la stanno raggiungendo dal fondo di un cer-
vello svogliato e mordace.
俠a signora sorella inquieta... che abbia paura di invec-
chiare? strano come regga bene l'et.. neanche un filo di
grasso, nessuna deformazione, snella come quando aveva
vent'anni, la carnagione chiara, fresca, i capelli ancora ricci e
biondi, solo una ciocca bianca sulla tempia sinistra... che se li
tinga con l'essenza di camomilla? eppure anche il signor pa-
dre, se ricorda bene, ha conservato i capelli biondi serafici fi-
no a tarda et Solo a lui sono toccati questi quattro fili spaia-
ti... inutile guardarsi allo specchio, la lanuggine cresce per
via di quella erba grassa mista all'ortica che gli ha consiglia-
to la nipote Felice, ma rimane lanuggine, come di beb non
riesce a farsi capelli... Conserva la faccia da ragazzina questa
sorella mutola... mentre la sua si gonfiata e fa bozzi da tutte
le parti... che sia la mutezza ad averla preservata dalla rovi-
na degli anni?... c'un che di verginale in quegli occhi da
stralunata... quando lo guarda cosgli mette paura... il mari-
to zio chissche baccal.. il signor Pietro lo si vedeva da co-
me camminava che era inetto, tutto scatti, torsioni, legnosi-
t.. e lei ha conservato un candore da giovane sposa... dietro
quei pizzi, quelle mantelle, quei fiocchi color notte c'un cor-
po che non conosce il piacere... deve essere cos il piacere
consuma, dilata, sgretola... piacere s di cui lui si imbrat-
tato mani e piedi prima con le donne dai dorsi esili e senza
seni con cui si impegnava in corpo a corpo da lasciare spossa-
ti... sfociato poi con gli anni, in un gusto paterno e sensuale
per i corpicini deformi e macilenti di ragazzini scontrosi che
ama ormai solo con lo sguardo e il pensiero... Mai rinunce-
rebbe alla gioia di avere intorno a squei piccoli esseri dalle
gambe storpiate dalla denutrizione, quegli occhiuzzi neri sfa-
villanti, quelle dita che non sanno prendere eppure pretendo-
no di afferrare il mondo,... non rinuncerebbe a uno solo di
quei protetti neanche per recuperare immediatamente il suo
stesso corpo di giovanotto dai capelli folti e il collo sottile... E
205
lei che ha perso tutto perdendo la voce... Ha paura, le si leg-
ge negli occhi che se la fa sotto... E per paura che si impedi-
sce di vivere e si butta nella tomba ancora intera e vergine
ma gisoffocata, gifatta a pezzi, gimorta, come un ciocco
male abbozzato... chisschi le ha dato quella tignal non cer-
to il signor padre che sempre stato gentile e distratto Anco-
ra meno la signora madre che si era mimetizzata con le co-
perte del letto a tal punto da non riconoscere le proprie gam-
be... il tabacco e il laudano la tenevano in quel limbo da cui
diventava sempre pinauseante allontanarsi Marianna non riesce a staccargli gli occhi di dosso. I pen-
sieri del fratello scivolano con facilitdalla testa di lui a quel-
la di lei, come se la mano esperta di un giardiniere stesse spe-
rimentando un innesto spericolato.
Vorrebbe fermarlo, strappare quel rametto estraneo da
cui cola una linfa ghiacciata e amara, ma come avviene
quando Sl fa recipiente di pensieri altrui, non riesce poi a ri-
fiutarli. E presa da un bisogno acre di toccare il fondo del-
l'orrore dando corpo alle parole pisegrete e volanti, pi abiette e inutili.
Il fratello sembra intuire il disagio di lei ma lo vince con
un brillio degli occhi e un sorriso gentile. Poi si impossessa
della penna e scrive riempiendo un foglio di lettere minute,
slanciate, bellissime a guardarsi.
侶uanti anni ha lo sposo? 侮entiquattro. 亟 cosa fa? 青antiniere. 非i quanto dispone? 非i suo niente. Gli dario un migliaio di scudi Mi ha
servita lealmente. La sorella pur essa serva in casa mia. Me
l'ha regalata il signor padre anni fa. 亟 quanto gli date al mese? 侮enticinque tar L'abate Carlo Ucr駮 fa una smorfia come a dire che non
c'male, si tratta di un buono stipendio, qualsiasi ragazza
del popolo potrebbe desiderarlo come marito
促otrei sistemare la sorella di Totuccio lo spaccapie-
tre... sono talmente poveri in quella famiglia che se potessero

206

venderla al mercato se ne libererebbero subito di quella figlia
e anche delle altre... Cinque sorelle e un fratello, una vera
disgrazia per un pescatore senza barca nreti che pesca nelle
"varcazze" altrui e si nutre dei resti che i padroni gli lasciano
in cambio del suo lavoro, va a piedi scalzi pure la domenica e
per casa ha una spelonca tutta nera di fumo... Ia prima volta
che ci stato per fare piacere a Totuccio, quel "babbaluced-
du", la madre schiacciava pidocchi alla minore delle figlie
mentre le altre le facevano corona e ridevano "le vastase" con
quelle bocche affamate, quegli occhi di fuori, quei colli di gal-
lina... piccole, storte, nessuno se le vorrmai come "mug-
ghieri", non sono buone neanche a lavorare, hanno patito
troppo la fame, chi vuoi che se le pigli? la pigrande ha la
gobba, la seconda il gozzo, la terza un sorcio, la quarta Ull
ragnetto, la quinta uno scorfano...
亟ppure il padre stravede per quegli sgorbi, "lu citrulu-
ne", bisogna vedere come se le coccola. E la madre con le
mani tutte tagli e lerciume le solletica, le pulisce, gli fa le
treccine unte con l'olio di pesce, che risate si facevano tutte
insieme!... Totuccio si era messo a fare il "mezzobraccio" a
nove anni per portare soldi a casa... ma che poteva portare?
un tarogni quindici giorni? roba che non ci compri neanche
un rotolo di pane...
雨isognava vederlo quel giorno che arrivato al conven-
to mezzo nudo, reggendo un paniere di pietre sulla testa,
sporco di calcina e di fango. E con che serietsi era messo ad
allineare quelle pietre tanto pesanti che a stento riusciva a
staccarle da terra, vicino all'aiola dei gigli... dovrebbe rin-
graziare padre Domenico che ha la mania dei muretti... sen-
za di lui il ragazzo non sarebbe mai capitato da quelle par-
ti... ora ci vivono in otto con i suoi soldi, mica tanto, bastano
pochi carlini, ci fanno la minestra di lisca di pesce, il pane
con la crusca... ma sono allegri e si sono ingrassati e ripuliti,
sembra un'altra famiglia... non che lui l'abbia 燤atto per il
loro bene, non ha l'anima del samaritano, ma insomma il be-
ne ne venuto fuori lo stesso... questo il vizio~ fanno ridere
quei padri con la puzza sotto il naso, quell'eterno borbottio
di moralisti... pure lei questa sorella dal cipiglio doloro-
so... chi si crede di essere, santa Genoveffa? perchnon al-
larga le braccia, non mette un piede in fallo, non si leva quel-
le bende dagli occhi... tanto tutto quello che si fa lo si fa per il
nostro piacere, che sia un piacere raffinato come quello di
servire i poveri o un piacere grossolano come quello di goder-
Sl la vista di un "piccioteddu" dalla vita stretta e il culo a pa-
gnottella fa lo stesso... non si diventa santi per volontma
per piacere... c'chi fa l'amore col diavolo, chi lo fa col corpo
piagato di Gesnostro signore, chi lo fa con se stesso, chi lo
fa con i ragazzini come lui, ma senza abusare della loro vo-
lont senza carpire o strappare o violare niente... il piacere un'arte che conosce le sue misure, i suoi limiti e il pigrande
piacere sta nel rispettarli questi limiti e farsene una cornice
per la propria armonia... Gli eccessi non gli assomiglia-
no... gli eccessi lo getterebbero dritto e fresco dentro il calde-
rone degli intrallazzi, delle finzioni, delle forzature, degli
scandali e lui ama troppo i libri per credere nei bollori della
carne... L'occhio sa carezzare pidella mano e i suoi occhi si
saziano, ma con quanta dolcezza, di sguardi e di tenerezze
non dette... Ora basta, si dice Marianna, ora gli scrivo che la smetta
di sciorinarmi i suoi pensieri. Ma la sua mano rimane posata
quieta sul grembo, gli occhi socchiusi nella penombra di
quelle foglie di melograno che mandano un profumo sottile e
agro.
信o una ragazza per voi, si chiama Peppinedda. E brava.
Ha sedici anni, povera in canna ma se voi la favorite... Marianna annuisce. Le sembra inutile riempire un altro
foglio. La sua mente spossata dalle orde di pensieri che
hanno percorso su e gila testa come una banda di topi in fe-
sta. Ora ha solo voglia di riposare. Di Peppina sa gitutto. E
non le dispiace che sia stato il fratello a sceglierla per delle
ragioni bislacche, tanto una ragione vale l'altra Se l'avesse
chiesto alle sue figlie si sarebbero agitate e non avrebbero ca-
vato un ragno dal buco. Carlo, con la sua filosofia del piace-
re, quegli occhi di maiale intelligente, uno capace di risol-
vere le difficoltdegli altri combinando delicatamente i suoi
interessi con quelli di chi gli sta a cuore. Non si propone di
fare il bene e percipuanche farlo. Il suo naso da tartufo sa
trovare il tesoro e lo stana per lei come sta facendo adesso,

208

con generosit Non le rimane che ringraziarlo e andarsene.
Eppure qualcosa la trattiene, una domanda che le stuzzica la
mano. Prende la penna, ne mordicchia la punta, poi scrive
rapida al suo solito.
青arlo, ditemi, voi ricordate che.io abbia mai parlato? 俏o, Marianna. Nessuna esitazione. Un no che chiude il discorso. Un
punto esclamativo, uno svolazzo.
亟ppure io ricordo di avere udito con queste orecchie dei
suoni che poi ho perduto. 俏on ne so niente sorella. E con questo il colloquio concluso. Lui fa per alzarsi e
congedarla ma lei non accenna a muoversi. Le dita tormen-
tano ancora la penna, si macchiano di inchiostro.
青'altro?scrive lui chinandosi sul taccuino della so-
rella.
俠a signora madre una volta mi disse che non sempre so-
no stata mutola e priva di udito. 隹desso che le prende? non le bastato venire a distur-
barlo per un famiglio, di cui magari innamorata... gi co-
me non pensarci prima?... non sono fatti della stessa carne?
lubrichi e indulgenti verso le proprie voglie, pronti a carpire,
trattenere, pagare, perchtutto loro permesso per diritto di
nascita?... santo Signore perdono!... forse solo un pensiero
cattivo... gli Ucr駮 sono stati dei buoni cacciatori, degli insa-
ziabili accaparratori... anche se poi si fermavano sempre a
mezzo, perchnon avevano il coraggio degli eccessi come i
Scebarr跴... guardate la signora sorella Marianna con quel
pallore da lattante, quella bocca morbida... qualcosa gli dice
che tutto da inventare in lei... un bel gioco sorella alla vo-
stra et.. una "locura"... e nessuno che le insegni i rudimen-
ti dell'amore... ci lascerle penne come facile prevede-
re... Iui potrebbe insegnarle qualcosa ma non sono esperien-
ze che si possono scambiare fra fratelli... che leprotta era da
piccola, tutta paura e allegria... ma vero, parlava quando
aveva quattro, forse cinque anni... Io ricorda benissimo e ri-
corda quel sussurrare in famiglia, quel serrarsi di bocche at-
territe... ma perch cosa cavolo stava succedendo in quei la-
birinti di via Alloro? una sera si erano sentiti dei gridi da ac-
209
capponare la pelle e Marianna con le gambe sporche di san-
gue era stata portata via, strascinata dal padre e da Raffaele
Cuffa, strana l'assenza delle donne... il fatto che s ora lo
ricorda, lo zio Pietro, quel capraro maledetto, l'aveva assali-
ta e lasciata mezza morta... slo zio Pietro, ora chiarissimo,
come aveva potuto dimenticarlo? per amore diceva lui, per
amore sacrosanto che lui l'adorava quella bambina e se n'era
"nisciutu pazzu"... com'che aveva perduto la memoria del-
la tragedia?
亟 dopo, sdopo, quando Marianna era guarita, si era vi-
sto che non parlava pi come se, zac, le avessero tagliato la
lingua... il signor padre con le sue ubbie, il suo amore esaspe-
rato per quella figlia... cercando di fare meglio ha fatto peg-
gio... una bambina al patibolo, come poteva venirgli in men-
te una simile baggianata!... per regalarla poi a tredici anni a
quello stesso zio che l'aveva violata quando ne aveva cin-
que... uno "scimunitazzu" il signor padre Signoretto... pen-
sando che il mal fatto era pur suo, tanto valeva che gliela da-
va in sposa... La piccola testa ha cancellato ogni cosa... non
sa... e forse meglio cos lasciamola nell'ignoranza, povera
mutola... farebbe meglio a prendere un bicchiere di laudano
e mettersi a dormire... non ha pazienza lui con le persone
sorde, ncon quelle che si legano con le proprie mani, ncon
quelle che si regalano a Dio con tanta dabbenaggine... e non
sarlui a rinverdirle la memoria mutilata... dopo tutto si
tratta di un segreto di famiglia, un segreto che neanche la si-
gnora madre conosceva... un affare fra uomini, un delitto for-
se, ma ormai espiato, sepolto... a che serve infierire? L'abate Carlo, inseguendo i pensieri pireconditi si di-
menticato della sorella che ormai si allontanata, quasi
arrivata al cancello del giardino e da dietro sembra che
pianga, ma perchdovrebbe piangere? le ha forse scritto
qualcosa? come se avesse sentito i suoi pensieri, la babbasu-
na, chissche dietro quella sorditnon ci sia un udito pifi-
no, un orecchio diabolico capace di svelare i segreti della
mente... "Ora la raggiunger, si dice, "la prenderper le
spalle e la stringeral petto, le darun bacio sulla guancia,
lo far cadesse il cielo..."

俑arianna!grida avviandosi dietro alla sorella.
Ma lei non pusentirlo. E mentre lui si tira su dalla pol-
troncina in cui era sprofondato lei ha givarcato il cancello,
salita sulla lettiga d'affitto e sta discendendo lungo la scar-
pata che porta a Palermo.
xxxv





侮orrei voler signor, quel ch'io non voglio.. I libri man-
dano un buon odore di pelle conciata, di carta pressata, di in-
chiostro secco. Questo libretto di poesie pesa nelle sue mani
come un blocchetto di cristallo. Le parole di Buonarroti si
compongono nel pensiero con la precisione, la purezza di un
disegno a inchiostro di China. Una piccola perfetta geome-
tria linguistica.

Caro m'il sonno e pil'esser di sasso
mentre che '1 danno e la vergogna dura
non veder, non sentir m'gran ventura
pernon mi destar, deh parla basso!

Marianna alza gli occhi sulla finestra. E venuto giil
buio e sono appena le quattro e mezzo. Fa freddo nella bi-
blioteca nonostante la brace che arde nello scaldino.
Solleva una mano per tirare il cordone del campanello
ma proprio in quel momento vede la porta che scivola su se
stessa precedendo un alone di luce. Sulla soglia appare un
candelabro e dietro il candelabro tenuto a braccio teso, Fila.
La sua faccia quasi del tutto coperta da una cuffia di tela
grezza che le scende stranamente sulle guance, le copre le
orecchie, le si chiude sotto la gola con un cordoncino che le
taglia il respiro. E bianca come uno straccio e gli occhi sono
rossi come se avesse pianto.
Marianna le fa cenno di avvicinarsi ma Fila finge di non
averla capita, accenna rapida una riverenza e si avvia verso
la porta dopo avere posato il candeliere sul tavolo.
Marianna si alza dalla poltrona in cui sprofondata, la

212

raggiunge, l'afferra per un braccio che sente tremare. La pel-
le diaccia, coperta da un velo di sudore. 青he hai?le chie-
de con gli occhi. Le tasta la fronte, l'annusa. Da quella cuffia
sale un odore acido e grasso, nauseabondo. Poi si accorge di
un liquido nero che le sta colando lungo le orecchie, sul collo.
Cos' Marianna la scuote, la interroga a gesti, ma la ragaz-
za china la testa cocciuta e non reagisce.
Marianna tira il cordone per chiamare Innocenza e in-
tanto continua ad annusare la ragazza. Innocenza non sa
scrivere ma quando vuole sa farsi capire meglio di Fila.
Appena la cuoca entra nella biblioteca, Marianna le mo-
stra la testa di Fila, la cuffia di tela macchiata di scuro, quel
nero che le cola lucido e puzzolente sul collo. Innocenza
scoppia in una risata. Scandisce lentamente la parola "tigna"
in modo che la duchessa possa leggergliela sulle labbra.
Marianna ricorda di avere letto in un opuscolo sui cosme-
tici della scuola di Salerno che la tigna a volte viene curata
dai popolani con la pece bollente. Ma un sistema drastico e
pericoloso: si tratta di bruciare il cuoio capelluto, di mettere
a nudo il cranio. Se il malcapitato resiste, guarisce, se no
muore lacerato dalle bruciature.

