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Gianrico Carofiglio,
Testimone inconsapevole.
Copyright 2002 Sellerio editore, Palermo.
Edizione Mondolibri S.p.A., Milano, su licenza Sellerio editore Palermo.
I libri della serie fino ad ora pubblicati:
testimone inconsapevole;
ad occhi chiusi;
il passato e' una terra straniera.
Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla.
LAO-TZE, Il libro della Via e della Virt
Parte prima.
Ricordo molto bene il giorno prima, anzi il pomeriggio prima, che tutto
cominciasse.
Ero arrivato in studio da un quarto d'ora e non avevo nessuna voglia di
lavorare. Avevo gicontrollato la posta elettronica, la posta cartacea,
riordinato qualche carta fuori posto, fatto un paio di telefonate inutili.
Insomma avevo esaurito tutti i pretesti e quindi mi ero acceso una sigaretta.
Adesso mi godo tranquillamente la sigaretta e poi comincio.
Finita la sigaretta avrei trovato qualcos'altro. Magari sarei sceso ricordandomi
di un certo libro che dovevo andare a prendere da Feltrinelli e, insomma, avevo
rinviato troppe volte.
Mentre fumavo squillil telefono. Era la linea interna, la mia segretaria
dall'anticamera.
C'era un signore che non aveva appuntamento, ma diceva che era urgente.
Quasi nessuno ha mai appuntamento. La gente va dall'avvocato penalista quando ha
problemi seri e urgenti, o convinta di averli. Il che ovviamente lo stesso.
In ogni caso nel mio studio funzionava cos la mia segretaria mi chiamava, in
presenza del signore o della signora che aveva urgente bisogno di parlare con
l'avvocato. Se ero impegnato, per esempio con un altro cliente, facevo aspettare
fin quando non finivo.
Se non ero impegnato, come quel pomeriggio, facevo aspettare lo stesso.
Sia chiaro che in questo studio si lavora, e la ricevo solo perchuna cosa
urgente.
Dissi a Maria Teresa di comunicare al signore che avrei potuto riceverlo fra
dieci minuti, ma non avrei avuto molto tempo da dedicargli perchdopo avevo una
riunione importante.
Gli avvocati, pensa la gente, hanno spesso riunioni importanti.
Dieci minuti dopo il signore entr Aveva i capelli lunghi neri, la barba lunga
nera e gli occhi sbarrati. Si sedette e si appoggisulla scrivania,
protendendosi verso di me.
Per un attimo fui certo che dicesse: "Ho appena ucciso mia moglie e mia suocera.
Sono giin macchina, nel bagagliaio. Fortunatamente ho una station wagon. Che
dobbiamo fare adesso, avvocato?.
Non disse cos Aveva un camper su cui arrostiva wurstel ed hamburger. Gli
ispettori della ASL lo avevano sequestrato perchle condizioni igieniche erano
pio meno quelle delle fogne di Benares.
Il barbuto rivoleva indietro il suo camper. Sapeva che ero un bravo avvocato
perchglielo aveva detto un suo amico che era mio cliente. Con una specie di
schifoso sorriso di intesa disse il nome di uno spacciatore, per il quale ero
riuscito a patteggiare una pena vergognosamente bassa.
Gli chiesi un anticipo spropositato e lui tirfuori dalla tasca dei pantaloni
un rotolo di banconote da cento e da cinquanta.
Non mi dia quelli con le macchie di maionese per piacere, pensai rassegnato.
Lui contfra indice e pollice la somma che gli avevo chiesto. Mi lasciil
verbale di sequestro e tutte le altre carte. No, non voleva la ricevuta, e che
me ne faccio avvocato. Altro sorriso di intesa. Certo, fra noi evasori fiscali
ci intendiamo.
Anni prima il mio lavoro mi piaceva abbastanza. Adesso invece mi dava un vago
senso di nausea. Quando poi incontravo soggetti come il venditore di hamburger
la nausea aumentava.
Pensai che meritavo una cena con i wurstel del signor Rasputin e poi di finire
al pronto soccorso. Lavrei trovato ad attendermi il dottor Carrassi.
Il dottor Carrassi, aiuto primario del pronto soccorso, aveva fatto morire una
ragazza di ventun anni, con la peritonite, dicendo che erano dolori mestruali.
Il suo avvocato, io, lo aveva fatto assolvere senza fargli perdere nemmeno un
giorno di servizio e una lira di stipendio. Non era stato un processo difficile.
Il pubblico ministero era una idiota e l'avvocato di parte civile un analfabeta
terminale.
Quando fu assolto Carrassi mi abbracci Aveva l'alito pesante, era accaldato e
pensava che fosse stata fatta giustizia.
Uscendo dall'aula avevo evitato lo sguardo dei genitori della ragazza.
Il barbuto andvia ed io, soffocando la nausea, preparai il ricorso contro il
sequestro del suo pregevole ristorante mobile.
Poi andai a casa.
Il venerdsera, di regola, andavamo al cinema e poi a cena, sempre con lo
stesso gruppo di amici.
Non partecipavo mai alla scelta del cinema e del ristorante. Facevo quello che
decidevano Sara e gli altri e passavo la serata in apnea, aspettando che
finisse. Era diverso solo quando capitava un film che mi piacesse davvero, ma
era una eventualitsempre pirara.
Quel venerd quando rientrai, Sara era gipronta per uscire. Dissi che avevo
bisogno di almeno un quarto d'ora, il tempo di fare una doccia e cambiarmi.
Ah, lei usciva con i suoi amici. Quali amici ? Quelli del corso di fotografia.
Poteva dirmelo prima, che mi sarei organizzato. Me lo aveva detto da ieri e non
poteva farci niente se non ascoltavo quando parlava. Va bene, non c'era bisogno
di arrabbiarsi, avrei visto di combinare qualcosa per conto mio, se avessi fatto
in tempo. No, non avevo nessuna intenzione di farla sentire in colpa, volevo
dire solo ed esattamente quello che avevo detto. Va bene era meglio chiudere la
discussione.
Lei usced io rimasi a casa. Pensai di chiamare i soliti amici e di uscire con
loro. Poi mi sembrassurdamente difficile spiegare perchSara non c'era, e
dove era andata, e pensai che mi avrebbero guardato con aria strana e, insomma,
lasciai stare.
Provai a chiamare una mia amica con cui qualche volta mi vedevo,
clandestinamente, in quel periodo, ma lei mi disse, parlando sottovoce al
cellulare, che era con il fidanzato. Che mi aspettavo, di venerd Mi sentii a
disagio e allora pensai che noleggiavo un bel film poliziesco, tiravo fuori una
pizza surgelata, una birra grande, fredda e in un modo o nell'altro quel venerd sera sarebbe passato.
Presi Black Rain, anche se l'avevo givisto due volte. Lo rividi per la terza e
mi piacque ancora. Mangiai la pizza, bevvi tutta la birra. Poi bevvi anche un
whisky e fumai diverse sigarette. Mi feci un giro di canali, scoprendo che sulle
televisioni locali avevano ripreso a dare i film hard. Questo mi fece notare che
era l'una passata e cosandai a dormire.
Non so quando mi addormentai e non so quando Sara rientr perchnon la sentii.
La mattina dopo mi svegliai che lei si era gialzata. Entrai in cucina con la
faccia del sonno e lei, senza dire niente mi versuna tazza di caffamericano.
Il caffamericano, lungo, era sempre piaciuto a tutti e due.
Bevvi due sorsi e stavo per domandarle a che ora fosse rientrata la notte prima,
quando mi disse che voleva la separazione.
Disse cos semplicemente: "Guido, voglio che ci separiamo.
Dopo molti secondi di silenzio assordante fui costretto alla domanda pibanale.
Perch
Me lo disse il perch Fu calma, e implacabile. Forse pensavo che non si fosse
accorta di come era stata la mia vita degli ultimi, diciamo almeno due anni.
Invece se ne era accorta e non le era piaciuta. Quello che l'aveva piumiliata
non era la mia infedelt quella parola mi colpin faccia come uno sputo, ma il
fatto che le avessi veramente mancato di rispetto trattandola come fosse una
stupida. Lei non sapeva se ero sempre stato coso se lo ero diventato. Non
sapeva quale ipotesi preferire e forse non gliene importava nemmeno.
Mi stava dicendo che ero diventato un uomo mediocre o che forse lo ero sempre
stato. E lei non aveva voglia di vivere con un uomo mediocre. Non pi
Da vero uomo mediocre non trovai niente di meglio che chiederle se aveva un
altro. Lei rispose semplicemente di no e che comunque, da quel momento, non
erano piaffari miei.
Giusto.
La conversazione non prosegua lungo e dieci giorni dopo ero fuori di casa.
Dunque fui, civilmente, cacciato di casa e la mia vita cambi Non in meglio,
anche se non me ne resi conto subito.
Per i primi mesi anzi, ebbi una sensazione di sollievo e un sentimento quasi di
gratitudine nei confronti di Sara. Per il coraggio che aveva avuto e che a me
era sempre mancato.
Insomma, mi aveva tolto le castagne dal fuoco, come si usa dire.
Avevo pensato tante volte che quella situazione non poteva durare e che dovevo
fare qualcosa. Dovevo prendere una iniziativa, trovare una soluzione, parlarle
onestamente. Fare qualcosa.
Per siccome ero un vigliacco non avevo fatto niente, a parte afferrare le
occasioni clandestine che mi erano capitate.
Certo se ci pensavo, le cose che aveva detto quella mattina mi bruciavano. Mi
aveva trattato da mediocre e da piccolo vigliacco ed io avevo subito senza
reagire.
Ecco, nei giorni successivi a quel sabato, anzi quando giero andato a stare
nella mia nuova casa, pensai pivolte a quello che avrei potuto rispondere,
insomma, per mantenere un po' di dignit
Mi venivano in mente frasi del tipo: "Non voglio negare le mie responsabilit
ma ricordati che le colpe non sono mai tutte da una sola parte. E cose simili.
Fortunatamente ciaccadde solo a distanza di giorni, appunto. Quel sabato
mattina rimasi in silenzio e, perlomeno, evitai il ridicolo.
Dopo un po' comunque smisi e mi rimaneva solo qualche fitta, dentro. Quando
pensavo a dove poteva essere Sara in quel momento, a cosa stava facendo, a con
chi si trovava.
Ero molto bravo ad anestetizzare queste fitte e a farle sparire rapidamente. Le
ricacciavo ldentro da dove erano venute, anzi piin profondit pinascoste.
Per qualche mese feci una vita senza regole, da single di prima nomina. Una
cosiddetta vita brillante.
Frequentavo compagnie improbabili, partecipando a feste insulse, bevendo troppo,
fumando troppo, eccetera.
Uscivo tutte le sere. Rimanere solo a casa era un'idea insopportabile.
Ebbi alcune fidanzate, naturalmente.
Non ricordo una sola conversazione avuta con una sola di queste ragazze.
In mezzo a tutto questo si tenne l'udienza per l'omologa della separazione
consensuale. Non ci furono problemi. Sara era rimasta nella casa, che era sua.
Io avevo cercato di tenere un atteggiamento dignitoso rifiutando di portare via
mobili, elettrodomestici, insomma qualsiasi cosa non fossero i miei libri, e
nemmeno tutti.
Ci incontrammo nell'anticamera del presidente del tribunale, che si occupava
delle separazioni. Era la prima volta che la vedevo da quando ero andato via di
casa. Aveva tagliato i capelli, era un po' abbronzata ed io pensai a dove poteva
essersi abbronzata e con chi potesse essere andata ad abbronzarsi.
Non fu un pensiero piacevole.
Prima che potessi dire nulla lei si avvicine mi diede un bacio leggero sulla
guancia. Questo, pidi ogni altra cosa, mi diede la sensazione
dell'irrimediabile. A 38 anni appena compiuti stavo scoprendo per la prima volta
che le cose finiscono davvero.
Il presidente cercdi farci riconciliare, come gli imponeva la legge. Noi fummo
molto educati e civili. Parl poco, solo lei. Avevamo deciso, disse. Era un
passo che facevamo con rispetto reciproco, serenamente.
Io stavo zitto, annuivo e, in quel film, mi sentivo l'attore non protagonista.
Tutto finmolto rapidamente, visto che non c'erano problemi di soldi, di case,
di bambini.
Una volta fuori dalla stanza del giudice, di nuovo lei mi diede un bacio, quasi
sull'angolo della bocca questa volta. "Ciao" disse.
Ciao" dissi, quando lei gisi era girata e andava via.
Ciao" dissi di nuovo al niente, dopo aver fumato una sigaretta appoggiato al
muro.
Me ne andai quando mi accorsi degli sguardi degli impiegati che passavano.
Fuori era primavera.
La primavera si trasformrapidamente in estate ma i giorni scorrevano sempre
tutti uguali.
Anche le notti erano tutte uguali. Buie.
Fino ad una mattina di giugno.
Ero in ascensore, di ritorno dal tribunale e salivo al mio studio, all'ottavo
piano quando, d'improvviso e senza una ragione, fui assalito dal panico.
Uscito dall'ascensore, rimasi sul pianerottolo per un tempo indefinito, col
respiro affannoso, sudori freddi, nausea, lo sguardo fisso su un estintore. E
una paura terribile.
Sta bene avvocato?. Il tono del signor Strisciuglio, impiegato delle finanze in
pensione, inquilino dell'altro appartamento al piano, era un po' perplesso, un
po' preoccupato.
Sto bene, grazie. Sono completamente fuori di testa, ma non credo che questo sia
un problema. E lei come sta?.
Non vero. Dissi che avevo avuto un leggero capogiro ma che adesso era tutto a
posto, grazie, buongiorno.
Naturalmente non era tutto a posto, come avrei capito fin troppo bene nei giorni
e nei mesi successivi.
Prima di tutto non sapendo cosa mi fosse capitato, quella mattina in ascensore,
cominciai ad essere ossessionato dall'idea che potesse succedere di nuovo.
Cossmisi di prendere l'ascensore. Fu una scelta stupida, che contribuad
aggravare le cose.
Dopo qualche giorno, invece di stare meglio cominciai a temere che il panico
potesse assalirmi dappertutto e in qualsiasi momento.
Quando mi fui preoccupato abbastanza riuscii a farmi venire un nuovo attacco,
per strada questa volta. Fu meno violento del primo ma gli effetti, nei giorni
successivi, furono ancora pidevastanti.
Per almeno un mese vissi nel terrore costante di essere colpito di nuovo dal
panico. buffo, a ripensarci adesso. Vivevo nella paura di essere assalito
dalla paura.
Pensavo che quando mi fosse ricapitato, sarei potuto impazzire ed eventualmente
anche morire. Morire pazzo.
Questo mi fece ricordare, con sgomento superstizioso, un fatto successo molti
anni prima.
Ero all'universite avevo ricevuto una lettera, scritta su un foglio a
quadretti con grafia rotonda e quasi infantile.
Caro amico, dopo avere letto questa lettera fanne dieci copie di tuo pugno e
spediscile a dieci amici. Questa la vera catena di Sant'Antonio: se la farai
proseguire, nella tua vita entreranno fortuna, denaro, amore, serenite gioia;
se la interromperai potranno accaderti orribili sventure. Una giovane sposa che
da due anni desiderava un figlio senza riuscire a rimanere incinta ricopila
lettera e la speda dieci amici. Tre giorni dopo seppe di essere in dolce
attesa. Un umile impiegato delle poste ricopila lettera, la speda dieci fra
amici e parenti ed una settimana dopo vinse una grossa somma al gioco del lotto.
Un professore di liceo invece ricevuta questa lettera, ne rise e la strapp
Pochi giorni dopo ebbe un incidente, si spezzuna gamba ed inoltre fu sfrattato
da casa.
Una casalinga ricevette la lettera e decise di non rompere la catena. Purtroppo
persmarrla lettera e, di fatto, ruppe la catena. Si ammaldi meningite dopo
pochi giorni e, pur se guarita, rimase invalida per tutta la vita.
Un medico, ricevuta la lettera la strappesclamando, con tono sprezzante, che
non bisognava credere a simili superstizioni. Nei mesi successivi fu licenziato
dalla clinica in cui lavorava, fu abbandonato dalla moglie, si ammale infine
morpazzo.
Non interrompere la catena!
Lessi la lettera ai miei amici, che la trovarono esilarante. Quando si furono
ripresi dalle risate mi chiesero se intendevo strapparla e morire pazzo. O
mettermi diligentemente a fare le dieci copie in bella grafia, cosa che non
avrebbero mancato di ricordarmi, con poco garbo, presumo, almeno per i
successivi dieci anni.
Cimi diede sui nervi, pensai che non sarebbero stati cosilluministi se la
lettera fosse arrivata a loro e dissi che ovviamente l'avrei strappata. Quelli
pretesero che lo facessi davanti a loro. Insinuarono che potessi ripensarci e,
lontano da occhi indiscreti, potessi fare le famose dieci copie eccetera.
Insomma, fui costretto a strapparla, e quando ebbi finito il pispiritoso dei
tre disse che comunque non dovevo preoccuparmi: al momento opportuno sarebbe
stata loro premura farmi ricoverare in un manicomio accogliente.
Pio meno diciotto anni dopo mi sarei ritrovato a pensare, seriamente, che la
profezia si stava avverando.
In ogni caso la paura di avere un nuovo attacco di panico e di impazzire non era
il mio unico problema.
Cominciai a soffrire di insonnia. Passavo le notti quasi completamente in
bianco, addormentandomi solo poco prima dell'alba.
Qualche rara volta prendevo sonno in orari pinormali. In questi casi permi
svegliavo immancabilmente due ore dopo, e non potevo restare a letto. Se ci
provavo, venivo assalito da pensieri tristissimi, insopportabili. Su come avevo
sprecato la mia vita, sulla mia infanzia. E su Sara.
Allora ero costretto ad alzarmi e vagavo nel mio appartamento. Fumavo, bevevo,
guardavo la televisione, accendevo il cellulare nell'assurda speranza che
qualcuno mi chiamasse nel cuore della notte.
Cominciai a preoccuparmi che la gente si accorgesse delle mie condizioni.
Soprattutto cominciai a preoccuparmi di poter perdere il controllo e in queste
condizioni trascorsi tutta l'estate.
Quando arrivagosto non trovai nessuno che partisse con me, per la veritnon
lo cercai, e non ebbi il coraggio di partire da solo. Cosvagabondai, facendomi
ospitare, per le ville e i trulli di amici, al mare o in campagna. Escludo di
essermi guadagnato molte simpatie, durante questi vagabondaggi.
La gente mi chiedeva se ero un po' gied io dicevo che s un pochino e di
solito la conversazione non durava molto a lungo. Dopo qualche giorno capivo che
era il momento di fare le valigie e trovare un altro rifugio, cercando il pi possibile di evitare il rientro in citt
A settembre, visto che le cose non miglioravano, e in particolare che non ce la
facevo pia passare le notti in bianco, andai dal mio medico che poi era anche
un mio amico. Volevo qualcosa per dormire.
Lui mi visit mi fece parlare dei miei sintomi, misurla pressione, guard negli occhi con una lampadina, mi fece fare degli esercizi un po' dementi di
equilibrio e alla fine disse che avrei fatto meglio a farmi vedere da uno
specialista.
Che vuoi dire, scusa? Che specialista?.
Beh, uno specialista di questi problemi.
Quali problemi? Dammi qualcosa per dormire e facciamola finita.
Guido, la situazione un po' picomplessa. Hai un'aria molto tirata. Non mi
piace il modo in cui ti guardi attorno. Non mi piace come ti muovi, non mi piace
come respiri. Io devo dirtelo: tu non stai bene. Devi farti vedere da uno
specialista.
Vuoi dire uno... . Avevo la bocca secca. Per la testa mi passavano pensieri
sconnessi. Forse vuol dire che devo farmi vedere da un internista. O da un
omeopata. Un massoterapeuta. Anche un ayurvedico.
Ah, va bene se devo andare da un internista, massoterapeuta, ayurvedico,
omeopata e vaffanculo non c'problema, ci vado. Non mi sottraggo mica alle cure
io.
Mica ho paura, perch.. UNO PSICHIATRA ? Hai detto uno psichiatra ?
Mi veniva da piangere. Ero diventato pazzo, adesso lo diceva anche un medico. La
profezia si stava avverando.
Gli dissi che va bene per ora poteva darmi un maledetto sonnifero, e poi ci
avrei pensato su. Che s va bene, non avevo nessuna intenzione di sottovalutare
il problema, ci vediamo, no no, non c'bisogno che mi indichi uno, bocca
secchissima, uno di quelli. Ti richiamo e me lo dici.
Scappai via, evitando di prendere l'ascensore.
Il mio medico aveva accettato di prescrivermi qualcosa per dormire e con quelle
pillole la situazione sembrmigliorare, un poco.
L'umore era sempre grigio topo ma almeno non mi trascinavo distrutto
dall'insonnia, come uno spettro.
In ogni caso la mia produttivitsul lavoro, e la mia affidabilitprofessionale
erano pericolosamente sotto il livello di guardia. C'erano diverse persone la
cui libertdipendeva dal mio lavoro e dalla mia concentrazione. Suppongo che
avrebbero trovato interessante scoprire che trascorrevo i pomeriggi sfogliando
distrattamente i loro fascicoli, che di loro e del contenuto di quei fascicoli
non poteva importarmi meno, che andavo in udienza del tutto impreparato, che
l'esito dei processi era affidato praticamente al caso e che, insomma, il loro
destino era nelle mani di un irresponsabile psichicamente disturbato.
Quando ero costretto a ricevere, la situazione era surreale.
I clienti parlavano, io non ascoltavo una parola ma facevo scon la testa. Loro
continuavano a parlare, rassicurati. Alla fine stringevo loro la mano con un
sorriso di comprensione.
Sembravano apprezzare che l'avvocato li avesse lasciati sfogare cos senza
interrompere e che evidentemente avesse compreso il loro problema e le loro
esigenze.
Ero proprio una brava persona, fu il commento fatto con la mia segretaria da una
pensionata che voleva querelare il vicino che le metteva biglietti osceni nella
cassetta delle lettere. Non sembravo neanche un avvocato, disse. Era vero.
Loro erano soddisfatti, ed io, nel migliore dei casi, avevo solo una vaga idea
del problema. Insieme, procedevamo verso la catastrofe.
Fu in questa fase, dopo essere riuscito a dormire per qualche notte, che
intervenne un fatto nuovo. Comincia venirmi da piangere. All'inizio succedeva
a casa, la sera appena rientrato o la mattina al momento di alzarmi. Poi, fuori
di casa. Camminavo per strada, i miei pensieri se ne andavano via senza
controllo, e mi veniva da piangere. Riuscivo a controllare la situazione per
sia a casa che soprattutto per strada anche se ogni volta era un po' pi difficile. Mi concentravo sulle mie scarpe o sulle targhe delle macchine e
soprattutto evitavo di guardare in faccia i passanti che, ne ero convinto, si
sarebbero accorti di quello che mi stava succedendo.
Alla fine mi capitin studio. Era un pomeriggio e parlavo di qualcosa con la
mia segretaria quando sentii le lacrime arrivare e una sensazione dolorosa in
gola.
Cominciai a fissare ottusamente una piccola macchia di umiditsul muro e
intanto rispondevo con cenni del capo, terrorizzato che Maria Teresa capisse
cosa stava succedendo.
Effettivamente capbenissimo, si ricordad un tratto che doveva fare delle
fotocopie e con molto garbo uscdalla stanza.
Passsolo qualche secondo, scoppiai a piangere e non smisi tanto facilmente.
Pensai che non era il caso di aspettare che il fenomeno si ripetesse, per
esempio durante un processo.
Il giorno dopo chiamai il mio medico e mi feci dare il nome di quello
specialista.
Lo psichiatra era alto, massiccio, imponente, con la barba e mani come badili.
Me lo immaginai mentre immobilizzava a ceffoni un pazzo scatenato e gli metteva
la camicia di forza.
Fu abbastanza gentile, considerate la barba e la mole. Mi fece raccontare tutto
e faceva scon la testa. Questo mi parve rassicurante. Poi pensai che anch'io
facevo scon la testa, quando i clienti parlavano e mi sentii meno rassicurato.
Comunque disse che soffrivo di una forma particolare di disturbo
dell'adattamento. La separazione aveva funzionato nella mia psiche come una
bomba ad orologeria e a un certo punto aveva prodotto un effetto di rottura.
Anzi una serie di rotture a catena. Avevo fatto male a trascurare il problema
per tanti mesi. C'era stata una degenerazione del disturbo di adattamento, che
rischiava di trasformarsi in una depressione di media severit Queste
situazioni non andavano sottovalutate. Non dovevo preoccuparmi perperchil
fatto di essere andato dallo psichiatra costituiva un segno positivo di
autoconsapevolezza e una premessa per guarire. Certo era necessario un
trattamento farmacologico, ma insomma nel giro di qualche mese la situazione
sarebbe migliorata decisamente.
Pausa e sguardo intenso. Doveva far parte della terapia.
Poi si mise a scrivere, riempiendo una pagina di ricettario con nomi di
ansiolitici e antidepressivi.
Dovevo prendere quella roba per due mesi. Dovevo cercare di distrarmi. Dovevo
evitare di rimuginare su me stesso. Dovevo cercare di cogliere gli aspetti
positivi delle cose evitando di pensare che la mia situazione fosse senza
sbocco. Dovevo dargli trecentomila, di ricevuta non parliamone e ci vediamo di
qui a due mesi per il controllo.
Salutandomi, sulla porta, mi sconsiglidi leggere i foglietti illustrativi dei
farmaci. Era un vero conoscitore della psiche umana.
Cercai una farmacia lontana dal centro, per non fare incontri. Volevo evitare
che davanti a qualche mio cliente, o a qualche mio collega il farmacista
gridasse al commesso nel retro frasi del tipo: "controlla nell'armadio degli
psicofarmaci se abbiamo il valium psichiatrico extraforte per questo signore.
Dopo aver girato un po' in macchina scelsi una farmacia del rione Japigia, ai
confini della citt La farmacista era una ragazza ossuta, dall'aria poco
socievole e le diedi la ricetta senza guardarla in faccia. Mi sentivo a mio agio
come un seminarista in un porno shop.
La farmacista ossuta stava gifacendo il conto quando recitai la parte che
avevo preparato: "Giacchci sono prendo anche una cosa per me. Ha della
vitamina C effervescente?.
Mi guardun secondo, senza dire niente. Conosceva il copione. Poi mi diede la
vitamina C, assieme a tutto il resto. Pagai e scappai come un ladro.
Arrivato a casa, scartai, aprii le scatole e lessi i foglietti illustrativi dei
medicinali. Erano tutti interessanti, ma la mia attenzione fu attratta in modo
ipnotico dagli effetti collaterali dell'antidepressivo: il Trittico a base di
trazodone.
Si cominciava da semplici vertigini per passare rapidamente a secchezza delle
fauci, visione confusa, stipsi, ritenzione urinaria, tremori e alterazione della
libido.
Pensai che per l'alterazione della libido avevo provveduto da solo e seguitai a
leggere. Cosscoprii che un numero ridotto di uomini che assumono trazodone
sviluppa erezioni prolungate e dolorose, cioil cosiddetto priapismo.
Questo problema poteva anche richiedere un intervento chirurgico di emergenza,
il quale a sua volta poteva determinare una menomazione sessuale permanente.
Il finale perera rassicurante: il rischio di overdose mortali per assunzione
di trazodone era fortunatamente pibasso rispetto a quello connesso
all'assunzione di antidepressivi triciclici.
Finito di leggere, presi a meditare.
Che si fa nel caso di una erezione prolungata e dolorosa? Si va in ospedale
tenendoselo in mano? Si mettono delle mutande molto comode? Cosa si dice al
dottore? Qual la menomazione sessuale permanente?
E ancora: cosa ci vuole per una overdose mortale di trazodone? Bastano due
pillole? Bisogna farsi l'intera scatola ?
Non trovai risposte a quelle domande ma il Trittico finnel cesso insieme a
tutti gli altri medicinali che mi aveva prescritto il mio psichiatra. Il mio ex
psichiatra.
Svuotai coscienziosamente tutte le confezioni e tirai la catena. Poi buttai
nella spazzatura le scatole, i flaconi, le fiale e i foglietti illustrativi.
Quando ebbi finito mi versai mezzo bicchiere abbondante di whisky, eviti gli
alcolici, e misi nel videoregistratore la cassetta di Momenti di gloria. Una
delle poche che avevo portato via con me.
Mentre cominciavano a scorrere le prime immagini accesi una marlboro, eviti la
nicotina, almeno di sera, e per la prima volta, dopo molto tempo, mi sentii
quasi di buon umore.
Da ragazzo avevo fatto pugilato.
Mi ci aveva portato mio nonno dopo avermi visto tornare a casa con la faccia
gonfia per le botte. Le avevo prese da un tipo pigrande, e picattivo, di me.
Avevo quattordici anni, ero magrissimo, con il naso rosso e lucido per l'acne,
facevo il quarto ginnasio e avevo la convinzione che la felicitnon esistesse.
Non per me, almeno.
La palestra era in uno scantinato umido, il maestro era un signore magro sulla
settantina, le braccia ancora secche e muscolose, la faccia di Buster Keaton.
Era amico di mio nonno.
Mi ricordo precisamente quando entrammo, dopo avere disceso una scala stretta e
male illuminata. Nessuno parlava e si sentivano solo i piccoli tonfi sordi dei
pugni sul sacco, gli schiocchi delle corde, il ritmo dei punching ball. C'era un
odore che non sono capace di descrivere, ma lo sento nel naso, adesso che
scrivo, e mi da i brividi.
Che io facessi il pugilato rimase a lungo un segreto per mia madre. Lo seppe
solo quando, a diciassette anni e mezzo, vinsi la medaglia d'argento ai
campionati regionali juniores, categoria welter.
Il nonno pernon riusca vedermi su quel podio di truciolato.
Tre mesi prima stava passeggiando in pineta con il suo pastore tedesco, quando
si ferme si sedette con calma su una panchina.
Un ragazzo che era lvicino disse che qualche istante dopo aveva appoggiato la
testa alla spalliera, in modo strano, dopo avere accarezzato il cane.
Il cane dovettero abbatterlo, i carabinieri, prima di potersi avvicinare al
corpo di quel signore e identificarlo per Guido Guerrieri, professore ordinario
in pensione di storia della filosofia medioevale.
Mio nonno.
Vinsi altre medaglie, dopo quei campionati regionali. Anche una di bronzo ai
campionati italiani universitari, nei pesi medi.
Non ho mai avuto il pugno pesante, ma avevo imparato bene la tecnica, ero magro
e alto, con le braccia pilunghe dei miei pari peso.
Poco prima di laurearmi smisi, perchil pugilato puoi farlo a lungo solo se sei
un campione o se hai qualcosa da dimostrare.
Io non ero un campione e mi sembrava di avere dimostrato quello che dovevo
dimostrare.
Dopo aver deciso di fare a meno della moderna psichiatria mi sforzai di cercare
qualcosa, come alternativa. Trovai che avevo voglia di fare a pugni.
Pensandoci mi resi conto che era stata una delle poche cose reali della mia
vita. L'odore del cuoio dei guantoni, le botte, darle e prenderle, la doccia
calda dopo, quando ti accorgevi che per due ore nella tua testa non era passato
un solo pensiero.
La paura quando camminavi verso il ring, la paura dietro i tuoi occhi
inespressivi, dietro gli occhi inespressivi dell'altro. Saltare, colpire,
cercare di schivare, prenderle, darle, braccia che non riesci a tenere alte in
guardia, per la stanchezza, respirare con la bocca, pregare che finisca perch non ce la fai pi voler colpire e non riuscirci, ti sembra, pensare che non ti
importa niente di vincere o perdere purchfinisca, pensare che hai voglia di
buttarti a terra e non lo fai e non sai perche che cosa ti tiene ancora in
piedi e poi suona la campana e pensare che hai perso e non te ne importa e poi
l'arbitro alza il tuo braccio e capisci che hai vinto e non esiste niente altro
in quel momento, niente altro che quel momento. Nessuno te lo potrtogliere.
Mai pi
Cercai una palestra dove facessero il pugilato. Il vecchio scantinato di quasi
25 anni prima non esisteva pida tempo. Il maestro era morto. Consultai le
pagine gialle e mi accorsi che la cittera piena di palestre di arti marziali
giapponesi, tailandesi, coreane, cinesi, persino vietnamite. La scelta era molto
vasta: judo, ju-jut-su, aikido, karat thai boxing, taekwondo, thai chi chuan,
wing chun, kendo, viet vo dao.
Il pugilato sembrava scomparso, ma non mi rassegnai. Telefonai al comitato
provinciale del CONI e chiesi se esistessero a Bari palestre dove si praticava
la boxe. L'impiegato fu gentile ed efficiente. S esistevano due societ pugilistiche a Bari; una era presso il nuovo stadio, ospite del comune, l'altra
si appoggiava alla palestra di una scuola media, proprio a due passi da casa
mia.
Andai a vedere e scoprii che il maestro era uno che conoscevo, uno della vecchia
palestra, Pino. Ricordarmi il cognome, ovviamente, neanche a parlarne. Aveva
cominciato a frequentare lo scantinato poco prima che io lasciassi. Era un peso
massimo, poca tecnica ma pugni veramente pesanti. Aveva fatto anche qualche
incontro da professionista, senza grandi risultati. Adesso aveva diversi lavori.
Maestro di pugilato, buttafuori nelle discoteche, capo del servizio d'ordine a
concerti, grandi feste, spettacoli.
Era contento di vedermi, certo che potevo iscrivermi, ero suo ospite, non se ne
parlava nemmeno che pagassi. Che poi un avvocato pusempre servire.
Insomma dalla settimana dopo, il lunede il giovedlasciavo lo studio alle sei
e mezza, alle sette ero in palestra e per quasi due ore facevo la boxe.
Questo mi fece stare un po' meglio. Non bene, ma un po' meglio. Saltavo la
corda, facevo flessioni, addominali, il sacco e facevo a pugni con ragazzi
vent'anni pigiovani di me.
Qualche notte riuscivo a prendere sonno da solo, senza pillole; qualche altra
no.
Qualche volta riuscivo perfino a dormire cinque o sei ore di seguito.
Qualche sera uscii con degli amici e mi sentii quasi a mio agio.
Mi veniva ancora da piangere, ma meno spesso, e comunque riuscivo a
controllarmi.
Continuavo a non prendere gli ascensori, ma non era un grosso problema e
comunque nessuno ci faceva caso.
Passai quasi indenne attraverso le vacanze di Nata le, anche se un giorno, forse
il 29 o il 30 vidi Sara per strada, in centro. Era con una sua amica e uno che
non avevo mai visto. Lui poteva benissimo essere il fidanzato dell'amica, o lo
zio, o un gay, per quanto ne sapevo. Io perfui subito convinto che fosse il
nuovo fidanzato di Sara.
Ci salutammo con la mano dai due marciapiedi. Io camminai ancora qualche decina
di metri e poi mi accorsi che stavo trattenendo il respiro. Il diaframma era
bloccato. Sentii qualcosa, come un calore, salirmi da sotto fino a tutta la
faccia, fino alla radice dei capelli. Il cervello non funzionper diversi
minuti.
Ebbi difficolta respirare per tutto il giorno, e la notte non dormii.
Poi passanche quello.
Dopo le vacanze di Natale ricominciai a lavorare, un poco. Mi resi conto del
disastro incombente sul mio studio e soprattutto sui miei clienti ignari e,
arrancando, cercai di riprendere un minimo di controllo della situazione.
Ricominciai a preparare i processi, ricominciai ad ascoltare, un poco, quello
che dicevano i clienti, ricominciai ad ascoltare quello che diceva la mia
segretaria.
Lentamente, a sbalzi come una macchina scassata, il mio tempo ricominciava a
muoversi.
Parte seconda.
Era un pomeriggio di febbraio, ma non faceva freddo. Non aveva fatto mai freddo,
quell'inverno.
Passai davanti al bar sotto lo studio e non entrai. Mi vergognavo a chiedere il
caffdecaffeinato e cosandavo in uno squallido bar a cinque isolati di
distanza.
Da quando avevo cominciato a soffrire di insonnia non bevevo caffnormale, il
pomeriggio. Avevo provato qualche volta il caffd'orzo ma fa veramente schifo.
Il caffdecaffeinato invece sembra vero. L'importante non farsi notare quando
lo si ordina.
Io avevo sempre guardato con un certo compatimento quelli che ordinavano il
decaffeinato. Non volevo essere guardato, ora, allo stesso modo. Non da gente
che mi conosceva, almeno. Per questo evitavo di andare al mio solito bar, il
pomeriggio.
Presi il caff accesi una marlboro e la fumai seduto ad un vecchio tavolino con
la superficie di formica. Poi rifeci i cinque isolati ed andai in studio.
Per quanto mi ricordavo doveva essere un pomeriggio abbastanza tranquillo: un
solo appuntamento. Con la signora Cassano, che l'indomani sarebbe stata
processata per maltrattamenti al marito.
Per anni questo signore, secondo l'accusa, era rientrato a casa dal lavoro e si
era sentito chiamare, nel migliore dei casi, pezzente fallito di merda. Per anni
era stato costretto a consegnare lo stipendio potendo trattenere solo qualche
spicciolo per le sigarette e altre piccole spese personali. Per anni era stato
umiliato nelle riunioni di famiglia e davanti ai suoi pochi amici. In parecchie
occasioni era stato picchiato e si era preso anche degli sputi in faccia.
Un giorno lui non ce l'aveva fatta pi Aveva trovato il coraggio di andare via
di casa e l'aveva denunciata, chiedendo la separazione con addebito.
Lei aveva scelto me come avvocato e quel pomeriggio l'aspettavo per definire i
dettagli della difesa.
Quando arrivai Maria Teresa mi disse che la megera non era ancora arrivata.
Invece da almeno mezz'ora mi aspettava una donna di colore. Non aveva
appuntamento ma, diceva, si trattava di una cosa molto importante. Come sempre.
Aspettava nella saletta. Sbirciai dalla porta socchiusa e vidi una ragazza
imponente, con una faccia bella ma severa. Non doveva avere pidi trent'anni.
Dissi a Maria Teresa di farla passare nella mia stanza di la due minuti. Mi
tolsi la giacca, raggiunsi la scrivania, accesi una sigaretta e la donna entr
Aspettche le dicessi di sedersi e con voce quasi priva di accento disse
"grazie avvocato. Ero sempre in dubbio, con i clienti stranieri se usare il tu o
il lei. Molti non capiscono il lei e la conversazione diventa surreale.
Dal modo in cui la donna disse "grazie avvocato" seppi subito che avrei potuto
usare il lei senza alcuna preoccupazione di non essere compreso.
Quando le chiesi quale fosse il suo problema mi passdei fogli spillati, con
intestazione "Ufficio del giudice per le indagini preliminari, ordinanza di
custodia cautelare in carcere.
Droga, pensai immediatamente. Il suo uomo uno spacciatore. Poi per quasi
altrettanto rapidamente, mi parve impossibile.
Tutti noi procediamo per stereotipi. Chi dice che non vero un bugiardo. Il
primo stereotipo mi aveva suggerito la seguente sequenza: africano, custodia
cautelare, droga. Gli africani vengono arrestati soprattutto per questo motivo.
Subito perera entrato in azione il secondo stereotipo. La donna aveva un
aspetto aristocratico e non sembrava la donna di uno spacciatore.
Avevo ragione. Il suo compagno non era stato arrestato per droga ma per il
sequestro e l'omicidio di un bambino di nove anni.
I capi di imputazione dell'ordinanza erano brevi, burocratici ed agghiaccianti.
Abdou Thiam, cittadino del Senegal era accusato:
a) del reato di cui all'art. 605 e. p. per avere deliberatamente privato della
libertpersonale il minore Rubino Francesco inducendolo a seguirlo con
l'inganno e trattenendolo in seguito contro la sua volont
b) del reato di cui all'art. 575 e. p. per avere cagionato la morte del minore
Rubino Francesco, esercitando su di lui imprecisati atti di violenza e
successivamente soffocandolo con modalite mezzi altresimprecisati.
Entrambi in agro di Monopoli dal 5 al 7 agosto 1999.
e) del reato di cui all'art. 412 e. p. per avere occultato buttandolo in un
pozzo, il cadavere del minore Rubino Francesco.
In agro di Polignano, 7 agosto 1999.
Francesco, nove anni, era scomparso un pomeriggio mentre giocava a calcio da
solo, in uno spiazzo davanti alla villa al mare dei nonni, in una contrada di
Monopoli, nel sud della provincia.
Due giorni dopo il cadavere del bambino era stato ritrovato in un pozzo, una
ventina di chilometri pia nord, nelle campagne di Polignano.
Il medico legale che aveva effettuato l'autopsia non era stato in grado di
affermare ndi escludere che il bambino avesse subito violenza sessuale.
Conoscevo quel medico legale. Non sarebbe stato in grado di dire se un bambino,
ma anche un adulto o un vecchio, aveva subito violenza sessuale neanche se
avesse assistito allo stupro.
Le indagini comunque si erano subito orientate sulla pista dell'omicidio a
sfondo sessuale. La pista della pedofilia.
Quattro giorni dopo la scoperta del corpo, carabinieri e pubblico ministero
avevano trionfalmente raccontato in conferenza stampa che il caso era risolto.
Il responsabile era Abdou Thiam, ambulante senegalese di 31 anni. Era in Italia
con regolare permesso di soggiorno, aveva qualche piccolo precedente per reati
in materia di marchi contraffatti. In concreto: oltre alla merce regolare
vendeva false Vuitton, false Hogan, falsi Carrier. D'estate sulle spiagge,
d'inverno nei mercati e per le strade.
Gli elementi a suo carico erano schiaccianti, secondo gli inquirenti. Numerosi
testi avevano detto di averlo visto parlare, in pioccasioni e anche a lungo
sulla spiaggia, con il piccolo Francesco. Il gestore di un bar, vicinissimo alla
casa dei nonni del bambino, aveva visto Abdou passare a piedi, senza il suo
solito sacco di merce pio meno contraffatta, pochi minuti prima della
scomparsa del bambino.
Il senegalese che divideva la casa con Abdou, interrogato dai carabinieri, aveva
riferito che in quei giorni, non era stato in grado di dire con precisione in
che giorno, l'indagato aveva portato la macchina a lavare. Per quello che
ricordava era la prima volta che ciaccadeva. Ovviamente questo fu considerato
un utile elemento per l'accusa: l'indagato aveva lavato la macchina per
eliminare ogni possibile traccia e dunque per eludere le investigazioni.
Un altro senegalese, anche lui venditore ambulante, aveva detto che il giorno
dopo la sparizione del bambino, Abdou non si era visto alla solita spiaggia.
Anche questo fu considerato, giustamente, un dato indiziante.
Abdou fu interrogato dal pubblico ministero e cadde in numerose, gravi
contraddizioni. Alla fine dell'interrogatorio fu fermato per sequestro di
persona ed omicidio. Non gli contestarono la violenza carnale perchnon c'erano
prove che il bambino fosse stato violentato.
I carabinieri avevano perquisito la sua stanza e avevano trovato libri per
bambini, tutti in versione originale. I romanzi di Harry Potter, Il piccolo
principe, Pinocchio, Il dottor Dolittle e altro. Soprattutto, insieme ai libri,
avevano trovato e sequestrato una foto del bambino alla spiaggia, in costume da
bagno.
I libri e la foto erano considerati, nell'ordinanza che la donna mi aveva
passato attraverso la scrivania, "significativi elementi di integrazione del
quadro indiziario.
Quando rialzai lo sguardo sulla donna, Abagiage Deheba era il suo nome, lei
comincia parlare.
Abdou nel suo paese, il Senegal, era un maestro e guadagnava l'equivalente di
circa duecentomila lire al mese. Vendendo le borse, le scarpe e i portafogli
guadagnava dieci volte di pi Parlava tre lingue, voleva studiare psicologia e
voleva restare in Italia.
Lei era una agronoma e veniva da Assuan. Nubia. Egitto, al confine con il Sudan.
Era a Bari da quasi un anno e mezzo e stava terminando un corso di
specializzazione in gestione del suolo e delle risorse irrigue. Di ritorno nel
suo paese si sarebbe occupata, per conto del governo, di portare l'acqua nel
deserto del Sahara per trasformare le dune in campi coltivati.
Chiesi cosa c'entrava Bari con l'irrigazione del deserto.
A Bari, mi spieg esisteva un istituto superiore di ricerca e di formazione
agronomica. Centre InternationalHautes Etudes Agronomiques Mediterraneennes si
chiamava e ci veniva gente a specializzarsi da tutti i paesi in via di sviluppo
del Mediterraneo. Libanesi, tunisini, marocchini, maltesi, giordani, siriani,
turchi, egiziani, palestinesi. Abitavano tutti nel college annesso all'istituto,
studiavano tutto il giorno e di notte sciamavano per la citt
Aveva conosciuto Abdou ad un concerto. In un locale della cittvecchia, disse
un nome che non conoscevo, dove la sera si incontravano, greci, neri, asiatici,
nordafricani ed anche qualche italiano.
Era un concerto wolof, la musica tradizionale del Senegal e Abdou suonava le
percussioni, con altri suoi connazionali.
Si fermqualche secondo, guardando da qualche parte fuori dalla mia stanza,
fuori dal mio studio. Fuori.
Poi riprese e mi resi conto che non stava parlando con me.
Abdou era un maestro, disse senza guardarmi.
Era un maestro anche se adesso vendeva le borse. Lui amava i bambini e non era
capace di far del male ad uno di loro.
Non era capace di far del male a nessuno.
Fu a questo punto che la voce controllata di Abagiage Deheba si incrin La sua
faccia di principessa nubiana si contrasse nello sforzo di non piangere.
Ci riusc ma rimase in silenzio per un minuto molto lungo.
Subito dopo l'arresto avevano incaricato un altro avvocato e fece il nome di uno
che conoscevo fin troppo bene. Una volta, chiacchierando, si era vantato di
dichiarare diciotto milioni di reddito annuo.
Di milioni ne aveva chiesti dieci solo per il ricorso al tribunale della
libert Gli amici di Abdou avevano fatto una colletta e avevano raccolto quasi
tutta la cifra richiesta. Il mio, diciamo cos collega si era accontentato e
aveva intascato i soldi. Anticipati e in contanti. Ovviamente senza fattura.
Il ricorso era andato male. Per la cassazione ci volevano venti milioni. Non li
avevano venti milioni e Abdou era rimasto in carcere.
Adesso che il processo si avvicinava avevano deciso di venire da me. Un ragazzo
della comunitsenegalese mi conosceva, la donna disse un nome che non ricordavo
affatto, sapevano che non ero uno che faceva questione di soldi e comunque per
adesso, potevano darmi due milioni, che era quanto erano riusciti a raccogliere.
Abagiage Deheba aprla sua borsa, tirfuori un mazzetto di banconote tenuto
con l'elastico, lo poggisulla scrivania, lo spinse verso di me. Non era in
discussione che potessi rifiutare o discutere. Dissi che avrei fatto preparare
dalla mia segretaria una ricevuta per quell'acconto. No grazie, non la voleva la
ricevuta, non sapeva che farsene. Voleva che andassi subito a trovare Abdou in
carcere.
Dissi che non potevo, che occorreva che il signor Thiam mi nominasse, anche solo
facendo una dichiarazione alla matricola del carcere. Rispose che, va bene,
glielo avrebbe detto nel prossimo colloquio. Si alz mi diede la mano, non lo
aveva fatto quando era entrata, e mi guardnegli occhi. "Abdou non ha fatto
quello che dicono.
La sua stretta era forte come mi aspettavo che fosse.
Aprendo la porta sentii la mia segretaria che cercava di spiegare ad una signora
Cassano alquanto alterata per l'attesa, che l'avvocato aveva avuto un'emergenza
ma che l'avrebbe ricevuta al pipresto.
Immaginai vagamente i pensieri della mia cliente quando, vedendo Abagiabe Deheba
passare, si rese conto di aver dovuto aspettare a causa di una negra.
Entrnella mia stanza guardandomi con disgusto. Sono sicuro che mi avrebbe
sputato in faccia, se avesse potuto.
Il giorno dopo fu condannata e per l'appello cambiavvocato. Ovviamente non
saldil mio onorario, ma forse aveva ragione: non avevo fatto del mio meglio
per farla assolvere.
Parcheggiai la macchina in divieto di sosta, come al solito di venerd Vicino
al carcere impossibile trovare un posto regolare quando giorno di visita per
i detenuti.
Il venerdgiorno di visita.
Comunque non c'problema perchdifficilmente si prende la multa. Nessun vigile
urbano ha troppa voglia di discutere con i parenti dei detenuti in visita; in
generale nessun vigile urbano ha voglia di fare servizio vicino al carcere.
Insomma parcheggiai in divieto di sosta su un marciapiede, scesi dalla macchina,
mi aggiustai la cravatta, tirai fuori una sigaretta dal pacchetto, la misi in
bocca e, senza accenderla, mi diressi verso il portone.
L'agente all'ingresso mi conosceva e non dovetti esibire il tesserino di
avvocato.
Attraversai i soliti portoni metallici, poi le inferriate, poi ancora altri
portoni. Infine entrai nella stanza riservata agli avvocati.
Sono sicuro che in tutte le carceri si concentrino per scegliere apposta quella
pifredda d'inverno e picalda d'estate.
Era inverno e anche se fuori l'aria era mite, in quella stanza arredata con un
tavolo, due sedie e una poltrona sfondata faceva un freddo umiliante.
Gli avvocati non sono molto amati nelle carceri.
Gli avvocati non sono molto amati in genere.
Mentre andavano a prendere Abdou Thiam accesi la sigaretta e tirai fuori dalla
borsa, tanto per fare qualcosa, l'ordinanza di custodia cautelare.
Rilessi che ...l'imponente materiale probatorio acquisito a carico del Thiam
Abdou forma un quadro tranquillizzante idoneo non solo a giustificare la
restrizione della libertpersonale nella presente fase procedimentale ma anche,
in prospettiva, a far ragionevolmente prevedere un esito di condanna per
l'instaurando processo.
Detta in italiano: Abdou era seppellito di prove, doveva essere arrestato,
tenuto dentro e quando ci fosse stato il processo certamente sarebbe stato
condannato.
Mentre riguardavo l'ordinanza si aprla porta ed un appuntato introdusse il mio
cliente.
Abdou Thiam era un uomo molto bello, con una faccia da cinema e occhi profondi.
Tristi e distanti.
Rimase in piedi davanti alla porta fino a quando mi avvicinai, gli diedi la mano
e gli dissi che ero il suo avvocato.
La stretta di mano di una persona dice un sacco di cose, se uno ha voglia di
farci attenzione. La stretta di Abdou diceva che non si fidava di me e, forse,
che non si fidava pidi nessuno.
Ci sedemmo sulle due sedie e mi accorsi quasi subito che non sarebbe stata una
conversazione facile.
Abdou parlava bene l'italiano, anche se non nel modo quasi perfetto, senza
accento di Abagiage. Comunque mi venne naturale dargli del tu, e la stessa cosa
fece lui.
Sbrigammo in fretta la questione di come lo trattavano e se gli occorreva
qualcosa. Poi cercai di farmi dare la sua versione di tutta la storia, per
cominciare ad orientarmi visto che non avevo ancora esaminato il fascicolo.
Non era collaborativo. Parlava con aria assente, senza guardarmi e rispondeva
alle mie domande in modo vago. Sembrava quasi che la faccenda non lo
riguardasse.
