Angelo Maria Ripellino
Praga magica
Saggi
Copyright 1973 e 1991
Giulio Einaudi editore s'p'a
Torino
Prima edizione 俟aggi1973
Einaudi
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Il libro mostra, al di ldel clichturistico di Praga, 剃itt
d'oro tutta l'arcana sostanza, le ambiguit il tenebrismo, il
torpore, il fascino nascosto della cittboema. Il capolavoro di un
saggista profondamente innamorato della sua materia, ma anche
struggentemente poeta in proprio. Praga narrata non solo nei suoi
splendori, ma anche nelle sue ombre non meno fascinose: quelle del
Quartiere ebraico, del Golem, delle taverne, degli stanieri che vi
abitarono, della letteratura tedesca che vi fior di Hazek e di
Kafka, di Apollinaire, di Meyrink e dei dadaisti boemi. Un viavai
inesauribile di storie, leggende, personaggi.
N'B': Per la grafia dei nomi e dei termini cechi e polacchi si 
adottata la segnografia Braille originale.
Angelo Maria Ripellino, nato a Palermo nel 1923, morto a Roma nel
1978, allievo di Ettore Lo Gatto, ordinario di Lingua e Letteratura
Russa all'universitdi Roma, si appassionmolto anche alla lingua e
alla letteratura boema. Nell'immediato dopoguerra fu a Praga ed
esordappunto con una Storia della poesia ceca contemporanea, nel
1950. Lo studio critico-antologico Poesia russa del Novecento 
invece, del 1954. Le due ricerche sono proseguite parallelamente
senza alcun calo di passione per l'intera vita di Ripellino. Se il
saggio Majakovskij e il teatro russo d'avanguardia del 1959 e il
romanzo-saggio dedicato al teatro russo dei primi decenni del secolo,
Il trucco e l'anima, del 1965, Praga magica del 1973.
Ripellino stato il primo in Italia a presentare le poesie di
Boris Pasternak nel 1957 e il primo a presentare la prosa di Andrej
Belyi nel 1961. Traduttore di grande livello e di grande audacia,
affrontautori molto ardui come appunto Pasternak, Belyi,
Majakovskij, Blok. Tradusse e curedizioni di Ha蟌k, 螮pek, B'
Hrabal, Holan, Holas, Octena蟌k e un grande numero di altri scrittori
slavi. E fu anche e soprattutto poeta di ispirazione autobiografica,
dalla raccolta Non un giorno, ma adesso del 1960 ad Autunnale barocco
del 1977, tentativo struggente di incrociare barocco siciliano e
barocco praghese da lui spavaldamente mescolati.
Praga magica, il capolavoro di Ripellino, narra, anzi rivive la
metropoli boema dell'etdi Rodolfo II, degli alchimisti, del
Quartiere ebraico, del Golem, delle taverne, dell'indole funeraria e
maligna di certe sue fabbriche e strade, degli stranieri che vi
abitarono nel corso dei secoli, della letteratura tedesca che vi
fiorsullo scorcio dell'impero austro-ungarico e di Ha蟌k e di
Kafka, cerimonieri dell'intero libro, e di Apollinaire, Macha, Holan,
Meyrink e dei dadaisti boemi e degli infernali pagliacci della
pittura di Tichche esprimono a meraviglia la notturnalit il
malumore di Praga. Attorno alle ombre di Josef K' e di Josef 襒ejk
una selva di personaggi e di maschere recita in questo teatro. In un
via vai inesauribile vi si accalcano astrologi, distillatori,
negromanti, architetti, manigoldi, fantasmi, gesuiti, fantocci,
sembianze di cera, automati, santi di pietra arenaria.
Per il vasto affresco che, a tratti, assume cadenze di antica
cronaca, Ripellino ha tirato in ballo frantumi di annali e di vecchie
riviste illustrate, vecchie canzoni da fiera e leggende, immagini di
poeti e pittori cechi e tedeschi. Nella sua fl滱erie innamorata,
Ripellino s'indugia a enumerare non solo gli splendori del Gotico e
del Barocco, le bizzarrie manieristiche, ma anche il tritume dei
rigattieri, le croste da marchaux puces, le fatiscenti reliquie,
che hanno gran parte nel Logos di Praga, ricorrendo ora ai congegni
del m郵o e dei racconti di spiriti, ora all'enfasi dei viaggiatori
incantati, ora alle iperboli kitsch degli aneddoti di birreria, in un
miscuglio di inventiva e di storia.
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Parte prima
1
Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, Franz Kafka ritorna a via
Celetn(Zeltnergasse) a casa sua, con bombetta, vestito di nero.
Ancor oggi, ogni notte, Jaroslav Ha蟌k, in qualche taverna, proclama 
ai compagni di gozzoviglia che il radicalismo dannoso e che il sano 
progresso si puraggiungere solo nell'obbedienza. Praga vive ancora 
nel segno di questi due scrittori, che meglio di altri hanno espresso 
la sua condanna senza rimedio, e perciil suo malessere, il suo 
malumore, i ripieghi della sua astuzia, la sua finzione, la sua 
ironia carceraria.
Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, Vit瞛slav Nezval ritorna 
dall'afa dei bar, delle bettole alla propria mansarda nel quartiere 
di Troja, attraversando la vitava con una zattera (1) Ancor oggi, 
ogni notte, alle cinque, i massicci cavalli dei birrai escono dalle 
rimesse di Smichov. Ogni notte, alle cinque, si destano i gotici 
busti della galleria di sovrani, architetti, arcivescovi nel triforio 
di San Vito. Ancor oggi due zoppicanti soldati con le baionette 
inastate, al mattino, conducono Josef 襒ejk gida Hrad螮ny per il 
Ponte Carlo verso la CittVecchia, e in senso contrario, ancor oggi, 
la notte, a lume di luna, due guitti lucidi e grassi, due manichini 
da panoptikum, due automi in finanziera e cilindro accompagnano per 
lo stesso ponte Josef K' verso la cava di Strahov al supplizio.
Ancor oggi il Fuoco effigiato dall'Arcimboldo con svolazzanti 
capelli di fiamme si precipita gidal Castello, e il ghetto si 
incendia con le sue scrignute catapecchie di legno, e gli svedesi di 
K霵igsmark trascinano cannoni per MalStrana, e Stalin ammicca 
malefico dal madornale monumento, e soldatesche in continue manovre 
percorrono il paese, come dopo la sconfitta della Montagna Bianca. 
Praga 剌u sempre cittdi avventurieri si legge in un dialogo di 
MiloMarten, 厚er secoli nido di avventurieri senza pietnlegami. 
Venivano a frotte dalle quattro parti del mondo a predare, a 
spassarsela, a spadroneggiare 前 ciascuno strappava, ingoiava un 
pezzo della viva polpa di questa misera terra, la quale dava sino a 
esaurirsi, senza che alcuno le si desse, per ripagarla di ciche le 
aveva tolto(2)
Troppo spesso asservita ed afflitta da ruberie e da soprusi, troppo 
spesso teatro alla spocchia di prepotenti stranieri, di masnade 
bruttissime di lanzichenecchi e gradassi, che ne fecero strazio e si 
lupeggiarono ogni sua sostanza. Quanti grugni porcini, impacciandosi 
nelle occorrenze di Praga, vi si sono accampati nel corso dei tempi: 
squassapennacchi dalle armature dorate e dal gonfio petto tintinnante 
di ciondoli, fratacchioni di tutte le confraternite e prelati del 
porta inferi, Obergauner che piombavano in side-car, seminando 
rovina, e machiavellisti e fratelli traditorissimi, e ceffi mongolici 
come in racconti di Meyrink, e qualche assessore di collegio 
caucasico, preposto a imbavagliare il pensiero, e ciurme di regolisti 
e di sgherri che, puntando il mitra, sbaiaffano fagiolate 
ideologiche, e interi conclavi di generali capocchi, tra i quali sia 
ricordato, per le innumere placche e medaglie che lo avviluppano, lo 
zelante Episciov, coglione in cremisi.
Alla soglia della seconda guerra mondiale Josef 螮pek, che sarebbe 
perito in un Lager nazistico, narrin un ciclo di caricature la 
storia di due protervi stivali, due neri viscidi guitti che, 
moltiplicandosi come le salamandre, spargono per l'universo menzogna, 
sfacelo e morte (3) Ancor oggi pesanti stivali calpestano Praga, ne 
strozzano l'inventiva, il respiro, l'intelligenza. E, sebbene 
ciascuno di noi non si stanchi di sperare che queste sciagurate 
scarpacce, come quelle che disegnJosef 螮pek, finiscano tra le 
cianfrusaglie di Chronos, il Gran Rigattiere, tuttavia molti si 
chiedono se, data la brevitdella vita, cinon accadrtroppo 
tardi.
NOTE:
(1) Cfr' Vit瞛slav Nezval, Z m逸o eivota, Praha 1959, pp' 177-79, e 
JiwSvoboda, Pwitel Vit瞛slav Nezval, Praha 1966, p' 203.
(2) MiloMarten, Nad m瘰tem (1917), Praha 1924, p' 24.
(3) Josef 螮pek, Dikt漮orskboty (1937), in D疀iny zblizka (Soubor 
satirick蓫l kreseb), a cura di Otakar Mrkvi螶a, Praha 1949. Cfr' 
Jaromir Pe蟊rka, Josef 螮pek, Praha 1961, p' 82.
2
Detlev von Liliencron era convinto di esser givissuto una volta 
nella capitale boema, non come poeta, ma come capitano dei 
lanzichenecchi del Wallenstein (1) Anch'io ho la certezza di avervi 
abitato in altre epoche. Forse vi giunsi al seguito della siciliana 
principessa Perdita che, in The Winter's Tale di Shakespeare, va 
sposa al principe Florizel, figlio di Polissene, re di Boemia. Oppure 
come scolaro dell'Arcimboldo, 勇ngegnosissimo pittor fantastico che 
dimorper molti anni alla corte di Sua MaestCesarea Rodolfo II 
(2) Lo aiutavo a dipingere i suoi ritratti compositi, quegli 
inquietanti e scurrili mostacci, rigonfi come di porri e di scrofola, 
che egli imbastiva ammucchiando frutti, fiori, spighe, paglie, 
animali, coscome gli Incas mettevano pezzi di zucca nelle guance e 
occhi d'oro ai cadaveri (3)
Oppure, nello stesso torno di tempo, ciarlatano in una baracca a 
Piazza della CittVecchia, spacciavo lettovari ed intrugli ai 
babbioni e, quando gli sbirri scoprirono i miei ingannamenti, feci un 
leva eius, tornando da Praga come una gazza scodata. O piuttosto vi 
giunsi con un Caratti, un Alliprandi, un Lurago, con uno dei tanti 
architetti italiani, che diedero inizio al Barocco nella citt
vitavina. Ma se guardo il quadro in cui Karel 螶r鈣a effigi(1653) 
Dionysius Miseroni con una coppa di onice in mano, mi sembra di aver 
lavorato, io che amo limar le parole come pietre dure, nella bottega 
di questo intagliatore, che fu anche custode delle collezioni 
imperiali.
O forse non c'bisogno di risalire coslontano: semplicemente ero 
uno dei molti figurinai e stuccatori italiani, che nel secolo scorso 
affluirono a Praga, aprendovi negozi di statuette di gesso (4) 
Benchsia piprobabile che io appartenessi alla folta schiera di 
quelli che, a ogni ora del giorno, giravano per le viuzze e i cortili 
della capitale boema con un organetto, nella cui parte anteriore 
splendeva un teatrino invetriato. Posavo l'organetto su un trespolo, 
alzavo la tela di canapa che lo ricopriva e, al volgersi della 
manovella, nella bacheca raffigurante una fuga di piccole sale con 
sfondo di specchi danzavano a coppie minuscoli vagheggini in marsina 
e calzoni bianchi, bianche damine con la crinolina e la pettinatura a 
paniere ed esigui ventagli (5)
Ma taluni gida lungo tempo mi hanno identificato con Titorelli, 
l'imbrattatele, il dispensiere di Kitsch, il quale, oltre a ritratti, 
dipinge paesaggi stenti ed uguali che a molti non piacciono, perch
咨roppo tristi(6) E c'chi pensa che io sia stato quel cliente 
della banca a cui, nel Processo, K', che sa un po di italiano e si 
intende di arte, dovrebbe mostrare i monumenti di Praga. L'origine 
meridionale del cliente, i suoi 剋rossi baffi grigio-bleuprofumati, 
la sua 剋iacchettina stretta e corta i molti gesti delle sue agili 
mani mi inducono a credere che qualcosa di vero sussista in questo 
bislacco accostamento. Se cos mi dispiace di non essere andato 
quel giorno piovoso, freddo, umido all'appuntamento nella cattedrale 
costruita nel XIV secolo da Maty碭 di Arras e da Petr Parl鈍 di 
Gmd, mi dispiace di aver fatto attendere invano il signor 
procuratore (7) Se poi mi rammento che Titorelli vien definito 哎omo 
di fiducia del tribunale(8) e che il cliente italiano ne certo 
uno strumento segreto, un cursore, allora, nel futile giuoco delle 
incarnazioni, mi accorgo di essere io stesso morbosamente invischiato 
nel guazzabuglio malsano di accuse, soffiate, messaggi arcani, 
sentenze, espiamenti, che costituisce il mistero e il calvario di 
Praga.
Una sola cosa sicura, che da secoli io cammino per la citt
vitavina, mi mescolo alla moltitudine, arranco, gironzolo, annuso 
tanfo di birra, di fumo di treni, di melma fluviale, potete vedermi 
ldove, come afferma Kol漙, 勇nvisibili mani rimenano sulle 
spianatoie dei marciapiedi la pasta dei passanti(9), ldove, per 
dirla con Holan, 勇 crostini di strade strofinati@ con l'aglio della 
folla un poco puzzano@(10)
NOTE:
(1) Cfr' Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten (Wanderungen durch das 
romantische Prag), Prag-Wien-Leipzig 1922, p' 87.
(2) Cfr' Gregorio Comanini, Il Figino ovvero Del fine della 
pittura, in Trattati d'arte del Cinquecento, a cura di Paola 
Barocchi, III, Bari 1962, p' 257.
(3) Cfr' Alfred metraux, Gli Incas, Torino 1969, pp' 66-67.
(4) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety, I, Praha 1926, p' 86.
(5) Cfr' ibid', III, pp' 44-45.
(6) Franz Kafka, Il Processo, a cura di Alberto Spaini, Torino 
1966, pp' 245-46.
(7) Franz Kafka, Il Processo cit', pp' 304-15. Pavel Eisner 
(促rocesFranze Kafky, commento alla traduzione ceca del Processo, 
Praha 1958, p' 222) asserisce che si puparlare di una sorta di 
剃omplesso italianodi Kafka, riflesso forse del periodo (1907) in 
cui fu impiegato nella filiale praghese delle Assicurazioni Generali. 
Nel novembre 1907 Kafka scriveva a Hedwig W': 勇mparo l'italiano 
perchprima di tutto andrprobabilmente a Trieste(Epistolario, a 
cura di Ervino Pocar e Anita Rho, Milano 1964, I, p' 52) Di questo 
剃omplessotestimoniano anche i cognomi Sordini e Sortini nel 
Castello.
(8) Franz Kafka, Il Processo cit', p' 224.
(9) JiwKol漙, Sv璠ek, in 鐰y a variace, Praha 1946, p' 31.
(10) Vladimir Holan, PrvnTestament (1939-40), Praha 1940, p' 11.
3
促raga non molla. Non molla noi due. Questa mammina ha gli artigli. 
Bisogna adattarsi o... In due punti dovremmo appiccarle il fuoco, al 
Vy蟌hrad e al Hradschin, e cossarebbe possibile liberarci. Pensaci 
un po fino a carnevale sono parole di Kafka in una lettera a Oskar 
Pollak del 20 dicembre 1902 (1)
Antico in-folio dai fogli di pietra, cittlibro (2), nei cui libri 
resta 冠ncora tanto da leggere, da sognare, da capire(3), cittdi 
tre popoli (il ceco, il tedesco, l'israelitico) e, secondo Breton, 
capitale magica dell'Europa (4), Praga soprattutto vivaio di 
fantasmi, arena di sortilegi, sorgente di Zauberei, ossia di 
kouzelnictv(in ceco), di kischef (in jiddisch) Trappola che, se 
afferra con le sue brume, con le sue male arti, col suo tossicoso 
miele, non lascia pi non perdona. 俏on cessa mai di ammaliare coi 
propri incantesimi - scrisse Arno褾 Proch漘ka - la vecchia versiera 
Praga(5)
Non andarvi se cerchi una felicitsenza nuvole. Ghermisce ed arde 
coi suoi furbi sguardi ed infatua e trasforma gli incauti che siano 
entrati nel cerchio delle sue mura. Il banchiere occultista Meyer vi 
diventa, dopo un crac finanziario, lo scrittore di storie spiritiche, 
il ciarlatano mistico Meyrink. Affatturato, anch'io mi dibatto dentro 
il suo opaco cristallo come, in un racconto di Meyrink, il Pierrot 
che soffoca in una bottiglia (6) Le ho venduto la mia ombra, come 
Peter Schiemihl al diavolo. Ma in cambio mi ricompensa con 
larghissima usura: il Klondyke del mio spirito, uno straordinario 
pretesto per i miei ghiribizzi verbali, per i miei Nachtsthe. Le 
ripeto sovente questi versi di Nezval:
Mi chino sugli angoli dimenticati Praga@ che intessi il tuo 
splendore funebre@ fumo di osterie in cui si perde il cinguettio 
degli uccelli@ la sera come un sonatore di armonica fa scricchiolare 
le porte piangenti@ lunghe chiavi pesanti rinserrano indecifrabili 
cose@ e si spargono le orme come un rosario spezzato@ (7)
Il sonatore di armonica proprio uno di quelli dipinti da Josef 
螮pek: l'ho spesso incontrato a Dejvice ed in altri quartieri di 
periferia. 促rag, die Stadt der Sonderlinge und Phantasten, dies 
ruhelose Herz von Mitteleuropa(8) Cittper cui vagano strampalati 
commandos di alchimisti, di astrologhi, di rabbini, di poeti, di 
templari acefali, di angeli e santi barocchi, di arcimboldeschi 
fantocci, di marionettisti, di conciabrocche, di spazzacamini. Citt
aggrottescata di umori stravaganti e propizia agli oroscopi, alla 
clownerie metafisica, alle raffiche di irrazionale, agli incontri 
fortuiti, ai concorsi di circostanze, alle complicitinverosimili 
tra fenomeni opposti, ossia a quelle 剃oincidenze petrificantidi 
cui discorre Breton (9) E dove i boia, come in Kafka, hanno il 
doppio mento e l'aspetto di glabri tenori (10) e potresti intopparti 
nelle 剎ambole parlanti(匍luvicpanny di Nezval, simili a quelle 
di Bellmer, testa calva ed orecchie di porcellana (11), o nella Leni 
kafkiana, rusalca, la quale ha l'anulare e il medio della mano destra 
congiunti da una membrana (12)
La tua sorte - aveva predetto Tycho Brahe a Rodolfo II - legata 
alla sorte del tuo prediletto leone: e Rodolfo infatti mor(gennaio 
1612) pochi giorni dopo la morte della belva (13) Rodolfo, 
personaggio precipuo della cittvitavina, devoto alle stelle e 
cultore di arte spargirica, che giustamente Bulg跮ov ha posto nel 
novero degli illustri Cadaveri invitati all'orrido ballo di Satana 
(14)
A tratti l'arcanitdella Golemstadt si dilata all'intera Boemia, 
terra di frontiera, crocicchio esposto a tutti i venti, 南el punto 
centrale dell'Europa, dove - a detta di Musil - si intersecano gli 
antichi assi del mondo(15) In un racconto di Apollinaire una 
vecchia zigana in un villaggio bosniaco asserisce di venire dalla 
Boemia, 勁e pays merveilleux ol'on doit passer mais non s嶴ourner, 
sous peine d'y demeurer envo ensorcel incant暺 (16) Un sogno: 
girare a piedi un'estate per la provincia boema, da Dobw斁 a 
Protivin, da Vod螁ny a Hlubok picareschi, arruffati, di taverna in 
taverna, tovaglie lorde e birra stantia, spaventare le oche sulle 
aie, dormire sull'erba, scavezzacolli, sventati, 剋igli di campo, - 
con anima ingenua di apostoli come i vagabondi di Karel Toman (17), 
come lo sregolato pittore barocco Petr Brandl, come Jaroslav Ha蟌k.
Afferma Nietzsche in Ecce Homo: 俟e cerco un'altra parola per dire 
musica, trovo sempre e solamente la parola Venezia(18) Io dico: se 
cerco un'altra parola per dire arcano, trovo soltanto la parola 
Praga. E' torbida e malinconiosa come una cometa, come un'impressione 
di fuoco la sua bellezza, e serpentina ed obliqua come nelle 
anamorfosi dei manieristi, con un alone di lugubrite di sfacelo, 
con una smorfia di eterna disillusione.
Osservandola di sera dalla sommitdi Hrad螮ny, Nezval not 俟e 
guardi di lassPraga, che accende ad una ad una le sue luci, ti 
senti come uno che volentieri si getterebbe a capofitto in un lago 
chimerico, nel quale gli sia apparso un castello incantato con cento 
torri. Questa sensazione, che in me si ripete quasi sempre ogni volta 
che su quel nero lago di tetti stellati mi sorprende lo scampanio 
vespertino, un tempo nella mia mente si univa all'immagine di una 
defenestrazione assoluta(19) Lampeggianti parole che colgono il 
nesso tra la mestizia di un paesaggio intriso di un lutto cosmico, un 
lutto aggrandito dai rispecchiamenti fluviali, e la sostanza franosa, 
la trama di crolli, le inibizioni, i precipizi della storia praghese.
Ma giprima di Nezval, in modo analogo, MiloMarten aveva 
adombrato l'ontologia Praga-mistero, che meglio si avverte, scrutando 
la cittdal poggio di Hrad螮ny al tramonto: 亭ra poco divamperanno 
nel nero cristallo della notte le luci, centinaia di occhi che 
guardano in su, malsicuri 俠i conosco tutti! I custodi del fuoco 
dei lungofiume, duplicati nello specchio della scintillante vitava, 
questo ardente viale che sale per la collina come nell'infinito, e 
l in alto, il cespuglio di candele accese sul catafalco di un 
cadavere ogni giorno diverso. E la pupilla fosforescente di un 
uccello rapace giaccanto al ponte e lo sguardo sghembo di una 
casetta simile al volto di un cinese che rida(20)
L'ambigua cittvitavina non giuoca a carte scoperte. La civetteria 
antiquaria, con cui va fingendo di essere ormai solamente natura 
morta, taciturna sequela di trapassati splendori, spento paesaggio in 
un globo di vetro, non fa che accrescere il suo maleficio. Si insinua 
sorniona nell'anima con stregamenti ed enigmi, dei quali solo essa 
possiede la chiave. Praga non molla nessuno di quelli che ha 
catturato. Dunque pensaci fino a carnevale.
NOTE:
(1) Franz Kafka, Epistolario cit', p' 10.
(2) Cfr' Vit瞛slav Nezval, M瘰to kniha (1936), in B滻nv蟌dn駩o 
dne (Dilo, XII), Praha 1962, pp' 148-49.
(3) Josef Hora, Praha ve snu, in Proud, Praha 1946, p' 61.
(4) AndrBreton, Introduction l'飀vre de Toyen, in: AndrBreton 
- Jindwich Heisler - Benjamin peret, Toyen, Paris 1953, p' 11.
(5) Arno褾 Proch漘ka, Kouzlo Prahy (1913), in Rozhovory s knihami, 
obrazy i lidmi, Praha 1916, p' 96.
(6) Gustav Meyrink, Der Mann auf der Flasche.
(7) Vit瞛slav Nezval, Ve蟌rka, in Praha s prsty de褾(1936), ora 
in Dilo, VI, Praha 1953, p' 123.
(8) 促raga, la cittdegli strambi e dei visionari, questo cuore 
irrequieto del Mitteleuropa Oskar Wiener, Deutsche Dichter aus 
Prag, Wien-Leipzig 1919, p' 5.
(9) AndrBreton, Nadja, Torino 1972, pp' 15-16.
(10) Franz Kafka, Il Processo cit', p' 344.
(11) Cfr' Vit瞛slav Nezval, Mluvicpanna, in Zp漮e螽listek, 
Praha 1933, pp' 171-76.
(12) Franz Kafka, Il Processo cit', p' 167.
(13) Cfr' Eduard Herold, 俠vdv鑴 in Podivuhodnpwib璡y ze 
starPrahy, a cura di Karel Krej鍎, Praha 1971, pp' 142-44.
(14) Michail Bulg跮ov, Il Maestro e Margherita, Torino 1967, pp' 
262-63.
(15) Robert Musil, L'uomo senza qualit I, Torino 1957, p' 36.
(16) Guillaume Apollinaire, L'Otmika (1903), in L'H廨esiarque et 
C'ie (1910), ora in 飀vres completes, a cura di Michel decaudin, I, 
Paris 1965, p' 156.
(17) Karel Toman, Tul歊i, in Slune螽hodiny (1913), ora in Dilo, a 
cura di A'M' P斁a, Praha 1956, p' 100.
(18) Friedrich Nietzsche, Ecce Homo, a cura di Roberto Calasso, 
Milano 1969, p' 49.
(19) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec (1938), ora in Dilo, XXXI, 
Praha 1958, pp' 280-81.
(20) MiloMarten, Nad m瘰tem cit', p' 20.
4
Non a caso parecchi scrittori del tempo della Secese (Secession) 
hanno rappresentato la cittvitavina come una donna lusinghevole e 
perfida, come una magalda lunatica. Paragonandola ad una 俟alom
tenebrosache danzi con la testa dei suoi innamorati, dice Oskar 
Wiener: 青hi l'abbia guardata una volta nei profondi occhi trepidi e 
misteriosi, resta per tutta la vita succubo dell'incantatrice 
隹nche coloro che la passione per Praga non portalla rovina 
ammalarono di un perenne struggimento(1) E MiloMarten: 亟' 
bella. Ammaliante come una donna, inafferrabile come una donna, nei 
veli azzurri del crepuscolo, in cui si rannicchia sotto i fiorenti 
declivi, allacciata dalla cintura di acciaio del suo fiume, cosparsa 
degli smeraldi di cupole verderame...(2). E MiloJir滱ek: 侮i sono 
sere in cui Praga, la nostra sporca, triste, tragica Praga nella luce 
d'oro del tramonto si muta in una bionda bellezza fiabesca, in un 
solo prodigio di luce e di fulgore(3)
Ma giVil鄉 Mr褾骿, nel romanzo Santa Lucia (1893), aveva 
effigiato la cittcome una 南era bellezza una 南era seduttrice 
南ascosta nel negligdelle bianche nebbie vitavine(4) Per i 
giovani della provincia morava sullo scorcio del secolo XIX Praga, 
coi suoi palazzi di nobile affare, col suo fiume, con le sue 
leggende,  come Mosca per le tre sorelle, sorgente di insonnia, 
miraggio, acciarino del desiderio. Senza progetti nimpieghi e senza 
conquibus spiccano il volo dalle remote campagne verso la capitale, 
ossia verso l'ignoto e, impigliandosi nella sua demonia, molti di 
loro non tornano.
Il protagonista di questo romanzo, JiwJord滱, figlio di un povero 
operaio di Brno, affascinato dalla cittvitavina, sua terra 
promessa, calappio della sua fantasia, vi si reca per studiarvi 
legge. Egli ama Praga come una femmina viva, con una malsana 
concupiscenza (5) Ma Praga scontrosa coi suoi innamorati: 
哀trangola nel proprio abbraccio di pietra l'ingenuo entusiasta, il 
focoso sognatore di Brno, attratto da essa con tutti i suoi nervi e i 
suoi sensi vogliosi di vita(6) Viene l'inverno, nessuno ha cura di 
lui e, consumati gli scarsi risparmi, egli soffre il freddo, la fame, 
prova mille amarezze, come tutti gli studenti di provincia 
sbalestrati nella capitale.
Jord滱 dunque 哀i brucia nella fiamma inebriante di Praga come una 
barcollante farfalla(7) Ma il disinganno non attenua il suo 
ardore: continuava a irretirlo, peccaminosa, lo attraeva, anche 
quando, osservata di lontano, sembrava riposare nel buio. La 
seduttrice dormiva tra le braccia di quelli che la pagavano meglio 
亮li frusciava alle spalle, con un cupo rombo accompagnava i 
soffocati sospiri delle sue insaziabili labbra e, se non poteva far 
altro, con urli squillanti gli ricordava di lontano che i treni si 
approssimavano al suo corpo e che sempre nuove folle, sempre nuove 
vittime si perdevano nel suo grembo senza fondo(8)
Bellissima immagine dei treni, che si accostano al grembo di questa 
non certo 匍ammina(匍ati螶a, ma adescatrice, volubile druda, la 
quale si sbelletta con mutevolissimi bistri di luci e si avvolge in 
vestaglie fluttuanti di nebbie, come in bizzarri negliges di 
bordello. Vien da pensare che, invece di corrispondere alla dedizione 
di un gramo studente smarrito, costei si daralle lascivie con 
qualche ricco mammalucco venuto dalla provincia, con un baalboth 
imbertonato, sulla cui pancia sussulti l'orologio pendente da 
un'enorme catena, un baalboth come quello che Werfel, in un suo 
racconto, ha inserito tra i clienti di un lussuoso postribolo (9)
Jord滱, infermo, affamato, smagrito, senza pastrano, le scarpe 
rotte, si aggira, cespitando come un automa, per Praga, arso dalle 
sue intemperie, saettato dai suoi sguardi allettanti, in preda alla 
febbre e al delirio, il non ammesso, l'escluso, l'estraneo. Si aggira 
in continuo colloquio con la civetta di pietra, che insieme lo 
incapriccia e lo sfugge, indifferente ai suoi spasimi, al suo errare 
disperatissimo. Raccolto esanime in strada, morirall'ospedale, ma 
sino all'ultimo brilla nei suoi occhi l'icona di Praga, vanissima 
femmina, costorbida e cosprovocante, da richiamare alla mente le 
creature muliebri dei quadri della Secese. E in effetti qualcosa in 
questa ipostasi sessualizzata e meretricia della cittvitavina 
rimanda alle languide donne, alle 剎ianche camelie che all'inizio 
del secolo nostro dipingerMax 襒abinsk(10)
Per la melodiosa sequela di acquerelli e di guazzi che lo percorre, 
il romanzo tiene anche dell'impressionismo. Con straordinaria sagacia 
pittorica Mr褾骿 rende le pisottili e impalpabili sfumature 
atmosferiche, il variare del tempo, le tinte della capitale boema, 
illusoria Santa Lucia, nelle diverse ore della notte e del giorno: i 
barlumi lunari e le ombre azzurrognole, il biancore dei tetti sotto 
la neve, lo scintillare del nastro di perle del fiume, il giallo 
barbaglio dei desolati lampioni a gas. Coi suoi contorni tremolanti e 
confusi, ammorbiditi dall'umiditvitavina, la Praga perlacea di 
Vil鄉 Mr褾骿 sembra, come una Lo髾 Fuller, dissolversi nello 
sventolio degli iridescenti veli di bruma, nel turbine dei drappi di 
luci multicolori che la avviluppano.
NOTE:
(1) Oskar Wiener, Deutsche Dichter aus Prag cit', p' 5.
(2) MiloMarten, Nad m瘰tem cit', p' 21.
(3) MiloJir滱ek, O kr滻nPraze, in Dojmy a potulky (1908), ora 
in Dojmy a potulky a jinpr歊e, Praha 1959, p' 43.
(4) Vil鄉 Mr褾骿, Santa Lucia, Praha 1948, pp' 137 e 39.
(5) Cfr' JiwKar滻ek ze Lvovic, Vil鄉 a Alois Mr褾骿ov in 
Impressionista ironikov Praha 1903, pp' 76-77.
(6) F'X' 螮lda, Vil鄉 Mr褾骿, in Du蟌 a dilo (1913), Praha 1947, p' 
115.
(7) Arne Nov毾, Praha a slovesnkultura, in Kniha o Praze, a cura 
di ArtuRektorys, III, Praha 1932, p' 17. Cfr' Vladimir Justl, 
Bratwi Mr褾骿ov Praha 1963, pp' 12-14.
(8) Vil鄉 Mr褾骿, Santa Lucia cit', p' 231.
(9) Franz Werfel, La casa di lutto, in Nel crepuscolo di un mondo, 
a cura di C' Baseggio, Milano 1950, p' 515.