Con uno strattone Marianna tira via la cuffia dalla testa
di Fila ma vede che il danno gifatto. Il povero capo, privo
completamente di capelli, squarciato da larghe chiazze di
pelle bruciata e sanguinolenta.
Ecco che cosa si era portata appresso dalla sua ultima vi-
sita a certi parenti di Ficarazzi. Dieci giorni in una di quelle
grotte buie, fra asini, galline, scarafaggi e ora, senza dirle
niente, sta cercando di liberarsi dei parassiti bruciandosi la
testa a morte.
Le stranezze di Fila sono cominciate dopo il matrimonio
di Saro con Peppinedda. Ha preso a vagare di notte in cami-
cia, addormentata. Una mattina l'hanno trovata svenuta e
mezza affogata dentro la vasca delle ninfee. Ora questa fac-
cenda della tigna.
Un mese addietro le aveva chiesto il permesso di andare a
visitare dei lontani cugini di Ficarazzi. Era venuto un uomo
enorme dai gambali di pelle di capra a prenderla con un car-

213
retto dipinto di fresco: bellissimo a vedersi con i suoi paladi-
ni, i suoi boschi, i suoi cavalli.
Fila montata fra un cane e un sacco di grano. E partita
facendo ciondolare le gambe e sembrava contenta. Ricorda
di averla salutata dalla finestra e di avere seguito con lo
sguardo la figurina minuta sul carro dai colori sgargianti che
Sl allontanava verso Bagheria.
Saro si era sposato da una settimana. Marianna gli aveva
regalato una grande festa col vino delle sue cantine e tante
qualitdi pesci: dagli sgombri e dalle aricciole arrostite sulla
brace ai polpi bolliti, dalle sarde a beccafico alla linguata al
forno.
Peppina aveva mangiato tanto che poi si era sentita male.
Sarino sembrava soddisfatto: la moglie sceltagli dalla signora
duchessa era di suo gusto: piccola come una bambina, scura
di pelle, le braccia coperte di peli, la bocca fresca dai denti
robusti e bianchi, gli occhi grandi e liquidi come due gremo-
late di caff
Si subito rivelata una ragazza intelligente e volitiva an-
che se selvatica come una capra. Abituata a patire la fame e a
sfacchinare in casa, a rammendare le reti d'altri sotto il sole
saziandosi di un pezzo di pane strusciato con l'aglio, mostra
la sua felicita mangiando di tutto, correndo di qua e di le
cantando a squarciagola.
Ride spesso, testarda come una mula, ma ubbidisce al
marito perchsa che questo le tocca. Ha un modo di ubbidi-
re perche non ha niente di servile, come se ogni volta fosse
lei a decidere proprio ciche le viene ordinato, per suo ca-
priccio, come una gran regina.
Saro la tratta come un animale di sua propriet A volte
giocando con lei sul tappeto della sala gialla, buttandosi per
terra, facendole il solletico, ridendo fino alle lagrime. A volte
dimenticandosi di lei per giorni interi.
Se fosse vivo il signor marito zio li caccerebbe tutti e due,
Sl dice Marianna; e invece lei li tollera, anzi prova piacere a
guardarli quando giocano a quel modo. Da che Saro si spo-
sato si sente molto piquieta. Non cammina piin punta di
piedi per schivare le trappole disseminate lungo la sua gior-
nata, non sta pinel terrore di restare sola con lui, non aspet-

214

ta di vederlo passare la mattina sotto la finestra, la camicia di
bucato aperta sul collo tenero, quell'ala di capelli che gli sci-
vola sorniona sulla tempia.
A Peppinedda ha dato l'incarico di aiutare Innocenza in
cucina e lei si dimostrata bravissima nello sbudellare i pe-
sci, nel grattare via le scaglie senza schizzarle intorno, nel
preparare gli intingoli di aglio e olio origano e rosmarino per
le grigliate.
Anche Peppinedda, come Fila, i primi tempi non riusciva
a portare le scarpe. Per quanto gliene avesse regalate due
paia, uno di pelle e uno di seta ricamata, andava sempre in
giro scalza lasciando delle piccole impronte umide sul pavi-
mento lucido dei saloni.
Da cinque mesi incinta. Ha smesso di giocare con Sari-
no, porta in giro la pancia come un trofeo. I capelli nerissimi
li tiene stretti dietro alla nuca con un nastrino rosso brillante.
Cammina a gambe larghe come se dcvesse scodellare il fi-
glio lin mezzo alla cucina o nella sala gialla, ma non ha per-
so nessuna delle sue abilit Manovra il coltello come un sol-
dataccio, parla poco o niente e dopo le prime abbuffate ora
mangia come un passerotto.
In compenso ruba. Non soldi noggetti preziosi ma zuc-
chero o biscotti o caffe strutto. Nasconde i cibi nella sua
stanza sotto i tetti e poi, appena pu si fa portare a Palermo
e regala ogni cosa alle sorelle.
Un'altra sua smania sono i bottoni. Da principio rubava
solo quelli caduti. Poi ha cominciato a staccarli girandoli fra
le dita con l'aria sognante. Da ultimo ha preso l'abitudine di
spiccarli dalle camicie con un colpo di denti e se qualcuno la
sorprende li tiene in bocca finchnon li mette al sicuro in
camera sua dove li ammucchia in una vecchia scatola di bi-
scotti.
Saro che ha imparato a scrivere abbastanza bene raccon-
ta a Marianna ogni cosa della giovane moglie. Sembra che
provi un gusto particolare a riferirle dei piccoli imbrogli della
sua "mugghieri" Peppinedda; come a dirle che se succedono
queste cose la colpa tutta sua che ha voluto dargliela per
forza.
Ma Marianna si diverte alle stravaganze di Peppinedda.
Le mette allegria quella ragazzina un po' gobba, forte come
un torello, selvatica come un bufalo, silenziosa come un pe-
sce.
Saro si vergogna un poco di lei, ma ha imparato a non
dirlo. La lezione dei signori l'ha mandata bene a memoria:
mai mostrare i propri sentimenti, giocare su tutto, usare bene
gli occhi e la lingua ma senza farsi notare.
促eppinedda rubbun'altra volta. Che ci devo fare? 亭rustatela!scrive Marianna e gli porge il foglio con un
gesto divertito.
隹spetta un picciriddu. E poi mi morde. 亟 lasciatela stare allora. 亟 se rubba ancora? 亭rustatela due volte. 促erchnon la frustate voi? 亟 vostra moglie, tocca a voi. Tanto sa che Saro non la picchier Perchin fondo ne ha
paura, la teme come si putemere un cane randagio male
addomesticato che pu se molestato, addentare una gamba
senza pensarci tanto su.
Ma adesso Fila svenuta in mezzo alla biblioteca. Inno-
cenza, anzichoccuparsi di lei, sta pulendo col grembiule la
pece che colata sul tappeto.
Marianna si china sulla ragazza. Le appoggia una mano
aperta sul petto, sente il cuore che batte lento, sfiatato. Pre-
me un dito sulla vena che le attraversa per lungo il collo: pul-
sa regolarmente. Eppure gelata, come fosse morta. Biso-
gnertirarla su. Fa un cenno a Innocenza che la prenda per i
piedi. Lei la solleva per le spalle e insieme la distendono sul
divano.
Innocenza si slaccia il grembiule e lo spiega sopra i cusci-
ni perchnon si sporchino. Dalla faccia che fa si capisce che
non approva per niente che la piccola serva Fila si sdrai, sia
pure svenuta, sia pure col permesso della duchessa, sul diva-
no foderato di bianco e oro di casa Ucr駮.
俊roppo stravagante questa duchessa, non ha il senso
delle proporzioni... ciascuno al suo posto e se no il mondo di-
venta un caravanserraglio... oggi Fila, domani Saro, e perfi-
no quella piccola delinquente di Peppinedda che fra lei e un
cane c'solo la differenza di due zampe... come fa a soppor-
tarla non si sa. Ma gi l'ha trovata quel ciccione dell'abate
Carlo e lei se l'presa... non si fa in tempo a voltarsi che gi ha fatto sparire l'olio. Una volta alla settimana si aggrappa
dietro il carrozzino della duchessa o il canestro tirato dal mo-
rello della figlia monaca Felice, col corsetto gonfio di roba
sgraffignata... Quel broccolo di suo marito lo sa ma che ci fa?
niente... quello sta con la testa chissdove... sembra inna-
morato... e la duchessa lo protegge... ha perso ogni severit
ogni ritegno... se ci fosse il duca Pietro ci farebbe una stri-
gliata coi fiocchi a tutti quanti... quel povero duca che se ne
sta appeso al chiodo nelle grotte dei Cappuccini e la pelle gli
diventata come quella delle poltrone, si attaccata alle ossa
come un guanto usato tirandosi sui denti, sembra che ride
ma non una risata, un ghigno... lui lo doveva sapere della
sua passione per l'oro perchle lasci morendo, quattrocen-
to grani romani con l'aquila del pontefice e sul retro inciso
"ut commonius", pitre monete d'oro con la faccia di Carlo
II re di Spagna.
Marianna si china su Fila, affonda la faccia negli sbuffi
della manica di cotone odorosa di basilico cercando di di-
menticare Innocenza, ma lei le continua a inondarla di
parole. Ci sono delle persone che le regalano i propri pensieri
con malignitacre e spavalda, anche se sono assolutamente
inconsapevoli di farlo. Una di queste Innocenza che assie-
me con il suo affetto le scarica addosso un fiume di riflessioni
spudorate .
Bisognerche trovi un marito per Fila, si dice. E che le
dia una bella dote. Ancora non l'ha vista innamorarsi, ndi
uno staffiere, ndi un oste, ndi un calzolaio, ndi un vacca-
ro come succede continuamente con le altre serve che vengo-
no a giornata. Sta sempre dietro a suo fratello e quando non
puaccompagnarsi a lui se ne sta sola con la testa un poco
piegata su una spalla, gli occhi persi nel vuoto, la bocca ser-
rata in una smorfia dolorosa.
Sarbene che si sposi in fretta e faccia subito un figlio, si
ripete Marianna e sorride nel sentirsi fare dei propositi che
avrebbero fatto sua madre o sua nonna o perfino la sua bis-
nonna che aveva vissuto la peste di Palermo nel 1624. 俏on
ci potSanta Ninfa, non ci potSanta Agata che proteggeva
la citt ma un'altra santa, bellissima, di nascita nobile, della
antica casa dei Sinibaldi della Quisquina, santuzza Rosalia,
solo idda ci seppe dire alla peste: basta accuss儢 ha scritto su
uno dei suoi quaderni nonna Giuseppa e quel foglio ancora
lfra i biglietti del signor padre.
Sposare, figliare, fare sposare le figlie, farle figliare e fare
in modo che le figlie sposate facciano figliare le loro figlie che
a loro volta si sposino e figlino... voci dell'assennatezza fami-
liare, voci zuccherine e suadenti che sono rotolate lungo i se-
coli conservando in un nido di piume quell'uovo prezioso che
la discendenza Ucr駮, imparentandosi, per via femminile,
con le pigrandi famiglie palermitane.
Sono le baldanzose voci che sostengono con le loro linfe
sanguigne l'albero genealogico carico di rami e di foglie.
Ogni foglia un nome e una data: Signoretto, principe di Fon-
tanasalsa 1179 e accanto delle minuscole foglie morte: Agata,
Marianna, Giuseppa, Maria, Teresa.
Carlo Ucr駮, altra foglia 1315 e accanto: Fiammetta, Ma-
nina, Marianna. Alcune monache, altre sposate, tutte si sono
sacrificate negli averi, assieme ai fratelli minori, per mante-
nere l'unitdella Casa.
Il nome di famiglia un orco, un germano marino, un Er-
cole geloso che mangia con la voracitdi un maiale: campi di
grano, vigneti, galline, pecore, forme di cacio, case, mobili,
anelli, quadr;, statue, carrozze, candelabri d'argento, tutto
manda giquesto nome che si ripete come un incanto sulla
lingua.
La foglia di Marianna non morta solo perchlo zio Pie-
tro ha ereditato dei terreni imprevisti e qualcuno doveva pu-
re sposare quello stravagante. 俑ariannascritto a letteri-
ne d'oro nel centro di un piccolo innesto vegetale e fa da tra-
mite fra i due rami della famiglia Ucr駮, quello che stato
per estinguersi per le stranezze del figlio unico Pietro e l'altro
piprolifico ma anche pipericolosamente in bilico, sul pre-
cipizio della bancarotta.
Marianna si ritrova complice di una antica strategia fa-
miliare, dentro fino al collo nel progetto di unificazione. Ma
anche estranea per via di quella menomazione che l'ha resa

:

una osservatrice disincantata della sua gente. 青orrotta dai
libricome diceva la zia Teresa professa, si sa che i libri gua-
stano e il Signore vuole un cuore vergine che perpetui nel
tempo le abitudini dei morti con cieca passione d'amore, sen-
za sospetti, senza curiosit senza dubbi.
Per questo se ne sta istupidita su questo tappeto accanto
alla serva dalla testa ferita e si torce come un bruco, frastor-
nata dalle voci degli avi che le chiedono ossequio e fedelt
Mentre altre voci petulanti come quella del signor Hume col
suo turbante verde le chiedono di osare, mandando al diavo-
lo quella montagna di superstizioni ereditarie.
XXXVI





Il respiro affrettato, l'odore di canfora e di impiastri di
cavolo, ogni volta che entra nella stanza le sembra di tornare
al tempo della malattia di suo figlio Signoretto: una miseria
di fiati stracciati, un tanfo di sudori incollati alla pelle, di
sonni inquieti, sapori amari e bocche asciugate dalla febbre.
I fatti sono accaduti cosin fretta che non ha avuto il tem-
po di pensarci. Peppinedda ha sgravato un maschietto tondo
e ricoperto di peli neri. Fila ha aiutato la levatrice a tagliare il
cordone, a pulire il neonato nell'acqua saponata, ad asciu-
garlo nei panni tiepidi. Sembrava contenta di quel nipote che
le regalava la sorte.
Poi una notte, mentre il bambino e la madre dormivano
abbracciati, Fila si vestita come per andare alla messa, scesa in cucina, si armata di un coltello per sventrare i pesci
e nella penombra che avvolgeva il letto ha preso a colpire i
due corpi stesi, quello della madre e quello del bambino.
Non si era accorta che con loro c'era anche Saro accuc-
ciato alle spalle di Peppinedda. I colpi piferoci se li presi
lui: uno alla coscia, uno al petto e uno sull'orecchio.
Il bambino morto non si sa se schiacciato dal corpo del
padre o della madre, fatto sta che morto senza tracce di col-
tello, soffocato. Peppinedda invece ne uscita con una sola
coltellata al braccio e qualche taglio superficiale sul collo.
Quando Marianna scesa al piano di sotto tirata per un
braccio da Innocenza era gimattina e quattro uomini della
Vicaria si stavano portando via Fila legata come una "sasiz-

In tre giorni di giudizio avevano deciso di impiccarla. E
Marianna, non sapendo a chi rivolgersi, era andata da Gia-

220

como Camal鋌, il Pretore della citt primo tra i senatori,
cercando di intercedere per lei. Il bambino era morto ma non
per le coltellate della zia. E Saro sarebbe guarito come pure
Peppinedda.
俠a pena non punita porta altri misfattile aveva scritto
lui sul foglietto che lei gli tendeva.
俟arpunita comunque anche se la mandate in prigione aveva risposto lei cercando di trattenere il tremito delle dita.
Voleva correre a casa da Saro che aveva lasciato nelle mani
del "varveri" Pozzolungo di cui si fidava poco. Nello stesso
tempo voleva salvare Fila dalla forca. Ma don Camal鋌 non
ave~la fretta: la guardava con occhi limacciosi in cui a mo-
menti scintillava una punta di curiosit
E lei aveva scritto ancora, irrigidendo il polso, ricordando
Ippocrate, citando sant'Agostino.
In capo a mezz'ora lui si era addolcito, le aveva offerto un
bicchiere di vino di Cipro che teneva sul com E lei, nascon-
dendo l'ansia, si era adattata a bere sorridendo graziosamen-
te, umilmente.
A sua volta Camal鋌 si era dilungato in citazioni da
Saint-Simon, da Pascal, riempiendo i fogli con una grafia bi-
slacca piena di punte e di svolazzi fermandosi ogni tre parole
a soffiare sul pennino d'oca grondante inchiostro.
保gni vita un microcosmo, mia cara duchessa, un pen-
siero vivente che aspira a emergere dalla sua zona d'om-
bra. . . Lei gli aveva risposto compunta, perfettamente controlla-
ta, stando al gioco. Il Pretore aveva preso un'aria pomposa,
distratta e ora palesemente si divertiva a questo scambio di
erudizioni. Una donna che conosce sant'Agostino e Socrate,
Saint-Simon e Pascal non di tutti i giorni, dicevano i suoi
occhi e bisogna approfittarne. Con lei poteva unire la galan-
teria alla dottrina, poteva mostrare tutta la sua erudizione
senza suscitare noia e soggezione come di solito succedeva
con le donne che corteggiava.
Marianna aveva dovuto inghiottire la fretta, dimenticar-
la. Era rimasta la discutere di filosofia bevendo vino di Ci-
pro con la speranza che alla fine gli avrebbe strappato la pro-
messa.

