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Corrado Augias


I segreti di New York
Storie, luoghi e personaggi di una metropoli



Milano, Mondadori, 2000

http:www.corradoaugias.net
http:www.mondadori.com/libri


Pag. 3

I - Una dama di nome Libert
Siamo a bordo dell'Is鋨e, nave militare della marina francese, che ci
sta portando dall'Europa al Nuovo Mondo. Abbiamo levato l'ancora da un
porto della Normandia il 21 maggio (1885) scortati dall'incrociatore
americano U.S.S. Flore, ma il nostro viaggio cominciato, via terra,
al numero 25 di rue de Chazelles, nel XVII arrondissement parigino.
Abbiamo affrontato la traversata atlantica diretti al porto di New
York, dove stimiamo di attraccare, se il mare ce lo consentir
all'alba del 17 giugno.
Il ponte e gran parte della stiva sono occupati da trecento casse,
rigorosamente catalogate; ognuna contiene un frammento di una statua
colossale che dovressere assemblata ed eretta su un'isoletta,
Bedloe's Island, che si trova nel mezzo della baia di New York.
Perchtale viaggio fosse possibile, perch la statua venisse
realizzata ci sono voluti quasi quindici anni di sforzi di ogni
genere, politici, finanziari, diplomatici. Ora fatta, l'impresa riuscita, resta la sua storia che vale la pena di raccontare.

La statua della Libertuno di quei monumenti addirittura logorati
dall'uso, come il Colosseo a Roma o la Tour Eiffel a Parigi, eppure
poco conosciuti; uno dei grandi oggetti mitici sparsi per il mondo di
cui si ricorda l'aspetto esteriore ignorando quasi sempre il resto,
ciole ragioni per le quali sono stati concepiti ed eretti. Eppure le
circostanze in cui quell'immensa statua venuta al mondo, l'avventura
della sua costruzione, le allusioni e i riferimenti nascosti nei suoi
cinquanta metri d'altezza e ottanta tonnellate di rame, tutto cifa parte
d'una storia affascinante che racchiude molti di quegli aneliti politici,
di quei valori ideali e dello spirito d'intrapresa tipici degli anni
finali del XIX secolo.
Questa vicenda ci porterdal cuore di Parigi alla costa atlantica
del Nuovo Mondo, dalla Belle Epoque alla Nuova Frontiera, dall'atelier
di uno scultore in cerca di ispirazione e di incarichi al brulicante
porto di New York che molti europei considereranno, anche grazie a
quella statua, the golden door, la porta d'oro del Nuovo Continente.

Dello scultore Fric-Auguste Bartholdi, che ne l'autore, si
possono vedere a Parigi alcuni bei monumenti. Tra gli altri, la doppia
statua dedicata ai generali La Fayette e Washington che alla fine del
1895, data in cui venne collocata, si stringono calorosamente la mano
in place des Etats-Unis; e il fierissimo leone, verde nella sua patina
bronzea, dedicata "A la dense nationale" che al centro di place
Denfert-Rochereau ricorda gli eroici difensori di Belfort (Alto-Reno)
e il loro comandante, colonnello Denfert-Rochereau, sacrificatisi
durante la guerra franco-prussiana del 1870. La Francia sconfitta,
ma il leone drizza il capo e ruggisce pensando a future vittorie: una
nazione per il momento vinta ma non doma. Giin questo leone racchiusa insomma una complessa simbologia politica; ma nella statua
della Liberti riferimenti sono ancora pinumerosi. Un altro
monumento di Bartholdi stabilisce un legame tra vecchio e nuovo mondo:
quello dedicato al generale Lafayette ed eretto a New York, in Union
Square, nel 1876.

Bartholdi nasce nel 1834 in Alsazia, a Colmar (dove si pututtora
visitare la casa avita), muore settantenne a Parigi nel 1904. Scultore
di stile vigoroso, popolare di un realismo appena attenuato, le sue
allegorie non conoscono grandi rimandi simbolici e anche per questo
sono facilmente interpretabili. Patriota, repubblicano, massone,
Bartholdi stato un sincero amante della libert Dopo la disfatta di
Sedan che costa a Napoleone III l'impero, vengono cedute alla Prussia
l'Alsazia e una parte della Lorena. L'artista ne soffre come d'una mutilazione
personale, un vero sincero dolore reso piacuto dal fatto che, mentre
lui s'ormai traferito a Parigi, sua madre, rimasta nella vecchia
casa di Colmar, viene a trovarsi in territorio occupato.
Per strano che sembri, tra le cause remote della statua della
Libertci sono anche quella sconfitta e la tempesta militare e
politica che ne segu Anche se la prima idea del monumento venuta a
Bartholdi prima dei tragici avvenimenti del 1870-71, sicuramente il
progetto maturato nel giro di quegli anni, pieni di mutamenti sia
per l'Europa che per gli Stati Uniti.
In America la guerra civile tra Sud e Nord, durata quasi cinque anni
(1861-65) e costata seicentomila morti, s'appena conclusa con un
ultimo gesto scellerato, l'assassinio di Abraham Lincoln. La Francia
esce umiliata e stremata dal conflitto con la Prussia. La sola
giornata di Sedan costata al paese ottantatremila prigionieri e
cinquanta pezzi d'artiglieria.
Quella guerra infelice, guidata da un uomo inferiore alle sue
ambizioni (Napoln le Petit, l'aveva battezzato con sarcasmo Hugo), l'ennesimo segno di inquietudine di un paese che dopo il trauma della
rivoluzione (1789) non piriuscito a trovare un suo equilibrio. In
sessantatranni i francesi passano da una monarchia costituzionale
alla prima repubblica, poi al direttorio, al consolato, all'impero
napoleonico, a due altre monarchie, alla seconda repubblica rovesciata
da Napoleone III e infine a un secondo impero, parodia del primo.
Quando un grande sistema nazionale conosce una profonda crisi politica
(e questo non riguarda solo la Francia di allora) i tempi per trovare
un nuovo equilibrio sono sempre penosamente lunghi.

In questo turbolento periodo c'tuttavia una piccola e fragile
coincidenza che accomuna Francia e Stati Uniti. All'origine della
Rivoluzione dell'89 ci sono stati anche gli enciclopedisti, uno dei
pisignificativi movimenti intellettuali della storia europea. Anche
alle radici del movimento abolizionista americano c'un libro, "La
capanna dello zio Tom" di Harriet Beecher Stowe che con il suo
lacrimoso populismo contribuisce alla diffusione popolare delle idee democratiche e antischiaviste.
Il regime politico americano ha attirato l'attenzione del geniale
pensatore francese Alexis de Tocqueville (1805-59) che nel suo "La
docratie en Amique", classico del pensiero politico liberale,
esamina i grandi vantaggi, e i rischi, della democrazia nel
funzionamento d'una societmoderna, reclamando libertper gli
individui e per le loro iniziative. Tra gli allievi di Tocqueville si
conta Edouard-RenLefebvre de Laboulaye, professore di diritto
comparato al Coll銶e de France, liberale convinto, grande sostenitore
della causa americana, critico, anche dalla cattedra, del regime
napoleonico. E' uno degli uomini che avranno peso determinante nella
vicenda della statua.
I sentimenti filoamericani diffusi tra gli intellettuali francesi
affondano d'altronde in precisi precedenti storici e militari. Il
generale Lafayette ha combattuto al fianco di George Washington
durante la rivoluzione del 1776 che ha portato all'indipendenza del
paese dalla Gran Bretagna e alla nascita degli Stati Uniti d'America.
4 luglio 1776, giorno dell'Indipendenza: ecco un'altra data che
bisogna tenere a mente per collocare nel suo giusto contesto la
statua. Terminata la guerra civile, suturate bene o male le ferite,
gli Stati Uniti si apprestano appunto a celebrare il primo centenario
della loro nazione: 1776-1876.

Ma se queste sono le premesse intellettuali, molto diverse, meno
calde, sono le effettive relazioni politiche. Durante la guerra
franco-prussiana, gli Stati Uniti sono rimasti in pratica alla
finestra se si eccettuano alcuni aiuti umanitari inviati alla
popolazione parigina durante l'assedio. Le turbolenze e le ambizioni
francesi piacciono poco sull'altra sponda dell'Atlantico, per di pi Napoleone III ha commesso l'errore di simpatizzare per i Confederati
del Sud durante la guerra civile e di non nasconderlo. Sono la parte
arretrata del paese, sono anche quelli che hanno perso la guerra.
E' in queste condizioni che gli intellettuali progressisti riuniti
intorno al professor Laboulaye tornano con insistenza sull'idea di
preparare un grande, significativo dono della Francia
da inviare per il primo anniversario dell'indipendenza americana. Si
comincia a concepirne anche il possibile tema: la Libertche illumina
il mondo.

Fric-Auguste Bartholdi tra i piassidui nella cerchia intorno
a Laboulaye. La vita di uno scultore non facile nemmeno in quel
periodo, sebbene le pio meno giovani nazioni europee ricerchino,
anche attraverso la statuaria e la pittura, una loro plausibile
identitallegorica. Bartholdi ascolta le infiammate perorazioni in
difesa della libert vi partecipa in quanto alsaziano, ma deve anche
tener conto della sua precaria condizione di artista alla ricerca di
commissioni per sopravvivere. La sua inclinazione lo porta a
prediligere lavori di grandi dimensioni: rimasto molto
impressionato, durante una visita in Egitto, da opere colossali come
la Sfinge e le Piramidi, ha lungamente studiato il lavoro di Fidia,
uno dei massimi scultori dell'etdi Pericle che nel suo atelier
ateniese ha creato la statua crisoelefantina di Atena e concepito per
il tempio di Olimpia un colossale Zeus: alto circa quattordici metri,
considerato dagli antichi una delle sette meraviglie del mondo.
Come mostrano chiaramente le riproduzioni su monete, la figura di
Zeus seduta su un trono preziosamente decorato. La statua di Atena
vergine alta circa dodici metri, e la dea regge nella destra,
protesa, una vittoria, ha una lancia appoggiata alla spalla sinistra,
ai piedi lo scudo.
Altro esempio formidabile dell'antichitla statua leggendaria
detta "Colosso di Rodi". Alto quaranta metri, il gigante se ne sarebbe
stato a gambe larghe, i piedi appoggiati sull'estremitdi due moli,
all'imboccatura del porto, reggendo alta una fiaccola. Tali le sue
dimensioni che le navi entravano e uscivano passando tra le sue
gambe.
Nell'Europa moderna, sull'esempio degli antichi, una certa voga
della statuaria di tipo colossale non mai venuta meno dopo il
Rinascimento italiano. Nel 1697, lo scultore G.B. Crespi erige in
Arona (Lago Maggiore) una gigantesca statua di San Carlo Borromeo, alta
ventotto metri, su un piedistallo che a sua volta ne conta dodici.
Dopo la vittoria sulla Francia, per fare un altro esempio, il governo
prussiano commissiona allo scultore J. Schilling una statua raffigurante la Germania che, alta dieci metri e posta in cima a un colossale piedistallo,
viene poi collocata a Rudesheim, sulla riva del Reno, il capo cinto di lauro,
la mano sinistra sull'elsa d'una spada smisurata, la destra levata in
alto, lo sguardo alla sponda opposta in direzione della Francia nemica
e umiliata.

Ma tra gli avvenimenti che possono aver indirizzato le idee di
Bartholdi bisogna mettere anche imprese d'altro tipo. Per esempio
l'apertura del canale di Suez (1869), sia per il gigantismo dell'opera
stessa, guidata dal francese Ferdinand de Lesseps, sia perchlo
scultore intendeva proporre al kedivd'Egitto, Ismail Pasci il
progetto d'un immenso faro-statua da collocare all'imboccatura del
canale. Il monumento, intitolato "L'Egitto porta la luce all'Asia",
doveva raffigurare una donna che alza una grande fiaccola. La
somiglianza con la statua della Libert come si vede, notevole.
Questo tipo di progetti colpiscono ancora oggi per la loro sintonia
con lo spirito del tempo al quale si devono opere destinate a stupire
per il loro ardimento, oltre che per l'indiscutibile utilit I
trafori sotto le pialte montagne d'Europa, l'apertura di una via
d'acqua che evita la circumnavigazione dell'Africa, il viadotto
ferroviario di Garabit in Francia, il cui arco centrale ha una luce di
centottanta metri, l'apertura a New York (1883) di un ponte di quasi
due chilometri che, scavalcando l'East River, unisce le sponde di
Brooklyn e di Manhattan; qualche anno pitardi, l'inaugurazione della
prima linea ferroviaria che attraversa dall'Atlantico al Pacifico
l'intero continente e ancora la posa del primo cavo telefonico
sottomarino attraverso l'Atlantico. Sono tutte opere senza precedenti,
che negli ultimi decenni dell'Ottocento danno la sensazione che
l'ingegneria e la tecnica siano in grado di dominare il mondo e di
mettere sotto controllo le forze pibrutali e potenti della natura.
Per la prima volta la tecnologia, l'impiego ardimentoso del ferro,
supera le proprie funzioni tecniche per farsi ideologia e politica
attraverso l'esaltazione dello spirito capitalistico e affermando
sull'intero pianeta la supremazia della civiltoccidentale.
Quelli sono infatti anche anni di grandi scoperte, spedizioni
geografiche, vaste espansioni territoriali, mutamenti profondi nella
vita degli individui. Il dominio dell'uomo occidentale si estende ai
due continenti dell'Asia e dell'Africa, le imprese belliche e
coloniali, scientifiche e tecnologiche, si confondono e si
sovrappongono in un'atmosfera da "Ballo Excelsior", portate da un'onda
travolgente di fiducia che per qualche decennio sembra dischiudere le
piluminose certezze alle sorti magnifiche e progressive del mondo
detto civilizzato.
Anche la statua della Libertfiglia di quel tempo e dell'aria che
vi si respira.

Ma se questa l'aria del tempo, la sua fisionomia complessiva quale
noi possiamo cogliere e valutare dalla nostra prospettiva disincantata
di "posteri", diverso ovviamente vivere in mezzo a quegli
avvenimenti, lottare per la riuscita della propria idea, patire le
contraddizioni quotidiane e l'esito imprevedibile di eventi
tumultuosi.
Quali che siano i piani di Bartholdi, la guerra franco-prussiana del
'70 li manda in pezzi. La disfatta di Sedan trascina con sla rovina
dell'impero, la nascita di una nuova repubblica, la continuazione -
inutile - della guerra contro la Prussia alla quale l'artista prende
brevemente parte, volontario in un battaglione comandato da Giuseppe
Garibaldi che, nemico giurato di re e imperatori, corso a offrire il
suo braccio e la sua esperienza alla Francia repubblicana.
E' un breve episodio che bisogna perricordare perchdalla guerra
perduta e dall'occupazione dell'Alsazia lo spirito repubblicano di
Bartholdi esce rafforzato, al punto che nel maggio 1871 decide di
passare dalle discussioni ai fatti. Il giorno 8 annuncia in una
lettera a Laboulaye la sua intenzione di recarsi negli Stati Uniti e
aggiunge: "Ho la sensazione che questo sia un buon momento per fare
quell'escursione di cui ho avuto occasione di parlarle: mi sento
pronto ad andare negli Stati Uniti alla fine di questo mese".
Chiedendo all'insigne professore alcune lettere di presentazione per i
suoi conoscenti americani, l'artista si augura "di stabilire delle
relazioni con amanti dell'arte che portino alla commissione di importanti
lavori ma, soprattutto, spero di poter realizzare i miei piani per il
monumento in onore dell'Indipendenza".
Non alla fine del mese ma poco dopo, l'8 giugno, Fric-Auguste
lascia la Francia a bordo del vapore "Pereire".

Il "Pereire" entra nella rada di New York all'alba del 21, dopo
tredici giorni di navigazione. Bartholdi, emozionato, scrive:
"L'immagine che si presenta agli occhi di un passeggero che arriva a
New York splendida. Quando, dopo alcuni giorni di viaggio, l'aurora
perlacea di uno splendido mattino rivela la magnifica scena di queste
grandi citt(New York e Brooklyn), di questi fiumi che si allungano
fin dove l'occhio riesce ad arrivare, ornati dalla presenza di alberi
maestri e navi a vapore, quando ci si sveglia nel bel mezzo di quel
mare interno disseminato di vascelli che sciamano come una folla in
una pubblica piazza...".
Il suo entusiasmo al massimo, non lo abbandonerpi
Non perun entusiasmo cieco, al contrario molto perspicace.
Proteso verso il panorama che gli si apre davanti, i suoi occhi
certamente febbrili individuano il posto dove la sua statua potrebbe
sorgere. Scriverpitardi: "E' certamente qui che la statua deve
sorgere, qui dove chi arriva ha la sua prima visione del Nuovo Mondo".
Preciseranche: "Ho individuato un posto magnifico. Si chiama
Bedloe's Island, nel bel mezzo della baia. Ho eseguito uno schizzo di
come il monumento apparirebbe se vi fosse collocato. L'isola
appartiene al governo, e si trova su territorio nazionale che
appartiene a tutti gli Stati, giusto di fronte agli stretti che sono,
per cosdire, la porta d'ingresso dell'America".

Il primo soggiorno di Bartholdi negli Stati Uniti denso di incontri
fruttuosi. Grazie alle commendatizie di cui fornito riesce a vedere
molti tra gli americani piautorevoli, dal presidente in carica
Ulysses S. Grant al poeta laureato Henry W. Longfellow, dai senatori
ai giornalisti piautorevoli. Ovunque vada, chiunque incontri, lo
scultore francese cerca di stimolare la formazione di gruppi di
"opinion leaders" (diremmo oggi) in grado di appoggiare concretamente
il suo progetto.
Visita Philadelphia, Boston, Chicago, Washington, Denver, Salt Lake
City, San Francisco, un tour lunghissimo che lo porta da una costa
all'altra di quella nazione-continente. La sua permanenza si protrae
per circa sei mesi, fino all'inizio del 1872. Sulla nave che lo
riporta in Europa Bartholdi pudirsi ragionevolmente certo di due
cose: gli americani sono interessati in modo rassicurante al suo
progetto, gli hanno anche fatto capire con la loro schiettezza che per
poter passare da un sincero interessamento teorico al sostegno pratico
necessario che il progetto acquisti maggiore visibilit In altri
termini, nemmeno un dollaro uscirdalle loro tasche fino a quando la
statua non diventeruna monumento e un motivo di richiamo in qualche
modo visibile.

Non si potrebbe immaginare un momento peggiore per un progetto di
quelle dimensioni. La Francia retta da un regime repubblicano
provvisorio, instaurato subito dopo la caduta di Napoleone III;
diventerla vera Terza Repubblica solo nel 1875. Il paese esce da una
disfatta e da un traumatico cambio istituzionale. In quelle condizioni
chiedere impegno, fiducia e fondi per far avanzare un tale progetto impensabile. Nonostante le circostanze appaiano a tal punto negative,
Bartholdi continua a lavorare all'idea, mentre dcorso, per vivere,
alle varie richieste che arrivano al suo atelier.
La tenacia, l'essere quasi abitati dalla propria idea, una dote
alla quale si pensa di rado riferendosi a un artista. Eppure sarebbe
possibile scrivere un'intera storia dell'arte solo con gli esempi di
artisti che hanno saputo affrontare le difficolte vincerle.
Situazioni del genere sono anzi cosfrequenti da confermare la
vecchia idea che anche la tenacia, non meno dell'inventiva,
dell'abilittecnica e dello stesso genio, rientri in quella dote
complessiva che si chiama creativit
Per Bartholdi continuare a lavorare vuol dire soprattutto precisare
le linee portanti della statua, raffigurarsela in modo compiuto,
almeno nella mente.

Lo scultore consapevole che il monumento, se dev'essere visibile
gida lontano, deve presentarsi come una massa compatta,
per cosdire povera di dettagli e di accessori. La figura dev'essere
come un tutto unico e impressionare gia prima vista per la sua
maestosa imponenza. La qualitdi un tale monumento non la
raffinatezza ma la visibilit ci si aspetta che dia un immediato
risalto al simbolo che vuole incarnare ed esprimere. La statua della
Libertpossiede senz'altro queste caratteristiche, anche se possibile che una parte rilevante l'abbia giocata la stessa
ispirazione dell'artista la cui predilezione per un modellato
compatto, quanto meno nella statuaria politica, si puchiaramente
vedere come nel Leone di Belfort.

La collocazione della statua al centro della baia di New York fa
subito pensare a una donna ritta in piedi, anche se molto spesso
nell'antichit頎 la Libert la Giustizia e la Sapienza sono state
raffigurate da donne maestosamente sedute. In piedi e per di picon
il braccio destro levato, anche in questo caso secondo una
raffigurazione classica. Nel pugno stringe una torcia con una funzione
certo simbolica (la Libertche illumina il mondo, appunto) ma anche
pratica, dal momento che una luce sospesa a qualche decina di metri
dal pelo dell'acqua pudiventare un utile punto di riferimento per i
naviganti.
Concepire la forma era perancora poco, rispetto alla complessit tecnologica e politica dell'opera. La parola "libert esprime uno di
quei grandi concetti-guida che possono essere visti da molte
prospettive diverse e riempiti di contenuti anche molto distanti tra
loro. La libertche guida il popolo alla riscossa (come nel celebre e
veemente quadro di Delacroix), la libertdegli schiavi che spezzano
le proprie catene, la libertdei proletari immaginati da Marx, che soprattutto la libertdal bisogno, per cui di catene soltanto
metaforiche in questo caso si tratta. La libertcome un bene da
conquistare con le armi, come avevano fatto gli americani che s'erano
guadagnati sul campo il passaggio dalla condizione di coloni a quella
di popolo libero. A quale liberttra le tanti Bartholdi avrebbe dato
forma?
L'unica idea certa fin dall'inizio che la massa dovressere
compatta e ben visibile. Non molto per cominciare, anche se
Bartholdi si dice certo che la statua potrevocare solo per assonanza
la libertamericana, "che dopo cento anni di ininterrotta esistenza
dovrebbe apparire non come un'intrepida fanciulla, ma come una donna
ormai matura, calma, che avanza con il passo leggero e sicuro del
progresso". In altre parole la libertdivenuta ordinamento e legge,
non la libertcome anelito al cambiamento, affermazione
rivoluzionaria.

Dei vari elementi che nella simbologia e nella statuaria classica
contribuiscono a creare l'immagine della libert uno sicuramente
sopravvissuto, il curioso copricapo noto come berretto frigio che
all'origine veniva dato agli schiavi nel momento in cui erano elevati
alla condizione di liberti. Durante la Rivoluzione francese e la
Comune di Parigi il berretto era tornato di attualit diventandone
uno dei simboli principali; e veniva prevalentemente associato, anche
nell'immaginario, ai momenti pisanguinosi di quegli eventi.
L'ipotesi d'un berretto frigio con il quale ricoprire il capo della
statua rimane in vita abbastanza a lungo da suscitare alcune polemiche
sulla sua opportunit E' lecito inserire un dettaglio di sapore
rivoluzionario in una statua che dovrimpersonare la libertin un
cosdiverso significato? "La statua simbolo della libert dice
Laboulaye "deve significare che la libertvive solo nella verite
giustizia, nella luce e nella legge. Questa la libertche vogliamo
e che resterper sempre simbolo di alleanza tra l'America e la
Francia".
Nobili parole che pernon risolvono il problema di come coronare il
capo della statua, una volta accantonata l'idea dell'inopportuno
berretto frigio. La soluzione scelta da Bartholdi sotto gli occhi di
tutti: sette raggi che si irradiano nello spazio partendo dalla testa,
un'invenzione sicuramente felice che ha varie fonti d'ispirazione.
Alcune immagini per esempio mostrano che il capo del leggendario
"Colosso di Rodi" era circondato da raggi. Canova in alcune sue
statue, tra cui quella della Fede sul monumento a Clemente XIII in San
Pietro, ha adottato una soluzione analoga: una serie di raggi che
coronano il capo della figura.
Un altro importante influsso derivato dalla simbologia massonica,
organizzazione alla quale Bartholdi era affiliato. I raggi del sole
nascente come simbolo di illuminazione e di riscatto appartengono
tanto alla massoneria quanto al socialismo. La massoneria del resto ha
una parte di rilievo sia nella nascita degli Stati Uniti (Lafayette
era un affiliato della loggia detta degli "Amici dell'Umanit) sia
nel consolidamento della Terza Repubblica dopo la caduta di Napoleone
III.
Il sole, e i suoi raggi, sono immagini importanti nella simbologia
massonica, come testimonia anche una frase del loro rituale che
recita: "Il Grande Architetto dell'universo ha dato al mondo il Sole
per illuminarlo e la Libertper sorreggerlo". Il capo della statua
incoronato dai raggi del sole avrebbe reso con ogni dovuta evidenza un
simile concetto.

Un altro problema che si pone all'autore sono i simboli ai quali
affidare la rappresentazione visiva dell'idea che la statua dovr raffigurare. La mano destra leva alta la fiaccola: qui la soluzione quasi obbligata da un punto di vista sia simbolico sia pratico. Che
cosa mettere nella mano sinistra perun problema pidelicato. La
prima idea di Bartholdi la pisemplice: un fascio di catene
spezzate. La liberttrionfa quando i vincoli della schiavit sia
reale che metaforica, giacciono infranti ai suoi piedi. La simbologia
del tempo piena di riferimenti del genere; indulgervi
significherebbe cedere a un luogo comune un po' logoro ma molto
immediato.
Gli amici consigliano perallo scultore di riflettere sul dettaglio
delle catene. Dopo un secolo di indipendenza, gli Stati Uniti non
hanno bisogno di essere incitati alla libertgiacquisita, nche
quella acquisizione ormai lontana venga solennemente ricordata. Al
contrario, l'immagine delle catene potrebbe richiamare una concezione
diremmo oggi "movimentista" della libertche esattamente il
contrario di ciche sia i sostenitori della statua sia i futuri
sponsor americani auspicano.
Dai disegni eseguiti dallo stesso Bartholdi si vede che l'idea delle
catene viene progressivamente, forse a malincuore, abbandonata.
Dapprima esse finiscono ai piedi della statua, come
mostra un bozzetto esposto al museo della cittdi New York, in una
seconda fase spariscono del tutto. Al loro posto compare, nella mano
sinistra, il grande libro della legge con incisa la data del 4 luglio
1776, giorno dell'Indipendenza. La legge come simbolo di mature
istituzioni democratiche, di tranquillo progresso nell'ordine e,
ancora una volta, omaggio alla simbologia dei liberi muratori che,
allora, come anche ai tempi di Mozart, erano tra i piconvinti
fautori delle magnifiche sorti e progressive dell'umanit

Precisata l'idea della statua si era appena alla met forse
nemmeno, del cammino. Di quale materiale un tale gigantesco monumento
avrebbe dovuto esser fatto? Di pietra? Di bronzo? Quale peso e quali
costi i materiali tradizionali avrebbero implicato? Fusa nel bronzo,
una statua di quelle dimensioni avrebbe raggiunto le trecento
tonnellate, con tutti i conseguenti problemi di stabilit di
dimensioni del piedistallo e delle sue fondazioni.
Il modello si potrebbe dire tecnologico viene all fine ricavato da
una statua giesistente, quella del San Carlo Borromeo, opera, come
si visto, dello scultore G.B. Crespi. Le dimensioni sono
gigantesche: compreso il piedistallo, la figura si eleva di quasi
quaranta metri dal suolo; le braccia sono lunghe dieci metri, il naso
misura da solo un metro, tutto il resto in proporzione.
La tecnica usata da Crespi sembra molto adatta al caso, unendo
solidit leggerezza e un'esecuzione molto precisa, anche se a capo di
un lungo procedimento. Si tratta di combinare tra loro pannelli di
rame martellati in scala 1:1 su un modello in gesso, assicurati gli
uni agli altri da ribattini metallici, una specie di involucro vuoto,
una buccia che - nel caso del San Carlo - viene sorretta all'interno
da una costruzione in laterizio con al centro un vano cavo nel quale stata ricavata una scala.
Adottato il materiale, si tratta di mettere a punto un appropriato
metodo di lavoro. Il primo modello realizzato in gesso nella
proporzione di un sedicesimo dell'opera finita. Il secondo, in parte
corretto dall'autore, due volte pigrande.
Un ulteriore modello raggiunge una proporzione pari a un quarto del
finito. Segato in porzioni equivalenti, questo modello in scala 1:4
serve di base per elaborare le parti equivalenti finalmente plasmate
nella dimensione definitiva, grazie a un complesso reticolo di
misurazioni ortogonali.
A questo punto la statua, tutta ancora di gesso, giace sezionata in
trecento pezzi e su ognuno di questi Bartholdi continua a lavorare,
levigando, modificando i dettagli, studiando la perfetta giunzione
delle parti. La fase ulteriore opera di un piccolo esercito di abili
carpentieri. Per ognuna delle parti si ricava un "negativo" in legno:
lavoro paziente di ascia e scalpello, di infinite prove e misure,
fatto in modo da garantire che ogni forma in legno, per ogni singola
porzione, aderisca perfettamente alle sporgenze e rientranze
dell'originale in gesso.
Ognuna di queste forme in legno diventa a questo punto il calco
negativo di una piccola porzione della statua. Su ognuna di esse viene
infine adagiato un foglio di rame dello spessore di tre millimetri,
martellato pazientemente fino a farlo aderire perfettamente al calco.

Il lavoro viene eseguito a Parigi in un atelier al 25 di rue de
Chazelles, di proprietdella ditta Gaget & Gauthier, specializzata in
lavori di queste dimensioni. Se si pensa alla mole del manufatto si
deve riconoscere che si trattdi un piccolo capolavoro di ingegno,
pazienza e tecnologia. Per avere un'idea, il solo indice della mano
destra, quella che sorregge la fiaccola, lungo due metri e mezzo.
Infatti i laboratori di rue de Chazelles diventano meta di reporter,
fotografi e sfaccendati, tutti ugualmente incuriositi dall'opera che
sta nascendo.
In un pomeriggio di novembre del 1884 si reca a visitare la statua
anche il grande Victor Hugo. Ormai ottantenne (sarebbe morto di la
pochi mesi, nel maggio 1885), il volto teatralmente nobile
incorniciato dalla barba candida, Hugo arriva in carrozza, acclamato
al passaggio dalla folla che lo riconosce. Scende maestosamente dal
suo equipaggio, stringe la mano a Bartholdi complimentandosi con lui
prima di pronunciare alcune parole adatte alla circostanza: "L'immenso
e inquieto mare ora testimone dell'unione di due grandi paesi tranquilli.
Questo magnifico lavoro incoraggia ciche ho sempre amato, la pace.
Tra l'America e la Francia - Francia che vuol dire Europa - possa
essere questo un pegno permanente di pace".

Dobbiamo fare un passo indietro rispetto a questo emozionante
pomeriggio di novembre. Nella primavera del 1876, anno del centenario
americano, il lavoro di Bertholdi ancora lontano dall'essere
completato, mentre il 6 maggio gistata fissata la sua partenza per
gli Stati Uniti. Qualche giorno prima dell'imbarco, al teatro
dell'Opa si tiene una grande serata musicale per lanciare il
progetto e raccogliere fondi. Charles Gounod, uno dei massimi
musicisti francesi viventi, esegue una sua cantata dal titolo "La
Libertche illumina il mondo". Alle spalle dell'orchestra un grande
fondale riproduce la statua come sara lavoro ultimato.
Nla musica nla raccolta di fondi hanno il successo sperato.
L'elemento piutile della serata si rivelerproprio il fondale, che
Bartholdi imbarca con sper mostrarlo ai suoi potenziali sponsor
americani. Partendo per il suo secondo giro negli Stati Uniti, lo
scultore spera di essere raggiunto in tempo per il 4 luglio almeno
dall'avambraccio destro della statua, con la mano e la fiaccola. Ma
nemmeno questo possibile. Il "braccio", come Bartholdi familiarmente
lo chiama, sbarca sul molo di New York soltanto il 14 agosto e da quel
momento viene esibito in varie cittdegli States. Migliaia di
americani si tolgono la curiositdi entrare, beninteso a pagamento,
dentro il "braccio", salire la strettissima scala a chiocciola interna
per affacciarsi alla ringhiera che circonda la fiamma. Un modo per
finanziare l'impresa che conosce peranche qualche momento
imbarazzante. Alla fine del 1876 il "braccio" viene collocato in un
angolo di Madison Square a New York, in attesa di essere reimbarcato
per Parigi. Nel 1880 ancora le nessuno ci fa picaso. In compenso
la testa e le spalle della statua, messe in mostra di fronte al
Padiglione delle Nazioni all'Esposizione universale di Parigi del
1878, suscitano entusiastici commenti. L'impegno di Bertholdi e del
comitato franco-americano per trovare i fondi sufficienti alla prosecuzione
dei lavori sembra riprendere slancio.

Leggera e relativamente facile da trasportare, sezionabile in
trecento pezzi, la statua fatta in un vuoto guscio di rame presenta
tuttavia seri problemi di statica. Il colossale monumento, piantato
nel mezzo della baia di New York, torreggiante per quasi cinquanta
metri, saresposto a sollecitazioni spaventose dovute al suo stesso
volume e soprattutto agli impetuosi venti settentrionali della rada.
In un primo momento Bartholdi pensa di far progettare un adeguato
scheletro di sostegno al grande architetto Eug鋝e Viollet-le-Duc, idea
che merita qualche parola di spiegazione.
Molto alla moda finchin vita, ispettore generale dei monumenti
parigini, suscitatore di forti polemiche, Viollet-le-Duc noto
soprattutto come controverso ideatore di una interpretazione
filologica dell'architettura medievale. Opera con accanimento restauri
di tale perfezione imitativa (tra l'altro nella Sainte-Chapelle e
nella stessa Notre-Dame di Parigi) da sconfinare secondo i suoi
critici nella falsificazione dell'opera. L'esempio piclamoroso probabilmente quello del castello di Pierrefonds, non lontano dalla
capitale francese, a sedici chilometri da Compi銶ne, sul bordo di una
foresta (vale la gita). Il geniale architetto vi ha in pratica
ricostruiro il castello del duca d'Orlns risalente al XIV secolo, di
cui era rimasto ben poco, trasformandolo in un edificio incantato di
ponti levatoi, torrette, corti, mura merlate secondo una visione quasi
fiabesca del Medioevo.
A lui Bartholdi chiede di progettare il sostegno interno per la
statua.
Nel 1879 perViollet-le-Duc viene a mancare e bisogna pensare a una
adeguata sostituzione. Qualcuno suggerisce il nome di un ingegnere
piuttosto noto soprattutto come specialista in strutture metalliche,
un uomo che ha profondamente innovato nel campo dell'ingegneria civile
e che di la pochi anni diventercelebre costruendo per
l'Esposizione universale del 1890 un "orrore" alto trecento metri che
fargridare allo scandalo, salvo diventare poi il simbolo di Parigi.
Si tratta ovviamente di Gustave A. Eiffel, uno dei geniali
innovatori nella tecnologia siderurgica di fine secolo, l'uomo capace
di dare al ferro un'impronta di leggerezza quasi aerea come dimostra,
forse piancora della torre parigina, l'audacissimo viadotto
ferroviario di Garabit. Per il gigantesco monumento, Eiffel concepisce
una struttura di geniale funzionalit
L'ingegnere rifiuta di prendere in considerazione un pilone centrale
in muratura, come pure gli viene suggerito. Preferisce adottare una
struttura in ferro formata da quattro barre leggermente convergenti
verso l'alto che vanno dal livello del suolo alla base del collo.
Unite solidamente tra di loro da travature incrociate, le quattro
barre formano un corpo unico di forma tronco-piramidale che ha una
fortissima capacitdi resistenza. Dall'estremitsuperiore parte una
seconda travatura simile che sorregge il braccio destro in alto con la
torcia.
L'invenzione davvero geniale viene pera questo punto. Per
connettere la "pelle" della statua allo scheletro interno, Eiffel
disegna una serie di travetti collaterali che partendo a distanza
regolare dalla struttura centrale vanno a sfiorare l'interno del
rivestimento. La congiunzione tra lo scheletro e il rame data da
sottili barre piatte d'acciaio assicurate da un lato alla travatura,
dall'altro ad altrettante linguette flessibili in acciaio, saldate
alla superficie interna della "pelle". Si tratta di vere e proprie
molle che permetteranno al metallo del rivestimento di dilatarsi o
restringersi secondo la temperatura, di flettere leggermente sotto la
spinta del vento, insomma di reagire in modo duttile, resistendo
solidamente ma senza pericolose rigidit

Mentre le squadre di operai e carpentieri sono al lavoro, il
comitato per l'Unione franco-americana si dda fare sia in Francia
che negli Stati Uniti per reperire i fondi necessari. La mossa
conclusiva di questa lunga battaglia condotta in mezzo a una certa
indifferenza, nonostante le varie iniziative pubblicitarie, la
creazione di una lotteria autorizzata dal ministero degli Interni,
dotata di ricchi premi che, nell'estate del 1880, consente finalmente
di raccogliere la cifra necessaria.
Nell'autunno dell'anno successivo l'ingegner Eiffel comincia il
montaggio della struttura metallica nel cortile degli stabilimenti
Gaget & Gauthier. In ottobre si tiene una cerimonia ufficiale, alla
presenza dell'ambasciatore americano Levi P. Morton. Con i fondi
necessari finalmente in cassaforte, i lavori procedono pi speditamente. All'inizio del 1884 la Libertche illumina il mondo,
interamente montata nel cortile dello stabilimento parigino, sovrasta
con la sua mole tutti gli edifici del circostante diciassettesimo
arrondissement.
Si trattava adesso di trasferirla da Parigi a New York. Per il
trasporto via mare il governo francese mettera disposizione una nave
della marina militare, l'"Is鋨e". Prima di muovere la statua c'per da chiarire un punto importante: di chi sia la proprietdel
manufatto. I francesi propongono che il governo degli Stati Uniti
prenda in carico il monumento per la ricorrenza del 4 luglio (1884).
L'ambasciatore si dichiara felice della proposta, senza tuttavia
rispondere in modo preciso. Per tutti quegli anni e fino a quel momento
la faccenda della statua stata portata avanti con iniziative
volontaristiche e private senza diretto coinvolgimento dei governi.
Quella sera, finalmente, l'ambasciatore Morton invia un dispaccio
urgente a Washington chiedendo istruzioni precise. La risposta arriva
soltanto il 1.o luglio ma nel generale sollievo, affermativa. Il
giorno stabilito, nel cortile della societGaget & Gauthier pavesato
a festa, dopo aver ascoltato i due inni nazionali, la statua viene
ufficialmente consegnata al governo degli Stati Uniti. Tutti i
presenti firmano il relativo verbale e a quel punto un coraggioso
operaio s'inerpica fino al coronamento della torcia dove issa una
bandiera a stelle e strisce. "Sembrava" annota un cronista "una di
quelle bandierine di carta che si mettono come ornamento sulle torte
nuziali".

Alta trentasette metri che diventano cinquanta, se misurati dalla
sommitdella fiamma, la statua rimane per qualche mese una delle
principali attrazioni del quartiere con la sua mole torreggiante al di
sopra dello stabilimento, imprigionata nei ponteggi di legno per le
ultime rifiniture. In dicembre comincia la lunga opera di preparazione
per il viaggio transatlantico.
Bisogna smontare daccapo l'intera opera, compresa la struttura
interna, chiudere ogni singolo pezzo in una cassa di legno,
etichettare e numerare ogni cassa con precisione per facilitare il
riassemblaggio. Il 21 maggio 1885 l'"Is鋨e", scortata dalla U.S.S.
"Flore" della marina americana, leva l'ancora. Il 17 giugno le due
navi, inalberato il gran pavese, salutate festosamente da tutte le
altre imbarcazioni presenti, fanno il loro ingresso nella rada di New
York.
L'avventura della statua finisce in pratica a questo punto. Ciche
segue, compreso il non facile completamento del piedistallo, poco
rispetto alle difficoltfinanziarie, ideologiche, politiche e
diplomatiche che stato necessario vincere perchl'idea lanciata un
giorno in un circolo di intellettuali progressisti diventasse la
solida realtche ha colmato gli occhi e il cuore di milioni di
persone, primo saluto del suolo americano a chi arriva dal vecchio
continente.

Resta, tra le tante, un'ultima curiositche pu in parte, essere
esaudita. Chi la modella che ha dato alla statua quel volto
nobilmente maturo, i lineamenti fieri e tuttavia privi di arroganza,
composti, un'espressione intrisa di fiducia e insieme di malinconia?
Al riguardo circolarono gial tempo varie dicerie. Durante un
banchetto in onore di Bartholdi, un senatore francese raccontper
esempio il seguente aneddoto: "Una sera" disse "sono entrato nel palco
di Bartholdi all'opera e ho visto, seduta in un angolo, una donna di
una certa et D'improvviso il suo volto stato rischiarato da un
lampo di luce ed io ho sussurrato all'artista: "Ma quella signora la
tua modella per la statua". "S rispose Bartholdi "mia madre".
Secondo un'altra leggenda, il corpo se non il volto della statua
sarebbe quello della giovane alsaziana Jeanne-Emilie Baheux che
Bartholdi incontrnegli Stati Uniti e che doveva in seguito diventare
sua moglie.
Lo scultore, pivolte interrogato a riguardo, non ha mai dato una
risposta completa mantenendo, giustamente, un certo mistero. Tanto
meno ha risposto all'altra leggenda secondo la quale la modella altro
non fu che una ragazza presa direttamente dal marciapiede a Pigalle.
Leggenda d'altro canto analoga a quella che circonda alcune delle attraenti donne nude che lo scultore Rutelli prese a modello per la fontana delle
Najadi a Roma.
Non ha molta importanza chi sia stata la vera modella, ammesso che
quei tratti corrispondano al volto di una donna realmente esistita.
L'idea magnifica, la sua realizzazione ammirevole, il simbolo che
cosstato creato uno dei piforti e resistenti arrivati fino a
noi.
La poetessa americana Emma Lazarus ha completato l'opera con alcuni
versi che suonano anch'essi nobilmente retorici come tutto il resto e
sono dunque perfetti:

"Keep, ancient lands, your storied pomp!" cries she
With silent lips. "Give me your tired, your poor,
Your huddled masses yearning to breathe free,
The wretched refuse of your teeming shore,
Send these, the homeless, tempest-tost to me,
I lift my lamp beside the golden door!"

"Tenetevi, antiche terre, i fasti della vostra storia" grida con
silenti labbra. "Datemi coloro che sono esausti, poveri, le folle
accalcate che bramano di respirare libere, i miseri rifiuti delle
vostre coste brulicanti; mandatemi chi non ha casa, chi squassato
dalle tempeste, io innalzo la mia fiaccola accanto alla porta d'oro!".


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II - New York: istruzioni per l'uso

Ora che siamo a New York e abbiamo visto nascere il suo simbolo,
possiamo cominciare a entrare nella citt guardarla vivere sotto i
nostri occhi o gli occhi di chi ci ha preceduto. Quelli incantati di
Francis Scott Fitzgerald, per esempio: "La luce del sole scintilla
attraverso le travature del grande ponte, debolmente riflessa dalle
auto in movimento, la citts'innalza al di ldel fiume in bianchi
ammassi e pani di zucchero, evocata come da un desiderio grazie al
denaro che non ha odore New York osservata dal ponte di Queensboro
rimarrin eterno la cittvista per la prima volta, con la sua
iniziale selvaggia promessa di tutto il mistero e di tutta la bellezza
del mondo".
Come Fitzgerald tanti, praticamente tutti, ne hanno scritto, perch New York la cittdov'nata la vita moderna, intendo dire il luogo
in cui la vita moderna ha assunto, anche se nata altrove, un suo
stile, una cifra riconoscibile che le ha consentito d'imporsi ovunque
come paradigma della modernit
Tanti, in pratica tutti, hanno scritto di New York, affascinati o
respinti. Henry James, che amava l'Europa ma a New York visse a lungo:
"New York spaventosa, fantasticamente priva di eleganza,
confusamente orrenda". Il grande architetto Le Corbusier: "Cento volte
ho pensato che New York una catastrofe e cinquanta volte che una
bellissima catastrofe". L'etologo Desmons Morris. "La cittnon una
giungla d'asfalto, come stato detto; uno zoo umano". Walt Whitman,
di cui parleremo, che la definisce con il suo debordante entusiasmo:
"Il posto migliore del continente occidentale, il cuore, il cervello,
il centro, la sorgente principale, il pinnacolo, l'estremit il non
plus ultra del Nuovo Mondo".
Si potrebbe continuare ovviamente e arriveremmo a canticchiare i
versetti della celebre canzone: "New York New York, what a beautiful
town, the Bronx is up and the Battery is down!". Ma questa cittha
anche suscitato entusiasmi piargomentati. Per esempio il giudizio
dato da John Steinbeck nel 1953: "New York una cittbrutta e
sporca. Il suo clima insopportabile, la sua politica serve solo a
mettere paura ai bambini, il suo traffico pazzesco, i ritmi
competitivi micidiali. Bisogna perdire una cosa: quando si vissuti
a New York per un certo periodo e la cittdiventata un po' casa
vostra, non si trova piun posto che sembri altrettanto bello. Qui
c'tutto, gente, teatro, letteratura, editoria, import, affari,
omicidi, aggressioni, ricchezza e povert Tutto di tutto. La citt instancabile e la sua aria carica d'energia. Non mi capita mai
altrove di lavorare cosa lungo e con tanto impegno senza provare
fatica".

Si tanto parlato, visto e scritto di New York, che altro si potr mai dire che non sia gistato detto? Il tentativo non di dire cose
nuove, ma di mettere la cittin una possibile prospettiva
raccontandone alcune storie. Dare insomma a New York non un connotato
inedito, ma un certo spessore di fatti che arricchisca i connotati
esistenti e noti. Per farlo bisogna restituirgli un po' di quel
passato che la cittstessa si getta continuamente alle spalle, nella
sua ansia di vivere faustianamente un eterno presente. Ginel 1909
John Jay Chapman scriveva: "Il presente a New York cospoderoso che
il passato si perde". Per decenni la cittstata demolita e
ricostruita con furia, interi quartieri sono decaduti o, al contrario,
sono risorti, intere zone hanno mutato fisionomia e abitanti, gli
stessi edifici sacri quando non sono stati abbattuti hanno cambiato
genere di culto e fedeli, trasformandosi da sinagoghe in chiese
cristiane, da chiese cristiane in moschee. Questa frenesia ha tolto di
mezzo non solo gli spazi architettonici, ma la stessa memoria che a
quegli spazi era legata, poichle cittvivono anche del nesso tra
gli ambienti, gli edifici, gli arredi e l'immaterialitdi tutto ci che vi palpita intorno.
Scrivendo di New York Umberto Eco una volta ha sottolineato questa
straordinaria capacittrasformistica: "New York sporca,
disordinata, non puoi mai fidarti che ci sia ancora il ristorante che
ti piaciuto la settimana prima, perchnel frattempo hanno distrutto
l'intero fabbricato, o il blocco, ti possono accoltellare
all'improvviso (ma non a ogni angolo, il bello di vivere a New York che conosci persino le strade dove difficile che ti accoltellino).
Il cielo puessere di un azzurrino inebriante, il vento eccitante,
i grattacieli talora sfolgorano luminosi e sublimi come il Partenone,
e qualsiasi cosa ci mettono in mezzo diventa bella".
Solo una cittcome questa potrebbe reggere l'orrore di tanti suoi
quartieri, un disordine urbanistico senza uguali, il perenne subbuglio
dei suoi lavori senza esserne schiantata, anzi traendone un surplus di
sorpresa e di fascino che fa diventare bella quasi "qualsiasi cosa ci
mettiamo in mezzo". Perfino le sue orribili pubblicitsgargianti
possono suscitare questo effetto. Lo scrittore francese Albert Camus,
quando vide per la prima volta Times Square nel 1946, subito dopo la
guerra, scrisse: "Sono appena emerso da cinque anni di notte e
quest'orgia di luci violente mi dper la prima volta l'impressione di
un nuovo continente. Un immenso manifesto delle Camel alto sedici
metri. Un soldato con la bocca spalancata dalla quale escono sbuffi di
fumo vero. Una tale immensitdi cattivo gusto sembrerebbe
inconcepibile".
L'idea esattamente questa: New York forse la sola cittal mondo
capace di ricavare motivi di attrazione perfino dalle sue molte e
grandi brutture, da un disordine che trova l'eguale (in un contesto
sicuramente diverso) solo in alcune concentrazioni urbane del terzo
mondo. Piche una caratteristica potremmo definire questa sua
capacitun autentico miracolo, anche se si tratta di un miracolo
spiegabile. La veritche anche le zone pidegradate di Manhattan,
certi angoli di Harlem o di Chinatown per esempio, riverberano parte
dell'opulenza, dell'ardimento, della bellezza irradiati dai grandi
edifici del centro citt Quelle parti dunque vivono (e vengono
fruite) non in se stesse, ma come parte di un tutto che le sovrasta e
le integra.
Gran parte della "banlieue" parigina, quasi tutta la periferia
romana sono orribili, ma al contrario di quanto accade a New York
restano orribili anche se il centro di Roma o di Parigi sono molto pi belli, in termini di estetica tradizionale, del centro di New York.
Perchla capacitd'assimilazione irradiata dal centro di questi casi
funziona meno? Forse dipende dal fatto che la storia di cui sono
pieni i centri storici delle citteuropee, la loro prima ricchezza,
ha una capacitd'attrazione pidebole. Roma si presenta carica di
storia ma tutti sanno che il suo presente opaco, New York sfoggia
invece un potere reale come la sua potenza finanziaria, la sua immensa
capacitd'intrapresa, il suo dinamismo.

E' possibile perche esistano anche altre spiegazioni. New York la cittpiraccontata sia dalla letteratura che dal cinema
americani, due media che nei nostri anni sono i pipotenti e diffusi,
due strumenti sui quali si costruisce il senso comune del mondo. Tutti
hanno visto New York anche senza averci mai messo piede, abbiamo tutti
guardato e chiuso nella memoria tali e tante immagini che per poterla
davvero "vedere" sarebbe necessario, piche per qualunque altra
citt spogliarla dell'usura, dimenticare i romanzi e i film visti, le
loro pagine e le loro immagini, i personaggi e gli scenari ricorrenti,
i tic. Con Charlot, Woody Allen, Martin Scorsese, Al Pacino, De Niro e
gli altri la cittha avuto dei veri e propri cantori visivi di tale
forza da imporre quei tratti all'immaginario dei nostri giorni.
Nessun europeo mai veramente sorpreso da ciche vede arrivando
perchha giletto o visto tutto anche senza essersi mai mosso da
casa. L'europeo medio conosce il profilo della citt sa che sui tetti
delle case pivecchie ci sono delle strane cisterne di legno molto
fotogeniche, sa che d'inverno di levano dai tombini sbuffi di vapore
con un effetto molto cinematografico e infatti molto filmato, conosce
gli usi e i costumi di New York, ha partecipato ai suoi cocktail, ha
visto inaugurare mostre, gente morire assassinata per strada, anziani
derelitti languire nel caldo delle sue estati soffocanti, giovani
giocare a "frisbee" sui praticelli rognosi di Washington Square,
ubriachi persi smaltire l'eterna sbornia in un rigagnolo, belle signore
eleganti e uomini molto ricchi entrare nei grandi alberghi attraverso
porte scintillanti, ha conosciuto puttane aggressive come malviventi e
altre generose come sorelle, sa come risponde e quali paure cova un
autista di taxi, sa che in certi momenti non prudente girare per
Harlem e che di notte il Cantral Park va evitato perchpotrebbe
trasformarsi in un incubo. L'europeo sa che c'una New York dove
le forme non esistono e tutto consentito fino a quando non diventa
un reato. Ma sa anche che esiste una New York dove le forme sono
obbligatorie e inderogabili. Insomma New York pupermettersi molte
cose perchla maggior parte di ciche nel bene e nel male, gi stato visto e assimilato e ogni stupore s'sciolto da tempo nella
consuetudine.

E' anche possibile che la capacitd'attrazione di New York nasca da
altri motivi, tra i quali l'estensione dei suoi contrasti, il suo
pluralismo non di rado estremo. Il grande scrittore Theodore Dreiser
(premio Nobel nel 1925, autore di "Una tragedia americana") ne
sottolineava l'ampiezza scrivendo: "La cosa che sempre mi colpisce a
New York l'acuto e immenso contrasto visibile tra i semplici e gli
astuti, i deboli e i forti, i ricchi e i poveri, i colti e gli
ignoranti ... i forti e i dominatori sempre cosforti e i deboli che
sono cosdeboli e cosnumerosi".
Fatta di molte etnie, piena di italiani, di ebrei, di
latinoamericani, di cinesi, di neri, di anglosassoni, e ora anche di
russi di nuova immigrazione, New York ha una fisionomia composita dove
nessuno riesce veramente a imporre il suo tratto distintivo. Non
accade in nessun'altra citt non accade in questa misura in nessun
altro luogo negli Stati Uniti, nemmeno in California.
Quale diventa, in queste condizioni, il carattere complessivo della
citt Questa forse la domanda piimportante.
Multiculturale, multietnica, multicolore, New York rispecchia nel
modo pivivace il progetto di un paese grande come un continente,
diviso in cinquanta Stati dotati di leggi diverse, polizie diverse,
usi diversi eppure legati tra di loro da un vincolo federale e
d'identitche incarna l'idea settecentesca di Nazione.
La cittdi New York condensa in stutto questo: diversit
contrasti, lingue diverse, religioni diverse, estremi di poverte di
ricchezza, in una parola un condensato dell'America anche se -
paradosso - nella sua gran parte il resto dell'America assomiglia
pochissimo a New York.

Una delle garanzie fondamentali della Repubblica la libertdi
coscienza e di religione. Quando James Madison (che ha dato il nome al
Madison Square Garden e a Madison Avenue) cominciad architettare la
costituzione del 1787, uno dei principi ai quali si attenne che
nessuna religione doveva acquisire carattere di ufficialit A suo
giudizio la religione non autentica se non esprime una scelta
volontaria, basata su "un atto di ragione e convinzione". Secondo
questa concezione la libertreligiosa a tal punto un "diritto
naturale e inalienabile degli individui" da includere anche la libert di non credere. Madison apprezzava Voltaire e lo spirito
dell'Illuminismo francese, era anch'egli convinto che quando una fede
o una setta religiosa acquisiscono una posizione ufficiale vengono
subito tentate di prevalere sulle altre e a quel punto la libert religiosa, compresa la libertdi credere o di non credere, in
pericolo.
Quando Thomas Jefferson (estensore della Dichiarazione
d'Indipendenza del 1776) viene eletto presidente, nel 1800, conferma
la stessa linea, dando la prima interpretazione laica del "Bill of
Rights": "Il Congresso non emaneralcuna legge che riguardi
l'istituzione di una religione o ne impedisca il libero esercizio",
principio base sul quale stato eretto fin dall'origine il muro che
separa la Chiesa dallo Stato. E' sulla base di questo principio, per
esempio, che la Corte suprema pivolte intervenuta per negare la
concessione di aiuti pubblici alle scuole confessionali. Non si
sbaglia affermando che il principio della libertindividuale negli
Stati Uniti ha inizio e si fonda sull'agnosticismo dello Stato, su una
libertreligiosa che lascia ciascuno arbitro della propria coscienza
e che tra l'altro ha consentito al laicismo americano di non diventare
mai anticlericale, al contrario di quanto accaduto in Europa,
particolarmente in Italia e Francia.
Un breve brano del poeta e filosofo ottocentesco Ralph Waldo Emerson
introduce un altro concetto: "All'epoca dell'incendio di Corinto, la
fusione e la mescolanza dell'oro, dell'argento e di altri metalli
produssero una nuova lega ancora pipreziosa, il bronzo di Corinto.
Succede oggi la stessa cosa su questo continente, asilo di tutte le
nazioni: l'energia degli irlandesi, dei tedeschi, degli svedesi, dei
polacchi e dei cosacchi e di tutte le tribd'Europa, coscome degli
africani e dei polinesiani, produrruna nuova razza, una nuova
religione, un nuovo Stato, una nuova letteratura che saranno robusti
come quelli dell'Europa nascente uscita dal crogiolo del Medioevo".
La parola chiave la terzultima: "crogiolo". L'idea del crogiolo
(melting pot) si fatta strada lentamente, si consolidata quando il
paese stato popolato da milioni di persone in arrivo da tutto il
mondo, si affermata con il successo popolare della celebre commedia
di Israel Znagwill che s'intitola per l'appunto "Il crogiolo".
Zangwill era uno scrittore inglese d'origine ebraica poi
trasferitosi negli Stati Uniti, amico del fondatore del sionismo
Theodor Herzl ed egli stesso protagonista del Congresso sionista di
Basilea del 1905. Nel 1908 la sua commedia va in scena a Washington
D.C., alla presenza del presidente T. Roosevelt, con uno strepitoso
successo. Che cosa racconta? La storia dell'amore dell'ebreo David
sopravvissuto al pogrom di Kisinev, musicista molto dotato che sta
componendo una "Sinfonia americana". Un giorno nella sua modesta casa
di New York incontra la bella Vera Revendal, una slava di religione
ortodossa. I due si piacciono, ma David ignora che Vera niente meno
che la figlia del Barone nero, il boia di Kisinev. Il dramma tocca il
suo culmine quando una sera David incontra casualmente il padre di
Vera e riconosce in lui l'uomo che ha guidato la caccia agli ebrei.
Capisce che Vera sua figlia e si vede separato da lei "da un fiume
di sangue". Ma le cose cambiano. La sua Sinfonia viene eseguita
trionfalmente, consacrandolo come musicista, Vera rinnega il suo
sanguinario genitore, David apprende che "i peccati dei padri non
ricadono sulla testa dei figli", i due giovani s'abbracciano mentre il
sole al tramonto inonda di luce rosata la baia di New York e la statua
della Libert
"In questo porto" esclama David estatico "sbarca da milioni di grandi
navi un carico umano di celti e di latini, di slavi e di teutoni, di
greci, di siriani, di neri e di gialli ... cosil grande Alchimista
fonde Oriente e Occidente, Nord e Sud, la palma e il pino, il polo e
l'equatore, la mezzaluna e la croce nella sua fiamma purificatrice".
Il crogiolo, appunto.
La commedia andin scena per pidi due anni a New York e piacque
moltissimo al pubblico, anche se la reazione di molti critici fu
piuttosto fredda davanti a quello che venne definito "uno sproloquio
romantico". A noi interessa per pidell'esito teatrale, il
significato politico dell'opera di Zangwill, ciche la commedia poteva
significare per gli emigranti che continuavano ad arrivare a centinaia
al giorno in quella baia di New York sulla quale il testo si chiude.

La veritche l'idea del "melting pot" non ha funzionato in
concreto come Zangwill aveva immaginato. L'assimilazione si trasformata troppo presto in conformismo imposto brutalmente a tutti
gli altri da coloro che ritenevano di incarnare il vero spirito
americano, vale a dire i bianchi anglosassoni protestanti (acronimo:
wasp). L'immigrato da accogliere e da aiutare diventa colui che impara
rapidamente l'inglese studiando nelle ore dopo il lavoro, che non ha
grilli per la testa, tanto meno quello di scioperare, che detesta i
"rossi", disposto a lavorare tutte le ore che la produzione richiede
senza troppo pretendere, grato solo che sacrifici e rinunce gli
consentano di diventare "a real American", un vero americano.
Nel 1909 il professor Ellwood Cubberley, docente di scienza
dell'educazione a Stanford, stabilisce che assimilazione vuol dire:
"Impiantare nei bambini immigrati le concezioni anglosassoni della
rettitudine, della legge, dell'ordine e della democrazia" allo scopo
di permettere la loro "fusione nella razza americana". La motivazione
di questi rigidi precetti sta nella spaventosa prospettiva di dover
immettere nel paese "trentacinque razze diverse che parlano
cinquantaquattro lingue e comprendono tredici milioni di individui
nati all'estero", compito effettivamente arduo.
A livello degli individui, questo concetto che in certo modo il
motto federale "E pluribus unum" rispecchia entrato in crisi negli
ultimi anni, quando all'idea del crogiolo s'sostituita quella
dell'insalatiera (salad bowl). Un'insalatiera contiene un'insalata
mista nella quale ogni singolo pezzo nello stesso tempo amalgamato e
distinto. Un'idea pirealistica. Nonostante ogni migliore intenzione
una vera uguaglianza politica e civile non ha mai preso piede negli
Stati Uniti, anche se non bisogna confondere il pluralismo con la
discriminazione razziale. La discriminazione etnica a volte dichiarata
e violenta fino all'assassinio, altre volte non detta e come
sottintesa, sempre stata presente nella societamericana sia
metropolitana che rurale. Anche di recente s'visto che i giovani
americani sono in maggioranza favorevoli al mantenimento di
distinzioni razziali, salve peropportunitdi partenza uguali per
tutti.
Di questa discriminazione hanno fatto le spese soprattutto gli
indiani, ciogli abitanti originari del luogo, i negri, gli italiani
e gli ebrei. E New York anche da questo punto di vista s'confermata
la vera capitale del paese, il luogo in cui le due tendenze
contrastanti, quella che sostiene l'assimilazione e quella che invece
rivendica il pluralismo, da sempre si mescolano e si scontrano.
Il "salad bowl" dunque la metafora piadatta a descrivere New
York e l'America moderna delle molte lingue, delle molte cucine, dei
molti costumi, patria insomma di un'estesa e contraddittoria libert
Sempre pispesso neri, cinesi, russi, ispanici, indiani e altre
minoranze etnico-linguistiche hanno affermato nella pratica il loro
diritto di parlare, educare i figli, vestire, mangiare, muoversi
secondo gli standard nativi e non secondo un astratto canone "wasp"
come tutti: l'America come paese della diversit il cui obiettivo
dunque non pil'assimilazione bensla convivenza e il pluralismo.
Tutto questo particolarmente visibile a New York che una
cittmosaico, un "patchwork", un puzzle fatto di mille tesserine
colorate, messe una accanto all'altra con un'idea d'insieme ma anche
con una residua fisionomia propria molto forte.
Una volta il pensatore francese Jean Baudrillard si posto questo
tema. "Perchla gente vive a New York? Le persone
qui non hanno alcun rapporto tra loro. Ma un'elettricitinterna che
scaturisce dalla loro pura promiscuit Una sensazione magica di
continuite d'attrazione per una centralitartificiale. Ed questo
che la rende un universo autoattrattivo dal quale non vi alcuna
ragione di uscire. Non vi alcuna ragione umana per essere qui, ma
solo l'estasi della promiscuit.

Tra i tanti possibili esempi si promiscuit ovvero di contiguit dei contrasti, ne ho scelto uno per dir costopografico. Si trova
all'incrocio tra Park Avenue e la Novantanovesima Strada. Park Avenue
una delle vie pieleganti della citt anche se deriva la
definizione alquanto pomposa di "park" solo dalla presenza di alcune
aiuole. Strada elegante, ricca, che salendo verso nord mantiene le sue
caratteristiche, conserva i bei condomini d'epoca con i portieri
gallonati che presidiano ventiquattr'ore al giorno gli ingressi, le
moquette folte negli androni, ascensori veloci e silenziosi, ottoni
tirati a specchio. Di colpo tutto questo sparisce. All'altezza della
Novantanovesima Strada la linea ferroviaria che partendo dal Grand
Central Terminal punta verso nord finisce di essere sotterranea e
diventa sopraelevata. I fasci di binari sbucano all'improvviso da
sotto un cavalcavia e il paesaggio urbano muta radicalmente. Fino a
dieci metri prima bei palazzi solidi, dieci metri dopo casupole
fatiscenti; di lstrada netta e fiori, di qua rifiuti negli angoli e
pezzi di carta sollevati dal vento. E' difficile vedere al mondo la
diversitsociale tagliata nel vivo con altrettanta brutalit un
confine inesistente che abbia una tale nettezza.
Quel cavalcavia il punto in cui ha inizio East Harlem, un
quartiere passato di mano in mano nel corso degli anni tra diverse
minoranze etniche; oggi vi predominano i "latinos", gente arrivata dai
Caraibi che non ha mai nemmeno cominciato a cercare di parlare
inglese. La Centosedicesima Strada Est stata ribattezzata Luis
Mu寸z Mar》 Boulevard, dal nome di un governatore di Portorico degli
anni Quaranta. Poco meno di un secolo fa il quartiere era abitato in
prevalenza da ebrei, e in questa via c'era una bella sinagoga. Oggi diventata una chiesa protestante e si chiama Baptist Church, edificio
curioso rimasto per metchiesa cristiana per metsinagoga. Henry
Roth nel suo capolavoro "Chiamalo sonno" ha raccontato di quando
questa parte di Harlem era una zona a prevalenza ebraica e ha
descritto il trasferimento della sua famiglia dal Lower East Side a
queste strade.
Oggi tutto diverso. In quello che viene considerato il corso di
East Harlem, la Centoquindicesima Strada, ci sono i giardinetti e gli
orticelli ricavati in otto, dieci metri quadrati di povera terra, le
"casitas" e gli odori dei Caraibi, in sottofondo la musica afrocubana
che esce distorta e metallica da apparecchi radio ad alta infedelt
ci sono i vecchi che parlano, bevono e fumano molto, alla fine della
strada si arriva a La Marqueta, un mercato incastrato sotto la
ferrovia sopraelevata, voluto dal sindaco Giuliani per regolare in
qualche modo il disordine dei venditori ambulanti e per recuperare
evasione fiscale. L'idea non ha avuto fortuna, nelle ore centrali di
un sabato pomeriggio La Marqueta era praticamente vuota, in compenso
erano affollate certe bancarelle sui marciapiedi tutt'intorno.
L'esempio rende con efficacia l'idea dell'insalatiera, dice perchil
concetto di assimilazione cosforte all'inizio del XX secolo stato
via via abbandonato: semplicemente non era pirealistico continuare a
sostenerlo. Il quartiere ha anche un suo pittore murale per
eccellenza, si chiama James de la Vega, c'un suo grande murale
all'angolo tra Lexinton Avenue e la Centoquattresima Strada e tre
isolati pisotto, all'angolo con la Centunesima, un ritratto molto
vivo, molto colorato, di Emiliano Zapata. L'insalatiera, appunto.

Se facciamo un grande salto fin quasi all'estremitopposta di
Manhattan, il concetto di "salad bowl" viene a completarsi. Dalla
musica e dagli odori caraibici di East Harlem si passa ad altra musica
e soprattutto ad altri odori, quelli di Chinatown. Un vero pezzo di
Shangai si apre nel dedalo di stradine tra Mott e Pell Street e poi
appena piin l all'incrocio tra East Broadway e Market Street,
sotto le possenti travature d'acciaio del Manhattan Bridge. Qui
nessuno si sforza di parlare inglese o di esporre un'insegna in inglese
sulla vetrina del suo negozietto. Si puvivere per decenni a New York
come se si fosse rimasti alla periferia di Pechino. Anche a Chinatown sono
visibili le trasformazioni portate dal passaggio delle varie etnie.
Una parte del quartiere era italiano, molti anni fa; poi gli italiani in
gran parte se ne sono andati e i cinesi hanno occupato tutto ciche
restava vuoto e che loro stessi contribuivano a far svuotare. La vera
Little Italy oggi si trova a Brooklyn, nella zona di Bensonhurst. Qui,
a Chinatown, in uno slargo che si chiama Frank Damico Square, la
municipalitha messo qualche aiola e una mezza dozzina di panchine.
In una tiepida mattinata di sole autunnale era come se tutti i vecchi
cinesi del quartiere vi si fossero dati convegno, come se
considerassero la Frank Damico Square una loro casa di riposo
all'aperto.

Un altro esempio possibile rappresentato da un angolo della citt dove assai di rado i visitatori (e gli stessi newyorkesi) arrivano. Si
trova ldove il grande rettangolo del Central Park ha il suo vertice
nord-orientale, all'incrocio tra la Quinta Avenue e la Centodecima
Strada. Ufficialmente si chiama Frawley Circle, in realtl'angolo
dedicato a Duke Ellington, dominato com'dalla brutta statua del
grande musicista, una delle pibrutte mai viste. A pochi metri di
distanza in direzione sud, al 1274 della Quinta Avenue, c'la casa
dove abitava Fiorello La Guardia quando venne eletto sindaco, prima di
spostarsi nella residenza ufficiale di Gracie Mansion. Pochi isolati
pia nord, all'angolo tra Lexinton Avenue e la Centosedicesima
Strada, c'quello che La Guardia chiamava il suo "lucky corner", il
luogo dove andava a fare il comizio di chiusura prima di ogni elezione
e dove anche John Kennedy voluto andare quando ha fatto campagna per
le presidenziali.
Si sale di qualche isolato verso nord lungo la Quinta Avenue,
ridotta qui a povera cosa, e all'altezza della Centoventesima Strada
si arriva in un parco che non avrebbe a prima vista niente di
straordinario, se non fosse per due circostanze che bisogna conoscere.
La prima, materiale, che il terreno forma in quel punto una specie
di collinetta. Il modesto rilievo, che ha il nome enfatico di Mount Morris,
stato attrezzato a giardino. Salendo lungo i suoi vialetti a spirale si
giunge in cima dove si trova una costruzione ottagona di metallo, coronata
da una bella campana. E' una torre di avvistamento incendi (risale al
1856), l'unica rimasta della vecchia New York.
La seconda circostanza pitoccante. Il romanzo di Henry Roth "A
Star Shines Over Mt. Morris Park", in italiano "Una stella sulla collina del
parco di Monte Morris", racconta l'avventura di una ragazzo ebreo che
si chiama Ira Stigman. E' una storia molto bella, soffusa di
malinconia e anche di forza. Il giovane Ira stato strappato a un
alloggio popolare di Lower East Side e trasferito in una Harlem ancora
piena di gentili. Avrmolte spiacevoli avventure che hanno luogo
esattamente qui intorno, imparera diventare un uomo. Il romanzo di
Roth comincia cos

Era agosto; i due strilloni irruppero nella Centoquindicesima Strada
urlando i titoli in yiddish, dissonanti, incomprensibili. Ognuno dei
venditori portava una prodigiosa fisarmonica di giornali yiddish
appesa a una cinghia di cuoio a tracolla. "Wuxtra! Wuxtra!" Entrambi
berciavano: "Malkhumah!"

Voleva dire guerra, infatti era l'agosto del 1914 e in Europa era
appena cominciato il grande macello.

L'uomo che attualmente meglio incarna l'aggressivitdel denaro e
che ha impresso su New York la sua impronta probabilmente il
miliardario Donald J. Trump, definito "un misto di spacconate,
maschilismo, luoghi comuni e sogni banali". Ricco sfondato o sull'orlo
della bancarotta, alternativamente, Trump uno di quei magnati che
sembrano tolti da un film sui lati grotteschi del capitalismo: con i
suoi collaboratori a volte paterno, altre brutale fino all'insulto;
con le donne arrogante, uno di quelli che dicono frasi del tipo: mi
piaci, vieni su da me.
La storia di Woody Allen che difende lo "skyline" della citte
tutti i miliardari, Trump in testa, che continuano ad alterarlo con
sempre nuove costruzioni ricorda molto da vicino quella di David e
Golia. Qui peril finale sardiverso nel senso che non vincercerto
Woody, attempato pastorello, ma il forte e gigantesco cartello dei
miliardari. Vincerla forza delle "corporations" con i loro astuti
consiglieri d'amministrazione, chini sull'andamento del bilancio,
ciechi sul resto.
Ci sono vari edifici a New York che ostentano il nome di Trump in
lettere dorate. Solo nella zona intorno a Central Park South
(Cinquantanovesima Strada) se ne possono vedere tre, mentre un quarto,
altissimo, di novanta piani, in costruzione qualche isolato pia
sud, sulle rive dell'East River. Il pioccidentale affaccia su
Columbus Circle, un secondo lo fronteggia sul lato opposto, all'angolo
tra la Quinta Avenue e la Cinquantanovesima Strada. Bisogna credere
fino a un certo punto alle vistose targhe d'ottone lucido con il nome
"Trump" all'ingresso. Questo geniale manipolatore di denari e di
opinioni dtalvolta il suo nome a edifici dei quali possiede solo una
parte, perchi suoi soci confidano nelle sue doti di genio
dell'autopromozione.
La vera Trump Tower pochi isolati pia sud, sul lato est della
Quinta Avenue, tra la Cinquantaseiesima e la Cinquantasettesima Strada
(indirizzo ufficiale: 721 Fifth Avenue). E' un edificio bellissimo, di
cristallo nero, con terrazze digradanti da ognuna delle quali sporge
la chioma di un albero. Ci sono del resto alberi anche nella hall
interna, un immenso spazio vuoto rivestito di marmo rosa, di
un'altezza equivalente a sei piani, completato da una cascata d'acqua
e da una galleria di negozi di gran lusso, alcuni dei quali italiani.
In uno degli appartamenti sovrastanti abita Sophia Loren quando viene
a New York. Lui, Donald Trump, ha ricavato il suo alloggio negli
ultimi tre piani della torre pialta. Mobilio europeo e di gran
design contemporaneo, ascensore privato per spostarsi da un piano
all'altro, ventisette colonne di marmo lavorate a mano sui due lati
della galleria. Il sogno milionario di un povero, o di un bambino,
diventano realt Bisogna visitare questo tempio del kitsch per
misurare quali eccessi di cattivo gusto putoccare l'ostentazione del
denaro disancorata da un modello: saloni lunghi venticinque metri,
soffitti alti cinque o sei, una cascata d'acqua di quattro metri
disposta contro uno sfondo di lucido onice (la sua pietra preferita).
Quest'uomo sicuramente lo speculatore immobiliare piin vista
della citt ma fino a che punto rappresentativo di New York? Donald
J. Trump incarna il particolare tipo d'imprenditore legato alla speculazione sugli immobili e sulle aree. In tutto il mondo si tratta di gente mai particolarmente raffinata che ha cominciato spesso dal basso e che per la
stessa natura del lavoro ha frequenti incontri e scambi (compresi quelli
d'interessi e di favori) con i politici locali. Ma Trump incarna anche
il miliardario moderno che ostenta tanto la sua ricchezza quanto la
sua ignoranza: orgoglioso della prima, indifferente sulla seconda.
Il lettore troverin questo libro la storia di un altro
miliardario, Henry Clay Frick, uno degli uomini che tra Otto e
Novecento hanno fondato il capitalismo americano, uno di quelli che
vennero definiti "robber barons", un uomo che a New York ha lasciato,
oltre alla memoria della sua spietatezza, anche una delle pibelle
collezioni d'arte. La sua storia misura tutta la distanza che separa
una vera canaglia da un autentico fanfarone, due caratteri identici
per certi aspetti, per altri antitetici.

Un altro possibile estremo lo incontriamo passando dalla magione
dorata di Donald J. Trump al numero 97 di Orchard Street, nel Lower
East Side. Qui in uno dei "tenements" (alloggi popolari) di fine
Ottocento stato allestito un piccolo museo. E' l'appartamento dove,
dal 1928 al 1935, vissuta una bambina che si chiamava Josephine
Baldizzi Esposito. Quando gli Esposito, originari di Palermo, nel 1935
vennero sfrattati, Josephine aveva solo nove anni ma la sua
testimonianza servita a far risistemare il povero alloggio com'era
ai suoi tempi, il museo nato dalla sua memoria.
In "Ragtime", uno dei suoi libri pibelli, E.L. Doctorow racconta
quale fosse nella durezza di New York la condizione degli immigrati:

Andavano per le strade e in un modo o nell'altro venivano assorbiti
negli alloggi popolari. Erano disprezzati dai newyorkesi. Erano
sporchi e analfabeti. Puzzavano d'aglio e di pesce. Avevano piaghe
purulente. Non avevano un'oncia di dignite lavoravano per nulla.
Rubavano. Bevevano. Stupravano le loro figlie. Si ammazzavano tra loro
come se nulla fosse. Tra coloro che li disprezzavano di pic'erano
gli irlandesi di seconda generazione, i cui padri erano stati
colpevoli degli stessi crimini. I ragazzi irlandesi tiravano la barba
ai vecchi ebrei e li buttavano a terra, rovesciavano i carretti dei
venditori ambulanti italiani. In ogni stagione dell'anno per le strade
passavano dei furgoni a raccogliere i corpi dei derelitti. Nel cuore della
notte vecchie donne in pantofole andavano alla morgue a cercare i corpi dei
loro mariti o figli.

A Josephine Baldizzi Esposito, che poco prima di morire, nel 1998,
ha fatto da consulente per riarredare il suo appartamento di bambina,
tutto sommato andata bene.
I casi estremi di un attico completo di cascata privata e di un
alloggio miserabile sono comuni a ogni grande cittdel mondo.
Esistono ovunque le case dei molto ricchi e quelle dei molto poveri.
Forse persolo a New York accade che entrambe vengano trasformate in
luoghi da mostrare ai visitatori.

Solo dopo aver spogliato New York del suo invadente clichsi pu cominciare a vedere ciche abbiamo sotto gli occhi, riconsegnando un
edificio, un angolo, un arco, una torre, un ponte, un minuscolo parco
alle uniche coordinate alle quali appartengono e cioalla loro
propria storia e alle ragioni per le quali sono stati concepiti in
quel modo e in quel luogo. A New York questa ricerca pidifficile
che altrove, perchciche resta del passato sempre troppo poco. Le
citteuropee, quando non sono state distrutte da qualche guerra,
hanno fatto della conservazione del loro centro storico un punto
d'onore. New York al contrario s'fatta un punto d'onore della
distruzione e riedificazione continua di ciche il passato aveva
lasciato. Il solo criterio stato quello della convenienza economica,
il solo strumento la forza del denaro. Forse solo ora la citt comincia ad avere un certo senso della propria conservazione urbana.
Ancora vent'anni fa ci volle tutto il prestigio e la perseveranza di
Jacqueline Kennedy perchil Grand Central Terminal non venisse
abbattuto. Il disastro venne evitato e anzi l'opera stata
sapientemente restaurata, tanto che oggi la vecchia e gloriosa
stazione ferroviaria appare per quall'autentica meraviglia che
Questo cambiamento di mentalitstato indubbiamente aiutato anche
dalla scoperta che la conservazione pudiventare, in certe
circostanze, un affare piconveniente della demolizione brutale.
Ma poichil nuovo processo appena agli inizi, se si vuole davvero
vedere e non solo "guardare" New York bisogna andare
a cercare ldove non sono ancora stati distrutti o cancellati i segni
della fatica e dell'usura, occorre ritrovare i luoghi dove il tempo
trascorso ha depositato le sue tracce e continua a battere, come a
Chinatown o a East Harlem. O luoghi ancora pilontani come Red Hook,
all'estremitmeridionale di Brooklyn, o certi angoli del Bronx o le
isole della baia ancora non investite dalla speculazione, luoghi dove
la tangibile evidenza del passato rappresenta in certo modo anche una
garanzia per il futuro e dove la cittconcede con maggior generosit una parte della sua storia. E' lche New York continua a far sentire
il sapore di com'stata un tempo mentre, per esempio, le torri di
cristallo tra la Quarantesima e la Cinquantesima Strada sulla Terza
Avenue, tutte ugualmente nere, gelidamente uniformi, non hanno alcun
tempo e rappresentano soltanto l'oggi: trent'anni fa non erano l tra
altri trent'anni saranno certamente scomparse.
Samuel Gilpin in un suo saggio sul "viaggiare pittoresco", apparso
alla fine del Settecento, sostiene che uno scenario o un luogo sono
pittoreschi, parlano cioalla nostra fantasia, quando non appaiono
raggelati nei canoni di un impeccabile classicismo. Suscitano analogie
e ricordi, accendono l'immaginazione i luoghi dove il tempo ha
impresso i segni della corrosione, ha creato effetti cangianti di luce
e d'ombra, alterato le forme. E' il tempo trascorso, sono i suoi
residui e i suoi guasti che consentono l'immedesimazione, mettono in
moto la memoria, fanno aguzzare lo sguardo, smuovono gli affetti.

Questo libro racconta alcune storie capaci di restituire a certe
parti della cittuno spessore e uno sfondo. Vi figurano personaggi,
luoghi, eventi; dovrebbero servire come antidoto nei confronti della
dannazione del viaggiatore moderno: lo scetticismo. Se si viaggia solo
con il corpo e non con la mente, non c'quasi luogo al mondo che
meriti il costo e i disagi d'uno spostamento. Privata dei fantasmi del
suo passato, nemmeno Roma significa alcunchal di ldella
materialitdi alcune rovine conservate pio meno bene. Quando la visita,
lo scrittore Herman Melville annota sul suo diario: "Il Tevere un fosso
giallo come lo zafferano. Tutto il paesaggio non vale nulla senza
le memorie. Dalla torre del Campidoglio San Pietro pare piccolo ... la
sua cupola meno impressionante di quella di Santa Sofia".
Che tutto il paesaggio non valesse nulla senza le memorie lo sapeva
anche Giacomo Leopardi che nello "Zibaldone", alla data del 30
novembre 1828, scrive: "All'uomo sensibile e immaginoso che viva, come
io sono vissuto gran tempo, sentendo di continuo e immaginando, il
mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrcogli occhi
una torre, una campagna; udrcogli orecchi un suono di campana; e nel
tempo stesso coll'immaginazione vedrun'altra torre, un'altra
campagna, udrun altro suono. In questo secondo genere di obietti sta
tutto il bello e il piacevole delle cose".
Ciche vediamo non vale nulla senza la fantasia e la memoria;
sempre meno vale in un mondo in cui le differenze apparenti tendono
costantemente a ridursi.
Massimo Brilli, uno dei nostri maggiori conoscitori di letteratura
da viaggio, ha scritto: "Visitare un luogo significa andare al di l delle apparenze, delle ovviet per ascoltare l'eco delle ricordanze
che vi si sono addensate leggendo quindi con i nostri occhi e con gli
sguardi lontani di chi ci ha preceduto".
La novitd'un viaggio ben poca cosa quando non viene rischiarata
da un progetto che, realizzandosi, gli dia forma e significato. Da
questo punto di vista il libro che state leggendo ha l'ambizione di
rappresentare un possibile inizio: agevolare la scoperta, tra le
pietre e i cristalli di Manhattan, di qualche occasione di stupore,
raccontare o ricordare storie che l'eterno presente della cittha
fatto svanire nel gorgo del suo passato.

Questo libro nasce anche da circostanze che non riguardano New York
ma l'autore, uno di quegli italiani che da bambini hanno visto la
guerra. A distanza di mezzo secolo e passa, ricordo con la nettezza
delle memorie traumatiche il giorno in cui gli americani sono entrati
a Roma. Stringevo la mano di mio padre nelle prime ore del pomeriggio,
appena fuori porta San Sebastiano, la pibella nella cerchia delle
mura, quella che sovrasta la via Appia antica. Da lstavano arrivando
i carri armati, preceduti dall'assordante sferragliare dei cingoli.
Noi eravamo giin vista del "Quo vadis?" quando di colpo ogni rumore
si spense, salvo il brontolio sordo dei motori. S'era radunata una
piccola folla divisa tra speranza e paura. I tedeschi, ritirandosi,
avevano fatto saltare un ponticello che scavalcava una marrana
rognosa. I carri armati s'erano fermati in colonna e stavano l
avvolti da nubi di fumo nero che ne smangiava i contorni.
Dal fondo della colonna, muovendosi a stento nell'antica strada
strettissima, avanzun carro-ponte, un cingolato che caricava sul
dorso come chele ripiegate due rotaie d'acciaio. Le sollev le fece
ruotare, le abbattsulla breve voragine. Pochi minuti e la colonna si
rimise in movimento, i carristi - per lo pineri - si sporgevano
dalle torrette lanciando con divertimento strane caramelle con un buco
in mezzo, strisce di una pasta gommosa che avremmo imparato a
masticare.
Minuti dettagli ingombrano la memoria e popolano i sogni, tendono
con gli anni a diventare lancinanti: le saldature rugose delle
corazze, una stella bianca un po' scrostata su una fiancata, il solco
profondo di un cingolo su una zolla, il sorriso di un carrista nero
contento di essere a Roma, vivo. La gente magra e misera come me che
applaudiva con le lacrime agli occhi.
La liberazione di Roma e dell'Europa dagli incubi del nazifascismo
ha alimentato per anni un'idea mitica dell'America e delle cittche
agli occhi del mondo la incarna, cioNew York. Avremmo scoperto molto
dopo che questa costruzione mitica aveva poco a che fare con la vera
New York, con la sua storia, il modo in cui s'era sviluppata o quello
in cui i suoi abitanti potevano viverci, e lentamente il quadro
sarebbe cambiato.

Quando lo letto "Pastorale americana", che probabilmente il
capolavoro di Philip Roth, ho ritrovato emozioni molto simili a
queste, viste percome dall'altra parte dello specchio. La fine della
guerra per chi quella guerra l'aveva vinta:

Gli americani governavano non soltanto se stessi, ma circa altri
duecento milioni di persone in Italia, Austria, Germania, Giappone. I
processi per i crimini di guerra ripulivano una volta per tutte la
terra dai suoi demoni. L'energia atomica era solo nostra ... Quelli
della mia classe cominciarono le scuole sei mesi dopo la resa incondizionata
dei giapponesi, nel pigrande momento di esaltazione collettiva della storia
americana. E l'ondata di energia fu contagiosa. Non c'era nulla di
inerte intorno a noi. Sacrifici e restrizioni erano finiti. La Crisi
era passata. Avevamo tolto il coperchio. Gli americani dovevano
ricominciare, in massa, tutti insieme.

Che cosa straordinaria, ho spesso pensato, che le reazioni descritte
da Roth possano in gran parte risultare vere sia per gli americani che
dopo quella vittoria hanno visto mutare il ruolo del loro paese nel
mondo, sia per gli italiani che dopo quella disfatta hanno cominciato
una nuova fase del loro faticoso, disordinato, vociferante cammino
collettivo.

Il libro che avete cominciato a leggere costruito come una specie
di viaggio di andata e ritorno tra l'Europa e l'America. Contiene
delle storie, alcune tra le migliaia di storie possibili che New York
offre a chi scruta nel suo passato. Miliardari e cortigiane, uomini di
genio e di coltello, poeti e marinai, luoghi da visitare, luoghi
maledetti, luoghi spariti che tenterdi far rivivere.
Nel capitolo precedente siamo arrivati a New York a bordo
dell'"Is鋨e" e in compagnia della statua della Libert alla fine
torneremo in Europa a bordo della U.S.S. "Intrepid", una portaerei
dell'ultima guerra mondiale attraccata alla banchina dell'Hudson, che
tra i picuriosi musei esistenti in citt
Quasi tutto puessere detto di New York con buone ragioni, perch qui accaduto di tutto. A New York l'Europa c' si sente, si vede,
senza l'Europa New York semplicemente non esisterebbe. Tuttavia anche
la presenza europea, quella fisica degli individui e quella
immateriale della cultura, su questa sponda dell'Atlantico s' trasformata, resta riconoscibile, vero, ma anche diventata
un'altra cosa. Ecco un altro elemento da tenere presente: le
contraddizioni di New York, la sua accattivante ambiguit il suo
fascino devono non poco alla sua natura cangiante e, in definitiva,
inafferrabile.


Pag. 43

III - L'artista, il milionario e la ballerina

C'nella memoria mitica di New York una storia che, pur risalendo ai
primi anni del secolo, rimasta fino a oggi insuperata nella sua
drammaticit Una storia tale che, se non fosse realmente accaduta,
sembrerebbe il frutto d'una fantasia ridondante, fatta com'di eventi
romanzeschi, trasgressioni sessuali, risvolti melodrammatici. Proprio
da questo viene la sua forza perchla finzione vive di stile e di
forma, mentre la vita tutto ignora e va dove capita. Una storia che
rappresenta anche un condensato di alcuni dei personaggi e dei luoghi
simbolici della citt i milionari, gli elegantoni della Quinta
Avenue, il mondo dei creativi e poi Broadway con i suoi spettacoli, le
mille luci, i balletti, le belle ragazze disponibili che mentre in
camerino si preparano ad andare in scena ricevono mazzi di rose con
dentro galanti biglietti d'invito o, pibrutalmente, di banca - in
qualche caso gioielli.
Nel 1955 ebbe un certo successo il film di Richard Fleischer
ispirato a quella vicenda. Si chiama in italiano "L'altalena di
velluto rosso", ma nell'originale americano il titolo piesplicito:
"The Girl in the Red Velvet Swing". I protagonisti maschili erano Ray
Milland e Farley Granger: il primo nel ruolo di Stanford White, ai
suoi tempi architetto celeberrimo, l'uomo di cui si disse che aveva
dato a New York la sua forma; Granger invece impersonava Harry K.
Thaw, milionario eccentrico, maniaco sessuale, quasi certamente pazzo.
Lei, la "girl" del titolo, era Joan Collins nella parte di Evelyn Nesbit, ballerina, cantante, attrice e tutto ciche, come vedremo, gli anni e le necessitla costringevano a diventare.
Un aspetto di questa storia prevale sugli altri. La vicenda di
Evelyn e dei suoi uomini, il tipo di rapporti che ebbe con loro, lo
stesso uso della sua bellezza sono fortemente caratterizzati
dall'erotismo e questo a New York piuttosto l'eccezione che la
regola. Al contrario di quanto accade per Parigi, l'erotismo non
rientra tra le caratteristiche prevalenti della citt New York certamente un luogo pieno di sesso, di situazioni, di stimoli legati
alla sessualit l'erotismo perun'altra cosa. La disponibilit
l'abbondanza delle occasioni non bastano a creare quell'atmosfera di
cui Parigi piena. L'erotismo vuole essere coltivato, indugia, ha i
suoi tempi, conosce perifrasi e reticenze, ne vive. A New York il
tempo non c' la reticenza considerata inopportuna e alla perifrasi
si preferisce il discorso diretto che dell'erotismo quasi sempre la
negazione. La storia di Evelyn Nesbit rappresenta dunque anche da
questo punto di vista un'eccezione: vale la pena di conoscerla.

Una quantitdi avvenimenti importanti segnano il 1901, anno
effettivo d'inizio del ventesimo secolo. A Londra muore la regina
Vittoria, a Milano si spegne Giuseppe Verdi, a Parigi un dandy
brasiliano, Alberto Santos-Dumont, sorvola in dirigibile la torre
Eiffel, riproponendo la legittima domanda se l'uomo riuscira
muoversi nell'aria come in terra. Guglielmo Marconi manda il primo
segnale via radio; negli Stati Uniti J.P. Morgan annuncia la nascita
della U.S. Steel Corporation, la pigrande societmai creata; il
presidente McKinley viene assassinato e il suo vice, il liberale
Theodore Roosevelt, ex governatore di New York, lo sostituisce alla
Casa Bianca.
Pimodestamente una ragazzina di nemmeno sedici anni, Evelyn
Nesbit, trova lavoro a Broadway. La sua scrittura prevede che saruna
delle "ballerine spagnole" nel musical "Floradora". Evelyn appena
arrivata da Pittsburgh, Pennsylvania, insieme a sua madre. E' nata il
giorno di Natale del 1884 ed rimasta presto orfana di padre. La sua
adolescenza stata durissima. Sua madre s'adoperata come sarta a
domicilio e come affittacamere fino a quando lei stessa non stata costretta
a sloggia re dal padrone dell'immobile. In quegli anni Pittsburgh sta
diventando una delle cittpiindustrializzate d'America, la citt dell'acciaio, gremita di "stranieri" immigrati dall'Europa. I bagliori
delle officine sono cosintensi e prolungati che il cielo notturno
appare rischiarato da un perenne crepuscolo, frastuono, fumi e polvere
invadono le strade e le case. Ancora bambina Evelyn pulisce le stanze,
rigoverna i piatti, cucina per gli ospiti della pensione, corre a
comprare cidi cui c'bisogno in casa. La decisione di trasferirsi a
New York viene presa in base alla considerazione elementare che peggio
di come va, non potrebbe comunque andare.