(10) Cfr' Antonin Mat疀蟌k, Max 襒abinsk Praha 1947, pp' 20-22; 
Jan Lori Max 襒abinsk Praha 1949, pp' 100-4.
5
Ora che ne sono lontano, forse per sempre, mi chiedo se Praga 
esista davvero o se piuttosto non sia una contrada immaginaria come 
la Polonia di re Ubu. Eppure ogni notte, camminando nel sogno, sento 
pietra per pietra il selciato di Piazza della CittVecchia. Vado 
spesso in Germania, per veder di lontano, come da Dresda lo studente 
Anselmo, le seghettate catene di monti della Boemia (1) Mein Herr, 
das alte Prag ist verschwunden.
V瘲a Linhartov noi, sciame di fantasmi della diaspora, portiamo 
da un capo all'altro del mondo la nostalgia di questa terra perduta. 
Il ritrattista barocco Jan Kupeck profugo di confessione 
evangelica, dovunque vivesse, in Italia, a Vienna, a Norimberga, non 
cessmai di chiamarsi 厚ictor bohemuse sino all'ultimo fiato 
rimase devoto alla lingua ceca, alla fede dei Fratelli Boemi (2) E 
cosl'incisore barocco V歊lav Hollar, benchesule a Francoforte sul 
Meno, a Strasburgo, ad Anversa, a Londra, si sentsempre ceco, come 
dimostrano parecchie acqueforti firmate 俐enceslaus Hollar Bohemus 
la didascalia di una di esse (1646): 非obrko螶a, kternemls熐 (Una 
brava gatta non ghiotta), le parole ceche (come 勁es bosco e 
厚ole campo) inserite nei suoi disegni e le sue frequenti vedute di 
Praga (3)
La capitale boema, che noiosamente rimacina la sua triste farina, 
ci appare gistinta e aggricciata nel freddo della memoria, dopo 
appena qualche anno di esilio, stinta ma pifavolosa, come nei 
vostri racconti, V瘲a Linhartov La prosa della Linhartov specie 
nei sei 剃apriccidel libro Mezipr鱵kum nejbl擯 uplynul逸o 
(Interanalisi del fluito prossimo, 1964), vuol trasferire nella 
dimensione del linguaggio i procedimenti della geometria descrittiva: 
il suo ordito infatti si configura come una fuga di assoli di linee e 
di punti, una serie di proiezioni, traiettorie, rotazioni ed ellissi 
di corpi geometrici (4) Ma questo mondo geometricamente preciso 
ravvolto in fittissimi stracci di nebbia (la nebbia coincide col 
vuoto della memoria) I contorni di tutte le cose, la natura, persino 
le pietre svaporano in un'aria lattiginosa, di sfilacciato cotone, 
come nei quadri di 蟊ma (5), e le parvenze, mutevoli ed evanescenti, 
traspaiono appena dalla caligine del proprio peculiare paesaggio.
Fantocci di complicate manovre cerebrali, esse sono gli anemici 
prolungamenti e alterego della scrittrice, e come lei trasognate, 
sonnambule. Pallida e quasi avesse le guance incrostate di biacca, 
V瘲a assomiglia a quelle bambole di cera da vetrina di parrucchiere, 
剎ambole parlanti a quegli ovali enigmatici che piacevano ai 
surrealisti praghesi e, come le sue balenanti creature, sa suscitare 
un'irradiazione arcana, una zona di inesplicabile in qualunque luogo 
si ponga.
Se Bohumil Hrabal, nella propria prosa, attinge alle fonti del Pop 
di Praga, alla billboard picture e al Kitsch dei vecchi album, - la 
Linhartovsottende i suoi rompicapi di assidui rimandi a diversi 
pittori cechi, fra i quali, oltre a 蟊ma, i surrealisti Jindwibl 
褾yrske Franti蟌k Muzika. Ma quel barcollio onirico, quel velatino 
stillante (哀tillanteequivale per lei ad 哎moresco, le 
talismaniche trasposizioni, il continuo rimuginare da demone loico, 
certi simulacri come il dottor Altmann, la Venezia da carnevale che 
sfuma nella precaria Praga degli anni Sessanta: tutto questo ci 
riconduce alla narrativa hoffmanniana.
Del resto le contorsioni e gli spasimi della dialettica, la 
depurata astrattezza del ragionamento spingono la Linhartova 
rimescolare alla rinfusa la storia e a far convergere nelle sue 
parabole gente di terre e di etdiverse. CosPraga, fasciata da 
sciarpe di bruma ed intrisa di un lume alcoolico analogo a quello che 
imbeve il poemetto Edison di Nezval, diventa cittdi elezione di 
Charlie Parker (che suona il sassofono nella bettola 保rl骿, di 
Billie Holiday, di Dylan Thomas (che dimora in un quartiere fumoso 
della periferia), di Verlaine e Rimbaud (che convivono in una camera 
mobiliata nel centro della CittVecchia), di Nieinskij, della 
Linhartovstessa (anzi del signor Linhart, poichparla al maschile) 
in un 匍antello di rasosettecentesco. Cittche una sorta di 
manicomio metafisico, dove questi personaggi, pazienti e forse 
invenzioni dell'ambiguo psichiatra dottor Altmann (della lega dei 
Coppelius e dei Lindhorst), si fanno pedine di quell'occulto elemento 
che potremmo chiamare 厚ragheit鉬: manicomio e ad un tempo 
palcoscenico sull'universo, con specole e scale da capogiro e 
macchine buffe e con jazz e coi cammelli che Rimbaud si trascina sin 
dentro la stanza d'affitto, una stanza molto kafko-praghiana.
Le sottigliezze, gli assiomi, l'incongruo spostarsi e sparire delle 
figurette, e gli insistenti motivi di deviazione dalla traiettoria, 
vertigine, precipizio e caduta danno al discorso della Linhartovun 
tono di freddo delirio, una demenza analitica, tanto picavillosa 
quanto piesangue. Con la loro tensione continuamente spezzata come 
da una logopatia, saltuari allo stesso modo di alcune esecuzioni di 
Charlie Parker, con gli squilibri e i sofismi e con quei movimenti di 
spola su e gi di topo smarrito in un labirinto, i suoi 剃apricci
verbali imbastiscono un distretto medianico, una sconsolata regione 
di larve, tra le cui matasse di nebbia ella si annida, come Else 
Lasker-Scher, principe Jussuf, nelle sue chimeriche Tebe e Bagdad 
(6)
Anni or sono, non ricordo che anno, ma prima che le fonderie della 
sorte lavorassero nuovi fulmini e tuoni per la cittvitavina, 
trascorremmo insieme a Roma la sera di Natale, una sera piovosa, 
umidiccia, in casa di Achille Perilli. Il pittore, dalla zazzera 
chagalliana gisparsa di canutiglia d'argento, sfoggiava un'enorme 
cravatta di fuoco, sua demonia. V瘲a indossava lo stesso trench 
d'argento, con cui mi era apparsa alla soglia del caffSlavia una 
mattina d'agosto: l'argento si addice ai sonnambuli. Un altro 
pittore, Gastone Novelli, che ci ha preceduti nell'erebo, si era 
tolti gli immensi scarponi, restando con le rozze calze di rossa 
lana. V瘲a se ne stava chiotta in un angolo a bere. Beaujolais, 
whisky, cognac. Dice il poeta: 青ome vi ho amato, bottiglie piene di 
vino(7)
Quando poi, a tarda notte, mi offrii di accompagnarla, non 
rammentava pil'indirizzo della famiglia che l'aveva ospitata. 
Cominciammo a girare dannatamente, corseggiando le vie gideserte 
del centro, e Roma, fluttuando sul parabrezza bagnato, sembrava 
riempirsi di fiocchi di nebbia praghese. Senza curarsi dei miei nervi 
impigliati in quel bandolo di giravolte, V瘲a cicalava 
sconnessamente. Il suo dire imitava il ductus dei suoi 剃apricci 
che si vanno costruendo 冠 vista come ossessivi garbugli di una 
dialettica tortuosa e schizoide, tutta ritardi, ritorni, 
duplicamenti, ossimori, lacune, amnesie, discordanze, incastri di 
piani difformi, strampalati trastulli grammaticali: con un'attonita 
timidite un'andatura svogliata, a ritroso, da 剃anone granchiesco
Quella notte brilla, coinvolto nei viluppi implacabili di questa 
ciarla, resi ancor piintricati dai ghirigori e meandri del nostro 
annaspare, nel metti e leva incessante di questa fabbrica, capii che 
la dialettica, come ogni ricerca a vuoto, per dirla con Weiner, 
l'autore picaro a V瘲a Linhartov 哎n diavolo, il quale ci 
incalza in cerchio come cani che inseguano la propria coda(8)
V瘲a ripeteva: sessantacinque, sessantacinque: probabilmente un 
numero civico. Come due maschere di un carnevale hoffmanniano 
correvamo su e giper il Corso, da Piazza Venezia a Piazza del 
Popolo e da Piazza del Popolo a Piazza Venezia, passando dinanzi a 
San Carlo, ldove, di giorno, su un palco, il ciarlatano Celionati 
vende radici miracolose e rimedi infallibili contro l'amore infelice 
e il mal di denti e la podagra (9) Ripeteva con stizza: nei pressi 
di via Condotti, nei pressi... Ma via Condotti era ormai la praghese 
via Na Pw骿op Si accaniva a cercare nella borsetta il foglietto con 
l'indirizzo, rovesciando sul sedile forcine, portacipria, amuleti, 
pettini. Procedevo ormai lentamente come una rozza d'affitto e 
facendomi della mano sinistra letto a una guancia.
Infine, dopo ore ed ore di giramenti, sguainfuori un grido: via 
di Monte Brianzo. Per la mia candela verde, voliamo. La tanto attesa 
parola mi aveva scosso dalla sonnolenza. Premetti il pedale, come un 
lampo imboccando la strada tanto anelata. Tic toc tac: a un portone 
imporrito. Poi, dobrko螶a, kternemls(brava gatta non ghiotta), 
mi scappdalla vista, ficcandosi in un buio androne, senza nemmeno 
salutarmi. In quel momento mi accorsi che era anche lei un 
personaggio della mia Praga magica e picaresca, della compagnia di 
alchimisti, di astrologhi, di stralunati, di manichini, di odradek, 
che vi tiene spettacolo.
Parigi o Roma, che importa. Avete scritto voi stessa che ognuno 
il portatore del proprio paesaggio e che questo paesaggio non 
impegnativo per gli altri che vi si muovano provvisoriamente e che 
l'uomo sveste e abbandona 削opo un certo tempo anche il piamato 
paesaggio con minore rimpianto che se si trattasse di una scomoda 
pelle di serpente(10)
NOTE:
(1) E'T'A' Hoffmann, Il vaso d'oro (Prima vigilia), in Romanzi e 
Racconti, Torino 1969, I, p' 169.
(2) Cfr' Jaromir Neumann, 蟌skbarok, Praha 1969, pp' 65-66.
(3) Cfr' Eugen Dost滎, V歊lav Hollar, Praha 1924, pp' 20 e 134; 
Johannes Urzidil, Hollar: A Czebl Emigrin England, London 1942, pp' 
22-23 e 29.
(4) Cfr' Daniela Hodrov Um瘽projekce, in 保rientace(Praha) 
1968, 3.
(5) Cfr' Joseph Sima, catalogo della mostra al Mus嶪 National d'Art 
Moderne, Paris 7 novembre-23 decembre 1968, con scritti di Jean 
Leymarie, Fanti蟌k 螸ejkal, Roger Gilbert-Lecomte, Roger Caillois, 
ecc'
(6) Cfr' Else Lasker-Scher, Die Wolkenbrhe (Briefe), Mchen 
1972.
(7) Vladimir Holan, Vezmi m齹 d骿, dal ciclo Vino, in Trialog 
(1964) e ora in Lamento, Praha 1970, p' 72.
(8) Richard Weiner, Lazebn骿, Praha 1929, p' 12.
(9) Cfr' E'T'A' Hoffmann, La principessa Brambilla, cap' 1, in 
Romanzi e racconti cit', III, p' 417.
(10) V瘲a Linhartov Interanalisi del fluito prossimo, a cura di 
Ela e Angelo Maria Ripellino, Torino 1969, pp' 16-17.
6
Come la cittvitavina, questo libro sarsignoreggiato dalla 
siluetta di Hrad螮ny, la rocca, la dominante della conca praghese. A 
Hrad螮ny, a contrasto col sottostante Barocco di MalStrana ritmato 
da pause di verde, si leva la cattedrale gotica di San Vito, coi suoi 
archi rampanti, con le lingue di fiamma dei suoi frastagliati 
pinnacoli, con le sue finestre ogivali, con le smorfie ghignanti dei 
suoi doccioni (1)
Come un lumacone incantato, tornavo spesso ad almanaccare sulla 
schiera di busti che ne orna il triforio. La mia bramosia di colori 
si inebriava delle pietre preziose boeme: corniole, ametiste, 
calcedoni, diaspri, agate, crisopazi, che, incastonate e commesse in 
una malta d'oro, abbelliscono le pareti della soave cappella di San 
Venceslao, brillando nella luce svenevole delle candele. Quell'intimo 
spazio raccolto e fiabesco e la Porta d'Oro a tre arcate col mosaico 
veneziano appagavano la mia sete di meraviglioso. Il nembo di 
insegne, reliquie, gioielli, patene, ostensori, che si accumula nella 
cattedrale, rispondeva d'altronde alla mia smania di nomenclature, 
alla mia passione per gli ammucchiamenti di oggetti. E poichil 
Gotico per me si immedesima con l'ardire della giovinezza, mi 
rallegravo che Carlo IV, dopo la morte del primo costruttore Maty碭 
di Arras (1352), avesse affidato la fabbrica di San Vito a un giovane 
ventitreenne, a uno sconosciuto, Petr Parl鈍 di Gmd, che si rivel
architetto geniale.
Eppure anche da quella sonata verticale, da quella drusa di pietra 
cristallica, da quel trionfo del Sesto Acuto soffia sempre qualcosa 
di misterioso, di ambiguo, ossia di praghesco, come se frotte di 
demoni tentennini vi si mescolassero a generazioni di santi. I 
doccioni mi si fondevano sempre nella fantasia con le larve 
grottesche e inquietanti della letteratura praghese. Fanno combutta 
diverse cose puntute nel cielo della capitale boema, trafiggono il 
costato del cielo con le loro guglie la cattedrale, il superbo 
beffroi del Municipio della CittVecchia, la Porta delle Polveri, le 
torri della chiesa di T蓽, quelle idrauliche e quelle del Ponte Carlo 
e cento altre. Non a caso Nezval paragona le torri nel chiarore 
notturno a un'冠ccolta di negromanti(2) Il cielo di Praga si 
ristora delle beccate delle cuspidi, appoggiando le guance alle 
soffici cupole della stagione barocca, sebbene anche in quello 
smeraldo palustre si celi la coda del maleficio: a detta di Seifert, 
quando sorge la luna, in quel verderame, come negli acquitrini, si 
sente il gracidio delle rane (3)
Nell'ora dell'avemaria ascoltavamo dall'alto il fremito delle 
campane di tutte le chiese di Praga. Guardavamo dall'alto l'intrico 
ammaliante di lucidi tetti embricati, di ballatoi, di torrette, di 
camini, di abbaini (4) Ricordi le sere di festa, quando i riflettori 
incendiavano il verderame di San Nicola, le statue del Ponte Carlo, 
la facciata del San Salvatore? Dalla sommitdi Hrad螮ny la citt
sembrava annegata in un polverio di fulgori giallognoli. Gli edifici 
riflessi nel fiume e cullati dalle onde si trasformavano in tremuli 
castelli subacquei, in rifugi di vodnici, di omini acquatili. Quelle 
sere i gabbiani, accecati dai calcinosi barbagli, strillavano pi
raucamente, come note di Jan碭ek, profondendosi in lazzi e 
lanciandosi in torneamenti precipitevoli. Bianchissimi, col becco 
nero, volteggiavano inquieti sugli orli del Ponte delle Legioni, per 
poi posarsi sfiniti sulle acque, come barchette di carta. E al vicino 
Teatro Nazionale frattanto, con non minore destrezza, saltabeccava, 
magnifico bagattelliere, Ladislav Pe蟌k, con mostaccio di furbo e 
invenzioni ridicolose, negli abiti del ciurmadore Vocilka (5)
Ricordi le gelide sere in cui salivamo a Petwin, al Laurenziberg, 
sotto la neve, lentissimi come acquaiuoli? 侮a bene, - si legge in 
Kafka - se proprio vuole verrcon lei, ma resto del parere che 
assurdo andare ora, d'inverno e di notte, sul Monte San Lorenzo(6) 
Una luce giallastra stillava filamenti di miele dentro i lampioni. Tu 
avevi neri stivaletti di feltro, e col puntale dell'ombrello 
tracciavi sconclusionati alfabeti sui sentieri nevosi. La luna 
sbirciava di dietro sipari di nuvole, come una guitta paffuta nel 
giorno della beneficiata. Ammiccava il rosso occhio grifagno 
dell'osservatorio astronomico. Briciole di luccicanti ricordi si 
affollano come specchietti spezzati ammucchiati a scatafascio dentro 
una gerla. Le trarrfuori ad una ad una, e con tanti frantumi che a 
malapena combaciano tenterdi evocare l'inafferrabile effigie della 
cittvitavina.
La rotonda romanica della Santa Croce in via Karolina Sv皻l 
dinanzi alla nostra abitazione adornata di ottocenteschi graffiti. La 
fiera di San Matteo, il 24 febbraio, a Dejvice, nel cui fitto fango 
le scarpe affondavano, baraonda di giostre e musei delle cere e 
bancarelle gremite di pettini e trombe di cartapesta, di lucerne in 
ferro battuto e cuori di latta o panforte, di immagini sacre e 
ritratti di Stalin. e i vagoni fermi su binari morti alla stazione 
Masaryk. E la villa Bertramka, dove, ospite della cantante Josefina 
Du螶ov una notte di ottobre del 1787, Mozart avrebbe composto a 
poche ore dallo spettacolo, mentre i copisti irrequieti aspettavano, 
l'ouverture del Don Giovanni (7) E le statue del Ponte Carlo 
incappucciate di neve. E gli occhi guerci delle lampade a gas nelle 
sghembe viuzze a Hrad螮ny. E i mulini dell'isola Kampa, in specie il 
Mulino dei Gufi (Sovovskml蓽, Eulenmle), accanto al quale, in 
un'umida casa che un tempo era stata una conceria, nella 剃asa del 
poeta tragico(8), abitava, lugubre, Holan, sempre rissando con 
l'inquilino di sopra, Jan Werich, il pigrande clown di Boemia. La 
leggenda racconta che quel mulino derivasse il nome dai gufi (sovy), 
che facevano il nido nelle cavitdi un vecchissimo pioppo, 
superstite di primordiali foreste, mentre in effetti, pi
poveramente, cossi chiamava per il suo proprietario, pan Sova, 
ossia signor Gufo (9) E l'acqua stagnante della 蟌rtovka (Ramo del 
Diavolo) E il labirinto di specchi a Petwin. e i manifesti con le 
scarpe Bat'a, tarchiate barcacce di indistruttibile cuoio. E i cieli 
mossi dal vento, arene di 冠zzurri soffianti(10) sulla collina di 
Vy蟌hrad, dalla quale i passanti in basso sembrano le figurine di un 
disegno infantile.
E, in Piazza San Venceslao, la maiuscola insegna luminosa della 
Casa della seta di Lione, gli automaty, i buffets, zibaldoni di 
torte, tartine, salsicce nella mostarda, nericcia spuma di birra. E i 
pupazzi dei turchi in turbante e gabbano turchino, che annuivano 
dalle vetrine delle drogherie Meinl. E la ferraglia dei rossi tram, 
che arrancavano verso il cimitero di Ol螮ny, con una corona appesa al 
rimorchio, come una ciambella di salvataggio. E le ragazze che, in 
abito lungo, le guance con leggerissime leccature di minio, figure 
dell'inestinguibile Biedermeier praghese, consimili alle 剎ambole da 
caff頠 (勃潎ovpanenky di 褾yrsk(11), andavano al primo ballo al 
Lucerna, in compagnia della madre. E le mingherline stamberghe del 
Nuovo Mondo, che si accatastano a vanvera l'una sull'altra (12) E le 
fortunose casacce di Libe di E'i鋘ov che, nonostante la scorticata 
miseria, sanno recitare misteri barocchi, mutandosi, come afferma 
Kol漙, in 南avate di templi con infinito corale di vasellame - fra 
incenso di sciacquature - con elevazione di zolfanelli per cercare il 
numero - dei confessionali (con ottomana attaccapanni e catinella)
(13)
E la torre del Municipio della CittVecchia, col calendario 
dipinto da Josef M滱es, 剃iclo di dodici idilli sulla vita del 
contadino boemo(14), e con l'orologio astrologico di Maestro Hanu 
sopra cui si anima, al batter delle ore, un teatrino allegorico. 
Dietro due finestrine vedi sfilare un gruppetto di piccole statue: 
gli apostoli col Salvatore, e la morte che alletta l'avaro e l'avaro 
che la respinge, e il turco, ed altre figure, finch al canto di un 
gallo, tutto sparisce (15) E l'abbagliante ostensorio d'oro 
tempestato di pidi seimila diamanti nell'assorto oratorio di 
Loreta, dove batte alle tempie il silenzio dei secoli e dal torrido 
sfarzo di tabernacoli, statue, calici, ex voto traspare ancor oggi la 
mestizia di Praga ricattolicizzata (16) Ma basta: dai troppi ricordi 
mi fuma ormai il sale in zucca.
Eppure: ricordi? Nella nostra continua fl滱erie per le strade della 
cittvitavina cercavamo i caffdei poetisti, i Kaffeeh酳ser, 
catacombe - come Kafka not- degli scrittori ebraici di Praga (17), 
le cento osterie frequentate da Jaroslav Ha蟌k, i cabarets di altri 
tempi e, a Na Pow斁 le tracce dei vecchi 螮nt滱y e Tingeltangel 
(18) Attirati dalla 厚rofonda risata delle birrerie(19), vi 
entravamo, partecipando alla guerra di successione dei boccali e dei 
gotti, agli accesi battibecchi dei clienti che, irrorati da un 
perpetuo asperges di Pilsen, dialogano secondo il principio 侯o 
koze von o voze(Io della capra lui della rapa), che anch'esso 
rispecchia l'incongruenza della capitale boema. Entravamo nelle 
kav漷ny, in stanzoni fumosi di moca, e qui ci accoglievano l'alpaca 
nero dei camerieri dal portafogli rigonfio, il balbettio implacabile 
delle vecchiette, che vi si riuniscono a spettegolare, dopo aver 
fiutato tutte le chiese, lo sguardo scurrile di gnocche sgualdrine 
grassocce, le quali danno mattana a bellimbusti maturi, che fingono 
di ripararsi dietro un giornale attaccato a una stecca, l'ebetudine 
di goccioloni, che restano per ore intere imbambolati a fissare in un 
bicchiere il dio della birra, e talvolta orchestre di dame polpose 
con volto bistrato e gorgiere di perle sull'ampio scollo.
Tutto ciritorna la notte a ingombrare le insonnie. Picchiano 
arcanamente, la notte, impugnati da chi torna tardi, i battenti 
arabescati e inquietanti dei portoni di MalStrana (20) Strani nomi 
che aguzzano la r瞚erie hanno i palazzi di questo quartiere (21): Al 
gambero verde, Al gambero d'oro, All'angelo d'oro, Alla rapa bianca, 
Al luccio d'oro, Al leone rosso, Alle tre stelline, All'aquila 
bianca, Al cervo rosso, Ai tre cuori d'oro, Alle tre rose, Alla mela 
bianca, Al capro rosso, All'aquila nera, Al cigno d'oro, Alla ruota 
d'oro, Al grappolo d'oro, Al ferro d'oro di cavallo. Sebbene il 
Castello sia volto verso MalStrana, che gli giace in grembo, 
tuttavia MalStrana non sembra guardare il Castello, e del resto non 
guarda nemmeno il fiume (22) Le sue architetture guarnite di altane, 
attici, torri, mansarde, comignoli, sono immerse nel sonno, racchiuse 
in se stesse, scontrose come forzieri, e le sue viuzze rassembrano 
spazi segreti, ridotte, corridoi misteriosi: circostanza che accresce 
il suo distacco dalla vita in fermento, la sua ciclotimia, la sua 
solitudine.
Qualcosa di noi rimasto nei pr麡hody, ossia nei passaggi, che 
permettono di attraversare il centro di Praga senza uscire 
all'aperto, nella fitta rete di piccole strade furtive, nascoste 
all'interno di blocchi di case vecchissime (23) Nella CittVecchia 
ci imbrogliava questo ordito di anditi occulti e comunicazioni 
infernali, che per ogni verso si spandono e la ricercano tutta. 
Straduzze bambocce, infilate di androni, cammini di ronda dove si 
penetra a stento, cunicoli che ancora odorano di Medioevo, trasandate 
strettoie impacciatissime, in cui mi sentivo come dentro la gola di 
una bottiglia.
In certi punti strozzati della CittVecchia il visitatore si 
perde, intoppando nella malignitdi alti muri. Ah, i muri di Praga, 
questo motivo ossessivo della poesia holaniana. Il plesso volubile 
delle medievali straduzze, che d'improvviso si stringono o allargano, 
si ritraggono o sporgono spezzatamente, cava del senno il passante, 
impedendogli un libero andare. E' come se la materia della citt
medievale gli venisse addosso, quasi aderendo al suo corpo con 
smancerie carcerarie (24) Mi sottraevo all'angustia impiccatoia 
delle viuzze, alla sbriccaria di quei vicoli torvi, a quei muri 
prensili e storti, fuggendo sulle verdi isole, nei fioriti perterri e 
nei parchi e nei belvederi e negli orti, che da ogni lato circondano 
Praga.
NOTE:
(1) Cfr' Zden瘯 Wirth, Franti蟌k Kop, V歊lav Ryne Metropolitn
chr滵 Svat逸o Vita, Praha 1945; Vojt瑿l Birnbaum, Listy z d疀in 
um瘽 Praha 1947, pp' 91-112, 113-19, 120-45; A' Kutal, D' Libal e 
A' Mat疀蟌k, 蟌skum瘽gotick Stavitelstva sochawstv I, Praha 
1949, pp' 24-26; Jan Wenig, Chr滵 chr滵 Praha 1955; Jakub Pavel, 
Chr滵 Svat逸o Vita v Praze, Praha 1968; Viktor Kotrba, Architektura, 
in 蟌skum瘽gotick 1350-1420, a cura di Jaroslav P膰ina, Praha 
1970, pp' 58-62.
(2) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 374.
(3) Jaroslav Seifert, Sv皻lem od瘽(1940), Praha 1946, p' 24.
(4) Cfr' Ladislav Sitensk- Jaroslav Herout, Praha stov璔at 
Praha 1971.
(5) Nella commedia Strakonickdud毾 (Il sonatore di cornamusa di 
Strakonice, 1847) di Josef Kajet滱 Tyl (1808-56)
(6) Franz Kafka, Descrizione di una battaglia (1904-905), in 
Racconti, a cura di Ervino Pocar, Milano 1970, p' 6.
(7) Cfr' Jaroslav Patera, Bertramka v Praze, Praha 1948, pp' 92-98.
(8) Vladimir Holan, Noc s Hamletem (1964): Una notte con Amleto, 
Torino 1966, p' 126.
(9) Cfr' Jan Herain, StarPraha, Praha 1906, p' 130.
(10) 侮anoucmodwe(Azzurri soffianti) intitolFranti蟌k Kupka 
alcuni suoi quadri. Cfr' Ludmila Vachtov Franti蟌k Kupka, Praha 
1968.
(11) Cfr' Jindwibl 褾yrsk Sny, a cura di Franti蟌k 螸ejkal, Praha 
1970, pp' 69-70.
(12) Cfr' Vojt瑿l Volavka, Pout' Pr殠ou, Praha 1967, p' 288.
(13) JiwKol漙, Litanie, in 鐰y a variace, Praha 1946, p' 16.
(14) MiloJir滱ek, Josef M滱es, Praha 1917, p' 28.
(15) Cfr' Jan Dolensk Praha ve svsl潎i utrpen Praha 1903, 
pp' 298-300 e 307-15; Joseph Wechsberg, Prague: The Mystical City, 
New York 1971, pp' 67-68.
(16) Cfr' Jan Herain, StarPraha cit', pp' 254-55.
(17) Cfr' Gustav Janouch, Colloqui con Kafka, a cura di Ervino 
Pocar, Milano 1964, p' 32.
(18) Cfr' Vojt瑿l Volavka, Pout' Prahou cit', p' 98, e Eduard Bass, 
LabutpiseNa Pow斁 in Kuk漮ko, Praha 1970, pp' 211-12.
(19) JiwKol漙, Sv璠ek, in 鐰y a variace cit', p' 33.
(20) Cfr' Jan Dolensk Praha ve svsl潎i utrpencit', pp' 
172-75.
(21) Cfr' N' MelnikovPapou螶ov Domovnznaky a v蓯瘰n褾ity 
praesk in Kniha o Praze, a cura di ArtuRektorys, III, Praha 1932, 
pp' 128-45.
(22) Cfr' Vojt瑿l Volavka, Pout' Prahou cit', pp' 159-60.
(23) Cfr' Egon Erwin Kisch, Die Abenteuer in Prag, 
Wien-Prag-Leipzig 1920, pp' 68-77; Vojt瑿l Volavka, Pout' Prahou 
cit', pp' 74-75.
(24) Cfr' Vojt瑿l Volavka, Pout' Prahou cit', p' 33.
7
Questo non  signori, un Baedeker, sebbene molte vedute della 
cittvitavina vi compaiano, scattando come i vetrini a colori di un 
View-Master, di un Guckkasten. non farl'accompagnatore saccente, 
che caca le sue imparaticce parole come un graziano.
Questo mio dittamondo praghese un libro sconnesso, sbandato, a 
frastagli, scritto nell'insicurezza e nei mali, con disperaggine e 
con pentimenti continui, con l'infinito rimorso di non conoscere 
tutto, di non stringere tutto, perchuna citt anche se assunta a 
scenario di una fl滱erie innamorata, una dannata, sfuggente, 
complicatissima cosa. E perciscorrertraballante come le vecchie 
pellicole, che si proiettavano al Bio Ponrepo, il primo cinema a 
Praga, nello 螮nt滱 隹l luccio azzurro un libro incrinato da 
strappi e sobbalzi e lacune e da accessi di accoramento, come la 
musica del Sax Alto di Charlie Parker. Del resto, come afferma Holan: 
俟ei senza contraddizioni? Sei senza possibilit鉬 (1)
Qualcosa di irreparabile si abbattuto in un agosto gilontano 
sulla capitale boema, qualcosa che ha stravolto la nostra vita. E 
questo libro mi guarda con gli occhi lacrimosi della mia vecchiaia, 
me lo trascino ansimando, con una profonda stanchezza. Fatico a 
mettere insieme gli innumeri appunti, a raccogliere i foglietti di 
molte stagioni felici, volati in aria come fanfaluche rapite dal 
vento. La penna sergente si sforza di allineare le sornione parole 
soldati. Frattanto Jirka e Zuzanka hanno avuto un bambino, si chiama 
Adam: vuol dire che, dopo le traversie, ricomincia tutto daccapo? Ma 
quanti sono in prigione? Quanti sono morti di crepacuore? Quanti si 
sono dispersi nell'oscuritdell'esilio? Quanti hanno indossato un 
ignobile abito servigiale?
E percicome potrei scrivere con distaccata e sussiegosa dottrina, 
in bell'ordine, un esauriente trattato, soffocando la mia 
irrequietezza, il mio argentovivo col rigor mortis dei metodi e con 
la lana caprina delle pedanti disamine? Vado invece intessendo un 
libro a capriccio, un agglomeramento di meraviglie, di aneddoti, di 
numeri eccentrici, di brevi intramesse e di pazze giunte: e sarei 
felice se, a differenza di tanta ciurmaglia di carta che ci circonda, 
non fosse governato dal tedio. Come JiwKol漙 nei suoi collages e 
nelle sue 厚oesie evidenti(2), incollerin queste pagine brandelli 
di quadri e di dagherrotipi, antiche acqueforti, stampe rubate dal 
fondo di cassapanche, reclames, illustrazioni di vecchi periodici, 
oroscopi, brani di libri di alchimia e di viaggi stampati a caratteri 
gotici, storie di spettri senza annodomini, fogli d'album, chiavi dei 
sogni: i cimeli di una cultura svanita.