Mi innervosii molto presto, anche perchdietro quella assurda vaghezza si
percepiva chiaramente un atteggiamento di ostilit Nei miei confronti.
Feci uno sforzo per non mostrare la mia irritazione.
Allora Abdou, cerchiamo di intenderci. Io sono il tuo avvocato. Sei tu che mi
hai nominato, tirai fuori il telegramma che mi era arrivato dal carcere il
giorno prima e lo agitai per qualche istante, e io sarei qui per aiutarti, o per
cercare di farlo. Per questo ho bisogno del tuo aiuto. Altrimenti non posso fare
niente. Mi segui?.
Fino a quel momento era stato curvo, con la testa leggermente inclinata verso il
tavolo. Prima di rispondere si raddrizze mi guardin faccia.
Ho fatto il telegramma solo perchme lo ha detto Abagiage. Forse proverai a
fare qualcosa, come l'altro avvocato, o forse no. Ma io comunque resto qui
dentro. Quando ci saril processo io sarcondannato. Tutti lo sappiamo.
Abagiage crede che tu sei diverso dall'altro avvocato e puoi fare qualcosa. Io
non ci credo.
Ascoltami Abdou" dissi sforzandomi ancora di mantenere un tono calmo "se ti
tagli, la tua ferita profonda e sanguina, cosa fai?.
Non aspettai la risposta. "Vai dal medico e ti fai mettere dei punti. giusto ?
Tu non sai come mettere dei punti, perchnon sei medico. Mi sembrava una
metafora ben scelta per cercare di spiegargli che ci sono casi in cui indispensabile servirsi di uno specialista e che, in quel caso, lo specialista
ero io.
Io lo so come mettere i punti perchho fatto l'infermiere nell'esercito, nel
servizio militare.
A quel punto non mi sforzai pidi apparire tranquillo. Non serviva,
evidentemente.
Ascoltami bene. Ascoltami molto bene perchse mi dai un'altra risposta di cazzo
esco di qui, richiamo la tua donna, le restituisco i soldi, pochi, che mi ha
dato e tu ti trovi un altro avvocato. Altrimenti ti nomineranno un difensore di
ufficio che non farniente se non lo paghi. E probabilmente non farniente
anche se lo paghi, visto quello che puoi spendere. Ovviamente se ti comporti in
questo modo idiota perchhai ammazzato veramente quel bambino e vuoi scontarla,
beh, questo un motivo di piperchio mi tolga di mezzo....
Silenzio.
Poi per la prima volta, da quando eravamo insieme in quella stanza Abdou Thiam
mi guardcome se esistessi realmente. Parla voce bassa.
Non ho ucciso Ciccio. Lui era mio amico.
Mi fermai qualche secondo per riprendere l'equilibrio.
Era come se mi fossi lanciato su una porta chiusa per cercare di sfondarla e chi
c'era dietro l'avesse aperta, con calma. Respirai a fondo e mi venne voglia di
una sigaretta. Tirai fuori il pacchetto morbido dalla giacca e lo allungai ad
Abdou. Lui non disse niente, ne prese una ed aspettche gliela accendessi.
Anch'io accesi la mia.
Va bene Abdou. Io dovrleggere le carte del pubblico ministero, ma prima mi
serve sapere bene tutto quello che ti ricordi di quei giorni. Vuoi che
cominciamo a parlarne?.
Lascipassare qualche secondo e poi fece scon la testa.
Quando hai saputo della scomparsa del bambino?.
Aspirforte la sigaretta prima di rispondere.
Ho saputo che il bambino era scomparso quando mi hanno arrestato.
Ti ricordi cosa avevi fatto il giorno in cui il bambino scomparso?.
Ero andato a Napoli, a prendere merce. L'ho detto quando mi hanno interrogato.
Cioho detto che ero andato a Napoli, ma non che ero andato a comprare le
borse, per non mettere in mezzo quelli che me le vendevano.
Ci sei andato da solo?.
S
Quando sei tornato da Napoli?.
Il pomeriggio, la sera. Non mi ricordo bene.
E il giorno dopo?.
Non mi ricordo. Sono andato in qualche spiaggia ma non mi ricordo in quale.
Ti ricordi di qualcuno che hai incontrato? Voglio dire tanto il cinque agosto
che la mattina dopo. Qualcuno che puricordarsi di averti visto e che possiamo
chiamare a testimoniare.
Tu dov'eri quella mattina, avvocato?.
Ero nella cacca, avrei voluto rispondere. Ero nella cacca anche la mattina prima
e la mattina dopo. Ci sono abbastanza anche adesso. Solo un pochino di meno.
Abdou non era interessato a questo per e non dissi niente. Mi strofinai la
fronte con la mano, poi me la passai sulla faccia e alla fine accesi un'altra
sigaretta.
Okappa. Hai ragione. Non facile ricordarsi un pomeriggio, una mattina o un
giorno uguale a tanti altri. Dovremo fare uno sforzo per ricostruire quelle
giornate per Adesso vuoi dirmi qualcosa del bambino? Lo conoscevi?.
Certo che lo conoscevo. Dall'altro anno, cioda quando andavo a quella
spiaggia.
Ti ricordi quando stata l'ultima volta che lo hai visto?.
No. Di preciso no. Ma lo vedevo tutti i giorni che andavo a quella spiaggia. Lui
c'era sempre o con i nonni o con la mamma. Qualche volta con gli zii.
Lo hai mai visto vicino alla casa dei nonni, o in altri posti diversi dalla
spiaggia? Sei mai passato dalla casa dei nonni?.
Io non so nemmeno dov'la casa dei nonni e il bambino l'ho visto solo alla
spiaggia.
Il padrone del bar Maracaibo dice che ti ha visto il pomeriggio della scomparsa
del bambino e che non avevi la sacca con la merce, e che andavi in direzione
della casa dei nonni.
Io non lo so qual la casa dei nonni" ripetesasperato "e quel pomeriggio non
sono andato a Monopoli. Quando sono tornato da Napoli sono rimasto a Bari. Non
mi ricordo cosa ho fatto ma non sono andato a Monopoli.
Con un gesto rabbioso prese il pacchetto di sigarette e la scatoletta di
fiammiferi svedesi che erano rimasti sul tavolo e ne accese un'altra.
Gli feci fare qualche boccata in pace e poi ripresi.
Come mai avevi una fotografia del bambino a casa ?.
Ciccio ha voluto darmela quella foto. Uno zio, credo, aveva la polaroid e fece
diverse foto alla spiaggia. Il bambino me ne ha data una. Eravamo amici. Ogni
volta che passavo mi fermavo a parlare con lui. Voleva sapere dell'Africa, degli
animali, se avevo mai visto i leoni. Queste cose. Fui contento quando mi diede
la foto, percheravamo amici. E poi a casa ne avevo tante di fotografie, anche
con persone delle spiagge perchcon tanti clienti siamo amici. I carabinieri
hanno preso solo quella. chiaro che cossembra una prova. Perchnon hanno
preso tutte le foto? Perchhanno preso solo alcuni libri ? Io mica avevo solo
libri per bambini. Ho manuali, ho libri di storia, ho libri di psicologia, loro
hanno preso solo i libri per bambini. chiaro che cossembro un maniaco, come
dite: un pedofilo. "Le hai dette al giudice queste cose?.
Avvocato, lo sai come stavo quando mi hanno portato dal giudice ? Non potevo
respirare per le botte, non ci sentivo da un orecchio. Prima mi hanno dato le
mazzate i carabinieri, poi mi hanno dato le mazzate i secondini, quando sono
entrato in carcere. Proprio i secondini mi hanno detto che era molto meglio per
me se non dicevo niente al giudice. Poi l'avvocato mi ha detto che non dovevo
rispondere, perchc'era solo il rischio di complicare la situazione e che gi avevo fatto male a rispondere al pubblico ministero. Lui si doveva leggere bene
le carte, prima. Allora sono andato dal giudice e ho detto che non volevo
rispondere. Ma anche se rispondevo non cambiava niente perchal giudice non
gliene importava niente di quello che dicevo io. Comunque rimanevo in carcere.
Aspettai qualche secondo prima di parlare di nuovo.
Dove sono tutte le tue cose, queste che hai detto, libri, foto, tutto?.
Non lo so. Hanno svuotato la mia stanza e il padrone l'ha affittata a qualcun
altro. Devi chiedere ad Abagiage.
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto. Io a cercare di riordinare le
informazioni che avevo raccolto, lui chissdove.
Poi parlai di nuovo io.
Va bene, per oggi pubastare. Domani, anzi lunedvado in procura e vedo quando
si pufare la copia degli atti. Poi li studio e appena mi sono chiarito meglio
le idee torno a trovarti e vediamo di organizzare una difesa che abbia un senso.
Lasciai la frase in sospeso, come se ci fosse qualcosa da aggiungere.
Abdou se ne accorse e mi guard una sfumatura interrogativa negli occhi. Poi
fece cenno di scon il capo. Esitun attimo ma fu lui il primo ad allungare la
mano per stringere la mia. La stretta era leggermente, solo leggermente diversa
da quella di circa un'ora prima.
Poi aprla porta e chiaml'appuntato che doveva riaccompagnarlo in cella,
sezione speciale per stupratori, pedofili e pentiti. Tutti soggetti che non
sarebbero durati a lungo in compagnia degli altri detenuti.
Io presi il pacchetto delle sigarette e mi accorsi che era vuoto.
Il lunedcome al solito mi svegliai verso le cinque e mezza.
I primi tempi avevo cercato di restare a letto, sperando di riaddormentarmi. Non
mi riaddormentavo, pere finivo avviluppato in pensieri ossessivi e tristi.
Cosmi resi conto che era meglio non restare a letto e accontentarmi di
quattro, cinque ore di sonno. Quando andava bene.
Presi l'abitudine di alzarmi appena sveglio. Facevo ginnastica, facevo la
doccia, mi radevo, preparavo la colazione, mettevo in ordine casa. Insomma
facevo passare almeno un'ora e mezza riuscendo a non pensare quasi per niente.
Poi uscivo e c'era la luce del giorno e facevo una lunga passeggiata. Anche
questo serviva a non farmi pensare.
Cosfeci quella mattina. Arrivai in studio verso le otto, diedi una occhiata
all'agenda e la misi in borsa assieme a qualche penna, carta uso bollo,
telefonino. Scrissi un bigliettino per la mia segretaria e lo lasciai sulla sua
scrivania.
Poi uscii per andare in tribunale. Svegliarsi cospresto e arrivare cospresto
in tribunale comportava qualche vantaggio. Gli uffici erano pressochdeserti e
allora era possibile sbrigarsi pivelocemente per tutti gli affari di
cancelleria.
Avevo udienza quella mattina, ma prima dovevo andare a parlare con il
consigliere Cervellati. Il pubblico ministero che si occupava del caso di Abdou.
Non era propriamente il magistrato pisimpatico degli uffici giudiziari.
Non era alto e nemmeno basso. Non magro e nemmeno esattamente grasso. La
pancetta comunque era sempre coperta, d'inverno e d'estate da orribili gilet
marroni. Occhiali spessi, pochi capelli, lasciati sempre un po' troppo lunghi,
giacche grigie, calzini grigi, colorito grigio.
Una volta una mia collega simpatica, parlando di Cervellati disse che era uno
con la canottiera. Le chiesi cosa significasse e mi spiegche si trattava di
una categoria dell'umanitche aveva elaborato lei.
Uno con la canottiera, metaforica, innanzitutto uno che in piena estate, a 35
gradi, indossa la canottiera, vera, sotto la camicia, "perchassorbe il sudore
e non mi prendo un accidente con certi spifferi. Una variante estrema di questa
categoria costituita da quelli che mettono la canottiera sotto la t-shirt.
Uno con la canottiera ha il copricellulare di finta pelle con gancio per la
cintura, il pomeriggio arriva a casa e si mette in pigiama, conserva il suo
vecchio cellulare etacs perchsono sempre quelli che funzionano meglio. Usa le
mentine per profumare l'alito, il borotalco e il collutorio.
Talvolta ha un preservativo nascosto nel portafoglio, non lo usa mai e per prima o poi la moglie lo scopre e gli fa il culo.
Uno con la canottiera dice frasi come: pestare una cacca porta fortuna;
oggigiorno impossibile trovare parcheggio in centro; oggigiorno i ragazzi non
hanno interessi a parte la discoteca e i videogiochi; io non ho niente contro
gli omosessuali / i gay / i ricchioni / i froci / i finocchi, basta che a me mi
lasciano stare; se uno omosessuale / gay / ricchione / frocio / finocchio sono
fatti suoi ma non pumica fare il maestro; condoglianze vivissime; destra e
sinistra sono tutti la stessa cosa, sono tutti ladri; io lo capisco in anticipo
quando cambia il tempo: mi fa male il gomito / il ginocchio / la caviglia / il
callo; sbagliando si impara; a buon rendere; io non parlo da dietro, le cose le
dico in faccia; sbaglia chi lavora; peggio che andar di notte; bisogna alzarsi
da tavola con un po' di appetito; finchc'vita c'speranza; mi sembra ieri;
devo decidermi a imparare internet / andare in palestra / mettermi a dieta /
rimettere a posto la bicicletta / smettere di fumare eccetera eccetera,
eccetera.
Ovviamente uno con la canottiera dice che non esistono pile stagioni
intermedie e che il caldo / il freddo secco non un problema, il caldo / il
freddo umido che insopportabile.
Le imprecazioni dell'uomo con la canottiera: porco zio; porca pupazza; porca
madosca; porca trota; porca paletta; perdindirindina; non rompere le spalle;
mannaggia a li pescetti; non mi prendere per i fondelli; vaffanbagno; vaffatica;
vaffancapo.
Chiunque lo avesse conosciuto sarebbe stato d'accordo. Cervellati era uno con la
canottiera.
Fra i suoi non molti pregi c'era quello di essere in ufficio, tutte le mattine,
gidalle otto e mezza. A differenza di quasi tutti i suoi colleghi.
Bussai alla porta, non sentii nessun invito ad entrare, aprii e mi affacciai.
Cervellati alzlo sguardo da un faldone squadernato, su una scrivania coperta
di altri faldoni un po' lerci, codici, fascicoletti, un portacenere con un mezzo
toscano spento. La stanza come al solito puzzava un po'; di polvere e fumo
freddo di toscano.
Buongiorno consigliere" dissi con tutta la finta affabilitdi cui ero capace.
Buongiorno, avvocato. Non disse di entrare. Attraverso gli occhiali, dietro la
barriera di faldoni il viso era privo di qualsiasi espressione.
Entrai, chiedendo se potevo e non aspettandomi una risposta, che infatti non
arriv
Consigliere, sono stato nominato dal signor Thiam che lei certamente
ricorder.. .
Il negro che ha ammazzato il bambino di Monopoli.
Ovviamente si ricordava. Nel giro di qualche giorno avrebbe fatto l'avviso di
conclusione delle indagini preliminari ed io avrei potuto visionare il fascicolo
e fare le copie. Era sicuro che avrei chiesto il giudizio abbreviato, costutti
avremmo risparmiato tempo. Se ci avevo fatto caso, per una mera svista, non era
stata contestata l'aggravante del nesso teleologico che poteva far scattare la
condanna all'ergastolo.
Se facevamo il giudizio abbreviato, e senza quell'aggravante, il mio cliente
poteva cavarsela con vent'anni. Se andavamo in corte d'assise lui, Cervellati,
avrebbe dovuto contestare quell'aggravante e per Abdou Thiam si sarebbe
spalancata la porta del carcere a vita.
Lui diceva di essere innocente ? Tutti lo dicono.
Mi considerava una persona seria ed era certo che non mi sarei fatto venire idee
sbagliate, del tipo di andare in corte di assise nella assurda speranza di
ottenere una assoluzione. Abdou Thiam sarebbe stato condannato comunque e una
corte con giudici popolari lo avrebbe fatto a pezzi. D'altro canto lui,
Cervellati, non aveva nessuna intenzione di andare a perdere settimane, o
addirittura mesi in corte d'assise.
Il giudizio abbreviato uno di quelli che nel gergo degli addetti ai lavori si
chiamano riti speciali. Di regola, quando il pubblico ministero finisce le
indagini, in un procedimento per omicidio, chiede al giudice per l'udienza
preliminare il rinvio a giudizio.
L'udienza preliminare serve a verificare se ci sono le condizioni per fare un
processo che, per il caso dell'omicidio, competenza della corte di assise,
composta di giudici professionisti e di giurati popolari. Se il giudice per
l'udienza preliminare ritiene che queste condizioni esistano, ordina il rinvio a
giudizio.
L'imputato perha la possibilitdi evitare il rinvio a giudizio dinanzi alla
corte di assise e ottenere un processo semplificato, il rito abbreviato,
appunto.
All'udienza preliminare puchiedere, direttamente o attraverso il suo
difensore, che il processo sia definito, si dice, allo stato degli atti. Questo
significa che il giudice dell'udienza preliminare, basandosi sugli atti di
indagine del pubblico ministero, decide se ci sono prove sufficienti per
condannare l'imputato. Se queste prove ci sono, appunto, lo condanna.
un processo molto piveloce di quello ordinario. Non si interrogano i testi
e, salvi casi eccezionali, non si acquisiscono nuove prove. Non c'pubblico ed
un giudice da solo a decidere. Insomma un giudizio abbreviato in cui lo
stato risparmia un sacco di tempo e denaro.
Ovviamente anche l'imputato ha il suo interesse a scegliere questo tipo di
processo. Se viene condannato ha diritto ad un grosso sconto di pena. In breve:
lo stato risparmia tempo e denaro, l'imputato risparmia anni di galera.
Il giudizio abbreviato ha un altro pregio. l'ideale quando un imputato ha
pochi soldi e non pupermettersi di pagare un lungo dibattimento, con
interrogatori, controinterrogatori, testimoni, periti, requisitorie, lunghe
arringhe eccetera, eccetera, eccetera.
chiaro che scegliendo il giudizio abbreviato l'imputato perde molte
possibilitdi essere assolto, perchtutto si basa sugli atti di indagine del
pubblico ministero e della polizia che, di regola, lavorano per incastrare
l'indagato e non per scagionarlo.
Quando perle possibilitdi essere assolto, per l'imputato, sarebbero
pochissime o mille anche scegliendo il normale dibattimento, allora lo sconto di
pena una prospettiva davvero appetibile.
Da tutti i punti di vista, insomma, il processo abbreviato sembrava l'ideale per
Abdou Thiam che aveva davvero poche possibilitdi essere assolto.
Legga gli atti e si renderconto che meglio per tutti fare un
bell'abbreviato" concluse Cervellati, congedandomi.
Fuori cominciava a piovere. Una pioggia fitta, sottile, odiosa.
Mi stavo alzando quando Cervellati lo disse: "Tempaccio. A me il freddo secco,
con una bella tramontana magari, non da nessun fastidio. questo freddo umido
che ti entra nelle ossa... . Mi guard Avrei potuto dire molte cose, alcune
anche divertenti, dal mio punto di vista. Invece sospirai: "come per il caldo
consigliere, quello secco si sopporta molto meglio.
Dopo l'incontro con Cervellati andai in udienza e patteggiai per una signora
accusata di bancarotta fraudolenta.
A dire il vero la signora non c'entrava niente con la bancarotta, con il
fallimento, con l'azienda e con la giustizia. Il titolare occulto dell'azienda
era il marito gifallito una volta, con precedenti per truffa, appropriazione
indebita e atti osceni.
Aveva intestato l'azienda, commercio di concime, alla moglie, le aveva fatto
firmare montagne di cambiali, non aveva pagato i dipendenti, non aveva pagato
l'Enel, non aveva pagato il telefono, aveva fatto sparire la cassa.
Ovviamente la ditta era fallita e la titolare era stata accusata di bancarotta
fraudolenta. Cavallerescamente il marito aveva lasciato che la giustizia facesse
il suo corso e che la moglie fosse condannata, anche se solo con il
patteggiamento della pena.
Ero stato pagato la settimana prima, senza emissione di fattura. Con i soldi
della cassa scomparsa o con quelli provenienti da chissquale altro imbroglio
del signor De Carne.
Una delle cose che si imparano subito facendo l'avvocato penalista che,
specialmente avendo a che fare con soggetti come De Carne, ci si fa pagare in
anticipo.
Ovviamente si viene pagati quasi sempre, o almeno molto spesso, con soldi che
provengono da qualche reato.
Queste cose non si devono dire, ma quando difendi uno spacciatore professionale
che ti paga dieci, venti, anche trenta milioni se riesci a farlo uscire di
galera, beh un vago dubbio sulla provenienza di quei soldi dovrebbe venirti.
Se difendi un signore arrestato per estorsione continuata in concorso con ignoti
e suoi amici vengono in studio e ti dicono di non preoccuparti per l'onorario,
che ci pensano loro, anche qui potresti supporre che l'onorario non sar composto di soldi pulitissimi.
Sia chiaro: io non ero migliore degli altri anche se qualche volta cercavo di
darmi un po' di contegno. Non con tipi come De Carne per
Insomma comunque ero stato pagato in anticipo con soldi di ignota, e dubbia,
provenienza, avevo concluso un decoroso patteggiamento che almeno aveva
garantito alla povera signora la sospensione condizionale della pena e, per
quella mattina potevo andarmene a casa.
Approfittai di una pausa della pioggia, feci la spesa, rientrai nel mio
appartamento e avevo appena cominciato a prepararmi un'insalata quando il
cellulare squill
Sero Guido. Certo che mi ricordavo di lei, Melissa. S a cena da Renato. Era
stata una serata molto piacevole. Bugiardo. No, non mi seccava che si fosse
procurata il numero del mio cellulare, anzi. Se sapevo chi erano gli Acid Steel?
No, mi dispiaceva. Ah, c'era un concerto di questi Acid Steel, questa sera a
Bari, insomma vicino Bari. Se volevo andarci con lei? S ma i biglietti? Ah,
aveva due biglietti, in realtdue inviti. Va bene. Allora siamo d'accordo,
dimmi il tuo indirizzo che passo a prenderti. Passi tu ? Va bene. Ah, sai gi dove abito. Va bene, stasera alle otto, snon preoccuparti non mi vesto da
avvocato. Ciao. Ciao.
Melissa la ricordavo molto bene. Forse dieci giorni prima il mio amico Renato ex
alternativo ora nel campo della cartellonistica pubblicitaria festeggiava i
quarant'anni. Melissa era arrivata insieme ad un ragioniere bassotto, vestito
con pantaloni neri, maglietta elasticizzata nera, giacca stile Armani nera,
capelli neri lunghi sulle orecchie, inesistenti sulla calotta.
Lei non era passata inosservata. Faccia mediorientale, unoesettantacinque, pieni
e vuoti inquietanti. Persino uno sguardo intelligente, all'apparenza.
Il ragioniere pensava di avere pescato l'asso quella sera. Invece aveva il due
di coppe con la briscola a bastoni. Appena entrata Melissa aveva fatto amicizia
praticamente con tutti i maschi della festa.
Aveva chiacchierato anche con me, non di pindi meno che con gli altri, mi
era parso. Si era mostrata interessata al fatto che facevo il pugilato. Mi aveva
detto che si stava laureando in biologia, che sarebbe andata a specializzarsi in
Francia, che ero molto simpatico, che non sembravo un avvocato e che sicuramente
ci saremmo rivisti.
Poi era passata ad un altro.
In altri tempi, un anno prima, mi sarei lanciato a cercare di recuperarla nella
giungla di maschi malintenzionati che popolavano la festa. Avrei inventato
qualcosa, le avrei dato il mio numero di cellulare, avrei cercato di creare le
condizioni per rivederci al pipresto. E crepasse il ragioniere darri. Il quale
peraltro si stava dedicando attivamente ad ingoiare un cocktail dopo l'altro e
quindi presto sarebbe comunque crepato di cirrosi.
Quella sera invece non avevo fatto niente.
Quando la festa era finita me ne ero andato a casa e mi ero messo a dormire. Al
risveglio, dopo le solite quattro ore, Melissa era gilontanissima,
praticamente scomparsa.
Adesso, dieci giorni dopo, mi telefonava sul cellulare per invitarmi ad un
concerto degli Acid Steel, che suonavano a Bari, anzi vicino a Bari. Cos
Mi sentii strano. Per un attimo ebbi l'impulso di richiamare e dire che no,
purtroppo avevo un altro impegno. Scusami mi era sfuggito, magari un'altra
volta.
Poi dissi ad alta voce: "Fratello, stai diventando veramente pazzo. Veramente
pazzo. Vai a questo cazzo di concerto e cerchiamo di farla finita con le
buffonate. Hai trentotto anni ed una aspettativa di vita piuttosto lunga. Pensi
di passartela tutta in questo modo ? Vai a questo cazzo di concerto e ringrazia.
Melissa passda casa puntuale, pochi minuti dopo le otto. Era a piedi e il suo
abbigliamento era una istigazione a delinquere.
Disse che la sua macchina non partiva ma che comunque era venuta in centro e si
chiedeva se facevamo a tempo a prendere la mia. Facevamo in tempo. Prendemmo la
macchina e ci avviammo in direzione Taranto.
Il concerto era in un piccolo capannone industriale dismesso nella campagna fra
Turi e Rutigliano. Non sarei mai stato capace di arrivarci da solo.
L'ambiente aveva un'aria semiclandestina. Alcuni degli spettatori avevano
un'aria decisamente clandestina.
All'interno non era vietato fumare per fortuna.
Non era vietato fumare niente.
E infatti fumavano di tutto e bevevano birra. L'aria era densa di odore di fumo,
di birra, di aliti di birra, di ascelle. Nessuno rideva e molti sembravano
intenti ad un cupo, misterioso rituale dal quale ero, fortunatamente, escluso.
Cominciai a sentirmi a disagio, con l'impulso di fuggire via che cresceva e
cresceva.
Melissa parlava con tutti e conosceva tutti. O forse semplicemente replicava il
copione della festa di Renato. In quel caso io ero al posto del ragioniere,
pensai. Impulso di fuga decuplicato. Ansia. Ansia. Mi sentivo osservato. Ansia.
Poi per fortuna il concerto degli Acid Steel cominci
Non ho voglia di parlare delle due ore ininterrotte di cosiddetta musica, anche
perchil mio ricordo piintenso non per i rumori ma per gli odori. La birra,
le sigarette, le canne, i sudori e non so cos'altro sembravano riempire sempre
di pil'aria di quel tetro capannone. Per un attimo ebbi anche il pensiero
assurdo che da un momento all'altro tutto sarebbe esploso, scaraventando nello
spazio quel cocktail micidiale di puzze. L'aspetto positivo di questa
eventualitera che gli Acid Steel, la cui visibile sudorazione lasciava
supporre che contribuissero in modo determinante alla puzza, sarebbero stati
scaraventati nello spazio e nessuno avrebbe mai pisentito parlare di loro.
Il capannone non esplose. Melissa bevve cinque o sei birre e fumdiverse
sigarette. Non sono sicuro che si trattasse solo di sigarette perchil buio era
pesto e la provenienza degli odori, incluso quello delle canne, imprecisabile.
Ad un certo punto mi sembrche trangugiasse qualche pasticca, insieme alla
birra.
Io mi limitai a fumare le mie sigarette, e bevvi qualche sorso dalle bottiglie
che ogni tanto Melissa mi porgeva.
Il concerto fined io non comprai il cd degli Acid Steel in vendita all'uscita.
Melissa salutun gruppetto di personaggi con i quali temevo avremmo potuto
proseguire la serata e poi mi prese la mano. Nell'oscuritdel campo sterrato
che faceva da parcheggio sentii il sangue che mi affluiva alla faccia, e
altrove.
Andiamo a bere qualcosa?. Gorgoglicon un tono stranamente allusivo, mentre mi
strofinava il dorso della mano con il pollice.
Magari mangiamo anche qualcosa. Pensavo ai litri di birra che aveva giin corpo
ed alle altre imprecisate sostanze psicoattive che le circolavano nel sangue e
fra i neuroni.
S s ho proprio voglia di qualcosa di dolce. Una crepe alla nutella, o alla
crema con il cioccolato fondente fuso.
Rientrammo a Bari e andammo al Gaugin. Facevano delle cr鋯e molto buone, erano
educati e simpatici, avevano belle fotografie alle pareti. Era un posto che
frequentavo quando stavo con Sara e non c'ero pitornato. Quella sera era la
prima volta.
Non appena dentro mi pentii di esserci andato. Ai tavoli facce note. Qualcuno da
salutare, tutti che mi conoscevano.
Fra i tavoli il titolare e i camerieri che ci guardavano. Che mi guardavano.
Potevo sentire il rumore dei loro pensieri. Sapevo che adesso avrebbero parlato
di me. Mi sentivo uno squallido quarantenne che esce con le ragazzine.
Melissa intanto era a suo agio e parlava senza sosta.
Io presi una cr鋯e al prosciutto, noci e mascarpone e una birra piccola. Melissa
prese due cr鋯e dolci, alla nutella noccioline e banana la prima; alla ricotta
uvetta e cioccolato fuso la seconda. Bevve tre calvados. Parlmolto. Due o tre
volte mi toccla mano. Una volta, mentre parlava, si fermbruscamente, mi
fiss mordendosi impercettibilmente il labbro inferiore.
Stanno girando una candid camera, pensai. Questa un'attrice, da qualche parte
c'la telecamera nascosta, adesso io diro farqualcosa di ridicolo, qualcuno
salterfuori e mi dirdi sorridere ai telespettatori.
Non saltfuori nessuno. Pagai il conto, uscimmo, raggiungemmo la macchina, misi
in moto e Melissa mi disse che potevamo terminare la serata bevendo qualcosa a
casa sua.
No grazie. Sei una alcolizzata o peggio. Adesso ti accompagno a casa, non salgo,
e me ne vado a dormire. Avrei dovuto dire.
Volentieri, magari solo un goccetto e poi andiamo a dormire che domani si
lavora. Dissi proprio cos "magari solo un goccetto.
Melissa mi diede un bacio sull'angolo della bocca, indugiando qualche secondo.
Dava di alcol, fumo e di una essenza intensa che mi ricordava qualcosa. Poi
disse che a casa non aveva un granche quindi era meglio passare da un bar e
comprare qualche birra.
Non ero proprio a mio agio ma comunque mi fermai davanti a un bar che era aperto
tutta la notte, scesi e comprai due birre. Per evitare che la situazione
degenerasse.
Abitava in un vecchio palazzo popolare, dalle parti della sede RAI. Il tipico
palazzo dove stanno gli stranieri in sei o sette in una stanza, i vecchi
assegnatari degli alloggi popolari, categoria ad esaurimento anagrafico e gli
studenti fuori sede. Melissa era di Minervino Murge.
Nell'androne c'era una lampadina molto piccola, che non illuminava niente.
Melissa stava al primo piano e nelle scale si sentiva puzza di pipdi gatto.
Lei aprla porta ed entrper prima e io la seguii, prima che fosse accesa la
luce. Odore di chiuso e fumo freddo.
Ad ambiente illuminato mi accorsi di essere in un minuscolo ingresso che a
sinistra dava su una stanza da letto-studio. A destra c'era una porta chiusa che
pensai fosse del bagno.
Dov'la cucina ?" pensai insensatamente in quel momento. Sempre in quel momento
lei mi prese per mano e mi guidnella stanza da letto/soggiorno/studio. C'era
un letto accostato alla parete opposta alla porta, una scrivania, libri
dappertutto. Libri su scaffali, colonne di libri per terra, libri sulla
scrivania, libri sparsi. C'era un vecchio radioregistratore, un posacenere con
due filtri schiacciati, alcune bottiglie di birra vuote, una bottiglia di whisky
J&B quasi vuota.
I libri avrebbero dovuto rassicurarmi.
Quando vado in una casa per la prima volta controllo se ci sono libri, se sono
pochi, se sono molti, se sono troppo ordinati, il che non depone bene, se sono
dappertutto, il che depone bene, eccetera, eccetera.
I libri nella piccola casa di Melissa avrebbero dovuto darmi sensazioni
positive. Non fu cos
Siediti" fece Melissa indicando il letto. Mi sedetti, lei aprle birre, me ne
passuna e bevve pidi metdella sua senza staccare la bocca dal collo della
bottiglia. Io diedi un sorso, cosper fare. Il mio cervello cercava
freneticamente una scusa per scappare. In fondo erano quasi le due di notte, io
dovevo lavorare il giorno dopo, avevamo passato una bella serata, sicuramente ci
saremmo rivisti, non ti preoccupare ti richiamo io, poi ho anche un leggero mal
di testa. No, non c'nulla che non va a parte il fatto che sei una alcolizzata,
drogata, probabilmente ninfomane e a me viene da piangere. Davvero ti richiamo.
Mentre tentavo di pensare qualcosa di meno patetico, Melissa, che intanto aveva
finito in un altro sorso la sua birra, si sfille mutandine, nere, da sotto la
gonna.
Non voleva sprecare troppo tempo in preliminari ed altre noiose formalit
Evidentemente.
In effetti non ci furono formalit
Rimasi in quel posto, a fare delle cose, fin quasi al mattino.
Fumando e finendo la bottiglia di whisky lei mi parldelle difficoltdi essere
una fuorisede, cui i genitori non davano quasi nulla. Ogni mese pagare
l'affitto, comprare da mangiare, e da bere, pensai io, fumare, vestirsi, il
cellulare, uscire la sera qualche volta. I libri, ovviamente. Qualche lavoro
occasionale, hostess, pierre, non bastava quasi mai.
Quel mese per esempio era giin ritardo per pagare l'affitto, con un esame da
preparare, la padrona che non aspettava altro che un'occasione per buttarla
fuori.
Se non si offendeva io potevo prestarle qualcosa. No, non si offendeva, ma
dovevo promettere che me li sarei fatti restituire. Certo, non ti preoccupare.
No, cinquecentomila non le ho in contanti, ecco, sono duecentoventi nel
portafogli, venti le tengo, caso mai. Non ti preoccupare, quando puoi me li
restituisci, senza fretta. Adesso devo proprio andare, sai domani, cioadesso,
fra poco lavoro.
Mi diede il suo numero di cellulare. Sicuramente ti chiamo le dissi, mentre
appallottolavo il bigliettino nella tasca e aprivo la porta con la fretta di uno
che inseguito.
Fuori l'alba era livida, il cielo color topo. Le pozzanghere erano cosnere che
non riflettevano niente.
I miei occhi non riflettevano niente.
Mi venne in mente un film che avevo visto un paio di anni prima. Spiriti nelle
tenebre, una storia bellissima di cacciatori e di leoni.
Val Kilmer chiede a Michael Douglas: "Hai mai fallito?.
Risposta: "Solo nella vita.
Il giorno dopo cambiai scheda e numero del mio cellulare.
I giorni che vennero dopo quella notte non furono memorabili.
Passuna settimana, forse, e arrivl'avviso di chiusura delle indagini.
Alle otto e trenta del giorno dopo ero nella segreteria di Cervellati per
chiedere le copie del fascicolo. Feci l'istanza, mi dissero che avrei avuto le
copie entro tre giorni e andai via in preda a sensazioni negative.
Il venerdla mia segretaria passdalla procura, pagi diritti per le copie,
ritire porttutto in studio.
Passai il sabato e la domenica a leggere e rileggere quelle carte.
Leggevo, fumavo e bevevo cafflungo decaffeinato in grosse tazze.
Leggevo e fumavo e quello che leggevo non mi piaceva per niente. Abdou Thiam era
in una brutta situazione.
Addirittura pibrutta di quanto mi era sembrato leggendo l'ordinanza di
custodia cautelare.
Sembrava uno di quei processi senza prospettive, nei quali andare a dibattimento
significa solo un inutile massacro.
Sembrava che Cervellati avesse ragione e che l'unica soluzione per limitare i
danni fosse quella di scegliere il giudizio abbreviato.
Ciche pidi tutto inchiodava il mio cliente erano le dichiarazioni del
barista. Era stato sentito a verbale, dai carabinieri, il giorno prima del fermo
di Abdou. Poi era stato risentito, ancora, a qualche giorno di distanza, dallo
stesso pubblico ministero.
Un teste perfetto, per l'accusa.
Lessi e rilessi i due verbali alla ricerca di punti deboli, ma non trovai quasi
nulla.
Quello dei carabinieri era un verbale riassuntivo, nel piclassico gergo da
caserma.
In data 10 agosto 1999 alle ore 19.30, nei locali della Compagnia Carabinieri di
Monopoli, Nucleo Operativo, dinanzi a noi ufficiali ed agenti di p, g.
Maresciallo Capo Binetti Pasquale, Maresciallo Ordinario Sciancalepore Pasquale
e Carabiniere scelto Amendolagine Francesco tutti inforza al suddetto Comando comparso Renna Antonio nato a Noci (BA) il 31-3-1953, residente in Monopoli,
Contrada Gorgofreddo 133/c il quale opportunamente interrogato su fatti a sua
conoscenza dichiara:
A Domanda Risponde: Sono titolare dell'esercizio commerciale denominato "Bar
Maracaibo" sito in Monopoli alla contrada Capitolo. Osservo un orario di
apertura continuato, dalle sette del mattino alle ventuno di sera. D'estate
l'esercizio commerciale rimane aperto fino alle dieci di sera. Sono coadiuvato,
nella conduzione del prefato esercizio, da mia moglie e da due dei miei figli.
A.D.R.: Conoscevo il piccolo Rubino Francesco e soprattutto i suoi nonni che,
hanno una villa a circa trecento metri dal mio bar. I nonni vengono a
villeggiare in contrada Capitolo da moltissimi anni. Spesso il nonno del bambino
si intrattiene nel mio bar a sorbire un caffe a fumare una sigaretta.
A.D.R. : Conosco l'extracomunitario che voi carabinieri mi dite chiamarsi Abdou
Thiam e che riconosco nella foto che mi viene esibita. un venditore ambulante
di pelletteria con marchi contraffatti e passa quasi tutti i giorni davanti al
mio bar per andare sulle spiagge dove vende la sua merce. A volte si ferma
presso il mio bar per una consumazione.
A.D.R. : Ricordo di avere visto il predetto extracomunitario il pomeriggio della
scomparsa del bambino. passato davanti al mio esercizio commerciale senza la
sacca che porta abitualmente con se camminava velocemente come se avesse
fretta. Non sfermato presso il bar.
A.D.R.: Il cittadino extracomunitario procedeva in direzione da nord a sud. In
pratica proveniva da direzione Monopoli citte si dirigeva verso le spiagge.
A.D.R.: La casa dei nonni del bambino scomparso circa trecento metri pia sud
rispetto al mio bar. Se non sbaglio si trova quasi di fronte al lido Duna Beach.
A.D.R.: Non sono in grado di indicare con precisione l'ora in cui ho visto
passare il cittadino extracomunitario. Potevano essere le 18.00/18.30, o forse
anche le 19.00.
A.D.R.: Non ho rivisto il cittadino extracomunitario ripassare di ritorno nella
direzione opposta. Quel giorno non l'ho rivisto proprio.
A.D.R. : Se non sbaglio appresi della scomparsa del bambino il giorno dopo il
fatto. Prima di essere convocato da voi carabinieri non avevo pensato di essere
in possesso di informazioni rilevanti per le indagini e cionon avevo pensato
di ricollegare il passaggio del Thiam, quel pomeriggio, alla scomparsa del
bambino. Se me ne fossi reso conto mi sarei presentato spontaneamente per
collaborare con la giustizia.
Non ho altro da aggiungere ed in fede mi sottoscrivo.
Si da atto che il presente verbale, per indisponibilitdi strumenti di
registrazione, stato redatto solo informa riassuntiva.
Letto, confermato e sottoscritto.
Il verbale dinanzi a Cervellati era integrale, cioregistrato e stenotipato.
Qui la persona informata sui fatti Renna Antonio non usava improbabili
espressioni del tipo "sono coadiuvato", "prefato esercizio" o "sorbire un caff
Il senso pernon cambiava.
Il giorno 13 agosto 1999 alle ore 11.00, nei locali della Procura della
Repubblica, dinanzi al Pubblico Ministero dott. Giovanni Cervellati, assistito
per la redazione del presente atto dall'assistente giudiziario Biancofiore
Giuseppe comparso Renna Antonio, gigeneralizzato in atti.
Si da atto che il presente verbale viene documentato in forma integrale con il
mezzo della stenotipia.
Domanda: Allora signor Renna, lei qualche giorno fa ha reso delle dichiarazioni
ai carabinieri. Come prima cosa volevo chiederle se le conferma. Si ricorda
quello che ha detto no?
Risposta: S ssignor giudice.
Domanda: Allora conferma?
Risposta: S confermo.
Domanda: Vediamo comunque di riepilogare quello che lei ha detto. In primo luogo
lei conosceva giil cittadino extracomunitario Abdou Thiam?
Risposta: Ssignor giudice. Non di nome per Il nome l'ho saputo dai
carabinieri. Io l'ho riconosciuto dalla fotografia che mi hanno fatto vedere.
Domanda: Lo conosceva perchpassava spesso davanti al suo bar e a volte
consumava qualcosa. E cos
Risposta: Ssignor giudice.
Domanda: Mi vuol raccontare del giorno in cui scomparso il bambino? Quel
giorno, quel pomeriggio lei ha visto il Thiam?
Risposta: Ssignor giudice. E passato davanti al mio bar verso le sei e mezza
le sette.
Domanda: Era con la sacca della merce?
Risposta: No, non aveva la sacca e andava scappando.
Domanda: Vuol dire che correva o che andava di fretta?
Risposta: No, no andava di fretta. Non che correva proprio, camminava veloce.
Domanda: In che direzione andava?
Risposta: Verso le spiagge, che poi in pratica la direzione per andare a casa
dei nonni del bambino...
Domanda: Va bene, la direzione delle spiagge. Vale a dire da nord verso sud se
ho capito bene.
Risposta: S da Monopoli verso le spiagge.
Domanda: Lo ha visto ripassare di ritorno?
Risposta: No.
Domanda: Lei ha detto ai carabinieri che conosceva il bambino e anche la sua
famiglia, i nonni in particolare. Conferma?
Risposta: Confermo s I nonni hanno la villa quei tre, quattrocento metri dopo
il mio bar, praticamente nella direzione che stava andando quel ragazzo
marocchino.
Domanda: Marocchino?
Risposta: Extracomunitario. Noi diciamo marocchino per dire questi ragazzi
negri.
Domanda: Ah, va bene. Le viene in mente qualche altro dettaglio, qualche altro
fatto rilevante ai fini delle indagini?
Risposta: No signor giudice, persecondo me deve essere stato per forza quel
marocchino perch..
Domanda: No signor Renna, lei non deve esprimere opinioni personali. Se c' qualche altro fatto che le viene in mente va bene, se no possiamo chiudere il
verbale. Le viene in mente qualche altro fatto specifico?
Risposta: No.
L'interrogatorio di Abdou davanti al pubblico ministero era poco meno che
catastrofico.
Si era svolto nella notte, presso la caserma dei carabinieri di Bari, con un
difensore d'ufficio. Il verbale era riassuntivo, senza registrazione, senza
stenotipia.
Il giorno 11 agosto 1999 alle ore 1.30, nei locali del Reparto Operativo dei
Carabinieri di Bari, dinanzi al Pubblico Ministero dott. Giovanni Cervellati,
assistito per la redazione del presente verbale dal maresciallo ordinario
Sciancalepore Pasquale in forza alla Compagnia Carabinieri di Monopoli comparso Thiam Abdou, nato il 4 marzo 1968 a Dakar, Senegal, domiciliato in Bari
via Ettore Fieramosca 162.
Si da atto che presente l'avvocato Giovanni Colella che viene in questa sede
nominato difensore di ufficio del sopraindicato Thiam non avendo questi inteso
nominare un difensore di fiducia.
Il Pubblico Ministero contesta a Thiam Abdou i reati di sequestro di persona e
di omicidio in danno di Rubino Francesco e gli indica sinteticamente gli
elementi di prova a suo carico.
Lo avverte che ha facoltdi non rispondere alle domande ma che, anche se non
risponde le indagini proseguiranno.
L'indagato dichiara: intendo rispondere e rinuncio espressamente ad ogni termine
a difesa.
Il difensore sul punto nulla osserva.
A.D.R.: Nego l'addebito. Non conosco nessun Rubino Francesco; questo nome non mi
dice niente.
A.D.R.: Il pomeriggio del5 agosto credo di essere andato a Napoli a bordo della
mia autovettura. Sono andato a trovare dei connazionali dei quali pernon so
indicare i nomi. Ci siamo visti, come altre volte, nei paraggi della stazione
centrale. Non so fornire utili indicazioni per individuare questi miei
connazionali e non so indicare qualcuno che potrebbe confermare che quel giorno
sono stato a Napoli.
A.D.R.: Escludo di essere stato a Monopoli quel giorno. Tornato da Napoli sono
rimasto a Bari.
A.D.R. : Prendo atto che la Signoria Vostra mi fa notare che la versione da me
fornita appare del tutto inattendibile. Non posso che confermare di essere stato
a Napoli, quel giorno e di non essere affatto passato da Monopoli e zone
limitrofe.
A.D.R.: Prendo atto che vi un testimone che mi ha visto nella zona di
Capitolo, proprio il pomeriggio del 5 agosto. Prendo atto dell'invito a
confessare che la Signoria Vostra mi rivolge. Prendo atto che confessando potrei
alleggerire la mia posizione. Devo perconfermare che non ho commesso
l'omicidio che mi viene attribuito e che non capisco come sia possibile che
qualcuno dica di avermi visto il giorno 5 nella zona di Capitolo.
A questo punto si da atto che viene mostrata all'indagato una fotografia
ritrovata nell'abitazione del predetto nel corso della perquisizione ivi
effettuata.
Dopo aver visionato la foto il Thiam dichiara:
Conosco il bambino effigiato nella foto ma apprendo solo adesso che il suo nome
Rubino Francesco. Io lo conoscevo con il nome Ciccio.
A.D.R.: La fotografia stato il bambino a darmela. Non sono stato io a
scattarla. Non ho nemmeno una macchina fotografica.
Alle ore 2.30 la verbalizzazione viene sospesa per consentire all'indagato di
conferire con il suo difensore.
Alle ore 3.20 il verbale viene riaperto.
A.D.R.: Anche dopo aver parlato con l'avvocato, che mi ha consigliato di dire la
verit non ho niente da aggiungere alle dichiarazioni che ho gireso.
Il difensore nulla osserva.
Letto, confermato e sottoscritto.
Due giorni dopo il fermo si era tenuta l'udienza di convalida davanti al giudice
per le indagini preliminari. Abdou si era avvalso della facoltdi non
rispondere.
Da allora non era stato piinterrogato.
Rilessi l'ordinanza che applicava la custodia cautelare. Lessi il provvedimento
del tribunale della libertcon cui veniva, giustamente, considerati gli
elementi, rigettato il ricorso di Abdou.
Lessi e rilessi tutti gli atti.
Le dichiarazioni della gente che frequentava la spiaggia e che diceva di avere
visto spesso Abdou fermarsi a parlare con il bambino. Le dichiarazioni del
senegalese che parlava del lavaggio della macchina e dell'altro senegalese, che
raccontava di non aver visto Abdou alla solita spiaggia, il giorno dopo la
sparizione del bambino.
Il verbale di sopralluogo e di rinvenimento del cadavere del piccolo. Il verbale
di perquisizione a casa di Abdou, con l'elenco dei libri sequestrati.
La relazione del medico legale che sfogliai velocemente, evitando le fotografie.
Le inutili, tristi dichiarazioni dei genitori e dei nonni del bambino.
La sera della domenica gli occhi mi bruciavano e uscii di casa. C'era maestrale
e faceva freddo.
Quel freddo spietato di marzo, che fa sembrare la primavera lontanissima.
Avevo pensato di fare due passi, ma cambiai idea, presi la macchina e andai
verso nord, per la vecchia statale 16.
Bruce Springsteen batteva nelle casse e nella mia testa mentre attraversavo i
paesi della costa, deserti e spazzati dal vento di nord ovest.
Mi fermai davanti alla cattedrale di Trani, davanti al mare e accesi una
sigaretta. L'armonica strideva nelle orecchie e nell'anima.
Le parole terribili erano scritte per la mia solitudine disperata.
I remember us riding in my brother's car
Her body tan and wet down at the reservok
At night on them banks l'd Uawake
And pulber dose just to feci each breath she'd take
Now those memories come back to haunt me
They haunt me Uke a curse.
All'alba mi svegliai rabbrividendo per il freddo, in bocca l'odore del fumo. La
mano era ancora stretta sul cellulare, che avevo guardato a lungo prima di
crollare nel sonno, pensando di telefonare a Sara.
Il codice di procedura penale stabilisce che fra l'avviso di conclusione delle
indagini e la richiesta di rinvio a giudizio trascorrano almeno venti giorni.
Quasi sempre i pubblici ministeri ci mettono molto pitempo. Mesi a volte.
Cervellati depositla richiesta di rinvio a giudizio il ventunesimo giorno. La
puntualitossessiva era nel suo stile. Poteva essere accusato di tutto ma non
di tenere le carte ferme sulla scrivania.
L'udienza preliminare fu fissata per i primi di maggio. Il giudice era la
Carenza e, insomma, poteva andare peggio.
La Carenza era considerata una buona, da noi avvocati. Il giudizio abbreviato
diventava una ipotesi ancora piinteressante. Abdou se la sarebbe potuta cavare
davvero con venti anni.
Attorno al duemiladieci, con la buona condotta, sarebbe stato fuori in
semilibert
Mentre facevo questa riflessione, tenendo in mano l'avviso di fissazione
dell'udienza, ebbi una sensazione di fastidio. Un disagio che mi rimase addosso
tutto il giorno, senza che riuscissi a capirne la ragione.
Lo stesso disagio che mi prese, quando, una settimana dopo dovetti andare in
carcere da Abdou per spiegargli come e perchgli conveniva accettare il
giudizio abbreviato, prendersi una ventina di anni invece dell'ergastolo, e
cominciare a contare i giorni sul muro della cella.
Abdu era, o sembrava, pimagro rispetto all'altra volta. Non volle dirmi come
si era procurato il grosso ematoma sullo zigomo destro. Mi ascoltparlare
guardando le linee di legno del tavolo, senza fare nessun gesto, ho capito,
oppure: che stai dicendo ?, nessun cenno col capo, niente.
Quando finii di spiegare quale fosse la migliore soluzione per il suo caso Abdou
rimase in silenzio, parecchi minuti. Gli offrii una marlboro ma non la prese.
Invece tirfuori un pacchetto di Diana rosse e accese una di quelle.
Parlsolo dopo aver finito la sigaretta, quando il silenzio stava diventando
insopportabile.
Se facciamo il giudizio abbreviato, posso essere anche assolto?.
Era fin troppo intelligente. Facendo il giudizio abbreviato sarebbe stato
sicuramente condannato. Non lo avevo detto ma lui lo aveva capito.
Risposi a disagio.
Tecnicamente, teoricamente s
Che vuol dire?.
Vuol dire che in teoria potrebbe assolverti, ma in base a quello che c'negli
atti del pubblico ministero, che cisu cui il giudice si baserper decidere,
se scegliamo l'abbreviato, molto improbabile.
Feci una pausa e poi pensai che non mi andava di girarci attorno.
Diciamo che praticamente impossibile. D'altro canto con il giudizio
abbreviato, come ti dicevo, eviteresti. .. .
S questo l'ho capito, eviterei l'ergastolo. Insomma se scegliamo il giudizio
abbreviato sono sicuro di essere condannato ma mi faranno uno sconto. E cos.
Il mio disagio aumentava. Sentii una sensazione di rossore salirmi al viso.