221
La menomazione della interlocutrice non sembrava
preoccupare affatto il signor Pretore. Anzi era quasi contento
che lei non potesse parlare perchquesto gli permetteva di
sciorinare le sue conoscenze per iscritto, tralasciando gli in-
termezzi di chiacchiere di cui evidentemente era stufo.
Alla fine le aveva promesso di intercedere presso la Corte
di Giustizia per sottrarre Fila alla forca, suggerendo di chiu-
derla come pazza al San Giovanni de' Leprosi.
非a quanto mi dite la ragazza agper amore e la pazzia
d'amore pane di tanta letteratura. Non era pazzo Orlando?
e Don Chisciotte non si inchinava davanti a una lavandaia
chiamandola principessa? la pazzia poi cos'se non un ecces-
so di saviezza? una saviezza priva di quelle contraddizioni
che la rendono imperfetta e quindi umana. Il senno preso
nella sua integritcristallina, nel suo dogma di prudenza, si
avvicina di molto alla perdizione... basta applicare alla lette-
ra le regole dell'avvedutezza senza giocare ndubitare mai
ed ecco che caliamo negli inferni della follia... La mattina dopo era arrivato in via Alloro un carrozzino
carico di fiori: due mazzi giganteschi di rose spadacciole e
uno di gigli gialli; inoltre una scatola piena di dolci. Un ra-
gazzino moro aveva consegnato ogni cosa in cucina e se n'era
andato senza aspettare neanche un grazie.
Quando Marianna era tornata da lui per sentire cosa era
stato deciso dalla Corte di Giustizia, Camal鋌 era sembrato
coscontento di vederla che lei se ne era spaventata. E se pre-
tendesse qualcosa in cambio? l'entusiasmo che dimostrava
era eccessivo e vagamente minaccioso.
L'aveva fatta accomodare sulla migliore poltrona della
sala, le aveva offerto il solito vino di Cipro, le aveva quasi
strappato di mano la carta che lei gli offriva per trascrivervi
due righe del Boiardo:

Chiunque la saluta o li favella
E chi la tocca e chi li sede a lato
Al tutto scorda del tempo passato...

Infine dopo due ore di sfoggio letterario, le aveva scritto
che Fila era giai Leprosi per ii suo interessamento e che po-
teva stare in pace, non l'avrebbero impiccata.

Marianna aveva alzato gli occhi azzurri, perplessi, sul
Pretore, ma si era presto rassicurata. La faccia di lui espri-
meva un piacere che andava al di ldi un normale scambio
di favori. Con i suoi studi all'universitdi Salerno, il suo ap-
prendistato al Foro di Reggio Calabria, il suo lungo soggior-
no di studi a Tubinga, il senatore considerava il ricatto una
arma troppo grossolana per un vero uomo di potere.
Le aveva dato il permesso di mandare ogni giorno ai Le-
prosi un valletto con del pane fresco, del cacio e della frutta,
senza peravvertirla che quei cibi sarebbero difficilmente ar-
rivati nelle mani della sua protetta.
Di tanto in tanto, la mattina, Marianna lo vedeva arriva-
re il signor Pretore, sopra un carrozzino tirato da un cavallo
pomellato. E lei si precipitava a farsi acconciare i capelli che
stavano sciolti sulle spalle e lo riceveva vestita severamente,
con tutto il suo armamentario per scrivere.
Lui aspettava nel salone giallo, in piedi davanti a una
delle chimere dell'Intermassimi che sembra stiano sempre l a languire d'amore per chi le guarda; ma basta che l'osserva-
tore volti la schiena perchlo stesso sguardo si trasformi in
smorfia di dileggio.
Quando lei entrava il Pretore si inchinava fino a terra
smuovendo un sottile profumo di gardenie. Le puntava ad-
dosso gli occhi metallici addolciti da un miele il cui sapore
piaceva prima di tutto a lui. Veniva a parlarle della "povera
demente" come la chiamava lui, chiusa ai Leprosi, sotto la
sua "graziosa" protezione.
Sempre comp鮅o e gentile, preceduto da bracciate di fiori
e di dolci, veniva volentieri fino a Bagheria per vederla, si se-
deva in punta di sedia e scriveva impugnando con eleganza
la penna.
Marianna gli serviva della cioccolata profumata alla can-
nella o del passito di Malaga dall'odore dolce di fichi secchi.
I primi biglietti erano di cortesia. 青ome sta la signora du-
chessa questa mattina?侵l sonno le stato propizio? Dopo avere mandato gidue tazze di cioccolata calda e
ben zuccherata, dopo essersi riempito la bocca di cassatine
alla ricotta fresca, la penna di Camal鋌 prendeva a guizzare
come una lucertola incanaglita sul foglio di carta candida.

223
Gli occhi gli si accendevano, la bocca prendeva una piega
dura di soddisfaz~one e poteva andare avanti per ore a parla-
re, anzi a scrivere di Tucidide, di Seneca, ma anche di Voltai-
re, di Machiavelli, di Locke e di Boileau. Marianna comin-
ciava a pensare che in fondo lei era un innocente pretesto per
uno sfoggio di erudizione pirotecnica. E lo assecondava, por-
gendogli penne sempre nuove, boccette di inchiostro di Chi-
na appena arrivate da Venezia, fogli bordati di azzurro, ce-
nere per asciugare le parole appena tracciate.
Ormai non provava pitimore ma solo curiositper
quell'intelligenza caleidoscopica e anche, perchno, una cer-
ta simpatia; specialmente quando scriveva a testa bassa, te-
nendo il foglio con la mano aperta. Le mani sono la cosa pi bella di quel corpo disarmonico che a un busto molto lungo e
delicato contrappone due gambe corte e tozze.
Curioso che il corpo goffo del Pretore si insinui fra le sue
preoccupazioni per le ferite di Saro. Ora sono qui accanto a
1Uj, Sl dice Marianna e non voglio, non debbo pensare a nien-
te altro che alla sua salute in pericolo.
Sembra che dorma Saro, ma qualcosa di piprofondo e
di plU pericoloso del sonno che lo acquieta e lo tiene prigio-
niero. Le ferite non riescono a chiudersi. Fila l'ha colpito con
una tale veemenza che per quanto il cerusico Ciullo venuto
apposta da Palermo, l'abbia ricucito con arte, il sangue st幯-
ta a tornare in circolo con l'allegria di un tempo e le cicatrici
tendono a suppurare.
Peppinedda, dopo le coltellate, se n'tornata da suo pa-
dre. Tocca percia Marianna curare il ferito, alternandosi
con Innocenza che pernon lo fa volentieri, soprattutto di
notte.
Durante i primi giorni si agitava il povero ferito come se
si battesse contro dei nemici che volevano legarlo, imbava-
gliarlo, chiuderlo dentro un sacco. Ora, estenuato, sembra
avere rinunciato a uscire da quel sacco e passa il tempo a
dormire anche se ogni tanto agitato da dei singhiozzi senza
lagrime che lo scuotono penosamente. Marianna gli tiene
compagnia seduta su una poltrona accanto al letto. Gli puli-
sce le ferite, gli rinnova le fasciature, gli porta alle labbra un
poco di acqua e limone.

224


7 La ~Ynga ~i~a di .Uana~aa U~ria

Erano venuti diversi medici a visitarlo. Non Cannamela
che ormai vecchio e cieco di un occhio, ma altri, pigiova-
ni. Fra questi uno di nome Pace che ha la fama di essere bra-
vissimo. E arrivato una mattina a cavallo, avvolto in uno di
quei mantelli larghi e muniti di cappuccio che a Palermo si
chiamano "giucche". Ha tastato il polso all'infermo, ha an-
nusato le orine; ha fatto delle smorfie che non si capiva se fos-
sero di sconforto o semplicemente volessero mostrare la pen-
sositindagativa di uno scienziato di fronte ai mali di un cor-
po destinato a guastarsi.
Alla fine ha decretato che bisognava mettergli le sangui-
sughe.
信a giperso tar~to sangue, dottor Paceaveva scritto
Marianna in fretta appoggiando il foglio sulla "rinalera". Ma
il dottore Pace non aveva voluto discutere, aveva preso quel
biglietto come un ordine fuori posto e se n'era offeso. Aveva
tirato su il bavero della "giucca" e se n'era andato, non pri-
ma di avere chiesto il suo onorario, pile spese di viaggio:
avena per il cavallo e una ferratura nuova.
Marianna aveva chiesto aiuto alla figlia Felice che era ar-
rivata con le sue erbe, i suoi decotti, i suoi impiastri di ortica
e di malva. Gli aveva curato le ferite con foglie di cavolo e
aceto dei sette ladri.
In capo a una settimana Saro era migliorato, ma non di
molto. Avvolto nell'odore dolciastro dei decotti se ne sta an-
cora immobile fra le lenzuola, bianco su bianco, il torace
bendato, l'orecchio imbottito di cotone, le gambe fasciate:
quasi una mummia che ogni tanto apre gli occhi grigi e non
ha ancora deciso se ritirarsi fra le ombre riposanti dell'al di l o tornare in questa vita fatta di coltelli e di minestre da man-
dare gi
Marianna gli stringe una mano. Come ha fatto anni fa
con Manina quando stava morendo di una infezione al san-
gue dopo un parto. Come ha fatto col signor padre. Solo che
lui era gimorto quando gli ha preso la mano e mandava un
odore gelido di carne abbandonata.
Una litania di malattie e di morti che hanno tolto splen-
dore alle impalcature dei suoi pensieri. Ogni morto una stru-
sciata di grani di sale: una testa segnata da ammaccature e
crepe irrimediabili.

225
Ora qui a covare l'uovo come una colomba paziente
Aspetta di vederne uscire un colombello nuovo e voglioso di
vivere. Potrebbe mandare a prendere Peppinedda. Anzi, sa-
rebbe suo dovere farlo, ma non ne ha voglia. Rimanda di
giorno in giorno. Verrquando le tornerl'uzzolo di man-
giare a saziet di rubare i bottoni e di rotolarsi sui tappeti,
XXXVII





Sarcompromettente andare a San Giovanni de' Leprosi
con il senatore Giacomo Camal鋌, Pretore di Palermo? non
saruna azione sventata che le mettercontro i fratelli e i fi-
gli?
Questi interrogativi attraversano la testa di Marianna
proprio mentre appoggia il piede sul predellino della carroz-
za a due cavalli che l'aspetta nel cortile di villa Ucr駮. Una
mano guantata l'aiuta a tirarsi su.
Entrando viene investita da un forte odore di gardenia.
Don Camal鋌 vestito di scuro, con brache e giamberga di
velluto color castagna filettato d'oro, un tricorno nero e ca-
stagna scivolato sui riccioli incipriati, le scarpe a punta sono
illuminate da una rosetta d'argento tempestata di diamanti.
Marianna si siede di fronte a lui e subito estrae dal suo
n嶰essaire di maglia d'argento l'astuccio di legno con la pen-
na e l'inchiostro, nonchla carta e la tavoletta, molto simile a
quella regalatale dal signor padre e poi rubatale a Torre
Scannatura .
Il senatore sorride compiaciuto dell'ingenuitdella du-
chessa: l'intimitsarevitata da un profluvio di lettere che
lui le scriverstrada facendo, farcite di citazioni da Hobbes e
da Platone. Una di queste lettere sarconservata nella scato-
la dai motivi cinesi. La lettera in cui don Camal鋌 si rivela di
piraccontandole dei suoi studi a Tubinga quando aveva
trent'anni di meno.
隹bitavo in una torre a tre piani che dava proprio sul
Neckar. Lpassavo i pomeriggi coi miei libri, accanto a una
grande stufa di maiolica. Se alzavo gli occhi potevo vedere i
pioppi che costeggiano il fiume, i cigni sempre in attesa di

227
qualcuno che butti loro del pane dalle finestre. Facevano dei
versi fondi con la gola ed erano terribili quando combatteva-
no tra di loro durante le stagioni degli amori. Odiavo quel
fiume, odiavo quelle case dai tetti ripidi, odiavo quei cigni
dalla voce di maiale, odiavo la neve che buttava una coperta
di silenzio sulla citt odiavo perfino quelle belle ragazze da-
gli scialli frangiati che andavano su e gisull'isola. Il giardi-
no di fronte alla torre era infatti parte di una isola lunga, ma-
linconica, su cui passeggiavano gli studenti fra una lezione e
I altra. Ora invece darei dieci anni della mia vita per tornare
in quella torre gialla sul bordo del Neckar e sentire il grido
gutturale dei cigni. Mangerei volentieri anche quelle loro sal-
sicce unte, ammirerei perfino quelle ragazze bionde con le
spalle coperte dagli scialli colorati. Non questa una aberra-
zione della memoria che ama solo ciche perde? proprio per-
che lo perde e ci fa languire di nostalgia per quegli stessi luo-
ghi e quelle stesse persone che prima ci annoiavano profon-
damente? non sciocco tutto questo, non prevedibile e vol-
gare?>~
Una volta sola durante il viaggio da Bagheria a Palermo
don Giacomo Camal鋌 afferra una mano di Marianna e la
stringe un attimo fra le sue, come per ribadire il suo pensiero,
lasciandola subito dopo con aria pentita e rispettosa.
Marianna che poco abituata al corteggiamento non sa
come comportarsi. Un po' si tiene rigida sul busto e osserva
fuori dal vetro la campagna che conosce cosbene, un po' si
curva sulla tavoletta scrittoio e traccia lentamente delle frasi,
attenta a non versare l'inchiostro e asciugando le parole an-
cora umide con la cenere.
Per fortuna la corte di don Camal鋌 fatta soprattutto di
parole avvolgenti, discorsi dotti, citazioni che mirano a susci-
tare meraviglia piuttosto che desiderio. Anche se certamente
non un uomo che disprezza il godimento dei sensi. Ma fino-
ra, dicono i suoi occhi, i legami fra di loro hanno dato frutti
acerbi che legherebbero i denti a forzarne la polpa. La fretta
e dei giovani che non conoscono le delizie dell'attesa, la vo-
lonta di un prolungamento che avvolge la resa di odori pro-
fondi e prelibati.
Marianna osserva pensosa i gesti cauti, rispettosi di quel-