La capitale boema non infatti soltanto vetrina di preziose 
pietruzze e di lampeggianti reliquie e ostensori, che fanno 
vergognare il sole della morta sua luce. C'un'altra faccia di 
Praga, il suo aspetto infetto, arruffato di tandlmark (o tarmark), 
ossia di mercato di cianfrusaglie e di roba consunta e di scarti da 
ferrivecchi, tra i quali magnificenze di gemme sfavillano. L'antico 
tandlmark della CittVecchia dilaga come una zizzania per tutti i 
quartieri, sino all'estrema cisposa periferia.
Affastellando oggetti obsoleti, frugando nel limo profondo della 
nomenclatura, riuscirforse a rendere i laceramenti della capitale 
boema, tutto il pulcioso e il tarlato che vi si annidano, i suoi 
guidaleschi, la sua vocazione per il ciarpame. Perchio vedo Praga 
in una duplice chiave: non solo come una riserva di splendidezze e 
tesori, noci moscate addentate sovente nei secoli da forestieri 
cinghiali, ma anche come una catasta di arsiccio e maculato 
vecchiume, di scarabattole intrise di rassegnata tristezza, come una 
popolosa famiglia di utensili sbreccati, di decrepiti oggetti malati, 
di ninnoli marci. E purtroppo 卻gni oggetto ha la propria ombra 
notturna, ogni oggetto contiene veleno. Digitale, cicuta, aconito 
azzurro danzano a notte su zampe d'oro di gallo nel buio erboso(3)
NOTE:
(1) Vladimir Holan, Lemuria (1934-38), Praha 1940, p' 70.
(2) Cfr' Miroslav Lama- Dietrich Mahlow, Kol漙, K闤n 1968: 
Miroslav Lama JiwKol漙, Praha 1970; Arturo Schwarz e altri, Jiw
Kol漙, L'Arte come Forma della libert Milano 1972; A'M' Ripellino, 
Il suo messaggio esce da un cesto di coriandoli, in 俠'Espresso 23 
aprile 1972.
(3) Paul Adler, N鄝lich (1915), in Das leere Haus (Prosa Jischer 
Dichter), a cura di Karl Otten, Stuttgart 1959, p' 180.
8
Come il medico di corte Tadd酳s Flugbeil, detto Pinguino per le sue 
ali mozze, nel romanzo di Meyrink Walpurgisnacht (1917), scrutavo 
Praga dall'alto di Hrad螮ny con un cannocchiale, che enormemente 
ingrandiva le brulicanti figure, quasi schiacciandole contro i miei 
occhi. laggi come in una lanterna magica, vaneggiava la vita. 
Osservavo il corso, il passeggio, il Bummel nel centro della citt i 
tedeschi sul Graben (Na Pw骿op, i cechi a via Ferdinandova (1) 
Eleganti signore con larghi cappelli guarniti di nastri e di 
aigrettes e di altri fronzoli e con abiti lunghi, sotto cui si 
intuivano le rigidezze di un corset baleines, e con strascichi come 
nei quadri della Secese, damerini con chapeau melon e mustacchi 
ritorti come code di scorpioni, bontemponi, svitati, pancioni 
birrosi, ufficialetti impettiti, studenti tedeschi dai berretti di 
vari colori, studenti cechi con la pod瑿radka, un berretto rotondo 
dagli orli di grigio astracan. vedevo nel Graben, sul ciglio del 
marciapiede, l'ex banchiere e canottiere della societsportiva 
俘egattaGustav Meyrink, snello, attillato, un po zoppicante, 
calamita di pettegolezzi: dicevano che fosse figlio illegittimo di un 
principe della casata dei Wittelsbach, che si fosse servito dello 
spiritismo per ingannare i clienti della sua banca, che avesse curato 
un suo oscuro male con una ricetta trovata in un libro di Paracelso 
(2)
L'inizio del Novecento. Gli ultimi anni della monarchia. Regna Sua 
MaestApostolica imperiale e reale Francesco Giuseppe. Anche se 
sbeffeggiata e svilita dal rancore boemo, la sua effigie di vecchio 
dalla bianca barba spartita nel mezzo sovrasta alle vicissitudini 
della cittvitavina, perch come Werfel not 咨utto il vespro 
dell'impero absburgico occupato dalla figura di quest'uomo(3)
Il sortilegio di Praga scaturiva in gran parte dalla sua indole di 
cittdi tre popoli (Dreiv闤kerstadt): il ceco, il tedesco, 
l'ebraico. La mescolanza e l'attrito di tre culture dava alla 
capitale boema un particolare carattere, una straordinaria dovizia di 
risorse e di impulsi. All'alba del Novecento vi risiedevano 414'899 
cechi (92,3%) e 33'776 tedeschi (7,5%), dei quali 25'000 di stirpe 
ebraica (4) La minoranza di lingua tedesca possedeva due teatri 
sontuosi, un'ampia sala dei concerti, l'Universite il Politecnico, 
cinque ginnasi, quattro Oberrealschulen, due quotidiani, una filza di 
circoli e di istituzioni (5)
Nessuno di noi cosingenuo da immaginare quella convivenza come 
un idillio, anche se tante vicende accadute in seguito inducono molti 
a vagheggiare un siffatto consorzio di popoli come un'Arabia felice, 
come una Traumwelt. Reciproche interdizioni, ripicchi, ruggini, 
malevolenze turbavano il pericolante equilibrio. Kisch asserisce che 
nessun tedesco si sognmai di mettere piede nel circolo della 
borghesia ceca, e non si vide mai nessun ceco nel casindei 
tedeschi. Le due nazionalitdisponevano di parchi, sale da giuoco, 
piscine, orti botanici, cliniche, laboratori, obitori, ciascuna per 
proprio conto. E spesso anche i caffe i ristoranti si distinguevano 
secondo la lingua parlata dagli avventori. Non c'erano colleganza n
scambi tra l'ateneo dei tedeschi e quello dei cechi. Se il N漷odn
divadlo (Teatro Nazionale), inaugurato nel 1881, ospitava la Comedie 
Fran蓷ise o il Teatro d'Arte di Mosca o un illustre cantante, i 
critici tedeschi non ne facevano cenno, e zitti come spuma restavano 
i critici cechi, se al Deutsches Landestheater (del 1885) o al Neues 
Deutsches Theater (del 1888) si esibivano il Burgtheater di Vienna o 
Enrico Caruso o Adolf von Sonnenthal (6)
A tutto questo si aggiungano i frequenti conflitti, il velenoso 
napello dello sciovinismo, le deflagrazioni di intolleranza tra gli 
studenti cechi e i Burschen tedeschi, l'arroganza del gruppo 
germanico, che guardava i cechi come risaliti e gentuccia da 
dirozzare (7), e l'astio dei proletari cechi verso i tedeschi (e gli 
ebrei), i quali accentravano nelle loro mani la pigrossa parte del 
capitale. 俠a Praga tedesca! - ha scritto Kisch - Erano quasi 
esclusivamente ricchi borghesi, proprietari di cave di lignite, 
consiglieri di amministrazione delle imprese minerarie e della 
fabbrica di armi 螶oda, mercanti di luppolo, che facevan la spola tra 
E'atec e il Nord-America, fabbricanti di zucchero, di stoffe e di 
carta, nonchdirettori di banca; nel loro cerchio si movevano 
professori, alti ufficiali e impiegati dello stato(8)
Ma, nonostante i dissidi e l'arroccarsi degli uni e degli altri su 
posizioni contrarie, le varie componenti si compenetravano. La lingua 
ceca formicolava di locuzioni tedesche, e del resto, malgrado le 
smorfie dei cornacchioni puristici, sarsempre valido il detto del 
poeta Franti蟌k Gellner: 俟pesso un buon germanismo ormai piceco 
di una frase ceca antica(9) Ma il Prager Deutsch a sua volta, 
厚apierenes Buchdeutsch(10), abbondava di boemism Esistevano 
anche un Kleinseitner Deutsch (tedesco della Kleinseite, ossia di 
MalStrana), sul quale Kisch ha imbastito spassevoli pagine (11), e 
un goffissimo maccheronico ceco-tedesco da pavlae da cucina, e una 
variante praghese dello jiddisch, il Mauscheldeutsch (12) Questa 
babele linguistica, questa attiguitdi elementi discordi nell'ambito 
dell'impero absburgico, immenso calderone etnico, aguzzava gli 
ingegni, serviva di prodigioso incentivo alla fantasia e alla 
creazione. L'esposizione di Munch (13), le tourn嶪s degli attori del 
Teatro d'Arte, i Moskev褾 come li chiaml'attrice Hana Kvapilov
(14), e di Max Reinhardt col Sogno di una notte di mezza estate (15), 
le stagioni d'opera italiana al Deutsches Landestheater, diretto dal 
Theaterzauberer Angelo Neumann, 匍istische Gestaltsecondo Kisch 
(16), e molti altri avvenimenti consimili arricchirono il paesaggio 
interiore della cittvitavina. Tutto cifavorla mirabile 
fioritura di poeti, di artisti, di pensatori praghesi nell'etdel 
tramonto della monarchia.
A onta della sua sfarzosissima vita sociale, la minoranza tedesca, 
compagine di benestanti sprovvista di un retroterra linguistico e 
senza proletariato, era un'isola nel mare slavo. Ma, in questo 
malfermo convitto di stirpi, ancor piinsulare fu sempre la 
situazione del gruppo ebraico. Nel secolo scorso, mentre il popolo 
ceco compiva il suo risorgimento e Praga si rislavizzava per 
l'afflusso di gente dalle campagne, gli israeliti boemi e moravi, 
uscendo dal ghetto, in gran parte sceglievano la lingua e la cultura 
tedesca. L'ebreo ingermanito della cittvitavina viveva come nel 
vuoto (17) Estraneo ai tedeschi non meno che ai cechi, i quali, nel 
loro erompente nazionalismo, non facevano gran differenza tra lui e 
il tedesco. Si aggiunga poi che l'ebreo soleva essere ligio alla casa 
imperiale: oltre alla smania di portare il colletto bianco, c'era in 
lui l'ambizione di assurgere a Kommerzienrat, a Kaiserlicher Rat: e 
gli Absburgo lo proteggevano (18) Per tale ragione ai cechi sembrava 
un araldo della monarchia che osteggiavano. Non solo il pingue 
industriale, ma ogni impiegato di banca, ogni commesso viaggiatore, 
ogni Samsa, ogni bottegaio o mercante di razza israelitica finiva con 
l'apparire un p滱, un signore, un rincrescevole intruso.
Sulla condizione intricata e senza rimedio dell'ebreo nella citt
vitavina ci illumina un caso accaduto a Franz Kafka in una pensione a 
Merano: 非opo le prime parole si seppe che venivo da Praga; entrambi, 
il generale (seduto di fronte a me) e il colonnello conoscono Praga. 
Ceco? No. Spiega ora a questi occhi militari fedeli e tedeschi chi 
sono veramente! Qualcuno dice: "boemo-tedesco", un altro: 
便leinseitePoi si smette di parlare e si mangia, ma il generale 
col suo orecchio acuto, filologicamente addestrato nell'esercito 
austriaco, non soddisfatto, dopo la colazione riprende a dubitare 
del mio timbro tedesco, e forse dubita pil'occhio che l'orecchio. 
Posso tentare di spiegarlo col fatto che sono ebreo(19)
Di qui quel senso di insicurezza, di alterit di indefinibile 
colpa che intride la letteratura ebraico-tedesca di Praga. Le 
autoritdel Castello eludono le petizioni dell'agrimensore, che 
invano anela di essere ammesso nel suo circondario come un cittadino 
di pieno diritto. Ed curioso che il cruccio dell'isolamento, 
l'incapacitdi adattarsi, la sradicatezza tormentino anche parecchi 
scrittori israelitici di lingua ceca, come il romanziere e poeta 
Richard Weiner (1884-1937) che, nato a Pisek e vissuto quasi sempre a 
Parigi, sfuggtuttavia all'atrabile di Praga e agli attriti delle 
stirpi absburgiche. In certe sue pagine, come, ad esempio, il 
racconto Pr漘dneidle (La sedia vuota, 1919), egli macera una 
kafkoide ossessione per una colpa di cui innocente, una colpa che 
mostruosamente ingrandisce, inafferrabile, orrida, senza un appiglio: 
俏aufrago nella Colpa, ne soffoco, sguazzo dentro il peccato - e non 
lo conosco e non potrmai conoscerlo(20)
Gli ebrei tedeschi di Praga furono sempre vicini o bramosi di 
avvicinarsi agli slavi. Molti di loro sapevano esprimersi in ceco, 
anche se imperfettamente. Sono indicative queste parole di Max Brod 
in una lettera a Jan碭ek: 促斁u n瘱ecky, pon瞚adv 蟌褾ind瘭潎滵 
mnoho chyb(Scrivo in tedesco, perchin Ceco faccio molti errori) 
(21) Willy Haas rammemora: 俠a pialta burocrazia parlava un 
grottesco e sterile imperialregio ceco-tedesco del tutto denaturato. 
I nobili nei loro misteriosi ed immensi palazzi barocchi di Mal
Strana parlavano francese, non appartenendo a nazione alcuna, se non 
forse a quel Sacro Romano Impero, che da quasi un secolo era 
scomparso. La mia balia, la mia bambinaia, la cuoca, la cameriera 
parlavano ceco, ed io parlavo ceco con loro(22)
Dalle nutrici e dalle bambinaie venute dal contado i ragazzi delle 
facoltose famiglie ebraiche di Praga apprendevano, non solo l'idioma 
ceco, ma anche le fiabe e le canzoni e persino le usanze devozionali 
cattoliche della stirpe slava (23) Franz Werfel esaltin diverse 
poesie e in un romanzo (24) la sua babi, la balia Barbora, come 
incarnazione della purezza e riparo dalla perfidia del mondo. Sotto i 
vigili occhi della balia ceca il ragazzo, vestito alla marinara, 
giocava tra gli alberi dello Stadtpark (i giardini Vrchiickdinanzi 
alla stazione centrale), le cui cime frondose si protendevano verso 
le finestre della sua casa paterna. Nella lontananza degli anni die 
treue Alte, la vecchia fedele (25), divenne per Werfel l'immagine 
della perduta sicurezza (Geborgenheit) dell'infanzia, il simbolo di 
un'etfavolosa.
I letterati e gli artisti ebrei tedeschi (e non solo gli ebrei) 
idoleggiavano, come afferma Paul Leppin (che non era ebreo), 削ie 
wiegende und schw酺merische Anmut der slavvischen Frauen(la 
dondolante e fantastica grazia delle donne slave) (26) Con ragazze 
del popolo ceco intrecciarono le loro prime avventure amorose. Tra i 
visitatori dell'Esposizione Giubilare (Jubilejnv蓧tava) Egon Erwin 
Kisch conobbe nel 1908 una quindicenne di famiglia proletaria, 
operaia in una fabbrica di profumi. La ragazza, che si sarebbe ben 
presto affermata come ballerina col nome Em螮 Revoluce, accompagnil 
咬eporter furioso(削er rasende Reporter nei suoi vagabondaggi per 
i bassifondi, i locali notturni, le osterie malfamate (27) Hugo Haas 
ricorda come imparassero le canzoni folcloriche slave dalle amiche 
ceche (28) Tutta la letteratura tedesca di Praga permeata di 
questa simbiosi erotica (29) Dimostrativo ci sembra il titolo Ein 
tschechisches Dienstm輐chen di un romanzo (1909) di Max Brod. Ma la 
picompiuta testimonianza di tali rapporti fu forse Kafka a 
fornirla: pensiamo alle amanti dei K' nel Processo e nel Castello, 
cameriere come Frida o infermiere come Leni, tutte complici degli 
aiutanti, dei guardiani, dei legulei, ma ad un tempo mediatrici fra 
gli eroi e le dispotiche autoritimpenetrabili: false avvocate, 
illusorie sorgenti di intercessione, alquanto streghesche (30)
A dispetto dei pregiudizi e delle preclusioni, fittissimi legami 
annodarono la cultura ceca con quella degli ebrei di lingua alemanna. 
Nel gruppo 保sma(Gli Otto), che espose nella primavera del 1907, si 
erano uniti senza divario pittori cechi, ebreo-cechi, ebreo-tedeschi: 
Emil Filla, Friedrich Feigl, Max Horb, Otakar Kubin, Bohumil Kubi褾a, 
Willi Nowak, Emil Artur Pittermann Longen (poi drammaturgo ed attore 
di cabaret), Antonin Proch漘ka (31) Fu il pittore ebreo boemo Georg 
Kars (Karpeles) a introdurre a Parigi Kubi褾a tra i fauves (32) Gli 
scrittori israelitici tedeschi di Praga con libertdi intelletto si 
fecero ardenti propagatori delle lettere ceche nell'area germanica, 
traducendo gli inni di Otokar Bwezina, le liriche di Fr碲a 褳滵ek, i 
canti slesiani (Slezskpisn di Petr Bezru Molto si prodigarono 
in questo prezioso lavoro di innesti e di permute Rudolf Fuchs e Otto 
Pick, e Pavel Eisner pitardi (33)
Ma il maggior contributo alla divulgazione dei valori cechi fu dato 
dall'ostinatissimo e generoso Max Brod. Dissertdi musica ceca in 
parecchi saggi (34), tradusse i libretti di alcune opere di Josef 
Bohuslav Foerster, di Jaroslav Kwi螶a, di Jaromir Weinberger, di 
Vit瞛slav Nov毾 e quasi tutti i libretti di quelle di LeoJan碭ek, 
aprendo le porte del mondo all'arte di questo compositore moravo, al 
quale dedicinoltre una monografia, che comparve dapprima in ceco 
(1924) e quindi in tedesco (1925) (35) Tutta la vita si travagli
nel rimorso di non aver fatto ugualmente conoscere il musicista 
Ladislav Vycp滎ek (36) Intusubito i pregi dello 襒ejk di Ha蟌k: 
elogiil picaresco romanzo sui giornali tedeschi e, con Hans 
Reimann, ne curun adattamento drammatico che, con molti ritocchi, 
venne rappresentato a Berlino, nel 1928, da Erwin Piscator (37) 
L'amicizia e la corrispondenza tra Brod e Jan碭ek (1916-28) assumono 
un peculiare significato, se si tien conto della veemente slavit 
delle radici liturgiche, dell'ascendenza cirillo-metodiana, del forte 
attaccamento alla Russia del musicista di Hukvaldy (38)
Si potrebbe discorrere a lungo degli scrittori ebraici bilingui, 
come Pavel Eisner, autore tra l'altro di un fervoroso e quasi ebbro 
trattato, chr滵 i tvrz (Tempio e fortezza, 1946), sulla beltdella 
lingua ceca, o Camill Hoffmann, che fu poi diplomatico della 
repubblica cecoslovacca. E degli influssi mutuali delle due 
letterature: ad esempio del fascino che esercitla raccolta di 
Bwezina Tajemnd滎ky (Lontananze arcane, 1895) sul Werfel della 
raccolta Der Weltfreund (1911), che a sua volta sembra precorrere 
quella di JiwWolker Host do domu (L'ospite in casa, 1921) (39) Chi 
legga in Wolker: 隹mo gli oggetti, compagni taciturni, - perchtutti 
li trattano, - come se non fossero vivi(40) non potrnon 
rimembrare un analogo brano di Werfel: 俊ranquilli oggetti, - che in 
un'ora piena - come brave bestie ho accarezzato(41) Campione 
felice di questa irripetibile sintesi fu Egon Erwin Kisch, che si 
frammise alla scapigliatura ceca delle taverne e collaboralla 
Revolu螽sc郾a di Longen, approntando per essa tra l'altro il dramma 
Galgentoni (Tonka 蟊benice), in cui trionfXena Longenov e, con 
Jaroslav Ha蟌k, la commedia Z Prahy do Bratislavy za 365 dn(Da 
Praga a Bratislava in 365 giorni), descrizione di un suo 
sconclusionato viaggio sul rimorchiatore 俠anna 8per la vitava, 
l'Elba, il Mare del Nord, il Reno, il Meno, il Danubio (42) Ma forse 
la fertilite la bizzarria dell'incontro fra le civiltceco-slava e 
israelitica sono adombrate meglio che da altri dai due fratelli ebrei 
Langer: Franti蟌k, medico, legionario in Russia, generale 
dell'esercito cecoslovacco, narratore ed autore drammatico del gruppo 
dei 螮pek, la cui cavillosa commedia Perif鈔ie (1925) fu messa in 
scena anche da Reinhardt (43), e Jiw amico di Kafka: JiwLanger, 
studioso di cabala e di psicanalisi, poeta in ebraico, il quale, 
posseduto dall'idea chassidica, andda Praga nella paludosa e 
arretrata Galizia orientale, alla corte di strampalati e giulivi 
rabbini, e scrisse in ceco uno chagalliano novellino di aneddoti sui 
chassidim: Dev皻 bran (Le nove porte, 1937) (44) JiwLanger, che si 
aggirava per le strade stupite di Praga, avvolto in un nero 
caffettano, con p嶴ess e nero cappello tondo.
Tutte queste attinenze pernon attenuarono l'Inseldasein, 
l'incapacitdi adattarsi degli ebrei tedeschi di Praga. Il 
pellegrinaggio di JiwLanger nei medievali villaggi degli zad骿im va 
forse considerato come un tentativo di fuga dalla cittvitavina, 
alla stregua dei tentativi falliti di Kafka. L'adesione di Brod al 
sionismo, di cui Praga fu uno dei primi centri all'inizio del secolo 
(45), l'accanimento di Werfel nel contrapporre Verdi al Wagner 
prosperato dalla minoranza germanica (46), il girovagare di Kisch per 
il globo, l'entusiasmo di Kafka per i guitti jiddisbl della compagnia 
di Jizchak L饖y: tutto cisembra attestare il desiderio che li 
tortur di sottrarsi agli 冠rtiglidi Praga, cambiando orizzonte. 
Ma la fuga fisica non equivale a liberazione: anche lontani dalla 
cittvitavina, essi provarono sempre, sino alla fine, un immutabile 
senso di estraneit un'insulare sradicatezza. Eppure fu appunto 
questo paradossale viluppo di contrasti e di commessure, questa vita 
apprensiva nel vacuo di una cittdi frontiera a far nascere la fitta 
schiera di grandi scrittori tedesco-praghesi sullo scorcio della 
monarchia (47)
NOTE:
(1) Cfr' Max Brod, Streitbares Leben (1960): in italiano: Vita 
battagliera, a cura di Italo Alighiero Chiusano, Milano 1967, pp' 
159-60.
(2) Cfr' Id', Vita battagliera cit', pp' 221 e 223-24; Kurt Krolop 
- Barbara Spitzov Gustav Meyrink, introduzione a Gustav Meyrink, 
蟌rnkoule, Praha 1967, pp' 7-8 e 12; Joseph Wechsberg, Prague: The 
Mystical City cit', pp' 40-43.
(3) Franz Werfel, Nel crepuscolo di un mondo cit', p' 23.
(4) Cfr' Klaus Wagenbach, Franz Kafka: Eine Biographie seiner 
Jugend, Bern 1958, pp' 71 e 205 (nota 241); Eduard Goldsther, 
Pwedtucha z滱iku (K profilu praeskn瘱eckpoezie pwed p灦stoletim), 
in "Plamen", 1960, 9; Hans Tramer, Die Dreiv闤kerstadt Prag, in 
Robert Weltsch zum 70. Geburtstag von seinen Freunden, a cura di Hans 
Tramer e Kurt L饖enstein, Tel Aviv 1961, p' 138.
(5) Cfr' Egon Erwin Kisch, Deutsche und Tschechen, in Marktplatz 
der Sensationen (1942), Berlin 1953, pp' 93-94; Emanuel Frynta - Jan 
Lukas, Franz Kafka lebte in Prag, Praha 1960, p' 44.
(6) Cfr' Egon Erwin Kisch, Deutsche und Tschechen cit', pp' 94-95.
(7) Cfr' Du螮n Ham鍎k - Alexej Kus毾, O zuwiv鄉 report鈔u E'E' 
Kischovi, Praha 1962, p' 11.
(8) Cfr' Egon Erwin Kisch, Deutsche und Tschechen cit', p' 93.
(9) Cit' in Karel Teige, Sv皻, ktervon Praha 1930, p' 96. Cfr' 
Roman Jakobson, O dne螽im brusi褼tv蟌sk鄉, in Spisovn蟌褾ina a 
jazykovkultura, a cura di Boh' Havr滱ek e MiloWeingart, Praha 
1932, p' 94.
(10) Oskar Wiener, Deutsche Dichter aus Prag cit', p' 6.
(11) Egon Erwin Kisch, Die Abenteuer in Prag cit', pp' 276-85.
(12) Cfr' Klaus Wagenbach, Franz Kafka: Eine Biographie seiner 
Jugend cit', p' 86.
(13) Cfr' Emil Filla, Eduard Munch a na蟌 generace (1938), in O 
v蓨varn鄉 um瘽 Praha 1948, pp' 66-76; JiwKotal骿, Modern
蟌skoslovenskmal魾stv in 恃eskoslovensko 1947, 3.
(14) Cfr' Jindwibl Vod毾, Twi hereckpodobizny, Praha 1953, p' 
102; Franti蟌k 蟌rn Hana Kvapilov Praha 1960, pp' 268-69, 271, 
277.
(15) Cfr' Hans Tramer, Die Dreiv闤kerstadt cit', p' 146. Cfr' anche 
Karel Hugo Hilar, Pw骿lad Maxe Reinhardta, tv鑴ce scenick逸o 
prostwed in Divadelnpromen歍y (1906-14), Praha 1915, pp' 99-106.
(16) Egon Erwin Kisch, Marktplatz der Sensationen cit', p' 73. Cfr' 
anche Hans Tramer, Die Dreiv闤kerstadt cit', pp' 145-46.
(17) Cfr' Pavel Eisner, Franz Kafka a Praha, in 便ritick
m瘰斁n骿 1948, 3-4; Id', Franz Kafka, in 俟v皻ovliteratura 
1957, 3.
(18) Cfr' Willy Haas, Die literarische Welt, Mchen 1960, pp' 10 e 
17; Hans Tramer, Die Dreiv闤kerstadt cit', pp' 153 e 157.
(19) Franz Kafka, Epistolario cit', I, p' 321 (10-IV-1920) Cfr' 
Gustav Janouch, Colloqui con Kafka cit', p' 16: 促arlava ceco e 
tedesco, ma preferibilmente tedesco. Il suo tedesco aveva una durezza 
simile a quella che si riscontra nel tedesco dei cechi
(20) Richard Weiner, Pr漘dneidle, in Pr漘dneidle a jinpr驆y, 
con introduzione di Jaroslav mmka, Praha 1964, p' 118. Cfr' Jindwibl 
Chalupeck Richard Weiner, Praha 1947, pp' 26-27.
(21) Korespondence Leo蟌 Jan碭ka s Maxem Brodem, a cura di Jan 
Racek e ArtuRektorys, Praha 1953, p' 17 (6-XII-1916)
(22) Willy Haas, Die literarische Welt cit', pp' 10-11.
(23) Cfr' Pavel Eisner, Franz Kafka, in 俟v皻ovliteraturacit'
(24) Barbara, oder die Fr闣migkeit (1929) Cfr' Willy Haas, Die 
literarische Welt cit', pp' 18-19.
(25) Franz Werfel, Der diche Mann im Spiegel, in Der Weltfreund 
(1911)
(26) Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis: Ein Prager 
Gespensterroman, Mchen 1914, p' 125.
(27) Cfr' Du螮n Ham鍎k - Alexej Kus毾, O zuwiv鄉 report鈔u E'E' 
Kischovi cit', pp' 18-19.
(28) Willy Haas, Die literarische Welt cit', p' 38.
(29) Cfr' Pavel Eisner, Milenky, Praha 1930.
(30) Cfr' Id', Franz Kafka, in 俟v皻ovliteraturacit'
(31) Cfr' JiwKotal骿, Modern蟌skoslovenskmal魾stv in 
恃eskoslovenskocit' E inoltre: Libu蟌 Halasov Antonin Proch漘ka, 
Praha 1949, p' 20, e JiwKotal骿, V歊lav 螲滎a, Praha 1972, pp' 
22-23.
(32) Cfr' LuboHlav碭ek, E'ivotndrama Bohumila Kubi褾y, Praha 
1968, p' 59.
(33) Cfr' Peter Demetz, RenRilkes Prager Jahre, Dseldorf 1953, 
p' 106; Willy Haas, Die literarische Welt cit', pp' 37-38.
(34) er die Sch霵heit h魠licher Bilder (1913), Adolf Schreiber, 
ein Musikerschicksal (1921), Sternenhimmel (1923)
(35) Max Brod, LeoJan碭ek: eivot a dilo, trad' di Alfred Fuchs, 
Praha 1924 (LeoJan碭ek: Leben und Werk, Wien 1925) Cfr' Leo
Jan碭ek: Obraz eivota a dila, a cura di Jan Racek, Brno 1948; Jan 
Racek, introduzione a Korespondence Leo蟌 Jan碭ka s Maxem Brodem 
cit', pp' 8-11; Max Brod, Vita battagliera cit', pp' 313-25.
(36) Cfr' Max Brod, Franz Kafka, a cura di Ervino Pocar, Milano 
1956, p' 169.
(37) Cfr' Erwin Piscator, Das politische Theater (1929), trad' it' 
Il teatro politico, Torino 1960, pp' 185-201.
(38) Cfr' Bohumir 褾璠ro Jan碭ek ve vzpomink槆l a dopisebl, Praha 
1946, pp' 131-37; Robert Smetana, Vypr潎瘽o Leo蟊 Jan碭kovi, 
Olomouc 1948, pp' 63-64.
(39) Cfr' Hana E'antovsk B滻n骿 jako majordomus mundi, in Franz 
Werfel, Pwitel sv皻a, Praha 1965, p' 137.
(40) JiwWolker, V璚i, in Host do domu (1921)
(41) Franz Werfel, Ich habe eine Gute Tat getan, in Der Weltfreund 
cit'
(42) Cfr' Egon Erwin Kisch, Marktplatz der Sensationen cit', pp' 
319-24.
(43) Cfr' Edmond Konr歍, Franti蟌k Langer, Praha 1949.
(44) JiwLanger, Le nove porte (I segreti del chassidismo), a cura 
di Ela Ripellino, Milano 1967.
(45) Cfr' Max Brod, Vita battagliera cit', pp' 55-70.
(46) Cfr' ibid', pp' 30-32.
(47) Cfr' Eduard Goldsther, Pwedtucha z滱iku cit'
9
Nel 1911 uscDer Weltfreund, una raccolta di versi in cui Werfel 
esprime, in toni sin troppo dolciastri e indulgenti, il suo desiderio 
di fondersi coi reietti e con gli umili, la brama di buone azioni che 
aiutino a vincere il morso della solitudine, la fede nell'originaria 
clemenza degli uomini (1) Quella raccolta, che inaugura una linea di 
francescana mitezza, che nelle lettere ceche giungersino a Orten, 
somiglia, a detta di Haas, 冠 una passeggiata con un allegro ragazzo 
o allo scampanellio di una slitta in una serena cittcoperta di neve 
intorno al 1911(2) Ossia poco prima che la gragnuola di un immane 
conflitto disertasse gli artificiosi domini di un'illusoria 
innocenza.
Rievocando quell'anno, la stagione incantata dell'inizio del 
secolo, propizia al Dichterkreis di Praga coscome il Venti sar
benigno ai poetisti, poeti di lingua ceca, Otto Pick esclam 保re di 
quell'inverno: il ricordo fa lampeggiare di un gaio luccichio 
argenteo gli afflitti sogni crepuscolari di coloro che invecchiano. 