E cos
E se non scegliamo questo giudizio abbreviato, cosa succede?.
uccede che verrai rinviato a giudizio davanti alla corte di assise. Significa
che si farun processo in pubblico davanti a otto giudici, di cui sei popolari,
che significa cittadini comuni, e due giudici professionisti. Se vieni
condannato dalla corte di assise rischi seriamente l'ergastolo.
Ma ho possibilitdi essere assolto?.
Poche.
Di piche con il giudizio abbreviato?.
Non risposi subito. Tirai un respiro lungo. Mi strofinai la faccia con la mano.
Di pi Non molte ma di pi Tieni conto che con l'abbreviato siamo praticamente
certi della condanna, mentre con il processo davanti alla corte di assise
qualcosa pusempre accadere. Tutti i testimoni devono essere interrogati dal
pubblico ministero e poi noi possiamo controinterrogarli. Vuol dire che io, come
tuo avvocato, posso controinterrogarli. Qualcuno potrebbe non confermare,
qualcuno si potrebbe contraddire, potrebbe saltare fuori qualche elemento nuovo.
Ma un rischio grossissimo.
Quante possibilit.
Come si fa a dire un numero. Cinque, dieci su cento, al massimo.
Perchtu vuoi fare il giudizio abbreviato?.
Come sarebbe a dire perch Perchla cosa piconveniente. Con questa giudice
te la cavi con il minimo possibile e fra... .
Io non ho fatto quello che dicono.
Respirai a fondo di nuovo e poi presi una sigaretta. Non sapevo che dire e
naturalmente dissi la cosa sbagliata.
Ascoltami Abdou. Io non lo so cosa hai fatto. Per un avvocato perpuessere
meglio non sapere cosa ha fatto il suo cliente. Questo lo aiuta ad essere pi lucido, a fare la scelta migliore senza farsi influenzare dall'emotivit
Capisci cosa dico?.
Abdou fece un cenno impercettibile con il capo. Gli occhi sembravano sprofondati
nelle orbite nere. Proseguii, distogliendo lo sguardo.
Se non facciamo il giudizio abbreviato, se andiamo davanti alla corte di assise
come se ci giocassimo a carte la tua vita, con pochissime possibilitdi
vincere. E poi per fare questo gioco ci vogliono soldi, molti soldi. Un processo
davanti alla corte di assise prende un sacco di tempo e costa, costa moltissimo.
Mi accorsi di avere detto una cazzata gimentre ascoltavo il suono delle mie
parole. E contemporaneamente capii perchero a disagio.
Vuoi dire che siccome non posso pagare abbastanza meglio fare il giudizio
abbreviato?.
Non ho detto questo. La mia voce salleggermente di tono.
Quanti soldi ci vogliono per fare il processo davanti alla corte di assise?.
I soldi non sono il problema. Il problema che se andiamo davanti alla corte di
assise ti prendi l'ergastolo e la tua vita finita.
La mia vita finita comunque, se mi condannano per avere ucciso un bambino.
Quanti soldi?.
Mi sentii all'improvviso molto stanco. Una stanchezza enorme, invincibile.
Lasciai cadere le spalle e cosmi accorsi come erano state tese fino a quel
momento.
Non meno di quaranta, cinquanta milioni. Se volessimo fare delle indagini
difensive, e in questo caso probabilmente ci vorrebbero, parecchio di pi
Abdou parve stordito. Deglutfaticosamente, diede l'impressione di voler dire
qualcosa, senza riuscirci. Poi si mise ad inseguire un filo di pensieri da cui
ero escluso. Guardava in alto, poi scuoteva il capo, poi muoveva le labbra
recitando, muto, una litania misteriosa.
Alla fine si copril volto con le mani, le strofindue, tre volte e poi le
fece scendere per tornare a guardarmi. Rimase in silenzio.
Io avevo un ronzio insopportabile nella testa e parlai per farlo smettere.
Non eravamo costretti a decidere proprio quella mattina. Comunque mancava pidi
un mese all'udienza preliminare, quando avremmo dovuto eventualmente optare per
il giudizio abbreviato. E poi dovevamo parlarne con Abagiage. La faccenda dei
soldi era l'ultimo dei problemi. Mi sarei riguardato le carte per vedere se
c'era qualche spiraglio in pi Adesso dovevo andare, ma ci saremmo rivisti
presto. Se aveva bisogno di qualcosa poteva farmelo sapere, anche con un
telegramma.
Abdou non disse una parola. Quando gli toccai la spalla per salutarlo sentii un
corpo inerte.
Scappai via, inseguito dai suoi fantasmi. E dai miei.
Quando uscii di casa, la mattina dopo, mi accorsi che c'era un trasloco. Nel mio
palazzo arrivavano nuovi inquilini. Registrai mentalmente la cosa e feci una
rapida preghiera che non si trattasse di una famiglia con cani volpini e figli
casinisti. Poi passai ad altro.
Quel giorno doveva cominciare il processo che i giornali avevano chiamato
dogfighting.
Per la precisione non erano stati i giornali, a chiamarlo cos ma la polizia
che aveva fatto l'operazione una decina di mesi prima. I giornali si erano
limitati a riprendere il nome in codice della polizia per una indagine sui
combattimenti di cani e sul relativo giro di scommesse clandestine.
Tutto era cominciato per una denuncia della lega antivivisezione ed era
proseguito perchl'indagine era stata affidata a un poliziotto eccezionale:
l'ispettore superiore Carmelo Tancredi.
L'ispettore Tancredi era riuscito ad infiltrarsi nel giro delle scommesse
clandestine, aveva assistito ai combattimenti di cani, aveva registrato, era
riuscito a risalire ai posti dove gli allevatori tenevano gli animali, aveva
annotato dove e come si ricevevano le scommesse. Insomma li aveva inchiodati.
Era un omino con la faccia sparuta e due baffoni neri assolutamente fuori posto.
Sembrava la persona piinnocua della terra.
Invece era lo sbirro piintelligente, onesto e micidiale che io abbia mai
conosciuto.
Lavorava nella sesta sezione della squadra mobile. Quella che si occupava di
reati sessuali e di tutto quello che le altre sezioni, quelle piimportanti,
non volevano nemmeno toccare.
Non aveva mai voluto lasciare quel posto anche se gli avevano offerto tante
volte di passare alla Criminalpol, o alla Dia, o anche al Sisde. Tutti posti
dove avrebbe lavorato di meno e sarebbe stato pagato di pi Una volta erano
venuti da me i genitori di un bambino di nove anni che aveva subito abusi
sessuali dal suo istruttore di nuoto.
Volevano un consiglio, se denunciare o no e a che cosa andavano incontro, e a
che cosa andava incontro il bambino. Li accompagnai da Tancredi e vidi come
parlava con il bambino, e vidi come il bambino, che fino a quel momento aveva
risposto a monosillabi, con gli occhi a terra, parlava con Tancredi, lo guardava
e cominciava anche a sorridere.
L'istruttore di nuoto era finito dentro e, soprattutto, ci era rimasto. Come
erano finiti dentro, e ci erano rimasti, la maggior parte dei maniaci,
stupratori, pedofili che avevano avuto la sfortuna di incrociare l'ispettore
Tancredi.
Anche gli organizzatori dei combattimenti di cani erano stati sfortunati.
Quando scattl'operazione furono sequestrati otto pit bull, cinque fila
brasilero, tre rottweiler e tre bandog cioun micidiale incrocio fra pastore
tedesco e pit bull. Erano tutti campioni e ognuno valeva dai venti ai cento
milioni. Il piprezioso era un bandog di tre anni di nome HarleyDavidson. Aveva
vinto 27 combattimenti, uccidendo sempre i suoi avversari. Era considerato una
specie di campione del sud Italia e le indagini accertarono che era in
preparazione un incontro per il titolo italiano contro un pit bull che
combatteva nella provincia di Milano. Un combattimento del valore di oltre mezzo
miliardo in scommesse.
Furono sequestrate decine di videocassette con combattimenti fra cani,
combattimenti fra cani e puma e addirittura combattimenti fra cani e maiali.
Furono arrestati i custodi di un canile dove, oltre alle bestie, furono trovate
armi e droga. Furono denunciati, fra gli altri, un veterinario molto noto,
diversi allevatori e tre soggetti giarrestati e condannati per associazione
mafiosa e traffico di stupefacenti. Naturalmente erano in libertper scadenza
dei termini di custodia.
Insomma, comunque, quella mattina di fine marzo sarebbe dovuto cominciare il
processo nato dall'operazione dogfighting. La LAV intendeva costituirsi parte
civile ed aveva incaricato me.
Esistevano solo due precedenti decisioni in cui era stata ammessa, in processi
per maltrattamenti di animali, la costituzione di parte civile della LAV e della
lega per la difesa del cane. Era una questione tutt'altro che scontata e cos avevo studiato tutto il pomeriggio per trovare argomenti convincenti da proporre
al tribunale. E per cancellarmi dalla testa l'incontro con Abdou. Siccome quella
mattina mi presentai ben preparato e pronto a fare in modo accettabile il mio
lavoro, il processo fu rinviato preliminarmente, per, diceva la formula
prestampata, "eccessivo carico dell'udienza ed impossibilitdi definire in data
odierna tutti i procedimenti.
Il rinvio era preliminare, ma fu disposto dopo che erano gipassate pidi
quattro ore di udienza. E di attesa.
Insomma il presidente del collegio, verso le 14.30 lesse la formula e rinviil
processo al successivo dicembre, posto che tutti gli imputati erano a piede
libero e quindi non c'era fretta.
Ci ero abituato. Infilai l'impermeabile, presi la borsa e mi avviai verso casa
dopo avere attraversato il tribunale ormai deserto.
Percorrevo via Abate Gimma, in direzione di corso Cavour quando mi sentii
chiamare da dietro. Avvocato, avvocato, con accento imprecisato dell'entro
terra.
Erano in due e sembravano usciti da un documentario sul teppismo nelle
periferie. Il piccolo parlava standomi molto vicino, mentre il grosso era un
metro piindietro e mi guardava, le palpebre semichiuse.
Il piccolo era amico di uno, disse il nome, che io conoscevo bene perchera
stato mio cliente.
Il tono si sforzava di essere gentile, quasi diplomatico. Dissi che non me lo
ricordavo, il suo amico e che se volevano discutere di questioni di lavoro
potevano venire in studio prendendo un appuntamento.
Non volevano venire in studio e, secondo il piccolo, dovevo stare calmo. Molto
calmo. Il tono diplomatico era durato poco.
Sapevano che volevo costituirmi parte civile per quei pisciaturi della LAV, ma
era meglio per tutti se pensavo a farmi i cazzi miei.
Feci un respiro profondo con il naso, contemporaneamente posai la borsa sul
cofano di una macchina e pronunciai le due sillabe che, da quando ero bambino,
avevano sempre introdotto le mazzate per strada: "se no?.
Il piccolo fece partire uno schiaffo largo e goffo con la mano destra. Parai con
il sinistro e quasi contemporaneamente lo colpii con un destro al viso. Cadde
all'indietro, comincia bestemmiare e strillal grosso di rompermi il culo.
Era un bestione di un metro e novanta per almeno centoventi chili, perlopidi
pancia. Dal modo in cui coprlo spazio che ci separava e si preparava
all'attacco capii che era un mancino. Infatti partcon una sventola di
sinistro, che probabilmente era il suo colpo migliore. Se il pugno fosse
arrivato probabilmente avrebbe fatto male ma il bestione si muoveva al
rallentatore. Parai con il braccio destro e, automaticamente, colpii al fegato
con un gancio sinistro; doppiai con un diretto al mento.
Il grosso aveva la mascella di vetro. Rimase un attimo fermo, in piedi, con una
strana espressione di stupore. Poi cadde.
Resistetti all'impulso di dargli un calcio in faccia. O di offenderlo; o di
offenderli tutti e due.
Presi la borsa e me ne andai, mentre sentivo il sangue che ricominciava a
pulsare, violento, nelle tempie. Il piccolo aveva smesso di bestemmiare.
Girai l'angolo, feci ancora un isolato e poi mi fermai. Non mi seguivano.
Nessuno mi seguiva e, essendo le tre del pomeriggio, la strada era deserta.
Poggiai la borsa, sollevai le mani davanti al viso e vidi che tremavano forte, e
la destra cominciava a farmi male.
Rimasi cosqualche secondo, poi scrollai le spalle, sentii affiorare alla
superficie delle labbra una specie di sorriso infantile e ripresi la strada di
casa.
Il giorno dopo trovai la macchina con le quattro ruote tagliate e un raschio,
fatto con un coltello o un cacciavite, che percorreva tutta la carrozzeria.
Piche arrabbiarmi per il danno ebbi un senso di umiliazione. Mi venne di
pensare a quello che prova chi torna a casa e trova tutto sottosopra per un
furto. Di seguito mi venne di pensare a tutti i topi di appartamento che avevo
difeso e che avevo fatto assolvere.
Alla fine pensai che il cervello mi si stava spappolando e che diventavo
patetico. Cos fortunatamente, abbandonai le speculazioni morali e cercai
piuttosto di essere pratico.
Chiamai un mio cliente con una certa reputazione nella malavita di Bari e
provincia. Lui venne in studio e io gli raccontai l'accaduto, inclusa la storia
delle mazzate. Dissi che non avevo voglia di andare dalla polizia o dai
carabinieri, ma non dovevano costringermi. Per conto mio eravamo pari. Io mi
pagavo i danni alla macchina e loro, chiunque fossero, si tenevano le mazzate e
mi lasciavano fare in pace il mio lavoro.
Il mio cliente disse che avevo ragione. Disse anche che quelli mi dovevano
riparare la macchina e dare le ruote nuove. Dissi che la macchina la facevo
riparare io e che le ruote non le volevo.
Pensai che non volevo neanche una imputazione di ricettazione, visto che le
ruote non sarebbero certo andati a comprarle da un rivenditore autorizzato. Ma
questo non lo dissi.
Volevo solo che ognuno stesse al proprio posto e che nessuno rompesse i coglioni
a qualcun altro. Lui non insistette, e annuin segno di rispetto. Un rispetto
diverso da quello che si porta di solito all'avvocato.
Disse che nel giro di due giorni mi avrebbe fatto sapere.
Fu di parola. Tornin studio due giorni dopo e mi fece un nome importante, in
certi ambienti. Quella persona mi mandava a dire che si scusava per l'accaduto.
Era stato un incidente, due incidenti per la verit pensai io, ma non ci
attacchiamo ai dettagli, che non si sarebbe ripetuto. Lui era comunque a
disposizione se avessi avuto bisogno di qualcosa.
La storia fincos
A parte i due milioni che dovetti tirar fuori per rimettere a posto la macchina.
Qualche giorno dopo, scoprii chi era il nuovo inquilino del mio palazzo. La
nuova inquilina.
Verso le nove e mezza di sera, ero appena tornato a casa dalla palestra e mi
accingevo a scongelare due petti di pollo, farli ai ferri e a preparare
un'insalata. Il campanello suon
Passai qualche secondo a chiedermi cosa fosse stato.
Poi feci mente locale al fatto che doveva trattarsi del campanello di casa e
mentre andavo alla porta pensai che quella doveva essere la prima volta che
qualcuno suonava, da quando abitavo l Mi venne una fitta di tristezza e poi
aprii.
Finalmente trovava qualcuno in casa. Era la quarta volta che provava a bussare
ma non c'era mai nessuno. Abitavo da solo vero ? Lei era la nuova inquilina e
stava al quinto piano. Si era presentata a tutti gli altri, che abitavano nel
palazzo, io ero l'ultimo. Si chiamava Margherita. Margherita, e non riuscii a
capire il cognome.
Allungla mano attraversando il confine invisibile della porta. Aveva una bella
mano maschile, grande e forte.
Certe donne, e soprattutto certi uomini, stringono la mano con forza ma ti
accorgi subito che una esibizione. Vogliono fare vedere di essere persone
decise e schiette, ma la forza solo nei muscoli della mano e del braccio.
Voglio dire: non viene da dentro. Alcuni possono addirittura stritolare, ma come se facessero del culturismo.
Altre persone, poche, quando ti stringono la mano dicono che c'qualcosa,
dietro i muscoli. Tenni la sua mano forse qualche secondo pidel dovuto ma lei
continua sorridere.
Poi le chiesi goffamente se voleva entrare. No, grazie, era solo passata per
presentarsi. Rientrava a casa proprio in quel momento dopo tutta la giornata
fuori. Aveva un sacco di cose da fare dopo il trasloco. Quando fosse stato tutto
a posto mi avrebbe invitato a prendere un the.
Dava un buon odore. Un misto di aria fresca, secca e pulita, di profumo maschile
e di cuoio.
Non sia triste" disse andando verso le scale.
Cos
Quando era giscomparsa mi resi conto che non l'avevo realmente guardata.
Rientrai in casa, socchiusi gli occhi e cercai di riprodurre la sua faccia nella
mente, ma non ci riuscii. Non sapevo se sarei stato capace di riconoscerla per
strada.
In cucina i petti di pollo si erano scongelati, nel microonde. Io pernon avevo
pivoglia di farli semplicemente ai ferri e cosaprii un libro di ricette che
tenevo in cucina senza averlo mai usato.
Polpette di pollo saporite. Questo andava bene. Intendo il nome. Lessi la
ricetta e fui contento di vedere che avevo gli ingredienti.
Prima di cominciare aprii una bottiglia di Salice Salentino, lo assaggiai e poi
cercai un cd da ascoltare mentre facevo da mangiare.
White ladder.
Feci partire il ritmo sincopato di Please Forgive Me e poi, quasi subito arriv la voce di David Gray. Rimasi ad ascoltare vicino alle casse fino a quando non
arrivla parte della canzone che mi piaceva di pi
I won't ever bave to lie I won't ever bave to say goodbye Every time I look at
you Every time I look at you.
Allora tornai in cucina e mi misi al lavoro.
Lessai il pollo e lo macinai, insieme ad un etto di prosciutto cotto che era nel
frigo da qualche giorno. Poi misi tutto in una scodella con un uovo, parmigiano
grattugiato, noce moscata, sale e pepe nero. Impastai, prima con un cucchiaio di
legno e poi con le mani, dopo avere aggiunto del pane grattugiato. Formai delle
polpette delle dimensioni di un uovo e le passai in un altro uovo che avevo
sbattuto con il sale e un po' di vino. Le rotolai nel pane grattugiato cui avevo
aggiunto ancora un pizzico di noce moscata e le feci crepitare in olio di oliva,
a fuoco moderato.
Avvolsi le polpette, che davano un odore buonissimo, nella carta assorbente e
preparai un'insalata con l'aceto balsamico. Apparecchiai la tavola, con
tovaglia, veri piatti, vere posate e prima di mettermi a mangiare andai a
cambiare cd.
Simon and Garfunkel. The concert in Central Park.
Pigiai sul tasto skip fino alla canzone numero 16. The boxer.
La ascoltai tutta in piedi, fino all'ultima strofa. La mia preferita.
In the clearing stands a boxer and a fighter by bis trade
And he carries the remainders
of every giove that laid him down
or cut him, till he cried out
in his anger and his shame
l'm leaving, l'm leaving
But the fighter stili remains
Just stili remains.
Poi spensi lo stereo e andai a mangiare. Le polpette erano buonissime. Anche
l'insalata, e il vino era profumato e mandava riflessi nel bicchiere. Non ero
triste, quella sera.
Il fatto che abbiamo voluto il processo all'americana, ma ci manca la
preparazione degli americani. Ci mancano le basi culturali per il processo
accusatorio. Guardate gli esami ed i controesami che ci sono nei processi
americani, o inglesi. E poi guardate i nostri. Loro sono capaci, e noi no. Non
lo saremo mai, perchnoi siamo figli della controriforma. Non ci si pu ribellare al proprio destino culturale.
Parlava cos nella pausa di un processo in cui eravamo codifensori, l'avvocato
Cesare Patrono. Principe del foro. Miliardario e massone.
Gli avevo sentito esprimere quel concetto un centinaio di volte da quando, nel
1989, era entrato in vigore il nuovo codice di procedura penale.
Era sottinteso che gli altri erano incapaci. Gli altri avvocati, non certo lui,
e soprattutto i pubblici ministeri.
A Patrono piaceva parlare male di tutto e di tutti. Nelle conversazioni di
corridoio, ma anche in udienza, gli piaceva umiliare i colleghi e, soprattutto,
gli piaceva intimidire o mettere a disagio i magistrati.
Per qualche misterioso motivo io gli ero simpatico, era sempre stato cordiale
con me e a volte mi associava alle sue difese. Il che era un grosso affare, dal
punto di vista economico.
Aveva appena finito di esprimere il suo punto di vista sull'attuale processo
penale quando dall'aula di udienza usc ancora con la toga sulle spalle,
Alessandra Mantovani, sostituto procuratore della repubblica.
Era di Verona e aveva chiesto di venire a Bari per raggiungere un fidanzato. A
Verona aveva lasciato un marito ricco e una vita molto comoda.
Quando si era trasferita il fidanzato l'aveva lasciata. Le aveva spiegato che
lui aveva bisogno dei suoi spazi, che le cose fra loro erano andate bene, fino a
quel punto grazie alla distanza, che impediva la noia e la routine. Che aveva
bisogno di tempo per riflettere. Insomma tutto il repertorio classico delle
merdate.
La Mantovani si era ritrovata a Bari, da sola, con i ponti tagliati alle spalle.
Era rimasta senza fare storie.
Mi piaceva molto. Era come dovrebbe essere un bravo pubblico ministero, o un
bravo poliziotto, che pio meno la stessa cosa.
Prima di tutto era intelligente e onesta. Poi non le piacevano i delinquenti, di
qualsiasi tipo, ma non passava il suo tempo a rodersi pensando che la maggior
parte di loro l'avrebbe fatta franca. Soprattutto: quando aveva torto era capace
di ammetterlo, senza fare storie.
Eravamo diventati amici, o qualcosa di simile. Abbastanza insomma, da andare a
pranzo insieme, qualche volta e raccontarci qualcosa delle nostre storie. Non
abbastanza perchsuccedesse altro, anche se la nostra presunta relazione era
uno dei tanti pettegolezzi che circolavano nel tribunale.
Patrono detestava la Mantovani. Perchera donna, perchera magistrato e perch era piintelligente e pidura di lui. Anche se, naturalmente, non lo avrebbe
mai ammesso.
Venga signora, chiamava signora, non dottoressa o giudice, le donne magistrato
per farle innervosire e metterle a disagio, senta questa storiella. nuovissima, veramente graziosa.
La Mantovani si avvicindi qualche passo e lo guardnegli occhi, inclinando la
testa di lato, senza dire una parola. Leggero cenno di assenso, prova pure a
raccontarla, la tua storiella, e ombra di un sorriso. Non era un sorriso
cordiale. La bocca si era mossa ma gli occhi erano immobili. E freddi.
Patrono raccontla sua storiella. Non era affatto nuovissima e nemmeno nuova.
Era quella del giovane di buona famiglia che parla con un amico e gli dice che
sta per sposare una ex prostituta. Il giovane spiega all'amico che per lui non un problema la precedente professione della promessa sposa. Nemmeno sono un
problema i parenti della fidanzata, che sono spacciatori, ladri e magnaccia.
Tutto dunque sembra andare per il meglio ma il ragazzo confida all'amico di
avere una sola, grossa preoccupazione. "Quale?" gli chiede l'altro.
Come fare a dire ai genitori della sposa che suo padre un magistrato.
Patrono ridacchida solo. Io ero in imbarazzo.
Ne ho una carina anch'io. Sugli animali", fece la Mantovani.
Ci sono Biscia e Volpe che vanno a spasso nella foresta. Ad un certo punto
comincia a piovere e tutti e due, per ripararsi, si infilano, da due entrate
diverse, in un cunicolo sotterraneo. Cominciano a percorrere il cunicolo, dove
c'buio pesto, andando uno nella direzione dell'altro fino a quando non si
incontrano. Anzi si scontrano, sbattendo uno contro l'altro.
Il cunicolo molto stretto e non consente il passaggio agevole di tutti e due.
Perchuno passi, l'altro si deve accostare alla parete, e ciocedere il passo.
Nessuno dei due pervuole cedere il passo e cominciano a litigare.
Spostati e lasciami passare.
Spostati tu. Chi credi di essere. Chi sei tu?.
Dimmi prima chi sei tu.
No mio caro, dimmi prima chi sei tu. E via discorrendo su questo tono.
Insomma la situazione sembra ad un punto critico e i due non sanno come uscirne,
anche perchnessuno dei due vuole prendere l'iniziativa di aggredire l'altro,
non sapendo con chi ha a che fare.
Volpe allora ha un'idea: "Senti, inutile che continuiamo a litigare perch cosresteremo qui dentro tutto il giorno. Facciamo un gioco per risolvere la
questione. Io adesso sto fermo, tu mi tocchi e cerchi di indovinare chi sono.
Poi tu stai fermo, io ti tocco e cerco di indovinare chi sei. Chi scopre
l'identitdell'altro vince e pupassare per primo. Che ne dici?.
Effettivamente" dice Biscia "puessere un'idea. D'accordo, ma comincio io.
E cosBiscia, movendosi sinuosamente, comincia a toccare Volpe.
Dunque, che orecchie lunghe, appuntite che hai, che muso aguzzo, che pelo
morbido, che grossa coda... tu devi essere Volpe!.
Un po' seccato Volpe costretto a riconoscere che l'altro ci ha preso.
Adesso comunque tocca a me, perchse indovino potremmo finire pari e dovremmo
trovare un altro modo per decidere chi passa.
E comincia a toccare Biscia, che nel frattempo si disteso sul pavimento del
cunicolo.
Che testa piccola che hai, non hai le orecchie, sei viscido, lungo. Non hai i
coglioni?!.
E non sarai mica un avvocato?.
Risi in silenzio socchiudendo gli occhi. Anche Patrono cercdi ridere, ma non
ci riusc Tirfuori una specie di ghigno forzato, cercdi dire qualcosa ma
non gli venne nulla di adeguato. Non sapeva perdere.
La Mantovani si tolse la toga dalle spalle, disse che andava nel suo ufficio,
che ci saremmo rivisti alla ripresa dell'udienza e andvia.
Ogni tanto, un vero uomo. Pensai,
Passancora qualche giorno e poi arrivla telefonata di Abagiage.
Voleva incontrarmi. Presto.
Dissi che poteva venire quel giorno stesso, alle otto di sera, orario di
chiusura dello studio. Cosavremmo potuto parlare con picalma.
Arrivcon quasi mezz'ora di ritardo e questo fatto mi stup non corrispondeva
all'immagine che mi ero fatto di lei.
Sentii suonare il campanello quando ormai stavo pensando di andarmene.
Attraversai lo studio deserto, aprii e la vidi. In mezzo al pianerottolo, con la
luce spenta.
Entrtrascinando uno scatolone. C'erano i libri e poche altre cose di Abdou,
fra cui una busta con qualche decina di fotografie.
Dissi che potevamo andare a parlare nella mia stanza e lei fece no con la testa.
Aveva fretta. Rimase l a un metro dalla porta e aprla borsa, tirandone fuori
un rotolo di banconote simile a quello della prima volta che era venuta in
studio.
Mi porse i soldi e senza guardarmi negli occhi prese a parlare velocemente.
Questa volta l'accento si sentiva. Forte come un odore.
Doveva partire. Doveva tornare ad Assuan. Era obbligata, era obbligata, disse, a
tornare in Egitto.
Chiesi quando e perch e la spiegazione diventconfusa. Spezzata a tratti da
parole che non capivo.
Gida pidi una settimana aveva fatto l'esame di fine corso. In teoria sarebbe
dovuta ripartire subito dopo e infatti tutti gli altri borsisti erano giandati
via.
Era rimasta, chiedendo una proroga della borsa di studio, sostenendo di dovere
approfondire alcuni argomenti. La proroga non era stata concessa e il giorno
prima era arrivato un fax, dal suo paese, con cui le intimavano di rientrare. Se
non lo avesse fatto, subito, avrebbe perso il suo posto di funzionario al
ministero dell'agricoltura.
Non aveva scelta, disse. Se restava non avrebbe potuto comunque aiutare Abdou.
Senza soldi e senza lavoro.
Senza una casa, visto che le avevano gidetto che al pipresto doveva liberare
la stanza nella residenza dell'istituto.
Sarebbe andata in Nubia e avrebbe tentato di ottenere un periodo di aspettativa.
Avrebbe fatto di tutto per ritornare in Italia.
Aveva raccolto tutti i soldi che poteva, per pagare la difesa di Abdou, ciome.
Erano quasi tre milioni. Dovevo fare il possibile, tutto il possibile per
aiutarlo.
No, Abdou non lo sapeva ancora. Glielo avrebbe detto l'indomani, al colloquio.
Comunque, ripet troppo veloce e senza guardarmi, avrebbe fatto di tutto per
ritornare presto in Italia.
Tutti e due sapevamo che non era vero.
Maledizione, pensai. Maledizione, maledizione, maledizione.
Avevo voglia di insultarla perchmi lasciava da solo con quella responsabilit
Io non la volevo, quella responsabilit
Avevo voglia di insultarla perchmi specchiavo nella sua inattesa mediocrit e
nella sua vigliaccheria. E mi riconoscevo con una chiarezza insopportabile.
Mi venne in mente quella volta che Sara aveva parlato della possibilitdi avere
un bambino. Era un pomeriggio di ottobre e io dissi che non credevo fosse ancora
il momento. Lei mi guarde annusenza dire niente. Non ne parlmai pi
Non insultai Abagiage. Ascoltai le sue giustificazioni senza dire nulla.
Quando ebbe finito se ne andarretrando, come se avesse paura di darmi le
spalle.
Io rimasi in piedi nell'ingresso, vicino a quella scatola di cartone con le cose
di Abdou, in mano il rotolo di banconote. Poi presi il telefono che era sulla
scrivania della segretaria e senza pensare feci il numero di Sara, che prima era
anche il mio numero.
Ci furono cinque squilli e poi risposero.
La voce era nasale, piuttosto giovane.
S. Il tono era di uno che sta a casa sua. Magari appena rientrato dal
lavoro, quando il telefono ha squillato si stava allentando la cravatta e mentre
risponde si toglie la giacca e la butta su un divano.
Inspiegabilmente non riattaccai.
C'Stefania?.
No, guardi qui non c'nessuna Stefania, ha sbagliato numero.
Oh, mi scusi. Potrebbe dirmi per piacere che numero ho fatto?.
Me lo disse ed io lo scrissi, anche. Per essere sicuro di avere capito bene.
Riguardai a lungo quel pezzetto di carta, con il cervello che girava a vuoto
attorno ad una voce nasale, senza volto, al telefono di casa mia.
stato bellissimo il film, stasera. Com'che si chiamano gli attori?.
Harry Billy Cristal. Sally, Meg Ryan.
Aspetta, com'era la frase... quella del sogno delle olimpiadi?.
Ho rifatto quel sogno. Sto facendo l'amore e i giudici olimpionici guardano.
Sono entrato in finale. Il giudice canadese mi da 9, l'americano un 10 pieno e
mia madre travestita da giudice della Germania dell'Est mi da 3.
Lei scoppia ridere. Come mi piaceva la sua risata, pensai.
La risata importante perchnon si puimbrogliare. Per capire se uno vero o
fasullo l'unico sistema sicuro guardare, e ascoltare, la sua risata. Le
persone per cui vale la pena davvero sono quelle che sanno ridere.
Mi scosse toccandomi il braccio.
Dimmi i tuoi tre film preferiti.
Momenti di gloria, Un mercoledda leoni, Picnic ad Hanging Rock.
Sei il primo che risponde cos.. velocemente. Senza pensare.
Questa dei film preferiti una domanda che faccio sempre io. Quindi si pudire
che ero preparato. I tuoi?
Il primo Blade Runner. Sicuramente.
Ho visto cose che voi umani non potreste immaginare. Navi da combattimento in
fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi beta balenare nel
buio vicino alle porte di Tannh軿ser. E tutti quei momenti andranno perduti nel
tempo, come lacrime nella pioggia. tempo, di, morire. Time, to, die.
Bravo. La dice proprio cos tempo, di, morire. Staccando le parole. E poi
lascia volare la colomba.
Annuii e lei continua parlare.
Ti dico gli altri film. American Graffiti e Manhattan. Magari domani ne dico due
diversi, Blade Runner rimane sempre, ma oggi sono questi. Tante volte ho detto
Metropolis, per esempio.
Perchoggi sono questi?.
Non lo so. Dai, continuiamo a giocare?.
Va bene. Facciamo quest'altro gioco. Arriva un extraterrestre sul nostro pianeta
e tu devi offrirgli un esempio del meglio che c'sulla terra, per invogliarlo a
restare. Devi dargli un oggetto, un libro, una canzone, una frase e, va beh
c'era anche il film ma quello l'abbiamo gidetto.
Mi piace. La frase la so gi E di Malraux: "La patria di un uomo che pu scegliere ldove arrivano le nubi pivaste.
Rimanemmo un attimo in silenzio. Quando lei stava per proseguire la interruppi.
Devi farmi un piacere. Vuoi?.
S Che piacere?.
e ti innamori perdutamente di me, vorrei che me lo dicessi subito. Non ti
affidare al mio intuito. Per piacere. Va bene?.
Va bene. Vale anche per me?.
S Adesso dimmi le altre cose per il marziano.
Il libro Il giovane Holden. Per la canzone ho molti dubbi. Because the night,
di Patti Smith. Oppure Suzanne, di Leonard Cohen. O Ain' t no cure for fave,
sempre di Leonard Cohen. Non lo so, una di queste. Forse.
L'oggetto?.
La bicicletta. Adesso dimmi i tuoi.
La frase in realtuno scambio di battute. Da On the road. Fa cos Dobbiamo
andare e non fermarci finchnon siamo arrivati. Risponde l'altro: "Dove andiamo
amico?. "Non lo so ma dobbiamo andare.
Il libro.
Sicuramente non lo conosci. Lo studente straniero. di uno scrittore
francese....
L'ho letto. quello del ragazzo francese che va a studiare in un college in
America, negli anni 50.
Non lo conosce nessuno, questo libro. Tu sei la prima. Che strano.
I suoi occhi balenarono per un istante nel buio della macchina, come lame di
coltelli.
Eravamo parcheggiati sulla scogliera, quasi a strapiombo sul mare di Polignano.
Fuori era il mese di febbraio e faceva molto freddo.
Dentro la macchina no. Dentro la macchina, per quella notte, sembrava di essere
al riparo da tutto.
Sono contenta di essere uscita con te, stasera. All'ultimo ti stavo chiamando
per dirti che non me la sentivo. Poi ho pensato che dovevi giessere uscito di
casa e che comunque mi comportavo da maleducata. Allora mi sono detta: andiamo
al cinema e poi mi faccio riaccompagnare e vado a letto presto.
Perchnon volevi piuscire?.
Adesso non ho voglia di parlarne. Volevo solo dirti che sono contenta di essere
uscita. E sono contenta di non essermi fatta riaccompagnare subito dopo il
cinema. Giochiamo ancora. Mi piace. Dimmi la canzone e l'oggetto.
L'oggetto la penna stilografica. La canzone Pezzi di vetro.
Posso dire una cosa sul libro?.
S.
Non sono pisicura del Giovane Holden.
Vuoi cambiare ? .
Forse s Il piccolo principe. Mi sembra piadatto, forse. Come dice la volpe
al piccolo principe quando vuole farsi addomesticare?.
I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo triste. Ma tu hai dei
capelli color dell'oro. Allora sarmeraviglioso quando mi avrai addomesticato.
Il grano, che dorato, mi farpensare a te. E ameril rumore del vento nel
grano.
Lei mi guard Nei suoi occhi c'era stupore infantile. Era molto bella. "Come
fai a ricordarti tutto a memoria?.
Non lo so. sempre stato cos Se una cosa mi piace, mi basta leggerla o
sentirla una sola volta e me la ricordo. Il piccolo principe perl'ho letto
tante volte. Cosnon c'un grande merito.
econdo te qual la qualitpiimportante per una persona?.
Il senso dell'umorismo. Se hai senso dell'umorismo, non l'ironia, o il sarcasmo,
che sono un'altra cosa, non ti prendi sul serio. E allora non puoi essere
cattivo, non puoi essere stupido e non puoi essere volgare. Se ci pensi,
comprende quasi tutto. Ne conosci di persone con il senso dell'umorismo?.
Poche. In compenso ne ho incontrate tante, uomini soprattutto, che si prendevano
un casino sul serio.
Ebbe un attimo di esitazione, ma poi prosegu
Il mio fidanzato uno di questi.
Che fa il tuo fidanzato?.
E ingegnere.
Una persona seria?.
No. Lui capace di farti ridere, simpatico. Voglio dire: intelligente, fa
delle battute divertenti, e cosvia. Percapace di scherzare solo sugli
altri. Su se stesso tremendamente serio. No, non ha senso dell'umorismo.
Fece una pausa e poi riprese.
Mi piacerebbe se tu l'avessi, il senso dell'umorismo.
Anche a me piacerebbe se io l'avessi. Per dire la verit considerato quello che
hai detto, venderei mamma e papai cannibali, per avercelo. Sempre senza
prendermi sul serio, beninteso.
Lei rise di nuovo e poi continuammo a parlare cos nella macchina che ci
proteggeva dal vento e dal fuori. Per ore.
Erano passate le quattro del mattino quando ci rendemmo conto che bisognava
rientrare.
Arrivammo sotto casa sua, in centro, che il cielo cominciava a schiarirsi.
e domani pensi di avere ancora voglia di uscire con me, telefonami. Se mi
chiami ti regalo un libro.
Sara mi prese il mento fra le dita e mi diede un bacio sulle labbra. Poi, senza
dire niente, scese dalla macchina. Dopo qualche secondo era scomparsa dietro un
portone di legno lucido.
Io mi diedi due piccoli pugni in faccia, da un lato e dall'altro. Poi riavviai
la macchina e me ne andai, con la musica a tutto volume.
Dieci anni dopo ero da solo nel mio studio deserto, con i ricordi e la loro
melodia lancinante.
Da molto tempo non ero picapace di imparare a memoria, ascoltandole o
leggendole una sola volta, le canzoni, le frasi dei libri, e dei film.
Fra tutte le cose sprecate c'era anche quella.
Allora dovetti andare a casa, sperando che fra i libri che avevo preso e portato
con me ci fosse I piccolo principe. Percha quell'ora non c'erano librerie
aperte, ed io avevo fretta, e non potevo aspettare la mattina dopo.
C'era. Andai alle ultime pagine, quando il piccolo principe sta per essere morso
dal serpente e saluta il suo amico aviatore.
Tu, tu avrai delle stelle come nessuno ha. Quando tu guarderai il cielo, la
notte, visto che io abiterin una di esse, visto che io riderin una di esse,
allora sarper te come se tutte le stelle ridessero. Tu avrai, tu solo, delle
stelle che sanno ridere! E quando ti sarai consolato (ci si consola sempre)
sarai contento di avermi conosciuto. Sarai sempre il mio amico. Avrai voglia di
ridere con me. E aprirai a volte la finestra cos per il piacere. E i tuoi
amici saranno stupiti di vederti ridere guardando il cielo. Allora tu dirai:
"S le stelle mi fanno sempre ridere!" e ti crederanno pazzo.
Dormii due ore esatte.
Mi infilai nel letto qualche minuto prima delle tre, aprii gli occhi alle cinque
in punto e mi alzai stranamente riposato.
Quella mattina non avevo impegni e cospensai di uscire e camminare. Feci la
doccia, mi rasai, misi dei vecchi pantaloni comodi di tela, una camicia di jeans
e una felpa. Misi scarpe da ginnastica e una giacca di pelle.
Fuori cominciava a farsi chiaro.
Ero gisulla porta quando mi venne in mente che potevo portarmi un libro, per
fermarmi a leggere da qualche parte. In un giardino o in un caff come facevo
molti anni prima. Allora passai in rassegna i libri che non avevo mai messo in
ordine e che erano nel mio appartamento. Dappertutto, sparsi e provvisori.
Per qualche secondo pensai che erano provvisori come me, in quella casa, ma
subito mi dissi che era una riflessione banale e patetica. Cossmisi di
filosofare e tornai semplicemente a scegliere un libro.
Presi Doppio sogno che era in edizione economica e andava comodo nella tasca
della mia giacca di pelle. Presi le sigarette, non presi deliberatamente il
cellulare e uscii.
Casa mia era in via Putignani e, uscendo, si poteva vedere subito a destra il
teatro Petruzzelli.
Da fuori, il teatro era normale, con la cupola e tutto il resto. Da dentro no.
Il fuoco l'aveva sbranato, una notte di quasi dieci anni prima, e da allora era
l in attesa che qualcuno lo ricostruisse. Intanto ci abitavano i gatti e i
fantasmi.
Andai proprio verso il teatro, sentendo sulla faccia l'aria fresca e pulita
della mattina presto. Pochissime macchine e niente persone.
Mi venne in mente quando, verso la fine dell'universit mi capitava spesso di
rientrare a quell'ora.
La notte giocavo a poker, o uscivo con le ragazze. O semplicemente restavo a
bere, a fumare e a parlare con gli amici.
Una mattina verso le sei, dopo una di queste notti, ero in cucina, per bere un
bicchiere d'acqua prima di andare a dormire. Arrivmio padre per fare il caff
Perchti sei alzato cospresto?.
No pap sto rientrando adesso.
Mi guardsolo un secondo, con gli occhi socchiusi.
fugge alla mia comprensione come ti venga voglia di fare battute idiote anche
a quest'ora.
Poi si girscrollando le spalle, rassegnato.
Arrivai fino a corso Cavour, proprio davanti al Petruzzelli e proseguii in
direzione del mare. Due isolati dopo mi fermai in un bar, feci colazione e
accesi la prima sigaretta della giornata.
Ero nella zona con le case pibelle di Bari. Da quelle parti aveva abitato
Rossana, mia fidanzata dei tempi dell'universit
Avevamo avuto una storia alquanto burrascosa, per colpa mia. Gidopo pochi mesi
mi sembrava che la mia libertfosse, come si dice, compromessa dal nostro
rapporto.
Allora a volte mancavo agli appuntamenti e quasi sempre, quando non mancavo,
arrivavo in ritardo. Lei si arrabbiava ed io sostenevo che non erano quelle le
cose importanti. Lei diceva che la buona educazione era importante e io
cominciavo a spiegarle, con ricchezza di argomenti sofistici, la differenza fra
buona educazione formale, la sua, e buona educazione sostanziale. Ovviamente la
mia.
All'epoca non ero nemmeno vagamente sfiorato dall'idea di essere solo un villano
prepotente. Invece, siccome ero pibravo ad imbrogliare con le parole mi
convincevo anche di avere ragione. Questo mi spingeva a comportarmi peggio,
includendo nel concetto di peggio anche una serie di amorazzi clandestini con
ragazze di dubbia moralit
Di tutto questo mi resi conto quando oramai ci eravamo lasciati. Avevo ripensato
pivolte alla nostra storia e mi ero convinto di essermi comportato veramente
da stronzo. Se ne avessi avuto l'occasione, avrei dovuto ammetterlo e chiedere
scusa.
Poi, forse sette o otto anni dopo ritrovai per caso Rossana, che nel frattempo
era andata a lavorare a Bologna.
Ci incontrammo a casa di amici durante le vacanze di Natale, e lei mi domandse
mi andava di prendere un the con lei, il giorno dopo. Mi andava. Cosci
vedemmo, prendemmo il the e per almeno un'ora rimanemmo a chiacchierare.
Lei aveva avuto una bambina, si era separata dal marito, aveva un'agenzia di
viaggi con cui faceva un sacco di soldi ed era ancora molto bella.
Ero contento di averla rivista e mi sentivo a mio agio. Cosmi venne naturale
dirle che avevo pensato spesso a quando stavamo insieme e che ero convinto di
essermi comportato male. Mi andava di dirglielo, per quello che valeva. Lei
sorrise e mi guardper qualche secondo in modo un po' strano, prima di parlare.
Non disse esattamente quello che mi aspettavo.
Eri un bambino viziato. Eri cosconcentrato su te stesso che non ti accorgevi
di quello che ti capitava attorno, anche vicinissimo.
Cosa vuoi dire?.
Non hai mai nemmeno sospettato che per quasi un anno io ho avuto un altro.
Avrei voluto vedere la mia faccia, in quel momento. Doveva essere una faccia
buffa, perchRossana sorrideva e sembrava si stesse divertendo, a guardarmi.
Hai avuto anche un altro? In che senso scusa?.
A quel punto lei smise di sorridere e si mise a ridere. Come darle torto ?
Come in che senso? Stavamo insieme.
Che vuol dire stavamo insieme? Tu stavi insieme a me. Quando vi vedevate?.
La sera, quasi tutte le sere. Quando tu mi accompagnavi a casa. Lui mi aspettava
dietro l'angolo, in macchina. Io aspettavo nel portone e quando te ne eri andato
uscivo, giravo l'angolo e salivo in macchina.
Avevo una specie di strano capogiro.
E dove... dove andavate?.
A casa sua, sulla Muraglia a Bari Vecchia.
A casa sua. A Bari Vecchia. E che facevate a casa sua sulla Muraglia a Bari
Vecchia?.
Mi resi conto troppo tardi di avere detto una idiozia veramente troppo grossa,
ma non connettevo benissimo.
Anche lei se ne rese conto e non fece nulla per non farmelo pesare.
Che facevamo? Vuoi dire di notte, nel suo appartamento sulla Muraglia?.
Era davvero divertita. Io invece no. Ero uscito per prendere un the con una ex
fidanzata e mi trovavo all'improvviso a dover riscrivere la storia.
Seppi che lui si chiamava Beppe, che faceva il rappresentante di gioielli, era
sposato ed era ricco. Quella sulla Muraglia, per la precisione, non era la sua
casa ma la sua garconni鋨e. All'epoca dei fatti aveva trentasei anni e una brava
moglie.
All'epoca dei fatti io avevo ventidue anni, i miei genitori mi davano
quarantamila alla settimana, dividevo la stanza da letto con mio fratello e
avevo, lo stavo scoprendo con un certo ritardo, una fidanzata zoccola.
Arrivai sul mare, girai a sinistra, in direzione del teatro Margherita e di l mi diressi verso San Nicola, costeggiando dal basso la Muraglia. Per l'appunto
dove il signor Beppe aveva la sua garconni鋨e. Nella quale portava la mia
fidanzata.
Ormai era giorno, l'aria era fresca e pulita ed era proprio la giornata ideale
per fare una passeggiata. Continuai fino al Castello Svevo e poi oltre verso la
fiera per arrivare, forse due ore e diversi chilometri dopo essere uscito di
casa, alla pineta di San Francesco.
Era semideserta. Solo qualche signore che correva e qualcun altro che stava
seduto e preferiva lasciar correre il suo cane.
Scelsi una buona panchina, di quelle verdi, di legno, munita di schienale ed
esposta al sole. Mi sedetti e lessi il mio libro.
Quando lo finii, dopo circa due ore, pensai che mi sentivo bene e che potevo
riposarmi ancora dieci minuti prima di riprendere la strada per casa. O magari
per lo studio, dove certamente dovevano aver cominciato a chiedersi che fine
avessi fatto.
Tolsi la giacca, che cominciava a fare caldo, la piegai facendone una specie di
cuscino e mi distesi con la faccia al sole.
Mi svegliai che era mezzogiorno passato. Quelli che facevano jogging si erano
moltiplicati e c'erano coppie di ragazzini, signore con bambini e vecchietti che
giocavano a carte sui tavolini di pietra. Anche due testimoni di Geova che
cercavano di convertire tutti quelli che non mostravano una faccia abbastanza
ostile.
Ora di andare via. Decisamente.
Tornando a casa vidi il cellulare e lo ignorai. Quando andai in studio, nel
pomeriggio, era nella mia tasca, ma ancora spento.
Maria Teresa mi travolse nel momento stesso in cui aprivo la porta. Mi avevano
cercato per tutta la mattinata, a casa e sul cellulare. A casa non rispondeva
nessuno e il cellulare era sempre spento.
Certo, pensai, ero in pineta a prendere il sole, alla faccia di voi tutti e
senza il maledetto telefonino.
Quella mattina era successo un casino.
Mica mi ero dimenticato qualche udienza ? Ah, meno male, mi sembrava infatti. Mi
aveva cercato un sacco di gente ? Va beh, richiameranno. No, certo non mi ero
dimenticato che l'indomani scadevano i termini per l'appello di Colaianni.
Falso, me ne ero completamente dimenticato, e meno male che avevo una segretaria
che sapeva fare il suo mestiere.
Da mezzogiorno avevano chiamato tre volte dal carcere ? E perch?
Maria Teresa non lo sapeva. Era una cosa urgente, avevano detto, ma non avevano
spiegato cosa. L'ultima volta aveva chiamato un certo ispettore Surano. Aveva
chiesto che lo chiamassi, non appena mi rintracciavano.
Chiamai il centralino della casa circondariale, chiesi dell'ispettore Surano e,
dopo avere aspettato almeno tre minuti, sentii una voce bassa, roca, con
l'accento della provincia di Lecce.
Sero l'avvocato Guerrieri. Sl'avvocato del detenuto Thiam Abdou. S potevo
andare al carcere, se magari mi spiegava prima per quale motivo.
Mi spiegil motivo. Quella mattina, dopo le visite, il detenuto Thiam Abdou
aveva posto in essere un tentativo di suicidio mediante impiccagione.
Era stato salvato, quando gipendeva con una corda fatta di strisce di lenzuola
lacerate, ed intrecciate fra loro. Adesso era ricoverato nell'infermeria del
carcere, con sorveglianza a vista h24.
Dissi che sarei arrivato prima possibile.
Prima possibile un concetto molto ambiguo se si parla di andare dal centro di
Bari al carcere, nel pomeriggio di un giorno lavorativo.
Comunque in poco pidi mezz'ora ero davanti al cancello della casa
circondariale e suonavo il campanello dopo avere parcheggiato. Ovviamente in
divieto di sosta.
L'agente di custodia che era al corpo di guardia era stato preavvisato del mio
arrivo. Mi chiese di attendere e chiaml'ispettore Surano, che arrivcon
insolita rapidit Disse che il direttore desiderava parlarmi e se potevamo
andare da lui. Chiesi come stava il mio cliente e lui mi disse che stava
abbastanza bene, fisicamente. Mi avrebbe accompagnato lui stesso in infermeria
subito dopo l'incontro con il direttore.
Ci addentrammo per corridoi ingialliti, squallidamente illuminati e per i quali
si spandeva l'inconfondibile odore di rancio delle carceri, delle caserme e
degli ospedali. Ogni tanto incrociavamo qualche detenuto lavorante che
maneggiava una scopa o spingeva un carrello. Alla fine imboccammo un corridoio
che era tinteggiato di fresco, dove c'erano delle piante e in fondo al quale
c'era la porta dell'ufficio del direttore.
L'ispettore Surano buss si affaccinella stanza, disse qualcosa che non
sentii e poi aprla porta, facendomi entrare e seguendomi.
Il direttore era un signore sui cinquantacinque anni, dall'aria anonima, la
pelle sottile e opaca, lo sguardo sfuggente.
Era dispiaciuto, disse, di quello che era successo, ma per fortuna grazie alla
prontezza di spirito di uno dei suoi uomini si era evitata una tragedia.
Un'altra tragedia, pensai, ricordandomi del suicidio di un mio cliente, un
tossico di vent'anni, e delle voci, mai confermate, di violenze sui detenuti per
imporre la disciplina.