228

le belle mani abituate ad agguantare il mondo per il collo,
ma senza fargli male, per goderselo in una quieta contempla-
zione. Cosdiverso dagli uomini che ha conosciuto finora,
presi dalla fretta e dall'avidit Il signor marito zio,era un ri-
noceronte rispetto a Camal鋌, in compenso era trasparente
come l'acqua di Fondachello. Anche il signor padre era di
un'altra pasta: dotto e spiritoso ma privo di ambizioni, in vi-
ta sua non ha mai pensato a costruire una strategia, non ha
mai guardato al futuro come a un luogo in cui catalogare e
conservare le sue vittorie e le sue sconfitte; non gli sarebbe
mai venuto in mente di rimandare un piacere per renderlo
pisquisito.
Arrivati a San Giovanni de' Leprosi don Camal鋌 scende
con un salto mostrandole la sua agilitdi cinquantacinquen-
ne senza una oncia di grasso in pie le porge delicatamente
la mano. Ma Marianna non vi si appoggia, salta pure lei e lo
guarda ardita, inalberando una risata muta e festosa. Lui ri-
mane un poco sbilanciato: sa che le signore di solito, nel cor-
teggiamento, amano farsi pideboli e fragili di quanto siano.
Ma poi ride con lei e la prende per un braccio come se fosse
una compagna di scuola.
Un minuto dopo sono tutti e due davanti a una pesante
porta di ferro. Delle chiavi che girano nella toppa; una mano
pesante che si sporge e fa dei segni con le dita, incomprensi-
bili, un cappello che vola, degli inchini, un correre di guar-
die, un luccichio di spade.
Ora un custode dalle spalle robuste precede la duchessa
lungo un corridoio nudo mentre il Pretore si chiude dentro
una stanza con due alti signori che dalla foggia dei cappelli si
direbbero spagnoli.
Lungo il corridoio si alternano le porte: una di ferro e una
di legno, una di legno e una di ferro, una lucida e una opaca,
una opaca e una lucida. Sopra la porta un rettangolo griglia-
to e dietro le griglie delle facce curiose, degli occhi sospettosi,
delle teste scarmigliate, delle bocche che si aprono su denti
spezzati e anneriti.
Un catenaccio viene sfilato, una porta spinta. Marianna
si trova dentro una sala fredda dal pavimento di mattoni rot-
ti e impolverati. Le finestre alte sono irraggiungibili. La luce
229
piove dal soffitto, fioca. Le pareti sono nude e sporche, chiaz-
zate di umido, di impronte nere, di sinistre macchie rosse.
Per terra mucchi di paglia, secchi di ferro. Una puzza feroce
di gabbia prende alla gola.
Il guardiano le fa segno di sedersi su una seggiola impa-
gliata che sembra essere stata mangiata dai topi tanto logo-
ra, con le stoppie che si arricciano per aria.
Dietro una grata si vede il cortile nudo, dal pavimento di
pietra ingentilito da un fico. Addosso alla parete di fondo una
donna seminuda dorme per terra rannicchiata su se stessa.
Piu vicino, legata su una panca, un'altra donna dai capelli
bianchi che le sgusciano da sotto la cuffia rattoppata, ripete
all'infinito lo stesso gesto di sputare lontano. Le sue braccia
nude portano i segni delle verghe. Sotto il fico, in piedi su
una gamba sola e appoggiata al tronco, una ragazzina che
avrse no undici anni, lavora a maglia con gesti lenti e pre-

ClSl.
Intanto un dito sfiora la guancia di Marianna che si tira
indietro con un sussulto: Fila, la testa chiusa in un turbante
di fasce sporche che le rimpiccioliscono i tratti e le dilatano
gli occhi. Sorride felice. Le mani le tremano appena. E dima-
grita, tanto che vista di dietro non l'avrebbe riconosciuta. La
veste lunga di tela di sacco le scende sbrindellata sulle cavi-
glie senza cintura in vita, senza colletto, le braccia sono nude
e coperte di lividi.
Marianna si alza, l'abbraccia. L'odore ferino che invade
la stanza ora ce l'ha dentro le narici, raccapricciante. In po-
chi mesi Fila diventata una vecchia: la faccia le si rat-
trappita, ha perso un dente sul davanti, le mani le tremano,
le gambe sono cosstecchite che a stento la reggono in piedi,
gli occhi sono vitrei anche se si sforzano a un sorriso ricono-
scente.
Quando Marianna le accarezza una guancia, Fila si la-
scia andare a un pianto timido che le raggrinza la bocca. Ma-
rianna, per vincere l'imbarazzo, tira fuori dalle tasche un
sacchetto di monete, lo chiude fra le dita della ragazza che
vorrebbe nasconderlo e invano cerca delle tasche in quell'u-
niforme da manicomio e finisce per guardarsi intorno terro-
rizzata stringendo il sacchetto nel pugno.

230

Marianna ora si toglie il fiscidi seta verde dal collo e lo
stende sulle spalle di Fila. Lei se lo liscia con le dita che sem-
brano quelle di un ubriaco. Ha smesso di piangere e sorride
serafica. Per rabbuiarsi subito dopo incassando la testa come
per evitare un colpo.
Un galeotto dalle braccia poderose l'agguanta per la vita
e la solleva come fosse una bambina. Marianna fa per reagi-
re, ma si accorge che in quel gesto c'della tenerezza. Men-
tre l'uomo solleva la ragazza le parla dolcemente, cullandola
fra le braccia.
Marianna cerca di intendere il senso di quel discorso
spiando le labbra di lui, ma non ci riesce. Si tratta di un lin-
guaggio conosciuto solo da loro, che lo hanno raffinato in me-
si di convivenza forzata. E vede Fila che appagata allunga le
mani da ubriaca sul collo del gigante reclinando i1 capo affet-
tuosamente, sul petto di lui.
I due scompaiono dietro la porta prima che Marianna
possa salutare Fila. Meglio cos che il galeotto abbia saputo
conquistarsi, se non l'affetto, per lo meno una intimita con la
poveretta, si dice Marianna. Anche se lo sguardo dell'uomo
sul sacchetto delle monete le fa pensare che quell intimita
non sia del tutto disinteressata.
XXXVIII





Sono due giorni che Saro ha ripreso a mangiare. Gli occhi
sembrano pigrandi dentro le orbite scavate. Le guance
sbiancate si chiazzano di rosso quando Marianna si avvicina
al letto. E ancora fasciato come una mummia, ma le fasce
tendono a scivolare, ad allentarsi. Il corpo si agita, i muscoli
tornano ad animarsi e la testa non sta quieta sul cuscino. Il
ciuffo nero stato lavato e scivola come un'ala di corvo sulla
faccia smagrita di ragazzo.
Marianna stamattina, dopo un'altra visita a Fila, si fat-
ta un bagno nell'acqua di bergamotto per togliersi di dosso
gli odori nauseabondi del manicomio. Dentro la vasca di ra-
me martellato che viene dalla Francia e che vista da fuori as-
somiglia a una scarpa chiusa fino alla caviglia, si sta comodi
come dentro un letto, con l'acqua che arriva alle spalle e si
mantiene calda pia lungo che nelle vasche~aperte.
Molte dame tengono conversazione, ricevono le amiche,
danno ordini alla servitstando sedute nella nuova bagnaro-
la francese che a volte, per pudicizia, viene nascosta da un
paravento trasparente.
Marianna non ci rimane dentro a lungo perchnon ci
puo scrivere. E neanche leggere senza bagnare le pagine, an-
che se le piace guazzare ldentro al caldo mentre Innocenza
le versa addosso delle pentolate di acqua fumante.
L'inverno arrivato tutto d'un colpo senza quasi farsi
precedere dall'autunno. Ieri si andava sbracciati, oggi biso-
gna accendere la stufa, coprirsi con scialli e mantelle. Tira un
vento gelido che scompiglia le onde del mare e strappa via le
foglie dalle piante.
Manina ha appena partorito un'altra bambina; l'ha chia-

232

mata Marianna. Giuseppa venuta a trovarla proprio ieri. E
la sola che si confidi con lei; le ha raccontato del marito che a
momenti la ama e a momenti la odia, e del cugino Olivo che
le propone in continuazione di "fuirsene" in Francia con lui.
Felice viene a pranzo la domenica. E rimasta colpita dai
racconti fattile dalla madre su Fila e sul manicomio de' Le-
prosi. Ha voluto anche lei il permesso di andarla a trovare.
Ne tornata determinata a inventarsi una "catena di soccor-
so alle derelitte". In effetti molto cambiata negli ultimi tem-
pi: avendo scoperto di avere delle qualitdi guaritrice si de-
dicata con metodo a combinare erbe, radici e minerali. Dopo
la prima guarigione la gente ha cominciato a chiamarla in
casi di malattie difficili, soprattutto per quanto riguarda la
pelle. E lei, di fronte alla responsabilitdei corpi piagati che
le si affidano con fiducia, ha preso a studiare, a sperimentare.
Sulla fronte le spuntata una ruga dritta e profonda come
una sciabolata. Non si preoccupa pitanto dell'immacola-
tezza dei suoi sai e lascia i pettegolezzi alle consorelle pigio-
vani. Ha preso un'aria indaffarata e scontrosa da professioni-
sta della medicina.
Il signor figlio Mariano invece non viene mai. Perduto
com'nelle sue fantasticherie non trova il tempo per andare
in visita dalla signora madre. Ha mandato perlo zio Signo-
retto a informarsi discretamente su questo frequentatore di
villa Ucr駮 di cui parla con scandalo la parentela.
俏on istbene che alla vostra etvi mettiate sulla bocca
di tuttiha scritto Signoretto con mano circospetta su un fo-
glio strappato da un libro di preghiere. 侮a bene che siete ve-
dova ma spero che non vogliate mettervi in ridicolo maritan-
dovi a quarantacinque anni con uno scapolo libertino di cin-
quantacinque. . . 俏on mi mariter state tranquillo. 隹llora non dovete permettere al signor Prefetto Cama-
l鋌 di venire pida voi. Non bene fare parlare la gente. 俏on c'relazione carnale, solo frequentazione d'amici-
zia. 隹lla vostra etsignora dovreste pensare a prepararvi
~1 l'anima per il trapasso anzichcercare nuove amicizie.. 侮oi siete pivecchio di me, signor fratello, ma non mi
risulta che pensiate affatto al trapasso.
233

I
侮oi siete donna, Marianna. La natura vi destina a una
serena castit avete quattro figli a cui pensare. Mariano il
vostro erede preoccupato che non alieniate i vostri beni per
un colpo di testa davvero increscioso. 隹nche se mi maritassi non gli toglierei uno spillo. 侮oi forse ignorate che Camal鋌, prima di diventare Pre-
tore di Palermo stato a lungo pagato dai francesi per spiare
gli spagnoli e si dice che poi sia passato agli spagnoli avendo
avuto una proposta pivantaggiosa. Insomma voi trattate
con un avventuriero la cui nobiltnessuno oserebbe garanti-
re. Viaggiatore misterioso, diventato ricco per meriti segreti,
non un uomo che una Ucr駮 possa frequentare. E decisione
della famiglia che voi non lo vediate pi 俠a famiglia avrebbe deciso e con quale diritto? 俏on mi venite a fare discorsi del tipo di quelli che fa mia
moglie Domitilla. Sono stufo di Voltaire. 俗na volta anche voi citavate Voltaire. 雨abbasunate di giovent 俟ono vedova e credo di potere disporre di me come cre-
do. 青hi camurr駮 suruzza! ancora con questi sproloqui da
quattro soldi! Lo sapete benissimo che voi non siete sola, ma
fate parte di una famiglia e non potete, nemmanco col per-
messo di Monsieur Voltaire e con l'appoggio di tutti i santi in
paradiso, permettervi nessuna libert Quell'uomo dovete la-
sciarlo perdere. 青amal鋌 una persona gentile, m'ha aiutata a salvare
una serva dal patibolo. 俏on fate che le questioni che riguardano la servitmo-
difichino la vostra vita. Certamente Camal鋌 tende al matri-
monio con voi. Imparentarsi con gli Ucr駮 farparte di una
strategia segreta. Credetemi, quell'individuo non ha nessun
vero interesse per VOI... non fidatevi.>
俏on mi fider Rassicurato, anche se non del tutto, Signoretto andato
via dopo averle baciato graziosamente la mano. Tutti sanno
che il signor fratello ha avuto piamanti dopo il matrimonio
di quante ne abbia avute prima. E da ultimo ha fatto delle
spese scriteriate per una cantante che si esibisce al teatro
Santa Lucia e dicono che sia stata anche l'amante del Vicer