Evelyn bellissima, possiede una grazia naturale resa quasi
struggente dalle curve ancora acerbe e dal sorriso ambiguo, tra
seduzione femminile e capriccio, o broncio, infantile. Ha naso diritto
leggermente rivolto all'ins un bell'ovale del volto, ma la sua
ricchezza sono i capelli: folti, scuri con un riflesso ramato, una
massa fluida e compatta che scende lungo il dorso fin quasi alle
anche. Inizialmente sono i capelli, oltre al resto, la sua fortuna. Il
primo a notarla un vicino di casa, John Storm, ai suoi giorni
artista di una certa fama. Dopo di lui ne arrivano altri, di artisti.
Consapevole, anche troppo, della sua bellezza, Evelyn diventa una
modella professionista; nella pittura allegorica che allora era in
voga viene ritratta come un angelo per le vetrate di una chiesa
suburbana, scolpita per raffigurare una statua dell'innocenza che
finiral Metropolitan Museum o ancora, colta di profilo, con la massa
mobile e quasi viva dei capelli che scendono lungo l'orecchio per poi
tornare sul petto in forma di punto interrogativo con la didascalia:
"L'eterna domanda", vale a dire la questione mai risolta dell'Eterno
femminino.
L'artista che cosla ritrae, Charles Dana Gibson, anticipa
involontariamente il suo destino: Evelyn sarebbe rimasta fino alla
fine un enigma irrisolto.

La prima volta che si presenta a un produttore di Broadway l'uomo tentato di metterla alla porta per non avere guai.
Gestisco spettacoli, dice, non un asilo d'infanzia. Evelyn perpi forte di lui; da qualche tempo ha cominciato a posare non solo per gli
artisti ma anche come modella fotografica, dato che alcuni giornali
hanno appena cominciato a proporre le novitdella moda facendo
indossare gli abiti da ragazze in carne e ossa. Insieme al secolo
insomma sono nate quelle che diventeranno le "top model". Per lei stato un successo ma quel lavoro saltuario ginon le basta pi vuole
una scrittura per tutta la stagione e davanti al rifiuto dell'uomo
reagisce usando tutte le armi di cui dispone. La spinge la
disperazione, le pesa addosso l'incubo di tornare alla miseria dei
giorni neri, quelli in cui a casa per pranzo c'era soltanto un po' di
pane. Forse lusinga l'uomo, sicuramente piange, grida e alla fine
riesce a ottenere la sua piccola parte nel musical di maggior successo
in quel momento, "Floradora". Il compenso di venti dollari alla
settimana.
"Floradora" uno di quegli spettacoli che risentono pidella
tradizione europea, dall'operetta viennese alle "Savoy Operas"
londinesi di Gilbert & Sullivam, che di un vero teatro americano,
ancora lontano da una sua fisionomia definita. Evelyn vi recita con
diligenza la sua particina, ma pur essendo solo una del gruppetto
delle "ballerine spagnole", riesce ugualmente a farsi notare. Una
notte, al termine dello spettacolo, un collega la prende da parte e le
presenta un certo James A. Garland, un uomo alto e d'una certa et come mostrano i suoi capelli brizzolati; Evelyn saprin seguito che anche molto ricco. Garland confessa di averla ammirata per molte sere
di seguito, seduto in una poltrona delle prime file, le sue intenzioni
non sono chiare ma sembrano comunque promettenti. Una domenica mattina
Evelyn e sua madre salgono a bordo dello yacht del signor Garland che
salpa per una piacevolissima gita lungo l'Hudson. Risalgono il fiume
sedute sul ponte, rinfrescate dalla brezza, mentre il profilo di
Manhattan cede a poco a poco a prode ancora quasi selvagge, ricoperte
di boschi. I giorni della miseria, quelli in cui le due donne sono
state inseguite dai decreti di pignoramento e dalle minacce di
sfratto, sembrano molto lontani. E' bastato in fondo poco per cambiare
le cose ed Evelyn si spesa, per ora, ancora meno.
Lo yacht approda all'imbarcadero dell'Accademia militare di West
Point, dove sta per cominciare la cerimonia del giuramento dei
cadetti. Ci sono poi una bella sfilata e un ricevimento dove Evelyn
non pufare a meno di ricambiare gli sguardi dei giovani in uniforme
che le si fanno intorno, fissandola con ammirazione, con desiderio. Le
accade di pensare che uno qualunque di loro potrebbe chiederla in
sposa e che confrontato a quei volti ridenti, a quelle belle uniformi
attillate che fasciano le giovani membra, il signor Garland sembra
molto anziano e che tuttavia il suo yacht, ormeggiato poco lontano, splendido con gli ottoni che brillano al sole e il mogano delle
fiancate che i marinai stanno tirando a lucido.
A sera, durante il rientro, Garland fa servire la cena nel quadrato
di poppa. Le luci di New York cominciano a intravedersi oltre la
curva del fiume; sembra di vivere in un sogno.

Nelle sue memorie Evelyn scriverche era l'ammirazione dell'anziano
signor Garland, unita a quella quasi sfacciata che leggeva negli occhi
degli uomini, a renderla consapevole del suo potere di seduzione; in
realtne stata cosciente fin dall'etdi dieci anni, come lei
stessa ammette in un altro punto delle sue confessioni. Con Garland va
avanti per un po' con le belle gite domenicali sul fiume, qualche cena
da Rector's, il ristorante alla moda, i ricevimenti eleganti che si
tengono dopo teatro. Evelyn e sua madre, che veglia ufficialmente sulla
sua verginit s'illudono che possa continuare cosper un tempo
indefinito, ma il milionario Garland non sta spendendo tutti quei
denari e quel tempo in cambio di nulla. Un giorno, davanti alla
signora Nesbit, fa ad Evelyn una violenta scenata, rivelandole che sta
divorziando da sua moglie; c'amore nelle sue parole, o forse solo
l'infatuazione di un anziano, c'gelosia. Garland non ha tutti i
torti a essere geloso, Evelyn circondata dal desiderio degli uomini,
uno in particolare. Questi non milionario, vero, ha peraltre
doti che possono compensare questa mancanza e si tratta comunque di un
uomo agiato. Il suo nome Stanford White, molto pigiovane di
Garland ed a suo modo un artista.
Il nome di Stanford White oggi quasi dimenticato ma negli anni a
cavallo tra Otto e Novecento era celebre, non solo a New York. Lo
studio di architettura McKim, Mead and White, con uffici al 160 della
Quinta Avenue era probabilmente il pistimato della citt di certo
il piindaffarato. Dalla ristrutturazione della Casa Bianca alla
progettazione dei pieleganti club newyorkesi (in totale pidi
cinquanta), non c'era campo di attivitnel quale uno dei tre soci
dello studio non fosse presente. Fu loro per esempio l'idea di aprire
un'accademia americana a Roma (tuttora esistente nella bella sede del
Gianicolo), dettata da un cossincero amore per il classicismo da
suggerire la scelta di Roma come il luogo piadatto per coltivarlo. E'
loro l'idea che New York dovesse svilupparsi obbedendo a quegli stessi
canoni. Infatti Stanford White colui che ha concepito l'arco
trionfale di Washington Square, il solo monumento di New York che
s'ispiri direttamente all'antica Roma.
Alla fine dell'Ottocento a New York si tendeva piuttosto a ricalcare
il neoclassicismo napoleonico che aveva inaugurato il secolo. White
invece aveva in mente il Rinascimento italiano, di cui utilizzalcuni
stilemi per il Gorham Building (Quinta Avenue e Trentacinquesima
Strada), mentre la sede di Tiffany's (Quinta Avenue e Trentasettesima
Strada) tenta di rispecchiarsi nel veneziano palazzo Grimani. E'
questa la cifra dell'intero studio, come dimostra anche la magione del
miliardario John Pierpont Morgan: "La residenza di Morgan a New York
City era al n. 219 di Madison Avenue, a Murray Hill, un imponente
edificio in pietra all'angolo nordorientale della Trentaseiesima
Strada. Attigua ad esso v'era la biblioteca Morgan, in marmo bianco,
ch'egli aveva fatto costruire per ordinarvi le migliaia di libri e di
oggetti d'arte che aveva collezionato nei suoi viaggi. L'edificio era
stato disegnato in stile Rinascimento italiano da Charles McKim, socio
di Stanford White".

Edifici e monumenti sono tuttavia solo una parte della sbalorditiva
capacitd'immaginazione e di lavoro di White. Per ore al giorno e poi
durante la notte fino all'alba, produce un'immensa quantitdi progetti:
nuovi istituti per la citt nuove sale di spettacolo ma anche nuovi show, parate, fiere, pubblici divertimenti. White architetto e insieme maestro
di cerimonie, intrattenitore, uomo d'affari, educatore del gusto: e di
tutti i possibili titoli legittimati dal suo incessante attivismo,
quest'ultimo forse quello che piavrebbe gradito. Nella cittche
sta diventando immensamente, caoticamente ricca e quindi tentata dalla
prepotente volgaritdell'arrivismo, White tenta d'insinuare lo
scrupolo, la tentazione dell'eleganza. Nei suoi frequenti viaggi in
Europa acquista il maggior numero possibile di oggetti, vuole che gli
americani vedano con i loro occhi di che cosa fatto il buon gusto
europeo patinato dai secoli. E a chi lo accusa di spogliare il vecchio
continente dei suoi tesori per esportarli nel nuovo, risponde che da
che mondo mondo, a cominciare da Roma, i popoli dominanti hanno
sempre depredato l'arte altrui. L'influenza di John Ruskin evidente:
l'arte vista come un imperativo morale capace di contribuire al
miglioramento della societ Una visione, quella dell'inglese, quasi
religiosa che colpirprofondamente anche Proust.
Del resto stiamo parlando degli stessi anni in cui i maggiori
mercanti d'arte cominciano a trasferire i loro uffici da Parigi e
Londra alle zone pieleganti di Manhattan. L'arrivo del ventesimo
secolo stato accompagnato dall'introduzione di un'infinitdi nuovi
strumenti: il telegrafo e le macchine per scrivere, gli ascensori e la
luce elettrica, i fonografi e le radio, i motori a benzina e i
telefoni. La possibilitdi perdere la testa davanti a una tale
quantitd'innovazioni enorme, la maggior parte dei clienti entra in
uno studio d'architetto senza avere la minima idea di che cosa voglia
o meglio sapendo solo di avere molto denaro da spendere. Davanti alla
massa delle novite all'ammontare delle nuove ricchezze c'dunque
una funzione da svolgere per chi vuol ricordare l'importanza delle
tradizioni e della continuit White si assume questo compito.

Stanford White nato nel 1853 in una famiglia dell'aristocrazia
mercantile, l'aristocrazia di Washington Square di cui parlano Henry
James e Edith Wharton nei loro romanzi, una di quelle famiglie in cui
tutti i giovedsera si fa quartetto d'archi in salotto e dove, pur badando
con attenzione ai quattrini, la letteratura e non il denaro l'argomento pifrequente nelle conversazioni.
Alto di statura, rosso di capelli, lineamenti spessi, con una testa
disegnata a forti tratti, energica e sensuale, White ha un aspetto
imponente che richiama naturalmente l'attenzione. Lavora con furia, di
getto, caparbio e impaziente, buttando giovunque capiti schizzi
bellissimi che talvolta si rivelano irrealizzabili, immaginando con
uguale velocitla copertina di una rivista o l'arredamento di un
vagone ferroviario. Buona parte di questa energia la dedica alle
donne. Si sposato a trentun anni, nel 1884 (lo stesso anno in cui
nasce Evelyn) con Bessie Springs Smith che viene da una famiglia
eminente di Saint-James (Long Island), figlia del giudice Lawrence J.
Smith.
Durante il viaggio di nozze di sei mesi in Europa accade un episodio
che descrive bene il temperamento, e le possibilitdell'uomo. A
Costantinopoli Stanford s'entusiasma talmente per le tegole di
copertura di una moschea che acquista l'intero edificio, lo fa
smontare e fa spedire negli Stati Uniti le parti che lo interessano.
Inutilmente purtroppo, perchil battello fa naufragio al largo di
Bermuda, sicchtegole e mosaici finiscono in fondo al mare.
Un figlio nasce pochi mesi dopo e sventuratamente muore quasi
subito. Un altro viene al mondo nel 1887, ma come se la morte del
primogenito avesse ferito Bessie in modo irreparabile. I White hanno
una bella casa a Manhattan (Lexinton Avenue e Ventunesima Strada) e
una magnifica propriet Box Hill, sulle colline sovrastanti
Saint-James. Bessie praticamente abbandona la casa di New York per
ritirarsi in campagna, a Long Island, e le loro vite prendono
direzioni diverse. Lei si occupa del figlio e della casa, Stanford sta
con lei durante i fine settimana e per il resto del tempo si divide
tra lo studio di Quinta Avenue, la dimora privata di Lexington Avenue
e una palazzina che ha interamente dedicato al lavoro e ai suoi
segreti capricci.
Di tutti i luoghi in cui visse questo l'unico sopravvissuto. Si
trova al 22 Ovest della Ventiquattresima Strada: un edificio
all'apparenza modesto, di un colore cupo, con la facciata attraversata
da una scala antincendio. E' ciche resta dell'antica New York, e
vale la pena di andarlo a vedere anche perchquella palazzina ha
avuto nella vita di White e ha nella nostra storia un'enorme
importanza. In una delle sue stanze Evelyn Nesbit venne, se vogliamo
usare questa espressione, iniziata alla vita.

Nel corso del processo per il fatto di sangue che conclude questa
vicenda, Evelyn mettera verbale in quali circostanze e per quante
volte ebbe occasione di visitare la casa. Anche se le sue parole non
contengono tutta la verit bastano tuttavia a capire:

Una giovane signora venne un giorno da me con una carrozza. Mia
madre mi aiuta vestirmi e quindi io e quella donna uscimmo.

La donna Edna Goodrich, collega di Evelyn nel musical "Floradora"
e il vestito di cui si parla un abitino liscio bianco e nero, cucito
in casa da sua madre, cossemplice nel taglio e nei colori da farla
sembrare (somma ingenuito somma malizia) una collegiale. "Nessuno"
dirEvelyn in un'altra occasione "mi avrebbe dato pidi tredici
anni". Uscendo con Edna, Evelyn pensava che sarebbero andate al
Waldorf, invece la carrozza si dirige altrove.
Ancora dal verbale:

Arrivammo nella Ventiquattresima Strada Ovest e fermammo di fronte a
una porticina piuttosto squallida. Eravamo nell'agosto del 1901, avevo
da poco compiuto sedici anni. La porta si aprda sola. Salimmo alcuni
scalini e una seconda porta si aprsempre in modo automatico.
Continuammo a salire. Circa a metmi fermai e chiesi alla donna dove
fossimo dirette. A quel punto si fece udire una voce d'uomo. Era
quella di Stanford White.

Le due ragazze salgono altre rampe di scale ed entrano in una stanza
che lascia Evelyn "senza fiato", come lei stessa dir L'ambiente tappezzato con parati in diverse sfumature di rosso, le finestre sono nascoste da pesanti tendaggi che non lasciano filtrare alcuna luce, l'illuminazione indiretta, con lampade celate che riverberano sul soffitto. Pare a Evelyn
che il mobilio sia "italiano antico" e pudarsi che fosse cos alle
pareti vi sono numerosi dipinti, tra i quali un grande nudo ben
illuminato, in un angolo una tavola pronta per quattro. Il quarto
ospite un certo signor Reginald Ronalds di cui non ci occuperemo,
perchin pratica servsoltanto a pareggiare i posti a tavola.
Infatti, finito il pranzo, Rolands scompare e con la sua uscita
comincia la parte pieccitante di quella straordinaria giornata.
White fa salire le due donne al piano attico della palazzina, occupato
per intero da una grande stanza: uno studio dal soffitto altissimo,
zeppo di busti, dipinti e disegni, molti di nudo, disseminati ovunque.
A un'estremit un'altalena col seggiolino ricoperto di velluto
cremisi, fissata al soffitto con due robuste funi anch'esse rivestite
di velluto dello stesso colore.
Il gioco che Evelyn, issata sul seggiolino (donde il titolo "The
Girl in the Red Velvet Swing"), arrivi sempre piin alto, aiutata
dallo stesso White che a ogni oscillazione le imprime una nuova
spinta, fino a farle sfiorare il soffitto. Qui appeso un ombrellino
giapponese di carta: ogni volta che Evelyn giunge al culmine della
traiettoria pusfondarlo alzando appena il piedino. Manovrando alcune
pulegge, White provvede a rimpiazzarlo con uno nuovo. Evelyn si
diverte al punto che quando il gioco finisce ha male alla pancia dal
gran ridere. Alle quattro del pomeriggio White dice che per lei giunto il momento di rientrare, congedandola sussurra: "Si faccia
vedere dal mio dentista, eccole l'indirizzo. I denti sono il suo unico
difetto, un peccato, le rovinano il sorriso".
Per altre due volte Evelyn va a trovare White senza troppo
chiedersi, apparentemente, quale sia lo scopo di quelle insistenti
cortesie. La seconda volta non pinello studio della
Ventiquattresima Strada ma in un posto ancora pimagico: la torre del
Madison Square Garden.

Il nome del Madison Square Garden ricorre spesso nella storia di New York: nella storia sportiva, per gli incontri di pugilato; nella storia politica,
per i tradizionali raduni del Partito democratico. Non tutti sanno perche il Madison Square Garden una realtmobile, avendo cambiato collocazione almeno tre volte e che ogni volta l'edificio stato abbattuto e ricostruito
altrove, con la tipica disinvoltura della citt Il sito originario
era su Madison Avenue, nell'isolato compreso tra la Ventiseiesima e la
Ventisettesima Strada, dove oggi sorge l'edificio della New York Life
Insurance Company. Inizialmente il terreno era occupato da un deposito
ferroviario, in seguito venne preso in affitto da P.T. Barnum, il
grande impresario del circo. Nello stesso luogo White progette fece
costruire nel 1890 il suo "Madison", forse il pibello di tutti. Le
mura esterne erano in mattoni color giallo-oro alternati a decorazioni
in terracotta; su ogni lato s'aprivano ingressi coperti da portici.
All'interno si trovavano una grande sala multifunzionale (come diremmo
oggi), un roof-garden e un teatro pensile, quello in cui, come
vedremo, si svolgerla scena conclusiva di questa storia.
Al di sopra dell'edificio, dalle caratteristiche vagamente moresche
nella struttura e negli ornamenti, si levavano tre torri, la pialta
delle quali (ispirata alla Giralda di Siviglia) culminava con una
statua dorata di Diana che tende l'arco, il volto levato verso i
cieli, opera dello scultore Saint-Gaudens, grande amico di White.
All'inaugurazione, la sua nuditsuscitun certo scalpore, alquanto
fuori luogo se si considera che la statura era collocata a pidi
cento metri dal piano stradale. La sua principale caratteristica era
semmai di essere montata su rulli e quindi girevole. Sebbene il suo
peso superasse la tonnellata, era cosben bilanciata da ruotare alla
semplice spinta del vento.
All'ultimo piano della torre, subito sotto la statua, White aveva
ricavato un altro appartamento che definiva "la mia seconda casa", e
lEvelyn venne condotta in occasione del loro incontro: grande
abbondanza di specchi alle pareti, un divano sterminato lungo quanto
l'intera parete, ricoperto da pelli di bestie feroci: tigri, orsi,
leopardi.

La carrozza ci lascial Madison Square Garden, con un ascensore
raggiungemmo l'appartamento della torre dove si trovavano un'altra giovane
donna e un uomo. La serata si svolse in modo molto corretto e divertente.
A cena il signor White non volle che bevessi pidi un bicchiere di
champagne. Disse: questa ragazza non deve bere pidi un bicchiere
e non deve rientrare tardi, dobbiamo riportarla da sua madre.
Venni ricondotta a casa verso l'una e mezzo o un quarto alle due.

Le cose andarono in modo molto diverso all'incontro successivo.
Esistono diverse versioni su come si svolsero i fatti in quella notte
per tutti decisiva; la stessa Evelyn li ha raccontati in modo diverso
secondo le circostanze. Ecco per esempio che cosa mise a verbale
durante il processo:

Dopo teatro andai in carrozza allo studio nella Ventiquattresima
Strada. Il signor White era gil ma questa volta da solo. Chiesi se
altri ci avrebbero raggiunto, rispose: purtroppo no, ci hanno
snobbato, questa volta non ci sarun party. Io dissi: allora forse meglio se torno a casa. Lui rispose: No, adesso sediamo e mangiamo
qualcosa, anche senza di loro. A un certo punto ricordo che il signor
White si allontanper qualche tempo. Finita la cena mi disse che non
avevo ancora visitato la zona dello studio, piena di belle cose che
desiderava mostrarmi. Salimmo una rampa di scale, non quella che avevo
visto la volta precedente, ma un'altra molto piccola, posta sul retro,
ed entrammo in una strana stanza che non avevo mai visto prima.
Guardammo un po' intorno, poi sedetti al piano e suonai qualcosa. Il
signor White mi chiese di accompagnarlo in un'altra stanza che si
trovava al di ldi certi tendaggi e che si rivelessere una camera
da letto. Sedetti a una piccola tavola sulla quale si trovavano una
bottiglia di champagne e un bicchiere. Il signor White me ne versun
bicchiere colmo. Mi disse d'aver arredato e sistemato egli stesso la
stanza, attirando la mia attenzione su vari oggetti, poi si avvicin incitandomi a finire lo champagne. Risposi che veramente non ne avevo
voglia ma lui insistette. Non so quanto tempo pass forse un minuto o
due e cominciai a sentire come un battito nelle orecchie, poi ebbi la
sensazione che l'intera stanza cominciasse a girare, di colpo divent tutto nero.
Quando mi ripresi ero sdraiata in una stanza con le pareti e il
soffitto ricoperti di specchi. Appena ripresi coscienza cominciai a
gridare. Il signor White entrnella stanza cercando di calmarmi,
s'inginocchivicino al letto, sollevl'orlo del vestito e comincia
baciarlo. Non ricordo come rientrai a casa.

Questa la versione data al processo nella quale Evelyn, senza
dirlo esplicitamente, avanza l'ipotesi di essere stata stordita con
una droga versata nello champagne e violentata durante il periodo in
cui rimase incosciente.
Maggiori dettagli sono stati forniti sia direttamente da
Evelyn sia da altre persone alle quali lei stessa potrebbe averli
raccontati. Sappiamo cosche la stanza da letto era rivestita
anch'essa di pesanti tendaggi purpurei, che il letto era a baldacchino
e aveva sia la testata che l'interno del soffitto coperti di specchi
sui quali era possibile indirizzare vari effetti di luce comandati da
una pulsantiera. Evelyn stessa manovralmeno una volta gli
interruttori, ottenendo un bel colore ambrato all'interno del
baldacchino. Un altro pulsante virava le luci in un rosa delicato, un
terzo produceva un morbido blu. White scelse proprio quest'ultima
sfumatura per l'amplesso con il quale Evelyn venne tolta di
pulzellaggio; pitardi, con una memoria molto precisa, lei ne
ricorderle ampie spalle circonfuse per l'appunto di luce blu.
La circostanza delle grida al risveglio viene confermata in ogni
versione. Varia invece il resoconto di come reagStanny White. Si
parla di baci al vestito, baci alle mani, coccole e vezzeggiamenti con
o senza l'aggiunta di parole appropriate: basta ti prego, tutto
finito, adesso mi appartieni.
La notte in cui, come dice lei stessa, "diventai una donna", Evelyn
l'ha raccontata molte volte, con varianti altrettanto numerose a
seconda del pubblico (reale o di lettori) al quale le sue parole erano
destinate. A volte la narrazione prendeva le tinte forti della
violenza subita da una fanciulla di nemmeno sedici anni da parte di un
uomo di quasi cinquanta, dopo essere stata stordita con una bevanda
oppiata. Altre volte il racconto aveva l'andamento impreciso e non del
tutto sgradevole di un sogno.
Dal verbale: "A un certo punto mi disse che gli piacevano solo le
ragazze giovanissime e che le preferiva molto esili, perchtrovava
che il grasso fosse disgustoso". Queste parole sono confermate da un
altro episodio che riguarda non Evelyn bensBessie, la moglie di
White. Confinata nella bella dimora di Long Island, Bessie aveva
cominciato a ingrassare. Una mattina, Stanford le fece trovare sotto
il tovagliolo questo messaggio: "Fat is fatal", il grasso fatale.
Appena White riesce a interrompere la violenta reazione di Evelyn,
comincia a sussurrare, per placarla ulteriormente, parole di
rassicurazione, dice che sono cose che tutte le donne
fanno e che perle piaccorte non vanno a raccontarle in giro: "Mi
fece giurare che non avrei fatto parola con mia madre su ciche era
accaduto e che non lo avrei detto a nessuno. Certe attricette,
aggiunse, vanno in giro a parlarne. Dovrebbero imparare dalle signore
della buona societche su faccende di questo tipo sono sempre molto
discrete".
"Gli chiesi le ragioni per le quali avevo perso conoscenza, mi
rispose di non insistere, che nulla di male mi era successo e che non
dovevo assolutamente preoccuparmi".

Nella nuova condizione di "donna", passato il primo turbamento,
Evelyn intensifica la sua vita mondana. Quasi ogni sera la fine dello
spettacolo significa l'inizio di una movimentata vita notturna che si
protrae fino all'alba. I suoi ammiratori crescono di numero, tra le
ballerine del "Floradora" che ricevono pispesso grandi mazzi di
fiori, accompagnati da omaggi anche consistenti. Sa quanto deve a
White, che continua a vedere di tanto in tanto e che copre lei e sua
madre di gentilezze d'ogni tipo; ma nello stesso tempo, guardandosi
intorno, si rende anche conto di quanti bei giovani sarebbero pronti
a fare pazzie per lei, forse perfino a sposarla.
In questo periodo Evelyn ha vari flirt fugaci, tra i quali c' quello, notevole invece, con John Barrymore che ha solo due anni pi di lei. Evelyn lo conosce nella primavera del 1903 in uno dei
ricevimenti notturni che Stanford White dnella sua fantastica torre
al Madison Square Garden. John ha appena iniziato la carriera e il suo
nome talmente oscuro che a Evelyn viene presentato come il fratello
minore di Ethel, anch'essa attrice gimolto nota. John ha ventuno
anni, Evelyn diciannove, i due non si perdono d'occhio un istante e
appena Stanford si allontana dalla sala, John le si avvicina
bruscamente e le intima: "Presto, il numero di telefono!".
Arrivata l'estate Stanford parte per la consueta gita annuale di
pesca al salmone in Canada e la passione tra i due divampa. Vengono
notati mentre cenano insieme da Rector's, parlano fitto sottovoce,
ridono: il comportamento di due innamorati. E' la prima volta che Evelyn
ha come compagno un coetaneo e ciche John fa una sera appunto il gesto
di un giovane amante: riempie un bicchiere di latte, vi lascia cadere una
rosa e bisbiglia. "Ecco, questa la tua bocca". In quei giorni tra l'altro Evelyn sta recitando in un nuovo musical in parte ispirato da lei che ha per
titolo "The Wild Rose".

John vive in un appartamento molto modesto nel quale il solo oggetto
degno di nota il mantello che suo padre, il leggendario Maurice
Barrymore, ha indossato recitando la parte dello scespiriano Romeo.
Evelyn si ferma talvolta a dormire in quella casa, avendo cura di
rientrare prima che la madre si accorga della sua assenza. Tale per la passione che dopo ogni notte particolarmente intensa i due amanti
dormono fino alle undici del mattino dopo. Appena sveglia, Evelyn si
rende conto dell'errore e s'affretta a rientrare. Arrivata a casa ha
perla brutta sorpresa di trovare sua madre e Stanford White che la
stanno aspettando, lei con un'espressione sul volto che la stessa
Evelyn definirin seguito "di vero odio".
White in quell'occasione si comporta "come un padre". Con il
consenso della signora Nesbit conduce Evelyn dal suo medico di fiducia
che sottopone la ragazza a una serie di esami. Solo quando i risultati
sono noti, a Evelyn consentito uscire. A quel punto White la porta
con snella torre. Fino a quel momento ha mantenuto un atteggiamento
calmo: in quella curiosissima situazione, l'uomo che l'ha fatta
"diventare donna" si comporta con la pacatezza di un estraneo.
Arrivati alla torre la invita a sedere e prende a parlare, cercando
di farle capire che la relazione con Barrymore rischia di rovinarle
nome e carriera, che sua madre molto preoccupata, teme che un
giovane inesperto possa metterla incinta. Evelyn risponde con baldanza
che, in quel caso, lei e John si sposeranno.
Possiamo immaginare come se fossimo presenti i toni e gli argomenti
della discussione che a un certo punto s'interrompe, perch sopraggiunge lo stesso John Berrymore convocato a sua volta da White.
Anche l'atteggiamento di John di fronte al maturo amante della sua
fidanzata spavaldo e potremmo dire romantico. John reclama i diritti
dell'amore, conferma di essere pronto a sposare Evelyn in qualunque momento; White obietta che, sposati, non saprebbero di che vivere e che quel tipo di unioni si spengono presto nei dissapori e nel rancore reciproco.
Nessuno dei due sembra dargli ascolto, al che Stanford, rivolgendosi
solo a Evelyn, tira fuori l'argomento che ritiene decisivo. A parte
ogni altra considerazione, dice, lei deve considerare che nella
famiglia Barrymore circola il germe della pazzia, che il padre di
John, il celebre Maurice, ricoverato da due anni in una clinica per
malattie mentali a Long Island [vi rimarrfino alla morte, 1905] e che questa
circostanza basterebbe da sola a escludere ogni possibilitdi matrimonio.
Evelyn ribatte con l'argomento che ogni donna avrebbe usato in quelle
circostanze, lei sa solo d'amare John e del resto non le importa nulla.
In quel momento la ragazza giincinta? Con ogni probabilit s
Nei giorni successivi White fa in modo di trovarle un posto in un
istituto per signorine di buona famiglia, la "De-Mille School" a
Pompton Lakes, nel New Jersey. Niente piBroadway, party notturni,
cene raffinate, champagne, gioielli in una corbeille di fiori. La
disciplina di un collegio invece, gli orari rigidi, le buone letture
e, dopo qualche settimana, un piccolo intervento chirurgico. Per
liberarla, si disse, di una fastidiosa appendicite.

Fino a questo momento ho parlato di un "processo" senza precisare n chi vi era imputato nle ragioni per le quali venne celebrato. Fu un
processo drammatico, per omicidio, che di concluse male per tutti.
Prima di dare ogni necessaria spiegazione bisogna perfare conoscenza
con il terzo protagonista della storia che non il giovane e
appassionato John Barrymore, attore di grande avvenire ma che qui
compare solo come effimera passioncella di Evelyn.
L'altro uomo Harry Kendall Thaw, nato il 12 febbraio 1871 a
Pittsburgh, Pennsylvania, da una ricca famiglia con immensi investimenti
nelle miniere e nelle ferrovie. Anche Evelyn e sua madre avevano abitato a Pittsburg prima di trasferirsi a New York; loro pervivevano nella zona proletaria, quella degli operai che lavoravano per dodici ore al giorno.
Harry Thaw era cresciuto invece nella parte opposta della cittin cui le
ville erano sorvegliate da uomini armati e, secondo una diffusa
diceria, le mura di cinta dei giardini erano sormontate da fili
elettrici ad alta tensione.
Harry era stato un bambino fragile e molto nervoso. Ad ogni
contrarietsi gettava a terra piangendo e tirando calci, soffriva di
un grave ritardo nella parola e correva a quattro zampe per rifugiarsi
sotto un tavolo da dove era poi difficile farlo uscire. Preoccupati da
quel comportamento i genitori avevano fatto in modo che non gli fosse
possibile mettere le mani sul patrimonio di famiglia; in compenso gli
avevano assicurato un vitalizio che col tempo era ammontato a 80 mila
dollari l'anno, cio1.540 dollari la settimana. La paga di uno dei
suoi operai era, per una settimana, di 9 dollari e 60 centesimi.
Con l'etdetta matura non cessano le stranezze. Avendo sentito che
il suo coetaneo Morris Carnegie si diverte a schiaffeggiare senza
ragione i passanti, Harry cerca d'imitarlo, ma con minor fortuna.
Quando tenta la sua provocazione in un bar, il gestore lo mette fuori
combattimento con una bottigliata in testa. In un'altra occasione,
offeso dal comportamento di certi commessi, sale in macchina e sfonda
la vetrina del negozio. Anche le sue stravaganze sessuali sono
notorie. Cene sfarzose con lui unico uomo e intorno l'intero corpo di
ballo di uno spettacolo, oppure prostitute particolarmente pazienti
disposte a farsi frustare a sangue, dietro adeguato compenso.

Harry Thaw uomo di amori effimeri ma di odprofondi e duraturi. E
tra le persone che odia c'Stanford White. Anni dopo i fatti, Evelyn
racconterda quali circostanze a suo giudizio quest'odio scaturito.
Un certo giorno Thaw aveva incaricato la ballerina Frances Belmont di
portare dopo lo spettacolo tutte le ragazze del balletto alla cena che
avrebbe dato in un noto ristorante. Alla vigilia della cena Frances,
che in compagnia del fidanzato, incontra per caso Harry Thaw, a sua
volta in compagnia di alcuni bellimbusti. Al cordiale saluto della
ragazza, Harry si gira dall'altra parte per non mostrare agli amici
che una semplice ballerina lo tratta con tale familiarit
Arriva la sera della cena, la tavola apparecchiata, i cuochi
sono pronti, i camerieri tengono in fresco lo champagne, l'orchestra
attacca con bell'impeto l'ennesimo motivetto, ma delle ragazze
annunciate nemmeno l'ombra. Quando scocca la mezzanotte Thaw cerca
senza riuscirvi di rintracciare Frances. Solo il giorno dopo scopre
che la bella irlandese per vendicarsi dell'affronto ha dirottato tutte
le colleghe verso il party che in contemporanea Stanford White stava
dando nella torre del Madison. Un giornale di pettegolezzi pubblica la
notizia con questo titolo: Le bellezze del "Floradora" vanno a cantare
nello studio di White, mentre l'orchestra di Thaw suona per la sala
vuota.

Tra quelle ragazze c'Evelyn di cui Harry s'infatuato vedendola
in palcoscenico. Comincia cosun complicato corteggiamento perch temendo di essere preceduto dalla sua cattiva fama, Thaw firma i suoi
omaggi con lo pseudonimo di Mr. Monroe, fino a quando non ritiene di
poter svelare la sua vera identit Un pomeriggio Evelyn siede a un
tavolo di caffcon un'altra ragazza quando Harry s'avvicina
presentandosi con la formula che abitualmente usa: "Sono Harry Thaw di
Pittsburgh". Evelyn, turbata, fa per andarsene, ma Thaw la ferma
chiedendole: "Come mai sua madre le permette di frequentare la
bestia?".
"E chi sarebbe la bestia?"
"Stanford White!"
L'approccio brusco, ma a Evelyn evidentemente non dispiace perch da quel momento i due cominciarono a frequentarsi e dopo qualche tempo
Harry le propone una vacanza a Parigi e in Europa per farla
ristabilire dopo l'operazione di "appendicite". La signora Nesbit
fiuta il buon partito e tende piad apprezzare il patrimonio che non
a inquietarsi per la pessima reputazione dell'uomo. Consiglia comunque
a Evelyn di accettare, a condizione che anche lei sia ammessa alla
gita. Nel maggio 1903 Evelyn, sua madre e Harry Thaw s'imbarcano per
Parigi a bordo dello S.S. "New York". Una vacanza folle, di lusso
sfrenato, a cominciare dall'appartamento che Thaw prende in affitto in
Avenue Matignon. I tre si concedono il meglio che la capitale francese
puoffrire, ricevimenti esclusivi, spettacoli, musei, anche se questo
non attenua le spaventose bizzarrie di Harry.
Una sera, irritato da un cameriere che prima di servire il dessert
insiste a ripulire la tovaglia dalle briciole, prima lo invita
bruscamente a smettere poi, visto che quello continua a manovrare la
sua piccola spazzola, balza in piedi, afferra un lembo della tovaglia
e fa rovinare tutto a terra.
Nonostante il cinismo con il quale ha favorito una situazione cos ambigua, la signora Nesbit comincia ad avere qualche preoccupazione.
Pivolte dice alla figlia che arrivato il momento di rientrare.
Dobbiamo ancora vedere Londra e Berlino, risponde Evelyn, restiamo
ancora un po', mamma. Quasi ogni sera Harry Thaw ripete alla ragazza
la sua proposta di matrimonio, ci sono serate nell'appartamento di
Avenue Matignon in cui, andata a letto la signora Nesbit, Harry ed
Evelyn rimangono muti nel salone dopo che lui le ha chiesto per
l'ennesima volta: "Ma perchnon vuoi sposarmi?".

Una sera si verifica una scenata assurda e violenta. Harry le chiede
di punto in bianco se ancora vergine. Davanti alle proteste di lei,
molto alterato, l'afferra per i polsi: non ti lascio andare, ansima,
finchnon rispondi. Evelyn, terrorizzata, assicura che gli dirtutto
e comincia a raccontare la storia di come White l'ha sedotta. Harry,
sempre pieccitato, continua a chiedere nuovi dettagli che Evelyn,
colta al volo la situazione, non gli rifiuta certo, senza risparmiare,
si presume, varie coloriture. Al culmine del parossismo Harry balza in
piedi e comincia a misurare la stanza gridando: "La bestia, la bestia,
una ragazzina di sedici anni!".
La mattina dopo le regala una spilla di diamanti.

Quando la madre di Evelyn, sazia d'Europa, s'imbarca finalmente per
New York, i due fidanzati continuano da soli il giro toccando anche
Roma, ma fermandosi a lungo in un solitario castello vicino a Merano,
Schloss Katzenstein, che Thaw ha affittato e i cui unici occupanti
sono alcuni camerieri. Pitardi Evelyn descriverquel soggiorno come
un incubo. Servita la cena, camerieri e inservienti hanno l'ordine di
non farsi pivedere fino al giorno dopo; quasi ogni sera Harry ricomincia
con le sue domande, si eccita, lega Evelyn al letto accusandola di
essere una sfacciata e comincia a frustarla; poi si getta alle sue
ginocchia leccando le ferite. Un giorno Evelun lo scopre mentre
s'inietta della droga nel braccio, ci sono giorni in cui le grida "Sei
la mia schiava, posso fare di te ciche voglio" e giorni in cui si
getta ai suoi piedi, glieli bacia, si proclama lui suo schiavo. A quel
viaggio pieno di fascino e di orrore Evelyn non fa nulla per
sottrarsi, nemmeno quando ne ha l'occasione.
Edgar Doctorow costruisce su quel soggiorno una delle scene centrali
del suo romanzo "Ragtime":

La prima notte al castello, lui le strappdi dosso la camicia, la
gettsul letto bocconi e la sferzcon un guinzaglio sulle natiche e
sul dietro delle cosce. Le grida di Evelyn echeggiavano per i corridoi
e negli scaloni di pietra. I servitori tedeschi nelle loro stanze
ascoltavano, arrossivano, stappavano bottiglie di Goldwasser, e
copulavano. Lei pianse e singhiozztutta la notte. Al mattino Harry
tornda lei, stavolta con l'affilatore del rasoio ... era gentile nel
fare l'amore con lei e pieno di precauzioni per le sue parti
delicate.

Evelyn e Harry si sposano a Pittsburgh nell'aprile 1905, cerimonia
preceduta da un curioso retroscena. Arrivata a New York, Evelyn va
immediatamente a trovare White e gli racconta l'accaduto. Gli mostra
le tracce d'una lacerazione nella parte interna della coscia destra.
Stanford White bacia la cicatrice. Gli mostra una macchiolina violacea
sulla natica sinistra. Spaventoso! dice Stanford White. La bacia anche
l La mattina dopo la manda da un avvocato il quale prepara una
dichiarazione su cich'avvenuto allo Schloss Katzenstein. Evelyn la
firma. "Quando torna Harry tu gli fai vedere questa dichiarazione"
dice Stanny White con un gran sorriso. Lei segue le sue istruzioni.
Harry K. Thaw legge la dichiarazione, diventa pallido e immediatamente
la chiede in matrimonio. E' verosimile? E' possibile.
Con brutale franchezza un quotidiano locale intitola cosla
notizia: "Una ragazza del "Floradora" sposa una fortuna stimata 40
milioni di dollari".
Della vita matrimoniale Evelyn racconterin seguito soprattutto la
noia. La dimora dei Thaw poteva essere considerata
principesca, ma il suo era un lusso antiquato, fatto di mobili scuri,
luci fioche, conversazioni insignificanti. Per cena erano in genere
ospiti anziane coppie dalla raggelata vitalit Quando Harry doveva
allontanarsi Evelyn e la suocera mangiavano da sole in silenzio.
Gli sposi dormono in camere separate alle due estremitdi un
corridoio e proprio questo causa di uno spiacevole equivoco. Una
notte Evelyn ha un incubo e comincia a gridare nel sonno, Harry
accorre immediatamente, e mentre Evelyn gli sta raccontando il suo
brutto sogno entra la vecchia signora Thaw che domanda senza preamboli
al figlio se ha frustato sua moglie. Evelyn s'affretta a intervenire
spiegando che stato solo un brutto sogno. Al che la Thaw si rivolge
ancora a Harry per dirgli: "Ricordati che se osi alzare le mani su di
lei ti lascio senza un centesimo!".

La madre di Harry un'anziana bigotta presbiteriana, di abissale
ignoranza ma che, consapevole della follia di suo figlio, tratta
quell'uomo di quasi quarant'anni come un bambino. Evelyn insiste per
lasciare Pittsburgh e tornare a New York, cosa che dopo molte
insistenze Harry si decide a fare, anche se impone alla moglie di
vedere solo le persone che lui stesso sceglier
Il trasferimento a New York non migliora molto le cose. Harry d frequenti segnali di squilibrio. Un giorno la cameriera personale di
Evelyn trova, riordinando una stanza, una scatola oblunga che contiene
una dozzina di fruste. La lascia su un tavolo per chiedere alla sua
padrona che cosa bisogna farne. Quando Harry vede la scatola diventa
pazzo d'ira e assale la cameriera con orribili minacce. Evelyn deve
garantirle che la proteggere spiegarle che certe volte il signor
Thaw s'inquieta per niente.
In un'altra occasione, insoddisfatto dall'atteggiamento del
maggiordomo che gli sta stirando una giacca, gli strappa il ferro di
mano e glielo tira addosso. Il giovane domestico scansa agilmente il
proiettile che sfonda una finestra e cade nel giardino sottostante.
Il matrimonio non ha guarito Harry come sua madre forse
sperava, al contrario il pensiero che sua moglie abbia avuto come
primo amante a sedici anni un uomo come Stanford White lo getta in uno
stato di agitazione forsennata, nel quale si mescolano ira, gelosia e
morbosa passione. In pidi un'occasione, mentre cammina in strada o
fa spese, Evelyn si rende conto di essere seguita da detective privati
pagati dal marito per sorvegliarla.
Una sera, mentre cenano al ristorante dell'hotel Saint Regis in
compagnia di una coppia di amici, entra nella sala Stanford White con
sua moglie. Thaw impallidisce dall'ira, e poco dopo uno degli amici si
china all'orecchio di Evelyn per sussurrarle: "Che cosa succede a
Harry? ha fatto scivolare una pistola sotto il tovagliolo".

Il 25 giugno 1906, Evelyn accusa un forte mal di gola e suo marito
vuole che veda subito un medico, considerato che imminente un altro
viaggio in Europa al quale parteciperanche la vecchia signora Thaw.
Mentre Evelyn aspetta in anticamera entra Stanford White e tra loro
c'un colloquio di pochi minuti, molto cordiale ma corretto, come tra
vecchi amici. Terrorizzata al pensiero dei termini in cui anche
l'incontro casuale potressere riferito a Harry, Evelyn si affretta a
parlargliene appena rientrata. Ho la tua parola d'onore che tutto
qui? chiede il marito dopo averla ascoltata, e alla sua risposta
affermativa aggiunge: "Ricordati che qualunque cosa tu faccia verr comunque a saperlo".
Il programma della serata prevede una cena con amici al ristorante
Martin's, nella Ventiseiesima Strada tra Broadway e la Quinta Avenue,
e pitardi la prima dello spettacolo "Mamzelle Champagne" al "roof
garden" del Madison. Quando giungono al ristorante, Harry ha gi bevuto tre whisky lungo la strada. Due giovani nemmeno trentenni
(Truxton Beale e Thomas McCaleb) li stanno aspettando, il tavolo loro
assegnato costringe Harry, che l'anfitrione, a sedere con le spalle
rivolte alla sala, Evelyn di fronte, i due amici ai lati. A un certo
punto Harry nota qualcosa nell'espressione di sua moglie che lo mette
in agitazione, le chiede che cosa stia accadendo. Lei scrive
qualche parola su un biglietto che gli passa. Il messaggio dice: "That
B. is here", la bestia qui.
Stanford White era infatti entrato nel ristorante, accompagnato dal
figlio diciottenne Lawrence Grant e da un amico di questi, ma quando
Harry, letto il biglietto, si gira, il rivale giuscito dalla parte
opposta della sala, diretto a un tavolo sulla terrazza.
Terminata la cena i quattro escono per raggiungere a piedi il
Madison, con l'autista che segue in auto a passo d'uomo. Harry Thaw ha
in capo un cappello di paglia ma, stranamente, indossa anche un
soprabito piuttosto fuori luogo nella calda serata di giugno. Nessuno
apparentemente nota l'incongruenza.

Il quartetto di amici prende posto in un buon tavolo non lontano dal
palcoscenico. Lo spettacolo risulta piuttosto modesto, anche se
l'attenzione di tutti sarpresto catturata da ben altro che le
piccanti avventure di "Mamzelle Champagne". La protagonista Viola de
Costa viene molto applaudita quando salta fuori da una gigantesca
bottiglia di champagne in cartapesta, ma quasi solo perchmolto
carina e quasi nuda. L'altro protagonista, Harry Short, recita la
parte di un impresario teatrale americano a Parigi, la sua aria di
punta attacca "Potrei amare mille ragazze" (I Could Love a Thousand
Girls), al che le venti ballerine animano una coreografia che allude
alla loro ampia disponibilit
Proprio durante l'aria arriva Stanford White che si dirige al tavolo
a lui riservato vicino al palcoscenico. L'aria di Short al finale,
le ballerine stanno avanzando verso il palcoscenico per la cadenza
conclusiva, in quel momento qualcuno si rende conto che Harry Thaw s' alzato e si sta dirigendo verso White. Quando arriva a un metro circa
alle spalle del rivale, estrae dal soprabito un revolver e distende il
braccio. White avverte in qualche modo la sua presenza e si gira.
Senza una parola Thaw fa fuoco tre volte mirando alla fronte,
l'architetto si rovescia sul tavolo trascinandolo nella caduta,
certamente gimorto prima di toccare terra.
L'orchestra si ferma e per qualche istante la sala e il palcoscenico
sono come raggelati, poi una ragazza del balletto comincia a gridare
ed il caos, tutti balzano in piedi, alcuni corrono verso le uscite,
qualche signora sviene, Harry Thaw alza teatralmente il revolver, apre
il tamburo lasciando che tutte le cartucce, esplose e non, si spargano
vicino al cadavere. Un pompiere di servizio gli strappa l'arma di mano
e poi sospinge l'assassino verso l'ascensore. "Se lo meritava" dice
Thaw "e posso provarlo". Quando i due arrivano all'ascensore un
poliziotto afferra l'omicida per la spalla rivolgendogli la formula di
rito: "La dichiaro in arresto".
Solo a quel punto Evelyn che s'fatta largo nella folla in tumulto
riesce a raggiungere suo marito e a entrare con lui nell'ascensore
prima che le porte si chiudano. "Harry, Harry, perchlo hai fatto?"
grida gettandogli le braccia al collo.
Tutti i presenti odono la risposta che poi riferiranno alla corte:
"Va tutto bene, cara. Probabilmente ti ho salvato la vita".
Quando Harry Thaw venne interrogato dal sergente di turno al
commissariato drisposte assurde:
"Come si chiama?"
"John Smith".
"Professione?"
"Studente".
"Conosceva l'uomo che ha ucciso?"
"Non saprei".

Ciche segue al clamoroso omicidio un capolavoro di pubbliche
relazioni da parte della famiglia Thaw e dello stesso assassino, il
quale rilascia numerose interviste, sostenendo di aver voluto salvare
l'onore di tante fanciulle americane insidiate da quel "satiro". Un
giornale pubblica la confessione di una ragazza, che pernel
frattempo morta, che una sera stata utilizzata per un festino di
compleanno: per un compenso di cinquanta dollari aveva dovuto
acquattarsi dentro un'enorme torta, per saltare fuori tutta nuda al
momento del brindisi. Su un altro giornale si ricorda che White
organizzava cene molto vivaci, invitando un'intera compagnia di ballo.
Ogni ragazza trovava una moneta d'oro da venti dollari sotto
il tovagliolo con le implicazioni che ognuna poteva trarne, salvo
alzarsi e andarsene, lasciando beninteso il denaro, nel caso non fosse
stata disponibile.
Prima ancora che il processo cominci, la figura di Stanford White
appare insomma molto compromessa, il che facilita ovviamente il
compito della difesa. Un sacerdote arriva ad affermare: "In casi come
questi non sarebbe male se le armi venissero usate con maggiore
frequenza", mentre la vecchia signora Thaw fa addirittura allestire
una rappresentazione teatrale nella quale tre personaggi chiaramente
allusivi interpretano i ruoli dei reali protagonisti. L'uomo chiamato
Stanford Black caratterizzato in modo ripugnante e nella scena madre
prende a pugni un povero cieco che andato a chiedergli che fine
abbia fatto sua figlia.

Il processo si apre nel gennaio 1907. L'imputato assistito da
cinque avvocati guidati dal celebre Delphin Michael Delmas; William
Traves Jerome, un procuratore piuttosto abile e noto, sostiene
l'accusa. Nell'aula si devono aggiungere delle sedie per far posto a
tutti i giornalisti accreditati. La vecchia Thaw, vestita di nero, il
volto nascosto da una veletta scura, siede circondata da numerosi
membri della famiglia con l'atteggiamento, si scrive, "di una madre
disposta a tutto pur di salvare suo figlio dalla sedia elettrica".
Quanto a Evelyn, l'avvocato Delmas le consiglia di vestire in modo
molto semplice e lei sceglie un tailleur blu di linea diritta, con un
colletto bianco che le dun'aria innocente e fragile da adolescente.
Tra i cronisti gira la voce che il prezzo della sua testimonianza sia
stato concordato con la famiglia in un milione di dollari.
La posizione del P.M. molto delicata. Da una parte Jerome convinto che Thaw sia pazzo e socialmente pericoloso. Dall'altra deve
peranche poter dimostrare che il suo stato un omicidio di primo
grado (premeditato). Non meno difficile la posizione della difesa la
quale si propone di dimostrare che Harry Thaw era perfettamente sano
di mente, sia prima che dopo, e che solo durante il delitto ha perso
temporaneamente la ragione. Ecco perchla testimonianza di Evelyn fondamentale, nascono da qui le voci sul suo fantastico compenso.
In altre parole la ragazza si trova ad avere praticamente in mano la
vita del marito.

Quando sale alla sbarra per deporre, Evelyn fa una recita perfetta.
Scrive un giornale che a ventidue anni ne dimostra pio meno sedici,
un altro la definisce "infinitamente seducente" e un terzo "una
giovane donna graziosa e fragile". La sua deposizione occupa molte ore
e piudienze e alla fine risulta, esattamente come la difesa sperava,
risolutiva a cominciare dal commovente racconto di quando Stanford
White l'ha sedotta, dopo averla stordita con una bevanda drogata. Ecco
come la racconta Edgar Doctorow:

Salsulla pedana e descrisse se stessa a quindici anni che
sventolava le gambe su un'altalena di velluto rosso, mentre un ricco
architetto tratteneva il fiato alla vista dei suoi polpacci scoperti.
Parlava in tono risoluto e teneva la testa alta, la sua testimonianza
crela prima diva sessuale della storia americana.

Anche l'arringa e la requisitoria finali sono due magnifici pezzi di
teatro. Delmas con la sua cadenza da predicatore e la sua voce tonante
influenza fortemente la giuria, descrivendo Evelyn come un fiorellino
che un uomo malvagio ha reciso anzitempo e che sta ora tentando di
ritrovare una strada verso la salvezza. Jerome, al termine della sua
requisitoria, s'avvicina ai giurati e fissandoli negli occhi chiede
brutalmente: "Ve la sentireste di mandare libero un uomo che ha ucciso
a sangue freddo e in modo premeditato solo perchsua moglie una
bugiarda con un bel visino?".
Al termine della camera di consiglio la giuria esce con la
sorprendente decisione di non poter decidere. Una maggioranza di sette
contro cinque s'dichiarata per la colpevolezza, ma non basta. Si
rende dunque necessario un altro processo che si apririnfatti un
anno dopo, il 6 gennaio 1908 e questa volta una sentenza c' Harry
Thaw viene dichiarato non colpevole in quanto pazzo. Il presidente ne
ordina il ricovero in un manicomio criminale.
Quel processo ha anche un'altra conseguenza non sui protagonisti, ma
in generale sul costume. Alcuni industriali dell'abbigliamento
notano che la faccia di Evelyn sulla prima pagina di un giornale fa
andare a ruba l'edizione. Si verifica quel processo d'ingrandimento
per il quale i fatti di cronaca attribuiscono a certi individui, nella
coscienza del pubblico, proporzioni maggiori della loro grandezza
naturale. Prende avvio un fenomeno ormai collaudato e che conosciamo
bene.

Seguono complicatissime vicende. Il manicomio per Harry Thaw si
trasforma in una specie di albergo. Il progetto occulto della difesa molto ingegnoso: far dichiarare Thaw pazzo, cosa non difficile, farne
poi accertare la guarigione e in tal modo, dato che nessuno puessere
processato due volte per lo stesso delitto, fargli riavere la libert
Questo infatti accade, anche se Harry sardi nuovo arrestato e
processato nel 1917, ormai quarantaseienne, con l'accusa di aver
rapito un ragazzo di diciannove anni e d'averlo frustato a sangue.
Fuori e dentro il carcere, Harry Thaw viene di tanto in tanto
querelato da spogliarelliste di night club che lo accusano di sevizie.
Morira Miami nel febbraio 1947, all'etdi sessantasette anni.

Il destino di Evelyn ancora pipenoso. Subito dopo la sentenza la
donna chiede l'annullamento del matrimonio con un uomo dichiarato
"incapace d'intendere e di volere", salvo rendersi conto troppo tardi
della trappola nella quale gli avvocati di Thaw l'hanno cacciata. Se
il matrimonio, peraltro consumato, viene annullato, non avrpi titolo al patrimonio del marito. Se il matrimonio invece rimane
valido, nessuna domanda di divorzio sarpossibile, dato che l'altro
coniuge comunque "incapace d'intendere". C'un compenso per la sua
testimonianza, ma la famiglia Thaw la liquida con 25 mila dollari, in
seguito ridotti a 15 mila.
Evelyn deve in pratica ricominciare tutto da capo, anche se per
qualche anno l'enorme popolaritacquistata durante il processo le
viene in aiuto. Poi comincia la decadenza, con tutto ciche l'accompagna: l'alcol, l'eroina, le cattive prestazioni professionali, i locali sempre piscadenti, le pessime compagnie. Si risposa (con un certo Jack Clifford), ha
un bambino, vende le sue memorie, conosce qualche raro successo alternato
a momenti di profonda crisi e di paura. Quando apre un proprio
night-club chiede la protezione ai gangster sbagliati e in capo a
pochi giorni si trova il locale devastato; nel 1924, a trentanove
anni, vive in camere d'affitto dove ozia per l'intera giornata, in
attesa della breve recita serale.
Un giorno Mamie Kelly, una nota tenutaria di bordelli, le propone
di diventare una delle sue ragazze. Si tratta di andare a esercitare a
Panama e alcune amiche tentano di dissuaderla: ti troverai addosso
cinesi, turchi e hindu, uomini di ogni tipo. Evelyn parte ugualmente e
qualche tempo dopo i giornali danno notizia che a Panama City stata
arrestata per gioco d'azzardo. La versione definitiva del suo libro di
memorie esce nel 1934, il film sulla sua vita vent'anni dopo. Nella
sua ultima intervista confida al giornalista, ed forse sincera:
"Stanny ha avuto fortuna, lui morto, io ho continuato a vivere".
Moranche lei, come capita a tutti. Avvenne a Hollywood, nel 1966,
aveva ottantun anni.


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IV - L'uomo dal cuore di ghiaccio

All'angolo tra la Quinta Avenue e la Settantesima Strada (1,
Settantesima Strada Est) sorge quella che stata la sontuosa
residenza di Henry Clay Frick, uomo ricchissimo, di grandi doti e di
tale accanita determinazione da sconfinare dell'ottusit Succede pi spesso di quanto si creda ai costruttori di imperi o di fortune.
L'edificio uno dei pibelli dell'intera Quinta Avenue: progettato
da Thomas Hastings in uno stile che ricorda vagamente il Settecento
francese, fu costruito tra il 1913 e il 1914 e trasformato in museo
aperto al pubblico nel 1935, sedici anni dopo la morte del
proprietario.
Al suo interno si ammirano grandi opere della pittura europea, dal
XVIII secolo inglese al rococfrancese, ma anche due capolavori di
Tiziano ("Ritratto di giovane col cappello rosso" e "Pietro Aretino"),
"Tommaso Moro" di Hans Holbein il Giovane, la celebre "Estasi di san
Francesco" di Giovanni Bellini, e poi Rembrandt, Vermeer, Van Dyck,
Vel輈quez, El Greco, Goya, Duccio di Buoninsegna, Piero della
Francesca, Corot, Ingres oltre ad alcune buone pitture di autori
americani. Poi ci sono il mobilio, gli smalti, le argenterie, gli
arazzi e le porcellane. In poche parole, una delle piimportanti
collezioni private del mondo. Tuttavia piche la collezione ci
interessa l'uomo straordinario che l'ha messa insieme, capace di
raggiungere i vertici della societdel suo tempo, ottenendo il
massimo di quanto era allora disponibile. La sua storia comprende
anche i prezzi che l'uomo dovette pagare, le immense sofferenze che
pat le orrende colpe di cui finper macchiarsi. Una vicenda
assolutamente americana piena di ostacoli rimossi, di traguardi
raggiunti, di cieca brutalit Una storia terribile che si conclude a
New York ma comincia altrove, in provincia, in un villaggio della
Pennsylvania.

Henry Clay Frick (1849-1919) stato uno dei fondatori del
capitalismo americano, definizione ampia che non basta pera
descriverlo poichl'uomo ha avuto una personalitcoscomplessa e
una storia costragica, da diventare archetipo di un'era segnata
dall'aggressivite dalla contrapposizione violenta, non di rado
sanguinosa, degli interessi. La collezione non sarebbe nata e la
stessa dimora che la ospita non esisterebbe, se l'uomo che l'ha
concepita non avesse avuto i mezzi e l'energia, le doti immense e gli
abominevoli difetti che Frick ebbe.
Un primo segno del suo futuro temperamento si intravvede nel
rapporto che ebbe con il nonno materno Abraham Overholt, di origine
tedesca, di fede mennonita, proprietario del villaggio di West
Overton, appena a nord di Connellsville (Pennsylvania), nonchdi una
distilleria di whisky e di un mulino.
La sua colazione del mattino dice che tipo fosse: un bicchiere raso
del whisky da lui stesso prodotto. Se il nonno era, almeno secondo gli
standard rurali, un uomo agiato, i genitori di Clay erano invece quasi
poveri. Quando sua madre Elizabeth annuncidi volersi sposare con
John W. Frick, un giovanotto del posto senz'altra dote che i suoi bei
capelli rossi, il vecchio Abraham reagcon furia e si arrese solo
davanti al fatto che sua figlia era giincinta di tre mesi.
Quel figlio concepito anzitempo era una bambina, Maria; Clay fu il
secondo, venne alla luce il 19 dicembre 1849 e fu chiamato cos
chisscon quali speranze, per via del potente segretario di Stato e
senatore Henry Clay. Si vide subito che era di salute delicata, debole
di cuore e di stomaco, soggetto a debilitanti infiammazioni
reumatiche. Quando gli altri bambini del villaggio si impegnavano
accaldati nelle loro gare, Henry si limitava a tenere il conteggio dei
punti; nei lavori della fattoria toccava a lui il compito non gravoso
di raccogliere le spighe cadute oppure di regolare il flusso del pastone
per i maiali. In compenso era bravissimo nel gioco degli scacchi, qualit poco apprezzata in quel rude contesto, ma che si rivelercruciale in
seguito.
Nella sterminata aneddotica che sempre accompagna le biografie degli
uomini divenuti molto ricchi, c'un altro episodio che riferisce sul
suo temperamento. Una volta che il maestro minaccidi frustare sua
cugina Susan se non avesse svolto con maggiore diligenza i compiti,
Clay insorse. Si alze disse al maestro che se Susan fosse stata
frustata (punizione di tradizione britannica allora comune) lui
l'avrebbe frustato a sua volta. L'episodio combacia con la
determinazione che Clay dimostrerin alcune decisive circostanze a
venire e quindi insospettisce, tuttavia possiamo iscriverlo
indicativamente tra gli episodi preparatori della sua vita futura.

Il nonno Abraham il vero capo della casa e della famiglia. Durante
il pasto comune impone il silenzio con un'occhiata e se qualcuno dei
ragazzi si azzarda a parlare troppo forte o a ridere sguaiatamente
basta un suo gesto per spedire l'indisciplinato in cucina; se ha
bisogno di sale o del pane basta che Abraham indichi senza una parola
l'oggetto. L'ombra di una tale personalitpoteva risultare
insopportabile per un bambino fragile come Clay. Accade il contrario.
L'autoritdiventa una sfida, l'agiatezza del nonno un traguardo da
superare. Un compagno d'infanzia giura di averlo inteso pronunciare
una specie di giuramento: "Nulla potrimpedirmi di guadagnare un
milione di dollari e sono certo che ci riuscir. Poichparliamo di
un bambino ci si puchiedere se le cose siano andate proprio in
questo modo. Comunque quella la strada che Clay comincerpresto a
percorrere.
A nemmeno vent'anni Clay va a lavorare come commesso da un grossista
di biancheria di Pittsburgh per un salario di sei dollari alla
settimana. Di giorno serve in negozio, la sera studia contabilitin
un college per lavoratori-studenti, la domenica frequenta la
litografia di un certo Schuchmann dove possibile che sia germogliata
la sua passione per il collezionismo d'arte.
Quando Abraham muore, nel gennaio del 1870, a ottantasei anni, la
sua ereditrisulta piche dignitosa, l'equivalente di quattro
milioni di dollari di oggi. Un sesto della cifra viene legato a
Elizabeth mentre a Clay, che tutti consideravano il nipote favorito,
il vecchio non lascia nemmeno un penny.
Fu la delusione a spingere il ventenne Frick verso un'irresistibile
ascesa? O la consapevolezza improvvisa di poter contare soltanto su se
stesso?

La prima vera attivitdi Henry C. Frick sono le miniere.
Giovanissimo imprenditore, riesce ad assicurarsi lo sfruttamento di
una serie di terreni ricchi di carbon fossile dal quale ricavare, per
distillazione, il coke, elemento base dell'industria siderurgica. A
quei tempi il carbon coke si otteneva con un procedimento duro e
pericoloso depurando il carbon fossile. Certi forni ad alveare
venivano colmati di materiale e poi murati. La cosiddetta "cottura"
durava da quarantotto a settantadue ore durante le quali il fossile si
liberava delle componenti solforose, lasciando al termine carbone puro
capace di bruciare ad alta temperatura.
Nel 1871 Frick esordisce con cinquanta forni costruiti grazie a un
prestito di 10 mila dollari, pagabili in sei mesi all'interesse del 6
per cento. Quando nel 1873 una delle ricorrenti crisi economiche
colpisce Wall Street, quel giovanotto di ventiquattro anni invece di
spaventarsi si procura altro denaro ipotecando una casa di famiglia e
continua a produrre coke, contando sul fatto che la crisi prima o poi
finire che la domanda di combustibile tornerbruscamente a
impennarsi. Il ragionamento limpido, metterlo in pratica significa
peravere molto fiato e grande coraggio: significa continuare a
riempire i magazzini mentre il mercato fermo. Frick ha fiato e
coraggio, forse ha anche fortuna. Lavora giorno e notte, nonostante la
crisi, e anzi servendosene, riesce ad accumulare un'ingente fortuna.
In nove anni passa da centoventicinque a tremila acri di terreno, da
cinquanta a mille forni. A dicembre del 1879, per suo trentesimo
compleanno, realizza il lontano desiderio infantile di possedere un
milione di dollari. Pitardi definirquei primi dieci anni di lavoro
senza tregua "un periodo spaventoso".
Nel dicembre 1881 Frick sposa Adelaide Howard Childs, ragazza della
buona borghesia che resterla compagna della sua vita. A quel tempo
le ragazze come Adelaide sapevano che nel matrimonio le aspettava
soprattutto il compito di mettere al mondo dei figli e di obbedire
alla volontdel marito. Adelaide queste cose le ha apprese fin
dall'adolescenza, ma sua madre si premura di ricordargliele in una
lettera che le invia per le nozze: "Sappi essere una moglie buona,
gentile, affettuosa e amorevole, pronta a rinunciare alla tua volont per quella di tuo marito". Sarpio meno cosper tutti gli anni che
passerinsieme a Henry.
Per il viaggio di nozze gli sposi vanno a New York. Il giorno di
Natale pranzano all'hotel Windsor con Andrew Carnegie, che da
cinquantun anni (diciotto pidi Frick), e con sua madre.

Andrew Carnegie, che nel 1908 fonderassieme a J.P. Morgan la
United States Stell Co., ha avuto un rilievo straordinario nella
storia del paese. Se la piimportante sala da concerto di New York
porta il suo nome, il capitalismo americano conserva ancora l'impronta
da lui lasciata.
E' di origini scozzesi, a tredici anni emigrato a Pittsburgh
insieme ai genitori. Il padre e il nonno sono stati sindacalisti e in
patria si sono battuti per l'abolizione della monarchia. Con qualche
approssimazione li potremmo definire radicali di sinistra. Il piccolo
Andrew cresciuto in una casa modesta nella periferia povera di
Pittsburgh, poco piche adolescente ha cominciato a lavorare come
manovale nell'industria tessile. Poi ha fatto una certa carriera nelle
ferrovie della Pennsylvania, soprattutto ha imparato come si pufar
fruttare il denaro. Nel 1872 ha l'idea di importare in America il
procedimento Bessemer per la produzione dell'acciaio, il primo a
farlo. Henry Bessemer ha concepito un crogiolo nel quale viene insufflato ossigeno che provoca l'ossidazione del metallo fuso. In Europa, impiegando
quel metodo e producendo cosun metallo molto piresistente, Alfred Krupp diventato il re dell'acciaio, produce putrelle per costruzioni, rotaie per le
ferrovie, armamenti. Dalle sue fonderie sono usciti cannoni che hanno
dato ottima prova nelle guerre del nascente impero germanico. Nel
1870-71 Napoleone III ha perso Sedan e il trono anche a causa delle
artiglierie fuse nelle officine Krupp.
Quando Frick lo conosce, nel 1881, Carnegie giuno dei pifamosi
industriali americani. Se un uomo come quello accetta, insieme a sua
madre, di fare il pranzo di Natale in compagnia di un giovanotto e
della sua sposa, vuol dire che la fama degli ospiti non limitata al
misero milione di dollari che Frick stato capace di guadagnare.
Infatti Carnegie ha un piano. Lui produce acciaio, Frick dispone di
centinaia di pozzi per io carbon coke: un'alleanza potrebbe essere di
reciproco interesse.
I due uomini hanno pochissimi tratti in comune e gli anni metteranno
in evidenza i contrasti. Una delle poche cose che certamente li
accomuna la brevitdella statura: superano entrambi di poco il
metro e cinquanta. I temperamenti invece sono all'opposto. Carnegie un abile manovratore, potremmo dirlo un politico; Frick meno
disposto a fare concessioni o a tentare compromessi, un uomo rigido,
autoritario, intollerante.
L'alleanza comunque si fa. Frick diventa fornitore in esclusiva di
coke per gli altiforni di Carnegie che in cambio acquista la
maggioranza azionaria della Frick Coke Company. In pratica Carnegie
diventa il padrone, Frick il suo principale agente.
Il 5 agosto 1885 Adelaide che ha gipartorito un maschio, Childs,
dalla luce Martha, la secondogenita. La gioia dei genitori grande.
Nessuno dei due sa che la loro vita destinata a cambiare
drammaticamente.

Mentre la tragedia privata matura tra le mura domestiche, ne esplode
una pubblica. Frick si fatto promotore di un club di caccia e pesca
sulle rive del lago artificiale Conemaugh. Un placido corso d'acqua
ricco di trote stato sbarrato all'altezza d'una gola, formando cos il pivasto bacino artificiale del mondo. La diga lunga pidi
trecento metri, alta ventiquattro.
Le rive del Conemaugh sono diventate il rifugio esclusivo di ottanta
esponenti della migliore societlocale. Cottage privati, vaste sale
comuni, prati a perdita d'occhio, tutt'intorno settanta acri di
terreno e di bosco che formano un'estesa area di protezione. Il lago,
chiuso dai monti Allegheny, contiene venti milioni di tonnellate
d'acqua. Centocinquanta metri piin basso e a ventidue chilometri di
distanza sorge Johnstown, cittadina operaia di trentamila abitanti.
Alla fine di maggio del 1889 un'eccezionale combinazione di
circostanze meteorologiche causa una piena di proporzioni mostruose.
Per giorni e giorni la pioggia cade senza interruzione, mentre la
temperatura gicalda scioglie la neve che scorre in mille rivoli
lungo i fianchi della montagna. All'alba del 30 maggio affluisce
nell'invaso una massa di sedicimila litri d'acqua al secondo. Si tenta
di aprire le valvole di evacuazione rapida che pernon funzionano.
Qualche ora dopo la diga si schianta nel suo punto pidebole. Le
acque ribollenti irrompono nella stretta gola a valle del bacino con
una spaventosa velocit travolgendo tutto al loro passaggio comprese
alcune locomotive da ottanta tonnellate di un locale deposito
ferroviario. Quando la prima ondata di piena raggiunge Johnstown le
acque sono diventate una rovinosa massa quasi solida fatta di detriti,
macerie e tronchi che sospingono davanti a sle locomotive come una
terribile ariete. In meno di dieci minuti la cittadina distrutta. I
depositi di carburante s'incendiano bruciando vive centinaia di
persone. In totale muoiono nel disastro, forse la peggiore calamit nella storia degli Stati Uniti, quasi diecimila persone. Tra i
cadaveri viene trovato quello di una donna annegata mentre stava
partorendo.
Uno dei soci del club, James McGregor, avvicinato da un cronista, si
dichiara incredulo sulla portata del disastro e aggiunge: "Abbiamo
messo in quell'iniziativa da quindici a ventimila dollari l'anno e non
avremmo certo speso tutti quei soldi in un posto ritenuto insicuro.
Creda a me, la diga certamente ldove sempre stata, ogni notizia
diversa da questa deve ritenersi infondata".
L'avventato giudizio fu ovviamente corretto alcune ore dopo dalla
stessa enormitdell'evento che ebbe ampia eco nel mondo. I soccorsi furono imponenti e tra le infinite donazioni si segnalquella inviata dal circo di Buffalo Bill che in quel momento si esibiva a Parigi.
Non si riscontrarono responsabilitdirette di Henry Frick nella
tragedia; si parldi delittuosa negligenza.

Quando si esamina la vita di Frick si sorpresi dal diverso
atteggiamento che egli tenne nella sua vita pubblica e in quella
privata. Duro fino alla cecitnella prima, fu vittima nella vita
familiare di sventure di tale gravitda rendere quasi inutile la sua
sterminata ricchezza. La peggiore fu la morte straziante di sua figlia
Martha dopo anni di sofferenze, tragedia nata anch'essa da una
sbadataggine. Nell'estate del 1887, quando ha due anni e si trova con
i suoi genitori a Parigi, Martha, lasciata per un attimo incustodita
dalla governante, ingoia una spilla. Nessuno se ne accorge, nessuno sa
spiegarsi le ragioni del continuo malessere che, di la pochi giorni,
la bambina comincia ad accusare. Con il tempo i sintomi si aggravano,
Martha spesso febbricitante, deperisce, a volte zoppica, perde i
capelli. I medici fanno le diagnosi pidiverse e suggeriscono
svariate terapie, tutti inutili. Solo due anni dopo, una bambinaia che
la sta asciugando dopo il bagno sente sotto la pelle del fianco la
punta della spilla. Sgomento, sorpresa, soccorso immediato. Con un
piccolo intervento la spilla viene estratta, dalla ferita fuoriesce
una grande quantitdi pus. Nonostante questo nessuno pensa a curare
seriamente l'infezione che nel frattempo si sviluppata e ha invaso
l'addome di Martha.
Il suo malessere continuer i genitori assistono impotenti al suo
deperimento. L'agonia straziante, Adelaide quasi impazzisce di
dolore, Henry Frick prostrato. Il 28 luglio 1891 Martha muore.

Intanto Henry Clay impegnato in un'altra spaventosa avventura
professionale. In gennaio c'stata un'esplosione di gas in una delle
sue miniere che ha provocato numerose vittime. Ne sono seguiti
disordini che i cosiddetti Pinkerton, un corpo privato di guardie armate che possono essere assoldate in caso di bisogno, sono riusciti a sedare solo a fatica.
Lo scontro durissimo: i minatori chiedono la giornata lavorativa
di otto ore e un aumento della paga oraria, mentre i rappresentanti
della compagnia vogliono introdurre una riduzione di salario. Il 9
febbraio diecimila uomini scendono in sciopero in tutta la regione.
Molti di loro sono immigrati solo di recente negli Stati Uniti. Lo
sciopero va avanti per settimane. Domenica 29 marzo Pasqua. Frick a casa con la famiglia, a sua figlia Martha resta poco da vivere. Dopo
le inquietudini dei giorni precedenti sulla regione mineraria regna
una strana calma. Nessuno pensa che la durissima controversia sia
finita, ci si limita a sperare che la ricorrenza religiosa
contribuisca a un'intesa tra le parti. Non cos
Il luneddi Pasqua la situazione si presenta subito drammatica.
Negli stabilimenti di Morewood, i pigrandi, i forni sono colmi di
coke che ha terminato la fase di "cottura" e dev'essere ritirato.
Frick teme che i picchetti di scioperanti impediscano l'ingresso degli
operai che vorrebbero lavorare e chiede al governatore dello Stato
l'invio della Guardia nazionale. Il governatore della Pennsylvania
Robert E. Pattison, un democratico che appena stato eletto, respinge
la richiesta e Frick capisce che deve assumersi da solo la terribile
responsabilitdi un possibile scontro. La societdispone di una
sessantina di guardie che vengono armate e autorizzate a sparare se
l'ordine di sgombero impartito agli scioperanti non sarrispettato.

All'alba di luned30 un migliaio di scioperanti, quasi tutti
immigrati, tra di loro molti che capiscono a stento l'inglese, danno
inizio ai tumulti. Le loro armi sono soprattutto pietre, bastoni,
qualche vecchio revolver. Le guardie ordinano di fermare la marcia,
alcuni scioperanti rispondono intonando la "Marsigliese". Come sempre
accade in casi come questi non certo da quale delle due parti
vengano esplosi i primi colpi. Non impossibile che siano stati gli
scioperanti ad aprire il fuoco. Sta di fatto che dopo un nutrito
scambio di colpi rimangono sul terreno undici morti e una cinquantina
di feriti, tutti dalla parte degli operai.
Marted31 marzo, il "New York Times" pubblica insieme alle notizie
questa dichiarazione di Frick: "D'ora in avanti lo scontro sarancora
piduro". Uno dei dirigenti della compagnia rilascia al quotidiano
locale "Greensburg Daily Tribune" dichiarazioni spietate: "La societ Frick non permetteragli scioperanti di entrare negli stabilimenti
con revolver e altre armi per impedire di lavorare agli uomini che
vogliono farlo ... faremo arrivare nella zona uomini in uniforme,
armati e pronti a combattere. A costoro sarordinato di sparare, e
sparare per uccidere, a chiunque interferisca con i nostri dipendenti
e con gli accordi presi".
Per il momento non ci sono altri scontri, ma la tensione rimane cos alta che il governatore Pattison si convince a mandare la Guardia
nazionale. Venerd3 aprile Frick scrive sul "New YOrk Times":
"Abbiamo messo i nostri uomini e le nostre proprietnelle mani della
autoritlegittime perchvengano protetti. Qui non si tratta di
negoziare stipendi, ma solo di stabilire se i nostri dipendenti
debbano essere colpiti mentre sono al lavoro e le proprietaziendali
distrutte dai rivoltosi. Le autoritdevono farsene carico. Sapremo
cosse siamo sotto il dominio della legge o delle sommosse".
Nei giorni seguenti tutte le famiglie un cui membro abbia preso
parte ai cortei di protesta e agli scontri vengono sfrattate con la
forza dagli alloggi di proprietdell'azienda. E' tutta gente molto
povera, aver accettato quel lavoro per quella paga il primo segno
della loro condizione, molti di loro non hanno altro rifugio. Le
proteste, i pianti, i pochi stracci, i bambini, i deboli tentativi di
resistere non servono. Alla fine di maggio, dopo quindici settimana di
agitazioni, gli scioperi hanno termine.
In quelle stesse settimane, affranto dalle pessime notizie sulla
salute di Martha, Frick indirizzava a sua figlia commoventi biglietti
come questo: "Cara e dolce figlioletta, mamma mi telegrafa dicendo che
mangi poco o niente. Non vuoi provare a mandare giqualcosa o a bere
un po' di latte? Se lo farai crescerai sana e forte. Cerca di farlo
per accontentare il tuo pap.

Henry Clay Frick e la sua famiglia si trasferiscono da Pittsburgh a
New York nell'inverno 1891-92, subito dopo Natale.
Frick s'fatto largo all'interno dell'impero Carnegie, conquistando
la presidenza di due delle principali divisioni. Dirige una societ che vale 25 milioni di dollari e mette sul mercato una quantitdi
acciaio pari alla metdell'intera produzione britannica. La
drammatica sequenza di scioperi e violenze che ha vissuto gli ha
impedito di star dietro alla malattia di sua figlia come avrebbe
voluto. Henry non parla mai di snemmeno in privato, non confida n ai collaboratori nai familiari i suoi dolori. Gli avvenimenti di cui
stato protagonista o testimone gli hanno lasciato un forte
risentimento verso ogni manifestazione operaia.
Il 1.o luglio 1892 scade il contratto collettivo di gran parte dei
lavoratori delle sue aziende. Frick non vuole rinnovarlo perch intende rinegoziare al di fuori di ogni intesa sindacale. Nel 1891
accade perun fatto nuovo. Lo Stato dell'Ohio dichiara fuori legge
l'intervento dei Pinkerton armati in caso di contese di lavoro. La
Pennsylvania non ritiene di dover seguire per il momento l'esempio
dello Stato confinante, per cui gli stabilimenti di Homestead potranno
continuare a essere difesi con le armi in caso di necessit Quello
stabilimento rappresenta il fiore all'occhiello della Carnegie,
dispone dei macchinari piavanzati, delle lavorazioni pi sofisticate. Dai suoi altiforni escono acciai temperati per le
costruzioni civili e per le corazzature delle navi da guerra.
A Homestead d'altra parte gli operai sono dovuti ricorrere alla
forza per consentire l'ingresso di rappresentanti sindacali. A prezzo
di tensioni altissime i sindacati hanno accettato una riduzione dei
salari, ottenendo perdi avere voce in capitolo sui processi di
produzione e sulle promozioni del personale. Frick ha ceduto solo
quando ha capito che ogni ulteriore resistenza sarebbe diventata
troppo costosa. L'uomo ha sempre odiato le contrattazioni collettive.
Il suo metodo preferito di contrattare individualmente o per reparto
posizioni e salari. La sua visione aziendale semplice: spetta ai
proprietari, o al loro rappresentante, assumere e licenziare; ogni
richiesta di aumento dei salari o di riduzione delle ore di lavoro
danneggia la produzione o i profitti o entrambi e va quindi respinta,
se necessario con la forza.
Andrew Carnegie condivide solo in parte questa rigida tattica. Lo
rendono piprudente sia una certa tradizione progressista della
famiglia, sia un pisviluppato senso politico. E' stato lui a mettere
Frick alla testa delle sue industrie; ne apprezza certamente l'energia
e l'attaccamento al lavoro, almeno quanto ne detesta la cocciutaggine
e la visione miope di fronte ai cambiamenti in corso nella societ
Pivolte gli ha detto e scritto che il suo atteggiamento si sta
trasformando agli occhi di molti nel simbolo stesso dell'oppressione
capitalistica, un'immagine che non giova na lui nall'azienda. I
tempi stanno cambiando, dalla fine della guerra civile sono entrati
nel paese undici milioni di immigrati dal vecchio mondo, mutano le
abitudini, il volto delle citt(a cominciare da New York), la
capacit la voglia di vivere meglio, quindi di resistere.
Le condizioni di lavoro e di vita d'altronde sono spaventose. Gli
alloggi sono miserandi, esigui, affollati, caldissimi durante
l'estate, mal riscaldati d'inverno. Nei distretti minerari l'ambiente
devastato dalle scorie, dalla perenne fuliggine che si posa ovunque,
sulle case, gli oggetti, le persone. Quasi tutti hanno la gola
irritata, i polmoni intasati dalla micidiale polvere di carbone cos leggera e impalpabile da superare ogni filtro, ammesso che ce ne
siano. Gli alberi ne sono talmente impregnati che solo dopo una
pioggia battente le loro foglie ridiventano verdi.
I turni in fabbrica sono massacranti. Si lavora tutti i giorni per
dodici ore: dalle 6 alle 18 e viceversa. Quando i turni s'invertono,
ogni due settimane, l'orario diventa di ventiquattr'ore consecutive
seguite da altre ventiquattr'ore di riposo il giorno successivo. Le
uniche feste riconosciute durante l'anno sono il giorno di Natale e il
4 di luglio, anniversario dell'Indipendenza.

Frick vuole dunque battaglia ma i sindacati non sono da meno e
contano su vari elementi. La pressione che sale dal basso fortissima; il contrasto di opinioni tra Frick e Carnegie lascia
credere che, se la lotta si faraccanita, la frattura potrebbe
allargarsi dando cosalle organizzazioni operaie un maggior potere di
contrattazione. Per di piil 1892 un anno elettorale,
le divisioni tra democratici e repubblicani potrebbero trovare nella
vertenza dei minatori uno dei principali punti di riferimento della
campagna portando la stampa di orientamento progressista a sostenere
con maggiore convinzione le ragioni dei lavoratori. Si puinfine
contare sul fatto che la Carnegie ha un importante contratto di
fornitura con la marina degli Stati Uniti che prevede pesanti penali
in caso di ritardo nelle consegne, anche questo un elemento che
potrebbe indurre la direzione aziendale ad ammorbidire la sua
posizione. Queste dunque le ragioni e le armi di cui le due parti
dispongono alla vigilia di uno degli scontri sindacali pidrammatici
nella storia degli Stati Uniti.

All'inizio di giugno Frick dordine di costruire lungo il perimetro
esterno dello stabilimento una robusta palizzata che subito fa nascere
il nomignolo derisorio di "Fort Frick". Il termine scherzoso non
attenua perle preoccupazioni che un giornale locale riassume in
questo titolo a tutta pagina: "Preparativi di guerra".
Che di vera guerra si tratti lo dimostrano del resto le iniziative
che seguono. Sulla palizzata vengono affissi dei manifesti con i quali
s'annuncia che ogni trattativa con il personale avverrunicamente
attraverso contatti individuali. Viene costagliata fuori la
rappresentanza dei sindacati prima ancora che scada il contratto.
Giocando d'anticipo, alla fine del mese Frick chiude gli stabilimenti,
attuando una serrata preventiva che lascia di colpo i quattromila
operai senza salario. L'atmosfera tesa, ma le novitnon sono
finite.
Nei giorni successivi arriva l'annuncio che tutte le attivitdelle
varie officine Carnegie sono state concentrare in un'unica societ la
Carnegie Steel che, con i suoi trentamila dipendenti, diventa la pi grande azienda mondiale per la produzione dell'acciaio. Henry C. Frick
ne ha la presidenza.
A Homestead nato un Comitato consultivo misto del quale fanno parte rappresentanti dei cittadini e dei sindacati; la sua finalitdi gestire
nei limiti del possibile una situazione che sta diventando esplosiva. Domenica
3 luglio per esempio, vigilia della festa dell'Indipendenza, il Comitato ordina che tutti i bar eccetto due restino chiusi e che sia proibita la vendita
degli alcolici. E' un'uggiosa domenica di pioggia, gli uomini tappati
nelle loro povere dimore, privi della rischiosa consolazione
dell'alcol, hanno tutto il tempo di misurare lo squallore delle loro
vite.
Il Comitato attua anche alcune contromosse. Se l'implacabile Frick
ha fatto costruire la palizzata, gli operai cominciano ad accumulare
gli oggetti pidisparati davanti ai vari ingressi dello stabilimento
formando dei baluardi. Se la proprietha chiuso fuori gli operai,
quelle barricate impediscono ora l'accesso a chiunque. Gli uomini,
tutti quelli che vogliono farlo, vengono organizzati in squadre di
picchettaggio suddivise in turni di otto ore. Il loro compito sorvegliare le entrate, le rive del fiume, la stazione ferroviaria,
quella di pompaggio.
Nel frattempo Frick richiede all'agenzia Pinkerton l'invio di
trecento uomini armati di pistole e carabine Winchester. Carnegie, che
in quel momento si trova in vacanza in Scozia (lo fa sempre pi spesso), telegrafa preoccupato dalle notizie che giungono. Frick
risponde: "Tutto sarfatto nei limiti consentiti dalla legge".
I Pinkerton arrivano di notte a bordo di un treno dai finestrini
oscurati. Scesi dal convoglio alla mezzanotte del 5 luglio vengono
imbarcati su alcune grosse zattere che risalgono il fiume fino
all'acciaieria, evitando cosgli ingressi picchettati dagli
scioperanti. Alle 2,45 del 6 luglio, un operaio incaricato di
sorvegliare le rive avvista, alcune miglia a sud dello stabilimento,
il corteo di zattere che si sta silenziosamente avvicinando nella
fitta nebbia. Un uomo a cavallo parte al galoppo per dare l'allarme al
quartier generale. Entra in azione la sirena che segna l'inizio e la
fine dei turni, e in pochi minuti centinaia di uomini, donne, bambini,
in pratica l'intera popolazione, si schiera sulle rive armata di tutto
ciche si riusciti a trovare: bastoni, tavole, attrezzi agricoli,
qualche sporadico revolver. Partono alcuni colpi di arma da fuoco in
direzione delle zattere. I Pinkerton al riparo dietro le murate per il
momento non rispondono.
Un gruppo di uomini individuano il punto in cui le zattere
approderanno, abbattono un tratto della palizzata, penetrano
nello stabilimento, si preparano a ostacolare da terra l'ingresso dei
Pinkerton. Uno dei capi degli scioperanti grida al pilota della
zattera di testa: "In nome di Dio e dell'umanit non tentate di
sbarcare!". La risposta gelidamente professionale: "Siamo qui in
nome dei proprietari per prendere possesso degli impianti e per
proteggerli. Ritiratevi o saremo costretti a far fuoco per entrare".
Non c'tempo per meditare su queste parole, immediatamente seguite da
una scarica di fucileria. Trenta uomini tra gli scioperanti cadono,
gli altri si mettono al coperto e rispondono al fuoco. Un episodio
grottesco, nel mezzo della tragedia ormai esplosa, quello di alcuni
operai che tentano di mettere in funzione due vecchi cannoni della
Guerra civile per affondate le zattere.
La vera e propria battaglia, cominciata poco dopo l'alba, si
sviluppa su vari fronti e va avanti per l'intera giornata. Tale la
resistenza degli operai che al tramonto i Pinkerton sono costretti ad
alzare bandiera bianca. Sono immediatamente circondati dagli
scioperanti che li disarmano, tolgono loro le giubbe dell'uniforme, li
dispongono in colonna avviandoli verso uno stadio situato sulle
colline. Le strade sono piene di gente, la colonna sfila tra gli
insulti e le grida delle donne, le sassate dei bambini. Alcune guardie
vengono prese a bastonate e lasciate a terra esanimi; le zattere
intanto sono state incendiate e stanno finendo di bruciare.
Nonostante tutto, il bilancio finale meno cruento di quello degli
scontri di Morewood dell'anno precedente. Dopo quattordici ore di
battaglia si contano tre morti tra le guardie e sette tra gli
scioperanti; sessanta i feriti. A sera gli operai, che si sono battuti
per condizioni di lavoro piumane, festeggiano la vittoria. Il giorno
dopo, 7 luglio, il vecchio Carnegie telegrafa a Frick dalla Scozia:
"Considerata la sua fermezza mi sento tranquillo. Non uno di quei
rivoltosi dev'essere tenuto in servizio". La speranza di dividere i
due padroni cade.

La notizia degli scontri di Homestead suscita enorme clamore in
tutto il Paese. La stampa si chiede se Frick ha o no il diritto di
impiegare una milizia armata per proteggere le acciaierie.
La valutazione prevalente che, anche a termini di
legge, la protezione della vita umana viene prima di quella della
propriet Frick replica: "Gli uomini che hanno invaso lo stabilimento
non sono scioperanti ma fuorilegge. Non trattercon nessuno di loro.
Ciche in ballo ora la supremazia della legge". Quelli che sono
d'accordo con la sua posizione sostengono che era compito delle
autoritdello Stato difendere le acciaierie; se queste sono venute
meno al loro dovere la proprietaveva tutto il diritto di
provvedere.
Il 12 luglio il governatore mobilita ottomila uomini della Guardia
nazionale per presidiare la citte gli stabilimenti. Esaurita la fase
dello scontro, potrebbe finalmente cominciare quella delle trattative
se un nuovo incidente non venisse a complicare ancora di pile cose.

Qualche giorno dopo i fatti arriva a Pittsburgh un certo Alexander
Berkman, ventun anni, ebreo lituano, anarchico, di recente immigrato,
che ha vissuto fino a quel momento a New York con la sua compagna Emma
Goldman, strana donna un po' anarchica, un po' femminista. I suoi
conoscenti lo descriveranno come un estremista politico, un uomo
intelligente ma di carattere instabile, pronto a gesti di bontcome
all'aggressivitpicieca contro gli sfruttatori del popolo. Alla
luce della sua ideologia, Berkman ha interpretato i fatti di Homestead
come l'inizio del risveglio della classe operaia americana, c'chi
l'ha inteso dire: "Il giorno della Resurrezione ormai vicino". Ai
suoi occhi Frick ha assunto le sembianze fisiche e simboliche del
capitalista oppressore, dell'uomo che tiene alla catena la classe
operaia, vera produttrice della ricchezza.
Berkman passeggia per Pittsburgh, prende nota dei luoghi e degli
itinerari, aspetta la sua occasione. Il 21 luglio Frick fa affiggere
sulla palizzata, ora protetta dalla Guardia nazionale, un avviso in
cui si avverte che tutti i dipendenti, compresi quelli che non hanno
preso parte agli scioperi, devono fare domanda di riassunzione, pena
la perdita del posto a beneficio di altri lavoratori che non
aderiscano a sindacati e siano disposti a non scioperare.
E' l'occasione, Berkman decide di attuare il suo piano. Sabato 23
luglio alle 2 del pomeriggio, superato il debole tentativo
di fermarlo da parte di un usciere, il lituano irrompe nell'ufficio di
Frick in citt estrae un revolver e fa fuoco da una distanza di circa
otto metri. Colpisce il suo bersaglio alla base del collo ma Frick,
che non morto, balza nel frattempo dalla sua poltrona, si getta a
terra e comincia a gridare. Berkman fa fuoco una seconda volta e di
nuovo colpisce benchFrick si muova carponi per la stanza con tutta
la velocitche le ferite gli consentono.
Un certo Leishman, collaboratore di Frick, irrompe e salta addosso
all'attentatore cercando di disarmarlo, i due lottano, un terzo colpo,
deviato da Leishman, si conficca in una parete. L'anarchico vorrebbe
ancora sparare, ma la sua arma s'inceppa. Intanto entrato un
falegname che si trovava nei pressi, coglie al volo la situazione e
comincia a colpire l'assalitore con il martello che stava usando per
il suo lavoro. L'anarchico poco prima di essere sopraffatto ha una
reazione inaspettata ed estrema: estrae un corto pugnale e con quello
riesce ad assestare alcuni colpi a Frick.
Nel giro di pochi istanti l'ufficio si riempito di persone,
Berkman viene immobilizzato e disarmato. E.L. Doctorow ricostruisce
cosla scena nel romanzo "Ragtime":

La gente si buttsu Berkman. Gli strapparono la pistola. Lui aveva
un coltello e colpFrick alla gamba. Gli presero il coltello. Lui si
mise qualcosa in bocca. Gli si buttarono tutti addosso e lo
inchiodarono sul pavimento. Lo costrinsero ad aprire la bocca. Aveva
una capsula di fulminato di mercurio. Sarebbe bastato che la
masticasse e la stanza con tutti quelli che c'erano dentro sarebbe
saltata in aria. Gli tennero indietro la testa. Gli tolsero la capsula
di bocca. Gliene diedero tante da farlo svenire.