Il direttore voleva assicurarmi che aveva giimpartito disposizioni rigorose
perchil detenuto, come si chiamava, s il detenuto Thiam Abdou, fosse
costantemente sorvegliato allo scopo di prevenire ulteriori tentativi di
suicidio o comunque atti di autolesionismo.
Era convinto che questo spiacevole incidente non avrebbe avuto nessun seguito,
ntantomeno pubblicit per la serenitdell'istituto penitenziario e dello
stesso detenuto. Da parte sua, era a mia disposizione, se per caso mi occorreva
qualcosa.
Tradotto in italiano: non crearmi casini e sarmeglio per tutti. Incluso il tuo
cliente, che qua dentro e ci resta.
Avrei voluto dirgli di fottersi, ma avevo fretta di incontrare Abdou e poi mi
sentivo improvvisamente stanco. Allora lo ringraziai per la disponibilite lo
pregai di farmi accompagnare in infermeria.
Non ci stringemmo la mano e l'ispettore Surano mi guidnel percorso a ritroso,
e poi per altri corridoi ancora pisquallidi, attraverso cancellate e quella
puzza di rancio che sembrava penetrare in ogni fessura.
L'infermeria era uno stanzone con una decina di letti, quasi tutti occupati. Non
vidi Abdou e guardai Surano. Lui fece un cenno con il capo, per indicare in
fondo allo stanzone e poi mi precedette.
Abdou era in un letto, le braccia bloccate con delle cinghie e gli occhi
semichiusi. Respirava con la bocca.
Vicino a lui era seduto un agente di custodia grasso, con i baffi. Fumava con
aria annoiata.
Surano volle darsi un tono:
Cazzofumi in infermeria, Abbaticchio? Spegni, spegni e lascia la sedia
all'avvocato.
Mai vista una simile cortesia. Evidentemente il direttore aveva dato
disposizioni di trattarmi con i guanti.
L'agente Abbaticchio guardl'ispettore con occhi ottusi. Sembrsul punto di
dire qualcosa, poi si rese conto che forse era meglio di no. Spense la sigaretta
e si allontan ignorandomi del tutto. Surano mi disse che potevo fare con
comodo. Quando avessi finito lui stesso mi avrebbe riaccompagnato all'uscita.
Anche lui si allontanfino all'ingresso dell'infermeria.
Adesso ero solo vicino al letto di Abdou, che sembrava non esser si accorto
della mia presenza.
Mi chinai un poco e provai a chiamarlo ma lui non diede segni di risposta.
Quando stavo per toccargli un braccio, lui parl quasi senza muovere le labbra.
Che vuoi, avvocato?.
Ritirai la mano, con un leggero soprassalto.
Cosa successo, Abdou?.
Lo sai cosa successo. Se no perchsaresti qui.
Aveva gli occhi aperti, adesso, e fissava il soffitto. Io mi sedetti, rendendomi
conto in quel momento che non sapevo assolutamente cosa dire.
Stando al livello del letto notai le escoriazioni sul collo.
venuta Abagiage, questa mattina?.
Lui non rispose e non mi guard Chiuse la bocca e serrle mascelle. Riusca
deglutire dopo due tentativi. Poi, come in una scena al rallentatore, vidi
nell'angolo interno del suo occhio sinistro una goccia, una sola, che si
formava, che cresceva, che si staccava percorrendo lentamente tutto il viso,
fino a spegnersi sul bordo della mascella. Anch'io feci fatica a deglutire.
Per un tempo indefinibile nessuno dei due parl Poi mi resi conto che avevo
solo una cosa da dire, che avesse senso.
Sei rimasto solo e pensi che ora veramente finita. Lo so. Probabilmente hai
anche ragione.
Gli occhi di Abdou, che erano rimasti fissi sul soffitto, ruotarono lentamente
verso di me. Anche il capo si mosse, anche se di poco. Avevo la sua attenzione.
Ripresi a parlare e la mia voce era stranamente calma.
Infatti, per come la vedo io, hai una sola possibilit che anche piuttosto
debole. E la decisione puessere solo tua.
Lui mi guardava, adesso, ed io sapevo di avere il controllo.
Se hai voglia di batterti per quella possibilit dimmelo.
Che possibilit.
Non facciamo il rito abbreviato. Facciamo il processo davanti alla corte di
assise e cerchiamo di vincerlo, ciodi farti assolvere. Le possibilitsono
pochissime e ti confermo quello che ho detto l'altra volta. Il mio consiglio sempre quello di scegliere il giudizio abbreviato. Ma la decisione tua. Se non
vuoi fare il giudizio abbreviato io ti difenderin corte di assise.
Non ho i soldi.
Fanculo i soldi. Se riesco a farti assolvere, il che improbabile, troverai il
modo di pagarmi. Se ti condannano avrai problemi piseri dei debiti con me.
Lui distolse lo sguardo, che mi aveva tenuto fisso addosso, mentre parlavo.
Torna guardare il soffitto, ma in modo diverso adesso. Ebbi anche
l'impressione dell'ombra di un sorriso, amaro, sulle sue labbra. Alla fine
parl sempre senza guardarmi ma con voce ferma.
Sei intelligente, avvocato. Io ho sempre pensato di essere piintelligente
degli altri. Questo non una fortuna, ma difficile capirlo. Se pensi di
essere piintelligente degli altri non capisci molte cose, fino a quando non ti
cadono addosso. Allora tardi.
Fece il gesto di sollevare il braccio destro, ma era bloccato dalla cinghia. Io
ebbi l'impulso di chiedergli se voleva essere liberato, ma non dissi nulla. Lui
riprese a parlare.
Oggi mi sembra che tu sei piintelligente di me.
Io pensavo di essere morto e adesso, dopo che hai parlato, penso che mi
sbagliavo. Hai fatto una cosa che non capisco.
Fece una pausa e respira fondo, con il naso, come per raccogliere tutte le
forze.
Voglio che facciamo il processo. Per essere assolto.
Sentii un brivido che partiva dalla sommitdella testa e si spargeva per tutta
la schiena. Volevo dire qualcosa, ma sapevo che qualsiasi cosa sarebbe stata
sbagliata.
OK" feci allora "ci vediamo presto.
Lui serrdi nuovo le mascelle e fece scon la testa, senza distogliere lo
sguardo dal soffitto.
Quando ritornai alla mia macchina trovai sul parabrezza Il foglietto bianco
della multa per divieto di sosta.
Due settimane dopo ci fu l'udienza preliminare.
La Carenza arrivin ritardo, come al solito.
Io aspettavo fuori dall'aula di udienza, chiacchierando con qualche collega e
con i giornalisti che erano lproprio per il mio processo. Cervellati invece
non c'era.
A lui non piaceva aspettare il giudice davanti all'aula, mischiato agli
avvocati. Allora faceva dire dal suo segretario al cancelliere del giudice che
lo chiamassero quando l'udienza stava per cominciare.
La Carenza entrin aula seguita dal cancelliere e da un commesso che spingeva
un carrello carico di faldoni. Entrai anch'io, mi sedetti al mio posto, sul
banco di destra per chi sta di fronte al giudice e aprii le mie carte, cos
tanto per fare qualcosa e calmare il nervosismo.
Qualche istante dopo mi accorsi che era in aula anche il mio collega Cotugno,
che doveva costituirsi parte civile per i genitori del bambino. Era un avvocato
anziano, un po' trombone, sordo e con un alito micidiale.
Le conversazioni con Cotugno erano surreali. Lui, avendo l'udito che non
funzionava, tendeva ad avvicinarsi. Il suo interlocutore, che normalmente aveva
l'olfatto che funzionava, tendeva invece ad arretrare. Fino a quando l'ambiente
e la buona educazione glielo consentivano. Poi doveva subire.
Cosquando vidi Cotugno seduto sul banco del pubblico ministero, come
d'abitudine per gli avvocati di parte civile, misi in atto una complessa
strategia per evitare il suo alito. Mi alzai a metappoggiandomi sul mio banco,
allungai il braccio per la massima estensione possibile e gli diedi la mano
stando in equilibrio precario. Chiaramente incompatibile con ogni conversazione.
Poi tornai a sedermi.
Il giudice disse al cancelliere di chiamare gli agenti di custodia nelle camere
di sicurezza, perchportassero il detenuto.
In quel momento Cervellati si materializzalla mia sinistra. Aveva un abito
grigio su mocassini marroni senza lacci e con nappine. Mi chiese cosa intendessi
fare con quel processo.
Mentii. Il mio cliente, dissi, aveva voluto pensarci su fino all'ultimo momento
e quindi io stesso avrei saputo solo quella mattina se avremmo chiesto il
giudizio abbreviato o no.
Cervellati mi guard sembrsul punto di dire qualcosa, poi scosse la testa e
si sedette al suo posto. Non mi aveva creduto, e non aveva un'aria amichevole.
Due minuti dopo, da una porta laterale, circondato da quattro agenti di
custodia, le manette ai polsi, entrAbdou. Indossava pantaloni di tela kaki e
una camicia bianca; sul braccio portava una giacca o un giubbotto. Aveva un'aria
pulita. Era ben rasato e la sua camicia sembrava stirata quella mattina stessa.
Signor giudice, posso scambiare due parole con il mio cliente, prima di
cominciare l'udienza?.
Prego avvocato. Per piacere, toglietegli le manette.
Il pianziano degli agenti di custodia tirfuori una chiave e liberle mani
di Abdou. Gli arrivai vicino mentre si massaggiava i polsi. Parlai sottovoce.
Allora Abdou, se hai cambiato idea siamo ancora in tempo. Per poco, ma siamo
ancora in tempo.
Lui fece no con il capo. Io rimasi un attimo a guardarlo, e lui guardme. Poi
tornai al mio posto sentendo le pulsazioni accelerare il ritmo e la paura che
arrivava, come un'ondata.
Le formalitdi apertura dell'udienza furono sbrigate in fretta e poi arrivammo
al momento.
Ci sono richieste di riti alternativi?", fece la Carenza.
Mi alzai abbottonando la giacca. Lanciai ancora uno sguardo dalla parte di
Abdou.
Signor giudice, con il mio cliente abbiamo vagliato a lungo l'eventuale
opportunitdi richiedere il giudizio abbreviato ma alla fine abbiamo ritenuto
insieme che si tratti di un processo da sottoporre al vaglio del dibattimento. E
dunque, no, non ci sono richieste di riti alternativi.
Mi sedetti senza guardare Cervellati.
Il giudice invitallora le parti a formulare le loro conclusioni.
Cervellati parlbrevemente. Il processo era denso di prove a carico
dell'imputato Thiam Abdou. Erano prove che avrebbero condotto certamente ad una
affermazione di penale responsabilit all'esito del dibattimento, per tutte le
ipotesi delittuose, le gravissime, odiose ipotesi delittuose, contestate nei
capi di imputazione. L'udienza preliminare non poteva che concludersi con il
rinvio a giudizio dell'imputato dinanzi alla corte di assise, per rispondere di
sequestro di persona e omicidio volontario. Era solo necessario integrare
l'imputazione contenuta nel capo B. Ai sensi dell'art. 423 del codice di
procedura penale il pubblico ministero intendeva modificare l'imputazione di
omicidio. Da omicidio semplice ad omicidio aggravato.
Cervellati detta verbale la nuova imputazione.
Era stato di parola. Adesso il mio cliente aveva una accusa che, in caso di
condanna, lo avrebbe portato direttamente all'ergastolo.
Il giudice mi chiese se intendessi chiedere un termine a difesa. Era un gesto di
cortesia, non era tenuta a farlo. Ringraziai e dissi che no, non intendevamo
chiedere termini.
Toccallora a Cotugno che fu ancora pibreve di Cervellati. Si associalle
richieste del pubblico ministero e chiese anche lui il rinvio a giudizio.
Io avevo poco da dire, perchin un processo come quello non c'era, ovviamente,
alcuna possibilitdi un proscioglimento in udienza preliminare.
E allora, semplicemente, dissi che non avevamo osservazioni sulla richiesta di
rinvio a giudizio.
Poi il giudice pronunciil decreto.
Il dibattimento nei confronti di Thiam Abdou, nato a Dakar, Senegal, il 4 marzo
1968 per le imputazioni di sequestro di persona e omicidio aggravato era fissato
al 12 giugno, dinanzi alla corte di assise di Bari.
Parte terza.
Tornavo a casa, dallo studio. Pensavo che avrei dovuto fare un po' di spesa per
evitare di mangiare fuori ancora una volta, quando sentii una voce di donna,
leggermente gutturale, alle mie spalle.
Mi da una mano, per piacere? Sto per stramazzare al suolo.
La mia vicina Margherita. C'era da stupirsi che non fosse gistramazzata al
suolo. Aveva una borsa da lavoro gonfia, svariati sacchetti di plastica pieni di
cibo e un lungo tubo portadisegni del tipo di quelli che usano gli architetti.
Le diedi una mano, nel senso che mi caricai tutta la spesa. Coscominciammo a
camminare insieme.
Meno male che ho incontrato lei. Una settimana fa ero pio meno nelle stesse
condizioni e ho incontrato quel professore anziano, Costantini, che si offerto
di aiutarmi. Io gli ho dato le buste e lui, dopo un isolato, si stava facendo
venire un infarto.
Sorrisi con un'aria vagamente idiota. Evidentemente avrei dovuto sapere chi era
questo professor Costantini.
Chi il professor Costantini?.
Quello che sta al secondo piano, nel nostro palazzo. Scusi ma lei da quanto
tempo abita l.
Pensai che stavo in quel palazzo da pidi un anno. Non conoscevo il nome di
nessuno degli inquilini.
Ci abito da un anno, pio meno.
Beh, complimenti, lei deve essere un tipo socievole. Che fa, dorme di giorno e
di notte gira con una tuta, un mantello e una maschera per liberare la cittdai
criminali?.
Le dissi che facevo l'avvocato e lei, dopo aver fatto una piccola smorfia, mi
disse che anche lei, molto tempo prima, sembrava destinata a fare l'avvocato.
Aveva fatto la pratica, aveva superato gli esami e si era iscritta all'albo, ma
poi aveva cambiato strada. Del tutto. Adesso si occupava di pubblicite altro.
Per convenimmo, in qualche modo eravamo colleghi e allora potevamo darci del
tu. Disse che questo la faceva sentire pia suo agio.
Io ho sempre avuto problemi con il lei. Proprio non mi viene naturale, devo
sforzarmi. Hanno cercato di insegnarmi qualche anno fa che una ragazza per bene
non da del tu agli sconosciuti, ma io ho sempre avuto molti dubbi sul fatto di
essere una ragazza per bene. E tu?.
Se non sono sicuro di essere una ragazza per bene? Effettivamente qualche dubbio
ce l'ho.
Fece una breve risata, come un gorgoglio, prima di riprendere a parlare.
Si vede che hai dubbi, in generale. Hai sempre un'aria... non so, non trovo una
parola adatta per definirla. Come se stessi ruminando delle domande e le
risposte ti piacessero poco. O non ti piacessero affatto.
Mi voltai a guardarla, leggermente interdetto.
Visto che questa la seconda volta che ci vediamo, posso sapere su cosa si basa
questa diagnosi?.
la seconda volta che tu mi vedi. Io ti ho visto almeno altre quattro o cinque
volte, da quando sono venuta a stare in questo palazzo. Per due volte ci siamo
proprio incrociati per strada e letteralmente non mi hai visto. Tanto che non mi
nemmeno venuto di salutare. Non stato piacevole per la mia vanit ma tu eri
da un'altra parte.
Camminammo in silenzio per qualche decina di metri. Poi fu lei a parlare di
nuovo.
Ho detto qualcosa che non va?.
No. Pensavo a quello che hai detto. Mi chiedevo se fosse cosevidente.
Non cosevidente. che io sono brava.
Eravamo arrivati al portone di casa. Entrammo e salimmo insieme la piccola rampa
di scale che portava all'ascensore. Mi dispiaceva che fosse arrivato il momento
di salutarci.
Sei riuscita ad incuriosirmi. Adesso cosa devo fare per avere una consulenza pi dettagliata?.
Ci pensqualche secondo. Stava decidendo.
ei uno che equivoca se viene invitato a cena da una ragazza che vive sola?.
In passato ero un professionista dell'equivoco ma ora ho smesso, credo. Spero.
Allora: se non equivochi e non sei impegnato stasera per me andrebbe bene.
Stasera andrebbe bene anche per me. Sei al sesto o al settimo?.
Al settimo. Ho anche la terrazza. Peccato che la sera ancora troppo fresco
altrimenti avremmo potuto stare fuori. Va bene, allora alle nove?.
S Cosa porto?.
Vino, se lo bevi, perchio non ne ho.
Va bene. A stasera allora.
Non prendi l'ascensore?.
No, no, vado a piedi.
Mi guardun attimo senza dire niente, con aria leggermente interrogativa, poi
annu prese la sua spesa e mi salut
Non mi ricordo niente di preciso di quello che feci in studio quel pomeriggio,
ma ricordo la sensazione di leggerezza. Una sensazione che non provavo da un
sacco di tempo.
Mi sentivo come nei pomeriggi di maggio degli ultimi anni di liceo.
A scuola ormai non si andava quasi pi Ci andavano quelli che dovevano riparare
le insufficienze e quindi farsi interrogare. E pochi altri.
Per tutti noi erano i primi giorni di vacanze, ed erano i migliori. Percherano
illegali, in un certo senso. Stando alle regole avremmo dovuto continuare ad
andare a scuola e invece non lo facevamo. Erano giorni rubati, uno per uno, al
calendario della scuola e restituiti alla libert
Forse per questo motivo c'era quell'elettricit quella strana tensione carica
di aspettativa nei pomeriggi di maggio in bilico fra la scuola e i misteri
dell'estate.
Qualcosa stava per accadere, doveva accadere, e noi lo sentivamo. Il nostro
tempo si tendeva come un arco, pronto a scagliarci chissdove.
Quel pomeriggio mi sentivo cos come in quei graffiti della mia adolescenza.
Uscii verso le sette e mezza e andai in una enoteca per prendere il vino. Non
sapevo cosa avremmo mangiato nquali fossero i gusti di Margherita e quindi non
potevo prendere soltanto vino rosso, come mi sarebbe venuto naturale. Io non amo
il vino bianco.
Allora presi un primitivo di Manduria e, tanto per fare la mia figura da
provinciale, un bianco californiano della Napa Valley.
Dopo avere scelto il vino mi restava del tempo e allora feci una passeggiata per
via Sparano.
Vedevo la gente che camminava tutto intorno a me e mi sembrava di percepire una
sospensione del tempo.
L'aria sembrava attraversata da un senso di malinconia dolce e da qualcosa
d'altro, che non riuscivo a cogliere bene.
Arrivai a casa alle nove meno un quarto, feci la doccia e mi vestii. Pantaloni
chinos chiari, camicia di jeans, scarpe morbide di pelle leggera.
Chiusi la porta tenendo con l'altra mano le due bottiglie, per il collo e balzai
sulle scale con lo stile di Alberto Sordi americano a Roma.
Cosinciampai e per un soffio evitai di fracassare tutto. Mi venne da ridere e
quando bussai alla porta di Margherita, due piani pisu, dovevo avere ancora
una specie di sorriso un po' stolido.
Cosa successo?", disse lei un po' perplessa, socchiudendo leggermente gli
occhi dopo avermi salutato.
Niente, stavo cadendo per le scale e, visto che sono mentalmente disturbato, ho
trovato la cosa divertente. Tranquilla comunque: sono innocuo.
Rise, sempre con quella specie di gorgoglio.
In casa c'era un buon odore, di mobili nuovi, di pulito e di cibo ben cucinato.
Era un appartamento pigrande del mio ed evidentemente erano stati demoliti dei
muri perchnon c'era ingresso e si entrava direttamente in una specie di salone
con una grande vetrata che dava su una terrazza. Pochi mobili. Solo una specie
di armadio basso che sembrava giapponese, alcuni scaffali a muro di legno chiaro
e un tavolo di ferro e vetro con quattro sedie di metallo. Per terra un grande
tappeto di cocco e, su due lati della stanza, alcune grosse candele colorate di
altezze diverse, vasetti di vetro blu con dentro una specie di pietrisco, un
impianto stereo nero.
Gli scaffali erano pieni di libri e di oggetti e davano l'impressione di una
casa abitata gida tempo.
Sui muri c'erano due riproduzioni di Hopper. Serata a Cape Cod e Gas. Quello
delle pompe di benzina nella campagna. Erano bellissimi e commoventi.
Lo dissi e lei mi guardun attimo, come per controllare se parlavo solo per
darmi un tono. Poi fece di scon il capo, seria, e rimase in silenzio per
qualche secondo. Mangi il piccante?."Mangio il piccante.
Vado in cucina a finire di preparare. Tu guardati pure attorno, fra cinque
minuti pronto. Poi a tavola chiacchieriamo. Apro il vino rosso perchcol cibo
che mangeremo va bene. E poi il bianco non ce la fa a raffreddarsi, in cospoco
tempo.
Sparin cucina. Io cominciai ad esaminare i libri sugli scaffali, come faccio
di solito quando vado in una casa sconosciuta.
C'erano molti romanzi e raccolte di racconti. Americani, francesi e spagnoli, in
lingua originale.
Steinbeck, Hemingway, Faulkner, Carver, Bukowsky, Fante, Montalban, Lodge,
Simenon, Kerouac.
C'era una vecchissima, consumata edizione di Lo zen e l'arte della manutenzione
della motocicletta. C'erano i libri di viaggi di un giornalista americano, Bill
Bryson, che a me piaceva molto e che credevo di essere pio meno l'unico a
conoscere.
Poi libri di psicologia, libri sulle arti marziali giapponesi, cataloghi di
mostre, soprattutto fotografiche.
Tirai fuori da uno scaffale il catalogo di una mostra di Robert Capa a Firenze e
lo sfogliai. Poi presi Chatwin e poi Doisneau, con i suoi baci in bianco e nero
nella Parigi degli anni cinquanta. C'era un libro su Hopper. Aprendolo vidi che
c'era una dedica e voltai subito pagina, imbarazzato. Lessi qualche rigo
dell'introduzione. "Immagini della citto della campagna quasi sempre deserte
in cui si fondono il realismo della visione con un sentimento struggente del
paesaggio, delle persone, degli oggetti. I quadri di Hopper, sotto una apparenza
di oggettivitesprimono un silenzio, una solitudine, uno stupore metafisici.
Lasciai Hopper, presi Chiedi alla polvere, di John Fante e con il libro andai in
terrazza. L'aria era fresca e asciutta. Mi aggirai un poco fra le piante, mi
affacciai a guardare sulla strada, mi fermai a toccare degli strani piccoli
fiori con la consistenza della cera. Poi appoggiato al muro sotto una specie di
lanterna in ferro battuto sfogliai il libro fino all'ultima pagina, perch volevo rileggermi il finale.
Si cominciava a scorgere, a distanza, il luccichio tremolante della canicola.
Risalii il sentiero fino alla Ford. Presi la copia del mio libro, del mio primo
libro e scrissi a matita sul risguardo:
A Camilla, con amore, Arturo.
Percorsi un centinaio di metri verso sud-est e, con tutta la forza che
possedevo, gettai il libro nella direzione che lei aveva preso. Poi montai in
macchina, avviai il motore e partii per Los Angeles.
pronto, a tavola.
Mi risvegliai con un piccolo sussulto, e rientrai in casa. La tavola era
apparecchiata.
Il primitivo era in una caraffa e in un'altra uguale, acqua. C'era una zuppiera
di chili con carne e una terrina con riso bollito. Su un piatto erano disposte
quattro pannocchie di mais e al centro dei fiocchi di burro.
Cominciammo con le pannocchie e il burro. Io presi la caraffa del vino e stavo
per versarne nel bicchiere di Margherita.
Lei disse di no, che non beveva.
Avevo, come si dice, un bere problematico. Qualche anno fa. Poi diventmolto
problematico. Adesso non bevo pi
Scusa, non avrei portato il vino se avessi saputo. .. .
Ehi, sono io che ti ho detto di portare il vino. Per te.
Se ti da fastidio possiamo bere l'acqua.
Non mi da fastidio.
Lo disse sorridendo e percon un tono che significava: sul punto discussione
chiusa.
Va bene, discussione chiusa. Riempii il mio bicchiere e poi attaccai la
pannocchia.
Mangiando parlammo poco. Il chili era veramente piccante e il vino ci stava alla
perfezione. Per dessert c'era un dolce di datteri e miele, anche quello
messicano.
Non fu una cena dietetica e alla fine avevo voglia di qualcosa di forte.
Ovviamente non dissi nulla ma Margherita andin cucina e torncon una
bottiglia di tequila brown, ancora sigillata.
L'ho comprata per te, oggi pomeriggio. Non si pufare una cena messicana senza
finire con la tequila. Poi ti porti via la bottiglia. E anche quella del vino
bianco.
Mi versai la tequila, tirai fuori le sigarette e poi pensai, troppo tardi, che
magari il fumo non era gradito. Invece Margherita me ne chiese una e prese una
specie di mortaio di pietra lavica per la cenere.
Io non compro le sigarette. Se no le fumo. Appena posso perle frego agli
altri.
Conosco il metodo", risposi. Per molti anni era stato il mio metodo. Poi gli
amici avevano cominciato a rifiutarmi le sigarette, ero diventato alquanto
impopolare e, insomma, alla fine ero stato costretto a comprarle.
Bevvi un sorso di tequila e rimasi zitto qualche secondo di troppo. Lei mi lesse
nel pensiero.
Vuoi sapere qual era il problema con l'alcol.
Non era una domanda. Stavo per dire che no, ma cosa andava a pensare, stavo solo
gustando la tequila.
Dissi di s
Aspircon forza la sigaretta prima di cominciare.
Sono stata un'alcolizzata per tre anni, pio meno. Dopo la laurea i miei mi
regalarono una vacanza di tre mesi negli Stati Uniti, a San Francisco. Fu il
periodo pidivertente della mia vita. Quando ritornai mi resi conto per la
prima volta che il mio futuro era di fare l'avvocato nello studio di mio
padre... No. Non esatto, cosnon si capisce. Adesso so che quello fu il
motivo, ma allora non mi resi conto di niente, consapevolmente. Perlo percepii
in modo distinto, anche se inconsapevole. Insomma la ricreazione era finita e io
non ero pronta per rientrare in classe. Non in quella dove ero destinata.
Per peggiorare le cose, al ritorno dagli Stati Uniti trovai un fidanzato. Era un
ragazzo carino, otto anni pigrande di me. Faceva il notaio, aveva buone
maniere e piacque subito ai miei genitori. Un ottimo partito. Quasi tutti i miei
fidanzati precedenti non erano piaciuti. Non era il genere di soggetti cui
avrebbero affidato per la vita la loro figlia unica. Io ero stata sempre, come
dire, un po' vivace e un po' volubile e questo non stava molto bene. Non che
dicessero niente. Cio qualche volta mia madre diceva, ma insomma non mi
avevano mai creato particolari problemi. Credevo.
Comunque quando comparve Pierluigi fu chiaro che era quello giusto. Da non
lasciar scappare via. Io cominciai a bere, poco dopo l'inizio della storia con
lui. Bevevo, tanto, soprattutto la sera, quando uscivamo. Bevevo e diventavo pi simpatica. Tutti ridevano per le mie battute e il mio fidanzato era chiaramente
orgoglioso di portarmi in giro. Di esibirmi.
Poi decidemmo, cio lui decise, che era il momento di sposarci. Io lavoravo con
mio padre e presto sarei stata avvocato, lui era notaio e, come dire, non era
povero. Non c'era motivo di continuare a fare i fidanzati. Lui parle io dissi
che aveva ragione.
Dopo quella decisione cominciai a bere anche prima di uscire. Lui veniva a
prendermi e io al citofono dicevo che mi ci volevano cinque minuti. Poi mi
scolavo quello che capitava, dalla birra, al vino ai superalcolici. Quello che
capitava. Mi lavavo i denti, per l'alito, mi profumavo e scendevo. Incontravamo
gli amici ed ero sempre cossimpatica. E bevevo. Bevevo l'aperitivo, il vino o
la birra sui pasti, e poi un goccetto, o due, o tre, dopo il dessert. Mi piaceva
tanto la tequila brown, proprio quella marca che stai bevendo tu adesso. Ma non
facevo discriminazioni. Bevevo tutto quello che era disponibile. In qualche
momento avevo la spiacevole sensazione che il controllo mi sfuggisse. In qualche
momento pensavo che forse avrei dovuto ridurre, ma perlopiero convinta che
quando avessi deciso di smettere lo avrei fatto senza problemi. Mi dai un'altra
sigaretta per piacere?.
Le diedi la sigaretta e ne accesi una anch'io. Lei aspircon forza due boccate
e anda mettere un cd.
Making movies. Dire Straits.
Fece un altro paio di tiri prima di ricominciare a parlare.
Con questo allegro andazzo arrivammo al matrimonio. Nei pochi momenti di
luciditero presa da un senso di disperazione indescrivibile. Io non volevo
sposarmi, non avevo niente a che fare con quel signore che faceva il notaio. Non
volevo fare l'avvocato, volevo tornare a San Francisco o scappare in qualsiasi
altro posto. E invece ero su un treno in corsa e non ero capace di tirare il
freno di emergenza. Due o tre volte credevo di avere raccolto il coraggio per
dire ai miei che non volevo sposarmi, la paura maggiore era per la reazione dei
miei genitori, non di Pierluigi, che mi dispiaceva ma pensavo che fosse meglio
fare una scelta del genere prima del matrimonio, piuttosto che sei mesi, o un
anno dopo.
Poi mia madre si affacciava nella mia stanza e mi diceva di sbrigarmi, che
dovevamo uscire per scegliere, che so, il mendel ricevimento o i fiori per la
chiesa. Allora dicevo "smamma", mi scolavo una bottiglietta mignon di qualche
liquore, mi lavavo i denti, mi lavavo tantissime volte i denti, e uscivo. Mi
ricordo che in una di queste uscite lasciai mia madre nel negozio di turno per
andare a farmi una birra al volo, nel primo bar a portata di mano. Poi fui
terrorizzata per tutto il pomeriggio che potesse sentirmi l'alito.
Non indovini come arrivai al matrimonio? Ubriaca. Bevvi la sera prima, mischiai
alcol e ansiolitici, per dormire. La mattina dopo bevvi. Qualche birra, giusto
per sentirmi a mio agio. Anche un bicchierino, o due, di whisky. Ma mi lavai i
denti molto bene. Entrando in chiesa inciampai, perchero sbronza. Tutti
pensarono che fosse l'emozione. Per tutta la cerimonia pensai a quando sarebbe
iniziato il ricevimento. Per poter bere.
Aspirl'ultima boccata, fino al filtro e poi spense la cicca nel mortaio, con
un gesto duro. Mi venne l'impulso di toccarle una mano, o la spalla, o il viso.
Per far vedere che c'ero. Non fui capace e lei riprese a parlare.
Ancora oggi mi chiedo come abbiano fatto, tutti, a non accorgersi di niente.
Fino al matrimonio e anche per diversi mesi dopo. La situazione degenerquando
superai gli esami di avvocato. Prima di sposarmi avevo fatto gli scritti e
qualche mese dopo feci gli orali. Arrivai seconda nella graduatoria finale. Non
male per una alcolizzata, eh? Festeggiai a modo mio. Poi tornai a casa e mi
sentii male. Mio marito mi trova letto. Avevo vomitato pivolte e puzzavo
alquanto. Non solo di alcol, ma certamente anche di alcol. Da quel momento
comincila fase peggiore. Lui comincia capire. Non tutto in una volta, ma nel
giro di qualche mese si era reso conto di avere una moglie alcolizzata. A modo
suo non si comportmale, cercdi aiutarmi. Fece sparire tutto l'alcol da casa
e mi portda uno specialista, in un'altra citt Per evitare lo scandalo,
ovviamente. Io promisi che avrei smesso e cominciai a bere di nascosto.
Controllare un alcolizzato impossibile. Gli alcolizzati sono furbi e bugiardi,
come i tossici, anzi peggio, perchprocurarsi da bere pifacile che
procurarsi la roba. Un giorno qualcuno mi vide alle dieci di mattina in un bar
del centro che mi scolavo tutto d'un fiato una birra alla spina, e lo disse a
Pierluigi. Giurai che avrei smesso e mezz'ora dopo ero di nuovo a bere, di
nascosto. Lui parlcon i miei genitori che all'inizio non ci credevano. Poi
dovettero crederci. Andammo insieme da un altro specialista, in un'altra citt ancora. Risultato: uguale a prima. Voglio fartela corta. Questa storia dur ancora per un anno, dopo che fui scoperta. Poi mio marito se ne anddi casa.
Come dargli torto. Io giravo con grossi lividi, o raschi, sulla faccia, perch mi alzavo di notte, per fare la pipdopo essermi addormentata con ottime
miscele di tequila o vodka e ansiolitici, e andavo a sbattere contro le porte. O
cadevo direttamente a terra. Il sesso, le rare volte che c'era, non era
divertentissimo per lui, credo. Per me, no certamente. Avevo voglia di piangere
e di bere. Insomma alla fine lui se ne ande fece bene.
Dopo che lui se ne fu andato i ricordi si fanno veramente confusi. Si
schiariscono di nuovo non so quanto tempo dopo. Ero in una clinica, in Piemonte,
specializzata nella cura delle dipendenze di tutti i tipi. C'erano tossici
tradizionali, c'erano farmacodipendenti, c'erano malati di gioco d'azzardo e poi
c'eravamo noi, gli alcolizzati. La maggioranza.
Quello stato il periodo piduro della mia vita. Erano spietati in quel posto,
ma mi hanno aiutato a tirarmi fuori dalla merda in cui mi ero cacciata. Adesso
sono quasi cinque anni che non bevo. I primi due tenevo il conto dei giorni. Poi
ho smesso e adesso sono qui. In questi cinque anni sono successe molte altre
cose, ma sono storie diverse.
Io la guardavo in faccia e non sapevo che dire, o che fare. Pensavo che
qualsiasi cosa sarebbe stata sbagliata e rimasi in silenzio. Allora parldi
nuovo lei.
Magari pensi che io racconti questa storia a tutti quelli che incontro, cos Se
ci fai caso ti ho conosciuto praticamente solo oggi. Pensi questo?.
No.
Perch.
Non lo so. Ma mi piace pensare che non la racconti a tutti, questa storia.
Una volta tanto non avevo sbagliato la battuta. Fece un cenno con il capo, come
a dire: va bene.
Poi restammo la parlare, ancora, fino a notte.
Le settimane che mi separavano dal processo passarono velocemente.
Il dodici giugno, verso le nove del mattino l'aria era ancora fresca. Andando
verso il tribunale vidi che il termometro a cristalli liquidi di un negozio di
computer segnava 23 gradi. Al di sotto delle medie stagionali, pensai.
La temperatura sembrava la sola cosa buona di quel giorno.
La notte prima ero andato a letto e non ero riuscito a prendere sonno. Alle due
passate avevo provato con le pillole, ma non erano servite a niente. Ero
crollato solo verso le quattro e mezza e mi ero svegliato un paio d'ore dopo.
Come nel periodo peggiore.
Mi fermai in un bar a prendere un caff caffvero, e a fumare una sigaretta.
Mi sentivo schifosamente.
Da qualche giorno ero martellato dal pensiero che le cose sarebbero finite male,
per me e soprattutto per Abdou.
Il processo si avvicinava e io pensavo sempre piinsistentemente di avere fatto
una grossa sciocchezza lasciandomi trascinare dall'emozione. Pensavo di essermi
comportato come il personaggio di una fiction scadente. Una specie di Capanna
dello zio Tom ambientata a Bari nel duemila.
Coraggio amico nero, io, avvocato bianco e progressista mi batterin corte di
assise per farti assolvere. Sardura ma alla fine la giustizia trionfere la
tua innocenza sardimostrata.
Innocenza ? I dubbi mi avevano assalito e mi si erano aggrappati al cervello in
quegli ultimi giorni prima dell'inizio del dibattimento. Cosa ne sapevo davvero
di Abdou ? Chi me lo diceva, a parte un discutibile intuito personale, che il
mio cliente davvero non c'entrava con il sequestro e la morte di quel bambino?
Adesso penso che forse cercavo un alibi per una possibile, anzi probabile,
disfatta. Allora non ero abbastanza lucido per fare una ipotesi del genere e
dunque semplicemente, giravo a vuoto.
Non una buona cosa per un avvocato, avere di questi scricchiolii, prima di un
processo simile. Soprattutto non una buona cosa per il cliente di
quell'avvocato. L'avvocato si prepara ad una figuraccia. Il cliente si prepara
ad essere macellato.
Nei giorni precedenti avevo parlato due volte con Abdou, per preparare la
difesa. Cercavo spunti per qualche prova a discarico, un principio di alibi,
qualcosa. Non trovammo niente.
Una mattina feci anche un giro nei luoghi della sparizione e del successivo
ritrovamento del bambino. Una idea alquanto cinematografica e patetica: speravo
in qualche intuizione risolutiva. Ovviamente non la ebbi.
E allora ero arrivato al giorno dell'udienza, il processo stava per cominciare e
non avevo un solo testimone, una sola prova a discarico, niente.
Il pubblico ministero avrebbe portato i suoi testi, le sue prove materiali e
quasi certamente ci avrebbe travolto. Io potevo solo sperare di riuscire a
mettere in difficoltqualcuno di quei testi quando fosse stato il mio turno di
interrogarli.
Se ci fossi riuscito comunque non avrei avuto alcuna certezza di un risultato
positivo, ma potevo giocare la mia partita.
Se non ci fossi riuscito, come era piche probabile, non ci sarebbe stata
nessuna partita. Invece sui registri del carcere, a fianco del nome di Abdou,
bene in vista avrebbero timbrato: "fine pena mai.
Schiacciai sotto la scarpa la sigaretta, dopo averla consumata fino al filtro e
ripresi la mia strada per il tribunale.
Davanti all'aula della corte di assise c'erano giornalisti e telecamere. Una
cronista della "Gazzetta del Mezzogiorno" mi vide per prima e si avvicin Come
avrei impostato la difesa ? Avevo testimoni a discarico ? Pensavo che il
processo sarebbe durato a lungo ?
Ebbi un senso di nausea che percontrollai abbastanza bene, credo. Il pubblico
ministero, dissi, non aveva prove ma solo congetture. Plausibili, ma solo
congetture. Nel processo lo avremmo dimostrato e per fare questo, al momento,
non occorrevano testimoni a discarico.
Mentre parlavo si erano avvicinati gli altri giornalisti. Presero qualche
appunto e le telecamere delle televisioni fecero una rapida ripresa della mia
faccia. Poi mi lasciarono entrare in aula.
C'erano solo alcuni carabinieri, il cancelliere e l'ufficiale giudiziario. Mi
sedetti al mio posto, dietro il banco della difesa, a destra per chi guarda la
corte. Non sapevo che fare e non avevo neanche voglia di fingermi indaffarato.
Si sentiva il ronzio dell'aria condizionata che quel giorno non era nemmeno
necessaria. Dopo qualche minuto cominciad arrivare un po' di pubblico.
Poi, dal retro dell'aula entrla scorta di divise azzurre della polizia
penitenziaria. In mezzo a loro Abdou. Quando lo vidi mi sentii un po' meglio.
Meno solo, con meno vuoto attorno.
Lo fecero entrare in gabbia e poi gli tolsero le manette. Andai a salutarlo ed a
parlargli. Piper me che per lui, credo adesso.
Allora Abdou, come va?.
Bene. Sono contento che arrivato il processo, che ho finito di aspettare.
Dobbiamo decidere se chiedere il tuo interrogatorio. una cosa che dipende
soprattutto da te.
Perchnon chiederlo?.
Perchpuessere un rischio. Comunque anche se non lo chiediamo noi, quasi
certamente lo chiederil pubblico ministero e, insomma, dobbiamo decidere se
vuoi rispondere alle domande. Volendo potresti dire che non intendi rispondere e
in quel caso daranno lettura del tuo interrogatorio davanti al pubblico
ministero.
Voglio rispondere.
Va bene. Adesso ascoltami. Il presidente ti dirche, se vuoi, puoi fare
dichiarazioni spontanee, in ogni momento del processo. Tu ringrazia e poi non
fare nessuna dichiarazione. Non dire niente in nessun momento, anche se ti viene
voglia di gridare, senza prima aver parlato con me. Se c'qualcosa che vuoi
dire, chiamami, dimmi di che si tratta e io ti dico se il caso di parlare, e
quando. Chiaro?.
S
In quel momento si sentil campanello che preannunciava l'ingresso della corte.
Va bene Abdou, cominciamo.
Mi ero girato e stavo tornando verso il mio banco, mentre gisi sentiva il
rumore dei passi della corte che entrava in aula.
Avvocato.
Mi voltai, a qualche metro dalla gabbia. Il presidente era gientrato e gli
altri giudici lo seguivano.
S.
Grazie.
Rimasi lqualche istante, senza sapere cosa dire, o fare. La corte intanto si
era gidisposta dietro il grande banco sopraelevato.
Poi feci cenno di s con il capo, e andai al mio posto.
Le formalitdi apertura del dibattimento furono sbrigate in fretta. Il
presidente diede ordine al cancelliere di leggere i capi di imputazione e poi
diede la parola al pubblico ministero.
Cervellati si alz aggiustsulle spalle la toga con i cordoni d'oro, mise gli
occhiali e comincia leggere i suoi appunti.
In data 5 agosto 1999 alle ore 19.50 veniva denunciata telefonicamente ai
carabinieri di Monopoli la scomparsa del minore Rubino Francesco, di anni 9. La
telefonata proveniva dal nonno materno, Abbrescia Domenico, che aveva constatato
la scomparsa del piccolo il quale, fino a pochi minuti prima, stava giocando
davanti alla villa, appunto dei nonni materni, in contrada Capitolo. Le ricerche
del bambino venivano subito attivate, anche con l'uso di cani e si protraevano,
senza esito, per tutta la notte. Contestualmente veniva attivata una preliminare
attivitinvestigativa, con escussione in qualitdi persone informate sui
fatti, di soggetti residenti, villeggianti o aventi attivitcommerciali nella
zona della sparizione.
Le ricerche proseguivano per tutto il giorno e la notte successivi, ancora senza
esito. Il 7 agosto perveniva ai carabinieri di Polignano una segnalazione
anonima con la quale si riferiva che nella zona fra la statale 16 bis e la zona
di San Vito, in un pozzo, si trovava il corpo di un bambino. Le ricerche
prontamente attivate in quella zona davano purtroppo esito positivo, nel senso
che veniva reperito il cadavere del piccolo Francesco. Il corpo non mostrava
segni evidenti di violenza.
L'autopsia successivamente effettuata avrebbe evidenziato che la morte si era
verificata per asfissia.
Le indagini espletate nell'immediatezza del ritrovamento consentivano di
acquisire decisivi elementi di prova a carico del cittadino senegalese Thiam
Abdou, odierno imputato.
In estrema sintesi, ed allo scopo di evidenziare i punti su cui si impernier l'istruttoria dibattimentale, gli elementi acquisiti sono i seguenti.
Diversi testimoni hanno riferito di avere, in pioccasioni, visto l'imputato
fermarsi a parlare con il piccolo Francesco, presso lo stabilimento balneare
Duna Beach.
Il titolare di un bar, nelle immediate vicinanze della casa dei nonni del
bambino, e quindi del luogo dove il bambino stato visto vivo per l'ultima
volta, ha riferito di avere visto passare l'imputato qualche minuto prima della
scomparsa del bambino. Il Thiam camminava in direzione della casa dei nonni del
piccolo.
Due connazionali del Thiam hanno riferito, rispettivamente, che il predetto non
si presentin spiaggia, sempre lo stabilimento Duna Beach, il giorno successivo
alla scomparsa del bambino e che in quei giorni si preoccupdi far lavare la
sua macchina. Evidentemente per far sparire ogni traccia.
La perquisizione presso l'alloggio dell'imputato ha consentito di ritrovare una
polaroid del bambino. L'importanza del dato non richiede commenti. Sempre nella
perquisizione sono stati ritrovati numerosi libri per l'infanzia il cui
possesso, di per ssospetto in capo ad un adulto che viva solo, diventa un
elemento inquietante e significativo nel quadro probatorio della presente
vicenda.
Particolarmente significativo infine, il contenuto dell'interrogatorio
dell'imputato, durante le indagini. Premesso che il mio ufficio chiede sin d'ora
l'esame del Thiam in questo dibattimento, voglio solo far presente che il
predetto, richiesto se conoscesse il piccolo Rubino, ha negato. Salvo poi
fornire risibili spiegazioni quando gli stata mostrata la foto del bambino
recuperata presso la sua abitazione.
Cervellati parlava, anzi leggeva, con la solita voce, nasale e monotona. Io non
mi aspettavo sorprese dalla sua relazione e allora mi misi ad osservare i
giudici, ad uno ad uno.
Il presidente Nicola Zavoianni era un personaggio molto conosciuto nella
cosiddetta Bari bene. Bell'uomo, sui settanta molto ben portati, frequentatore
del circolo della vela, grande giocatore di poker e, dicevano, grande
puttaniere. Era uno che non si era mai ammazzato di lavoro ma faceva il
presidente della corte di assise da parecchi anni e il mestiere, grosso modo, lo
conosceva. Non mi era mai stato simpatico e avevo sempre avuto la sensazione che
la cosa fosse reciproca.
Il giudice a latere era un signore grigio, spelato, miope e con la pelle lucida.
Veniva dal civile ed era la prima volta che lo incontravo in un processo. Teneva
la toga racchiusa sul davanti, con le mani, come se si stesse proteggendo da
qualcosa. Non riuscivo a vedere bene i suoi occhi, coperti dalle spesse lenti.
Nella giuria popolare c'erano quattro donne e due uomini. Tutti avevano l'aria
fuori posto dei giudici popolari alla loro prima udienza. Due signore fra i
cinquanta e i sessanta erano agli estremi opposti. Una delle due mi ricordava
quasi ipnoticamente una mia prozia, una cugina di mamma. Mi aspettavo che da un
momento all'altro mi chiamasse al banco per offrirmi i dolcetti di mandorla
delle suore.
I due uomini erano dalla parte del giudice a latere. Uno aveva i capelli
cortissimi e bianchi, un vestito di vecchio taglio con giacca a due bottoni, una
cravatta nera, sessant'anni o poco pi gli occhi a fessura e l'aria del
militare di carriera in pensione. Non prometteva niente di buono. L'altro era un
ragazzo, massimo trent'anni. Si guardava intorno, con una faccia intelligente.
Sul lato del presidente c'erano le altre due donne. Una che, pensai in quel
momento, sembrava una preside e l'altra, casualmente vicino al presidente,
abbronzata, truccata, labbra vistose, fresca di parrucchiere.
Interruppi la mia osservazione quando mi accorsi che il pubblico ministero stava
concludendo, con le richieste di prova.
... pertanto chiedo l'ammissione dei testi indicati nella lista, l'acquisizione
dei documenti che ho precedentemente indicato e l'esame dell'imputato, ove
consenta. Ove l'imputato non intenda sottoporsi ad interrogatorio chiedo sin
d'ora l'acquisizione al fascicolo del dibattimento del verbale
dell'interrogatorio reso nel corso delle indagini preliminari. Inoltre, siccome
i due testi di nazionalitsenegalese risultano irreperibili e quindi impossibile avere la loro presenza in questo dibattimento, chiedo sin d'ora, a
norma dell'art. 512 bis, l'acquisizione delle dichiarazioni da loro rese nel
corso delle indagini preliminari.
Il presidente diede la parola a Cotugno che parlbrevemente. La parte civile,
disse, non era in quel processo per avere vendetta, ma solo giustizia. E la
giustizia tale quando, accertate con rigore le responsabilit con altrettanto
rigore commina pene commisurate alla gravitdei fatti. Non aveva richieste di
prova e si riportava, facendole proprie, a tutte le richieste del pubblico
ministero, la cui impostazione condivideva pienamente.
Toccava a me.
Signor presidente, signor giudice, signori giudici popolari. Il pubblico
ministero ha parlato come se leggesse le motivazioni di una sentenza di
condanna. Nel corso dell'istruttoria dibattimentale, controesaminando i testi,
proprio i testi del pubblico ministero, vi dimostreremo che quella sentenza di
condanna, giscritta nella mente del rappresentante della pubblica accusa, solo un castello di congetture. Vi dimostreremo che l'indagine si dal primo
momento, orientata nel senso non di trovare il colpevole di questo orribile
delitto, ma di trovare un colpevole. Vi dimostreremo che l'urgenza, sacrosanta
peraltro, di dare una risposta alla domanda di giustizia dei familiari del
povero Francesco Rubino, e di tutta la collettivit ha portato ad una oggettiva
manipolazione del materiale probatorio. Sul punto desidero essere chiaro. Non
intendiamo sostenere che le prove siano state deliberatamente manipolate, ndai
carabinieri ntantomeno dal pubblico ministero, per nuocere al mio cliente,
signor Thiam Abdou. Intendiamo persostenere che il disperato bisogno di
trovare il pipresto possibile un colpevole che soddisfacesse quella domanda di
giustizia ha generato miopie investigative, difetti di prospettiva, errori di
metodo....
Il presidente mi interruppe.
Avvocato Guerrieri, lei deve fare le sue richieste di prova, se ne ha. Non
anticipare la sua arringa.
Rispettosamente, presidente, faccio notare che mi sto limitando ad indicare i
fatti che intendo provare, secondo la previsione dell'art. 493 del codice di
rito. In particolare intendo provare che un difetto di impostazione
dell'indagine, difetto certo generato dalle migliori intenzioni, ha influito
sulla qualite l'attendibilitdel materiale probatorio raccolto. Peraltro ho
quasi terminato, quindi se me lo consente, proseguirei.
Avvocato, la lascio continuare, ma si tenga nei limiti.
Grazie presidente. Dicevo dunque che la quasi immediata individuazione, per una
serie di coincidenze, di un possibile indiziato ha indotto gli inquirenti a
trasformare, in una sorta di catena inconsapevole, sospetti in congetture e
congetture in presunte prove. L'obiettivo che noi perseguiremo nel corso del
dibattimento sardi svelare questo meccanismo, di farlo procedere a ritroso,
per verificarne i passaggi difettosi, le deduzioni scorrette e la sostanziale,
grave, pur se involontaria, iniquit
Non ho richieste di prova da formulare al momento anche se anticipo che per lo
svolgimento di alcuni dei controesami utilizzeralcuni documenti. Documenti dei
quali successivamente chiederl'acquisizione. Voglio concludere facendo
presente ai signori giudici popolari che, in un paese civile, chi sia accusato
di qualcosa non deve provare niente. Lasciatemi ripetere questo concetto:
l'imputato non deve provare niente. l'accusa che deve provare, al di ldi
ogni ragionevole dubbio, la responsabilitdell'imputato. Vi prego di ricordarlo
in ogni momento di questo processo. Grazie.
Avevo improvvisato, ma quando sedetti di nuovo ero quasi soddisfatto. La trovata
del percorso a ritroso, dalle presunte prove, alle congetture ai semplici
sospetti mi era piaciuta. E parlando per cominciare a convincere gli altri, i
giudici, avevo cominciato a convincermi io stesso. In questo lavoro succede.
Deve succedere.
Forse potevamo farcela. Forse la situazione non era cosdisperata come avevo
pensato quella mattina, e nei giorni precedenti.
Forse.
Il presidente detta verbale una breve ordinanza con la quale ammetteva le
prove richieste e rinviava il processo all'indomani per l'inizio
dell'istruttoria dibattimentale. Quella mattina, ci spiegfuori verbale,
c'erano due dei giudici popolari che avevano impegni personali non prorogabili e
quindi il rinvio era inevitabile.