Nonostante il suo tono autoritario, le ha fatto piacere ri-
vederlo. Con quella testa bionda in cui la dolcezza va raggru-
mandosi sotto la pelle in grosse verruche dal colore acceso. Il
modo di guardare, leggermente obliquo, interrogativo, le ri-
corda i1 signor padre da giovane. Ma del padre gli manca la
voglia di ridere di s
Il signor fratello Signoretto ha sviluppato una sottile di-
screta brutalitche gli appesantisce le palpebre gonfie. E pi cresce la sua consuetudine al comando e pisi fa evidente
l'indulgenza verso se stesso, a tal punto da non permettergli
pidi distinguere "la seggia dal cantaro".
Chissquando ha cominciato a costruirsi queste nuove
ossa che gli infossano gli occhi, gli allargano il bacino, gli
schiacciano la pianta dei piedi. Forse sedendo in Senato o
forse salendo e scendendo dai patiboli con gli altri Fratelli
Bianchi nell'accompagnare i condannati all'impiccagione. O
forse notte dopo notte, nel grande letto dagli alti baldacchini,
accanto alla moglie che pur essendo ancora bellissima gli venuta talmente in uggia che non riesce pia guardarla in
faccia.
In questi ultimi anni il ricordo del signor marito zio salta
fuori d'improvviso quando si trova davanti agli altri uomini
della famiglia. Quell'essere inquieto.e lugubre sempre inten-
to a rimuginare con dispetto attorno alle scemenze del prossi-
mo, era in fondo picandido e diretto e certamente pifedele
a se stesso di tutti gli altri che, con i loro sorrisi e le loro corte-
sie si sono imbucati nelle loro case, tanto spaventati da ogni
novitda ridursi a credere in idee e certezze di cui si sono
burlati per anni.
Saruna questione di prospettiva, come dice Camal鋌, il
tempo ha creato delle morbidezze nella memoria scolorita.
Gli oggetti del signor marito Pietro che ancora girano per ca-
sa conservano in squalcosa della tristezza scontrosa e ispi-
da di lui. Eppure quell'uomo l'ha violata quando non aveva
ancora sei anni e di questo si chiede se riuscirmai a perdo-
narlo.
Chi le pivicino oggi l'abate Carlo, rintanato nei libri
come lei. Il solo capace di dare un giudizio che non sia vizia-
to dal suo immediato interesse. Carlo si dper quello che
un libertino innamorato dei libri. Non finge, non si adula,
non si picca di intervenire nelle "camurrie" degli altri.
In quanto al signor figlio Mariano, dopo le euforie della
crescita, le grandi cacce d'amore, i viaggi in giro per il mon-
do, ora che ha quasi trent'anni, si seduto, diventato intol-
lerante verso le attivitdegli altri che vede come una minac-
cia alla sua pace.
Con le sorelle ha preso un tono stizzito e secco. Con la
madre apparentemente rispettoso, ma si capisce che in-
sofferente delle libertche si prende a dispetto della sua me-
nomazione.
Il fatto che abbia mandato lo zio Signoretto da lei anzich venire di persona, fa capire la qualitdelle sue preoccupazio-
ni: e se per una beffa della natura sua madre mettesse al
mondo un figlio mentre lui non stato capace di farne? e se
questo bambino attirasse le~simpatie di una zia vedova del
ramo Scebarr跴 nella cui ereditlui spera? e se il ridicolo di
un matrimonio fuori dalle regole ricadesse su di lui che pidi
altri porta il peso del nome degli Ucr駮 di Campo Spagnolo e
Scannatura?
Mariano ama i lussi: si fa venire le camicie da Parigi;
quasi che a Palermo non ci siano degli ottimi camiciai. Si fa
acconciare i capelli da un certo Monsieur Cr鋗e che si pre-
senta al palazzo seguito da quattro valletti che gli reggono le
n嶰essaire pour le travail: scatole e scatolette di sapone, forbici,
rasoi, pettini, creme al mughetto e ciprie al garofano.
Per la cura dei piedi e delle mani c'il signor Enrico Ara-
gujo Calisto Barr廥 che proviene da Barcellona e tiene botte-
ga in via della Cala Vecchia. Per dieci carlini va a casa anche
delle signore e taglia i c嫮li a giovinette e donne anziane, che
tutte hanno ~ualche difficoltcon le scarpette alla parigina
dalla punta a strozzagallina e il tacco a becco di cigno.
Marianna si scuote dai suoi pensieri quando Saro le strin-
ge una mano con una forza nuova. Sta guarendo, sembra
proprio che stia guarendo.
Saro apre gli occhi. Uno sguardo fresco, nudo, uscito al-
lora dal chiuso di un baccello, come un fagiolo ancora mor-
bido di sonno. Marianna gli si avvicina, appoggia due dita
sulle labbra screpolate di lui. Il fiato leggero, umido e regola-
re si insinua nel palmo cavo di lei. Una sensazione di allegria
tiene Marianna ferma in quel gesto di tenerezza respirando il
fiato amaro del ragazzo.
Ora la bocca di Saro si spinge contro le dita di quella ma-
no e la baciano all'interno, con trepidazione. Marianna per
la prima volta non lo respinge. Anzi, chiude gli occhi come
per assaporare meglio quel tocco. Sono baci che vengono da
lontano, da quella prima sera che si sono visti alla luce flut-
tuante della candela, dentro lo specchio macchiato nella ca-
mera di Fila.
Ma il gesto sembra averlo stancato. Saro continua a tene-
re le dita di Marianna contro la bocca ma non le bacia pi Il
suo fiato tornato irregolare, appena un poco affrettato e
convulso.
Marianna ritira la mano, ma senza fretta. Da seduta che
era sulla poltrona, si inginocchia per terra accanto al letto,
allunga il busto sulle coperte e con un gesto che ha spesso im-
maginato ma mai compiuto, appoggia la fronte sul petto del
ragazzo. Sotto l'orecchio sente lo spessore delle fasciature im-
pregnate di canfora e sotto di esse le mezzelune delle costole
c? sotto, ancora il fragore del sangue in tempesta.
Saro giace immoto, preoccupato che un suo gesto possa
interrompere i timidi movimenti di Marianna verso di lui,
spaventato che possa scappare via da un momento all'altro
come ha sempre fatto. Perciaspetta che sia lei a decidere:
trattiene il fiato e tiene gli occhi chiusi sperando, disperata-
mente sperando che lei lo stringa a s
Le dita di Marianna scorrono lungo la fronte, le orecchie,
il collo di Saro come se ormai non si fidasse neanche della sua
vista. Scivolando sui capelli incollati dal sudore, si sofferma-
no sul rigonfio di cotone che nasconde l'orecchio sinistro, ri-
prendono il contorno delle labbra, scendono verso il mento
ispido di una barba da convalescente, tornano al naso come
se la conoscenza di quel corpo potesse passare solo attraverso
la punta dei polpastrelli, tanto curiosi e mobili quanto lo
sguardo pusillanime e riottoso.
L'indice, dopo avere percorso la lunga strada che da una
tempia conduce all'altra tempia, scendendo lungo le pinne
del naso, risalendo sulle colline delle gote, sfiorando i cespu-

236 ~ 237
Ienao nele. l~lon aveva mgnlottlto llele ancne nostro ~lgnore
nell'orto di Getsemani? non era morto sulla croce senza una
parola di recriminazione? cos'era la piccolezza di un dolore
da letto rispetto alle sofferenze di Cristo?
E invece ecco qui ora un grembo che non le estraneo,
gli delle sopracciglia, si trova quasi per caso a premere nel
punto in cui le labbra si congiungono, si apre un varco fra i
denti, raggiunge la punta della lingua.
Solo allora Saro azzarda un movimento impercettibile:
chiude i denti, ma con una pressione lievissima, attorno al di-
to che rimane prigioniero fra palato e lingua e viene avvolto
nel calore febbrile della saliva.
Marianna sorride. E con l'indice e il pollice dell'altra ma-
no stringe le narici del ragazzo. Finchlui non lascia la presa
e apre la bocca per respirare. Allora lei ritira il dito fradicio e
ricomincia l'esplorazione. Lui la guarda beato come a dirle
che il sangue gli si sta sciogliendo.
Le mani della signora ora si afferrano alla trapunta e la
fanno scivolare gidal letto. Poi la volta del lenzuolo che a
pieghe disordinate viene buttato da un lato per terra. Ed ecco
davanti agli occhi sorpresi dal proprio ardimento il corpo nu-
do del ragazzo che conserva solo le fasciature lungo i fianchi,
sul petto e sulla testa.-
Le costole sono l sporgenti quarti di luna che racconta-
no come su un atlante le fasi delle rotazioni dell'astro viste in
progressione, una accanto all'altra, una sopra l'altra.
Le mani di Marianna si posano senza peso sulle ferite ap-
pena rimarginate, ancora rosse e dolenti. La ferita sulla co-
scia pare quella di Ulisse assalito dal cinghiale, coscome de-
ve essere apparsa alla nutrice stupefatta che per prima rico-
nosce il suo padrone tornato dopo tanti anni di guerra, quan-
do ancora tutti lo credevano un mendicante straniero.
Marianna vi fa scorrere le dita, leggere, mentre il respiro
di Sarino si fa frettoloso e dalle sue labbra chiuse sbucano
delle minuscole stille che fanno pensare al dolore ma anche a
una gioia sconosciuta e selvaggia, a una resa felice.
Come abbia fatto a trovarsi spogliata accanto al corpo
spogliato di Saro, Marianna non saprebbe dirlo. Sa che sta-
to semplicissimo e che non ha provato vergogna. Sa che si so-
no abbracciati come due corpi amici e accoglierlo dentro di
sstato come ritrovare una parte del proprio corpo che cre-
deva perduta per sempre.
Sa che non aveva m`ai pensato di racchiudere nel proprio
ventre una carne maschile che non fosse un figlio o un inva-
sore nemico.

238

I figli si trovano nel ventre della donna senza che lei li ab-
bia chiamati, coscome la carne del signor marito zio stava al
caldo dentro di lei senza che lo avesse mai desiderato nvo-
luto.
Questo corpo invece lei lo ha chiamato e voluto come si
chiama e si vuole il proprio bene e non le avrebbe portato do-
lore e lacerazione come avevano fatto i figli uscendo da lei,
ma sarebbe scivolato via, una volta condiviso "lu spasimu",
con la promessa gioiosa di un ritorno.
Aveva pensato in tanti anni di matrimonio che il corpo
dell'uomo fosse fatto per dare tormento. E a quel tormento si
era arresa come al "maliceddu di Diu", un dovere che ogni
donna "di sentimento" non punon accettare pur inghiot-
tendo fiele. Non aveva inghiottito fiele anche nostro Signore
nell'orto di Getsemani? non era morto sulla croce senza una
parola di recriminazione? cos'era la piccolezza di un dolore
da letto rispetto alle sofferenze di Cristo?
E invece ecco qui ora un grembo che non le estraneo,
non la assale, non la deruba, non chiede sacrifici e rinunce
ma le va incontro con piglio sicuro e dolce. Un grembo che sa
aspettare, che prende e sa farsi prendere senza nessuna forza-
tura. Come potrpifarne a meno?
XXXIX





Peppina Malaga tornata a casa: due treccine nere legate
dietro le orecchie con lo spago, i piedi scalzi come sempre, le
gambe gonfie e pesanti, la pancia protesa che le solleva la
gonna sugli stinchi.
Marianna la guarda attraverso i vetri mentre scende dal
carretto e si precipita verso Saro. Il quale leva gli occhi alla
finestra della signora come per chiedere "chi fazzu?".
俏on por la falce tua ne l'altrui granodice la severa Ga-
spara Stampa. Suo dovere lasciare marito e moglie insieme
e che siano contenti. Assegnerloro una stanza pigrande
dove possano crescere il nuovo bambino.
Eppure 南el mio conforto, sono assalita d'un sospetto in-
terno/che mi tien sempre il cor fra vivo e morto>~. Sargelo-
sia? quella "scimunita", "il mostro dagli occhi verdi" come la
chiama Shakespeare "che irride al cibo di cui si nutre"? La
duchessa Marianna Ucr駮 di Campo Spagnolo, contessa del-
la Sala di Paruta, baronessa di Bosco Grande, di Fiurne
Mendola e di Sollazzi potrmai farsi gelosa di una sguattera,
di una "acedduzza" caduta dal nido?
Proprio cosinvece. Quella ragazzina scura e bruttina pa-
re raccogliere in stutte le delizie del paradiso: ha l'innocen-
za di un fiore di zucca e la freschezza di un raspo d'uva. Da-
rebbe via volentieri le sue terre e le sue ville, si dice Marian-
na, per entrare in quel corpicino giovane e risoluto che salta
dal carro col figlioletto raggomitolato in seno per andare in-
contro al suo Saro.
La mano allenta la stretta sulla tenda che ricade a coprire
la finestra. Il cortile scompare e col cortile scompaiono il car-
retto tirato dall'asino impennacchiato, Peppinedda che por-
ge la pancia al marito come fosse una scatola di gioie; scom-
pare anche Saro che, mentre stringe a sla moglie, alza lo
sguardo verso di lei con un'aria di teatrale rassegnazione.
Ma anche lusingato, lo si vede da come allarga le braccia, da
quel doppio amore.
Da questo momento cominceranno i sotterfugi, gli ingan-
ni, le fughe, gli incontri clandestini. Bisognercorrompere,
fare tacere, cancellare le tracce di ogni abbraccio.
Una improvvisa indignazione le rannuvola gli occhi. Non
ha nessuna intenzione di cadere in trappole simili, si dice
Marianna; se gli ha dato moglie stato proprio per tenerlo
lontano, non per farsene un pretesto. E quindi? e quindi biso-
gnertroncare.
C'dell'arroganza nel suo pensiero, lo sa: non tiene in
nessun conto i languori di un corpo svegliato per la prima
volta alla gioia di s non getta un pensiero neanche svogliato
ai voleri di Saro, non pensa nemmeno di consultarlo. Decide-
rper e contro di lui, ma soprattutto contro se stessa.
La lunga pratica alla rinuncia ha fatto di lei una guardia-
na molto attenta. Tanti anni passati a tenere a bada le pro-
prie voglie le hanno irrobustito la volont
Marianna si guarda le mani rugose che si sono bagnate
appoggiandosi sulle guance. Se le porta alla bocca. Assaggia
un poco di quel sale in cui sta racchiuso il sapore aspro della
sua rinuncia.
Potrebbe sposare Giacomo Camal鋌 che pur non amando
trova seducente. E gila seconda volta che glielo chiede. Ma
se non capace di afferrare per i capelli un amore di pietra
preziosa come potrtirarne su uno di vetro?
Che fare di s alla sua etmolte delle sue conoscenti so-
no gistate sepolte oppure si sono ingobbite e rattrappite e si
fanno trasportare in carrozze chiuse, fra mille precauzioni, in
mezzo a cuscini e coperte ricamate, rese mezze cieche da un
velo improvvisamente calato sugli occhi, dementi per il trop-
po patire, crudeli e sventate per avere troppo aspettato. Le
vede agitare le dita grasse coperte di anelli che non escono
pidalle nocche ingrossate e una volta morte saranno clan-
destinamente tagliate da eredi impazienti di impossessarsi di
quelle magnifiche perle cinesi, di quei rubini d'Egitto, di quei



8. La lan~a mh fi Mananna Ucna
turchesi del Mar Morto. Mani che non hanno mai sorretto
un libro per pidi due minuti, mani che dovrebbero conosce-
re l'arte del ricamo e della spinetta ma nemmeno a quelle
hanno avuto il permesso di dedicarsi con pignola assiduit
Le mani di una nobildonna sono oziose per elezione
Sono mani che, pur maneggiando l'oro e l'argento, non
hanno mai saputo come arrivasse fino a loro. Mani che non
hanno mai percepito il peso di una pentola, di una brocca, di
un catino, uno straccio. Forse in familiaritcoi grani del ro-
sario, di madreperla, di argento traforato, ma assolutamente
estranee alle forme del proprio corpo sepolto sotto troppi lini
e camiciole e corsetti e sottovesti e sottogonne, considerato
da preti e pedagoghi come "peccaminoso" per natura. Han-
no accarezzato, quelle mani, qualche testa di neonato, ma
non si sono mai intrise delle loro lordure. Hanno forse indu-
giato qualche volta sul costato piagato di Cristo in croce, ma
non hanno mai percorso il corpo nudo di un uomo, sarebbe
stato considerato indecente sia da lui che da lei. Certamente
si sono posate, inerti, sul grembo, non sapendo dove rinta-
narsi, che cosa fare; poichogni gesto, ogni azione, era consi-
derata pericolosa e inopportuna per una ragazza di famiglia
nobile.
Lei con loro, aveva mangiato le stesse paste e bevuto le
stesse tisane calmanti. E ora che le sue mani hanno toccato
un corpo amoroso, l'hanno percorso in lungo e in largo tanto
da pensare di esserne diventata amica, ecco che deve tagliar-
sele e buttarle nella spazzatura, si dice Marianna, ferma rigi-
da accanto alla finestra chiusa. Ma uno spostamento d'aria
la avverte che qualcuno le si sta avvicinando alle spalle
E Innocenza che regge un candelabro a due bracci Al-
zando gli occhi Marianna vede la faccia della cuoca vicinissi-
ma alla sua. Si tira indietro infastidita, ma Innocenza conti-
nua a scrutarla pensosa. Ha capito che la duchessa sta male e
cerca di indovinare il perch
La mano grassa, dal buon odore di rosmarino che si me-
scola al sapone, si posa sulla spalla della signora e la scuote
dolcemente come per liberarla dai pensieri spinosi. Per fortu-
na Innocenza non sa leggere: basterun gesto per rassicurar-
la. Non c'bisogno di mentire con lei.