Le ferite di Frick sanguinano molto, i protagonisti della lotta sono
lordi di quel sangue. Un medico estrae al ferito uno dei proiettili
rimasto conficcato nel dorso e poco dopo Frick putrasmettere alla
stampa un comunicato nel quale ribadisce: "L'incidente non muter l'atteggiamento delle acciaierie ma, quale che sia la mia sorte, la
societcontinuernella sua politica e vinceril confronto".
Se queste righe non illustrassero a sufficienza la determinazione
dell'uomo, si puaggiungere che mentre si avvia a lasciare l'ufficio,
sorretto dai suoi collaboratori, Frick pallido come un morto saluta
tutti con un sorriso tirato e ripete l'abituale formula di congedo del
sabato: "Allora ci vediamo luned.

L'onda d'urto di avvenimenti cosdrammatici si estende, arriva a
lambire la Casa Bianca. Il presidente Harrison cerca un nuovo mandato
ed giustamente contrariato da ogni turbativa dell'imminente campagna
elettorale che si concludercon le elezioni di novembre. Uomini
vicini alla presidenza tentano una mediazione tra l'intransigente
Frick e i sindacati. Un incaricato dalla presidenza incontra Frick che
a letto convalescente (ha dovuto saltare l'appuntamento del luned.
Il suo rifiuto pertotale, quando la discussione stringe sulle
richieste dei sindacati Frick afferma di non volerle nemmeno prendere
in considerazione, aggiunge: "Porterquesta battaglia fino in fondo,
a qualunque costo. Non ammettermai, dico mai, la presenza dei
sindacati".
L'8 luglio, due giorni dopo i tragici scontri di Homestead, Adelaide
dalla luce un quarto figlio: Hanry Clay jr. Purtroppo il bambino non
sta bene; morirprima di compiere il primo mese di vita. E'
l'ennesimo episodio doloroso, l'ulteriore conferma che l'uomo anche in
momenti costragici capace di mantenere su due livelli separati i
turbamenti della vita privata e gli obblighi del dirigente d'impresa.

L'inchiesta giudiziaria sui fatti di Homestead accerta le
responsabilitdei Pinkerton e dello stesso Frick che perrimane in
libert grazie al pagamento della cauzione fissata dal giudice. La
condanna non muta peraltro il suo atteggiamento. Tenendo fede a quanto
anticipato dai manifesti murali, la societcomincia ad assumere nuovi
operai disposti a rinunciare al diritto di scioperare. I nuovi assunti
vengono fatti sbarcare sulla banchina posta sulla riva del fiume e da
lavviati direttamente agli alloggi che si trovano all'interno dello
stabilimento. Viene dato loro il consiglio, ma dichiamo pure l'ordine,
di non uscire dal recinto che circonda la fabbrica per evitare
rappresaglie da parte dei vecchi operai. L'estate del '92 segna in molti
Stati del Paese temperature record. I nuovi arrivati lavorano e vivono
nel caldo feroce dei reparti di lavorazione e delle baracche.
Intanto le trattative tra le parti proseguono. Le acciaierie
Carnegie dispongono dei migliori avvocati del Paese. Una seconda
inchiesta della Camera ribalta il primo verdetto, stabilendo che Frick
ha agito entro i limiti consentiti dalla legge. Il 18 novembre lo
sciopero si chiude con la vittoria del padronato. Fiaccati dalla
mancanza di salario, scoraggiati dall'atmosfera generale che anche i
giornali riflettono, i dirigenti sindacali decidono di porre termine
alle agitazioni: gli effetti della vittoria di luglio sono rapidamente
svaniti, alla fine ha prevalso su ogni altra considerazione la tutela
della proprietprivata. Ad Andrew Carnegie, che prosegue le sue
vacanze in Scozia, un esultante Frick telegrafa tra l'altro: "Era
necessario dare ai nostri operai una lezione, gliene abbiamo data una
che non dimenticheranno".
Gli operai delle acciaierie escono esausti dal tremendo scontro,
nessuno di coloro che hanno preso parte alle agitazioni verrpi riammesso in fabbrica. La disastrosa sconfitta indebolisce anche il
movimento sindacale nel suo complesso, sia per le future trattative
che nel numero degli aderenti. Nell'anno che segue, i sindacati
perdono circa la metdelle tessere, e i relativi contributi. Per
contro il nome di Frick diventa in tutti gli ambienti progressisti un
sinonimo dell'oppressione capitalistica. L'anarchico Berkman nelle sue
memorie dal carcere scrive che l'uomo s'era salvato solo grazie alla
sua vilt gettandosi sotto la scrivania e fingendosi morto. Conclude
col grido: "E ora vive, il vampiro!".
Nonostante la vittoria i rapporti con Carnegie poco dopo si rompono
in modo definitivo, tra litigi feroci. Nel 1901 le acciaierie Carnegie
vengono acquistate da John Pierpont Morgan, genio bancario, l'uomo che
in pratica anticipa la nascita della Federal Reserve. Morgan ha come
obiettivo il rafforzamento del tessuto economico americano grazie a
fusioni tra aziende. Nel 1892, fondendo la Edison General Electric con
la Thomson-Houston, ha dato vita alla General Electric. Nel 1901 fonde
la Carnegie (di cui parte la Frick Coke Co.) con Federal Steel, dando
vita alla U.S. Steel Corporation, un colosso del valore di quasi un miliardo
e mezzo di dollari che rappresenta il 60 per cento dell'industria mondiale dell'acciaio.

Siamo costornati al punto da cui eravamo partiti. Il sogno di
Henry Clay Frick, il suo lungo, discutibile cammino, si conclude con
la costruzione della splendida villa dove oggi ha sede la collezione.
Nel giugno del 1880, quando era appena diventato milionario,
passeggiando per New York s'era fermato a guardare l'opulenta casa di
William Henry Vanderbilt, il "re delle ferrovie", che in quel momento
era certamente l'uomo piricco d'America. Al 640 della Quinta Avenue,
la dimora occupava un intero isolato tra la Cinquantunesima e la
Cinquantaduesima Strada. All'amico che l'accompagnava Frick aveva
detto, alludendo alla casa e ai mezzi necessari per mantenerla: "Vedi?
Questo in fondo tutto ciche vorrei".
Quella casa (che oggi non esiste pi Frick finirper prenderla in
affitto, in attesa che si completi la costruzione della sua dimora
definitiva per la quale ha scelto un ampio terreno sulla Quinta
Avenue, tra la Settantesima e la Settantunesima Strada, di fronte al
Central Park. Agli architetti Carr鋨e e Hastings dincarico di
disegnare "una piccola casa, ma piena di luce e d'aria". La sua
sorveglianza dei lavori implacabile, tutto vede, tutto controlla e
decide fino al minimo dettaglio. Per la scelta degli arredi va
personalmente in Europa, soprattutto a Londra e a Parigi. Agli
architetti chiede anche che nelle decorazioni sia interne che esterne
abbondino i simboli massonici: dalle due sfere poste all'ingresso
della Quinta Avenue, al mosaico del giardino composto con ciottoli
bianchi e neri di fiume, che richiamano il pavimento del tempio di
Salomone. Il trasloco avviene nel novembre 1914. In Europa cominciato da qualche mese il massacro della Grande guerra.
Sarquella la sua vera casa, la dimora per la quale sarricordato.
I suoi familiari, la figlia Helen, raccontano di quando, gimalato,
il vecchio Henry veniva sorpreso ad aggirarsi di notte per la vasta dimora, sedendosi poi davanti a uno dei suoi quadri e rimanendo a lungo immobile,
in silenzio, e contemplarlo. Pensieri di un vecchio, immagini che tornano e
si accavallano, conquiste e fallimenti, dolori patiti e dolori inflitti,
una lunga vita ben spesa o mal spesa secondo come la si considera, in
ogni caso un'immensa fortuna. Henry Clark Frick morcome aveva
vissuto, da solo: erano le 5 del mattino del 2 dicembre 1919; aveva
settant'anni.

In questo sommario racconto della vita di Frick non ho incluso le
vicende della sua collezione d'arte, sicuramente di grandissimo
valore, anche se le scelte a volte sembrano casuali. Mi premeva
parlare di ciche sta dietro quei quadri, raccontare da dove vennero
e come furono messi insieme i denari necessari per acquistarli.
Tentare da ultimo di trovare un risposta alla domanda del perchvenne
costituita questa collezione.
Vanderbilt, Morgan, molti grandi "tycoons" americani sentirono il
bisogno di circondarsi di opere d'arte. Il loro stato un contributo
importante allo sviluppo del mercato e alla diffusione del gusto.
Anche per loro persi pone come per Frick la stessa domanda. Perch lo fecero? Esistono sull'argomento molti studi le cui risposte hanno a
che fare con il modo in cui si formata la moderna borghesia. Una
delle tesi che per uomini immersi ogni giorno nella prosaicit
nella brutalitdel mondo economico e della produzione, per gli
spietati combattenti del profitto, l'arte puaver rappresentato un
aiuto a capire la realt uno strumento per contraddirla o
giustificarla, in ogni caso un modo per placare la loro inquietudine
migliorandone l'equilibrio interiore. Con il passare del tempo,
sostiene Thomas Nipperdey nel suo "Come la borghesia ha inventato il
moderno", l'arte diventata spesso un punto di riferimento importante
per tutti coloro che le si accostano, dai pragmatici uomini d'affari
ai borghesi colti, dai sobri impiegati alle donne sensibili e giovani,
finendo per rappresentare uno strumento essenziale per
l'interpretazione del mondo, una parte fondamentale della stessa
vita.
Nessuno pudire se anche per Henry Clay Frick furono queste le motivazioni, consapevoli o no, che lo spinsero al collezionismo. Forse bisogna privilegiare ragioni pigrezze: la brama di possesso, per esempio. O pibanali, il desiderio di imitare ciche aveva visto fare agli uomini di successo che
Aveva conosciuto, da Morgan allo stesso Carnegie. Forse Frick era stato
contagiato da quelle teorie secondo le quali per ogni persona
"istruita" (a cominciare dai tempi di Kant e Schiller) l'arte un
elemento indispensabile per penetrare nel mondo, nella vita e in se
stessi, per cui il gioco delle arti si trasforma, per l'uomo colto, in
un elemento fondamentale della sua vita. O forse l'amore per il
collezionismo va semplicemente ricercato nella sua giovanile passione
per il disegno poi annegata nel lavoro e nel desiderio di guadagno.
Certo se il collezionismo d'arte stata una sua passione, l'altra
fu certamente il guadagno. Nelle sue memorie del 1935 (Farewell to
Fifth Avenue), Cornelius Vanderbilt jr ricorda che "nessuno dei nostri
ospiti menzionava la parola dollari con la frequenza di Frick". Se lo
afferma un Vanderbilt possiamo crederci.
Per tutta la vita Frick ha dimostrato un attaccamento iperbolico
agli interessi dell'azienda, fosse di sua proprieto affidata alla
sua direzione. Questo tratto lo distingue anche se si tratta d'una
caratteristica non rara negli uomini che fondarono il sistema
capitalistico. Il grande economista e uomo politico Walter Rathenau,
che pure era un idealista (fu tra i fondatori del Partito democratico
tedesco, assassinato nel 1922), sosteneva che per quanto possa essere
disinteressato a titolo personale, l'imprenditore condannato
comunque all'aviditdel guadagno dal meccanismo stesso della sua
attivit poich"ciche lo occupa in realtl'interesse
dell'azienda. L'oggetto sul quale il commerciante accumula
preoccupazioni, orgoglio, desideri, la sua impresa". La floridezza
di un'impresa legata al guadagno, cioall'esistenza di un utile.
L'imprenditore che vuole la prosperitdella sua azienda "costretto"
a cercare il guadagno.
Benjamin Franklin, il filosofo borghese per antonomasia, l'inventore
del detto "Time is money", creuna specie di decalogo del buon
imprenditore nel quale dettava lapidario una formula "industry and
frugality", e consigliava lapidario una formula alchemica per il mondo
moderno: "Get what you can and what you get, hold / 'tis the stone
that will turn all your lead into gold": prendi ciche puoi e ciche hai
preso tieni, ecco il fondamento che trasformertutto il tuo piombo in oro.
Perfino un uomo come Andrew Carnegie sentiva il peso di questa
dannazione del profitto. Ripeteva: "Speriamo sempre di non aver pi bisogno d'ingrandirci; ogni volta ci accorgiamo che rinunciarvi
significherebbe fare un passo indietro".

Una delle doti principali di Frick stata la razionalit vale a
dire l'amore, in lui ossessivo, per l'organizzazione del lavoro e dei
rapporti; tutta la sua attivitne stata guidata. La razionalit d'altronde uno degli elementi fondanti dello spirito capitalistico,
l'imprenditore dev'essere in primis un buon organizzatore, poichla
sua opera implica sempre la collaborazione degli altri e la
subordinazione di altri alla sua volont
Si puquindi immaginare facilmente quanto lo disturbasse l'azione
sindacale con le alterazioni che comportava e i disordini di ogni
tipo, da quelli nelle strade a quello, forse ancora pipericoloso,
nelle strategie produttive. Naturalmente per comportarsi come si
comport e cioin modo spesso delittuoso, l'uomo dovette anche
essere quasi privo di una qualunque sensibilitsociale e umana. Non
aver capito che i suoi operai non potevano resistere nelle infernali
condizioni in cui erano costretti, non tentare di fare il possibile,
come altri capitalisti fecero, per alleviare almeno i maggiori tra
quei disagi, fu sicuramente la pigrave delle sue colpe. Coscome fu
la sua ottusitpolitica a non fargli vedere che, adeguandosi con pi perspicacia all'evoluzione dei tempi, avrebbe giovato all'azienda e
salvato la sua immagine.
Nel fondamentale studio di Werner Sombart sullo sviluppo e le fonti
dello spirito capitalistico ("Il borghese") ci sono alcune righe che
si adattano perfettamente al protagonista di questo capitolo e ne sono
anzi il ritratto: "L'uomo economico moderno giunge alla follia perch attratto e trascinato nel vortice dell'attiviteconomica. Egli non
pratica una virt ma segue una coercizione. E' il ritmo dell'attivit che decide il ritmo della sua vita. Non puabbandonarsi alla
pigrizia, come non puabbandonarvisi l'uomo che lavora a una
macchina".
In questo, e solo in questo, Henry Clay Frick fu uguale alle
migliaia di operai che impiegnelle sue aziende e che sfruttfino
all'ultima stilla di sudore e all'ultima lacrima.

A questo punto il capitolo potrebbe chiudersi, se chi scrive non
sentisse il bisogno di girare al lettore la domanda che continuamente
gli si presentata durante la sua stesura. Frick morto da tanto
tempo che perfino a New York pochi ricordano chi fu e che cosa fece.
Il tempo trascorso ha sbiadito i lutti, le tragedie, la somma di
sofferenze causate da quest'uomo. Le opere da lui collezionate invece
restano. Al prezzo modesto di un biglietto d'ingresso chiunque pu ammirarle e nutrirsene. La domanda allora quale dei due termini
conta di pinella difficile equazione di questa vita, le lacrime o la
bellezza?



V - A New York c'anche il mare

Raramente si pensa che, geograficamente parlando, Manhattan un'isola. Molti lo dimenticano perchil mare c'ma, proprio come
accade per i trucchi, non si vede. Soprattutto non si sente. I
newyorkesi ci sono abituati, agli europei in genere fa impressione. A
Napoli e a Marsiglia, ma anche a Londra o ad Amburgo, la vicinanza del
mare si sente, si sentono l'acqua, il suo movimento, il suo odore. A
New York non succede. Lo scrittore francese Albert Camus stato tra i
primi a scrivere di questa anomalia: "Talvolta, al di ldei
grattacieli, il grido di un rimorchiatore ti raggiunge nell'insonnia e
ti fa ricordare che questo deserto di ferro e cemento un'isola". Il
mare a New York stato ucciso dal rombo della citt dalla foresta
pietrificata degli edifici, dal frenetico pulsare che anima le strade.
Eppure esistono a Manhattan i luoghi dedicati al mare o che lo
evocano, il Battery Park, per esempio, il piccolo giardino
all'estremitmeridionale dell'isola. La Batteria richiamata dal nome
era in origine una fila di cannoni posti a difesa della citt Dal
Battery Park la vista spazia sulla baia, le sue isole, la statua della
Libert il lontano ponte dedicato a Giovanni da Verrazzano, i flussi
delle maree, la distinte acque dei due fiumi, l'Hudson a occidente,
l'East River dal lato opposto.
Ma se la Battery il luogo marino pia portata di mano, altri ne
esistono d'intensitmaggiore, piricchi di memoria. Uno di questi
luoghi si chiama Red Hook, capo rosso, nome derivato dall'originale
olandese Roode Hoek, un saliente costiero
rosso alla base, forse per la natura del suolo o per i mirtilli
palustri dei suoi antichi acquitrini. Anche la strada che vi porta ha
un nome olandese, Van Brunt Street (la percorre un bus, il B61). Red
Hook si trova all'estremitmeridionale di Brooklyn ed stata a lungo
una zona malfamata, abitata per lo pida irlandesi e da italiani.
Nelle sue stradine Al Capone ricevette il colpo di lama sul volto che
gli valse per il resto della vita il soprannome di "Scarface", lo
sfregiato.
Il paesaggio intorno quasi completamente in rovina, segnato dai
ruderi di vecchi magazzini, da carcasse smangiate dalla salsedine, da
un bacino di carenaggio semidistrutto (Erie Basin) con i piloni
residui e le passerelle che sorgono rugginose dal mare. Proprio l dove batte fiaccamente la risacca, nei Todd Shipyards, venivano
costruiti durante l'ultima guerra i mezzi anfibi che servirono agli
sbarchi alleati in Europa, dalla Sicilia alla Normandia. Red Hook
conserva, nella rovina, con il vento che a tratti fischia tra le basse
erbe, l'impronta forte del passato, e in un cittche ciclicamente si
autodistrugge questo uno dei pochi posti in cui si vede e si sente
con forza la presenza del mare.
Dall'estremitdi Van Brunt Street, si protende verso sud un molo
dal quale l'acqua si puaddirittura toccare, piccole onde vengono a
frangersi sulla scogliera artificiale che lo protegge e in quelle
acque, d'estate, i bambini vanno a fare il bagno, come succede nei
paesi del Mediterraneo. Al centro del molo sorge una lunga costruzione
la cui facciata interrotta da una serie di portoni chiusi da imposte
di ferro nero. Alcuni locali, restaurati, ospitano botteghe artigiane.
Mentre mi accingevo a raggiungere il pontile la radio della macchina
ha cominciato a trasmettere "Appalachian Spring" di Aaron Copland, uno
dei massimi musicisti americani del Novecento. Avevo il mare davanti e
intorno la musica di Copland. Pipoema sinfonico che balletto, la
composizione racconta di due sposi che fondano in Pennsylvania una
nuova fattoria. Non c'era quasi rapporto tra ciche avevo davanti
agli occhi e le sensazioni che Copland voleva esprimere. Eppure, per
ragioni misteriose, quella musica nella sua mescolanza di genialitformale
e di semplicitpopolare sembrava in quel momento cosadatta, cosstruggente, cosamericana.

Tra i bambini che tanti anni fa andavano a pescare e a fare il bagno
in quelle acque ce n'stato uno eccezionale, si chiamava Walt
Whitman. Sarebbe diventato il "bardo americano", il vero poeta di New
York, l'uomo che ne ha cantato tra l'altro anche il mare:

Al largo, sopra navi con cabine,
L'immenso azzurro d'ogni lato esteso
Fischio di venti, musica delle onde, le vaste onde imperiose.

Personaggio quasi di leggenda, Whitman ha attraversato l'Ottocento
(1819-92) lavorando senza interruzione su una sterminata raccolta di
poesie il cui titolo "Leaves of Grass", "Foglie d'erba". Il padre operaio, la madre, quacchera di origine olandese, praticamente
analfabeta. La coppia ha nove figli, due dei quali minorati mentali,
Walt il secondogenito. Il padre, Walter, era nato il 14 luglio 1789,
il giorno stesso in cui a Parigi con la presa della Bastiglia
cominciava l'era moderna. Per vivere fa il carpentiere, ma la sera a
casa legge Tom Paine, il profeta della Rivoluzione americana. A
Brooklyn Walt frequenta le scuole pubbliche ma smette presto, ha
imparato poco o niente, per il resto fartutto da solo. Il suo
aspetto fisico non bello: un giovane alto e pesante, pernon
forte come avrebbe voluto, anzi alcuni testimoni notano qualcosa di
fine in lui, di delicato e quasi femminile, una caratteristica che
sembra molto incongrua in quel ragazzo. Walt ha palpebre spesse e uno
sguardo, come lo rimandano i suoi ritratti, piuttosto opaco che
Emerson definisce "terribile". Per tutta la vita ami bagni di mare,
la buona cucina, gli abiti di buona fattura che concedono qualcosa
alla ricercatezza, anche se, per il colore, scelse invariabilmente il
grigio.
Non ancora adolescente Whitman comincia a lavorare come tipografo e
quasi tutta la vita spendernelle tipografie e nei giornali. In certi
periodi di magra si farcarpentiere come suo padre, ma saranche, e
per pivolte, direttore di giornali a New York e altrove negli Stati
Uniti, da New Orleans fino ai grandi laghi.
Ormai vecchio e semiparalizzato riuscirquasi a mettere
in pratica il suo sogno di attraversare il continente, arrivando fino
in Nevada.
La prima edizione di "Foglie d'erba" (1855) un fallimento. Il
libro molto sottile, contiene una lunga prefazione in prosa e dodici
poesie senza titolo. Al posto del nome dell'autore figura un ritratto
di Whitman in abiti da operaio, la camicia aperta sul collo, una mano
in tasca e un cappello a tesa larga buttato spavaldamente
all'indietro.
Walt canta la natura e le cittdell'America, canta la potenza, la
modernit l'estensione, gli orizzonti senza limiti, il pulsare delle
macchine, canta la societnuova che vede nascere, gli uomini che la
stanno forgiando. E' un poeta democratico non nel senso politico del
termine, ma nella predilezione per l'uomo comune, di cui si sente
fratello, e che considera il vero protagonista del tempo, l'anonimo
eroe del nuovo mondo americano:

Canto il se stesso, una semplice e distinta persona,
Ma dico pur Democratico e dico pure In massa.

Il poeta ha rimaneggiato infinite volte la sua opera e non si pu dire che "Foglie d'erba" sia una raccolta totalmente coerente. Eppure
un nucleo centrale forte resta ed pienamente visibile, perch Whitman coglie l'originalitdell'America, patria della democrazia,
terra delle individualitlibere e nello stesso tempo prima societdi
massa del pianeta.

Sento l'America cantare, i vari canti io sento,
Quelli degli operai, ciascuno canta il suo come dev'essere, forte e
giocondo,
Il falegname canta, mentre misura l'asse o la trave,
Il muratore canta, mentre va al lavoro e ne torna,
Il battelliere canta ciche gli appartiene sul battello,
Il marinaio canta sul ponte del piroscafo...

Questa polifonia di canti che Whitman sente "forti e melodiosi" sono
la voce possente dell'America che lavora e produce. Il poeta non pu risalire alla memoria di un passato che non esiste, canta perla
grandezza operosa di un presente con il quale si prepara l'avvenire.
Alla necessitdi possedere anche un "passato" il poeta tornernei suoi anni maturi. Intanto vuole essere letto e capito da tutti, lavorare per tutti e
anche per questo spezza ogni tradizione metrica e letteraria, scrive versi
che hanno l'andamento di quelli della Bibbia, lascia parlare nei suoi
versi l'America, i suoi uomini e le sue donne, i paesaggi
incontaminati, le cittpiene di movimento e di fumo.

Ma Whitman anche - e forse dovrei dire soprattutto - il poeta di
New York. Da ragazzo vive e lavora nella parte di Brooklyn che
affaccia verso Manhattan e si chiama Brooklyn Heights, le alture di
Brooklyn. Non c'nemmeno oggi vista migliore, soprattutto nel primo
mattino, con il sole ancora basso che accende il profilo fiabesco
dell'isola, gli archi gotici del ponte di Brooklyn, le due altissime
torri gemelle, il Battery Park, i moli verdi di antico metallo per
l'attracco dei traghetti, il calmo fluire dell'East River in primo
piano, sullo sfondo le coste del New Jersey, a sinistra la lontananza
azzurra di Staten Island. La baia di New York quasi per intero
davanti agli occhi di chi si affaccia dalla passeggiata di Brooklyn
Heights, sotto la quale romba la veloce autostrada per Queens. Se c' un posto dove far risuonare mentalmente il Largo maestoso e presago
della sinfonia detta "Dal Nuovo mondo" di Antonin Dvor跮, questo.
Whitman ha lavorato come tipografo e giornalista in una delle brevi
strade tranquille che si aprono subito alle spalle e hanno gentili
nomi arborei: arancio, ananas, salice, mirtillo. Ai tempi della sua
giovinezza il ponte di Brooklyn ancora non c'era (sarinaugurato nel
1883) e a Manhattan si andava con il traghetto che il poeta prendeva,
riempiendo gli occhi del paesaggio mutevole ed eterno tra le due
rive:

Io pure innumeri volte attraversai il fiume ai miei tempi,
Osservai i gabbiani del mese duodecimo, li vidi alti nell'aria
fluttuare su rigide ali, facendo oscillare il corpo,
Vidi la luce brillante, dorata, illuminare una parte dei corpi,
lasciando l'altra in una forte ombra,
Li vidi tracciare lenti giri e gradualmente spostarsi a sud,
Vidi il riflesso del cielo d'estate sulle acque,
Ebbi gli occhi abbagliati dalla scia luminosa dei raggi,
Guardai i bei raggi di luce partirsi centrifughi dall'ombra della
mia testa sull'acqua,
Guardai le colline velate a sud e a sud-ovest,
Guardai il vapore disperdersi in bioccoli tinti di viola,
Guardai verso la baia inferiore, per osservare i vascelli in
arrivo,
Li vidi avvicinarsi, distinsi le persone a bordo di quelli che mi
passavano accosto,
Vidi le bianche vele di golette e scialuppe, vidi le navi
all'ormeggio,
I marinai al lavoro tra le sartie o a cavalcioni delle antenne...

Tutto questo e altro ancora vede Walt Whitman mentre attraversa
l'East-River sul ferry che lo conduce a Manhattan. Lo incanta, della
sua citt la commistione strana tra le costruzioni sempre piardite
degli uomini e la natura che, dove pu sopravvive intatta, come le
grandi praterie, le immense sequoie, gli oceani o le catene innevate
dei monti, a cominciare dai vicini Allegheny. Nelle strade di
Manhattan, l'isola che lui chiama con l'originale nome indiano di
Mannahatta, il poeta s'arresta, osserva l'eterno viavai dei passanti,
il flusso dei partenti, i nuovi immigrati carichi di stracci, appena
giunti dal Vecchio mondo, guarda tutto questo e si sente attraversato
da sentimenti possenti che diventeranno la mistica sociale, il senso
di universale solidarietumana che segna la sua poesia. Ma dietro gli
uomini e le donne, Whitman non dimentica mai la cittche li nutre e
li ospita e quel mare dal quale il profilo di New York si leva
maestoso:

Alta, circondata di piroscafi, moderna, americana, eppure
stranamente orientale, Manhattan a forma di V, con la sua massa
compatta, le sue guglie, i suoi edifici raggruppati nel mezzo, che
paiono toccare le nubi - il verde degli alberi, e tutto il bianco, il
marrone, il grigio dell'architettura elegantemente commisti, mi pare,
sotto un miracolo di limpido cielo, di luce deliziosa, che piove
dall'alto, e questa nebbiolina di giugno che ne vela la superficie.

Oppure New York piena di gente e di vita, di uomini e di donne con i
quali confondersi, come in questi versi che cito in inglese, prima di
darne una libera traduzione, perchse ne colga la metrica robusta, la
nervatura della lingua:

The beautiful city, the city of hurried and sparkling waters!
The city of spires and masts!
The City nested in bays! My City!
The city of such women, I am mad with them! I will return
After death to be with them!
The city of such young men, I swear I cannot live happy without
I often go talk, walk, eat, drink, sleep with them.

"La bella citt cittdi forti acque scintillanti, cittdi guglie
e di alberi maestri, cittannidata nelle sue baie, la mia citt Citt di tali donne che sono pazzo di loro e per stare con loro torner
anche dopo morto! Cittdi tali giovani che non posso vivere lieto, lo
giuro, senza parlare, passeggiare, mangiare, bere, dormire per quanto
potr con loro!"

Attraversa la poesia di Walt Whitman un'evidente omosessualitche
non va ntaciuta nsopravvalutata. Tante delle sue effusioni
affettuose o addirittura erotiche fanno parte di un processo
conoscitivo che il poeta esprime anche attraverso la sessualite la
seduzione, mentale o fisica. Il poeta di New York vicino sia allo
spiritualismo di Ralph Waldo Emerson (che non a caso fu tra i primi a
riconoscerne la grandezza) sia a una concezione quasi pagana dell'atto
d'amore, della penetrazione fisica, della fecondazione descritta nei
suoi crudi termini animali.

Sono io, voi donne, sono io che m'apro un cammino,
Io sono severo, aspro, grosso, rigido, ma vi amo,
Non vi faccio del male pidi quanto non sia necessario.
Vi verso la materia per fabbricare figli e figlie degne di questi
Stati,
Io vi premo con un lento muscolo duro,
Mi irrigidisco efficacemente, non bado a suppliche,
Npenso a ritrarmi prima d'aver deposto ciche a lungo s'in me
accumulato.

Questa poesia, che s'intitola "A Woman Waits for Me", una donna
m'aspetta, appare nella seconda edizione del suo libro (1856) e
suscitcome si puimmaginare scandalo, anzi un tale scandalo che i
suoi editori, dopo averne venduto, pare, un migliaio di copie decisero
di non occuparsi pidel libro.

Non posso lasciare Walt Whitman, grande irregolare della poesia,
facitore di ritmi, tessitore di immagini, cantore dell'America
e di New York, figura tutto sommato solitaria, senza ricordare una
bellissima impressione della natia Long Island (che lui chiamava
Paumanok, usando anche in questo caso il nome indiano). Prima per voglio citare, perchnon facendolo mi sembrerebbe di defraudare il
lettore, almeno i versi iniziali di quello che forse il suo
capolavoro, un componimento scritto in memoria di Abraham Lincoln dopo
il suo assassinio che avvenne il 15 aprile 1865, in primavera.
S'intitola "When Lilacs Last in the Dooryard Bloom'd" - Quando i lill per l'ultima volta fiorirono davanti alla porta:

Quando i lillper l'ultima volta fiorirono davanti alla porta,
E la gran stella a Ponente si tuffpresto nel buio,
Io presi il lutto, che rinnoverogni volta che torni primavera.

Primavera che sempre ritorni e sempre mi rechi una trinit
I lillche sbocciano perenni, la stella che tramonta a Ponente,
Ed il pensiero di colui che amo.

L'isola di Long Island, che comincia si pudire a Brooklyn, lunga
centoventi miglia, quasi duecento chilometri, finisce con due bracci
di terra che, a tenaglia, racchiudono una baia. Nel mezzo c' un'isola, chiamata Shelter Island perchnelle sue coste frastagliate
trovava rifugio chiunque ne avesse bisogno e che vale una visita
perchrimasto un perfetto e incantato angolo di New England. La
punta meridionale della forchetta quella che pisi protende
nell'oceano verso oriente. Alla sua estremit Montauk Point, c'un
faro. Per chi arrivava New York via mare, un'esperienza che anch'io
moltissimi anni fa ho provato, il faro di Montauk era la prima luce
del nuovo mondo che veniva incontro al viaggiatore. La sua luce
compariva in piena notte, intermittente e lontana, bassa
sull'orizzonte, appena distinta dalle acque nere dell'oceano.
Annunciava che all'alba si sarebbe giunti allo stretto sormontato dal
ponte da Verrazzano che segna l'ingresso nella baia di New York. Walt
Whitman esplorLong Island in lungo e in largo, spesso a piedi, ne ha
lasciato descrizioni in versi e in prosa nelle quali compare spesso il
mare: l'oceano sul lato sud, il Sound sul versante opposto, verso il
Connecticut. Tra i tanti suoi scritti ne ho scelto uno, pochi versi,
che s'intitola proprio "Dalla punta di Montauk" e vuole essere un congedo da questo grande e disordinato artista nel nome dello stesso mare dal quale
questo capitolo cominciato:

Ritto come sul rostro d'una qualche aquila immane,
Volto ad oriente, il mare guato, assorbo (nulla se non cielo e
mare)
Le onde commosse, la spuma, le navi lontane,
Furia selvaggia, ricciuta di creste canute - l'incalzare delle onde
che verso riva s'avventano,
Sempre cercando la riva.

C'un altro luogo a Manhattan che richiama da vicino il mare
invisibile. Si chiama South Street Seaport, un luogo strano, un po'
museo, un po' attrazione turistica, un po' luogo di commerci e di
scambi, ciovero, funzionante, anche se gli scambi sono in parte
clandestini. Tra quelli che avvengono alla luce del sole c'per
esempio un fiorente mercato del pesce, come si pusentire nell'aria
appena arrivati in zona. Il Seaport stato definito un "museo senza
mura". Ricordo benissimo quando, trent'anni fa, era ancora un luogo
in pieno abbandono del Lower Side, in riva all'East River: macerie di
vecchi edifici, finestre malamente murate, tracce di incendi, terreni
vaghi pieni di rifiuti, una delle tante zone derelitte della citt
Oggi il molo si presenta restaurato benissimo, ha un'aria piacevole,
semmai fin troppo linda: piccoli caff negozi che vendono souvenir,
ristorantini sul fiume con vista panoramica sul ponte di Brooklyn.
Accanto al molo sono attraccati due o tre vecchi brigantini, scafi a
vela dalle alte alberature che si stagliano contro le facciate dei
grattacieli retrostanti, con un effetto ovviamente voluto, ma
ugualmente bello. Tutto l'insieme vuole ricordare che proprio l
all'estremitdi Fulton Street, rimasto per molti anni il cuore
delle attivitmarinare e mercantili di New York. Al contrario dei
grandi transatlantici della nostra era che avevano (e in piccola parte
ancora hanno) i loro moli d'ormeggio dalla parte opposta, cio sull'Hudson, i velieri dei secoli scorsi preferivano attraccare alla
sponda dell'East River, che durante l'inverno era maggiormente al
riparo da possibili blocchi di ghiaccio portati dalla corrente e dai
prevalenti venti di ponente.
Al South Street Seaport viene incontro la memoria di un altro
scrittore di New York, uno dei massimi: Herman Melville, l'autore di
"Moby Dick", il grande visionario che ebbe una vita come divisa in due
parti: errabonda la prima, fino ai limiti dell'avventura e
dell'azzardo, e poi una seconda fatta di abitudini e di memorie, quasi
sedentaria. E' a posti come questo che Melville pensa quando,
all'inizio del suo capolavoro, scrive:

Eccovi dunque la cittinsulare dei Manhattanesi circondata da
banchine, come le isole indiane da scogliere di corallo: il commercio
la cinge con la sua risacca. A destra e a sinistra le vie vi conducono
al mare... Andate in giro per la cittin un sognante pomeriggio di
sabato. Che cosa vedete? Fissi, come sentinelle silenziose, stanno
migliaia di mortali perduti in fantasticherie oceaniche. Alcuni
appoggiati a una palizzata, altri seduti sulle testate dei moli, altri
che guardano oltre le murate di navi che provengono dalla Cina e altri
in alto, nell'attrezzatura, come se si sforzassero di gettare
un'occhiata ancor pivasta verso il mare.

Al tempo di Melville, New York era un porto atlantico come tanti
altri, Boston, Baltimora, Charleston; non aveva ancora acquistato la
supremazia e la fama che gli daranno pitardi le navi passeggeri e i
milioni d'immigrati. Giallora perFulton Street era una delle
strade principali che portavano al mare e Melville sicuramente la
percorse pivolte e in questa zona fitta di scafi all'ancora e di
alberi appena mossi dalla placida corrente del fiume, si sofferma
progettare il prossimo imbarco. I suoi romanzi sono pieni di
riferimenti autobiografici, nascono dalle sue esperienze, le
descrivono anche se a un livello sempre pielaborato di
trasfigurazione. Proprio in una delle pagine iniziali di "Moby Dick"
si trova un riferimento molto riconoscibile ldove il protagonista
riferisce di quanto sia duro imbarcarsi come marinaio semplice su di
un veliero dopo essere stato un rispettato maestro di scuola, e
specialmente "se questa persona discenda da una delle vecchie famiglie
del paese, i Van Rensselaers o i Randolphs o gli Hardicanutes"; poi
aggiunge: "E' forte il passaggio, ve l'assicuro, da maestro di scuola
a marinaio".

Herman Melville era nato il 1.o agosto 1819 al numero 6 di Pearl
Street, quasi all'angolo con State Street, poco lontano dal luogo in
cui ci troviamo. Pearl Street una volta si trovava sulla
riva del fiume e aveva preso il nome dal bagliore opalescente dei
gusci di conchiglia che ne punteggiavano la proda. Il padre di Herman,
Allan, discendeva da una famiglia di mercanti d'origine scozzese che
trafficavano con l'Europa; la madre, Maria Gansevoort, veniva invece
da una famiglia calvinista olandese della ricca borghesia terriera.
Peter Gansevoort, padre di Maria e nonno dello scrittore, era un
imponente generale alto pidi un metro e novanta, combattente nella
guerra americana per l'Indipendenza durante la quale era diventato
quasi un eroe.
Il lascito principale di questi antenati era stato per Herman una
certa agiatezza, finchdur il coraggio personale, anche in senso
fisico, di cui darpivolte prova e l'aspetto gradevole e fiero: a
ventun anni era alto un metro e settantasei. Un ritratto dell'et matura ne mostra la bella fronte spaziosa, il piccolo naso diritto, le
labbra piene, mobili, i piccoli occhi verdeazzurro, i folti capelli
castano scuro e una fluente barba quadrata. La sua era insomma non
solo una vecchia famiglia residente ma anche, da entrambi i lati,
nobilesca. I suoi genitori ebbero, secondo il costume del tempo, otto
figli, Herman era il terzogenito.
Ci sono perdei rovesci di fortuna e quando suo padre muore
precocemente anche Melville, come Whitman, deve interrompere gli studi
e mettersi a lavorare quando ha appena compiuto quindici anni. Un suo
zio gli trova un posto alla New York State Bank, mestiere provvisorio
al quale molti altri seguiranno come per esempio quello, piuttosto
buffo, di commesso nel negozio di cappelli di un altro zio o come
quello di maestro elementare, impegno per il quale, stato scritto,
"occorrevano a quei tempi pimuscoli che erudizione".

Nella prima metdel XIX secolo New York piun grande borgo che
una vera cittcome ce ne sono in Europa. Certo non Roma, che allora
era decaduta quasi al rango di villaggio, le vere metropoli sono citt come Parigi e Londra di cui nelle varie province tutti sognano,
Melville compreso. Anche gli Stati Uniti d'altronde cominciano appena
a esistere e quasi solo come un'astratta entitpolitica che s' guadagnata l'indipendenza ma ancora lontana dalla conquista, tanto piimportante, d'una compiuta identitnazionale.
Perchsi pudire che New York ancora piborgo che citt Eppure
i suoi traffici marittimi cominciano a farla salire ai primi posti per
movimento di merci; un'agiatezza di livello europeo conforta le
famiglie dei mercanti piintraprendenti; i suoi poveri, quelli che
dormono sotto le tettoie di fronde e d'inverno gelano, assomigliano
agli esclusi e ai reietti di ogni altra cittindustriale in qualunque
parte del mondo; le sue prostitute non sono meno numerose di quelle
parigine e i suoi tagliaborse non meno scaltri di quelli di Londra.
New York ha tutti i requisiti positivi e negativi di una moderna
metropoli, dal censimento del 1820 risulta una popolazione di 123 mila
706 anime, sicuramente sufficienti a farne una vera cittnella quale,
tra l'altro, givedono la luce iniziative commerciali che avranno
l'avvenire dalla loro.
Nei primi decenni del secolo, per esempio, un gruppo di mercanti
quaccheri introduce l'idea che le navi per l'Europa - Europa vuol dire
essenzialmente Liverpool - salpino non quando la stiva colma e il
vento favorevole, come s'fatto fino a quel momento, ma a data certa
e annunciata, quali che siano le condizioni del carico e del tempo.
Innovazione formidabile che segna il futuro dei movimenti di merci e
di passeggeri e nasce, non a caso, nel paese pidinamico e meno
legato a tradizioni vecchie di secoli.
Tutto questo fa dire che New York sta abbandonando la sua condizione
di borgo, anche se le condizioni di vita rimangono per molti aspetti
primitive e nelle sue strade circolano liberamente maiali e altri
animali. Il barone svedese Axel Klickowstrom, che visita la cittun
anno prima della nascita di Melville, cosla descrive nel proprio
diario di viaggio:

New York non pulita come le cittdi rango e popolazione analoghe
in Europa. I regolamenti di polizia sarebbero buoni ma vengono
applicati malissimo. Nelle strade si vedono spesso cani e gatti morti
che rendono l'aria pestilenziale. Si usano gettare direttamente in
strada polvere e ceneri che vengono spazzate se no ogni quindici
giorni se non una volta al mese. L'acqua potabile pessima e
salata...

Ma non nemmeno la cattiva applicazione dei regolamenti
urbani che rende New York inadeguata allo status di vera citt Ci che soprattutto le manca rispetto a Londra e a Parigi un'autentica
vita creativa. Si possono certo fare nomi anche di prestigio come
quelli di Washington Irving o di Fenimore Cooper, ma bisogna arrivare
a scrittori come Whitman e Melville per poter dire di uomini che si
siano dedicati per intero alla vita creativa. Questi due scrittori
hanno insomma, tra gli altri meriti, quello di aver completato la
fisionomia urbana della loro citt

Non semplice cercare di capire che cosa abbia spinto un ragazzo
della buona borghesia, anche se momentaneamente decaduta, ad
affrontare la durezza della vita per mare e la condizione di semplice
marinaio. Insofferenza, spirito d'avventura, disagio per la vita in
famiglia, senso della sfida, voglia di completare con le proprie forze
il carattere, tutti elementi plausibili che pernon rispondono per
intero alla domanda. Durante gli anni dell'adolescenza Herman ha
conosciuto una vita casta e pulita, gli agi della borghesia, le
inquietudini di ogni giovane intellettuale; a bordo lo aspettano i
tavolacci del castello di prua dov'alloggiata la bassa forza, la
crudeltdi uomini induriti da un mestiere spietato, i cui orizzonti
non vanno in genere al di ld'un bicchiere di rum o del rapporto
fugace con una prostituta. Scrive che certe volte gli capitato, dopo
un turno di lavoro, di gettarsi sul giaciglio completamente fradicio,
per poi alzarsi "fumante come una bistecca".
A bordo d'una nave da guerra anche peggio, Melville vi rischia
l'onta della fustigazione, viene legato, nudo fino alla cintola,
all'albero di maestra sotto gli occhi della ciurma schierata. Riesce a
scansare solo all'ultimo momento quella punizione selvaggia (era
marinaio a bordo della fregata "United States") perchun caporale dei
marines testimonia con convinzione che nessuna gli ha comunicato la
consegna della cui violazione accusato.
Una volta Herman disse che sua madre "l'aveva odiato". Chissse vero; possibile, forse perMaria Gansevoort s'era
semplicemente dedicata piai fratelli piccoli che a lui - si sa come
vanno certe cose.
In definitiva sappiamo solo che un giorno decise di andare, spinto
da un bisogno o da una sofferenza piforti di lui. Nel suo romanzo
"Redburn" scrive: "Non mi si parli dell'amarezza della mezza ete
della vita eterna, un ragazzo pusentire questo e altro quando la
muffa sia caduta sulla sua giovane anima, e quel frutto che in altri
viene distrutto solo dopo la maturit in lui venga fulminato in
boccio. Mai pisi potrriparare al danno; i veleni corrodono in
profondit. Aggiunge uno dei suoi biografi: "Non fuggdi casa, in
realtcon la mente se n'era gistaccato". Ma egli stesso dice di s
"Una nave baleniera fu la mia Yale e la mia Harvard".
Prima un legno diretto a Liverpool, poi la baleniera. Herman
Melville fa a tempo a conoscere il momento in cui le balene
rappresentano ancora un bene che vale la pena di cacciare con
trasferte che possono durare mesi e anni, a rischio della vita. Di l a poco l'utilizzazione del petrolio fornirun'alternativa economica
all'olio di balena, mentre la produzione di acciaio flessibile
rimpiazzerle stecche nei busti delle signore. Melville conosce il
momento eroico della balena, ma quel momento scivola via velocemente.

La sua vita amorosa resta misteriosa e delicata, come se lo sviluppo
emotivo e sessuale di Herman avesse sofferto d'una frattura. Le sue
prime esperienze sono legate a situazioni di vizio, di degradazione
maschile e femminile, di malattie veneree. Per sua madre o per le
sorelle puaver provato un attaccamento di tipo incestuoso. A Taipi,
come scrive in uno dei suoi picelebri romanzi, ha una lunga e
voluttuosa relazione con Fayaway, la bella polinesiana senza tab insieme alla quale vaga pigramente in canoa e mangia frutti che per
essere colti richiedono la sola fatica di alzare una mano. Poi fugge
dall'isola e chissquante volte avrrimpianto quella decisione.
Forse anche lei ha rimpianto il suo "Pinkerton", piccola Madama
Butterfly dei mari del Sud. Un viaggiatore americano, Henry Augustus
Wise, qualche tempo dopo scrive d'aver incontrato una bruna ragazza di
Taipi, di nome Fayaway, impiegata come cameriera presso il comandante
francese della guarnigione di Nukuheva.

Taipi rappresenta una parentesi di desiderio innocente che Fayaway capace di soddisfare con la semplicitdegli atti naturali. Possiamo
credere che sua moglie Elizabeth, paziente e affettuosa, fosse timida
di temperamento e tiepida come amante. In Herman resta l'impulso, si
abitua semplicemente a spegnerlo. Uno degli episodi pimisteriosi
accade durante il suo viaggio in Italia di ritorno dal Medio Oriente.
La sua poesia "After the Pleasure Party", che pubblica solo in
vecchiaia, contiene trasparenti allusioni alla sensualit Tutto si
svolge in un giardino italiano durante una stellata notte estiva. Dopo
pranzo una donna lo conduce dolcemente a passeggio, scaldati entrambi
dal vino, lungo i margini di boschetti odorosi, e in una radura "il
Fato tese un'imboscata d'amore". Accade qualcosa, la scintilla scocca,
lo scrittore si sente invaso da una fiamma, s'accende di passione. Ma
tutto invano. Non si capisce se lei a respingerlo o se egli stesso
urta contro un'insormontabile resistenza interna. Lo slancio finisce
cos cioin niente, con la vergogna di essersi scoperto piche
davanti a lei, al proprio stesso sguardo.
In "Pierre", romanzo ampiamente autobiografico, scrive: "Non c' fede nstoicismo nfilosofia che un mortale possa evocare, i quali
siano in grado di reggere alla prova ultima qualora la Vita o la
Passione sferrino un loro attacco davvero violento. Allora tutta la
bella filosofia o la Fede - fantasmi che egli evoca dalle nebbie -
scivolano via e spariscono come gli spiriti al canto del gallo". E' la
bella dama italiana mancata compagna d'una notte, o una donna come
lei, che detta righe coscrudamente sconsolate.

Dopo "Moby Dick", Melville non piuno scrittore di successo. Il
pubblico volubile, lo sappiamo, ha amato l'autore d'avventure,
l'americano che andato nei mari del Sud, vissuto tra i cannibali,
gli uomini che si cibano del "delizioso maiale lungo" (saremmo noi,
gli esseri umani), che ha trasformato le sue esperienze in romanzi
avvincenti. La sua fama si fonda su libri come "Taipi" o "Omoo", pochi
capiscono perchpoi si sia messo a scrivere libri densi, sgradevoli,
difficili, pieni di riferimenti oscuri, tra le cui righe trapela l'inquietante presenza del Male. Il pubblico esige di potersi divertire con le sue storie,
non di esserne rattristato, da lui vuole emozioni, non crucci.
Poi Herman si sposa, ha dei figli, diventa nonno. Gli ultimi anni li
passa in una casa con la facciata di mattoni al numero 104 Est della
Ventiseiesima Strada. In salotto ci sono vecchi mobili di mogano, alti
scaffali marroni, sul muro dell'ingresso appesa una stampa del golfo
di Napoli. La sua stanza ha alle pareti una tappezzeria scura, in
mezzo c'un letto di ferro nero e fuori della finestra un minuscolo
balcone che guarda a sud. Talvolta lo si vede sul quel balcone, su una
seggiola di tela, mentre fuma la pipa stringendo la mano di sua
moglie. E' probabilmente questa la forma d'amore che preferisce.
Lo scrittore che ha visto i mari del Sud ed vissuto tra i
cannibali, che con i suoi romanzi ha contribuito a mitigare i
regolamenti a bordo delle navi da guerra della marina americana,
adesso ispettore alle dogane, un posto umile che riuscira
migliorare solo nel 1885, piche sessantenne, quando diventa
ispettore distrettuale con una competenza "che arriva fin quasi ad
Harlem". Il lavoro ben poca cosa, in compenso gli regala una vita
metodica. Esce di casa ogni mattina, risale Manhattan su uno di quei
tram a cavalli che di la poco saranno sostituiti dalle ferrovia
sopraelevata, entra nell'ufficio dalle cui finestre puvedere
l'acqua, gli alberi delle navi all'attracco, il via vai delle merci
sui moli. Quando una delle sue figlie ha a sua volta dei figli, nonno
Herman gioca volentieri con i nipoti, li porta a passeggio al Central
Park, siede con loro, li prende in braccio, li fa divertire imitando
il fischio del vento quando vortica nel sartiame di una nave...

New York sta cambiando, ormai non c'dubbio di quale sia il porto
atlantico piimportante degli Stati Uniti. Gialla metdel secolo
Manhattan ha piabitanti di Baltimora, Philadelphia e Boston messi
insieme e anche la sua vita culturale, dalla letteratura al teatro,
non ha confronti. Non c'tourn continentale che non cominci da uno
dei suoi teatri.
Nei primi anni Ottanta del secolo cominciato il fenomeno senza
precedenti dell'immigrazione di massa, che in cento anni travaser dall'Europa 35 milioni di nuovi cittadini. Whitman e Melville
assistono a questo sviluppo, protagonisti entrambi, fondatori della
vita creativa della citt questo li rende uguali, tutto il resto li
distingue.

Whitman si accende d'orgoglio e d'entusiasmo, canta New York come
"Il luogo grandioso del continente occidentale, cuore, cervello, punto
focale, fonte, guglia, estremit non-plus-ultra del Nuovo Mondo",
eccola questa immagine nelle sue parole: "New York, the great place of
the Western continent, the heart, the brain, the focus, the main
spring, the pinnacle, the extremity, the no more beyond of the new
World".
Vede il male che abita la citt ma lo percepisce cosintrecciato
al bene che i rispettivi confini non sempre possono distinguersi; li
abbraccia entrambi. Spera che l'America possa diventare il luogo dove
una religione dell'amore rimpiazzi la religione della paura, intende
aprire la via a un'America senza caste e senza classi, dove un'utopia
civile prenda il posto che per secoli stato di Dio. Vuole che la
lotta per la giustizia sociale diventi l'anima del paese, considera
sinonimi America e democrazia, abbreviazioni di una nuova concezione
dell'essere umano e la Dichiarazione d'Indipendenza per lui un'alba
di resurrezione. La parola democrazia, scrive, "una grande parola la
cui storia ... rimane ancora da scrivere, perchquella storia
dev'essere ancora messa in scena". Chi dovrebbe rappresentarla, quella
scena, sono naturalmente gli Stati Uniti, anche se il suo esito non affatto scontato perchla lotta immane: "Gli Stati Uniti" dice
"sono destinati o a superare la sgargiante storia del feudalesimo, o a
provare il suo terribile fallimento".

Melville scruta nel cuore profondo degli uomini e per farlo volta le
spalle a una carriera fortunata. Vede la citte il paese cambiare
sotto i suoi occhi, specie dopo la fine della Guerra civile. Conosce
l'Europa e sa anch'egli come Whitman che in America puinstaurarsi
una nuova forma di democrazia, capace di sfumare i contorni delle classi che
il vecchio continente ha modellato. Ma si rende anche conto che la nuova democrazia americana, stordita dal potere impuro della stampa e dalle urla
dei demagoghi, potrebbe non essere in realtmolto diversa dalle vecchie comunitcredulone del Medioevo.
Un libro dopo l'altro, Melville spoglia il comportamento degli
uomini e il loro cuore dalle tradizioni, dalle pretese morali, dalle
ipocrisie sociali, dalle maschere estetiche fino a mettere a nudo i
bisogni e gli impulsi pioscuri che si agitano nel fondo melmoso di
ognuno. Lo affascina l'esplorazione di questa cavitsotterranea, si
affaccia sull'orlo dell'abisso attirato da un buio primordiale che ha
superato intatto le pretese della civilizzazione e i tentativi di
sublimazione delle religioni. La scoperta lo abbaglia al punto da non
fargli pivedere nulla del resto.
Questo "Moby Dick". La balena, vera protagonista del romanzo, sta
la significare il mistero dell'universo oscuramente riflesso dentro
ognuno di noi. Il capitano Achab, che il mostro bianco degli abissi ha
reso storpio mutilandolo di una gamba, vede "la balena bianca nuotare
dinanzi a lui come l'incarnazione ossessiva di tutte le potenze
malvagie ... Tutto ciche piesaspera e tormenta; tutto ciche
rimescola il sedimento delle cose; tutta la veritche contiene
intenzione di male; tutto ciche spezza il tendine e prosciuga il
cervello; tutto il male, per il pazzo Achab, era visibilmente
personificato e reso praticamente attaccabile in Moby Dick".
L'innocente ragazzo americano ha osato guardare nell'abisso e se n' ritratto sconvolto; ma su una panchina del Central Park, Herman
Melville fa saltare il nipote sulle ginocchia e mentre pensa a tutto
questo, riesce a sorridere.


VI - Quando nacque Broadway

Broadway un'arteria sterminata che percorre quasi per interno
l'isola in diagonale, spostandosi verso ovest e cambiando
continuamente carattere. Il tratto che comincia da Madison Square Park
molto commerciale, nel senso pivivace e disinvolto della parola.
Accanto ai negozi di ogni tipo ci sono banchi sui marciapiede,
venditori volanti, vendite nelle aree di parcheggio. Un supernegozio
Barnes & Noble ma anche "A different Light" (all'altezza della
Diciannovesima Strada), probabilmente la pigrande libreria del mondo
per omosessuali (Gay & Lesbians). Poco lontano da qui, si svolge
durante i fine settimana una grande mercato di antichitall'aria
aperta, mercato delle pulci in senso proprio: infatti piche di
antichitbisognerebbe parlare di ciarpame, anche se, come in tutti i
posti del genere, non mancano a volte le scoperte.
La meta che ci interessa due isolati pia nord, esattamente la
Ventottesima Strada nel tratto compreso tra Broadway e la Sesta
Avenue. In questa breve via, che agli occhi di chi non sa appare
piuttosto anonima, nata Broadway nel senso in cui comunemente la
intendiamo, ciocome culla, patria, dello spettacolo popolare di
massa. Nei decenni a cavallo tra xix e xx secolo questo tratto di
strada era conosciuto come "Tin Pan Alley", pio meno "Viale dei
pentolini", denominazione curiosa che fa parte del folclore e della
memoria cittadini, nata durante una giornata estiva, nella casa
musicale di uno degli innumerevoli editori ebrei che avevano l concentrato i loro uffici.
Faceva un caldo d'inferno, le finestre erano spalancate e attraverso
le finestre entrava il clangore dei tanti pianoforti pestati a tutta
forza da volenterosi arrangiatori in decine di altre case
tutt'intorno. "Senti che chiasso!" dice un piccolo editore di musica.
"Che cagnara, sembra una gigantesca cucina. Sai come si dovrebbe
chiamare questa zona? Tin Pan Alley". Il nome rimasto a lungo e sono
rimasti i fabbricanti di note, uomini capaci di sfornare in poche ore
canzoni complete di parole e musica, adatte a qualsiasi circostanza il
cliente richiedesse.
Quel modo di scrivere, comporre e vendere ha cambiato per sempre il
mercato, e soprattutto ha fatto nascere la musica americana. Ancora
alla fine dell'Ottocento non esisteva a New York una vera tradizione
musicale, si suonavano i motivi folk, le vecchie ballate d'origine
inglese, le melodie elementari legate ai lavori agricoli. Dicono che
tutto cambidopo che Charles K. Harris nel 1892, la sua canzone
"After the Ball", riusca vendere in pochi anni cinque milioni di
copie. Una vera scoperta. La vendita di minime partiture musicali
diventun affare che andavanti fino a quando l'invenzione del
fonografo e del cinema sonoro non spostgli interessi su altri
strumenti di riproduzione. Intanto per"Tin Pan Alley" aveva preso a
denotare non solo un luogo, ma una certa qualitdel fare musica, una
sonorit un modo di orchestrare, una cifra stilistica subito
riconoscibile ovunque nel mondo.

Uno dei musicisti che hanno fondato la canzone americana Irving
Berlin, piccolo ebreo del Lower East Side che ha cominciato come
cameriere-cantante ed riuscito a diventare non solo l'uomo piricco
di tutta la storia della musica popolare, ma anche uno dei piamati.
Quando era in vita - oggi la cosa riguarda gli eredi (fino al 2017) -
ogni volta che in qualche parte del mondo risuonava la melodia fin
troppo zuccherosa di "White Christmas", il suo conto corrente
aumentava di qualche dollaro. Una storia esemplare la sua, che sembra
tratta di peso dal sogno americano nella versione piottimistica. Nel
1925 Jerome Kern, un altro grande musicista d'origine ebraica, l'uomo
di "Ol' Man River" e di "Smoke Gets in Your Eyes", dirdi lui: "Non che Berlin abbia un posto nella musica americana, lui " la musica americana".
Il suo nome di nascita era Israel Baline, nato in Siberia, a Temun,
l'11 maggio 1888, uno degli otto figli di Leah e di Moses, cantore
nella locale sinagoga, figlio e nipote di altri cantori. Temun era un
piccolo villaggio pieno di fango o di polvere secondo le stagioni; gli
animali domestici giravano ovunque fuori e dentro le case e
l'abitazione dei Baline era una specie di grande capanna. Le leggi
imperiali proibivano agli ebrei di possedere la terra, di diventare
funzionari pubblici, di sposare un "gentile", di viaggiare all'estero.
I poteri pubblici s'interessavano a loro solo per arruolarli nella
diffusa specialitdella carne da cannone, purchsenza gradi sulle
maniche. Eppure, quando sarintervistato in etormai adulta, Israel
Baline americanizzato in Irving Berlin dirdi non essersi mai reso
contro dell'abietta povertin cui aveva trascorso la sua infanzia,
anche perchmamma Leah non gli aveva mai fatto mancare un piatto
caldo in tavola e abiti, benchpieni di toppe, sempre puliti.
Tutto sarebbe probabilmente continuato cos almeno fino al 1917,
con il piccolo Israel che cominciava a intonare i primi canti in
sinagoga sotto gli occhi pieni d'orgoglio del vecchio Moses, se un
giorno del 1892 i cosacchi non avessero fatto un'irruzione nel
villaggio menando fendenti dall'alto dei cavalli, tutto bruciando al
passaggio, compresa la grande capanna dei Baline, che in quel momento,
per loro fortuna, erano fuori e assistettero al massacro da una
lontana stradina di campagna. Il pogrom, uno dei tanti, al quale per
caso erano scampati li convinse ad andarsene per sempre. Lo zar
Alessandro III, inquieto per i fermenti rivoluzionari che agitavano il
Paese, usava l'antisemitismo come un diversivo per dirottare altrove
spinte che potevano minacciare il trono.
Ci vollero mesi, sfidando i cosacchi e la polizia perchciche
stavano facendo era proibito, ma alla fine i Baline arrivarono in un
porto e dopo altri trenta giorni di mare all'alba videro il verde e le
case di Manhattan.
La destinazione era quella comune a tanti come loro: il Lower East
Side, il fetido quartiere delle case popolari dove si
stava pigiati in sei in una stanza senza finestre, torrida d'estate e
gelata d'inverno, perchil clima dell'isola non ha mai conosciuto
mezze misure. Il loro primo appartamento fu un "tenement" in Monroe
Street; pitardi si trasferirono al numero 330 di Cherry Street, dove
tre stanze per nove persone sembravano giuna situazione pi sopportabile. Tuttavia, nei mesi estivi, qualcuno dei figli, compreso
Israel, veniva messo a dormire sul pianerottolo della scala
antincendio per guadagnare un po' di spazio. "Su quella scala"
confesserBerlin "ho dormito meglio di quanto non faccia ora nel mio
magnifico letto di Beekman Place": uno dei posti pibelli di New
York, aggiunge il cronista, un piccolo tratto tra la Prima Avenue e
l'East River, all'altezza della Quarantanovesima Strada.
Retorica della povert E' possibile, anche se la vecchiaia di
questo straordinario compositore non sarserena, come vedremo, ma
sconfiner nonostante la quantitdei riconoscimenti, in quella
uggiosa paranoia che ha colpito anche altri infelici miliardari
afflitti in tarda etda un tenebroso umor nero.

Questo comunque accadrmolti decenni pitardi. Lper lil
problema che Izzy (come lo chiamavano i piccoli teppisti irlandesi del
quartiere) e la sua famiglia devono affrontare la scomparsa, due
anni dopo l'arrivo a New York, del vecchio Moses che facendo mille
mestieri era riuscito a mettere insieme il pranzo e la cena della
famiglia. A otto anni Israel lascia la scuola mai amata e comincia a
lavorare: le solite piccole cose patetiche che le foto di quel periodo
illustrano - strilla i titoli dei giornali, recapita telegrammi, cuce
pezzi di abiti nei primi laboratori di confezioni in serie. Ma la sua
vera vita, piccolo, bruno e dotato per il canto com' comincia dopo
il lavoro in quella specie di mecca di ogni divertimento, lecito e
non, che era allora la Bowery, una delle strade pidrammatiche di New
York.
Anche "Bowery" uno dei tanti lasciti fiamminghi alla toponomastica
cittadina, come Harlem, da Nieuw Haarlem, o Brooklyn, da Breuckelen, una cittadina a sud di Amsterdam, o Bronx, dal comandante Bronck, capitano di
mare scandinavo assoldato dagli olandesi. All'inizio Bowery solo un sentiero
indiano che conduce alla fattoria ("Bouwerie", in fiammingo) di Peter
Stuyvesant, il pazzo governatore olandese della citt l'uomo dalla
gamba di legno che possiede da solo quasi la metdella parte
meridionale dell'isola. Ginegli anni di Berlin pernessuno pensa
piai vecchi coloni quando nomina la Bowery, che diventata il
centro dei divertimenti per ogni borsa: bar, gioco d'azzardo, fumerie
d'oppio, donne pesantemente truccate che passeggiano in prossimitdi
camere a basso prezzo, tavoli di poker, uomini politici rotti a tutto
che organizzano campagne elettorali e loschi affari in stanze piene
di fumo, suonatori di piano che pestano a tutta forza sui tasti,
volgendo le spalle al disordine e al chiasso della sala. Non esistono
nHollywood nBroadway: in quei bar c'quasi tutto ciche la citt in grado di offrire e nessuno sa che il piccolo ebreo che canta e
serve ai tavoli sartra i fondatori dell'industria nazionale del
divertimento.
Berlin ha quattordici anni quando comincia a frequentare l'ambiente,
povero ragazzo ricco solo di talento e per il resto senza un centesimo
in tasca, perchtutto quello che ha guadagnato fino a quel momento lo
ha passato a sua madre. Avrebbe potuto perdersi, diventare uno dei
tanti delinquenti precoci o un alcolista destinato al "delirium
tremens", povero rottame buttato di traverso su un marciapiede,
spettacolo cosfrequente nella Bowery. Lo salvano il carattere,
l'educazione ebraica, il pensiero della madre, il dono che ha, la
fortuna, e chissche altro.
Quando la "soir" comincia Izzy s'installa in un caff serve ai
tavoli e canta per i clienti. Oggi lo definiremmo un parodista o un
imitatore: prende dei motivi di successo, li stravolge mettendoli in
burla, inventa "couplets" scherzosi, rime audaci o bizzarre,
improvvisa variazioni. E' il mestiere umilissimo dei "singing waiters"
che lui svolge al meglio, perchha per le melodie piorecchio di
chiunque altro. I soldi sono soltanto monetine, ma arrivano a pioggia.
I camerieri-cantanti, oltre a portare la birra ai tavoli e a cantare
senza perdere il ritmo, devono anche essere velocissimi nel cogliere i
movimenti dei clienti. Le monete vengono gettate pio meno nella loro
direzione, senza perdere un attimo ognuno di loro deve calciarle abilmente
verso un angolo scelto in precedenza, sempre continuando a cantare o a
sorridere correndo tra i tavoli con sei o otto boccali nelle mani,
senza far cadere una sola goccia di birra. Una gag che sembra fatta
apposta per la velocitdi Ridolini o di Charlot. Alla fine del turno
ognuno si china a raccogliere il guadagno della serata.
Il periodo di permanenza pilungo, quello di cui Berlin continuer a parlare, al Pelham Cafche si trova in piena Chinatown - anche se
i cinesi non vi sono ammessi - al numero 12 di Pell Street. Il
padrone, Mike Salter, anche lui un ebreo di origine russa. Bar sulla
strada, bordello sul retro, sale appartate per le riunioni dei
politici corrotti di Tammany Hall. Un ragazzo svelto come Berlin, che
ha ormai sedici o diciassette anni, puguadagnare tra una cosa e
l'altra venti dollari alla settimana, che non male per uno che viene
dalla Siberia e stava per essere bruciato vivo dai cosacchi. Ogni
tanto nel caffscoppia una rissa, qualcuno tira fuori il revolver o
il coltello; ci sono tipi robusti che stanno lapposta per metterli
tranquilli o buttarli sul marciapiede, pianista e camerieri continuano
a fare il loro lavoro come se niente fosse.

La prima canzone scritta da Berlin ha un titolo curioso, "Marie from
Sunny Italy", e una storia ancora picuriosa. Era accaduto che il
pianista di un caffrivale aveva scritto una canzone d'ambientazione
"wop" (uno dei termini dispregiativi per gli italiani, corruzione
del napoletano "guappo") che s'intitolava "My Mariuccia take a steamboat".
Bisognava cantarla alternando parole e fischi ma soprattutto imitando
la pessima pronuncia degli immigrati italiani piena di vocali
aggiunte: "I can't tel-la you how I feel-a", eccetera. "Mariuccia"
aveva avuto un grande successo, bisognava opporgliene un altro e Mike
Salter pensall'abilitparodistica del giovane Izzy che pernon
sapeva scrivere musica. Si limita inventare il motivo, come farin
pratica per tutta la vita, per poi fischiettarlo a un violinista
bisognoso come lui ma in grado di trascriverlo. Il risultato fu "Marie
from Sunny Italy", pubblicata con la dicitura "Words by I. Berlin,
Music by M. Nicholson". Un errore tipografico aveva dato al giovane Baline
il suo definitivo nome d'arte. "Marie" fruttin tutto 37 centesimi, ma fu l'inizio.
Il passo successivo la canzone "Dorando", sempre nello stesso
filone, gradito a quanto pare dal pubblico anglosassone. La canzone
prende il titolo dallo sfortunato Dorando Petri che alle olimpiadi
londinesi del 1908 arrivcossfinito al traguardo della maratona da
riuscire a tagliarlo solo sorretto da alcuni volenterosi. Il secondo
arrivato, l'americano Johnny Hayes, giovanissimo commesso in un grande
magazzino di New York, fece ricorso e lo vinse. L'idea di Izzy Berlin
d'immaginare Dorando che disputa una nuova gara al Madison Square
Garden con un barbiere (italiano, naturalmente) che scommette il
negozio sulla sua vittoria. Dorando perperde e come spiegazione
rivela all'afflitto barbiere, ora sul lastrico, d'aver mangiato troppo
spezzatino di montone irlandese (Irish stew) invece di un buon piatto
di maccheroni. Parodie da avanspettacolo, come si vede. Per "Dorando"
Berlin riceve un anticipo sui diritti di 25 dollari; ma quella canzone
soprattutto l'occasione per completare il suo nuovo nome perch
quando si tratta di stampare la copertina, Izzy non solo conserveril
"Berlin" regalatogli da un tipografo distratto, ma adotta come primo
nome Irving, pensando probabilmente allo scrittore Washington Irving o
al celebre attore Henry Irving.
Il successo ottenuto nel filone "wop" non gli impedisce di infilzare
al suo humour l'altra grande etnia dei nuovi immigrati e ciogli
ebrei. La sua canzone "Salome" racconta di una Sadie Cohen che
riscuote grande successo interpretando Salomnella danza dei sette
veli, anticipazione del moderno spogliarello. Tutti sono molto
contenti, meno il suo boy-friend Moses, rigido osservante, che la
rimprovera: "Che vergogna! Nessuno ti guarda in faccia, vattene a
casa, Salom. Le caratteristiche di base del personaggio di Moses
sono prese dal teatro Yiddish (ce n'erano parecchi nella zona di
Bowery), ma con un aggiornamento in chiave parodistica da cui
scaturisce l'effetto comico. La canzone fa ridere, va bene, vende pi di tremila copie.

Arriva per Berlin il momento di lasciare i caffdella Bowery per un
traguardo pialto, Tin Pan Alley. E' difficile capire che
cosa ha rappresentato questo embrione di industria musicale in
un'epoca come la nostra dominata dai colossi dell'intrattenimento,
l'epoca della riproduzione e diffusione digitale in edizione
musicalmente perfette. Tin Pan Alley voleva dire musica preparata
anche su commissione diretta, oppure fogli di musica ben stampati da
suonare comodamente sul pianoforte di casa. Un medio successo vendeva
cinque o seicentomila copie; un grande successo poteva arrivare anche
a cinque o sei milioni. New York la cittpidinamica di un paese
che gisi prepara a diventare la prima potenza industriale del
pianeta. Milioni di persone, dopo aver lavorato duramente, sentono il
bisogno di distrarsi con buoni prodotti musicali acquistati a un
prezzo ragionevole; sta nascendo un proletariato urbano che ha
esigenze musicali diverse da quelle che i vecchi motivi popolari hanno
soddisfatto nella precedente societrurale. Soprattutto sta nascendo,
fondata sulla canzone, l'industria del divertimento intesa come grande
affare.
La minoranza ebraica, con la sua forte inclinazione nativa verso la
musica, il bagaglio di melodie tradizionali piene di sentimento, lo
slancio che viene dalla nuova patria trovata dopo i rischi e le
persecuzioni, sembra la piindicata a soddisfare questa nuova
domanda. E New York offre tutto ciche necessario per dare vita a
quella che diventerla tipica musica americana: un ritmo e un genere,
le condizioni musicali di base, una certa spregiudicatezza che la
grande metropoli porta con se consente di sviluppare. Gli ebrei
aggiungono la pronta adesione a un modello facilitata dallo
sradicamento, una vitalitprorompente, l'intraprendenza commerciale,
la fantasia, una pigrande libertrispetto alla rigiditprotestante
e puritana, la capacitdi fondere sentimenti contrastanti in una
miscela che riesce spesso a diventare toccante, un'allegra malinconia
per cosdire, un riso o un sorriso bagnato di pianto. Ciche nessuno
allora poteva prevedere che questo impasto straordinario sarebbe
diventato il timbro caratteristico prima di New York e poi dell'intero
mondo americano dello spettacolo.
Joe Stern e Ed Marks, Harry von Tilzer (Harry Gumm), Shapiro e
Bernstein, Leo Fesit e i Witmark Brothers, Charles K. Harris,
russi e tedeschi soprattutto raccolgono dalle strade, dalle taverne e
dai bordelli il ritmo che li nato, figlio bastardo della musica
africana, lo puliscono, gli danno parole appropriate ed il
"ragtime", la musica che fonderun'epoca, la prima forte impronta
culturale che partendo da New York si diffonde nel mondo.
C'a New York un posto del cuore che s'identifica con quell'epoca
ed la spiaggia di Coney Island, che a cavallo tra Otto e Novecento la zona dei divertimenti: gli illusionisti, la casa dei fantasmi, i
marinai ubriachi e le loro inseparabili compagne, una per ogni tratto
di marciapiede, gli hot dog pigrandi del mondo, molti caff molti
cabaret con musica, una voglia sfrenata di ballare, di essere allegri,
di non pensare troppo, il ragtime sembra fatto apposta per dare a
tutto questo il giusto ritmo, lo slancio che serve.

Irving Berlin comincia a frequentare Tin Pan Alley nel 1909, a
ventun anni; tre anni dopo giconsiderato il re del "ragtime".
Lavora come un negro per tutto il giorno e - felicemente insonne -
buona parte della notte, componendo una canzone, e anche pid'una, al
giorno. Quando il regista del musical "Annie Get Your Gun" (Anna
prendi il fucile), durante le prove dello spettacolo, si rende conto
che in un certo punto sarebbe necessaria un'altra canzone, ne parla
con Berlin che gli risponde: vado a casa e mi metto al piano. Un
quarto d'ora dopo telefona e gli canticchia il motivo: che te ne pare?
Lo ha composto in taxi.
Lavora ossessionato, invaso dalle melodie e dalle associazioni
mentali che una parola colta per strada, un titolo di giornale possono
suscitare. Racconta lui stesso l'episodio di quando una sera incontra
dal barbiere un attore e subito gli propone di fare qualche cosa
insieme. L'altro accetta con entusiasmo: "Certo" dice "tanto piche
mia moglie partita per la campagna". Quella frase (My wife's gone to
the country) diventa immediatamente il titolo di una canzone e
dell'intero spettacolo.

My wife's gone to the country
Hurray, Hurray!!

Ovvietconiugali, una facile comicitche fa leva sul trito senso
comune. In seguito scriverben altro, intanto perspinge nella
direzione piredditizia: vuole far ridere, e ci riesce. Tanto piche
a quell'Hurr cantato e scandito dal palcoscenico, il pubblico viene
invitato ad associarsi, si puimmaginare con quale pazzo divertimento.

L'aspetto forse picurioso di questo straordinario musicista la
sua incapacitdi suonare un qualsiasi strumento. Non appena guadagna
abbastanza da poterselo permettere, si fa portare a casa un pianoforte
verticale dotato di uno speciale marchingegno, che facendo scorrere la
tastiera rispetto alle corde gli permette di passare da una tonalit all'altra spingendo sempre gli stessi tasti, poichla sola scala che
conosce quella di fa diesis. Non sa nulla di armonia, strimpella con
due sole dita le melodie che gli vengono in mente, e le fa poi
elaborare da un arrangiatore professionista. Quando compone beve un
caffdopo l'altro, fuma senza interruzione, appoggia la sigaretta sui
tasti bruciacchiandoli, riempie tutto di cenere. Lavora soprattutto di
notte e le corde del piano sono imbottite per attutirne il suono.
Nasce cos nel 1911, "Alexander's Ragtime Band", il suo primo immenso
successo che in un anno vende, solo negli Stati Uniti, due milioni di
copie. Viene cantato e fischiato ovunque, anche alla corte dello zar
dove non si spenta la memoria del vecchio imperatore Alessandro III,
morto pochi anni prima. Un critico ha scritto che lo shock di quella
melodia paragonabile a quello che provocher quarantaquattro anni
pitardi, "Rock around the Clock".
Tra gli interpreti che picontribuiscono al suo successo c'Al
Jolson, anche lui un ebreo russo il cui vero nome Asa Yoelson. Canta
con la faccia dipinta da finto nero, "Alexander's" una canzone piena
di spirito e di forza, il suo ritmo di danza fa muovere le gambe, le
sue parole danno un immenso ottimismo. Insomma il risultato finale che con quella canzone Irving Berlin diventa azionista comproprietario
della casa editrice nella quale ha cominciato a lavorare come impiegato.
Nel 1912, tra una canzone e l'altra, sposa Dorothy Goetz che ha
diciannove anni quando s'incontrano, bellissima, balla con
naturalezza e quando si muove come circondata da un alone di
sensualit Non ebrea, ma Irving innamorato e nemmeno sua madre
trova niente da ridire. Celebrato il matrimonio, a Buffalo, la coppia
parte per il viaggio di nozze a Cuba, ignara del fatto che nell'isola
imperversa un'epidemia di tifo. Qualche mese dopo il ritorno, nel
bell'appartamento di Riverside Drive che Berlin ha arredato per lei,
Dorothy muore della malattia che ha contratto. Finito il lutto, Irving
compone una canzone che s'intitola "When I Lost You" (Quando t'ho
perduta), una delle sue pitoccanti. Saril suo secondo matrimonio a
fare scandalo, perchEllin MacKay, la prescelta, l'ereditiera di
una delle piricche famiglie cattoliche di New York e i suoi genitori
non vedono di buon occhio il piccolo ebreo che le gira intorno. Irving
aggira l'ostacolo in velocit una mattina del 1926 chiama Ellin al
telefono e le chiede se ha voglia di correre in municipio a sposarsi.
Lei esce di casa coscom' senza nemmeno i soldi del taxi. Con quel
gesto perde alcuni milioni di dollari che suo marito non le far rimpiangere: la loro unione andravanti per sessant'anni.

I successi di Berlin scandiscono, in pace e in guerra, la colonna
sonora di un'America che sta diventando riconoscibile alle orecchie
del mondo: "Blue Skies", "Always", "There's no Business like Show
Business", "Isn't This a Loverly Day", "How Deep is the Ocean", "A
Pretty Girl is like a Melody". Le sue canzoni sono cantate da tutti i
migliori interpreti: Ella Fitzgerald, Bing Crosby, Louis Armstrong,
Billie Holiday, Sarah Vaughan, Dinah Washington, Tony Bennett, Liza
Minelli.
Una citazione a parte meritano, credo "Let's Face the Music and
Dance", scritta nel 1936 per il film "Seguendo la flotta" con Fred
Astaire (il cui vero nome era Frederick Austerlitz) e Ginger Rogers, e
la magnifica "Cheek to Cheek" che annuncia il paradiso ("Heaven! I'm
in Heaven...") quando si balla guancia a guancia con la persona amata.
Le sue canzoni sono l'espressione pifelice di ciche putoccare il
cuore di un piccolo e pacato conservatore. Tutta la sua vita gira
attorno a questi sentimenti e spiega certi atteggiamenti, dalle reazioni
poco meno che scandalizzate al divorzio di sua figlia, all'arredamento molto
convenzionale del suo fastoso appartamento, ai libri e ai quadri che
ha amato: niente di avanguardistico o di moderno, solidi mobili,
solidi libri meglio se rilegati in pelle e consacrati dalla tradizione
come le opere di Shakespeare, niente comunque che richiami strane
poesie senza rime o illeggibili romanzi senza trama.
Tra le centinaia, le migliaia di canzoni scritte dall'ex piccolo
cameriere della Bowery, ce n'una che merita un cenno particolare
perchesce dal campo musicale per sconfinare in altri territori.
S'intitola "God Bless America" ed quasi diventata l'inno americano
ufficioso. Dio benedica l'America, invoca la canzone, con tutto il
cuore di un immigrato che ama la sua nuova patria come solo un
immigrato pufare e non teme nla retorica nil pudore pur di
affermarlo con un canto ampio, solenne e con ingenue parole nelle
quali evidentemente crede, una per una:

God bless America, Land that I love
Stand beside Her and guide Her
Through the night a light from Above.
Fron the mountains to the prairies
To the Oceans white with foam
God bless America ...

(Dio benedica l'America, paese che amo, le stia accanto e la guidi
nella notte con una luce dal cielo. Dai monti alle praterie all'oceano
dalla bianca schiuma Dio benedica l'America ...)
Berlin continua a scrivere fino a quando la musica non cambia troppo
perchpossa seguirne l'evoluzione. Arriva il jazz ed il primo colpo
("Quel Benny Goodman" dice "ci ha quasi rovinati tutti"). Per lui una musica incomprensibile, nata nei bassifondi, dominata dal ritmo a
scapito della melodia, lui che era un melodista nato, incerta fin
dalla parola che la designa, tolta di peso dal gergo dei negri del
Sud: "Jass" o anche "Jasz" che sta a indicare una "scopata" o una
donna intesa, e limitata, al suo sesso, prima di diventare il nome di
uno dei generi musicali che caratterizzeranno il secolo.
Poi arrivano i Beatles, Dylan e i Rollin' Stones e Irving capisce
che la sua epoca finita. Fa in tempo, nel 1968, a ottant'anni, a
pubblicare il suo ultimo successo prima che la sua salute
diventi troppo cattiva ("Dal collo in gi ripete spesso "la testa
funziona ancora benissimo") e soprattutto che l'uomo diventi
prigioniero di una forma tenace e ottusa di depressione. Ha vissuto
cosa lungo da vedere le sue prime opere diventare di pubblico
dominio: nel 1986, quando ha novantotto anni, vengono meno i diritti
del suo primo successo, "Alexander's Rag Time Band". E' diventato un
vecchio ipocondriaco e isolato, esce solo a bordo di una limousine
blindata con una guardia del corpo e un cane lupo seduti accanto
all'autista. Negli ultimi tempi anzi non esce nemmeno pi comunica
con l'esterno solo per telefono, sepolto nel suo lussuoso
appartamento, rifiutando perfino le richieste di qualche intervista
ormai solamente agiografica. Quando muore, nel 1989, ha centoun anni.

Il caso di George Gershwin molto diverso, anche se i due hanno
fatto qualche tratto di strada comune e soprattutto sono stati
sottoposti alle medesime prove d'iniziazione, rese feroci dalla
concorrenza. Pochi anni li separano, sufficienti pera marcare una
prima differenza. Berlin nato nel 1888, Gershwin dieci anni dopo:
basterebbero a creare una differenza, data la velocitcon la quale le
cose si muovono, ma non sono soltanto gli anni a distinguerli. Berlin
contento di ciche riesce a fare, Gershwin meno, ricava qualcosa di
simile alla felicitdalla sua leggendaria abilitdi improvvisatore
al piano, ma le sue ambizioni sono pigrandi delle sue capacit
Scrive canzoni meravigliose dalla prima ("Swanee", 1919) all'ultima
("Love Walked In", 1937), ma vorrebbe fare qualcosa di diverso e sente
come una pena le sue insufficienze nello sviluppo dei temi secondo i
canoni classici del contrappunto. E dire che Berlin gli ha rivolto il
massimo complimento possibile dicendo di lui: "George il solo
scrittore di canzoni che io conosca che riuscito a diventare un
compositore".

Anche George viene da una famiglia di ebrei russi emigrati negli
Stati Uniti dalla natia San Pietroburgo, i Gershovitz, americanizzati
prima in Gershvin e finalmente in Gershwin; coscome americanizzarono
i loro nomi, Yacob in George e suo fratello Israel, di due anni pi anziano, in Ira. Morris Gershwin, il padre, stato un uomo di sterminate risorse, capace nella sua vita inquieta di passare dalla gestione di un bagno turco (il figlio Ira lo aiuta alla cassa) al mestiere di panettiere e di calzolaio. Alla famiglia comunque non fa mai mancare nulla nell'ambito di una vita modesta e se George nato a Brooklyn (252, Snedicker Avenue), ben
presto i Gershwin possono permettersi un trasferimento a Manhattan,
sia pure nella zona meno costosa.
Proprio a Manhattan, in un appartamento della Seconda Avenue, si
verifica l'episodio semileggendario (anche se certificato dallo stesso
Ira) che segna l'avvio di George come musicista. Nel 1910, quando
George ha dodici anni, Morris acquista un pianoforte per Ira che dei
quattro figli il pistudioso e sembra il pipromettente. Le scale
del modesto edificio sono percosstrette che si deve issare lo
strumento attraverso una finestra. Non appena il piano viene
appoggiato sul pavimento, George vi siede davanti e comincia a pestare
sui tasti. Tale la sua inclinazione naturale alla musica che ha
imparato quasi senza rendersene conto, suonando di tanto in tanto a
orecchio sul piano di un amico.
I suoi progressi sono fulminei e a Ira passa ogni voglia di
continuare a studiare musica, mentre George, al contrario, segue
sempre pisvogliatamente le scuole commerciali dove suo padre l'ha
iscritto. Il suo primo vero maestro Charles Hambitzer, pianista e
compositore di musica leggera, che gidopo poche lezioni scrive in
una lettera a sua sorella: "Ho come nuovo allievo un ragazzo che sicuramente un genio". Circondato dal generale riconoscimento del suo
talento, nel maggio 1914 George lascia definitivamente la scuola e
approda, com'fatale, a Tin Pan Alley.
A quindici anni s'impegna per un compenso di quindici dollari la
settimana nella casa di edizioni musicali Jerome H. Remick & Co.
Lavora come "song-plugger", vale a dire strimpellatore di canzoni per
i clienti che vogliono ascoltare nuovi motivi, il pigiovane
"song-plugger" che Tin Pan Alley abbia mai avuto. Ma far ascoltare ai
possibili clienti le novitsolo una parte del suo lavoro; l'altra
consiste nell'andare in giro per i teatri a controllare che negli
spettacoli non si usino illecitamente musiche di propriet
della Remick & Co. La regola in vigore che quando si monta un nuovo
allestimento vi si inserisca qualche buon motivo sentito in giro. Si
adattano alla bell'e meglio le parole all'azione, arricchendo con poca
spesa lo spettacolo di un'aria in pi Il lavoro di George appunto
quello di controllare che questi inserimenti siano accompagnati dal
pagamento dei relativi diritti. Lavoro umile e dopo qualche tempo
molto ripetitivo, soprattutto per un giovane che sente d'avere dentro
ben altro da offrire. Accade perche il giorno in cui il giovanissimo
Gershwin propone al signor Remick un motivo di suo composizione si
senta rispondere seccamente: "Lei qui per suonare il piano, non per
scrivere musica". Fine del discorso.

In quei primi anni Gershwin tenta tutto quello che un musicista di
talento putentare per farsi strada, senza tirarsi indietro davanti a
nulla: fa ascoltare centinaia di brani, quasi sempre variandoli e
abbellendoli di sua iniziativa, piper vincere la noia che per
agevolarne la vendita; suona come pianista ripetitore alle prove di
alcuni spettacoli, tra i quali almeno un'edizione delle famose
"Ziegfeld Follies"; durante la stagione estiva suona in duo con un
violinista negli alberghi delle montagne del Catskills prediletti
dalla buona borghesia ebraica di New York; frequenta l'ambiente dei
compositori newyorkesi. Cosintenso il suo rapporto con Lou e
Herman Paley che il loro appartamento, al numero 8 Ovest dell'Ottava
Strada, diventa per lui una specie di seconda casa. Herman Paley un
buon compositore di canzoni confortato da un grande successo. Il suo
appartamento, sempre pieno di musicisti, esattamente cidi cui
George ha bisogno: conversazioni stimolanti, paragoni, notizie sulle
novitin giro e soprattutto l'occasione, spesso colta, di sedersi al
piano e farsi notare per le sue straordinarie qualit d'improvvisatore. Continuera farlo sempre, anche quando diventa
molto ricco e altrettanto famoso non si fa pregare per esibirsi di
fronte agli amici; dicono di lui che raramente capace di resistere
alla tentazione di sedersi al piano appena ne abbia adocchiato uno.
Nonostante le difficoltche ogni giovane talento conosce, George
riesce in tempi piuttosto rapidi a essere pagato per fare
ciche vuole, ciocomporre musica. Canzoni, ancora canzoni, un
intero spettacolo (La-La-Lucille) e poi finalmente il grande successo
con un motivo destinato a rimanere un classico della musica leggera
"Swanee", una storia che vale la pena di raccontare per la
straordinaria combinazione di talento e fortuna perch"Swanee" viene
composta, parola e musica, in pochi minuti, in collaborazione con
Irving Caesar. Gershwin la propone senza esito alla direzione di un
teatro, le cose vanno avanti in tutt'altro modo. Un giorno il
musicista comincia a strimpellare il motivo canticchiandone le parole
durante un ricevimento tra amici, Al Jolson lo ascolta e decide su due
piedi di interpolare "Swanee" nel musical "Sinbad" che in quel periodo
sta interpretando con grande successo al Winter Garden. In capo a
poche settimane (febbraio 1920) Gershwin e Caesar si ritrovano in testa
a quella che oggi si chiamerebbe la classifica delle vendite, sia
nell'incisione fonografica che nelle piccole partiture da suonare sul
pianoforte di casa. Comincia in quel momento la vera carriera di
George Gershwin che daral pubblico di New York e del mondo una serie
di musical come "Lady Be Good" (1924), "Oh, Kay!" (1925), "Funny Face"
(1927), "Strike up the Band" (1930), "Of Thee I Sing" (1932, premio
Pulitzer).

Che tipo d'uomo George? Le testimonianze sono unanimi: un
entusiasta pieno di vita, capace di comunicare agli altri il suo
slancio, un ottimo sportivo, per esempio un buon giocatore di golf,
molto attento e preciso e, negli anni affluenti, si fa allestire in
casa una palestra completa di "punching ball" dove si allena ogni
giorno. George fiero del suo lavoro e tuttavia, ecco la
contraddizione, anche afflitto da problemi interni che si manifestano
sotto forma di disturbi psicosomatici (gastrici in particolare) e di
un pessimo rapporto con le donne. Non che gli manchino avventure e
relazioni femminili, comprese spesso quelle a pagamento. George un
bell'uomo, il successo e il denaro si aggiungono al suo fascino, pu improvvisare al piano motivi incantevoli e anche questo, come si pu immaginare, ha un notevole effetto seduttivo.
Il problema non in superficie, si nasconde nel profondo: non si
tratta della capacitdi stabilire relazioni o rapporti, ma
di stringere un legame vero, una di quelle unioni che cambiano il
corso di un'esistenza, come invece riuscirad avere suo fratello Ira.
A George questo negato, amici e testimoni lo descrivono come il
tipico "amante d'una notte", un uomo soggiogato dall'immagine della
donna bambina, un conversatore con grande uso del mondo che rimane
peral fondo un solitario, come rivela la stessa etichetta con la
quale si autodefin "Sono un romantico moderno".
Sono le sue canzoni, del resto, a rivelare questo aspetto del
temperamento, con quel fondo di malinconia che spesso le pervade,
derivato dal blues o dalla liturgia ebraica o da entrambi. Quando si
rende conto di quanto grave sia la mancanza di affetto di cui soffre,
George tenta di curarla con la psicoanalisi, ma ormai troppo tardi
per rimediare.