La corte lascil'aula, la scorta riammanettAbdou e lo portvia, il pubblico
sfoll
Misi via le carte. Poggiai la toga su un braccio, con l'altro presi la borsa e
mi avviai per ultimo verso l'uscita.
Il primo testimone del pubblico ministero era un tenente dei carabinieri, il
comandante del nucleo operativo di Monopoli. Era un ragazzo sui ventisei,
ventisette anni, dall'aria simpatica, poco militare.
Il presidente gli disse di pronunciare la dichiarazione di impegno. Il tenente
prese il foglietto consumato che il cancelliere gli porgeva e lesse.
Consapevole della responsabilitmorale e giuridica che assumo con la mia
deposizione, mi impegno a dire tutta la verite a non nascondere nulla di
quanto a mia conoscenza.
Dia le sue generalitcomplete.
Tenente Moroni Alfredo, nato a Brescia il 12 settembre 1973, domiciliato presso
la compagnia carabinieri di Monopoli. Sono il comandante del nucleo operativo e
radiomobile.
Prego, pubblico ministero, puprocedere all'esame diretto.
Cervellati prese un foglietto di appunti dal fascicolo che aveva davanti a se
cominci
Allora tenente, vuol riferire alla corte qual stata la sua parte nelle
investigazioni relative al sequestro e all'uccisione del piccolo Rubino
Francesco?.
Sissignore. Dunque in data 5 agosto 1999, attorno alle ore 19.50 pervenne una
telefonata alla centrale operativa, sul 112. Veniva denunciata la scomparsa di
un bambino di nove anni, di nome Rubino Francesco. Dunque, la chiamata proveniva
dal nonno del bambino, presso il quale il piccolo trascorreva la villeggiatura,
perch se non mi sbaglio, i genitori erano separati.
Va bene, tenente, tralasci i particolari superflui. Stiamo ai fatti rilevanti.
Il tenente sembrsul punto di rispondere, in qualche modo. Non aveva gradito
quella interruzione. Ma era un carabiniere, non disse niente e dopo qualche
attimo di pausa riprese la sua testimonianza.
Ricevuta la segnalazione dalla sala operativa venni personalmente informato e
inviai una pattuglia del radiomobile presso la villa dei nonni... .
Dov'era la villa?.
Lo stavo dicendo, la villa dei nonni era... in contrada Capitolo, in
prossimitdello stabilimento balneare Duna Beach. Il personale della pattuglia,
giunto sul posto e avuta la presenza dei nonni del bambino, si rese conto che il
fatto poteva essere grave, perchil bambino era scomparso da quasi due ore, e
mi contattarono. A quel punto comunicai la notizia anche al collega del
commissariato di polizia, per farli partecipare alle ricerche e poi mi portai
sul posto assieme al personale del nucleo operativo.
Come furono organizzate le ricerche?.
Oltre alla polizia di stato furono coinvolti anche i vigili urbani, insomma la
polizia municipale. Ovviamente riferii il fatto anche ai miei superiori a Bari.
C'da premettere che il capitano era in licenza per malattia ed io ero il
responsabile della compagnia di Monopoli. Comunque dopo la primissima fase alle
ricerche partecipanche personale dal capoluogo. La mattina dopo facemmo
intervenire i reparti cinofili.
Emerse qualche circostanza rilevante a seguito dell'intervento dei cani?.
Sissignore. Noi portammo i cani presso la villa dei nonni e li facemmo partire
dal punto in cui il bambino stava giocando, quando fu visto l'ultima volta. I
cani partirono decisi, attraversarono tutto lo spiazzo, che era subito fuori dal
cancello della villa, arrivarono sulla stradina interna, che parte dalla strada
provinciale di Capitolo e porta a quel gruppo di ville, percorsero quella
stradina fino alla strada provinciale e poi si fermarono. Cioin corrispondenza
dell'intersezione fra la provinciale e la stradina interna i cani persero la
pista del bambino. Li portammo sull'altro lato della strada, poi qualche
centinaio di metri da una parte e dall'altra ma niente. L'ultimo punto in cui
davano segno di sentire l'odore del bambino era l'intersezione fra stradina e
strada provinciale. Da questo fatto traemmo la conclusione che il bambino era
salito a bordo di una autovettura.
Quando fu ritrovato il bambino? E con che modalit.
S ritrovammo il corpo del bambino nelle vicinanze di Polignano, in un pozzo,
nella campagna in prossimitdella costa. Era pervenuta una segnalazione anonima
alla stazione dei carabinieri di Polignano.
Cosa diceva la persona che telefon.
Disse che il bambino che cercavamo era in un pozzo, in localitSan Vito, nel
territorio del comune di Polignano. Precisa che altezza si trovava questo
pozzo, intendo dire che disse qualcosa del tipo: all'altezza del chilometro...
ora non ricordo quale. Comunque faceva riferimento alla statale 16 bis.
Pudirci se questa persona avesse un particolare accento....
Era il momento di intervenire.
Opposizione presidente. Prescindo per il momento dal fatto che si tratta di una
telefonata anonima e faccio osservare che il tenente, a quanto mi consta, non ha
personalmente ricevuto la telefonata. Queste domande sul tenore della
telefonata, ammesso e non concesso che siano ammissibili, ma di questo
discuteremo dopo, vanno poste al carabiniere che ricevette la telefonata.
Il presidente disse che avevo ragione e non ammise la domanda. L'esame prosegu in modo monotono, sulla storia dell'indagine, fino al momento del fermo di
Abdou. Il tenente si era limitato a coordinare, non aveva preso parte alle
perquisizioni, non aveva interrogato i testi fondamentali e quindi era di
importanza secondaria, dal mio punto di vista.
Quando Cervellati ebbe finito l'avvocato della parte civile disse che l'esame
del pubblico ministero era stato esauriente e che quindi lui non aveva domande.
Toccava a me, se avevo domande, disse il presidente.
In realtavevo ben poco da chiedere al tenente e avrei potuto tranquillamente
evitare di controesaminarlo. Ma era necessario far percepire ai giudici popolari
che esistevo. Allora dissi che s avevo qualche domanda da rivolgere al teste.
Dunque tenente, lei ha detto che la telefonata con cui si denunciava la
scomparsa del bambino giunse alla vostra sala operativa alle....
Alle 19.50.
Alle 19.50, grazie. Invece la pattuglia che lei aveva inviato quando giunse
presso la villa dei nonni?.
Il tempo di arrivare, dalla caserma a Monopoli fino a Capitolo, direi un quarto
d'ora, massimo venti minuti.
A che ora era scomparso il bambino?.
Come faccio a dire un'ora precisa....
Guardi tenente, io le ho fatto questa domanda perchlei, rispondendo al
pubblico ministero ha detto che la pattuglia si era resa conto che il bambino
era scomparso gida due ore.
Scerto, voglio dire, furono i miei uomini a comunicarmi la circostanza.
Dunque se cortesemente pudire alla corte, in base ai dati in suo possesso,
grosso modo a che ora scomparso il bambino.
Un paio d'ore prima, come ho detto.
Quindi?.
Verso le sei, pio meno.
Il bambino scomparso verso le diciotto e il nonno ha chiamato alle 19.50, corretto?.
Sono orari indicativi.
S indicativamente il bambino scomparso alle 18.00 e il nonno ha chiamato
alle 19.50. Giusto?.
S
Avete, anche informalmente, richiesto al nonno per quale motivo abbia atteso
oltre due ore prima di dare l'allarme?.
Non lo so perchha atteso. Probabilmente avranno fatto qualche ricerca....
Mi scusi se l'interrompo, tenente. Io non le ho chiesto la sua opinione su
questa circostanza. Le ho chiesto di riferire se il nonno ha detto per quale
motivo ha atteso quelle, quasi, due ore. Sa rispondermi a questa domanda?.
Non ricordo se lo disse.
Lei ricorda di averlo chiesto, anche informalmente?.
No, non ricordo.
corretto allora dire che lei non sa cosa sia successo in quelle due ore che
passarono fra la scomparsa del bambino e la denuncia telefonica.
Senta avvocato, in quel momento noi ci preoccupammo di cercare il bambino, di
organizzare le battute eccetera, non di capire come e perchil nonno aveva
tardato a denunciare, ammesso che avesse tardato.
Certamente, nessuno discute della correttezza del vostro operato. Volevo
rivolgerle solo alcune altre domande. Lei ha accennato al fatto che i genitori
del bambino erano separati, prima che il pubblico ministero la interrompesse....
Il pubblico ministero interruppe anche me.
Opposizione presidente, non vedo cosa c'entri con l'oggetto del processo il
fatto che i genitori del bambino erano separati.
Anche Cotugno si inser
La parte civile si associa all'opposizione. E una famiglia che ha givissuto
una tragedia, non si vede per quale motivo debbano essere rimestati fatti
privati senza nessuna attinenza con il tema processuale.
Di regola non avrei insistito. Avevo fatto la domanda tanto per sondare il
terreno e perchil pubblico ministero aveva interrotto il tenente, su quel
punto. Adesso perla reazione dei miei avversari mi sembrava eccessiva. Allora
pensai di insistere sull'argomento ancora un poco. Per vedere che succedeva.
Presidente, io non capisco la reattivitdel pubblico ministero e della parte
civile su questa circostanza. Non intendo assolutamente mancare di rispetto alla
famiglia del bambino e al dolore che l'ha colpita e del resto non vedo come la
mia domanda potesse determinare questo effetto. Il mio solo interesse quello
di capire cosa accadde nei minuti e nelle ore immediatamente successivi alla
sparizione e se i genitori del bambino parteciparono alle ricerche.
Entro questi limiti puproseguire, avvocato.
Grazie presidente. Allora stavamo dicendo che i genitori del bambino erano, o
sono?, separati. cos.
Credo di s
Quando ha appreso la circostanza?.
Quando andai sul posto.
I genitori del bambino erano l.
No.
Sa dove fossero?.
No, ciocredo che la madre fosse fuori per qualche giorno di vacanza e il padre
non lo so.
Come ha appreso queste circostanze?.
Me le riferil signor Abbrescia, cioil nonno materno, quando arrivai sul
posto.
Il signor Abbrescia le disse se i genitori erano stati avvertiti della
sparizione?.
S mi disse che aveva rintracciato la figlia sul cellulare e che la signora
stava tornando, ora non mi ricordo da dove. O forse non me lo dissero. Comunque
la sera sul tardi vidi la madre del bambino, sempre alla villa che usavamo come
base per le ricerche.
E il padre?.
Guardi, del padre non saprei dirle. Io ho visto il signor Rubino il giorno dopo,
ma non so quando sia arrivato, e da dove.
Sa se fosse in vacanza anche lui?.
Non lo so.
Sa se i nonni materni chiamarono anche il padre, oltre alla madre del bambino?.
Non lo so.
In termini pigenerali: sa chi abbia avvertito il padre del bambino?.
No.
In ogni caso la sera della sparizione la madre era arrivata e il padre no. corretto?.
corretto.
Grazie, io non ho altre domande.
In realterano domande inutili. La separazione dei genitori non c'entrava
niente con la scomparsa del bambino, con il processo e tutto il resto.
Probabilmente avevano ragione il pubblico ministero e la parte civile ad opporsi
a quelle domande.
Perio avevo poco spazio. Molto poco. E allora dovevo fare qualcosa, anche dei
tiri alla cieca, nella speranza di sentire un rumore e capire che da quella
parte poteva esserci una strada. Da tentare di percorrere.
I manuali per avvocati direbbero che questo un modo sbagliato di procedere.
Non fate domande di cui non potete prevedere la risposta. Non si controesamina
alla cieca, senza avere un preciso obbiettivo da raggiungere. Il controesame
deve essere rigorosamente pianificato, senza lasciare nulla all'improvvisazione,
perchin caso contrario potrebbe addirittura rafforzare la posizione
dell'avversario. Eccetera, eccetera, eccetera.
Volevo vederli fare un maledetto processo, quei signori che scrivono i manuali.
Voglio vederli in mezzo al rumore, alla sporcizia, al sangue, alla merda, di un
processo vero. E voglio vederli applicare le loro teorie.
Non si controesamina alla cieca.
Volevo vederli. Io, alla cieca dovevo andarci per forza. Non solo nel processo.
Quell'udienza andvia con diversi altri testi. Venne il carabiniere che aveva
ricevuto la telefonata che consentdi ritrovare il corpo del bambino. Disse che
l'accento dell'anonimo era strano. Il pubblico ministero voleva qualcosa di pi
Probabilmente avrebbe voluto che il teste dicesse che l'accento era senegalese.
Il carabiniere pernon fu di aiuto. L'accento, per lui, rimase semplicemente
strano, che voleva dire tutto e niente.
Vennero i carabinieri cinofili, che non raccontarono nulla di nuovo rispetto a
quello che aveva detto il tenente. Venne il vigile del fuoco che era sceso nel
pozzo per imbracare il corpo del bambino e tirarlo fuori. Fu una testimonianza
triste e inutile.
Poi sentimmo alcuni dei frequentatori dello stabilimento Duna Beach. Conoscevano
Abdou, qualcuno aveva comprato la sua merce, tutti ricordavano che a volte il
senegalese si fermava a chiacchierare con loro, in spiaggia. Dissero che a volte
lo avevano visto chiacchierare anche con il bambino. Io chiesi loro come si
comportava, Abdou, e tutti dissero che era sempre cordiale, e che non aveva mai
avuto atteggiamenti strani. Con il bambino, sembravano quasi amici.
Avremmo dovuto sentire il medico legale che effettul'autopsia, ma non c'era.
Aveva mandato una giustificazione e chiedeva di essere sentito in un'altra
udienza. Il presidente non era dispiaciuto di andar via un po' prima del
previsto. Il processo fu rinviato al lunedsuccessivo.
Pensai che per allora, purtroppo, sarebbe arrivato il caldo. Non si poteva
essere sempre cosfortunati con il clima, a giugno.
Dalla serata a casa di Margherita erano passate un paio di settimane. Da allora
non ci eravamo rivisti, nsentiti. Mi era successa una cosa strana, la mattina
dopo: mi ero sentito in colpa. Nei confronti di Sara, credevo.
Era una cosa strana perchSara mi aveva lasciato e viveva da pidi un anno e
mezzo una vita sua. Eppure, assurdamente, per la prima volta sentivo di averla
tradita. Per il solo fatto di essere stato bene, quella sera in compagnia di
Margherita.
Quando eravamo sposati e vivevamo insieme avevo fatto molte schifezze. Mi
avevano fatto sentire a disagio, a volte mi avevano fatto provare disprezzo per
me stesso. Pernon mi ero mai sentito davvero in colpa, come dopo quella sera.
Ho ripensato spesso a questo fenomeno. Allora non lo capivo. Adesso forse s
Ci si affeziona anche al dolore, persino alla disperazione. Quando abbiamo
sofferto moltissimo per una persona, il fatto che il dolore stia passando ci
sgomenta. Perchcrediamo significhi, una volta di pi che tutto, veramente
tutto finisce.
Non vero, ma questo non ero ancora pronto a capirlo.
E non avevo chiamato Margherita. Non l'avevo cercata perchavevo paura di
perdere il mio dolore. Strane creature, siamo.
Comunque fu lei a chiamarmi. Ero in libreria attorno alle due e mezza del
pomeriggio, la mia ora preferita. Non c'mai nessuno, si riesce ad ascoltare la
musica e, senza la gente, si riesce anche a sentire nell'aria il profumo della
carta nuova.
Quando risposi al cellulare stavo facendo la lettura veloce di un saggio. Una
vecchia tecnica sviluppata quando non avevo abbastanza soldi per comprarmi tutti
i libri che volevo.
Che stavo facendo? Ah, ero in libreria. Se mi andava di prendere un caff insieme ? Mi andava. Giusto il tempo di arrivare dalla Laterza a casa. Una
decina di minuti. No, non volevo il decaffeinato, andava bene il caffnormale.
Ci vediamo fra poco. S anch'io sono contento di sentirti. Davvero.
Mentre mi affrettavo, senza accorgermene, verso casa pensai che non mi ricordavo
di averle dato il numero del cellulare; che non mi ricordavo di averle parlato
dei miei problemi con il sonno e del caffdecaffeinato; che ero contento mi
avesse chiamato.
Mi salutdandomi la mano, tirandomi leggermente verso di se baciandomi due
volte sulle guance. Un saluto amichevole, quasi cameratesco. Eppure qualcosa mi
fece sentire sotto l'ombelico e arrossii, un poco.
Mi fece sedere in terrazza, che era esposta a nord e quindi era in ombra, e
fresca. Prendemmo il caffe accendemmo le sigarette. Lei aveva jeans scoloriti
e maglietta bianca a mezze maniche con una scritta: Quello che il bruco chiama
fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla. Lao Tze.
Era abbronzata, in faccia e sulle braccia, che erano belle e muscolose. Aveva
letto il giornale che parlava del processo di Abdou, con grande risalto, come si
dice. Aveva letto che io ero l'avvocato e mi aveva telefonato, perchvoleva
sapere. Ebbi una piccola fitta di disappunto. Mi aveva chiamato solo per sapere
del processo, perchera curiosa. Per un attimo ebbi la tentazione di fare il
sostenuto. Mi passsubito, per fortuna.
Raccontai. Cosa c'era negli atti di indagine del pubblico ministero; del fatto
che era un processo indiziario, con molti indizi; di come avevo avuto
l'incarico, di Abagiage e tutto il resto.
La domanda me l'aspettavo, e infatti arriv
Tu credi che questo ragazzo senegalese sia innocente?.
Non lo so. In un certo senso non un problema mio. Ci tocca difenderli meglio
che possiamo, siano innocenti o colpevoli. La verit se esiste, la devono
trovare i giudici. Noi dobbiamo difendere degli imputati.
Scoppia ridere.
Complimenti. Cos'era, la prolusione al corso La nobile professione dell'avvocato
? Vuoi entrare in politica ?.
Cercai una risposta adeguata e non la trovai. Aveva ragione e io mi chiesi
perchavevo parlato con quel sussiego ridicolo.
Ehi, non ti sei mica offeso? Scherzavo.
Mi guardin faccia allungando il collo, incuneandosi nel mio spazio e io mi
resi conto che dovevo essere rimasto in silenzio pidel dovuto.
Hai ragione, ero ridicolo. Io credo che Abdou sia innocente, ma ho paura a
dirlo.
Perch.
Perchlo penso in base ad una mia intuizione, alle mie fantasie. Lui mi piace e
allora penso che sia innocente. Perchvorrei che fosse innocente. E poi ho
paura che venga condannato. Se sono troppo convinto della sua innocenza e lui
viene condannato, ed probabile che sia condannato, sarun brutto colpo, per
me. Beh, sarun colpo peggiore per lui.
Perchti piace?.
Mi sorpresi a rispondere senza pensare. E a scoprire la risposta nel momento
stesso in cui la dicevo.
Perchriconosco qualcosa, di me, credo.
Sembrche la risposta l'avesse colpita, perchrimase in silenzio, con gli
occhi rivolti da qualche parte, in basso a sinistra. Frugava da qualche parte
fra le sue cose, pensai. Rimasi a guardarla fino a che non ebbe finito, fino a
quando non parldi nuovo.
Mi piacerebbe venire a vedere il processo. Posso ?.
Certo che puoi. La prossima udienza lunedprossimo.
Posso leggere le carte, prima?.
Mi venne da sorridere, non so perch Non so perch pensai che non sbagliava un
colpo. Pensai ai manuali di arti marziali che erano nella sua libreria. Non le
avevo chiesto perchli avesse, se praticasse qualcuna di quelle discipline, e
quale. Lo feci in quel momento.
Puoi leggerle quando vuoi. Posso portarle qui, ma forse sarebbe meglio tu
venissi in studio. Parliamo di un bel mucchio di fogli. Perchhai tutti quei
libri di arti marziali?.
Faccio un po' di aikido. Da quando ho smesso di bere.
Cosa vuol dire: un po' ?.
Sono cintura nera secondo dan.
Mi piacerebbe vederti.
Va bene. Vieni dentro.
Rientrammo, prese da un armadio una cassetta, accese il videoregistratore e mi
disse di sedermi.
Il video cominciava con una ripresa di una palestra in stile giapponese, vuota,
con un tatami verde. Si sentuna voce fuori campo, dire qualcosa che non capii.
Poi entrnel quadro una ragazza con kimono bianco e dei larghi pantaloni neri.
I capelli erano raccolti in una coda. Ci misi qualche secondo a riconoscere
Margherita. Guardava in un punto fuori. Da quella parte entrun uomo, con la
stessa divisa. Le afferril bavero della casacca; lei gli prese la mano e ruot sulle gambe. Sembrava si muovesse al rallentatore ma ugualmente non capii bene
in che modo l'uomo veniva proiettato sul tatami, con un fruscio. Senza fermarsi,
dopo essere rotolato in piedi ed essersi voltato, l'uomo attaccdi nuovo. La
sua mano, aperta, calverso la testa di Margherita. Ancora una rotazione,
ancora un movimento incomprensibile e l'uomo volava di nuovo, con i larghi
pantaloni neri che disegnavano figure eleganti, nello spazio. Seguirono altre
sequenze, in cui gli aggressori avevano bastoni, o coltelli, o attaccavano in
coppia.
Era uno spettacolo ipnotico, che durper circa venti minuti. Poi Margherita
tolse la cassetta e la mise a posto. Per tutto il tempo non aveva detto niente.
E nemmeno io. Anche dopo rimanemmo tutti e due senza parlare, un tempo
indefinito. Eppure, forse per la prima volta nella mia vita, non mi sentivo a
disagio nel silenzio. Non sentivo l'ansia di riempirlo, in qualche modo, con la
mia voce o qualche altro rumore. Avevo l'impressione di intuirne la trama
delicata, mobile. La musica, pensai in quel momento.
Quando fu il momento di andare via mi resi conto che per tutto il tempo, prima e
dopo della cassetta, le avevo guardato soprattutto le braccia. Avevo guardato la
pelle dorata e luminosa; i muscoli lunghi e forti. Avevo guardato la leggera
peluria bionda sugli avambracci e come si drizzava leggermente quando si alzava
una folata di vento pifresca, in terrazza.
Hai delle braccia molto belle. Dissi quando eravamo sulla porta. Poi pensai che
non potevo lasciare le cose a met come al solito. Allora completai.
Sei una donna molto bella.
Grazie. Anche tu sei un uomo molto bello. Non sorridi spesso, ma quando lo fai
sei bellissimo. Hai un sorriso da bambino.
Nessuno mi aveva mai detto una cosa come quella.
Per il lunedsuccessivo era prevista la deposizione del maresciallo che aveva
fatto gli atti di indagine piimportanti, del medico legale che aveva fatto
l'autopsia e soprattutto del proprietario del bar Maracaibo. Quello che diceva
di aver visto Abdou passare poco prima della scomparsa del bambino. Era
un'udienza fondamentale, se non decisiva e cosavevo passato il sabato e la
mattina della domenica a studiare verbali e testi di medicina legale.
Il sabato mattina ero anche andato in una cartoleria vicino casa dove facevano
fotocopie a colori. La titolare mi aveva guardato in un modo un po' strano,
quando le avevo detto quello che mi serviva.
Uscendo per ero soddisfatto del lavoro fatto dalla signora e di quello che mi
portavo via. Mi sembrava di avere qualche carta da giocare.
Margherita era passata dallo studio il venerdpomeriggio. Aveva letto carte per
pidi tre ore, da sola nella saletta delle riunioni. Aveva chiesto a una Maria
Teresa molto perplessa alcune fotocopie e poi verso le nove era passata a
salutarmi. Sarebbe stata fuori sabato e domenica.
Con chi? Pensai solo per un secondo.
Ci saremmo visti lunedmattina, alle nove e trenta, in corte di assise. Baci,
disse andando via. Baci avrei voluto rispondere. Invece feci solo un gesto con
la mano, e poi rimasi a guardarla, richiudendo lentamente quella mano a
mezz'aria quando lei ebbe lasciato la stanza.
Fu un fine settimana ancora abbastanza fresco, per fortuna. Cosnon fu troppo
penoso lavorare.
Domenica, verso l'una e mezza pensai che ero al capolinea, e decisi di uscire. A
quell'ora potevo andare al mare. Con la cittdeserta e le strade sgombre sarei
arrivato dove volevo, in poco tempo. Presi una sacca, la riempii con un
asciugamano, un costume e un libro e scesi.
La cittera veramente deserta e in qualche minuto attraversai il centro e
scivolai sul lungomare lasciandomi dietro il vecchio Albergo delle Nazioni. La
Mercedes procedeva con un ronzio rilassante e arrivai alla superstrada senza
nemmeno accorgermene. Al momento di uscire avevo pensato di fermarmi a una
ventina di chilometri da Bari, che so, a Cozze o al massimo a Polignano. Sulla
strada cambiai idea e diedi gas fino all'uscita di Capitolo.
Era meno affollato di quanto pensassi e trovai posto facilmente, nel parcheggio
di uno stabilimento balneare che, ci feci caso mentre scendevo dalla macchina,
doveva essere a non pidi un chilometro rispetto a dove era scomparso il
bambino.
Pagai il biglietto comprensivo di parcheggio e ingresso al lido e mi avviai
nella sabbia, dopo essermi tolto le scarpe. Avevo una sensazione strana. Era
passato un anno dall'estate in cui avevo creduto di diventare matto. L'anno
prima detestavo la luce accecante del sole, detestavo le spiagge, la gente, che
sembrava cosa proprio agio mentre io ero fuori posto dappertutto.
Adesso mi sentivo come un convalescente. Guardavo la gente, il mare, la sabbia
che avevo detestato l'anno prima e mi stupivo che non mi facesse male,
guardarli. Sentivo una specie di dolce indifferenza e avevo qualche difficolta
pensare che, meno di un anno prima, potessi essere stato cosmale.
Era una sensazione strana, un po' malinconica, ma bella.
Mi spogliai in una cabina comune, noleggiai una sedia a sdraio e me la feci
mettere proprio vicino alla riva. Il mare era proprio come piace a me. Calmo ma
non piatto, con il vento che increspava leggermente la superficie. Al sole si
stava bene, caldo il giusto, da chiudere gli occhi e addormentarsi con il libro
nella sabbia vicino alla sedia. Cosfeci, con le voci della spiaggia che
sfumavano nello strano benessere che mi aveva avvolto.
Sognai, come si sogna in quella fase strana fra la veglia e il sonno o,
viceversa, fra il sonno e la veglia.
Incontravo Sara per strada, vicino a casa nostra, voglio dire quella che era
stata casa nostra e adesso era casa sua. Lei mi veniva incontro, mi abbracciava
e mi baciava sulle labbra. Io rispondevo all'abbraccio ma ero imbarazzato. In
fondo, nel sogno, non ci vedevamo e non ci sentivamo da quattro anni. Allora
glielo dicevo, in qualche modo. Lei mi guardava e mi chiedeva se ero pazzo, ma
aveva una faccia spaventata, come se stesse per mettersi a piangere. Io le
ripetevo che non ci vedevamo da quattro anni e allora s lei scoppiava a
piangere, disperatamente. Mi chiedeva perchle dicessi una simile cattiveria e
io non sapevo che fare, perchlei sembrava veramente disperata. Diventavo
triste e pensavo che era solo un sogno e volevo aprire gli occhi. Per un tempo
indefinibile pernon ci riuscivo e rimanevo l a cavallo fra il sogno e le
voci della spiaggia.
Poi sentii gli spruzzi di acqua sulla faccia e sul petto, e una voce che
riconobbi subito. Elena.
Guido! Guido, da quanto tempo!.
Elena, che piacere... .
Bugiardo, miserabile bugiardo, pensai testualmente.
Io Elena l'avevo sempre detestata. Lei e il suo orribile marito e il suo gruppo
di orribili amici. Aveva fatto il liceo e l'universitcon Sara ed era convinta
di essere la sua migliore amica. Sara non era della stessa opinione, ma le
dispiaceva essere scortese. Coseravamo costretti, periodicamente, ad accettare
gli inviti a cena da Elena e, a volte, anche a ricambiare.
Mi avvolse in una nuvola di Opium mentre si abbassava ad abbracciarmi. Al mare di Opium ? Sapevo per certo che, dopo la separazione, aveva detto molte cose di me,
nessuna delle quali piacevole. Adesso, in perfetta coerenza con il suo
personaggio, mi abbracciava, mi baciava e mi chiedeva cosa avessi fatto in tutto
quel tempo.
Guido, come stai bene! Hai fatto palestra questo inverno? Sei solo o con qualche
fidanzata?. Ammiccante, stile: a me puoi dirlo, che mi limitera mettere un
annuncio sul giornale e qualche centinaio di manifesti per la citt
S stronza, sono solo e vorrei restarci. Comunque visto che sei venuta qui a
rompere le palle, ho qualcosa da dirti, perciascoltami bene. Le tue cene sono
sempre state una tortura e soprattutto il mangiare faceva schifo. Lo so che
tutti dicevano che eri una gran cuoca e questo resterper me, sempre, un
mistero. Tuo marito, se possibile, peggio di te. E i vostri amici, se
possibile, sono peggio di lui. Una volta mi proposero anche di iscrivermi al
Rotary. Volevo dirti che sono comunista. Per tante sere, per tanti anni hai
avuto a cena un comunista. Capito?.
Queste cose, e altre, avrei voluto dire. Ovviamente invece risposi con nauseante
garbo. Sero solo, no non avevo nessuna fidanzata, sdicevo sul serio, no, non
vedevo Sara da tempo. Ah, lei era qui al mare da sola ? Con Mario avevano dei
problemi ? E chi non ne avrebbe avuti di problemi, con Mario. Anche con lei, se
per questo. Dovevamo vederci, una sera di queste? Lei e io? Certo, come no. Se
avevo il suo numero di cellulare ? Credevo proprio di s Ah, non potevo perch ne aveva uno nuovo. Allora era il caso che me lo desse. Allora l'avrei chiamata?
Ci contava. Certo poteva contarci. Sicuro. Ciao, a presto, bacio, Opium, ancora
bacio e gran finale con strizzatina d'occhio.
Feci il bagno per vedere com'era l'acqua e per togliermi l'Opium di dosso.
L'acqua era veramente fredda. Del resto eravamo ancora a metgiugno e non aveva
fatto mai veramente caldo. Feci qualche bracciata, pensai che per il primo bagno
della stagione poteva bastare e decisi di fare una passeggiata sulla spiaggia,
fra la sabbia e il mare.
I giocatori di racchettoni c'erano, ma non cosnumerosi come a luglio e agosto.
Avrei voluto ucciderli ma ero disposto, dato che eravamo ad inizio stagione, ad
accordare loro una morte rapida. A luglio o agosto avrei voluto ucciderli
facendoli soffrire.
Io detesto i giocatori di racchettoni, ma mentre camminavo, sforzandomi di
infastidirli il pipossibile mettendomi deliberatamente in mezzo alle
traiettorie della palla, vidi un tipo di creatura che detesto ancora di pidei
giocatori di racchettoni. Il fumatore di pipa alla spiaggia.
Non vado pazzo per chi fuma la pipa. Divento piuttosto nervoso quando vedo
qualcuno che fuma la pipa per strada. Divento veramente molto nervoso quando
vedo qualcuno, come quel pomeriggio, che fuma la pipa in spiaggia, guardandosi
attorno con un sussiego da Sherlock Holmes. In mutande.
Facevo queste riflessioni, su fumatori di pipa e giocatori di racchettoni, e
pensai che forse stavo davvero meglio, se avevo recuperato un po' della mia sana
intolleranza.
In quel momento entrnel mio campo visivo un ragazzo di colore con merce varia,
appesa ad una specie di bastone flessibile che portava in equilibrio su una
spalla, e in un borsone sdrucito semiaperto. Indossava una tunica colorata lunga
fino alle caviglie e un cappellino di forma cilindrica. Mi fermai con i piedi
nell'acqua a guardarlo, per parecchi secondi, prima di rendermi conto del perch lo guardavo.
Quando ebbi realizzato, senza che la cosa avesse un senso particolare, decisi di
studiare un po' il suo modo di muoversi e lavorare, sulla spiaggia. Non avevo,
naturalmente, nessuna idea precisa. Mi venne in mente, per un attimo, di
chiedergli se conosceva Abdou. Lasciai perdere e mi limitai a osservarlo.
Sembrava a suo agio muovendosi fra le sdraio e gli asciugamani posati sulla
sabbia. Quasi a intervalli regolari salutava con la mano una delle signore sulla
spiaggia, e quelle ricambiavano. Una lo chiama distanza con un nome che non
capii. Lui si gire andda lei sorridendo, poggila sua roba per terra, le
diede la mano e poi comincia parlare. Ovviamente non sentivo cosa dicesse ma
anche dai movimenti delle mani era chiaro che illustrava la merce. Si trattenne
pidi cinque minuti e alla fine la signora compruna borsa. Lui riprese il suo
giro e io continuai a seguirlo. Con lo sguardo, prima e poi anche camminando,
tenendomi a una ventina di metri di distanza. La scena che avevo visto fu
replicata diverse volte, nell'arco di una mezz'ora. Senza una ragione decisi di
passargli vicino, cosper guardarlo e poi andarmene, visto che mi ero stancato
di quell'osservazione. Proprio quando ero vicinissimo, gli camminavo a fianco da
poterlo toccare, sentii uno squillo lacerante, dal suo borsone. Lui si ferme
tirfuori un vecchio telefono cellulare Motorola con la suoneria,
evidentemente, al massimo.
Disse pronto come i negri dei film di terza categoria. Brondo. Proprio cos
Pensai che se fosse stato un cinese avrebbe detto plonto. Non era un pensiero
acuto. Ma era esattamente, testualmente quello che mi passper la testa in quel
momento.
La conversazione fu breve e si svolse in italiano. Cioin una specie di
italiano.
S stava lavorando. In spiaggia, amico. Abbastanza gente, c'era. Samico, a
Monopoli, spiagge di Capitolo. Poteva venire domani, domani mattina. Va bene
amico, ciao.
Chiuse il telefono e ricominciil suo giro. Io rimasi fermo, nella sabbia dove
mi ero inginocchiato per ascoltare la telefonata. Pensavo a una cosa che mi era
venuta in mente.
E mi chiedevo perchnon ci avessi pensato prima.
Capisci Guido, questa l'etmigliore. Possiamo fare quello che vogliamo.
In che senso, scusa?.
Cazzo, Guido, proprio tu. Da quando stai da solo passerai da una trombata
all'altra, senza problemi. E mi dici in che senso.
Ah, da una trombata all'altra", dissi con voce neutra.
Dai Guido, che cazzo ti prende. Non ci vediamo da un anno, forse di pie non mi
racconti niente.
Camminavo a passo piuttosto sostenuto verso il tribunale, trasportando due borse
pesanti, che contenevano il materiale che mi serviva per l'udienza. Il mio amico
Alberto mi stava dietro con qualche sforzo, per via del sovrappeso e della vita
sedentaria. Ci eravamo incontrati sulla strada, dopo pidi un anno che non ci
vedevamo. Aveva quarant'anni compiuti da poco, due bambini, una moglie grassa e
incattivita.
Aveva uno studio legale, ereditato dal padre, che si occupava di banche e di
assicurazioni e faceva un sacco di soldi. Il suo argomento preferito erano le
trombate. A parlarne, era un vero specialista.
Da ragazzo era stato simpaticissimo. Uno con il tempo comico naturale, che
diceva sempre le parolacce e faceva ridere, tutti. Perchle diceva in un modo
che non potevi non metterti a ridere. Uno che avrebbe dovuto fare un altro
lavoro, e forse sarebbe stato felice, o qualcosa di simile. Invece aveva fatto
l'avvocato. Con gli anni, il tempo comico era scomparso, insieme ai capelli e a
tutto quello che valeva. Alberto diceva ancora le parolacce ma, pensai quella
mattina, da molto tempo non faceva piridere. Era un uomo disperato, anche se
non lo sapeva.
Non c'niente da raccontare Alberto, veramente. Non esco con nessuna.
Scusa, proprio adesso che stai da solo e puoi fare il cazzo che vuoi?. "S La
vita strana, vero?. "Mica sei diventato ricchione, eh?. E via a raccontarmi la
storia di uno che avrei dovuto conoscere, o almeno ricordare. Non me lo
ricordavo, ma non lo dissi ad Alberto. Questo tipo, tale Marco, che non mi
ricordavo era sposato e aveva anche un figlio. A un certo punto la moglie aveva
notato una serie di fatti, e si era convinta che lui avesse un'altra. Aveva,
come si dice, messo un investigatore, il quale aveva fatto bene il suo lavoro.
Aveva scoperto la tresca e tutto il resto. Solo, c'era un piccolo problema. Il
tipo non aveva una fidanzata, aveva un fidanzato. Che faceva il macellaio, di
mestiere.
Hai capito Guido, cazzo. La moglie pensava che lui fosse un mandrillo che si
trombava qualche ragazzina e invece lui si faceva inculare da un macellaio. Ti
rendi conto ? Un macellaio. Magari gli portava le salsicce di cavallo, per la
merenda... Mica anche tu ti sei buttato al ricchionaggio e ti fai inculare, che
ne so, da un salumiere?.
Non mi ero buttato al ricchionaggio, lo rassicurai, e cercavo di non farmi
inculare da nessuno, nei limiti del possibile.
Arrivammo all'ingresso del tribunale. Il momento di salutarci e andare ognuno al
suo lavoro. Dovevamo assolutamente vederci una sera con gli altri amici. Disse
dei nomi, che suonavano lontani. Una pizza o magari un bel poker. Certo, una
bella rimpatriata. S ci sentiamo questa settimana o al massimo la prossima.
Ciao Guido, cazzo, mi ha fatto piacere vederti. Ciao Alberto. Anche a me.
Si allontanverso l'ascensore che portava al quinto piano, alle aule del
civile. Io rimasi a guardarlo, pensando che in un posto lontano, nella voragine
del tempo, eravamo stati amici, per davvero.
Pensavo a questo, incredulo.
Addio Alberto, mi venne da dire. Lo dissi proprio. A voce bassa, ma udibile da
chi fosse stato vicino a me, in quel momento.
Ma non c'era nessuno.
Prima che l'udienza cominciasse parlai con Abdou. Dovevo verificare se l'idea
che mi era venuta in spiaggia aveva un senso e poteva essere sviluppata.
Poteva. Forse avevamo una possibilitin pi ma io cercai di reprimere ogni
entusiasmo. Quando ti viene un'idea che sembra molto brillante, di solito poi
non funziona, mi dissi. E allora ci resti male.
Sperimentato troppe volte. Sperimentato non abbastanza per rassegnarmi.
Margherita arrivalle nove e mezza precise. Mi salutcon un sorriso, dai
banchi del pubblico. Io le feci cenno di venire a sedersi vicino a me. Lei fece
no con la testa, e un movimento con le due mani, come a dire che stava bene l dov'era. Mi avvicinai. "Stai bene con la toga", fece lei. "Grazie. Vieni a
sederti vicino a me. Hai fatto gli esami da avvocato. Puoi. Lei fece una breve
risata.
Se per questo sono anche iscritta all'ordine. Mio padre non si mai
rassegnato e ogni anno ha continuato a pagare le tasse, per me. Se voglio, posso
mettermi a fare l'avvocato in qualsiasi momento.
Ottimo. Allora vieni a sederti vicino a me. Se volevi vedere come va questo
processo, beh quella la postazione migliore.
Fece va bene con un cenno del capo, venne con me e si sedette alla mia destra.
Mi piaceva che fosse l mi dava un senso di sicurezza.
Cominciammo con il medico legale. Confermle cose che aveva scritto nella
relazione sull'autopsia. Disse che la morte del bambino era stata provocata da
asfissia. Non poteva essere pipreciso, perchle cause dell'asfissia possono
essere molte. Il bambino non era stato strangolato perchnon c'era traccia
delle lesioni relative. Ma poteva essere stato soffocato con un cuscino,
tenendogli bocca e naso tappati, tenendolo chiuso in uno spazio molto angusto,
come il bagagliaio di una macchina. Era anche possibile, la letteratura
scientifica citava diversi casi del genere, che il soffocamento si fosse
verificato nel corso di un rapporto orale violento.
In ogni caso non vi erano tracce di violenza sessuale e la ricerca di liquido
seminale aveva dato esito negativo. Il bambino, quando era stato recuperato, era
interamente vestito, con gli abiti che aveva addosso al momento della scomparsa.
Quando era stato buttato nel pozzo, il bambino era gimorto, perchnon c'era
acqua nei polmoni.
Io non avevo particolare interesse a controesaminare il medico. Mi limitai a
fargli precisare meglio che i riferimenti al rapporto orale violento erano solo
il frutto di sue congetture, ma che non c'era nessun dato obbiettivo da cui
desumere che quella forma di violenza sessuale, o altre, fosse stata
effettivamente attuata sul piccolo.
Dopo il medico legale il pubblico ministero chiama deporre il maresciallo
Lorusso, vice comandante del nucleo operativo di Monopoli. Fra gli
investigatori, era il teste piimportante. Gli atti di indagine di qualche
rilievo li aveva fatti praticamente tutti lui. Io lo conoscevo, da molti anni.
Lo avevo incontrato in altri processi e sapevo che si trattava di un osso duro.
Sembrava un impiegato o un professore, con occhialini, pochi capelli biondastri,
giacca e cravatta da grandi magazzini. Aveva un'aria innocua, a prima vista. Gli
occhi per se uno riusciva a vederli oltre gli occhiali, erano intelligenti e
freddi. Prima lavorava a Bari nella sezione criminalitorganizzata, poi si
trovcoinvolto in una storia di violenze su un arrestato, assieme ad un
capitano e ad un altro sottufficiale. Furono tutti trasferiti e Lorusso in
particolare, si fece due anni ad addestrare reclute in una scuola. Per uno
sbirro come lui era una punizione ben scelta.
L'esame condotto da Cervellati durpidi un'ora. Il teste raccontdelle
ricerche del bambino, di come si era arrivati all'individuazione dei testimoni;
raccontdel fermo di Abdou, della perquisizione, tutto. Fu una deposizione
chiara ed efficace. Il maresciallo Lorusso era uno che sapeva il fatto suo.
L'avvocato di parte civile, come al solito, non aveva domande. Quello che faceva
il pubblico ministero, in questo caso, per lui andava sempre bene. Poi il
presidente mi diede la parola. "Buongiorno maresciallo.
Buongiorno avvocato. Rispose senza guardare dalla mia parte. Era intelligente,
sapeva che la mia cordialitera tutta ad uso dei giudici popolari.
Lascia stare le cazzate, avvocato e vediamo cosa sai fare. Questo c'era dietro
il suo saluto. Va bene, pensai. "Puripeterci qual il suo incarico?. "Sono il
vice comandante del nucleo operativo presso la compagnia di Monopoli.
Qual era il suo incarico precedente?. Tanto vale passare subito al gioco duro,
pensai. "Cosa c'entra questo, avvocato?. Toccato.
Per piacere pudire alla corte qual era il suo incarico precedente?.
Esitun attimo, sembrstesse per guardare il pubblico ministero, poi serrun
attimo le mascelle e infine rispose.
Ero istruttore presso il battaglione allievi carabinieri di Reggio Calabria.
Non un incarico di polizia giudiziaria, se capisco bene.
No.
E prima ancora?.
Cervellati a quel punto intervenne.
Presidente, opposizione. Non vedo cosa c'entrino i precedenti incarichi del
maresciallo con l'oggetto della deposizione.
Il presidente si rivolse a me.
Che c'entrano gli incarichi precedenti del teste con questo processo, avvocato?.
Presidente, io ho necessitdi fare queste domande ai fini previsti dall'art.
194 secondo comma del codice di procedura. Le risposte, come sarchiaro nel
seguito, mi serviranno per valutare l'attendibilitdella deposizione.
Il presidente rimase un attimo in silenzio; il giudice a latere gli disse
qualcosa all'orecchio. Infine, dopo un'ulteriore pausa mi fece cenno con la mano
di andare avanti.
Allora maresciallo, qual era il suo incarico precedente a quello di istruttore
reclute?.
Mentre facevo questa domanda Lorusso si voltverso di me un attimo, e mi guard con odio. Stavo per fare una cosa che non si fa, di solito. Stavo per violare il
tacito patto di non aggressione che esiste fra avvocati e sbirri, nei processi.
Lui lo aveva capito. Se mai ne avesse avuto l'occasione, me l'avrebbe fatta
pagare. Sicuro.
Ero in forza al nucleo operativo, reparto operativo di Bari, prima sezione,
criminalitorganizzata.
Ciola squadra in cui sono i migliori investigatori della provincia. Quindi se
ho capito bene lei stato trasferito da un incarico da investigatore di punta a
un incarico. .. abbiamo detto, di istruttore di reclute a Reggio Calabria. corretto?.
S
Si trattato di un normale avvicendamento o c'era qualche ragione particolare?.
Non mi piaceva molto quello che stavo facendo ma avevo bisogno di fargli perdere
la calma, per passare a quello che mi interessava veramente.
Avvocato, lei sa benissimo perchmi hanno trasferito, e che da quella storia
sono uscito a testa alta.
Pudirci a che storia si riferisce?. Il mio tono era falsamente cordiale.
Odioso.
Il presidente intervenne, questa volta senza aspettare il pubblico ministero.
Avvocato veda di non abusare della pazienza della corte. Vada al punto.
Maresciallo, pudirci perchfu trasferito a Reggio Calabria?.
Perchun delinquente arrestato in flagranza di detenzione a fini di spaccio di
un chilo di cocaina, con tre pagine di certificato penale, aveva accusato me, un
capitano ed un altro maresciallo di averlo picchiato. Siamo stati assolti tutti
e tre e quel signore si preso dieci anni per la droga. E sufficiente?.
Va bene. Lei ha sentito a verbale il signor Renna, proprietario del bar
Maracaibo, nonchi due cittadini senegalesi Diouf e... mi sfugge il nome
dell'altro. Comunque esatto?.
S
Puriferire alla corte con quali modalitha proceduto alla verbalizzazione?.
In che senso avvocato?.
Avete registrato, o videoregistrato, queste dichiarazioni?.
Non abbiamo registrato. Se lei legge bene quei verbali c'scritto che per
indisponibilitdi strumenti di registrazione si proceduto alla sola redazione
del verbale in forma riassuntiva.
Ah, certo. Dunque vediamo se ho capito bene. Voi avete redatto solo il verbale
in forma riassuntiva perchnon avevate la disponibilitdi strumenti di
registrazione video o audio. E corretto?.
Lorusso capdove volevo arrivare, ma era troppo tardi.
In quel momento non credo... lavoravamo in emergenza....
Ho una domanda molto semplice per lei: al nucleo operativo dei carabinieri di
Monopoli non avevate un registratore o una videocamera?.
Li avevamo, ma in quel momento... credo che il registratore fosse non
funzionante. Adesso non ricordo bene, ma sicuramente c'era qualche problema.
Il registratore era non funzionante. E la videocamera?.
Non abbiamo videocamere in dotazione. "Scusi, io ho qui il verbale del
sopralluogo relativo al ritrovamento del corpo del bambino. Qui c'scritto che
le attivitdi sopralluogo sono state documentate anche mediante
videoregistrazione. E infatti al verbale allegata una videocassetta. Cosa pu dirmi?.
Cervellati fece opposizione quasi gridando. Stava perdendo la calma.
Opposizione presidente, opposizione. inammissibile che si conduca il
controesame di teste su come ha redatto un verbale, se avesse il registratore, o
la penna o il computer.
Presidente, che sia inammissibile una opinione del pubblico ministero. Noi
abbiamo interesse a capire come sono state verbalizzate certe dichiarazioni, per
verif icare se, anche involontariamente, perchnessuno dubita della buona fede
degli investigatori, dicevo per verif icare se possano esservi stati dei
condizionamenti dei testimoni, o dei fraintendimenti di quello che hanno
effettivamente dichiarato. Non ci dimentichiamo che il pubblico ministero vi ha
chiesto di dare lettura delle dichiarazioni rese in fase di indagini dai due
cittadini extracomunitari... . Zavoianni mi interruppe. Si stava innervosendo.
Non gli piacevano tutte quelle questioni, non gli piaceva il mio modo di
procedere e, lo avevo sempre sospettato, ma adesso ne ero certo, non gli piacevo
io.
Avvocato, passiamo ad altro. Ho tollerato abbastanza molte domande del tutto
irrilevanti. Vediamo di fare qualche domanda sull'oggetto del processo,
finalmente.
Mentre guardavo il presidente che parlava, riuscii a notare Lorusso che
inspirava ed espirava con energia, rilassandosi.
Presidente, io credo sia rilevante sapere per quale motivo l'audizione delle
persone informate sui fatti, e in particolare quella dei cittadini
extracomunitari, che non potremo risentire qui, perchsono irreperibili, non stata documentata in forma integrale.
Avvocato, ho gideciso. Vada avanti senza discutere le mie decisioni.
Serrai le mascelle contraendo i muscoli, per qualche secondo. Poi ricominciai.
Grazie presidente. Vorrei che lei, maresciallo, ci parlasse della perquisizione
presso l'abitazione dell'imputato.
Cosa vuole sapere in particolare, avvocato?.
Come avete proceduto operativamente, se cercavate qualcosa in particolare,
com'era lo stato dei luoghi, tutto.
Non capisco bene la sua domanda. Operativamente abbiamo perquisito la stanza del
Thiam, cercando dappertutto, e non cercavamo oggetti specifici, cercavamo
qualsiasi cosa potesse essere utile alle indagini. Poi labbiamo trovato la
foto dell'indagato con il bambino e dei libri di lettura per l'infanzia, che
sono elencati nel verbale.
Non avete trovato altre cose rilevanti per l'indagine?.
No.
Altrimenti le avreste prese.
Altrimenti le avremmo prese, chiaro.
Avete trovato una macchina polaroid, o in genere una macchina fotografica?.
No.
Senta, adesso vorrei parlare un attimo dei libri. Leggo dal verbale di
perquisizione e contestuale sequestro che il signor Thiam aveva nella sua stanza
tre romanzi per bambini di Harry Potter, Il piccolo principe, favole per bambini
in lingua francese, la nota favola Pinocchio ed altro libro per l'infanzia dal
titolo Il dottor Dolittle. corretto?.
S
Il signor Thiam aveva solo questi libri, nella sua
stanza?. "Adesso non ricordo bene. Forse c'era qualche altra
cosa.
Quando dice qualche altra cosa intende qualche altro libro?.
S credo che ci fosse qualche altro libro.
Approssimativamente in grado di dire quanti libri?.
Non lo so. Cinque, sei, dieci.
Si stupirebbe se le dicessi che in quella stanza c'erano oltre cento libri?.
Opposizione" fece il pubblico ministero "si chiede
un'opinione al teste. Riformulo la domanda, presidente. sicuro, maresciallo,
che i libri non fossero molti di pidi una decina ?.
Una ventina forse, non un centinaio.
Pudescriverci la stanza e in particolare dirci se c'erano degli scaffali?.
Ora passato quasi un anno, comunque c'era un letto, un tavolino... s forse
c'era uno scaffale di lato al letto.
Un solo scaffale o una scaffalatura, una libreria?.
Forse... possibile una piccola libreria.
Ora mi rendo conto che non facile, a quasi un anno di distanza, ma la
pregherei di fare uno sforzo per ricordare cosa c'era in questa piccola
libreria.
Avvocato, non mi ricordo. Certamente c'erano libri, ma non mi ricordo cos'altro
c'era.