Serate, notti di quel beato inverno! Come eravamo uniti, come eravamo 
affiatati. Si stava seduti nei caff si imperversava attraverso la 
cittnotturna, si scalava il tracotante Hradschin, si andava lungo 
il largo fiume e, facendo baldoria in una sala con ragazze leggere, 
non ci si accorgeva dell'alba dallo spiraglio della finestra(3) 
Haas rammenta gli interminabili dibattiti che li infervoravano nei 
ritrovi e durante le camminate sul Belvedere e nelle straduzze e nei 
parchi di MalStrana (4)
Diversi caffservirono da Treffpunkte ai poeti tedeschi praghesi: 
il CafZentral, il CafArco, il CafLouvre, il CafEdison, il 
CafGeisinger, il CafContinental (5) In quest'ultimo, in una 
stanza rivestita di cuoio pressato con righe rosse e dorate su fondo 
nero, pontificava Gustav Meyrink (6), allo stesso modo del ceco Jakub 
Arbes, autore anche lui di romanzi del brivido, nell'osteria 俗 
zlat逸o litru(Al litro d'oro) (7) Conversando su temi 
occultistici, in una cerchia di accoliti, Meyrink giocava a scacchi e 
frattanto 剎eveva da un'esile cannuccia di paglia innumerevoli 
bicchieri di ponce svedese(8)
俏otti di quel beato inverno!Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, 
Franz Kafka ritorna a via Celetn(Zeltnergasse), a casa sua, con 
bombetta, in abito nero. Ritorna dalla taverna Montmartre, dove, 
sempre assetato come gli ebrei nel deserto, Jaroslav Ha蟌k trinca ed 
impazza. Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, dalla taverna 
Montmartre Egon Erwin Kisch ritorna a casa sua, 俗 dvou zlat蓫l 
medv璠欞 (俚u den zwei goldenen B酺en, all'angolo tra via 
Melantrichova e via Koen la cui cantina, dicevano, era 
l'imboccatura di cripte estese sotto l'intera citte addirittura 
sotto l'alveo del fiume (9) Karel Konr歍 ha scritto: 侶uando questo 
passante notturno tornava nella sua dimora 隹i due orsi d'oro i 
lampioni avevano ormai una cateratta diafana. Si otterrebbe una 
divertente cifra di migliaia di migliaia, se si tentasse di sommare i 
fiammiferi che Kisch dovstropicciare per addentrarsi nel nero 
cratere del corridoio e poi per le scale sino al primo piano 
attraverso il colore di fumaiolo del buio(10)
Il Montmartre fu aperto il 16 agosto 1911 dall'attore e chansonnier 
Josef Waltner nella decrepita casa 俗 twdiv蓫l mu凞(俚u den drei 
wilden M鄚nern a via Wet瞛ov cosdetta perchvi si erano un 
tempo esibiti tre fittizi cannibali di Vod螁ny con anelli alle 
orecchie, mostaccio tatuato e in testa piume di gallo (11) 
Consisteva in due larghe stanze, una dipinta da Franti蟌k Kysela e 
un'altra, con pista di danza, pianoforte su una pedana, piccoli box, 
aggrottescata di caricature di V'H' Brunner, che parodiavano lo stile 
cubistico. In questa Kstlerkneipe, consimile alla 雨rodj酮caja 
sob跮a(Il cane randagio) di Pietroburgo (12) e allo 俚ielony 
Balonik(Il palloncino verde) di Cracovia (13), convenivano i poeti 
cechi del gruppo anarchico, gli scrittori israelitici di lingua 
tedesca, i pittori pizingareschi, gli attori del teatro Lucerna, 
dove in quei giorni Karel Ha螿er cantava le sue lacrimose nenie sulla 
vecchia Praga.
Qui gorgheggiavano a tempo perso i solisti del N漷odndivadlo. Non 
c'era interprete di cabaret, da Julius Pol碭ek o Eduard Bass a quelli 
della 蟌rvensedma (Il sette di cuori) di Jiw蟌rven che non 
comparisse qui a frascheggiare. Qui Emil Artur Longen e Xena 
Longenovintonavano le loro canzoni di strada e Artur Poprovsk
salmeggiava melodie ebraiche. Qui, accompagnata al pianoforte da 
Trumm 螿ap毾 (Trumm Punta-e-Tacco), detto anche der diche Trumm 
(Trumm l'obeso), Em螮 Revoluce ballava il tango con Hamlet, il capo 
dei camerieri, o con Kisch, che aveva un berretto sghimbescio da 
bullo del rione Podskal un fazzoletto da vagheggino al collo e, 
incollata all'angolo della bocca, una sigaretta. Hamlet (Franti蟌k 
Jir毾), ex attore, dalla testa di hidalgo ravvolta in un'enorme 
matassa di capelli ricciuti, costituiva con Po褾a del N漷odnd籯 di 
Praga-Vinohrady e col leggendario Patera del CaffUnion (14) una 
triade di camerieri che prese sempre le parti degli scapigliati e li 
favorcon una sorta di spicciolo mecenatismo.
Qui Ha蟌k aveva posto la sua abitazione. Dormiva in un angolo sopra 
un divano di felpa. Spesso vi ritornava, la sera, dopo aver visitato 
altre taverne, giubriaco, e cianciava come una pettegola treccola 
e, tenendo un bicchiere con mani malferme, spruzzava birra 
all'intorno e faceva piazzate. Se poi veniva espulso da Waltner, si 
rifugiava nell'osteria Na Balk滱ossia Kopmanka, a via Templov 
anch'essa ricetto di artisti e scrittori tedeschi e cechi, 
inserendosi nei numeri che vi recitavano Artur Poprovsk Julius 
Pol碭ek ed altri commedianti di cabaret oppure, come un ladroncello 
scorbacchiato o uno charlot vagabondo, passeggiava su e gi anche 
sotto la pioggia, dinanzi al Montmartre, aspettando che Hamlet o un 
cliente o magari un gendarme intercedesse per lui (15)
Praga all'inizio del secolo, cittdi poeti, stazione dell'保 
Mensch-Lyrik(16) Karl Kraus che, ostile alla compagnia werfeliana, 
graffispesso con acutezza di motti la scuola praghese (17), scrisse 
questa sentenza cattiva: 隹 Praga, dove sono particolarmente dotati e 
dove chiunque sia cresciuto vicino ad uno che scrive poesie scrive 
anche lui e dove il virtuoso di bambinaggine Werfel feconda tutti, 
cosche i lirici vi si moltiplicano come i topi muschiati...(18). 
Un verso attribuito a Karl Kraus cosbeffeggia la brigata praghese: 
亟s werfelt und brodelt, es kafkat und kischt(19) Ma quanti altri 
nomi illustrarono questo Dichterkreis.
Citiamone alcuni alla rinfusa, anche se un semplice elenco uno 
sterile armadio di fonemi fantocci: Rainer Maria Rilke, Gustav 
Meyrink, Hugo Salus, Emil Faktor, Johannes Urzidil, Rudolf Fuchs, 
Oskar Wiener, Leo Perutz, Paul Kornfeld, Leo Heller, Paul Paquita, 
Viktor Hadwiger, Oskar Baum, Karl Brand, Otto Pick, Ludwig Winder, 
Ernst Weiss, Willy Haas, Franz Janowitz (20) Soffermarsi su tutti 
richiederebbe lunghezza di trattato. Vi sono in specie due autori che 
adescano la mia fantasia, due 削ilettanti del miracolo Paul Adler 
(1878-1946), coi suoi allucinati e saltuari e dispnoici racconti, 
gorghi di forsennatezza, Elohim (1914), N鄝lich (Infatti, 1915), 
prossimo al Bebuquin (1912) di Carl Einstein, e Die Zauberfl飆e (Il 
flauto magico, 1916) (21), e Paul Leppin (1878-1945), der ungekr霵te 
K霵ig der Prager Boheme (il re non coronato della Scapigliatura 
boema), con le sue raccolte di versi Die Ten des Lebens (Le porte 
della vita, 1901) e Glochen, die im Dunkeln rufen (Campane chiamanti 
nel buio, 1903) e coi suoi romanzi Daniel Jesus (1905) e Severins 
Gang in die Finsternis (Severin se ne va nelle tenebre, 1914) 
Sconsolato cantore di una Praga cadente ed ormai al lumicino, 削ei 
vicoli malfamati, delle notti trascorse in bagordi, dei vagabondi e 
dell'inutile fede dinanzi a pompose immagini barocche di santi(22), 
Leppin fu vezzeggiato da Else Lasker-Scher in due soavi poesie: Dem 
K霵ig von B鐬men e Dem Daniel Jesus Paul (23) Certo, la languida 
cantilena di Leppin, quella sua scrittura infermiccia, aggricciata ed 
intrisa di un nordico Zwielicht, che a tratti si infiamma per 
un'improvvisa vampata di satanismo, oggi sa di stantio. Eppure il suo 
impulso d'amore per la cittvitavina, per questo trebbio di spettri, 
non meno ardente di quello di un Nezval in Praha s prsty de褾
(Praga dalle dita di pioggia) o di un Seifert in Sv皻lem od瘽
(Vestita di luce)
Ingagliardiva per l'apporto di queste figure il pingue pittoresco 
di Praga. Paul Leppin, alto, sottile, con viso cereo da attore 
kabuki, largo cappello alla calabrese, abito scuro stretto alla 
cintola, cammina sul Graben (io guardavo dall'alto col cannocchiale 
di Flugbeil) e, come gli altri poeti che lo circondano, tutti in 
uguali assise da Biedermeier, porta una rossa rosa dal lungo gambo: 
咨utte quelle fiammelle floreali facevano pensare alle candele di una 
processione(24) Nei ritrovi notturni Franz Werfel modula arie di 
Verdi: 俠e ragazze entusiaste: 青aruso, Caruso!esclamavano, appena 
egli entrava nel loro locale, e le piistruite pronunziavano 
addirittura il nome in francese: 青arousseau!" Il pianista o 
l'orchestra del salone intonavano subito "La donna mobileo 
侶uest'e quella e Werfel sfrenatamente si sgolava(25) 亟gli pu
cantare come un Caruso - scrisse di lui con sarcasmo nel suo 
剎estiario" Franz Blei - e lo fa spesso e volentieri, specie se c'
rumore. Rumoreggia ad esempio una guerra, e il Werfel canta cosche, 
se si stampasse il cantato, facilmente con esso si potrebbe riempire 
un volume in ottavo di trecentootto pagine. Per questa sua voce 
tenorile, che canta con squisitezza arie e trilli, il Werfel 
fortemente invidiato dalle altre bestie che cercano di contraffarlo
(26)
Nel circondario del pittoresco praghese primeggia il misterioso 
Nikolaus di un romanzo di Leppin, ossia Meyrink, della lega anche lui 
dei fantasmi boemi, nella cui casa remota vicino al gassometro si 
accatastava 哎n gran numero di singolari ed insoliti oggetti, Budda 
in bronzo con le gambe incrociate, disegni medianici appesi in 
cornici metalliche, scarabei e specchi magici, un ritratto della 
Blavatsky e un autentico confessionale(27) Dalle memorie di Brod 
si raccoglie come Meyrink avesse tra le sue amicizie un collezionista 
di mosche morte ed un rigattiere che rivendeva volumi rari soltanto 
con l'approvazione di un corvo dalle ali tarpate (28) Non dico che 
Meyrink diventi nella mia inventiva un antenato del decoroso becchino 
signor Kopfrkingl, ma se penso alle sue stravaganze funerarie mi 
pifacile intendere la melliflua lugubritdel romanzo di Ladislav 
Fuks Spalovamrtvol (Il bruciacadaveri) (29)
I poeti tedeschi di Praga traggono linfa dai miti, dalle leggende, 
dalla topografia della cittvitavina. Diresti che molti dei loro 
scritti siano soltanto pretesti per rappresentare il Corpus mysticum, 
le torbide gale, il ferale umore di questa parvenza di pietra. Non 
la Praga moderna coi regoli delle sue strade, coi cubi dei suoi 
casamenti-caserme ad attrarli, ma la vecchia Praga muffita, che 
suscita nel loro cuore fornaci di incendio, raffiche di malinconia. 
Atterriti, come gli indiani dagli eclissi di luna, dal sentore di 
morte ladra, di morte impiccata, di morte fedifraga che vi si spande, 
guardano Praga come una fantasima (m漮oha), come una manifattura 
chimerica. Scelgono a sfondo le cattedrali barocche, la Viuzza d'Oro, 
San Vito, le topaie ed i passaggi della CittVecchia, le scarrupate 
casupole del Nuovo Mondo, il cimitero ebraico, le nere sinagoghe, le 
stamberghe superstiti, le sghembe straduzze pistrette di brecce e 
le bettole della Judenstadt, i palazzi maligni e l'opaca vita di Mal
Strana.
Fanno di Praga una metropoli occulta, irreale, avviluppata nel 
fioco velatino stillante delle Gaslaternen, un'esausta citt
pervenuta a decrepitezza, un groviglio di sguaiate osterie, di 
lebbrosi cantucci nictalopi, di uli螶y del diavolo, di ciarliere 
pavla蟌, di oscuri cortili, di magazzini di robivecchi, di bancarelle 
di tandlmark. Cittin cui tutte le immagini tendono a deformarsi 
spasmodicamente, ad assumere facce grottesche e spettrali. Citt
intormentita da una sonnolenza (Verschiafenheit) di cittdi 
provincia, nel cui torpore si cela in agguato qualcosa di occhiuto e 
di minaccevole. Come se, per un paradosso, nell'animo degli scrittori 
tedeschi e in specie degli israelitici si fosse trasfusa la 
malinconia, la tardanza, l'irresolutezza dei giorni dopo il disastro 
della Montagna Bianca, quando la capitale giacque ludibrio di 
spietati invasori. Alle corte, o lettore, la cittvitavina si muta 
in un Mittelpunkt dell'espressionismo, e non tanto perchparecchi 
dei suoi poeti aderiscono a quel movimento, ma soprattutto perch
essa giconteneva nella sua indole, nello steccato della sua scena, 
nelle sue caligini i motivi precipui degli espressionisti.
Nelle pagine degli scrittori tedeschi praghesi del principio del 
secolo si ripresentano spesso le bettole, i ritrovi notturni, le 
ultime 剃ase di gioiadell'impero absburgico, con sale adorne di 
arazzi e di specchi e di tende di velluto rosso, con arpiste cieche e 
strimpellatori di pianoforte, con ragazze di tutte le terre della 
monarchia. Il picelebre di questi locali, il lussuoso Sal霵 
Goldschmied in via Kamz骿ov(Gemseng酲schen), paragonabile forse al 
lupanare di Vienna in cui, nella Milleduesima notte di Joseph Roth, 
lavora Mizzi Schinagl, fu effigiato da Werfel nel raccapricciante 
racconto Das Trauerhaus (La casa di lutto) Ma anche le osterie, le 
locande del Castello kafkiano, coi loro afosi sgabuzzini e con quel 
pigia pigia di fantesche equivoche, odorano di bordello praghese.
Nella descrizione della vita notturna e dei bassifondi della citt
vitavina nessuno persopravanza Egon Erwin Kisch, che fu assiduo 
frequentatore di ogni sorta di ab褾ajgy, pajzly, putyky, 螲elu螄y, 
zapad毾y, knajpy (30) Klamovka, Omnibus, Gogo, Jedovna (Osteria dei 
Veleni), Starpan(La vecchia signora), Starkr螸a (La vecchia 
taverna), Mim驆a (nome floreale del tempo del Biedermeier corrotto in 
Phimose), Brazilie, Apollo, U twhv瞛di蟌k (Alle tre stelline), 
Eldorado, Maxim, Trocadero, U zelen逸o orla (All'aquila verde), U 
m瘰ta Slan逸o (Alla cittdi Slan, U dvou ber滱k(Ai due agnelli), 
V tunelu (Nel tunnel), Artista, Na sen骿u (Al fienile), U kn擯ete 
Bwetislava (Al principe Bwetislav): una lunga sequela di cimiciai, di 
caff di gargotte, di balere, di luridi lupanari, di bische scorre 
come una stinta pellicola nelle sue carte (31), accanto ad asili 
notturni, rifugi di donne perdute, istituti di rieducazione, cucine 
economiche, carceri.
avido di cronaca nera, curioso della malavita ed incline ai 
勃rv毾y(storie di sangue) ed ai 厚itavaly(bozzetti 
criminologici), Kisch, nei molti volumi di reportages praghesi (32), 
gremiti di bertoni e baldracche, di malandrini e magnaccia, e di ogni 
specie di re della birba e regine dei meretricio, rinnova una 
tradizione iniziata nell'Ottocento dai 叛uadretti di polizia
(卻br漘ky policejn儢) di Jan Neruda e dai ragguagli di Karel Kukla 
sulle fogne e sui ricettacoli dei malfattori e dei pezzenti. Kisch ci 
delucida insomma quel lato palustre ed insoave di Praga, che 
costituiva il contrario dell'angelogia del Barocco.
便isch - ha scritto Konr歍 - era sensibile all'umana vulnerabilit
che si cela sotto il belletto delle prostitute, sotto il riflesso di 
orpello di quella fallacia. Il rovescio dell'ingiustizia, della 
miseria. I notturni del suburbio e dei bassifondi. Il coltello da 
macellaio che mutava il carminio del trucco in sangue che va 
raggelando. E la sua comprensione di quei rapporti di causa aveva il 
valore di una scoperta. Auscultava i cuori denudati come un medico 
paziente(33) Basta pensare al suo ritratto di Tonka, la bella 
prostituta dello sfarzoso Sal霵 Kouckin via Platn鈍sk Dinanzi ad 
un tribunale celeste la 剎laue Toni chiamata cosper i suoi occhi 
azzurri e l'azzurro vestito, racconta le proprie vicende patetiche: 
essendosi offerta per allietare l'ultima notte di un orrido uccisore 
di tre ragazze condannato alla forca, pfui Teufel, le piantano 
addosso il titolo di 蟊benice (Patibolo), ossia Galgentoni. Costretta 
a fuggire in un altro Puff e quindi a scendere sul marciapiede, 
continua a sognare, sino alla morte e all'ascesa in cielo, la veste 
blu stile impero di un tempo, il grande grammofono a tromba del Sal霵 
Kouck(34)
Non sarebbe difficile rinvenire un legame tra gli eroi delle 
ballate di stracci di Kisch, dei suoi piccoli guizzi di 
Dreigroschenoper e le figurine dei polizieschi (咬acconti dell'una e 
dell'altra tasca 1929) di Karel 螮pek o i 剃herubini ossia i 
marioli e i ladruncoli che tengono bordone al gobbo maestro di furti 
Ferdinand Stavinoha, omino di scarsa furbizia, nel romanzo Bid蔮ko 
(1927) di Emil Vachek o il Franci, cameriere e ballerino superbo del 
proprio frac (come Hamlet), sfortunato guidone che accoppa un cliente 
dell'amica sgualdrina, una sgualdrina mansueta come Galgentoni, e si 
tortura poi dal rimorso, nel dramma Periferie (1925) di Franti蟌k 
Langer. Dall'ufficio oggetti smarriti al monte dei pegni, dalle aste 
alle lotterie e al tandlmark di Natale: non c'era favilla della vita 
praghese che non accendesse la chiacchiera del 咬eporter furiosoE 
lui stesso, come un attore stanislavskiano, si immedesimava coi tipi 
che stava studiando, persino indossandone gli abiti: aspettava il suo 
turno nelle cucine economiche, pernottava nei dormitori dei poveri, 
spaccava il ghiaccio sul fiume coi disoccupati, faceva il giorgio con 
le sgallettate, recitava nei teatri come comparsa (35)
Come i poeti del simbolismo russo, all'inizio del secolo, gli 
scrittori tedeschi della capitale boema avvertivano il doloroso 
presagio di un'imminente rovina. Questa praghese sismografia 
corrispondeva, si intende, al comune presentimento del crollo 
dell'impero absburgico, che tormentparecchi ingegni lungimiranti 
del Mitteleuropa. Alludendo agli anni estremi del regno di Francesco 
Giuseppe, Werfel ricorda che la stagione, l'intonazione politica, la 
caratteristica umana di quest'epoca furono inverno, gelo invernale, 
crepuscolo e vicinanza di morte (36) Ma la livida funebrit la 
malevolenza di Praga (in antitesi col gaudeamus, con l'operettismo di 
Vienna) dilatavano la prospettiva dello sfacelo. Trappola di 
Hassliebe, cuore di un popolo che non condivide il loro anelito di 
affratellamento, Praga diviene per gli scrittori tedeschi segnacolo 
di agonia e di tramonto. Dai cortili, dai ballatoi, dai passaggi li 
assale un brontolio giudiziale, la voce cavernosa di un ortel, di una 
condanna (37)
L'atmosfera febbrile di quegli anni, l'angoscia delle premonizioni 
sono rese da molti di loro con una scrittura imbellettata, 
aggettivale, barocca, tutta rossori di tisi e tremiti di ribrezzo. 
Nelle prose convulse e spiritiche di un Meyrink, di un Leppin, di un 
Perutz una putrida Praga storce gli occhi e fa smorfie, centrale di 
mistagogia, serbatoio di truculenti stregoni, di spaventacchi, di 
mostri di argilla rabbinica, di m'schug鑀m, di svitati, di torve 
larve orientali, come, nella stessa epoca, la Pietroburgo di Belyj. 
Citttratteggiata col viola banale dell'inchiostro di 
Meyrink-Nikolaus (38), il quale blandisce la degradazione di quelle 
strade mefitiche, di quelle case tarlate con un compiacimento da 
pessimo esteta, ingioiellando come una festa il patema della 
catastrofe, il deperimento della vecchia Praga. Ma intanto, 
affiorando da questo marasma di finimondo, la Praga ceca rinasce dal 
crollo dell'impero absburgico e, sorretta dalle savie mani del 
filosofo Masaryk, avanza, per usare il nome di una marcia di Josef 
Suk, 哉erso una nuova vita che sarspezzata a sua volta da nuovi 
soffocamenti.
I decadenti tedeschi dunque sorseggiano la cittvitavina come una 
maledizione, appigliandosi a tutto ciche di doppio, di trasognato, 
di unheimlich, di morbido si annida nella sua sostanza. Di questa 
letteratura austriaco-praghese dell'etdel declino della monarchia 
(e dei suoi prolungamenti) restano nella memoria un tanfo di 
pestilenza, una semiluce di D鄝merung che stringe il cuore, un 
barcollio di candele di altare che si vanno spegnendo, un'onda di 
musica mesta, un ghigno istrionesco, la sanguinante lesione di un 
addio che bamboleggia, e una zuccherosa, appiccicaticcia dolcezza. 
Else Lasker-Scher scrisse di Werfel: 哀ulla sua bocca - un 
usignuolo dipinto(39)
NOTE:
(1) Cfr' F'X' 螮lda, Proch鄉y lidu a lidovosti v novtvorb
b滻nick in 螮ld驠 z漥isn骿, Praha 1931-32, IV, pp' 181-82.
(2) Willy Haas, Die literarische Welt cit', p' 22.
(3) Otto Pick, Erinnerungen an den Winter 1911-12, in 非ie Aktion 
1916, p' 605, cit' in Expressionismus: Literatur und Kunst 
(1910-1923), catalogo dell'esposizione allo Schiller-Nationalmuseum 
di Marbach (8 maggio-31 ottobre 1960), pp' 62-63. Cfr' Kurt Pinthus, 
Souvenirs des debuts de l'Expressionnisme, in L'Expressionnisme dans 
le th殪tre europ嶪n, a cura di Denis Bablet e Jean Jacquot, Paris 
1971, p' 36.
(4) Cfr' Willy Haas, Die literarische Welt cit', p' 29.
(5) Cfr' Hans Tramer, Die Dreiv闤kerstadt Prag cit', pp' 143-45.
(6) Cfr' Max Brod, Vita battagliera cit', pp' 224-27.
(7) Cfr' Karel Krej鍎, Jakub Arbes: E'ivot a dilo, Praha 1946, pp' 
332-33.
(8) Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis cit', pp' 41-42.
(9) Cfr' Jan Herain, StarPraha cit', pp' 124-25; G鈑a V蟌li螶a, 
Auf den Spuren Kischs in Prag, in Kisch-Kalender, a cura di F'C' 
Weiskopf, Berlin 1955, pp' 255-56.
(10) Karel Konr歍, Rod毾 ze Star逸o M瘰ta, in Nevzpominky, Praha 
1963, p' 94.
(11) Cfr' G鈑a V蟌li螶a, Auf den Spuren Kischs in Prag cit', pp' 
257-58.
(12) Cfr' A'M' Ripellino, Il trucco e l'anima, Torino 1965, pp' 
196-202.
(13) Cfr' Zenon, Jama Michalika: Lokal 俚ielonego Balonika Krak闚 
1930; Tadeusz 蔒le盭ki (boy), Znaszli ten kraj? .i inne 
wspomnienia, Warszawa 1956.
(14) Cfr' Kav漷na Union (Sborn骿 vzpominek pam皻n骿, a cura di 
Adolf Hoffmeister, Praha 1958.
(15) Cfr' Egon Erwin Kisch, Zitate vom Montmartre, in Die Abenteuer 
in Prag cit', pp' 399-404; Zden瘯 Mat疀 Kud疀, Ve dvou se to l酥e 
t殠ne (1923-27), Praha 1971, pp' 288-95; E'A' Longen, Jaroslav Ha蟌k 
(1928), Praha 1947, p' 37; V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma, Praha 
1935, pp' 247-249; G鈑a V蟌li螶a, Auf den Spuren Kischs in Prag cit', 
p' 259; Jiw蟌rven 蟌rvensedma, Praha 1959, p' 53; Du螮n Ham鍎k 
- Alexej Kus毾, O zuwiv鄉 report鈔u E'E' Kischovi cit', pp' 27-31; 
Franti蟌k Langer, Vzpomin滱na Jaroslava Ha螶a, in Byli a bylo, 
Praha 1963, pp' 30 e 52-53; J滱 L' Kalina, Svet kabaretu, Bratislava 
1966, p' 369; Radko Pytl骿, Toulavhouse (Zpr潎a o Jaroslavu 
Ha螶ovi), Praha 1971, pp' 219-21.
(16) Karl Kraus, in "Die Fachel", n' 546-550, p' 68.
(17) Cfr' Roger Bauer, La querelle Kraus-Werfel, in 
L'Expressionnisme dans le th殪tre europ嶪n cit', pp' 141-51.
(18) Karl Kraus, in "Die Fachel", n' 398, p' 19.
(19) Cfr' Max Brod, Vita battagliera cit', p' 33.
(20) Cfr' Deutsche Dichter aus Prag cit'
(21) Cfr' Karl Otten, Nachwort a Das leere Haus cit', pp' 610-12; 
Michel zeraffa, Le roman et sa problematique de 1909 1915, in 
L'ann嶪 1913, a cura di L' Brion-Guerry, Paris 1971, I, pp' 649-53.
(22) Max Brod, Vita battagliera cit', p' 163. Cfr' anche Hans 
Tramer, Die Dreiv闤kerstadt cit', pp' 189-91.
(23) Else Lasker-Scher, Die gesammelten Gedichte, Mchen 1920, 
pp' 114-16.
(24) Cfr' Max Brod, Vita battagliera cit', pp' 162 e 165-66; Joseph 
Wechsberg, Prague: the Mystical City cit', pp' 43-45.
(25) Willy Haas, Die literarische Welt cit', pp' 12-13.
(26) Franz Blei, Das grosse Bestiarium (1922), Mchen 1963, p' 42.
(27) Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis cit', p' 42.
(28) Cfr' Max Brod, Vita battagliera cit', pp' 226-27.
(29) Cfr' A'M' Ripellino, Fuksiana, introduzione a Ladislav Fuks, 
Il bruciacadaveri, Torino 1972.
(30) Locuzioni ceche, per lo pidi origine tedesca o jiddisbl (ad 
esempio 厚ajzlda 剎奫iss casa), per indicare taverne di infimo 
ordine, mescite, alberghi ad ore, postriboli.
(31) Cfr' Egon Erwin Kisch, Konsignation er verbotene Lokale, in 
Die Abenteuer in Prag cit', pp' 301-17; Du螮n Ham鍎k - Alexej Kus毾, 
O zuwiv鄉 report鈔u E'E' Kischovi cit', pp' 30-31.
(32) Aus Prager Gassen und N踄hten (1908), Prager Kinder (1911), 
Die Abenteuer in Prag (1920), Prager Pitaval (1931), Marktplatz der 
Sensationen (1942)
(33) Karel Konr歍, Rod毾 ze Star逸o M瘰ta, in Nevzpominky cit', p' 
94.
(34) Cfr' Egon Erwin Kisch, Die Himmelfahrt der Galgentoni, in 
Marktplatz der Sensationen cit', pp' 239-66.
(35) Cfr' Du螮n Ham鍎k - Alexej Kus毾, O zuwiv鄉 report鈔u E'E' 
Kischovi cit', pp' 32-37.
(36) Franz Werfel, Nel crepuscolo di un mondo cit', p' 24.
(37) Cfr' Eduard Goldsther, Pwedtucha z滱iku cit'
(38) Cfr' Max Brod, Vita battagliera cit', p' 227.
(39) Else Lasker-Scher, Die gesammelten Gedichte cit', p' 154.
10
In un suo racconto intitolato Kafk漷na (Kafkeria) Bohumil Hrabal 
immagina di vagabondare una notte per la cittvitavina e di fermarsi 
a colloquio con una versiera sdentata che, nel barbaglio di un lume 
ad acetilene, rivolta sul fuoco scoppiettanti salsicce:
非ico alla vecchia:
- Signora, ha conosciuto Franz Kafka?
- Ges - disse - sono io KafkovFranti螶a. E mio padre era 
macellaio equino e si chiamava Franti蟌k Kafka
Lo stesso Hrabal si immedesima con l'autore della Metamorfosi. A 
Piazza della CittVecchia, alludendo alle strettoie staliniane, urla 
ad un vigile: 俟enza una fenditura nel cervello non si puvivere. 
Non si puspulciare l'uomo dalla libert鉬 E quello, con aria 
severa, risponde: 俏on gridi cos perchgrida cos signor Kafka? 
Dovrpagare il rumoratico(1)
Non solo nella nostra coscienza, ma nella realtPraga e Kafka sono 
carne ed unghia. In America, alla capocuoca, viennese di origine (e 
perci剃ompaesana, Rossmann rivela con nostalgia di esser nato 
nella cittvitavina (2) La rete di sgraffi e di sfregi che 
stracciano i muri di Praga corrisponde alle trafitture, di cui cos
spesso si legge nei diari kafkiani (3) Non mi rimarrdall'insistere 
sulle analogie che imparentano l'autore delle vicende di 襒ejk 
all'inventore di K' Se Kafka, come afferma Adorno, 剃erca la 
salvezza incorporando la forza dell'avversario(4), non diverso 
risulta l'assunto di Ha蟌k alle prese con l'apparato 
austro-absburgico. D'altronde la stessa stesura dello 襒ejk 
assomiglia a quella dei romanzi kafkiani, dove 勁e tappe delle 
avventure narrative diventano stazioni di un calvario(5) L'effigie 
di Kafka, il suo 勁ungo, nobile viso olivastro di principe arabo
(6), si incide in sovrimpressione sui lineamenti della capitale 
boema. Parlava sottovoce e di rado, vestiva abiti scuri (7). 俠a 
Kafka - asserisce Franz Blei - un magnifico topo blu-luna assai 
raro, che non mangia carne, ma si nutre di crauti amari. Il suo 
sguardo affascina, perchessa ha occhi umani(8)
A differenza di Rilke, il cui vincolo con la capitale boema rimane 
epidermico, una civetteria letteraria, l'affabilitdi un esteta 
verso una stirpe infelice e diseredata, Kafka assorbtutti gli umori 
e i veleni di Praga, calandosi nella sua demonia. Piuttosto che 
insudiciarsi nelle grasse fuliggini del pentolone vitavino, il 
giovane Rilke, nella raccolta Larenopfer (1895), si limita alla 
scintillante superficie ottica, sciorina il compiacimento di un 
turista raffinatissimo, che sta tuttavia sulle sue. Gli accenni al 
folclore, alle torri, alle cappelle, alle cupole, a figurette di 
strada, a figure come Hus, Tyl, Zeyer, Vrchiick gli stessi vocaboli 
cechi sono soltanto una bardatura (9) A un innamorato di Praga danno 
fastidio versi da souvenir, come 剎ierfrohe Musikanten spielen - ein 
Lied aus der Verkauften Braut(剎irrosi e allegri musicanti suonano 
- un motivo della Sposa venduta, o la sufficienza di una poesia 
come quella in cui, dopo aver cantato l'inno ceco Kde domov m齹 
(Dov'la mia patria), una ragazza di campagna riceve l'elemosina dal 
poeta commosso e, grata, gli bacia la mano. Darei tutte le cartoline 
e le squisitezze del Baedeker rilkiano per una lirica breve di Kafka, 
nella quale, sostanza dell'anima, Praga, sebbene non nominata, 
traluce da una buia filigrana:
Uomini che sopra oscuri ponti camminano@ dinanzi a santi@ dai 
fiochi lumini.@ Nubi che sopra il cielo grigio passano@ dinanzi alle 
chiese@ dai campanili che imbrunano.@ Uno che al parapetto squadrato 
si appoggia@ e guarda l'acqua serale,@ le mani su vecchie pietre@ 
(10)
L'atteggiamento del giovane Rilke verso il mondo slavo che lo 
circonda ambiguo a causa di due contrastanti influssi. Da un lato 
lo condiziona la madre Phia, ostinata nel proprio orgoglio di casta e 
proclive ad uno spocchioso sciovinismo anticeco. Dall'altro indirizza 
i suoi sentimenti la sua prima amata, Valerie David-Rhonfeld, nipote 
del poeta ceco Julius Zeyer, che da parte materna era ebreo. 