Tra i tentativi che fa di stabilire un rapporto duraturo il pi serio probabilmente quello con l'attrice Paulette Goddard che oggi
forse pochi ricordano, ma che fu, pidi mezzo secolo fa, una delle
attrici-mito d'una generazione. Paulette, il cui vero nome era Pauline
Levy, morta ottantenne nel 1990, il suo ultimo film risale al 1964:
una non riuscita riduzione cinematografica del romanzo d'esordio di
Alberto Moravia "Gli indifferenti". Curioso personaggio,
contraddittorio, irrequieto, un'irregolare del cinema. Aveva
cominciato nella rivista poco piche bambina, a 25 anni interpreta il
ruolo delizioso della "monella" in quel classico del cinema che "Tempi moderni" (1936), poi viene il ruolo di Anna nel "Grande
dittatore" (1940) sempre di Charlie Chaplin, che anche il suo
secondo marito. E qui il punto. Durante il suo ultimo soggiorno in
California, George, ormai ossessionato dall'idea di volersi sposare,
si propone a varie ragazze come possibile marito ma la sua attenzione
di ferma su Pauline, nonostante la voce insistente che sia in realt gisposata con Chaplin. Il suo un vero corteggiamento e c'una
foto famosa che li ritrae in atteggiamento disinvolto e sorridente,
seduti nel giardino d'una villa o d'un albergo a Palm Springs. Falsa
sensazione: quell'unione non si realizzermai.

Delle tante case che Gershwin abita a New York la picelebre quella della Centotreesima Strada Ovest: un intero immobile di cinque
piani che acquista per se la sua famiglia (solo un italiano o un
ebreo potevano avere un pensiero simile) nel 1924, dopo il travolgente
successo della "Rapsodia in blu". George si riserva l'ultimo piano,
al quarto abitano il fratello Ira e la sua compagna Leonore Strunsky
che diventerpresto sua moglie. Una voce che circola con insistenza
dice che Leonore era in realtinnamorata di George ed era lui che
avrebbe voluto sposare, ma che dovette per dire cosaccontentarsi di
Ira che rappresentava la sua migliore possibilitdi diventare una
Gershwin. Al terzo piano abitano i genitori, il secondo destinato a
ricevere amici a ammiratori sempre molto numerosi, il piano terreno dominato da un grande biliardo sul quale esistono numerosi aneddoti.
Uno di quelli che pidanno il senso di quale sia l'atmosfera della
casa riferito da S.N. Behrman.
Un giorno, dovendo discutere con George, Behrman suona alla porta.
Anche se al di ldei vetri opachi si vedono delle sagome in movimento
nessuno risponde. Dopo aver suonato due o tre volte prova a spingere
il battente e si rende conto che la porta in realtnon chiusa.
Attorno al biliardo ci sono quattro o cinque giovanotti intenti al
gioco che non lo degnano di un'occhiata; di mala voglia quando chiede
di George accennano vagamente verso i piani superiori. Sale fino al
terzo piano dove trova Arthur Gershwin, il fratello pigiovane, che
perappena arrivato e non sa niente di George. Finalmente dopo aver
chiamato ad alta voce si sente rispondere dalla voce di Ira che gli
dice di salire fino al quarto piano. Quando finalmente riesce a
trovare George gli racconta la sua avventura e chiede chi diavolo
siano i giovanotti sgarbati che stanno giocando a biliardo. NGeorge
nIra lo sanno. Forse, dice Ira, sono amici di Arthur. La casa un
tale porto di mare che George, nonostante sia abituato a lavorare e a
comporre anche in mezzo alla confusione, ha affittato un appartamento
all'albergo Whitehall, tre strade pia sud, per avere un posto dove
poter comporre in pace.
Un'altra famosa casa da lui abitata negli ultimi anni, il
magnifico appartamento al numero 33 di Riverside Drive, un piano alto
arredato con mobilio d'epoca che oggi figurerebbe bene in un museo di
"art do": dalle finestre lo sguardo spazia da Manhattan al New
Jersey e per chilometri a nord lungo il fiume Hudson.

La prima esecuzione della "Rapsodia in blu", destinata a diventare
uno dei brani simbolo della musica americana e di New York, avviene il
12 febbraio 1924 alla Aeolian Hall con l'orchestra diretta da Paul
Whiteman. Per anni Whiteman ha eseguito musica jazz in giro per New
York e gli Stati Uniti, sempre con l'idea che si dovrebbe fare
qualcosa per rimuovere l'etichetta di musica primitiva, anzi
barbarica, che quel genere si porta dietro. Dirlo oggi, quando il jazz
ha da tempo consolidato la sua posizione e mutato tante volte il suo
linguaggio, pusembrare assurdo; allora perera cose non si pu capire bene l'incertezza di questo status se non si pensa che nei
primi decenni del secolo l'America non ha ancora superato il suo
complesso d'inferioritnelle arti, musica compresa, rispetto alla
vecchia Europa. Critici e compositori americani sembrano addirittura
ignorare che in Europa molte voci si sono gilevate per mettere in
evidenza la ricchezza innovativa di quel modo nuovo di fare musica.
Tanto piche il jazz comincia a circolare proprio mentre entra in
crisi la vecchia musica tonale canonizzata da J.S. Bach nel suo
"Clavicembalo ben temperato". In realtil jazz ha influenzato gi prima del 1914 musicisti come Debussy, che compone pidi un
"cake-walk", e i suoi echi si avvertono in tante composizioni di
Stravinskij, Milhaud, Hindemith e altri.

La situazione in America per dir cosopposta: essendo stato
immediatamente accettato come nuova e quasi naturale forma
d'espressione musicale, il jazz considerato poco piche la
manifestazione ritmica di istinti primitivi, sintomo e conseguenza
della "perdita di prestigio della razza bianca nel mondo". Spaventa
del jazz la caratteristica che in seguito verrriconosciuta come una
delle sue maggiori qualit cioil fatto di essere polifonico e
poliritmico.
Un critico americano scrive che a racchiudere la musica jazz
in una formula si potrebbe dire che si tratta di un ritmo di foxtrot
in battute di quattro quarti con un doppio accento (alla breve) al
quale viene sovrapposta una melodia sincopata, ciocon l'accento che
cade sulla seconda nota della battuta, arricchita da continue
improvvisazioni. E' una musica nata dai bordelli di New Orleans che si
trasferisce nelle grandi cittdel Nord, contaminandosi con le
tradizioni musicali europee, grazie soprattutto ai musicisti di
origine ebraica.

Questa la situazione quando Gershwin comincia a pensare alla
possibilitdi dare al jazz una forma colta. "Ti scriveruna
rapsodia" risponde alla proposta di Paul Whiteman di comporre qualcosa
"perchqualunque altra forma scegliessimo ci esporremmo a critiche
troppo forti". Il termine "rapsodia" indica infatti una forma libera
da qualsiasi schema, nella quale possono essere incluse anche melodie
popolari. Cosper esempio Liszt nelle "Rapsodie ungheresi" o Ravel
nella "Rapsodia spagnola". Quanto all'aggiunta "in blu" il fratello
Ira a suggerirla per restare in qualche modo in contatto con il jazz
fin dal titolo, grazie a quella magica parola.
Gershwin crede di avere qualche mese per la composizione, ma Whiteman
deve disilluderlo: il lavoro va terminato in ventiquattro giorni,
perchun altro direttore suo concorrente ha in mente d'organizzare un
concerto analogo e Paul vuole arrivare primo. La risposta di George
puessere interpretata in vario modo: nei suoi termini letterali "Va bene, se abbiamo ventiquattro giorni vorrdire che la scriverin
ventiquattro giorni". Cos George scrive la musica al piano,
passando poi foglio dopo foglio la partitura, pensata originariamente
per due pianoforti, a Whiteman e a Ferde Grofche materialmente
elaborano l'orchestrazione (l'orchestra di Whiteman viene portata per
l'occasione a ventitrelementi). Qualche volta non indicano nemmeno
lo strumento, ma solo il nome del musicista. In seguito Grofeseguir un'orchestrazione piaccurata per un vero e proprio complesso
sinfonico.
Anche l'attacco della rapsodia, la famosa scala ascendente di
diciassette note, ha una sua leggenda. Gershwin a quel che pare la
pensa appunto come una scala di note legate; Ross Gorman
per clarinettista di Whiteman, famoso per i suoi "glissando"
(ardui con quello strumento) e George decide che sarebbe un
bell'effetto per aprire il brano da lui indicato per "jazz band and
piano". Le prove si tengono in un night club, il Palais Royal, dove
Whiteman, che ha in realtun'orchestra da ballo, si esibisce la sera.
Lo scenario sembra tratto da un film: le sedie rovesciate sui
tavolini, le donne delle pulizie al lavoro, le porte aperte per
cambiare l'aria viziata della notte precedente.

La prima esecuzione avviene alle 3 del pomeriggio di marted12
febbraio, giorno anniversario di Lincoln, nella Aeolian Hall al 34
Ovest della Quarantatreesima Strada. Il titolo del concerto prudente: "An experiment in modern music". E' una giornata terribile
di tempo freddo e di neve che tuttavia non scoraggia gli spettatori.
La sala presto piena con ascoltatori anche in piedi, persone amanti
della musica ma anche gran parte del mondo musicale di New York,
manager teatrali, impresari e editori della Tin Pan Alley,
compositori, star del mondo sinfonico e operistico tutti insieme.
Invitati da Whiteman sono arrivati tra gli altri Walter Damrosch,
Victor Herbert, Jascha Heifetz, Sergej Rachmaninov, Ernest Bloch,
William Mengelberg, Leopold Stokowskim, Fritz Kreisler. Il concerto di
quello storico pomeriggio prevede ventitrnumeri. La "Rapsodia" collocata al ventiduesimo posto. L'esperimento va avanti alla bell'e
meglio, senza eccessivi entusiasmi e anzi con qualche segno di noia,
fino a quando, giunto il suo momento, Gershwin non sale sul palco e va
a sedersi al piano. L'attesa si fa di colpo vibrante, Whiteman d l'attacco e il clarinettista Gorman esegue il glissando iniziale che,
possiamo dire senza paura di sbagliare, segna l'atto di nascita a New
York della musica colta americana. Il brano stato preparato con tale
fretta che George non ha nemmeno annotato tutti i passaggi del piano.
Sulle pagine bianche deve improvvisare; tanto forte la sua emozione
che lo fa, per sua stessa ammissione, con le lacrime agli occhi. Al
termine di ogni cadenza fa cenno col capo per segnalare al direttore
che l'orchestra puattaccare. Quando si spegne l'ultima nota, dalla
platea si leva un applauso forte, spontaneo, prolungato, reso
probabilmente ancora piintenso dalla leggera noia che i brani
precedenti hanno provocato. Gershwin viene chiamato pi volte al proscenio, deve inchinarsi, felice: ha solo ventisei anni,
con quell'esecuzione passato dal ruolo di scrittore di belle canzoni
a quello di compositore.
Una curiositmarginale: tra le repliche subito organizzate da
Whiteman ce ne fu una, il 21 aprile alla Carnegie Hall, per
raccogliere fondi in favore dell'Accademia americana di Roma che aveva
(e tuttora ha) la sua sede al Gianicolo. Le cronache non dicono se la
data, quella del Natale di Roma, venne studiata o si trattdi
semplice coincidenza.

Nelle accoglienze della critica prevalsero gli apprezzamenti
positivi. I pareri contrari erano soprattutto concentrati sulla
carente orchestrazione e sul mancato sviluppo dei vari temi, anche se
il titolo, e la forma di rapsodia, erano stati studiati proprio per
prevenire questo tipo di critiche. Nonostante il successo, la fama e
la fortuna anche finanziaria, Gershwin sartormentato per tutta la
vita dalla consapevolezza di non essere il tipo di musicista che
avrebbe voluto. Il suo tentativo di creare il cosiddetto "jazz
sinfonico" va in quella direzione: la sua illusione, la "grande
illusione" come l'ha definita una volta Massimo Mila, era che per
quella via il jazz, nato nei bassifondi e nei postriboli, attingesse
il prestigio della musica classica. Gli sforzi che fa per approfondire
la conoscenza dell'armonia e del contrappunto ne sono la prova. Ci
vorrdel tempo prima che il tentativo risulti accettabile e questo
avverranche perchsi sarintanto diffuso il gusto di sempre pi vaste contaminazioni.
Resta che perfino Leonard Bernstein, che certamente stimava Gershwin
e che con "West Side Story" ha cercato in qualche modo di ripercorrere
la strada di "Porgy and Bess", disse di lui: "Non credo che da
Cajkovskij in poi ci sia stato su questa terra un melodista ispirato
come lui ... ma se parliamo di compositori, una storia completamente
diversa".

Per tutta la vita George si porta appresso questo cruccio. Va a
chiedere lezioni a Maurice Ravel, gli fa ascoltare alcune sue
composizioni e si sente dare la famosa risposta: "Perchdovreste
diventare un Ravel a scartamento ridotto quando siete giun Gershwin
di prim'ordine?". Pio meno la stessa risposta la riceve da Nadia
Boulanger, la mitica pianista e compositrice allieva di Faur grande
insegnante a Fontainebleau dalla quale passano molti compositori
americani a cominciare da Aaron Copland. Quanto a Stravinskij, posto
di fronte alla stessa richiesta, dopo aver saputo quanto ha guadagnato
Gershwin in un anno, risponde: "Ma caro Gershwin, dovreste essere voi
a dare lezioni a me". Arnold Schoenberg, il fondatore della
dodecafonia, un buon amico di George nel periodo californiano,
giocano spesso a tennis insieme e discutono ovviamente di musica. Il
suo giudizio, dato dopo la morte di George, nello stesso tempo
lusinghiero e guardingo: "Non parlo come teorico della musica nposso
farlo da critico, quindi non so dire se la storia considererGershwin
una sorta di Johann Strauss o Debussy, Offenbach o Brahms, Leh跫 o
Puccini. So che era un artista e un compositore, che ha espresso idee
musicali che erano nuove coscome lo era la forma con la quale le ha
manifestate".

Il suo massimo desiderio a lungo quello di scrivere un'opera.
Un'opera in fondo fatta di arie, ciodi canzoni, diceva George agli
amici e scriveva (1935): "Quasi tutte le opere di Verdi contengono
quelle che sono conosciute come "grandi arie" (song hits). "Carmen" di
Bizet ne contiene addirittura una raccolta". Ovviamente sa che le cose
non sono cossemplici, ritiene perdi poter concepire un'opera a
partire dal suo sicuro talento di melodista e non si pudargli torto,
dato che lui stesso s'affretta a precisare che le canzoni sono
soltanto una parte del lavoro.
L'idea di "Porgy and Bess" nasce molto tempo prima della sua
realizzazione. DuBose Heyward ha scritto una storia, "Porgy", in
forma di romanzo, poi l'ha ridotta per il palcoscenico. A quel punto
viene a Gershwin l'idea di metterla in musica. Comporre un'intera
opera per un musicista che non ha potuto per mancanza di tempo, ma
probabilmente non avrebbe nemmeno saputo, orchestrare da solo la sua
prima composizione importante, un obiettivo cosambizioso da
sembrare fuori della sua portata. Com'sua abitudine George prende
comunque l'impegno con tutta la serietdel caso.
Nell'estate del 1934 scende al Sud, stabilendosi insieme a Heyward a
Folly Island, un'isoletta a dieci miglia da Charleston. In
quell'ambiente dominato culturalmente da neri ex schiavi, Gershwin
s'imbeve del folclore musicale locale, fatto soprattutto di ritmi
anche molto complessi di ascendenza africana, battuti
contemporaneamente con le mani e i piedi e chiamati "shouting".
Heyward ricorda che una sera Gershwin coinvolto in una di queste
esibizioni collettive, comincia a ritmare battendo mani e piedi
insieme agli altri e poco dopo, con sorpresa generale, prende
addirittura il comando del ritmo, "probabilmente" osserva Heyward "il
solo uomo bianco in America che poteva riuscirci".
Gershwin trascorre quelle settimane ascoltando, annotando,
elaborando per suo conto sulla base delle suggestioni che l'ambiente
carico di musica e di ritmo riversa continuamente su di lui. Un anno
prima di morire, riflettendo sulla propria opera, ricorda la sua
decisione di non usare comunque materiale folk originario perchvuole
che l'opera mantenga uno stile unitario: "Mi sono scritto da solo
spiritual e canzoni popolari che rimangono non di meno musica folk per
cui, composta in forma operistica, "Porgy and Bess" dev'essere
considerata un'opera folk". Com'avvenuto con i temi e i modi del
jazz contenuti nella "Rapsodia", anche questa volta Gershwin vuole
restituire il sapore della musica nera del Sud, elaborandola pera
suo modo: "Ho adattato il mio metodo" scrive "in modo da poter
utilizzare il dramma, lo humour, la superstizione, il fervore
religioso, la danza e tutto l'effervescente spirito della razza".
Gershwin trova che i neri siano le persone ideali ai suoi fini, dato
che "sono capaci di esprimersi non solo con il linguaggio, ma
altrettanto naturalmente anche attraverso il canto e la danza".

Il libretto viene preparato in collaborazione da Heyward e da Ira:
"Heyward ha scritto la gran parte del materiale di base, mentre Ira ha
preparato le parole delle canzoni pielaborate". Anche il titolo
definitivo con il quale l'opera passeralla storia della musica viene deciso
in collaborazione tra questi tre autori, perchl'idea iniziale era di utilizzare il nome del romanzo e della successiva riduzione teatrale, ciosemplicemente "Porgy".
Subentra in un secondo tempo il timore che il vecchio titolo possa
creare qualche equivoco sulla novitdell'operazione, tanto piche
nella tradizione operistica esistono vari precedenti di coppie
celebri, da "Pleas et Misande" a "Sansone e Dalila" a "Tristano e
Isotta". E' Heyward un giorno a suggerire la soluzione: "Perchnon
"Porgy e Bess"?" chiede. E' l'uovo di Colombo, Gershwin subito
d'accordo. La regia dello spettacolo affidata a Rouben Mamoulian che
ha gimesso in scena nel 1927 il dramma; la direzione d'orchestra di Alexander Smallens. Un compito particolarmente impegnativo quello
di Alexander Steinert che deve preparare i cantanti. Gershwin ha
chiesto che le parti siano affidate a veri cantanti neri e la scelta ovviamente caduta su ottimi professionisti, ai quali si chiede perdi
cantare imitanto realisticamente il dialetto e le sgrammaticature dei
contadini e operai del Sud. Una seconda difficolt opposta alla
prima, che nel cast c'anche chi non ne vuol sapere di cantare
seguendo esattamente le parole del libretto e l'aria come l'autore
l'ha annotata in partitura e, cosfacendo, rende difficili gli
attacchi e i tempi per i colleghi.
L'opera va ufficialmente in scena (anche se a Boston ci sono state
delle "previews") all'Alvin Theatre di New York il 10 ottobre 1935. Il
racconto centrato su un classico triangolo che si sviluppa a Catfish
Row, quartiere negro di Charleston. Crown (basso), uomo violento,
scaricatore di porto, uccide in una rissa l'amico Robbins e deve
fuggire. La sua amante Bess (soprano) rimane sola ed circuita da
Sportin' Life (tenore), piccolo spacciatore di droga che vuole
portarla con sa New York. Bess pergli preferisce Porgy (baritono),
mendicante zoppo. Una sera, dopo una tempesta, riappare Crown che
vorrebbe portare via Bess, ma Porgy lo uccide a coltellate. Porgy
viene arrestato; liberato, cerca invano Bess che intanto s'lasciata
convincere da Sportin' Life a partire per New York, dove sicuramente
l'attende il marciapiede. Porgy attacca una capra al suo carretto e
parte a cercarla nella grande cittlontana...
Al calare del sipario il pubblico, tra il quale siedono numerosissimi
amici e parenti dell'autore, decreta un grande successo, con applausi
scroscianti e numerose chiamate in proscenio; la mattina dopo comincia
peril martirio delle critiche negative. Nonostante Gershwin si sia
in certo modo cautelato, definendo il lavoro "folk opera", gli si
rimprovera una certa confusione tra la commedia musicale e la vera
opera lirica. Uno dei giudizi pinegativi quello del critico del
"New York Times" che rimprovera al musicista di non aver "saputo
sfruttare tutte le risorse del vero compositore operistico" e dichiara
d'essere stato disturbato dalla formula mista
"opera-operetta-Broadway". Critiche anche pidure verranno
successivamente: i personaggi sono figurine di cartone senza
psicologia: Porgy il buono, Crown il cattivo, Sportin' Life un
satana tentatore. La stessa mancanza di sviluppo caratterizza, si
dice, il brani musicali che partono spesso da ottimi spunti melodici
(chi non ricorda l'inizio struggente "Summertime" o l'irriverente "It
ain't necessarily so"), ma poi restano l inchiodati alle loro note
iniziali. Di Gershwin si scrive: "E' incapace di sostenere una frase
musicale per pidi sedici o trentadue battute".

Quando "Porgy and Bess" va in scena, la musica occidentale
attraversa ormai da qualche decennio una crisi profonda che, a
distanza di un secolo e pi possiamo considerare definitiva. La
musica fondata sulla scala tonale ben temperata finita. Il futuro
sarquello che oggi sentiamo in giro: tentativi, commistioni,
esperimenti, variazioni. Nei primi decenni del Novecento ancora si
pensava, soprattutto in Europa, che la musica avrebbe potuto
rinsanguarsi ricominciando dal basso, ciodai motivi popolari, dai
ritmi primitivi, dalle nuove sonoritanche vocali, da voci come
quelle di Louis Armstrong, Bessie Smith, Billie Holiday, capaci di
mescolare parole e note come nessuno aveva mai fatto prima. Gershwin
partecipa di questa illusione, invogliato dall'amalgama sapiente che riuscito a ottenere con "Rapsodia"; forse incoraggiato anche da
precedenti illustri come la "Sinfonia dal Nuovo mondo", nella quale
Anton Dvorak riuscito a fondere motivi folk americani e perfino
indiani, consacrandosi al successo nell'esecuzione del 1893 alla
Carnegie Hall.
"Porgy and Bess", che chiunque oggi ascolta con il massimo piacere,
il tentativo volenteroso di trasferire tra i diseredati di Catfish
Row la forma dell'opera lirica tradizionale. Il risultato, come disse
qualcuno, stato non Puccini ma il puccinismo.

Un musicista come George Gershwin avrebbe potuto formarsi solo a New
York, in quella fusione di elementi diversi che viene dalla tradizione
ebraica della famiglia, dalla Russia dei suoi genitori, dal jazz. New
York come cittdel proibizionismo all'interno d'un paese che nel 1929
doveva conoscere una delle pidrammatiche crisi economiche della sua
storia; ma anche la cittdei contrasti esasperati, dei grandi
spettacoli e dei grandi gangster e di speranze cosimmense da
spingersi fino all'utopia, talvolta realizzata.
Con il suo lavoro George regala al mondo pidi settecento motivi,
tra i quali ci sono gioielli come "Our Love Is Here to Stay", "I Got
Rhythm", "Summertime", "'S Wonderful", "Oh Lady Be Good" (composta su
misura per Fred e Adele Astaire), "Tha Man I Love", "How Long Has This
Been Going On", "Embraceable You", "High Hat", "Someone to Watch Over
Me", "A Foggy Day", "They Can't Take That Away from Me", anche questa
scritta per Fred Astaire che forse la pibella di tutte. Poi ci
sono un poema sinfonico come "An American in Paris" (composto in parte
all'hel Majestic di Parigi) del quale l'attore-ballerino Gene Kelly
daruna definitiva versione cinematografica, le "variazioni" su "I
Got Rhythm", l'"Ouverture cubana" (Rumba), il "Concerto in Fa", la
prima opera che Gershwin orchestra interamente da solo.
Gershwin vive quel periodo con tutta la consapevolezza che gli viene
dalle sue origini umili e dalla sua complicata sensibilit Assorbe
tutta la musica che pucon la facilitdei predestinati e poich
oltre a comporre, dipinge con facilit(celebre il suo ritratto di
Schoenberg) vuole circondarsi appena i mezzi glielo permettono di
opere di artisti contemporanei: Utrillo, Derain, Rousseau, Pascin,
Gauguin, oltre a un bellissimo ritratto di Modigliani. Questo Gershwin: uomo contraddittorio che ha apparentemente tutto per essere
felice ma non riuscirmai a esserlo.
L'ultima sua partenza per la California avviene il 10 agosto 1936,
un impegno di mesi durante i quali dovrscrivere le musiche per due
film: "Shall We Dance", con Fred Astaire e Ginger Rogers, e il meno
fotunato "A Damsel in Distress". Il musicista reduce dal successo di
"Porgy and Bess", e il fatto di dover soggiornare per un coslungo
tempo a Hollywood gli causa qualche preoccupazione. La cosiddetta
"Mecca del cinema" da una parte il naturale prolungamento di
Broadway sulla costa occidentale, il luogo cioin cui gli spettacoli
si trasformano in pellicola per poter girare il mondo intero. D'altra
parte anche Gershwin sente il disagio che tanti scrittori hanno
provato prima di lui: ritmi di produzione implacabili, necessitdi
soddisfare i gusti meno esigenti con fatale scadimento della qualit
Hollywood una macchina, chiede prestazioni e impone disagi; in
compenso dmolti denari. Un baratto che non certo nato con il
cinema, ma che bisogna saper amministrare per non esserne
schiacciati.
Durante un primo soggiorno a Hollywood, Gershwin ha abitato in una
villa in stile spagnolo in precedenza occupata da Greta Garbo. Questa
volta saruna villa ancora pilussuosa, nella zona piesclusiva di
Beverly Hills (1919 Nord Roxbury Drive), completa di campi da tennis,
piscina e palestra.
Il primo segnale di pericolo si manifesta nel febbraio del 1937 a
Los Angeles. Mentre sta dirigendo l'orchestra filarmonica in una serie
di arie da "Porgy and Bess", Gershwin comincia improvvisamente a
vacillare e rischia di cadere dal podio. Un amico che siede in prima
fila scatta in piedi e lo afferra appena in tempo. A quel primo
segnale seguono alcuni mesi di tregua; in giugno il musicista afflitto da mal di testa feroci che lo riducono a una momentanea
cecit mentre le sue forze e la sua stessa vivacitpianistica
appaiono chiaramente in declino.
La fatalitvuole che quei sintomi, sicuramente allarmanti, possono
essere attribuiti sia a un male fisico sia al superlavoro al quale si
sta sottoponendo. George consulta uno psicoanalista che pergli
consiglia di vedere un medico. Dopo qualche giorno viene ricoverato
all'ospedale Cedars of Lebanon per una serie di esami tra i quali prevista la dolorosissima puntura lombare, che perGeorge rifiuta.
L'esame del fluido spinale avrebbe permesso una diagnosi immediata del suo
male: tumore al cervello. L'illustre paziente viene dimesso senza che le
analisi abbiano chiarito niente. Le sue condizioni sembrano stazionarie o
addirittura in miglioramento, fino a quando si succede una serie di
episodi drammatici. Un giorno, mentre in autostrada, di colpo
aggredisce l'amico che alla guida, tenta di aprire lo sportello
dalla sua parte e di buttarlo fuori. A stento la macchina viene
fermata e l'amico gli chiede terrorizzato che cosa gli preso.
Gershwin di colpo rinsavito risponde a bassa voce: "Non lo so".
Qualche giorno dopo gli viene recapitata una scatola di cioccolatini
inviati da una persona che non ha in simpatia. Apre la scatola,
afferra alcuni cioccolatini, li stritola fino a ridurli a una
poltiglia gocciolante con la quale si cosparge il corpo.
La crisi precipita: venerd9 luglio, dopo aver suonato per
un'oretta, dice che sente il bisogno di riposare. Dopo alcune ore non
lo si vede riapparire e qualcuno sale a controllare. Gershwin passato dal sonno a un coma dal quale non si risveglierpi Il
miglior neurochirurgo del paese si chiama Walter Dandy, in vacanza
sull'Atlantico a bordo del suo yacht. Gli amici chiamano la Casa
Bianca a Washington, spiegano la situazione. Il presidente dispone
l'invio immediato di due navi militari che rintracciano il medico in
mezzo al mare e lo trasferiscono d'urgenza a Newark (New Jersey), dove
dovrebbe salire su un aereo per la California. In realtl'operazione
gistata tentata ed risultata inutile. L'unica cosa che il dottor
Dandy pudire, dopo aver letto il referto dei suoi colleghi, che se
anche fosse stato asportato qualche settimana prima il tumore si
sarebbe comunque riprodotto, condannando il povero Gershwin alla pena
infinita di entrare e uscire dalle sale operatorie.
I funerali si svolgono al tempio ebraico Emanuel di New York,
accompagnati dalle note della "Rapsodia in blu". Gershwin non ha
nemmeno trentanove anni.


VII - Il geniaccio di Borgo San Frediano

Almeno una volta bisogna salire sul traghetto per Staten Island, la
sola cosa che a New York si possa avere gratis, anche se non questa
ovviamente la ragione principale per attraversare la baia, quanto lo
spettacolo magnifico che si ha nel momento in cui il pesante battello
si stacca dall'estremitmeridionale di Manhattan. A mano a mano che
quel lembo di terra si allontana si apre al passeggero il profilo
incomparabile della cittverticale, sfumano nella prospettiva le
torri, le cuspidi, i ponti, le sinuositdell'isola sul lato
orientale, le coste brumose del New Jersey, mentre si arriva quasi a
sfiorare a dritta nave le due isole-simbolo, Ellis e Liberty Island, e
finalmente, sul lato opposto, la baia si apre verso il braccio di mare
sormontato e chiuso dal ponte da Verrazzano. Solo in certe giornate di
tramontana, decollando dall'aeroporto La Guardia su un volo diretto
verso l'interno degli Stati Uniti, si ha una vista migliore della
citt
Il Ferry che attraversa la baia puevocare anche altre immagini. Un
maestro del realismo sociale degli anni Venti, John Dos Passos, nel
suo "Manhattan Transfer", lo racconta cos

Tre gabbiani svolazzano al disopra dei rottami di casse, bucce
d'arancia, torsi di cavolo marciti che galleggiano tra le palizzate
sgangherate; le ondate verdastre schiumano sotto la prora arrotondata
del ferry che, in balia della marea, schiaccia e inghiotte l'acqua
schiaffeggiata, scivola, e lento s'accosta al molo. Manovelle girano
con stridor di catene: saracinesche s'alzano, piedi scavalcano il
vuoto, uomini e donne s'affollano per il tunnel di legno del pontile,
urtati e spinti tra odor di letame come mele rotolanti in un
frantoio.

Staten Island uno dei cinque distretti che formano la municipalit di New York, non il pibello e sicuramente il meno popolato non
toccando nemmeno il mezzo milione di persone. E' curiosa la storia del
nome che deriva dal fiammingo "Staaten Eylandt", vale a dire quegli
Stati Generali che erano in Olanda l'organo di governo. Curioso anche
il destino che l'isola ha avuto, grazie in parte alla sua
conformazione e in parte alla posizione geografica. I militari
l'avevano scelta in passato come una loro base; l'economia stata a
lungo prevalentemente agricola e solo alla fine dell'Ottocento ha
avuto inizio una certa industrializzazione, sempre perin misura
ridotta rispetto agli altri distretti cittadini.
L'isola, dicevo, non particolarmente bella e nemmeno lo il modo
d'attracco per chi arriva da Manhattan, una banchina strettamente
funzionale dalla quale tutti si allontanano in fretta, appena
assicurato l'ormeggio. E' bello il mare, belle le lontananze piene di
bruma, Manhattan che a settentrione sembra levarsi dalle acque.
Non perla gita che ci ha spinto a imbarcarci su quel traghetto.
La ragione vera che Staten Island ospita una dimora nota a
pochissimi. In quest'isola, che e non New York, ha vissuto uno dei
pisfortunati inventori italiani, quell'Antonio Meucci al quale si
attribuisce la prima idea del telefono. E in quella casa, per un certo
periodo, Meucci ha avuto un ospite d'eccezione, uno dei protagonisti,
dei fabbri dell'unitnazionale, vale a dire Giuseppe Garibaldi.

Non facile trovare la casa di Meucci e di Garibaldi, bisogna
sapere in partenza l'indirizzo che 420, Tompkins Avenue, Rosebank
(telefono 718-442.1608). Vale la pena di visitare quella dimora che
dice picose di molti libri sulla presenza italiana negli Stati Uniti
e sulle condizioni nelle quali quegli uomini, che non erano certo dei
normali emigranti, vissero. Tra gli oggetti qui esposti ci sono la
camicia rossa che Garibaldi indossdurante la difesa di Roma nel
1849, lo zucchetto dell'Eroe e poi, curioso omaggio, un bustino dello
stesso Garibaldi donato da Bettino Craxi alla casa-museo nel 1989,
centenario della morte di Meucci.
Come era arrivato e che ci faceva Antonio Meucci a Staten Island? E
Garibaldi, poi?

Quello di Meucci stato un viaggio tortuoso e accidentato. Prima di
New York c'era stata l'Avana e prima ancora Firenze, dov'era nato nel
1808 a Borgo San Frediano, da una famiglia modesta, ragazzo di poveri
studi mandato a fare un mestiere appena era stato in grado di
muoversi. Ragazzo sveglio, peraltro, che aveva dimostrato subito una
certa ingegnositdi testa e di mani.
Erano i primi decenni dell'Ottocento, epoca d'oro per il teatro
d'opera che assorbiva quasi da solo l'intera energia compositiva della
penisola e la gran parte dell'artigianato dello spettacolo. A Firenze
operava tra gli altri Alessandro Lanari che si definiva "appaltatore
teatrale", cioimpresario. Quel giovane pieno d'ingegno gli piacque e
lo chiamper impiegarlo come attrezzista al teatro La Pergola. Una
cosa tira l'altra. Nell'ambiente del teatro, sempre carico di quella
sua speciale tensione, il giovane Antonio si mette in mostra per il
suo zelo e l'abilitcon la quale risolve i problemi di palcoscenico.
Lconosce Ester Mochi, anche lei di San Frediano, quasi una vicina di
casa, figlia d'un fabbro ferraio, occupata come sartina nel
laboratorio tenuto da una sorella del Lanari.
Giin questo quadretto di relazioni e di rapporti familiari, di
pochi denari e di umili amori ritroviamo l'Italia angusta, l'Italietta
della penuria, anche se, a modo suo, piena di speranze e non senza
ideali, tra i quali comincia a prendere corpo il sogno dell'unit nazionale.
Antonio Meucci noto alla polizia granducale per certe sue
intemperanze politiche di stampo "sovversivo"; il ragazzo di fede
repubblicana, il repubblicanesimo d'allora spesso estremista e
massonico, venato d'anarchia, un concentrato di tutto ciche i regimi
al potere, compreso quello toscano migliore di tanti altri sparsi
nella penisola, non tollerano. In qualche occasione stato fermato
dalla polizia e ha dovuto dormire in gattabuia. Al Lanari quel ragazzo
dalla "testa calda" simpatico, gli piacciono la sua inventiva, la
giovialit ma quando le pressioni poliziesche, dopo i moti del 1831,
diventano troppo forti si vede costretto a licenziarlo. Non lo abbandona
tuttavia, anzi di preoccupa di trovargli un posto lontano, fuori
d'Italia, in America, a Cuba. All'impresario Francisco Marty y Torres,
che gestisce all'Avana il Tac犥 Opera-house, non pare vero di tornare
a casa portando con suna brava sarta di scena e un valentissimo
macchinista.

Meucci conosce all'Avana il destino di tanti emigranti: lavora come
un ciuco e riesce a metter da parte insieme a sua moglie ventimila
dollari, non una fortuna, sicuramente, ma una cifra su cui fare un
certo affidamento e qualche progetto. Nei mesi d'intervallo tra due
stagioni, ma anche nelle ore libere della giornata, quel giovane che
ha energia da vendere continua a lavorare su un'invenzione che ha
battezzato "telegrafo parlante" e sulla quale aveva cominciato a
trafficare gia Firenze. All'inizio il marchingegno addirittura
rudimentale, poco pid'un gioco da fanciulli. Si tratta pio meno di
due imbuti muniti d'una lamella vibrante, assicurati alle due
estremitd'un filo. La lamella trasmette al filo i suoi impulsi che
arrivano, anche se smorzati e distorti, all'altro capo. Avvicinando
l'imbuto all'orecchio mentre un altro parla, possibile ascoltare
un'eco lontana della sua voce.
All'Avana comunque l'invenzione prende una forma meno primitiva,
entra in ballo l'elettricit viene risolto il problema di isolare
l'impugnatura dalla parte elettrica e Meucci prende tale confidenza
con quella forma d'energia che comincia a tentarne, con qualche
successo, anche delle applicazioni terapeutiche. I perfezionamenti che
riesce ad apportare al suo "telegrafo parlante" s'alternano cosai
tentativi di guarire con l'energia elettrica le malattie di tipo
reumatico e artritico.

Non una brutta vita la loro, l'Avana piacevole, Meucci e sua moglie
sono benvoluti, forse i due sarebbero rimasti per sempre se un giorno il Tac犥 non fosse bruciato. E' il nuovo impianto di gas illuminante appena inaugurato a dare avvio alle fiamme, le scene e le armature di legno fanno da esca, l'inesperienza degli addetti permette al fuoco di svilupparsi al di ld'ogni controllo. Ci vorranno anni per ricostruire la sala e
per decine di persone questo vuol dire la rovina. Quanto ai Meucci, la
sola attivitdi guaritore di Antonio non basta certo, tanto piche
anche Ester rimasta senza lavoro. In breve, bisogna rifare i bagagli
e partire di nuovo. La destinazione questa volta New York, dove i
coniugi Meucci sbarcano il 1.o maggio 1850.
Vorrei sottolineare la data. Nel 1850, in Italia, s'giconsumata
la tragedia gloriosa della Repubblica romana, Garibaldi e la sua
compagna Anita in fuga dopo la disfatta si dirigono verso Venezia, ma
arrivati non lontani da Ravenna, Anita, che gravemente ammalata,
muore. Seguono mesi travagliati da un doppio dolore, quello personale
per il lutto e quello politico per la sconfitta gravissima subita a
Roma. La fortuna politica di Garibaldi in questo momento molto
bassa, la sua presenza risulta ingombrante e imbarazzante per tutti.
Con ferma discrezione il governo piemontese lo invita a scegliersi un
esilio e da Tangeri, dove s'rifugiato, il generale alla fine di
giugno s'imbarca per New York via Liverpool. Il legno prescelto il
veloce vascello postale "Waterloo" che arriva nella baia di New York
dopo trentadue giorni di mare, alla fine di luglio.

Quando sbarcano a New York Antonio ed Ester Meucci scelgono Staten
Island perchall'interno della baia una delle localitmeno care.
Spendendo solo un quarto dei risparmi accumulati durante i quindici
anni all'Avana riescono a comprare una modesta casa in localit Rosebank, non lontani dal villaggio di Clifton. Il grande pregio della
casa di trovarsi non lontana dal mare e in mezzo a grandi alberi
maestosi. New York lontana, ma in fondo raggiungibile con un paio
d'ore di viaggio e Antonio in quel momento non pensa che quelle due
ore diventeranno molto pesanti quando si tratterdi andare e tornare
da Manhattan tutti i giorni, a litigare per la proprietdelle sue
invenzioni. Anche se ci pensa, del resto, il risultato non cambia
perchStaten Island tutto ciche le finanze familiari gli
permettono di avere senza impegnare l'intero patrimonio. Si sono
appena installati quando viene annunciato che a bordo della "Waterloo"
in arrivo il generale Garibaldi.
Nonostante abbia solo quarantatranni, Garibaldi molto malconcio
e i reumatismi, riacutizzati dalla traversata, gli impediscono di
muovere il braccio sinistro. Nelle sue memorie il generale scrive:
"Nella traversata per l'America fui assalito da dolori reumatici che
mi tormentavano durante gran parte del viaggio, e fui finalmente
sbarcato come un baule, non potendo muovermi".
Anche per questo l'Eroe pensa di concedere il minimo ai
festeggiamenti preparati per lui non solo dagli italiani di New York,
ma anche dai repubblicani di altre nazionaliteuropee, tedeschi e
francesi in testa. Le sue condizioni economiche sono mediocri, come fa
capire un episodio quasi imbarazzante. Quattro italiani eminenti della
comunitlocale, tra i quali Meucci, vengono a sapere che il generale
ha rifiutato una modesta pensione offerta dal governo piemontese. A
quel punto aprono una sottoscrizione, quotandosi personalmente per
cento dollari a testa e del ricavato fanno dono a Garibaldi che ben
volentieri accetta. Le accoglienze della cittsono comunque molto
generose e riportate con ampiezza dalla stampa; un quotidiano di New
York lo definisce "uomo di fama mondiale, eroe di Montevideo,
difensore di Roma".

L'aspetto fisico del generale fa molta impressione su coloro che in
quelle prime giornate newyorkesi lo incontrano. Colpisce in modo
particolare il fatto che per il colore dei capelli, la statura,
l'energica pacatezza dei modi sembri a prima vista cos"poco
italiano", almeno secondo l'immagine stereotipa che, attraverso gli
immigrati del Meridione, gli americani si sono fatti degli italiani.
In un breve saggio a lui dedicato lo scrittore americano Henry
Theodore Tuckerman osserva: "Il contegno calmo, le movenze
relativamente lente, i capelli e la barba quasi sassoni avrebbero
potuto sembrare caratteristiche di un europeo del Nord, piuttosto che
del Sud; eppure il suo occhio, la sua voce e il suo aspetto erano
essenzialmente italiani. La sua nazionalitera tuttavia resa ancor
pievidente dall'emozione improvvisa, quantunque repressa, che
trapelava dalle sue parole e dalla sua espressione quando parlava o
udiva parlare della sua patria".
In un'intervista rilasciata al "Progresso italo-americano" nel 1907
il banchiere Giovanni Morosini ricorda il suo lontano incontro con
Garibaldi di mezzo secolo prima in questi termini: "Il grande patriota
vestiva semplicemente ed aveva l'abitudine di portare attorno al collo
un fazzoletto nero che gli copriva una gravissima ferita riportata a
San Antonio. Coi capelli alla nazarena, la folta barba
biondo-rossiccia e gli occhi celesti, aveva pil'aria di un inglese
che di un italiano. La sua andatura era quella di un marinaio o di un
ufficiale di cavalleria".
Anche i capelli "alla nazarena", ciolunghi fino al collo, avevano
una ragione particolare, servendo a nascondere la mancanza di un
orecchio tagliatogli per vendetta o dai fratelli o da un ex amante di
Anita nel momento in cui era cominciata la loro relazione.

Che cosa abbia unito due esuli di cosdiversa natura non ben
chiaro. Si pupensare che a Garibaldi sia piaciuto il temperamento
riservato di Meucci, la sua evidente buona fede, la trasparente onest spinta a volte fino al candore, la stessa modestia di costumi e di
vita. Sappiamo che quando Meucci gli offre di andare a vivere ospite
nella casetta di Clifton, Garibaldi immediatamente accetta, lascia
l'albergo di Manhattan nel quale ha alloggiato durante i primi giorni
e si trasferisce a Staten Island.
Se dobbiamo giudicare solo dai fatti, il suo entusiasmo dev'essere
notevole, divide senza disagio con Antonio ed Ester il poco spazio
disponibile in casa e quando Meucci gli espone la sua idea di metter
su una piccola fabbrica artigiana di candele steariche, l'inquieto
generale accetta immediatamente di collaborare. Forse di questo aveva
bisogno, dopo tante disavventure e lutti, forse bramava quell'umile
solitudine, un modesto impegno quotidiano che valeva per lui come una
medicina. Fatto sta che per qualche mese s'adatta a fabbricar candele
insieme a Meucci, i due uomini ogni mattino si chinano sulla cera fusa
e arrotolano steariche, cosdiversi per origine e di cosdiverso
destino, uniti perin quel momento dalla comune condizione di
emigranti.
Non so che impressione questa vicenda fara chi legge. Confesso di
aver provato, scoprendola, un'emozione forte. Il quadretto del
generale e dell'ex macchinista di teatro che fabbricano candele in
quell'angolo sperduto di Staten Island mi sembra un'eloquente immagine
dell'Italia e degli italiani di allora, quasi una visione anticipata
dei modesti destini politici che la realizzazione dell'Unitnazionale
avrebbe partorito. Fuori di quella casetta c'l'America, mentre
Meucci s'adatta a fabbricare steariche a New York sta prendendo forma
un poderoso sistema di capitali e di industrie con il quale molto
presto sarchiamato a confrontarsi. Quanto a Garibaldi,
l'eccentricitdell'impegno conferma, credo, piancora della variet dei suoi interessi la sua grande adattabilitalle pidisparate
condizioni del vivere. Questo episodio basterebbe da solo a confermare
che Giuseppe Garibaldi, buon condottiero sul campo, grande sognatore,
non conobbe le virte i vizi dell'agire politico, nl'implacabile
demone del potere.
Nelle sue memorie il generale ricorda con questo italiano affettuoso
e zoppicante il soggiorno in casa Meucci:

Egli era un prodigio di benevolenza e d'amicizia, siccome lo era la
signora Ester, di lui sposa. La mia condizione non era dunque
deplorabile in casa di Meucci; in essa io ero liberissimo, potevo
lavorare se mi piaceva e preferivo naturalmente il lavoro utile a
qualunque altra occupazione. Ma potevo andare a caccia qualche volta e
spesso si andava anche a pesca collo stesso principale e con vari
altri amici di Staten Island e di New York, che spesso ci favorivano
colle loro visite. In casa poi non v'era lusso ma nulla mancava delle
principali necessitdella vita.

Il soggiorno comunque non dura a lungo, nella primavera del 1851
l'irrequietezza afferra di nuovo il generale che riprende le sue
peregrinazioni per rientrare in seguito in Italia, dove l'aspetta la
picelebre e la pidiscussa delle sue imprese. I destini dei due
uomini si sono per un breve periodo incrociati e sovrapposti, di colpo
tornano a dividersi.

Nessuno s'mai arricchito fabbricando candele, nemmeno Meucci, che
infatti tenta continuamente di far fortuna applicandosi alle pisvariate invenzioni: una polvere effervescente per l'acqua, un igrometro, un procedimento di raffinazione del petrolio, una carta fatta con le alghe, una vernice oleosa per la conservazione del legno, una batteria galvanica a secco, una salsa per
condire la carne, tutte cose utili, giuste intuizioni che avrebbero
avuto dalla loro l'avvenire, se non gli fossero mancati i mezzi, le
conoscenze, le capacitdi relazione, la stessa lingua nella quale
proporle. All'Avana Antonio ha imparato a parlare lo spagnolo, ma a
New York il suo inglese rimane cosscarso che deve limitarsi ai
concetti elementari. Ciche maggiormente lo affligge resta comunque
la penuria di mezzi. A suo fratello nel 1855 scrive: "Ho finito tutto
quello che tenevo e non mi resta altro che la casa, il terreno e la
fabbrica dove si fabbricano le candele". E al generale, che si
appresta alla spedizione dei Mille, nel dicembre 1859 invia in una
cassa un pezzo di paraffina ottenuta per distillazione dal carbone,
precisando: "Avendo ottenuto una patente per la lavorazione di
paraffina ossia di carbone di pietra, mi sono preso la libertdi
mandarvi una mostra di questo nuovo genere, come spero che la
accetterete e cosesaminerete questo nuovo ramo di industria".
Con la stessa cassetta ha spedito in dono anche altri oggetti, tra
questi un fascio di candele bianche e due molto speciali nelle quali
ha mescolato cera di tre diversi colori: bianco, rosso, verde, povero
omaggio di un uomo che si descrive sull'orlo della rovina a un altro
uomo che in quel momento ha ben altri impegni cui star dietro.
Tra tutte le invenzioni che per lo pirestano sulla carta quella
alla quale tiene di pirimane comunque il "telegrafo parlante" che
intanto ha ribattezzato "telettrofono". PoichEster, sofferente di
artrosi deformante, costretta a restare quasi sempre in casa, Meucci
ha impiantato un collegamento "telettrofonico" tra la stanza della
moglie e la capanna poco distante dove si affanna a fabbricare
candele.

Ho ricostruito sommariamente le vicende che costituiscono
l'antefatto per dare un appropriato colore al dramma che sta per
scoppiare. Le disavventure di Meucci non si spiegano se non si tiene
conto delle condizioni di grave inferioritnelle quali si trova ad
agire di fronte ad avversari pidotati di mezzi, di conoscenze, di astuzia,
di padronanza dell'ambiente e delle leggi e, ciche piconta, della determinazione di mettere a frutto tutto questo.
L'idea di teletrasmettere il suono era d'altronde nell'aria. A
Parigi, in Germania, nella stessa Italia, ad Aosta, si stava lavorando
alla possibilitdi inviare a distanza suoni riconoscibili,
un'applicazione tutto sommato semplice, una volta messo in
circolazione il principio sul quale fondarla. Anche la riproduzione
musicale era sulla buona strada per diventare operativa, suoni
imperfetti, certo, ma ciche contava era cominciare: i miglioramenti,
l'alta fedeltper cosdire, sarebbero venuti poi.

Meucci vive alterne vicende, in pid'una occasione crede d'essersi
arricchito, salvo rendersi conto d'essere solo caduto nelle mani di
lestofanti o di incapaci. Finalmente nel 1872 si decide a costituire
una societper il brevetto e lo sfruttamento del suo "telegrafo
parlante". L'avvocato Thomas Stetson, scelto da lui e dai suoi soci
(tutti italiani), li avverte che la richiesta di brevetto comporta una
spesa di 250 dollari. I soci possono garantirne pio meno una
trentina e poichi loro mezzi non consentono pidi cossi risolvono
a chiedere, invece di un vero e proprio brevetto, un "caveat", vale a
dire un semplice avviso con il quale si diffida, per un periodo
stabilito, il direttore dell'ufficio dal rilasciare brevetti per
invenzioni simili a quella denunciata. Il "caveat" di Meucci e soci
viene registrato il 28 dicembre 1871.
Nel 1872 Meucci riesce a farsi ricevere dal signor Grant,
vicepresidente del New York District Telegraph che, saputo
dell'invenzione reclamata dall'italiano, s'detto interessato a
esaminare il progetto. E' la prima volta che un personaggio cos autorevole mostra d'interessarsi al telegrafo parlante e Meucci
accetta di buon grado di mostrare i suoi disegni esecutivi.
Grant li esamina a lungo, chiede spiegazioni su vari dettagli e alla
fine del colloquio annuncia all'italiano che conserverquelle carte
per un ulteriore esame. Meucci esce confortato; quelle carte non le
rivede pi Per mesi di seguito insiste a chiederne la restituzione,
ogni volta un qualche incaricato gli oppone ora un pretesto ora un altro
fino a quando, passato pid'un anno, gli si dice che i disegni sono andati smarriti e che per cortesia la smetta di insistere. Quale che fosse il reale valore scientifico delle carte, il titolare di un diritto viene cos trasformato in un importuno ostinato e messo alla porta.

Nel febbraio del 1876 Alexander Graham Bell deposita all'ufficio
brevetti la domanda di registrazione di un apparecchio "atto a
trasmettere la voce a distanza entro conduttori metallici". Bell di
origine scozzese, nato a Edimburgo nel 1847, figlio di uno studioso di
linguistica; quando deposita il suo brevetto ha quindi meno di
trent'anni. E' dotato di un grande talento musicale ed ginoto come
concertista di pianoforte; la passione per le invenzioni scientifiche
ha perfinito per prevalere. Emigrato in Canada, s'trasferito in
seguito negli Stati Uniti dove ha cominciato a collaborare con il
Massachusetts Insitute of Technology (M.I.T.). Insieme ad due soci,
Gardiner Greene Hubbard (che pitardi diventersuo suocero) e Thomas
Sanders, ha fondato una societcon una ben congegnata suddivisione
dei doveri: lui avrebbe messo l'ingegno e gli altri, entrambi assai
facoltosi, i denari. Anni dopo quella piccola impresa sarebbe
diventata la poderosa A.T.T.: American Telephone and Telegraph
Company.
Bell ha insomma a disposizione mezzi e conoscenze, laboratori
adatti, collaboratori capaci. L'idea geniale di mettere insieme un
telefono magnetico nel quale il meccanismo trasmittente che genera la
corrente variabile necessaria a comunicare costituito da una molla
per orologi. Su quel modello verranno in seguito realizzati i primi
telefoni commerciali.

E' a questo punto che Antonio Meucci sparisce completamente dalla
scena, competitore troppo debole per battersi alla pari, tanto piche
l'uscita di Bell ha sollevato a sua volta un vespaio di interesse e di
polemiche. La prima dimostrazione su larga scala del "telefono", come
ormai viene abitualmente chiamato, si ha a Philadelphia nello stesso
1876, in occasione dell'esposizione per il primo centenario degli
Stati Uniti. Per dire della meraviglia sollevata dall'invenzione basta
Questo episodio: tra gli altri visitatori presente Pietro II, imperatore
del Brasile, il quale chiede a un suo collaboratore di andare a dire
qualcosa all'altra estremitdel filo. Dopo averlo ascoltato esclama
con stupore: "Ma questo apparecchio parla anche portoghese!".
Accanto alle reazioni di stupore ce ne sono di altro tipo. Si pu dire che ogni giorno crescano di numero i contendenti che reclamano
una qualche prioritsull'invenzione. Diventano progressivamente
evidenti gli immensi interessi coinvolti dalle applicazioni del nuovo
strumento. Nel bailamme, i principali protagonisti rimangono comunque
da un lato Bell e soci (Bell Company), dall'altro la Western Union che
anche Thomas Edison sceso in campo ad appoggiare. Dopo aver misurato
le reciproche forze, le due societgiudicano piconveniente
accordarsi: la Western Union mette a disposizione i suoi numerosi
brevetti, chiedendo in cambio il 20 per cento sugli utili ricavati dal
telefono. Particolare degno di nota: il presidente della Western lo
stesso Grant che ha dichiarato a Meucci d'aver perso i suoi disegni.
Le speranze di Antonio Meucci diventano sempre pifioche. Relegato
a Staten Island, continua quasi da solo i suoi esperimenti, afflitto
dalla malattia sempre pigrave della moglie che ormai praticamente
immobilizzata, oppresso dalla costante penuria di mezzi,
dall'impossibilitdel suo amico Garibaldi, ormai ritirato a Caprera,
di poter fare alcunchper aiutarlo. A suo fratello Giuseppe scrive
scorato: "Spero che nell'altro mondo sarpifelice di quello che
sono stato di qua. Forse colnon avremo tanti nemici".
Per misurare la distanza che lo separa dai suoi competitori basta
pensare che, mentre Meucci e soci non sono riusciti a mettere insieme
duecentocinquanta dollari per registrare il brevetto, la Bell Company
in pochi anni investe in esperimenti, dimostrazioni e difesa delle
proprie ragioni, in giudizio e fuori, circa cento milioni di dollari,
assicurando contemporaneamente al signor Bell un utile di quattro
milioni.

Le speranze di Meucci si ravvivano di colpo quando, a seguito di
alcune circostanze per una volta positive, riesce a
mettere in piedi una societ la Globe, per lo sfruttamento della sua
invenzione, in compagnia questa volta di soci americani attendibili.
La reazione della Bell immediata, la Globe viene citata in giudizio
per violazione di invenzione coperta da brevetto. L'italiano cerca di
opporre il "caveat" ottenuto a suo tempo, ma quella garanzia aveva un
termine, il termine scaduto, nessuno ha pensato a rinnovarlo. Per di
picircola con insistenza la voce che il presidente degli Stati
Uniti, Stephen G. Cleveland, veda con favore la posizione di Bell.
Anche questa fase si chiuderebbe con una netta perdita se la
medaglia non avesse un suo piccolo rovescio. Una parte della stampa
comincia ad appoggiare la posizione del pidebole, cioMeucci, con
uno di quei non rari soprassalti di candore del giornalismo e
dell'opinione pubblica di quel paese. Nelle grandi vicende americane
s'affaccia spesso una componente per dire cosprepolitica, di tipo
morale. I detrattori degli Stati Uniti lo hanno talvolta definito un
comodo alibi, ininfluente sul risultato. Vero che spesso stato cos
e lo del resto anche nel caso di Meucci. Un giudizio di questo tipo
rimane tuttavia troppo schematico e impoverisce un fenomeno pi complicato: l'idealismo americano funziona in realtcome un
contrappeso che tende, teoricamente, a riequilibrare la spinta
selvaggia degli interessi legati al denaro.

Una delle conseguenze indirette della campagna di stampa pro Meucci
la denuncia presentata da due cittadini, William Van Benthuysen e
Charles P. Huntington, a un procuratore dello Stato del Tennessee:
"Siamo venuti a conoscenza" attacca il documento "di attendibili
informazioni che a nostro giudizio sono sufficienti a stabilire che:
1) Alessandro Graham Bell, ritenuto inventore di un utile
perfezionamento nella telegrafia e nel telefono elettrico, non stato
il primo inventore, coscome invece sostiene nella documentazione del
suo brevetto ...".
In sostanza i due firmatari, opportunamente assistiti, accusano Bell
di spergiuro e a quel punto le cause diventano due: il litigio civile
tra la Bell e la Globe e il procedimento penale contro Bell, che tuttavia interessa pigli altri concorrenti che non Meucci, il quale non nemmeno citato negli atti.

La causa civile si apre ufficialmente nell'autunno del 1886, un
brutto processo con l'aula gremita da italiani, che vedendo in quel
dibattimento una possibile occasione di riscatto nazionale, applaudono
scompostamente irritando il giudice che presiede le udienze. Anche
Meucci, ormai molto anziano, provato dalle sventure e dalle
ingiustizie subite, dpivolte in escandescenze, fornisce risposte
esagitate o fuori tema, violando il gelido rigore della procedura in
una deposizione interminabile che si trascina per un intero mese. N gli giova la deposizione della moglie Ester, assistita come lui da un
interprete che dovrebbe testimoniare con date e fatti precisi sulla
prioritdell'invenzione del marito. La sua memoria risulta fiacca e
imprecisa, il controinterrogatorio spietato e mette a nudo alcune
contraddizioni. Le condizioni di salute di Ester d'altronde sono
pessime, la donna muore nel giugno 1887.
Un mese dopo viene resa nota la sentenza con la quale il giudice d ragione a Bell, motivando la sua decisione con il fatto che Meucci ha
sinventato qualcosa, ma il suo un apparecchio meccanico e non
elettrico, poco piche un giocattolo in altri termini, che l'italiano
non ha sufficiente preparazione sull'argomento essendo un autodidatta
e che per di pinon s'mai preoccupato seriamente di "vendere" il
suo "telefono", per mancanza non di mezzi ma di fiducia nella sua
stessa invenzione.
Ai suoi fratelli Meucci ottantenne scrive: "Tutto ho perduto e vivo
di elemosina. Vorrei esser costper far riposare le mie ossa".
Alla figlia di Anita Garibaldi, Teresita, che Meucci
nell'intestazione della lettera confonde con sua madre, scrive: "Non
so quando cesseril processo intentato a Bell dal governo di questa
repubblica per la proposta del telefono che io ho inventato e che feci
conoscere per primo e che, come saprete, mi fu defraudato. Vorrei
vedere affermati i miei diritti di inventore prima di morire e se tale
fortuna mi sorridesse, mi ricorderei degli amici che mi sostennero".
In questa complessa vicenda intervenne pitardi anche una sentenza
della Corte suprema degli Stati Uniti la quale stabiliva che "il
telefono Bell dovesse chiamarsi telefono Meucci, avendo la Bell Co.
acquisito fraudolentemente il brevetto". Un riconoscimento dal valore
soltanto morale, poichdal punto di vista pratico la Bell non veniva
condannata che al pagamento di un misero vitalizio, mentre restava
valido il brevetto di Bell per la solita ragione: il "caveat" concesso
a Meucci non era mai stato rinnovato, quindi la sua invenzione era
priva di difese legali. La Bell rimaneva insomma titolare dei diritti
per lo sfruttamento commerciale dell'invenzione pirivoluzionaria di
fine Ottocento.
A chi spetta in definitiva l'invenzione di quel rivoluzionario
strumento che ha aperto l'era delle moderne telecomunicazioni? E'
possibile che Meucci sia stato in qualche modo e per qualche aspetto
defraudato, anche se indubbio che Bell e tanti altri stavano
lavorando in quegli anni sulla stessa idea. Il resto, il pi lo
fecero le circostanze, la fortuna, il denaro.

Meucci muore povero nella piccola casa di legno di Rosebank, illuso
fino alla fine: provanche a fare testamento, legando i suoi miseri
arredi a qualche amico. Anni dopo l'avvocato Lemmi, che lo aveva
assistito con generositdurante il processo, scrive nel suo
sgangherato italiano:

Quando fece testamento Meucci era di molto illuso sul valore dei
pochi oggetti che possedeva ed attribuiva a quei quattro quadri e sei
seggiole un prezzo di fantasia perchconnessi alla storia di
Garibaldi. Fu vera illusione attesochall'incanto, il letto su cui il
generale aveva dormito oltre due anni, si vendper meschine sette
lire e il suo lavamano per lire due e venticinque e tutto il resto in
proporzione. Nella speranza che il suo ricavo fosse stato rilevante,
egli donnel suo codicillo alle bimbe del suo amico Nissini, che gli
ebbe tante cure negli ultimi anni di sua vita, dollari cento ciascuna.
Povere bimbe, non videro il becco d'un quattrino.

La collocazione attuale del cottage di Meucci non corrisponde a
quella originaria. Nel 1907 la casetta stata smontata, trasferita a
qualche decina di metri, ricoperta da una specie di "pantheon",
decoroso di forme ma costruito in realtcon materiali effimeri, tra i quali, abbondante, stucco. Quando nel 1909 (4 luglio) diecimila italiani si radunano per commemorare il 102.o anniversario della nascita di Garibaldi, sia il pantheon che il cottage erano giin condizioni molto cattive. Nel 1914 il quotidiano in lingua italiana "Il giornale italiano" avvia una campagna per
riscattare la proprietdel pantheon. L'iniziativa non va bene, anzi
le celebrazioni in onore di Garibaldi vengono sospese dopo i disordini
fomentati da alcune centinaia di anarchici italiani che hanno anche
issato sul pantheon una bandiera rossa.
Il busto che oggi si vede nel prato della casa di Staten Island
venne inaugurato nel settembre 1923, a cura del governo fascista, fuso
nel bronzo dei cannoni austriaci catturati a Vittorio Veneto. La banda
di Staten Island esegul'inno di Mameli, seguirono modesti ma sinceri
festeggiamenti.
Anche dopo l'inaugurazione di quel momumento sono continuate per sia le difficolteconomcihe sia i tafferugli, particolarmente gravi
quelli che opposero, nel 1932, fascisti e antifascisti e che causarono
l'interruzione per molti anni di ogni celebrazione.
Solo nel 1962 la struttura ormai fatiscente del pantheon viene
rimossa, il cottage restaurato, i cimeli riordinati. Nel 1980 il
Garibaldi-Meucci Museum stato dichiarato monumento dello Stato di
New York e monumento nazionale degli Stati Uniti.


VIII - Due figli della Grande Mela

E' possibile che tra qualche decennio solo gli specialisti ricordino
che cosa hanno rappresentato per la storia dell'arte negli anni
Ottanta del XX secolo due giovani geni come Jean-Michel Basquiat e
Keith Haring. La loro possibile precarietstorica potrebbe venire
proprio dall'aver espresso con tale forza lo spirito del loro tempo da
confondersi totalmente in esso. Gli anni Ottanta sono stati per
l'America, e soprattutto per New York, una specie di etdell'oro, con
tutto l'agio e il piacere ma anche la frenesia, l'avidite gli
spiriti malvagi che l'odiosamato metallo capace di suscitare.
Basquiat morto di droga a nemmeno ventotto anni, Haring di Aids a
trentadue, basterebbe questa fine precoce a dire il valore simbolico
d'una traiettoria fulminea, sospinta in velocite in altezza da quel
momento artistico, ma anche dall'economia e dalla politica di quel
periodo.
I newyorkesi sembrano spesso convinti che Manhattan rappresenti il
centro del mondo: una fiducia non sempre fondata, talvolta irritante.
Ma se c'un terreno nel quale questa diffusa convinzione giustificata, proprio quello dell'arte contemporanea. La seconda
metdel secolo che s'appena chiuso ha segnato per l'America un
primato indiscutibile, nel senso che l'arte e il suo mercato (per non
parlare del cinema) sono diventati americani. Non che gli europei
siano rimasti a guardare; il loro perstato un ruolo da comprimari.
Se fossimo a teatro diremmo che gli stato consentito di pronunciare
ogni tanto una battuta, buone battute, in qualche caso brillanti, ma
il vero dialogo, quello che crea l'azione, si svolto altrove: a New York
per l'arte - a New York e in California per il cinema.
Se Basquiat e Haring fossero vissuti a Parigi o a Londra non
sarebbero mai diventati ciche New York gli ha permesso di diventare.
Alla loro citte al loro tempo i due giovani geni devono tutto,
dall'inizio alla fine, tutta la vita e tutta la morte, perchse
fossero vissuti altrove probabilmente non sarebbero morti, non a
quell'et almeno.
C'un posto dove il ricordo di Basquiat piintenso ed l'appartamento dove ha vissuto i suoi ultimi anni e dov'morto, il 12
agosto 1988. Si trova ginell'East Village, al numero 57 di Great
Jones Street, un loft su due piani che, a partire dal settembre 1983,
Jean-Michel aveva preso in affitto da Andy Warhol per quattromila
dollari al mese. L in un soffocante pomeriggio d'agosto, si consumata la tragedia e se fossimo in Europa, oggi vi sarebbe
probabilmente un segno di riconoscimento, di memoria. A New York
invece, con la sua velocit la sua riluttanza a volgersi indietro,
nulla ricorda il talento che solo pochi anni fa ha attraversato con
grande fragore il suo cielo. Nelle stanze dove l'artista vissuto ed
morto c'stato fino a poco tempo fa un magazzino all'ingrosso di
prodotti alimentari per i ristoranti giapponesi della zona. Oggi c' un qualunque ufficio che domani sarsostituito da una qualunque altra
attivit Se si riesce, con qualche insistenza e un po' di fortuna, a
entrare la situazione non cambia. La sola traccia che ho trovato
dell'artista una scritta messa da lui con la quale si vieta
l'accesso ai cani.
Resta perla storia, quella di Basquiat e quella di Keith Haring,
per molti aspetti diversa, analoga solo nella brevite nella furia
con la quale si consumata; ed proprio un racconto, ciola pi immateriale delle tracce, che puillustrare meglio di qualunque altro
lascito visibile che cosa sono stati per New York artisti come quelli
e che cosa hanno significato gli anni Ottanta, durante i quali ogni
vertice stato toccato, molti limiti trasgrediti, quasi ogni eccesso
raggiunto.

Basquiat veniva da una famiglia della media borghesia, originaria di
Haiti. Erano arrivati a Brooklyn nel 1955, il padre Gerald
aveva trovato lavoro come contabile da qualche parte, la madre
Matilde, portoricana, badava a mandare avanti la casa, anche se
Jean-Michel ha ripetuto pivolte che "la mia arte venuta da lei".
Certo non venuta dal padre, figura tutto sommato sbiadita, con
l'unica prerogativa di essere un donnaiolo impenitente (come del resto
sarsuo figlio). Basquiat lo ha descritto talvolta in termini
sinistri, arrivando a dire che una cicatrice sulla natica era la
traccia d'una ferita procuratagli da suo padre che l'aveva sorpreso in
camera a fumare droga. Un'altra volta dichiarinvece che il padre
l'aveva colto durante un rapporto omosessuale con un coetaneo.
Jean-Michel, nato nel 1960, era il primogenito, dopo di lui vennero
due femmine: Lisane (1963) e Jeanine (1966). Non alto di statura,
esile e aggraziato nel corpo, Basquiat poteva sembrare un povero
niente uscito da un ghetto o, con uguale verosimiglianza, un modello o
un atleta. Tutto dipendeva dalle circostanze, dagli abiti, da quanta
droga aveva consumato nelle ultime ore. Di questa labilitporteril
peso per tutta la vita, anche quando sardiventato ricco e famoso.
Per uno come lui era pifacile viaggiare in Concorde tra gli Stati
Uniti e l'Europa che non prendere un taxi a New York, perchnessun
autista si sarebbe fermato a raccogliere un giovane nero conciato in
quel modo, visibilmente fatto di droga.
Tutto in lui era molto dichiarato e scoperto, a cominciare dalla sua
psicologia. Non perdeva occasione per dichiarare il suo odio per il
padre, ma era anche evidente il suo amore per lui e il desiderio di
emularlo. Aveva ereditato da Gerald non solo la passione per le donne
ma l'amore per il jazz e per la cucina; anche verso la fine della sua
breve vita si divertiva a preparare qualche piatto per gli amici,
foss'anche una "semplice" omelette al caviale. Sempre dal padre prese
un modo di comportarsi e di reagire nel quale timidit educazione
approssimativa, trauma da successo si trasformavano con facilitin
arroganza. Se Basquiat avesse saputo chi era Robert de Montesquiou
avrebbe fatto sua questa massima del conte di Parigi: "Je me complais
au plaisir aristocratique de dlaire".
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Anche Haring veniva da una famiglia della media borghesia, appena
piagiata della famiglia Basquiat. Per un ragazzo come Keith, nato e
cresciuto nella Pennsylvania bianca e provinciale, arrivare a New York
fu come trasferirsi ai tropici: trovuna cittesotica, profondamente
intrisa delle culture nera e portoricana, dei loro suoni, ritmi e
sapori. La mia idea, disse pitardi, era che dovevo trasferirmi a New
York perchlavrei finalmente incontrato i miei contemporanei.
Quando Keith era ancora a Pittsburgh si manteneva facendo umili
lavori per l'Arts and Crafts Center, poco piche manovalanza. A
vent'anni, nell'autunno del 1978, decide di trasferirsi a New York e
bisogna capire quale fu il peso di un tale spostamento per un ragazzo
come lui, allevato in un ambiente nel quale non esistevano influssi di
altre culture. A New York sceglie la School of Visual Arts (S.V.A) la
cui frequenza gli garantisce una borsa di studio del governo. "In
realtmi iscrissi a quella scuola" dirqualche anno dopo "perchera
un buon mezzo per sopravvivere nella cittche avevo scelto".
Anche lui come Jean-Michel deve pidi qualcosa a suo padre, con la
differenza perche Keith sardisposto ad ammetterlo con pifacilit e meno vergogna. Eredita per esempio l'amore per il disegno, il gusto
per la rappresentazione "pop" dei fumetti nei quali viene potenziata
la componente sessuale ed erotica. Suo padre era un ottimo disegnatore
e uno dei suoi soggetti preferiti erano provocanti "donnine" schizzate
alla maniera del celebre Vargas.
Una notte Keith trova tra i rifiuti di cui le strade del Village
abbondano un grosso rotolo di carta per sfondi fotografici, diventer la prima tavolozza per i suoi disegni newyorkesi. Prende uno "studio"
nella Ventiduesima Strada che in realtun magazzino, per avere
abbastanza luce deve lavorare con il portone spalancato. La zona frequentata da personaggi di ogni genere, abbondano i barboni e gli
alcolizzati. Quel ragazzo che disegna su enormi fogli li incuriosisce,
si fermano, ridono, commentano ad alta voce. DirKeith: "Molto spesso
le loro osservazioni erano piintelligenti o comunque m'interessavano
di pidi ciche dicevano i miei compagni di corso".
In quelle conversazioni smozzicate ed estemporanee, una
delle cose che sente ripetere pispesso che i suoi disegni
ricordano i graffiti di cui la citt specie nelle zone sotterranee,
si va riempiendo. Altri avrebbero potuto essere infastiditi da un
lavoro messo sotto gli occhi di tutti, ma Keith invece quell'aria da
villaggio piace, pidelle parole scambiate vale per lui il piacere di
lavorare in mezzo alla gente, per usare le sue parole: "L'azione in s diventava piimportante del risultato finale".
Alla S.V.A Keith in qualche modo, a suo modo, uno studente modello
anche se non fa mai i compiti assegnati perchoccupato a fare
altro, a lavorare di suo. Gli insegnanti capiscono che quel ragazzo ha
del talento e che bisogna lasciarlo fare cos Ma la S.V.A anche il
luogo in cui Haring e Basquiat s'incontrano per la prima volta - in
circostanze per la veritsgradevoli.
Haring sta per entrare nella scuola quando un giovane nero gli
chiede di poter passare con lui perchsenza documenti e la guardia
gli nega l'accesso. Keith acconsente e scopre cosche quel ragazzo il
famoso "Samo", una sigla che compare sotto i graffiti che coprono le
mura del quartiere. Infatti dopo qualche ora alcuni di quei graffiti
compaiono anche nella sala d'ingresso della scuola. Indagine
immediata, l'uomo di servizio alla porta viene licenziato sui due
piedi.

In quel momento l'attivitpittorica di Basquiat consiste nel
coprire di graffiti le mura cittadine. Alcuni sono geniali, altri
semplicemente orecchiati, in un caso e nell'altro rivelano un
infallibile istinto del tempo e del momento. Vanno letti come
apparvero, nella lingua originale:

Samo as a neo art form
Samo as an end to mindwash religion, nowhere politics and bogus
philosophy
Samo saves idiots
Samo as an alternative 2 playing art with the radical chic sect on
Daddy'$ funds
Samo as an alternative to the "meat rack" arteest on display
Samo as an end to this crap ... Soho too!

A distanza di anni ci si pumeravigliare che slogan di tale
semplicit"ideologica" producessero un'impressione cosforte
da essere riprodotti su vari giornali del Village. Incuriosiva il loro
contenuto e soprattutto l'identitdell'autore, il miserioso "Samo",
qualunque cosa quella firma di quattro lettere volesse dire. Uno degli
slogan pisignificativi, almeno alla luce del successivo destino
artistico di Basquiat, diceva: "Samo as an attitude towards playing
art" e poichil verbo "to play" significa sia giocare che suonare, lo
slogan si adatta molto bene a ciche Basquiat diventernel corso del
suo sviluppo artistico.

Basquiat e Haring non avrebbero probabilmente avuto quel successo se
le loro attivitnon avessero colto in pieno il particolare momento
che New York stava vivendo. Qualche tempo dopo la morte di Basquiat,
Haring scrisse su "Vogue" un articolo che riassume l'essenza e i
rischi di quel percorso:

Il fatto che Jean-Michel sia stato etichettato come un artista di
graffiti un esempio perfetto di come il mondo artistico degli anni
Ottanta sia stato manipolato e malamente rappresentato. La gente era
interessata pial fenomeno che all'arte in s Il crescente interesse
per il collezionismo inteso come investimento, e il conseguente boom
del mercato dell'arte, rendevano particolarmente difficile per un
giovane artista mantenere la sua sincerit rinunciando a sfruttare
cinicamente il momento.

Pudarsi che Haring abbia messo anche Basquiat nel numero di quelli
che non furono capaci di conservare la loro sincerit Del resto molti
critici concordano sul fatto che Jean-Michel, devastato com'era dalle
droghe, con sintomi anche fisici di grave decadimento, produsse
nell'ultima parte della sua vita opere noiose e ripetitive almeno
quanto erano state esplosive le prime.

Il decennio degli Ottanta s'identifica grosso modo negli anni di
Reagan con l'economia americana in forte espansione. Per il mercato
dell'arte quel periodo stato addirittura fragoroso. Sherman McCoy,
il protagonista del romanzo di Tom Wolfe "Il faldelle vanit,
incarna la nuova etica dominante, vale a dire la cultura che trasforma
il denaro in un bene in s rendendolo quasi un indice di virt La
battuta di Michael Douglas nel film di Oliver Stone "Wall Street"
riassume bene la nuova moralitlegata alla ricchezza: "Greed is good", la cupidigia un bene.
Nella stagione del 1980 le case d'asta di New York bruciano ogni
record precedente totalizzando vendite per 56 milioni di dollari. Nel
1983 il possibile fatturato del mercato dell'arte a New York viene
stimato in due miliardi di dollari. Per la prima volta il
collezionismo d'arte viene a far parte dei segni di una ricchezza
"visibile ed elitaria" su scala di massa.
A ogni asta, a ogni "vernice" che si tiene al Village, fuori delle
gallerie sostano decine di limousine con gli autisti a bordo, pronti a
caricare i nuovi acquisti che finiranno sulle pareti dei begli
appartamenti di Park Avenue e di Sutton Place. Ragazzi arrivati dalle
zone pipovere, il Bronx o Bedford Stuyvesant, strafatti di marijuana
o altro, si fondono in un'unica folla con le signore eleganti della
Quinta Avenue. Forse solo ai tempi della Pop Art negli anni Sessanta accaduto che domanda e offerta di opere d'arte abbiano avuto una cos perfetta sintonia. L'aspetto ironico della situazione che la zona
della cittdiventata di moda e ribattezzata East Village quello
stesso Lower East Side dove all'inizio del secolo si ammassavano a
migliaia i dannati della terra, venuti a New York alla ricerca d'uno
nuova vita.
In mezzo a questo pubblico indifferenziato e frenetico accade e si
trova di tutto: i cantanti rock, la droga a fiumi, gli alcolizzati
della vicina Bowery, gli Hell's Angels e le prostitute, i giovani
artisti promettenti e i critici illustri, le "marchette" che per pochi
dollari sbrigano il loro lavoro nel primo angolo buio. Le gallerie
arredate dagli architetti di grido sorgono a fianco di edifici andati
in rovina, in pochi metri concentrato tutto il meglio e tutto il
peggio che la cittpuoffrire. Nessun movimento d'avanguardia ha mai
avuto uno scenario coselettrizzante, lo definiscono una vera sintesi
dello spirito reaganiano.

La maggior parte dei nuovi collezionisti non sa nemmeno bene che
cosa sta acquistando. Si compera qualunque cosa un mercante di fiducia
suggerisca, con la speranza di rivenderla al doppio o al triplo dopo
averla esibita per qualche tempo nella propria casa.
E' un collezionismo spesso rapace e cieco, un mercante
lo accomuna all'assuefazione che danno le droghe. Le gallerie d'arte
che negli anni Settanta erano circa duecento, alla metdel decennio
successivo sono diventate pidi seicento. Ormai si comprano quadri,
dichiara una gallerista, come se fossero biglietti della lotteria. Un
mercato in tale vertiginosa espansione provoca, non foss'altro per
trascinamento meccanico, una serie di conseguenze. La prima che la
domanda supera quasi sempre l'offerta; la seconda che per stare
dietro alla domanda gli artisti meno coscienziosi producono a ritmi
sempre pirapidi; la terza che i mercanti acquisiscono un potere di
controllo senza precedenti sui loro clienti. Si creano liste d'attesa
per gli artisti pirichiesti ("Avril suo quadro tra sei mesi, tra
un anno"), e nascono addirittura (come avviene per le inserzioni
pubblicitarie) le vendite a pacchetto: le vendo l'artista A a
condizione che lei acquisti anche opere degli artisti B e C. Non di
rado i prezzi di questi "pacchetti" vengono giudicati "scandalosi".
Un'ulteriore conseguenza, una vera novit che al consulente
finanziario e di borsa s'affianca ora la nuova figura del consulente
artistico che suggerisce quali sono gli artisti da comperare, nonch l'istituto di credito che, all'occorrenza, puanticipare i soldi
caricando ovviamente un congruo interesse.
Ogni artista che dimostri un minimo di talento o anche solo di
capacitd'intuito, di saper galleggiare al centro della corrente, si
vede praticamente strappare le opere dalle mani e nessuno si
meraviglia se anche gli artisti, alla pari dei giovani professionisti
affluenti nelle professioni (i celebri "Yuppies"), manifestano il loro
entusiasmo per il successo e il denaro.

Jean-Michel Basquiat preso in questo vortice. In tre anni, tra il
1982 e il 1984, i prezzi delle sue opere aumentano del 500 per cento,
anche lui dimostra di saper nuotare al centro della corrente. Intanto
altre vendite stabiliscono cifre record per un'opera d'arte. Gli "Iris" di
Van Gogh vanno all'asta nel 1987 per 54 milioni di dollari, pio meno 100 miliardi, una cifra senza senso quale che sia il capolavoro al quale si riferisce e che segna il culmine del periodo. Gonfiata dal di ldi ogni
misura, la bolla finalmente scoppia come la rana di Esopo, con immenso
fragore, nel famoso "black monday" dell'ottobre 1987. Quel luned viene gila borsa e insieme ad essa anche gran parte del mercato
dell'arte. Chi ha comperato solo per rivendere a prezzo di
speculazione, deve pagare il giusto contrappasso di tenere appeso al
muro del salotto il simbolo della propria ingordigia.

Non la prima volta che questo succede. Da molto tempo d'altronde
nulla accade mai per la prima volta. La vita breve di Basquiat
attraversa i veloci movimenti artistici che vanno dal Pop al
Neoespressionismo. Quando Jean-Michel nasce, nel dicembre del 1960, il
movimento della Pop Art ha appena trovato il suo manifesto nella
famose scatole di minestra Campbell disegnate da Andy Warhol, guru di
quella corrente.
La Pop Art si coagula attorno a una figura di eccezione, Leo
Castelli, la cui galleria diventa il centro di gravitdella corrente:
Rauschenberg, Lichtenstein, Jasper Johns, Frank Stella, Cy Twombly,
John Chamberlain e naturalmente Warhol, l'artista capace di
trasformare fama e successo in una parte stessa dell'estetica. A
ognuno di loro Castelli duno stipendio per aiutarli a vivere, nel
complesso si tratta del pibel gruppo di artisti americani dai tempi
dell'Espressionismo astratto.
Tante differenze esistono tra il movimento degli anni Sessanta e
quello che verrdefinito vent'anni dopo il Neoespressionismo. Una tra
le principali che manchernegli anni Ottanta una figura di mercante
come Leo Castelli, questo ebreo triestino discreto, elegante, geniale
che diventil miglior gallerista del mondo in etmatura, dopo aver
lavorato nelle assicurazioni e nel settore delle confezioni. E che
diventgallerista non per spirito speculativo, ma solo per l'amore e
il piacere dell'arte. Castelli era molto amico di De Kooning, massimo
rappresentante dell'Espressionismo astratto, ma quando vide alcune
opere di Rauschenberg e Johns l'amicizia non gli impeddi cogliere
immediatamente il peso della novit Aprla sua prima galleria nel
1957 senza una vetrina nun'insegna, bisognava sapere dov'era per
andare ad ammirare le opere che insieme a sua moglie Ileana Sonnabend
aveva sapientemente collezionato. Cominciin maniera quasi clandestina,
ma quando nel gennaio dell'anno dopo Leo Castelli inaugurla prima mostra
di Jasper Johns tutti capirono che l'era dell'Espressionismo astratto s'era conclusa e che un nuovo movimento era nato.

Passano vent'anni e lo scenario cambia radicalmente. I giovani
artisti dei Sessanta ascoltavano i Beatles, erano pacifisti, fumavano
marijuana o prendevano l'Lsd, si battevano contro la guerra in
Vietnam e contro il consumismo trionfante, anche se di quel consumismo
erano in certo modo i figli e ne godevano comunque i frutti. Li
attraversava un moto di ribellione forse infantile, certamente
autentico, una spinta contro il sistema che nel 1968 tenterdi
trasformarsi in un vero movimento politico.
Negli anni Ottanta i Sex Pistols e i B-52 hanno sostituito i
Beatles, l'Lsd stato rimpiazzato dalla cocaina o dalla micidiale
eroina; soprattutto sparita ogni ideologia. L'unica causa per la
quale i giovani di quel decennio, artisti compresi, hanno voglia di
battersi la propria. Secondo una formula felicemente sintetica: gli
artisti dell'Espressionismo astratto si mettevano insieme per
promuovere un movimento mentre gli artisti del Village cominciano a
mettersi insieme per promuovere se stessi. La conseguenza che i
primi segnano un punto di svolta nell'arte del XX secolo, i secondi
fondano una moda. Materialismo e consumismo contro i quali negli anni
Sessanta si dimostrava sfidando i lacrimogeni della polizia, sono
diventati, vent'anni dopo, il traguardo da superare, la sfida da
vincere, le bandiere di una generazione. Resta tuttavia un elemento
comune, uno dei pochi. I grandi artisti dell'Espressionismo astratto
avevano applicato al campo dell'arte le regole dello "star-system" che
valevano per altre attivit dalla musica al cinema. La loro scoperta
era stata che l'artista pudiventare un beniamino della societe dei
media, diciamo pure un divo, non meno di un'attrice o d'un cantante.
Andy Warhol battezza il suo laboratorio-studio "The Factory", cio "Lo stabilimento", perchalle sue opere applica in modo massiccio il
procedimento industriale della produzione in serie; i suoi multipli, le sue celebri serie (i volti di Marilyn o del presidente Mao) riproducono in chiave artistica la catena di montaggio della fabbrica fordista.
Il successo di un artista di questo tipo si misura non pisul
tenore delle recensioni alle sue mostre, ma sul numero delle copertine
nei settimanali di massa e sulla qualitdei pettegolezzi che
circolano sulla sua vita privata. Nella sua opera "Po-Pism", Warhol
detta il vangelo per questa nuova generazione: "Per diventare un
artista di successo, occorre che le vostre opere siano esposte in una
buona galleria per la stessa ragione, diciamo, per la quale Dior non
venderebbe mai i suoi modelli sul bancone di un grande magazzino ...
la misura del vostro talento conta poco o niente, e se non riuscirete
a farvi pubblicizzare in modo adeguato non diventerete mai un nome da
ricordare". E' forse il solo insegnamento che i loro epigoni,
vent'anni dopo, sono disposti a fare proprio.

Era necessario ricordare brevemente la cornice dentro la quale il
lavoro di Basquiat e di Haring va a collocarsi perchsenza questi
riferimenti non si pucapire nla velocitdella loro ascesa n l'altezza raggiunta. In un ambiente artistico concitato, in perenne
attesa di nuove scoperte, i graffiti urbani e il movimento che ne
deriva sono visti come un nuovo mezzo espressivo che puservire a
raggiungere un pubblico pivasto e quotazioni pialte. Allo stesso
modo, quando cominciano a emergere gli artisti subito battezzati
"neoespressionisti", collezionisti e critici, con un sincronismo
rarissimo, si dichiarano affascinati.
Jean-Michel non sa che cos'il mercato e quali leggi lo regolino,
ha perun istinto infallibile che gli permette di capire che cosa si
chiede e che cosa deve dare un artista come lui. Non certo un caso
che uno degli obiettivi perseguiti con piostinazione sia quello di
diventare il "prot di Andy Warhol. Ci metterparecchio tempo, ma
alla fine riuscirnel suo intento.
Anche se Basquiat e Haring non fanno parte del gruppo dei
"graffitisti" e orgogliosamente rivendicano questa estraneit quello
resta il mondo al quale fanno riferimento. I graffiti, si
disse allora, non rappresentano un semplice stile, ma un'intera
cultura che esplose quando le bombolette di vernice acrilica vennero
messe in vendita a prezzi molto bassi. I graffiti sono l'espressione
di gruppi giovanili per lo pineri o portoricani della periferia,
sono slogan politici, frasi erotiche, scrittura in libert nonsensi.
Anche quando non vengono citate esplicitamente chiaro il richiamo
alle droghe; i colori sono netti e violenti, gli spazi utilizzati
quelli sotterranei, stazioni e carrozze della metropolitana, dove pifacile sfuggire ai controlli.
Alcuni di questi ragazzi riusciranno a emergere per passare dai muri
e dalle lamiere della metropolitana alle tele delle gallerie d'arte.
Come disse qualcuno: sono pagati profumatamente per fare le stesse
cose per le quali prima rischiavano l'arresto. Un artista dei graffiti
come Toxic, arrivato a essere piuttosto noto, parlerdel
disorientamento di questi ragazzi di periferia, giovanissimi, che si
trovano di colpo ad avere molto denaro senza sapere bene che cosa
farne. "Io mandavo le mie Bmw a fasciarsi contro un muro, me ne
andavo a Parigi per una settimana portandomi dietro qualche ragazza,
passavo i fine settimana a Disneyland, insomma era come essere tornato
bambino con in tasca un sacco di soldi e nessuno che ti dicesse quello
che dovevi farne perchdicevano sempre tutti di s.
Anche a Basquiat capita di vivere un'avventura di questo tipo. Il
povero ragazzo di Brooklyn, ricco del suo enorme talento, afflitto
dalla sua immensa debolezza, si trova quasi da un giorno all'altro al
centro di un'attenzione fatta di vera ammirazione, fatua curiosit
accanito interesse.

La prima mostra in cui questo gruppo di artisti si fa conoscere il
"Times Square Show" (Quarantunesima Strada e Settima Avenue) nel
luglio 1980; altre ne seguono a distanza di pochi mesi. Le mostre si
aprono nelle gallerie ma vengono organizzate nei club. Il pialla
moda in quel periodo il Mudd al 77 di White Street, una specie di
caverna arredata con decine di mappe aeree e monitor televisivi di cui
Brian Eno ha progettato l'impianto sonoro. Folla e brusio, chiacchiere
inutili e progetti per il futuro, sesso e droga nelle latrine, anzi c'
chi dice che proprio lla vera azione, non in sala o nei
corridoi. Ovunque una folla di artisti, scrittori, pubblicitari,
agenti di borsa, gente della Tv, qualcuno che vuole solo far sapere
che esiste; sono soprattutto le donne a dare spettacolo con le loro
acconciature eccentriche, il trucco pesante, gli occhiali da sole
nella sala quasi buia, la seminudit
In quel periodo Basquiat ha i capelli rasati nella metanteriore
della testa, come gli indiani Mohawk, biondi nella restante met
Anche se la sua situazione sta per cambiare radicalmente ancora
senza un soldo, talvolta si prostituisce agli omosessuali, passa la
notte al club ballando, fumando erba e altre droghe fino alle dieci
della mattina dopo, dorme dove trova un letto, in genere con una
ragazza, talvolta con uomini; quando non trova nessuno si adatta in
qualche edificio in disuso o su una panchina nei giardinetti di
Washington Square. I club alla moda vanno e vengono per l'intero
decennio. Alla fine del 1984 il pi"trendy" Area, frequentato da
tutti gli artisti piin voga e tra questi naturalmente Basquiat,
Warhol, Haring. Anche qui tra bar, pista da ballo e corridoi, il posto
piaffollato la toilette, nonostante i cartelli distinguano tra i
sessi, uomini e donne entrano dove capita. Come annota Warhol nel suo
implacabile diario: "Jean-Michel mi ha trascinato nei bagni per
uomini, molto divertente, ci sono ragazze che si rifanno il trucco
allo specchio mentre gli uomini pisciano negli urinali laccanto;
sarebbe grandioso se non ci fosse quella puzza di merda, sarebbe
esattamente il mio tipo di film".
Un'altra mostra che fa epoca nel febbraio 1981 quella denominata
"New York-New Wave" tenuta al P.S.1 di Brooklyn. Nella folla degli
artisti, i lavori di Basquiat sono quelli che piacciono di pi chiaramente lui il pidotato. Una delle sue opere si vende per 2.500
dollari, niente in paragone a ciche sarpoi, ma pidel denaro
conta il riconoscimento, il primo.

Negli anni dell'esordio figurano i nomi di due galleristi italiani:
Emilio Mazzoli, un modenese molto vicino alla transavanguardia
(definizione escogitata da Achille Bonito Oliva) e Annina Nosei,
dinamica figura nella New York di quegli anni. Merito di Mazzoli di
organizzare per Basquiat a Modena (maggio 1981) la prima personale.
Della cittnon vede praticamente nulla, Jean-Michel non sa niente di niente,
ha pochissime curiosit la sola cosa che gli sta a cuore la sua New York.
Il soggiorno modenese lo passa chiuso in galleria a finire il lavoro o in albergo a guardare la Tv senza capire una parola, prendendo una droga dopo
l'altra. Si comporterdovunque allo stesso modo. Quando nel 1982 deve
trasferirsi in California per una mostra, non va nemmeno una volta a
vedere l'oceano, passa tutto il tempo a dormire e a drogarsi: un po'
di lavoro, a letto alle dieci del mattino, sveglia verso sera per
andare in qualche club o discoteca.
Quanto all'Italia, sa a malapena dov'sulla carta geografica, tutto
ignora di Modena e tuttavia il suo accompagnatore Massimo Audiello si
rende conto con stupore che Jean-Michel va riempiendo le tele di fili
spinati, aratri e armi, avendo in qualche modo colto un aspetto del
passato cittadino, quello risorgimentale o quello legato alla
Resistenza.
Esce dalla sua stanza solo la sera, cotto dalla droga, per andare in
qualche locale notturno, ha imparato velocemente che i capricci di un
artista, non meno di quelli di una prima donna, devono essere subito
soddisfatti. Una volta sente il bisogno di una donna e comincia a
chiederla con la petulante insistenza del drogato, usando la parola
italiana: "La puttana! La puttana!". Immagina probabilmente una delle
fiammeggianti prostitute di New York. In pochi minuti riescono a
portargli in camera un'anziana mercenaria che evoca pigli affetti
materni che la passione.