Lei maresciallo ha certamente compreso che io desidero far emergere, a occhio e
croce, quanti libri c'erano. Io lo so ma vorrei che lo ricordasse lei.
C'erano diversi ripiani nella scaffalatura, e c'erano libri, non so dire quanti.
Ma voi avete sequestrato solo quelli indicati nel verbale. Perch.
Perchevidentemente erano i soli pertinenti all'indagine.
Percherano libri per l'infanzia?.
Certo.
Ho capito. Vorrei parlare adesso della fotografia, quella del signor Thiam con
il piccolo Francesco. Cosa pudirmi di questa foto?.
Non capisco la domanda.
Era l'unica fotografia detenuta dal signor Thiam o ricorda se ce ne fossero
altre?.
Non ricordo, avvocato. La perquisizione l'abbiamo eseguita in tre, non mi
ricordo se la foto l'ho trovata io o un collega.
Vorrei mostrarle qualcosa. Tirai fuori dalla borsa una busta, la aprii senza
fretta e chiesi al presidente il permesso di mostrare delle foto al teste. Lui
fece scon un cenno del capo.
Vede queste foto maresciallo? Pudirci in primo luogo se riconosce qualcuna
delle persone rappresentate?.
Lorusso osservle foto che gli avevo dato, una trentina, forse, e poi rispose.
"In molte foto c'l'imputato. Le altre persone non
le conosco.
Ricorda o puescludere che queste foto fossero nella stanza dell'imputato al
momento della perquisizione?.
Non lo ricordo e non lo posso escludere.
Era il momento di fermarsi, vincendo la tentazione di fare una domanda in pi
che sarebbe stata una domanda di troppo.
Grazie presidente, io ho finito. Chiedo l'acquisizione come prove documentali,
delle foto che ho esibito al
maresciallo.
Mostrai le foto al pubblico ministero ed alla parte civile. Non fecero obiezioni
anche se Cervellati mi guardcon disgusto palpabile. Poi le rimisi nella busta
e le consegnai al presidente.
Lorusso andvia dopo avere salutato la corte e il pubblico ministero. Mi pass davanti ignorandomi deliberatamente. Non potevo dargli torto.
Il presidente disse che avremmo fatto dieci minuti di pausa e solo in quel
momento mi resi conto che Margherita era stata tutto il tempo vicino a me, senza
dire una parola.
Dissi se aveva voglia di andare a prendere un caff Fece scon la testa. Io
avrei voluto chiederle cosa ne pensava. Se le sembrava che fossi stato bravo o
roba del genere, ma era una domanda infantile, pensavo, e non la feci. Invece fu
lei a parlare, mentre entravamo nel bar interno del palazzo di giustizia, famoso
per il peggiore caffdella citt
Era molto interessante, disse, anche se io sembravo una persona diversa. Ero
bravo, ma non ero, come dire, molto simpatico. Era proprio necessario umiliare
in quel modo il maresciallo?
Stavo per dire che non mi sembrava di averlo umiliato e che comunque i processi
di questo tipo sono inevitabilmente brutali. Questa brutalitera il prezzo di
garanzia cui non potevamo rinunciare e comunque meglio un carabiniere o un
poliziotto umiliati che un innocente condannato.
Per fortuna non dissi niente di tutto questo. Invece rimasi in silenzio qualche
istante, prima di rispondere. Dissi che non lo sapevo se era proprio necessario.
Certo era necessario fare emergere quelle cose, che erano importanti e forse
c'era un altro modo, o forse no.
Comunque in quelle situazioni, volevo dire nei processi, soprattutto quelli
delicati, al centro dell'attenzione dei media eccetera, facile dare il peggio
di s facile anche prenderci gusto, a tormentare le persone con la scusa che
un lavoro sporco a volte, ma qualcuno deve
pur farlo.
Prendemmo il caffe poi accendemmo le sigarette. Questo interruppe la
conversazione sull'etica dell'avvocato, per fortuna. Io dissi che il caffdel
tribunale era utilizzato anche per sterminare i topi. Lei scoppia ridere e
disse che le piaceva che fossi capace di farla ridere. Piaceva anche a me.
Poi ci avviammo di nuovo verso l'aula della corte di
assise.
Il presidente disse all'ufficiale giudiziario di fare entrare il teste Renna
Antonio.
Attraversl'aula guardandosi attorno con aria spavalda. Aveva un aspetto da
contadino. Tozzo di figura, con una camicia a scacchi, colletto stile anni 70,
carnagione scura e gli occhi furbi. Di una furbizia non simpatica, del genere
appena posso ti fregher Si tirun po' su i pantaloni dalla cintura, con un
gesto che mi parve osceno e si sedette con calma al posto dei testimoni che
l'ufficiale giudiziario gli aveva indicato. Di spalle alla gabbia dove si
trovava Abdou. Si sedette comodo, riempiendo tutta la sedia e appoggiandosi in
relax allo schienale. Aveva un'aria soddisfatta e io pensai distintamente che
volevo fargliela passare.
L'esame di Cervellati non fu che una specie di riproduzione di quello effettuato
durante le indagini preliminari. Renna disse esattamente le stesse cose, nello
stesso ordine e pio meno con le stesse parole.
Quando fu il suo turno Cotugno finalmente fece qualche domanda, del tutto
insignificante. Cosper far vedere ai suoi clienti, cioi genitori del
bambino, che esisteva e si stava guadagnando l'onorario.
Stavo per cominciare il mio controesame quando Margherita mi sussurrqualcosa
all'orecchio. "Non lo so perch ma questo uno stronzo. "Lo so", risposi. Poi
mi rivolsi al testimone. "Buongiorno signor Renna. "Buongiorno.
Io sono l'avvocato Guerrieri e difendo il signor Thiam. Adesso le faralcune
domande alle quali la prego di rispondere in modo breve e senza fare commenti.
Il mio tono era deliberatamente odioso. Volevo provocarlo, per vedere se mi
riusciva di trovare uno spiraglio e piazzare il mio colpo. Come nel pugilato.
Renna mi guardcon quei suoi occhi porcini. Poi si rivolse al presidente.
Signor giudice, ma io sono obbligato a rispondere anche alle domande di un
avvocato?.
Deve rispondere, signor Renna. La faccia del presidente diceva che, potendo,
avrebbe volentieri fatto a meno di me, e della maggior parte degli avvocati.
Purtroppo non poteva. Io comunque avevo guadagnato un piccolo vantaggio. Il
barista aveva abboccato alla provocazione e adesso era pivulnerabile.
Allora signor Renna, lei ha detto al pubblico ministero di avere visto nel
pomeriggio del 5 agosto 1999 il signor ^Thiam camminare speditamente da nord
verso sud. esatto?.
S
i ricorda quando stato sentito dal pubblico ministero, durante le indagini?.
"Mi ha interrogato una settimana dopo, mi pare.
Quando stato sentito dai carabinieri?.
Prima, il giorno prima.
Il suo bar frequentato da cittadini extracomunitari ?.
Qualcuno. Vengono, si prendono il caff si comprano le sigarette.
Sa dirci di quale nazionalit.
Non lo so. Sono tutti negri....
A occhio e croce in grado di dirci quanti negri frequentano il suo bar?.
Non lo so. Sono quelli che vendono sulle spiagge, e pure per strada. A volte si
mettono pure davanti al mio bar.
Ah, si mettono pure davanti al suo bar. Ma non disturbano la sua attivit
vero?.
Disturbano, disturbano, e come che disturbano.
Va beh scusi, se disturbano perchlei non chiama i vigili o i carabinieri?.
Perchnon li chiamo? Io li chiamo, ma tu li hai visti mai a venire?. Era
sinceramente indignato adesso. Intanto Cervellati capdove volevo arrivare. Era
tardi per
Presidente io vedo che ad ogni teste la difesa continua a fare domande prive di
qualsiasi pertinenza con l'oggetto del processo. Non so se sia possibile andare
avanti in questo modo.
Prima che Zavoianni potesse intervenire parlai io.
Ho finito su questo punto presidente. Sto passando ad altro.
Facendo molta attenzione avvocato Guerrieri. Molta attenzione", disse il
presidente.
Allora signor Renna, avevo qualche altra domanda per lei... dunque s vorrei
mostrarle delle foto. Tirai fuori dalla borsa una serie di fotocopie a colori di
fotografie. Feci questo gesto in maniera deliberatamente impacciata.
Presidente, posso avvicinarmi e mostrare al teste queste fotografie?.
Di che foto si tratta, avvocato?. Adesso mi accingevo a camminare sul filo. Una
parola sbagliata da una parte, e sarei finito sotto procedimento disciplinare.
Una parola sbagliata dall'altra, e avrei mandato in malora quasi tutto quello
che avevo fatto fino a quel momento.
Sono fotografie di cittadini extracomunitari, presidente. Desidero verificare se
il teste ne riconosce qualcuno. Neutro.
Il presidente fece il solito gesto per dirmi di andare avanti. Sperai che
Cervellati non chiedesse di vedere le foto, o non chiedesse indicazioni pi precise su chi erano le persone rappresentate, come era suo diritto. Non lo
fece. Io mi avvicinai al teste con le foto in mano.
Allora signor Renna, vuole osservare queste dieci fotografie?. Sentii il mio
battito cardiaco che accelerava freneticamente.
Renna guardle fotografie. Non era pia suo agio come all'inizio della
testimonianza. Si era spostato verso il bordo della sedia. Posizione di fuga, la
chiamano
gli psicologi. "Riconosce qualcuno in queste fotografie?.
Non mi sembra. Sono tanti, quelli che passano dal mio bar, non me li posso
ricordare tutti. Ripresi le foto e tornai al mio posto, prima di fare la domanda
successiva.
Per mi corregga se sbaglio, il signor Thiam se lo ricordava bene, vero?.
E certo, quello passava sempre.
Se lo vedesse, di persona o in fotografia lo riconoscerebbe, vero?.
S s quello nella gabbia. Solo in quel momento fece il gesto di voltarsi.
Io rimasi in silenzio qualche secondo, prima della conclusione.
Sa signor Renna, le ho fatto l'ultima domanda perchfra le dieci foto che le ho
mostrato, ben due rappresentano la faccia del signor Thiam, l'imputato. Ma lei
ha detto che non le sembrava di riconoscere nessuno. Come spiega questo fatto?.
Colpi di questo genere sono molto rari nei processi, come nella vita. Quando
perriescono difficile descrivere la sensazione che si prova. Sentivo il
tempo rallentato, la tensione nell'aria e sulla mia pelle. Sentivo gli occhi di
Margherita su di me, sapevo che non c'era bisogno di chiederle se ero stato
bravo. Ero stato bravo.
Fammi vedere quelle foto... . Era passato al tu, e non per simpatia. Capita.
Non si preoccupi delle foto. Le assicuro che due di queste foto rappresentano
l'imputato come la corte potrverificare fra poco, quando le consegner Da lei
vorrei sapere come spiega, se lo spiega, di non essere stato in grado di
riconoscere il signor Thiam.
Renna rispose quasi in dialetto, con rabbia. "Come spiega e come spiega. Sono
tutti uguali sti negri. Come si fa a dire, dopo un anno... Ti voglio vedere a te
avvocato, ti voglio vedere... .
Fermati, fermati, fermati. Mi dissi cosmentre avvertivo l'impulso fortissimo
di fare un'altra domanda e stravincere. O fare qualche guasto. Fermati.
Grazie presidente, ho finito. Chiedo di produrre le foto, anzi le fotocopie
usate nel corso del controesame. Le due che rappresentano l'imputato recano una
annotazione sul retro. Le altre sono di soggetti del tutto estranei al processo
e sono tratte da riviste varie.
Cervellati volle fare ancora qualche domanda, come gli era consentito dalla
legge. Il fatto stesso perche sfruttasse quella possibilit voleva dire che
aveva accusato il colpo.
Fece ripetere a Renna il suo racconto, gli fece precisare che un anno prima
aveva un ricordo fresco e che da allora non aveva pirivisto l'imputato, ndi
persona nin fotografia. Rimise insieme un po' di cocci, ma sapevamo tutti e
due che non sarebbe stato facile schiodare dalla testa dei giudici popolari
l'impressione che avevano avuto quella mattina.
L'udienza successiva, mercoled21 giugno, Margherita non venne perchaveva da
terminare un lavoro. Mi aveva detto che avrebbe cercato di esserci per
l'interrogatorio di Abdou, la settimana dopo.
Quella mattina furono sentiti i genitori e i nonni del bambino. Il pubblico
ministero e il difensore di parte civile li interrogarono a lungo su particolari
insignificanti. Avrebbero potuto farne a meno.
Io feci solo pochissime domande, al nonno. Aveva una polaroid ? L'aveva e si
ricordava di avere fatto delle foto in spiaggia, l'estate scorsa. Era possibile,
ma lui non lo ricordava, che il bambino ne avesse presa qualcuna. Comunque non
sapeva dire dove fossero finite quelle foto.
Ai genitori non chiesi nulla e mentre li osservavo, durante l'esame del pubblico
ministero, mi vergognai di avere fatto quelle domande sulla separazione al
tenente dei carabinieri.
Loro avevano pio meno la mia et Lui era un ingegnere e lei una professoressa
di educazione fisica. Francesco era stato il loro unico figlio. Rispondevano
alle domande alla stessa maniera e si comportavano alla stessa maniera. Spenti,
senza nemmeno rabbia.
Niente.
Abdou passl'intera udienza attaccato alla gabbia, la faccia schiacciata fra le
sbarre, gli occhi attaccati a quei testimoni, come se volesse attirarne lo
sguardo e dire loro qualcosa.
Ma quelli non guardarono in faccia nessuno e alla fine della deposizione
andarono via, senza neanche lanciare un'occhiata alla gabbia dove era rinchiuso
Abdou.
Non gli importava pidi nulla, nemmeno che il presunto autore di tutta quella
distruzione fosse punito.
Io pensai che se avessimo fatto un bambino quando Sara ne aveva parlato, adesso
avrebbe avuto pio meno sei anni.
Il processo fu rinviato al lunedsuccessivo per l'esame dell'imputato e per le
eventuali richieste di prove supplementari, prima della discussione.
Uscii dall'aula, fresca per l'aria condizionata e fui avvolto dal caldo umido e
micidiale di giugno. Era arrivato, anche se in ritardo. Mi allentai la cravatta
e sbottonai il colletto della camicia mentre scendevo la grande scalinata
centrale del palazzo di giustizia.
Camminavo verso casa con un ronzio strano nella testa. Pensai che stesse per
ricapitarmi quello che era successo un anno prima e mi venne in mente che da
allora non avevo pipreso un ascensore.
I pensieri presero a confondersi, con la paura che si faceva strada. Mi sentivo
come nelle scene di certi film catastrofici in cui il protagonista scappa
disperatamente, inseguito dall'acqua che sta inondando un sotterraneo.
Questa idea stranamente mi aiut Mi dissi che non avevo pivoglia di scappare.
Mi sarei fermato, avrei trattenuto il respiro e avrei lasciato che l'ondata mi
travolgesse. Succedesse quello che doveva.
Feci davvero cos Voglio dire che mi fermai per strada, inspirai profondamente
e rimasi fermo, con il fiato sospeso per qualche secondo.
Non successe niente e quando buttai fuori l'aria mi sentii meglio. Molto meglio,
con il cervello che funzionava di nuovo, lucidamente, come se fosse stato
ripulito in una sola volta da vecchie incrostazioni e cumuli di detriti.
Fu in quel momento che pensai di passare dallo studio, prima di andare a casa.
Avevo deciso di fare una cosa.
Nel percorso verso lo studio presi a respirare spingendo l'aria sotto il
diaframma, come facevo prima di un combattimento. Cercando di sgombrare la mente
per concentrarmi su quello che dovevo fare.
Arrivai davanti al portone, tirai fuori dalla borsa le chiavi, aprii, entrai e
rimisi le chiavi a posto. Mi riabbottonai la camicia e riannodai la cravatta.
Poi, invece di dirigermi verso le scale come avevo fatto per circa un anno,
schiacciai il pulsante di chiamata dell'ascensore. Mentre l'ascensore scendeva
sentivo le pulsazioni accelerare e vampate di calore salirmi su per la faccia.
Quando l'apparecchio fu arrivato mi dissi che non dovevo pensare e non dovevo
aspettare. Aprii la porta metallica, poi i due sportelli interni. Entrai,
richiusi la porta metallica, richiusi gli sportelli, guardai la tastiera,
poggiai l'indice della mano destra sul numero otto, chiusi gli occhi e
schiacciai.
Sentii lo scatto verso l'alto della macchina e pensai che non valeva, se tenevo
gli occhi chiusi. Li spalancai, mentre sentivo che il respiro si accorciava e le
braccia deboli, e le gambe deboli.
Quando l'ascensore fu arrivato all'ottavo piano rimasi ancora qualche istante,
immobile. Mi dissi che non valeva se non ero capace di restare ancora dieci
secondi lfermo, a rischio che qualcuno chiamasse l'ascensore. Contai.
Milleuno. Milledue. Milletre. Millequattro. Millecinque. Millesei. Millesette.
Milleotto. Millenove. A millenove mi fermai, con la mano sospesa all'altezza del
pomello di una delle porte interne. Su tutto il corpo avevo un formicolio, che
diventava fortissimo su quel braccio e su quella mano. Avevo fermato il tempo.
Milledieci.
Lentamente aprii uno sportello. Poi aprii l'altro. Poi aprii la porta metallica.
Guardai davanti a me, sempre stando nell'ascensore, le ampie lastre di marmo che
pavimentavano il pianerottolo. Pensai che non dovevo mettere i piedi sulle linee
tra una lastra e l'altra. Dovevo fare attenzione a mettere un piede su una
lastra e l'altro su un'altra lastra. Pensai che era esattamente quello che avevo
sempre pensato, senza rendermene conto, uscendo da quell'ascensore, fino a
quando lo avevo preso.
Pensai: fanculo.
E misi il primo piede esattamente a cavallo fra due lastre. Mi disinteressai del
secondo e invece chiusi con molta concentrazione l'ascensore. Prima i due
sportelli interni, poi la porta metallica che accompagnai delicatamente fino a
quando non sentii lo scatto della chiusura.
Rimasi appoggiato di spalle al muro del pianerottolo forse per dieci minuti.
Tenevo la borsa davanti a me, con tutte e due le mani, le braccia tese. Ogni
tanto la facevo dondolare. Guardavo da qualche parte con gli occhi socchiusi e,
credo, un sorriso vago sulle labbra.
Quando il tempo giusto fu trascorso mi scostai dal muro. Mi ricordai di avere
incontrato il ragionier Strisciuglio, un anno prima e pensai di bussare alla sua
porta. Per raccontargli come era andata a finire.
Ma non lo feci. Rientrai nell'ascensore, che nel frattempo nessuno aveva
chiamato, e andai via.
Era ora di tornare a casa.
Quando ero bambino e mi chiedevano cosa volessi fare da grande rispondevo lo
sceriffo. Il mio idolo era Gary Cooper in Mezzogiorno di Fuoco. Quando mi
dicevano che in Italia non esistono gli sceriffi, ma tutt'al pii poliziotti,
rispondevo con prontezza. Sarei stato un poliziotto sceriffo. Ero un bambino
duttile e volevo dare la caccia ai cattivi, in un modo o nell'altro.
Poi, avravuto otto o nove anni, assistetti all'arresto di uno scippatore per
strada. In realtnon so se fosse uno scippatore o un borseggiatore o che altro
genere di piccolo delinquente. I miei ricordi sono piuttosto sfuocati. Diventano
nitidi solo su una breve sequenza.
Sono con mio padre e camminiamo per strada. Uno scoppio di grida alle nostre
spalle e poi un ragazzo magro che ci passa di lato correndo, mi sembra, come un
fulmine. Mio padre mi tira a s giusto in tempo per evitare che un uomo, che
arriva subito dopo mi travolga, correndo anche lui. L'uomo ha un maglione nero e
grida mentre corre. Grida in dialetto. Grida al ragazzo di fermarsi che
altrimenti lo uccide. Il ragazzo non si ferma spontaneamente, ma forse una
ventina di metri dopo urta contro un signore. Cade. L'uomo con il maglione nero
gli addosso e intanto ne sta arrivando un altro, pilento e pigrosso. Io
sfuggo al controllo di mio padre e mi avvicino. L'uomo con il maglione nero
colpisce il ragazzo, che da vicino sembra poco piche un bambino. Lo colpisce
con pugni sulla testa e quando quello cerca di ripararsi gli toglie le mani e
poi lo colpisce di nuovo. Figghi di puttan. Vaffammoc'a I murt d' mam't. Fuse'
fuse', figgh db'cchin. E giun altro pugno diritto sulla testa, con le nocche.
Il ragazzo grida basta, basta. Anche lui in dialetto. Poi smette di gridare e
piange.
Io guardo la scena, ipnotizzato. Sento disgusto fisico e un senso di vergogna
per quello che vedo. Ma non riesco a distogliere lo sguardo.
Adesso arriva l'altro, il grosso, che ha un'aria pacioccona ed io penso che
interviene, e fa finire quello schifo. Lui smette di correre a cinque, sei metri
dal ragazzo, che adesso raggomitolato per terra. Copre quello spazio
camminando e ansimando. Quando proprio sopra al ragazzo prende fiato, e gli da
un calcio nella pancia. Uno solo, fortissimo. Il ragazzo smette anche di
piangere e apre la bocca e rimane cos senza riuscire a respirare. Mio padre,
che fino a quel momento rimasto impietrito anche lui, fa il gesto di
intervenire, dice qualcosa. l'unico fra tutta la gente intorno. Quello con il
maglione nero gli dice di farsi i cazzi suoi. "Polizia!" abbaia. Persubito
dopo smettono tutti e due di picchiare. Il grosso solleva il ragazzo prendendolo
per il giubbotto, da dietro e lo fa mettere in ginocchio. Mani dietro la
schiena, manette, mentre lo tiene per i capelli. Questo il ricordo piosceno
di tutta la sequenza: un ragazzino legato in balia di due uomini. Mio padre mi
tira via e la scena va in dissolvenza. Da allora smisi di dire che volevo fare
lo sceriffo. Quell'episodio mi era tornato in mente qualche volta, negli anni.
Qualche volta mi ero detto che avevo fatto l'avvocato per una specie di reazione
al disgusto di quella scena. Qualche volta, in qualche momento di esaltazione,
ci avevo anche creduto.
La veritperera un'altra. Avevo fatto l'avvocato per puro caso, perchnon
avevo trovato di meglio o perchnon ero stato capace di cercarlo. Il che,
ovviamente, era la stessa cosa.
Mi ero iscritto a giurisprudenza perchpensavo di guadagnare tempo, visto che
non avevo le idee troppo chiare. Dopo la laurea avevo pensato di guadagnare
altro tempo andando a parcheggiarmi in uno studio legale, in attesa di chiarirmi
le idee.
Per alcuni anni, dopo, avevo pensato che facevo l'avvocato in attesa di
chiarirmi le idee.
Poi avevo smesso di pensarlo, perchil tempo passava e avevo paura di dovere
trarre qualche conseguenza, dal fatto di chiarirmi le idee. A poco a poco avevo
anestetizzato le mie emozioni, i miei desideri, i miei ricordi, tutto. Anno dopo
anno. Fino a quando Sara mi aveva messo alla porta.
Allora il coperchio era saltato e dalla pentola erano venute fuori molte cose
che non immaginavo e che non avrei voluto vedere. Che nessuno vorrebbe vedere.
Ogni uomo ha dei ricordi che racconterebbe solo agli amici. Ha anche cose nella
mente che non rivelerebbe neanche agli amici, ma solo a se stesso, e in segreto.
Ma ci sono altre cose che un uomo ha paura di rivelare persino a se stesso, e
ogni uomo perbene ha un certo numero di cose del genere accantonate nella mente.
Dostojevskij. Memorie del sottosuolo.
Non bene quando quelle cose accantonate vengono fuori. Tutte insieme.
Facevo tutte queste riflessioni, ed altre, in studio mentre sbrigavo cartacce di
ordinaria amministrazione. Controllavo scadenze, scrivevo atti semplici e
soprattutto preparavo note spese. Dovevo, visto che con la difesa di Abdou non
mi sarei arricchito. L'aria era fresca, grazie al condizionatore mentre fuori
faceva caldo, definitivamente.
Finii verso le sette. La mia stanza era esposta a nord e avevo una grande
finestra alla sinistra della scrivania. Guardai fuori e feci caso al sole sulla
terrazza del palazzo di fronte e poi prestai attenzione al ronzio leggero del
condizionatore e poi alla musica che proveniva ovattata dall'appartamento di
sotto.
Questa consapevolezza era inusuale per me e mi fece sentire bene. Pensai che
avevo voglia di una sigaretta, ma non come al solito. Volevo fare le cose con
calma. Presi il pacchetto appoggiato sulla scrivania e lo tenni in mano per
qualche secondo. Ne feci uscire una battendo con due dita sul lato opposto a
quello dell'apertura e la tirai fuori direttamente con le labbra. Pensai alle
volte infinite in cui avevo fatto come un automa quella sequenza di gesti.
Pensai che adesso riuscivo a pensare al vuoto senza essere sopraffatto dalla
vertigine. Riuscivo a non distogliere lo sguardo. Sentii una specie di brivido
per tutto il corpo e, insieme, esaltazione e tristezza. Ebbi l'immagine di una
nave che esce dal porto per un lungo viaggio. Accesi la sigaretta con un
fiammifero svedese e sentii l'urto del fumo nei polmoni mentre irrompeva
un'altra sequenza di ricordi. Ma non mi facevano paura adesso. Potrei raccontare
esattamente quello che pensai ad ogni singola boccata, da quella sigaretta.
Furono undici. Quando schiacciai il mozzicone nel vasetto di vetro che usavo
come posacenere pensai che dopo la fine del processo avevo una cosa da fare.
Una cosa importante.
Il venerdmattina dopo essere passato dal tribunale per una udienza preliminare
andai in carcere da Abdou. Il suo interrogatorio era per il lunedsuccessivo e
dovevamo prepararci.
L'agente di custodia della matricola mi fece entrare nella saletta e, con quello
che mi parve un sorriso cattivo, chiuse la porta. Il caldo era soffocante, pi di quanto mi aspettassi. Tolsi la giacca, allentai la cravatta, sbottonai il
colletto della camicia e infine decisi che non ero un detenuto, che non era
scritto da nessuna parte che dovessi rimanere chiuso a boccheggiare e cosaprii
la porta. L'agente nel corridoio mi guardin modo ostile, sembrsul punto di
dire qualcosa ma poi rinunci
Mi appoggiai allo stipite della porta, fra la stanza e il corridoio. Tirai fuori
una sigaretta ma non la accesi. Troppo caldo anche per quello.
Sentivo la camicia attaccata sulla schiena per il sudore e nel cervello fece
irruzione un pensiero direttamente dai recessi dell'infanzia.
Ci vorrebbe del borotalco, pensai.
Quando eravamo bambini e avevamo sudato, ci mettevano il borotalco. Se
protestavi, perchpensavi di essere ormai troppo grande per il borotalco, ti
veniva detto che avresti potuto prendere la pleurite. Se chiedevi cos'era la
pleurite ti veniva detto che era una brutta malatt駮. Il tono con cui lo
dicevano ti faceva passare la voglia di rifare la domanda.
Mentre pensavo a questo mi resi conto che era la seconda volta in due giorni che
mi tornavano in mente cose dell'infanzia. Era strano perchio non pensavo mai
all'infanzia. Non mi ricordavo quasi niente. Quando era capitato che qualcuno,
qualcuna, mi chiedesse come era stata la mia infanzia avevo risposto a caso.
Qualche volta avevo detto che avevo avuto una infanzia felice. Qualche volta
avevo detto che ero stato un bambino triste. Qualche volta, quando volevo fare
colpo, avevo risposto che ero stato un bambino strano. Mi dava un alone di
fascino, pensavo. Noi tipi speciali spesso siamo stati bambini strani, era
sottinteso.
In realtnon mi ricordavo quasi niente della mia infanzia e non avevo voglia di
pensarci. Qualche volta mi ero concentrato per ricordare e mi era venuta
tristezza. Allora avevo lasciato perdere. La tristezza non mi piaceva, preferivo
evitarla.
Adesso guardavo stupito questi pezzi di ricordi che saltavano fuori da chiss dove. Mi davano una leggera malinconia e un senso di stupore, e di curiosit Ma
non tristezza, quella che prima mi aveva fatto distogliere lo sguardo.
Pensavo a quest'altro cambiamento e mi venne un brivido fortissimo che si
diffondeva dalla schiena fino alla radice dei capelli sulla nuca, e sulle
braccia. Anche se faceva caldo. La accesi, quella sigaretta.
Vidi arrivare Abdou da lontano nel lungo corridoio.
Mi venne incontro e mi diede la mano, facendo anche un movimento del capo che mi
parve un leggero inchino. Mi venne naturale rispondere nello stesso modo e poi
mi sentii in imbarazzo.
Aveva un giornale con se si fece di lato per farmi entrare nella saletta.
Ci sedemmo, evitando tutti e due la poltrona sfondata, che era sempre l Abdou
mi porse il giornale, con una specie di sorriso.
Cos'. Chiesi.
Parla di te, avvocato. Il tono di voce era diverso.
Presi il giornale. Era di due giorni prima. Parlava dell'udienza del marted precedente e c'era anche una mia foto. Non l'avevo letto nvisto: da un anno
non compravo i giornali.
VACILLA IL TESTE CHIAVE NEL PROCESSO PER LA MORTE DEL PICCOLO FRANCESCO
Drammatica udienza ieri nel processo a carico del senegalese Abdou Thiam per il
sequestro e l'omicidio del piccolo Francesco Rubino. Hanno deposto alcuni dei
testi fondamentali per l'accusa fra i quali Antonio Renna, proprietario di un
bar a Capitolo, la contrada balneare di Monopoli dove si verificla sparizione
del bambino.
Il Renna aveva riferito, nel corso delle indagini preliminari, di avere visto
l'imputato passare davanti al suo bar, vicinissimo al luogo della sparizione del
bambino, pochi minuti prima della sparizione stessa. Interrogato in aula dal
pubblico ministero il teste ha confermato quelle dichiarazioni, ostentando
grande sicurezza.
Il colpo di scena vi stato nel corso dello spettacolare controesame condotto
dal difensore del senegalese, avvocato Guido Guerrieri. Dopo aver proposto una
serie di domande apparentemente innocue ma dalle cui risposte emerso un chiaro
atteggiamento di ostilitdel Renna nei confronti degli immigrati
extracomunitari, l'avvocato Guerrieri ha mostrato al teste una serie di
fotografie di uomini di colore, chiedendogli se vi fosse qualcuno che lui
conosceva. Il barista di Capitolo ha detto di no ed stato in quel momento che
il difensore ha calato il suo asso: ben due di quelle foto rappresentavano
infatti l'imputato Abdou Thiam. Proprio la persona che il testimone Renna aveva
dichiarato, con grande sicurezza, di conoscere e di avere visto passare davanti
al suo bar quel tragico pomeriggio. Le foto sono state acquisite dalla corte
come prove documentali.
Il pubblico ministero Cervellati ha accusato il colpo ed stato costretto a
riesaminare il testimone per chiarire nuovamente i dettagli della sua
deposizione. Il testimone ha chiarito di non avere pivisto l'imputato
dall'anno precedente, epoca dei fatti, di essere certo delle sue dichiarazioni e
di non avere riconosciuto l'imputato in fotografia per il tempo trascorso e per
la cattiva stampa delle foto. Si trattava in effetti di fotocopie a colori con
una resa non perfetta.
Il riesame condotto dal pubblico ministero ha in qualche modo riparato i danni
ma innegabile che nel corso di questa udienza l'avvocato Guerrieri abbia
segnato qualche punto a suo favore, in un processo sicuramente molto difficile
per la difesa.
Prima del barista erano stati interrogati il medico legale e il maresciallo
Lorusso, l'investigatore che ha condotto le indagini.
Anche l'esame del maresciallo ha conosciuto momenti di tensione quando la difesa
ha adombrato mancanze e negligenze investigative, soprattutto nel corso della
perquisizione effettuata presso l'abitazione del senegalese.
Si prosegue questa mattina con i genitori e i nonni del bambino. Per luned prossimo fissato l'interrogatorio dell'imputato e poi, salvo eventuali nuove
richieste di prova, si passeralla discussione.
Lessi l'articolo due volte. Spettacolare controesame. Non riuscivo a reprimere
il compiacimento infantile che mi dava leggere quelle parole e guardare quella
mia foto sul giornale. Era accaduto qualche altra volta, per altri processi, che
si facesse il mio nome e che venisse anche pubblicata una mia foto.
In questo caso perera diverso. Ero io il protagonista dell'articolo.
Quando mi avevano fatto quella foto ? Non era recentissima, forse un paio di
anni fa, ma non ricordavo in quale occasione. Stavo abbastanza bene anche se,
insomma, dal vivo sono meglio, pensai.
Dopo qualche secondo di queste riflessioni mi sentii un idiota, posai il
giornale sul tavolino e mi rivolsi ad Abdou.
Mi guardava. Dalla sua espressione si capiva che adesso era convinto che ce
l'avremmo fatta. Aveva letto il giornale e adesso pensava che forse era stato
fortunato e che era nelle mani dell'avvocato giusto. Mi chiesi se era il caso di
disilluderlo e dirgli che nonostante a quell'udienza le cose fossero andate
bene, le probabiliterano ancora ampiamente contro di noi. Mi risposi che non
c'era nessun motivo per farlo. Allora feci solo un cenno di assenso col capo,
scrollando leggermente le spalle. Poteva significare tutto.
Va bene Abdou. Adesso dobbiamo preoccuparci della prossima udienza. Per il tuo
interrogatorio.
Lui fece di scon il capo e non disse niente. Era attento ma non doveva dire
nulla. Toccava a me parlare.
Adesso ti dircome funziona la cosa, e ti dircome devi comportarti. Se
qualcosa di quello che dico non chiaro, per piacere interrompimi e dimmelo
subito. Ancora scon il capo, con decisione. "Ti interrogherper primo il
pubblico ministero. Quando ti fa le domande, guardalo in faccia. Con attenzione,
non con aria di sfida. Non rispondere se non ha finito la domanda. Quando ha
finito girati verso i giudici e parla a loro. Non ti mettere mai a discutere con
il pubblico ministero. Chiaro?.
Quando parla il pubblico ministero guardo lui, quando parlo io guardo i giudici.
OK. Ovviamente la stessa cosa vale quando le domande te le fa l'avvocato della
parte civile, o anche quando te le faccio io. Devi far capire ai giudici che
ascolti le domande e rispondi alle domande. Chiaro?. "S
Aspetta che le domande siano finite, per rispondere. Soprattutto quando te le
faccio io. Non deve sembrare che stiamo recitando, con tutte le battute a
memoria. Capisci che voglio dire?.
Non deve sembrare un teatro fra noi due.
OK. Non sederti sul bordo della sedia. Siediti in fondo. Cos, Gli feci
vedere., Ma non ti sedere cos Gli feci vedere ancora. Uno che si siede ben
comodo, quasi stravaccato, gambe accavallate eccetera.
chiara l'idea, s Non devi dare l'impressione di uno che stia per scappare,
sedendoti sul bordo della sedia, ma non devi dare nemmeno l'impressione di
essere rilassato. Si discute della tua vita, del fatto che tu possa rimanere in
carcere per moltissimi anni e quindi non puoi essere rilassato. Se sembri
rilassato vuol dire che stai facendo finta e loro se ne accorgeranno. Magari
solo inconsapevolmente ma se ne accorgeranno. Mi segui?.
S
Quando non capisci una domanda, o anche solo se non sei sicuro di averla capita,
non cercare di rispondere. Chiunque ti abbia fatto la domanda, chiedi che venga
ripetuta.
Va bene.
Allora, prima di andare avanti vuoi ripetermi quello che abbiamo detto finora?.
Devo guardare in faccia chi mi fa le domande. Quando la domanda finita mi
giro, guardo la corte e rispondo. Se non capisco la domanda devo dire di
ripetere, prego. Devo sedermi cos
Si sedette come gli avevo detto. Io sorrisi e feci scon la testa. Non aveva
bisogno che le cose gli fossero ripetute.
A quel punto tirai fuori dalla borsa la copia del suo interrogatorio davanti al
pubblico ministero, e altre carte. Chiarito come doveva comportarsi, dovevamo
parlare di cosa avrebbe dovuto dire, di come avrebbe dovuto spiegare le cose che
aveva gidetto e delle richieste di prove integrative che avrei dovuto
formulare dopo il suo interrogatorio.
Rimasi in carcere fino alle tre, con il caldo che diventava sempre pi insopportabile. Quando ci stringemmo la mano, al momento di andare via, pensai
che avevamo fatto tutto quello che si poteva.
Passai da casa, feci una doccia, misi dei pantaloni leggerissimi e una polo. Poi
mi preparai un'insalata, mangiai, fumai un paio di sigarette bevendo caff americano shakerato, in poltrona. Verso le quattro e mezza uscii per andare in
studio. Provai a citofonare a Margherita, ma non era in casa. Ci rimasi un po'
male ma pensai che l'avrei chiamata pitardi, dopo avere finito di lavorare.
In studio ricevetti qualche cliente, passa trovarmi il mio commercialista,
sbrigai la corrispondenza e alla fine dissi a Maria Teresa che per quel giorno
poteva andarsene prima. Abbassai gli occhi su un foglio che avevo sulla
scrivania. Quando li rialzai lei era ancora l La guardai con un leggero
sorriso interrogativo. Non era una bella ragazza, ma aveva begli occhi azzurri,
intelligenti e ironici. Lavorava con me da quattro anni e nel frattempo cercava
di laurearsi in giurisprudenza. Voleva fare il magistrato.
C'qualcosa?", dissi mantenendo quel sorriso interrogativo. Lei, sembrava
cercasse le parole.
Volevo dirle che sono contenta... sono contenta che lei stia meglio. Sono stata
molto... molto preoccupata.
Rimasi in silenzio, stupito. Da quando ci conoscevamo non avevamo mai nemmeno
accennato a questioni personali. Dopo quattro anni non sapevo chi fosse
realmente quella ragazza, se avesse un fidanzato, cosa pensava, eccetera.
Semplicemente non mi aspettavo che dicesse una cosa del genere, anche se sapevo
benissimo che si era accorta di quello che mi era capitato. Fu lei a parlare di
nuovo.
Avrei voluto fare qualcosa per aiutarla, quando stava cosmale, ma lei era cos distante. Ero preoccupata, pensavo che sarebbe finita male.
Male?.
S non si metta a ridere. Pensavo a quelle persone che si suicidano e che poi
gli amici e i conoscenti dicono che erano depresse, da un po' di tempo erano
coscambiate e cose del genere... .
Pensava che mi potessi suicidare?.
S Poi da qualche mese le cose hanno cominciato ad andare meglio e sono stata
contenta. Adesso vanno molto meglio e volevo dirglielo, che sono contenta.
Non sapevo cosa rispondere. Mi venivano alla bocca solo delle banalite non
volevo dire delle banalit Ci passano vicini interi mondi e non ce ne
accorgiamo. Ero turbato.
Grazie", dissi soltanto. Poi per subito dopo mi alzai, feci il giro della
scrivania e le diedi un bacio sulla guancia. Arross un poco.
Allora... ci vediamo luned "Luned Grazie, Maria Teresa.
Dovevo finire la mia preparazione per l'interrogatorio di Abdou e dovevo
chiarire alcune questioni tecniche per le mie richieste di prova integrativa.
Cosrimasi a lavorare fin dopo le otto, poi chiusi tutto e uscii. Fuori c'era
ancora luce e si era alzata una leggera brezza. Si stava bene ed io mi sentii
euforico. Avevo fatto il mio dovere, era estate ed era venerd Per la prima
volta dopo tanto tempo ebbi la sensazione del fine settimana, e fu una bella
sensazione. Volevo fare qualcosa per festeggiarmi.
Provai a chiamare Margherita sul cellulare, ma era staccato o non prendeva.
Provai a chiamarla dal citofono ma non era in casa. Ci rimasi un po' male, ma
solo un poco.
Pensai a quello che mi sarebbe andato di fare e trovai subito la risposta.
Allora salii a casa, feci un piccolo bagaglio, presi qualche libro, montai in
macchina e partii verso sud. Andavo al mare.
Arrivai a Santa Maria di Leuca verso le undici e presi una stanza in una piccola
pensione proprio sul mare. Andai a cena e poi feci una lunga passeggiata, su e
giper il lungomare, sedendomi ogni tanto su una panchina a fumare una
sigaretta, guardando la gente, godendomi il fresco della notte. Verso l'una e
mezza andai a letto. Mi addormentai di botto, per svegliarmi alle nove del
sabato. Pensai che non ricordavo da quanto tempo non dormivo in quel modo. Forse
a vent'anni o poco dopo.
Quei due giorni furono bagni, sole, mangiare, leggere, dormire e guardare la
gente. Pensare, quasi niente. Guardavo la gente sulla spiaggia, nei ristoranti,
per le strade del paese, la sera. Passai ore a guardare la gente, senza
preoccuparmi che gli altri guardassero me e potessero giudicarmi, in qualche
modo. In spiaggia, il sabato mattina feci amicizia con una signora leccese sui
sessantacinque anni, alquanto grassa con un costume a fiori celesti;
fortunatamente intero. Era simpatica e mi raccontdi suo marito morto da tre
anni, e del fatto che lei era stata molto male per cinque o sei mesi e pensava
che la sua vita fosse finita perchsi erano sposati quando lei aveva ventidue
anni e non era mai stata con un altro uomo. Poi aveva cominciato a pensare che
forse la sua vita non era finita e che c'erano alcune cose che aveva sempre
voluto fare ma, insomma, per un motivo o per l'altro le aveva sempre rimandate.
Allora aveva frequentato un corso di origami, che appunto era una di quelle cose
che aveva sempre voluto fare, perchquando lei era piccola sua nonna le faceva
dei giocattoli bellissimi piegando, ritagliando e colorando la carta. La nonna
le prometteva che le avrebbe insegnato quando fosse diventata pigrande. Ma
quando lei aveva sette anni la nonna era morta e non aveva pipotuto
insegnarle. Allora aveva imparato l'origami ed era diventata molto brava, mi
fece vedere piegando davanti a me un pinguino, una foca e anche una renna, e le
era venuta voglia di fare altre cose e si era messa a farle. Per esempio
venirsene al mare da sola, o viaggiare, tanto per fortuna non aveva problemi di
soldi e via discorrendo. E sai giovanotto, quando hai tante cose da fare non hai
il tempo di pensare che la tua vita finita, o quanto ti resta e che morirai
eccetera. Tanto morirai comunque e quindi... Mentre mi diceva queste cose si
preoccupava del fatto che potessi scottarmi e mi passava un flacone di
protettivo, pretendendo che lo mettessi. E io lo misi e feci bene perchil sole
picchiava e mi sarei scottato sicuramente passando tutta la giornata al mare.
Volle sapere di me e mi sorpresi a raccontarle i fatti miei, cosa che non avevo
fatto con nessuno. A parte lo psichiatra barbuto e con scarso successo. Lei
ascoltsenza dire niente e anche questo mi piacque.
La sera dopo aver mangiato andai in una specie di piano bar e rimasi ad
ascoltare musica fino a tardi. Feci amicizia con il cameriere che era uno
studente di fisica che lavorava il fine settimana per guadagnare qualche soldo.
Mi disse che c'erano due ragazze a un tavolo poco distante, immerso nel buio,
che gli avevano chiesto chi fossi. Lo studente di fisica mi disse che erano
carine e se volevo, lui avrebbe potuto portare un messaggio. Lo disse in modo
simpatico, senza volgarit Gli dissi che grazie, no, magari un'altra volta e
lui mi guardun poco stupito. Quando andai via gli lasciai la mancia. Forse
pensche mi piacevano gli uomini, ma non me ne importava niente.
Anche quella notte dormii come un sasso e mi svegliai riposato e allegro. Passai
la domenica sulla spiaggia leggendo, buttandomi in acqua e ungendomi con il
protettivo che la signora dell'origami mi aveva lasciato.
Alle sette, con il sole ancora tiepido feci l'ultima doccia, passai dalla
pensione a riprendere il bagaglio e ripartii verso Bari.
Ero a pochi chilometri da casa quando dal telefonino, sprofondato nel borsone,
venne il suono di ricezione di un messaggio. Ero incuriosito perchera da un
sacco di tempo che non ricevevo messaggi. Allora mi fermai ad una stazione di
servizio, tirai fuori il telefonino e feci qualche sforzo per ricordarmi come si
faceva a leggere i messaggi, che non lo facevo da tanto tempo, appunto. Dopo un
poco ci riuscii. Il messaggio diceva cos
Spiegare sarebbe troppo lungo adesso. Cosnon cercare di capire. Ma avevo
bisogno di dirti, adesso, che averti incontrato stata una delle cose pibelle
che mi siano mai capitate. M.
Rimasi instupidito qualche secondo a guardare quelle parole e poi ripartii verso
casa. Dopo qualche minuto mi venne di spegnere l'aria condizionata e abbassare i
finestrini. Si stava alzando il maestrale che spazzava via l'aria umida.
Non sapevo se era quel vento a darmi i brividi sulla pelle calda per il sole,
mentre rientravo con i finestrini abbassati. Le casse diffondevano la voce di
Rod Stewart che cantava I don't wanna talk about it e io pensavo alle parole di
quel messaggio e a molte altre cose ancora.
Non lo so se era il vento a darmi quei brividi sulla pelle.
L'udienza comincicon quasi un'ora di ritardo, per ragioni sconosciute. Ebbi il
sospetto che prima dell'ingresso in aula ci fosse stata qualche discussione
animata in camera di consiglio, perchi giudici, sia i togati sia i popolari,
entrarono e si disposero ai loro posti con facce tese. Faceva eccezione solo la
signora belloccia alla sinistra del presidente. Lei aveva sempre la stessa aria
di sussiego e di finta concentrazione. Quella che con ammirevole fissitaveva
mantenuto per tutte le udienze. L'atteggiamento che evidentemente considerava
comme ilfaut per un giudice popolare in corte di assise.
Pensai che se non mi sbagliavo e c'era stata discussione, questa aveva avuto per
protagonisti soprattutto il presidente e il giudice a latere. Lo pensai
guardando il modo in cui si erano seduti. Il presidente era ostentatamente
girato, addirittura con sedia spostata, dalla parte opposta al suo giudice.
Quest'ultimo guardava fisso in avanti e puliva gli occhiali in modo nervoso e
quasi ossessivo. Non avrebbero scambiato una sola parola per tutta l'udienza.
Pensai che non erano le condizioni ideali per una udienza cosimportante.
Pensai anche, in modo del tutto irrazionale, che il presidente aveva gideciso
di condannare Abdou. Questa sensazione mi accompagnin modo opprimente per
tutta la mattina.
Margherita non era venuta, ma nemmeno mi ero aspettato che lo facesse.
Non so dire in base a che ragionamento ero convinto che non l'avrei vista,
quella mattina. In realtnon so nemmeno se ci fu un ragionamento. Certo che
non mi aspettavo di vederla, qualche ora dopo quel messaggio.
Abdou venne fatto uscire dalla gabbia, senza manette e gli fu fatto prendere
posto nella sedia destinata ai testimoni. Alle sue spalle, a mezzo metro di
distanza, due agenti di custodia.
Il presidente gli chiese innanzitutto se confermava di non avere bisogno di un
interprete. Abdou fece di scon il capo e Zavoianni disse che non poteva
limitarsi a fare cenni e doveva dire so no, parlando vicino al microfono.
Abdou disse che andava bene e che no, non aveva bisogno di nessun interprete.
Capiva.
Subito dopo il presidente gli chiese se intendeva sottoporsi all'esame e Abdou
rispose di s parlando vicino al microfono, con voce ferma. A quel punto ebbe
la parola il pubblico ministero.
Allora Thiam, per prima cosa: lei conosceva il piccolo Rubino Francesco?.
S
Ma quando lei stato interrogato ha detto di non conoscerlo, ricorda?.
Si cominciava subito. Scattai in piedi per la prima opposizione.
Opposizione presidente. Questa domanda inammissibile. Se il pubblico ministero
intende contestare all'imputato il contenuto di sue precedenti dichiarazioni lo
faccia dicendo a quale verbale fa riferimento e dando lettura testuale delle
dichiarazioni che intende contestare.
Il presidente stava per dire qualcosa ma Cervellati lo precedette.
Faccio riferimento al verbale di interrogatorio dinanzi al pubblico ministero in
data 11 agosto 1999. Faccio la lettura ai fini della contestazione cosla
difesa non avrdi che lamentarsi. Dunque... lei ha detto testualmente in questo
interrogatorio che....
Opposizione presidente. L'accusa non puaffermare che il mio cliente ha
riferito testualmente quando procede ad una contestazione da un verbale in forma
riassuntiva, come quello in questione. Nell'interrogatorio che il pubblico
ministero ha citato, che il primo e l'unico cui il signor Thiam stato
sottoposto, non fu utilizzata stenotipia e non fu utilizzata alcuna forma di
registrazione.
Non era una vera opposizione, ma mi serviva a comunicare subito ai giudici una
informazione importante: la prima volta, e, di fatto, l'unica, che Abdou era
stato interrogato non c'erano registratori, non c'erano videoregistratori, non
c'erano stenotipisti.
Il presidente rigettl'opposizione e mi disse che non gli piaceva il modo in
cui avevamo cominciato. Mi sarebbe piaciuto replicare a tono ma non lo feci.
Dissi solo grazie presidente e Cervellati riprese.
Allora leggo la dichiarazione: non conosco nessun Rubino Francesco; questo nome
non mi dice niente.
osso spiegare ? Io conoscevo il bambino con il nome Ciccio. Lo chiamavo cos
In spiaggia tutti lo chiamavano cos Quando ho sentito: Rubino Francesco non ho
capito che era Ciccio. Il piccolo per me era Ciccio.
Nel corso di quell'interrogatorio per a un certo punto, ha ammesso di
conoscere il bambino, vero ?.
S quando ho visto la fotografia.
Intende dire: quando le stato contestato il ritrovamento, a casa sua, di una
foto del bambino?.
Quando mi avete fatto vedere la foto... s quella che avevo a casa.
Quindi esatto dire che lei ha ammesso di conoscere il bambino solo quando si reso conto che avevamo trovato quella fotografia....
Stava esagerando.
Opposizione. Questa non una domanda. Il pubblico ministero cerca di trarre
conclusioni e non lo pufare in questa sede.
A malincuore il presidente dovette darmi ragione.
Pubblico ministero, si limiti alle domande. Le conclusioni nella requisitoria.
Cervellati riprese il suo esame ma si stava evidentemente innervosendo, e non
solo con me.
Allora Thiam, lei in grado di riferire dov'era il pomeriggio del 5 agosto
1999? S Dica. Tornavo da Napoli in macchina.
Cos'era andato a fare a Napoli?. A comprare merce da vendere sulle spiagge.
Ho una contestazione, dallo stesso verbale che ho indicato prima. Leggo
testualmente: Il pomeriggio del 5 agosto credo di essere andato a Napoli... Sono
andato a trovare dei connazionali dei quali pernon so indicare i nomi. Ci
siamo visti, come altre volte, nei paraggi della stazione centrale. Non so
fornire utili indicazioni per individuare questi miei connazionali e non so
indicare qualcuno che potrebbe confermare che quel giorno sono stato a Napoli.