L'affetto per Valerie e l'amicizia di Zeyer, il quale gli fu di 
modello per l'estetismo, il gusto della stilizzazione, la passione 
dei viaggi, l'aristocratico sdegno, lo avvicinarono ai cechi, che 
l'altezzosa e snobistica Phia gli aveva insegnato a spregiare (11)
Quanto a Kafka, come tutti sanno, suo padre Herrmann (o Hewman) era 
nato nel villaggio ceco di Osek presso Strakonice (Boemia 
meridionale) nella famiglia di un beccaio israelitico. Herrmann si 
trasfera Praga nel 1881, sposandovi l'anno dopo Julie L饖y, che 
anche lei proveniva da un ambiente ceco, il paesino di Pod瑿rady 
(12) Ed curioso che Franz da ragazzo abbia scritto un dramma sul 
re husitico Jiwdi Pod瑿rady. Sebbene frequentasse le scuole 
tedesche, egli apprese il ceco sin da bambino. Con la cuoca, con le 
cameriere, coi commessi del negozio paterno di chincaglierie a via 
Celetne poi a Piazza della CittVecchia (Palazzo Kinsk, coi 
colleghi d'ufficio conversava in ceco.
Si teneva sempre aggiornato nelle cose ceche (13) Andava ai comizi 
dei leader politici Kram漙, Klof碭, Soukup (14) Bazzicava i poeti e 
scrittori anarchici del 便lub mlad蓳h(Club dei giovani), ossia 
Karel Toman, Franti蟌k Gellner, Fr碲a 褳滵ek, Stanislav Kostka 
Neumann, Jaroslav Ha蟌k (15) Ebbe contatti con Arno褾 Proch漘ka e 
coi letterati della 俑odernrevue(16) E, particolare incredibile, 
se si pensa che 南essun cittadino ceco visitava mai il teatro tedesco 
e viceversa(17), frequentil N漷odndivadlo e il Teatro Pi褾瘯 
(18), anche se i loro spettacoli lo ispirarono meno della piccola 
compagnia jiddisbl di Jizchak L饖y, che recital CafSavoy nel 
maggio 1910 e nell'ottobre dell'anno seguente (19) Desideroso di 
evadere dalla dimensione insulare, nei diari sospira dell'enorme 
vantaggio di essere 剃eco cristiano tra cechi cristiani(20) e si 
diverte sui nasi cechi (21)
L'insegna della bottega del padre raffigurava un nero uccello, una 
kavka, ossia una cornacchia, eine Dohle. Con un nome ceco di sua 
invenzione egli chiama Odradek un rocchetto di filo che sale e scende 
le scale su due bacchette, un'ammatassata parvenza, paragonabile agli 
smemorati e imperfetti angeli dell'ultimo Klee (22) Il rapporto di 
Kafka con la favella ceca non quello di un conferenziere in 
tourn嶪, di un viaggiatore, di un Liliencron, che tende l'orecchio a 
sorprendere fonemi incogniti: l'autore della Metamorfosi penetra il 
ceco con sottilitfilologica. Rammaricandosi di non conoscere a 
fondo l'idioma slavo, leggeva, oltre ai quotidiani cechi, la rivista 
puristica 俏a蟌 We蹍 (Lingua Nostra) (23) Ma ancor pistrabiliante 
che leggesse il giornaletto dei boy-scouts 俏碭 skaut骿(Il nostro 
scout) (24)
Dell'interesse di Kafka per la lingua ceca testimoniano in specie 
le lettere a Milena Jesensk 青erto che capisco il ceco. Giun paio 
di volte volevo chiederle perchnon scrive in ceco. Non che Lei non 
sia padrona del tedesco. Per lo pine padrona in modo stupefacente 
e, se qualche volta non lo  esso si piega davanti a Lei 
spontaneamente e diventa piche mai bello: cosa che un tedesco non 
osa nemmeno sperare dalla sua lingua, perchnon osa scrivere in modo 
cospersonale. Ma vorrei leggere uno scritto Suo in ceco...(25). 
In quelle missive i vocaboli cechi ricorrono con la stessa frequenza 
delle parole olandesi nei diari, che Beckmann tenne durante l'esilio 
nei Paesi Bassi (26) Kafka vi manifesta una sorta di compiaciuto 
bilinguismo: non sono mai vissuto in mezzo a gente tedesca, il 
tedesco la mia lingua materna e percimi naturale, ma il ceco mi 
sta pinel cuore...(27). L'amicizia e l'amore e la corrispondenza 
(1920-22) tra lo scrittore ebreo tedesco e Milena Jesensk 
discendente da un'antica famiglia patrizia ceca, che vantava tra i 
propri antenati il dottor Jan Jesenius, giustiziato nel 1621, dopo la 
sconfitta della Montagna Bianca (28), assumono un significato 
simbolico per la dimensione di Praga. Lo stesso pudirsi 
dell'antitesi dei loro caratteri: la malattia, il desiderio di morte, 
la timidit la terribile angoscia, le rinunzie di Kafka contrastano 
con l'impavida risolutezza, l'ardente brama di vivere, l'odio dei 
pregiudizi, lo spirito di sacrificio, la grande prodigalitdi questa 
donna tipicamente ceca che, dopo un'esistenza strampalatissima 
(matrimoni sconnessi, morfinismo, miseria, mania di gatte, delusioni 
politiche, attivitclandestina, persecuzione da parte degli stessi 
compagni), si sarebbe spenta il 17 maggio 1944 nel Lager di 
Rawensbrk (29)
Kafka era avido di cultura ceca. Il 22-9-1917 scrive a Felix 
Weltsch da Zau: qui leggo quasi esclusivamente libri cechi e 
francesi e soltanto autobiografie o carteggi, naturalmente stampati 
alla meno peggio. Potresti prestarmi un volume per ciascuna lingua?
(30) E ai primi di ottobre rincalza: 侵n quanto ai libri non mi hai 
capito. A me importa soprattutto leggere opere originali ceche o 
francesi, non traduzioni(31) Nei diari indugia (25 dicembre 1911) 
sulle letterature dei piccoli popoli, prendendo ad esempi la jiddisbl 
e la ceca (32) Nella corrispondenza discorre di Jenufa di Jan碭ek 
(33), di Vrchiick(34), del pittore Ale(35), di Bo鋀na N瘱cov il 
cui epistolario per lui 哎n pozzo inesauribile in esperienza umana
(36) Kafka ammirava la soavissima 厚rosa musicaledi questa 
scrittrice dell'Ottocento (37) E Max Brod era convinto che un 
episodio del romanzo Babi螶a (La nonna, 1855) di Bo鋀na N瘱cov 
quello di Kristla, la figlia dell'oste insidiata da un insolente 
italiano del seguito della castellana (IX), avesse influito sulla 
storia di Amalia e dell'alto funzionario Sortini nel Castello 
kafkiano (XV) (38) Certo comunque che la masnada di aiutanti e di 
intermediari dipinti da Kafka fa pensare alla schiera di maggiordomi 
in livrea e di tronfi impiegati che ammiccano nel castello descritto 
da Bo鋀na N瘱cov Kafka si infervorava inoltre per le sculture di 
Franti蟌k Bilek (39) e avrebbe voluto che Brod componesse una 
monografia sulla sua arte spoglia e implorante, tutta visioni, 
languori mistici, spasimi di colpevolezza, per rivelarla al mondo, 
come aveva fatto con la musica di Jan碭ek (40) In realtsi 
potrebbero istituire paralleli tra l'opera di Bilek, che fu molto 
vicino ai poeti simbolisti Bwezina e Zeyer (41), e la creazione di 
Kafka, 哀otto la comune insegna di Praga
Sebbene cambiasse spesso dimora, come quella di Ha蟌k, la famiglia 
di Kafka non si allontanmai dal centro, dai margini dello scomparso 
ghetto (42) Tranne i brevi periodi in cui risiedette a Piazza San 
Venceslao e nella Viuzza d'Oro, Franz Kafka, 剃apostipite del 
ventesimo secolo(43), restsempre nel cerchio incantato della 
CittVecchia. Alcune strade: via Maislova (dove nacque il 3 luglio 
1883), via Celetn via Bilkova, Dlouhtwida, via Du螽 via 
Pawiesk(Mikul碭sk, con vista sul fiume, e la Piazza della Citt
Vecchia sono per sempre legate all'effigie dell'autore della 
Metamorfosi, come Kampa rimarrper sempre connessa con quella di 
Holan. non solo le sue abitazioni, ma la scuola elementare, il 
ginnasio tedesco, la Facoltdi giurisprudenza si trovavano al 
centro, e addirittura il ginnasio aveva sede in quel Palazzo Kinsk 
dove Herrmann Kafka trasferpitardi il negozio. A pochi passi 
dalla CittVecchia, a Na Pow斁 sorgeva il suo ufficio, 
l'Arbeiter-Unfall-Versicherungs-Anstalt f das K霵igreich B鐬men 
(D瘭nickorazovpoji褾'ovna)
Il racconto Descrizione di una battaglia l'unico nella narrativa 
kafkiana a rispecchiare con un'esplicita esattezza la toponomastica 
della capitale boema. Carrellata notturna sulla neve gelata, nel 
chiaro di luna, esso inquadra via Ferdinandova, via Po褾ovsk la 
collina di Petwin (Laurenziberg), la vitava, il parapetto di ferro 
del lungofiume, i 叛uartieri dell'altra riva in cui 冠lcuni lumi
冠rdevano e luccicavano come occhi veggenti(44), Stweleckostrov 
(l'Isola dei Tiratori), la Torre del Mulino con l'orologio, il Ponte 
Carlo, via Karlova, la chiesa del Seminario. E' stato osservato che, 
nella scena del poliziotto, che scivola fuori come un pattinatore da 
un lontano caffdalle nere vetrate, e in quella della donna grassa, 
che esce con una lampada da una fiaschetteria di via Karlova, dove 
suonano il pianoforte, Kafka sembra sfiorare per il colore locale i 
bozzetti di Kisch (45)
Nel Processo, nel pipraghese dei romanzi cechi e tedeschi, Praga 
non mai nominata. Ma il pudore che vieta la nominazione non toglie 
che essa traspaia in filigrana, in una luce di fieno. La presenza di 
Praga, assottigliata ai suoi tratti essenziali, qui di gran lunga 
piforte che nella topografia verseggiata di Rilke, nei Larenopfer, 
in cui Hrad螮ny, San Vito, Loreta, Vy蟌hrad, Malvazinky, Smichov, 
Zlichov, la vitava, la cupola di San Nicola compaiono a tutto tondo, 
come in un organetto di vedute a colori (46) A render piarcana e 
pionirica la cittvitavina nel Processo concorre la stessa 
scrittura sobria e precisa, la scrittura monodica, vitrea, aliena da 
orpelli, la secca, oggettuale argomentazione talmudica. Questa 
avvocatura trascendentale contrasta col gonfio e infiammato 
linguaggio dei neoromantici e degli espressionisti praghesi, sebbene, 
come Adorno ha notato, partecipi anch'essa dell'espressionismo e 
risenta della pittura di quel movimento (47)
Nel Processo dunque la capitale boema velata ed anonima: anonima 
e priva di anamnesi come il protagonista, trama di schemi di luoghi, 
di luoghi-archetipi. Eppure nell'ordito astratto del suo tracciato 
molti punti reali sono identificabili. Potremmo congetturare che la 
banca, in cui lavora Josef K', rimandi all'edificio delle 
Assicurazioni Generali a Piazza San Venceslao, dove Kafka fu 
impiegato, prima di essere assunto come procuratore legale 
all'Arbeiter-Unfall-Versicherungs-Anstalt f das K霵igreich B鐬men, 
o piuttosto, se si tien conto del bugigattolo ingombro di vecchie 
cartacce e di vuote bottiglie da inchiostro, dove un frustatore 
scudiscia i due guardiani, al fatiscente palazzo percorso da 
labirinti in penombra della B鐬mische Unionbank (蟌skBanka Union) a 
Na Pw骿op(48) Il quartiere nel quale si acquatta l'enorme 
edificio, dove Josef K' subisce il primo interrogatorio, con le sue 
informi catapecchie, con le sue finestre piene di materassi, con le 
sue botteguzze al di sotto del livello stradale, benchsia detto che 
sorge in periferia, fa pensare alla diroccata Cittebraica. L'ancor 
pisudicio e grigio sobborgo, in cui, arrampicata in cima a ripide 
scale, si annida l'opprimente bicocca di Titorelli, potrebbe essere 
quello proletario di E'i鋘ov, amato da Kafka.
Il desiderio di uscire dal cerchio incantato del centro verso la 
periferia e il senso di colpa del figlio di famiglia agiata dinanzi 
ai reietti lo spingevano spesso in quel rione selvatico, poco 
raccomandabile allora ai signori 厚er beneMa pudarsi che, nella 
raffigurazione del sordido tribunale, Kafka avesse in mente gli 
uffici praghesi in genere, gli uffici rintanati in bizzarre 
barabizny, in taccagne stamberghe da sorci, con bui corridoi, con 
ciurmaglia di scartabelli ingialliti, con tanfo di muffa e di 
polvere. Il duomo San Vito e, nel duomo, la 哀tatua d'argento di un 
santoil sepolcro del Nepomuceno. Al supplizio Josef K' si reca, 
passando per un "ponte che il Ponte Carlo, al di sopra di 
un'isoletta, che Kampa. Le 哀trade in salitacorrispondono a 
quelle di MalStrana, l'arena dell'esecuzione coincide con la cava 
di Strahov.
Ma la pragheitdel Processo si appalesa in molte altre minuzie, 
tra le quali, ad esempio, l'accenno al rapporto tra l'affittacamere e 
l'inquilino, un rapporto che avvince sovente l'inventiva kafkiana 
(49) Lo scrittore ha trasfuso nel proprio romanzo, come d'altronde 
anche nel Castello, l'accidia, il malessere della cittvitavina, 
un'accidia che collima con la sua ritrosia, con le sue ombrose 
ripulse, con la sua estenuazione. Il continuo ricorso di letti e 
giacigli, l'odore di letto non rifatto di cui parla Adorno (50), 
l'universo molliccio di materassi nei quali i personaggi, sempre 
spossati, sprofondano, il riflesso, non solo dell'infermitche 
serpeggia nel corpo di Kafka, ma anche dell'abulia, della forzata 
indolenza di una metropoli, i cui impulsi sono perpetuamente 
stroncati. Per tutto questo non sembri curioso ciche Haas ha 
scritto dei due romanzi: li lessi come si legge un panorama 
compiutamente familiare della propria giovinezza e in cui subito si 
riconosce ogni ripostiglio nascosto, ogni cantuccio, ogni corridoio 
polveroso, ogni lascivit ogni lontana allusione ancora cos
delicata(51)
Al contrario che nel Processo, nei diari Kafka indica minutamente 
le strade, i caff i teatri, le sinagoghe, i dintorni. Andava spesso 
a passeggio nel parco Chotek (52) Le sue camminate nell'oscura, 
misera periferia, e in specie a E'i鋘ov, somigliano alle scorribande 
di Blok nei sobborghi palustri e nebbiosi di Pietroburgo (53) Ma 
inoltre con quanta sete di favola egli coglie, nella sfera praghese, 
i momenti pierrotici, i guizzi di incantamento, le bizzarrie da 
panoptikum, che coincidono con l'incolumitdell'infanzia: 侵 vecchi 
giuochi al mercato di Natale. Due pappagalli sopra un'asta estraggono 
pianeti. Errori: a una fanciulla si predice una amante. - Un tale 
offre in vendita fiori artificiali con versetti: To jest re ud瘭an
z ke (Questa una rosa fatta di cuoio)(54), oppure, con 
riferimento al giuoco ai quattro cantoni, che in ceco vien domandato 
俟catole scatole fate una mossa 俟i sta giocando a 螶atule 螶atule 
hejbejte se, io striscio nell'ombra da un albero all'altro(55)
L'amore per la cittvitavina si accompagna in Kafka a un basso 
continuo di insofferenza e di maledizione. In una lettera del 
settembre 1907 a Hedwig W' egli chiama 削annata citt鉬 la capitale 
boema (56) A Max Brod, il 22-7-1912, scrive: 青he vita faccio mai a 
Praga? Il mio desiderio di gente che, se appagato, si trasforma in 
angoscia, si raccapezza soltanto nelle vacanze(57) Egli sogna 
spesso di dileguarsi, di scampare lontano. A Kurt Wolff: ..prender
moglie e andrvia da Praga, forse a Berlino(58) Quando, 
nell'ottobre 1907, viene assunto alle Assicurazioni Generali, 
comunica a Hedwig W': 南utro perla speranza di sedermi un giorno 
sulle sedie di paesi molto lontani, di guardare dalle finestre 
dell'ufficio su campi di canna da zucchero o cimiteri musulmani
(59) Quest'ansia di terre remote, che avverti anche nel tema di 
alcuni sui scritti, come America o Desiderio di diventare un indiano, 
si ricollega forse al modello di due zii materni, due L饖y: Alfred, 
che fu direttore delle ferrovie spagnuole, e Josef, che amministr
una compagnia coloniale nel Congo e allestcarovane (60)
Le sue annotazioni sulla cittvitavina hanno spesso una spera di 
arcanit un sapore oppressivo: 俊riste, nervoso, fisicamente 
indisposto, paura di Praga, a letto(61), oppure: 促raga. Le 
religioni si perdono come gli uomini(62) Janoubl imbastisce un 
confronto che mi raccapriccia tra Kafka seduto alla scrivania 
dell'ufficio, la testa reclina, le gambe distese, ed il cadaverico 
勁ettore di Dostoevskij dalla testa riversa sullo schienale di una 
poltrona, le braccia pendenti, in un lugubre quadro di Emil Filla 
(63) 亭ra i gesti dei racconti kafkiani - afferma Benjamin - nessuno 
pifrequente di quello dell'uomo che piega profondamente la testa 
sul petto. E' la stanchezza nei signori del tribunale, il chiasso nei 
portieri dell'albergo, la bassezza del soffitto nei visitatori della 
galleria(64) Vi sono nei diari assidue allusioni ad un nesso che 
si alimenta dell'humus di Praga, quello tra il condannato innocente e 
il carnefice che lo trafigge (65) Holan sentenzia: 侵l carnefice 
prepara il letto ai poeti. Taci, terra, avrai un osso!(66). 
::::::::::
(65) Cfr' Franz Kafka, Confessioni e diari cit', pp' 540, 562, 
564-65, 576, ecc'
(66) Vladimir Holan, Kolury (1932), in Babyloniaca, Sebranspisy, 
vol' IX, Praha 1968, p' 80.
NOTE:
(1) Bohumil Hrabal, Kafk漷na, in Inzer漮 na d籯, ve kter鄉 u
nechci bydlet (1965): in italiano Kafkeria, in Inserzione per una 
casa in cui non voglio piabitare, a cura di Ela e A'M' Ripellino, 
Torino 1968, pp' 28-29 e 31-32.
(2) Franz Kafka, America, a cura di Alberto Spaini, Milano 1947, p' 
148.
(3) Cfr' Id', Confessioni e diari, a cura di Ervino Pocar, Milano 
1972, pp' 538, 540, 562, 715, ecc'
(4) Theodor W' Adorno, Appunti su Kafka (1942-53), in Prismi, 
Torino 1972, p' 280.
(5) Ibid', p' 275.
(6) Willy Haas, Die literarische Welt cit', p' 32.
(7) Max Brod, Vita battagliera cit', p' 207.
(8) Franz Blei, Das grosse Bestiarium cit', p' 25. I 剃rauti amari
alludono al fatto che Kafka per un certo tempo fu vegetariano. Cfr' 
Max Brod, Franz Kafka, Milano 1956, p' 87.
(9) Cfr' Petr Demetz, Franz Kafka a 蟌skn漷od, in Franz Kafka a 
Praha, Praha 1947, pp' 46-48; Id', RenRilkes Prager Jahre cit', pp' 
113-35.
(10) In una lettera del 9-11-1903 a Oskar Pollak.
(11) Cfr' Petr Demetz, RenRilkes Prager Jahre cit', pp' 11-29, 
138-40, 146-50.
(12) Cfr' Max Brod, Franz Kafka cit', pp' 9-14; Emanuel Frynta - 
Jan Lukas, Franz Kafka lebte in Prag cit', pp' 70-74; Klaus 
Wagenbach, Kafka, Milano 1968, pp' 13-20.
(13) Cfr' Klaus Wagenbach, Franz Kafka: Eine Biographie seiner 
Jugend cit', p' 74; Franti蟌k Kautman, Kafka et la Boh瘱e, in 
"Europe", novembre-decembre 1971.
(14) Cfr' Klaus Wagenbach, Kafka cit', p' 78.
(15) Cfr' Id', Franz Kafka: Eine Biographie seiner Jugend cit', pp' 
162-64; Emanuel Frynta - Jan Lukas, Franz Kafka lebte in Prag cit', 
p' 12.
(16) Cfr' Hugo Siebenschein, Prostweda 螮s, in Franz Kafka a 
Praha cit', p' 22.
(17) Egon Erwin Kisch, Tschechen und Deutsche, in Marktplatz der 
Sensationen cit', p' 95.
(18) Cfr' Franti蟌k Kautman, Franz Kafka a 蟌skliteratura, in 
Franz Kafka (Liblickkonference), Praha 1963, p' 47.
(19) Cfr' Max Brod, Franz Kafka cit', pp' 125-31; Id', Vita 
battagliera cit', p' 55; Klaus Wagenbach, Franz Kafka: Eine 
Biographie seiner Jugend cit', pp' 179-81.
(20) Franz Kafka, Confessioni e diari cit', p' 385 (1o luglio 
1913)
(21) Ibid', pp' 204-6 (16 ottobre 1911)
(22) Nel racconto Il cruccio del padre di famiglia (1917) Secondo 
Max Brod (Franz Kafka cit', pp' 152-53) "odradek" "come l'eco di 
tutta una serie di parole slave che significano "apostata": defezione 
della stirpe, rod, dal consiglio, dalla divina decisione di creare, 
rada"
(23) Cfr' Gustav Janouch, Colloqui con Kafka cit', pp' 68-69; 
Franti蟌k Kautman, Franz Kafka a 蟌skliteratura, in Franz Kafka 
cit', pp' 46-47.
(24) Cfr' Franz Kafka, Confessioni e diari cit', p' 604 (23 
dicembre 1921)
(25) Id', Epistolario cit', p' 654.
(26) Max Beckmann, Tagebher 1940-1950, Mchen 1955.
(27) Franz Kafka, Epistolario cit', p' 660.
(28) Cfr' Max Brod, Franz Kafka cit', pp' 245-70; Willy Haas, Die 
literarische Welt cit', pp' 38-41; Klaus Wagenbach, Kafka cit', pp' 
139-45.
(29) Cfr' Jana 蟌rn Adres漮 Milena Jesenk Praha 1969.
(30) Franz Kafka, Epistolario cit', p' 201.
(31) Ibid', pp' 214-15.
(32) Id', Confessioni e diari cit', pp' 296-98.
(33) Id', epistolario cit', p' 212.
(34) Ibid', p' 278.
(35) Ibid', p' 837.
(36) Ibid', p' 201.
(37) Ibid', p' 665.
(38) Cfr' Max Brod, Franz Kafka cit', pp' 304-8.
(39) Cfr' Franti蟌k Kov漷na, Franti蟌k Bilek, Praha 1941.
(40) Cfr' Franz Kafka, Epistolario cit', pp' 478-79; Max Brod, 
Franz Kafka cit', p' 169.
(41) Cfr' Dopisy Otokara Bweziny Franti螶u Bilkovi, a cura di Vil鄉 
Ne螮s, Praha 1932; B滻n骿 a sochaw (Dopisy Julia Zeyera a Franti螶a 
Bilka, z let 1896-1901), a cura di J'R' Marek, Praha 1948.
(42) Cfr' Klaus Wagenbach, Franz Kafka: Eine Biographie seiner 
Jugend cit', pp' 66-68; Id', Kafka cit', pp' 20-21; Emanuel Frynta - 
Jan Lukas, Franz Kafka lebte in Prag cit', pp' 74-81.
(43) Rio Preisner, Kapil漷y, Brno 1968, pp' 9 e 13.
(44) Franz Kafka, Descrizione di una battaglia cit', p' 11.
(45) Cfr' Emanuel Frynta - Jan Lukas, Franz Kafka lebte in Prag 
cit', p' 121.
(46) Cfr' Petr Demetz, Franz Kafka a 蟌skn漷od, in Franz Kafka a 
Praha cit', pp' 51-52.
(47) Cfr' Theodor W' Adorno, Appunti su Kafka, in Prismi cit', pp' 
269 e 273: "Molti passi fondamentali di Kafka si leggono come se 
fossero la traduzione verbale di quadri espressionistici che 
avrebbero dovuto venir dipinti"
(48) Cfr' Pavel Eisner, "Proces" Franze Kafky cit', p' 217.
(49) Cfr' Hugo Siebenschein, Prostweda 螮s, in Franz Kafka a 
Praha cit', pp' 16-17.
(50) Cfr' Theodor W' Adorno, Appunti su Kafka, in Prismi cit', p' 
262.
(51) Willy Haas, Die literarische Welt cit', p' 33.
(52) Cfr' Max Brod, Franz Kafka cit', p' 173.
(53) Cfr' Aleksandr Blok, Zapisnye kni津ki (1901-20), a cura di N' 
Orlov, Mosca 1965.
(54) Franz Kafka, Confessioni e diari cit', p' 284.
(55) Id', Epistolario cit', p' 676.
(56) Ibid', p' 43.
(57) Ibid', p' 116.
(58) Ibid', p' 187.
(59) Ibid', p' 51.
(60) Cfr' Max Brod, Franz Kafka cit', pp' 13-14.
(61) Franz Kafka, Confessioni e diari cit', p' 713.
(62) Ibid', p' 760.
(63) Cfr' Gustav Janouch, Colloqui con Kafka cit', p' 15.
(64) Walter Benjamin, Franz Kafka, in Angelus Novus, Torino 1962,
p' 283.
11
L'eroe precipuo della dimensione magica di Praga il pellegrino,
il viandante, che riappare costantemente nelle lettere boeme con nomi
diversi: 厚outn骿(pellegrino), 剃hodec(passante), 咨ul毾
(vagabondo), 勃r碭ivec(camminatore), 勃olemjdouc儢 (girovago), 
哀v璠ek(testimonio) Il capostipite di questa numerosa famiglia 
il 促outn骿 il Pellegrino, del romanzo allegorico Labyrint sv皻a a 
r毄 srdce (Labirinto del mondo e paradiso del cuore), che Jan Amos 
Komenskscrisse a Brand蓧 nad Orlic nel 1623, dopo la disfatta 
della Montagna Bianca.
Le terre ceche e morave, percorse da soldatesche e masnade di 
sbricchi e di sgherri, erano allora campo di atroce battaglia, lago 
di vivo sangue, sepoltura di infelici ossa, arena di arsioni e di 
ruberie. Nelle memorie di Da蟊ckz Heslova, all'anno 1620, si legge: 
促oi gli imperiali, visto che non c'era piresistenza in Boemia, si 
misero a predare, a saccheggiare, a sottrarre qua e lper l'intera 
terra ceca, frugando tutti gli angoli e catturando la povera gente, 
col laccio al collo o altrimenti col fuoco tormentandola, 
torturandola e massacrandola, per scoprirne e scovarne il denaro 
nascosto, sicchterribile e compassionevole era il racconto di 
queste cose. E cosnon v'era nient'altro che: ahi, ahime poveri 
noi, e dammi e prendiamo! Nemmeno ai cattolici di religione romana fu 
concesso perdono e compatimento; dacci ogni avere e tieniti pure la 
tua fede! Molti, fuggendo nei boschi assieme ai bambini, vi trovarono 
morte(1)
Komensk giovane sacerdote dei Fratelli Boemi, dovlasciare 
Fulnek: i bravi gli avevano incendiata la biblioteca, la peste gli 
prese la moglie e due figli. Dal disgusto per la brutalite dal 
dolore nasce il suo 勁abirintoIl Pellegrino di Komensksi reca 
nel mondo, per conoscere ceti e mestieri. Gli vengono incontro due 
guide: Onnisciente Dappertutto (V蟌zv璠 V襁dybud), che gli mette al 
collo le briglie della Curiosite alla bocca il morso di ferro 
dell'Ostinatezza, e Abbaglio (M滵en, stranamente camuffato e 
avvolto di nebbia, il quale gli fa inforcare gli 卻cularidi vetro 
del Dubbio con le stanghette di corno dell'Abitudine, perchla 
regina del mondo, Moudrost (Saggezza) o Marnost (Vanit, non vuole 
che gli uomini guardino ad occhi nudi. Occhiali mirabolanti: 冠 chi 
guardava attraverso di essi - asserisce il Pellegrino - la cosa 
lontana pareva vicina e la vicina lontana; la piccola grande e la 
grande piccola; la noiosa bella e la bella noiosa; la nera bianca e 
la bianca nera...(2). cosconciato, il Pellegrino diventa una 
sorta di fantoccio allegorico, un ibrido, un uomo-cavallo, da porre 
vicino ai mascherati dell'Arcimboldo. Ma gli occhiali (questa sella 
da naso, che nel teatro folclorico del Barocco boemo sarsegno di 
regalit non gli calzano bene, sicch alzando lo sguardo, egli pu
ancora vedere naturalmente, anche se con la coda dell'occhio, di 
sghembo. 雨enchmi abbiate serrata la bocca e velati gli occhi, mi 
rimetto al mio Dio che non vorrete legarmi la ragione e il pensiero
(3)
Il mondo una cittrotonda, cerchiata di alta muraglia, cui si 
accede per la Porta della Vita, un plesso di strade e piazze 
assegnate ciascuna a un diverso ceto. Oltre i muri dirupa una 
tenebrosa voragine, al centro un 咬ynk un mercato, formicolante 
di artefici e di faccendieri, un palcoscenico grande, una Babilonia, 
in cui gli uomini vanno garrendo per accreditarsi saputi e portano 
ognuno la maschera, per apparire difformi tra il popolo che vi 
concorre affollatamente. Qui si affacchinano in mille faccende e 
lavori a sproposito, si accapigliano senza capirsi, con spinte, 
capriuole e cadute, e, poichstoliditne ingombra l'anima, si 
divertono con raganelle e con mantici e con campane e con ninnoli. 
Vanno su alti coturni e su trampoli e si travestono continuamente. 
Imprendono qualche lavoro e poi lo tralasciano, scavano e spostano 
invano mucchi di terra, inventano nuovi edifici per subito 
abbatterli, rovinano le proprie cose e le altrui, si contemplano 
compiaciuti allo specchio. In questa labilittutto lume di paglia 
che presto si spegne, e tutti quei giuntatori transeunt tanquam 
umbrae. La Morte getta a casaccio tra la folla del 咬ynkben alate e 
penetrative saette. Chi soccombe scagliato dagli altri nella buia 
fossa che attornia il mondo e la folla, tornando dai funerali, 
riprende a infollire.
Il Pellegrino si imbatte in una sequela di numeri comici, che 
testimoniano come il mondo sia matto, bismatto e senza cervello. 
Numeri di uno spettacolo mattaccinesco: non a caso i clowns 
dadaistici Voskovec e Weribl vagheggiavano di mettere in scena il 
Labirinto (4) Assistiamo agli strambi esercizi, alle fissazioni di 
artigiani, filosofi, musici, alchimisti, geometri, astronomi. I 
medici tagliano e frugano dentro le viscere. Gli storici osservano i 
tempi passati con 厚erspicilli ossia tubi storti puntati 
all'indietro. Ma non mancano scene di orrore granguignolesco: i 
giuochi, ad esempio, della soldataglia (riflesso dei saccheggi in 
Boemia dopo la Montagna Bianca) o il grattarsi dei malati di morbo 
gallico.
La corografia della cittcomeniana fatta a caselle distinte, a 
哀tazionidimostrative, simili alle vignette dell'Orbis pictus: 
哀tazioniche dicono come ogni cosa sia falsa e peritura e distorta 
e come l'anfaneggiare, il rovello degli uomini non porti a nulla. A 
qualcuno accadrdi trovare qualcosa di analogo tra l'iter di questo 
pellegrino barocco ed il viaggio tortuoso del pellegrino 襒ejk, che 
da un ospedale ad una prigione, da una caserma a un commissariato 
percorre anche lui un 勁abirintogremito di stralunati e di grulli e 
di pazzi, la cui ridicolaggine spesso sorgente di raccapriccio. E 
non importa se in Ha蟌k il picaresco non ha supplementi di 
salvazione.