L'avventura con Annina Nosei picomplessa. La Nosei era arrivata
in America alla metdegli anni Sessanta con una borsa di studio
Fulbright. Quando decide di aprire una galleria tra i primi a
mettere in mostra Chia, Clemente e Paladino; anche Basquiat una sua
scoperta con un rapporto presto diventato intenso e problematico.
L'ascesa dell'artista cosveloce che ginell'autunno del 1981 non
si riesce pia stare dietro alle richieste. Uno anno prima
Jean-Michel dormiva sulle panchine di Washington Square, nel giro di
dodici mesi le sue opere si vendono a diecimila dollari l'una e la Nosei
ha molte difficoltad accontentare tutti i possibili clienti.
Temperamenti difficili entrambi, i due hanno un rapporto
conflittuale con momenti ed episodi di tale asprezza da alimentare la
voce che la Nosei tenga in pratica Jean-Michel prigioniero nel
seminterrato della galleria, ben rifornito di droga, a patto che
sforni piquadri possibili. Pid'una volta Basquiat lamenterdi
essere stato infastidito dal continuo viavai dei clienti che Annina
accompagna nel seminterrato per far vedere il genio al lavoro.
Anche se la veritdifficile da accertare, curioso che nessuno
abbia ricordato un precedente analogo accaduto a Modigliani a Parigi.
Il primo vero mercante di Amedeo potrebbe essere stato nel 1913, un
tal Chon, con una galleria in rue de la Boie, di cui Modigliani ha
dipinto un ritratto databile al 1915 o al 1917. Chon era un ex
bookmaker diventato mercante d'arte dopo aver sposato la signorina
Devambez, figlia di un noto gallerista di place Saint-Augustin.
Applicava all'arte gli stessi metodi usati nelle corse dei cavalli e
in un suo precedente commercio di vini: scommetteva sui giovani
pittori, giocava sul calcolo delle probabilit acquistava le loro
opere in blocco. A Modigliani offrun luigi d'oro al giorno (venti
franchi) in cambio di un quadro, purchfossero, come specificuna
curiosa e un po' ingenua condizione, "dei capolavori".
Anche Amedeo, come Basquiat, lavora nel seminterrato della galleria.
Arriva al mattino verso le dieci, trova tele, pennelli, colori, una
bottiglia di cognac e la servetta di casa che fa da modella. In un
primo momento Chon gli ha addirittura proposto sua moglie che
Modigliani perrifiuta. Amedeo passa la giornata, semiubriaco, chiuso
ldentro, quando ha finito di dipingere bussa alla porta, Chon
apre, lo rifocilla, prende il quadro, sborsa i venti franchi.

Tre anni e mezzo dura il rapporto di Basquiat con la Nosei, che
resta il suo artisticamente pifelice. Un certo giorno tutto finisce
bruscamente mentre Annina Nosei in Europa. Basquiat e un suo amico,
completamente fatti di droga, s'introducono nella galleria tagliando i
lucchetti con un paio di cesoie.
Jean-Michel comincia a separare i quadri che ritiene d'aver ceduto
alla gallerista da quelli che crede suoi. Di questi ultimi fa a pezzi
le tele, le imbratta rovesciandoci sopra barattoli di vernice. E'
un'opera di distruzione crudelmente sistematica, un modo selvaggio per
dire che i suoi legami con quella galleria, quel seminterrato, quella
donna, sono finiti per sempre.

Un altro mercante-gallerista entra nella vita di Jean-Michel: si
chiama Bruno Bischofberger, organizza per lui una personale nella sua
galleria di Zurigo (settembre 1982). La mostra va molto bene e lo
svizzero resta il principale gallerista di Basquiat. Sarlui tra
l'altro a organizzare l'incontro e poi la collaborazione tra Basquiat
e Andy Warhol che fa giparte della sua "scuderia". Bischofberger stato uno dei primi a organizzare mostre per gli artisti della
transavanguardia (le tre celebri "C": Clemente, Chia, Cucchi), a
capire il valore commerciale del Neoespressionismo e dei graffiti
degli anni Ottanta.
Durante il soggiorno in Svizzera si verifica un episodio che
illustra bene il pazzesco rapporto di Jean-Michel con la vita. A un
certo punto del viaggio il gallerista vuol fare vedere a Basquiat e al
suo accompagnatore il villaggio alpino di Appenzell dov'nato. Lungo
la strada i tre s'imbattono in un luna park e a Basquiat viene voglia
di provare l'autoscontro. Con un suo classico gesto compra quaranta
biglietti tutti insieme. Bruno sale su una vettura, Basquiat e il suo
amico su un'altra. I due sono completamente fatti di droga e cercano
di urtare la vetturetta di Bischofberger. Accade perche quella
strana coppia di ragazzi stranieri e drogati, uno bianco e uno nero,
fa scattare una specie di reazione collettiva per cui tutti quelli che
sono in pista cominciano ad accanirsi contro di loro, con urti sempre
piviolenti e frenetici. I due, sbattuti da tutte le parti, non
reagiscono, forse non si rendono nemmeno conto di ciche sta
accadendo, continuano a ridere istericamente sempre piforte.

Nei primi anni Ottanta Jean-Michel, corroborato da giuste dosi di
droga di cui riesce ancora a controllare gli effetti, lavora con
incredibile velocite molto ritmo anche su pitele alla volta.
Di tanto in tanto si allontana di qualche passo, non di rado
cammina su tele messe a terra senza preoccuparsi di segnarle con le
sue impronte. C'quasi sempre musica nel suo atelier, spesso del suo
musicista preferito, il sassofonista nero Charlie Parker. In
un'autoconfessione il musicista aveva rivelato aspetti della sua vita
che potrebbero adattarsi a Basquiat: "Ho cominciato a fare vita
notturna che ero molto giovane. Quando non sei ancora abbastanza
maturo per sapere che cosa ti succede intorno, devi per forza
sbagliare. Avevo dodici anni quando ho cominciato a fare il vagabondo,
tre anni dopo un amico di famiglia, un attore, mi fece assaggiare
l'eroina...".
Nello studio di Jean-Michel c'droga sparsa dappertutto, spinelli,
sacchetti di cocaina, dosi di eroina, sostanze di ogni tipo. A volte
dimentica di firmare le tele o troppo stonato e uno degli assistenti
deve farlo al suo posto. Avanzando negli anni, Jean-Michel perderil
controllo delle sue reazioni, avrbisogno di dosi sempre pimassicce
e di ricorrere sempre pispesso all'eroina perchha le cartilagini
del naso bucate e questo gli impedisce di aspirare.
Arrivera spendere quasi duemila dollari alla settimana per
comprare droghe, nel momento di massima popolarit ormai vicino alla
fine, salirfino a una spesa giornaliera di cinquecento dollari. Nel
momento di massima dipendenza gli capiterdi svegliarsi di notte,
gonfio di coca, urlando che la Cia vuole ucciderlo perchun negro
diventato famoso. Altre volte si svegliernel cuore della notte e
comincera dipingere in stato di quasi sonnambulismo. E' possibile,
dicono, che abbia fatto cosalcune delle sue cose migliori.

La droga non il suo solo eccesso, l'altro il sesso. Jean-Michel
esercita un'eccezionale attrazione sulle donne che solo in parte si
spiega con la grazia del portamento, i lineamenti piacevoli, lo
"charme" di cui capace quando vuole piacere a qualcuno. Uguale
attrazione esercita del resto anche sugli uomini; con diversi amici
Jean-Michel ha avuto relazioni di tipo fisico. Molti testimoni diretti
sostengono che Jean-Michel dava, involontariamente, la sensazione fisica
di una grande energia creativa e sessuale. Vive di pittura, sesso e droga.
Le donne cercano in lui la dolcezza, il genio, l'irresponsabilit la dedizione
totale o il disprezzo piumiliante; anche perle sue eccezionali
capacitamatorie che cominciano con le impressionanti dimensioni del
suo pene. Uno degli amici con cui ha fatto una vacanza a Portorico
disse una volta che Basquiat, volendo, avrebbe potuto portarlo avvolto
intorno al collo come una stola: appariva enorme, massiccio, non
circonciso e non perdeva occasione di mostrarlo; lo usava, aggiunge
l'amico, "come un pescatore la sua esca".
Le sue innumerevoli amanti vanno dalle donne mature alle ragazze
giovanissime, in almeno un'occasione si tratta di un'adolescente di
quattordici anni. Durante un party accadde per esempio che sei donne
sedute allo stesso tavolo scoprirono di essere state tutte in qualche
modo coinvolte in un'avventura pio meno lunga con Basquiat. In
un'altra occasione una delle sue amanti, guardando in Tv la "vernice"
di una mostra, si rese conto che una delle donne presenti indossava un
vestito che lei aveva lasciato a casa di Jean-Michel quando il loro
rapporto s'era interrotto.

Una delle relazioni destinate alla celebritretrospettiva quella
con Madonna nel 1982, quando lei ancora una piccola cantante in
cerca di notoriet I due sono assolutamente diversi, mentre stanno
insieme lui continua la sua solita vita: molta droga, a letto fino al
tramonto, una frenetica attivitartistica alternata a periodi di
inerzia assoluta. Anche Madonna continua la sua vita, meritandosi il
nomignolo di "mostro aerobico": si alza presto al mattino, fa yoga, va
a correre, telefona al suo agente, mangia solo cibi indicati dai
dietisti, raramente o mai si droga. Sono due ragazzi in cerca di
celebrit diruno dei testimoni, ma la sola cosa che abbiano in
comune. Una delle principali preoccupazioni di Madonna di avere
rapporti sicuri con Jean-Michel, "safe sex" come dicono gli americani.
Quando vanno insieme in California, Madonna passa buona parte del
giorno di Natale a telefonare a una farmacia dopo l'altra in cerca di
chi faccia consegne a domicilio. Vuole comprare dei preservativi e a
quanto pare difficilissimo: le farmacie o sono chiuse o si rifiutano
di fare una consegna per un importo cospiccolo. Alla fine ne trova una disposta a farlo ma deve ordinare una confezione da grossista, duecento
dollari di merce. Un rapporto del genere non pudurare, infatti non dura. E' lei a
prendere l'iniziativa di rompere, agli amici comuni dice che non pu piresistere agli orari assurdi di Jean-Michel, al suo continuo
drogarsi. Un giorno semplicemente sparisce dalla circolazione,
troncando un rapporto che cominciato e finisce senza particolari
emozioni. Due giorni dopo, quando Madonna torna nel loft a prendere le
ultime cose, apre la porta con la chiave che ha conservato e trova
Jean-Michel a letto con una nuova ragazza.
Ufficialmente Basquiat non ha mai avuto figli, anche se sono
circolate voci che gli attribuiscono qualche paternitsia a New York
che in California. Si sa per esempio che intorno alla metdegli anni
Ottanta una ragazza molto giovane andun giorno da lui a chiedergli
quattrocento dollari perchera incinta di lui e voleva abortire.
Jean-Michel, capace di gesti della piinsensata generosit in quel
caso non cede: "Aspetta" continua a ripeterle, "aspettiamo". Desidera
avere un figlio e sospetta che la ragazza voglia interrompere la
gravidanza perchlui nero e le ripugna mettere al mondo un mulatto.
La ragazza alla fine abortisce dando peruna spiegazione diversa:
sicura che Jean-Michel sia pazzo, dice che non vuole far nascere una
creatura mentalmente tarata.
Un'altra delle sue amanti ha rilasciato a Phoebe Hoban, autrice di
una biografia dell'artista, una descrizione sommaria del suo "modus
amandi": "Jean-Michel ha cominciato a strofinarsi contro di me in
maniera molto sexy poi mi ha detto "andiamo di sopra". Mi ha spinto
contro una porta infilandomi una mano sotto la gonna e ha sussurrato:
adesso ti faccio venire. Aveva un corpo molto bello, senza nemmeno un
pelo. Era un ottimo amante che andava subito al sodo, tagliando tutti
i giochini preliminari".
Una delle sue tante ragazze disse una volta: "Nel periodo in cui
siamo stati insieme mi ha coperto di regali e mi ha fatto fare viaggi
da favola ma, per quanto ne so, non ha mai imparato davvero ad amare".
E' molto probabile che sia la verit
Jean-Michel era troppo occupato dai suoi immensi problemi per potersi
permettere il lusso di pensare anche a quelli degli altri.

Anche la forsennata dissipazione di grandi somme di denaro,
guadagnato con facilitirrisoria, lo caratterizza. Ogni volta che si
sposta in citto viaggia, Jean-Michel si riempie le tasche di
banconote. Una volta che sta partendo per l'Europa con due
accompagnatori rischia di perdere il volo perchvuole pagare in
contanti (non ha mai posseduto una carta di credito, il solo documento
in tutta la vita stato il passaporto). Pagare in contanti a New York
desta sempre qualche sospetto; quel giovane nero con gli occhi
spiritati, vestito con un lusso eccentrico, insospettisce l'impiegata
al punto che si mette a controllare le banconote una per una.
Basquiat compra sempre in gran numero le cose di cui ha bisogno o
voglia: tre o quattro televisori, tre registratori, quattro o cinque
cuffiette per la musica, quattro paia di scarpe da basket. Una volta
rientra in casa seguito dal garzone delle consegne che porta gli
scatoloni di un nuovo gigantesco impianto stereo; gli fa vedere dove
va messo l'impianto, poi comincia a gridare con la petulanza di un
bambino: basta, adesso non voglio piniente, piniente. Con i cibi e
i dolci succede lo stesso, ne riempie il frigorifero che poi non apre
piper giorni, fino a quando bisogna buttare tutto nella spazzatura.
Ha un atteggiamento simile anche con la droga che compra per se per
gli amici e che poi resta sparsa nello studio, in camera da letto,
sulle mensole del bagno. In certi periodi arriva a spendere fino a
cinquecento dollari (un milione di lire) al giorno. Accade pid'una
volta che affitti una limousine sulla quale carica un paio di amici
per poi mettersi a girare tutta la notte, dando all'autista ora una
meta ora un'altra, senza sapere bene dove andare. Un amico disse di
lui: "Era l'emblema stesso della solitudine. Non c'niente di pi triste di una bella limousine e nessun posto dove andare".
Di punto in bianco Basquiat s'innamora degli abiti di Armani. Li
compra a due o tre alla volta, spendendo fortune e se li mette per
dipingere, sicchgialla fine della prima seduta sono tutti schizzati
di vernice. Un'altra volta mentre viaggia in treno tra l'Italia e la Svizzera crede d'aver perso uno degli stivali che s'tolto poco prima. Sono un paio di calzature magnifiche che gli piacciono molto. Stizzito dal contrattempo prende
l'unico stivale rimasto e lo lancia dal finestrino. Pochi chilometri
dopo salta fuori l'altro da sotto un sedile e lui gli fa fare la
stessa fine del primo. In un'altra occasione sale su un taxi a
Saint-Moritz e all'esterrefatto autista che gli chiede dove vuole
andare, risponde: a Firenze. Quando s'innamora dei vini francesi cerca
di farsi una cultura enologica. Ritenendo di saperne abbastanza va dal
miglior vinaio di New York e chiede al capocommesso: "Quante bottiglie
di Mouton del 1945 si possono comperare con mille dollari?".
Si potrebbe continuare perchl'antologia degli aneddoti sul suo
pazzesco rapporto con il denaro sterminata: una leggenda alimentata
dagli amici e dai nemici, da coloro che credevano di nuocergli e da
quelli che nella sua dissipatezza videro il complemento pratico al
disprezzo verso la societdei consumi che trapela anche dalle sue
opere.
Quale che sia la veritnon c'dubbio che nel suo comportamento
ripetitivo e ostentato, volutamente irritante, c'una forte
componente di teatro e di recitazione. Jean-Michel era perfettamente
consapevole, droga a parte, dell'effetto che le sue costose messe in
scena producevano sugli altri. Un mercante d'arte racconta di essere
salito una volta nel suo appartamento-studio e di averlo trovato a
cuocere delle omelette al caviale mentre l'impianto stereo diffondeva
a tutto volume musica lirica italiana e una bella bionda si stirava
nel letto coperta solo dal lenzuolo. Commenta il mercante: "Sono
certo che il mascalzone sapeva perfettamente d'aver organizzato una
scena perfetta per un possibile film intitolato "Il pittore"".

Tra i vari idoli di cui Jean-Michel Basquiat coltiva l'immagine il
piimportante stato certamente Andy Warhol, un artista molto noto
anche in Europa ma di cui non sempre si valuta l'influenza che ha
avuto negli Stati Uniti. Warhol resta il pittore che pidi ogni altro
ha saputo incarnare la cultura contemporanea con le sue opere, alcune
delle quali celeberrime, soprattutto con il modo di vivere, le
stravaganze, l'ingegno con il quale ha applicato alla creazione artistica
le procedure di "fabbricazione" e i metodi pubblicitari dei prodotti industriali.
Nella sua autobiografia ha scritto che avrebbe voluto una tomba con
una lapide completamente bianca, senza nome ndate, al massimo una
parola: "Figment", vale a dire finzione, invenzione. Di lui s'detto
che in un'epoca laicizzata e senza piDio nella quale cresce il
bisogno di nuovi santi, ha cercato di diventare uno di questi.
Basquiat lo ammirava al punto da tentare di imitarlo. Warhol, per
esempio, non fissava mai direttamente il suo interlocutore, sembrava
piuttosto guardare attraverso di lui con il suo volto immobile, come
di pietra o di cera, dal pallore cadaverico. Jean-Michel comincia a
comportarsi nello stesso modo con i suoi interlocutori. Nonostante lo
aiuti lo smarrimento nello sguardo provocato dalla droga, il tentativo
di imitazione cosplateale che molti ridono di lui.
Nel 1983 Jean-Michel riesce ad esaudire il sogno della sua vita
diventando il "prot di Warhol, il suo collaboratore, l'unico nero
che abbia per lui un ruolo significativo. Fa da tramite il gallerista
e mercante svizzero Bruno Bischofberger con l'idea, piuttosto astuta,
che i due potrebbero creare insieme alcune opere. Warhol fa mostra di
non avere una gran voglia di mettersi con Basquiat, nonostante la sua
fama sia un po' in declino rispetto al momento di picco. Puanche
darsi, data la sua nota avarizia, che si sia trattato di una finta per
far salire il prezzo della collaborazione.

Molti si sono chiesti se Basquiat e Warhol siano stati anche amanti.
Il parere prevalente che tra di loro non ci sia mai stato niente di
esplicitamente fisico, anche se si trattato di un rapporto con una
forte componente morbosa. A Warhol tra l'altro piace piassistere ad
attiviterotiche che non praticarle, in lui forte la spinta
voyeuristica. Pid'una volta incontrando Jean-Michel gli chiede:
allora, quante volte sei venuto stanotte? In un'altra occasione dice
che il fascino esercitato da Basquiat sulle donne dipende sicuramente
dalle dimensioni del suo attrezzo. Usa un termine Yiddish diffuso
nello slang newyorkese: "Jean-Michel has a big shmack".
Dopo molte discussioni e una lunga trattativa, Warhol alla
fine accetta di affittare a Basquiat il suo loft su due piani, al
numero 57 di Great Jones Street, per il canone (molto alto) di
quattromila dollari al mese. A Jean-Michel l'appartamento piace pi per il fatto che appartiene a Warhol che non per la sua collocazione.
Una nota sul diario di Warhol, in data 5 settembre 1983, chiarisce
anche troppo l'ambigua natura del rapporto: "Ha chiamato Jean-Michel,
voleva fare un po' di chiacchiere filosofiche, arrivato da me e
abbiamo parlato, ha molta paura che la sua celebritsia un po' come
una meteora. L'ho rassicurato dicendogli di non preoccuparsi, che non
sarcos Poi permi sono spaventato, perchha preso in affitto il
nostro appartamento in Great Jones e mi sono chiesto che cosa
succederebbe se davvero lui fosse una meteora e non avesse pii soldi
per pagarmi".
Non si puescludere che Warhol, maestro d'ogni finzione, mentisse
anche con il suo diario. Se pure cosstato, l'annotazione rivelatrice della natura dell'uomo e comunque la faccenda dell'affitto
finisce davvero per creare qualche problema. Nel dicembre dello stesso
anno Warhol scrive: "E' venuto Bruno (Bischofberger) e ci ha fatto
diventare matti. Non ha portato i soldi dell'affitto di Jean-Michel.
Pitardi ho chiamato Jean-Michel per domandarglieli e poi ho avuto un
litigio con Jay perchgli ha dato il mio numero di casa. Gli ho
gridato se era uscito di testa, voglio dire sapeva benissimo che non mi
piace che Jean-Michel mi arrivi in casa, un drogato e non ci si pu fidare di lui". Cosstavano le cose.
La collaborazione dura pio meno un paio d'anni (1984-85), i due
artisti dipingono alcune opere, ognuno dei due aggiungendo qualcosa
alla tela iniziata dall'altro; c'anche una variante a tre quando
alla coppia di aggiunge Francesco Clemente. Il 2 ottobre 1984 Warhol
scrive: "Jean-Michel venuto nello studio per dipingere, ma invece
s'messo a dormire sul pavimento. Buttato per terra sembrava proprio
un barbone. Poi l'ho svegliato e ha fatto due capolavori, veramente
grandi".
Nemmeno questo rapporto pudurare, infatti bruscamente finisce.
Bastano alcune critiche negative per far capire a Warhol che non gli
conviene pi"proteggere" Jean-Michel e nell'autunno del 1985 i due si
separano. Il mondo newyorkese dell'arte si divide sulle ragioni della
rottura. Una delle opinioni pidiffuse che Warhol, dotato di un solido
senso degli affari, preoccupato delle orribili condizioni in cui l'eroina
ha ridotto Jean-Michel e non vuole in alcun modo essere coinvolto nella sua
prevedibile fine.

L'abuso di eroina sta distruggendo Basquiat. Comincia a perdere i
denti mentre la sua faccia si copre di pustole; anche l'umore influenzato dall'implacabile opera di distruzione con continui alti e
bassi, momenti di depressione e di apatia alternati a stati d'animo
aggressivi durante i quali grida rinfacciando a Warhol di sfruttarlo a
proprio vantaggio. Alla fine di queste scenate in genere si vergogna e
cerca di riparare esagerando in gentilezza.
Negli ultimi tempi Basquiat si presenta allo studio di Warhol a fine
pomeriggio, digiuno dal giorno prima, fumando uno dei suoi enormi
spinelli. Comincia subito a dipingere completando il lavoro che
Warhol ha iniziato; lavora contemporaneamente su pitele appoggiate
sul pavimento. Il suo aspetto orribile, uno degli assistenti di
Warhol esce per andargli a comperare qualcosa da mangiare.
Sbocconcella una sandwich senza smettere di dipingere. Anche se per
Basquiat l'approvazione e la stessa presenza di Warhol sono
importantissime, nemmeno questo basta a salvarlo dalla sua furibonda
autodistruzione. Warhol non fa nulla per aiutarlo a liberarsi dalla
droga o quanto meno a diminuire le dosi. Forse lo ritiene inutile e
probabilmente ha ragione, resta che non si provermai.
Forte solo d'un quasi magico istinto pittorico, Basquiat procede
verso la propria rovina. Dirdi lui il suo amico Keith Haring:
"Jean-Michel dovette vedersela col problema di essere un giovane
prodigio, che una specie di finta santit Allo stesso tempo per dovette convivere con il proprio ribellismo e naturalmente con tutte
le tentazioni indotte dalle tonnellate di denaro da cui venne
coperto". In poche parole sono gli elementi ai quali Basquiat finir per soccombere.

Keith Haring lavora in modo molto diverso e diverso anche il suo
temperamento, il suo livello intellettuale, il senso
che dal proprio lavoro. Con Basquiat ha in comune solo la citt New
York, che per entrambi non un semplice luogo di residenza, uno
sfondo, ma un habitat totale, uno strumento. I due frequentano gli
stessi club, vedono le stesse persone, condividono inizialmente le
stesse collettive (Times Square Show, New York-New Wave) e almeno uno
dei mercanti, quel Tony Shafrazi che aveva cominciato anche lui come
autore di graffiti ma poi era finito sui giornali per aver sfregiato
"Guernica" di Picasso disegnandoci sopra con lo spray le parole "Kill
Lies All".
Quando Haring comincia a fare i suoi graffiti si capisce subito che
c'qualcosa che lo rende diverso dagli altri. Non si distingue solo
per i motivi e i contenuti ma anche per il modo di fare. Mentre tutti
lavorano di notte, lui fa i suoi disegni di giorno; nelle stazioni
della metropolitana utilizza i riquadri neri vuoti, pronti per
accogliere i manifesti pubblicitari. Sul fondo nero, Keith disegna in
bianco con un gessetto; in un minuto o poco piriempie lo spazio con
bimbi raggianti (o radianti, nel senso della radioattivit, cani,
dischi volanti, piramidi, serpenti, arti umani che si trasformano in
serpenti. Topolino e sesso, soprattutto sesso, una figura su due fa
esplicito riferimento al sesso. Il suo linguaggio visivo, infantile,
intriso di riferimenti sessuali, fa trasparire in modo commovente i
suoi turbamenti, i legami con i traumi, le fantasie, i timori
dell'adolescenza. Disegna Brooke Shields seminuda ma con un robusto
fallo tra le gambe, decora di piccoli falli puntati in ogni direzione
gli spazi tra una figura e l'altra.
Sono squarci aperti sulla sua immaturit confessioni, aperture
sulle sue tendenze omosessuali, e in qualche caso non riescono a
essere pidi questo. In altri casi peri suoi motivi ricorrenti
superano i confini della psicologia, trasformando predilezioni e
angosce private in una vera denuncia. La fabbrica di Jeans Chardon
tappezza New York di manifesti che mostrano il volto di una ragazza
mentre abbraccia un uomo - con indosso quei jeans - all'altezza del
pube. Haring comincia sistematicamente a cancellare su ogni manifesto
la lettera "C", trasformando cosChardon in "Hardon" (hard-on,
erezione) e rendendo in questo modo esplicita l'ipocrita allusione
fellatoria dell'immagine.
Haring riuscito spesso a superare le sue private ossessioni e a
farle coincidere con le inquietudini di un'intera generazione: Aids,
razzismo, incubo mediatico, minaccia nucleare, degrado urbano.

Basquiat un eccentrico traumatizzato dal successo, Haring pi ingenuo, uno di quegli americani dalla forte impronta idealistica, la
parte migliore del paese. Anche lui deve perimparare ad amministrare
il proprio talento. Si fa filmare mentre esegue e velocitfulminea un
disegno, vestito con jeans, giubbotto e scarpe da basket, una tenuta
che agevola la fuga nel caso che arrivi la polizia. Imbrattare le
stazioni della metropolitana proibito e ancora nessuno sa che quei
disegni rappresentano una nuova forma di arte. Qualche volta non
riesce a fuggire, o non vuole farlo, e allora si lascia arrestare e
fotografare in manette perchun piccolo martirio accresce la sua
popolaritfra i giovani.
La capacitdi elaborazione intellettuale di Haring, la sua
consapevolezza sul momento che New York e gli Stati uniti attraversano
molto superiore a quella di Basquiat. Come Jean-Michel anche lui ama
Burroughs e Warhol, Basquiat agisce perd'istinto, mosso da
un'energia creativa cieca e fortissima, Keith elabora, progetta, cerca
di razionalizzare il suo lavoro. E' indicativo che scelga come proprio
motto una frase di Louis Pasteur: "Nel campo delle osservazioni, il
caso o la fortuna favoriscono solo la mente pipreparata".
Keith Haring si fa continue domande sul suo lavoro, si stupisce che
ci siano artisti che continuano a lavorare: "Come se non fosse stata
inventata la cinepresa, come se non avessero mai sentito parlare di
aerei, computer, e nastri video, come se Warhol non fosse mai
esistito". Al giornalista che una volta gli chiede quali siano i
modelli della sua attivit risponde: Picasso, Warhol e "Life
Magazine", una terna solo all'apparenza male assortita e invece
rivelatrice di un orizzonte nel quale si mescolano la cultura
consolidata e l'informazione, l'arte nel senso classico e la grande
comunicazione. Anche in questo caso ha trovato un motto appropriato in
una frase di Dubuffet: "Ogni nozione obsoleta di bellezza che fa appello solo alle ites dovrebbe essere cancellata".
Keith disegna ovunque capiti, dalle stazioni della metropolitana
alle gallerie dell'East Village. Si rifspesso ai modelli della
cultura primitiva perchvuole rendere l'arte fruibile da chiunque e
sa che il linguaggio del XXI secolo, cioil linguaggio di massa nella
societplanetaria della comunicazione, si avvarrsempre di pidelle
immagini, della grafica, della riduzione a icona di un numero
crescente di concetti e d'informazioni. Il linguaggio grafico,
sostiene, la chiave di volta per la societdell'informazione
prossima ventura. Nella societindustriale sviluppatasi
nell'Ottocento era necessario saper "leggere e scrivere", nel XXI
secolo bisognersaper trasmettere e comunicare.
Intuizioni che si stanno rivelando profetiche, anche se a Keith sono
utili per sistemare in modo razionale il suo talento, il gusto, la
fantasia. Resta che la ricerca intellettuale accompagna il suo lavoro
con una tale costanza da spingerlo ad autodefinirsi ironicamente
"workaholic", drogato del lavoro.

Anche il suo senso degli affari pisviluppato di quello di
Basquiat. Quando arrivano prima la grande notorietpoi il vero
successo, Haring comincia a gestire in proprio un'organizzazione che
commercializza magliette, diari, copertine e manifesti con i suoi
disegni, come fanno le grandi "corporations", da Walt Disney alla
Coca-Cola. In pochi anni accumula una vera fortuna che, dopo la sua
morte, viene gestita da una fondazione con il suo nome.
Se Jean-Michel devastato dall'eccesso di droga, il lato eccessivo
di Keith la sua galoppante omosessualit Haring non si limita a
convivere con il suo amico del momento, cosa sulla quale nessuno al
mondo ha pinulla da dire; frequenta e anima, in locali diventati
famosi, come il Paradise Garage e il Palladium, feste gay che durano
non ore ma giorni, e nelle quali pusuccedere e si trova di tutto,
compresa l'elevata probabilitdi prendersi l'Aids.
Alcuni suoi lavori, soprattutto del primo periodo, sono gremiti
di figure intente a copulare e a masturbarsi "en masse". I suoi
celebri party dove ogni attivitsessuale diventa lecita sono la
realizzazione pratica di quelle fantasie covate a lungo. Ma anche se
non si tiene conto delle orge di gruppo immaginate o praticate, una
sessualitmorbosa, inquieta, mai placata resta la sua caratteristica
costante. Per Keith le attivitlegate al sesso, quali che siano, si
mescolano continuamente agli incubi della contemporaneit alle
sciagure collettive, alle mostruositcibernetiche.

Il suo anno di grazia il 1985, quando partecipa a quattro mostre
molto importanti: a New York ha un'esposizione di sculture alla
galleria Castelli in Green Street, e un'altra di opere che raffigurano
mostruose fantasie alla galleria Shafrazi; ci sono poi una personale
al museo d'arte contemporanea di Bordeaux, e una partecipazione alla
Biennale di Parigi. L'anno dopo comincia ad aprire, negli Stati Uniti
e fuori, i suoi Pop Shop nei quali si vendono i prodotti con il suo
marchio. Ma il 1986 anche l'anno in cui, con parecchio anticipo su
ciche sta per accadere, Haring va a dipingere uno dei suoi racconti
figurati sul Muro per eccellenza, quello di Berlino: cento metri di
murale con una serie ininterrotta di figure, una striscia di creature
inanellate le une nelle altre, un vero messaggio politico.
Torna in Europa anche nel 1987 (Finlandia, Belgio) ed l'anno in
cui apprende di essere malato di Aids, un referto che equivale a una
sentenza di morte imminente. Il primo impatto terribile, tutta la
sua angoscia racchiusa in un disegno dal titolo "Weeping Woman",
donna in lacrime, il pidrammatico che abbia mai fatto. Ha appena
compiuto trent'anni e gliene restano poco pidi due da vivere, eppure
reagisce, anzi per certi aspetti intensifica le sue attivit arriva
fino a Tokyo a inaugurare uno dei suoi negozi, organizza e anima
laboratori (workshops) per ragazzi, dipinge enormi murali a Chicago,
Atlanta, Washington D.C. Si spinge fino a Pisa, dove dipinge un lungo
murale che sar anche dal punto di vista cromatico, uno dei pi elaborati, collabora con il Comune di New York a creare i manifesti
per una campagna che promuove l'alfabetismo e l'educazione civica.
Il suo impegno piimportante in quest'ultimo periodo peril
lavoro che esegue in collaborazione con William S. Burroughs. Si
chiama "Apocalypse", consiste in una serie di serigrafie miste di
poesia e disegno in cui viene raffigurata e descritta la fine del
millennio cristiano e l'inizio di un nuovo paganesimo. Nella
presentazione Burroughs torna sul concetto d'una ormai imminente
realtvirtuale scrivendo: "Quando l'arte abbandona la cornice e la
parola scritta abbandona la pagina - e non solo la fisicitdella
pagina e della cornice, ma pagina e cornice come categorie
prestabilite - siamo di fronte a una nuova descrizione fondamentale
della stessa realt alla realizzazione liberale dell'arte".
Fino alla fine Keith cerca di diffondere la consapevolezza dei
pericoli dell'Aids e le misure per evitare il contagio. C'un certo
eroismo civile in questo suo comportamento, lui sa di essere gi condannato. Soccomberal male a New York, il 16 febbraio 1990.

Quando Haring muore, Basquiat giscomparso da due anni. Il suo
ultimo periodo, al contrario di quanto accade per Keith, penoso. La
sua decadenza fisica suscita imbarazzo tra gli amici: i denti
traballano, il viso coperto di pustole, il naso bucato, spesso
vomita, non sapendo pidove infilare l'ago si "buca" sulla mano,
sulle caviglie, nel collo. Negli ultimi tempi ha cominciato a drogarsi
con le "speedballs", le micidiali miscele di eroina e cocaina che
hanno ucciso John Belushi. Al decadimento fisico s'accompagna quello
comportamentale e creativo. Gli scatti d'umore e i capricci che erano
stati parte del suo inquietante carisma sono diventati patetici tic di
un trentenne precocemente invecchiato. Si fa vedere poco in giro; se
ne sta per lo pichiuso in casa senza dipingere, senza leggere, senza
fare niente. Per le ultime mostre prepara quadri piccoli, fatti
apposta per i collezionisti da salotto, lontanissimi dall'aggressiva,
bruciante creativitdei primi anni. Ma per uno di quei paradossi che
talvolta accadono, al decadimento si accompagnano ancora guadagni
molto alti. Uno dei suoi collaboratori calcola che al culmine della
sua fama Jean-Michel sia arrivato a guadagnare cinquantamila dollari a
settimana, pio meno quattrocento milioni di lire al mese, cinque miliardi
all'anno.
Il 22 febbraio 1987 Andy Warhol muore nell'ospedale dove stato
ricoverato per un banale intervento alla cistifellea. I funerali si
celebrano a Pittsburgh e Basquiat, molto scosso dalla notizia, viene
pregato di non partecipare. E' pidi un'offesa, il segno doloroso,
drammatico, del crescente rifiuto che lo circonda e al quale reagisce
con la stessa asprezza dei bei tempi che ora pernessuno pi disposto ad accettare.
Passa alcuni mesi a Parigi come un pazzo, rientra negli Stati Uniti,
a fine giugno parte per le Hawaii, da ltelefona a quella che stata
verosimilmente la sua ultima ragazza, Kelle Inman, ventidue anni,
dicendole che non si droga pi(non del tutto vero e comunque beve
moltissimo), che vuole smettere di dipingere per diventare uno
scrittore. Rientra a New York, progetta un viaggio in Costa d'Avorio
dove un famoso sciamano con un infallibile rito magico lo liberer dalla schiavitdella droga. Il volo per Abidjan, prenotato per
domenica 7 agosto, viene rinviato al 18.
Le sue condizioni peggiorano continuamente, durante le ultime
settimane lo vedono entrare anche pivolte al giorno nella casa di un
noto spacciatore dell'East Village. La sera va come al solito a
passare qualche ora in un club ma si vede che mentalmente assente,
completamente "fucked up" (fottuto), come dice uno dei suoi amici. Si
ritira come di consueto verso le prime ore del giorno, arranca verso
la stanza da letto, s'addormenta di colpo. Kelle Inman, la ragazza che
vive con lui, sa che non si sveglierprima di metpomeriggio e che
fino a quel momento non deve preoccuparsi di lui.
In una giornata molto calda, una di quelle terribili e afose
giornate dell'agosto newyorkese, Kelle si rende conto che il
pomeriggio sta passando e che Jean-Michel non ancora sceso. Sale di
sopra, si affaccia alla camera e lo vede profondamente addormentato,
russa leggermente. In realtJean-Michel sta rantolando perchgi in agonia.
Un paio d'ore pitardi telefona un amico per chiedere se la sera
vogliono uscire insieme. Kelle torna su a dare il messaggio e vede che
Jean-Michel non pia letto ma steso sul pavimento,
addossato alla parete, con una pozza di vomito attorno alla testa.
Finalmente capisce che sta succedendo qualcosa di grave, si precipita
a telefonare a vari amici. Alcuni di loro arrivano immediatamente.
Dalla bocca di Basquiat esce una schiuma rossastra, i tentativi
affrettati e goffi di rianimarlo non servono a niente. Quando
l'ambulanza arriva sono le 7 di sera, gli infermieri lo intubano e lo
trasportano a tutta velocitall'ospedale, dove perarriva morto.

I funerali si tengono cinque giorni dopo al Green-Wood Cemetery di
Brooklyn. Dopo tutto il caldo che c'stato, quel giorno piove,
un'acqua tiepida che inzuppa la terra arida e gli abiti. Anche se il
padre di Jean-Michel ha invitato solo pochissimi amici c'comunque
un'aria imbarazzata e frettolosa e di quei pochi alcuni vanno via
prima che la cerimonia sia finita. Matilde, madre dell'artista, si
avvicina a Vrej Baghoomian, l'ultimo gallerista di suo figlio, per
ringraziarlo del suo aiuto. Appena Gerard si rende conto di quanto sta
accadendo s'avvicina per proibire a sua moglie di avere contatti con
lui. Cose che succedono e non solo agli artisti molto famosi.
Prima ancora che la bara venga calata nella fossa, gicominciano le
liti sull'eredit

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IX - Italiani come noi

Qualche anno fa lo scrittore francese Georges Perec scrisse (con
Robert Bober) un libro su un'isoletta della baia di New York che si
chiama Ellis Island e disse che, parlando di isole, non si potrebbe
immaginare niente di piminuscolo. Eppure su quelle poche centinaia
di metri quadrati si consumato uno dei piintensi drammi della
modernitperchEllis Island stata, a partire dal 1894, il collo di
bottiglia attraverso il quale dovuta passare la maggior parte di
coloro che volevano mettere piede nel Nuovo mondo. Secondo Perec,
"Ellis Island stata una specie di fabbrica per la confezione di
americani, un luogo per trasformare gli emigranti in immigrati, una
fabbrica in stile americano, rapida ed efficiente come uno
stabilimento per le salsicce di Chicago. Si infilava da una parte un
irlandese o un ebreo ucraino o un italiano delle Puglie e dall'altra -
dopo vaccinazione, disinfestazione, esame degli occhi e delle tasche -
usciva un americano bell'e fatto".
Nel suo romanzo "Ragtime", E. L. Doctorow mette in evidenza un altro
aspetto di quell'isola: "La maggior parte degli immigrati provenivano
dall'Italia e dall'Europa orientale. Venivano portati con delle lance
a Ellis Island. Qui, in una specie di deposito umano curiosamente
ornato, in mattoni rossi e pietra grigia, gli facevano la doccia, li
etichettavano e li facevano aspettare seduti su panche dentro una
specie di pollaio...".

Oggi Ellis Island ufficialmente un museo, si raggiunge con una
mezz'ora di traghetto dal Battery Park, estremitmeridionale
di Manhattan. Nella realtnon un museo perchl'idea di raccolta
ben ordinata, raffreddata da un metodo rigoroso, che la parola "museo"
racchiude non si addice alle sale e ai giardini dell'isola, agli
edifici, alla scelta documentaria, ai pannelli, alle tracce che
sono state lasciate.
Per qualche anno, piccola curiosit uno degli interpreti fu il
giovane Fiorello La Guardia, il futuro leggendario sindaco di New
York. Per pagarsi gli studi svolgeva quel lavoro a Ellis Island,
interrogando in tre lingue: italiano, tedesco e croato, con uno
stipendio di 1.200 dollari l'anno.
Ellis Island stata inaugurata nel 1894 e chiusa nel 1954. In
sessant'anni sono passati da queste sale quasi venti milioni di
persone, con punte di cinque-diecimila al giorno. La maggior parte
veniva dall'Europa dell'Est e del Sud, la maggioranza degli europei
del Sud erano italiani. Una tale massa di individui voleva dire che
ogni giorno, per migliaia di volte, dovevano essere ripetute parole,
gesti, domande. In una sezione chiamata "Silent voice" sono rimaste le
seggiole, i tavoli, gli attaccapanni, le targhe, gli strumenti medici,
le valigie, gli abiti, i cartelli coscome sono stati ritrovati dopo
l'abbandono degli edifici e prima che il museo venisse organizzato.
Nemmeno la polvere stata tolta, nla fioritura verde delle muffe o
le rotture, gli squarci: prende alla gola il senso d'un tempo di colpo
interrotto, il palpitante disordine che contraddice la parola museo e
richiama invece l'ombra della vita che molti anni fa appartenne a
questi oggetti flagellati. E' come esplorare un relitto, come scendere
nelle viscere di un vascello naufragato.
Ellis Island ha anche un'altra faccia. Come in ogni procedura che
tende a organizzare o a selezionare moltitudini di individui, anche
qui la routine confinava spesso con una brutalitche poteva
manifestarsi in cento modi: l'ostilitmascherata da impazienza, lo
sfruttamento nascosto sotto un consiglio amichevole, la proposta
umiliante od oltraggiosa. Poi ad aggravare le cose c'era la voglia di
far presto, il desiderio umano di togliersi dagli occhi quegli
straccioni sporchi, analfabeti, forse ammalati o pieni di parassiti o
con tendenze criminali, o pazzi o senza una lira, molti di loro
candidati alla criminalit Il luogo di provenienza scambiato con il
cognome, il cognome dalla grafia difficile o incerta tagliato a meto
anglicizzato alla bell'e meglio. Non era questa la regola, ma nemmeno
l'eccezione - succedeva, semplicemente. Nel film "Il Padrino" si
racconta di come i Corleone scambiarono il loro nome di famiglia con
quello del luogo di provenienza. Perec racconta nel suo libro un
aneddoto forse inventato, comunque perfetto: "A un vecchio ebreo russo
era stato suggerito di dichiarare un nome americano, in modo che gli
agenti dell'immigrazione non faticassero a trascriverlo. Il vecchio
chiese consiglio alla prima persona incontrata che gli sugger "Rockefeller". Continua ripetersi quel nome per tutto
l'interminabile tempo in cui rimase in fila, con il risultato che
quando arrivdavanti ai commissari dell'immigrazione se l'era
dimenticato. Alla domanda di come si chiamasse balbettdesolato in
Yiddish "Schon vergessen", l'ho dimenticato. Impassibile il
commissario scrisse sul registro "John Ferguson".

Una delle minacce che il filtro di Ellis Island tendeva ad arginare
era il tracoma, pericolosa infezione degli occhi. Ogni giorno venivano
sollevate, una per una, le palpebre di tutti i nuovi arrivati e
qualche medico ebbe l'idea di usare l'allacciabottoni degli stivaletti
- uno stilo metallico con un piccolo occhiello all'estremit- per far
prima ed evitare il contatto diretto. L'oggetto ancora l brunito
dalla ruggine, si fatica a immaginare che un impiego cossbrigativo
non abbia comportato traumi, umiliazioni.
In genere un museo d quando le d emozioni pisfumate.
Gli edifici e le sale di Ellis Island grondano invece di pathos, a
cominciare dal vecchio e cadente imbarcadero dove attraccavano i
traghetti degli immigrati. Fuori, nel giardino che affaccia da un lato
sulla Libertche alza la sua fiaccola e dall'altro sui grattacieli di
Manhattan, c'un lungo muro circolare fatto di pannelli di metallo.
Su ogni pannello sono incisi migliaia di cognomi, seicentomila in
tutto. Ho ritrovato nomi di parenti, di italiani famosi, credo che
possa capitare a chiunque.

Agli albori del XX secolo gli Stati Uniti sono un paese di macchine
a vapore, locomotive, aeronavi, motori a scoppio, telefoni, e di
edifici di venticinque piani. Nel 1913 hanno un prodotto interno che
supera quelli di Gran Bretagna, Francia e Germania messe insieme. Gi prima della Grande guerra nascono le potenti societe le fabbriche da
dove escono gli acciai speciali per costruzione, i nuovi ascensori
sofisticati e rapidi, i palazzi altissimi che daranno a Manhattan il
suo profilo. S'inaugurano molte strutture pubbliche: la Carnegie Hall,
la Columbia University, il Metropolitan Museum of Art, l'Hotel Plaza,
la Pennsylvania Station, il Grand Central Terminal; il ponte di
Brooklyn gial suo posto da qualche anno.
Alla fine del secolo, 1898, i cinque quartieri (Boroughs) fino a
quel momento separati di Manhattan, Brooklyn, Queens, Bronx, Staten
Island vengono riunificati nella Grande New York. Nasce una delle
prime metropoli mondiali, pivasta di Parigi, Londra, Berlino, con
una popolazione che sfiora i tre milioni e mezzo di abitanti.
Prima del 1880 erano arrivati soprattutto gli europei del Nord e
della Scandinavia. A partire da quel momento il flusso piconsistente
s'inverte, adesso gli europei arrivano dall'Est e dal Sud: Italia,
Russia, Grecia, la regione dei Balcani. Tra il 1882 e la Prima guerra
entrano nel paese circa due milioni di ebrei. Tra il 1880 e il 1920
sbarcano quasi quattro milioni di italiani, cifre immense che cambiano
il volto della citt Gli ebrei fuggono dai pogrom, gli italiani dalla
miseria. Nei cento anni che vanno dal 1840 al 1940 attraversano
l'Atlantico cinquantacinque milioni di europei; di questi, sedici
milioni sono italiani. Nel 1950 a New York gli italiani arrivano a essere
il pinumeroso gruppo etnico della citt che intanto ha toccato una popolazione totale di poco inferiore agli otto milioni di abitanti.

Torniamo all'inizio del Novecento. Il paese immenso, in gran parte
ancora spopolato, le distanze sono enormi, come le possibilitche si
offrono e la fatica necessaria a coglierle. Un'ondata migratoria di
quelle dimensioni suscita naturalmente preoccupazioni di uguale
portata. Il commissario generale all'Immigrazione Frank P. Sargent
dichiara nel 1905: "Sono fortemente e interamente contrario alla
politica detta delle porte aperte. E' arrivato il momento in cui ogni
americano che abbia a cuore il futuro della nazione deve preoccuparsi
di questa poderosa ondata d'immigrati. A meno di qualche seria
iniziativa, l'ondata avvelenero quanto meno inquinerle sorgenti
stesse della nostra vita e del nostro progresso. Ospitiamo nelle
nostre cittpigrandi un numero enorme di stranieri fra i quali
proliferano il crimine e le malattie".

Ellis Island l'imbuto attraverso il quale la maggior parte di
questi straccioni deve passare, il cancello di ferro al di ldel
quale si aprono i marciapiedi di New York che dicono lastricati d'oro.
Nel 1910 la cittha raggiunto quattro milioni e settecentomila
abitanti, due milioni dei quali nati all'estero. Gli ebrei sono
concentrati soprattutto nella parte sudorientale di Manhattan (Lower
East Side) e a East Harlem. Gli italiani si affollano in una diversa
zona dello stesso Lower East Side che prende il nome, tra affettuoso e
derisorio, di Little Italy. L'undicesima circoscrizione,
corrispondente pio meno a quell'area, ha una densitdi popolazione
di ottocento abitanti per acro, una delle pialte del mondo,
superiore a quella di Bombay.
Little Italy oggi scomparsa, lasciandosi dietro solo una fila di
ristoranti, pochissimi dei quali davvero italiani. I suoi confini
erano pio meno Houston Street a nord, Canal Street a sud, la Bowery
a est e Broadway a ovest. Un quadrilatero dentro il quale gli esperti
distinguevano le strade dalla concentrazione regionale prevalente:
napoletani e calabresi intorno a Mulberry Street, siciliani verso
Elizabeth Street.
Questi uomini lavorano come manovali, costruiscono strade, scavano
le linee della metropolitana, tirano su i grattacieli, raccolgono le
immondizie rimpiazzando gli irlandesi e i negri che li hanno
preceduti. Per molti anni l'ignoranza estrema, la mancanza di
specializzazione, il pessimo inglese sovrapposto a fatica a un
italiano altrettanto cattivo, una religiositfatta di riti chiassosi
che sembrano superstizioni anche ai cattolici irlandesi, li tagliano
fuori da ogni possibilitdi miglioramento. Neanche quando i figli dei
primi arrivati cominciano a frequentare le scuole l'esclusione
s'attenua, perchsono quasi sempre scuole cattoliche, quindi lontane
dal sistema scolastico nel quale si prepara la classe dirigente del
paese.
Nella Centoquindicesima Strada est, nel cuore di Harlem, c'una
chiesa italiana che stata a lungo studiata dagli antropologi. Si
chiama Our Lady of Mount Carmel, Nostra Signora del Carmine e per
molti anni ha ospitato e sorretto la religiositprimitiva che gli
immigrati portavano con s I sacerdoti che la custodiscono sono
cordiali e disponibili e l'edificio si puvisitare anche nei giorni
in cui chiuso al culto (ingresso: 448, Centosedicesima Strada est).
La chiesa stata per molto tempo motivo di divisione tra le due pi grandi comunitcattoliche di New York, gli irlandesi e gli italiani.
Gli irlandesi rimproverano agli italiani varie cose, non ultima quella
di essere sudditi di un regime politico che, dopo il 20 settembre 1870
(presa di Roma), aveva reso il papa "un prigioniero entro la cerchia
delle mura leonine". Per un altro verso criticavano con asprezza anche
maggiore un modo d'intendere il cattolicesimo che giudicavano "molto
vicino al paganesimo".
Nel suo studio "The Madonna of 115th Street" l'antropologo Robert
A. Orsi riferisce il fatto piuttosto impressionante che fino a qualche
decennio fa, durante la festa della Madonna (16 luglio), si usava
trascinare alcune donne fino all'altare facendogli leccare il
pavimento con la lingua. Una pratica giudicata rivoltante.
Altri cattolici, compresi i polacchi che rappresentano una
consistente comunit erano anche disturbati dalla religiosit italiana che si svolgeva prevalentemente in strada, con processioni,
feste chiassose, un'allegria scomposta, balli e grandi
banchetti. La loro critica era che in una societprotestante e
puritana una religiositcosesteriore rischiava di mettere in
ridicolo il cattolicesimo, alimentando la diffidenza dei protestanti.
In questo modo la comune fede, che avrebbe dovuto avvicinare le due o
tre etnie che in maggioranza la praticavano, diventava invece un altro
fattore di divisione.
La chiesa del Carmine piuttosto bella e ben decorata. Il poco che
resta oggi delle tradizioni passate ha quasi esclusivamente un
connotato turistico.
Anche di Little Italy rimane ben poco, la sua connotazione volutamente costruita su elementi "etnici" piche culturali: negozi
che vendono cibi tradizionali, le foto di Mussolini e di Sophia Loren
come santi protettori, un orizzonte che sembra rinchiuso nell'umile
trilogia pizza-pasta-cappuccino, con i "buttadentro" dei ristoranti
che invitano dal marciapiede con i gesti e le piroette dei pazzarielli
di una volta.

Nonostante i tremendi handicap di partenza, gli italiani d'America
sono riusciti a diventare anche loro classe dirigente. Giudici,
senatori, governatori, sindaci, professori d'universit grandi
professionisti, noti scrittori, registi affermati, brillanti attori, i
nomi di coloro che sono arrivati al vertice dopo una selezione
massacrante compaiono su tutti i giornali del mondo - sono gli
italoamericani che contano.
Mentre mi trovavo a New York a preparare questo libro ho assistito a
un episodio che vale la pena di riferire. Per una singolare
coincidenza si sono concentrati in due giorni tre eventi centrali
sull'Italia e gli italiani. Alla New York Historical Society si aperta una mostra su "Cinquecento anni d'immigrazione negli Stati
Uniti" - trasparente riferimento al padre di tutti gli immigrati,
Cristoforo Colombo. Il museo Guggenheim ha dedicato la sua rotonda
centrale a una grande personale di Francesco Clemente. Una delle pi importanti gallerie pubbliche, la P.S.1 a Brooklyn, ha ospitato
"Minimalia", una vasta rassegna delle avanguardie artistiche italiane
curata da Achille Bonito Oliva.
Alla mostra sull'immigrazione erano presenti al completo i
maggiorenti della comunititaloamericana di New York. Nessuno
di loro ha partecipato invece in forma ufficiale alle vernici di
"Minimalia" o di Francesco Clemente. E' come se i nipoti e i pronipoti
di quelli che erano sbarcati a Ellis Island coperti di stracci
soffrissero ancora di quella lontana ferita. E' come se nessuno di
loro fosse in grado di estendere il suo senso d'appartenenza alla
cultura, all'intraprendenza, alla modernitdel paese d'origine, con
il quale sussistono cosprofondi legami. Continua forse a prevalere
il risentimento o la paura o l'estraneitnei confronti di un
territorio sconosciuto di cui i giornali americani danno generalmente
un'immagine negativa fatta di disordini, scioperi, criminalit
governi litigiosi ed effimeri. E' come se le tante piccole italie
delle origini, fatte di famiglie, cibi, santi patroni, canzoni,
dialetti, non fossero mai riuscite a diventare una sola Italia, una
grande democrazia, uno dei paesi piindustrializzati del mondo.

Caleb Carr l'autore di un ottimo thriller ambientato nella New
York a cavallo fra i due secoli. S'intitola "L'alienista" ed un
romanzo di fantasia, basato su un accurato sfondo documentario. Ecco
la descrizione di un alloggio popolare (tenement) abitato da immigrati
italiani:

I Santorelli vivevano sul retro di un caseggiato popolare a pochi
isolati da Canal Street. Case come quella erano state dichiarate
illegali nel 1894, ma nella legge c'era una clausola per cui, con
minime migliorie, era permesso continuare ad abitare gli edifici gi esistenti. Inutile aggiungere che, se le case che davano sulla strada
erano buie, malsane e pericolose, gli edifici pibassi, costruiti
alle loro spalle al posto di un cortile che avrebbe potuto se non
altro dare un po' pid'aria e di luce al palazzo, erano mille volte
peggio... L'appartamento era composto da due stanze prive di finestre,
eccezion fatta per alcune feritoie aperte nei muri in ottemperanza
alle nuove norme sulla ventilazione delle abitazioni. I Santorelli
avevano affittato una delle due stanze a un'altra famiglia di
siciliani per cui in sei - genitori e quattro figli - vivevano in uno
spazio di circa tre metri per cinque. Un paio di secchi piazzati negli
angoli fungevano da servizi igienici.

In una cronaca giornalistica dello stesso periodo ricostruito da
Caleb si parla di "stanze dall'aria stagnante, impregnate da un forte
odore di sudore e di aglio".
Uno dei piappassionati cronisti di New York, l'americano
di origine danese Jacob Riis (1849-1914), nel suo libro "How the Other
Half Lives" (Come vive l'altra met descrive cosil tipo italiano:

Nonostante i suoi vistosi difetti, l'immigrato italiano, cosbruno
di pelle, ha anche i suoi aspetti positivi. La sua onestpari al
suo carattere acceso ... l'ex brigante lavora duro di pala e piccone.
I suoi figli di tanto in tanto danno prova, come borsaioli, di ciche
hanno imparato dai teppisti dei tuguri della sesta circoscrizione ...
Le donne sono spose fedeli e madri devote. I loro costumi tradizionali
cosvividi e pittoreschi danno una nota di colore alla opprimente
monotonia del tugurio nel quale abitano. L'italiano allegro,
spensierato e, se non lo si strofina contropelo, inoffensivo come un
bimbo. Nella zona di Mulberry Street, dove si concentrano pi numerosi, i loro poveri tuguri attraggono e radunano i diseredati pi estremi, quelli senza pisperanza, le leve piumili di un'umanit disperata.

In un brano di cronaca del "New York Times" si legge: "Il viso
olivastro dell'uomo sotto il cappello nero floscio, il volto della
contadina italiana dalla fronte bassa e gli occhi di Madonna sono
ormai diventati spettacolo comune nelle nostre citt.
Questi sono gli italiani come li raccontano e li vedono. Le cronache
alimentano le fantasie e da queste nasce l'immaginario collettivo
destinato a radicarsi, a persistere. A distanza di tanti anni
l'immagine dell'Italia ancora filtrata, pispesso di quanto sarebbe
auspicabile, attraverso gli stereotipi formatisi all'inizio del XX
secolo.

Uno dei grandi problemi quello dei ragazzi. Non meno che nella
Parigi di Hugo o nella Londra di Dickens, a New York sono loro ad
animare la vita nelle strade: strillano i titoli dei giornali,
lustrano le scarpe, rubacchiano, sono abili nel borseggio e nel gioco
delle carte, si combattono tra gang rivali, organizzano piccole
scommesse dove c'sempre il piprepotente o il pifurbo che toglie
tutto agli altri. La strada la loro palestra di vita, spesso di
malavita. Tra le tante notazioni geniali del film di Sergio Leone
"C'era una volta in America", c'anche questa.
Nel giugno 1873 il "New York Times" rivela la storia terribile
di Giuseppe, o Joseph, bambino italiano originario di Calvello in
Basilicata. A nove anni stato imbarcato insieme ad altri otto
bambini al porto di Napoli. Arrivato a New York viene alloggiato al
numero 45 di Crosby Street che, si scopririn seguito, uno dei pi famigerati "covi" di bambini della citt Gila mattina dopo l'arrivo
i bambini vengono mandati per strada a chiedere l'elemosina. La sera
Joseph rientra con pochi spiccioli e il padrone lo picchia duramente
davanti agli altri, mandandolo a dormire su un pagliericcio in
cantina. Dopo settimane di angherie il bambino trova il coraggio di
non tornare. Sono i primi di giugno, l'aria s'ormai fatta tiepida e
le notti miti. Joseph rimane nascosto nel Central Park mangiando ci che trova nei cestini dei rifiuti, fino a quando un guardiano lo
scopre e la sua storia diventa di pubblico dominio. La prima reazione
di acceso risentimento verso gli immigrati italiani.
In realtla risonanza della vicenda serve anche scopi diversi,
percha New York in corso un drastico cambiamento nelle maggioranze
politiche cittadine. La lobby democratica di Tammany Hall guidata da
"Boss" Tweed, uno dei pipotenti sindaci della citt poi finito in
carcere, appare in declino. I democratici hanno funzionato per anni
come punto di riferimento per tutti i nuovi arrivati in citt
l'assistenza da loro prestata ai futuri cittadini andata di pari
passo con la caccia ai loro voti. Il partito dei "nativisti",
difensori di un ordine basato sulle prerogative nazionali, propugna
invece la mano dura con gli immigrati e auspica un sistema politico nel
quale non ci sia pibisogno di appoggiarsi alle masse dei nuovi
arrivati per vincere le elezioni. La campagna di stampa contro i
"padroni" italiani sfruttatori di bambini rientra nello scontro in
atto.
Un cronista che ha intervistato tre piccoli straccioni italiani che
elemosinavano accompagnati da una scimmietta tenuta alla catena,
scrive: "Si lavano una volta al mese e per tutto quel periodo non si
cambiano mai d'abito. Alla fine del mese le loro camicie vengono
bruciate e ricevono il cambio. Dormono su pagliericci sistemati sul
pavimento. Si svegliano al mattino presto e vanno a letto a notte
fonda. A colazione mangiano pane e maccheroni".
Nel giugno 1874 il Congresso approva una legge per proteggere
gli stranieri dalla coercizione praticata con la violenza e dalla
schiavitinvolontaria. Ufficialmente la legge si chiama "Act to
Protect Persons of Foreign Birth against Forcible Constraint, or
Involuntary Servitude"; significativo che nel linguaggio di tutti i
giorni sia semplicemente indicata come il "Padrone Act".

I cosiddetti "sweatshops" sono laboratori a domicilio per lo
sfruttamento intensivo del lavoro individuale, in particolare
nell'industria delle confezioni. Il compenso basato sul cottimo
puro, non esiste tutela sindacale, la quantitdi prodotto garantita
dai "capibastone" che firmano il contratto di fornitura e assicurano
le consegne, cedendo in subappalto la lavorazione dei pezzi.
I manovali per l'edilizia sono inquadrati dai "caporali" (gli
americani lo chiamano il "padrone system") che assumono a giornata,
trattengono una percentuale su ogni uomo, fanno lavorare solo quelli
che non protestano mai, nemmeno davanti alle ingiustizie pievidenti.
Anche per questa docilitgli italiani sono spesso usati come crumiri
(strike-breakers) per rimpiazzare altri lavoratori in sciopero. Uomini
soli, senza famiglia, arrivati con l'intenzione di restare nel paese
solo il tempo necessario a mettere da parte qualche risparmio,
sembrano in effetti un'ideale massa di manovra per spezzare le azioni
sindacali.

Pietro Di Donato era un americano di prima generazione, nato a New
York nel 1911, figlio di immigrati abruzzesi. Suo padre fa il muratore
e un giorno muore perchil padrone non ha applicato le norme di
sicurezza previste. Muratore egli stesso, riesce a studiare, a
imparare a scrivere e a trasferire quella tragedia in un romanzo,
"Christ in Concrete", che esce nel 1939 ed tradotto in italiano con
il titolo "Cristo tra i muratori". Nel 1950 il regista Edward Dmytryk
ne ricava un film (con Lea Padovani), premiato a Venezia. E' un
romanzo di denuncia sociale, come detta la corrente in voga in quegli
anni; anche un documento straziante sulle condizioni di vita di
quelli che hanno tirato su New York dalle fondamenta: "E gli uomini si
trasformarono in bestie da lavoro prive di parola".
Anche se gli italiani sono utilizzati spesso come crumiri, tra di
loro abbondano i fogli di propaganda socialista e anarchica, emergono
figure di agitatori, sindacalisti, filantropi, visionari. E' una delle
loro contraddizioni, una delle tante, cosdifficili da capire per chi
italiano non
Carlo Tresca un fiammeggiante oratore anarco-sindacalista, editore
del giornale "Il Martello". Finirassassinato in mezzo alla strada.
Il 16 settembre 1920 l'anarchico Mario Buda fa esplodere una potente
bomba a Wall Street. E' un gesto di protesta, sanguinoso e inutile -
anzi controproducente - che avrcome ultima conseguenza la condanna
dei due operai e sindacalisti Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.
Sacco e Vanzetti sono stati incolpati d'aver assassinato il 15
aprile 1920 a South Braintree, Massachusetts, a scopo di rapina
probabilmente politica, un ufficiale pagatore e la guardia che lo
scortava. Ma quello che cominciato come uno dei tanti oscuri
processi di omicidio diventa presto un caso esemplare che spacca
l'America in due: destra e sinistra in primo luogo, ma in una
prospettiva pivasta l'America dei diritti e degli ideali, di coloro
che reclamano l'innocenza degli imputati in mancanza di prove certe,
contro l'America dell'intransigenza ottusa di chi vuole appendere
"quei due figli di puttana" al primo lampione o ramo di quercia.
Raramente come in quel caso le due anime di cui fatta l'America
vengono a nudo, si espongono con altrettanta forza.
Nei due italiani colpiscono la dignite la fermezza durante il
processo: certo vengono sostenuti dalle organizzazioni e dai militanti
della sinistra, ma sempre rimasto dubbio se quel sostegno abbia
davvero giovato o non sia piuttosto risultato controproducente davanti
all'opinione pubblica dei benpensanti moderati.
Condannati a morte senza prove, i due vengono uccisi il 23 agosto
1927: Sacco aveva trentasei anni, Vanzetti trentanove. Durante il
processo il capo della giuria ha chiamato gli imputati "dagoes",
dispregiativo per italiani. Uno dei giudici definisce gli italiani
"razza di borsaioli".
Le ultime parole di Vanzetti in aula sono queste: "Non augurerei a
un cane o a un serpente, alla pimisera creatura, di soffrire ciche ho sofferto io per colpe che non ho commesso. Ho peranche la convinzione di
avere sofferto per cose di cui sono effettivamente colpevole. Ho patito perchsono radicale e infatti sono radicale; ho patito per essere italiano e infatti sono italiano; ho patito piper la mia famiglia e i miei cari che per me stesso: sono percosconvinto di essere nel giusto che se voi mi uccideste
due volte e per due volte potessi tornare a vivere, vivrei per fare
nuovamente ciche ho fatto".

Ni muratori ngli uomini come Sacco e Vanzetti hanno dato una
cifra riconoscibile agli italiani d'America il cui solo capolavoro
d'immagine di essersi appropriati della figura di Cristoforo Colombo
facendone una specie di santo protettore per l'etnia italiana ciche
sono i padri pellegrini del "Mayflower" per gli anglosassoni. Le
parate del Columbus Day (21 ottobre) si sono trasformate quasi in una
cerimonia di religiositcivile durante la quale gli italiani
ritrovano l'orgoglio di un'appartenenza per tanti aspetti scomoda da
portare. Le loro povere abitudini igieniche hanno suscitato aperta
diffidenza e riprovazione. Il loro cibo, prima di diventare alla moda,
era giudicato un'alimentazione primitiva. Al di ldi tutto questo, il
marchio di riconoscibilitlo ha impresso l'organizzazione criminale
nota come mafia, nome generico nel quale si mescolano e si
sovrappongono le varie criminalitdel Mezzogiorno d'Italia: Napoli e
la Campania, la Calabria, la Sicilia.
Anni fa, quando era ancora procuratore per la lotta al crimine,
Rudolph Giuliani disse: "Mio padre fu il primo a dirmi che esisteva
una cosa chiamata mafia e che non avrei dovuto vergognarmene. I
mafiosi costituiscono una percentuale minima degli italiani d'America,
meno dell'uno per cento dell'uno per cento".
Quelle che seguono sono alcune storie di italiani di New York, i
buoni e i cattivi, quelli che hanno fatto onore al loro nome e quelli
che lo hanno gettato nel fango o nel sangue, quelli che hanno vinto e
quelli, molto pinumerosi, che credevano d'aver vinto e lavoravano
invece contro il loro paese e contro se stessi.
Mulberry Street era una volta la strada principale di Little Italy,
coscome la vicina Hester Street lo era per la comunitebraica. Cos descrivevano quest'ultima: "Hester Street era un brulicante luogo di
mercato dove gli ambulanti vendevano frutta, polli e pagnotte di pane;
i loro carretti stavano allineati lungo i marciapiedi dove si
affollavano i compratori. Cesti traboccanti di rifiuti fiancheggiavano
le scalinate d'ingresso di ogni casa".
Al numero 129 di Mulberry, proprio all'angolo con Hester Street, c' stato per molti anni un buon ristorante di pesce Umberto's Clam House
(pio meno "Umberto il vongolaro"). Adesso Umberto's si spostato un
po' piin su, all'angolo con Broome Street, portandosi dietro
l'insegna che rimasta la stessa. Al suo posto c'un altro
ristorante che si chiama Gennaro.
Umberto o Gennaro, in quei locali sono finite la carriera criminale
e la vita di "Crazy Joe" Gallo, mafioso affiliato insieme a fratelli e
sorelle alla famiglia Colombo. Il loro lavoro era fatto di estorsioni,
sfruttamento della prostituzione, tangenti sui movimenti di merci,
controllo dei sindacati, le solite cose prima che il grande giro della
droga travolgesse ogni altra attivit
"Crazy Joe", Joe il pazzo, comincia a farsi notare nella parte
meridionale di Brooklyn, a Red Hook, zona di docks e di cantieri. In
poco tempo raggiunge un'ottima posizione e un certo reddito, potrebbe
mettersi tranquillo, se sapesse contenere le sue pretese. Joe ha
invece molte ambizioni e una gran voglia di crescere, lascia Brooklyn
e si trasferisce a Manhattan per tentare il grande salto. Il romanzo
"Il padrino" di Mario Puzo, che esce nel 1970, contribuisce in un
certo senso alla sua rovina. Puzo duna forma narrativa canonica a
ciche tutti sanno o immaginano, offre uno sviluppo riconoscibile e
riveste di un connotato culturale fatti sanguinosi che le cronache dei
giornali presentano come episodi isolati d'incomprensibile ferocia.
Puzo dipinge i suoi "Don" come se fossero imprenditori della
decadenza: la famiglia intorno, le donne reverenti, gli uomini che si
chinano al baciamano, i bambini che non aprono bocca fino a quando il
capo della famiglia non ha detto che possono farlo.
Gallo vuole raggiungere quel livello, crede di avere la forza e
l'astuzia che il ruolo richiede e decide di giocare la posta pialta:
si ribella alla famiglia d'appartenenza, comincia a gestire in proprio
la sua parte di mercato.
Il romanzo di Puzo ha fatto della mafia un tema in voga. Un certo
mondo di New York si apre ai nuovi gangster, ci sono scrittori e
registi che, per interesse professionale o per gioco mondano, vogliono
conoscere i mafiosi piillustri, provare il brivido della
trasgressione seduti al loro stesso tavolo, capirne la tecnica
professionale, assaporare, condividere l'aura vagamente romantica che
li circonda. Gallo ben vestito e ben pettinato, l'eleganza di un
gangster che viene dalla miseria non certo discreta ma lui, anche se
tirato a lucido come un manichino, abbastanza intelligente da
imitare il comportamento delle persone di classe. In carcere ha letto
Camus e lo cita volentieri. Se qualcuno gli chiede di raccontare i
retroscena di qualche impresa criminale non si fa pregare. La famiglia
Colombo lo vorrebbe morto, ma Joe si sente sicuro perchfrequenta i
costosi ristoranti dell'East Side, ha guardie del corpo che non lo
perdono d'occhio un istante, coglie intorno a snella New York che
conta una corrente di simpatia che equivale a un salvacondotto.
Da quando nel 1930 Edward G. Robinson ha dato vita al personaggio di
Rico Bandello (basato sul gangster Al Capone) nella trasposizione
cinematografica del romanzo di William R. Burnett "Piccolo Cesare", il
cinema americano ha fatto dei gangster italiani personaggi ricorrenti
nelle sue storie. Dicono che Gallo si atteggi come Bandello o forse
come Richard Widmark nel film "Il bacio della morte", dove l'attore
impersonava un malvivente spietato ma abbastanza furbo da sapere che
ci si possono anche concedere momenti di gentilezza e di humour.

Il 6 aprile 1972 Joe il pazzo compie quarantatranni e decide di
festeggiarli in modo adeguato. Si da poco sposato con Sina, una
ragazza che ha giuna figlia, Lisa, e per il suo compleanno vuole
l'una e l'altra accanto a sinsieme agli amici picari. Trascorrono
la notte a Capacabana, l'aria di festa, il proprietario organizza un
coro di "Happy Birthday" al momento dello champagne, l'alba arriva in un
baleno e la compagnia ancora folta. Decidono di andare a fare la prima colazione da Umberto, un ritorno alle origini in quella Mulberry Street
legata a tante memorie, un'altra ora di allegria prima di andare a dormire.
Quando arrivano da Umberto albeggia. Il sicario d'una famiglia
rivale che sta rientrando proprio in quel momento li riconosce.
L'occasione ghiotta, il temibile Gallo sembra alticcio, soprattutto
allegro, ha abbassato le difese. Probabilmente l'uomo fa qualche
telefonata prima di agire: cerca autorizzazioni, si precostituisce
delle benemerenze. Quando sicuro della copertura convoca altri due
assassini come lui, questione di minuti. Entrano da Umberto attraverso
una porta laterale, sparano tutti insieme dozzine di colpi. Joe raggiunto in varie parti del corpo, sanguina, fa in tempo ad alzare la
tavola per farne scudo alla moglie che rimane illesa. Ferito a morte
si alza mentre gli assassini fuggono, si trascina fuori, fa pochi
passi, stramazza in Hester Street. Per qualche tempo nel locale sono
rimasti i buchi dei proiettili nei muri, i turisti italiani si
facevano fotografare contro quello sfondo.

Nella parte meridionale di Manhattan, una delle zone dove appare con
pievidenza la disordinata stratificazione della citt c'uno
slargo formato dall'incrocio tra le strade Kenmare e Lafayette. Al
centro dello slargo una cancellata nera recinge un piccolo triangolo
vuoto d'asfalto, se non fosse per un albero solitario e un rampicante
che tenta di arrivare da qualche parte. Una targa con la foglia
d'acero del servizio giardini della cittinforma che quel "giardino"
dedicato al tenente Joseph Petrosino: "Lieutenant Joseph Petrosino
Garden". Quando ero bambino ricordo che circolavano dei giornalini a
fumetti intitolati "Petrosino contro la Mano nera". Solo anni dopo
capii che quel personaggio del nome buffo era esistito davvero e che
la "Mano nera" non era un nome pittoresco a uso dell'infanzia, bens una delle incarnazioni della mafia. Le ragioni per le quali la citt di New York lo ha voluto ricordare sono evidenti, anche se quel
"giardino" cosstriminzito e nudo da alimentare la malinconia pi che la memoria.
Il fatto che l'associazione mentale tra gli italoamericani e la
mafia talmente forte e diffusa che qualche tentativo di
contrastarla, quale che sia, va tentato.
Il professor Robert Viscusi dell'Universitdi Brooklyn (un bel
campus di cui La Guardia, per inciso, pose la prima pietra) mi diceva
un giorno che per gli italoamericani essere associati alla mafia stata quasi una promozione. I sentimenti che le attivitcriminali
suscitano sono complessi: disprezzo ma anche timore, in qualche caso
ammirazione. Prima della mafia c'era solo il disprezzo e semmai un
timore d'altro tipo, quello delle malattie che i nuovi immigrati
potevano diffondere. Dunque un bene che al povero tenente sia stata
intitolata almeno una cancellata che recinge un pezzetto d'asfalto.
L'albero solitario e il magro rampicante dicono che gli italiani
stavano anche dall'altra parte, sparavano cioanche in nome della
legge, non solo per conto della camorra.

Giuseppe Petrosino era nato a Padula nell'agosto del 1860, era
arrivato a New York quando aveva tredici anni e Roma era da poco stata
annessa al Regno d'Italia. A ventitranni riesce ad arruolarsi nella
polizia perchuna cittmultietnica ha bisogno di poliziotti
multietnici. Nella New York di oggi ci sono poliziotti di lingua madre
cinese, allora cominciavano a servire anche i poliziotti di lingua
madre italiana.
Per gli italiani non era facile arrivare all'accademia di polizia,
nei concorsi venivano regolarmente battuti dagli irlandesi che
parlavano la lingua del posto e raggiungevano pifacilmente i
requisiti minimi di altezza. All'inizio del secolo gli italiani erano
pibassi di quelli di oggi di una decina di centimetri, la cosiddetta
"dieta mediterranea" non vale un granchquando si tratta di
crescere.
Petrosino comunque riesce ad arruolarsi e quando la criminalit italiana si diffonde viene a trovarsi, un po' per merito un po' grazie
alla lingua d'origine, in una posizione di prima linea. Nel giro di
pochi anni diventa uno dei massimi esperti in fatto di mafia e poich la mafia dai giornali continui spunti di cronaca, Petrosino ha molte
occasioni per rilasciare dichiarazioni, acquistando in breve una certa
popolarit Ai newyorkesi piace sapere che c'un italiano che sta combattendo contro i banditi italiani, la sua diventa una figura familiare e
rassicurante. In patria la sua fama viene addirittura consacrata dal
nomignolo di Sherlock Holmes italiano.

Secondo gli storici della cittle prime attivitmafiose sono
cominciare gialla fine dell'Ottocento, di pari passo con la grande
ondata migratoria degli anni Ottanta. Il primo morto per mano della
criminalititaliana un certo Antonio Flaccomio (o Flaccovio),
ucciso a coltellate il 14 ottobre 1888 da tale Carlo Quarteraro dopo
una cena alla quale hanno partecipato parecchie persone e finita, con
ogni evidenza, molto male. Il "New York Times" riporta la notizia
commentandola in questi termini: "Le persone coinvolte nella tragedia
sono siciliani provenienti da Palermo, principale porto dell'isola. I
criminali siciliani sono riuniti in una societsegreta chiamata
"Mafia" i cui membri sono legati da un patto di reciproca protezione
contro la polizia. I membri di questa societsono principalmente
falsari, simulatori e assassini. Per molti di loro l'omicidio solo
un passatempo". Nella prima scoperta della mafia c'insomma un misto
di stupore e d'ingenuit Ben altro sarebbe venuto in seguito.
Bisogna dire che i malfattori italiani trovano a New York un terreno
molto fertile. Tutto nella cittin rapida trasformazione e
sviluppo, compresa la malavita. Una delle zone piorribili quella
detta dei "Five Points", i Cinque Punti, dove s'incrociano tre strade
e che oggi corrisponde all'angolo sudoccidentale di Columbus Park, tra
Hogan Place, Baxter Street e Worth Street, una zona che, con
l'esplosione demografica della comunitcinese, puormai essere
considerata parte di Chinatown.
I Cinque Punti sono probabilmente l'area piinfame di New York,
fitta di abitazioni popolari fatiscenti, nella quale le bande
criminali, spesso formate da inglesi, e spesso da giovanissimi,
spadroneggiano. Una delle gang pifamigerate quella dei "Dead
Rabbits" (Conigli morti) che praticano il furto, l'assassinio e lo
sfruttamento delle prostitute della zona, prima manifestazione, ancora
imperfetta, di criminalitorganizzata. Gli stessi poliziotti cercano
di stare alla larga da quel dedalo che in parte esiste ancora oggi. Quando Charles Dickens visita, adeguatamente scortato, il quartiere ne riferisce come di un luogo gremito di "caseggiati ripugnanti dove si affollano la rapina e
l'assassinio, tutto ciche di disgustoso, cadente e putrefatto si pu immaginare, si trova qui".

Negli stessi anni di fine Ottocento fa la sua comparsa a New York
anche la mafia cinese. Una delle prime Tong (associazioni) di
malfattori la Hip Sing Tong che ha il suo quartier generale al
numero 10 di Pell Street, una strada, anzi un vicolo, ancora oggi
totalmente cinese e che vale la pena visitare per vedere fino a che
punto una cittpuperdere i suoi connotati originari, trasformandosi
in qualcosa di totalmente diverso. A poca distanza da Pell, c' l'incrocio tra East Broadway e Market Street, che niente distingue da
un qualunque angolo di Hong Kong o di Pechino. Il solo richiamo alla
realtdi New York la rampa sopraelevata del Manhattan Bridge che
corre proprio laccanto.

In questa citttumultuosa, a Giuseppe (Joseph) Petrosino toccano
gli italiani. La sua un'efficace azione investigativa, ma il suo pi grande merito l'intuizione molto moderna che se si vuole davvero
contrastare la mafia a New York bisogna tagliare le sue radici in
Sicilia.
All'inizio del 1909 Joseph Petrosino s'imbarca per Palermo con un
passaporto falso dove figura con il nome fantasioso di Simone Valenti
di Giudea. Scopo della missione di prendere contatti diretti con la
polizia italiana in un'epoca in cui le comunicazioni transoceaniche
sono molto complicate e controllare i precedenti penali di alcuni
immigrati siciliani per poterli a buon diritto espellere dagli Stati
Uniti.
Il giorno stesso dell'imbarco alcuni giornali di New York, compresi
quelli di lingua italiana, danno la notizia che Petrosino partito
per l'Italia, facendo cossaltare la sua copertura. Quando arriva a
Palermo alla fine di febbraio prende alloggio all'Hel de France e
avvia subito le ricerche e i contatti con gli informatori e la polizia
che tra l'altro gli offre una scorta armata: Petrosino perla rifiuta.
Il lavoro procede bene, i dati accumulati sono del pigrande interesse, quel viaggio si sta rivelando pidi una buona idea. Petrosino sta gettando le basi di una collaborazione tra polizie in una misura che nessuno ha mai tentato prima.
La sera del 12 marzo, mentre rientra in albergo dopo cena, un ignoto
sicario lo uccide in piazza Marina sparandogli tre colpi di pistola.
Si sospetta del delitto il capomafia Vito Cascio, si fanno i nomi di
Carlo Costantino e Antonio Passananti come esecutori, nessuna verit verrmai appurata.
L'impressione a New York immensa. I giornali riportano la notizia
vistosamente e con sgomento, interpretando il sentimento popolare. La
salma viene rimpatriata e quando si celebrano i funerali una folla
immensa segue il feretro. La cattiva fama degli italoamericani che
fino a quel momento ha suscitato un sentimento vago, fatto di
diffidenza e di sospetto, trova un punto di coagulo. E' il 1909 e da
allora quel coagulo non s'pisciolto.

La Sparks Steak House un ottimo ristorante sulla Quarantaseiesima
Strada, tra la Seconda e la Terza Avenue. Le Nazioni Unite sono vicine
e nella zona ci sono le sedi di molte aziende importanti, questo per
dire che Sparks ha una clientela ottima e discreta, avvezza pialle
notizie di borsa e di politica che a quelle di cronaca nera. Il
destino ha invece voluto che proprio per un fatto di cronaca nera la
Steak House della Quarantaseiesima Strada finisse coi titoli di
scatola sui giornali. La sera del 16 dicembre 1985, in un'atmosfera
gifestosa per la vicinanza del Natale, con i marciapiedi pieni di
gente che si affretta verso casa carica di pacchetti variopinti,
davanti al suo ingresso si consuma uno degli omicidi pispettacolari
nella storia criminale della citt pari, per risonanza e
spregiudicatezza, all'assassinio di Albert Anastasia (1957) nel salone
da barbiere del Park Sheraton (oggi New York Sheraton), sulla Settima
Avenue.
In quel giorno di dicembre Paul Castellano viene freddato da
numerosi colpi di pistola e il suo cadavere rimane metdentro e met fuori della limousine dalla quale sta scendendo; il sangue colando
lorda i bei mocassini italiani, le calze di seta, i pantaloni dalla piega impeccabile. PerchCastellano stato ucciso e da chi?

Questo omicidio, l'ultimo omicidio spettacolare della mafia italiana
da quel momento stroncata senza piet ha una lunga storia che
comincia molti anni prima in un caseggiato popolare del South Bronx.
Lnasce nel 1940 John Gotti, da una famiglia italiana povera e cos imprevidente da mettere al mondo undici figli. Il padre spesso
disoccupato, quando trova qualche lavoretto fa ciche non dovrebbe,
rischia la paga con le scommesse o il gioco d'azzardo. Quando John a
sedici anni lascia la scuola giaffiliato a una banda di giovani
ladri che stata battezzata, alla maniera delle vecchie gang inglesi
dell'Ottocento, con i nomi di due strade del quartiere. Loro sono i
Fulton-Rockeway Boys.
Il ragazzo Gotti forte a pugni e abile nel trattare con i
compagni, insomma pronto a fare carriera. A ventidue anni sposa
Vicky DiGiorgio dalla quale ha giavuto un figlio l'anno precedente.
Vicky una donna vivace e vorrebbe che suo marito lavorasse, invece
di andare in giro a rubare e poi a giocare d'azzardo con ragazze
svelte di mano e di gambe. I vicini li sentono litigare spesso e i due
finiranno per separarsi, non prima perdi avere messo al mondo altri
quattro figli - una tradizione di famiglia, evidentemente.
John finisce per la prima volta in galera nel 1968 e ci resta per
quattro anni. Quando esce ansioso di tornare alla sua vecchia
attivite ha un colpo di fortuna perchriesce a entrare nelle grazie
di Aniello (detto "Neil") Dellacroce, uno dei sottopancia del potente
boss Carlo Gambino. Il vecchio Gambino un capo che sa come farsi
rispettare, ma che non ama mescolarsi di persona ai giochi sporchi e
sanguinosi necessari per mantenere una posizione di potere. Alla bassa
macelleria pensa Dellacroce che ha stabilito il suo quartier generale
al numero 247 di Mulberry Street dove ufficialmente ha sede un certo
Ravenite Social Club. L'edificio ancora l il club stato chiuso
da tempo, il suo nome merita un cenno di spiegazione. Ravenite viene
da "raven", in inglese corvo e quel nome intendeva essere un omaggio
al famoso poema di Edgar Allan Poe (di cui parleremo nel capitolo a lui dedicato). Non si sa bene a che titolo quel richiamo sia stato scelto. La sola spiegazione plausibile, immaginabile, che si tratti di una specie di omaggio
a uno scrittore che nelle sue novelle ha saputo concepire delitti fantasiosi e
perfetti.

Quando Dellacroce finisce a sua volta in prigione, Gotti, che gli stato molto vicino, si trova d'improvviso in una posizione di grande
responsabilit L'ex teppista del Bronx, il piccolo farabutto che si
giocava con le puttane i soldi rubati, adesso ha la possibilitdi
presentare i suoi rapporti al vecchio Carlo Gambino in persona. Era un
gangster di mezza tacca, adesso svolge un ruolo di manager.
Il boss ascolta, consiglia, dqualche indicazione. Suggerisce per
esempio a John di tenere i suoi ragazzi lontani dal traffico della
droga. Lui sa per esperienza che i forti guadagni vanno insieme a
molti fastidi e a scontri durissimi che meglio evitare. John
ascolta, dice di sma in realtignora i consigli del vecchio, anche
perchmolti dei suoi ragazzi, oltre a trafficare con la droga, ne
fanno uso e per loro sarebbe doppiamente complicato uscire dal giro.
L'ambizioso Gotti ha la possibilitdi mettersi in luce agli occhi
del boss, eseguendo di persona l'assassinio di James McBratney, un
uomo che anni prima ha rapito il nipote di Gambino uccidendolo dopo
aver incassato il riscatto. Gotti organizza l'omicidio in ogni
dettaglio, forte com'di un indiscutibile spirito organizzativo, di
senso militare delle operazioni, di coraggio. Una squadra formata da
lui stesso pialtri due uomini, tutti travestiti da poliziotti,
compiono l'esecuzione in un pub pieno di gente terrorizzata ma anche
di testimoni. Gotti viene subito arrestato, ma grazie alla difesa
abilissima di Roy Cohn, avvocato personale di Gambino, riesce a farsi
condannare solo per omicidio colposo e non di primo grado, cio volontario o, come diciamo noi, premeditato.

Mentre John sconta la sua condanna, Carlo Gambino, in lcon gli anni e malandato in salute, comincia a pensare come ogni sovrano avveduto alla successione. L'uomo designato suo cognato Paul Castellano che un buon gangster privo perdel requisito di un vero capo della malavita, e cioun ascendente carismatico sui sottoposti che deve andare insieme alla freddezza, al cinismo, alla forza di non tirarsi indietro di fronte a niente. Forse il primo grande errore di giudizio che l'indebolito Gambino commette. Rispetto agli altri malviventi, Paul ha una maggiore delicatezza, forse addirittura troppa.
Investito di un tale incarico comincia subito a sbagliare delegando le attivitpisanguinose a Neil Dellacroce e gestendo personalmente solo le attivitpisofisticate e meno cruente, come l'infiltrazione e il racket dei sindacati, le gare truccate per gli appalti.
Una suddivisione cosnetta di competenze richiede che ognuno si schieri, una delle conseguenze dell'errore che Paul ha commesso. La famiglia Gambino si spacca in due tronconi e Gotti decide di allearsi con Dellacroce che giudica il piforte nello scontro appena iniziato. Dallacroce probabilmente finirebbe per vincere se non morisse, di morte naturale, prima del tempo. Gotti ha fatto il calcolo giusto, ma il destino lo ha beffato e quando Dellacroce muore John si trova di punto in bianco senza un boss di riferimento. Castellano pensa di approfittarne per togliergli poteri e competenze. E' il momento in cui Gotti deve giocare il tutto per tutto, davanti a sha due scelte radicali: o riesce a uccidere Castellano o tornerdove ha cominciato, ridiventerun piccolo gangster da quattro soldi.

L'agguato venne facilitato dal fatto che alla Steak House si puarrivare in auto solo risalendo la Terza Avenue per poi prendere, voltando a destra, la Quarantaseiesima. La direzione obbligata del traffico aiuta Gotti a predisporre gli uomini che sono almeno dieci, quasi tutti vestiti allo stesso modo: impermeabile chiaro, berretto di pelliccia alla cosacca. Alcuni fingono di guardare le vetrine dalla parte opposta della strada, altri stazionano vicino all'ingresso del ristorante come se aspettassero qualcuno.
Castellano in leggero ritardo, ha avuto dei contrattempi ed innervosito perchalla cena partecipa tra gli altri Tommy Gambino,
che suo nipote ma soprattutto il figlio di Carlo Gambino.
Paul sa che a Gambino jr non piace aspettare. Alla guida
della Lincoln c'Tommy Bilotti, uno dei suoi sottopancia. La macchina
si ferma esattamente davanti all'ingresso del ristorante. Bilotti
scende e gira intorno all'auto per aprire la portiera di Castellano
che siede sul sedile posteriore. Paul perimpaziente a causa del
ritardo, appena l'auto si ferma apre la portiera e fa per scendere da
solo. Sia lui che Bilotti sono fermati a metdei rispettivi movimenti
da una pioggia di fuoco, muoiono entrambi all'istante. I passanti
schizzano via terrorizzati, gli assassini si allontanano riponendo le
armi e correndo come tutti gli altri; loro persono diretti verso le
vetture parcheggiate in punti prestabiliti e col motore acceso.
Pochi minuti e arrivano a sirene spiegate le macchine della polizia,
ma prima che la Quarantaseiesima venga chiusa al traffico tra la
Seconda e la Terza Avenue, un'altra Lincoln passa lentamente davanti
alla Steak House. Dentro c'John Gotti, venuto a constatare di
persona il risultato dell'operazione.
Piin lci sarad aspettarlo una cella d'ergastolo, ma in quel
momento il solo futuro che a Gotti interessa quello che scorge
attraverso il finestrino oscurato della sua auto: il cadavere del suo
nemico, coperto da un lenzuolo sporco di sangue. Adesso lui il capo
della famiglia Gambino.

Questa storia comincia in uno dei punti pifamosi di New York:
Columbus Circle, lo slargo che segna l'angolo sudoccidentale del pi grande giardino della citt il Central Park.
Columbus Circle una specie di piazza semicircolare nella quale
s'incontrano varie arterie: Broadway, l'Ottava Avenue, che da quel
punto in poi prende nome di Central Park West, e la Cinquantanovesima
Strada che segna anche il limite meridionale del medesimo parco. Al
centro della piazza c'una colonna sormontata dalla statua di
Cristoforo Colombo, donata nel 1892, quattrocentesimo anniversario
della scoperta dell'America, dalla comunititaloamericana. Un
monumento al quale si fa meno attenzione quello addossato all'angolo
del parco, eretto in memoria dei marinai della nave da guerra "U.S.S
Maine". E' una stele di granito ornata con figure in marmo e in bronzo
che rappresentano le usuali allegorie in voga al volgere del XIX secolo,
sia nel Vecchio che nel Nuovo mondo: la Vittoria, la Forza, il Coraggio
e via dicendo. Al culmine si erge la statua di Columbia trionfante trainata
da tre ippocampi. Quel monumento ci interessa per due ragioni: per ciche rappresenta, e per il suo autore.