Ha capito Thiam? Quando lei fu interrogato, nell'agosto dell'anno scorso, disse
di essere stato a Napoli, ma non parldi acquisti di merce eccetera. Disse solo
che era andato a trovare dei suoi connazionali, dei quali peraltro non sapeva
indicare le generalit Cosa pudire sul punto?.
Sono andato a comprare la merce. E sono andato a comprare anche hashish. Non ho
detto queste cose perchnon volevo mettere in mezzo quelli che mi avevano
venduto la merce e l'hashish. E non volevo mettere in mezzo il mio amico che
teneva a casa sua la mia merce e l'hashish. "Chi questo suo amico?. "Non
voglio dirlo.
Va bene. Questo servira valutare l'attendibilitdella sua storia. Cosa doveva
farne dell'hashish?.
Lo compravamo in gruppo con altri amici africani, per fumarlo insieme. "Che
quantitativo di hashish aveva acquistato, lei?.
Mezzo chilo.
E lei pensa che crediamo a questa storia? Che crediamo al fatto che per non far
risultare una detenzione di hashish e di merce con marchi contraffatti lei non
si difeso da una accusa di omicidio?.
Non so se credete a questa storia. Io perquando sono stato interrogato ero
molto confuso. Non capivo bene cosa stava succedendo e non mi sentivo di tirare
in mezzo persone che non c'entravano. Non sapevo cosa fare. Se avevo avuto un
avvocato forse potevo... .
Durante l'interrogatorio lei aveva un avvocato!" Cervellati alzla voce: stava
davvero perdendo la calma. Non era necessario il mio intervento.
Avevo un avvocato d'ufficio. Non ho parlato con lui, prima dell'interrogatorio e
poi non l'ho visto pi Se mi chiedete come fatto non sono capace di dirlo.
Va bene" disse Cervellati cercando di dominarsi e rivolgendosi alla corte "io
non devo discutere con l'imputato. Senta Thiam, lei dice di essere andato a
Napoli quel giorno. Ci descriva dettagliatamente come si svolta la sua
giornata.
Quel giorno che sono andato a Napoli?.
S
Sono partito la mattina presto, verso le sei. Sono arrivato a Napoli verso le
nove. Sono andato in un magazzino dalle parti del carcere, a Poggioreale dove
prendo la merce, e ho caricato la macchina. Poi sono andato veramente vicino
alla stazione dove c'erano miei amici che avevano il fumo, l'hashish e l'ho
comprato. Avevo i soldi che avevamo raccolto a Bari....
Che bisogno aveva di andarlo a comprare a Napoli, l'hashish? A Bari non se ne
trova?.
A Bari si trova, ma si trova soprattutto l'erba, la marijuana, che viene
dall'Albania. Perio dovevo andare a Napoli per la merce. A Napoli ci stanno
questi amici che hanno la roba molto buona e che mi fanno un prezzo buono,
quanto la pagano loro.
Che prezzo le fanno questi suoi amici spacciatori?.
Mezzo chilo, un milione.
E lei poi la spacciava a Bari.
No. Io non spacciavo. Compravamo in societe poi dividevamo per fumarla noi.
A che ora rientrato da Napoli?.
Pomeriggio. Non so l'ora precisa. Quando ho scaricato dal mio amico c'era ancora
sole.
Naturalmente, lei lo ha gidetto, non vuole dirci il nome di questo amico.
Non posso.
C'qualcuno che puconfermare questa storia che ci ha raccontato oggi, qui?.
Un testimone?.
S un testimone.
No, non posso chiamare nessuno. Poi io sono in carcere da quasi un anno, non so
nemmeno se le persone di Napoli, o anche il mio amico di Bari, sono ancora in
Italia.
Va bene. Quindi dobbiamo stare solo alla sua parola. Comunque lei puescludere
di essere andato a Monopoli, a Capitolo, quel pomeriggio.
No.
Non puescluderlo?.
Non sono andato. Quando ho finito di scaricare sono rimasto a Bari. Era tardi e
non trovavo pinessuno sulle spiagge.
Lei dice di non essere andato a Monopoli quel pomeriggio. in grado di spiegare
allora per quale motivo il signor Renna, il proprietario del bar Maracaibo,
dichiari di averla vista passare davanti al suo bar proprio quel pomeriggio,
attorno alle 18.00 ? Lei ritiene che il signor Renna non abbia detto la verit?
Le risulta che Renna abbia qualche motivo di ostilitnei suoi confronti ?.
Non so. Io credo che lui si sbaglia. Forse fa confusione del giorno. Forse ha
visto uno che mi somiglia. Non so. Io non sono andato a Capitolo quel giorno.
Non mi ha detto se ritiene che Renna abbia motivi di ostilitnei suoi
confronti.
Non capisco. Cosa vuol dire ostilit?.
Secondo lei Renna la accusa falsamente perchvuol farle del male? Ce l'ha con
lei?.
Stavo per fare opposizione ma Abdou rispose prima, e rispose bene.
Io non ho detto cos Non ho detto che mi accusa falsamente. Io so che si
sbaglia, ma questa una cosa diversa. Accusare falsamente quando uno sa che
sta dicendo una cosa che non vera. Lui dice una cosa che non vera ma penso
che lui cr嶮e che vera.
Lei, nei giorni successivi al 5 agosto, ha portato a lavare la sua macchina?.
S dopo il viaggio a Napoli. Ho portato a lavare la macchina in quei giorni.
Perch.
Perchera sporca.
Mi parve di cogliere un accenno di sorriso sulle labbra di alcuni dei giudici.
Rimasero sicuramente seri il presidente, il giudice a latere, la signora
belloccia che sembrava imbalsamata e l'anziano con l'aria di ufficiale in
pensione. Io rimasi molto serio. Anche Cervellati, che proseguil suo esame per
alcuni minuti ancora, chiedendo ad Abdou della fotografia con il bambino e di
poche altre cose.
La parte civile fece qualche domanda, per mostrare di esserci e poi il
presidente mi disse che potevo procedere.
Signor Thiam, pudirci che lavoro faceva in Senegal?.
Sono un maestro di scuola elementare.
Quante lingue parla?.
Parlo il wolof, la mia lingua, italiano, francese e inglese.
Perchvenuto nel nostro paese?.
Perchnel mio paese non riuscivo a vedere il futuro.
Lei un clandestino?.
No, ho il permesso di soggiorno e anche la licenza per venditore ambulante. Per vendevo anche cose false. Questa era la cosa illegale che facevo.
Da quanto tempo conosceva il piccolo Francesco, Ciccio?.
Lo ho conosciuto l'estate scorsa... no, voglio dire l'estate prima... nel 1998.
Perchaveva quella foto del bambino?.
Me la regallui... io e il bambino eravamo amici. Spesso parlavamo... .
Quando le stata regalata?.
L'estate scorsa, a luglio. Il bambino disse che se partivo per tornare in Africa
potevo portarmi quella foto per ricordo. Io gli dissi che non dovevo tornare in
Africa ma lui me la diede lo stesso.
Quando stata fatta la foto?.
Il giorno stesso che me l'ha data. C'era il nonno del bambino che aveva una
macchina polaroid e faceva le fotografie. Il bambino ne ha presa una e me l'ha
data.
Adesso vorrei passare ad altro. Io vedo che lei parla molto bene l'italiano.
Vorrei chiederle una cosa allora. Pudirci cosa significa la frase: rinuncio
espressamente ad ogni termine a difesa?.
Non so cosa significa questa frase.
E strano signor Thiam, una frase che lei sembra aver pronunciato nel suo
interrogatorio davanti al pubblico ministero. Vuole leggere?. Mi avvicinai ad
Abdou mostrandogli la mia copia del verbale. Mi aspettavo che il pubblico
ministero obiettasse qualcosa, ma rimase al suo posto, senza dire niente.
Abdou guardil verbale, come gli avevo detto di fare il venerdscorso, in
carcere. Poi scosse la testa.
Non lo so, cosa significa.
Mi scusi signor Thiam, lei non ha detto che rinunciava ai termini per la
comparizione e per l'interrogatorio?.
Non lo so cosa sono questi termini.
Va bene, forse non se lo ricorda, perchlei questo verbale lo ha firmato.
Dovevo fermarmi a quel punto. Il messaggio, mi pareva, era arrivato dove doveva
arrivare. Il verbale dell'interrogatorio di Abdou era stato redatto con una
certa disinvoltura e adesso anche la corte lo sapeva. Potevo cambiare argomento
e passare al punto decisivo.
Lei ha detto che il 5 agosto andato a Napoli e che non ci sono testimoni che
possano confermare questa circostanza. E esatto?.
S
Lei ha un telefono cellulare?.
Ce l'avevo. Quando mi hanno arrestato mi hanno fatto il sequestro anche di
quello.
Certo, risulta dal verbale che nel fascicolo. Quando lei anda Napoli aveva
questo cellulare con s.
S
Ricorda se quel giorno ha fatto o ricevuto delle telefonate?.
Credo di s Non mi ricordo con precisione ma credo di s
Pudirci qual era il numero di questo telefono cellulare?.
S Il numero era 0339-7134964.
Ho finito presidente, grazie.
Il pubblico ministero non aveva ulteriori domande e chiese l'acquisizione del
verbale utilizzato per le contestazioni. Io non feci obbiezioni. Il presidente
disse che dopo una pausa di mezz'ora avremmo dovuto formulare le eventuali
richieste di prova integrativa. La corte avrebbe deciso se accoglierle o meno e
poi avremmo concordato il calendario successivo.
Pensai che avevo serio bisogno di un caffe di una sigaretta.
Al bar del tribunale c'erano dei tavolini in stile tavola calda anni 70. Presi
al banco il mio caffe andai a sedermi ad uno di quei tavolini, da solo e con
l'intenzione di passare mezz'ora senza pensare a niente e senza parlare con
nessuno.
Accesi la sigaretta e rimasi a guardare la gente che entrava e usciva dal bar.
Tranquillo.
Ero lquando arrivuna signora abbronzata, elegante, con gioielli e l'aria di
chi passa molto del suo tempo fra palestre e saloni di bellezza. Si stava
dirigendo verso il banco quando mi vide e si ferm Guardava nella mia direzione
con un principio di sorriso sulle labbra e con l'aria di chi si aspetta qualche
segno di risposta. Mi guardai a destra e a sinistra, per verificare che si
stesse rivolgendo proprio a me. Dietro non potevo, perchero a ridosso del
muro. Comunque ai tavolini c'ero solo io e quindi stava guardando proprio me.
Visto il mio comportamento, si avvicindi pi La sua espressione adesso era
leggermente cambiata. Immagino pensasse che o ero fortemente miope o fortemente
rincoglionito.
Non mi riconosci?", disse finalmente.
Allungai leggermente il collo verso di lei, e un sorriso stolido mi si disegnava
sulla faccia mentre cercavo qualcosa da dire. Poi la riconobbi.
Quindici anni prima, o forse di pi Mi ero appena laureato. Non riuscivo a
ricordare cosa faceva all'epoca ma, certo, era molto diversa. Forse si stava
laureando in medicina, o forse la confondevo con qualcun'altra.
Eravamo usciti insieme per due mesi, o poco meno. Era pigrande di me, forse di
cinque anni. Allora adesso doveva avere pio meno quarantaquattro anni. Come si
chiamava? Non mi ricordavo come si chiamava.
Magda. Sono Magda. Che fai non mi riconosci?.
Magda. Eravamo usciti per due mesi, quindici anni fa.
E che facevamo ? Di cosa parlavamo ?
Magda. Scusami. Non metto gli occhiali per vanite faccio queste figure. Sono
un po' miope. Come stai?.
Sto bene. E tu?.
Seguuna conversazione assurda. Non mi ricordavo quasi niente di lei e cosfui
cauto, per evitare altre figuracce. Mi disse che era in tribunale per lavoro. Da
come lo disse sembrava scontato che io sapessi qual era il suo lavoro. Io invece
non ne avevo la minima idea e mentre continuava a parlare, di separazioni, di
vita da single, di vacanze, di come dovessimo per forza vederci, una sera, con
una serie di persone i cui nomi non mi dicevano niente, mi sentivo trascinato in
un vortice surreale.
Mi sentii meglio solo quando ci salutammo, abbracciandoci e baciandoci.
Ciao Magda. Quando ci incontreremo di nuovo troveril coraggio di chiederti di
cosa abbiamo parlato, quasi ogni sera, per due mesi, quindici anni fa.
Il presidente chiese al pubblico ministero e all'avvocato della parte civile se
avessero da fare richieste di prove integrative. Tutti e due risposero di no.
Allora si rivolse a me e mi fece la stessa domanda. Mi alzai e prima di parlare
aggiustai la toga che come al solito mi scivolava sulle spalle.
Spresidente. Abbiamo delle richieste ai sensi dell'articolo 507 del codice di
rito. La corte ha sentito poco fa l'interrogatorio dell'imputato. Questi ha
riferito di essere intestatario di una utenza telefonica cellulare. La
circostanza peraltro emergeva gidagli atti in vostro possesso, perchnel
fascicolo del dibattimento inserito, fra gli altri, il verbale di sequestro
del telefono cellulare in questione, e della relativa scheda. Quella appunto cui
si riferisce il numero 0339-7134964 di pertinenza dell'imputato. L'imputato ha
riferito di avere portato con s in quel viaggio a Napoli, il suddetto telefono
cellulare e, probabilmente, di avere fatto e ricevuto telefonate in
quell'occasione. Voi sapete certo meglio di me che l'utilizzazione di un
telefono cellulare lascia una traccia che conservata su supporto magnetico dal
gestore, in questo caso la Telecom. possibile acquisire tabulati da cui
risultano i numeri in entrata e in uscita, l'orario, la durata delle telefonate
e, soprattutto, la zona in cui l'utilizzatore del telefono si trovava al momento
della chiamata.
Tanto premesso credo di non dover spiegare ulteriormente la rilevanza che pu avere l'acquisizione presso la Telecom Italia dei tabulati relativi all'utenza
cellulare 0339-7134964, per il giorno 5 agosto 1999. vero che non abbiamo
nessun testimone che possa confermare l'alibi dell'imputato. Le risultanze dei
tabulati perpossono essere ben piche una testimonianza d'alibi. La
localizzazione del telefono collegata, in termini di certezza ad un orario
preciso pufornire un elemento risolutivo al processo. In conclusione dunque vi
chiedo, a norma dell'art. 507 del codice di procedura penale di emettere un
decreto di acquisizione dei tabulati relativi al traffico telefonico dell'utenza
cellulare 0339-7134964, per il giorno 5 agosto 1999. Credo di non dovere
aggiungere altro. Grazie.
Il presidente mi guardancora per qualche secondo dopo che ebbi finito di
parlare. Poi stava per voltarsi verso il giudice a latere quando dovette
ricordarsi che avevano litigato un paio d'ore prima. Almeno io ero convinto che,
per qualche motivo, avessero litigato. Certo che Zavoianni si stava girando
verso il giudice e si ferma met In modo cosbrusco che dovette darsi un
contegno, appoggiando la testa su una mano, con aria pensosa. Si era mosso come
il personaggio di una farsa e rimase per qualche secondo innaturalmente
immobile. Poi si rivolse al pubblico ministero.
Ci sono osservazioni su questa richiesta della difesa, pubblico ministero?.
Presidente, io ho molti dubbi non dico sulla assoluta necessit ma anche solo
sulla rilevanza della prova richiesta dalla difesa. I dubbi possono essere
riassunti in poche parole: chi ci dice che il 5 agosto 99 il telefono cellulare
era nella disponibilitdel Thiam? Il telefono stato trovato nella sua
disponibilital momento della perquisizione, vero. Ma questo significa poco.
La perquisizione di qualche giorno dopo e noi sappiamo che in certi ambienti,
per esempio quello degli spacciatori, al quale l'imputato ci ha appena detto di
essere vicino, se non addirittura interno, vi l'usanza dello scambio degli
apparecchi cellulari, come delle armi e quant'altro. In mancanza di prova sulla
disponibilitdel telefono da parte del Thiam alla data del sequestro del
bambino, la prova richiesta priva di rilievo. Devo poi aggiungere una
considerazione di natura pistrettamente processuale. L'articolo 507 consente
l'assunzione di nuovi mezzi di prova solo laddove la loro necessitsia emersa
nel corso del dibattimento. In questo caso la prova ben poteva essere richiesta
nella fase introduttiva, ma la difesa non lo ha fatto, per negligenza o per
altre ragioni che non conosciamo. In ogni caso la richiesta tardiva e anche
sotto questo profilo deve essere respinta.
La parte civile ha osservazioni?", disse ancora il presidente.
Ci riportiamo alle considerazioni gisvolte dal pubblico ministero.
Presidente" dissi io "mi consente una brevissima replica alle osservazioni del
pubblico ministero?.
Come lei sa bene, avvocato, non sono ammesse repliche in questa fase.
Presidente....
Avvocato, non una parola di pi Glielo ripeto: non una parola di pi
Cosdicendo si alzper andare in camera di consiglio. Ad uno ad uno si
alzarono i giudici popolari per seguirlo. Il giudice a latere rimase seduto.
Ebbi l'impressione che serrasse le labbra per un attimo. Poi si alzanche lui e
si diresse, per ultimo, in camera di consiglio.
Aspettammo a lungo. Di solito decisioni come quella, su richieste di prove
integrative, vengono prese direttamente in udienza o dopo una camera di
consiglio di qualche minuto. Quel giorno invece no. Passavano le ore senza che
succedesse niente. Scambiavo chiacchiere con il cancelliere che mi diceva di non
capire il perchdi quel ritardo. Rispondevo che anch'io non riuscivo a capire,
ma non era vero. Stavano cosa lungo in camera di consiglio perch di fatto,
la corte si era spaccata fra quelli che avevano gideciso di condannare Abdou e
quelli che volevano capire meglio. Se vincevano i primi e se la mia richiesta di
acquisire quei tabulati veniva respinta, potevo tranquillamente risparmiarmi la
fatica di discutere la causa. Abdou era gispacciato. Eravamo ancora in gioco
solo se vincevano gli altri.
Dalla gabbia Abdou mi chiese cosa stesse succedendo ed io gli mentii, dicendo
che quella attesa era del tutto normale.
Mi venne di chiamare Margherita, ma non lo feci.
Senza una ragione che fossi in grado di identificare, mi venne in mente un
proverbio turco, antico, che diceva pio meno cos Prima di amare, impara a
camminare sulla neve senza lasciare impronte. Perchmi veniva in mente quel
proverbio?
Mi sentivo solo e, cazzo, mi stava venendo da piangere. Dopo mesi, proprio in
quel momento, e in quel posto. No. Per piacere, no.
Andai verso l'uscita dell'aula, per evitare di dare spettacolo, just in case, e
per accendere un'altra sigaretta. L'avevo gimessa fra le labbra quando i miei
pensieri furono lacerati dal suono provvidenziale della
campanella.
Tornai al mio posto, misi la toga, e mi accorsi di avere ancora la sigaretta
appesa ad un angolo della bocca quando i giudici erano girientrati, si erano
seduti e il presidente cominciava a leggere l'ordinanza.
Abbassai lo sguardo sul mio banco e socchiusi gli occhi, sfuocando le carte che
avevo davanti. Ascoltai.
La corte di assise di Bari, pronunciandosi sulla richiesta di assunzione di
nuovi mezzi di prova formulata dalla difesa dell'imputato Thiam Abdou, osserva
quanto segue.
La difesa dell'imputato richiede, a norma dell'art. 507 del codice di procedura
penale, l'acquisizione dei tabulati relativi al traffico telefonico dell'utenza
cellulare 0339-7134964 per il giorno 5 agosto 1999, sul duplice presupposto che
la necessitdi tale acquisizione sia emersa nel corso dell'istruttoria
dibattimentale (in particolare: nel corso dell'esame dell'imputato) e che
comunque la detta acquisizione sia assolutamente necessaria alfine di accertare
la verit
Il pubblico ministero si oppone sostenendo la non rilevanza (o comunque la non
assoluta necessit e la tardivitdella richiesta.
Effettivamente, come ha osservato il pubblico ministero, la richiesta poteva
bene essere avanzata in sede di esposizione introduttiva, perchgli elementi
per formularla erano giin quella fase nella disponibilitdella difesa.
La richiesta dunque da considerare tecnicamente tardiva.
Il presidente fece una pausa, o cosmi parve. Io rimasi con gli occhi socchiusi
e lo sguardo abbassato. Qualche secondo dopo mi sarei accorto che avevo
trattenuto il respiro.
Sotto altro profilo, per Per Avevano accolto.
Sotto altro profilo, peroccorre rilevare, in coerenza con la giurisprudenza
della corte di cassazione, che il giudice di merito tenuto a non trascurare
che il fine primario del processo penale non puche rimanere quello della
ricerca della verit In tale prospettiva non sono accettabili metodologie o
scelte processuali che ostacolino in modo irragionevole il processo di
accertamento del fatto storico, necessario per conseguire una giusta decisione.
Tanto premesso occorre evidenziare che la prova richiesta e da intendersi conte
potenzialmente decisiva. Dall'acquisizione dei tabulati potrebbe infatti
emergere una vera e propria prova di alibi, laddove risultasse una
localizzazione dell'imputato, incompat駬ile con l'ipotesi della sua
responsabilitper i fatti oggetto di imputazione.
Per questi motivi la corte di assise di Bari ordina l'acquisizione dei tabulati
relativi al traffico telefonico dell'utenza 0339-7134964 per il giorno 5 agosto
1999, dalle ore 6.00 alle ore 24.00.
Dispone altresl'audizione del responsabile della sede Telecom di Bari, o di
altro dipendente della medesima societespressamente delegato, per illustrare
in udienza il preciso significato dei tabulati.
Delega la sezione di polizia giudiziaria in sede, assegnando il termine di
giorni 5 per l'esecuzione.
Rinvia per l'assunzione della prova e per la discussione all'udienza del 3
luglio. L'udienza tolta.
Riaprii gli occhi e sollevai lo sguardo quando la corte era giuscita
dall'aula.
Mancava una settimana alla fine. In un modo o nell'altro.
In quella settimana ci furono giorni stranamente normali. Lavorai normalmente,
feci le mie normali udienze, ricevetti clienti, incassai qualche parcella, il
che non era male, e tutto il resto.
Non mi occupai del processo di Abdou. Dovevo aspettare l'arrivo dei tabulati
perchdal risultato di quell'accertamento dipendeva l'impostazione che avrei
dato alla mia arringa. Fino a quel momento era inutile che riguardassi carte o
cominciassi a preparare la discussione.
Giovedpomeriggio Margherita mi chiamsul cellulare. Dopo il messaggio di
domenica sera non ci eravamo sentiti. Non l'avevo chiamata, navevo provato a
citofonarle. Non so perch Qualcosa mi aveva trattenuto.
Avevo voglia di uscire a bere qualcosa, dopo cena? S ne avevo voglia. Le
citofonavo o bussavo a casa sua ? Ah, usciva prima e potevamo vederci
direttamente da qualche parte, sul tardi. Andava bene per me su via Venezia,
davanti al Fortino, verso le dieci e mezza ? Andava bene. A dopo allora.
Aveva un tono di voce un po' strano, e mi diede un leggero senso di
inquietudine.
Il pomeriggio passlentamente, da quel momento. Diventai distratto e guardai
spesso l'orologio.
Me ne andai dallo studio verso le otto, a casa feci una doccia, mi cambiai e
uscii molto prima dell'appuntamento. Feci passare il tempo, a fatica e verso le
dieci mi avviai dalle parti del Fortino.
Camminavo in salita lungo via Venezia, fra la gente. Era piena, come sempre a
quell'ora d'estate.
Soprattutto gruppi di ragazzi. Mandavano un odore misto di deodorante, di latte
solare e di gomma da masticare alla clorofilla. Qualche famiglia della citt vecchia. Qualche cinquantenne abbronzato con ragazza ventenne in una nuvola di
profumo. Miei coetanei, pochissimi. Chissperch mi chiesi tanto per macinare
un pensiero.
Arrivai al Fortino con almeno dieci minuti d'anticipo, ma mi sentivo meglio
perchil tempo era passato. Appoggiato di spalle sul muro accesi una sigaretta
e mi guardai attorno, in attesa. Arrivattorno alle undici meno venti.
Scusami. E stata una giornata pesante. In una settimana pesante. E fermiamoci
alla settimana.
Che successo?.
Camminiamo, vuoi?.
Ci dirigemmo verso nord, sempre su via Venezia. Man mano che ci allontanavamo
dalla zona del Fortino la gente si diradava. Gruppi pipiccoli, coppie, qualche
camminatore solitario, qualche poliziotto in divisa, a
sorvegliare. Camminammo senza parlare, fin quando arrivammo all'altezza della
basilica di San Nicola. Un tipo con un cane corso ci passvicino e il bestione
si inchiodper annusare le gambe di Margherita. Lei pure si ferm allungla
mano e accarezzil cane sulla testa. Il padrone era stupito che la belva si
lasciasse toccare in quel modo, da una estranea. Era la prima volta che
succedeva, ci disse. La signora aveva un cane? No, non l'aveva. Lo aveva avuto,
ma era morto tanti anni fa.
Il cane ed il padrone andarono via e noi ci sedemmo sul muretto che si affaccia
sul lato destro di San Nicola.
Come ti andata in questi giorni? Il processo?", disse.
Bene, spero. Lunedprossimo potremmo concludere. E a te come va?. Cauto.
Lascipassare qualche secondo e poi parlcome se non le avessi fatto nessuna
domanda.
Nei posti dove ti insegnano a smettere di bere ti spiegano anche come resistere
al rischio delle ricadute. Nel primo anno successivo al trattamento le ricadute
sono tantissime e anche dopo frequente ricascarci. Era una cosa che ci
ripetevano in continuazione. Ci saranno dei momenti difficili, dicevano, in cui
vi sentirete tristi, avrete una terribile nostalgia del passato o paura del
futuro. In quei momenti avrete voglia di bere. Una voglia che vi sembrer invincibile, che vi sommergercome un'ondata. Invece non invincibile. Sembra
che lo sia perchsiete pideboli, in quel momento. Ma, appunto, come
un'onda. Un'onda, in mare vi sommerge solo per qualche secondo, anche se quando
siete sotto vi sembra un'eternit Ne venite fuori facilmente, se non vi
lasciate prendere dal panico. Allora, dicevano, ricordatevi che basta restare
calmi, in quei momenti. Non lasciatevi prendere dal panico, ricordatevi che in
breve metterete la testa fuori dall'acqua perchl'onda sarpassata. Quando
siete colpiti dall'impulso irresistibile a bere, fate qualcosa per lasciare
passare i secondi, o i minuti che dura la crisi. Flessioni, due chilometri di
corsa, mangiate un frutto, chiamate un amico. Qualsiasi cosa faccia passare il
tempo senza pensare. Io stavo in silenzio, e avevo paura di quello che
avrei sentito dopo.
A me capitato diverse volte, come a tutti. L'aikido mi ha aiutato. Quando
arrivava l'ondata, mettevo il kimono e ripetevo le tecniche, cercando di
concentrarmi solo su quello che stavo facendo. Funzionava. Quando finivo
l'allenamento mi ero dimenticata della
voglia di bere.
Con il tempo questi momenti si sono fatti sempre pirari. Erano almeno due anni
che non mi capitavano.
Accesi la sigaretta che tenevo fra le dita da qualche minuto. Margherita
continua parlare, senza cambiare tono, guardando in un posto indefinito
davanti a lei.
C'una persona, da quasi tre anni. Non abita a Bari e forse per questo che ha
funzionato cosa lungo. Ci vediamo nei fine settimana: o viene lui o lo
raggiungo io. Lo scorso fine settimana venuto lui. Gli avevo giparlato di
te. Cos in modo normale e sulle prime non aveva avuto problemi. O non me lo
aveva detto.
Si girleggermente verso di me, mi prese la sigaretta e ne fumuna buona parte
prima di restituirmela.
Comunque, non so come, il discorso ritornato sabato scorso. Cio piche di
discorso si trattato di una scenata di gelosia. Ora devi sapere che lui non una persona gelosa. esattamente l'opposto. Per cui sono rimasta allibita e ho
reagito male. Molto male. Eravamo stati insieme, insomma avevamo fatto
l'amore....
Mi sentii trafiggere. Subito dopo nebbia fitta nel cervello per non so quanto
tempo. Fino a quando riuscii di nuovo a capire cosa stava dicendo.
... e poi gli ho detto che non mi sarei mai aspettata discorsi del genere, da
lui. Che era una delusione e cosvia. Lui mi ha risposto che ero un'ipocrita.
Dicendo che tu eri solo un amico mentivo. Non a lui, a me stessa e per questo
ero veramente ipocrita. E che reagivo con quella violenza proprio perchsapevo
che aveva ragione. La discussione durata buona parte della notte. La mattina
lui ha detto che andava via. Che dovevo chiarirmi le idee cercando di essere
onesta, con lui e con me stessa. Poi potevamo risentirci e riparlarne. Lui andato via ed io sono rimasta l seduta sul letto, con il cervello pieno di
frastuono. Incapace di pensare. Le ore sono passate in modo allucinante e
naturalmente mi venuta voglia di bere. Una voglia pazzesca, come non mi era
mai venuta da quando ho smesso. Ho provato a mettere il kimono e ad allenarmi,
ma in realtnon ne avevo nessuna voglia. Avevo voglia di bere invece e di
sentirmi bene, di fare sparire quel frastuono dal cervello, di fare sparire la
responsabilite il dovere e gli sforzi, tutto. Cazzo.
Allora sono scesa, ho preso la macchina e sono andata a Poggiofranco. Sai che
c'quel bar grande sempre aperto, non mi ricordo mai come si chiama, dove hanno
anche vini e liquori?.
Sapevo qual era il bar e feci scon la testa. Avevo la bocca secca, la lingua
attaccata al palato.
Sono entrata e ho chiesto una bottiglia di Jim Beam che era il mio preferito. A
quel punto mi sentivo calma. Mortalmente calma. Sono tornata a casa, ho preso un
bicchiere grande, e sono andata in terrazza. Mi sono seduta al tavolo, ho rotto
il sigillo della bottiglia, hai presente quel bello schiocco, quando apri una
bottiglia nuova ?, e mi sono versata tre dita di bourbon, per cominciare. L'ho
fatto lentamente, guardando il liquido che scendeva nel bicchiere, i riflessi,
il colore. Poi ho avvicinato il bicchiere al naso e ho respirato a lungo.
ono rimasta molto tempo davanti a quel bicchiere, con i pensieri che giravano
attorno a se stessi. Sei una cattiva ragazza. Lo sei sempre stata. Non ci si pu ribellare al proprio destino. inutile. Diverse volte ho alzato il bicchiere
per bere, l'ho guardato e poi l'ho poggiato di nuovo sul tavolo. Tanto ero
sicura che avrei bevuto e allora potevo prendermela molto calma.
diventato buio ed ero sempre l con questo bicchiere di bourbon. Ho pensato
che mi andava di riempirlo di pi L'ho poggiato sul tavolo, ho preso la
bottiglia e ho versato, molto lentamente, ancora. Il bicchiere si riempito
fino alla met due terzi, fino all'orlo. Ed io ho continuato a versare.
Pianissimo il liquido ha cominciato a traboccare e io lo guardavo, scendere
sulle pareti esterne del bicchiere e poi spandersi sul tavolo e poi gocciolare
per terra.
Quando la bottiglia si svuotata l'ho poggiata sul tavolo. Ho preso il
bicchiere con due dita e l'ho inclinato lentamente, senza sollevarlo. Cosha
cominciato a svuotarsi. Anche questo molto lentamente. Man mano che si svuotava
lo inclinavo di pi Alla fine l'ho rovesciato.
Mi passai le mani sulla faccia respirando, finalmente. Mi accorsi anche del
dolore alle mascelle.
A quel punto mi sono alzata, ho preso secchio e stracci e ho pulito tutto. Ho
messo gli stracci e la bottiglia vuota in un sacchetto, sono scesa in strada e
ho buttato tutto in un cassone della spazzatura. Avevo voglia di chiamarti, ma
non mi sembrava una cosa giusta. Dovevo finire di sbrigarmela da sola, ho
pensato. Allora almeno ti ho mandato quel messaggio.
Smise di parlare cos quasi bruscamente. Rimanemmo a lungo in silenzio, seduti
su quel muro. Io avevo domande che mi bruciavano. Riguardavano lui,
naturalmente. Cosa era successo dopo quella sera ? Oggi, dove era stata ? Si
erano rivisti, parlati e cosvia ?
Non ne feci nessuna. Non fu facile, ma non feci nessuna domanda. Per tutto il
tempo che rimanemmo seduti e dopo, quando attraversammo la cittfino al nostro
palazzo. Fino a quando fu il momento di salutarci, davanti alla porta di casa
sua. Allora fu lei a parlare.
Cosa pensi di me, dopo le cose che ti ho detto?. "Quello che pensavo prima. solo un po' picomplicato. "Vuoi entrare?.
Pensai qualche secondo prima di rispondere. "No, stasera no. Ma non
fraintendere, solo che... . Mi interruppe parlando in fretta. A disagio. "Non
fraintendo. Hai ragione. Non dovevo nemmeno dirtelo. Hai detto che lunedil
processo finisce?.
probabile. Dipende da un ultimo accertamento ordinato dalla corte. Se alcuni
documenti arrivano in tempo, allora dovremmo chiudere luned "Ma tu parlerai la
mattina?. "No, non credo. Quasi sicuramente il pomeriggio. "Allora quasi
sicuramente riesco a venire. Voglio esserci quando parli. "Anch'io vorrei che ci
fossi. "Allora... buonanotte. E grazie. "Buonanotte. Ero giper le scale.
"Guido.... "S.
Sono andata da lui, dopo. Gli ho detto che aveva ragione. Sull'ipocrisia, la
mia, e tutto il resto.
Fece una breve pausa e parlancora. C'era una fragilitsconosciuta nella sua
voce. "Ho fatto bene?.
Socchiusi gli occhi e respirai profondamente, sentendo un nodo che si scioglieva
alla bocca dello stomaco. Le dissi che s aveva fatto bene.
I tabulati arrivarono puntualmente, il quinto giorno dall'udienza in cui ne era
stata ordinata l'acquisizione. Me lo disse il maresciallo dei carabinieri che
aveva eseguito il provvedimento della corte. Era un mio amico e gli avevo
telefonato per sapere se quelle carte erano arrivate. Disse che erano arrivate e
allora andai in tribunale per esaminarle.
Era sabato, primo di luglio. Il palazzo di giustizia era deserto e l'atmosfera
vagamente surreale.
La porta della cancelleria della corte d'assise era chiusa. Aprii e dentro non
c'era nessuno, ma almeno l'aria condizionata funzionava. Cosentrai, richiusi
la porta e aspettai che qualcuno ritornasse e mi facesse consultare i tabulati.
Dopo un quarto d'ora finalmente entrun impiegato piccolo di statura, sulla
sessantina, che non conoscevo. Mi guardcon aria assente e mi chiese se avessi
bisogno di qualcosa. Avevo bisogno di qualcosa e glielo dissi. Lui sembr riflettere qualche istante e poi fece scol capo, in modo pensoso.
La ricerca delle carte fu una operazione laboriosa e alquanto snervante ma in un
modo o nell'altro, alla fine l'omino riusca trovarle.
Dai tabulati veniva fuori che Abdou aveva sicuramente detto la verit sul
viaggio a Napoli. La prima telefonata era delle 9,18. Era una chiamata in uscita
dal telefono di Abdou, era diretta a un numero di Napoli ed era durata 2 minuti
e 14 secondi. All'ora di quella telefonata Abdou era gia Napoli, o nelle
immediate vicinanze. Seguivano altre quattro telefonate, a numeri di Napoli e a
telefoni cellulari, in cui la localizzazione era sempre Napoli. L'ultima era
delle 12,46. Poi non succedeva niente per oltre quattro ore. Alle 16,52 Abdou
riceveva una telefonata da un telefono cellulare. In quel momento la
localizzazione era su Bari citt La successiva telefonata era delle 21,10. Era
una chiamata in uscita dal telefono di Abdou ad un altro cellulare. La
localizzazione era ancora Bari. Poi piniente.
Mi fermai a riflettere sul risultato di quell'accertamento. Certamente non era
risolutivo e non chiudeva il processo. C'era un tempo vuoto di oltre quattro
ore, e proprio al centro di quelle quattro ore si era verificata la scomparsa
del bambino. Quello che risultava dai tabulati non consentiva di escludere che
Abdou, tornato da Napoli, avesse proseguito per Monopoli, fosse arrivato a
Capitolo, avesse preso il bambino, avesse fatto chisscosa d'altro, eccetera,
eccetera.
Mi alzai per andare via e mi accorsi che l'omino era seduto dall'altro lato
della cancelleria, con il mento appoggiato alle mani, i gomiti sulla scrivania e
lo sguardo perduto da qualche parte.
Gli augurai buona giornata. Lui girla testa, mi guardcome se avessi detto
qualcosa di strano e poi, mentre si voltava di nuovo fece una specie di cenno
col capo. Impossibile capire se aveva risposto al saluto o se era rimasto
altrove e dialogava con qualche fantasma.
Fuori l'aria era rovente. Era mezzogiorno di sabato primo luglio e mi accingevo
a chiudermi in studio per preparare la discussione del processo.
Mi aspettava un lungo fine settimana.
L'udienza comincipuntuale alle nove e trenta. La corte prese atto dell'arrivo
dei tabulati e concordammo tutti che non erano necessarie le spiegazioni di un
tecnico, sul significato dei dati. Ai nostri fini, quello che si leggeva sui
tabulati era chiaro a sufficienza. L'ingegnere della Telecom che si era
presentato in udienza per deporre fu ringraziato e gli fu detto che poteva
andare.
Subito dopo il presidente esaurle ultime formalitdel dibattimento e diede la
parola al pubblico ministero. Erano le nove e quaranta minuti.
Cervellati si alzspingendo indietro la sedia e appoggiandosi al tavolo. Si
aggiustla toga sulle spalle, diede uno sguardo agli appunti e poi sollevil
capo rivolgendosi al presidente.
Signor presidente, signor giudice a latere, signori giudici popolari. Oggi siete
chiamati a giudicare di un crimine orribile. Una giovane vita, una giovanissima
vita recisa brutalmente, per effetto di una abiezione di cui non riusciamo a
vedere la causa e la misura. Gli effetti di questa abiezione purtroppo sono
irrimediabili. Nessuno potrrestituire questo bambino all'affetto dei suoi
genitori. Non io, non voi, nessuno.
Voi peravete un potere grande e importante, di cui spero farete buon uso. Di
cui sono sicuro farete buon uso.
Pensai: adesso dirche hanno il potere, e insieme il dovere, di fare giustizia.
Di impedire che l'autore di un crimine cosnefando possa andare via
indisturbato, magari per qualche cavillo eccetera eccetera.
Voi avete il potere di fare giustizia. E questo un potere impegnativo, perch porta con sil dovere di rendere giustizia. Alla famiglia della piccola
vittima, innanzi tutto. Ma poi a tutti noi che, come cittadini, attendiamo una
risposta quando accadono fatti costremendi.
Era una delle sue frasi preferite, in corte di assise. Era convinto di
impressionare i giudici popolari, credo. Comunque continusu questi toni e io
in breve cominciai a distrarmi.
Sentivo la sua voce come un rumore di fondo. Ogni tanto seguivo il discorso per
qualche minuto e poi tornavo a divagare per conto mio.
Parldi quello che era successo nel corso del dibattimento, lesse con voce
monotona lunghi pezzi dei verbali e spiegper quali motivi le prove di accusa
erano da ritenere pienamente attendibili, nessuna esclusa.
Una delle requisitorie pinoiose che avessi mai sentito, pensai mentre
sfogliavo il fascicolo che avevo davanti, tanto per fare qualcosa.
Ad un certo punto arriva parlare della testimonianza del barista, che era il
cuore del processo.
Rilesse le dichiarazioni di Renna, ma non le risposte alle mie domande, e le
comment Mi sforzai di ascoltare con attenzione.
Allora dobbiamo chiederci, dovete chiedervi: che ragioni aveva il testimone
Renna di accusare falsamente l'odierno imputato? Perchla questione, invero, molto semplice e l'alternativa netta. Una ipotesi che il teste Renna menta,
ponendo le condizioni per la condanna di un innocente all'ergastolo. Perchlui
sa benissimo quali sono le conseguenze della sua deposizione, e cionondimeno
insiste, anche dopo le difficoltche abbiamo visto in occasione del
controesame. Se mente, accusando di fatto un innocente per un reato da
ergastolo, deve avere una ragione. Una ostilitpersonale anzi un odio feroce e
abietto, perchsolo un simile odio potrebbe spiegare una azione cosaberrante.
Esiste prova, o anche solo il sospetto di questo odio distruttivo da parte del
Renna nei confronti dell'imputato? Naturalmente no.
L'altra ipotesi che il teste invece dica la verit E se non esiste nessun
elemento per dire che il teste mente, dobbiamo riconoscere che, certo con
imprecisioni, con errori, con naturali momenti di confusione, egli dice la
verit
Le conseguenze sull'esito del presente processo sono evidenti. Perchnon
dimenticate che l'imputato nega di essere stato a Monopoli, a Capitolo quel
pomeriggio. E se lui nega quando invece in quei posti c'stato, e noi possiamo
affermarlo serenamente perchce lo dice un teste che non ha nessun motivo per
mentire, la spiegazione una sola ed tristemente sotto gli occhi di tutti.
Questo concetto lo annotai, perchaveva un senso e bisognava confutarlo
esplicitamente.
Cervellati prosegue, seguendo l'ordine cronologico del dibattimento, arriva
parlare dei tabulati.
Disse quello che mi aspettavo. L'accertamento richiesto dalla difesa non solo
non aveva provato l'innocenza dell'imputato, ma forniva, al contrario, ulteriori
spunti per sostenere l'accusa.
Perchquel buco di quasi cinque ore, senza telefonate, in cui probabilmente
l'apparecchio era stato spento, costituiva un dato indiziario da valorizzare.
Era verosimile, altamente verosimile, disse, che l'imputato, arrivato a Bari da
Napoli, avesse proseguito per Capitolo avendo giuna idea del da farsi. O
magari in preda ad un raptus. Era probabile che avesse spento il cellulare, per
non essere disturbato nella sua nefanda azione. E questo spiegava, meglio di
ogni altra ipotesi, l'assenza di telefonate dalle diciassette fin dopo le
ventuno.
Anche su questa parte della requisitoria presi appunti. Era un argomento
insidioso che poteva suggestionare i giudici.
Seguuna ricostruzione ipotetica di come Abdou poteva avere realizzato la fase
esecutiva del suo piano, sfruttando in modo subdolo e abietto la fiducia del
bambino.
Quello che era accaduto dopo il sequestro poteva essere facilmente ipotizzato.
Il bambino, resosi conto di quello che stava accadendo, aveva tentato di
resistere al tentativo di violenza. Magari aveva tentato di fuggire, e questo
aveva innescato la reazione letale dell'imputato. Probabilmente non erano state
trovate tracce di abuso sessuale perchla situazione era precipitata prima che
tale abuso, che certamente era l'obiettivo cui l'imputato mirava, fosse
consumato.
In conclusione il pubblico ministero spiegi motivi per cui la sola pena
adeguata a quel reato fosse quella del carcere a vita. Era la parte pi convincente della requisitoria percheffettivamente, l'ergastolo sarebbe stata
la giusta pena per l'autore di un fatto del genere. Mentre pensavo questo,
Cervellati concludeva con la formula rituale della richiesta di condanna.
Per i motivi fin qui enunciati dunque, vi chiedo di affermare la penale
responsabilitdell'imputato per tutti i reati che gli sono ascritti e di
condannarlo pertanto alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per mesi
sei, applicando altresla pena accessoria dell'interdizione perpetua dai
pubblici uffici.
Feci un respiro profondo, guardai l'orologio e mi resi conto che erano passate
quasi due ore.
Il presidente disse che avremmo fatto una breve pausa prima di dare la parola
alla parte civile. Poi ci sarebbe stata una sospensione di un'ora per il pranzo
e alla ripresa avrei parlato io. Dopo le eventuali repliche la corte si sarebbe
ritirata in camera di consiglio. L'aula si svuoted anche io mi alzai per
andare a fumare, mentre rimaneva solo Cotugno, che metteva a punto gli ultimi
dettagli della sua arringa.
Fuori, una giornalista che non avevo mai visto prima mi chiese cosa ne pensavo
della richiesta del pubblico ministero.
Ne pensavo che raramente avevo sentito domande cosidiote. Ebbi l'impulso di
esprimere questo concetto, ma naturalmente non lo feci. Non dissi nulla, alzai
le spalle, scossi la testa e allargai leggermente le mani, con le palme rivolte
verso l'alto. Mi allontanai tirando fuori il pacchetto delle sigarette mentre la
ragazza mi guardava un po' interdetta.
Ero abbastanza tranquillo. Non avevo voglia di riguardare i miei appunti. Non
avevo voglia di fare piniente fino al momento in cui sarebbe toccato a me di
parlare. E comunque non ne sentivo il bisogno.
Era una sensazione nuova, per me. Ero sempre arrivato con l'affanno agli
appuntamenti importanti, di lavoro, di studio o di altro. Mi ero sempre ridotto
all'ultimo momento, all'ultima notte, all'ultimo ripasso e, dopo, avevo sempre
avuto l'impressione di avere rubato qualcosa e di averla fatta franca. Ero
riuscito a fregare il mondo ancora una volta. Ancora una volta non erano
riusciti a scoprirmi ma dentro di me sapevo di essere un impostore. Prima o poi
qualcuno se ne sarebbe accorto. Sicuro.
Quella mattina mi sentivo bene. Sapevo di avere fatto tutto quello che potevo.
Avevo paura, ma era una paura sana, non la paura di essere scoperto e che tutti
si accorgessero che ero fasullo. Avevo paura di perdere il processo, avevo paura
che Abdou fosse condannato, ma non avevo paura di perdere la dignit Non mi
sentivo un impostore.
Cotugno parlper poco pidi un'ora, usmolti avverbi e molti aggettivi e
riusca non dire assolutamente nulla.
Nella pausa del pranzo salii al sesto piano, al consiglio dell'ordine. Avevo
bisogno di un vocabolario per controllare un'idea che mi era venuta mentre
parlava il pubblico ministero. Trovai l'impiegata che stava chiudendo tutto e
stava per andare via ma riuscii a convincerla che era un caso di emergenza. Mi
fece entrare in biblioteca dove feci rapidamente il mio controllo e presi
qualche appunto. Poi ringraziai, salutai e andai via.
A quel punto avrei voluto fare due passi ma, fuori, il caldo era insopportabile.
Allora andai al bar del tribunale, ordinai un frullato e un cornetto, mi sedetti
a un tavolino e feci passare il tempo.
Quando fu l'ora mi alzai, tornai in aula, tolsi la giacca e indossai la toga.
Quasi contemporaneamente suonla campanella e si aprla porta della camera di
consiglio. I giudici entrarono ad uno ad uno e io li guardavo stando in piedi,
con le braccia incrociate, bilanciato sulla gamba sinistra. Si sedettero tutti e
mi sedetti anche io. C'era silenzio.
La parola alla difesa dell'imputato", disse seccamente il presidente.
Mi stavo alzando quando notai gli sguardi di alcuni fra i giudici che si
dirigevano in un punto immediatamente alle mie spalle. Sentii qualcuno che mi
stringeva delicatamente il braccio sinistro subito sopra il gomito. Mi girai e
vidi Margherita. Aveva un leggero affanno e piccole gocce sul labbro superiore.
Fece balenare un sorriso, non disse niente e si sedette alla mia destra.
Prima che cominciassi a parlare passqualche secondo.
Signori giudici, come vi ha gidetto il pubblico ministero, questo processo
riguarda il piorribile ed innaturale dei crimini. La morte violenta di un
bambino con il suo strascico di dolore incomprensibile, senza misura, per i
genitori di quel bambino.
Se la nostra difesa, in qualche modo, involontariamente, ha mancato di rispetto
a quel dolore, chiedo scusa.
Il presidente mi guardsenza simpatia. Pensava che quel modo di cominciare
fosse solo un espediente per accattivarmi i giudici popolari. Ero sicuro che la
pensasse cosed ebbi voglia di dirgli che lo sapevo, e che non me ne importava
niente.
Qualcuno potrebbe pensare che questo sia solo un modo, alquanto miserabile, per
catturare la simpatia dei giudici. Quantomeno dei giudici popolari. Non sarebbe
un pensiero assurdo perch spesso, noi avvocati facciamo di queste cose. E
comunque: ognuno libero di pensarla come crede. Anche perchi processi non si
discutono e non si decidono in base alla simpatia o all'antipatia dell'avvocato
o del pubblico ministero. Per fortuna. I processi si decidono, permettetemi la
banalit in base alle prove. Se ci sono si condanna. Se mancano o anche se sono
solo insufficienti o contraddittorie, si assolve.
E allora dobbiamo chiederci in base a quali criteri possiamo affermare che le
prove in un processo sono sufficienti, e consentono di condannare, o sono
insufficienti o contraddittorie, e impongono allora di assolvere.
Per ragionare di questi temi possiamo prendere spunto sicuramente dalla
impostazione che ci ha proposto la pubblica accusa.
Il pubblico ministero ha detto, mi sono annotato testualmente la frase, ha
detto: dunque altamente verosimile che l'imputato sia giunto a Bari da Napoli,
abbia proseguito per Monopoli, in preda ad un raptus o avendo gida prima
elaborato nei dettagli il suo proposito criminoso, sia giunto a Capitolo, magari
abbia spento il cellulare per agire indisturbato e abbia rapito il bambino. ..
eccetera. Da questa alta verosimiglianza il pubblico ministero desume un
argomento importante, se non decisivo, per sostenere la responsabilit dell'imputato e per chiedere che gli venga applicato l'ergastolo.
Allora, per verificare la consistenza e l'attendibilitdell'argomentazione
dell'accusa, dobbiamo verificare cosa significa verosimiglianza.
Feci una pausa, presi dal banco il foglietto che avevo annotato poco prima in
biblioteca e lessi.
Verosimile, dice il vocabolario della lingua italiana Zingarelli, quello che
sembra vero e che, quindi, credibile.
Sembra vero e quindi credibile.
Sempre nello Zingarelli leggiamo la definizione di vero. Vero ciche si effettivamente verificato, che pienamente conforme alla realtoggettiva. Alla
voce vero troviamo, fra le altre, la locuzione: sembrare vero. Lo Zingarelli
spiega che questa espressione, sembrare vero, si usa a proposito di cosa
artificiale che imita perfettamente la realt Ciche sembra vero qualcosa di
artificiale, che imita la realt
Ricordate la definizione di verosimile? La parola usata dal pubblico ministero?
Verosimile ciche sembra vero, e ciche sembra vero qualcosa che imita la
realt ma che ad essa non corrisponde. in sostanza, qualcosa di diverso
dalla realt Usando l'espressione: verosimile, il rappresentante dell'accusa
ammette implicitamente ed inconsciamente di non potere usare l'espressione:
vero. Vedete bene come nelle stesse pieghe del discorso dell'accusa si celi la
sua irrimediabile debolezza.