Il pellegrino-Comenio si ingegna di restare in disparte dal teatro 
del mondo, per commentarne le imprese da estraneo, dal di fuori, 
quasi per catalogarle, come Tommaso Garzoni nella Piazza universale o 
Francesco Fulvio Frugoni nel Cane di Diogene. Ma tuttavia si tormenta 
di quell'insania e a tratti viene travolto, come nel viaggio per 
mare, in cui la furia di violentissimi nodi di vento mette le onde 
alle stelle ed affonda il legno su cui egli imbarcato. Non trova 
consolazione ngioia, e nulla nel misero mondo cui ci si possa 
appigliare. Invano Abbaglio lo esorta a far mattie. Dopo tante 
promesse e giravolte e avventure, egli si interroga: 青he ho? Nulla. 
Che so? Nulla. Dove sono? Non lo so, io stesso(5).
Persino la regina Saggezza alias Vanit vaporeggiante di fasto, 
risulta una delusione. Quando Salomone, accompagnato da un treno di 
saggi, si avvicina al suo trono e le toglie dal viso il velo, che pur 
sembrava scintillante e prezioso, il velo si rivela un ragnatelo, e 
la stessa regina mostra un viso pallido, gonfio, con rosso belletto 
scrostato in pipunti sopra le guance, ha il respiro pesante come 
assa fetida, e le mani rognose, e il corpo sconcio, come l'avola di 
mazzamauriello, come un fantasma dei racconti di Meyrink. Ma cinon 
serve: perchSalomone finisce col cedere alle tentazioni, 
abbindolato da Affabilit Untuosit Volutt consigliere della 
regina, la quale inoltre manda Potenza con un esercito a sgominare in 
battaglia la compagnia dei sapienti.
Anzichcontinuare nella prospezione del falso e dell'insolenza, il 
Pellegrino, sebbene Abbaglio non lo consenta (e percisi dissolve), 
va a contemplare la cerimonia suprema: il lancio dei morti nel buio 
oltre le mura. A tanto spettacolo perde i sensi e stramazza per 
terra. Questa dunque la meta? 隹h, non fossi mai nato! Non fossi 
mai passato per la porta della vita, se dopo le vanitdel mondo devo 
essere solo tributo a queste tenebre e a questi orrori. Ah, Dio, Dio, 
Dio! Dio, se sei Dio, abbi pietdi me misero!(6)
Affrancatosi di Onnisapiente e di Truffamondo, il Pellegrino 
ritorna nel suo intimo, nella casa abbandonata del proprio cuore, la 
cui finestrella di vetro era cosaffumicata, da non lasciar pi
filtrare la luce. Magia degli occhiali, perspicilli diversi con la 
cornice di Verbo divino e lenti di Spirito Santo, gli consentono ora 
di scorgere la verit Recuperata la fiamma della fede, la quiete 
interiore, netto d'ogni mondiglia di turbamento terreno, dedito a 
Cristo e protetto dagli angeli, il Pellegrino trova nella comunione 
con Dio il senso del proprio viaggio.
NOTE:
(1) Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i, a cura di Ant' Rezek, I, 
Praha 1878, p' 268.
(2) Jan Amos Komensk Labyrint sv皻a a r毄 srdce, Praha 1940, p' 
15.
(3) Ibid'
(4) Cfr' F'X' 螮lda, 蟌skzrc漮ko, in 螮ld驠 z漥isn骿, VIII, Praha 
1935-36, pp' 78-81.
(5) Jan Amos Komensk Labyrint sv皻a a r毄 srdce cit', p' 95.
(6) Jan Amos Komensk Labyrint sv皻a a r毄 srdce cit', p' 113.
12
Ma veniamus ad rem. Perchdico che il Pellegrino comenico ha 
sostanza praghese? Anzitutto perchgli occhialoni di corta veduta lo 
costringono al sotterfugio di guardare il mondo di sghembo. Egli si 
avvale di quello spiraglio, per poter scorgere la veritnon falsata 
e conservare il proprio giudizio, nonostante l'assillo dei due 
nebuloni Onnisciente ed Abbaglio. Quando nel 咬ynkAbbaglio e la 
folla insorgono contro di lui, perchha criticato quella ciurma di 
gente vile, quei fuchi ignavi, il Pellegrino, come ogni creatura 
praghese, si intana nel proprio silenzio, sfuggendo cosalla 
gabelliera inquisizione di chi vorrebbe sequestrargli il pensiero. 
青apito che filosofare era vano, tacqui, pensando: se vogliono essere 
uomini, lo siano, io perquel che vedo, vedo. Temetti che egli mi 
premesse ancor pigli occhiali, ingannandomi; per cui deliberai di 
tacere e guardare piuttosto in silenzio le strane cose di cui avevo 
qui veduto l'inizio(1)
La coscienza della vanitd'ogni cosa, della labilitdelle imprese 
del mondo (coscienza cosapprofondita nel clima della cultura boema) 
impedisce al Pellegrino di prendere parte, come Abbaglio vorrebbe, 
alla sarabanda di ombratili larve, fantasme superficiose, cornacchie 
in sembianza di cigni. Come ogni creatura della dimensione praghese, 
egli resta sui margini, in qualitdi testimonio e 冠ffittuario di 
ospite che, pur trovandosi in mezzo al rovinio della storia, non 
potrmai mutare le sorti di quel 勁abirintonmitigarne l'insania. 
E perciil suo riflessivo quietismo, la sua ricerca di un rifugio 
interiore.
Ma inoltre il Pellegrino comenico il capostipite di quegli 
innocenti accusati che saranno legione nello spazio praghese. 俟ei tu 
stesso colpevole, - gli dice Abbaglio - perchchiedi qualcosa di 
grande e di insolito che non tocca a nessuno亟 percitanto pimi 
torturo - risponde il Pellegrino - che non solo io, ma l'intera mia 
generazione sia povera e cieca e non conosca le proprie miserie(2) 
Onnisciente Dappertutto si lamenta di lui con la regina Saggezza: 
non siamo riusciti col nostro sincero e fedele lavoro a far s
che una vocazione gli andasse a genio e che la seguisse serenamente e 
che fosse uno dei docili e ligi abitatori costanti di questa terra 
comune; sempre mesto, non accetta nulla e agogna altre insolite 
cose(3)
Ed ecco d'un tratto ti sembra che le due inseparabili guide del 
Pellegrino preludano ai due assistenti dell'agrimensore nel Castello 
e ai due guitti in redingote che, nel Processo, accompagnano Josef K' 
al supplizio. E in effetti il Pellegrino del Labirinto viene 
condotto, come ad un tribunale, al trono della regina. E non tanto di 
lei si spaventa, quanto della belva che, stesa dinanzi al trono, lo 
scruta con occhi luccicanti, aspettando di essere aizzata, e dei due 
sgherri terribili in veste muliebre che le stanno accanto: uno in 
lorica di ferro puntuta come gli aculei di un riccio, l'altro con una 
pelliccia di volpe e una coda di volpe per alabarda. cosgiin 
Komenskil livore di guardiani zelanti congegna calunnie, e il 
pellegrino diventa un 卻bealovan蝏, ossia un accusato.
NOTE:
(1) Ibid', p' 20.
(2) Jan Amos Komensk Labyrint sv皻a a r毄 srdce cit', p' 95.
(3) Ibid', p' 97.
13
Al viaggiatore comenico si ricollega l'eroe del trattatello 
filosofico Kulhavpoutn骿 (Il pellegrino zoppo, 1936) di Josef 
螮pek, il quale, in scritti e dipinti, inclinsempre verso i 
congegni allegorici. Il pellegrino zoppo ha una gamba spezzata, forse 
per una caduta di giovinezza o per l'altrui cattiveria o per un 
difetto congenito, e percisi muove lentamente, incespicando su un 
piede e sostando spesso, ora in qualche fossato, perch勇l fossato 
sempre un poco misura del mondo e della vita(1), ora nell'ombra di 
un grande albero dal luccicante fogliame.
Il suo un viaggio tra nascita e morte, 削a un luogo indefinito ad 
un luogo ancor piimpreciso侵n realt- egli dice - vado dal 
nulla nel nulla, solo mi aggiro in qualcosa; non sono luoghi quelli 
per cui conduce questo cammino: piuttosto un definito durare, una 
tensione nel tempo, piuttosto solo uno stato(2) Dunque un andare 
apparente che in realtun'assoluta immobilit Perch come dice 
V瘲a Linhartovin Canone granchiesco, - 勁a continua velocit
equivale all'immobile irrigidimentoD'altronde il motivo del 
pellegrino ricompare anche in lei, ldove ella afferma: 侵n fondo 
sono un eremita (厚oustevn骿, ma a questo ho aggiunto la vocazione 
di pellegrino (厚outn骿"), cio ho tolto tre lettere alla prima 
parola e sono divenuto la seconda. Un eremita continuamente 
pellegrinante(3)
Ma torniamo a 螮pek. Quel festina lente, quell'andare a stracca, 
pedetemptim, gradatim, a luogo a luogo fermandosi, consente al 
pellegrino di osservare minutamente ciche agli altri sfugge e di 
riflettere, senza trasviarsi, sulle ultime cose dell'uomo. Molti 
elementi apparentano il libro di 螮pek a quello comenico: la 
passivitcontemplativa del protagonista, il suo arrancare tenendosi 
agli orli del gran teatro, la sostanza stessa del suo viaggio, inteso 
non come intreccio di azioni ma come sequela di incontri, asserzioni 
come 勁e maggiori avventure sono quelle interiori(4), particolari 
quale la Porta dell'Eternit(Br滱a V膰nosti), l'esaltazione 
dell'anima, 冠rmonia tra sentimento e pensiero, alata conciliazione 
tra i dolori e le gioie della vita, gratitudine all'essere e in 
specie - in specie rivolta contro il nulla
螮pek perrinunzia del tutto alle grottesche e alle ridicolose 
metafore con cui, nel 勁abirintocomenico, vien resa l'umana 
forsennatezza, e si riallaccia piuttosto alla seconda parte di quel 
romanzo-dittico, all'uscita dal 勁abirintonel 厚aradiso del cuore 
come Comenio opponendo l'antora della virtper antidoto al napello 
del vizio e ripetendo persino il suo moralismo da pergamo. Tutto il 
negativo ed il putrido della 剃itt鉬 comenica qui condensato nella 
Persona (Osoba), 削emone della fatuit鉬, volpe maestra, furba 
trincata, aggressivo e vanesio alterego, tutto teso al successo e 
agli onori, quasi dama di corte e castalda della regina comenica.
Dell'influsso che il 厚aradiso del cuoreha avuto su Josef 螮pek 
testimonia anche il fatto che il suo pellegrino rivela una forte 
indole religiosa. Anche qui si pavoneggia la Vanitas (Marnost), ma, 
al contrario che in Comenio, il pellegrino di 螮pek non la rifugge: 
勁e sono attaccato - egli afferma - con tutte le mie radici vitali
(5), 南on voglio mortificare il mio corpo e amo troppo il mondo(6) 
La ricerca dell'interioritnon esclude dunque per il pellegrino 
zoppo la gioia di vivere. Il suo spiritualismo, accresciuto 
dall'assiduo dissidio fra Persona ed Anima, non negazione dei 
piaceri e della bellezza del mondo.
A differenza che nel 勁abirinto qui la fede non giunge ex 
abrupto, con folgore d'apocalissi, come un collirio possente a 
serenare il guardo annebbiato dalla visione di mille storture e 
mattie, ma connessa sin dall'inizio con quel camminare sciancato, 
con quella flemma. Benchsia la vigilia delle stragi nazistiche, di 
cui fu lui stesso vittima in un Lager, 螮pek non si sofferma sullo 
scurrile e sull'orripilante della 剃itt鉬 terrena, e il suo 
pellegrino non volta gli occhi come uno spiritato, ma, sebbene sui 
margini e zoppo e fuori del giuoco (come ogni creatura praghese), 
proclama di 前ssere senza dubbio felice(7) e sente la vita, non 
come sconfitta, ma come 剋rande e inatteso regalo di cui non sa ci
che contenga. E percilibro 哀critto alle nuvole(Ps滱o do mrak, 
secondo il titolo dei suoi aforismi di concentramento, che in un 
certo senso continuano le riflessioni del pellegrino (8)
NOTE:
(1) Josef 螮pek, Kulhavpoutn骿, Praha 1936, p' 14.
(2) Josef 螮pek, Kulhavpoutn骿, cit', p' 36.
(3) V瘲a Linhartov Canone granchiesco su tema demonico, in 
Interanalisi del fluito prossimo cit', pp' 97 e 95-96.
(4) Josef 螮pek, Kulhavpoutn骿 cit', p' 29.
(5) Josef 螮pek, Kulhavpoutn骿 cit', p' 169.
(6) Ibid', p' 65.
(7) Ibid', p' 107.
(8) Id', Ps滱o do mrak Praha 1947.
14
Col nome di Tul毾 (Vagabondo) il pellegrino appariva ginella 
commedia Ze eivota hmyzu (Scene di vita degli insetti), che Josef 
螮pek aveva scritto col fratello Karel nel 1921. Questo diorama o 
piuttosto music-hall allegorico delle pazzie terrene, incarnate da 
insetti, se guardato con riferimento a Comenio, potrebbe 
considerarsi, per le sue raffigurazioni dei vizi, una sorta di 
勁abirinto ossia la prima parte di un dittico, di cui Kulhav
poutn骿 sarla seconda, il 厚aradiso del cuoreNulla cambia se 
alla 剃itt鉬 comenica si sostituisce qui la natura, secondo le 
predilezioni dei 螮pek, sempre propensi a vedere gran magistero in 
qualunque erbuccia o fiorellino sparuto.
Sembra infatti preludere allo zoppicamento del Pellegrino 
l'iniziale caduta del Tul毾 ubriaco nella radura di un bosco. 
Parlando nel Prologo con una Veronica officinalis, egli definisce 
cosla sua vocazione di viaggiatore-filosofo: se avessi radici 
come te, non vagherei per il mondo come un randagio. E' cos E se 
non vagassi per il mondo non conoscerei tante cose侵o non voglio 
migliorare nessuno. Ngli insetti nl'uomo. Mi limito solo a 
guardare(1)
Questo personaggio, variante del pellegrino, appartiene al novero 
di quei 咨ul歊ie girovaghi e 哀olitari maligni modellati sulle 
figure di Jack London e sui 剎osjak儢 di Gor榭ij, che percorrono 
l'opera di molti poeti e prosatori boemi del primo Novecento, i 
cosiddetti scrittori 冠narchici Fr碲a 褳滵ek, Ivan Olbracht, 
Franti蟌k Gellner, Jaroslav Ha蟌k, e in specie Karel Toman. nella 
raccolta Slune螽hodiny (Orologio solare, 1913) di quest'ultimo i 
咨ul歊i哉anno per il mondo, gigli di campo, - con anima ingenua di 
apostoli fuggendo la gretta societbenpensante. Nella vita stessa 
del resto Ha蟌k fu un vagabondo, incapace di perdurare in un posto o 
in un impiego.
Ma torniamo ai 螮pek. La futilite gli amorosi vaneggiamenti delle 
vagheggine farfalle, l'avarizia degli scarafaggi ravvoltatori di 
pallottole immonde e l'ingordigia, l'egoismo crudele di grilli, 
averle, icneumoni, che si divorano a vicenda, il taylorismo spietato 
del formicaio-fabbrica e la cruenta guerra di due fazioni di 
formiche, condotte ciascuna da un dittatore, che si ritiene l'eletto: 
questo brulichio breugeliano di 厚roverbi fiamminghi queste 
illustrazioni per un Buffon trasposto al morale sono stuzzicatoio al 
commento del Tul毾, che da un angolo del proscenio, ossia dai 
margini, osserva e giudica con un'infilacciata di sentenze 
flemmatiche, - inabile, come ogni creatura praghese, a mutare 
qualcosa in quel meschino arruffio, tanto pimostruoso per la 
piccolezza dei menomi animalucci.
Vi sono in questa commedia due scene in specie di cui si rimane 
confusi ed attoniti: la descrizione del formicaio, un rosso edificio, 
dove le formiche sfaccendano affannosamente, mentre una di loro, 
cieca, seduta dinanzi all'ingresso, misura il tempo; e la guerra, in 
cui soldati-formiche si scontrano per un luoghicciolo da nulla, per 
哎na spanna di terra da erba a erba per 哎n pezzo di mondo dalla 
betulla al pino per 勁a strada tra due steli di erba
青inquantamila morti per conquistare venti passi di latrine(2), 
mentre i dittatori inorpellano tanto massacro con lustre di onor 
nazionale, prestigio, diritto e babionate consimili, per uccellare 
merlotti corrivi. Oh che stupidezza, oh che insania, oh che cecit
促otere sul mondo? - chiede il Vagabondo al primo dei dittatori - 
Povera formica, tu chiami mondo quel pezzetto di argilla e di erba 
che conosci? Questa misera, sporca spanna di terra? Pestare tutto il 
tuo formicaio assieme a te, e nemmeno la corona dell'albero 
fruscerebbe sopra di voi, mentecatto!(3) La stessa morte fa da 
generale in questo quadro di guerra che, appunto perchintessuto con 
le deformanti iperboli dell'espressionismo, rimanda pidirettamente 
agli orrori del 勁abirinto a quel punto agghiacciante in cui 
Comenio rappresenta gli abusi della soldataglia. E che orrendo 
pronostico dei tempi hitleriani ci offre questa mirmecologia in 
quella scena, in cui uno dei dittatori, smagliata l'oste avversaria, 
nomina colonnello il 亮rande Dio delle formiche
Nonostante la turpitudine delle umane imprese e i dolori e le 
derelizioni, l'epilogo esprime fede nel vivere, mostrando una 
turbinosa danza di effimere che, nel morire, lodano la vita. Eppure 
lascia smarriti il grido 信o ancora tanto da dire!del Tul毾 
aggredito dalla morte (4), perchsi pensa all'inanitdi una vita 
cui non sia dato di intervenire nelle sorti del mondo. Sembra 
comunque posticcio l'epilogo 厚er il regista dove il Tul毾 (il cui 
nome trapassa ormai in quello di Poutn骿) risuscita e trova lavoro da 
un taglialegna.
Nel cuore d'Europa l'uomo che pensa e non si aggrega alla mandria 
il pidelle volte costretto a farsi randagio, e spesso randagio in 
poca ampiezza di terra, nel cerchio di una strettissima conca, perch
sono altissime come muraglie le invalicabili frontiere. E percisi 
vorrebbe che quel Tul毾, quel Poutn骿, piche passivi osservatori e 
filosofi, fossero a volte piuttosto astuti maghi dal cappello a 
punta, capaci di dissipare dentro una sfera di cristallo la malsania 
della loro terra. E fa paura pensare che un bieco amostante dilati 
gli occhiali del Pellegrino comenico come la madornale insegna di un 
ottico demoniesco, posandoli sulle orbite spente di Praga.
Del resto non da escludere che anche la vocazione del Tul毾 sia 
oggi soggetta, come asserisce V瘲a Linhartov al controllo di 
appositi funzionari: se qualcuno ha dubbi se si possa o no 
condurre nel nostro tempo vita da vagabondo, gli faccio notare che 
una sezione speciale del Ministero degli Interni a Praga, sulla 
Letn rilascia in particolari giorni un libretto di vagabondaggio e 
che tutto consiste nel presentarsi al momento giusto e nella dovuta 
sezione(5)
NOTE:
(1) Bratw螮pkov Ze eivota hmyzu, Praha 1947, p' 16.
(2) Ibid', pp' 81 e 84.
(3) Bratw螮pkov Ze eivota hmyzu cit', pp' 90-91.
(4) Ibid', p' 101.
(5) V瘲a Linhartov Quanto pigrigio, in Interanalisi del fluito 
prossimo cit', pp' 15-16.
15
Benchsia una variante del Wanderer caro ai romantici, il 
pellegrino, che cosspesso riappare nel mondo notturno del poeta 
Karel Hynek M歊ha, ha tuttavia una sua ambiguite incrinatura 
praghese. Attratto dalle lontananze, incalzato dal desiderio di 
andare sempre piavanti, discorre maltriti sentieri, serragli di 
scoscese montagne, ma non giungermai alla meta. E perciora 
incarna l'anelito della giovinezza verso gli ideali, ora al contrario 
la frana dei trasognamenti, la vanitdegli impulsi, la fuga della 
negra vita.
Il 剌iacco viandante(匍dlchodec, bramoso di verite di 
bellezza, si appressa nella luce lunare alla 厚atria(distretto 
incantato dell'immaginazione), che gli balugina dinanzi agli occhi, 
inafferrabile nella foschia (1) E viceversa: egli anche colui che 
si allontana deluso, svoltando al crepuscolo dietro una roccia, 
simulacro e sigillo della nostra breve esistenza (2) E per questo un 
morente vien ragguagliato ad un pellegrino, che si volga a guardare 
la 厚atria prima di abbandonarla per sempre (3)
Sul tema del viaggio attraverso la vita con supplemento di esilio 
si impernia il corto brano di prosa Pout' krkono褼k(Pellegrinaggio 
alle Krkono蟌, 1833), narrazione slegata, viluppo di parti 
dissimilari, in cui tuttavia balenano tutti i motivi precipui di 
M歊ha: il male di vivere, l'enigma dell'oltretomba, l'eterno nulla, 
il pessimismo senza rimedio, il pianto per la freschezza che muore, 
l'amarezza del disinganno (4) All'inizio il pellegrino un giovane, 
che avanza sul far della notte, vestito di nero, per una stretta 
viottola, sotto la Sn膱ka, montagna d'ertissimo giogo, nel gruppo 
delle Krkono蟌. 俠'occhio suo azzurro un'inesprimibile malinconia 
rivelava(5) Egli sgombra focosi sospiri dal petto e si cruccia 
della fuggevolezza dei conseguimenti terreni, del dissiparsi delle 
utopie giovanili, del perduto amore. Si tratta del poeta stesso, il 
quale proietta la propria mestizia sullo scenario delle Krkono蟌, tra 
Boemia e Slesia, dove si era recato nell'agosto di quell'anno. 
俟olitario pellegrino tornera camminare per la notte sconfinata, il 
cui vuoto silenzio si ravviversolamente per il mio lamento(6) Ma 
anche questo un andare apparente, un continuo fermarsi per 
meditare, un iter da pellegrino zoppo, con l'aggiunta perdella 
stregheria della notte.
Il giovane sogna di trovarsi all'alba in cima alla Sn膱ka, in un 
gotico chiostro scarrupato, proprio in quell'unico giorno in cui i 
morti monaci, rimasti impietriti nell'ultimo gesto, rivivono, 
scegliendo poi se tornare per un altro anno in letargo o lasciarsi 
seppellire per sempre. Tutto questo episodio, e il funerale, e la 
lugubre ridda dei monaci vivi e dei letarghiti ridesti ripetono un 
orrido sogno, che M歊ha, come soleva, registril 14 gennaio 1833, 
nei suoi taccuini (7) Ma anche l'immagine finale, l'emblema barocco 
del Pellegrino, che scende dalla montagna con passo fiacco (匍dl蔂 
krokem, ormai vecchio, i grigi capelli cadenti per le cave guance e 
la bianca barba sino alla cintola (8), deriva da un brano del diario, 
intitolato Poutn骿 (Il Pellegrino):
亟ra una fredda notte, un buio profondo copriva lo stretto sentiero 
tra le rocce, per cui, sovente in teschi e scheletri umani abbattuti 
inciampando, con passo fiacco incedeva il pellegrino. Lontano e lungo 
era il crepaccio roccioso; nero buio tutt'intorno, solo teschi 
ingialliti splendevano fiaccamente e in lontananza sulla pialta 
roccia dirimpetto al crepaccio, coperta in cima di neve eterna, si 
ergeva una croce rischiarata dalla luce abbagliante della pallida 
Luna. 雨uona notte- 剎uona nottebisbiglifiaccamente; - come uno 
smarrito raggio della Luna pareva dinanzi a lui levarsi una pallida 
parvenza, indicando con mano stecchita la croce; ma il turbine, 
ululando e gemendo minaccioso, gli parlava con altre arcane parole. 
Alle sue spalle divampl'alba; avrebbe voluto ogni tanto voltarsi a 
guardare i rosei bagliori che indoravano il sentiero percorso; ma la 
tempesta con veemenza lo spingeva avanti e un desiderio inesprimibile 
lo trascinava in una terra sconosciuta per lo sconosciuto sentiero
(9)
Boemia: bruegeliana parabola di ciechi. Frotte di 
pellegrini-filosofi, male in arnese, avanzano tentoni nella tempesta, 
tenendosi l'uno all'altro come ciechi, in diagonale da Praga alla 
Sn膱ka. 俠asciateli andare! Sono ciechi e guide di ciechi. Se un 
cieco guida un altro cieco, ambedue cadranno nella fossa(Matteo 15, 
14)
Il frammento or ora citato torna a punto al proposito nostro di 
soffermarci un istante sull'espressione 剎uona notte - buona notte
L'idea ossessiva dell'addio, dell'estremo congedo da tutte le cose, 
il saluto finale il Leitmotiv del pellegrino e di altri personaggi 
di M歊ha (10) Come una formula magica con ciglia imperlate di 
lacrime, quel 剎uona notte(che ritroveremo nel poemetto Edison di 
Nezval) ricorre assiduamente nelle sue pagine. Tutto il racconto 
Kwivoklad tramato dei fili di questa melodia lacerante. Con un 
剎uona nottesi congeda dalla natia Vene[c]ia, in Cik滱i, il vecchio 
zingaro Giacomo, prima dell'esecuzione (11), e Bohdana con un 剎uona 
nottesi separa dal mondo in Karl驠 Tejn (12) Il giovane di Pout' 
krkono褼k anche lui, saluta nel freddo vetro del buio le montagne 
con un 剎uona notte e 剎uona notteripete l'eco dai gioghi (13) 
Poi, quando ne scende, ormai 厚ellegrino infiacchito(哎mdlel
poutn骿, bisbiglia ancora: 剎uona notte, buona notte(14)
Questo funereo rintocco riecheggia in diverse liriche e in brani 
del diario. 雨uona notte, o amore! coppa d'oro - colma di mortifera 
delizia! - Il tuo leggiadro regno ingannatore - non sarpila mia 
patria(15) Il morente dal sole l'ultima 剎uona notte come il 
sole, compiendo il suo pellegrinaggio quotidiano, dla 剎uona notte
ai prati (16) Il bosco grida 剎uona notteall'innamorato, e 
l'innamorato all'amata: 剎uona notte(17) Leggendo M歊ha, non si ha 
piil cuore a nulla, nell'udire il continuo saluto notturno del 
pellegrino, a cui le montagne rispondono anch'esse 剎uona notte 
come se la natura fosse sul punto di spegnersi (18) La musica di 
quel congedo agghiacciante nasce dalle fuliggini del sangue mesto di 
Praga, dal suo umore barocco. E' il memento che vox es, praetereaque 
nihil, l'appoggiatura di un'eloquenza ferale, un'incursione della 
notte.
NOTE:
(1) Karel Hynek M歊ha, Poutn骿, in Dilo, Praha 1948, III, p' 103.
(2) Id', M毄, in Dilo cit', I, p' 49.
(3) Id', Umirajic in Dilo cit', I, p' 127.
(4) Cfr' Albert Pra魤k, Karel Hynek M歊ha, Praha 1936, pp' 131-33.
(5) Karel Hynek M歊ha, Pout' krkono褼k in Dilo cit', II, p' 157.
(6) Ibid', p' 159.
(7) Karel Hynek M歊ha, Sen, in Dilo cit', III, pp' 82-86.
(8) Id', Pout' krkono褼k in Dilo cit', II, p' 166.
(9) Id', Poutn骿, in Dilo cit', III, p' 144.
(10) Cfr' Bohumil Nov毾, 蟌tba a z歋itek jako prameny b滻n骿ovy 
tvorby, in V膰nM歊ha, Praha 1940, pp' 131-34.
(11) Karel Hynek M歊ha, Cik滱i, in Dilo cit', II, pp' 293 e 303.
(12) Id', Karl驠 Tejn, in Dilo cit', II, p' 93.
(13) Id', Pout' krkono褼k in Dilo cit', II, pp' 159-60.
(14) Ibid', p' 165.
(15) Id', Dobrou noc!, in Dilo cit', I, pp' 124-25.
(16) Id', Umirajic in Dilo cit', I, p' 127.
(17) Id', Zastaven斁ko, in Dilo cit', I, p' 78.
(18) Cfr' anche id', Liter漷nz漥isn骿y, in Dilo cit', III, p' 68.
16
Della solitudine di Kafka nella sua terra natia. Dell'ebreo 
praghese di lingua tedesca, che vive come in contumacia in un mondo 
slavo. Che soffre tragicamente la sua alterit estraneo in ugual 
misura ai tedeschi, di cui pur condivide il linguaggio, e ai cechi, 
dai quali considerato un tedesco, un forestiero. Del malessere 
dell'ebreo non ammesso ma tollerato, con l'animo ingombro di un senso 
di insondabile colpa e come costretto ad attendere perennemente un 
decreto di accoglimento. Di tutto questo abbiamo scritto.
Il groviglio arruffato dalla stregheria stessa di Praga, mantice 
di solitudine e di paura e di perdimento. E in questa luce la 
situazione dell'ebreo praghese acquista intime analogie con quella 
dell'Homo Bohemicus, il cui albergo nel punto cruciale d'Europa 
diventa spesso ghetto e prigione. I due principali romanzi di Kafka 
sono specchi della dimensione praghese, e poco cambia se 
l'Agrimensore viene respinto dal Castello, mentre con moto inverso 
Josef K' chiamato al tribunale.
Con rimandi kafkiani si purinvenire lo stesso disagio di creatura 
sui margini in ogni creatura praghese, straniera nella sua terra e 
soggetta agli abusi di autoritinaccessibili, a una solerte e 
sfuggente inquisizione, che scruta e braccheggia e manipola l'uomo. 
Intrappolato in tortuose macchinerie, il pellegrino non pudecidere 
della propria sorte, di lui decide una burocrazia misteriosa, a lui, 
si chiami Josef 襒ejk oppure Josef K', non resta che cercar 
sotterfugi e stratagemmi ingegnosi, per passare attraverso il 
soffocante rituale di regole e di imposizioni.
C'un piccolo passo dalla condizione di pellegrino a quella di 
accusato innocente. E l'accusato non ha alternative: deve acquietarsi 
alle risoluzioni e ai soprusi di arcani giudici e funzionari, contro 
cui nulla valgono i criteri della consuetudine, i razionali 
argomenti. Non solo, ma, nel subire l'arbitrio, ovvero l'assurda 
logica dei loro cavilli, lui stesso finisce col credere che la sua 
anima sia imbrattata di imperscrutabili colpe. E cosaccade che 
accetti la propria colpevolezza e, sentenziato a morte, si faccia 
persino complice dei suoi manigoldi.
Ricordate quel che dice l'ostessa all'Agrimensore? 俠ei non del 
Castello, lei non del paese, lei non nulla. Eppure anche lei 
qualcosa, sventuratamente, un forestiero, uno che sempre di 
troppo e sempre fra i piedi...(1). Come appartiene alla sostanza di 
Praga l'inafferrabile Klamm, cossimile a un altro oppressore 
praghese, il sovrano di Perla, Patera, in Die andere Seite di Kubin. 
Invano il pellegrino di Kafka si ingegna di entrare in rapporto con 
lui: Klamm (in ceco 勃lamsignifica 冠bbaglio e Abbaglio, M滵en 
un personaggio comenico) 南on parlermai a qualcuno con cui non 
vuol parlare, a dispetto degli sforzi di questo qualcuno e della sua 
importuna insistenza(2) Del resto nemmeno Barnaba, il messaggero 
che trascorre intere giornate al Castello, sicuro chi sia Klamm e 
se il Klamm da lui visto sia quello vero. E i messaggi stessi 匍utano 
continuamente di valore, le riflessioni a cui danno materia sono 
senza fine, il caso soltanto determina i punti di fermata(3)
Quasi volesse trovare quietudine e sonno nell'ambito di una 
burocrazia imbalsamatrice, l'Agrimensore smania di giungere alla meta 
del suo itinerario, a questo Castello, che un surrogato feccioso 
del 厚aradiso del cuoreEgli si aggira e smarrisce nei consolati 
scurrili, nei Tingeltangel di quell'occhiuto potere, nel 勁abirinto
dell'Albergo dei Signori e dell'Osteria del Ponte, luoghi di 
trivialitmetafisica. Parrebbe che il Castello gli sia negato. 
Eppure non c'dissidio fra 厚aradisoe 勁abirinto perchil 
Castello continua nel villaggio con la sua falsa sacralit col suo 
morto rituale oppressivo, con la sua fitta rete di agenti e di 
segretari, che vi si recano per incongrue faccende d'ufficio o per 
continuare laggiil loro sonno o per fotterne le donne asservite. 