La "U.S.S. Maine" cola picco a Cuba, nel porto dell'avana, il 15
febbraio 1898. L'inquieta isola dei Caraibi alla fine dell'Ottocento un dominio della corona spagnola e quando comincia a serpeggiarvi
qualche moto di ribellione da Madrid inviano un contingente di truppe
al comando del generale Valeriano Weyler. Nel gennaio 1898, dopo
alterne fasi, la rivolta deflagra e il presidente americano MacKinley
decide di inviare a sua volta un incrociatore per "mostrare la
bandiera", come si usa dire, nel porto della capitale.
La "U.S.S. Maine" getta l'ancora all'Avana il 25 gennaio. E'
previsto che vi rimanga fino a metfebbraio per poi fare ritorno alla
base di New Orleans. Accade perche alle 21,40 del 15 febbraio una
tremenda esplosione squarci la chiglia dell'incrociatore, provocando
la morte di duecentocinquanta marinai e di due ufficiali. La tragedia
provoca reazioni irate a Washington che portano rapidamente alla
dichiarazione di guerra alla Spagna. Sarebbe una delle tante
guerricciole coloniali, se non fosse che per la prima volta l'Europa
scopre la superioritmilitare degli Stati Uniti che mettono fuori
combattimento la flotta spagnola. Alla fine del breve conflitto gli
americani stabiliscono il loro protettorato su Cuba e incorporano ci che resta dell'impero spagnolo, Portorico e le Filippine.

Le operazioni militari furono spicce, non cosle diatribe che
seguirono l'affondamento. In un primo tempo si disse che la causa
dell'esplosione era stata una mina piazzata evidentemente dagli
spagnoli. Nel 1911 il relitto venne tirato a galla e gli esperti
confermarono l'ipotesi della mina, anche se il loro parere venne
accompagnato da un acceso dibattito su chi avesse avuto interesse ad
affondare la nave, se davvero gli spagnoli o non piuttosto i ribelli
cubani che grazie a quei morti erano riusciti a trascinare gli Stati Uniti
nel conflitto che li opponeva alla Spagna.
Nel 1974 l'ammiraglio Hyman G. Rickover decise di riesaminare ancora
una volta il caso giungendo, con l'aiuto di numerosi esperti, a
conclusioni diverse: "Le prove disponibili" scrisse nel rapporto
finale "sono coerenti con l'ipotesi di un'esplosione interna generata
probabilmente da un incendio prodottosi in un adiacente magazzino di
carbone". Quale fu la vera causa dell'affondamento della "U.S.S.
Maine" da allora non pistato chiarito, ogni paese ha purtroppo le
sue tragedie irrisolte.

Ma c'una seconda ragione per la quale il monumento a Columbia
trionfante ci interessa. Il suo autore Attilio Piccirilli, un nome
che in Italia dice poco e anche a New York oggi quasi dimenticato.
Eppure Piccirilli stato un notevole scultore ornamentale,
addirittura famoso ai suoi giorni. La picelebre opera del suo studio
sicuramente la gigantesca statua di Abraham Lincoln seduto in
atteggiamento pensoso, che si trova a Washington ed molto nota nel
mondo. Anche New York perdisseminata di sue opere: le stele
funerarie dei familiari di Fiorello La Guardia, la moglie Thea e la
figlioletta di un anno Fioretta; il bellissimo bassorilievo dedicato
ai pompieri; i leoni che ornano la scalinata esterna della Public
Library sulla Quinta Avenue; il bassorilievo in pasta di vetro del
Palazzo d'Italia al Rockefeller Center. Originariamente le opere di
Piccirilli al Palazzo d'Italia erano anche pinumerose, alcune per sono state rimosse nel 1940, quando l'Italia entrin guerra a fianco
della Germania nazista. Nel 1965 sono state rimpiazzate con due
rilievi in bronzo di Giacomo Manz

Attilio Piccirilli nasce nel 1866 a Carrara. Nel 1877, quando ha
undici anni, suo padre Giuseppe emigra a New York insieme ad Attilio e
ai suoi cinque fratelli dai nomi pittoreschi: Ferruccio, Furio,
Getulio, Masaniello, Orazio - tutti apprendisti scultori con Attilio
in testa, subito rivelatosi un allievo prodigio. Appena sono in grado
d'impugnare uno scalpello i fratelli Piccirilli aprono un loro studio
alla Centoquarantaduesima Strada, nel Bronx (tra la Avenue Willis e Brook),
un bel capannone che ha resistito fino agli anni Sessanta, quando stato sciaguratamente abbattuto per fare posto a niente altro che un terreno vago in attesa di destinazione, semplice furia distruttrice.
L'impresa Piccirilli tira avanti tra molti alti e bassi fino a
quando nel 1901 Attilio vince, su quaranta concorrenti, la gara per la
parte scultorea del monumento a Colombus Circle. Da quel momento le
commissioni diventano cosnumerose che i Piccirilli devono allestire
un nuovo studio molto pigrande, di cui loro stessi decorano la
facciata con calchi, medaglioni e rilievi.
L'impresa lavora su progetti propri o su disegni preparati da altri,
uno dei committenti lo scultore Daniel Chester French che stato
incaricato di decorare la facciata del museo di Brooklyn. Ai
Piccirilli subappalta l'esecuzione di trenta statue gigantesche che
vengono pagate 1.500 dollari l'una. Alcune statue sono non solo
scolpite, ma anche ideate da Attilio. La gigantesca statua di Lincoln
destinata a Washington viene invece completata nel 1922, impiegando
ottimo marmo della Georgia.
In quegli anni Attilio divorzia da sua moglie Julia e dai documenti
prodotti davanti alla corte per stabilire gli alimenti sappiamo che il
fatturato della ditta di circa 85 mila dollari annui, cifra di
assoluto rispetto.
In ditta si lavora in un'atmosfera di allegria che il caso di
definire fraterna, estesa ai collaboratori anche i piumili. A un
certo punto della giornata, mentre lo studio risuona di un gran
picchiare di scalpelli sulla pietra, Attilio si rifugia in un angolo a
cucinare pentoloni di pasta per tutti; mai sorge questione su come
vadano attribuiti i numerosi riconoscimenti ottenuti dallo studio.
Fiorello La Guardia, che grande amico dei Piccirilli, dad Attilio
il soprannome di "Uncle Peach", dove "Peach" non traduce solo la
parola pesca ma vale "amore", "tesoro".

Anche se la sua biografia, scritta nel 1944 da Josef V. Lombardo, intitolata "Attilio Piccirilli, Life of an American Aculptor", non c' dubbio che Attilio rimase italiano, e toscano, nell'affabilit
dei modi, nel metodo e nella pazienza con cui lavore insegnad
altri a lavorare, nello stesso affetto con cui seppe trattare il
marmo, materiale nobile della sua arte. Nella prefazione per quella
biografia, La Guardia ha scritto: "Nessuno, vedendolo a casa, per la
strada, in metropolitana, direbbe che quell'uomo uno dei migliori
scultori del nostro tempo. I suoi capelli non sono lunghi e
spettinati, veste come un uomo d'affari, niente svolazzanti cravatte
nere a fiocco ... Non l'ho mai inteso parlar male di un altro artista.
Ho imparato molte cose da lui, ma sono stato io a insegnargli a ridere
trentacinque anni fa. Da allora abbiamo spesso riso insieme".
Attilio muore l'anno dopo, la fine della guerra, a quasi
ottant'anni benissimo spesi, nel suo studio del Bronx, in mezzo alle
sue statue, ai calchi, agli abbozzi. La scultura ornamentale alla
quale ha dedicato la vita sta ormai declinando. Ha conosciuto il suo
trionfo nei decenni a cavallo tra i due secoli, la fine della Seconda
guerra mondiale l'ha relegata tra i residui di un passato che
s'allontana velocemente. Attilio fa in tempo ad andarsene prima. E' un
peccato che molti ricordino i nomi esecrandi di uomini come John Gotti
e Crazy Joe Gallo e cospochi sappiano chi stato Attilio
Piccirilli.

La modesta dimora nella quale Fiorello La Guardia ha vissuto gran
parte della sua vita si trova al numero 1274 della Quinta Avenue,
quasi all'altezza della Centodecima Strada, ldove finisce il Central
Park e comincia Harlem.
La Guardia nasce a New York nel 1882, figlio di un musicista di
Foggia, cattolico, e di un'ebrea triestina. Educato come protestante
(episcopale), sposersuccessivamente una cattolica e una luterana,
coscondensando nella propria biografia, in una specie di vivente
sincretismo, tutte le principali confessioni della citt Quando suo
padre decide di tornare a Trieste, Fiorello, che ha ormai diciassette
anni, entra nel servizio consolare degli Stati Uniti e soggiorna in
vari paesi dell'Europa centrale con il risultato che, al suo rientro
negli Stati Uniti, in grado di parlare l'ungherese, il tedesco, il
serbo-croato, lo yiddish e l'italiano.
E' fisicamente non bello, anzi la sua figura pusembrare
caricaturale, supera di poco il metro e cinquanta ed grasso.
Nonostante questo handicap riesce a farsi largo dimostrando
quell'energia quasi forsennata propria di certi uomini non alti e
indomabili. Basta vederlo camminare, in uno dei tanti filmati che lo
ritraggono, per capire dai gesti, dallo stesso modo di muoversi, la
quantitdi forza compressa racchiusa nella dimensione breve di quel
corpo. Frequenta la facoltdi Legge, studiando di notte mentre di
giorno lavora come interprete a Ellis Island.
Nel 1916, a trentaquattro anni, Fiorello diventa il primo
italoamericano e il primo repubblicano eletto al Congresso di
Washington nel collegio del Lower East Side, abitato soprattutto da
italiani e da ebrei. Quando gli Stati Uniti decidono d'intervenire
nella Grande guerra si fa mandare sul fronte italiano, dove combatte
come pilota nella nascente arma aerea, raggiungendo il grado di
maggiore.

Quando comincia la sua carriera, la vita politica a New York dominata dalla cerchia che fa capo a Tammany Hall, il gruppo del
Partito democratico che ha la sua base elettorale nei poveri, gli
esclusi, i nuovi immigrati ma che anche profondamente corrotto. Gli
ideali di filantropia, di cura degli umili si sono mescolati con
l'ambizione e il potere, il denaro che all'inizio era un mezzo per
organizzare la lotta politica diventato un fine in se stesso. Con la
lobby di Tammany comincia sia la commistione tra sindacati e malavita,
sia la pratica di dirottare verso gli uomini del partito parte dei
denari stanziati per i lavori pubblici.
Figura emblematica di questa paternalistica corruzione, per cos dire il fondatore del sistema, stato William M. "Boss" Tweed, uomo
di immenso potere, mai arrivato personalmente a cariche di rilievo ma
regista occulto di tutte le nomine e gli appalti della cittdestinati
ai suoi amici e protetti. Processato e condannato, moririn carcere,
ormai senza amici, nel 1876.
Proprio battendosi contro la corruzione di Tammany continuata anche
dopo "Boss" Tweed, La Guardia conquista il seggio al Congresso dove
rimane fino al 1932. Quando riesce finalmente a correre per la carica
di sindaco dice chiaramente che la cittin rovina, che le casse municipali sono vuote e che se diventersindaco non ci saranno pipranzi gratis per nessuno: "No more freelunch for anybody".
Nonostante questo, o grazie a questo, nel 1933 diventa sindaco e lo
rimarrper dodici anni. Riduce drasticamente la corruzione, lotta
contro la malavita con tutta la durezza che quella malavita merita, il
cosiddetto interrogatorio di "terzo grado" viene introdotto sotto la
sua amministrazione. Riesce a strappare a Washington fondi federali
aggiuntivi, riesce soprattutto a mantenere il difficile equilibrio tra
le necessitdi spesa (la cittassiste 142 mila famiglie povere) e
l'esigenza di non far precipitare il bilancio. Per riuscirvi deve
venir meno a principi che lui stesso ha proclamato, costretto a
cambiare idea dichiarandolo apertamente; introduce per esempio una
tassa sulle vendite (Sales tax) del 2 per cento, proprio lui che al
Congresso ha guidato l'opposizione quando stato il presidente Hoover
a proporla.

E' facile dire che La Guardia stato un ottimo sindaco ed elencare
i suoi meriti basati su un lavoro instancabile e un'onestadamantina.
Aveva una volontdi ferro, delegava pochissimo agli altri, amla
musica, in specie quella italiana, per il resto fu uomo di totale
ignoranza che in vita sua non lesse probabilmente una riga che non
fosse indispensabile ai suoi studi prima e al lavoro poi. Quanto alle
opere d'arte, l'unico acquisto certo che gli si attribuisce un busto
di Napoleone, una scelta che appare indicativa del temperamento.
Non altrettanto facile dire se sarebbe auspicabile una replica del
modello amministrativo da lui incarnato. La Guardia stato un
sindaco-dittatore, un tipico esempio di "cesarismo", cioun
governante autoritario ma sorretto dal favore popolare. Lavorava pi di ogni altro, accentrava su di sogni decisione, faceva di tutto.
Lavorava come un pazzo dal lunedal sabato; la domenica mattina
leggeva alla radio le favole per i bambini di New York. Fu lui, che
aveva combattuto nella neonata aeronautica, a volere che la citt avesse un vero aeroporto. Lo fece costruire nella zona di Queens, da
lui scelta: pitardi si sarebbe chiamato La Guardia Airport. Impost anche, in un'altra zona di Queens, pia sud, un secondo aeroporto che
sarebbe poi diventato l'attuale J.F.K. Riusca non degenerare e
concorrendo alle cariche si presentava come un esponente (sia pure
anomalo) del Partito repubblicano. Una volta eletto persoleva dire
che la raccolta delle immondizie non nrepubblicana ndemocratica;
va fatta e basta.
Insomma ebbe moltissimi meriti, meno quello di rappresentare un
modello di democrazia, c'chi sostiene che in una cittcome New York
anche questo potrebbe essere un merito.


Pag. 220

X - Ma dove abitava Nero Wolfe?

Questo capitolo rappresenta un breve intermezzo e ha un carattere
particolare che nel linguaggio della musica si chiamerebbe
"divertimento". Vi si parla di personaggi cospieni di vita da avere
alimentato con le loro imprese le fantasie di milioni di persone.
Personaggi tuttavia, non persone, creature d'invenzione dotate di
un'esistenza densa ma fittizia o, come si direbbe oggi, virtuale. La
vita di un personaggio di norma piintensa di quella d'una persona
in carne e ossa. Milioni di individui possono scegliere di vivere
un'esistenza anonima e trovare pieno appagamento nella quiete della
loro oscura condizione. Un personaggio condannato a essere
memorabile avendo come sola alternativa quella di non riuscire nemmeno
a vivere.
Esiste a Londra la mitica residenza di Sherlock Holmes, al numero
221 b di Baker Street: molti studiosi e critici del personaggio si
dicono convinti che l'abitazione sia proprio quella dove ha vissuto il
grandioso investigatore, l'uomo che scrutava l'animo umano per
arrivare al movente di un delitto. Holmes, nella descrizione del suo
biografo, convivente e complice dottor Watson, era "alto pidi un
metro e ottanta, ma tanto magro da sembrare ancora pialto". Aveva
occhi acuti e penetranti, naso affilato e un poco adunco. Le mani,
particolare curioso, erano costantemente macchiate d'inchiostro e di
sostanze chimiche. Holmes uno degli esempi pievidenti, nella
letteratura d'intrattenimento, di personaggio circondato da una solida
aura di realt
La sorpresa che anche New York avrebbe un suo indirizzo mitico, se
non fosse che gli americani non hanno ancora pensato a sfruttarlo ed forse la sola occasione di questo tipo che gli sia sfuggita. E'
l'abitazione di Nero Wolfe, la celebre "casa di arenaria" nella quale
il pachidermico investigatore vive e lavora e dove tutte le sue
avventure felicemente si concludono.
Ma dove si trova la casa di Wolfe?
Secondo le indicazioni fornite da Archie Goodwin, collaboratore e
biografo di Wolfe, la casa si troverebbe a mezzo isolato
dall'estremitovest della Trentacinquesima Strada. Basta perandare
sul posto per capire che l'indicazione falsa, studiata con ogni
probabilitper mettere fuori strada le persone troppo curiose. La
Trentacinquesima Strada infatti non ha nmai ha avuto case di
arenaria, finisce non in riva al fiume ma con l'Undicesima Avenue,
davanti al Jacob Javits Convention Center, per di piassai vicina
all'ingresso del Lincoln Tunnel che, passando sotto lo Hudson, collega
Manhattan al New Jersey, insomma quanto di meno indicato per
un'abitazione come tutti sappiamo essere quella di Wolfe. Un'altra
ragione che porta a scartare l'indicazione dell'infido Goodwin che
al numero 367 ovest, il primo edificio abitabile che troviamo al di
qual del fiume, corrisponde una casa di appartamenti con
un'antiestetica scala antincendio che ne attraversa la facciata, e che
mai potrebbe ospitare una serra sul tetto.

Ma se la casa non si trova nella Trentacinquesima Strada dove
possiamo collocarla? Prima di rispondere bisogna cercare di capire
bene che cosa s'intenda per "casa di arenaria". Il termine traduce in
italiano l'originale "brownstone", costruzione in pietra marrone (come
denuncia la parola) o per essere piprecisi bruno-rossastra con la
quale fino ai primi decenni di questo secolo sono state costruite a
Manhattan quel tipo di case, in genere unifamiliari.
La scrittrice Edith Wharton detestava quel materiale da costruzione
trovandolo malinconico, ma quando New York credeva ancora di poter
diventare una nuova Londra sull'altra sponda dell'Atlantico, gli
architetti avevano preso a modello la tipica casa familiare inglese e
quelle pietre sembravano le piadatte per edificarla.
La composizione di un'abitazione del genere piuttosto uniforme.
Cominciando dal basso si trova un interrato o seminterrato (basement)
munito sul prospetto principale di finestre e che, sul retro, pu aprire su un piccolo giardino (backyard). Dal marciapiede, una scala
di pochi gradini, protetta ai lati da una ringhiera di ferro, porta a
un breve pianerottolo che si viene quindi a trovare all'altezza di un
ammezzato. Lc'la porta d'ingresso, generalmente a un solo
battente. All'interno si trova un corridoio fiancheggiato da alcune
stanze, sul retro cucina e servizi, una scala con ringhiera in legno
conduce ai piani superiori. Su un'altezza di due o tre piani, pi un'eventuale soffitta, ci sono le stanze da letto e la parte intima
della casa. Quella di Wolfe in particolare conta quattro piani,
compresa la serra sul tetto dove vengono coltivate le famose
orchidee.
Le "brownstones" erano concepite in origine come abitazioni per una
sola famiglia. Le mutate concezioni abitative ed economiche le hanno
trasformate in case di appartamenti con tutte le modifiche
conseguenti. Questo dunque il modello d'una casa di arenaria. E il
luogo?
Arriveremo anche al luogo, percorrendo perun itinerario
psicologico che si porterin primo luogo a conoscere i principali
personaggi della storia, a cominciare dal protagonista.

Nero Wolfe cittadino americano, essendo nato nel 1892 o '93 a
Trenton (New Jersey), insieme a Marko, suo fratello gemello. Poco dopo
la loro nascita perla madre torna in Europa, dove si aggira tra
Budapest, l'Albania e Zagabria, portando con si figli. Appena
ventenne, Wolfe entra nell'amministrazione dell'impero austroungarico,
per passare poi ai servizi segreti dove prende parte a "imprese
disperate" nei Balcani. Quando nel 1914 scoppia la Grande guerra viene
arruolato nell'esercito montenegrino. Nel 1916 il Montenegro viene
schiacciato e Nero, percorrendo a piedi una distanza inaudita, si dice
addirittura di mille chilometri, raggiunge l'esercito americano che
nel frattempo intervenuto nel conflitto. Alla fine della guerra
viene congedato con onore, ha varie altre avventure e
adotta Anna, un'orfana di tre anni. Suo fratello Marko, che intanto si
sposato a Londra con l'italiana Dina Rossi, rientra a New York dove
apre il ristorante "Rusterman's".
Anche Nero, dopo varie altre vicissitudini, torna definitivamente
negli Stati Uniti nel 1930, acquista la "brownstone" nella
Trentacinquesima Strada, assume Archie Goodwin come collaboratore e
comincia la sua attivitd'investigatore privato.

Conoscere una persona vuol dire essere al corrente dei suoi gusti,
debolezze, circostanze e fatti della sua vita, possibili reazioni di
fronte all'imprevisto. La genialitdi Rex Stout (1886-1975),
inventore di Wolfe, stata l'aver via via costruito non un
personaggio di carta, ma il profilo completo di un uomo, compresi i
retroscena della vita non direttamente implicati nelle vicende di cui
protagonista. Le sue avventure sono contenute in quarantaquattro
romanzi, compresi quelli brevi; l'ultimo della serie (Nero Wolfe apre
la porta al delitto) uscito nel 1975, l'anno in cui Stout mor
Di questo scrittore pochi sanno che, tra i tanti mestieri fatti
prima di diventare un narratore a tempo pieno, c'stato anche (dal
1906 al 1908) quello di furiere a bordo dello yacht del presidente
Theodore Roosevelt. Stout per la veritaveva cominciato mirando
all'alta letteratura. Il suo romanzo sperimentale "How Like a God"
ebbe perun cosscarso successo che decise di cambiare strada. La
prima avventura di Wolfe uscita nel 1934 e la coincidenza curiosa che in quegli anni, nel 1932, appare anche la prima avventura di
Maigret. Il titolo italiano del primo romanzo di cui protagonista
Wolfe "La traccia del serpente" e si riferisce al fatto che il
colpevole cerca di eliminare il nostro investigatore nascondendogli un
serpente nel cassetto e fallendo di poco il suo obiettivo.
Wolfe e Stout sono diversi in molte cose, hanno perin comune le
passioni per i fiori, la buona cucina, i libri, la musica. Magro,
scattante, energico polemista, Stout ebbe il vezzo di farsi crescere
un'ispida barba bianca. Un giornalista del "New York Post" scrisse che
doveva averla presa in prestito da George Bernard Shaw o da un
caprone.
Stout ha ripetuto con Wolfe ciche Conan Doyle aveva fatto con
Sherlok Holmes e che Georges Simenon farcon Maigret. Ha cio costruito un personaggio con tale precisione e ricchezza di dettagli
che chiunque potrebbe dire d'averlo incontrato da qualche parte, se
l'uomo non avesse la radicata abitudine di non lasciare quasi mai la
sua casa. A parte questo, le somiglianze con Holmes sono parecchie.
Vero che Sherlock non rifugge dal movimento e dall'azione, al
contrario di Wolfe che si sposta solo da una stanza all'altra. Vero
anche perche entrambi dispongono di un aiutante al quale sono
demandati vari compiti esecutivi oltre a quello, impegnativo, di
narrare le avventure del loro principale. Sia Stout che Doyle hanno
ripreso il modello di tante coppie della letteratura e del teatro, a
cominciare da Don Chisciotte e Sancho Panza o da Don Giovanni e
Leporello. Le due coppie Holmes-Watson e Wolfe-Goodwin riproducono
insomma la trovata classica di raddoppiare il protagonista
affiancandogli un "relativo minore", con risultati sempre molto
efficaci sia dal punto di vista narrativo che della suddivisione di
compiti e funzioni.

Un altro aspetto che avvicina i due personaggi la loro debole
inclinazione sessuale. Su Holmes addirittura stata avanzata
l'ipotesi di una possibile omosessualitche proprio Stout avrebbe in
qualche modo avallato con la celebre e sfrontata domanda: Ma il dottor
Watson era una donna?
Su Wolfe nessuno ha osato avanzare ipotesi del genere, resta
tuttavia il fatto che l'uomo vive in assoluta castit se si eccettua
un furtivo palpeggiamento con la signorina Lily Rowan, intermittente
girl-friend di Archie nonchmultimilionaria (in dollari), effettuato
in ora serotina sul sedile posteriore di un'automobile. Circostanza
praticamente inaudita e infatti mai piripetutasi.
La veritche la casa-studio di Nero abitata unicamente da
uomini e le sole donne che vi mettono occasionalmente piede sono le
clienti. Lo stesso Archie Goodwin, la cui attivitamorosa invece
piuttosto vivace, deve scegliersi alberghi o altre case per dedicarsi
alle sue fidanzate.
Nella casa di arenaria vivono, oltre a Nero e a Goodwin di cui
torneremo a parlare, Fritz Brenner, fidatissimo maggiordomo nonch cuoco leggendario. Dice di lui Wolfe: "Vi sono pochi grandi cuochi, un
certo numero di buoni e un'orda di cattivi. Nella mia casa ho uno dei
buoni, Fritz Brenner. E' competente, attento e anche discreto".
Sembrerebbe un complimento da poco, ma conoscendo Wolfe si capisce che
in realtil massimo che da lui si possa ottenere, come lo stesso
Brenner sa benissimo. Il cuoco alloggia nel seminterrato e per sua
stessa ammissione, riferita da Goodwin, lo preferisce a una stanza pi luminosa al primo piano dove, volendo, potrebbe trasferirsi. "Il suo
soggiorno" racconta Archie "grande quanto lo studio di Wolfe e la
sala centrale messe insieme, attraverso gli anni Fritz riuscito
ugualmente a riempirlo di oggetti ... tavoli con pile di riviste,
busti di Escoffier e di Brillat-Savarin poggiati su piedistalli, menu
incorniciati appesi alle pareti, un letto enorme, cinque poltrone,
scaffali carichi di libri (Fritz possiede 289 libri di cucina), la
testa di un cinghiale ucciso dallo stesso Fritz nei Vosgi, un
televisore e un giradischi ad alta fedelt due casse piene di pentole
antiche, una delle quali, secondo Fritz, stata usata da Giulio
Cesare, e cosvia...". Sempre nel seminterrato collocato il grande
biliardo dove Archie Goodwin gioca a volte senza particolare abilit
Completa la singolare compagnia Theodore Horstman, il giardiniere
addetto alla cura delle diecimila piante di orchidee allevate nella
serra al piano attico e che in quello stesso piano ha il suo
alloggio.

Se Wolfe un misto di americano ed europeo, parla sette lingue (tra
le quali il serbo-croato, l'albanese e un discreto latino), Archie
Goodwin il tipico "all American boy", il giovane uomo americano
dinamico, disinvolto, molto disincantato ma non cinico. Vent'anni li
separano, Wolfe intorno ai cinquanta, Goodwin sui trenta. E' nato
infatti verso la fine del 1911 in una fattoria dell'Ohio, un
"midwestern", come si dice in America, di origine rurale, pieno di
spirito anche se le sue battute sono di calibro pigrosso di quelle
di Wolfe, spesso secche come staffilate.
Il rapporto tra i due uomini di profonda amicizia e reciproca
stima, ma come accade spesso nelle amicizie tra uomini i sentimenti
reali sono camuffati sotto i modi burberi, da parte di Wolfe, o
irridenti, da parte di Goodwin. Questo crea ovviamente alcune
tensioni, anzi si potrebbe dire che la tensione lo stato normale di
un rapporto cosdifficile. Uno degli apprezzamenti piinsultanti
Wolfe glielo ha rivolto in un giorno di particolare malumore quando,
irritato dalle osservazioni impertinenti del suo collaboratore, ha
sibilato: "Un giorno, Archie, quando deciderche non vale pila pena
di tollerarvi, dovrete trovarvi una moglie di modeste qualit intellettuali, per avere un pubblico adatto ai vostri sciaguratissimi
sarcasmi".
A un giornalista che un giorno gli chiese come fosse nata l'idea di
quella coppia di cossingolare assortimento, Stout rispose: "Potrei
inventare varie risposte. La veritperche non lo so nemmeno io.
So che nella narrativa si trovano due tipi di personaggi, quelli
creati, come per esempio Amleto o Anna Karenina, e quelli costruiti. I
personaggi creati sono ricchi di vita, hanno una solida realt sono
l esistono. Per i costruiti invece evidente che l'autore li ha
fabbricati perchne aveva bisogno nella struttura del racconto. Nero
Wolfe e Archie Goodwin sono "creati", come Amleto".
Stout non si risparmiava i complimenti, ma aveva ragione. La saga di
Nero Wolfe una delle pifelici dell'intera narrativa poliziesca,
per merito soprattutto di dialoghi spesso molto brillanti. Nelle
avventure dei due si incontrano anche altri personaggi, a cominciare
dall'ispettore Cramer della polizia statale, eterno rivale e per
qualche aspetto nemico di Wolfe, che incarna l'ottuso burocrate
incapace di vedere al di ldel proprio naso contrapposto al
professionista ricco d'intuito e di logica. Di tanto in tanto compare
anche Saul Panzer, un altro detective privato ma di minor peso, al
quale vengono affidati incarichi particolari un po' perchArchie non
pufare tutto da solo, e un po' perch se lo facesse, noi lettori lo
sapremmo subito, dato che lui il narratore. Sarebbe un handicap,
poichquesto tipo di racconti vive anche di sorprese.

Il richiamo esercitato dai romanzi di Rex Stout si basa su un
espediente narrativo che viene prima della casa di arenaria,
prima dei dialoghi spiritosi, prima delle orchidee. Una delle ragioni
principali del loro fascino nella fusione tra due stili di racconto
poliziesco: quello di tipo inglese e quello di matrice americana. Si
potrebbe dire, volendo semplificare le cose, che il primo centrato
sulla deduzione mentale, il secondo sull'azione. E' curioso che il
fondatore del genere, l'americano Poe, abbia dettato regole che poi i
britannici Conan Doyle e Agatha Christie avrebbero seguito. Tornato
negli Stati Uniti dopo gli anni dello sviluppo in Inghilterra, il
romanzo giallo prendercon decisione la strada dell'azione violenta,
delle armi da fuoco, delle trame disseminate di cadaveri da cui
deriveranno, estrema filiazione, i brutali thriller dei nostri anni,
compresi i loro equivalenti televisivi. Entro certi limiti Stout
combina le due scuole nei suoi due protagonisti: la parte deduttiva,
la pura intelligenza astratta riservata a Wolfe, la parte d'azione
ad Archie.
Che genere di casi sfilano davanti alla scrivania di Wolfe? Il
delitto, e le passioni che si nascondono dietro un delitto o lo
motivano, sono quasi sempre potenti rivelatori della realt Nello
studio di Wolfe passano mascalzoni di ogni risma: bugiardi e ladri,
ipocriti e assassini. I colpevoli sono mossi ora dal denaro ora dalle
passioni, tutto sommato pernon il quadro sociale il punto di forza
di questi romanzi. Raymond Chandler, per citare un altro gigante del
racconto poliziesco, ci dcon le avventure del suo Philip Marlowe un
ritratto non solo della California, ma degli Stati Uniti nel loro
insieme. Stout non ha questa capacito forse non ha interesse a
mostrarla. I casi individuali, notevoli che siano, esauriscono tutta
la sua attenzione, racconta uomini e donne presi nella trappola delle
loro peggiori debolezze. Marlowe un mezzo attraverso il quale
Chandler ci rivela il contesto sociale circostante; Wolfe, si potrebbe
dire, un fine in s come se lo sfoggio delle geniali capacitdel
grassone fosse tutto ciche Stout aveva in mente di far vedere ai
suoi lettori - con cistabilendo il limite del personaggio, e il
proprio.

Ora che abbiamo conosciuto meglio gli abitanti della celebre
"brownstone" e le loro abitudini, dove dobbiamo cercare quella casa?
Andando per approssimazioni successive la prima indicazione da seguire
il quartiere, Chelsea. Anche New York infatti, come Londra, ha una
zona con quel nome grazie a Thomas Clarke, capitano inglese in
pensione, londinese puro sangue, che battezzi terreni di cui era
proprietario con il nome del Chelsea Hospital, luogo di cura e di
riposo per veterani.
Quando i terreni vennero resi edificabili e lottizzati il nome
rimase, mentre le specifiche e stringenti condizioni di acquisto
garantirono uno sviluppo edilizio di tipo residenziale. Ancora oggi la
zona compresa tra la Quattordicesima e la Ventiquattresima Strada e
tra l'Ottava Avenue e il fiume Hudson mantiene quel carattere: file
ordinate di "brownstone" ben allineate nelle facciate e nelle altezze
(cosa rarissima a New York), scalette tutte uguali che salgono dal
marciapiede al ballatoio d'ingresso, spesso alberi che d'estate
ombreggiano le facciate.
Cuore del quartiere l'hotel Chelsea che si trova sulla
Ventitreesima Strada tra la Settima e l'Ottava Avenue, un edificio
molto elaborato, arricchito da balconi con belle ringhiere di ghisa
ornata. Il Chelsea stato il primo palazzo d'abitazione di New York a
raggiungere l'altezza di dodici piani, ma la curiositmaggiore che
questo albergo mantiene la piillustre tradizione letteraria della
citt Da Mark Twain in poi non si contano gli artisti che vi hanno
alloggiato: O. Henry, Sarah Bernhardt, Thomas Wolfe, Mary McCarthy,
Vladimir Nabokov, Peter Brook, Gregory Corso, il poeta russo
Evtusenko, Athur Miller dopo essersi separato da Marilyn Monroe. Dylan
Thomas entrin coma nella stanza 205 dopo aver sussurrato alla sua
compagna le ultime e non memorabili parole: "Ho bevuto il mio
diciottesimo whisky e credo che sia un record". Alla metdegli anni
Sessanta, Andy Warhol vi giril film "Chelsea Girls", forma di
omaggio all'albergo e ai suoi abitanti. Nel 1978 Sid Vicious, leader
del gruppo rock dei Sex Pistols, venne accusato d'aver assassinato la
sua ragazza a coltellate in una stanza dell'hotel. Mordi overdose
prima del processo.
L'hotel Chelsea una delle ragioni che fanno propendere per la
collocazione nei paraggi della casa di Nero Wolfe. Dovendo disegnare
un personaggio con un tale complesso retroterra culturale Rex Stout non
poteva resistere al fascino di un tale richiamo, anche se il celebre
albergo non certo il solo motivo della nostra deduzione.
Non lontano dall'albergo infatti si trovano le "brownstones" del
tipo che Wolfe e i suoi collaboratori hanno abitato. Il quadrilatero
che bisogna prendere in considerazione quello compreso tra le
Ventesima e la Ventiduesima Strada e tra l'Ottava e la Decima Avenue.
Molte di queste abitazioni sono di proprietdel General Theological
Seminary, la piantica scuola di teologia di New York, costruita su
terreni donati dal nipote di quel capitano Thomas Clarke che dette
nome al quartiere.
Una di queste graziose palazzine sicuramente la casa abitata dal
nostro personaggio: non ha molta importanza quale si sceglie, perch il modello si ripete senza eccessive varianti. Importante semmai l'aspetto della facciata (dev'essere nobilmente vecchiotto), il numero
dei piani e la collocazione. La casa di Wolfe si trovava sicuramente
sul lato nord della strada, in modo da avere la facciata rivolta a
sud. Al piano rialzato doveva avere questa pianta: (ingresso principale; corridoio; a destra di questo: sala da pranzo, ascensore, scale, office, cucina; a sinistra: sala di attesa, bagno, stusio con scrivania di Archie Goldwin e di Nero Wolfe; nicchia; dalla cucina si accede all'ingresso dal giardino; la pianta grafica riportata nel volume a pagina 229 non viene comunque riprodotta).
Saliti i fatidici sette gradini rispetto al piano stradale, si
arrivava al ballatoio chiuso da una doppia porta, la piinterna
delle quali munita di un vetro trasparente solo da un lato. Varcate le
due porte si trova sul lato sinistro del corridoio la parte della casa
destinata a ufficio: una sala d'attesa, un bagno e lo studio di Wolfe
dove collocato anche il tavolo di Archie. La scrivania di Nero, in
legno di ciliegio, circondata da scaffali colmi di libri e di
oggetti legati ai tanti casi risolti nel corso degli anni. Di fronte
si trovano due comode sedie con braccioli rivestiti di cuoio rosso,
dove in genere vengono fatti sedere i sospetti; alla parete appeso
un quadro che raffigura una cascata. Il suo segreto che al centro
c'un minuscolo foro attraverso il quale si puspiare non visti il
comportamento di qualche visitatore degno di speciale attenzione.
La scrivania di Archie collocata ad angolo retto con quella del
suo principale e posta sotto una finestra, da lil biografo di Wolfe
e cronista delle sue imprese osserva ciche accade, registra
l'andamento delle conversazioni e degli interrogatori, prende nota
delle reazioni psicologiche delle varie persone convocate, si prepara
a intervenire fisicamente quando l'azione si fa stringente e Wolfe sta
per sferrare l'attacco finale che smaschererfinalmente il
colpevole.
Sul lato opposto del corridoio, entrando a destra, c'la grande
sala da pranzo dove Wolfe prende i suoi pasti. In cucina c'invece un
altro tavolo dove Archie fa colazione al mattino leggendo i giornali.
Al secondo piano, sul retro, in posizione appartata e tranquilla, si
trova la stanza da letto dove Wolfe dorme rivestito da uno dei suoi
clamorosi pigiami gialli. Al piano superiore l'alloggio di Goodwin, al
quarto piano attico infine la serra delle orchidee dove il nostro eroe
passa alcune ore al giorno rimuginando tra si dettagli del puzzle
che sta cercando di risolvere. In un angolo si trova l'alloggio del
giardiniere.

A chi gli chiedeva una volta come si sarebbe definito, Wolfe
rispose: "Non sono un poliziotto, sono un investigatore privato.
Prendo i criminali in trappola e cerco le prove per inchiodarli. Sono
anche un filosofo, un artista e un attore nato". Con maggiore sobriete presunzione in un'altra occasione si definsinteticamente: "Sono un genio".
Anche se educato in Europa, Wolfe ha assimilato profondamente lo
spirito della societamericana basata sul denaro. A chi una volta gli
chiedeva se svolgesse le sue indagini per l'amore dell'arte
d'indagare, rispose bruscamente: "Non proprio. Ho bisogno di molto
denaro e, di solito, accontento i miei clienti spennandoli secondo le
loro possibilit Essere al verde non certo un disonore, sicuramente
una catastrofe".
Bizzarro, burbero, capriccioso, spesso grottesco, quasi sempre
eccessivo: chi avrebbe potuto dire che sommando tanti disparati
difetti sarebbe stata costruita una delle figure piaccattivanti
dell'intera letteratura d'intrattenimento?
Il quartiere Chelsea, la zona nella quale abbiamo passeggiato e
trovato la casa del famoso investigatore, tranquillizzante. Possiamo
considerarlo quasi un antidoto alla frenesia e alla brutalitdel
racconto poliziesco e della vita americana di oggi. A New York tutti
sono convinti ormai che nla cittni suoi abitanti potranno mai
piassomigliare alle metropoli della vecchia Europa che tanti anni fa
erano state prese a modello. La regola vale per tutti e per ogni
settore d'attivit dalla borsa elettronica ai libri e ai film
polizieschi; semmai la vecchia Europa che ormai imita l'America, a
costo di farne talvolta la caricatura.
Il quartiere di Chelsea una delle poche eccezioni concrete che a
New York ancora possibile trovare, una zona di "piccole case di
arenaria" nella quale si pupasseggiare gradevolmente a piedi
dimenticando per qualche ora di trovarsi nella cittpifrenetica del
mondo. Cercare la casa di Wolfe diventa in questo modo il pretesto per
conoscere una zona della cittche in genere i visitatori ignorano e
che gli stessi newyorkesi non sempre conoscono.


Pag. 232

XI - Edgar Allan Poe: un cuore di tenebra

La casa e la figura di Nero Wolfe ci hanno portato nel mezzo del
genere narrativo che si chiama "poliziesco" e, in Italia, "giallo".
Quel genere ha un fondatore, Edgar Allan Poe e a New York c'la
piccola casa, il cottage, dove ha vissuto qualche tempo. Vale la pena
di visitarla, anche se per arrivarci bisogna uscire da Manhattan e
salire nel Bronx, fino all'angolo tra Grande Concourse e Knightsbridge
Road. Lsorgeva una volta il villaggio di Fordham e la casa abitata
da Poe ne grazie a lui, l'ultimo vestigio. In una cittche macina
continuamente il proprio passato, questa casina ha un interesse che va
al di ldel suo celebre inquilino al quale dobbiamo una delle pi vitali invenzioni della narrativa contemporanea, una delle poche
strutture di racconto che ancora resistano in un'epoca dominata ormai
dalle immagini.
Venne costruita nel 1812 per l'equivalente di un piano e mezzo, nel
senso che le stanze del piano superiore hanno un'altezza di meno di
due metri, insomma una delle tipiche abitazioni che allora venivano
destinate agli operai e ai contadini. Edgar e sua moglie Virginia
l'affittarono per la somma di cento dollari l'anno. Rispetto alla sua
collocazione originaria stata trasferita sul lato opposto della
strada, in mezzo a un piccolo parco. L'arredamento d'epoca, ma gli
oggetti sono stati rimessi insieme solo quando alla fine
dell'Ottocento si decise di salvare la costruzione, trasformandola in
un museo.
Edgar e Virginia la abitarono per alcuni mesi, lo scrittore aveva
deciso di trasferirvisi perchpensava che l'aria pura del
Bronx avrebbe giovato ai polmoni della moglie, estenuati dalla tisi.
Non serv Dopo mesi di sofferenze e di strazianti allucinazioni
Virginia mor il 30 gennaio 1847, a ventiquattro anni. Dicono che
negli ultimi momenti stringesse al seno un gatto per assorbirne il
calore.
A New York sopravvive anche un'altra casa delle tante che lo
scrittore ha abitato. E' un piccolo edificio al numero 85 di Amity
Street che oggi si chiama Terza Strada Ovest. La palazzina di
proprietdella New York University che pervorrebbe abbatterla per
ricavare dallo spazio alcuni locali di cui ha bisogno. Sarebbe
un'ulteriore ferita alle memorie cittadine, per di piprovocata da
un'istituzione culturale per antonomasia come un'universit in quelle
due o tre stanzette Poe ha scritto il poema "Il Corvo" (The Raven),
che venne pubblicato sull'"American Review" ed giudicato una delle
sue opere migliori.

Chi il misterioso signor Poe? Da quali vicende queste creatore di
storie uscito per arrivare fino a noi? Oggi nessuno mette piin
discussione che questo esploratore delle ossessioni sia stato un
fantastico inventore visitato da lucidi incubi. Furono gli europei a
scoprirlo, primi i francesi, Charles Baudelaire in testa, che lo
descriveva, o lo immaginava: "Di taglia appena superiore alla media,
ma con tutto il corpo solidamente costruito; le mani e i piedi piccoli
... tratti non grandiosi, ma abbastanza regolari, il colorito bruno
chiaro, la fisionomia un poco distratta e impercettibilmente contratta
da un'abituale malinconia".
Quest'uomo che finirin ospedale, appena quarantenne, squassato dal
delirium tremens, in gioventaveva dato prova di un vigore fuori del
comune: "Un giorno scommise che sarebbe partito da una delle banchine
di Richmond, avrebbe risalito a nuoto per sette miglia il fiume James,
per poi ritornare a piedi nella stessa giornata. In una bruciante
giornata estiva lo fece". Il modello che ha davanti agli occhi quello romantico di un Byron, l'"uomo fatale" che si spende per gli
altri ed capace di sfide nelle quali si mette in gioco la vita.
Byron del resto saranche l'ispiratore delle sue prime opere. Edgar
veniva da una delle pirispettabili famiglie di Baltimora. Suo nonno
David, chiamato in famiglia "il generale", durante la rivoluzione
americana era stato "Quartermaster general", qualcosa come capo di
Stato maggiore, e aveva svolto con tale perizia il suo incarico da
meritarsi le congratulazioni e l'amicizia di La Fayette.
Il padre di Edgar, David jr., pareva destinato a proseguire
l'agiata vita borghese della famiglia. Per circostanze che ignoriamo
si verificinvece uno scarto: non del denaro o delle comodit s'innamoril giovane David bensdella vita di palcoscenico, dei suoi
lustrini, della sua polvere. Conobbe l'attrice Elizabeth Arnold, una
donna bella, nata a Londra, figlia d'arte quindi abituata alla scena
fin da bambina, rimasta, anche se giovanissima, vedova. Si sposarono,
ebbero due figli e vissero di stenti. Pare che Elizabeth avesse
qualche talento, e la bellezza d'altronde l'aiutava; David era meno
dotato, gli faceva difetto il lato animale dell'attore, l'istinto, una
delle poche cose che davvero servano quando si calca la scena. Edgar
bambino vide spesso, nascosto dietro una quinta, sua madre in scena.
Ai suoi occhi Elizabeth appariva vestita di abiti regali, lucente di
gioielli mentre interpretava una qualche eroina scespiriana e poco
importa che gli abiti fossero stracci e i gioielli pezzi di vetro
colorato, il bambino la fissava in estasi e quella regina non era pi sua madre ma la donna pibella del mondo.
Diseguali com'erano, David ed Elizabeth si vollero bene, morirono a
Richmond (Virginia) a poca distanza l'uno dall'altra, lei forse di
polmonite a ventiquattro anni, era l'8 dicembre 1811. Il biografo di
Poe, Wolf Mankowitz, racconta cosla scena dell'ultimo addio: "Una
delle piammalianti immagini della sua infanzia rimase la figura di
sua madre, il volto bianco come cera dopo il colorito febbrile degli
ultimi giorni, illuminata dalle candele, remota creatura di sogno
immersa in un sonno misterioso".

Edgar nasce a Boston nel gennaio del 1809. Rimasto orfano a tre anni
senza nemmeno un pezzo di pane, sarebbe finito chissdove o morto, se
non fosse intervenuto uno zio: John Allan, origini scozzesi, lui suomo
agiato, padrone di una notevole fortuna accumulata trafficando in tabacco, animali e schiavi. John non volle adottare ufficialmente il nipote, persi comportbene, lo prese in casa, gli dette il suo nome. Lo scrittore del resto considersempre Richmond la sua citt amava definirsi un uomo del Sud, un
virginiano, s'interesspoco di politica anche quando politica voleva
dire prendere posizione nel lacerante dilemma se abolire o no la
schiavit una questione che, soprattutto al Sud, era vista assai pi sotto l'aspetto economico che umano. Di sicuro Poe detestBoston e i
bostoniani dove gli abolizionisti, potremmo dire i progressisti, erano
la maggioranza.
Edgar troppo preso dai suoi problemi per sentirsi coinvolto in
quella polemica dalla quale scoccher nel 1861, la scintilla della
Guerra civile. C'troppo disordine dentro di lui, nella sua mente,
perchpossa infervorarsi per una questione, per quanto nobile, che
comportersicuramente altro disordine e sangue. Scrivere il suo
cruccio e la sua speranza, si potrebbe dire che la sua malattia e la
sua cura, insomma la sua vita, e nessuno pudire quale sia, tra
quella reale e quella alimentata dalle fantasie, la sua esistenza pi vera.
Vorrei dare subito un esempio di questa commistione perenne, che
resterla sua caratteristica, tra vita sognata e avvenimenti reali
dell'esistenza. In uno dei suoi racconti picelebri, "Il crollo della
Casa Usher", il narratore entra nella sinistra dimora del titolo e
cosdescrive ciche vede attorno a s

I tenebrosi arazzi alle pareti, i pavimenti neri come l'ebano e la
fantasmagoria di trofei araldici che tintinnavano al mio passaggio ...
le stesse presenze, o qualcosa di molto somigliante, che avevano
popolato la mia infanzia.

La dimora dell'agiato John Allan non affatto cos Da ciche
sappiamo e possiamo immaginare qualcosa di simile alla casa di
Scarlett O'Hara, l'eroina di "Via col vento", o una versione ridotta
della residenza presidenziale a Washington, la Casa Bianca. Quegli
"arazzi tenebrosi", i tintinnanti emblemi araldici, non vengono dalla
magione di un commerciante del Sud, provengono dalla vecchia isola,
discendono dalla letteratura gotica inglese, da quei castelli, da quei
lugubri sotterranei, da quei foschi conventi in cui sacro e profano, vita e morte, ombre originate dalla paura e presenze levatesi dai sepolcri, effluvi dell'incenso e miasmi della putrefazione, ascetismo e lussuria,
si mescolano in una torbida misura.
Infatti in Inghilterra, dove John Allan a un certo punto si
trasferisce, che Edgar risiede tra i sei e i dodici anni. Frequenta le
scuole, tra le quali un collegio le cui ombre riaffiorano nel racconto
"William Wilson":

Le mie impressioni piantiche della vita in collegio sono legate ad
una vasta e stravagante dimora in stile elisabettiano, in un villaggio
brumoso dell'Inghilterra dove c'era una gran quantitdi alberi
giganteschi e nodosi e dove tutte le cose erano eccessivamente antiche
... Sento nell'immaginazione il brivido rinfrescante dei suoi viali
profondamente ombrosi; respiro l'emanazione dei suoi mille boschi
cedui, e ancora trasalisco, con indefinibile volutt alla nota
profonda e sorda della campana che lacerava, a intervalli di un'ora,
col suo rombo improvviso e solenne, la tranquillitdell'atmosfera
crepuscolare nella quale svettava il campanile gotico, sepolto e
addormentato.

E' un ricordo nel quale malinconia e sospetto si mescolano, che sa
di clausura e di solitudine, nel quale la nota sorda d'una campana pu provocare una "indefinibile volutt. Lo scrittore uscired entrer da quegli incubi, assaporerquei ricordi senza mai sapere con
certezza, data anche la sua quasi perenne ubriachezza, se si tratti di
esperienze vissute o di confuse memorie scaturite da una qualche
lettura. Ed eccoci arrivati a una prima contraddizione che dobbiamo
affrontare. Su queste fantasie gotiche incombe la paura e la paura, o
quanto meno l'ansia, una delle molle principali del racconto
poliziesco. Questa paura persa di oltretomba, di tenebrose presenze
inspiegabili alla luce della ragione e che anzi sono per la ragione
una sfida. Il racconto "giallo" all'opposto di tutto cie si
sviluppa, almeno nei casi migliori, secondo una cristallina e quasi
illuministica razionalit Del resto una formula precisa come
un'equazione ne racchiude la struttura. Eccola: eliminato
l'impossibile, ciche resta, per quanto improbabile, dev'essere la
verit Come si conciliano due cose coslontane? La risposta non semplice ma esiste.
A diciassette anni, nel febbraio del 1826, Edgar si iscrive
all'Universitdella Virginia. Eccelle in matematica e nelle scienze
naturali, ma impara soprattutto a bere. Pessimo bevitore tra l'altro,
perchregge male l'alcol e un bicchiere basta a metterlo fuori
combattimento. Gioca d'azzardo, e perde. Inseguito dai creditori,
rompe col patrigno che si rifiuta di pagare i suoi debiti e lascia la
casa. Va a Boston dove si arruola nell'esercito sotto il falso nome di
Edgar A. Perry, non avrebbe l'etper farlo e cosdeve dichiarare
falsamente d'avere compiuto ventidue anni. A Sullivan Island, nella
Carolina del Sud, dove ambienterun paio di racconti, si guadagna i
galloni di sergente maggiore. In questa vita errabonda, apparentemente
priva di orientamento, resiste peril senso d'una vocazione. Nel 1827
esce a Boston "Tamerlane and other poems", il suo primo volume di
poesie, un libretto che nasconde l'autore sotto lo pseudonimo "A
Bostonian" e non ottiene il minimo riconoscimento, ma che a noi fa
capire quali erano i suoi pensieri quando tutto il rumore del giorno
s'era placato e il ventenne Edgar restava solo con se stesso.
Tre anni dopo, aiutato dal patrigno con il quale si bene o male
riconciliato, riesce a essere ammesso all'accademia di West Point.
Sembrerebbe un successo, invece un altro passo falso, viene espulso
dopo poche settimane per "disobbedienza agli ordini" e "grave
negligenza". La vita militare chiaramente non fa per lui.
Ha appena passato i vent'anni ed come se avesse vissuto due volte:
i fatti della vita e la loro proiezioni nella sua mente. Si potrebbe
anche dire che ha superato i vent'anni ed ancora un giovane uomo
senza mestiere e senza un soldo. Lo zio, furente o deluso, lo esclude
dal testamento. Edgar gli scrive: "Non ho molto da dire eccetto che la
mia vita futura (la quale, per grazia di Dio, non durera lungo) sar segnata dalla miseria e dalla malattia". Al direttore di una rivista
invece confida: "Sono giovane, ho appena vent'anni, sono poeta, se la
profonda adorazione della bellezza purendere poeti; tale voglio
restare". Ingenuit fiducia, senso della vocazione, ricerca del
successo, crisi di sfiducia; vivrsempre costra sentimenti opposti,
attirato ora dalla vitalitpisfrenata ora dal senso della morte, fino
alla grande depressione senza pirimedio degli ultimi momenti.

A Baltimora prende alloggio presso la zia Maria Clemm, sorella di
suo padre e partecipa a un premio letterario. Il presidente della
giuria, John P. Kennedy, esile scrittore allora molto rinomato, pesca
nel cumulo dei manoscritti quello di Edgar, attirato piche altro
dalla calligrafia impeccabile. Lo legge ad alta voce e il collegio dei
membri gli assegna per acclamazione il premio di 50 dollari. Hanno
buon orecchio i venerandi componenti della giuria. Si tratta de "Il
manoscritto trovato in una bottiglia", uno dei suoi grandi racconti.
Al premio segue l'impiego in una rivista, il ragazzo comincia ad
essere circondato da una certa stima e da qualche nemico, segno che
conta qualcosa. Beve, scrive, s'innamora della figlia di Maria Clemm,
la piccola Virginia, che una cugina di primo grado e ha la metdei
suoi anni: tredici contro ventisei. Virginia malata di tisi, la
definiscono "a girl without a cent", una ragazzina senza un soldo,
diventerla sua "sposa-bambina".
Quale amore poteva legare un uomo coscomplicato a una bambina? Di
che cosa avranno parlato nei momenti d'intimit Fino a che punto
avranno coinciso i loro gusti? Le risposte sono incerte, i biografi si
contraddicono. E' probabile che siano state la solitudine e la
consuetudine a generare in lui l'amore e che lei abbia corrisposto a
quel tenebroso cugino come si pufarlo a quell'etper devozione,
riconoscenza o timore - Edgar avrebbe quasi potuto essere suo padre.
Le nozze vengono celebrate nel maggio 1836, forse precedute di
qualche settimane da un'altra cerimonia segreta. Anche dopo il
matrimonio comunque le intemperanze di lui non diminuiscono, anzi
peggiorano, come del resto peggiorerla salute di Virginia. Questo
amore difficile, il matrimonio forse bianco perchquasi certo che
Poe fosse impotente, la precoce morte di Virginia, s'inseriscono con
sinistra coerenza nel quadro della sua vita.
Lo scrittore entra ed esce da vari giornali che per una ragione o
per l'altra lo lasciano tutti insoddisfatto. Una delle esperienze pi significative la compie tra il 1841 e il 1842 a Philadelphia,
dov'responsabile letterario della rivista "Graham's Lady's and
Gentleman's Magazine", un periodico che si occupa soprattutto di moda,
cibo, storie d'amore; non propriamente il suo genere, ma ha per lui
la grande attrattiva di farlo entrare in contatto con i pinoti
scrittori del tempo e questo un passo nella direzione che sta
cercando, la celebrit per amore non tanto del denaro che talvolta
l'accompagna bensdella fama in s Quando, negli ultimi anni della
sua vita, gli accadrdi essere riconosciuto per strada, ne ricaver un'immensa soddisfazione, incrinata solo dalla crescente fragilit
dalla consapevolezza della fine imminente.

Nell'aprile del 1844 arriva a New York lo strano terzetto
rappresentato da una giovanissima donna molto malata, uno scrittore
dall'aspetto tormentato e gran bevitore, una donna d'etche madre
della ragazza nonchzia e suocera dell'altro. Cambieranno molti
alloggi nel corso degli anni; uno dei primi il 113 di Carmine
Street.
Anche a New York la scarsitdi denaro continua a creare disagi,
tutti gli impieghi che Edgar riesce a trovare durano poco. Maria
s'aggira per la cittalla ricerca di un lavoro per il genero: dice
che malato e che lo anche sua figlia, perora la loro causa con
modi gentili e grande nobilt Scrive un testimone: "Ogni inverno, per
anni, lo spettacolo pitoccante che abbiamo visto in questa citt stata questa infaticabile servitrice del genio, poveramente e
insufficientemente vestita, che si trascinava di giornale in giornale
con una poesia da vendere o un articolo di argomento letterario, ogni
volta spiegando con voce rotta che egli era malato, postulando per
lui, non dicendo altro: malato".

Quando questa donna ammirevole apprenderdella morte di Edgar,
scriverun biglietto straziante, ancora una volta pieno di dignite
di premura: "Ho appreso questa mattina la morte del mio amato Eddie.
Potete comunicarmi qualche particolare, le circostanze? ... Non ho
bisogno di pregarvi di annunciare la sua morte e di parlar bene di
lui. So che lo farete. Dite anche quale figlio affettuoso fosse per me,
la sua povera madre desolata ...".
La madre naturale che in pratica non ha mai conosciuto stata
sostituita da Maria Clemm che gli stata nello stesso tempo madre,
zia, suocera; e chissda quali complesse sostituzioni affettive le
improbabili nozze con Virginia sono state favorite, quanta parte Maria
ha avuto in quel matrimonio.
New York riesce intollerabile a Edgar, lo infastidiscono il rumore e
la sporcizia, ma piin generale lo scrittore detesta la vita
cittadina per ciche una grande cittallora comportava quanto a
inquinamento, criminalit lotta per il denaro, ritmi frenetici. I
moli di New York ingombri di magazzini, depositi, uffici di compagnie
di navigazione, movimentati da un continuo viavai di uomini e di
merci, gli appaiono come luoghi senza respiro e senza speranza.
Eppure in quel mondo fatto di movimento e di lotta che deve
immergersi perchscrivere per s la sola cosa che vorrebbe veramente
fare, un lusso che per il momento non pupermettersi. Trova un
altro impiego temporaneo nel giornale "Evening Mirror" che ha sede in
Nassau Street, nella zona meridionale di Manhattan. Per quindici
dollari la settimana redige articoli anonimi che aiutano a mandare in
edicola un giornale che non ama.

Quando scrive per spufinalmente dare sfogo a ciche gli si
agita dentro. I suoi racconti girano intorno ad alcuni temi
ossessivamente ripetuti: la morte, gli incubi, la tortura, la natura
nemica che distrugge e si autodistrugge, i guasti prodotti da una
sensibiliteccitata. La casa Usher assediata da vapori pestiferi e
misteriosi. Il protagonista del "Cuore rivelatore" ha un udito cos fino da poter cogliere i battiti del cuore e distinguerne le
accelerazioni causate dalla paura. Tornano, qui e altrove, i temi del
delitto e della vendetta, del sangue e della colpa che spingono
l'assassino a rivelarsi. Un tema prevale persu tutti gli altri: la
passione d'amore legata alla morte.
In "Ligeia" la protagonista, dalla "singolare e tuttavia placida
bellezza", simbolo di una volont"gigantesca" proiettata al di l dell'umano, incarna la creatura capace di sopravvivere alla morte
fisica, colei che trionfa sul Verme conquistatore che divora
la carne dei Mortali. In "Berenice" l'attenzione innaturale e
ossessiva del protagonista si concentra sui denti d'una donna al punto
che sarproprio quel dettaglio a provocare il delitto. In "Morella"
una donna s'incarna nel corpo della propria figlia. Ne "Il ritratto
ovale" un pittore uccide senza saperlo la moglie succhiandole via la
vita nel momento in cui esegue il suo ritratto. Ne "La scatola
oblunga" un marito trascina in mare la salma di sua moglie
inabissandosi con lei. Ne "L'appuntamento", sullo sfondo d'una lugubre
Venezia, due amanti che si trovano lontano l'uno dall'altra si tolgono
nello stesso momento la vita. E cosvia, in una girandola di
situazioni che variano quasi sempre sullo stesso tema, con uomini e
donne prigionieri dello schema narrativo dentro il quale l'autore li
ha rinchiusi: Berenice, Eleonora, Ligeia, Morella non hanno vera
consistenza umana, non sono autentici personaggi ma semplici
incarnazioni ossessive di un ideale di bellezza femminile votato in
qualche modo alla morte. Nella sua "Filosofia della composizione", lo
scrittore confessa: "La morte di una bella donna senza alcun dubbio
l'argomento pipoetico che vi sia al mondo"; lo impiegherfino
all'abuso.
In quegli anni il "romanzo nero" ancora molto in voga in
Inghilterra ("Frankenstein" di Mary Shelley del 1818). Poe ha letto
i racconti di Hoffmann ed consapevole della fama che hanno
assicurato al loro autore. Tiene quindi conto dell'attualitsia
letteraria che della cronaca, salvo adattarla ai suoi fini. Nel
racconto "Lo scarabeo d'oro" (The Gold Bug) che gli vale un premio e
l'ammirazione di Baudelaire, descrive, sfoggiando eccezionali capacit deduttive, la decifrazione di un crittogramma che permette la scoperta
di un macabro tesoro sepolto dai pirati. Jean-Franis Champollion,
l'egittologo francese che grazie alla Stele di Rosetta aveva decifrato
i geroglifici, era morto da pochi anni.

Il successo arriva nel 1845 con il poema di cui abbiamo detto, "Il
Corvo", vero poema romantico scritto nella romantica casetta di Amity
Street, nel quale si riaffaccia il motivo dell'amore che diventa lutto
e desolazione.
Il poeta nel suo studio notturno intento agli studi:

Once, upon a midnight dreary, while I pondered, weak and weary,
Over many a quaint and curious volume of forgotten lore...

"Una volta, allo scoccar d'una tetra mezzanotte, mentre meditavo
debole e stanco su una pila di bizzarri e curiosi volumi d'obliata
sapienza..." Di colpo il poeta ode bussare. Apre la porta, non c' nessuno; va allora alla finestra e un corvo dal nero piumaggio entra
nella stanza "con grande fruscio e battere d'ali", andandosi a posare
su un busto di Pallade. Il poeta gli parla, lo interroga, ma qualunque
cosa chieda l'uccello risponde con un immutabile lugubre ritornello:
"Nevermore", mai pi

Da quest'anima colma di pianto se mai nell'Eden lontano
Potrstringere a suna santa fanciulla
Che fra gli angeli ha nome Eleonora.
Il Corvo rispose: "Mai pi.

Con "Il Corvo" raggiunge finalmente quella celebritche ha tante
volte sognato. Diventa direttore e poi proprietario del "Broadway
Journal", anche se le sue bizzarrie, l'alcol e l'oppio gli allontanano
molte simpatie. Dicono di lui che diventato come pazzo con momenti
di "orribile lucidit. Nel cottage di Fordham, mentre sua moglie sta
per morire e la miseria li attanaglia, scrive una delle sue poesie pi belle: "Annabel Lee". Poi Virginia se ne va, a lui restano da vivere
trenta mesi, alterna momenti di disperazione totale ad altri di
esaltazione: corteggia almeno tre donne, progetta di risposarsi,
intanto tira avanti dando conferenze, quasi sempre ubriaco, fino a
quando, disperato, decide di far ritorno a Baltimora. Vi giunge alla
fine di settembre del 1849, vigilia di importanti elezioni. Un vecchio
amico, il dottor James E. Snodgrass, lo trova il 3 ottobre ridotto
allo stremo nella Cooth & Sergeant's Tavern. E' semicosciente, in
preda a un attacco di delirium tremens, prega i suoi soccorritori di
"piantare nel suo miserabile cervello una buona palla di revolver".
Ricoverato al Washington Hospital vi muore domenica 7 ottobre, dopo
quattro giorni di delirio.
Un quotidiano nel dare la notizia scrive: stato un uomo molto
amato da pochi, odiato da molti, indimenticabile per tutti.

Paul Valy disse di Poe che "ebbe il genio delle matematiche senza
che per questo lo si debba apparentare a Poincaro ad Einstein. Le
matematiche di Poe sono mistificatrici e occulte. Esse fanno vincere
partite a scacchi con occhi bendati e trovare tesori per via
dimostrativa".

Creando la figura del dilettante Auguste Dupin, prototipo
dell'investigatore, Edgar Allan Poe obbediva in realtai tenebrosi
richiami della sua fantasia, la suddivisione in generi della
letteratura lo interessava pochissimo. La pubblicazione de "I delitti
della via Morgue" sul "Graham's Magazine" (1841) dovette sembrargli il
meritato esito di un racconto ben costruito nel quale il mistero
dell'assassinio di due donne in una stanza chiusa a chiave viene
sciolto, con l'impiego di una logica impeccabile, da un brillante
giovane di buona famiglia. Nei pochi elementi di quel racconto, come
nel cromosoma di un essere vivente, erano giracchiusi i successivi
sviluppi e l'inesausta proliferazione del racconto giallo che in un
secolo e mezzo ha infatti invaso gli scaffali di tutte le librerie e
gli schermi di tutte le Tv. Un favore popolare cosvasto che lo
scrittore E.M. Forster, parlando agli studenti di un'universit americana, spiegava dicendo: "In un'epoca dominata dall'immagine, il
racconto a suspense uno dei pochi strumenti letterari che ancora
funzionino". Cecil Day Lewis addirittura scrisse: "Il romanzo
poliziesco incarna la mitologia popolare moderna".
Al termine del Novecento per la veritla situazione diversa e il
diffuso bisogno di facili mitologie si rivolge verso direzioni nelle
quali l'elemento fantastico, irrazionale, parareligioso torna ad avere
un suo peso, dalle guerre stellari alla saga dei dinosauri ai mondi
d'oltretomba.
Ogni epoca sceglie le proprie "canzoni di gesta". Un migliaio di
anni fa queste celebravano le imprese dei paladini di Carlo Magno
contro i nemici della fede. Per alcune centinaia di anni poemi e
romanzi con le gesta eroiche e amorose dei cavalieri hanno
rappresentato la pidiffusa mitologia popolare europea.
Il racconto poliziesco puro ha avuto, finchl'ha avuta, una
funzione analoga. Fino a quando il thriller (che ne una delle
derivazioni contemporanee) non l'ha in parte rimpiazzata, personaggi
come Sherlock Holmes, Maigret, Philip Marlowe, Nero Wolfe, Sam Spade,
Perry Mason hanno dato vita a vere e proprie saghe, con il risultato
che Auguste Dupin, essendo il primo della serie, ha avuto il destino
comune a tanti fondatori di essere scavalcato e gettato nell'oblio
dagli epigoni.

Com'costruito questo tipo di racconto? Riprendiamo il tenebroso
affare della Rue Morgue. Due donne sono state uccise in una stanza
chiusa a chiave dall'interno. I loro corpi vengono ritrovati cacciati
a forza nella cappa del camino. La finestra si socchiusa, ma
affaccia a una tale altezza da far escludere la possibilitche da l un uomo sia potuto entrare o uscire. La polizia brancola.
Il ragionamento di Dupin impeccabile e infatti la narrazione ha
come sottotitolo "A tale of ratiocination", pio meno: un racconto
argomentativo. Esclusa la porta, chiusa a chiave, resta la finestra. E
se nessun essere umano sarebbe stato in grado di usarla, perchnon
pensare a un essere per dir cosdisumano? Dupin affianca una serie di
particolari e di notizie che tutti avevano sotto gli occhi ma non sono
stati in grado di disporre secondo un ordine coerente. Il ramo di un
albero si protende fino a poca distanza dal davanzale; proprio in quei
giorni uno scimmione fuggito da un circo. Ecco l'assassino: uno
scimmione. Solo la forza del ragionamento ha saputo scovarlo. La parte
logica del racconto poliziesco nasce cos

Un'altra avventura di Dupin, "Il mistero di Marie Ret", ci
interessa ancora di piperchha come sfondo un vero episodio di
cronaca accaduto a New York e perchillustra, ancora meglio del
precedente, il metodo deduttivo del giovane detective. Lo scrittore
immaginil suo racconto ispirandosi all'assassinio di Mary Cecilia
Rogers, commessa di Broadway, "giovane, bella e, sino al momento di
essere violentata, onesta", trovata cadavere nell'Hudson. Fingendo di
parlare della morte della "grisette" parigina Marie Rer, lo
scrittore ricostruisce in realtcon molta perspicacia il delitto
commesso a New York che acquist come spesso accade quando vittima di
un omicidio una ragazza piacente, un valore simbolico, divenne un
poderoso alimento alle fantasie piaccese.
Tra le varie ragioni per le quali il caso Rogers ebbe una tale eco
bisogna includere la circostanza che quella morte richiamava un altro
omicidio che aveva fatto epoca, quello della giovane prostituta Helen
Jewett uccisa pochi anni prima nel postribolo di Thomas Street. Anche
noi quindi, come i lettori dell'epoca, dobbiamo lasciare brevemente la
sorte di Mary Rogers per addentrarci in quest'altro assassinio
esemplare e non sembri questo un uscire dal tema. Edgar Poe non ci
avrebbe lasciato il racconto su Marie Rer se non ci fosse stata la
catena di circostanze che sto per raccontare.
Alle tre del mattino di domenica 10 aprile 1836, la tenutaria della
casa di tolleranza situata al numero 41 di Thomas Street, Rosina
Townsend, viene svegliata dal fumo che esce dalla stanza di Helen, una
delle sue ragazze. Alle sue grida un sorvegliante sfonda la porta.
Helen morta, il suo corpo squarciato da fendenti di tale violenza
che perfino le ossa risultano intaccate. Dopo aver sconciato il
cadavere l'assassino ha tentato di far sparire ogni traccia appiccando
il fuoco. L'onnipresente cronista Bennett, che forse riesce ad entrare
nella stanza prima della polizia, si lancia in un'accalorata
descrizione della vittima: "La perfetta figura, le membra squisite, il
bel volto, l'incantevole busto, tutto in lei sorpassa sotto ogni
aspetto la Venere de' Medici". Si tratta ovviamente di fantasie, dal
momento che il povero corpo semicarbonizzato non poteva ispirare quel
tipo di paragoni. Bennett vuole compiacere il suo pubblico, lo fa con
una descrizione coslontana dalla verosimiglianza da far dubitare che
abbia davvero visto ciche racconta.
Le prime indagini fanno scoprire che la porta sul retro socchiusa,
mentre a poca distanza si rinvengono un'accetta e una mantella blu che
risulta appartenere a un certo Richard P. Robinson, giovanotto di
diciannove anni, di bell'aspetto, sempre molto elegante, fra i pi ardenti habitu della ragazza. Richard lavora per un commerciante di
tessuti, tal Joseph Hoxie, che anche autorevole membro della societ cittadina per la Temperanza. Hoxie garantisce che il giovane di buon
carattere e di esemplare comportamento. Si verrpoi a sapere che
Robinson un abituale frequentatore di case di tolleranza e che dopo
aver incontrato Helen, nel giugno dell'anno precedente, s'preso di
lei al punto da andare a visitarla pivolte la settimana, di farle
frequenti regali, di esibirla in vari ritrovi noncurante del fatto che
tra gli uomini che incontrano ci siano spesso altri clienti della
ragazza. Una ostentazione sfacciata, dettata dalla sua infatuazione ma
anche da un certo semiconsapevole spirito di provocazione nei
confronti della moralitevangelica che i giovani dandy come Robinson
disprezzano.
Rosina spiega che Robinson arrivato verso le undici della sera
precedente per passare la notte del sabato con Helen e che lei stessa
ha servito loro champagne in camera verso la mezzanotte. La casa in
cui Helen lavora un tipico bordello di lusso, luogo sul quale
disponiamo di alcuni testi ricchi di informazioni. Uno di questi "Memorie di una maresse americana" scritto da Nell Kimball, ragazza
del Missouri che, come Helen, aveva cominciato giovanissima quel
mestiere. La Kimball elenca in questo modo i requisiti che una casa
deve avere per raggiungere un livello di eccellenza:

Un casino di lusso doveva avere bicchieri di cristallo, un angolo
arredato alla turca con cuscini, vassoi di rame e spade damaschinate
appese al muro. Una stanza ben imbottita per le feste di gruppo e le
catene margherita. Sognavo uno scalone, ragazze in abito da sera con
pellicce, aigrettes e penne di pavone, e un grosso cane San Bernardo
che girasse per la casa e il cortile. Una buona tenutaria doveva anche
possedere una bella pariglia di bai nella rimessa sul retro, avere un
cocchiere col cilindro ben lucido e una carrozza aperta con alte
molle. Il costo per la protezione poteva essere molto alto.

Il racconto di Nell Kimball comprende anche una ricostruzione della
stanza di lavoro che possiamo immaginare non dissimile da quella di
Helen: "La mia stanza era piccola, v'era un gran letto appena rifatto,
due sedie, un enorme specchio su una base di marmo, un bacile di
porcellana con la sua brocca, una pila di asciugamani e una saponetta
rosa dentro un portasapone di porcellana. Accanto al lavabo v'era un
grosso vaso da notte con un disegno dorato intorno all'orlo".
Questo dunque l'ambiente.
Durante una perquisizione nell'alloggio di Richard si trovano
un paio di pantaloni sporchi della stessa calce con la quale stata
imbiancata la palizzata posta sul retro della casa. Il giovane viene
arrestato con enorme risonanza; l'opinione pubblica si divide tra
innocentisti e colpevolisti mentre la morte di una bella donna dalla
vita peccaminosa ripropone, ipocritamente, l'eterno discorso sul
decadimento morale della citt
Helen Jewett veniva da una modestissima famiglia del Maine, suo
padre faceva il calzolaio; la ragazza viene definita intelligente e
molto bella: legge Byron, riceve fino a dieci lettere d'amore al
giorno. Aveva cominciato il mestiere a diciassette anni, lavorando in
varie case prima di finire in quella di Thomas Street che Rosina cerca
di mantenere al massimo livello; le ragazze incontrano i potenziali
clienti in luoghi alla moda come un teatro o un caff e la stessa
tenutaria si accerta che escano dalla casa ben vestite, in ordine, mai
ubriache. I clienti pagano alla tenutaria la loro tariffa, ma devono
anche offrire alla ragazza un qualche dono in una specie di
interessata parodia del corteggiamento borghese.

Il processo contro Richard Robinson si apre al tribunale di New
York, presso il City Hall, all'inizio di giugno in un'aula gremita e
con centinaia di persone che rimangono fuori per mancanza di spazio.
Nel pubblico predominano i sostenitori dell'imputato che applaudono le
testimonianze a favore e coprono di boati e di fischi quelle
contrarie. Presiede il dibattimento il giudice Ogden Edwards,
magistrato influente, attivo anch'egli nella Societdella Temperanza.
La testimonianza di Rosina molto precisa: non soltanto conferma
quanto ha gidetto, ma aggiunge un possibile movente rivelando che il
giovane Robinson, da poco fidanzato con una ragazza della buona
borghesia, era ansioso di farsi restituire le lettere molto accese che
aveva spedito a Helen.
Il principale teste a difesa invece il gestore di un bar che
sostiene d'aver visto la sera dell'omicidio il giovane nel suo locale,
distante quasi tre chilometri dal bordello, intento a leggere fino a
tarda ora. L'accusa insinua che questa testimonianza stata comprata,
la difesa contrattacca mettendo in dubbio l'attendibilitdi donne
dall'incerta morale come Rosina Towsend e le colleghe di Helen. Il giudice Edwards fa sua quest'ultima tesi e quando congeda la giuria che si ritira
per deliberare ricorda che la testimonianza di una prostituta puessere corrotta come la sua vita e che quindi non va creduta, a meno che non sia confermata da altre. In poco pidi dieci minuti la giuria dichiara Robinson "non colpevole". Questo il precedente che rende l'assassinio di Mary Rogers
cospopolare: una giovane donna uccisa con una possibile motivazione
sessuale. Resta la diversitfra le due vittime e anche il fatto che
manca nel caso Rogers un probabile colpevole. In compenso l'assassinio
di Mary, grazie a Poe, destinato a uscire dalla cronaca nera per
entrare nella storia delle letteratura.
Addentriamoci dunque nei meandri di questa storia che nello stesso
tempo tipica dell'epoca e modello di quegli assassinii di cui sono
vittime delle giovani donne. Mary Rogers, conosciuta come la bella
sigaraia, era arrivata a New York insieme a sua madre dal natio
Connecticut nel 1837, uno dei tanti anni segnati da crisi economiche.
Dopo qualche mese, mentre la madre apre una pensione al 126 di Nassau
Street, Mary trova lavoro come venditrice di tabacchi e sigari a
Broadway, nel negozio piuttosto celebre di John Anderson, frequentato
da giornalisti e uomini politici. Come scriverPoe, il negoziante
"non ignora i vantaggi che gli sarebbero venuti dalla presenza della
bella Mary".
Fare la commessa in un negozio dove in pratica entrano soltanto
uomini considerato rischioso per una ragazza e proprio in quel
periodo il giornale "Morning Atlas" fa notare come i tempi difficili
costringano le giovani donne a lavorare in luoghi maschili per
definizione, mettendo in tal modo a repentaglio la loro virt
La mattina di domenica 22 giugno 1841, Mary confida al fidanzato che
intende passare la giornata presso una zia, esce da casa e sparisce.
Tre giorni dopo il suo corpo, sconciato dalla lividure e gonfio
d'acqua, viene ripescato nel fiume Hudson vicino a Hoboken. Poe duna
descrizione quasi specialistica, e probabilmente veritiera, delle
condizioni del cadavere:

Il volto era coperto di sangue scuro, in parte proveniente dalla
bocca. Non v'era traccia di bava, come avviene nei casi di semplice
annegamento. Il tessuto cellulare non era impallidito. Alla gola si
notavano ecchimosi e impronte di dita. Le braccia, irrigidite, erano
raccolte sul petto. La mano destra era serrata; la sinistra
semiaperta. Sul polso sinistro vi erano due escoriazioni circolari che
parevano prodotte da picorde o da una corda attorcigliata pivolte.
Anche una parte del polso destro era escoriata, come pure l'intero
dorso, in modo particolare le scapole.

Le fonti sono discordi sulla possibile violenza sessuale subita
dalla ragazza. Alcuni la danno per certa, mentre Poe sembra metterla
in dubbio, anche se alla fine arrivera conclusioni diverse.
Quasi immediatamente la stampa individua nella morte di Mary uno di
quei delitti di cui i lettori sono ghiotti. I resoconti delle indagini
e i dettagli dell'omicidio trovano ampio spazio con la conseguenza,
scrive Poe, che "per parecchie settimane la discussione di quest'unico
tema appassionante fece dimenticare perfino gli argomenti politici pi importanti".
I primi articoli raccontano che Mary stata imbavagliata, legata,
picchiata e probabilmente violentata da un gruppo di uomini prima
d'essere strangolata e gettata nel fiume. Uno dei pinoti cronisti
del tempo, il fantasioso James Gordon Bennett, ipotizza che autori
dell'omicidio devono essere stati i membri di una banda di
attaccabrighe, probabilmente "a gang of negroes".

Il racconto che Poe ricava da questi fatti un'autentica analisi
investigativa compiuta con impeccabile metodo logico. La soluzione
offerta da Dupin-Poe talmente plausibile che la "New York Tribune",
molti anni dopo la morte dello scrittore, arriva sostenere che Poe
aveva scritto il racconto per allontanare i sospetti dal tabaccaio
Anderson che temeva d'essere accusato di quel delitto. Secondo
un'altra ipotesi - formulata pochi anni fa e ancor meno provvista di
prove - Poe avrebbe potuto far sfoggio di tale precisione nel
ricostruire il delitto solo perchera egli stesso l'assassino.
Speculazioni senza fondamento, che riferisco solo per far capire
l'impressione suscitata nei lettori dall'accuratezza dell'analisi con la
quale lo scrittore dimostra l'infondatezza delle varie ipotesi avanzate, compresa quella che a uccidere la povera ragazza sia stata una banda di malfattori o di teppisti. Poe conclude che l'assassino di Mary invece l'ufficiale di marina che in quel momento il suo amante, forse a causa
di una sordida disputa su una richiesta di aborto.
Il racconto strutturalmente diviso in due parti: nella prima si
smontano varie ipotesi avanzate dai giornali, sottolineandone
l'infondatezza o l'approssimazione. Nella seconda si ricostruiscono i
fatti secondo un ordine logico, dimostrando che il delitto deve essere
stato commesso non da un banda di malfattori ma da un uomo singolo,
molto probabilmente un amante segreto della ragazza. Mary Rogers non
era insomma colei che tutti credevano che fosse. La sua vera vita non
combaciava con la personalitpubblica che la ragazza era riuscita a
imporre nella cerchia dei suoi conoscenti. Ciche colpisce
nell'analisi di Poe, a parte l'abilitanalitica, il modo
implacabile con cui ricostruisce la doppia personalitdella vittima,
mettendone a nudo contraddizioni e sotterfugi.
Alcune osservazioni dello scrittore sono ancora oggi cosvalide da
poter essere applicate ai tanti omicidi di cui non si riesce a trovare
il colpevole. Scrive per esempio Poe: "Questo un esempio di delitto
comune, per quanto orrendo. Non vi nulla di particolarmente
lambiccato. Avrete notato che proprio per questo l'omicidio stato
considerato facile, mentre proprio per questo avrebbe dovuto essere
considerato difficile".
Oppure, a proposito del comportamento dei giornali che avevano messo
in risalto gli aspetti piappariscenti del caso, anche se cifaceva
velo a una picorretta ricostruzione: "Non dobbiamo dimenticare che
di solito il primo scopo dei nostri giornali di fare sensazione, di
far colpo, piche di favorire la causa della verit.
Non sono parole che molti si sentirebbero di applicare al
comportamento della stampa dei nostri giorni?
Un ultimo esempio a proposito del metodo d'indagine: "L'esperienza
ha dimostrato, e una vera logica confermersempre, che gran parte
della verit forse la maggior parte, sorge da ciche sembra poco
importante. E' nello spirito di questo principio che la scienza moderna ha deciso di "calcolare l'imprevisto"".
La struttura di questo racconto fonda in modo esemplare il metodo
narrativo del romanzo poliziesco e delle stesse indagini moderne.
Calcolare l'imprevisto esattamente ciche gli specialisti
comportamentali della polizia fanno oggi, in particolare nel caso di
omicidi seriali. Per restare alla letteratura del genere non c' dubbio che le brillanti indagini di uno Sherlock Holmes o, poniamo, di
un Nero Wolfe, si sviluppano proprio con il metodo deduttivo
inaugurato dal geniale Auguste Dupin.
Dupin ha insomma tutti i doveri del fondatore, compreso quello di
riflettere la parte meno torbida del suo creatore Edgar Allan Poe, di
restituirci il suo inutile sogno di una chiarezza intellettuale
smagliante come un teorema matematico, la piccola parte di sche
riusca sottrarre agli incubi e alle ossessioni prima che la vita, a
soli quarant'anni, lo sommergesse.


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XII - La ragazza pibrillante del giro

Sono sempre un po' triste quando vedo un dipinto di John Kock. Niente
di pidi una piccola nostalgia che mi fa battere pilentamente il
cuore. Nostalgia per certe stanze di carezzevoli luci, di ombre e di
persone ancora piamabili. Non credo d'avere pispazio per
sentimenti dolci e teneri come questi. E forse non sono del tutto
onesta parlandone. Perchquesta nostalgia non nulla di piche il
sognante desiderio di luoghi dove non sono mai stata - e dove non sar mai. Non esiste un tempo simile a questo, le 6,30 del pomeriggio a New
York. E tuttavia, come solo i newyorkesi sanno, se si riesce a
superare il crepuscolo, si potrsuperare anche la notte.

Quando Dorothy Parker scrive queste parole ("Esquire", novembre
1964), presentando la mostra del pittore John Kock, si trova lei
stessa al crepuscolo della sua vita e non sopravvivera molte notti,
questo infatti il suo ultimo articolo. Kock pittore di graziose
gentildonne e cavalieri che evoca scene della vita di Manhattan ai
tempi di Edith Wharton e Henry James, una New York forse mai esistita
che certamente non esiste pinel 1964. Dorothy ha passato la
settantina, morirdi la tre anni, afflitta da tutti i mali che le
ha scaricato addosso una vita segnata dall'abuso di alcol e di tabacco
(tre pacchetti di "Chesterfield" al giorno) e soprattutto una
profonda, irrimediabile infelicit Ha tentato in tutti i modi di
avere un figlio, anche rimasta incinta ma sempre la gravidanza s' interrotta, volontariamente in un paio di casi, per accidente negli
altri. Sola, quasi cieca, con pochi mezzi, vive in una modesta stanza
d'albergo, l'hotel Volney, con clienti per lo pianziani, menfisso,
serate malinconiche come in una casa di riposo. "Sai come portano via
i morti da qui?" chiede a un'amica. "Fino a poco fa nel montacarichi.
Adesso che quello rotto nell'ascensore. E' talmente piccolo che li devono
mettere in piedi".
La sorte pietosa con lei, poteva andarle peggio: muore per un
repentino attacco cardiaco mercoled7 giugno 1967, poco prima di
sera. Aveva detto: "Non piangete troppo quando muoio. Sono morta gi da tanto tempo". Ha anche immaginato il momento del trapasso e
tentato, come vedremo, di favorirlo.

Oh, let it be a night of lyric rain
And singing breezes, when my bell is tolled.
I have so loved the rain that I would hold
Last in my ears its friendly, dim refrain.

"Oh, fa' che sia una notte di poetica pioggia e di fruscianti
brezze, quando suonerla mia campana. Ho cosamato la pioggia che
vorrei restasse nel mio orecchio il suo amichevole, tenue ritornello".
Non andproprio cos Non era notte, era il tramonto; non pioveva come
aveva sperato, anzi era stata una bella giornata di giugno molto
calda, molto luminosa, una di quelle giornate d'inizio estate in cui
anche le cose peggiori di New York sembrano d'improvviso belle.

C'un luogo a New York che ci parla di lei, un luogo dove ha
vissuto a lungo, un albergo con uno di quei curiosi nomi angloindiani
che la prima volta non si sa mai bene come pronunciare, l'Algonquin al
59 Quarantaquattresima Strada Ovest, tra la Quinta e la Sesta Avenue.
Quell'albergo non grande, piuttosto elegante (quanto meno l'eleganza
delle pareti rivestite di legni scuri e dai pavimenti ricoperti dal
folte moquette), inaugurato nel 1902 e dunque per gli standard
americani quasi antico, stato per qualche anno uno dei poli pi vivaci della vita culturale cittadina. Ancora oggi conserva con
gelosia pid'una traccia di quel passato e una certa aria di quasi
britannica compostezza. Attorno alla "tavola rotonda" del suo
ristorante sedettero allora molti dei giornalisti, degli scrittori e
degli ingegni piin vista. La tavola rotonda (o una sua copia) ancora l un dipinto che copre quasi per intero una parete ricorda la
gloria tutta intellettuale di quegli anni. Dorothy Parker stata in
quel circolo una specie di ninfa egeria svagata, spesso ubriaca, di
micidiale prontezza nelle repliche.

Anche se Dorothy, nata nel 1893, ha attraversato buona parte del
Novecento, l'immagine che abbiamo di lei resta fissata a quegli anni
Venti e Trenta che si sarebbero rivelati una breve parentesi tra il
massacro della Grande guerra e l'altro pigrande massacro di una
Seconda guerra e dell'Olocausto. Gertrude Stein conia per alcuni di
loro una definizione che Dorothy detesta ma che indubbiamente li
descrive: "the lost generation", la generazione perduta. Di quel
gruppo fanno parte scrittori sicuramente piforti di lei, Hemingway,
Fitzgerald, Dos Passos, per dirne solo alcuni. Ma proprio perch Dorothy la pidebole tra loro, lo spirito dei tempi filtra
attraverso di lei con maggiore facilit come testimoniano le sue
opere e ancor di pila sua vita.
Chi dunque Dorothy Parker, "the brightest girl in New York", la
ragazza pibrillante di New York, come la battezzuna volta Edmund
Wilson? Il disordine della sua esistenza, la sua perenne ubriachezza,
dicono di una personalitinquieta, irresoluta nonostante le battute
micidiali con le quali capace di trafiggere amici e nemici, e anche
i tanti uomini che si succedono nel suo letto, quasi tutti senza
lasciare traccia. Ripete lei stessa una battuta feroce su questo
frenetico "girotondo": "I vostri nomi rimarranno scritti per sempre
nel mio cuore. A proposito caro, com'che ti chiami?".
Scrittrice, commediografa, sceneggiatrice, poetessa (ma lei
preferisce dire: non scrivo poesie, solo qualche verso), tocca molti
generi ma lo fa sempre come per gioco, senza dare troppo peso al suo
lavoro, senza credere pidel necessario a ciche va scrivendo, versi
leggeri e spiritosi, bei racconti intensi lungamente e faticosamente
distillati, commediole brillanti, anche troppo. Sa che il suo spirito
si dissolvercon il suo tempo e che di lei si ricorder piche le
opere, l'effimera arte del dire dove dindiscutibilmente il meglio.
In quegli anni si fondano i canoni di quello che diventercol
procedere del secolo lo stereotipo dell'"American way of living".
Tutto contribuisce a questo: il cinema, le canzoni, i miti sorti dai
tredici anni del proibizionismo, dalle imprese sanguinose dei
gangster, dalle spacconate legate ai nuovi sport, dal fragore del jazz
e di incontri di boxe diventati leggenda; un misto di cinismo,
disinvoltura, simpatica furfanteria, la nascita di un'economia
aggressiva e d'una potenza industriale senza uguali, giochi di parole
e giochi di borsa, insomma tutto ciche, compreso il campo amoroso e
sessuale, racchiudiamo sotto il nome di modernit Anche di questo
Dorothy largamente partecipa, contribuendo a divulgarlo e a farlo
diventare uno stile di vita, trasformando i fatti in simboli e i
simboli in miti; quando non lo fa di persona ne scrive o
sarcasticamente ne ride.