A questo punto, come mi aspettavo, Cervellati si innervose protestcon il
presidente. Era inaccettabile che alla difesa si consentisse di ridicolizzare
l'ufficio del pubblico ministero con argomenti sofistici di bassa lega. Il
presidente non gradl'interruzione e ricordal pubblico ministero che la
difesa poteva dire quello che voleva, con la sola esclusione delle offese
personali. Non gli sembrava che fosse quello il caso. Cervellati cercdi
aggiungere qualcosa ma il presidente gli disse, bruscamente questa volta, che
avrebbe fatto i suoi commenti sulla mia arringa, se riteneva, al momento delle
repliche. Era tutto e non avrebbe tollerato ulteriori interruzioni. Si rivolse a
me e mi disse di andare avanti. Ringraziai, evitai accuratamente di fare
qualsiasi accenno all'interruzione e ripresi a parlare.
Ciche abbiamo detto brevemente sul significato di queste parole chiave, vero e
verosimile, ci offre dunque una interessante prospettiva di lettura degli
argomenti del pubblico ministero e delle premesse psicologiche di tali
argomenti.
Il processo pernon si fa sulla interpretazione in chiave psicologica di quello
che dice il pubblico ministero. E il processo non si fa nemmeno analizzando
quello che ha detto il pubblico ministero per verificare se il suo ragionamento
giusto o sbagliato. Perchil pubblico ministero potrebbe avere fatto un
ragionamento sbagliato e ciononostante potrebbe essere giunto a conclusioni
giuste. Ciopotrebbe essere giusto pronunciare una sentenza di condanna.
Nonostante il ragionamento sbagliato del pubblico ministero e in base ad un
diverso, picorretto percorso argomentativo.
Cervellati si alz poggila toga sulla sedia e uscostentatamente dall'aula.
Io non mostrai di essermene accorto.
Dunque non basta individuare le eventuali carenze dell'argomentazione del
pubblico ministero. Occorre verificare se gli elementi di prova raccolti
consentano o meno di formulare un giudizio di verit Noi non vogliamo sottrarci
a questo compito. Ma prima di affrontarlo lasciatemi ripetere un concetto.
un concetto che vorrei teneste a mente durante tutta questa discussione e,
soprattutto, quando sarete in camera di consiglio. Per condannare voi non
potrete dire che una certa versione dei fatti, una certa ipotesi ricostruttiva
dei fatti verosimile, o anche molto verosimile. Dovrete dire che questa
ricostruzione vera. Se potrete farlo, allora giusto che condanniate.
All'ergastolo.
L'ipotesi ricostruttiva proposta dall'accusa, in questo processo la seguente:
Thiam Abdou, il giorno 5 agosto 1999, ha sequestrato il minore Rubino Francesco,
cagionandone successivamente la morte per soffocamento.
Possiamo dire, in base alle prove raccolte, che questa ipotesi ricostruttiva vera? Ciopossiamo dire che si tratta di una corretta descrizione di come si
sono veramente svolti i fatti storici e non di una semplice congettura su come
potrebbero essersi svolti?.
Mi fermai come se avessi perso il filo. Rivolsi lo sguardo verso il basso e mi
sfiorai la fronte con indice e medio della mano destra. Dopo qualche istante
rialzai lo sguardo verso i giudici, rimanendo senza parlare ancora per qualche
secondo. C'era silenzio e tutti mi guardavano, in attesa.
Esaminiamo insieme queste prove. E in particolare esaminiamo le dichiarazioni
del testimone Renna, proprietario del bar Maracaibo. Per evitare ogni equivoco
voglio dire subito che sono d'accordo con il pubblico ministero, sul fatto che
questo testimone dice la verit O per essere piprecisi: questo testimone non
dice bugie.
Feci un'altra breve pausa per dar loro il tempo di chiedersi dove volevo
arrivare.
Perchla bugia una asserzione consapevolmente contraria alla verited io
sono convinto che il signor Renna non abbia fatto asserzioni consapevolmente
contrarie alla verit Raccontando di avere visto Abdou Thiam passare davanti al
suo bar, proprio quel pomeriggio, a quell'ora, il signor Renna ritiene di
raccontare la verit E infatti egli non avrebbe nessun motivo di accusare
falsamente l'imputato.
Certo, dal suo esame emerso che egli non ha, come dire, particolare simpatia
per gli ambulanti extracomunitari che gravitano nella zona di Capitolo e nei
paraggi del suo bar.
Voglio rileggervi un piccolo passaggio del controesame. Si sta parlando di
extracomunitari, che il signor Renna chiama negri. Il difensore chiede se queste
persone disturbino l'attivitcommerciale del Renna. Il testimone risponde.
Disturbano, disturbano, e come che disturbano. " "Va beh scusi, se disturbano
perchlei non chiama i vigili o i carabinieri?.
Perchnon li chiamo? Io li chiamo, ma tu li hai visti mai a venire ?.
Insomma, il signor Renna, ce lo dice lui stesso, non gradisce la presenza, a
Capitolo e vicino al suo bar, degli ambulanti extracomunitari. Vorrebbe che le
forze dell'ordine intervenissero per fare un po' d'ordine, ma questo non accade.
Lui un po' risentito.
Tutto questo, sia chiaro, non significa che ci abbia raccontato deliberatamente
cose non vere a proposito del signor Abdou Thiam.
Ma, prescindendo dalla sua simpatia, o antipatia, per i negri, e dal suo bisogno
insoddisfatto che le forze dell'ordine facciano qualcosa, contro questi negri,
il Renna ha detto cose oggettivamente vere? Possiamo affermare al di ldi ogni
dubbio ragionevole che la versione fornita da questo testimone corrisponde alla
veritstorica dei fatti di cui ci occupiamo ?
Un elemento di dubbio desumibile dal piccolo esperimento delle fotografie, che
voi ricorderete. Renna non riconosce in fotografia, in due fotografie, voi le
avete agli atti e potete direttamente verificare se si tratti di riproduzioni
fedeli, l'imputato. Lo stesso presente in aula e, soprattutto, lo stesso che lui
dice di conoscere bene e di avere visto passare davanti al suo bar, quel
pomeriggio di agosto.
Questo significa che Renna si inventato tutto, cioche dice bugie ? No,
certamente. Il fatto che i negri non gli siano simpatici e che abbia
vistosamente fallito il riconoscimento fotografico non significa che ci abbia
consapevolmente mentito.
Quando lui dice di ricordare che quel pomeriggio Abdou Thiam passdavanti al
suo bar, senza borse, a passo svelto e in direzione sud, il testimone Renna dice
la verit
Nel senso che lui effettivamente ricorda questa sequenza di fatti e la colloca
in quel pomeriggio. Dunque per essere piprecisi, lui racconta quella che crede
essere la verit La cosa assai interessante, e questo ci introduce in un campo
affascinante, che quello del funzionamento della memoria, che Renna crede
che quella sia la verit perchricorda quei fatti, anche se essi non si sono
verificati. Non nei termini del suo racconto.
Pausa. Avevo bisogno che questi concetti si depositassero nella mente dei
giudici, soprattutto dei giudici popolari. Feci finta di frugare fra gli appunti
e lasciai passare una decina di secondi. Il tempo che si chiedessero cosa
sarebbe venuto dopo.
Adesso voglio raccontarvi di un esperimento scientifico sul funzionamento della
memoria e sul meccanismo di produzione dei ricordi. Una 廦uipe di psicologi
americani, credo dell'universitdi Harvard, voleva verificare l'attendibilit dei ricordi infantili. A dei bambini di nove, dieci anni fu raccontato, dai loro
fratelli maggiori che erano stati istruiti per fare ci che all'etdi quattro
o cinque anni erano sfuggiti ad un tentativo di rapimento. Gli fu detto che,
trovandosi al supermercato con la mamma ed in un momento di distrazione di
quest'ultima, uno sconosciuto li aveva presi per mano e si era diretto verso
l'uscita. La mamma si era accorta dell'accaduto, si era messa a gridare e aveva
messo in fuga il malintenzionato.
L'episodio in realtnon era mai accaduto ma, dopo pochi mesi dal racconto i
bambini non solo credevano di ricordarlo, in realted in un certo senso: lo
ricordavano, ma nel riferirlo aggiungevano addirittura ulteriori dettagli, che
non erano presenti nella versione originaria.
Questi bambini mentivano? Vale a dire: dicevano cose false, consapevoli di
farlo? Certamente no.
Questi bambini raccontavano cose realmente accadute ? Certamente no.
E un dato acquisito, e uno degli oggetti di studio piimportanti della moderna
psicologia giuridica, che tanto i bambini, quanto gli adulti commettono errori
sulla fonte dei loro ricordi e sono convinti di ricordare contesti, dati,
particolari che sono stati invece suggeriti da altri. Deliberatamente, come nel
caso dell'esperimento che vi ho raccontato. O involontariamente come in molte
situazioni della vita quotidiana e anche, a volte, durante le indagini.
Sulla base di queste considerazioni possiamo dare una risposta a quella domanda
posta dal pubblico ministero nel corso della sua requisitoria, a proposito
dell'attendibilitdel testimone Renna. Il pubblico ministero si chiesto e
soprattutto vi ha chiesto: che ragioni aveva il testimone Renna per mentire e
quindi accusare falsamente Abdou Thiam ?
Possiamo rispondere tranquillamente a quella domanda: nessuna ragione. E infatti
Renna non ha mentito. Fra il mentire, ciodire consapevolmente cose false, e
dire la veritcioriferire i fatti in modo conforme al loro effettivo
svolgimento, esiste una terza possibilit Una possibilitche il pubblico
ministero non ha considerato, ma che voi dovrete considerare molto attentamente.
Quella del teste che riferisce una certa versione dei fatti nella erronea
convinzione che essa sia vera.
Si tratta di quella che potremmo definire la falsa testimonianza inconsapevole.
Sembravano interessati. Anche il presidente e il giudice popolare con la faccia
da ufficiale in pensione. I due che, ne ero convinto, avevano gideciso di
votare per la condanna.
Ci sono molti modi di costruire un falso testimone inconsapevole. Alcuni sono
deliberati, come nel caso dell'esperimento con i bambini, di cui vi ho parlato.
Altri sono involontari e, spesso, sono ispirati dalle migliori intenzioni. Come
in questo caso.
Cerchiamo di intenderci cercando di ricostruire quello che successo
nell'indagine che ha portato alla incriminazione di Abdou Thiam e, quindi, a
questo processo. Scompare un bambino e, due giorni dopo, ne viene ritrovato il
corpo senza vita. un fatto sconvolgente e coloro i quali hanno il compito
delle indagini, carabinieri e pubblico ministero, sentono in modo urgente,
pressante il dovere di scoprire i colpevoli. Vi un'ansia sacrosanta di dare
una risposta alla domanda di giustizia generata da un fatto cosorribile.
Interrogando i familiari del bambino, ed altre persone che lo conoscevano bene,
i carabinieri scoprono questa specie di amicizia che legava il bambino a questo
ambulante di colore. un fatto strano, atipico, che genera sospetti. E genera
l'idea che forse si sulla pista giusta. Forse possibile dare risposta a
quella domanda di giustizia e placare quell'ansia. L'indagine non si muove pi nel buio, ma ha un possibile sospetto ed una ipotesi di soluzione. Questo
moltiplica gli sforzi, alla ricerca di conferme per questa ipotesi di soluzione.
Quando il testimone Renna viene sentito per la prima volta, dai carabinieri, la
situazione questa. Gli investigatori sono comprensibilmente eccitati dalla
possibilitdi risolvere il caso e si rendono conto che le dichiarazioni di
questo teste potrebbero costituire un passaggio decisivo. in questa fase che
si verifica la costruzione del falso testimone inconsapevole.
Attenzione. Vi prego, attenzione. Non sto affatto dicendo che vi sia stato un
deliberato inquinamento delle indagini. E tanto meno sto parlando di grottesche
ipotesi di complotti orditi dagli investigatori ai danni dell'imputato. La
questione contemporaneamente, pisemplice e picomplessa e per spiegare
quello che intendo dire prendera prestito una famosa frase di Albert Einstein.
La frase, se non ricordo male, suona pio meno cos la teor駮 che determina
ciche osserviamo.
Cosa significa? Significa che se abbiamo una teoria, una teoria che ci piace,
che ci soddisfa, che ci sembra buona, tendiamo ad esaminare i fatti attraverso
quella teoria. Piuttosto che osservare obbiettivamente tutti i dati disponibili,
cerchiamo solo conferme a quella teoria. La nostra stessa percezione fortemente influenzata, determinata dalla teoria che abbiamo scelto. Appunto,
come diceva Einstein, che parlava di scienza, la teoria determina ciche
riusciamo ad osservare. In altri termini: vediamo, sentiamo, percepiamo quello
che conferma la nostra teoria e, semplicemente, tralasciamo tutto il resto. C' un detto cinese che esprime in forma diversa lo stesso concetto. Dicono i
cinesi: due terzi di quello che vediamo, dietro i nostri occhi.
Tutti noi abbiamo fatto qualche esperienza di come la nostra stessa percezione
sia determinata da ci che per le pivarie ragioni nella nostra testa o,
come direbbero i cinesi, dietro i nostri occhi. "Avete mai comprato una nuova
macchina e improvvisamente, mentre la guidate ne notate decine dello stesso
tipo, sulle strade ? Dove erano prima ?
Filtri percettivi, li chiamano gli psicologi.
Parafrasando Einstein, che suppongo si starrivoltando nella tomba per questa
mia intrusione, potremmo dire: l'ipotesi investigativa che determina quello
che gli inquirenti osservano. Ma non solo. Determina quello che cercano,
determina il modo in cui agiscono con i testimoni, determina le domande che
fanno. Determina il modo in cui scrivono i verbali. Senza che tutto questo abbia
in alcun modo a che fare con la malafede.
Lasciatemelo ripetere. Tutto quello di cui sto parlando puprodurre errori
nelle indagini, e il processo serve per correggerli, ma non ha niente a che fare
con la malafede.
Semmai, in un caso come questo, ci troviamo di fronte ad un eccesso di buona
fede.
Dunque torniamo a quello che stavamo dicendo qualche minuto fa. Gli
investigatori vogliono risolvere questo caso orribile. Vogliono farlo per le
migliori ragioni e con le migliori intenzioni. Vogliono farlo per ansia di
giustizia. Vogliono farlo presto, perchl'autore di un fatto cosorribile
rimanga libero, e in grado di nuocere ancora, per il minor tempo possibile. In
questo stato d'animo scoprono una pista e individuano un possibile sospetto.
Attenzione. Non fantasie o ipotesi pretestuose. Era una buona pista e gli
elementi di sospetto a carico di Abdou Thiam erano plausibili. Sulla base di
questa buona pista gli inquirenti si lanciano alla caccia di quello che
considerano il probabile colpevole.
Da quel momento in poi i carabinieri ed il pubblico ministero hanno una teoria
che, come ci insegna Einstein, determinerquello che osserveranno, come
agiranno con i testimoni, cosa chiederanno loro, come e addirittura cosa
verbalizzeranno. In perfetta buona fede e per ansia di giustizia.
Voi capite adesso il perchdi quelle domande del difensore al maresciallo dei
carabinieri, sulle modalitdi verbalizzazione. Perchse io verbalizzo in forma
integrale, ciocon la registrazione, la stenotipia eccetera, non esiste il
problema di capire cosa successo durante l'audizione. E tutto registrato,
domande, risposte, pause, tutto, e basta rileggersi la trascrizione o anche
ascoltare la registrazione. Se l'investigatore ha influenzato involontariamente
il testimone, possibile verificarlo semplicemente leggendo. E poi ognuno fa le
sue valutazioni.
Se il verbale riassuntivo, questo controllo impossibile. E se il verbale
riassuntivo riguarda proprio il primo contatto fra gli investigatori e il teste,
il rischio di inquinamenti involontari delle dichiarazioni e degli stessi
ricordi del testimone, altissimo.
Volete un piccolo esempio di come questo puaccadere ?
Io sono l'investigatore e mi trovo davanti a quello che potrebbe essere un teste
importante, forse un teste decisivo. Ho dei fortissimi sospetti su un soggetto,
Abdou Thiam.
Chiedo al teste: conosci Abdou Thiam? Il nome non mi dice niente, se mi fate
vedere qualche foto. Ecco la foto, lo conosci? S s uno di quei negri che
si fermano spesso davanti al bar. Che danno un sacco di fastidio. Lo hai visto
passare davanti al bar il giorno della scomparsa del bambino ?
Pausa del testimone, che ci pensa su. Gli investigatori sentono di essere vicini
alla soluzione.
Pensaci bene, il pomeriggio della scomparsa del bambino. una settimana fa.
Mi sembra di s S deve essere passato. Mi sembra che era proprio lui.
A questo punto il maresciallo detta a verbale, perchvuole fissare per
iscritto, prima che il testimone cambi idea. Il che purtroppo succede spesso.
Detta a verbale, all'appuntato che scrive al computer. Detta a verbale e usa il
suo linguaggio burocratico, non le espressioni usate dal testimone.
Presi dalle mie carte la copia del primo verbale di Renna e lessi.
Nel verbale di cui stiamo parlando si trovano espressioni del tipo: "sono
coadiuvato, nella conduzione del prefato esercizio commerciale..." eccetera.
Ovviamente non sono espressioni del teste Renna. Ovviamente non sappiamo quali
domande siano state rivolte al Renna. Non lo sappiamo perchviene utilizzata la
burocratica, comoda formula: a domanda risponde. Quale domanda? Quali domande
sono state rivolte al testimone. Sono domande che lo hanno influenzato ? Sono
domande che hanno suggerito le risposte ? Sono domande che hanno costruito,
involontariamente, un ricordo ?
Non ci vuole la malafede. Basta avere una teoria da confermare, il nostro
cervello fa tutto da solo, percependo, rielaborando, verbalizzando in modo da
adattare i fatti alla teoria. Creando, anzi direi: assemblando il falso ricordo.
Dico falso non perchil Renna abbia inventato qualcosa o i carabinieri gli
abbiano dolosamente suggerito una storia falsa da raccontare. Semplicemente nel
corso della prima audizione i ricordi del Renna sono stati riprogrammati alla
luce della teoria investigativa che era stata scelta e per la quale non si
cercavano verifiche obbiettive, ma solo conferme. Sono stati riprogrammati e
come cisia avvenuto in concreto non lo potremo sapere mai pi Perch l'interrogatorio di questo signore non stato registrato ed stato solo
verbalizzato. Nel modo che abbiamo visto.
Volete sapere quanto possibile influenzare la risposta di un testimone e
addirittura modificare il suo ricordo, semplicemente porgendo la domanda in un
modo o in un altro? Lasciate che vi racconti di un'altra ricerca, italiana
questa volta. A tre gruppi di studenti di psicologia, non bambini, non
sprovveduti, ma studenti di psicologia che sapevano di essere sottoposti ad un
test scientifico, fu mostrato un filmato. In questo filmato si vedeva una
signora che usciva da un supermercato con un carrello; alle spalle della signora
si avvicinava un giovane che afferrava una borsetta posta sul carrello e poi
scappava. Ai tre gruppi di studenti, con domande diverse, fu chiesto di
raccontare cosa avevano visto. Al primo gruppo fu posta questa domanda: "il
ladro ha urtato la signora?. Al secondo gruppo: "in che modo l'aggressore ha
spinto la signora?. Agli studenti del terzo gruppo fu semplicemente chiesto di
raccontare cosa avevano visto. Inutile dire che nel filmato non c'era nessun
urto e nessuna spinta.
Io credo che voi abbiate giintuito quale fu il risultato dell'esperimento. Fra
gli studenti del terzo gruppo, quello cui era stato chiesto semplicemente di
raccontare i fatti, solo il 10%, o poco piparldi un urto o comunque di un
contatto fisico fra vittima e aggressore. Fra gli studenti del primo gruppo solo
il 20% parldi un urto. Fra gli studenti del secondo gruppo, quello cui era
stata posta la domanda pifortemente suggestiva, ci fu quasi un 70% di risposte
in cui si parlava dell'inesistente urto. Come nel caso dell'esperimento dei
bambini poi, tutti quelli che parlavano dell'urto arricchivano il racconto di
particolari sulle modalit la violenza, la direzione di questo inesistente
urto.
Bisogna aggiungere altro? Dobbiamo sprecare altre parole per spiegare quanto il
modo di condurre un interrogatorio puinfluire non solo sulle risposte, ma
sulla stessa ricostruzione dei ricordi dell'interrogato? Non credo.
Abbiamo compreso quanto sia vitale sapere quali domande, e in che sequenza, e
con che ritmo, e con che tono, siano state poste ad un testimone, nella sua
deposizione piimportante, ciola prima.
In questo caso questa informazione vitale ci viene negata, perchnel verbale
dei carabinieri c'semplicemente scritto: a domanda risponde.
A domanda risponde. Quale domanda? Quali domande?.
Alzai un poco la voce. Non faceva parte delle mie abitudini, ma i giudici
cominciavano ad essere stanchi e invece mi stavo avvicinando al punto cruciale.
Dovevo tenerli svegli.
Abbiamo detto che se non sappiamo qual la domanda non possiamo dire se la
risposta genuina o stata influenzata, o addirittura manipolata. Non lo
potremo dire mai piperchdi quell'esame, di quel primo esame del teste Renna,
ci resta solo questo succinto verbale riassuntivo. Possiamo solo fare delle
congetture. Ma nel farle non possiamo trascurare un fatto. Che si verificato
davanti ai nostri occhi, in udienza, in questo processo. E quel fatto il
controesame di Renna. Nel corso del quale abbiamo appreso una serie di cose
molto importanti per valutare l'attendibilitdi questo teste. Che non
significa: valutare se il teste mente o dice la sua soggettiva verit Significa
verificare qual il grado di rispondenza del suo racconto al reale svolgimento
dei fatti.
Sintetizzo queste cose. Al signor Renna non piacciono gli extracomunitari e
vorrebbe che le forze dell'ordine si occupassero di loro. Il signor Renna non
conosce poi cosbene Abdou Thiam se, avendo sottomano ben due sue fotografie, e
trovandosi nella stessa aula di udienza, non riesce a riconoscerlo. Il signor
Renna, infine e conseguentemente, non molto fisionomista e non gli risulta
facile distinguere fra un cittadino extracomunitario ed un altro. Dal suo punto
di vista sono tutti negri, per adoperare testualmente la sua risposta ad una
domanda del difensore.
Stavo per lanciare uno degli attacchi decisivi, e allora mi fermai di nuovo e
lasciai ai giudici almeno una ventina di secondi. Dovevano chiedersi per quale
motivo avessi smesso di parlare e darmi tutta l'attenzione di cui erano capaci,
dopo tante ore di udienza. Ripresi con un tono di voce pialto. Doveva essere
chiaro che eravamo arrivati al punto.
E sulle dichiarazioni di questo signore, su queste dichiarazioni di origine
incerta, per tutto quello che abbiamo detto a proposito del primo verbale
davanti ai carabinieri, il pubblico ministero chiede che voi applichiate la pena
del carcere a vita.
Ricordate che per applicare non l'ergastolo, ma anche un solo giorno di carcere
voi non dovete utilizzare i criteri della verosimiglianza, non dovete utilizzare
i criteri della probabilit Ammesso che in questo caso e con riferimento al
contenuto della deposizione di Renna si possa parlare di verosimiglianza o di
probabilit Voi dovete applicare i criteri della certezza.
Certezza!
Si puparlare di certezza nella ricostruzione di un fatto, quando ogni altra
ipotesi alternativa implausibile e quindi va respinta. questo il caso? implausibile pensare, per esempio, che il Renna abbia visto qualcun altro, non
Abdou Thiam, quel pomeriggio, visto che per lui i negri sono tutti uguali? implausibile pensare che, in qualche modo, questo testimone si sia sbagliato?
Questo testimone che, badate, fallisce clamorosamente, sotto i vostri occhi il
riconoscimento fotografico. Non puesser si sbagliato? Potete affidare
serenamente tutta la vostra decisione, e tutta la vita di un uomo sulle
dichiarazioni di un soggetto la cui fallibilitsi manifestata sotto i vostri
occhi?.
Pausa. Sette, otto secondi.
E attenzione. Anche se, contro ogni evidenza, voleste ritenere che il racconto
di Renna attendibile, questo non significherebbe la prova della responsabilit dell'imputato.
Perchgli altri indizi a suo carico sono poco piche carta straccia.
Passai ad esaminare le dichiarazioni dei due senegalesi, i risultati della
perquisizione e tutti gli altri elementi di prova.
Parlai dei tabulati. Anche a voler accettare che si parlasse di verosimiglianza,
dissi, la ricostruzione del pubblico ministero comunque non reggeva. Anzi era
quasi grottesca. Il pubblico ministero diceva che l'imputato era rientrato da
Napoli in preda a un raptus e si era diretto a Capitolo con la folle
determinazione di sequestrare, violentare, uccidere il piccolo Francesco ? Era
pazzo, allora. Perchsolo la pazzia poteva giustificare un comportamento cos assurdo. E allora perchnon era stato sottoposto a nessuna perizia psichiatrica
? Se per spiegare i suoi comportamenti era necessario rinviare alla malattia
mentale, allora questa malattia andava accertata. Diversamente quel riferimento
rimaneva solo un tentativo di suggestionare la corte.
Dissi tutte queste cose ma senza parlare troppo. I giudici erano stanchi e io
ero convinto che al momento di decidere avrebbero discusso soprattutto della
testimonianza di Renna.
Allora, come si dice, mi avviai a concludere. Concludere dal punto in cui si cominciato da l'idea del senso compiuto e rende piforte una argomentazione.
Credo.
Verosimiglianza o verit signori giudici. Probabilito certezza. La scelta non
dovrebbe essere difficile. Invece lo Perchse da un lato c'la percezione,
noi tutti la condividiamo, ne sono certo, che questo processo non ha fornito
nessuna risposta, dall'altro lato c'il senso di sgomento che deriva dall'idea
che un crimine orrendo possa rimanere impunito, senza un autore. un'idea
insopportabile ed un'idea che porta con sun rischio gravissimo.
In quel momento rientrin aula Cervellati. Si sedette al suo posto e appoggi la testa alla mano destra, usandola come una specie di barriera. Fra me e lui.
Lo sguardo era ostentatamente diretto in un punto dell'aula, in alto a sinistra.
Dove non c'era nulla.
Era la posizione pisimile al darmi le spalle che fosse fisicamente consentita
dalla disposizione dei banchi, paralleli, e delle sedie.
Pensai che era uno stronzo e andai avanti.
Il rischio quello di cercare di liberarci da questa angoscia trovando non il
colpevole, ma un colpevole.
Uno qualunque. Uno che ha avuto la sfortuna di rimanere impigliato nel processo.
Senza, avere, fatto, niente. Lasciatemelo ripetere: senza, avere, fatto, niente.
Qualcuno potrebbe non condividere il tono categorico della mia affermazione. Mi
sta bene. legittimo avere dubbi. Io sono il difensore e, per molti motivi,
sono convinto dell'innocenza del mio assistito. Voi avete il diritto di non
condividere questa certezza. Avete diritto ai vostri dubbi. Avete il diritto di
pensare che Abdou Thiam potrebbe essere colpevole, nonostante quello che dice il
suo avvocato.
Potrebbe essere colpevole. Nonostante l'assurditdella ricostruzione proposta
dalla pubblica accusa, avete diritto di pensare che l'imputato potrebbe essere
colpevole.
Potrebbe. Modo condizionale.
Le sentenze pernon si scrivono, non si possono scrivere, al modo condizionale.
Si scrivono all'indicativo, affermando certezze. Certezze.
Potete fare affermazioni di certezza ? Potete dire che certamente il teste Renna
non si sbagliato ? Potete dire che alla fine di questo processo non esiste un
dubbio ragionevole?
Se potete dire tutto questo, allora condannate Abdou Thiam.
Avevo alzato la voce e mi resi conto che non stavo recitando, questa volta.
Condannatelo all'ergastolo, e a niente di meno. Se potete dire che non esiste
nemmeno un dubbio, se siete assolutamente certi, voi dovete condannare
quest'uomo a rimanere in carcere per sempre. Dovete avere il coraggio di farlo.
Molto coraggio.
Per un tempo indefinito rimase tutto sospeso. Fino a quando non sentii di nuovo
la mia voce. Bassa ora, e incrinata.
Se pernon avete questa certezza, allora vi serve ancora picoraggio.
Per non soffocare i vostri dubbi nel nome della giustizia sommaria, e quindi per
assolvere, ci vorrun enorme coraggio. Sono sicuro che lo avrete.
Grazie di avermi ascoltato.
Mi sedetti e non mi rendevo conto di avere veramente finito. Alle mie spalle,
dai banchi del pubblico un fruscio di voci. Io stavo con le labbra strette e la
testa leggermente china, fissando ottusamente un punto del banco, alla mia
sinistra, fra le venature del legno.
Sentii parlare il presidente e mi sembrava che la voce provenisse da un altro
posto. Domandal pubblico ministero ed alla parte civile se ci fossero
repliche. Dissero di no.
Allora chiese ad Abdou se voleva fare una dichiarazione conclusiva, prima che la
corte si ritirasse in camera di consiglio. Come prevede il codice. Il fruscio
cesse ci fu qualche secondo di silenzio. Poi la voce di Abdou nel microfono
inserito fra le sbarre della gabbia. Era bassa ma ferma.
Voglio dire solo una cosa. Voglio ringraziare il mio avvocato perchha creduto
che sono innocente. Voglio dirgli che ha fatto bene, perchvero.
Il presidente fece un cenno impercettibile con il capo. "La corte si ritira",
disse.
Si alz e gli altri giudici fecero lo stesso, quasi contemporaneamente .
Anche io mi alzai, in modo meccanico. Li guardai scomparire ad uno ad uno dietro
la porta della camera di consiglio e solo in quel momento mi girai verso
Margherita.
Quanto tempo ho parlato?.
Due ore e mezza, pio meno.
Guardai l'orologio. Erano le sei meno un quarto. A me sembrava di aver parlato
per non pidi quaranta minuti.
Per un po' rimanemmo in piedi, in silenzio. Poi mi chiese perchnon mi toglievo
la toga. Io la tolsi e l'appoggiai sul banco, mentre lei mi guardava con
l'espressione di chi vuol dire qualcosa e cerca il modo, o le parole.
Io non sono molto brava a fare i complimenti. In realtnon mi mai piaciuto, e
credo anche di sapere perch Comunque questo non importa, ora. Quello che
volevo dire che... insomma che stato straordinario ascoltarti. Avrei voglia
di darti un bacio, ma credo che non sia il caso, al momento.
Io non dissi niente, perchero a corto di parole e poi avevo una specie di nodo
alla gola.
Un giornalista si avvicine mi fece i complimenti. Poi un altro e poi anche la
ragazza che durante la pausa mi aveva chiesto il commento sulle richieste del
pubblico ministero. Mi sentii in colpa per non essere stato gentile con lei,
prima.
Mentre i giornalisti mi dicevano altre cose che non sentivo Margherita mi tocc delicatamente per la manica della giacca.
Sto scappando. In bocca al lupo. Sollevil pugno destro all'altezza della
fronte e fece un brevissimo inchino col capo.
Poi si gir andvia ed io mi sentii solo.
Il primo processo che feci da solo, poco dopo aver superato gli esami da
procuratore legale, riguardava una serie di truffe. L'imputato era un omaccione
simpatico, con i baffi neri e il naso pieno di capillari rotti. Credo non fosse
astemio.
Il pubblico ministero fece una requisitoria brevissima e chiese la condanna a
due anni di reclusione. Io feci una lunga arringa. Il pretore annuiva quando
parlavo e questo mi dava fiducia. I miei argomenti mi sembravano stringenti e
inevitabilmente persuasivi.
Quando finii di parlare ero convinto che di la poco il mio cliente sarebbe
stato assolto.
Il pretore rimase in camera di consiglio una ventina di minuti e quando venne
fuori condannesattamente alla pena richiesta dal pubblico ministero. Due anni
di carcere senza la sospensione condizionale, visto che il mio cliente era un
recidivo.
La notte seguente non dormii e per molti giorni dopo mi domandai cosa avessi
sbagliato. Mi sentivo umiliato, mi convinsi che il giudice, per qualche motivo
sconosciuto ce l'aveva con me, e persi fiducia nella giustizia.
Non mi passnemmeno per la testa la spiegazione piovvia della faccenda: il
mio cliente era colpevole e il giudice aveva fatto bene a condannarlo. Questa fu
una brillante intuizione che ebbi solo molto tempo dopo.
Da quell'esperienza comunque imparai a trattare i miei processi con il dovuto
distacco. Senza appassionarmi e soprattutto senza nutrire aspettative.
Appassionarsi e nutrire aspettative sono due cose pericolose. Ci si pufare
male, o anche molto male. Non solo nei processi.
Mentre l'aula si svuotava pensavo a questo. Pensavo che avevo fatto bene il mio
lavoro. Avevo fatto tutto quello che era possibile. Adesso dovevo
disinteressarmi del risultato.
Dovevo andare via, in studio o a fare un giro, o a casa. Quando la corte fosse
stata pronta il cancelliere mi avrebbe chiamato sul cellulare, si era fatto dare
il numero prima di andare via lui stesso, e io sarei tornato per ascoltare la
lettura della sentenza.
la prassi in processi di questo genere, quando si prevede che i giudici
rimangano in camera di consiglio per molte ore o anche per giorni. Quando sono
pronti chiamano il cancelliere e dicono a che ora usciranno dalla camera di
consiglio per leggere la sentenza. Il cancelliere a sua volta chiama il pubblico
ministero, gli avvocati e all'ora stabilita sono tutti l per l'atto finale.
Dunque, stando alla prassi sarei dovuto andare via. Invece rimasi e dopo essermi
guardato un po' intorno nell'aula deserta mi accostai alla gabbia. Abdou si alz dalla panca per venirmi incontro.
Appoggiai le mani alle sbarre e lui fece un cenno di saluto col capo abbozzando
un sorriso. Lo stesso feci io, prima di parlare.
Sei riuscito a seguire il discorso?.
S
Allora?.
Non rispose subito. Come altre volte, ebbi l'impressione che si concentrasse per
non sbagliare le parole.
Io ho una domanda, avvocato.
Dimmi.
Perchhai fatto tutto questo?.
Se non l'avesse fatta lui, prima o poi avrei dovuto farmela io, quella domanda.
Stavo cercando una risposta e mi resi conto che non avevo voglia di parlare
attraverso le sbarre. Che consentissero ad Abdou di uscire e chiacchierare in
aula, neanche a parlarne. Contro ogni regolamento.
Allora chiesi al capo scorta se potevo entrare io nella gabbia.
Mi guardcon l'aria di chi non sicuro di aver sentito bene. Poi guardi suoi
uomini, alzle spalle in un gesto di chi rinuncia a capire e diede ordine
all'agente che aveva le chiavi di aprire la gabbia e di lasciarmi entrare.
Mi sedetti sulla panca, vicino ad Abdou e avvertii un assurdo senso di sollievo
sentendo lo scatto del chiavistello che richiudeva la cancellata.
Stavo per offrirgli una sigaretta quando tirfuori un pacchetto e volle che ne
prendessi una delle sue. Diana rosse. Le Marlboro dei carcerati.
La presi e dopo averne fumata mezza gli dissi che non l'avevo una risposta, per
la domanda che mi aveva fatto.
Dissi che pensavo fosse per un buon motivo, ma non sapevo esattamente qual era,
quel motivo.
Abdou fece scol capo, come se la risposta lo avesse soddisfatto.
Ho paura", disse poi.
Anch'io.
Fu cosche cominciammo a parlare. Parlammo di molte cose e fumammo ancora le
sue sigarette. A un certo punto ci venne voglia di bere e io chiamai il bar con
il mio portatile, per ordinare. Dieci minuti dopo arrivil ragazzo, con il
vassoio, e fece passare attraverso le sbarre due bicchieri di the freddo. Pag Abdou.
Poi bevemmo, sotto gli sguardi perplessi degli agenti.
Verso le otto gli dissi che andavo a fare due passi per sgranchirmi le gambe.
Non avevo voglia di tornare a casa o in studio. O andare in centro a passeggiare
fra la gente e i negozi. Cosmi avventurai nei dintorni del tribunale, in
direzione del cimitero. Fra case popolari dalle quali veniva odore di cibo un
po' sfatto, botteghe squallide, e strade dalle quali non ricordavo di essere mai
passato, in trentanove anni di vita a Bari.
Camminai a lungo, senza meta e senza pensare a niente. Mi sembrava di essere
altrove e i posti erano cosbrutti da emanare uno strano, squallido fascino.
Si era fatto buio e mi ero completamente distratto quando mi accorsi della
vibrazione nella tasca posteriore dei pantaloni.
Tirai fuori il cellulare e dall'altra parte sentii la voce del cancelliere. Era
un po' agitato.
Aveva gichiamato una volta e non rispondeva nessuno? Non avevo sentito, mi
dispiaceva. Erano pronti gida dieci minuti? Arrivavo subito. Subito, subito.
Pochi minuti.
Mi guardai attorno e ci misi un po' per rendermi conto di dov'ero. Niente
affatto vicino. Dovevo correre e lo feci.
Entrai in aula una decina di minuti dopo, sforzandomi di respirare con il naso e
non con la bocca, sentendo la camicia bagnata di sudore che si attaccava alla
schiena, cercando di darmi un contegno.
C'erano gitutti, pronti ai loro posti. Parte civile, pubblico ministero,
cancelliere, giornalisti e, nonostante l'orario, anche pubblico. Notai che
c'erano anche alcuni africani, che non avevo mai visto alle altre udienze.
Appena mi vide, il cancelliere scomparve dietro la porta della camera di
consiglio. Andava ad avvertire la corte che ero finalmente arrivato.
Mi gettai la toga sulle spalle e guardai l'orologio. Le nove e cinquantacinque
minuti.
Il cancelliere tornal suo posto e poi, in rapida successione la campanella
suone i giudici uscirono.
Il presidente raggiunse rapidamente il suo posto, con l'aria di chi vuole
sbrigare in fretta una incombenza sgradevole. Guardprima a destra e poi a
sinistra. Si assicurava che i componenti della corte fossero tutti al loro
posto. Mise gli occhiali per leggere la sentenza.
Abbassai lo sguardo, socchiusi gli occhi e ascoltai i battiti del mio cuore.
Forti e veloci.
In nome del popolo italiano, la corte di assise di Bari, letto l'articolo 530
capoverso del codice di procedura penale....
Sentii una scarica per tutto il corpo e poi le gambe deboli.
Assolto.
L'articolo 530 del codice di procedura penale si intitola: Sentenza di
assoluzione.
... assolve Thiam Abdou dalle imputazioni a lui ascritte per non aver commesso
il fatto. Letto l'art. 300 del codice di procedura penale dichiara la cessazione
di efficacia della misura cautelare della custodia in carcere attualmente in
corso a carico dell'imputato e dispone l'immediata rimessione in libertdel
predetto se non detenuto per altra causa. L'udienza tolta.
difficile spiegare cosa si prova in un momento del genere. Perchin realt difficile capirlo.
Io rimasi ldov'ero, guardando in direzione dei banchi della corte, vuoti.
Tutto intorno voci concitate, qualcuno mi toccava sulla spalla e qualcuno invece
mi afferrava la mano e me la stringeva. Mi chiesi che ci facesse tanta gente in
un'aula di corte di assise, il nove di luglio, alle dieci di sera.
Non lo so quanto tempo rimasi immobile.
Fino a quando non distinsi, fra le voci, quella di Abdou. Tolsi la toga e andai
alla gabbia. In teoria avrebbero dovuto liberarlo immediatamente. In pratica
perera necessario che lo riportassero in carcere per sbrigare tutte le
formalit Comunque era ancora ldentro.
Ci trovammo faccia a faccia, molto vicini, le sbarre in mezzo. Aveva gli occhi
lucidi, le mascelle serrate e un tremito agli angoli della bocca.
La mia faccia non era molto diversa, credo.
Ci stringemmo le mani a lungo, attraverso le sbarre. Non nel modo tradizionale,
delle presentazioni e degli uomini d'affari ma agganciando i pollici, le braccia
piegate.
Disse solo alcune parole, nella sua lingua. Non avevo bisogno di un interprete
per capire cosa significavano.
Lasciai a Margherita un messaggio sulla segreteria telefonica del cellulare, la
sera stessa della sentenza, ma riuscimmo a incontrarci solo il pomeriggio del
giorno
dopo.
Passdal mio studio, scesi e andammo a sederci in un bar. Del processo parlammo
solo un poco. Io non ne avevo voglia, lei lo cape smise quasi subito di farmi
domande. Eravamo tutti e due in una specie di strano, leggero imbarazzo.
Quando arrivammo di nuovo sotto il mio studio feci uno sforzo per dirle quello
che avevo in mente.
Avrei voglia di invitarti a cena fuori. Per piacere non dire di no, anche se non
un granch come invito. Sono fuori esercizio.
Lei mi guardcome se le venisse da ridere, ma rimase in silenzio.
Allora?", feci dopo qualche secondo.
Effettivamente come invito faceva un po' schifo, ma voglio premiare la buona
volont
Vuol dire che accetti?.
Vuol dire che accetto. Stasera?.
Stasera no. Domani, per piacere.
Mi guardcon aria perplessa, socchiudendo gli occhi e dovetti dire per forza
qualcos'altro.
Devo fare una cosa, stasera. Una cosa importante. Non posso rinviarla. Non posso
portarti fuori se non la faccio, prima.
Mi guardancora, per qualche secondo, con la stessa aria perplessa. Poi annue
disse che andava bene.
A domani allora.
A domani.
Tornai a casa da studio, feci la doccia, misi dei calzoncini e mi preparai un
frullato. Gironzolai un po' avanti e indietro per le stanze del mio
appartamento. Ogni tanto mi fermavo a guardare il telefono. Lo studiavo a
distanza.
Dopo un po' mi sedetti in poltrona. Il telefono era davanti a me e se allungavo
il braccio potevo prendere la cornetta. Invece rimasi semplicemente a guardarlo,
l'apparecchio.
Non bisogna avere fretta, pensai.
Del resto per telefonare bisogna prima di tutto ripetere mentalmente il numero.
Il numero. 080.. .5219... Dunque: 080...52198... No. 52196... No.
Non riuscivo a ricordarmelo. Assurdo. Non erano passati due anni e non mi
ricordavo. Eppure qualche mese prima lo avevo fatto, a memoria. Quindi, per
essere precisi: erano passati pochi mesi, e non mi ricordavo.
Va bene, inutile tormentarsi. Capita.
Cercai il nome di Sara sull'elenco del telefono, ma non c'era.
Rimasi qualche istante senza sapere cosa fare. Poi l'intuizione arrive cercai
il mio nome sull'elenco. C'era. Voglio dire al vecchio indirizzo. Dove abitavo
adesso il telefono era intestato alla padrona di casa.
Guardai ancora per un poco il telefono senza toccarlo, ma sapevo che il tempo
stava scadendo.
Spero che risponda lei. Se risponde il signore dell'altra volta che dico?
Buonasera sono l'ex marito, ciono, il marito separato. S ha capito bene,
proprio quello stronzo. Vorrei parlare con Sara, per piacere. Signore, non sia
cosrude. Mi spacca la faccia se riprovo a telefonare ? Stia attento a come
parla, io ho fatto pugilato. Ah, lei maestro di karatfull contact. Beh,
dicevo cosper dire.
Feci il numero schiacciando i tasti, in fretta e senza pensare. Era l'unico
modo.
Dopo tre squilli rispose lei.
Non sembrava stupita di sentirmi. Anzi sembrava le facesse piacere. Stava bene,
s Anche io stavo bene. S ero sicuro, stavo benissimo. No, solo le sembravo
un po' strano. Vederci stasera? Ciofra un paio d'ore, dopo un paio di anni? Mi
faceva i complimenti perchero ancora capace di stupirla, e non era facile. Ero
contento di questo fatto, ero contento davvero, e allora, a parte questo,
potevamo vederci ? A cena, o dopo per bere qualcosa. Bene. Voleva che passassi a
prenderla o la cosa poteva creare qualche imbarazzo ? Risata. OK, passavo a
prenderla alle dieci. Che facevo, citofonavo o si faceva trovare gi No, sai
nel caso al citofono... Altra risata. Va bene, citofonavo. A dopo, ciao. Ciao.
Mi vestii in fretta, e uscii in fretta. I negozi chiudevano alle otto.
Mi sbrigai, e alle otto e mezza ero di nuovo a casa. Dovevo far passare il tempo
fino alle dieci. Lessi un poco. Lo zen e il tiro con l'arco. Ma non era la
lettura adatta. Allora pensai di ascoltare un po' di musica. Stavo per mettere
Rimmel, che mi sembrava adeguato, ma poi considerai che anche in solitudine
bisogna evitare i toni patetici. Era meglio uscire subito.
Mi cambiai, tanto per far passare ancora qualche minuto e poi scesi con quel
sacchetto in mano.
Girai per le strade fino alle dieci in punto quando citofonai a casa di Sara.
Rispose lei, in un modo che mi era familiare. Scendo.
Scese e mi diede un bacio sulla guancia, e anche io le diedi un bacio sulla
guancia. Se fece caso al sacchetto, non lo diede a vedere. Andammo a prendere la
macchina ed io guidai fino ad un ristorante sul mare, vicino a Polignano.
Non dicemmo molte parole quando eravamo in macchina e non ne dicemmo molte
durante la cena.
Lei aspettava che io dicessi perchavevo voluto vederla. Io aspettavo di finire
di mangiare, perchbisogna avere pazienza e fare ogni cosa al momento giusto.
Mi sembrava di avere capito questa cosa, insieme ad alcune altre.
Allora mangiammo in due una grossa aragosta, condita con olio e limone. Bevemmo
vino bianco freddo. Ogni tanto ci guardavamo, dicevamo qualcosa senza importanza
e poi riprendevamo a mangiare. Ogni tanto lei mi guardava con aria lievemente
interrogativa.
Quando finimmo di mangiare pagai e le chiesi se le andava di fare due passi. Le
andava.
Mentre camminavamo cominciai a parlare.
Ho passato un periodo molto... particolare. Mi sono capitate diverse cose... .
Feci una pausa. Non era stato un grande avvio. Anzi faceva decisamente schifo.
Lei non disse niente. Aspettava.
Camminavamo guardando avanti, fra le barche di un porticciolo.
Ricordi che dicevi che i conti prima o poi si pagano?.
Mi ricordo. E tu dicevi che saresti scappato via prima. Se volevano, potevano
farti causa.
Sorrisi. Dicevo proprio cos Se volevano potevano farmi causa. Mi aspettai che
Sara dicesse che ero sempre stato molto bravo a scappare via senza pagare. Ne
avrebbe avuto tutte le ragioni, ma non lo fece. E io ripresi a parlare.
Fra le varie cose che mi sono capitate c'che non sono riuscito a scappare pi
veloce come prima. Allora mi hanno preso e mi hanno fatto pagare quasi tutti gli
arretrati. Non stato molto divertente.
Mi sedetti su una barca, vicinissimo all'acqua. Lei si sedette sulla barca
vicina, di fronte a me. In breve ero arrivato alla parte pidifficile e non
trovavo le parole.
E insomma, in tutto questo a un certo punto mi sono reso conto che... insomma se
stavo pagando i conti ce n'era uno che per forza non potevo lasciare sospeso.
Mi guardava con la testa leggermente inclinata di lato, gli occhi diritti nei
miei. Sentii il bisogno di una sigaretta, l'accesi e prima di ricominciare a
parlare aspettai la botta del fumo nei polmoni.
Poi con le parole che mi venivano, dissi tutto quello che le dovevo. Lei ascolt senza interrompere mai e anche quando ebbi finito aspetta parlare. Per essere
certa che avessi veramente finito. Non ero sicurissimo, per via dell'oscurit
ma mi sembrava che avesse gli occhi lucidi. I miei lo erano, e non avevo bisogno
di luce per saperlo. Quando parl seppi di avere fatto la cosa giusta, quella
sera.
Oggi mi hai restituito ogni giorno, ogni singolo minuto che siamo stati insieme.
Per tante volte, prima che ci lasciassimo, e poi dopo ho pensato che con te
avevo buttato quasi dieci anni della mia vita. Poi mi ribellavo a questa idea e
la scacciavo. E poi tornava di nuovo. Sembrava non finisse mai, questa angoscia.
Stasera mi hai liberato. Mi hai restituito i ricordi.
Aveva una specie di sorriso, adesso.
Anche io cercai di sorridere, ma invece mi venne da piangere. Feci un po' di
sforzi per trattenermi e poi pensai che non me ne importava niente, di
trattenermi. Cosgli occhi mi si riempirono di lacrime e poi quelle lacrime
uscirono tutte, in silenzio.
Lei mi lascifinire e poi mi passdue dita, delicatamente, sotto gli occhi.
Allora le diedi il mio regalo. Era un orologio, da uomo, col cinturino di cuoio
e la cassa grande. Uguale a quello che io avevo molti anni prima. Lei me lo
rubava perchle piaceva molto. Poi, in un viaggio, lo persi e lei ci rimase
male. Molto pidi me. Tante volte avevo pensato che volevo regalargliene uno
uguale e non lo avevo mai fatto. Come non avevo fatto tante altre cose.
Lei lo mise senza dire nulla e poi fu ora di tornare a casa.
Fermai la macchina a qualche decina di metri dal suo portone, dove c'era un
posto libero. Spensi il motore e mi voltai verso di lei, ma non sapevo cosa
fare. Sara invece lo sapeva. Mi abbraccicon forza, quasi con violenza
appoggiando il mento sulla mia spalla, e la testa contro la mia testa. Rimase
cosqualche secondo e poi si stacc Grazie, sussurrprima di aprire lo
sportello e andare via.
Grazie a te, sussurrai io nella macchina vuota, mentre lei spariva nel portone.
Quella notte non dormii. Non provai nemmeno a mettermi a letto. Mi misi a sedere
sul balcone, e ascoltai i rumori della strada. Accesi quattro o cinque
sigarette, ma non le fumai quasi per niente. Lasciavo che si consumassero
lentamente, tenendole fra l'indice e il medio, mentre guardavo le finestre e i
balconi di fronte e le antenne sui tetti, e il cielo.
Poco prima dell'alba si alzil maestrale e gialle prime folate mi diede i
brividi.
Dicono che duri tre giorni, o sette e cospensai che per tre giorni o sette non
avrebbe fatto caldo. Non troppo almeno.
Mi era sempre piaciuto il maestrale estivo perchspazzava l'aria, cacciava
l'afa e faceva sentire piliberi. Mi parve giusto che arrivasse proprio quella
mattina.
Pensai ai conti che si chiudono e alle cose che cominciano. Pensai che avevo
paura ma che, per la prima volta, non volevo sfuggirla o nasconderla, quella
paura. E mi sembrava una cosa tremenda, e bellissima.
Guardavo la luce che si faceva strada nel cielo e guardavo le nuvole grigie cos strane e fuori posto nel mese di luglio.
Fra poco mi sarei alzato e sarei andato a camminare per le strade ancora
deserte. Mi sarei seduto ad un tavolo all'aperto, in un bar sul lungomare e
avrei preso un cappuccino. Avrei guardato le strade che si trasformavano man
mano che il giorno avanzava. Avrei preso un altro cappuccino e fumato una
sigaretta e poi, quando fosse stato proprio giorno, sarei tornato a casa. Avrei
dormito, avrei letto, sarei andato al mare, avrei fatto passare la giornata
facendo solo quello che mi andava di fare.
Avrei aspettato che venisse sera e solo allora avrei chiamato Margherita. Non
sapevo che cosa le avrei detto, ma ero sicuro che avrei trovato le parole.
Pensai a tutte queste cose e ad altre, seduto su quel balcone.
Pensai che non avrei scambiato quel momento.
Con niente, in tutto il mondo.






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