L'odore di pesce che sale dal grembiule di Innocenza aiu-
ta Marianna a uscire dal suo stato di ghiacciato torpore. La
cuoca scrolla la sua padrona con un gesto ruvido e sensato.
Sono anni che si conoscono e credono di sapere tutto l'una
dell'altra. Marianna crede di conoscere Innocenza per via di
quel sortilegio che la porta a leggere i pensieri di lei, come se
li trovasse scritti sulla carta. A sua volta Innocenza crede che
Marianna non abbia segreti per lei, avendola seguita per tan-
ti anni e avendo ascoltato i discorsi degli altri su di lei.
Ora si guardano, incuriosite l'una dalla curiositdell'al-
tra; Innocenza asciugandosi e riasciugandosi le mani unte
sul grembiule di tela a righe bianche e rosse, Marianna gio-
cando meccanicamente con gli oggetti della scrittura: la ta-
voletta pieghevole, la boccetta d'argento, la penna d'oca dal-
la punta macchiata di celeste.
Innocenza infine la prende per una mano e la trascina,
come fosse una bambina che stata troppo a lungo da sola in
castigo e ora viene ricondotta in mezzo agli altri, a mangiare,
a consolarsn
Marianna si lascia portare giper le scale di pietra, attra-
versa il grande salone giallo, sfiorando la spinetta dalla ta-
stiera aperta, passa fra i dioscuri romani di marmo screziato,
sotto gli occhi ammiccanti e segreti delle chimere.
In cucina Innocenza la spinge a sedere su una seggiola al-
ta di fronte al fornello acceso; le mette in mano un bicchiere,
tira gidallo scaffale una bottiglia di rosolio, gliene versa due
dita. Quindi, approfittando della distrazione e della sordit della padrona, si porta la bottiglia alla bocca.
Marianna finge di non vederla per non doverla rimpro-
verare. Ma poi ci ripensa: perchdovrebbe rimproverarla~
Con un gesto da ragazzina, afferra la bottiglia dalle mani
della cuoca e beve anche lei incollando le labbra alla botti-
glia. Serva e padrona si sorridono. Si passano la boccia, una
seduta, coi capelli biondi composti sulla larga fronte sudata,
gli occhi cerulei che si allargano sempre di pi l'altra in pie-
di, la grossa pancia nascosta sotto il grembiule macchiato, le
braccia robuste, la bella faccia rotonda increspata in un sor-
riso beato.
Ora pifacile per Marianna prendere una risoluzione,
anche crudele. Innocenza la aiuter senza saperlo, tenendo-
la prigioniera nel regno delle quotidiane sicurezze. Sente gi sul collo le sue mani segnate da tagli, bruciature e rughe in-
trise di fumo.
Bisognerallontanarsi in punta di piedi e ci vorruna
spinta che solo una mano abituata a contare le monete pu dare. Intanto la porta della cucina si aperta in quel modo
misterioso con cui si aprono gli usci negli occhi di Marianna,
senza un avvertimento, con un lento movimento carico di
sorprese.
In piedi sulla soglia c'Felice, la crocetta di zaffiri che
penzola sul petto. Accanto a lei il cugino Olivo, chiuso in una
giamberga color tortora, la faccia lunga stralunata.
非onna Domitilla vostra cognata si rotta un piede, ho
passato la mattinata da leilegge Marianna su un foglietto
accartocciato che le passa la figlia.
非on Vincenzino Alagna si sparper debiti; ma la mo-
glie non mette il lutto. Non lo sopportava nessuno quel "zuc-
cu di ficu d'India". La figlia piccola ebbe la risipola l'anno
passato. E la guarii io medesma.>~
保livo qui presente mi chiede una pozione per il disamo-
re, che ne dite mam gliela debbo dare? 隹i Leprosi non vogliono pifarmi entrare. Ci porto di-
sordine dice. Perchci guarii una rognosa che il medico in-
terno l'aveva data per morta. Mamma che avete?...
XL





Il brigantino si muove appena dondolandosi sull'acqua
verde. Davanti, a ventaglio, la cittdi "Paliermu": una fila di
palazzi grigi e ocra, delle chiese grigie e bianche, delle stam-
berghe dipinte di rosa, dei negozi dai tendoni a strisce verdi,
le strade delle "balati" sconnesse in mezzo a cui scorrono ri-
voli di acqua sporca.
Dietro la citt sotto un rimestio di nuvole opache, le roc-
ce scoscese del monte Cuccio, il verde dei boschi di Mezzo-
monreale e di San Martino delle Scale; un digradare di rupi
scoscese piscure e meno scure fra cui si annida la luce vio-
letta del tramonto.
Gli occhi di Marianna si fermano sulle alte finestre della
Vicaria. Alla sinistra della prigione, dietro una leggera quin-
ta di case, si allarga il rettangolo irregolare di piazza Marina.
In mezzo alla piazza vuota la pedana scura della forca - se-
gno che qualcuno sarimpiccato domattina- quella forca a
cui il signor padre l'ha trascinata per amore, perchguarisse
dal suo mutismo. Mai avrebbe immaginato che il signor pa-
dre e il signor marito zio tenessero in comune un segreto che
la riguardava; che si fossero alleati tacendo a tutti di quella
ferita inferta al suo corpo di bambina.
Ora il brigantino agitato da scosse lunghe e nervose. Le
vele sono state issate: la prua si dirige decisamente verso l'al-
to mare. Marianna si appoggia con tutte e due le mani alla
balaustra laccata mentre Palermo si allontana con le sue luci
pomeridiane, le sue palme, le sue immondizie spinte dal ven-
to, la sua forca, le sue carrozze. Una parte di lei rimarrl su
quelle strade inzaccherate, in quel tepore che sa di gelsomini
zuccherati e di escrementi di cavallo.
Il pensiero va a Saro e alle volte che l'ha tenuto stretto
contro il petto sebbene avesse deciso di non vederlo pi Una
mano agguantata sotto la tavola, un braccio che si tende die-
tro una porta, un bacio strappato in cucina nelle ore di son-
no. Erano delizie a cui si era abbandonata col cuore in ca-
priole.
E- non le importava che Innocenza avesse indovinato e la
guardasse con riprovazione, che i figli spettegolassero, che i
fratelli minacciassero di farlo "ammazzari du zoticu rifattu"
che Peppinedda la spiasse con occhi ostili.
Don Camal鋌 intanto era diventato assiduo. Veniva a
trovarla qUaSi ogni giorno col calesse tirato dal pomellato
grigio e le parlava d'amore e di libri. Diceva che lei si era fat-
ta luminosa come "na lamparigghia". E lo specchio le diceva
che era vero: la pelle le si era schiarita e distesa, gli occhi si
erano fatti lucenti, i capelli le si gonfiavano sulla nuca come
fossero impregnati di lievito. Non c'era cuffia o nastro che
potesse contenerli: esplodevano e ricadevano scintillanti e di-
sordinati attorno alla faccia gioiosa.
Quando aveva fatto sapere al figlio Mariano che partiva,
lui aveva corrugato la fronte in una smorfia buffa che voleva
essere corrusca ma lasciava indovinare sollievo e soddisfazio-
ne. Non era bravo come lo zio Signoretto a dissimulare.
亟 dove andrete? 隹 Napoli per prima cosa e poi non so. 非a sola? 促rendercon me Fila. 亭ila pazza. Non potete fidarvi. 俠a portercon me, ora sta bene. 俗na pazza assassina e una minorata in viaggio, bene,
che allegrla! Volete fare ridere il mondo? 俏essuno si occuperdi noi. 侵mmagino che don Camal鋌 vi raggiunger Siete inten-
zionata a gettare il discredito sulla famiglia? 非on Camal鋌 non mi seguir Vado sola. 亟 quando tornerete? 俏on lo so. 亟 chi baderalle figlie? 雨aderanno a se stesse. Sono grandi.
侮i costerun patrimonio. Marianna aveva posato gli occhi sulla testa del figlio,
ancora cosbella nonostante l'incipiente calvizie, che si cur-
vava sul foglio mentre la mano impugnava pesantemente la
penna.
Quelle nocche sbiancate parlavano di un rancore mal-
trattenuto: non sopportava di essere stato tirato fuori dalle
sue fantasticherie per affrontare questioni che non capiva e
che non lo interessavano. Sola inquietudine: cosa dirla gen-
te del suo ambiente di quella madre sconsiderata? non finir per spendere troppo? non fardebiti? non bussera soldi,
magari da Napoli costringendolo a tirare fuori chissche
somma?
俏on spenderniente di vostroha scritto Marianna con
mano leggera sul foglio bianco. 俟pendersolo soldi miei e
state tranquillo che non fardisonore alla famiglia. 侵l disonore l'avete giprovocato con le vostre strambe-
rie. Da quando morto nostro padre zio date continuamente
scandalo. 非i quali scandali parlate? 侵l lutto lo avete portato solo un anno anzichper sempre
come impone la consuetudine. Ricordate? per la morte di un
padre: tre anni di nero, per la morte di un figlio: dieci anni,
per la morte del marito: trent'anni, come a dire sempre. E
poi non frequentate la chiesa quando ci sono le messe solen-
ni. In pivi circondate di gente bassa, disdicevole. Quel ser-
vo, quell'arrampicatore, ne avete fatto il padrone qui. Vi ha
portato in casa la moglie, la sorella pazza e un figlio. 侮eramente la sorella che ha portato lui. In quanto alla
moglie, gliel'ho data io stessa. 隹ppunto, troppa confidenza con gente che non del vo-
stro ceto. Non vi riconosco signora, una volta eravate pi dolce e acquiescente. Lo sapete che rischiate l'interdizione ' Marianna scuote la testa: perchripensare a quelle sgra-
devolezze? Eppure c'qualcosa negli scritti del figlio che non
capisce; un rancore che va al di ldegli scandali pretesi, della
preoccupazione per i soldi. E sempre stato generoso, perch ora dovrebbe dare in smanie per le spese deLla madre? Che
sia ancora quella gelosia di bambino da cui non sa e non vuo-
le staccarsi? che non l'abbia ancora perdonata per avergli
preferito - e con evidente impudenza - il figlio pipiccolo,
Signoretto?
Marianna posa gli occhi sulla testa pelata di Fila che sta
ritta accanto a lei sul ponte del vascello e fissa la cittche si
allontana all'orizzonte. Ora sono circondate dall'acqua che
Sl fa riccia, mentre la polena offre il petto nudo alle onde.
E stato lo sguardo di Saro a deciderla a partire. Uno
sguardo mattutino, involontario: quando lei gli aveva stacca-
to la bocca dalla spalla per spingerlo ad alzarsi e gila luce
aveva allagato il pavimento della camera da letto.
Uno sguardo di amore appagato e di apprensione. La
paura che quella gioia potesse essere interrotta bruscamente
per una ragione da lui non prevista e controllata. Non solo il
corpo di lei ma i vestiti eleganti, la biancheria di lino, le es-
senze di mirto e di rosa, i fagiani cucinati nel vino, i sorbetti
al limone, le gremolate all'uva fragola, l'acqua di nanfa, la
benevolenza, le tenerezze silenziose, ogni cosa che le apparte-
nesse si trovava nelle iridi grigie di Sarino, splendori rove-
sciati, come quelle cittche si vedono nelle ore calde, capo-
volte sul mare per effetto della fata morgana, umide e vibran-
ti di luci vaporose.
Quei miraggi promettevano opulenza e godimenti senza
fine, salvo poi scomparire nelle scialbe luci di un tramonto
estivo. E lei aveva voluto spazzare via dagli occhi dell'amato
l'immagine di quella cittfelice prima che si dissolvesse da
sola in un baluginio di specchi rotti.
Ora eccola qui sul pavimento oscillante, gli odori del ma-
re che si mescolano a quelli aspri del catrame e delle vernici,
in compagnia della sola Fila.

XLI





La sera, alla tavola del capitano, nel saloncino dal tetto a
botte, seggono strani viaggiatori che non si conoscono fra lo-
ro: una duchessa palermitana sordomuta chiusa in una ele-
gante spolverina alla VVatteau a rigoni bianchi e celesti, un
viaggiatore inglese dal nome impronunciabile che viene da
Messina e porta una curiosa parrucca dai riccioli rosati, un
nobile di Ragusa tutto vestito di nero che non si separa mai
dal suo spadino d'argento.
Il mare mosso. Dalle due finestre che si aprono sulla
fiancata del battello si vede un cielo giallastro striato di lilla.
La luna piena ma viene coperta in continuazione da scialli
di nuvole tempestose che la avviluppano e la denudano con
mosse alterne.
Fila rimasta nella cabina buia, distesa con un fazzoletto
intriso di aceto sulla bocca, per difendersi dal mal di mare.
Ha vomitato tutto il giorno e Marianna le ha sostenuto la te-
sta finchha potuto; poi ha dovuto uscire altrimenti si mette-
va a rigettare pure lei.
Il capitano ora le porge una porzione di bollito. L'inglese
dai riccioli rosati le rovescia sul piatto un cucchiaio di mo-
starda di Mantova. I tre uomini parlano fra di loro ma ogni
tanto si voltano verso la signora e le rivolgono un sorriso gen-
tile. Quindi riprendono a chiacchierare, forse in inglese, forse
in italiano, Marianna non riesce a indovinarlo dal movimen-
to delle loro labbra e non le importa molto di saperlo. Dopo
un primo tentativo di coinvolgerla a gesti nella conversazio-
ne, l'hanno lasciata ai suoi pensieri. E lei contenta che si oc-
cupino d'altro; si sente goffa e inabile. Lo stupore della nuo-
va situazione le impaccia i movimenti: le sembra impossibile
tenere in bilico la forchetta fra le dita, i pizzi delle maniche
hanno la tendenza a cadere continuamente nel piatto.
Stracci di pensieri galleggiano nella sua testa stanca: l'ac-
qua che era la macerare e sembrava limpida, quieta, stata
mossa da una mano impaziente che ha fatto risalire dal fondo
brandelli di memorie disperse e quasi dissolte.
Il corpo tenero di suo figlio Signoretto aggrappato al seno
come una scimmietta senza fiato e i dolori che aveva soppor-
tato senza riuscire a saziarlo. La faccia affilata del signor ma-
rito zio quando, per la prima volta, aveva osato guardarlo da
vicino e aveva scoperto che gli erano venute le ciglia bianche.
Gli occhi spavaldi di sua figlia Felice, monaca senza vocazio-
ne che pure aveva trovato nella medicina delle erbe una sua
forma di dignite ormai non ha neanche bisogno dei soldi di
casa perchla gente la paga bene.
Il gruppetto di fratelli come li aveva dipinti quel giorno di
maggio in cui era svenuta davanti al Tutui nel cortile della
"casena": le braccia di Agata mangiate dalle zanzare, le scar-
pe a punta di Geraldo, le stesse scarpe che poi gli erano state
messe ai piedi dentro la bara come una credenziale per il pa-
radiso, con l'augurio che facesse delle lunghe camminate fra
le colline popolate di angeli. La risata maliziosa di sua sorella
Fiammetta che con l'etdiventata un po' "stramma"; da
una parte si fustiga e porta il cilicio, dall'altra non fa che im-
picciarsi degli affari di letto di tutta la parentela. Gli occhi
smarriti di Carlo che per difendersi dalla costernazione ha
messo su un'aria cattiva, rabbiosa. E Giuseppa, ancora in-
quieta e insoddisfatta, la sola che legga dei libri e che abbia
voglia di ridere, la sola che non le abbia rimproverato le sue
stravaganze e che l'abbia accompagnata al porto alla parten-
za, nonostante il divieto del marito. Le mura della villa di
Bagheria dai morbidi mattoni di arenaria che, visti da vicino,
paiono spugne forate da tanti cunicoli e tane in cui si annida-
no lumachine di mare e minuscole conchiglie traslucide. Non
esiste al mondo un colore pidolce delle pietre arenarie di
Bagheria che accolgono le luci e le serbano in grembo come
tante lampade cinesi.
La faccia allagata dal sonno della signora madre, le narici
annerite dal tabacco, le grosse trecce bionde che si sfaldano