Avrebbe voluto nascere a Manhattan ma nemmeno questo le riuscito.
Per accidente, perchviene al mondo prematura, nasce a West End, nel
New Jersey, alla fine d'agosto, sua madre ha d'improvviso le doglie e
in una giornata tempestosissima in cui pare che la casa debba
schiantarsi la dalla luce, ultima di quattro figli, due maschi e due
femmine: Harry, Bert, Helen. West End una localitdi villeggiatura
dove la buona borghesia di New York si trasferisce durante l'estate
per sfuggire al caldo torrido di Manhattan. Suo padre Henry Rothschild
solo un agiato commerciante ebreo, insomma niente a che vedere, se
non l'omonimia, con "quei Rothschild l, come diceva Dorothy, la
dinastia dei banchieri. La madre Eliza una gentile d'origine
scozzese e quindi Dorothy ebrea solo per met per giunta quella che
conta di meno perchla discendenza ebraica, per comprensibili motivi
di diffidenza sulla natura umana (basta pensare a quello che succede
nella Bibbia) vale soprattutto se matrilineare.
Del resto il nome Rothschild non le piace e sceglierdi portare per
tutta la vita il nome del primo fugace marito, un matrimonio breve,
totalmente sbagliato.
E' piccola di statura e se con gli anni i suoi lineamenti si
arrotonderanno, per tutta l'infanzia e l'adolescenza conserva un'aria
minuta, fragile, che la fanno sembrare un uccellino. Un giorno
incrocia per strada suo fratello con un amico. Quella tua sorella?
chiede l'amico. No, non la conosco, s'affretta a rispondere il
fratello. Dorothy ascolta le due battute e di quel piccolo
episodio odioso conservermemoria per tutta la vita. Ha
grandi occhi, intensi, che guardano intorno e scoprono cose che in
genere gli altri non vedono e che a lei non piacciono. Sua madre muore
dopo una malattia lunga e straziante che l'ha ridotta una larva, non
ha pinemmeno la forza di tenere il capo ritto sul collo. Di quella
morte spaventosa Dorothy si riterrin qualche modo responsabile,
forse perchsua madre quando la partor aveva gipassato i
quarant'anni, allora considerati un limite fatale.
Suo padre commette l'errore di risposarsi. La prescelta una
maestra non bella ngiovane, ha quarantotto anni e ai ragazzi
Rothschild sembra una vecchia spaventosa. Si chiama Eleonor, sposa
Henry in municipio a Manhattan il 3 gennaio 1900. Dorothy non ha
nemmeno sette anni e la odia da subito, in casa la chiama "Mrs
Rothschild", signora Rothschild, oppure sbrigativamente "Ehi, tu!".
Eleonor, che teme i ragazzi forse piancora di quanto non tema suo
marito, cerca di essere gentile per facilitare le cose, senza
accorgersi di renderle ancora picomplicate. L'episodio forse pi ridicolo e sinistro di questo matrimonio scombinato sono le gite
domenicali, quando vanno tutti e sei a visitare la tomba di Eliza.
Henry, i quattro figli e la nuova Mrs Rothschild si dispongono attorno
alla pietra e Henry, con gli occhi pieni di lacrime molto teatrali,
invoca il nome della moglie: Eliza, siamo tutti qui con te, siamo
venuti a trovarti, ci sono i bambini e la signora Rothschild. Sono
episodi che metterebbero alla prova chiunque, Dorothy ne ricava un
profondo rancore verso suo padre e una radicata sfiducia verso gli
affetti.
Tutto lascia credere che la vita dell'incolpevole Eleonor in quella
famiglia sia stata penosa. Comunque sia andata, muore presto di
un'emorragia celebrale fulminante. Lascia tutti i suoi risparmi alla
nuova famiglia che l'ha accolta cosmale e dispose che ogni ragazzo
Rothschild abbia personalmente cinquanta dollari, salvo Dorothy, la
sua torturatrice piaccanita, alla quale di dollari ne lascia
trecento. Insondabilitdell'animo umano.
Per la sua educazione il prudente Henry pensa a un collegio di suore
cattoliche dove Dorothy ha un buon anticipo di quelle
che si usano chiamare le pene dell'inferno, molte delle quali si crea
da s anche se la cosa per un bambino non fa molta differenza.
Detesta le suore, il puzzo delle loro vesti, la noia quotidiana di
preghiere che le risultano misteriose e di dogmi incomprensibili.
Quando tentano di spiegare alle ragazze l'Immacolata concezione,
Dorothy la traduce con "la spontanea combustione" e le suore capiscono
che quella ragazzina sarprobabilmente difficile da recuperare
all'ortodossia cattolica. Del resto suo padre Henry il primo a
considerarla una mezza matta.
Non sicuro che tutte queste cose mettano insieme un'infanzia e
un'adolescenza veramente infelici. Altri bambini ne avrebbero potuto
ricavare una sinistra, irriverente allegria. L'importante pernon come le cose andarono ma come Dorothy le visse e, con tutta evidenza,
le pat Il fatto che di quegli anni lei stessa per prima abbia
ricordato solo gli aspetti negativi e le ferite, dice che la prima
parte della vita fu per lei quasi esclusivamente una serie di
sofferenze e che tutta la forza di cui poteva avere bisogno per andare
avanti dovette trovarla in se stessa. Qualche volta tentava di
consolarsi dicendo: "Dopo tutto ho caviglie francesi e petto
italiano", sapendo perche non sarebbero certo state le sue doti
fisiche ad assicurarle un futuro, si vedeva ben altro in giro. Poich non era bella decise di essere chic e poichera minuta e non
particolarmente alta, scelse di diventare autorevole per forza
d'ingegno o per autentica cattiveria.

I primi denari li guadagna come pianista accompagnatrice
dilettante. Negli anni intorno alla Prima guerra mondiale la nuova
musica irrompe nel pianeta cambiando non solo i gusti musicali, ma la
vita stessa di milioni di persone. Le nuove sonorit il jazz, i ritmi
sincopati, le varie elaborazioni ricavate dalla musica africana e
latina, le danze che nascono da questa autentica rivoluzione sono i
primi potenti strumenti di massa che insegnano a milioni di giovani un
nuovo modo di stare insieme, di corteggiare un partner, di esibirsi,
di fare l'amore. I giornali pubblicano i passi delle varie danze
(tango, cake-walking, charleston, fox-trot) e in una scuola di ballo
Dorati pesta sulla tastiera, mentre un coreografo istruisce le coppie dei
ballerini: un-due-tre-quattro, un-due-tre...
Sulla scrittura cade, anzi precipita, come dice lei stessa, per
caso. Spedisce versetti satirici qua e le tra gli altri ne manda
alcuni anche alla nuova rivista della CondNast, "Vanity Fair". Una
mattina trova nella posta una busta con dentro un assegno da dodici dollari. Dopo qualche settimana, il direttore della rivista. Mr Crowninshield
detto per brevitMr Crownie, un signore che si vanta di
non aver mai avuto a che fare con alcol o con tabacco, tanto meno
commerci carnali con donne, la informa che disponibile un posto di
redattrice nella consorella "Vogue". Come offerta non un granch si
tratta di scrivere le didascalie delle foto per uno stipendio di dieci
dollari alla settimana. Dorothy accetta.
Ogni redattore d'ingegno nel momento in cui entra in un giornale
s'affanna a studiare l'apporto personale e i cambiamenti che sarin
grado di dare fino al momento in cui, nella maggior parte dei casi, si
rende conto che la macchina del giornale, i tempi di lavorazione, lo
spazio disponibile, le abitudini, le rivalittra colleghi sono quasi
sempre piforti, piforti degli stessi direttori alle volte, che poi la ragione principale per la quale anche i giornali come ogni
altro organismo invecchiano e qualche volta muoiono. Anche Dorothy,
tanto pilei bisognerebbe dire, si comporta cos fa quei progetti,
tenta d'applicarli all'umile lavoro che le stato assegnato. Quando
deve commentare le foto di certa biancheria femminile s'ispira alla
frase di Shakespeare che dice "Brevity is the soul of wit", la sintesi
l'anima dell'umorismo, e poichi capi fotografati sono veramente
minimi scrive: "Da ciche si vede in questa collezione autunnale si
deve dedurre che la sintesi anche l'anima della biancheria".
A titolo di curiositsegnalo un'altra versione attuale dello stesso
gioco sostitutivo. Anche Nicholas Negroponte nel suo "Essere digitali"
aggiorna Shakespeare dettando ai cybernauti dello spazio informatico:
"La sintesi l'anima della e-mail", precetto sul quale non si puche
concordare.
In un'altra occasione Dorothy, dovendo commentare una camicia da
notte cossexy da sembrare concepita per una cortigiana,
scrive imitando il ritmo di una ninna-nanna: "C'era una ragazza con un
ricciolino in mezzo alla fronte. Quando era buona era davvero buona,
ma quando si sentiva cattiva indossava questa divina camicia da notte
rosa di mussola di seta". Le didascalie vengono bocciate una dopo
l'altra, nella convinzione che i lettori di quel tipo di rivista non
le avrebbero tollerate. Dorothy deve accontentarsi di scrivere distici
pitradizionali, ricavandone naturalmente frustrazioni sempre
maggiori, tanto piche la direttrice del giornale, Edna Woolman
Chase, una donna per dir cosfortemente conservatrice, forse un po'
idiota. Il suo rispetto per la forma maniacale; impiegate e
giornaliste devono presentarsi in redazione con cappello, guanti
bianchi e calze di seta nere. Un giorno una delle redattrici tenta il
suicidio gettandosi sotto un vagone della metropolitana, la signora
Chase commenta che se un giornalista di "Vogue" tentato dall'idea
del suicidio sarebbe piopportuno che ingoiasse qualche pasticca di
sonnifero, piuttosto che aumentare il lavoro degli addetti alla
nettezza urbana. Insomma un tipo di donna esemplare per Dottie che su
di lei affila le armi della satira.

Uno dei suoi primi contributi, quando comincia a collaborare con
"Vanity Fair", una specie di "pamphlet" che apre con questa brutale
dichiarazione: "I hate women. They get on my nerves" - odio le donne,
mi danno ai nervi. Le danno ai nervi le donne che si cuciono da sole
gli abiti, quelle che spulciano i giornali alla ricerca della migliore
ricetta, quelle che d'improvviso esclamano "Oh, devo correre a casa"
percharrivata l'ora di preparare il pranzetto: "How I hate that
kind of woman!". Anche gli uomini pernon sono da meno. In un
successivo contributo dal titolo "Perchnon mi sono sposata" passa in
rassegna i tipi di uomini che l'hanno allontanata dall'idea di un
possibile matrimonio: il maschilista (diremmo oggi), convinto che la
donna debba starsene chiusa a casa, l'uomo che a una donna chiede una
cosa sola, quella; e il radicale vanitoso e vacuo da Greenwich
Village.
Con queste premesse quasi fatale che il suo primo matrimonio si
riveli uno sbaglio. Quando ha ventitranni ed estate,
l'estate speciale del 1916 con l'Europa in guerra, incontra un uomo
bellissimo, allegro, elegante, diritto nella persona, di buoni mezzi.
Si chiama Edwin Pond Parker II, detto Eddie, ha la sua stessa ete
lavora come agente di borsa. Dottie s'innamora come un ciuco, fatta.
Si sposano alla fine di giugno dell'anno successivo, a Yonkers,
nell'elegante contea di Westchester, con gli Stati Uniti che ormai
sono anche loro in guerra con la Germania (dal 6 aprile 1917). Anche
Eddie viene richiamato, arriverin Francia come autista d'ambulanza
in tempo per le controffensive del 1918. Dorothy se la cava con una
battuta: "Sono stata una moglie solo per cinque minuti", ma il tono
scanzonato non basta a nascondere la sua delusione. Lei gli scrive in
pratica tutti i giorni, Eddie invia dal fronte solo qualche gelida
cartolina, ha sempre bevuto molto, adesso beve ancora di pi C'di
peggio: lavorando nella sanitmilitare ha facile accesso alle scorte
di stupefacenti, soprattutto la morfina che serve ad alleviare i
dolori terribili delle ferite da scoppio. Quando Eddie rientra negli
Stati Uniti, Dorothy si accorge che a quei soccorsi ha preso
l'abitudine e non pupifarne a meno. Eddie alcolizzato e dipende
dagli stupefacenti, le loro tensioni diventano insostenibili. Si
separano quasi subito, divorzieranno ufficialmente nel 1928. Eddie
Parker nasconde probabilmente un personaggio tragico, ma nessuno ha
mai avuto il tempo di occuparsi seriamente di lui. Morira trentanove
anni, probabilmente suicida, in una cittadina di provincia del
Connecticut, dopo essersi risposato con una certa Anne O'Brien.
Uno strano destino accompagna anche il secondo marito di Dorothy:
Alan Campbell, bello, biondo, un fisico perfetto, omosessuale latente,
di undici anni pigiovane di lei, uomo del Sud nato a Richmond,
Virginia, attore di secondo piano a Broadway, uno di quelli che
entrano in scena dal secondo atto in tenuta sportiva e chiedono con un
sorriso radioso: "Allora, qualcuno viene a giocare a tennis?". Sarun
marito gentile, premuroso, grato a Dorothy per averlo fatto crescere e
lei, riconoscente, lo amerfino a quando riuscira farlo.
Venticinque anni dopo Eddie, anche Alan parte per l'Europa, di nuovo
in guerra, a combattere contro la Germania; come Eddie finirsuicida
in una mattina di giugno del 1963. Dottie rientra a casa lo trova
raggomitolato sul letto con un sacco da tintoria stretto attorno al collo,
un mozzicone di sigaretta ancora tra le dita e a terra un tubetto vuoto di Seconal. "Avvelenamento acuto da cbrbiturici" diagnostica il medico-legale e aggiunge: "Probabile suicidio".

Questo accadrmolti anni dopo. Per intanto Dorothy comincia a
rivelarsi davvero quando ottiene l'incarico di critico teatrale a
"Vanity Fair". Ha solo ventiquattro anni, l'incarico gravoso ma le
dmolta autorevolezza e una specie di potere sanzionatorio sugli
spettacoli. Diventa subito il critico pitemuto dagli autori o dagli
impresari. Dottie pergiovane e non ne calcola il rischio.
Esercitare il mestiere di critico, nel senso corrente della parola,
una delle cose pifacili del mondo: si puparlare male di chiunque
e per qualunque ragione, compreso, e spesso avviene, il risentimento
personale, l'invidia o un qualunque altro cattivo sentimento. E' uno
dei privilegi del critico in qualunque arte o mestiere; l'autore o
l'interprete, per ragioni evidenti, non possono nreplicate n dissentire, fa parte del gioco. Ma questa medaglia ha anche un'altra
faccia: la grandezza del critico e alla lunga la sua attendibilit dipendono piche dai giudizi dalle loro motivazioni, quanto meno
dalla qualitdella scrittura. Dorothy sceglie una strada parallela,
ispirandosi forse allo stile caustico e brillante delle recensioni di
G.B. Shaw, fa di ogni pezzo una specie di piccola creazione autonoma
che dallo spettacolo prende solo spunto. Di una commedia per esempio
scrive che una splendida occasione per esercitarsi nel lavoro a
maglia. Se non siete interessati nel lavoro a maglia, aggiunge,
portatevi un libro. In un'altra occasione recensisce, invece dello
spettacolo, l'attivitdella signora nella poltrona accanto che passa
gran parte del tempo a cercare i guanti scivolati sul pavimento. Di
certe ragazze del balletto scrive che sembrano "davvero gentili, con
quella loro aria materna", trattandosi della parte sexy dello
spettacolo non proprio un complimento.
Qualunque direttore dovrebbe essere deliziato d'avere un
critico teatrale cosspiritoso e brillante. Molto meno contenti sono
gli attori, ancor meno i produttori degli spettacoli. Infatti nel
gennaio del 1920 Crownie, direttore di "Vanity Fair", la invita al
Plaza per un te dopo averle fatto molti complimenti per i suoi pezzi
le comunica che il suo lavoro di critico non pinecessario. Il vero
motivo della decisione non viene discusso, ma Dorothy sa benissimo che
nei giorni precedenti hanno telefonato per protestare tre dei pi importanti produttori di Broadway (nonchinserzionisti del giornale):
Florenz Ziegfeld, David Belasco, Charles Dillingham, con l'aggiunta
dell'attrice, nonchmoglie di Ziegfeld, Billie Burke che Dorothy ha
maltrattato in una delle sue recensioni. Dirpitardi: ""Vanity
Fair" non aveva opinioni, ma io s.

Un personaggio che avrun ruolo rilevante nella sua vita Robert
Benchley. Un giorno viene assunto per far crescere il numero e la
qualitdegli articoli "seri" nella scansione del giornale. Dottie
arriva in redazione e trova metdella stanza occupata dalla sua
scrivania. La stanza di per scospiccola che qualche tempo dopo
commenter "Un solo centimetro di meno e sarebbe stato adulterio".
Quando comincia a "Vanity Fair" Benchley ha ventinove anni, un
giovane uomo con gli occhi azzurri, l'incarnato pallido, che soffre di
febbre da fieno e si morde le unghie. Non ha mai bevuto nfumato o
detto parole volgari, di eventuali infedeltverso sua moglie non si
parla nemmeno. Per far capire il tipo d'infanzia che ha passato,
racconta che quando suo fratello Edmund, di tredici anni pianziano,
era rimasto ucciso in un combattimento nella guerra ispano-americana,
la madre aveva esclamato accorata: "Oh, mio Dio, ma perchnon ti sei
preso il piccolo Robert?".
Dopo aver fatto fortuna un giorno Benchley dir "Mi ci sono voluti
quindici anni per scoprire di non aver alcun talento letterario, a
quel punto perero diventato cosfamoso che non potevo pifare a
meno di scrivere". Per il momento lavora nella stessa stanza di
Dorothy e quando sono le cinque si alza e scappa alla Grande Central,
in tempo per il treno delle 17,37 che lo porta nel sobborgo di
Crestwood (N.Y.) dove vive con sua moglie Gertrude: la Tv non c'ancora,
alle dieci a letto. Hanno gidue bambini.
Cambieranno molto con il tempo il carattere e le inclinazioni di
quest'uomo. Mentre sua moglie rimane a fare la sua vita agiata e a
educare i figli nella villetta suburbana (dopo Crestwood sar Scarsdale), Robert ha numerose amanti, alcune delle quali giovanissime
e di clamorosa bellezza. Tra le altre una ballerina di Ziegfeld,
l'attrice Betty Starbuck, una commessa del negozio di articoli di
lusso, Hattie Carnegie, alcune prostitute della pifamosa casa di
tolleranza di New York, quella gestita da Polly Adler. Lavora per
qualche tempo come sceneggiatore a Hollywood, beve immense quantitdi
alcol, muore nel 1945 a cinquantasei anni per un'emorragia cerebrale,
complicata da una cirrosi epatica devastante. Fra tutti stato il
miglior amico di Dorothy, il solo con il quale, probabilmente, non sia
andata a letto e se si dovesse scegliere un personaggio nel quale
incarnare l'uomo brillante, eccentrico, colto, moderatamente infelice
di quella New York, sarebbe lui il piadatto.

Molti elementi comuni legano queste persone, anni di amicizia
cameratesca, complicit ammirazione, confidenze reciproche. Tra tanti
episodi possibili uno riporta per intero l'aria del tempo. Fino a
quando resta una ragazza, Dorothy pua stento sopportare l'odore
dell'alcol. In anni piavanzati dirdi non ricordare quando lo
scopr probabilmente fu nel periodo molto crudele in cui maturla
separazione dal primo marito. Curiosamente anche Benchley fa
un'esperienza analoga, passando dalla condizione di astemio a quella
di inguaribile bevitore. Al contrario di Dorothy, per nel suo caso
le cronache tramandano il momento del passaggio, la sera del 2
luglio 1921, quella in cui si disputa lo storico incontro tra Jack
Dempsey e George Carpentier nel quale l'americano vince in quattro
riprese il titolo per K.O. Dorothy e Sherwood, Francis Scott
Fitzgerald e sua moglie Zelda vanno a festeggiare nel celebre
"speakeasy" di Tony Soma. A un certo punto Benchley li raggiunge e,
nell'euforia generale, lui che non ha mai bevuto nemmeno un sorso
d'alcol viene convinto a ordinare del whisky. Lo assaggia, fa una
smorfia, mette giil bicchiere e commenta: "Spero che questo posto
venga chiuso al pipresto dalla polizia". Poche settimane dopo gi
diventato un bevitore accanito.

Come spesso accade, la famosa "tavola rotonda" dell'hotel Algonquin,
detta anche "il circolo vizioso", nasce quasi per caso. Nel giugno
1919, Dorothy riceve un invito a pranzare in quell'albergo per
festeggiare il ritorno dalla guerra di Alexander Woolcott, critico
teatrale del "New York Times". Attorno a varie tavole quel giorno
siedono poco meno di quaranta persone, la pivisibile delle quali proprio Woolcott. Trentadue anni, occhiali pesanti, grasso, maligno
fino alla perfidia, Alexander Woolcott sicuramente una delle
personalitemergenti di New York. Omosessuale latente, indulge al
vizio segreto di travestirsi da donna per interpretare ruoli materni,
lo si dice inadatto all'amore, inadeguato sessualmente (sicut puer,
per cosdire). Il suo personale contributo alla guerra consistito
nel redigere, dagli uffici di Parigi con il grado di sergente, il
giornale per le truppe americane "Stars and Stripes". Compito non dei
pirischiosi.
Per festeggiarlo si sono radunati alcuni dei giornalisti pi autorevoli, tra i quali Harold Ross, che ha partecipato anche lui alla
stessa impresa col grado di soldato semplice. Tra i due non corre buon
sangue. Ross dice di Woolcott che gli ricorda "una contessa grassa con
la capacitemotiva di un pesce". Woolcott ricambia dicendo con la sua
voce sopranile che Ross stranamente simile al cocchiere di suo
nonno. Battute velenose che descrivono i personaggi e insieme l'epoca,
dicono da dove Dorothy attinge per le sue battute che non sono certo
meno perfide. E' tutto il circolo a muoversi si questa lunghezza
d'onda, l'infinita serie degli aneddoti lo dimostra.
Una sera accade che sia lo scrittore No Coward sia la scrittrice
Edna Ferber arrivino indossando una giacca a doppio petto. "Sai che
sembri quasi un uomo?" dice ilare Coward, al che l'altra replica
secca: "Anche tu!". Anche su Edna Ferber peraltro Dorothy avrda dire
la sua: "Mi riferiscono che Edna Ferber quando alla macchina per
scrivere fischietta. E quel povero coglione di Flaubert che si
rotolava per tre giorni sul pavimento prima di trovare la parola
giusta".
Altro episodio: un buontempone che si sta infilando dietro il tavolo
per raggiungere il proprio posto batte scherzosamente la mano sulla
calotta calva di Marc Connelly ed esclama: "La tua testa mi ricorda il
popdi mia moglie". Al che Connelly si tasta egli stesso la testa ed
aggiunge con finta sorpresa: "Ma sai che hai proprio ragione?". In
un'altra occasione la scrittrice Margaret Leech, la cui lingua non meno affilata di quella di Dorothy, vede entrare Frank Adams, reduce
da una partita di tennis. Ha la camicia solo parzialmente abbottonata
e dallo scollo spunta un ciuffo di peli arricciolati. Margaret lo
squadra ed esclama: "Frank, vedo che oggi hai la patta dei pantaloni
insolitamente alta". Una volta che erano a tavola, intenti a fare
allegramente a pezzi la comune amica Clare Boothe, una delle
commensali, Ilka Chase, abbozza un tentativo di difesa sostenendo che
Clare in ogni caso una persona leale e sempre molto gentile con gli
inferiori. Dorothy alza appena un attimo la testa dal piatto per
sibilare: "E dove li trova?". Il caso vuole che Clare Boothe, la quale
nel 1935 sposeril magnate dell'editoria ("Time - Life") Henry Luce,
diventi prima deputata del Connecticut e poi, nel 1946, ambasciatore
americano a Roma per conto dell'amministrazione repubblicana di
Eisenhower.
Forse perchnon mai riuscita ad avere un figlio nonostante ogni
tentativo, Dorothy ha un forte affetto per gli animali, i cani
specialmente. Un giorno, nell'atrio di un albergo, il cagnolino che ha
al guinzaglio si libera di un bisogno sulla moquette. Immediatamente
salta fuori il direttore: "Miss Parker, miss Parker! Guardi che ha
combinato il suo cane". Dorothy lo fissa impavida e risponde: "Non stato lui, sono stata io" ed esce maestosamente.
Una volta che era ospite in casa degli amici Guinzburg, stanca dal
comportamento irrequieto dei bambini della famiglia, viene udita
mentre esclama con un sospiro: "Oh, se quei bambini sapessero
comportarsi da cani!".

La tavola rotonda dell'Algonquin nasce con personaggi di questo
tipo. Persone che bisogna saper collocare nel contesto, perchlo
spirito della citte di quegli anni passa e si rivela anche
attraverso le loro eccentricite bizzarrie. Ma prima di aggiungere
annotazioni o coloriture per meglio raccontare di che cosa vissuto
quel famoso sodalizio intellettuale, riporto un brano di dialogo che
si svolgermolti anni dopo, non a New York ma a Hollywood, e nel
quale le battute della Parker acquistano spessore e attualit particolari. La scena si svolge nell'ufficio del famoso Mr Goldwyn,
uno dei fondatori dell'industria cinematografica americana. Sigaro tra
i denti, stomaco prominente, il produttore ha appena finito di
scorrere una sceneggiatura della Parker e non rimasto molto
convinto.
"E' un bellissimo testo, non c'dubbio. Lei una donna fuori del
comune e ha uno spirito straordinario. Ma finora non ha mai avuto
molto pubblico (in iglese: "You haven't got a great audiende") e sa
perch Perchnon dalla gente ciche la gente vuole!".
Dorothy lo fissa per qualche istante, poi replica con il suo tono
picandido: "Ma Mr Goldwyn, la gente non sa che cosa vuole fino a
quando non glielo diciamo noi".
"Ecco, ci risiamo, motti di spirito. Miss Parker, glielo dico chiaro
e tondo, non si fanno i soldi con i motti di spirito. La gente vuole
il lieto fine".
"Mr Goldwyn, non so se la sorprenderciche sto per dire, ma in
tutta la storia dell'umanit miliardi e miliardi di persone, non ce
n'stata una che abbia avuto un lieto fine".
Cidetto si alza ed esce. Goldwyn si rivolge sconcertato agli altri
per chiedere: "Ma che avrvoluto dire, secondo voi?".
Ho riportato questo dialogo avvenuto poco meno di un secolo fa
perchmi ha colpito la sua straordinaria attualit che anche il
motivo per cui ho riportato in originale il termine "audience". A
nessuno sfugge che la disputa oggi diventata cruciale aveva giallora
precisi punti di riferimento e d'attrito.

La tavola rotonda dell'Algonquin nasce dunque negli anni del primo
dopoguerra ed il primo esempio di quel radicalismo chic che non solo
a New York, ma anche in Europa, coniugher illusoriamente o meno,
denaro e spirito, ingegno e impegno. L'albergo sorge in prossimit della zona dei teatri ed percifrequentato da attori anche celebri,
come Douglas Fairbanks o John Barrymore, che amano pranzare nella sala detta "Rose Room". Gli scrittori si riuniscono invece di preferenza in un'altra
sala detta "Pergola Room" (oggi "Oak Room"), forse perchaffrescata
con vedute del golfo di Napoli. I nomi di coloro che prendono parte a
quei raduni oggi dicono poco, soprattutto fuori di New York. Allora
erano quanto di meglio, nel genere, la cittpotesse offrire. Si fanno
vedere il critico Edmund Wilson, l'uomo che pubblicherl'opera
postuma di Fitzgerald, Marc Connelly, Robert Sherwood, Frank Sullivan,
Charles MacArthur, Herman Mankiewicz, Harpo Marx, Donald O. Stewart,
Murdock Pemberton, William Faulkner che Dorothy presenta personalmente
e altri ancora, uomini per la maggior parte, le donne hanno una
presenza pilimitata.
Non appena il direttore dell'albergo, Frank Case, si rende conto
che quella sala da pranzo diventata luogo di ritrovo di una
clientela cosscelta, afferra la possibilitpubblicitaria della
faccenda e si adopera per mettere tutti a proprio agio. L'idea della
grande tavola rotonda centrale sua. Quanto all'idea di "agio",
tavola a parte, si concentra soprattutto intorno alla possibilitdi
lunghe moratorie sul pagamento dei conti, interminabili liste di
"sospesi" nelle quali il nome di Dorothy fa spicco. L'abitudine prende
via via consistenza, accade, come ha scritto in un suo libro Margaret
Case, figlia del vecchio direttore, che "la tavola rotonda si
stabilisce all'hotel Algonquin allo stesso modo in cui il fulmine
colpisce un albero: per caso e per attrazione reciproca". Il nome in
effetti viene stabilito il giorno in cui un vignettista del "Brooklyn
Eagle", Edmund Duffy, pubblica un disegno satirico dei commensali
definendoli appunto i membri della tavola rotonda dell'Algonquin. Da
quel momento li chiamano tutti cos
Anni dopo, ricordando quei tempi, Dorothy Parker trova il modo di
ridimensionare anche quel mito della vita culturale americana: "Non che partecipassi spesso" dice in un'intervista. "Costava troppo". E
poi: "Quelli della tavola rotonda erano in realtsolo un gruppo di
persone che si raccontavano barzellette, ripetendosi l'un l'altra
quanto fossero divertenti.
Non facevano altro che domandare: hai sentito il mio commento ieri
sera? Ti ho riferito del mio scherzo? Era un'epoca terribile, sicch non era necessario che si dicessero cose vere... Comunque la gente
della tavola rotonda molto spesso non sapeva un accidente di nulla.
Credeva che alcuni di noi fossero degli scemi perchpartecipavano
alle dimostrazioni per Sacco e Vanzetti".

L'impegno politico importante per Dorothy, accompagna la seconda
metdella sua vita, diventa anch'esso, interpretato da lei, uno
specchio dei tempi. La Parker partecipa alla campagna, bella, generosa
e inutile, per salvare dal patibolo Nicola Sacco e Bartolomeo
Vanzetti, i due anarchici italiani accusati di rapina e omicidio, di
cui si raccontato al capitolo IX. Quando Dorothy decide di scendere
in piazza per sostenere l'innocenza dei due imputati, ogni possibile
rimedio per evitare l'esecuzione gistato messo in opera nel corso
di interminabili battaglie legali durate sette anni. Il processo si
tiene a Boston, il quartier generale dei difensori e dei comitati si
trova nel povero quartiere italiano della citt Dorothy Parker vi
mette piede nell'agosto del 1927, sale i tre piani di sudicie scale
che portano nei locali dove il caldo asfissiante. Indossa guanti
bianchi immacolati, una piccola borsa di cuoio sotto il braccio, ed circondata come al solito da una nube di profumo di tuberosa, il suo
preferito, lo stesso, ripete con sarcasmo, usato dagli imbalsamatori
per dissimulare il lezzo cadaverico.
Un corteo formato per la maggior parte da militanti del Partito
comunista s'incammina per le vie del quartiere al canto
dell'"Internazionale" e di "Bandiera rossa". La sola persona che
Dorothy conosca in quella folla lo scrittore John Dos Passos che
deve scrivere un articolo per il giornale di sinistra "The Daily
Worker". La presenza della Parker non sfugge alla folla spesso ostile
che si ferma sui marciapiede a vedere sfilare il corteo. Si odono
grida di "Bolscevichi!", "Rossi di merda!" e, a lei direttamente:
"Impiccatela!". Boston in quei giorni praticamente in stato d'assedio;
la Guardia nazionale in stato d'allerta e agli incroci ci sono nidi di mitragliatrici. La sala stampa piena di cronisti; per la maggior parte
non vedono l'ora che ammazzino quei due per scrivere il pezzo e tornare finalmente a casa. Invece l'esecuzione viene ancora rinviata di qualche
giorno, ultimo disperato tentativo della difesa che non serve a niente.
Il 23 agosto Sacco e Vanzetti vengono legati alla sedia elettrica e uccisi innocenti. Il delegato dei giornalisti ammesso in rappresentanza di tutto il gruppo nella sala della morte riferisce ai colleghi che le ultime parole di
Sacco sono state, in italiano: "Viva l'anarchia", mentre Vanzetti ha
stretto la mano ai presenti, arrivando a ringraziare i guardiani per
il trattamento umano che gli hanno riservato. Per una curiosa coincidenza l'uccisione di Sacco e Vanzetti coincide con il trentaquattresimo compleanno
di Dottie.

Nasce in quei giorni d'agosto in Dorothy il desiderio di
partecipare, se non alla vita politica, quanto meno alle battaglie
civili che dalla politica discendono. Da quel momento in poi Dorothy
comincia a proclamarsi in pioccasioni socialista; per lei non stato un passo facile, o forse - non sembri una contraddizione - stato addirittura troppo facile, nel senso che ha solo dovuto dare
corpo e parvenza di razionalital fastidio profondo che le danno le
persone frequentate per abitudine. La sua probabilmente una scelta
piestetica che propriamente politica. Pur disprezzando le persone
ricche, Dorothy si trova nell'imbarazzante situazione di non poter
fare a meno di frequentarle; detesta lo snobismo di coloro che fondano
tutto sulla forza del denaro, ma sedotta dalla comoditdelle loro
case, dalla bellezza dei luoghi in cui sorgono, mal sopporta i
titolari dei privilegi ma molto apprezza i privilegi. La famosa Villa
America di Sarah e Gerald Murphy sulla Costa Azzurra, alla quale Scott
Fitzgerald s'ispirerper il suo romanzo "Tenera la notte", uno di
quei luoghi privilegiati; altri sono alcune insenature esclusive di
Long Island, come quella di Great Neck dove Herbert Bayard Swope e sua
moglie possiedono una magnifica villa sul mare, sempre piena di
ospiti. Swope uno dei giornalisti piin vista della citt ma ha
anche una vera inclinazione per l'ospitalitpimunifica. Due turni
di camerieri si alternano nella giornata. Il tviene servito verso le
sei del pomeriggio, la cena mai prima di mezzanotte, quelle giornate oziose, quei party prolungati fino all'alba vengono presi a modello da Fitzgerald
per il suo romanzo "Il Grande Gatsby".

Si trattava di un ridente palazzo coloniale georgiano bianco e rosso
che dominava la baia. Il prato cominciava sulla spiaggia e si
estendeva per mezzo chilometro fino all'ingresso principale della
casa, scavalcando meridiane e sentieri lastricati di mattoni e
giardini fiammeggianti per innalzarsi poi, giunto alla fine, quasi
sotto la spinta della corsa, in rampicanti vivaci. La facciata era
spezzata da una fila di porte-finestre, ora rilucenti d'oro riflesso e
spalancate al vento caldo del pomeriggio... Il solo oggetto
assolutamente immobile nella stanza era un divano enorme su cui erano
posate come nella navicella d'un pallone frenato due giovani donne.
Erano vestite di bianco e con le gonne fluttuanti e drappeggiate come
se fossero appena ritornate da un breve volo intorno alla casa.

In una villa come questa, con quelle persone, Dorothy trascorre un
buon numero dei suoi fine settimana estivi negli anni Venti, quasi
sempre ubriaca, portandosi a letto chi capita, detestando la maggior
parte dei suoi occasionali commensali e partner di qualche ora.
Contraddittoria come sempre, nell'estate del 1937 Dorothy torna in
Europa, si ferma brevemente a Parigi (alloggia all'hel Meurice) dove
vede i Murphy, Hemingway. La accompagnano il suo secondo marito Alan
Campbell e Lilian Hellman, compagna dello scrittore Dashiell Hammett,
autrice del celebre "Piccole volpi". Tutti insieme decidono di partire
per la Spagna, dove si sta combattendo la Guerra civile che oppone i
difensori della repubblica alle truppe golpiste del generale Francisco
Franco. Vanno a Madrid che stata lungamente assediata, a Valencia
che la capitale della Spagna repubblicana. Dorothy vede gli aerei
della Germania nazista bombardare le case e le strade, un'esperienza
molto dura, dalla quale ricava una determinazione insolita per il suo
tormentato temperamento. Anche quando rientra negli Stati Uniti, a New
York e poi a Hollywood, continua ad appoggiare i comitati che sorgono
spontaneamente qua e lper la difesa della Spagna repubblicana e
della legalit Servira poco, purtroppo. Madrid cade nella primavera
del 1939, e il presidente americano Roosevelt si affretta a riconoscere il governo di Franco. Quel conflitto diventa una specie di prova generale della guerra che la Germania di Hitler e l'Italia di Mussolini combatteranno insieme
contro le democrazie occidentali.

Nessuno ha mai potuto stabilire con certezza se la Parker stata
davvero iscritta al Partito comunista americano o si limitata ad
appoggiarne dall'esterno l'attivit E' certo perche nell'aprile del
1951 due agenti dell'F.B.I si presentano nella sua casa di Hollywood
per interrogarla sulle sue preferenze politiche. La guerra fredda con
l'Unione Sovietica ha portato con sil fenomeno del maccartismo, dal
nome del senatore (repubblicano del Wisconsin) Joseph R. McCarthy, che
scatena contro i "rossi" una campagna di tale violenza da meritarsi
una mozione di biasimo dallo stesso Senato, nel dicembre 1954. Con
quel misto di arroganza e ingenuitcostipica del paese gli agenti
chiedono tra l'altro a Dorothy se ha mai cospirato per rovesciare il
governo degli Stati Uniti. Risponde: "Ragazzi, io non riesco nemmeno a
far stare a cuccia il mio cane, vi sembro il tipo che putentare di
rovesciare il governo?".
Molti dei suoi amici finiscono sulle famose liste nere: significa
perdere automaticamente il posto. In una riunione Dorothy e l'attore
Edward G. Robinson vengono proclamati traditori del paese. Nel 1955
viene convocata a New York per una testimonianza. Il capo
d'imputazione aver sostenuto e organizzato un comitato per i
profughi antifascisti che sarebbe in realtla copertura per un
organismo fiancheggiatore del Partito comunista. Nega su tutta la
linea, ammette solo di aver collaborato a raccogliere fondi, risponde
con garbo, molto elegante, i giudici ne restano colpiti. Il 15
aprile 1955 l'F.B.I archivia il fascicolo sul suo conto con la
seguente motivazione: "Nonostante le informazioni raccolte lascino
presumere attivitdi fiancheggiamento del Partito comunista negli
ultimi tre anni, e il soggetto possa pertanto essere incluso nelle
liste di sicurezza, la sua effettiva pericolositnon sembra tale da
meritare un trattamento del genere".
Ha fatto di tutto per essere presa sul serio, letto quel giudizio
non sa pise essere felice per la fine della persecuzione o umiliata
per il giudizio sul suo impegno politico.
Poi c' naturalmente, "The New Yorker". Uno dei piassidui
frequentatori della tavola rotonda dell'Algonquin un certo Harold
Ross che annoia spesso gli altri con l'idea fissa di dare vita a un
settimanale dedicato alla vita cittadina. Girano parecchi titoli
possibili, ma nessuno sembra pienamente soddisfacente: "Manhattan",
"New York Weekly", "Our Town", "Truth". Il vero titolo, quello che
diventercelebre, nasce quasi per caso un giorno che stanno pranzando
tutti insieme e si parla come al solito del progetto. Uno dei
presenti, l'addetto stampa John Peter Toohey, chiede tra un boccone e
l'altro di che cosa dovrebbe parlare questo settimanale. Ma della vita
a New York, risponde Ross. "E allora chiamatelo "The New Yorker""
butta lToohey tornando al suo piatto.
Le caratteristiche che lo renderanno un periodico di culto, compreso
il suo studiano snobismo e la scelta di argomenti alti, sono gi implicite nel progetto iniziale, ennesima conferma che i disegni
intellettuali, dai giornali alle case editrici, riescono bene se
vengono impostati con chiarezza, compresa la scelta del loro
"pubblico". Prendendo come metro di giudizio negativo un'ipotetica
"signora di Dubuque" che un po' l'equivalente americano della nostra
casalinga di Voghera, Ross ripete spesso: "Questo non sarun
settimanale concepito per la vecchia signora di Dubuque e non si
cureraffatto di ciche lei ne penser.
Anche quando Ross riesce a mettere insieme abbastanza denaro per far
partire il progetto, molti dei commensali dell'Algonquin continuano a
pensare che l'impresa sia destinata a un rapido fallimento. Dorothy
poi non nasconde di ritenere Ross un "quasi analfabeta che non ha mai
letto nulla e che nulla sa". La sua ignoranza, sibila, una specie di
Grande Canyon dell'ignoranza, di dimensioni tali che si quasi
costretti ad ammirarla "per la sua profondit. Racconta spesso che
una sera Ross l'ha portata a teatro a vedere un allestimento del
"Giardino dei ciliegi" di Cechov e che a un certo punto le ha stretto
il braccio sussurrando: "Di' un po', ma lo sai che questa commedia proprio bella?".
Con queste premesse, nessuno crede che il nuovo settimanale avr davvero un futuro. Tuttavia molti dei "Round tablers Dorothy compresa,
accettano di far parte del comitato di consulenza, salvo continuare a considerare Ross con molta sufficienza.
Quando esce il primo numero (21 febbraio 1925) con la famosa
copertina raffigurante il profilo di un signore dall'aria "blas",
cilindro in capo e monocolo incastrato nell'orbita (gli viene
affibbiato il nomignolo snob di Eustace Tilley), sono in parecchi a
storcere in naso e per i primi numeri nessuno dei "Round tablers"
firma sul giornale, con la sola eccezione di Dorothy che tiene per
qualche settimana la rubrica teatrale con lo pseudonimo di "Last
Night" (Ieri sera), fornendo anche novelle e brevi componimenti in
versi. Benchchieda a Ross di essere pagata per queste
collaborazioni, continua a considerare i suoi contributi poco pidi
un'elargizione graziosa, anche perchi primi numeri del settimanale
vanno malissimo e ci vuole molto tempo prima che "The New Yorker"
diventi il settimanale autorevole che poi sar con molti dei migliori
intellettuali - non solo americani - fra i propri collaboratori:
Francis Scott Fitzgerald, William Butler Yeats, Hannah Arendt, Luis
Borges, Isaac B. Singer, Woody Allen, Silvia Plath, William Carlos
Williams, Vladimir Nabokov, James Baldwyn. J.D. Salinger vi pubblica
una novella intitolata "Slight Rebellion Off Madison" che poi
diventerun capitolo del "Giovane Holden". Truman Capote anticipa
parti di un reportage su un caso di pluriomicidio nel Kansas che
diventeril suo clamoroso romanzo "A sangue freddo". Ma bisognerebbe
poi dire dei disegnatori Rea Irvin, Art Spiegalman, Roger Crumb,
Tullio Pericoli, Saul Steinberg, della clamorosa direzione di Tina
Brown, delle memorabili critiche cinematografiche di Pauline Kael.

Dorothy Parker anticipa di decenni comportamenti e conquiste, ma
anche frustrazioni, che tante donne conosceranno solo all'inizio degli
anni Sessanta con la rivoluzione femminista. Il suo linguaggio cos disinvolto da diventare non di rado indecente. E' curioso, osservano i
testimoni, sentirla parlare con la sua lingua cosricercata, un
accento impeccabile e poi prorompere d'improvviso in un'ingiuria o una
parola oscena ben collocata nel contesto. Il suo atteggiamento sessuale
ancora piscandaloso. Dopo il primo matrimonio con Eddie Parker, che
va messo in conto tra gli errori giovanili, i suoi rapporti con uomini
sono innumerevoli. Perfino quando in vacanza a Long Island in casa
di amici non esita a portarsi a letto qualcuno degli ospiti, cambiando
anche ogni notte e confondendo non di rado l'uno con l'altro. Di uno
dei suoi amanti, un certo Elmer Rice (ma il suo vero nome era
Reizenstein), non esita a dire pubblicamente che si trattato di uno
sbaglio, "anzi, per essere piesatti, della peggiore scopata della
mia vita". Uno dei rapporti pipatetici, per seguirla in questa
classifica, sicuramente quello con Scott Fitzgerald. Entrambi sono
sposati, lo scrittore con la tragica Zelda, bella e demente, lei con
Alan (l'uomo che sposerper due volte). Quando finiscono a letto sono
tutti e due cosubriachi che sono a stento capaci (o almeno Dorothy a stento capace) di ricordare ciche successo.
Quando Scott Fitzgerald muore a Hollywood a quarantaquattro anni,
dimenticato da tutti, certo d'avere fallito, Dorothy tra i pochi che
si recano a rendere omaggio alla salma prima che venga traslata a New
York. La colpisce la camera mortuaria nuda, quasi senza fiori, quasi
deserta. Sta per qualche attimo in raccoglimento, poi le vengono in
mente le parole pronunciate da uno dei personaggi al funerale del
grande Gatsby, la odono mormorare: "The poor son-of-a-bitch" (Povero
figlio di puttana). Quando l'esclamazione viene ripetuta in giro la
riprovazione generale, solo pochi si rendono conto che si tratta in
realtdi una citazione da uno dei romanzi dello scrittore, un rude
estremo atto d'omaggio e d'affetto.

Sia Fitzgerald che la Parker si trovavano a Hollywood, fabbrica del
divertimento di massa, col ruolo di sceneggiatori, lavoro di pura
routine che richiede poco pidella capacitdi riempire con le
battute piprevedibili gli spazi di dialogo. La sola ragione per la
quale tanti scrittori si sottoposero allora (e continuano oggi) a
questa prova umiliante il denaro. Nel periodo 1938-1941 Dorothy e
suo marito Alan mettono insieme la paga principesca di duemila dollari
la settimana. Lei parla con sdegno di tutto il denaro che riescono a
portare a casa ogni venerdpomeriggio, anche perchquei soldi, nonostante
la quantit si sciolgono tra le dita come cubetti di ghiaccio; si chiede
ogni tanto "se non sarebbe meglio vivere, invece di restare inchiodati
alla macchina a scrivere dialoghi degni di dementi".

Scrivere, appunto. Ho lasciato per ultimo il tema piimportante e
cioche tipo di scrittrice stata la Parker alla quale capitdi
muoversi sulla scena letteraria americana insieme ai giganti che in
quegli anni stavano fondando la moderna letteratura del paese. Dorothy
una scrittrice esile, compone faticosamente e come lei stessa ha
ripetuto le capita di aver bisogno di molte settimane per completare
un racconto, coscome le capita di "scrivere cinque parole e di
volerne cancellare sette".
Il suo primo racconto s'intitola "Such a Pretty Little Picture" che
potrebbe tradursi "Oh, che bel quadretto". Narra di un signore che
tosa l'erba del piccolo prato dietro casa, osservato con amore dalla
moglie e dalla figlia sedute sotto il porticato. Oh che bel quadretto,
pensano tutti quelli che passano davanti a quella scena di dolce vita
familiare. Ma nella sua testa il signore pensa solo che se ne avesse
la forza lascerebbe cadere la falciatrice e ne se andrebbe volentieri
alla stazione a prendere il treno delle 6,03 per non farsi vedere mai
pi finalmente libero. Dietro il personaggio del racconto gli amici
di Dorothy scorgono in trasparenza il ritratto di Robert Benchley,
l'uomo che non ha nemmeno immaginato di poter tradire sua moglie salvo
diventare, da un giorno all'altro, un accanito donnaiolo.
Ma dove Dorothy dil meglio nei poemetti satirici, che sono
minuscoli racconti in versi nei quali il suo spirito caustico morde
con ferocia e tempi perfetti. Do la versione originale inglese per non
privare il lettore delle adorabili rime dell'originale, di seguito una
traduzione italiana:

Lady, lady, should you meet
One whose ways are all discreet,
One who murmurs that his wife
Is the lodestar of his life,
One who keeps assuring you
That he never was untrue,
Never loved another one...
Lady, lady better run.

"Signora, signora se mai incontrassi un tipo con modi molto
discreti, uno che ti sussurra che la moglie la stella polare della
sua vita, che continua a ripeterti che non l'ha mai tradita nmai ha
amato un'altra... signora, signora, meglio che tu te la dai a gambe".

Dorothy tenta per tutta la vita di scrivere un vero romanzo, senza
riuscirvi. Scrive racconti e versi giocosi, irridenti, sarcastici,
quasi sempre perfetti. Il racconto pibello certamente "The Big
Blonde" che nell'anno in cui usc 1929, vinse il premio O. Henry per
la novella. E' fortemente autobiografico, narra il naufragio di una
ragazza semplice che piace molto agli uomini e li diverte, che beve
per essere allegra e cosfacendo crede d'ingoiare anche la sua
disperazione: "Si mise a bere da sola, a bicchierini buttati gi durante la giornata ... l'alcol addolciva gli angoli delle cose, le
permetteva di vivere come in una nebbia. La sua divenne una vita di
sogno". In un passo del racconto la protagonista medita il suicidio e
non riesce a risolversi:

Bella Bionda pensava sempre al giorno in cui avrebbe potuto smettere
i tacchi alti, tutto quel ridere, l'ammirare o far divertire qualcuno.
Come riuscirci? Buttarsi gino, la faceva star male. Le pistole non
riusciva a sopportarle. Quando a teatro uno degli attori tirava fuori
un revolver lei si tappava le orecchie e non guardava pifino a
quando il colpo non era partito. A casa non aveva gas. Fiss lungamente le vene azzurre nei polsi sottili, sarebbe bastato tagliare
lcon un rasoio e tutto sarebbe finito. Ma le avrebbe fatto molto
male e poi c'era tutto il sangue. Il veleno...

Eccetera.
Questo lugubre elenco corrisponde quasi alla lettera a un poemetto
dove Dorothy scrive: "I rasoi fanno male - I fiumi sono umidi -
l'acido lascia tracce - Le pillole danno i crampi - Le pistole sono
illegali - i cappi si rompono - il gas ha una puzza tremenda. - Tanto
vale vivere".
Di se stessa diceva: "Se fossi una persona seria sarei gimorta da
un pezzo".
Per la veritha provato a essere "seria". Per tre o quattro
volte tenta il suicidio: con i barbiturici e altri veleni, tagliandosi
le vene dei polsi con un rasoio lasciato a casa dal marito. Non ci
riesce mai e dobbiamo credere che ciavvenuto perchnon voleva
veramente finire cos insozzata dal proprio sangue, stravolta e
lordata dall'azione del veleno, con le ossa a pezzi su un marciapiede.
Infatti ogni volta organizza le cose, consapevole o no, in modo che ci
sia la possibilitdi salvarla, e cosavviene. Per tutta la vita
conserva questa attrazione per l'annientamento e anche se non riesce a
uccidersi, mette comunque il massimo impegno nel tentativo di
autodistruggersi lentamente. Pivolte (troppe volte) si dice certa
d'aver trovato l'amore, salvo scoprire dopo un periodo pio meno
lungo che non cos Un amico disse di lei: "E' innamorata dell'amore
come un filantropo che ama l'umanitma odia il suo vicino". Credette
di trovarlo, l'amore, anche dove non avrebbe dovuto cercare. A
trentotto anni si prende come amante un ragazzo di ventitr John
McClain, modesto giornalista alle prime armi che chiaramente si mette
con lei solo per facilitarsi l'ascesa sociale. Quando si conoscono lui
proclama con artificiosa ammirazione: "Ho letto tutto quelle che ha
scritto, bellissimo". E lei di rimando: "Grazie, gentile. Sa anche
leggere?". Sarcasmo difensivo in questo caso, dentro di sha gi deciso di cedere.
Alla soglia dei cinquanta prende come amante un certo Ross Evans che
ha meno della metdei suoi anni, ventitrdi meno. E dire che in pi d'una occasione ha ripetuto: sono convinta che saper fare l'amore bene
e con leggerezza sia una delle poche cose che distinguono gli uomini
dalle bestie. Parole, maschere, i fatti sono diversi. Certamente la
imparato a fare bene l'amore, di certo lo ha fatto raramente con
leggerezza, perchnell'amore cercava qualcosa che non poteva trovare.
Colpa dei suoi amanti o mariti, molto perdipeso dalla sua perenne
infelicit Anche per questo ho scelto, per chiudere il capitolo a lei
dedicato, l'ultima breve disperata poesia d'amore che scrive nel 1944,
quando ha ormai superato i cinquant'anni e molti malanni cominciano ad
affliggerla. Suo marito Alan, di undici anni pigiovane, rimasto in
Europa.
Lei vive quasi sempre sola, uscendo raramente, sospettando che lui
abbia chissquali avventure, come in effetti
Gli dedica idealmente questi quattro versi:

Only, for the nights that were,
Soldier, and the dawns that came,
When in sleep you turn to her
Call her by my name.

"Solo ti chiedo, per le notti che furono, soldato, e per le aurore
che vennero, quando nel sonno ti giri verso di lei, chiamala col mio
nome".
Dalla vendita delle sue proprietsi sono ricavati appena ventimila
dollari. Aveva disposto nel testamento che i suoi beni andassero al
leader delle minoranze nere Martin Luther King.


Pag. 279

XIII - Yiddish connection

Alle 10,15 del 25 ottobre 1957 l'italoamericano Albert Anastasia
attraversa l'atrio del Park Central Hotel ed entra dal barbiere. Siede
sulla comoda poltrona girevole di cuoio e il barbiere gli si avvicina
premuroso con un bell'asciugamano caldo e umido che ammorbidirla
barba rendendo pidolce la rasatura. Albert chiude gli occhi, si
rilassa, forse addirittura si assopisce con la sensazione rassicurante
di quel piacevole tepore intorno al volto. Se si fosse guardato
intorno avrebbe visto riflesso nello specchio l'ingresso di due figuri
ben vestiti, molto ben vestiti, cappello in testa e occhiali da sole:
chiaramente due tipi sinistri, due uomini in divisa da assassini.
Anastasia persi sente sicuro e non guarda, non si rende nemmeno
conto che il barbiere si allontanato di qualche passo dalla
poltrona, sente solo i primi spari, cinque in rapida successione, che
gli trafiggono la schiena e la base del collo, subito seguiti da altri
cinque, al petto questa volta, che lo fanno rovinare sul pavimento
tirato a lucido, sporcandolo di sangue.
Anche se ha cambiato nome, l'albergo ancora l oggi si chiama
New York Sheraton, si trova all'incrocio tra la Settima Avenue e la
Cinquantacinquesima Strada, a suo modo ha segnato la storia della
malavita e ne stato segnato. Un albergone tipicamente americano,
solido, pieno di ornamenti inutili, con un atrio vasto come il
piazzale d'una stazione, molti negozi, un continuo viavai di persone:
clienti, passanti occasionali, gente entrata per comprare qualcosa o
incontrare qualcuno. Guardando con attenzione si notano degli uomini
di corporatura notevole, generalmente rasati a zero, con addosso giacche
abbondanti che sembrano sacchi, appoggiati negligentemente a un
bancone o intenti a parlottare con un cameriere o stancamente fermi
accanto a una colonna come in attesa. In realtnon aspettano una
persona, aspettano che accada qualcosa, hanno un auricolare infilato
nell'orecchio e, come nei felini, la loro apparente indolenza si pu trasformare in un'improvvisa e rapida capacitd'azione. Sono i
poliziotti dell'albergo, la sicurezza interna, eroi eponimi che molti
di noi hanno conosciuto nei romanzi gialli degli anni d'oro.
Uomini come loro si trovavano nell'atrio anche in quella mattina di
ottobre del 1957; la loro presenza non impedche l'italoamericano
venisse assassinato. Anastasia era nato in Calabria nel 1903, a New
York aveva fatto rapida fortuna come uomo di mano e di coltello. Era
diventato talmente potente da riuscire, con apparente facilit a
scampare al braccio della morte di Sing Sing. Il principale teste
d'accusa un bel giorno scomparve e Anastasia uscdalla cella per
andare non verso il patibolo, ma verso casa. Faceva coppia fissa, se
cospossiamo dire, con Louis "Lepke" Buchalter, uno dei piattivi
boia della famigerata "Anonima Assassini" che secondo l'F.B.I aveva un
"fatturato" annuo di cinquecento omicidi.
A volerlo morto era stato forse Vito Genovese o forse Meyer Lansky;
nel primo caso per questioni di gerarchia e di divisione del potere,
nel secondo per questioni di concorrenza, ciodi suddivisione delle
quote di mercato. Cose dell'altro secolo. A distanza di tanti anni
nemmeno gli storici della mafia sono d'accordo sulle reali motivazioni
di quel delitto che fece srumore, ma in fondo rimase solo uno dei
tanti e viene ricordato soprattutto per la novitfantasiosa del luogo
in cui l'esecuzione venne portata a termine.
L'aspetto veramente curioso un altro: quel delitto venne commesso
quasi esattamente trent'anni dopo un altro assassinio, anche quello
eseguito nello stesso albergo. Infatti l'omicidio di Anastasia, anche
se poi diventato un modello, in realtla replica dell'assassinio
di Arnold Rothstein, una delle personalitpiaffascinanti della
criminalitnewyorkese, l'uomo che ha segnato il punto di svolta dal
quale scaturita la moderna malavita. La lontananza nel tempo crea attorno
ai personaggi un alone di leggenda, il momento in cui i fatti avvennero
assume oggi una rilevanza storica nell'economia in generale e in
particolare nei rapporti tra attivitlecite e imprese criminali.
Arnold Rothstein viene ferito mortalmente con un paio di colpi di
revolver il 4 novembre 1928 sulla soglia della stanza 349 di
quell'hotel, a pochi passi dalla porta che immette nella scala di
servizio e che avrebbe potuto essere la sua salvezza, se solo avesse
avuto il tempo di raggiungerla. Quando muore ha quarantasei anni ed sicuramente uno degli uomini pipotenti di New York, fino a quel
momento ha fatto da spartiacque tra il vecchio e il nuovo modo di
concepire e di organizzare gli affari criminali. Una storia
rocambolesca la sua, esemplare, spietata, piena di morti e di gesti
crudeli ma anche di risvolti inaspettati.

Non molti hanno sentito parlare di gangster ebrei e pochi credono che
siano davvero esistiti. La definizione gangster ebreo sembra
contraddittoria in sperchstride con gli stereotipi ebrei -
creature da banca, da set cinematografico, oppure scrittori, agenti di
cambio, venditori di stracci, musicisti - che tutto possono essere
meno che dei tipi con un mitragliatore in mano all'inseguimento di un
furgone portavalori. Sergio Leone tra i pochi che hanno provato a
darne un esauriente ritratto nel suo mitico film "C'era una volta in
America"; un altro famoso precedente risale al 1925, quando Francis
Scott Fitzgerald nel "Grande Gatsby" prese proprio Arnold Rothstein a
modello del suo Meyer Wolfshiem. "E' un personaggio di New York... uno
di Broadway" dice Gatsby al narratore Nick Carraway. "E' un attore?"
chiede Nick. "No". "un dentista?" "Meyer Wolfshiem? No, un giocatore
d'azzardo". Gatsby esita, poi aggiunge con tono cospiratorio: "E'
l'uomo che ha truccato i campionati mondiali del 1919".
Informazione probabilmente non vera, Rothstein stesso negper tutta
la vita che lo fosse. Ma anche ammessa la sua estraneitalle Wolrd
series del '19, ciche resta basta e avanza per costruire una
leggenda. Suo padre Abraham possedeva un negozio e una piccola impresa di filatura, aveva anche una magnifica barba e per la sua saggezza s'era
guadagnato il nomignolo di Abe il Giusto. I Rothstein abitavano "uptown",
nella parte pibella di Manhattan, che voleva dire non solo case migliori
ma anche strade pitranquille, vicini di un certo livello, un'esistenza dignitosa e rassicurante. Nel magnifico romanzo di Don DeLillo, "Americana",
descritta una scena che evoca questa versione newyorkese della
tranquillit

Dopo un po' arrivmio padre e io corsi a salutarlo. Si fermin
corridoio, corpulento e rosso in viso, a scuotersi la neve di dosso,
soffiando nuvolette di vapore. Dopo cena tornai alla finestra
sgranocchiando biscotti fatti in casa; Mary lavava i piatti; Jane
faceva un ritratto di mia madre a gesso su una lavagnetta; mio padre
sfogliava una rivista; il termosifone sibilava. Tutti quei rumori
nella casa tiepida, di acqua corrente e vapore, lo stridere del gesso
e il frusciare della carta, voci familiari e il muoversi del tempo
sull'orologio a pendolo del nonno, tutti quei suoni, le diverse
inflessioni della casa, vitali e confortevoli, mi dicevano che ero al
sicuro.

Queste righe sono a mio parere una delle migliori descrizioni
possibili della "pax domestica", negli Stati Uniti o ovunque nel
mondo. Il quadro che DeLillo ci mette sotto gli occhi basta da solo a
dare per intero l'idea di un tranquillo benessere in assenza di male.

Ad Arnold perpiace esattamente il contrario di questa tranquillit e dell'agiatezza che suo padre riuscito, spaccandosi la schiena, a
guadagnarsi. A quindici anni comincia a scappare di casa perchle
cose che ama di pisono le partite a carte e ai dadi. Ad Arnold non
piace la quiete della sua casa nla religiositfamiliare, preferisce
le sale piene di fumo, le notti agitate, le scommesse, le grida, e
fuori l'aria gelida della notte lungo le banchine dell'East River, gli
uomini che fanno balenare le pistole, le corse dei cavalli, le
ballerine. Un giorno di presenta a casa con una ragazza e dice a suo
padre che vuole sposarla. Abe le chiede che intenzioni abbia, dal
momento che loro sono ebrei e lei no; la ragazza risponde che non ha
alcuna intenzione di convertirsi. Il vecchio si limita a scuotere il
capo, dice: "Vi auguro di essere felici" e li lascia andare. Appena
sono fuori copre gli specchi e comincia a leggere il "Kaddish", le
preghiere dei defunti, perchper lui suo figlio come se fosse morto.
Erich Cohen, che di Rothstein ha scritto un bellissimo ritratto in
un libro dedicato alla mafia ebraica di New York ("Ebrei di mafia"),
assicura che Arnold "era di una bellezza tenebrosa, con la fronte
alta, il naso arcuato, gli occhi piegati verso il basso, le labbra
sottili e un neo sulla guancia sinistra". Se solo riuscisse a fermarsi
in quel momento Arnold ferirebbe ssuo padre, ma riuscirebbe
ugualmente ad avere molto, quasi tutto ciche una vita spesa
lavorando pudare. Decide invece di andare altrove e per giungervi
sceglie la strada che gli sembra pibreve, o forse la sceglie perch sembra la pirischiosa.

Il suo ingresso nell'aristocrazia della mala non lo segnano nle
pistole ni soldi ma il biliardo. Un giorno gli organizzano una
partita con un certo Jack Conway di Philadelphia; in realtuna
trappola, perchConway forse il miglior giocatore professionista
della costa orientale. La sala quella del Billiard Parlor di John
McGraw, accanto all'Herald Building. Non appena la notizia si diffonde
partono le scommesse e molti cominciano a calcolare quanto potranno
ricavare dalla sconfitta di quel giovanotto arrogante. Arnold tira il
colpo d'inizio nelle prime ore della sera di gioved la sala quasi
al buio, c'solo una forte luce sul tappeto verde, proiettata dalle
lampade a bilanciere collocate a picco sopra al tavolo. Intorno,
seduti o in piedi addossati al muro, ci sono molti fra i gangster pi importanti della citt I compari di Conway accettano scommesse da
chiunque sia tanto scriteriato da puntare su Arnold che, per inciso,
ha gipuntato su se stesso. Quando smettono l'alba del sabato, la
partita durata quarantacinque ore e gli uomini di Conway si trovano
sotto di diecimila dollari. Prima di sera la notizia ha fatto il giro
di tutte le bande della citt per Arnold una consacrazione, perch nel mondo della malavita affermazioni come queste contano quanto una
battaglia vinta.

I veri soldi Rothstein comincia a farli gestendo un casina
Midtown, una bella casa da gioco sulla Quarantaseiesima,
completa di roulette e banco di faraone; la frequentano clienti
importanti, gente pulita, la grande occasione. Dal suo ufficio
controlla non visto la sala attraverso uno spioncino, ogni tanto il
direttore entra a mostrargli un assegno o un "pagher e tocca a lui
decidere su due piedi se prudente o no accettarlo. Ci vuole intuito,
velocit senso della misura per prendere quel tipo di decisioni,
bisogna conoscere bene le persone, i loro affari, eventualmente i vizi
e comunque i retroscena, perchquando si sbaglia in cassaforte
finisce un impegno che non vale nemmeno la carta su cui scritto. Ci
sono perdei casi in cui conviene sbagliare, perchperdere un po' di
soldi meno grave che farsi un nemico troppo scomodo.
Gestire un casinsignifica anche mettersi al riparo dalla polizia e
dagli altri gangster, per la concorrenza ci vuole niente a rovinare
affari di quella delicatezza: una finta rissa, due colpi di revolver
sparati in aria, qualche bottiglia rotta e i clienti piin vista
scompaiono per non tornare mai pi Arnold sa scegliere la persona
giusta, si chiama Timothy Daniel Sullivan, ma tutti lo conoscono come
"Big Tim".

Sullivan nato nel 1863 a New York ed cresciuto in una zona
derelitta di case popolari e di criminalit i famigerati "Five
Points". Comincia la sua ascesa come deputato della Bowery al
parlamento dello Stato di New York e nel 1902 riesce addirittura a
farsi eleggere al Congresso federale a Washington. E' un uomo
corrotto? Sicuramente, lo sono tutti in quell'ambiente. Sullivan lo nel modo peculiare dei grandi demagoghi che, alla maniera dei signori
feudali, non distinguono tra disponibilitpersonale e ricchezza
pubblica. Per le sue mani passano enormi quantitdi denaro e nessuno
sa bene dove vadano a finire. Aiuta se stesso certo, ma anche i
bisognosi, il giorno del Thanksgiving regala in giro tacchini arrosto
che sono il piatto tradizionale di quella festa; distribuisce scarpe a
che ne ha bisogno, manda regali di nozze a chiunque glielo chieda,
controlla il Lower East Side come solo i grandi demagoghi sanno fare,
con un misto di complicit burbero paternalismo, sincera partecipazione al disagio dei meno abbienti, astuzia infallibile nel calcolare il proprio interesse. E' insomma un figura poderosa, colorita, benevola e minacciosa
nello stesso tempo. Sullivan incarna alla perfezione lo spirito di Tammany
Hall, ciol'organizzazione del Partito democratico a New York, un misto di
genuina volontprogressista e di forte vocazione agli oscuri
compromessi finanziari e legali. Di lui si dice che in quella zona
controlli il circuito della prostituzione e del gioco d'azzardo,
sicuramente possiede quote importanti di teatri, piste per il
divertimento a Coney Island, club atletici, possiede anche solidi
legami con la malavita. Insomma Arnold Rothstein ha scelto l'uomo
giusto e il gradimento deve risultare reciproco, se vero che un
giorno a chi gli chiede un giudizio su quel giovanotto raffinato fino
alla fragilit Sullivan risponde: Stategli vicino, date retta a me,
farete un sacco di soldi.
Il loro un patto perfettamente bilanciato, una di quelle rare
combinazioni di mutua utilitche sono garanzia di buoni rapporti nel
futuro: Sullivan assicura che Arnold non abbia grane con la legge,
Arnold s'adopera per finanziargli l'attivitpolitica. In poco tempo
Rothstein accumula una tale fortuna da trasformarsi nel finanziere
della malavita: sovvenziona qualunque progetto colpisca la sua
immaginazione, prende cosseriamente il ruolo di "banchiere" che
diventa il primo gangster che non si porti dietro i segni distintivi
del suo sporco mestiere - abiti chiassosi, grossi sigari puzzolenti,
cattive maniere. Nulla invece lo distingue da un qualunque uomo
d'affari della citt nl'abito, ni modi, nl'accento. Ma non questo e nemmeno la quantitdel denaro accumulato che ne rende
memorabile la figura; il vero picco della sua vita un altro. Se ci
voleva prontezza e intuito per dirigere un casin nell'occasione che
sta per arrivare Rothstein dimostra di possedere un ammirevole senso
della strategia, una straordinaria lungimiranza.

Rothstein stato un'eccezione o ha fatto parte anche lui d'una
regola? Quanto conta la mafia ebraica nella vita americana e di New York? L'elenco dei suoi dirigenti e dei suoi assassini formato, a parte Rothstein, da uomini che si chiamano Meyer Lansky, Lepke Buchalter, Dutch Schulz, Buggsy
Goldstein, Gurrah Shapiro, Tick Tock Tannenbaum e tanti altri. Tutte
persone che non solo violano la legge uccidendo, rubando, sfruttando
uomini e donne, ma fondano quella sotterranea economica del crimine
cresciuta da allora in modo cosprepotente da affiancare, nei nostri
anni, l'economia ufficiale.
Molte di queste persone sarebbero probabilmente diventate dei
delinquenti in qualunque circostanza; le condizioni in cui crebbero e
vissero la loro giovinezza indubbiamente li aiutarono a scegliere.
Proprio come era accaduto agli italiani, si trovarono anche loro ad
essere persone respinte dalla societbianca, anglosassone e
protestante (wasp). Non riuscendo ad entrare dalla porta principale
aggirarono l'ostacolo ed entrarono dalla porta sul retro - facendola
saltare in aria. E' abbastanza raro, in America, ottenere con il
lavoro ciche il paese promette; pispesso ci si riesce vendendo
pezzetti della propria anima, oppure strappandolo a viva forza. E
quando si arriva, a nessuno viene in mente di chiedere con quali mezzi
si riusciti, c'una specie di diritto postumo all'impunit
considerato da molti come una garanzia retroattiva. Succede
dappertutto, d'altronde, in America solo pievidente, come tutto il
resto.

Negli anni di cui parliamo molti di questi criminali si incontrano
in una zona di Brooklyn che si chiama Brownsville e in un angolo di
strada, tra Saratoga e Livonia, dove dorse una drogheria che fa un po'
da quartier generale e da luogo di ritrovo. Se la storia della
criminalitpotesse essere ricordata come quella ufficiale,
quell'angolo di strada, reso picupo dalla ferrovia che gli corre
sopra, dovrebbe essere considerato una specie di "historical
landmark", di monumento nazionale: lnegli anni Venti del Novecento i
sicari dell'Anonima Assassini venivano a fare due chiacchiere e a
parlare dei loro sanguinosi affari, ebrei e italiani insieme.
Brownsville non persolo patria di gangster. Emma Lazarus, la
poetessa che ha dettato i versi per la statua della Libert nata in
quel quartiere. Bolscevichi, liberi pensatori e vari eccentrici della
politica vi sono stati di casa. Vi sono nati o vi hanno abitato il
pittore Max Weber, il grande musicista Aaron Copland, l'impresario Sol
Hurok, l'attore Danny Kaye, il cui vero nome era Daniel Kaminski, perchanch'egli apparteneva a una famiglia fuggita dalla Russia e dai suoi pogrom.
Una delle strade principali del quartiere Pitkin Avenue e il Loew's Pitkin Theatre (all'angolo tra Pitkin e Saratoga Avenue, oggi un grande magazzino)
venne costruito nel 1925. Nove anni prima, nel 1916, nel quartiere s'era aperta la prima clinica per il controllo volontario delle
nascite; dursolo nove giorni, poi la Buoncostume la chiuse e arrest la fondatrice Margaret Sanger, tra le prime a sfidare in nome del buon
senso una legislazione arretrata.
Brownsville stato ed tuttora un quartiere degradato, nelle
strade sono stati allevati non pochi assassini professionisti, ma il
disagio, la povertdelle case, la scarsitdei mezzi hanno alimentato
anche imprese, ideali, illusioni pinobili quasi sempre condannate al
fallimento, come ogni utopia.

Un altro luogo cruciale di questa storia un vecchio palazzo sulla
Quindicesima Strada, a Coney Island. Luna volta c'era un ristorante
italiano famoso, Scarpato. Il ristorante non esiste pi ma rimasto
il colore e l'odore di un ambiente che la speculazione edilizia non ha
ancora ritenuto conveniente cancellare, sono rimaste le rovine: un
palazzo dalla facciata stretta con le finestre ad arco, patinato dal
tempo, alberelli stenti piegati dal vento dell'oceano.
Tutta una parte di Coney Island rimasta cos bisognerebbe andarci
d'inverno quando la sabbia intatta, modellata solo dal vento e la
luce di tramontana smalta d'un gelido azzurro l'oceano e ciche resta
di vecchi tiri a segno, di montagne russe sulle quali nessuno salir pio della vecchia torre dalla quale ci si poteva lanciare con il
paracadute. Rovine rugginose, in parte crollate, ma ciche rimane ha
il fascino di ogni archeologia compresa quella dello svago di massa,
perchlsorgeva una volta "il pigrande parco di divertimenti del
mondo", come era stato enfaticamente battezzato.
Anche il nome Coney Island deriva, come tanti a New York, da una
corruzione dell'olandese, sono stati i primi colonizzatori a chiamarla
"Konijn Eiland", ciol'isola dei conigli. Oggi c'
ancora qualche buon ristorante e d'estate i suoi quattro chilometri di
larghe spiagge sabbiose rappresentano per i meno abbienti l'evasione
da una cittsoffocata dall'afa. Il periodo d'oro lontano, c'stato
un momento, intorno alla metdell'Ottocento, in cui Coney Island era
considerato un raffinato luogo di villeggiatura, con il vantaggio di
non essere lontano da Manhattan. Ma a partire dalla fine del XIX
secolo l'andamento dell'economia e dei trasporti (nel 1920 arrivla
metropolitana) ha consentito l'accesso a gruppi sociali d'ogni genere:
gangster e famiglie con bambini, prostitute e gente che voleva solo
conquistare per qualche ora un metro quadrato di sabbia.
Negli anni di cui stiamo parlando, i Venti e i Trenta, Coney Island
diventa "The empire of the nickel", l'impero delle monetine, la
capitale del divertimento a basso prezzo, una delle massime
concentrazioni al mondo di passatempi popolari. Nelle domeniche
d'estate arrivavano a migliaia dai ghetti del Lower East Side e di
Harlem per vedere, magari da lontano, un po' di quel mare che molti di
loro avevano appena attraversato, rinchiusi nei ponti bassi delle
terze classi...

Nel suo libro "The Rise and Fall of the Jewish Gangster in America",
Albert Fried scrive che gli assassini professionisti erano gente
troppo rozza "per essere accomunati ai vertici della malavita occupati
dai Lepke e dai capi del sindacato, uomini che trattavano affari ad
altissimo livello". Louis Buchalter nasce a Brooklyn nel 1897 da una
coppia di ebrei russi che mettono al mondo, tra maschi e femmine,
quattordici figli. Sua madre lo chiama Lepkeleh, diminutivo yiddish
per Louis, gli amici accordano il nomignolo in "Lepke". Il suo primo
socio un altro ragazzo ebreo, rapidissimo di mano, che si chiama
Jacob Shapiro, detto "Gurrah". Lepke nato a New York, Gurrah invece
ci arrivato bambino proveniente da Odessa, patria dei gangster ebrei
brutali o farseschi di cui parla Isaac Babel' nei suoi "Racconti di
Odessa". I due formano una bella coppia: cominciano derubando povera
gente come loro, ma hanno un certo successo; un giorno Rothstein che
ha sentito parlare delle loro imprese li fa chiamare perchci sono
disordini in qualche fabbrica; bisogna sistemare le cose e riportare
tutti alla ragione.
E' la svolta della loro vita, ma lo anche per il movimento sindacale
americano.
Le prime lotte per il lavoro a New York si verificano nel campo dei
tessili e dell'abbigliamento, un settore, particolare curioso, che in gran parte nelle mani di ebrei ricchi. Uno dei primi sindacati
operai della cittsi chiama Unites Hebrew Trade Union. Quando, a
cavallo tra Otto e Novecento, cominciano i primi scioperi, i padroni
ebrei dell'industria chiamano i malviventi ebrei di Brooklyn e del
Lower East Side, li arruolano per "dare una lezione" ai pi irrequieti. Cominciano i pestaggi, gli incendi, i colpi di bastone o
di rivoltella, un clima di violenza che E.L. Doctorow ricorda cosnel
suo romanzo su quel periodo:

V'erano milioni di disoccupati. I fortunati che avevano un lavoro
avevano l'audacia di formare dei sindacati. I tribunali li
condannavano, i poliziotti gli rompevano la testa, i loro capi
venivano messi in prigione e gli altri prendevano il loro posto. Un
sindacato era un'offesa al Signore. Il lavoratore sarebbe stato
protetto e assistito non gida agitatori sindacalisti, disse un
milionario, ma dai buoni cristiani ai quali Dio, nella sua infinita
saggezza, aveva affidato il controllo della proprietin questo paese.
Comunque, se ogni altro mezzo si rivelava inefficace, veniva chiamata
la truppa.

Poi gli operai cominciarono a organizzarsi e per difendersi fanno
anche loro ricorso alla malavita, chiamando non di rado gli stessi
uomini in precedenza arruolati contro di loro dai "padroni". I
gangster si comportano con imparzialitda veri mercenari, lavorano
coscienziosamente per chi li paga anche se le loro simpatie vanno
indubbiamente agli operai: hanno abitato le stesse case, giocato nelle
stesse strade, sentito il morso della stessa miseria.
La lotta sindacale diventa una spirale alimentata dalla reciproca
violenza, da un diverso punto di vista un settore di attivitdi cui
possibile prevedere il rapido sviluppo. E' ciche fa Arnold
Rothstein, che ne calcola gli utili e decide di intervenire: organizza
le squadre, ordina i picchetti, manda gruppi di picchiatori a
bastonare i crumiri. Nessuno di loro un cavaliere dell'ideale,
ognuna delle parti agisce per i propri interessi: i padroni difendono
gli utili, gli operai lottano per il salario e l'orario di lavoro, i gangster lavorano per chi paga meglio e badano al potere.
I pisvegli tra loro capiscono anzi che la posta in gioco molto
pialta di quanto sembri e che, volendo, si putentare di passare
dal ruolo di mercenari salariati a quello di dirigenti e di padroni:
basta impadronirsi dall'interno di un sindacato per cambiare
radicalmente ruolo ed entitdei profitti. Si tratta non pidi andare
davanti a una fabbrica a dare randellate e a sparare, ma di sedersi
attorno a un tavolo per ingaggiare una trattativa dura, durante la
quale le pistole basterfarle intuire. L'inquinamento mafioso dei
sindacati americani comincia allora: sotto la direzione di Rothstein,
gangster come Buchalter e Gurrah Shapiro contribuiscono a fondarne
regole e procedure.

Una domanda che ci si posti di frequente perchautorite
polizia reagirono cosdebolmente e con un ritardo di anni a
un'offensiva criminale di quella portata. La corruzione di qualche
funzionario o anche di molti funzionari non basta a spiegare un tale
atteggiamento. Nel 1908 nasce un'agenzia, il Bureau of Investigation
(diventerFederal, cioF.B.I, solo nel 1935) con il compito di
contrastare i criminali che attraversino i confini dello Stato nel
quale il delitto stato commesso. Per ragioni mai interamente
chiarite il leggendario J. Edgar Hoover, che rimasto per quasi mezzo
secolo il capo e quasi il padrone dell'F.B.I, ha combattuto poco e
male la mafia, arrivando anzi al punto di negarne l'esistenza. Quali
le ragioni di una tale riluttanza da parte di un uomo che stato
quanto di pivicino a un "ministro di polizia" gli Stati Uniti
abbiano mai avuto? Una spiegazione possibile che davvero Hoover non
abbia creduto all'esistenza di una criminalitorganizzata a livello
interstatale: "Sono solo un branco di furfanti" dichiara una volta ed
possibile che pensi di dire la verito un'approssimazione
sostenibile della verit In questo caso si tratterebbe di un errore
professionale, forse agevolato dal fatto che comportava sicuramente
dei rischi valutare il fenomeno criminale per ciche realmente stava
diventando. Secondo Stephen Fox, studioso del fenomeno, Hoover
preferiva dare la caccia a piccoli delinquenti senza protezione e a
innocui personaggi della sinistra politica, perchaffrontare la grande delinquenza avrebbe significato spendere immense risorse senza certezze sul
risultato.
Esiste poi una possibile spiegazione politica: i mafiosi lo
interessavano meno dei bolscevichi e dei sostenitori dei diritti
civili che considerava il vero pericolo per gli Stati Uniti. Hoover
era permeato del pisincero e angusto conservatorismo, sia politico
che caratteriale, tra un gangster e un agitatore politico preferiva
perseguire il secondo nell'interesse del paese e dei suoi cittadini.
Fin qui siamo sul terreno degli errori di tipo per cosdire
ideologico. Esistono anche possibilitpeggiori. Hoover era un forte
scommettitore alle corse dei cavalli. Almeno una volta alla settimana
lo si poteva vedere in qualche ippodromo dove si faceva fotografare
con un bollettino da due dollari in mano mentre i suoi uomini
piazzavano altrove scommesse da duecento dollari. Le sue informazioni
arrivavano da Walter Winchell che a sua volta le riceveva da un grosso
allibratore clandestino di New York; secondo altre fonti, le puntate
giuste arrivavano direttamente da Frank Costello. In parole povere il
capo delle guardie faceva scommesse usando le informazioni che gli
procurava il capo dei ladri.
Un'ultima spiegazione possibile riguardava la sua vita e le sue
debolezze private: Hoover era ammalato di travestitismo, nei suoi
momenti segreti indossava calze a rete, mutandine nere, reggiseni
provocanti, si trasformava in una donna, o nella sua parodia. E'
possibile che la mafia sapesse, che lo avesse addirittura fotografato,
che lo tenesse insomma in pugno con gli stessi strumenti che Hoover
usava nei confronti di altri potenti, dalla Casa Bianca in gi Quale
che sia le veritil risultato non cambia. Fino a quando la lotta tra
gang mafiose non degenerin massacri reciproci, fino a quando la
pressione della pubblica opinione e di una parte della stampa non
diventcosforte da non poter piessere ignorata, il contrasto
federale verso i delinquenti rimase debole.

All'inizio degli anni Venti Arnold Rothstein viene avvicinato da due
piccoli spacciatori, Waxey Gordon e Maxie Greenberg,
che gli confidano d'aver escogitato un sistema per aggirare la legge
che vieta le bevande alcoliche. Proibendo la vendita e il consumo di
alcol, su pressione del clero e delle organizzazioni femminili, il
governo ha consegnato un affare legittimo nella mani dei criminali e
Rothstein fra i primi a capire le colossali dimensioni dell'affare,
nonchla singolare circostanza che un commercio di quel tipo, anche
se illegale, putrasformare un gangster intelligente in qualcosa di
molto simile a un qualunque uomo d'affari. Con o contro la legge, le
regole e le qualitindividuali sulle quali si fonda l'economia di
scambio non cambiano di molto, in ognuno dei due casi servono
ipocrisia, violenza e avidit
Quando Rothstein incontra di nuovo i due piccoli lestofanti gli dice
che sosterril loro piano ma a modo suo, e che tanto per cominciare
invece di finanziali li assumerdirettamente. Gli anni che lasceranno
una cosvasta ereditnella letteratura, nel cinema e nella musica
cominciano con una nave carica di whisky in arrivo dall'Inghilterra,
che ormeggia a circa tre miglia da Montauk Point, estremitorientale
di Long Island. Rothstein s'preparato all'appuntamento comprando sei
motoscafi piveloci delle vedette della Guardia costiera. Ha anche
fatto predisporre una serie di camion e gli uomini adatti a guidarli e
a difenderli, tutti ebrei o italiani. Il loro compito di trasportare
la merce da Montauk a un magazzino situato a Brooklyn. Bisogna
conoscere la zona di Montauk per immaginare la scena.
L'estremitdell'isola ancora oggi una pagina di romanzo, uno
scenario di film che sembra arrivato fino a noi da tempi sfumati nella
leggenda: spiagge brulle, gabbiani, la sagoma tozza del faro, una
vegetazione bassa e arida battuta notte e giorno dal vento, il tipico
paesaggio del New England con le case bianche, i prati verdi, i boschi
che d'autunno bruciano nel rosso delle loro foglie e il mare
eternamente grigio, coslontano e diverso dal Mediterraneo. Tra i due
bracci di terra con i quali Long Island termina sono racchiuse alcune
isolette, la maggiore si chiama Shelter Island perchin anni lontani
era davvero un "rifugio" contro le tempeste o possibili inseguitori.
In quelle anse tra mare e terra, quasi una laguna, la furia
dell'acqua si stempera, la vegetazione arriva a lambire le onde che si
spengono tenui contro le rive basse, si sente nell'aria un tempo
sospeso ed probabilmente in posti come questi che la costa orientale
degli Stati Uniti offre il meglio di s
In questo paesaggio cossimile al primo che videro sbarcando i
padri pellegrini, Rothstein fonda il gangsterismo moderno che mescola
la sua forza, i suoi trucchi e i suoi utili a quelli dell'economia
ufficiale. I suoi camion partono nella notte in colonna, lasciandosi
dietro una scia di polvere e di sabbia, attraversano coltivazioni
estese, fattorie isolate, binari, incroci deserti, chiese dal
campanile aguzzo come una matita. Il trasporto dell'alcol di
contrabbando segna un capitolo nuovo nella storia criminale e nello
stesso tempo fa da battistrada a quello che negli anni che verranno,
cioi nostri, diventeril grande commercio mondiale degli
stupefacenti.
Trasportare whisky un'impresa piena di rischi, lo sbarco delle
casse comincia con le prime ombre della notte, il trasporto via terra
deve avvenire prima che spunti l'alba. La polizia della provincia si
pufacilmente corrompere, a volte per far chiudere gli occhi a una
pattuglia non sono nemmeno necessari i denari, basta tirare fuori un
paio di bottiglie. Il vero pericolo infatti non la polizia, sono gli
altri gangster che quando si rendono conto di quale tesoro liquido
scorra nel buio lungo le strade di Long Island, cominciano ad
assaltare i convogli e bisogna imparare a difenderli a raffiche di
mitragliatore.
La violazione della legge sul proibizionismo diventa nelle mani di
Rothstein l'equivalente di un'impresa commerciale, comporta una serie
di attivitcomplesse quanto quelle industriali e molto pirischiose,
in grado per se condotte a buon fine, di far capire a tutti in che
modo si possano mettere insieme montagne di denaro.
Va bene, il nomignolo di Arnold divenne "Mr Big" o anche "The
Brain", il cervello. Non per questo si conquista particolari simpatie,
le persone come lui fanno un po' paura e tutti aspettano un passo
falso per potergli assestare il colpo definitivo. "I delinquenti lo
odiavano" riveluna volta Nils Granlund, un personaggio di Broadway
"perchfinanziava sia i contrabbandieri sia i pirati che li derubavano".
Un equilibrio cosdifficile non pureggersi a lungo, infatti non regge,
benchil potere di controllo del "boss" si estenda dal gioco d'azzardo alla
borsa, alle scommesse, al traffico di droga. Rothstein un uomo
potente e temuto, anche se vive con il cruccio costante di non essere
veramente apprezzato dalle persone "perbene". Sua moglie Carolyn disse
una volta: "Mio marito preferiva essere notato da una celebritche
guadagnare cinquantamila dollari".

Arnold Rothstein finisce come finiscono spesso i grandi criminali,
con una morte violenta e misteriosa a quarantasei anni. Nella notte
del 4 novembre 1928 il suo corpo bucato da una pallottola viene
ritrovato nella stanza 349 del Park Central Hotel, lo stesso albergo
da cui questo capitolo cominciato. Quando i poliziotti gli chiedono
chi l'abbia conciato in quel modo risponde, per perfetto stile della
malavita: "Non intendo commentare i fatti, me ne occuper personalmente". Non riuscira farlo, la ferita grave e Arnold cade
in un delirio dal quale non uscirpi
Al suo funerale partecipano tutti quelli che contano nell'ambiente,
compresi forse coloro che ne hanno ordinato l'assassinio; succede. In
prima fila c'sua padre Abraham con il capo coperto dallo scialle di
preghiera, che recita per la seconda volta il "Kaddish" per suo
figlio.

Tale l'eco di quella morte che, un anno dopo, la campagna
elettorale per l'elezione del sindaco di New York viene in buona parte
giocata sul suo nome. Il sindaco Walker, democratico, si presenta per
ottenere un secondo mandato. Il suo sfidante un giovane repubblicano
che si chiama Fiorello La Guardia. L'italoamericano sostiene che
Walker sa benissimo da chi e perchRothstein stato ucciso, ma che
non pudirlo per non far scoppiare uno scandalo politico di
proporzioni inaudite. La Guardia esibisce anche una lettera che
dimostra come Rothstein abbia prestato ventimila dollari a un
magistrato che stato il coordinatore della campagna di Walker nella
comunititaliana del Bronx. Una brutta storia che non serve a nulla.
Gli elettori non hanno mai molta voglia di studiate le carte
o di approfondire le questioni, preferiscono essere sedotti o farsi
guidare dall'istinto che molto spesso cieco.
Walker vince le elezioni con largo vantaggio; il momento di La
Guardia non ancora arrivato. Insieme a lui viene eletto procuratore
distrettuale (in Italia diremmo procuratore generale della Corte
d'appello) un altro democratico, Thomas C. Crain. Durante la campagna
ha promesso di risolvere in due settimane il giallo della morte di
Rothstein. Una volta eletto non fa assolutamente nulla.

Questa la storia di Arnold Rothstein. New York stata fatta anche
dalle imprese di uomini come lui, dal sangue da loro versato, dalle
violenze esercitate. Molte cose su quegli uomini e quegli anni le
sappiamo percha un certo punto alcuni gangster si convinsero o
furono forzati a parlarne. Cominciun certo Abe Reles, la prima
"spia" o, come si dice in Italia, il primo "pentito", molti seguirono.
In poche settimane i federali avevano riempito di nomi, cifre e
indirizzi decine di taccuini. Secondo lo scrittore Erich Cohen, che ha
studiato il fenomeno, Reles e gli altri si comportarono un po' come
Giuseppe Flavio, l'ebreo che dopo aver combattuto Roma divenne un
"cives romanus" e scrisse "La Guerra giudaica". Come il libro di
Flavio anche le vicende di questi gangster sono una delle poche cose
che tengono insieme il passato, fanno luce su una parte confusa della
storia ebraica negli Stati Uniti. "In fin dei conti" afferma Cohen "le
spie distrussero i propri amici, ma hanno fatto sopravvivere la
leggenda".

Rothstein ha avuto un successore, il gangster Meyer Lansky che
qualcuno ha definito "il principale architetto del crimine
organizzato". Dopo la scomparsa di Rothstein diventa lui il
finanziatore della principali attivitcriminali, l'uomo che ricicla
montagne di denaro sporco. Lansky dirige la pigrossa organizzazione
di scommesse clandestine e di gioco d'azzardo di New York, tra i suoi
clienti ci sono uomini molto importanti che si indebitano al gioco e
che lui pumanovrare con facilit Quando la sua posizione a New York
si consolida, estende la sua influenza a Cuba e alle Bahamas.
Meyer alto un metro e sessanta, lo chiamano "il tappo", uno di
quegli uomini brevi che ribollono d'ingegno e d'energia. Nel 1970
viene a sapere che sarpresto incriminato per evasione fiscale.
Abbandona a precipizio Miami, dove vive, per rifugiarsi in Israele,
fidando sulla "legge del ritorno" che garantisce la cittadinanza a
qualsiasi ebreo rimetta piede nella terra dei padri. Nel suo caso la
legge non viene applicata e nel novembre del 1972 Lansky deve
riprendere l'aereo per atterrare di nuovo a Miami, dopo aver tentato
invano di trovare rifugio in qualche paese dell'America Latina. Va
sotto processo e viene assolto, muore nel 1983 a ottantun anni,
d'infarto.
Grande lusso per un gangster morire d'infarto, forse il pigrande
di tutti.


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XIV - Un amore a Sutton Place

C'un angolo di New York dedicato alla memoria di Marilyn Monroe. E'
una delle zone pibelle della citt in una mattinata di sole le
facciate quasi bianche dei palazzi acquistano una pastositcremosa.
In una cittche muta di continuo quell'angolo sembra fermo nel tempo;
l'agiatezza ha fatto il miracolo, la sua patina evoca anni che non
torneranno, un modo di vivere e di essere che oggi sembra
lontanissimo. In quelle strade si sono svolti fatti legati al fascino
di una donna che morendo in circostanze oscure, a soli trentasei anni,
si fissata nella memoria del mondo come uno dei piperfetti miti
della bellezza femminile. Se Marilyn non fosse morta a Los Angeles in
quella notte d'agosto di tanti anni fa, se oggi la sapessimo viva in
una qualche dimora della California, donna ormai anziana che avrebbe
compiuto settantaquattro anni allo scadere del secolo, la sua
presenza, la sua immagine, avrebbero la stessa vivezza? Ci sono altre
attrici che come lei hanno incarnato l'idea mitica della bellezza.
Oggi invecchiano sotto i nostri occhi e nel nostro rispetto, ma l'aura
scomparsa; le ha restituite alla normalitdell'umano destino il
progressivo appannarsi del dono che per qualche anno hanno posseduto.
In una vita in cui molto le venne dato e molto negato, Marilyn
Monroe ha sicuramente avuto il dono di morire cara agli dei, come
dicevano gli antichi, lasciandoci una sua immagine fissata per sempre
come le statue della Grecia o i dipinti del Rinascimento italiano.
Marilyn Monroe ha vissuto a New York a piriprese, nel 1955 prende
alloggio al Waldorf Astoria su Park Avenue, ma in quello stesso anno e
fino al 1956 divide con Arthur Miller una vera casa, al numero 2 di
Sutton Place South, sicuramente uno dei migliori indirizzi della
citt edificio maestoso, rigidamente sorvegliato, un atrio coperto
per le vetture, comodo in caso di pioggia. Forse perchnon erano
ancora sposati, quel momento iniziate del loro rapporto ha una
particolare intesit le incomprensioni, i dissapori, l'autentica
infelicitsarebbero venuti dopo. Nel giugno del 1956 Miller ha
ottenuto il divorzio, a Reno nel Nevada, dalla prima moglie Mary Grace
Slattery, un amore giovanile cominciato sui banchi dell'universit
Divorziare in Nevada era d'una facilitquasi comica; tuttavia era
necessario aver risieduto nello Stato per almeno due mesi. Miller
prende in affitto un cottage a Pyramid Lake da dove per a costo di
mettere a repentaglio l'esito della causa, si allontana ogni fine
settimana per andare a trovare Marilyn che sta girando "Bus Stop" a
Hollywood. Subito dopo la sentenza e finite le riprese, Arthur e
Marilyn tornano insieme a New York, prendendo alloggio in giugno a
Sutton Place. E' la loro vera luna di miele, anche se agitata dai
rispettivi progetti di lavoro e dai primi screzi di una vita in
comune.