Infatti solo all'Albergo l'Agrimensore riesce a scorgere Klamm, 
grasso e pesante, con grandi baffi e con lenti a molla, attraverso 
uno spioncino.
Dunque, per arrivare al 厚aradisodistrutto, che ha nome Castello, 
mucchio d'altronde di fatiscenti casupole, K' dovrradicarsi (al 
contrario del Pellegrino comenico) nel male, nella servit negli 
orrori del 勁abirinto del mondo anche se gli abitanti dalla mente 
ormai distorta lo accolgono con raccapriccio e superstizione. Perch
il 厚aradisoormai l'inferno, e in cambio di angeli ostenta una 
cimiciosa turba di negromanti copisti e coadiutori. E se egli non 
saprorientarsi nel groppo delle assurdite accattivarsi i potenti, 
la colpa sarancora la sua: il sorcio la tirannia delle gatte.
Viaggio di un pellegrino braccato dagli occulti segugi di un 
tribunale invisibile, viaggio tra i malintesi e i cavilli di una 
Praga causidica, quello del procuratore di banca Josef K', 
arrestato il mattino del suo trentesimo compleanno. Nessuno saprmai 
quale sia la sua colpa. E ancora alla fine, prima dell'esecuzione 
nella cava di Strahov, l'autore si chieder 非ov'era il giudice che 
egli non aveva mai veduto? Dov'era il tribunale supremo davanti al 
quale non era stato ammesso?(4) Come ha notato Marthe Robert, nel 
Processo, al contrario che nei romanzi polizieschi, si cerca, non il 
criminale, ma il crimine (5) E' inutile ogni difesa, se 
l'istruttoria svolta in segreto da inquirenti inaccessibili e se lo 
stesso avvocato, malsano e sempre in letto, senza conoscere gli atti, 
si appaga di stendere un memoriale illusorio. PerciLeni esorta 
Josef K': non sia picosostinato, contro questo tribunale non 
ci si pudifendere, bisogna finire per confessare. Alla prima 
occasione confessi tutto. Solo quando si confessata la colpa si ha 
la possibilitdi sfuggire, solo allora(6)
Ma anche inventarsi una colpa non serve. Il processo dilaga, come 
una malattia, fomentato da una tribdi scaltriti e malefici 
aggiratori e gran maestri di fingere, da una gigantesca 
organizzazione, 剃he occupa non solo guardiani corruttibili, 
ispettori straccioni e giudici istruttori, che nel migliore dei casi 
sono molesti, ma anche un corpo di giudici di alti, anzi di sommi 
gradi, con un seguito innumerevole di uscieri, scrivani, gendarmi e 
altri aiuti e forse persino carnefici(7)
Il linguaggio disadorno, monodico, di un rigore implacabile, che 
quasi un vitreo rigor mortis, questa avvocateria metafisica, cos
diversa dal fiammeggiante e dal febbrile di altri scrittori ebraici 
di Praga, concorre a dare sostanza allegorica al Processo. E cos
l'assenza di un'anamnesi che definisca in concreto i personaggi 
portanti, i quali risultano quasi astrazioni personificate. Del resto 
l'indole di pellegrino del protagonista svelata anche dal fatto 
che, nel viaggio verso il supplizio, egli percorre, come quello 
comenico, alcune 哀tazionidimostrative (esempi scarniti sino alla 
diafanitdelle storture del mondo), avvenendosi in varie comparse 
emblematiche, le quali non hanno rapporto tra loro, ma appaiono 
separatamente nel suo campo d'azione, perch come afferma Marthe 
Robert, il distretto di Josef K' costituito di 厚etits cercles 
fermes entre lesquels il est la seule communication possible(8)
Questo aumenta la solitudine del pellegrino-contumace. Ma 
l'astrattezza da panoptikum delle comparse non toglie che esse siano 
specificamente praghesi. Titorelli, il pittore saccente che pennella 
leccati ritratti di giudici, forse imbastendoli come fastelli di 
cartacce e di codici, alla maniera dell'Arcimboldo; l'avvocato 
malsano, o piuttosto l'avvocato-letto, l'azzeccagarbugli mutato in 
suppellettile; la lubrica lavandaia del casamento operaio che ospita 
il tribunale; il molliccio commerciante Block, che aspetta in eterno 
un segno dell'avvocato; la streghesca Leni, che si concede a tutti 
gli imputati clienti del suo padrone; l'affittacamere stessa; i rozzi 
guardiani e i pavidi attuari: tengono tutti del sangue, dell'aere 
grasso di Praga.
NOTE:
(1) Franz Kafka, Il Castello, a cura di Anita Rho, Milano 1968, p' 
80.
(2) Ibid', p' 139.
(3) Franz Kafka, Il Castello cit', p' 257.
(4) Id', Il Processo cit', p' 350.
(5) Marthe Robert, Kafka, Paris 1960, p' 88.
(6) Franz Kafka, Il Processo cit', p' 164.
(7) Ibid', p' 68.
(8) Marthe Robert, Kafka cit', p' 145.
17
E' immerso nella neve il Castello, come un paesaggio invernale di 
Bruegel. L'Agrimensore chiede a Pepi: 亭ra quanto tempo sar
primavera?- 促rimavera? - ripetPepi. - L'inverno lungo da noi, 
molto lungo e monotono, pernon ce ne lamentiamo, contro l'inverno 
siamo ben protetti; un bel giorno la primavera verr e anche 
l'estate, non c'fretta. Ma nel ricordo primavera ed estate sembrano 
tanto brevi, poco pidi due giorni, e anche in quelle stagioni, pur 
con un tempo splendido, cade qualche volta la neve(1)
La neve ritorna continua, ossessiva nelle liriche e nei taccuini di 
JiwOrten, poeta ebreo di lingua ceca, travolto ed ucciso da 
un'autoambulanza tedesca su un lungofiume di Praga il 30 agosto 1941, 
nel giorno (circostanza kafkiana) del suo ventiduesimo compleanno. 
Una colata di neve si posa 剃ome una pezza fredda sulla citt
indolenzita(2) 俟e mi ascoltasse la neve, - coscome ascolta i 
bambini(3) 促alpavo la neve, era fredda e riscaldava il mio palmo, 
la bella, la bella neve, la mia prediletta(4) 俟empre neve! Fiocca 
silenziosa, - come una mano che scriva, - quante cose deve 
ricoprire!(5) 俚ampine di neve mi hanno graffiato - sul viso, 
negli occhi, sul petto...(6). 俗n nevicare paziente - in noi si 
scioglie sommesso(7) Il dipingere 剃he cade sulla tela怨 come la 
neve bianca, che non sa, non sa nemmeno - perchdebba cadere(8) 
Noi stessi 哀iamo neve, se muti, nella nostra miseria ci 
sciogliamo...(9). Neve ed uva si accostano in un binomio 
suscitatore di magiche 咬瞚eries(10)
Praga e la neve: un tema frequente negli scrittori praghesi, 
soprattutto in quelli di sangue ebraico. Paul Leppin, descrivendo 
l'inizio dell'inverno, dice del suo Severin: 促er la prima volta gli 
fu chiaro che la neve ha un proprio odore, come le mele che siano 
rimaste a lungo tra le finestre(11) Hugo Salus canta Hrad螮ny e 
San Vito immersi sotto una coltrice di luccicante neve: 侮iuzza degli 
alchimisti, anche tu - ti sei tutta sepolta in un letto di neve
(12) Uva e neve, mele tra le doppie finestre, letto di neve: che 
operatori di immagini.
Se la stagione di Halas l'autunno, Orten il poeta dell'inverno 
卻stile ai frutti(13) L'inverno, come Halas afferma, 剋li si 
infiltra tenacemente fra le unghie dei versi(14) Non a caso una 
sua raccolta si intitola Cesta k mrazu (Viaggio verso il gelo) In 
un'etdi sterminio, in cui le creature umane divennero pipreziose 
dell'oro di Ofir (Isaia 13, 12), Orten condivise con la sua 
generazione il concetto dell'哎omo nudo senza orpelli nappigli 
sociali, schiacciato dal peso della nequizia. Ma ciche picolpisce 
nelle sue pagine, anche se puoi trovarne l'origine nella scrittura di 
Francis Jammes, sono il pudore smagato, il desiderio di autenticit 
la purezza residua dell'adolescenza. Forse anche per questo nella 
creazione orteniana si annida tanta neve, ricorre cosspesso 
l'inverno.
Di qui la nostalgia dell'infanzia calda e felice, a contrasto col 
freddo del Protettorato, il tema del 咬egressus ad uterum del 
ritorno alla madre, alla serenitprenatale (15) Di qui il suo 
affetto per gli animali e le umili cose che lo circondano, specie per 
quelle sprovviste di spigoli, morbide, ovali, che gli danno calore 
nella solitudine, anche se come lui inermi e bisognose di conforto. 
俟arai il piabbandonato, quando le cose ti abbandoneranno. Le cose 
non domandano; dicono di sa tutto. Le cose sarebbero delle 
magnifiche amanti(16)
Orten anche lui un pellegrino praghese. Lo dice Halas: 冠more, 
purite compassione erano tutta la ricchezza del suo fagotto di 
pellegrino e poeta nei viaggi verso il gelo. Sostava con esso alla 
porta dell'angoscia accanto alle fessure della notte...(17). Un 
pellegrino or ora uscito dall'adolescenza in un tempo calamitoso. 
剃osgiovane, coscrudelmente giovane e appena maturo, che nella 
mia giovinezza assomiglio gial re di un regno tramontato(18) 
L'ultimo triennio di vita a Praga fu per Orten, venuto dalla natia 
KutnHora, un'amara sequela di stenti e di privazioni, nello 
squallore di camere di subaffitto, una vita alla macchia, braccata, 
senza guadagni (spalava talvolta la neve) (19) Lui stesso 
cosciente della sua parte di pellegrino che non puspostare nmutar 
nulla (20); come i poeti del Gruppo 42, sa di essere solo un 
咨estimonio(哀v璠ek, che registra passivamente: 南on sono nato 
per nient'altro su questa terra, che per testimoniare(21) Ma 
ricusa l'appellativo di 哇oppo gli zoppi sono per lui gli altri, i 
cattivi:
隹vete chiesto con che cosa io mi aiuti nel camminare. Ebbene, ho 
udito qualcosa sulle grucce delle parole. Non mi immedesimo con 
questa locuzione. S grucce, dacchci siamo alzati in piedi a 
stento e siamo deboli, e barcolliamo. Ma io intendo qualcosa d'altro: 
gambe, gambe delle parole, gambe con talloni, piante, dita, polpacci, 
ginocchia, anche, gambe forti, tenere e snelle, gambe, gambine 
precipitose e strascicanti, ubriache e audaci, gambe saltabeccanti e 
gambe che pestano sulle punte, sulle punte delle vocali dure! Gambe, 
gambine del mio ceco! Se (perchmi esprima infine adeguatamente), se 
mi lasciassero! Chi? I muti, quelli con grucce di bastoni, fucili e 
crudelt quelli con grucce di sciocchezza, odio e alterigia, quelli 
con grucce di freddo, nulla e calcolo, quelli con grucce di molte 
strade qualsiasi. Se mi lasciassero vivere! Correrei e giungerei in 
qualche luogo. A gara con che cosa? Col vento!(22).
Il pellegrino scrive senza tregua, quanto pipresso alla fine 
tanto pichiaro splendendo, come una lucerna allo spegnersi. 
Siffatta dovizia nella miseria si spiega col suo maturare 
precipitoso, con la febbrilitdei suoi giorni sospesi ad un filo, 
col presagio di morte che lo assillava. D'altronde, in anni di 
sospetti e di scarsi rapporti umani, non gli restava che affidare 
alla carta l'esuberanza dei propri pensieri, dialogando con se 
stesso, come uno che voglia orientarsi nel buio. Egli lascitre 
fittissimi quaderni ben ordinati, dal colore della copertina 
chiamandoli: ModrKniha (Libro azzurro, 1938-39), E'駩anKniha 
(Libro zigrinato, 1939-40), 蟌rvenKniha (Libro rosso, 1940-41) 
Quaderni che, non solo comprendono, come i Tagebher di Kafka o i 
taccuini del poeta romantico Karel Hynek M歊ha, appunti di letture, 
citazioni di altri scrittori, racconti di sogni, lettere, brani 
autobiografici, ma anche, incastonate fra questi frammenti, le stesse 
poesie, intese come squarci di diario e specchi della quotidiana 
sofferenza. Sicchil diario non arsenale di materiali e di 
abbozzi, trampolino e retroterra della creazione, ma creazione 
anch'esso, genere a s opera letteraria compiuta, insomma poesia in 
prosa e in versi. Coi taccuini Orten conversa come con persone vive, 
con donne amate (勃nihafemminile), confessa il suo malumore ai 
taccuini nella solitudine (23)
Nel registrare i moti dell'anima, i suoi soprassalti di capriuolo 
aggredito, il disinganno, le paure, Orten accorda ogni frase della 
scrittura sull'unica tonalitdi un lirismo attonito, che avvolge il 
dolore come in un velo di favola. E accade perciche persino 
l'elenco agghiacciante dei divieti imposti a un ebreo assuma sostanza 
lirica (24) La ruggine tuttavia non sfugge al suo ferro, come dice 
Holan in Lemuria (25), e la liricitnon allevia il morso dello 
sgomento, la disperazione a fatica tenuta a briglia. 信o una gran 
voglia di una mela grossa e succosa. Ho una gran voglia di una 
passeggiata breve, tagliente e piena di gelo. Ho una gran voglia di 
libert鉬 (26)
Orten partecipa di alcuni motivi dominanti della demonia praghese: 
l'ossessione del nulla, l'eterno errore (哀bagliare eternamente, fino 
ad essere puri (27), l'incubo di un muro insormontabile, il senso 
della vanit(egli dice a un canarino: 俟ono anch'io come te. Di 
Canarinia. - Venuto al mondo per la vanit鉬) (28), la coscienza della 
colpevolezza. Orten, che vive come Josef K' tra le strettoie di una 
camera di subaffitto, anche lui un condannato innocente. Nella 
Poslednb滻e(Ultima poesia, 24-IX-40) si autoaccusa:
- Sono colpevole per l'odore che odora,@ per il vano desiderio di 
un padre,@ per i versi, lo so, per l'amore perduto,@ per il pudore e 
il silenzio e la terra infelice,@ per il cielo e il Signore che ha 
accorciato severo i miei giorni@ in un paradiso morto all'apparenza 
-@ (29)
Se soffro, non possibile che io sia privo di colpa. Sono 
colpevole, perchcondannato. E accetto una pena di cui non so la 
ragione. Accetto le colpe del prossimo, proclamandomi colpevole (30). 
Invitati ad esprimere l'ultimo desiderio, i condannati a morte - 
afferma Orten nella Prima Elegia - non chiedono clemenza per la 
vergogna e la paura di mettere il giudice nell'impaccio di non 
poterli accontentare. Chiedono piuttosto tabacco e una cena ed un 
sorso 剃he inumidisca la gola, - la gola che sarstrangolata
青omprensivi, solleciti fingono di aver gustato quel vino 厚er 
buona pace del boia(31) 青ompatire i carnefici, andare diritto al 
patibolo - e cantare, cantare fino all'estremo!(32)
In quella situazione senza scampo scriver poesia fu per Orten come 
respirare. Soltanto la poesia, vergata giorno per giorno, gli permise 
di non crollare dallo sconforto. La poesia, che gli nasceva in un 
flusso melodico, sebbene non schiva dei trucchi e delle scaltrezze, 
era per lui l'unica difesa possibile dell'esistenza minacciata, e 
insieme un rimedio alla perdita della libert Ginel '38 aveva 
scritto a Halas: 哉oglio esser poeta con tutto il cuore e ancor pi 
e voglio morire per questo(33) Ma nel triennio delle persecuzioni, 
nella doppia estrania di pellegrino praghese e di ebreo senza patria, 
si fa piaccanito l'attaccamento di Orten alla 剃osa chiamata 
poesia groviglio terribile che assorbe l'intero organismo, 
risucchia i nervi, dissangua. Poesia come caparbiet argine che 
respinge ancora la morte, anche se ne vermina tutto, ricerca 
dell'essenza dell'uomo nell'impenetrabile nulla che lo avviluppa, ma 
insieme barlume di speranza, anche quando ormai la candela brucia da 
entrambi i capi, perch削opo l'infinito resta la Nona ancora(34)
Orten supera il vuoto di quegli anni flagiziosi con una sorta di 
furia poetica. 俟olo questo il mio mondo, la mia speranza, la mia 
fede, scrivere, scrivere fino al termine estremo(35) Quanto pi
cresce l'orrore all'intorno, tanto piaumenta il suo spasimo di 
trasformare in atto creativo l'esasperante tensione, come se tutto 
quello che accade e che lo minaccia fosse solo uno stimolo perch
egli scriva. Il pellegrino sa bene che non cambierniente, perchla 
poesia non elleboro per risaldare il cervello agli scatenati, 
perchtutto predestinato e immutabile: 俠a pietra fu data, - la 
pietra fu data!(36) Ma cinonostante bisogna aderire al proprio 
destino, guizzare nell'inestricabile assurdo, trovando salvezza in se 
stessi, dare un senso a ciche pidisperato. Bisogna compiersi 
fino in fondo, essere, prima che vengano a prenderti.
NOTE:
(1) Franz Kafka, Il Castello cit', p' 337.
(2) JiwOrten, Den骿y, a cura di Jan Grossman, Praha 1958, p' 89. 
Cfr' id', La cosa chiamata poesia, a cura di Giovanni Giudici e 
Vladimir Mike Torino 1969, pp' 20-21.
(3) Id', Cvi蟌no sn璡u, in Den骿y cit', p' 158.
(4) Id', Den骿y cit', p' 204.
(5) Ibid', p' 190.
(6) Id', Sn璔npout', in Den骿y cit', p' 333.
(7) Id', Ml蟌n in Den骿y cit', p' 347.
(8) Id', Bilobraz, in Den骿y cit', p' 159. Cfr' id', La cosa 
chiamata poesia cit', pp' 50-51.
(9) Id', Dev漮elegie, in Den骿y cit', p' 402. Cfr' id', La cosa 
chiamata poesia cit', pp' 170-71.
(10) Cfr' id', Sn駩 nebo r鈞a, in Den骿y cit', p' 449. Cfr' id', La 
cosa chiamata poesia cit', pp' 194-95.
(11) Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis cit', p' 49.
(12) Hugo Salus, Wintertag auf dem Hradschin, in Oskar Wiener, 
Deutsche Dichter aus Prag cit', p' 306.
(13) JiwOrten, Den骿y cit', p' 231. Cfr' anche id', La cosa 
chiamata poesia cit', pp' 76-77.
(14) Franti蟌k Halas, Magickmoc poesie, Praha 1958, p' 111.
(15) Cfr' Antonin Brousek, Hrst kaminkna nepwitomnhrob Jiw駩o 
Ortena, in JiwOrten, 蟌mu se b滻ew骿 Praha 1967, pp' 14-15.
(16) JiwOrten, Den骿y cit', p' 267. Cfr' id', La cosa chiamata 
poesia cit', pp' 90-91.
(17) Franti蟌k Halas, Magickmoc poesie cit', p' 110.
(18) JiwOrten, Sedmelegie, in Den骿y cit', p' 393. Cfr' id', La 
cosa chiamata poesia cit', pp' 162-63.
(19) Cfr' Ota Ornest, O bratrovi, in JiwOrten, Den骿y cit', p' 
465.
(20) Cfr' JiwOrten, Den骿y cit', p' 155.
(21) Ibid', p' 89. Cfr' id', La cosa chiamata poesia cit', pp' 
20-21.
(22) Id', Den骿y cit', pp' 165-66.
(23) Cfr' Jan Grossman, Den骿y Jiw駩o Ortena, in JiwOrten, Den骿y 
cit', pp' 7-32.
(24) Cfr' JiwOrten, Z毾azy, in Den骿y cit', pp' 303-4. Cfr' id', 
La cosa chiamata poesia cit', pp' 116-17.
(25) Vladimir Holan, Lemuria, 1940, p' 18.
(26) JiwOrten, Den骿y cit', p' 318. Cfr' id', La cosa chiamata 
poesia cit', pp' 122-23.
(27) Id', V膰n in Dilo, Praha 1947, p' 398. Cfr' id', La cosa 
chiamata poesia cit', pp' 114-15.
(28) Id', Co jsem odpov璠瘭 kan漷kovi, in Den骿y cit', p' 282. Cfr' 
id', La cosa chiamata poesia cit', pp' 102-3.
(29) Id', Poslednb滻e in Den骿y cit', p' 289.
(30) Cfr' V歊lav 蟌rn Za Jiwim Ortenem (1947), in 信ost do domu 
1966, 9, e Josef Koci滱, JiwOrten, Praha 1966, pp' 56-57.
(31) JiwOrten, Prvnelegie, in Den骿y cit', p' 367. Cfr' id', La 
cosa chiamata poesia cit', pp' 138-39.
(32) Id', Scest in Den骿y cit', p' 408. Cfr' id', La cosa 
chiamata poesia cit', pp' 178-79.
(33) Franti蟌k Halas, Magickmoc poesie cit', p' 110.
(34) JiwOrten, Po hudb in Den骿y cit', p' 300. Cfr' id', La 
cosa chiamata poesia cit', pp' 112-13.
(35) Id', Epitaf, in Den骿y cit', p' 326. Cfr' id', La cosa 
chiamata poesia cit', pp' 125-26.
(36) Id', B滻ekamene, in Den骿y cit', p' 119. Cfr' id', La cosa 
chiamata poesia cit', pp' 28-29.
18
Anche i viaggiatori stranieri, venuti nella capitale boema si 
atteggiarono spesso a pellegrini. Un pellegrino il protagonista del 
mediocre romanzo The Witch of Prague (1891) di Francis Marion 
Crawford (1854-1909) tradotto in ceco col titolo Praesk螮rod疀ka 
(1912) da Karel Vratislav. Pasticcio prolisso, infrascato di tediose 
elucubrazioni, questo libro, per la precisione dei riferimenti 
topografici, fa pensare che Crawford, il quale nacque e trascorse 
gran parte della sua vita in Italia, conoscesse Praga minutamente.
L'immagine tetra del pellegrino, ed inoltre: le scene nel cimitero 
ebraico; la figura dell'ebreo esaltato Israel Kafka, simile al 
Ganymedes di Kar滻ek e come lui sofferente di mal sottile; l'ambiente 
Secese della maga onorna; il problema del prolungamento 
dell'esistenza (onorna custodisce un vecchio ipnotizzato); la 
scongegnata e scrignuta sembianza dell'orientale Kyjork Arabian e il 
suo gabinetto delle mummie; la dipintura della CittVecchia col 
labirinto delle sue straducole e con le sue case decrepite; la 
continua allusione alla mestizia che pesa sulla capitale dai tempi 
della Montagna Bianca: tutto questo inserisce consapevolmente il 
romanzo nella dimensione dei miti praghesi.
Il pellegrino appare all'inizio nella chiesa di T蓽 tra la folla in 
preghiera, al fioco barlume delle candele per i defunti. Poi, 
inseguendo per Praga la donna amata, si infila nel vecchio palazzo 俗 
zlatstudny(Al pozzo d'oro) a via Karlova. E il portinaio, dalla 
bionda barba fluente sino alla cintola e dall'assisa verde cupa con 
passamani d'oro, lo introduce in una sorta di giardino d'inverno, 
gremito di una turba di piante lussureggianti e di alberi tropicali, 
consimile all'Eden sotterraneo, 咬oyaume de la f嶪rie tutto liane e 
rose d'Oriente e uccelli del paradiso, in cui abitava Hadaly, il 
manichino costruito da Edison ne L'E've future di Villiers de 
l'Isle-Adam. Qui lo accoglie, vestita di bianco, con un diadema di 
capelli rosso-oro, dall'alto di una poltrona intagliata, sotto il 
fogliame di una palma, l'ammaliante onorna (da 卻nor febbraio), 
un'ambigua creatura Secese, degna di uno 襒abinsk
Il pellegrino giunto a Praga, girando il mondo sulle orme della 
fanciulla amata. Benchonorna, invaghitasi di lui, cerchi di 
fargliela dimenticare e di soggiogarlo con artifizi negromantici e 
con l'aiuto del bieco Kyjork, egli ritrovernella capitale boema la 
sua Beatrice. Ma tante balorderie, tanti scampoli da racconto di 
orrori sono solo contorno alle camminate del pellegrino per la citt
annuvolita e cimmeria e come parata a lutto, pretesti al suo 
vaneggiare sulla sostanza afflitta di Praga.
19
Per l'indole deambulatoria e la propensione ai sofismi non diverso 
dal 厚ellegrinonelle lettere ceche il 剃hodec il passante: solo 
che egli si muove, non sugli sfondi allegorici di un'astratta citt
fasciata di mura, ma in un paesaggio minuziosamente praghese, con 
rimandi da Baedeker.
Il poeta Jaroslav Vrchiick nel ciclo Praeskobr漘ky (Quadretti 
praghesi) della raccolta Mvlast (La mia patria, 1903) si definisce 
pivolte 剃hodece 剃hodec samot漙(passante solitario) e 
哇pozd瘽chodec(passante attardato) (1) Un passante instancabile, 
un malinconico camminatore il protagonista del romanzo Santa Lucia 
(1893) di Vil鄉 Mr褾骿, lo studente Jord滱, innamorato di Praga come 
di una donna. Le passeggiate di Jord滱 ad ogni ora della notte e del 
giorno, in ogni stagione, soprattutto dentro la nebbia, offrono il 
destro a Mr褾骿 per comporre una musicale sequela di vedute della 
cittcoi riverberi e i lampi di luce e con gli sprazzi 
dell'impressionismo. Ma l'indifferente e civetta bellezza di Praga, 
che muta d'aspetto a ogni istante, contrasta tragicamente con la 
solitudine e la disperazione del giovane di provincia, che vi trover
la morte. Spettacolo oltre ogni usato oppressivo l'ultima 
passeggiata di Jord滱 febbricitante e quasi in deliquio. Mr褾骿 vuol 
dirci che a volte il passante di Praga in dissidio con Praga stessa 
e vittima della sua volubilite demonia.
Anche Apollinaire porta il suo contributo al mito del pellegrino 
praghese, compiendo, nel racconto Le passant de Prague (1902), la 
traversata della capitale boema assieme a Isaac Laquedem, 
reincarnazione dell'Eternel Juif. Nel tessuto di Praga il suo 
Ahasvero, che cammina incessantemente, si agguaglia al 
viandante-filosofo della tradizione boema. I suoi passi uguali e 
lenti (剃omme ceux de quelquun qui, ayant un long chemin 
parcourir, ne veut pas 皻re fatiguen arrivant au but e 
l'accettazione serena della vita (勉e ne parcours pas un chemin de la 
croix, mes routes sont heureuses (2) avvicinano Isaac Laquedem allo 
zoppo di 螮pek.
Al suggestivo racconto di Apollinaire, e insieme alle pagine de Le 
paysan de Paris di Aragon, si ricollega Vit瞛slav Nezval nel libro 
Praeskchodec (Il passante di Praga, 1938) Il chodec-clochard di 
Nezval, ossia Nezval stesso, va errando col ritmo saltellante della 
sua poesia, che tutta un capriolare sino all'ultimo sfinimento, una 
girandola da illusionista, un geyser di metafore: sfarfalla 
sbandatamente di strada in strada, per chiese, bettole, ponti, caff 
birrerie, chiese, teatri, in percorsi discontinui e incrociati, 
cercando i prodigi nascosti e l'arcano di Praga alla vigilia di tempi 
travagliosi.
Nezval riscopre col filtro di Parigi la sua cittminacciata, 
prossima a farsi bersaglio dei fulmini e nido a male augurati uccelli 
notturni. Ed strano che certi attributi di Praga, come il bizzarro 
da romanzo nero, le connessioni astrologiche, le stesse reliquie da 
rigattiere coincidano con le predilezioni del surrealismo, cui Nezval 
apparteneva. D'ora in poi Praga sarsempre impigliata per i poeti in 
questo suo reliquiario di cose muffite da Marchaux Puces.
A differenza del 厚outn骿di Josef 螮pek, che guarda gli 
avvenimenti come un gelido lento uccello pensoso, il 剃hodec
nezvaliano non possiede la 剌elicitdella meditazione(3): corre 
irrequieto tra le meraviglie di Praga, senza indugiare in giudizi e 
perscrutazioni. Eppure Nezval sente che esiste un legame tra il suo 
passante ed il pellegrino zoppo (da lui chiamato anche 則rbat
chodec passante gobbo) (4), non fosse altro che per la coscienza 
dell'identitdel miracolo con la fuggevolezza dell'esistenza. 侵l 
compito del passante sembra essere forse cosideale appunto perch
la vita fugge(5) Tutto, in questa sua esplorazione praghese, odora 
di miracolo: e tutto come quella farfalla imprigionata in una sfera 
di cristallo che egli, assieme a Breton, contempla a Pwemyslova ulice 
nella vetrina di una stireria: oggetto inquietante che unisce la 
vanitlepidottera (ritornano in ballo le effimere dei 螮pek) alla 
magia del pronosticare da globi di vetro e che Nezval associa col 
nascere di Aube, la bambina concepita da Breton a Praga (6)
NOTE:
(1) Jaroslav Vrchiick Slav骿 v m瘰t U semin漙skzahrady, Motiv 
z Hrad螮n, in Mythy. Selskbalady. Mvlast, Praha 1955, pp' 413-14, 
424, 426.
(2) Guillaume Apollinaire, 飀vres completes, a cura di Michel 
decaudin, I, Paris 1965, pp' 106 e 110.
(3) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 241.
(4) Ibid'
(5) Ibid', p' 235.
(6) Ibid', pp' 252-53 e 259.
20
促raga era pibella di Romaafferma Jaroslav Seifert all'inizio 
del poema Sv皻lem od瘽(Vestita di luce, 1940) (1), con un paragone 
venuto giin mente a parecchi visitatori, tra cui lo scultore Rodin 
(2) Il poema descrive l'ubriaca scorribanda di un pellegrino 
incantato attraverso Praga nei giorni dell'occupazione nazistica: 
dalla Cattedrale di San Vito alla Viuzza d'Oro, al Belvedere, al 
Ponte Carlo, sino al Cimitero ebraico, - e a ritroso, per Mal
Strana, al Castello.
Vi sono frequenti allusioni al travaglio e al malessere di quei 
tempi tristissimi. Eppure Seifert ci offre a contrasto la rara 
immagine di una Praga luminosa, tutta tessuta con melodiosi fili di 
luce, e come in punta di piedi, danzante, lievissima. Del resto in 
tutta la poesia seifertiana Praga appare simbolo della primavera e 
dell'eterno rifiorire, albero che di continuo si rinchioma e 
ringiovanisce.
Egli si ricollega, movendo dall'esperienza dell'avanguardia 
厚oetistica a Vrchiick e in specie al suo ciclo Praeskobr漘ky 
(Quadretti praghesi), in cui la cittsulla vitava sinonimo della 
stagione novella, 匍are di verde e di fiori(3), cinguettio 
smanioso. Vrchiick che nel poemetto di Seifert balena con 
匍ustacchi di trichecoe col 削ito ingiallito di nicotina(4), in 
una lirica di quel ciclo, dal titolo Hrad螮ny pwi z漥adu (Hrad螮ny al 
tramonto), si atteggia lui pure a 厚outn骿 dinanzi ai cui occhi, 
nel luccichio del crepuscolo, il Castello 剃ome fata morgana affiora 
dal buio(5)
In Seifert il tema della primavera il suggello che Praga durer
nonostante la fuga del tempo e il mutar delle cose terrene e il 
ferale sterminio e l'arbitrio dei calibani. Ma un altro motivo 
pervade le inquadrature di questa carrellata: quello del ritorno: il 
ritorno a Praga, rifugio dei tribolati e porto dei naufraghi: motivo 
frequente nella poesia ceca degli anni dell'occupazione tedesca, 
spunto del musicale e malinconico poema Jan houslista (Jan il 
violinista, 1939) di Josef Hora, il cui eroe torna in patria, ai 
luoghi della giovinezza, affranto dalla nostalgia. In quegli anni ai 
poeti sino allora invaghiti delle 匍eravigliestraniere ogni sterpo 
di Boemia sembra d'un tratto un rosaio, ogni cencio oro e porpora. Le 
rondini tornano al nido. Dopo le avventure nel labirinto del mondo, 
Seifert, campione di una generazione che propugnava l'esotismo e la 
fuga verso Parigi e contrade lontane (Biebl, suo compagno di gruppo, 
sino agli ultimi regni di Giava era andato pellegrinando), trova a 
Praga, nella cittconculcata, il paradiso dell'anima. Perch
scritto: 勇n nidulo meo moriar(Giobbe 29, 18)
NOTE:
(1) Jaroslav Seifert, Sv皻lem od瘽cit', p' 11.