250

sulle spalle rotonde. Sul suo comodino c'erano sempre tre o
quattro boccette di laudano. Che poi, come Marianna aveva
scoperto da adulta, era composto da oppio, zafferano, can-
nella, garofano e alcool. Ma nelle ricette del farmacista di
piazza San Domenico la quantitdi oppio da ultimo era au-
mentata, a scapito della cannella e dello zafferano. Per que-
sto alle volte la mattina la trovava riversa sulle coperte, la si-
gnora madre benedetta, con la faccia estatica, gli occhi soc-
chiusi, un pallore da statua di cera.
Ed ecco che nella camera da letto dove Marianna aveva
dato alla luce tutti e cinque i suoi figli, sotto gli sguardi an-
noiati delle chimere, era entrato Saro con le gambe slanciate
e il sorriso dolce. Sul letto dei parti e degli aborti si erano ab-
bracciati, mentre Peppinedda girava per casa inquieta, te-
nendo nella pancia un figlio di dieci mesi che non si decideva
a nascere. Tanto che la levatrice aveva dovuto forzare l'usci-
ta e si era messa a saltarle addosso quasi fosse un materasso
pieno di paglia. E quando sembrava che dovesse morire dis-
sanguata, finalmente era venuto fuori un bambino enorme
con gli stessi colori di Sarino, nero e bianco e rosa, il cordone
ombelicale girato tre volte intorno al collo.
Era anche per Peppinedda che aveva deciso di partire.
Per quelle occhiate di resa e di complicitdonnesca che le re-
galava, quasi a dirle che acconsentiva a spartire il marito con
lei in cambio della casa, degli abiti, del cibo abbondante, e
della totale cecitdi fronte ai suoi furti per le sorelle.
Era diventata una intesa familiare, un "accomodo" a tre
in cui Saro si rifugiava diviso fra apprensione e felicit Feli-
citche avrebbe preceduto di poco la saziet Ma forse no,
forse si sbagliava: fra un'amante madre e una moglie bambi-
na lui avrebbe continuato per sempre, con tenerezza e dedi-
zione. Si sarebbe trasformato, come gistava facendo, in un
calco di se stesso: un soddisfatto giovanotto sul punto di per-
dere il candore e l'allegria, per una giusta combinazione di
paterna condiscendenza e intelligente amministrazione del
futuro familiare.
Li aveva colmati d'oro prima di andarsene. Non per ge-
nerositprobabilmente ma per farsi perdonare l'abbandono
e per farsi amare anche da lontano, ancora per un poco.
Il viaggiatore inglese dai begli occhi bruni sparito la-
sciando il piatto a met Il barone di Ragusa se ne sta appog-
giato alla alta finestra, boccheggiante, mentre il capitano va
salendo a due a due gli scalini che portano in coperta. Cosa
sta succedendo?
Dalla porta arriva un odore forte di sale e di vento. Le on-
de devono essere diventate cavalloni. Chiusa nel suo uovo di
silenzio Marianna non sente le grida sul ponte, gli scricchiolii
che aumentano, i comandi del capitano che fa ammainare le
vele, il vocio dei viaggiatori sotto coperta.
Lei continua a portarsi il cibo alla bocca come se niente
fosse. Nessun segno di quel mal di mare che scuote le viscere
dei compagni di viaggio. Peradesso la lampada a olio oscil-
la pericolosamente sopra la tavola. Finalmente la duchessa si
accorge che forse non si tratta solo di un poco di mare grosso.
Delle gocce di olio bollente sono cadute sulla tovaglia e han-
no mandato a fuoco un tovagliolo. Se lei non si muove, tra un
momento, dai lini, le fiamme passeranno al tavolo e dal tavo-
lo al pavimento, tutto di legno stagionato.
Improvvisamente la sedia di Marianna prende a scivola-
re e va a sbattere contro la parete, spaccando con lo schienale
il vetro di un quadro. Morire cos seduta nell'abito da viag-
gio a righe, con lo spillone di lapislazuli che le ha regalato il
signor padre appuntato sul bavero, la rosa di taffetfra i ca-
pelli raccolti sulla nuca, sarebbe certo un morire teatrale. Il
cane della signora madre forse sta per agguantarla alla vita,
per trascinarla nel liquido nero. Le sembra di vedere delle ci-
glia che sbattono furiose, zuccherine. Non sono gli occhi delle
chimere di villa Ucr駮 di Bagheria che se la ridono?
In un attimo Marianna trova la forza di sollevarsi in pie-
di: rovescia la caraffa d'acqua sulla tovaglia incendiata. Col
tovagliolo bagnato copre la lampada che si spegne friggendo.
Ora il buio avvolge la stanza. Marianna cerca di ricorda-
re da che parte stia la porta. Il silenzio non le suggerisce che
la fuga. Ma per dove? Il rumore del mare che cresce, che si fa
ululato, percepito dalla mutola solo attraverso le assi del
pavimento che pare si torcano, si sollevino, per sprofondare
subito dopo sotto le scarpe.
Il pensiero di Fila in pericolo infine le fa trovare la porta

252

che si apre a fatica rovesciandole addosso una valanga di ac-
qua salata. Come fara scendere giper la scala a pioli in
quello scotimento? eppure ci prova, tenendosi aggrappata
con le due mani al corrimano di legno e cercando ogni piolo
col piede.
Scendendo nel ventre del brigantino una zaffata di sardi-
ne salate l'afferra alla gola. Qualche botte deve essersi sfa-
sciata perdendo il suo carico di pesce. Nel buio, mentre cerca
a tentoni di raggiungere la cabina, Marianna si sente cadere
addosso qualcosa di pesante. E il corpo di Fila tremante e
fradicio.
La stringe a s le bacia le guance diacce. I pensieri infor-
mi della compagna le filtrano attraverso le narici intrise del-
l'odore acre di vomito: 俗n canchero attia, scecca tamarra,
testa di mazzacani, picchmi facisti partiri?... a duchissa mi
pigghicu idda e mi rovin testa cotta, testa di scecca, can-
chero a idda sacrosantissima!
Insomma, bestemmia contro di lei. E nello stesso tempo
la stringe a scon forza. Che stiano per andare a picco con la
nave sicuro, si tratta di sapere quanto tempo ci mettera
inghiottirle. Marianna comincia una preghiera ma non riesce
a portarla in fondo. C'qualcosa di grottesco in quel loro ap-
parecchiarsi stupidamente alla morte. Eppure non saprebbe
cosa inventare per vincere le forze dell'acqua. Non sa nean-
che nuotare. Chiude gli occhi sperando che duri poco.
Ma il brigantino regge miracolosamente, squassato co-
m'dalle onde. Resiste piegandosi, torcendosi, nell'elasticit delle alte strutture di cedro e di castagno.
Padrona e serva rimangono abbracciate in piedi, aspet-
tando la morte e sono talmente stanche che vengono prese
dal sonno senza neanche accorgersene, mentre l'acqua salsa
scarica loro addosso pezzi di legno, scarpe, sardine, corde
srotolate, pezzi di sughero.
Quando le due donne si svegliano gimattina e sono
~ncora abbracciate, ma distese per terra proprio sotto la sca-
la a pioli. Un gabbiano curioso le osserva dall'imboccatura
del ponte.
XLII





Una pellegrina? forse, ma i pellegrini vanno verso una
meta. I suoi piedi invece non vogliono fermarsi. Viaggiano
per la gioia di viaggiare. In fuga dal silenzio delle sue case
verso altre case, altri silenzi. Una nomade alle prese con le
pulci, con il caldo, con la polvere. Ma mai veramente stanca
mai sazia di vedere nuovi luoghi, nuove persone.
Al suo fianco Fila: la piccola testa calva sempre coperta
da una cuff駮 di cotone immacolato che ogni sera viene lavata
e messa ad asciugare sulla finestra. Quando ne trovano di fi-
nestre, perchhanno anche dormito sulla paglia, fra Napoli e
Benevento, vicino a una mucca che le annusava incuriosita
Si sono fermate ai nuovi scavi di Stabia e di Ercolano.
Hanno mangiato l'anguria tagliata a fette da un bambino, su
una tavoletta volante simile a quella che Marianna usa per
scrivere. Hanno bevuto acqua e miele sedute in ammirazione
davanti a un enorme affresco romano in cui il rosso e il rosa si
mescolavano deliziosamente. Si sono riposate all'ombra di
un gigantesco pino marittimo dopo avere camminato sotto il
sole per cinque ore. Hanno cavalcato dei muli lungo le pendi-
ci del Vesuvio sbucciandosi il naso nonostante i cappelli di
paglia comprati da un merciaio a Napoli. Hanno dormito in
camere puzzolenti dai vetri rotti, con un moccolo per terra
accanto al materasso su cui saltavano le pulci come in una
giostra.
Ogni tanto un contadino, un commerciante, un signorot-
to si metteva alle loro calcagna incuriosito dal fatto che viag-
giassero sole. Ma il silenzio di Marianna e gli sguardi ag-
grondati di Fila li mettevano presto in fuga.
Una volta sono state pure derubate sulla strada per Ca-

254

serta. Hanno lasciato nelle mani dei briganti due pesanti
bauli dalle fibbie di ottone, una borsetta di maglia d'argento
e cinquanta scudi. Ma non ne sono state troppo disperate: i
bauli erano un ingombro e contenevano vestiti che non met-
tevano mai. Gli scudi erano solo una parte delle loro ricchez-
ze. Le altre monete Fila le aveva nascoste cosbene~ cucite
dentro la sottana, che i banditi non se n'erano accorti. Della
mutola poi avevano avuto piete non l'avevano neanche fru-
gata, sebbene anche lei tenesse delle monete dentro una tasca
della spolverina.
A Capua hanno fatto amicizia con una compagnia di at-
tori in viaggio verso Roma. Una attrice comica, un attor gio-
vane, un impresario, due cantanti castrati, e quattro servito-
ri, piuna montagna di bagagli e due cani bastardi.
Ben disposti e simpatici, pensavano molto a mangiare e a
giocare. Non si erano affatto turbati per la sorditdella du-
chessa, anzi si erano subito messi a parlare con le mani e con
il corpo, facendosi intendere benissimo da lei e suscitando le
risate matte di Fila.
Naturalmente toccava a Marianna pagare la cena per
tutti. Ma gli attori sapevano ricambiare il favore mimando i
loro pensieri con allegria di tutti, sia alla mensa che al tavolo
da gioco, nelle carrozze di posta come nelle locande dove si
fermavano a dormire.
A Gaeta avevano deciso di imbarcarsi su una feluca che li
prendeva per pochi scudi. Si diceva che le strade fossero infe-
state di briganti e <~per uno che viene impiccato altri cento ne
sbucano fuori che si nascondono nelle montagne della Cio-
ciaria e cercano proprio le duchessediceva un biglictto ma-
lizioso.

Sulla barca si giocava tutto il giorno a faraone, a biribissi.
Il capocomico Giuseppe Gallo dava le carte e perdeva sem-
pre. In compenso vincevano i due castrati. E la comica, si-
gnora Gilberta Amadio, non voleva mai andare a coricarsi.
A Roma avevano preso alloggio nella stessa locanda, in
via del Grillo, una piccola strada in salita dove le carrozze
non volevano mai montare e toccava farsela a piedi su e gi dalla piazza del Grillo.
Una sera erano state invitate, Marianna e Fila, al teatro
Valle, il solo in cui si potesse recitare fuori del periodo di car-
nevale. E videro una operina mezza cantata e mezza recitata
in cui la comica Gilberta Amadio si cambiava dieci volte di
abito correndo dietro le quinte e ricomparendo ora abbiglia-
ta da pastora, ora da marchesa, ora da Afrodite, ora da Giu-
none. Mentre uno dei due castrati cantava con voce soave e
l'altro ballava vestito da pastore.
Dopo lo spettacolo, Marianna e Fila erano state invitate
all'osteria del Fico, in vicolo del Paniere, dove si erano dovu-
te ingozzare di grandi piatti di trippa al sugo. Avevano dovu-
to mandare gibicchieri su bicchieri di vino rosso, per festeg-
giare il successo della compagnia e poi si erano messi tutti a
ballare sotto i lampioni di carta, mentre uno dei servi tuttofa-
re suonava il mandolino e un altro si attaccava al flauto.
Marianna gustava la libert il passato era una coda che
aveva raggomitolato sotto le gonne e solo a momenti si faceva
sentire. Il futuro era una nebulosa dentro a cui si intrav-
vedevano delle luci da giostra. E lei stava l mezza volpe e
mezza sirena, per una volta priva di gravami di testa, in com-
pagnia di gente che se ne infischiava della sua sordite le
parlava allegramente contorcendosi in smorfie generose e ir-
resistibili .
Fila si era innamorata di uno dei due castrati. Ed era suc-
cesso proprio alla festa dopo lo spettacolo, durante il ballo.
Marianna li aveva sorpresi a baciarsi dietro una colonna e
aveva proseguito con un sorriso di discrezione. Lui era un bel
ragazzo, riccio, biondo, appena un poco pingue. E lei, nel-
l'abbracciarlo, si era levata sulla punta dei piedi, inarcando
la schiena in un gesto che ricordava il fratello pigiovane.
Uno strappo, un sussulto e la coda aveva preso a srotolar-
si. Non sempre scappando si scappa davvero. Come quel
personaggio che viveva a Samarcanda delle Mille e una notte.
Era Nur el Din o Mustafa, non ricorda. Gli dissero: morirai
presto a Samarcanda e lui si era affrettato a galoppare verso
un'altra citt Ma proprio in quella cittstraniera, mentre
camminava pacifico, fu ucciso. E poi si seppe che la piazza in
cui fu aggredito si chiamava per l'appunto Samarcanda.
Il giorno dopo la compagnia era partita per Firenze. E Fi-
la era rimasta tanto addolorata che non aveva pivoluto
mangiare per una settimana.
Ciccio Massa il proprietario della locanda del Grillo por-
tava personalmente su in camera a Fila dei brodi di pollo che
profumavano tutta la casa. Da quando abitavano da lui non
aveva fatto che stare dietro alla ragazza che invece lo detesta-
va. Un uomo corpulento dalle gambe corte, gli occhi da cin-
ghiale, una bocca bella, una risata fresca, contagiosa. Mane-
sco con gli sguatteri, salvo poi pentirsi e diventare generosis-
simo con gli stessi che aveva maltrattato. Verso i clienti si
mostra affabile e nervoso, preoccupato di figurare bene ma
anche di portargli via pisoldi che pu
Solo con Fila era inerme e quando la vedeva, ma anche
adesso, quando la incontra, rimane limbambolato ad am-
mirarla. Mentre con Marianna prende spesso un'aria di suf-
ficienza ribalda, e appena pu le spilla soldi.
Fila, che da poco ha compiuto i trentacinque anni, tor-
nata alla bellezza dei suoi diciotto anni, con una pienezza
sensuale in piche non ha mai posseduto, nonostante la testa
pelata, le cicatrici e i denti rotti. Ha messo su una pelle cos chiara e lucente che la gente si volta per strada a guardarla.
Gli occhi mobili grigi si posano con morbidezza sulle cose e
sulle persone come se volessero carezzarle.
E se si sposasse? Ie farebbe una bella dote, si dice Marian-
na, ma l'idea di staccarsi dalla ragazza le spegne ogni entu-
siasmo. E poi si innamorata del castrato. Il quale partito
per Firenze piangendo, ma senza averle chiesto di seguirlo. E
questo ha addolorato Fila, fino al punto che, per dispetto o
per consolazione, non si sa, ha cominciato ad accettare la
corte del cinghialesco padrone di casa.
XLIII





Cara Marianna,
ogni uomo e ogni epoca sono costantemente minacciati
da una barbarie recondita e incombente, come dice il nostro
amico Gian Battista Vico. La vostra assenza ha procurato
una certa incuria nei miei pensieri fra cui sono cresciute le er-
bacce. Sono minacciato, ma seriamente, dalla piperversa
delle pigrizie, dall'abbandono di me stesso, dalla noia.
Del resto l'isola non soffre di meno di un novello imbar-
barimento: mentre Vittorio Amedeo di Savoia aveva portato
una certa aria di severite di rigore amministrativo, conti-
nuato stancamente dagli Asburgo, ora Carlo III ha ricreato
quell'atmosfera di mollezze e di abbandono che tanto piace
ai nostri mangiatori di cassatine e di trionfi di gola.
Qui regna l'ingiustizia piassennata. Tanto assennata e
tanto radicata da risultare ai picome "naturale". E alla na-
turalezza non si comanda, lo sapete bene; chi pensa di cam-
biare un colore di capelli o di pelle? si pumutare uno stato
di legittimitdivina in uno stato di arbitrio diabolico~ un re
ha il potere, dice Montesquieu, di fare credere ai suoi sudditi
che uno scudo uguale a due scudi, 削una pensione a chi
scappa per due leghe e un governo a chi scappa per quattro Forse siamo alla fine di un ciclo poichla natura degli uo-
mini prima cruda, poi diventa severa e quindi benigna, ap-
presso delicata e finalmente dissoluta. L'ultima et se non regolata, si dissolve nel vizio e la 南uova barbarie porta gli
uomini a istrapazzar le cose
Da quando i vostri avi costruirono la torre Scannatura e
la "casena" di Bagheria, ne passata di acqua sotto i ponti.
Vostro nonno ancora curava di persona le sue vigne e i suoi
oliveti, vostro padre gilo faceva per interposta persona. Vo-
stro marito ogni tanto il naso ce lo metteva nei suoi tini pieni
di vino. Vostro figlio appartiene a quella generazione che ri-
tiene la cura delle terre come volgare e disdicevole. Egli quin-
di ha dedicato le sue attenzioni solo a se stesso. E dovete ve-
dere con che grazia rapinosa lo fa! Da quanto mi risulta le
vostre campagne di Scannatura stanno rovinando nell'incu-
ria, derubate dai gabelloti, disertate dai contadini che sem-
pre pinumerosi emigrano altrove. Stiamo scendendo a pas-
si di danza verso una abul駮 festosa che piace molto ai paler-
mitani del nostro tempo, anzi del tempo dei nostri figli. Una
abulia che ha tutta l'apparenza dell'azione poichabitata
da un moto che oserei chiamare perpetuo. Questi giovanotti
si agitano dalla mattina alla sera fra visite, balli, pranzi,
amoreggiamenti e pettegolezzi che li occupano a tal punto da
non lasciare loro neanche un minuto di noia.
Vostro figlio Mariano che ha preso da voi la bella fronte
alta e gli occhi languorosi e sfavillanti, diventato famoso
per le sue prodigalitdavvero degne del nostro re Carlo III,
per le sue cene a cui tutti, amici e parenti sono invitati. Voi
dite che ama sognare, ma certamente se sogna lo fa in gran-
de. E mentre sogna tiene tavola imbandita. Probabilmente
stordisce gli amici col cibo e col vino per evitare che lo sve-
glino.
Pare che si sia fatto costruire una carrozza uguale a quel-
la del VicerFogliani marchese di Pellegrino, con le ruote di
legno dorato e tre~ta statuine di legno argentato sul tetto,
nonchstemmi e nappe d'oro che pendono da ogni angolo. Il
VicerFogliani Aragona l'ha saputo e gli ha mandato a dire
che non faccia tanto il gradasso; ma il vostro sublime ram-
pollo non se ne dato per inteso.
Altre notizie le avrete avute, immagino, dai vostri cari.
Vostra figlia Felice sta diventando famosa a Palermo per le
sue cure della risipola e della rogna e di tutti gli eczemi. Si fa
pagare molto dai ricchi e niente dai poveri. Per questo si fa
amare anche se molti la criticano per quell'andare in giro da
sola, monachella com' tirando da sle redini di un caval-
luccio arabo, seduta in serpa a un calessino sempre in volo. Il
suo progetto di "aiuto alle derelitte de' Leprosi" le inghiotte