Alla fine di giugno del 1956, subito dopo il divorzio di lui, Miller
e la Monroe si sposano, e per l'esattezza si sposano due volte. La
prima con rito civile, a White Plains nello Stato di New York. La
seconda, pochi giorni dopo, a Katonah (New York) davanti al rabbino
Robert Goldberg, con rito ebraico. Miller ricorda nelle sue memorie
che la giornata venne funestata da un orribile incidente d'auto. Una
giornalista che seguiva la coppia lungo alcune strade di campagna del
Connecticut sbandin curva, rimanendo uccisa. Marilyn soffrdi
quella morte interpretandola come un sinistro presagio.
La loro vita in comune appassionante, movimentata, esposta alla
curiositdei media, contiene episodi di reciproca ferocia.
Nell'autunno di quello stesso anno i coniugi Miller si trasferiscono a
Londra, dove Marilyn deve girare "Il principe e la ballerina" con
Laurence Olivier, tratto da un precedente lavoro
di Terence Rattigan (The Sleeping Prince). Arthur invece prepara la
prima londinese del suo "Uno sguardo dal ponte" che apriril 12
ottobre al Comedy Theatre, con la regia di Peter Brook.
Nell'autobiografia Miller scrive d'aver immaginato il suo matrimonio
come un sodalizio "dove ognuno di noi avrebbe fatto il suo lavoro
traendo forza dalla presenza dell'altro e ora sembrava che tutto
questo stesse diventando vero". Se sincero scrivendo queste righe,
se davvero lo scrittore ricava dai loro primi mesi di convivenza
questa convinzione, ciche accadrin seguito dovrdisilluderlo. La
stessa permanenza a Londra funestata da una serie di fastidi solo
all'apparenza di poco conto, in realtprime avvisaglie di una
situazione che finirper diventare insostenibile.
Il film che Marilyn sta girando, e di cui tra l'altro produttrice,
una di quelle commedie leggere che in altri tempi sarebbero state
definite "operette". Basta perquel minimo distacco rispetto al
repertorio che le stato abituale fino a quel momento per scatenare i
pettegolezzi e le cattiverie della stampa, anche perchla prima
volta che l'attrice americana recita accanto a un maestro del teatro
europeo. Alcuni giornalisti scrivono a chiare lettere che si tratta di
un errore di cast poichOlivier rappresenta il teatro drammatico
scespiriano e lei, Marilyn "poco piche una modella di quasi
pornografica fotogenia".

Molti degli equivoci e dissapori, delle vere umiliazioni che
metteranno a rischio il matrimonio e la stessa vita di Marilyn, sono
givisibili. Olivier, che cura anche la regia del film, tratta la sua
partner con blanda condiscendenza. Nonostante il garbo ostentato, o
forse proprio per questo, Marilyn si sente appena tollerata dal grande
interprete. Per ripicca comincia a dire agli amici, a suo marito, a se
stessa, che la sola ragione per la quale l'attore inglese l'ha voluta
sono gli incassi di botteghino che la sua presenza assicureral film.
Non uno dei soliti battibecchi fra attori di cui piena la storia
dello spettacolo; il loro gioco venato di crudelted lo stesso
equilibrio psichico di Marilyn a risentirne. C'di mezzo il suo
desiderio di essere considerata non solo un corpo ma un'attrice e una
donna e la sua disillusione quando si rende conto che le regole di una
produzione britannica non sono poi cosdiverse da quelle che vigono a
Hollywood. A un livello piprofondo, se dobbiamo credere a ciche
scrive suo marito, si tratta addirittura della sua "sorda lotta
sotterranea contro ciche ritiene essere il suo destino".
Arthur Miller cerca di rimediare come pualla situazione, e forse
eccede in diplomazia: troppo blando, si barcamena, comunque sbaglia.
Marilyn si aspetterebbe da lui un appoggio totale che invece non c'e
dalle reazioni di Arthur, che giudica fiacche, deduce che suo marito
probabilmente condivide la scarsa stima che l'inglese le dimostra;
forse anche per Arthur lei soltanto uno splendido corpo. E' facile
dire che in ogni coppia equivoci come questo si possono verificare e
fanno per cosdire parte della normalit In questo caso non siamo
nella normalit nella fragile psiche di Marilyn comincia un lavorio
sordo, un rovello che non l'abbandonerpi Anna Freud la giudicher psicologicamente in questi termini: "Emotivamente instabile,
fortemente impulsiva, bisognosa di continue approvazioni da parte del
mondo esterno; non sopporta la solitudine, tende a deprimersi di
fronte ai rifiuti; paranoie con tratti schizofrenici" (cosla cita
Luciano Mecacci nel "Caso Mrilyn").
Miller stesso scrive: "In qualche occasione ebbi modo di difendere
Olivier o di sottolineare l'ingenuitdelle illusioni di lei; il
risultato fu che Marilyn comincia dubitare dell'assolutezza del mio
appoggio in quello scontro". E' una pagina bellissima, da grande
intellettuale, lucida fino al cinismo, quella in cui lo scrittore
analizza gli equivoci di quelle settimane londinesi. La sua
"sincerit arriva al punto di ammettere che nel prendere "talvolta"
(o sarstato "spesso"?) posizione per l'inglese contro sua moglie,
"non potevo ignorare la grandezza di Olivier. A New York avevo visto
il suo "Oedipus rex" che era stata una delle mie piprofonde
esperienze teatrali. Mi era semplicemente impossibile credere che si
fosse trasformato in quel volgare ladro di scene di cui lei parlava".
Cosinvece Marilyn descrive il suo collega e regista: un uomo che
cerca di portarle via la scena "civettando continuamente", ciotentando di sedurre il pubblico distogliendone l'attenzione dalla sensuale presenza di lei. Sono portato a credere che nella disputa avesse ragione Marilyn; non esiste attore, grande o piccolo che sia, che non cerchi sempre, per istinto o per calcolo, di rubare la scena a chiunque altro gli sia vicino. In quel caso
poi Olivier era sicuramente sollecitato dalla difficoltdella sfida:
mettere in gioco il suo mostruoso talento contro l'altrettanto
"mostruosa" seducente bellezza di lei. In ogni attore si nasconde
sempre, come ha testimoniato e ripetuto cento volte Vittorio Gassman,
il guitto pronto a tutto per avere su di si riflettori e gli
applausi.

Non tutto, non sempre, cosaspro e ambiguo. Ci sono state tra
Arthur e sua moglie anche i momenti di tenerezza, di passione, di
confidenza. "Ogni volta che arrivavo sul set" confessa Miller "vedevo
il suo sguardo illuminarsi". Accade anche, di domenica, mentre siedono
sul prato della villa che la produzione ha preso in affitto per loro a
Egham, pochi chilometri da Londra, che Marilyn confidi al marito i
suoi progetti dicendo di voler frequentare, una volta tornata a New
York, corsi di storia e di letteratura. Immagino che cosa dev'essere
stato per lei il tormento di stare a cena con Arthur Miller e Laurence
Olivier e sentirli fare nomi o parlare di cose che ignora. Mi
piacerebbe, dice in quelle uggiose domeniche inglesi, imparare come le
cose sono arrivate ad essere ciche sono; vale la pena di ripetere la
frase nell'originale perchsembra di udire la sua voce mentre
pronuncia quelle parole: "I'd love to learn how things got be how they
are".
Propositi vaghi, frutto della malinconia domenicale, non trovermai
il tempo o la serenitper metterli in pratica e chissse ne ha mai
avuto davvero voglia.
Dopo Londra viene una breve luna di miele in Giamaica (gennaio
1957), poi di nuovo New York. Il nuovo alloggio si trova a pochi passi
dal primo, si puanzi dire appena girato l'angolo: al numero 444 Est
della Cinquantasettesima Strada. E' un bel palazzo con un portale
maestoso di tipo europeo, in una strada molto larga che per la sua
ampiezza e l'orientamento diventa, nelle ore del mattino,
particolarmente luminosa. A pochi passi da quel portone, la strada
termina con un'elegante terrazza che affaccia sul fiume; sulla sinistra si scorgono la piccola teleferica che porta a Roosevelt Island, le trine del Queensboro Bridge.
E' probabile che la scelta di Marilyn di abitare in questa zona di
Manhattan derivi dal fatto che al numero 36 di Sutton Place South,
altro indirizzo di grande prestigio, distante poche decine di metri
dagli altri due, Marilyn aveva girato nel 1954 "Come sposare un
milionario" con Betty Grable e Lauren Bacall. E' un fatto che
l'attrice continuera tenere l'appartamento al numero 444 della
Cinquantasettesima Strada anche dopo il divorzio da Arthur Miller, che
sarpronunciato nel novembre 1960. Una convivenza di quattro anni e
mezzo sembrer a tutti e due, un'esperienza piche sufficiente.

Arthur Miller stato un uomo importante nella vita di Marilyn e in
ogni caso colui con il quale ha avuto il rapporto ufficiale pilungo.
Il suo primo matrimonio nel 1942 a diciassette anni con James
Dougherty era stato solo un patetico espediente per uscire
dall'orfanotrofio in cui aveva passato parte della sua giovinezza e
che segnerla sua vita. Il matrimonio con il campione di baseball Joe
DiMaggio dura anagraficamente solo pochi mesi, dal gennaio all'ottobre
del 1954, anche se il loro rapporto sopravvive in realtal divorzio e
in pidi un'occasione Marilyn dichiara che, fra i tanti, DiMaggio stato il migliore amante che abbia conosciuto. La sua importanza nella
vita di Marilyn non limitata dal resto all'aspetto sessuale.
DiMaggio l'uomo pivicino a lei dopo il divorzio da Miller, sar lui a occuparsi dei suoi funerali stabilendo chi puassistervi, tra
gli ex mariti o amanti probabilmente quello che proveril pi sincero dolore. Una delle cose che bisogna apprezzare in lui di
essere stato uno dei pochi uomini importanti nella vita dell'attrice a
non rivelare in pubblico o comunque a non rendere noti i dettagli
della loro relazione.
Il giorno dopo la morte (la data ufficiale stabilita dal medico
legale 3,50 a.m. 5 agosto 1962) sulla scrivania di Marilyn stata
trovata una lettera incompiuta a Joe che cominciava: "Caro Joe, se
solo riuscissi a renderti felice, sarei riuscita nella cosa
pigrande e difficile che ci sia - ciorendere una persona
completamente felice. La tua felicitvorrebbe dire la mia, e...".
Queste righe cosscopertamente patetiche, commoventi nella loro
povert sono una specie di testamento spirituale di una donna che a
trentasei anni si esprime con il candore e la semplicitdi
un'adolescente. Anche se non sapessimo nulla del resto basterebbe
forse quest'ultimo messaggio incompiuto per dirci con quale semplicit di spirito Marilyn ha affrontato le prove che la sua radiosa bellezza
le ha imposto. Secondo molti biografi nell'estate del 1962 lei e Joe
stavano addirittura progettando di risposarsi; secondo alcuni Marilyn
aveva addirittura cominciato a pensare all'abito da indossare per le
nozze.

Il rapporto con Arthur Miller al confronto, luciferino. Marilyn e
Joe si sentivano vicini nella semplicitdei gusti, nel modo in cui
concepivano la vita, nella naturalezza con cui sceglievano le cose di
cui parlare. DiMaggio veniva dagli ambienti dell'immigrazione
italoamericana, Arthur Miller dalla pisofisticata intellighenzia
ebraica, frequentava gli ambienti radicali newyorkesi di cui con ogni
probabilitMarilyn e Joe avevano a stento sentito parlare.
Secondo la versione accreditata dallo stesso Miller, lui e Marilyn
si erano conosciuti nel 1951, presentati dal regista Elia Kazan (di
cui l'attrice era in quel momento l'amante) sul set del film
"L'affascinante bugiardo". Miller confessa apertamente d'aver
avvertito, mentre le stringeva la mano, e nonostante una certa
malinconia che irradiava da lei, "come una scossa provocata dal
movimento del suo corpo". La spiegazione di questo turbamento sta
nella ripresa alla quale lo scrittore aveva appena finito di
assistere. Rivestita da un abito molto aderente Marilyn aveva
attraversato la scena attirando su di sgli sguardi di tutti:
"L'avevano ripresa da dietro per mettere in risalto la sinuositdei
suoi fianchi. Un movimento cosfluido da sembrare comico". In realt non c'era niente di comico e quell'aggettivo sembra messo lpiche
altro per alleggerire il racconto dell'emozione provocata in quel
momento da una tale "sinuosit. Del resto l'attrazione provata dallo
scrittore era stata tale da spingerlo ad anticipare il ritorno a New York,
nel timore di tradire sua moglie.
Pivolte nella sua lunga e abile confessione Miller torna sulla
malinconia di Marilyn. Un giorno, in uno dei suoi frequenti momenti
d'irruente franchezza, lei gli aveva fatto notare che agli uomini in
genere piace avere intorno ragazze sorridenti e allegre. Tu invece,
rispose Arthur, sei la ragazza pitriste che abbia conosciuto.
Marilyn rimase qualche istante perplessa, poi capche quelle parole
volevano essere un complimento e ne fu, aggiunge Arthur, enormemente
contenta.
Si scritto tanto su questa storia d'amore nel momento in cui i
fatti accaddero che sembrerebbe d'averne sviscerato ogni aspetto. La
rilettura dei documenti e delle testimonianze fa capire con maggiore
evidenza di ieri, ora che molti decenni ci separano dalla tragedia,
che questa passione tormentata fino alla crudeltpuessere vista
come uno degli archetipi della nevrosi sentimentale del Novecento. I
contrasti e le lacerazioni che la Monroe e Miller provarono sono gli
stessi che tante coppie meno celebri di quella hanno visto o subito.
Per loro, come per gli altri, si trattava di riuscire a tenere insieme
la passione e le ambizioni, l'affetto e gli impegni con la propria
professione e il mondo. Tutto questo esigeva un enorme sforzo,
l'esercizio quotidiano della tolleranza verso le debolezze dell'altro
partner, la comprensione dei suoi difetti. Pochissime persone erano
capaci di superare tali prove, molti soccombono. Arthur e Marilyn si
comportano in questo come la maggioranza delle persone comuni.

Almeno a partire dal 1948, anno in cui vince a trentatranni il
Pulitzer per "Morte di un commesso viaggiatore", Miller stato uno
degli scrittori piin vista degli Stati Uniti. Nel 1948 Marilyn aveva
ventidue anni e lottava per affermarsi facendo anticamera e altro
negli uffici dei produttori, interpretando film che si chiamano
"Scudda Hoo! Scudda Hay!" Bisogna arrivare al 1950 perchle sue
partecipazioni diventino significative. In quell'anno prende parte tra
l'altro a "Giungla d'asfalto" e a "Eva contro Eva".
Non ci fosse tutto il resto, bastano questi dati a mettere in
evidenza le enormi diversittra i due protagonisti, compresi gli
undici anni di etche li separano. Di Marilyn Arthur scrive che, a
parte "Chi" di Colette e qualche racconto, "non aveva mai letto un
libro fino in fondo", o perchcredeva di poter cogliere in poche
pagine l'essenza di un'opera o perchirritata dall'inutilito
insinceritdi ciche aveva sotto gli occhi.
Eppure questa attricetta dalla testa apparentemente vuota si
comporta nei confronti dell'uomo che ha scelto con il pigrande
coraggio, per esempio quando lo scrittore viene chiamato a deporre
davanti alla commissione per le attivitantiamericane del senatore
Joseph McCarthy. Per molti anni, forse addirittura dai tempi
dell'universit Miller stato tenuto sotto sorveglianza da parte
dell'F.B.I che in un rapporto ha sottolineato come i suoi drammi
delineino "un ritratto negativo della vita americana". La guerra
fredda giscoppiata e sembra, per un certo tempo, che la guerra di
Corea (1950-53) possa trasformarla in un conflitto combattuto sul
campo. La commissione d'inchiesta sicuramente una risposta cieca
alla situazione e infatti destinata a naufragare in un nulla di
fatto, se non nel ridicolo. Intanto perci sono intellettuali e
artisti che a causa di quell'inchiesta si trovano da un giorno
all'altro senza lavoro, respinti dagli editori e dai produttori di
film. Miller viene convocato a Washington, al pari di tanti altri
scrittori e attori, e costretto a deporre.

Accade quel giorno un episodio che merita d'essere raccontato. Lo
scrittore ha richiesto il passaporto per recarsi all'estero. Una delle
domande che gli vengono fatte durante l'udienza il motivo per il
quale intende allontanarsi dagli Stati Uniti. Risponde davanti alle
telecamere che riprendono la scena: "Intendo recarmi in Inghilterra
per restare accanto alla donna che presto sarmia moglie". Secondo
alcune testimonianze Marilyn apprende dalla televisione l'intenzione
di Miller di volerla sposare e prova emozioni contrastanti. Contenta
da una parte, perchama quell'uomo o ne quanto meno infatuata.
Seccata tuttavia per il modo in cui la notizia le giunta; a un amico
arriva a confidare che forse Arthur in quella occasione "l'ha usata",
s'cioservito della sua notorietper rafforzare la propria immagine.
Per il resto, ammira molto l'abilite la determinazione con la quale lo scrittore sa affrontare l'interrogatorio che mira ad accertare se egli sia stato, o tuttora sia, membro attivo del Partito comunista e con quali altri aderenti abbia avuto contatti.
Nell'atmosfera avvelenata di quel periodo, la cosa pare di tale
gravitche il capo della Twentieth Century Fox, Spiros Skuras, preme
su Marilyn perchil "suo fidanzato" faccia quei benedetti nomi,
chiudendo finalmente la faccenda. Marilyn fa tutto il contrario, vola
a Washington e rilascia interviste nelle quali dichiara di amare
Miller e di essere sicura della sua innocenza. Skuras le telefona
furente, minacciandola di distruggere la sua carriera se non smetter immediatamente di dire certe cose. Marilyn attacca il telefono e non
ritratta una sola parola.
Anni dopo Miller, con molta cautela retrospettiva, scriverche il
suo "essere di sinistra" aveva a che fare esclusivamente con il timore
di una incombente vittoria del fascismo in America e che d'altra parte
"nulla sapevo in quel momento di come fosse la vita in un regime
socialista".

Arthur e Marilyn, pur condividendo con tale intensitrischi e
progetti, sono tuttavia turbati da diverse inquietudini che
riversandosi sul loro rapporto finiscono per distruggerlo. Sposando
un'attrice che si sta progressivamente trasformando nella diva per
eccellenza del cinema americano, e quindi mondiale, lo scrittore si
viene a trovare sempre pispesso nella scomoda posizione di "principe
consorte". Quando compaiono in pubblico Marilyn che i fotografi
cercano e Arthur, che ha imparato con eleganza a stare al gioco, fa in
modo di restare un passo indietro, con la stessa immutabile
espressione stampata sul viso: un mezzo sorriso contenuto, un lampo
ironico dietro gli occhiali dalla marcata montatura nera.
D'altra parte, vivendo con Marilyn e condividendo inevitabilmente i
suoi problemi, Miller ha serie difficolta scrivere. All'inizio della
sua carriera ci sono stati i successi di "Erano tutti miei figli"
(1947) e di "Morte di un commesso viaggiatore" (1948). Quando comincia
a frequentare Marilyn ha gilicenziato "Il crogiolo" e sta finendo di
rivedere "Uno sguardo dal ponte". La relazione e poi il matrimonio con una
donna di tale e cosfragile temperamento si rivela subito molto impegnativa
da ogni punto di vista, compreso quello sessuale.

L'attrice confida a un giorno al fotografo Philippe Halsman di avere
avuto la sua prima esperienza a sei anni. Quando Halsman le chiede
l'etdel partner, Marilyn risponde: "Lui era pigiovane", il che fa
capire che sta scherzando o che s'trattato di un pruriginoso gioco
infantile. Le sue fantasie sessuali sono continue e anche le sue
menzogne, uno dei suoi biografi l'ha definita "una ninfomane
semifrigida", con un contraddittorio e forse calunnioso avvicinamento
di termini. Spesso racconta episodi totalmente inventati, solo per
suscitare stupore o tenerezza in chi l'ascolta. Del suo primo rapporto
dnel tempo diverse versioni. Un giorno racconta che s'trattato
d'uno stupro brutale quando aveva nove anni. Anche Miller riferisce
l'episodio, aggiungendo che un giorno Marilyn gettvia irritata il
romanzo di Bernard Malamud che stava leggendo e disse: "Quest'uomo non
capisce che lo stupro un fatto tragicamente catastrofico e
pregevole". "Era stata un'umiliazione che lei aveva provato" conclude
lo scrittore.
Per contro James Dougherty, il suo primo marito, dichiara di averla
trovata vergine a sedici anni. La scelta quindi se credere alla
versione di lei, accreditata da Miller, o alle parole del suo primo
giovane marito il quale peraveva un certo interesse a dire ciche
disse.
Quando comincia a posare come modella fotografica Marilyn ha
certamente numerosissime occasioni sessuali. Chi parla di
prostituzione probabilmente esagera, anche se lei stessa accenna pi volte al pedaggio che un'aspirante attrice doveva pagare per andare
avanti. Un giorno dice ridendo: "Ai miei esordi dovetti passare un
sacco di tempo in ginocchio, non per pregare". In un'altra occasione,
con minore brutalit confida: "Quando cominciai a fare la modella,
essere disponibile faceva parte del lavoro, se non eri disposta a
farlo c'erano altre venticinque ragazze fuori della porta, pronte a
sostituirti".
Una delle sue sentenze "Andare a letto non che ti faccia
diventare una star, ci vuole molto, molto di pi Peraiuta. Tante
attrici si sono fatte strada cos.
Un giudizio, cinico o pietoso, su questo particolare aspetto della
sua personalit "Andare a letto era per lei il modo pisemplice
per dire grazie". Mi piace credere che fra i tanti giudizi sia questo
che pis'avvicina alla verit

A Marilyn peraltro il sesso piace coscome piacciono la nudit la
fisicit il corpo. Il sesso, dice, parte della natura e io vivo in
accordo con la natura. Anche durante i suoi due matrimoni continua ad
avere altre storie, la pifamosa delle quali probabilmente quella
con Yves Montand. Uno dei suoi psichiatri, senza troppa eleganza, ha
dichiarato: "Verosimilmente le era difficile avere una serie di
orgasmi sempre con la stessa persona".
Tra i suoi tanti amori pio meno effimeri si contano anche alcune
donne, senza per questo poter parlare di vero e proprio saffismo. Si
tratta piuttosto dell'effusione di un'energia vitale fuori del comune,
del bisogno di cercare affetto ovunque sia disponibile, di curiosit
Sul suo amore per la nudit la sua disponibilita mostrarsi nuda o
a lasciar indovinare il corpo in trasparenza esistono innumerevoli
conferme, a cominciare da quella che per tutta la vita amdormire e
girare per casa nuda, noncurante di eventuali presenze estranee. Le
famose foto dell'altrettanto famoso calendario sono state scattate
quando aveva vent'anni. Per tutta la vita ha indossato raramente o mai
la biancheria. Del reggiseno diceva con giusto orgoglio di non avere
bisogno. Degli slip fa volentieri a meno, per non guastare la linea
degli abiti scelti sempre due misure sotto la propria e molto aderenti
sui fianchi. Anche le ultime foto la ritraggono cos nuda sul letto,
poche ore dopo il decesso.
Una sua ricorrente fantasia adolescenziale quella di trovarsi a
suonare l'organo in una chiesa gremita di fedeli. D'improvviso viene
presa dalla fortissima tentazione di spogliarsi per mostrare il
proprio corpo a Dio e ai presenti. Riesce a trattenersi mordendosi
a sangue le labbra e sedendo sulle proprie mani.
Alla nuditMarilyn fa ricorso anche negli ultimi anni della sua
vita. Il corpo di una donna di trentasei anni comincia a mostrare
qualche piccolo segno di cedimento che lei ostinatamente vuole
ignorare. Si dice convinta, guardando le foto delle nuove attricette
sulla rivista "Playboy", di poter sostenere qualunque confronto.
Secondo la fotografa Eve Arnold la sua resistenza ad ammettere i
cambiamenti fisici sembra tragica a chi sa come stanno le cose.
Durante le riprese del suo ultimo film incompiuto, "Something's Got
to Give", dove recita insieme a Dean Martin e Cyd Charisse, accade un
episodio che sembra confermare questo giudizio. Mentre sono in corso
le riprese un giorno, il 17 maggio 1962, Marilyn abbandona il set e
vola a New York. Due giorni dopo deve cantare "Happy Birthday" al
Madison Square Garden per il compleanno del presidente John F.
Kennedy.
La produzione le ingiunge di riprendere immediatamente il lavoro,
pena la rescissione per colpa del contratto con tutte le conseguenze
del caso. Tornata a Los Angeles Marilyn riprende a lavorare e gira tra
l'altro la scena, diventata di culto, del bagno in piscina durante la
quale di sua volont senza cioche sia indicato nsul copione n dal regista George Cukor, si sfila il costume rimanendo nuda
nell'acqua. Come interpretare quel gesto? Vuole essere una forma di
riparazione per il suo cattivo comportamento? Forse un gesto di
sfida, per dire che lei rimane in ogni caso la pibella. Arthur
Miller vede su una rivista le foto scattate dal fotografo di scena.
Con amarezza forse autentica commenta: "Dunque eravamo arrivati a
questo, alla fine della sua carriera Marilyn era tornata al punto da
cui aveva comiciato".

Per Arthur Miller vivere con una donna di cosforte e turbata
personalitdovette essere molto difficile. Pivolte lo scrittore
tenta di razionalizzare il rapporto spiegando a se stesso e certamente
anche a lei come stavano le cose. "A lei mancava" scrive "il senso comune;
ciche aveva era permolto meglio, ciouna grande lungimiranza della quale lei stessa era probabilmente poco consapevole. Gli esseri umani erano per
lei creature bisognose e ferite. Ciche chiedeva era di ottenere un
riconoscimento in una professione sentimentalmente crudele e da uomini
incapaci di scorgere la sua umanit accecati com'erano dalla sua
perfetta bellezza. Si sentiva per metregina e per metorfanella,
talvolta in adorazione del proprio corpo, talvolta disperata a causa
sua".
Finchdura il loro rapporto Miller tenta di ricomporre la donna e
l'attrice in un essere umano completo e pacificato. Confessa di aver
sognato una Marilyn finalmente in pace con se stessa, che non si senta
una povera creatura spaventata perennemente in un angolo, bensuna
donna giovane e "istintivamente intelligente" che consumi le sue
giornate come tutti per mettersi tranquillamente a letto la sera. Nel
raccontare il loro rapporto Miller si assegna ovviamente il ruolo
positivo dell'uomo che ha cercato di ricomporre le difficoltogni
volta che si sono presentate. Se si limitasse a questo il suo
ritratto, la sua confessione, rimarrebbe una piccola banalit perch tutti sapevano di quale lacerante conflitto s'era trattato. Lo
scrittore si sentiva troppo onesto, o troppo orgoglioso, per tacere
sul resto. Cosarriva ad ammettere: "Sicuramente avevo provato
maggiore affetto per lei finchera rimasta meno celebre". Tocca il
livello piprofondo quando contrappone le sue ambizioni, le sue
legittime aspettative artistiche, con il bisogno di Marilyn, che sia
artistico che esistenziale, di sentirsi desiderata da tutti gli uomini
del pianeta: "Essere diventata una stella era niente meno che il suo
trionfo, il traguardo di tutta la sua vita" scrive. E aggiunge: "Come
mi sarei sentito io se la condizione per far sopravvivere il
matrimonio fosse stata la rinuncia alla mia arte?".

Dal punto di vista di Marilyn le cose non sono meno complicate.
Sposando uno scrittore di grande successo, pianziano di lei di
undici anni, Marilyn ha scelto piun padre che un compagno. Anche Joe
DiMaggio nato nel 1915, ha ciola stessa etdi Miller. Ma quando
si sono sposanti sono entrambi pigiovani e poi DiMaggio un atleta dal
fisico prestante, con un aspetto da eterno ragazzo. Miller al contrario
tende quasi ad accentuare la sua etnel modo in cui veste e nel
comportamento. Nell'intimitMarilyn lo chiama con nomignoli che si
modellano su questa immagine matura: Papa, Pa, Daddy, Poppy.
Se Arthur ha certamente risentito dell'immensa popolaritdella
moglie, Marilyn ha sofferto molto meno di quella di suo marito, anche
perchla fama di lui era di tipo diverso. Lo scrittore godeva di
grande prestigio negli ambienti intellettuali americani e del mondo,
ma si trattava di una celebritmeno rumorosa e meno vasta di quella
che circonda una diva. Per interi periodi della sua vita l'attrice non
potaffacciarsi alla porta di casa senza essere assalita da un nugolo
di giornalisti; quando uscivano da un locale o da una sala di
spettacolo i due erano accolti da una mitragliata di flash. Miller
sapeva perfettamente che nessun lampo o pochissimi lo avrebbero
accolto se fosse stato da solo.
Un altro elemento marca la differenza fra di loro. Marilyn riconosce
la superioritdi suo marito, potremmo dire che ne fin troppo
consapevole. Ha avuto pivolte il sincero desiderio di mettersi anche
lei a quel livello. A piriprese cerca di dedicarsi alla lettura per
poter discutere con lui di ciche ha letto. Amava gli scrittori
russi, Dostoevskij, Tolstoj, Cechov, torna spesso sulle pagine del
grande poeta americano Walt Whitman. Tra i suoi libri figurano
"Ulisse" di Joyce e "Dalla parte di Swann" di Proust. Si tratta per lo
pidi tentativi quasi patetici ai quali Miller assiste, dobbiamo
credere, con sincera pena. Marilyn risente per tutta la vita del non
avere avuto durante la giovinezza nessuna forma di educazione; la sua
fragilitnervosa, il peso e il fasto del suo corpo hanno fatto il
resto.
Durante il soggiorno nella casa di campagna di Amagansett (Long
Island), reduce da un intervento chirurgico, Marilyn cura l'orto e il
giardino, tiene in ordine la casa, fa passeggiate solitarie sulla
spiaggia sottobraccio al marito, cerca insomma in tutti i modi di
trasformarsi in una donna e moglie normale. Senza riuscirvi
ovviamente, altrimenti la sua vita non finirebbe come poi finita.
Ciche chiede ad Arthur pid'ogni altra cosa un sostegno totale e
incondizionato. Questo vuol dire sorreggere la sua debolezza, ma anche
blandire i suoi capricci e le sue isterie e Miller non sempre vuole o puassecondarla. Questa sicuramente una delle cause che logorano il rapporto
fino ad esaurirlo.
Col passare del tempo la crisi privata di moglie e quella pubblica
di attrice si confondono sovrapponendosi. Marilyn ha bisogno di dosi
sempre piforti e frequenti di tranquillanti, i terribili
tranquillanti di mezzo secolo fa, prodotti rudimentali e quasi suicidi
rispetto a quelli dell'attuale farmacopea. Durante le riprese de "Gli
spostati" le sue condizioni nervose sono diventate veramente gravi.
Arthur Miller ci ha lasciato il racconto dettagliato di una scena
orribile che sicuramente autentica, anche se si capisce bene perch lo scrittore ne riferisca in dettaglio.
Una sera, rientrata da un'altra insoddisfacente giornata di lavoro,
Marilyn appare particolarmente agitata. Le riprese del film non sono
andate bene, lei stata distratta, arrivata ancora una volta in
ritardo sul set senza sapere bene la parte, tutti sono stati molto
scontenti e non glielo hanno nascosto. Le riprese insomma vanno male
per colpa sua e lei sa che sta pregiudicando il suo futuro. Arrivata a
casa si chiude in camera da letto dove, dopo qualche tempo, arriva
anche Arthur. Nella stanza trova Marilyn seduta sul letto, Paula
Strasberg, diventata ormai amica e consigliera inseparabile, e un
giovane medico chino sull'attrice che sta cercando sul dorso della sua
mano una vena in cui iniettare un dose di Amytal.
Appena Marilyn vede entrare il marito comincia a gridargli
istericamente di andarsene: "Vattene, va' via!". Arthur la ignora e
s'avvicina al medico per chiedergli se al corrente che la paziente
ha giassunto nella giornata altri barbiturici e medicine. Il medico
lo fissa con uno sguardo accorato, un medico giovane, trovato
all'ultimo momento, il solo disponibile, ha capito di essere capitato
in un inferno, vorrebbe solo fare la sua iniezione e andarsene piin
fretta possibile. Paula, che Miller sente come una presenza fastidiosa
e inquietante, se ne sta in piedi accanto al letto "con i suoi capelli
ben spazzolati e appuntati, la sua aria sana, autorevole, materna - e
vagamente colpevole". Arthur tenta di impedire al medico di fare
l'iniezione, ma gli urli di Marilyn diventano cosforti, e
strazianti, che rinuncia. Esce dalla stanza e rimane nel soggiorno, in
attesa che tutto sia finito. Quando il medico esce si avvicina allo
scrittore e gli confessa il suo stupore: ha iniettato a Marilyn la
dose che quasi sarebbe bastata per un'anestesia, si aspettava di
vederla piombare addormentata e invece l'attrice seduta sul letto
che parla con Paula come se niente fosse. Arthur accompagna il medico
alla porta, poi torna in camera da letto. Marilyn ancora sveglia, ma
la medicina comincia a fare il suo effetto: ha gli occhi socchiusi, lo
voce appannata. Quando vede entrare suo marito ricomincia a dirgli di
andarsene ma senza pigridare, piano questa volta, come in un sogno.
Scena disperata di malattia. Siamo nel luglio del 1960, le restano
esattamente due anni da vivere. Il suo rapporto con il marito cos deteriorato che i due ormai non nascondono nemmeno di fronte ad altri
i loro litigi. Miller l'autore della sceneggiatura e deve seguire le
riprese. A un certo punto Marilyn lascia la suite che condivide con
lui in albergo e si trasferisce in quella di Paula. Nel suo diario
Miller confessa: "All'inizio delle riprese non era pipossibile
nascondere che se esisteva una chiave per arrivare alla disperazione
di Marilyn non ero io ad averla".

Incomprensioni, interessi diversi, conflitti di temperamento.
Avrebbe potuto Miller, dei due il piforte, il piattrezzato
intellettualmente, comportarsi meglio? Il parere prevalente fra i
biografi che sicuramente lo scrittore sbaglimetodo. Anche se era
naturale che accadesse, avrebbe dovuto evitare di farsi maestro di sua
moglie, di assumere ai suoi occhi la veste del consigliere saggio e
autorevole. Questo scrive nella sua biografia Donald Spoto: "Arthur
non fece altro che alimentare il complesso d'inferioritdi lei". Lui
cercsicuramente di fare del suo meglio e amsinceramente Marilyn,
eppure, a detta di quanti frequentarono la coppia, "era chiaro che si
stava aggirando in quel pericoloso territorio in cui si tenta invano
di nascondere un certo disprezzo motivato (anche se in modo sottile)
dalla convinzione della propria superioritintellettuale
e morale". Con accenti di sincero rammarico Miller ha scritto che al
termine de "Gli spostati", da lui concepito per dare a Marilyn
l'occasione di un ruolo da vera attrice, era chiaro che la sua
presenza era diventata inutile e anzi dannosa, e serviva solo a
ricordarle che "tentare di tirarla fuori dalla sua vecchia vita era
stato un fallimento, anche quando lei era finalmente riuscita ad amare
qualcuno". Un giudizio sicuramente spietato, anche se non ben chiaro
nei confronti di chi.

Per due volte Arthur Miller ha scritto opere in cui il personaggio
di Marilyn viene nettamente adombrato. La prima con il film "Gli
spostati", la seconda con il dramma "Dopo la caduta". Le due donne
protagoniste hanno atteggiamenti opposti: vitale nel primo caso,
disperato nel secondo. Qualcuno ha osservato che l'insieme dei due
personaggi compone un completo ritratto di Marilyn. Forse non un
caso, aggiunge, che anche sommando i loro nomi si ottenga lo stesso
risultato. La protagonista di "Dopo la caduta" di chiama Maggie;
quella de "Gli spostati" Roslyn. Prendendo la sillaba iniziale di
Maggie e quella finale di Roslyn, viene a mancare solo la sillaba
centrale per completare il nome di Marilyn. Sarstata completamente
casuale la scelta dell'autore?
Roslyn un personaggio che domina la situazione. In una cerchia di
sbandati, dove anche la natura appare violata o contraffatta, incarna
una personalitvitale; ottiene dagli uomini che la circondano ciche
ha chiesto e cioche un branco di cavalli selvatici al quale stata
data lungamente la caccia non finisca ridotto a polpette nelle scatole
di cibo per cani. Alla fine Roslyn si allontana con Langland, il pi anziano e in fondo simpatico dei tre cacciatori, verso un avvenire
comune che si suppone radioso. Il protagonista Clark Gable e saril
suo ultimo film; l'attore morirper un attacco cardiaco dieci giorni
dopo la fine delle riprese. Seguono odiose polemiche; la vedova accusa
la Monroe di avere contribuito alla sua morte con tutti i capricci e
le intemperanze con le quali ha funestato la lavorazione. Pi probabile, a detta di molti, che il sessantenne Gable abbia risentito
degli sforzi fatti; durante il film ha voluto girare senza
controfigura anche le scene pimovimentate, facendosi perfino trascinare
per vari metri da un cavallo selvaggio - in realtsi tratta d'una jeep,
ma la lunga strisciata sul terreno assolutamente autentica.
Il personaggio di Maggie in "Dopo la caduta" incarna invece il lato
oscuro e tormentato di un essere umano, e il parallelo con la figura
di Marilyn indiscutibile anche se Maggie non un'attrice, ma una
popolare cantante e suo marito Quentin un avvocato e non uno
scrittore. Il dramma racconta come subito dopo il matrimonio la donna
si riveli una creatura afflitta da un feroce complesso d'inferiorit
Questo la porta a sviluppare nei confronti del marito, da cui si sente
emozionalmente sopraffatta, un vero sentimento di odio. Quando Quentin
comincia a dire che vuole interrompere una convivenza diventata cos penosa, Maggie reagisce prima abusando di alcol e tranquillanti, poi
minacciando il suicidio e alla fine mettendo in pratica il suo
proposito. "Tu vuoi morire Maggie" le dice a un certo punto Quentin,
"e io davvero non so picosa fare per impedirtelo".
Nil film "Gli spostati" nil dramma "Dopo la caduta" hanno avuto
buone critiche. Nel caso del film si trattato di un'ingiustizia
perchil regista John Huston fece il miglior uso possibile della
sceneggiatura di Miller. Nel caso del dramma, andato in scena per la
prima volta a New York nel gennaio del 1964, le reazioni furono quasi
ovunque (Italia compresa) negative. Il tragico dissidio tra l'avvocato
e la cantante alludeva cosevidentemente alla storia di Marilyn,
morta da nemmeno due anni, da risultare penoso. Scrisse giustamente un
critico americano che si trattava di una confessione autobiografica di
imbarazzante sincerit

Miller perha sempre negato che il dramma centrato su Maggie si
rifaccia alla storia di Marilyn, a cominciare dal titolo (After the
Fall, nell'originale) derivato non dalla morte dell'attrice ma dal
racconto di Camus "La caduta", nel quale un uomo capisce di non poter
fare nulla per salvare sua moglie e che per lei la salvezza verr soltanto da s Nel diario scrive: "Stavo terminando la stesura di
"Dopo la caduta" quando arrivl'orribile notizia che Marilyn era morta,
a quel che si disse per una dose eccessiva di sonniferi". Per giorni,
continua Miller, mi trovai nella strana situazione di non poter concretamente concepire che lei fosse veramente scomparsa: "Continuavo a pensare che
prima o poi l'avrei incontrata da qualche parte e forse avremmo parlato
teneramente di tutta la follia che avevamo vissuto - nel qual caso mi
sarei molto probabilmente innamorato ancora una volta di lei".
Strategia difensiva o confessione veritiera? Non credo che ci sia
stato un uomo al mondo che non abbia invidiato Miller quando ha
sposato la Monroe. Credo che nessuno avrebbe voluto trovarsi al suo
posto quando l'ondata dell'antipatia universale lo invest facendone
una delle cause indirette della morte di lei.
Almeno su un punto lo scrittore ha sbagliato per eccesso di
autodifesa, attribuendo le critiche non al contenuto del suo dramma o
ai riferimenti che conteneva ma al fatto che venne messo in scena
dalla compagnia stabile del Lincoln Center. "Di fronte a certi
attacchi" scrive "trovai un certo sollievo riflettendo sul fatto che
l'annuncio di un teatro di repertorio al Lincoln Center aveva
suscitato incomprensibili ostilitprima ancora che fosse reso noto il
programma". Ciche almeno pubblicamente Miller ha mancato di
riconoscere che, nel momento in cui moriva di quella morte tragica e
assurda, Marilyn cessava di essere la sua ex moglie o un'attrice di
Hollywood e cominciava per cosdire un'altra carriera, avviandosi a
diventare quel mito che il passare degli anni ha suggellato. Nessuno,
nemmeno uno scrittore molto affermato, avrebbe potuto sostenere un
ruolo come il suo senza il rischio di venire schiacciato
dall'esecrazione universale.

Morte tragica e assurda certo, ma quale morte? A distanza di
quarant'anni ogni ipotesi possibile, il tempo lavora contro le
inchieste che nascono male a causa di dati scarsi o contraddittori.
Nel caso poi che i dati siano carenti perchun qualche interesse ha
impedito di completarli, allora il tempo trascorso equivale a una
pietra tombale. Ancora nel 1998 uscita una biografia di Donald Wolfe
con il titolo esplicito "L'assassinio di Marilyn Monroe". E' possibile
che Marilyn sia stata assassinata? S possibile anche se le cause
di quella morte non saranno mai interamente chiarite e non c'diligenza di giudice o acume di analista che possa rimediarvi. Il giallo di quella notte servirancora per parecchio tempo a far guadagnare diritti a chiunque abbia
sufficiente ingegno per presentare, rimescolandoli secondo la sua tesi,
i tanti elementi contraddittori che lo compongono.
Tutti i libri usciti finora, e gli altri che sicuramente
continueranno a uscire, si basano sulla ricostruzione accurata, a
volte puntigliosa, di dati che essendo incompleti possono essere
utilizzati per sorreggere in un modo o nell'altro qualunque ipotesi.
Nemmeno la data della morte del tutto certa. Il certificato
ufficiale dichiara la Monroe deceduta alle 3,50 del mattino del 5
agosto (1962). Lo stato di rigiditdel cadavere fece persubito
propendere altri medici per un decesso avvenuto la sera del giorno
precedente, con una differenza di sei-otto ore che basterebbe da sola
a sconvolgere ogni seria ricostruzione dei fatti.
L'autopsia ha riscontrato un'alta concentrazione di idrato di
cloralio e di nembutal nel sangue e nel fegato della salma. Vero anche
perche non stato eseguito alcun serio esame tossicologico degli
intestini che avrebbe permesso di saperne di pisul modo in cui quei
velenosi medicamenti erano stati assunti. Nessuna indagine stata
fatta su una vistosa ecchimosi presente "nella bassa regione lombare".
La polizia ha negato che dalla casa di Marilyn siano stati sottratti
dei documenti; eppure anche il piprudente dei suoi biografi, Donald
Spoto, ammette di averne acquistati alcuni fatti sparire proprio da
quella casa il giorno dopo la sua morte. Un altro punto controverso se l'attrice abbia assunto il nembutal di sua volonte per via orale
o con una iniezione praticatale a forza o addirittura per via rettale:
un clistere dopo averla stordita. Non c'chiarezza nemmeno sulla
circostanza se gli infermieri dell'ambulanza praticarono a Marilyn
moribonda una lavanda gastrica. Se la lavanda stata fatta chiaro
che lo stomaco stato svuotato, rendendo inutile ogni esame
successivo. Ma se Marilyn era morta dalla sera prima gli infermieri
non potevano che trasportare una salma giirrigidita. In pratica
sappiamo con certezza solo che la Monroe morta a causa di
un'overdose di sonniferi. Per il resto, ignorando sia le circostanze che i tempi, bisogna fare ricorso a ipotesi - sempre molto inaffidabili - di tipo
psicologico.

Coloro che sostengono la possibilitdel suicidio si basano su
questi elementi: l'attrice soffriva di depressione e aveva gi tentato, senza troppo impegno, di uccidersi. I film pirecenti non
erano andati bene e l'ultimo da lei girato, "Something's Got to Give",
era stato addirittura interrotto soprattutto a causa delle sue gravi
inadempienze sul set. Inoltre Marilyn dopo aver lasciato Miller
soffriva di solitudine, qualche settimana prima aveva addirittura
telefonato al suo ex marito chiedendogli di andarla a trovare. Motivo
forse ancora piimportante, Marilyn si sentiva beffata e offesa dal
comportamento del presidente John Kennedy o di suo fratello Robert,
ministro della Giustizia, o di entrambi.
Proprio su quest'ultimo punto si innestano le ipotesi di coloro che
sostengono che la Monroe sia stata assassinata. L'attrice non era
affatto depressa, dicono, al contrario era fiduciosa nel proprio
avvenire e lo aveva confidato ad amici che ne avevano parlato in giro.
Il rinnovato legame amichevole con Joe DiMaggio le era stato di grande
aiuto. Marilyn aveva avuto una relazione con entrambi i fratelli
Kennedy, prima John poi Robert, e minacciava di renderle note.
Nell'autunno del 1961 l'attrice aveva conosciuto Robert Kennedy, poi
lo stesso presidente, nella villa al mare dell'attore Peter Lawford,
cognato dei Kennedy. John era molto spiccio nelle faccende di donne.
Pudarsi che ci sia stato un primo rapporto subito dopo l'incontro.
Che la Monroe abbia avuto una relazione con il presidente degli
Stati Uniti non sembra dubbio. Almeno uno dei luoghi e delle occasioni
in cui hanno dormito insieme noto: 24 marzo 1962, nella casa messa a
disposizione dell'attore Bing Crosby a Palm Springs. Su questo i
biografi sono, per una volta, concordi. Da quella stanza da letto tra
l'altro Marilyn telefona un amico al quale successivamente rivel che in quel momento si trovava con il presidente. Il fatto che Kennedy,
anche per una scappatella, arrivasse scortato dal suo apparato di sicurezza
aveva eccitato Marilyn che anche di questo parlcon amici. Parecchie
persone erano dunque al corrente della storia, torna a onore del
servizio che nel corso degli anni non una voce sia trapelata da quella
parte.
Nel corso della notte John le chiese se avrebbe voluto cantare per
lui la canzone di buon compleanno durante l'assemblea che si sarebbe
tenuta il 19 maggio a New York al Madison Square Garden, con lo scopo
tra l'altro di raccogliere fondi per il Partito democratico. Marilyn
accettcon entusiasmo.
Alla fine di aprile cominciano le riprese di "Something's Got to
Give" che sarebbe stato il suo ultimo e incompiuto film, trentesimo
della carriera. Marilyn incerta sulla proposta e alla fine accetta
soprattutto per le pressioni del suo amico Dean Martin, coprotagonista
e coproduttore della pellicola.
Anche questa volta ci sono molte interruzioni perchMarilyn tra
l'altro s'ammala. Il 17 maggio, senza preavviso, vola a New York per
mantenere la promessa fatta al presidente in marzo. Ha chiesto al
sarto Jean Louis di disegnarle per l'occasione un abito "veramente
storico" e il sarto ha capito al volo, disegnandole addosso un abito
che farsensazione, anche troppa. L'abito, di colore perlaceo con
riflessi rosati, avvolge il suo corpo come una seconda pelle e poich Marilyn non indossa biancheria, le sue sinuositacquistano sotto le
luci di scena un tale rilievo da suscitare molto entusiasmo, ma anche
molti commenti negativi. Si critica una sensualitgiudicata
eccessiva, data l'occasione. Marilyn tra l'altro entra in scena
leggermente ubriaca perchsia in camerino che in quinta ha bevuto
parecchio champagne. Intona come previsto "Happy Birthday", dice e fa
ciche le stato richiesto. Di suo aggiunge un entusiasmo che
Kennedy non gradisce. Forse disturbato da un comportamento cos allusivo, il presidente le fa sapere che non intende pirivederla. E'
probabile che il messaggio "di ripudio" sia stato trasmesso da Peter
Lawford, ma non si esclude che sia stato lo stesso Robert a farsene
latore. Di Robert del resto Adlai Stevenson ha detto che quella sera
"le girava intorno come una falena davanti alla fiamma". Il 21 maggio
Marilyn fa ritorno sul set, ma i produttori decidono
di interrompere il film e per lei un altro smacco, aggravato da un
ennesimo episodio spiacevole che la turba. I tecnici della troupe
pubblicano a loro spese un annuncio sulla rivista "Variety"
ringraziandola sarcasticamente per averli fatti licenziare. Il celebre
abito indossato una sola volta per John Kennedy stato battuto a
un'asta di Christie's a New York, il 27 ottobre 1999.

Se John Kennedy ha avuto una parte nel possibile omicidio di Marilyn
stato nel ruolo di mandante indiretto. Se invece si trattdi suo
fratello Robert le ipotesi diventano pipesanti e arrivano a indicare
nel ministro della Giustizia l'uomo che materialmente la uccise,
soffocandola con un cuscino. Anche in questo caso ci sono alcune
testimonianze che confortano l'ipotesi. Ne cito alcune: lo
psicoanalista di Marilyn, Ralph Greenson, ha sempre escluso che
l'attrice abbia avuto una relazione con i due fratelli. Sua figlia
persostiene che, parlando con lei quel giorno, si sentdire da
Marilyn che stava per incontrare qualcuno di importante di cui non
poteva dire il nome perchmolto conosciuto. Si rifera lui
chiamandolo "The General". Il titolo ufficiale americano della
Giustizia "Attorney General".
La seconda testimonianza di un agente della stradale che fermuna
macchina per eccesso di velocitnon lontano dall'abitazione di
Marilyn. Erano le prime ore del mattino del 5 agosto. L'agente
illumincon la sua torcia l'interno della vettura riconoscendo
l'attore Peter Lawford (cognato dei Kennedy) al volante, un altro uomo
poi identificato come il dottor Greenson nel sedile accanto, il
ministro Kennedy dietro. Riconosciuti gli occupanti salute fece
cenno di proseguire. Il parrucchiere della diva, Sidney Guilaroff,
scrive nella sua autobiografia che il giorno prima di morire Marilyn
gli telefonconfidandogli di voler organizzare una conferenza stampa
per rendere pubblica la relazione con Robert e che lui "l'aveva
minacciata per farla tacere".
Se si accetta l'ipotesi c'in queste frasi il possibile movente. Al
contrario di suo fratello che era abituato alle scappatelle, Robert
s'era invaghito di Marilyn, lei se n'era resa conto e gli
aveva chiesto di separarsi da sua moglie e di sposarla. Le telefonate
di Marilyn erano diventate petulanti, lunghissime, ossessive (esistono
testimoni anche su questo), bisognava farla tacere.
In una variante della stessa ipotesi si sostiene che i veri autori
dell'omicidio (una supposta letale) furono uomini della mafia, vale a
dire la stessa mano che l'anno dopo organizzerl'attentato contro il
presidente a Dallas. In questo caso Robert Kennedy sarebbe arrivato a
casa della diva solo per scoprire di essere caduto in una trappola
poichlei era giagonizzante. Preso dall'ansia si sarebbe affrettato
a far sparire con l'aiuto di Peter Lawford ogni possibile traccia
della sua presenza e della loro storia, a cominciare dal famoso diario
(sempre che sia davvero esistito) sul quale lei aveva annotato i
dettagli dei loro incontri. E' un fatto che dopo la morte dell'attrice
gli elenchi delle telefonate fatte e ricevute dalla casa di Marilyn
furono sequestrati dalla polizia. William H. Parker, capo della
polizia di Los Angeles, per qualche tempo anddicendo che per
ringraziarlo del suo comportamento nell'inchiesta su quella morte il
ministro della Giustizia lo avrebbe nominato direttore dell'F.B.I.
Suicida dunque o assassinata? Nessuno potrpirispondere a queste
domande, sostenere con certezza l'una o l'altra ipotesi, a meno che
uno dei protagonisti non abbia lasciato la veritin un documento da
rendere pubblico in un lontano futuro. John Kennedy morira Dallas,
suo fratello Robert verrassassinato all'Ambassador Hotel di Los
Angeles nel giugno 1968, dopo aver celebrato la vittoria nelle primarie della California. Tutti i protagonisti di questa parte della storia sono morti. E' morta anche Marilyn ma, come ha scritto Norman Mailer, come se ancora ci si aspettasse di poterla incontrare un giorno o l'altro da qualche parte. Per esempio nelle eleganti strade di New York, dove passalcuni fra i pochi
momenti felici che le furono concessi.


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XV - Sulle dune di Omaha Beach

All'estremitoccidentale della Quarantaseiesima, ldove la strada
confluisce nella Dodicesima Avenue, in pratica sulle rive del fiume
Hudson, c'il museo picurioso di New York. Non solo il pi curioso ma, per un europeo della mia generazione, suscita una folla di
memorie e di emozioni. Si tratta di una portaerei, la "U.S.S.
Intrepid", ormeggiata (definitivamente probabile) al Pier n. 86.
Benchcostruito mezzo secolo fa, lo scafo si erge con maestsulle
lente acque del fiume. Si sale a bordo e di colpo sembra di trovarsi
in uno di quei film con i quali gli americani hanno creato l'epica
della loro storia militare, dalle pellicole di spettacolare
celebrazione, come "Iwo Jima" o "Guadalcanal", a quelle pi problematiche come "Apocalypse Now" o "Il cacciatore", raccontando le
guerre combattute e le ragioni che le hanno provocate, gli eroismi e
le viltindividuali, le grandi scelte collettive che hanno segnato il
paese, dall'iniziale conquista del West al Kosovo.
In meno di due secoli e mezzo dal giorno dell'Indipendenza, nel
lontano luglio del 1776, gli Stati Uniti sono intervenuti militarmente
in ogni angolo del pianeta e in ogni continente, come del resto
proclamano orgogliosamente i primi versetti dell'inno dei marines:
"From the hills of Montezuma, to the shores of Tripoli...".
In questa rilevante porzione della storia del pianeta rientra anche
un'impresa militare senza precedenti, quello sbarco in Normandia che
aprendo un fronte nell'Europa nordoccidentale ha anticipato di almeno
un anno, si calcola, la fine del conflitto sul continente. Furono
soprattutto gli americani a imporre lo sbarco, contro le esitazioni dei loro alleati inglesi. Roosevelt e i suoi capi di stato maggiore volevano quel
secondo fronte sia per abbreviare la guerra, sia per raggiungere un obiettivo politico importante per gli Stati Uniti: con l'invasione della Normandia gli
americani intendevano mettere in chiaro a tutti (a cominciare dai
sovietici) chi era il vero vincitore del conflitto. Americano infatti
fu il comandante in capo dell'operazione, nella persona del futuro
presidente Dwight Eisenhower, anche se gli inglesi ottennero che tre
loro ufficiali fossero nominati suoi diretti collaboratori: i generali
Montgomery, Ramsay, Leigh-Mallory.
Su quell'impresa stata scritta una quantitdi libri che ne
illustrano ogni dettaglio, per quanto possibile farlo quando si
ricostruisce una battaglia, vale a dire un evento caratterizzato dal
disordine, oltre che dalla ferocia. Due tra i libri migliori sono la
ricerca dell'inglese Max Hastings dal titolo "Overlord", il nome in
codice dell'operazione; e "D-Day", dell'americano Stephen E. Ambrose.
Mentre due delle pispettacolari pellicole di guerra mai realizzate,
non prive d'una certa verit riguardano appunto quello sbarco: "Il
giorno pilungo", firmato da pid'un regista ma il cui vero autore sicuramente l'uomo che a ogni costo l'ha voluto, il produttore D.F.
Zanuck; e "Salvate il soldato Ryan" di Steven Spielgerg, il cui testo
di riferimento per l'appunto il libro di Ambrose.
Di quella pagina di storia, del numero di vite umane che cost
dell'orrore e del terrore nel quale centinaia di migliaia di uomini si
trovarono di colpo immersi, sappiamo tutto ciche possibile sapere.
Molto venne filmato mentre i fatti erano in corso, il resto stato
ricostruito successivamente, con tutta l'attendibilitche in casi
come questi si pusperare d'avere. La "U.S.S. Intrepid" un colosso
d'acciaio che ci riporta dritto a quei giorni e a una guerra che stata non soltanto l'ultimo conflitto planetario del XX secolo, ma
anche l'ultimo del quale siano state largamente condivise le ragioni,
anche dal punto di vista etico.
La portaerei "Intrepid", della classe Essex, stata varata
nell'aprile del 1943 nei cantieri navali di Newport News in Virginia
e ha prestato onorevole servizio per trent'anni. A pieno carico
dislocava 41mila tonnellate, era mossa da quattro turbine Westinghouse
capaci di generare 150 mila cavalli vapore per una velocitmassima di
32 nodi. Ha combattuto nelle acque delle Filippine prima e del
Giappone poi. E' il pigrande e importante manufatto legato
all'ultima guerra mondiale che esista a New York e il suo rapporto con
quei giorni e quella guerra lontana rafforzato dal fatto che un suo
modello a grande scala esposto a Caen, in Normandia, nel "Morial"
che la Regione e la Francia hanno dedicato allo sbarco.

Anche se molto stato scritto sullo sbarco, esistono due aspetti
non direttamente connessi ai combattimenti che vale la pena di
rievocare. Il primo riguarda la logistica, il secondo un tema che
svelertra poco.
Quando si leggono i libri o si vedono i film, raramente si pensa a
che cosa abbia voluto dire in concreto trasferire pidi un milione di
uomini a migliaia di chilometri da casa, mettendoli nelle condizioni
di combattere nel miglior modo possibile. Anche in questo caso, la
supremazia americana dovette essere pagata in termini di
equipaggiamento, armi, munizioni e tenore di vita, ammesso che un tale
parametro possa applicarsi a degli uomini in guerra.
Nei mesi precedenti il D-Day i soldati U.S.A arrivano in Inghilterra
a centinaia di migliaia; alla vigilia dello sbarco ne sono
concentrati, in un'isola grande pio meno come l'Italia, quasi due
milioni. Una massa di uomini che deve essere alloggiata, nutrita,
equipaggiata. E pagata. Un sergente americano riceve lo stesso soldo
di un capitano britannico, disparitche non manca di suscitare
qualche screzio, coscome dispute e risse si creano per altre ragioni
tra gli americani bianchi e quelli neri. Tutti questi uomini devono
esercitarsi nelle rispettive armi con munizioni vere. Nel Devon
occidentale, per esempio, la popolazione civile viene interamente
evacuata in una zona di 40 chilometri quadrati per consentire le
esercitazioni in condizioni di sicurezza. La prima ondata americana,
il giorno dello sbarco, forte di 130 mila uomini. Novanta giorni
dopo il D-Day gli americani hanno trasportato sul nuovo
fronte europeo un milione e duecentomila uomini insieme a 140 mila
mezzi tra camion, jeep, furgoni e semicingolati; 4.300 carri armati,
3.500 cannoni. Queste cifre bisogna immaginarle tradotte nella realt di imbarco-trasporto-sbarco, per afferrare l'immensitdello sforzo.
Ognuna di queste armi deve essere accompagnata da abbondanti
munizioni. Ogni unitviene rifornita di mezzi di sopravvivenza che
comprendono gli articoli pidisparati, dal cibo al plasma sanguigno
ai preservativi. Nel corso della guerra gli americani riescono a
schierare sui vari teatri di guerra un totale di 8 milioni e mezzo di
soldati, la Normandia assorbe da sola una robusta frazione
dell'intero. Si tratta di aggredire un nemico ben al riparo nei suoi
bunker, su spiagge irte di ostacoli, con gli uomini esposti al fuoco
senza riparo possibile durante i primi minuti, quindi con un'altissima
percentuale di perdite previste.
La dotazione individuale per gli uomini del contingente d'assalto
prevede oltre alle normali razioni, mezzo chilo di dolci, un chilo di
biscotti, un pacchetto di gomma da masticare. Ogni soldato americano,
compresa la fanteria, riceve quotidianamente una razione di cibo pari
a circa tre chili, contro il chilo e ottocento grammi della
controparte tedesca. Come sanno tutti gli europei che hanno avuto
soldati americani in casa, noi compresi, le razioni di cibo sono cos abbondanti che spesso vengono regalate o rivendute al mercato nero.
Inferiori in tutto, i tedeschi superano gli americani solo nel
munizionamento per armi individuali. Una loro compagnia di fucilieri
dispone di 56 mila colpi contro i 21 mila degli americani. I tedeschi
inoltre dispongono dei magnifici carri armati Tiger, mostri del peso
di sessantatrtonnellate che consumano quasi dieci litri di benzina
per fare quattro chilometri.
Le truppe scelte americane come i paracadutisti sono, per contro,
armate in modo eccellente, forse addirittura eccessivo. Ogni uomo al
momento del lancio ha addosso un paracadute di riserva poggiato sullo
stomaco, sotto il paracadute un apparecchio radar del peso di 14 chili. All'imbracatura del paracadute sono agganciate alcune bombe a mano, in
mano stringe un fucile mitragliatore; in varie parti del corpo ha
distribuiti un pugnale, una Colt 45 automatica, una bomba da segnalazione,
una bomba al fosforo, una borraccia d'acqua, una mina anticarro, una
siringa di morfina gipredisposta, razioni D (a base di cioccolato)
e, aggiunta quasi commovente, un'edizione economica di "Oliver Twist"
di Dickens, stampata apposta per le forze armate. Gravati da quel peso
gli uomini avanzavano barcollando, fino a quando non potevano
liberarsi degli oggetti non pinecessari.

Nelle ultime settimane prima dell'invasione tutta l'Inghilterra
meridionale s'trasformata in uno sterminato accampamento e magazzino
militari. Lungo le strade e nelle campagne si concentrano tutti i
mezzi motorizzati e blindati, tutte le munizioni per ogni tipo di armi
comprese le mine, tutti i carburanti, tutti i materiali del genio:
binari di ferro forati per costruire strade percorribili dagli
automezzi, parti di ponti compresi i ponti di barche, rotoli di fili
metallico d'ogni calibro compreso il filo spinato, tutti gli apparati
di comunicazione individuali e di compagnia, tutto ciche l'esercito
moderno di una grande potenza industriale deve e vuole avere prima di
cominciare a combattere. E bare anche, migliaia di bare e di sacchi
per contenere cadaveri, sanno tutti che il prezzo umano dell'operazione
saraltissimo.
Lo spettacolo che i testimoni concordi citano come il pi impressionante comunque rappresentato dalle file interminabili di
jeep, autocarri, carri armati tutti perfettamente allineati e che
sembrano toccare l'orizzonte. Questa immensa quantitdi ferraglia stata trasportata via mare dagli Stati Uniti, una volta giunta in
Inghilterra stata parcheggiata accuratamente e mimetizzata con vari
stratagemmi in modo da risultare invisibile dall'aria a partire dai
4.000 metri di quota. Tra gli ultimi giorni di maggio e il 1.o giugno
questi sconfinati depositi e concentramenti di truppe prendono la
forma di lunghe colonne che scivolano lentamente verso la costa
meridionale dell'isola, tra alte colonne di fumo e di polvere.

Questo dunque il primo aspetto, ciche dovette essere progettato
prima dei combattimenti per renderli possibili, l'entitdello sforzo
non solo economico ma organizzativo prodotto in condizioni di alto rischio, considerato tra l'altro che l'Atlantico era infestato dai sottomarini tedeschi. E proprio qui s'innesta un secondo aspetto che vale la pena di rievocare, ciole operazioni di spionaggio e di controspionaggio che precedettero
l'invasione e in larga misura la consentirono. Tutto sommato
l'operazione Overlord stata una delle meglio protette, la sola
significativa fuga di notizie segrete fu la vendita all'Abwher
germanico di alcuni documenti, peraltro generici, nei quali si faceva
riferimento a un'operazione di questo nome. Autore della vendita fu il
cameriere turco (o forse albanese) dell'ambasciatore britannico ad
Ankara, caso abbastanza romanzesco dal quale Joseph L. Mankiewicz ha
tratto nel 1952 il bellissimo film "Operazione Cicero", con James
Mason nel ruolo del cameriere-spia (nome in codice Cicero). Nella
realti fatti andarono in maniera molto meno movimentata di come
Mankiewicz li ha ricostruiti per esigenze di sceneggiatura. Vero
invece che alla fine Cicero venne ingannato dai servizi segreti
tedeschi e compensato con un pacco di sterline false.

Cicero a parte, i piani d'invasione vengono tenuti miracolosamente
al riparo da occhi indiscreti e la comparsa degli alleati ai piedi
della penisola del Cotentin, la mattina del 6 giugno 1944, per i
tedeschi una vera sorpresa.
In compenso l'operazione viene preceduta da una massiccia e in
qualche caso geniale opera di controspionaggio e di disinformazione.
Gli uomini che si applicano a questo compito hanno un duplice scopo:
da una parte e in primo luogo non far scoprire ai tedeschi qual la
zona costiera scelta per lo sbarco; in secondo luogo indurli a credere
che lo sbarco avverrda qualche altra parte, indicando i luoghi pi distanti, dalla Norvegia al golfo di Biscaglia, anche se le allusioni
piinsistenti riguardano il Pas-de-Calais. Chiunque osservi una carta
della Manica puconstatare che quello il punto piconveniente per
un attraversamento del Canale: il braccio di mare pibreve, la
costa francese offre un porto accogliente e, subito alle spalle,
comode vie di deflusso e di comunicazione. Unica controindicazione,
l'ovvietdella scelta, di cui i tedeschi sono d'altronde perfettamente consapevoli. Rommel, responsabile in capo della difesa, proprio in quella
parte di costa ha fatto rafforzare al massimo le sue fortificazioni: il Vallo
atlantico.

In che modo si puingannare il nemico sulle proprie reali
intenzioni? La storia di questa parte meno conosciuta della guerra non
solo molto avventurosa, ma si sviluppa con un vero andamento
romanzesco fino a incarnarsi, come vedremo, nella figura, non saprei
dire se pistraordinaria o tragica, di un uomo.
Gli stratagemmi per ingannare i tedeschi sono di vario tipo. Uno dei
piingegnosi, nome in codice "Fortitude", consiste nel creare
l'illusione che ingenti forze alleate stiano ammassandosi in Scozia
come preparativo a un'invasione della Norvegia, dove Hitler ha le basi
dei suoi "U-boote", i sottomarini atlantici. Un gruppetto di anziani
ufficiali della riserva o in pensione vengono trasferiti in Scozia, al
solo scopo di riempire l'etere con le comunicazioni radio tipiche di
un corpo d'armata che si accinge a una vasta operazione militare.
Nasce cos solo sulle onde radio, una IV Armata britannica,
inesistente nella realt I messaggi sono trasmessi con un codice di
basso livello che i tedeschi possono decifrare con relativa facilit
inoltre vengono spesso confermati dalle comunicazioni "clandestine" di
spie doppiogiochiste che descrivono un intenso traffico di treni e di
convogli militari diretti a nord verso la Scozia.
Un'altra armata fantasma viene creata nell'Inghilterra sudorientale,
anche qui grazie a false comunicazioni radio, a spie doppiogiochiste e
alla creazione, con l'aiuto di scenografi venuti da Hollywood, di
interi campi di carri armati fatti di cartone e compensato. In mezzo
al mare viene montata, sempre con l'aiuto dei tecnici del cinema,
addirittura una finta piattaforma petrolifera. Per completare
l'inganno si crea addirittura un apposito corpo d'Armata affidato al
popolarissimo generale americano George S. Patton, al cui comando
vengono cosa trovarsi reparti reali insieme ad altri di pura
fantasia, oppure esistenti ma ancora dislocati negli Stati Uniti in
attesa di trasferimento.
Far credere ai tedeschi che il Pas-de-Calais sarl'obiettivo
dell'invasione quasi altrettanto importante che nascondere la vera
zona dello sbarco. Tra i numerosissimi inganni adottati si pu ricordare per esempio che i voli di ricognizione aerea sulle zone del
finto sbarco sono circa il doppio di quelli sul tratto di costa che in
realtstato scelto e ciole spiagge del Calvados, tra la base
orientale della penisola del Cotentin e la cittadina di Cabourg, alla
foce della Dives.
Nell'opera di disinformazione si arriva a una finezza che
costituisce da sola un insuperato capolavoro della controinformazione.
Da un ospedale londinese viene prelevata la salma di un uomo sui
quarant'anni, morto di polmonite. Il cadavere viene rivestito con
l'uniforme di capitano dello Stato maggiore, munito di un salvagente
in uso nelle forze aeree britanniche, dotato di documenti d'identite
ricordi personali coscompleti da comprendere tra l'altro la lettera
d'una finta moglie che si lamenta di non avere notizie e le foto di
alcuni finti figli. Al busto del finto capitano viene assicurata una
cartella impermeabile con documenti in chiaro e in codice che
descrivono concentramenti di truppe in previsione di uno sbarco nella
zona di Calais. Il cadavere viene imbarcato su un sottomarino e
lanciato nottetempo in una zona di mare frequentata da navi e
sottomarini tedeschi. L'operazione, si saprin seguito, riesce. I
tedeschi credono davvero che il povero morto con i polmoni pieni
d'acqua sia un ufficiale di collegamento abbattuto col suo aereo e
annegato in mare.
Il risultato di questo intenso lavorio durato mesi che i tedeschi
continuano ad accreditare l'idea che lo sbarco probabilmente avverr nel punto picomodo, anche se non smobilitano per questo le difese
altrove. Giil fatto che non le rafforzino ulteriormente rappresenta
comunque per gli Alleati un deciso vantaggio. Le false comunicazioni
radio, le spie doppiogiochiste, la tenuta del segreto portano Rommel e
i suoi generali a stimare in una novantina di divisioni la forza degli
Alleati quando, nella realtsono appena quarantasette.
Nessuno degli stratagemmi e degli inganni avrebbe peruna tale
efficacia se gli Alleati non fossero a conoscenza delle chiavi per
portare in chiaro i codici segreti cifrati dai tedeschi,
grazie a una complicatissima macchina chiamata "Enigma". Tra le molte
ragioni che hanno permesso la vittoria alleata e la sconfitta della
Germania nazista rientra sicuramente la violazione di Enigma da parte
di un gruppo di uomini, due soprattutto, che sono riusciti ad
attaccarne il complicato gioco di chiavi incrociate, un baluardo che i
progettisti della macchina ritenevano insuperabile. Questa parte della
storia talmente incredibile e cospoco nota che vale la pena di
lasciare la tolda della portaerei "Intrepid", le stesse spiagge della
Normandia e andare ldove, negli anni Trenta, la vicenda cominciata.

Tutto inizia l'8 novembre 1931 al Grand Hel di Verviers, in
Belgio, quando un agente francese il cui nome in codice "Rex" fa
conoscenza, non per caso, con un tedesco deluso dal proprio paese e
impoverito, un certo Hans-Thilo Schmidt, ex ufficiale nella Grande
guerra, poi impiegato all'ufficio cifra della rete Enigma. In cambio
di diecimila marchi, Schmidt permette all'altro di fotografare il
manuale per l'uso della macchina cifratrice. La macchina stata
concepita da uno sconosciuto e geniale ingegnere berlinese, un certo
Scherbius, che l'ha anche esposta al congresso internazionale
dell'Unione Postale nel 1923.
I francesi non combinano granchcon le informazioni ottenute.
Conoscere l'impianto della macchina certo utile, ma non
determinante, perchla forza del metodo sta nella scelta della
chiave che viene cambiata di giorno in giorno. Cosda Parigi le
informazioni vengono passate ai sevizi segreti polacchi del "Biuro
Szyfr瓃", con i quali esiste un accordo di cooperazione. La macchina
tedesca usa circuiti elettrici che eseguono automaticamente una serie
di sostituzioni alfabetiche variandole di continuo. Dopo aver cifrato
una lettera, i rotori di Enigma si mettono in moto dando luogo a un
nuovo circuito di connessioni. Enigma dotata di tre rotori che,
moltiplicati per 26 lettere, danno un totale di 17.576 combinazioni
possibili. Inoltre i rotori possono essere smontati e ricollocati in
una posizione diversa, il che porta le combinazioni a oltre centomila;
infine la macchina dispone di un pannello elettrico munito di prese e
spinotti (come un vecchio centralino telefonico) che permettono ulteriori possibilitdi scambio, portando il totale delle combinazioni a un numero di tredici cifre. Una barriera praticamente insormontabile.
Ogni mese gli operatori Enigma ricevono un nuovo cifrario con le
chiavi da usare di giorno in giorno. Per maggiore sicurezza si chiede
agli operatori di aprire le loro comunicazioni con una chiave
aggiuntiva, detta "chiave di messaggio", con la quale cifreranno poi i
testi veri e propri. Questa procedura viene ripetuta due volte per
evitare che un errore di battitura o un'interferenza radio la renda
incomprensibile. Mettiamo che la chiave di messaggio di un certo
giorno sia arg, l'operatore batte sulla tastiera la stringa aegaeg che
la macchina traduce, per esempio, in kjzcjo. Le due metdella chiave
cifrata non risultano uguali, perchi rotori dopo ogni lettera
cambiano posizione.

I tedeschi stimano che il loro sistema, nella realtancora pi complicato di questa sommaria descrizione, sia praticamente
inviolabile. I crittografi del "Biuro Szyfr瓃" tuttavia non si perdono
d'animo e cominciano a studiare ogni possibile metodo matematico e
statistico per venire a capo della doppia chiave - quella giornaliera
e quella di messaggio. Nella squadra viene assunto tra gli altri
Marian Rejewski, un ventitreenne e occhialuto laureato in statistica
che sta aspettando di avere un posto nelle assicurazioni. Il geniale
Rejewski individua la maglia debole del sistema proprio nella doppia
battitura iniziale della chiave di messaggio. I suoi tentativi di
entrare nel sistema durano un anno e alla fine Rejewski non solo
riesce a farlo, ma anche in grado di costruire una replica esatta di
Enigma, nonchuna contromacchina che, impostata la chiave, trova da
sola nel giro di un paio d'ore i giusti assetti dei vari rotori.
Gli avvenimenti politici intanto precipitano. Nell'aprile 1939
Hitler invade i Sudeti, mentre la sua violenza verbale nei confronti
della Polonia cresce di tono. Alla fine di giugno il capo del "Biuro"
invita a Varsavia i responsabili dei servizi francesi e inglesi per un
incontro segreto. La riunione ha luogo a metluglio e in
quell'occasione il polacco offre ai suoi sbalorditi ospiti una replica
di Enigma e della contromacchina concepita da Rejewski. Il 16 agosto
gli inglesi trasferiscono la loro macchina a Londra, facendogli attraversare
la Manica in modo rocambolesco, insieme al bagaglio dello scrittore Sacha Guitry. Due settimane dopo Hitler invade la Polonia dando inizio alla Seconda
guerra mondiale.

Tutto cisolo l'antefatto degli avvenimenti che pidirettamente
ci interessano a proposito della Normandia. Il magnifico lavoro
compiuto dalla squadra di Rejewki fa capire agli inglesi l'importanza
d'affidare il lavoro di decrittazione a un'uipe composta non solo di
umanisti ma anche di matematici, scienziati, statistici. Viene creato
un ufficio la cui sede destinata a entrare nella mitologia dello
spionaggio: un vecchio edificio vittoriano in stile Tudor a Bletchley
Park, nel Buckinghamshire, qualche decina di chilometri da Londra.
Intorno alla casa c'un ampio giardino che col tempo e l'aumento del
personale si riempira poco a poco di baracche (chiamate in gergo
"capanne"), ognuna delle quali specializzata in una diversa
operazione: decifrazione, traduzione, confronto e cosvia. Si
comincia con un organico di duecento persone, nel pieno della guerra
saranno settemila. Agli specialisti iniziali si sono aggiunti forti
enigmisti, campioni di scacchi, egittologi. Si arriva anche, con una
trovata piuttosto brillante e molto "inglese", a pubblicare sul "Daily
Telegraph" un difficile cruciverba che solo venticinque persone sono
in grado di risolvere; tre di queste vengono assunte.

I mezzi che gli inglesi mettono a disposizione (numero delle
contromacchine e degli analisti) sono molto superiori a quelli
stanziati a suo tempo dai polacchi. Questa relativa larghezza permette
di stare al passo con i successivi perfezionamenti che i tedeschi
apportano alle loro macchine. Ogni mattina, appena gli operatori
tedeschi si sono scambiati la nuova chiave, gli inglesi cominciano un
lavoro frenetico d'interpretazione cercando di venire a capo, il
caso di dire, dell'"enigma". Quando ci riescono, tutte le
comunicazioni germaniche inviate via radio nel corso della giornata
sono portate in chiaro e tradotte.
E' a questo punto che entra in scena il vero protagonista della
storia nella persona di Alan Mathison Turing, l'uomo - possiamo dire
tranquillamente - che per primo ha concepito l'idea di ciche oggi
chiamiamo computer.

Per una quantitdi persone questo nome significa poco o niente,
anche se Turing sicuramente stato uno dei pigeniali (il pi geniale, secondo alcuni) matematici del XX secolo. Era nato nel giugno
del 1912, figlio di un funzionario dell'amministrazione britannica in
India. A scuola era considerato uno studente mediocre, mal giudicato
dai suoi insegnanti, bollato con giudizi come "capriccioso,
disordinato, pigro". D'altronde lui stesso s'era trovato cosa
disagio da scrivere anni dopo: "Studiare in una "public school"
inglese ha di buono che dopo, per quanto si possa essere infelici, si
consapevoli che non ci potrmai essere nulla di peggio". A scuola
tra l'altro s'innamorper la prima volta di un suo compagno,
Christopher Morcom, morto precocemente a vent'anni di Tbc. Per molto
tempo dopo la scomparsa tenne la sua foto sulla scrivania.
Appassionato giocatore di scacchi, temperamento solitario, talvolta
deriso dai compagni che gli affibbiano il nomignolo di "Pansy"
(violetta), Alan si dedica alla chimica, alla fisica e soprattutto
alla matematica, materie che attraversano negli anni Trenta un momento
di grande progresso (teoria della relativit fisica quantistica) ma
anche di crisi per quanto riguarda la matematica di cui Kurt Gel
dimostra con un celebre teorema l'incompletezza logica. Il teorema si
puriassumere in questi termini: dato un qualsiasi sistema costruito
su un gruppo di assiomi, come appunto l'aritmetica, sempre possibile
trovare una proposizione che fa parte di questo sistema che vera ma
non dimostrabile sulla base degli assiomi del sistema stesso. In altre
parole: ogni sistema costruito sulla base di un gruppo di assiomi incompleto.
Nel 1936 il giovanissimo Turing che ha solo ventiquattro anni
pubblica sull'autorevole rivista "Proceedings og the London
Mathematical Society" un saggio che resta probabilmente il suo
capolavoro (On Computable Numbers - Sui numeri calcolabili) nel quale,
dando corpo al teorema di Gel, dimostra l'impossibilitdi risolvere
alcune fondamentali questioni matematiche.
Ma in quel saggio lo scienziato lancia anche le basi di un'altra idea:
una "macchina universale", detta anche "macchina di Turing", che abbia la capacitdi dimostrare attraverso un procedimento meccanico
se una proposizione matematica dimostrabile. Non solo: questa
macchina, istruita da un nastro perforato su compiti di volta in volta
diversi, avrebbe secondo Turing potuto avvicinarsi alla flessibilit del pensiero umano, diventando di volta in volta capace di giocare a
scacchi o di eseguire calcoli o d'immagazzinare dati eccetera. Si pu capire che si stava giparlando di quello che diventeril
calcolatore automatico elettronico con memoria interna di programma,
insomma il computer. Purtroppo la tecnologia degli anni Trenta non ancora all'altezza di realizzare, o anche solo di concepire, una
macchina del genere.

Ancora giovanissimo Turing diventa (dal 1931) "fellow" del King's
College a Cambrige. Vi insegnano luminari come Keynes o Forster, vi
circola un'atmosfera molto liberale che gli consente di avere diverse
relazioni omosessuali senza suscitare particolare scandalo. Semmai fa
discutere la sua perenne trascuratezza e, per dire proprio tutto, la
sua deplorevole mancanza d'igiene: barba spesso lunga, unghie bordate
di nero, giacche strazzonate, colletti irriconoscibili. Per non
parlare di altre autentiche stravaganze, come i pantaloni tenuti su da
un pezzo di spago annodato in vita, il maglione portato direttamente
sopra la giacca del pigiama, una tenuta diciamo sportiva limitata a un
impermeabile, e nudo sotto.
Turing avrebbe probabilmente continuato la sua brillante e discussa
carriera accademica se non fosse scoppiata la guerra. Il 4 settembre
1939, tre giorni dopo l'invasione della Polonia, viene convocato a
Bletchley Park e arruolato sui due piedi nel servizio Codici e Cifre.
La preoccupazione delle autoritinglesi che i tedeschi sopprimano
la doppia ripetizione dell'iniziale codice di messaggio che ha permesso ai polacchi di fare breccia nel sistema e che anche per loro la principale risorsa per tentarvi un ingresso. Turing infatti si concentra subito
su un'altra possibilit analizzando decine di messaggi portati in
chiaro, riesce a individuare certe ripetitivitlegate o ai tic di un
qualche operatore o alle necessitcreate da messaggi di routine. Per
esempio tutte le mattine, poco dopo l'alba, i tedeschi inviano in
cifra un bollettino meteo che di necessitdeve contenere la parola
"wetter" (tempo) in una posizione quasi obbligata. Altre volte gli
inglesi fanno sganciare dai loro aerei qualche mina in prossimitdi
navi tedesche. La successiva richiesta di aiuto dei germanici contiene
di necessitle coordinate del "punto nave" che anche gli inglesi
conoscono. Piccole crepe nel sistema nelle quali cominciare a
insinuarsi.

L'uso combinato di concatenazioni logico-matematiche e di macchine
decifratrici collegate elettricamente porta a risultati eccezionali.
Nonostante i tedeschi abbiano reso il sistema Enigma ancora pi complesso, per esempio aumentando il numero dei rotori e degli
scambiatori, quasi ogni giorno gli inglesi sono in condizione di
decifrare i messaggi in un tempo sufficiente (da una a cinque ore) per
diventare utile dal punto di vista militare.
Come sempre accade ai grandi protagonisti solitari, Turing non solo
perfettamente consapevole dell'immenso aiuto che sta dando alla
guerra, ma vorrebbe fare di pi quindi avere pimezzi e piuomini.
Stanco delle lungaggini burocratiche, a un certo punto manda una
richiesta d'aiuto direttamente a Winston Churchill. Il primo ministro
la trasmette ai suoi uffici con questa annotazione a margine:
"Prioritassoluta; abbiamo tutto quello che serve, confermare che si
provveduto". Quando gli americani entrano in guerra dopo Pearl
Harbour, a Turing viene affidato il coordinamento tra i gruppi di
decrittazione dei due eserciti. I successi della "Baracca 8" da lui
guidata diventano a un certo punto di tale entitda costringere la
marina britannica a limitare i suoi interventi per non insospettire
con attacchi di eccessiva precisione l'ammiraglio germanico. In mano
agli operatori di Turing tutti i codici dell'Asse vengono via via
violati, compresi quelli italiani e giapponesi. Nel dicembre 1943
entra in funzione "Colossus", prima macchina interamente elettronica.
La storia di Alan Mathison Turing, per quanto riguarda la sua
collaborazione allo sbarco in Normandia, finisce qui. Non finisce per la sua vita e forse qualcuno interessato a sapere qual stata la
sorte di questo eccezionale scienziato. La sua un'esistenza
tormentata, come divisa in due: da una parte diventa membro della
Royal Society e viene decorato con l'ordine dell'Impero britannico per
meriti di guerra, dall'altra conosce una disordinata carriera
accademica, sempre in lotta per avere mezzi sufficienti e sufficiente
libertper la sua vita privata. Una delle sue invenzioni il
cosiddetto "test di Turing" (tuttora in vigore), una serie di domande
che consente di capire se un computer sta "dialogando" con un altro
computer o con una mente umana. Si puanche ricordare che il
calcolatore Hal nel film di Stanley Kubrick "2001, Odissea nello
spazio" ispirato a un articolo che Turing pubblicnel 1950 sulla
rivista filosofica "Mind". In quel saggio dedicato all'intelligenza
artificiale sosteneva: "Avremo macchine intelligenti quando riusciremo
a fargli fare dieci trilioni di calcoli al secondo". Un trilione
equivale a dieci miliardi di miliardi.
Il banale incidente che sconvolge la sua vita avviene nel febbraio
1952. Il suo appartamento a Manchester viene svaligiato da un giovane
di vita, amico di un altro ragazzo che stato suo amante occasionale.
Quando viene arrestato, il ragazzo dichiara di essere stato pagato da
Turing per avere rapporti con lui. Lo scienziato viene a sua volta
interrogato. Basterebbe che smentisse, mentendo. Non lo fa, anzi
conferma i rapporti. Certamente non pensa, immerso com'nei suoi
calcoli, che nella conservatrice Inghilterra ancora in vigore
un'antiquata legge vittoriana risalente alla fine dell'Ottocento che
considera l'omosessualitun reato: la stessa applicata a suo tempo a
Oscar Wilde. Viene condannato con facoltdi scegliere tra il carcere
e la "castrazione chimica", ciouna cura ormonale che abbassando
temporaneamente l'istinto sessuale dovrebbe in seguito fargli
recuperare la "normalit. Sceglie questa seconda orribile pena.
Scriverqualche settimana dopo a un amico: "Sono diventato impotente
e mi stanno crescendo i seni".
La pena e la vergogna inflittegli da un grande paese per alcuni
aspetti barbarico durano molti mesi, alla fine diventano
insopportabili. Quando ha visto giovanissimo il film di Disney
"Biancaneve" Turing rimasto molto impressionato dalla scena della
strega cattiva che avvelena la mela intingendola in una pozione
mortale; canticchiava spesso tra si due versetti: "Tuffa la mela nel
boccale - Che la impregni un sonno mortale". Il 7 giugno 1954 compie
lo stesso gesto: intinge una mela in una soluzione di cianuro e
comincia ad addentarla. La donna delle pulizie lo trova la mattina
dopo cadavere sul letto con la mezza mela ancora stretta nel pugno.
Aveva quarantadue anni.

La vicenda di Alan M. Turing contiene due storie. In primo luogo
quella di un uomo eccezionale e straordinariamente infelice. Poi un
fondamentale retroscena di quella operazione militare senza precedenti
che stata lo sbarco in Normandia. Vent'anni dopo il 6 giugno 1944,
anniversario dello sbarco, Dwight Eisenhower concesse al celebre
giornalista Walter Cronkite un'intervista su quel tratto di spiaggia
che in codice era stata chiamata "Omaha Beach". In vent'anni ogni
traccia di quelle furiose giornate era stata cancellata, a parte le
innaturali ondulazioni del terreno provocate dai crateri di migliaia
di bombe. Coperte e dissimulate dalla vegetazione, sono visibili
ancora oggi. Guardando la folla dei francesi in vacanza, le barche che
veleggiano lungo la Manica, il vecchio generale rievoci duemila Gi's
yankee morti il primo giorno su quella sola spiaggia. "E'
sconvolgente" disse "pensare alle vite sacrificate, al prezzo
terribile pagato solo su questa spiaggia, in un solo giorno duemila
morti. Ma sono morti perchil mondo fosse libero".
Retorica, ovviamente. Buona retorica americana, con quel tanto di
convincimento e di buona fede da avvicinarla alla veritfacendola
diventare, quando raggiunge questo livello, un "culto traslato della
realt. Alla fine del suo film sullo sbarco, Steven Spielberg fa
garrire una bandiera a stelle e strisce, quasi grigia nel controluce,
contro lo sfondo sconfinato di migliaia di croci e di stelle di David,
una per ogni soldato morto, ci sono lacrime negli occhi del vecchio
Ryan. Buona retorica anche quella, della stessa qualit
Per due volte gli Stati Uniti sono intervenuti in guerre fratricide
europee e sempre dalla parte giusta. Sono stati gli italiani semmai a
trovarsi, l'ultima volta, dal lato sbagliato della trincea. Dalla
vittoria in Europa e poi in Asia gli Stati Uniti sono usciti come la
prima potenza mondiale e anche a questo sono serviti i duemila morti
di Omaha Beach e le migliaia e migliaia di altri. Lungimiranza
politica, operazioni di potere. Ma intervenne allora anche una certa
dose di idealismo, se si vuole nella sua forma pifanciullesca: la
voglia di menare le mani per difendere il pidebole, il buono della
situazione.
Sulla tolda di vecchio acciaio della portaerei "Intrepid" ormeggiata
in riva la fiume Hudson viene in mente che l'epica western, con
l'eterno conflitto tra il prepotente di turno e lo sceriffo buono, con
l'arrivo finale dello squadrone al galoppo, vessilli e fanfare al
vento, non sarebbe stata possibile se quel taglio netto tra torto e
ragione non avesse corrisposto a una genuina visione del mondo,
applicabile sia alle fiabe del cinema che alle difficili questioni
della politica e della guerra.

A bordo di questa vecchia portaerei siamo idealmente tornati in
Europa, approdando su una spiaggia francese nel giorno pidrammatico
della sua storia. All'inizio di questo libro siamo arrivati a New York
insieme a un altro grande simbolo retorico, la statua della Libert
dono della Francia agli Stati Uniti. Questa nave immobile il mezzo
con il quale riattraversiamo l'Atlantico, ci lasciamo alle spalle il
profilo torreggiante di Manhattan, le migliaia di storie che
racchiude, ogni storia possibile, tutto il bene e tutto il male del
mondo, tutta la luce e tutta la pinera tenebra.
Non credo che resti molto nella memoria degli europei di quella
mattina di giugno di tanti anni fa, anche se chi nato a Roma e ha
superato il mezzo secolo ha con lo sbarco un forte legame, quasi
personale. L'ordine d'invasione venne dato nemmeno quarantotto ore
dopo l'ingresso degli americani a Roma (4 giugno 1944) e sicuramente
la notizia che la capitale italiana era stata liberata alla vigilia
della loro azione ebbe il suo peso sui responsabili dell'operazione,
ne rafforzcredo la motivazione.
Poi c'la memoria custodita dagli studiosi, elaborata dagli
artisti, da chiunque abbia a cuore la storia del vecchio continente e
sa quali altre orribili cose le nostre vite avrebbero conosciuto se
quello sbarco non ci fosse stato, se quei ragazzi non fossero morti,
se quella guerra non fosse stata vinta.
Sicuramente non abbastanza per la dimensione dello sforzo e del
sacrificio, ma tutto ciche ancora rimane. La veritper
chiunque, perduto in un secolo tramontato, riassunto in poche righe
sui libri di storia dei ginnasi. Scrivendo quest'ultimo capitolo mi
sono reso conto che stavo cercando, o aspettando, di ricreare una
misura che non ci appartiene pi qualcosa che non pipossibile
trovare, un soffio, un sospiro nel tempo, mezzo secolo, la nostra
vita.


Indice
IX Italiani cone noi pag. 189
X Ma dove abita Nero Wolfe? pag. 220
XI Edgar Allan Poe: un cuore di tenebra pag. 232
XII La ragazza pibrillante del giro pag. 252
XIII Yddish connection pag. 279
XIV Un amore a Sutton Place pag. 297
XV Sulle dune di Omaha Beach pag. 322







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