259
tanti soldi che ha dovuto chiedere un prestito a un usuraio
della Badia Nuova. Per pagare questi debiti sembra che si sia
messa a trafficare anche con gli aborti clandestini. Ma queste
sono informazioni "di bottega". Non dovrei darle, per gelosia
di mestiere. Ma voi sapete che il mio amore supera ogni scru-
polo e ogni discrezione.
L'altra figlia vostra, Giuseppa, si fatta trovare nel letto
del marito col cugino Olivo. I due uomini si sono sfidati a
duello. Hanno combattuto. Ma nessuno dei due morto.
Due codardi che al primo sangue hanno abbandonato le ar-
mi. Ora la bella Giuseppa aspetta un figlio che non sa se sia
del marito o del cugino. Ma saraccolto dal marito come
suo. Perchaltrimenti dovrebbe ucciderla e di questo non ha
certo voglia. Olivo stato mandato in Francia dal padre Si-
gnoretto che pare abbia minacciato di diseredarlo anche se il primo figlio.
In quanto a Manina, ha appena partorito un altro figlio
che ha chiamato Mariano, come il bisnonno. Al battesimo
c'era tutta la famiglia, compreso l'abate Carlo che ha messo
su un cipiglio da grande scienziato. In effetti vengono dalle
universitdi tutta Europa a chiedergli di decifrare mano-
scritti antichi. E considerato una celebrita Palermo e il Se-
nato ha proposto di dargli una benemerenza. In questo caso
sarei io a consegnargliela nel suo astuccio di velluto.
Il vostro protetto Saro, pare che si sia tanto dispiaciuto
per la vostra partenza da rifiutare il cibo per settimane. Ma
poi gli passata. E ora pare che se la spassi assieme alla mo-
glie nella vostra villa di Bagheria dove riceve come fosse un
barone: dordini, spende e spande alle vostre spalle.
Del resto chi dovrebbe dare il buon esempio se ne infi-
schia. Carlo il nostro re e la sua deliziosa consorte donna
Amalia costringono i cortigiani a stare in ginocchio mentre
essi pranzano, per ore. La regina, dicono, si diverte a inzup-
pare i biscotti nella coppa piena di vino delle Canarie che la
sua dama di corte deve tenere alta per lei, sempre rimanen-
do in ginocchio. Del buon teatro, che ne dite? ma forse sono
solo pettegolezzi, io personalmente non assistetti mai a simi-
1i scene.
D'altro canto la grande principessa di Sassonia ha perso

260

ogni prestigio da quando ha messo al mondo una bambina,
per giunta con l'aiuto di un chirurgo.
Mi sto trasformando in un moralista da strapazzo, ne
convengo. Givedo la vostra faccia farsi scura, le vostre lab-
bra stirarsi, come solo voi sapete fare con tutta la soave fero-
cia della vostra mutilazione.
Ma sapete che proprio essa, la mutilazione di metdei
vostri sensi che mi ha attratto nell'orbita dei vostri pensieri?
Che si sono fatti folti e rigogliosi proprio a causa di quella ce-
sura col mondo che vi ha costretta fra libri e quaderni, nel
fondo di una biblioteca. La vostra intelligenza ha preso un
avvio coscurioso e insolito da indurmi in una deliziosa ten-
tazione d'amore. Cosa che ritenevo impossibile alla mia et
e che ammiro come un miracolo dell'immaginazione.
Ve lo chiedo ancora una volta per lettera con tutta la so-
lennitdella scrittura: volete sposarmi? non vi chiedernien-
te, neanche di dividere il letto, se preferite. Vorrei prendervi
come siete ora, senza ville e terreni, senza propriet figli, ca-
se, carrozze e servi. Il mio sentimento nasce da un bisogno di
compagnia che mi strugge come burro al sole. Una compa-
gnia femminile scortata dalla pratica del pensiero, cosa raris-
sima presso le nostre donne che sono tenute in uno stato di
ignoranza gallinacea.
Pim'impelago nel mio lavoro, pigente vedo, pisigno-
ri frequento e pimi infogno in una solitudine da certosino.
E solo un barbaglio dell'esprit de finesse pascaliano che mi
avvicina a voi o c'dell'altro? un moto di correnti capaci di
scaldare gli oceani?
E la vostra mutilazione a rendervi unica: fuori dai privile-
gi nonostante ci stiate dentro per diritto di nascita fino al col-
lo, fuori dagli stereotipi della vostra casta nonostante essi fac-
ciano parte della vostra stessa carne.
Io vengo da una famiglia di onesti notai e onesti avvocati,
o forse disonesti, chiss non dell'onestla conquista rapida
e trionfante del vantaggio sociale e del bene economico. E
stato mio nonno, ma lo confesso solo a voi, a comprare il tito-
lo di barone per una famiglia di modesti e vanitosi borghesi
in vena di ingrandirsi. Tutto questo conta pochissimo lo so. I
miei occhi hanno imparato a vedere al di ldelle toghe e del-

261
le giamberghe, nonchdelle "robes volantes" e delle "hoop
petticoats" dai colori pastello.
Anche voi sapete vedere al di ldei damaschi e delle per-
le, la menomazione vi ha portata alla scrittura e la scrittura
vi ha portata a me. Ambedue ci serviamo degli occhi per so-
pravvivere e Cl nutriamo come tarme golose di carta di riso,
carta di tiglio, carta di acero, purchvergate dall'inchiostro.
侵l cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce amava dire il mio amico Pascal e sono ragioni buie che affon-
dano le radici nella parte sepolta di noi. Ldove la vecchiaia
non si trasforma in perdita ma in pienezza di intenti.
Conosco i miei difetti che sono tantissimi a cominciare da
una certa perversitacquisita in tanti anni di stupida censu-
ra sopra le idee che amo. Per non parlare dell'ipocrisia che
mi divora vivo. Le debbo molto per A volte penso che sia la
mia pigrande virtpoichsi accompagna a una pazienza
da eremita. E non va disgiunta da una capacittutta monda-
na di "capire l'altro". L'ipocrisia la madre della tolleran-
za... o ne sarla figlia? non lo so? comunque sono parenti
strette.
.Mi lascio anche spesso travolgere dal pettegolezzo, per
quanto orrore abbia per esso. Ma se si guarda bene, si scopre
che alla radice della letteratura c'proprio il pettegolezzo.
Non pettegolo Monsieur Montesquieu con le sue Lettere per-
siane? quelle missive che si accavallano grondanti di umori-
smo e di malignit non pettegolo il nostro signor Alighieri?
chi pidi lui si diverte a riferire tutti i segreti vizi e le debo-
lezze degli amici e dei conoscenti...
L'umorismo a cui gli scrittori si abbeverano con tanta
grazia da cosa deriva se non dal mettere in luce i difetti al-
trui? tanto da farli parere giganteschi e irrimediabili. Mentre
trascurano con disinvoltura la trave che naviga nel loro oc-
chio sognatore. Non ne convenite anche voi?
Ecco che come al solito tento di giustificarmi: sarche
con le autoaccuse cerco di stanarvi come un'esca dalle acque
morte dei vostri silenzi?
Sono anche piperverso di quanto pensiate. Di un egoi-
smo a volte ributtante. Ma il fatto che ve lo sbandieri sta a si-
gnificare che forse non poi tanto vero. Sono un mentitore
consapevole. Ma come sapete, Solone diceva che ad Agira
sono tutti bugiardi. Lui stesso era di Agira. Diceva la verito
mentiva? A meno che non sia tutto un trucco per tenervi in
sospeso. Voltate la pagina mia cara mutola e troverete qual-
cos'altro per i vostri denti. Forse un'altra richiesta d'amore,
forse una informazione preziosa o solo un'altra esibizione di
vanit Anch'io sono mutilato nei sensi che si sono involgariti
con le pratiche del mondo. Eppure il mondo il solo luogo in
cui potrei accettare di stare. Non credo che andrei volentieri
in paradiso anche se lle strade sono pulite, non ci sono catti-
vi odori, niente coltellate, impiccagioni, taglieggiamenti, ra-
pine, furti, adulteri e prostituzione. Ma che si farebbe tutto il
giorno? solo passeggiare e giocare a faraone e a biribissi?
Sappiate che vi aspetto con mente serena, confidando
nella vostra testa dai lunghi pensieri. Non dico confidando
nel vostro corpo perchesso riottoso come un mulo, ma mi
rivolgo a quegli spazi aperti del vostro capo in cui scorre l'a-
ria marina, ldove siete pidiscorsiva, pipropensa alla cu-
riosit all'amore, cosper lo meno mi lusingo di crede-
re... Sapete, alle volte l'amore degli altri che ci innamora:
vediamo una persona solo quando essa chiede i nostri occhi.
Con tutta la mia devozione tenerissima e l'augurio che
torniate presto. Sto male senza di voi,
Giacomo Camal鋌

Marianna osserva i fogli di carta leggera che posano disor-
dinati sulla sua gonna rigata. La lettera le ha ispirato un sen-
so di sazietche ora la fa sorridere. Eppure la nostalgia di
Palermo le offusca lo sguardo. Quegli odori di alga seccata al
sole e di capperi e di fichi maturi non li ritrovermai da nes-
suna parte; quelle coste arse e profumate, quei marosi ribol-
lenti, quei gelsomini che si sfaldano al sole. Quante passeg-
giate con Saro a cavallo verso il promontorio dell'Aspra dove
venivano raggiunti e giocati da odori e sapori ubriacanti.
Scendevano da cavallo, si sedevano sui cocuzzoli di alghe da
cui zampillavano le pulci di mare, si lasciavano investire dal
leggero "ventuzzu africanu".
Le loro mani, camminando all'indietro come i granchi, si
incontravano alla cieca, si stringevano fino a fare dolere i pol-

263
si. Era un lento intrecciarsi di braccia, di dita. E poi, e poi co-
sa farne della lingua in un bacio che bussa in faccia come una
novitindiscreta e deliziosa? cosa farne dei denti che tendono
a mordere? gli occhi a mollo negli occhi, il cuore che fa i capi-
tomboli. Le ore si fermavano a mezz'aria, assieme a quel pro-
fondo profumo di alghe salse. I ciottoli tondi e duri dietro la
schiena diventavano cuscini di piume mentre al riparo di una
acacia dai rami ciondolanti sull'acqua si stringevano l'uno
all'altra.
Come aveva potuto sopravvivere a quegli abbracci nel
momento in cui erano stati proibiti dalla sua crudele volon-
t essa non puperimpedire che tornino a galla come ca-
daveri inquieti che non riescono ad andare a picco.
Da quando Fila si sposata con Ciccio Massa, le riesce
difficile rimanere alla locanda. Per quanto Fila dica di volere
continuare a servirla, per quanto fra tutti e due la riempiano
di cibi e la accudiscano come una bambina, ogni mattina si
sveglia con l'idea di partire.
Tornare ai figli, alla villa, a Saro, alle chimere, o rimane-
re? scappare da quelle forme troppo note che costituiscono la
sua costanza o dare retta a quelle alette che le sono spuntate
dai due lati delle caviglie?
Marianna pigia i dieci foglietti nella tasca della gonna e si
guarda intorno cercando una risposta alla sua muta doman-
da. C'il sole. Il Tevere scorre ai suoi piedi denso e screziato
di giallo. Un ciuffo di canne di un verde chiaro pallido viene
piegato dalla corrente proprio sulla riva. Ma dopo essersi ap-
piattito sulle acque fino a farsene sommergere, si risolleva in
tutta la sua allegria. Una miriade di minuscoli pesci argenta-
ti risalgono il flusso ldove l'acqua quasi si posa, forma un la-
go fra cespi di ortiche e spunzoni di cardi. L'odore che sale
dall'acqua buono, di terra fradicia, di mentuccia, di sam-
buco.
Poco piavanti la prua di una barca dal fondo piatto sci-
vola lungo una corda tesa che la tiene agganciata alla riva.
Ancora piavanti, delle lavandaie ginocchioni sui sassi,
sciacquano il bucato nell'acqua. Un'altra barca, anzi una
zattera con due rematori in piedi, si muove lentamente da
una parte all'altra del fiume trasportando sacchi color can-
nella e ruote di carro.

Verso l'alto il porto di Ripetta si a~pre come un ventaglio,
con i suoi scalini di pietra, i suoi cerchi di ferro per l'attracco
delle imbarcazioni, i suoi muretti di mattone crudo, i suoi se-
dili di marmo bianco, il suo via vai di facchini.
In quella quiete meridiana Marianna si chiede se potreb-
be mai appropriarsi di questo paesaggio, farsene una casa,
un asilo, Tutto le estraneo e percicaro. Ma fino a quando
si puchiedere alle cose che ci stanno intorno, di rimanere
forestiere, perfettamente comprensibili e remote nella loro in-
decifrabilit
Il sottrarsi al futuro che le sta apparecchiando la sorte
non saruna sfida troppo grossa per le sue forze? questa vo-
glia di conoscere gente diversa, questa voglia di girovagare,
non saruna superbia inutile, un poco frivola e perversa?
Dove andra casarsi che ogni casa le pare troppo radica-
ta e prevedibile? Le piacerebbe mettersela sulle spalle come
una chiocciola e andare senza sapere dove. Dimenticare la
pienezza di un abbraccio desiderato non sarfacile. La chiu-
sa sta la ghermire ogni gocciolo di ricordo, ogni mollichella
di diletto. Ma ci deve pur essere qualcos'altro che appartiene
al mondo della saggezza e della contemplazione. Qualcosa
che distolga la mente dalle sciocche pretese dei sensi. 亟 di-
sdicevole per una signora girare da una locanda all'altra, da
una cittall'altra senza pace, senza rimediodirebbe il si-
gnor figlio Mariano e avrebbe forse ragione.
Quel correre, quel vagare, quel patire ogni fermata, ogni
attesa, non sarun avvertimento di fine? entrare nell'acqua
del fiume, prima con la punta delle scarpe, poi con le caviglie
e infine con le ginocchia con il petto, con la gola. L'acqua non
fredda. Non sarebbe difficile farsi inghiottire da quel tur-
binio di correnti odorose di foglie marce.
Ma la voglia di riprendere il cammino piforte. Ma-
rianna ferma lo sguardo sulle acque giallognole, gorgoglianti
e interroga i suoi silenzi. Ma la risposta che ne riceve anco-
ra una domanda. Ed muta.
fine.






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