(2) Cfr' M瘰to vidim velik a cura di Vincy Schwarz, Praha 
1940, p' 476.
(3) Jaroslav Vrchiick Praha v kv皻u, in Mythy. Selskbalady. M
vlast cit', p' 383.
(4) Jaroslav Seifert, Sv皻lem od瘽cit', p' 39.
(5) Jaroslav Vrchiick Praha v kv皻u, in Mythy. Selskbalady. M
vlast cit', p' 425.
21
Negli anni dell'occupazione nazistica un altro passante percorre 
Praga, il 哉ratkkr碭ivec il 勁abile camminatoredel poemetto 
PrvnTestament (Primo Testamento, 1940) di Vladimir Holan. cos
sottile e smilzo che 厚otrebbe dormire dentro un capello il 
勃r碭ivec ossia la 剌erialitfatta persona(哉蟌dnost sama, al 
primo romper dell'alba va per l'afflitta metropoli a spargere 
briciole dolci agli uccelli. Sinistro e sonnambulo, come un fantoccio 
animato da un Caligari, benchstringa al collo una sciarpa, 南on 
soffoca la gutturale dei propri singhiozziMentre egli avanza, i 
匍orti apparenti i letarghiti si svegliano e scendono in strada 
(1) Nel pigia pigia il 勃r碭ivecafferra frantumi di dialogo, 
discorsi smozzicati, invettive triviali, saluti, clamori di strilloni 
e di rivenduglioli: 隹bf鄟le der Umgangssprache detriti verbali che 
si ammucchiano in una sorta di 俑erzdichtungDopo la passeggiata 
mattinale, il luttuoso 勃r碭ivecritorna nel suo 哀epolcroQuesto 
esemplare funereo, venuto dalle danze macabre del Barocco boemo, ben 
si inserisce nell'orrido panoptikum dipinto da Holan nei giorni di 
guerra, nel suo stridulo cinema di larve e di lemuri, nella sua 
勇nfernaliana che sembra proiettata dal fumigante fungo di una 
storta lucerna.
C'uno stretto rapporto tra il 勃r碭ivecdi Holan e il 南o螽
chodec il "passante notturno parvenza precipua dei poeti e dei 
pittori, che durante l'occupazione si raccolsero nel Gruppo 42. Il 
南o螽chodecsi incontra di sfuggita giin Nezval, nel poemetto 
Diabolo del 1926. Ma adesso diventa il protagonista di un'intera 
stagione delle arti e delle lettere ceche. I poeti e i pittori del 
Gruppo 42 si prefissero di descrivere con la minuzia ossessiva del 
surrealismo gli aspetti pidesolati della grande citt mettendo in 
specie in risalto la vita monotona e squallida dei quartieri 
industriali e di quelle zone sui margini, in cui le case si perdono 
fra gli acquitrini e le erbacce (2) Non pile 匍eraviglie
riscoperte da Nezval alla vigilia del Grande Buio, ma l'aere grasso e 
il malessere dei rioni di periferia: Hole蟞vice, Dejvice, Ko鍎we, 
Nusle, Podbaba, - e di qui la disperata nausea, il merore di Praga 
nelle angustie del Protettorato. Una Praga su cui sembra incombere, 
come un oggetto cattivo incastrato fra casamenti-caserme, il 
gassometro di Libe quale appare nei dipinti di Franti蟌k Gross, 
enorme sfera di metallo, rotondo fungo mostruoso (3)
Steccati di legno, bidonvilles, alveari decrepiti, muri vaiolati 
come le tarantole, capolinea deserti, acquedotti, macelli, lampioni 
su altissimi pali, immensi depositi di rifiuti e rottami da 
咨andlmark alberghi ad ore, taverne simili a nidi di sorci, 
orinatoi catramati, reclames sul cieco rovescio poroso di case in 
sfacelo: ecco il mesto paesaggio dei quadri e dei versi del Gruppo. 
Solo uno dei pittori, Kamil Lhot毾, si allontana con la fantasia sino 
agli inizi del secolo, rievocando con la passione di un collezionista 
macinini da cimiteri di auto, motocicli con side-car, mongolfiere, 
biplani, reclames di gasolio, antiche vetture da corsa. Per 
l'insistenza con cui raffigura gli aerostati, diresti che egli 
appartenga al novero di quei 剎allonistesche in Robur le conquerant 
di Jules Verne difendono con accanimento i loro 剎allons dirigeables
contro coloro che esaltano le macchine volanti.
pispesso il passante notturno si ripresenta nei quadri di 
Franti蟌k Hude蟌k (4) Nella gelida notte invernale tempestata di 
stelle egli penetra, messaggero misterioso, tra l'uniformit
casermesca dei casamenti. Su lui convergono la semiluce che filtra 
dagli alti lampioni azzurrati per l'oscuramento e guizzi di lampadine 
tascabili e strali di stelle, sprizzando con lo sfavillante barbaglio 
delle candeline dell'albero di Natale. Sicchegli intrappolato e 
nascosto, come in un rompicapo, in una geometrica f嶪rie, in una 
trama di raggi, che a volte gli tracciano intorno larghissimi cerchi, 
come se fosse bersaglio del tirassegno delle incrociate luci 
notturne. La periferia diventa il teatro di una funebre luminaria, un 
mistero cosmico, e il pellegrino-passante, complice della magia della 
notte e come venuto dalla Sn膱ka di Pout' krkono褼k sembra lui 
stesso un groviglio di stelle filanti e di scie luminose. I lunghi 
filari di lampioni con tegamini che coprono globi di luce offuscata 
sono alti su lui come i doppieri sospesi da servitori in livrea sopra 
la testa di Carlo Rossmann nei corridoi labirintici della villa di 
Pollunder in Amerika (5) C'in questo passante qualcosa dell'antica 
fede praghese negli astri e nel loro influsso sulle sorti degli 
uomini.
Simile a quello stellare di Hude蟌k il passante notturno del 
poeta JiwKol漙, che ha nome anche 咬annchodec(passante 
mattinale), 勃olemjdouc儢 (girovago), 哀v璠ek(testimonio) (6) 
Poichsi muove in un tessuto di desolata miseria, fra 
casamenti-caserme, ldove 勁unghe tovaglie di muffa厚endono in 
stracci dai cieli(7), vien fatto di immaginarlo, al pari del 
勃r碭ivecdi Holan, minuto, quasi lo avessero succhiato le streghe. 
Molte delle ampie odi a pivoci di Kol漙 nascono da passeggiate 
notturne o allo spuntare dell'alba per la pulciosa, affamata, 
disavvenente periferia praghese, che egli invoca coi toni delle 
litanie: 咨riste cane famelico strappato dalla catena ed ululante al 
cielo(8)
Le 哀tazioniquaresimali di questo passante, piccolo uomo reietto, 
sono le birrerie, le balere, le sale d'aspetto, gli scali merci, i 
哀ipari crepati delle tavole di reclames(9), i ponti, le 哉uote 
corde di lire di casamenti(10), le 南avate di templi con infinito 
corale di vasellame - fra incenso di sciacquature(11) Dalla strada 
egli irrompe sin dentro il cuore delle misere abitazioni: come se in 
Kol漙 le brutte case trasparissero, mostrando tristissimi interni con 
carabattole di sorda e vil suppellettile, di spelacchiata mobilia.
Questa scrittura aspra, ruvida, tutta schegge di dialogo, 
parentesi, gridi, incline alle metafore barbare e alla prosa, al 
parlato, esprime mirabilmente la sostanza scurrile, il malsano della 
periferia, il brulichio della moltitudine informe che, anche in 
Kol漙, come in Holan, suscita associazioni cibarie: 勇nvisibili mani 
rimenano sulle spianatoie dei marciapiedi la pasta dei passanti
(12) Ma nella trivialit nell'ordito scurrile si insinuano sprazzi 
di metafisica, analogie musicali, schiere foltissime di angeli forse 
discesi da insegne di drogherie, forse fratelli degli halasiani 
angeli della morte. Dalla 促oesie der Banalit酹Kol漙 sa far 
scintillare improvvise note trascendentali. Una sorta di concerto 
angelico sempre accompagna le sue vicende plebee di matrimoni 
falliti, di infedeltconiugale, le sue camminate in un mondo 
rancioso e sbricio, - e non importa se i suoi angeli sono anch'essi 
assai spesso rozze reliquie di periferia. La squallidezza degli 
sfondi non impedisce al poeta di raddoppiare come per arte maga il 
mistero, lo spazio della notte.
Girano e annaspano con un andare pazzissimo i pellegrini praghesi 
nel tempo dell'occupazione. Nei dipinti di Franti蟌k Gross il 
passante si muta in 哎omo-macchina(恃lov瘯-stroj, arcimboldesco 
meccano, agglomerato febbrile di leve, rotelle, stantuffi, bulloni, - 
figura plumbea e senza la levitazione del pellegrino di Hude蟌k, 
rocchetto di raggi stellari, nel quale sembra rivivere l'arcanitdei 
sestanti dell'astrologia rodolfina. In alcune poesie di Ivan Blatn
il passante diventa il 勃olemjdouc儢, il 剋irovago un automa, un 
impiegatuccio, che goffamente bighellona per la citt come un guitto 
da comica slapstick, con giravolte inutili e soste in negozi, un 
essere grigio, ma non alieno dai sogni e con un briciolo a volte di 
stravaganza e follia (13)
Ma, tornando alle immagini di Hude蟌k e di Kol漙, sorge il dubbio 
che anche stavolta tutto quel movimento, quel zigzag di percorsi sia 
solo illusorio. E che il passante, alloppiato dagli umidi e grassi 
vapori della periferia, sospeso in un viluppo di raggi stellari, sia 
fermo nel morto silenzio che ingombra le strade, - fermo come il 
南ehybnpoutn骿 il 厚ellegrino immobile effigiato da Franti蟌k 
Janou蟌k, uno dei pittori picari al Gruppo 42. Il passante di 
Nezval aveva colto la spuma iridescente, lo scintillio dell'eterna 
bellezza della cittminacciata. Il passante notturno attraversa 
invece lo squallido 勁abirintodella periferia, senza illudersi e 
senza ammirare e, come un angelo caduto, senza alcuna speranza di 
厚aradisoPellegrinaggio e miseria diventano tautologia. Non c'
riscatto. Non esistono occhiali che facciano di un mondezzaio una 
montagna di gioia e un belvedere di un casamento-caserma.
NOTE:
(1) Vladimir Holan, PrvnTestament cit', pp' 9-10.
(2) Cfr' JiwKotal骿, N瘯olik pozn滵ek o Skupin1942, in 
亟'ivot 1946, 4-5; id', Modern蟌skoslovenskmal魾stv in 
恃eskoslovensko 1947, 3.
(3) Cfr' JiwKotal骿, Franti蟌k Gross, Praha 1963, e Franti蟌k 
Gross, Franti蟌k Gross, Praha 1969.
(4) Cfr' Eva Petrov Franti蟌k Hude蟌k, Praha 1969.
(5) Franz Kafka, America, a cura di Alberto Spaini, Milano 1957, p' 
80.
(6) Cfr' Jan Grossman, Hore螽bd瘭ost Jiw駩o Kol漙e, in Jiw
Kol漙, N殠odnsv璠ek, Praha 1964, p' 186.
(7) JiwKol漙, R滱o, in 鐰y a variace, Praha 1946, p' 47.
(8) Id', Litanie, in 鐰y a variace cit', p' 15.
(9) Id', R滱o, in 鐰y a variace cit', p' 47.
(10) Id', Litanie, in 鐰y a variace cit', p' 16.
(11) Ibid'
(12) Id', Sv璠ek, in 鐰y a variace cit', p' 31.
(13) Ivan Blatn Tabulky, in 便ytice 1947, 6; Den, in 雨lok 
1947, 1; Hra, in 便ritickm瘰斁n骿 1947, pp' 385-90.
22
Nei dipinti e nelle poesie del Gruppo 42 (e nelle foto di Miroslav 
H毾, che ne fece parte) hanno grande risalto le lunghe teorie di 
lampioni su altissimi pali, le macilente lampadine delle case povere, 
gli aloni e i freddi riverberi delle luci di periferia. 俠'alba 
schiaccia le cimici degli occhi cisposi delle lampade(1) si legge 
in una lirica di Kol漙, e in un'altra: 勁a lingua delle lampade si 
fatta legnosa(2) Blatnparla di 勁ucerne a gas denti ingialliti 
dell'autunno(3) e conclude cosla descrizione di un paesaggio: 怨 
una sera di sabato del tempo delle lampade a gas - come in un quadro 
di Kamil Lhot毾 - con una ragazza sonnambula che guarda la luna 
pallone(4) In alcuni cicli di foto di JiwSever, che fu molto 
vicino al Gruppo 42 e ritrasse lui pure baracche, casacce decrepite, 
steccati di travi, - specie nel ciclo MaskovanLucie a jinsetk滱
(La Lucia mascherata e altri incontri, 1940-42), troviamo lanterne 
annebbiate languenti in deliquio, fanali sporgenti da squallidi muri, 
fanali di carri funebri, lunghe ombre di fanali, gli smorti lumi del 
tempo di guerra (5)
Potremmo studiare nei suoi scrittori l'ambigua illuminazione di 
Praga, il suo balenio stemperato con molta caligine, la sua 
fosforescenza ctonia. 俠e lucerne sul ponte - battono i denti di 
vetrodice JiwWolker nella lirica N潎rat (Il ritorno, 1921) (6), e 
Kafka, nella Descrizione di una battaglia: 俠a vitava e i quartieri 
dell'altra riva erano avvolti nello stesso buio. Alcuni lumi vi 
ardevano e luccicavano come occhi veggenti(7) Quante lanterne a 
gas scintillano con agonizzante intercalare di vampature nel 促rager 
GespensterromanSeverins Gang in die Finsternis (1914) di Paul 
Leppin: 俠a tempesta spaccin due il tintinnante vetro delle 
lanterne 非inanzi alla chiesa U Kwieovn骿sfavilluna precoce 
lanterna e riempl'aria di vitrei colori 俠e lampade elettriche 
gibrillavano, appese come lune sugli alberi(8) Non solo Praga, 
ma persino il suo cielo ha lucerne nel romanzo di Leppin: 勁e stelle 
della tarda estate come rossi lampioni bruciavano(9)
Severin, il protagonista, appartiene anche lui alla famiglia dei 
passanti notturni: vaga attonito per una cittmisteriosa, 
acherontica, che lampeggia di vacillanti lampade, di Gaslaternen. 
俟'era fatto buio e con luci piagnucolose si stendeva Praga ai suoi 
piedi俟otto di lui si stendeva la cittnella valle. Qua e l
ancora brillava qualche luce come gli occhi di una sonnolenta bestia 
in lontananza(10) Severin ha ventitranni, ha abbandonato gli 
studi, la mattina lavora in ufficio, e il freddo e il malumore 
serpeggiano per il suo corpo. Torna a casa spossato nel pomeriggio e 
si butta sul letto, dormendo fino a sera. Poi la sera, appena si 
accendono le lanterne, scende in strada e si aggira, come tra ombre 
cinesi, tra parvenze ammiccanti e malsane, su cui si potrebbe porre 
il cartello 冠bsonderlich made in Prague. Esangue, irrequieto, 
pervaso di angoscia, quasi spostandosi col vento come una renna, si 
aggira di luogo in luogo, da un Nachtkaffee a una taverna, senza 
trovare riposo.
C'qualcosa di stanco, di incrinato, di irrimediabile, un'infinita 
俚酺tlichkeitche si abbandona alle lacrime, nel fragile ordito di 
questo romanzo. E c'un rapporto tra il febbrile vacillio migratorio 
del personaggio di Leppin nella cittallucinata e la fugacitdei 
suoi amori, tra l'apprensione con cui, smodatamente curioso come una 
renna, egli gironzola in sfibranti camminate notturne per il 
勁abirintoe l'instabile sensualitche lo spinge da donna a donna, 
in attimi fiammeggianti di ebbrezza, cui segue sempre una malinconia 
senza scampo.
青antore di quella vecchia Praga che cosdolorosamente si 
spegneva Leppin, come ha scritto Max Brod, fu il 厚oeta dell'eterna 
delusione(11) Il suo 厚assanteuna timida ombra in una citt
raggricciata, larvale, tutta prodigi notturni e sfavillio di lucerne, 
e paurosa della luce del giorno. Perch come dice M歊ha, 勁a candela 
ha il suo ladro nel sole(12)
NOTE:
(1) JiwKol漙, R滱o, in 鐰y a variace cit', p' 47.
(2) Id', Druhrann in 鐰y a variace cit', p' 52.
(3) Ivan Blatn Podzimnden, in Tento ve蟌r, Praha 1945, p' 28.
(4) Id', Krjina, in Tento ve蟌r cit', p' 36.
(5) Cfr' Ludv骿 Sou蟌k, JiwSever, Praha 1968.
(6) JiwWolker, N潎rat, in B滻n Praha 1950, p' 61.
(7) Franz Kafka, Descrizione di una battaglia, in Racconti cit', p' 
11.
(8) Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis cit', pp' 73, 144, 
12-13.
(9) Ibid', p' 109.
(10) Ibid', pp' 145, 77.
(11) Max Brod, Vita battagliera cit', pp' 163 e 165.
(12) Karel Hynek M歊ha, Z漥isn骿 (1833), in Dilo cit', III, p' 131.
23
Nel suo viaggio per il labirinto del mondo, il pellegrino comenico 
incontra balzani astronomi e astrologhi che, studiando le 
congiunzioni e le opposizioni dei corpi celesti, inventano pronostici 
e oroscopi. Onnisciente lo guida a un'altana, di dove gli astronomi 
appoggiano scale al firmamento, per afferrare le stelle e misurarne i 
percorsi con regoli, corde, pesi, compassi. Il pellegrino prende 
diletto a quel giuoco, ma ben presto si accorge che le stelle danzano 
diversamente da come costoro vorrebbero. Per cui essi si lagnano 
dell'anomalitas coeli (1)
L'astrologia giudiziaria un attributo costante della natura di 
Praga, in specie di Praga dell'epoca di Rodolfo II. Nelle sue 
memorie, che si riferiscono appunto al periodo tra la fine del XVI e 
l'inizio del XVII secolo, Mikul碭 Da蟊ckz Heslova accenna pivolte 
a stelle precipitanti, a fantasme codate, a dragoni volatici, a 
fuochi pazzi, che appaiono nel firmamento (2)
L'etdi Rodolfo II brulica di meteoristi e di astrologhi e di 
勇ndovini di nuvole(3) che, fiutando le cose future come cani 
venatici, desumono dalle stelle presagi di calamit Praga offre 
rifugio a Tycho Brahe e a Keplero. Il passaggio di torbide e 
malinconiose impressioni di fuoco annunzia morbi e lacci e tracolli e 
rotte di eserciti e disertamenti delle campagne.
Non mi farleggere mai la ventura dal fantoccio di cera di una 
chiromante, che gonfi il petto e tentenni la testa e mi scruti con 
occhi maligni da una bacheca di vetro a Pigalle. Ma i cortigiani di 
Rodolfo II anelavano tutti a conoscere la propria 南ativit鉬, che gli 
astrologisti sovente imbastivano con espressa menzogna, e 
l'imperatore anche lui era ansioso che gli spianassero il significato 
delle esalazioni focose che solcavano l'aria, incombendo sulla citt
minacciata come frecce di Klee.
Nel dramma di JiwKar滻ek ze Lvovic Kr滎 Rudolf (Re Rodolfo, 1916) 
Gelchossa, sua amante, cosdefinisce il sovrano: 哎n sognatore, la 
cui indole - l'inganno dei sensi, - un sognatore cui parlano - solo 
le stelle e le voci lontane(4) E Mad歊h, nel quadro ottavo della 
Tragedia dell'uomo, immagina che Rodolfo, destatosi da un brutto 
sogno, chieda un oroscopo a Keplero, il quale una delle molteplici 
reincarnazioni di Adamo attraverso la storia: per soddisfare la sete 
di denaro della frivola moglie Eva-Barbara, che lo tradisce coi 
cortigiani, Adamo-Keplero, assistito dal famulo Lucifero, dopera 
anch'egli al mestiere vanissimo di pronosticante.
NOTE:
(1) Cfr' Jan Amos Komensk Labyrint sv皻a a r毄 srdce cit', p' 51.
(2) Cfr' Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, pp' 152 (1577), 
189 (1596), 208 (1605), 250 (1619)
(3) Ibid', p' 208 (1605)
(4) JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf, Praha 1916, p' 37.
24
L'astrologia rodolfina pervasa dall'ansia, dal senso di 
instabilitche travagliavano l'epoca. Potrebbero farle da 勇mpresa
questi versi di Seifert: 侵 telescopi sono accecati per l'orrore 
dell'universo@ e gli occhi fantastici degli astrologhi@ ha bevuto la 
morte@(1)
Il manto di un re rispecchia il velo cosparso di stelle del 
firmamento. Ai due astronomi di corte parevano apprendersi il 
malumore di Rodolfo II, la sua insicurezza, il suo spirito infetto, 
le sue tetre fuliggini. Max Brod, nel romanzo Tycho Brahes Weg zu 
Gott, ha messo in risalto l'annosa mestizia di Tycho, questo 
patriarca chagalliano, che giunge a Praga, stanco e malato, su invito 
dell'imperatore, con un codazzo di allievi e di familiari e di servi, 
dopo aver vagato alla deriva per l'Europa.
Nei due astronomi, come in Rodolfo II, l'inquietudine per la 
mutabilitdella sorte si univa alla bramosia dell'incognito e allo 
stupore per la suprema armonia del creato. Ciascuno di loro potrebbe 
ripetere le parole del 匍ago meravigliosodi Nezval:
vidi la vita in infinite metamorfosi@ e benedissi il desiderio 
umano@ di affrettarsi dietro a nuove stelle@ che via via si 
accendevano e spegnevano@ dietro la vetrina della notte@ (2)
L'amore delle 剃uriosit鉬 e dei fenomeni arcani concorre ad 
accrescere nell'etdi Rodolfo lo struggimento per i foschi indizi 
celati nelle traiettorie dei fiammeggianti corpi celesti e quindi la 
smania dell'Arte Speculatoria. Nel dramma di JiwKar滻ek ze Lvovic 
Kr滎 Rudolf l'imperatore domanda ad Arthur Dee che ritorna da un 
viaggio: 侮i sono nuove scoperte nelle scienze occulte? Mi porti la 
pirecente interpretazione del simbolo della salamandra? Hai saputo 
qualcosa della pietra magnetica, dell'asemone, delle ciglia del sole 
e della luna?ed aggiunge: 俑i hanno narrato che nel tempio di San 
Vito misteriosi fuochi si accendono e muovono nel buio della notte. 
In che enigmatico tempo viviamo! Che meravigliose vicende si 
appressano! Ah, vorrei conoscere l'imperscrutabile Ignoto che ci 
avviluppa e ci manda segnali, come quei fuochi inquietanti, 
sgomentevoli...(3).
Le cronache di questo periodo danno contezza di soli notturni, di 
gatte parlanti, di campane che si rifiutano di rintoccare, di fiumi 
bollenti, che erompono dalle cantorie, serpeggiando sino all'altare. 
Da蟊ckregistra: 俗na strana cosa hanno pubblicato in Boemia, che a 
Praga un'ebrea ha partorito una bestia, un orso vivo, e che quello, 
correndo per la camera e grattatosi dietro l'orecchio, morto(4)
Atterriva le menti la paura dell'improvvisa estinzione del mondo, 
l'angoscia per il progressivo allargarsi dei limiti della terra. 
隹lcuni olandesi del Nederland - annota Da蟊ck- si spinsero molto 
lontano per una nuova, sinora incognita rotta; giunti a grandi 
deserti terreni e marittimi, incapparono in un mare ghiacciato, 
attraverso il quale dovettero aprirsi la strada, con grande rischio 
lottando con gli orsi bianchi. E non potendo andar oltre per i grandi 
ghiacci ed il gelo, in patria, non tutti pere senza profitto, 
tornarono. Il Signore Iddio conosce e sa dove e quando sarla fine 
del mondo!(5)
Und die Komet strahlte blutrot am Himmel und in B鐬men war Krieg. 
Il gracchiare frequente del corvo predice pioggia, le comete 
annunziavano lunghe sequele di guerre. Le guerre continue, le 
pestilenze continue, la minaccia del dilagare del turco, le 
persecuzioni teologiche, rendendo pilabile e pifiliforme la vita, 
alimentavano in tutti l'assillo della divinazione. Sia qui ricordata 
la passione di Wallenstein per gli oroscopi, la sua credulitnegli 
influssi celesti.
NOTE:
(1) Jaroslav Seifert, Praha, in Po褾ovnholub (1929)
(2) Vit瞛slav Nezval, Podivuhodnkouzeln骿 (1921), zp瞚 sedm
(3) JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf cit', pp' 24 e 25.
(4) Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, p' 195 (1599)
(5) Ibid', p' 190 (1596)
25
Nel Rom滱 Manfreda Macmillena (Romanzo di Manfred Macmillen, 1907) 
Kar滻ek ze Lvovic esprime cosla nostalgia di quell'epoca: 亟stinta 
la stirpe degli astronomi, e si sono spenti i fuochi alchimici 
nelle casette della Viuzza d'Oro dietro la Daliborka. E nemmeno Tycho 
Brahe e nemmeno Keplero fanno oroscopi ormai per l'afflitto Rodolfo
(1)
L'astrologo un personaggio-chiave della mitologia di Praga: 
personaggio, che a volte si immedesima con l'alchimista. Anche se non 
attraversano il fuoco e non scendono nelle contrade dell'ombra, sono 
come sciamani questi pronosticanti bramosi di investigare le 
congiunzioni celesti e di trarne responsi, assai spesso cososcuri e 
dubbiosi che la stessa Sfinge nEdipo saprebbero scioglierli, questi 
manipolatori di elisiri e rimedi contro la peste, questi professori 
di oracoli, i quali danno sovente in apertissime ciurmerie, rivelando 
scaltrezza di giuntatori.
Nel romanzo Astrolog di Sv漮ek il ruffiano truffiere alchimista 
Scotta 哀a leggere dalle stelle il destino dell'uomoe si proclama 
冠lunno della divina scienza dell'astrologia(2): inventa 南ativit鉬 
per Don cesar de Austria, figlio illegittimo di Katewina Stradove 
di Rodolfo II, e per Zuzana, la figlia del nobile Kor滎ek z T膰ina 
(3) Nella tragedia Kr滎 Rudolf (Re Rodolfo, 1862) di Vit瞛slav H滎ek 
un 剃annocchialista(勃uk漮k漙 mette in guardia l'imperatore dal 
fratello Maty碭 (4)
I clowns dadaistici Voskovec e Werich, nella commedia musicale 
Golem (1931), tentarono la parodia dell'astrologo rodolfino nella 
figuretta svitata del mago Bwen瘯, che fabbrica per il sovrano una 
donna artificiale (della stirpe dei golem e robot praghesi, formati 
per via di lambicchi), una frigida (ahim) parvenza selenica, 
Sirael, 咬aggio lunare materializzato(5) In un racconto di V瘲a 
Linhartov Passatempo polifonico, il dottor Altmann, ambiguo 
psichiatra e stregone hoffmanniano, il quale si aggira per Praga come 
in un vacillante manicomio metafisico intriso di nebbia, ha tra i 
propri pazienti, accanto a Verlaine e Rimbaud, a Dylan Thomas, a 
Nieinskij, a Billie Holiday, a Charlie Parker, anche un 
astrologo-funambolo, il beone Hamilton, che, legandosi ad una 
ringhiera 剃on un sistema di funi e puleggieper non precipitare, 
osserva il cielo da una specola in cima a un'altissima, vertiginosa 
scala a chiocciola, sulla collina di Petwin (6)
Le giravolte di ogni passante notturno in questa citteternamente 
insidiata dal disfavore delle comete mortifere sono il riflesso di 
immaginari tracciati celesti, orbite ubriache, un annaspare nel 
vuoto, con una continua paura di sviarsi dalla traiettoria, con una 
continua vertigine e paura della caduta.
NOTE:
(1) JiwKar滻ek ze Lvovic, Rom滱 Manfreda Macmillena, Praha 1907, 
p' 105.
(2) Josef Sv漮ek, Astrolog (1890-91), Praha 1924-28, p' 31.
(3) Ibid', pp' 103 e 116.
(4) Vit瞛slav H滎ek, Kr滎 Rudolf, Praha 1862, IV, 3.
(5) JiwVoskovec - Jan Werich, Hry Osvobozen逸o divadla, II, Praha 
1955, p' 104.
(6) V瘲a Linhartov Passatempo polifonico, in Interanalisi del 
fluito prossimo cit', p' 150.
26
Degli astrologisti e professori di sortilegi, Tycho Brahe 
soprattutto (1546-1601) si fuso con la demonia di Praga, dove 
giunse per desiderio di Rodolfo II nel 1599. E non importa se egli 
trascorse la piparte del soggiorno ceco, non a Praga, ma a Ben漮ky 
nella Boemia orientale, in un castello di caccia trasformato in uno 
sfarzoso osservatorio, consimile a quello di Uranienburg (Arx 
Uraniae) sull'isoletta di Hveen nell'Oresund, che in tempi felici gli 
aveva donato re Federico II di Danimarca (1)
Se il tuffarsi del mergo nell'acqua pronostica pioggia, il nome 
Tycho preannunzia quella cascata di nebbie che chiamano Praga. 
L'umorista tedesco Albert Brendel (1856) lo chiamTichodejpr殟 (2) 
Egli appartiene al mistero di questa citt non solo per la sceneria 
di astrolabi, clessidre, armille, sestanti, fra cui si muove, ma 
anche per il grande naso posticcio, che gli daspetto sinistro e lo 
agguaglia al manichino spettrale di un compendio di rinoplastica. 
Secondo Max Brod, una protesi d'oro e d'argento sostituiva il naso, 
da lui perduto, quando era studente a Rostock, in un duello per una 
dama. A Tycho piaceva lasciarselo palpeggiare dagli altri, e i suoi 
avversari insinuavano che egli se ne servisse come di un'alidada per 
compiere le osservazioni celesti (3), quasi il suo volto fosse 
composto di attrezzi da astronomo, alla maniera dei quadri 
dell'Arcimboldo. Ad aggrandire il grottesco si aggiunga che egli 
sarebbe morto per aver troppo a lungo trattenuto l'urina durante un 
banchetto (4) La 勁oquacitdi Ticone cui accenna Galileo (5), 
sembra anch'essa confarsi alla sostanza della cittvitavina.
La lastra tombale di Tycho nella chiesa gotica di T蓽 balugina come 
sorgente di stregoneria in molte storie di sfondo praghese: scolpita 
in rosso marmo di Slivenec, la parvenza dello studioso degli astri vi 
si aderge alquanto distorta come per un torcicollo, nella pesante 
armatura di cavaliere, paflagonica e pettoruta, con barbetta a punta, 
poggiando la destra su una sfera armillare e con la sinistra 
impugnando una spada (6) 青ette 嶲lise contient la tombe de 
l'astronome Tycho Brah暺: sussurra ad Apollinaire l'ebreo errante 
Isaac Laquedem, mentre attraversano la CittVecchia (7) Il Manfred 
Macmillen di Kar滻ek ze Lvovic si aggira nella penombra del tempio di 
T蓽 accanto a quel sepolcro (8) Nel romanzo The Witch of Prague di 
Crawford il Pellegrino contempla due volte la tomba: all'alba, quando 
la chiesa affollata di pallida gente dagli occhi afflitti, e al 
tramonto, nella chiesa deserta, incontrando vicino alla lapide il 
bieco Kyjork Arabian (9)
Nella narrazione di Brod la misteriositdi Tycho dilatata dalla 
vicinanza di un nano che lo accompagna, un gobbo rossiccio da 
libretto di Boito, lo scricciolo Jeppe, che gli saltella attorno e 
schiattisce come un bracco. L'astronomo ha salvato dal rogo questo 
aborto coperto di pustole in un accampamento zigano messo a fuoco da 
una masnada di lanzichenecchi. Durante i patriarcali banchetti, con 
uno scarlatto abito da giullare, Jeppe se ne sta accovacciato ai 
piedi di Tycho, che ogni tanto gli getta un boccone (10) Un vincolo 
arcano unisce l'abominevole storpio all'astronomo dal finto naso.
NOTE:
(1) Cfr' Karel Pejml, D疀iny 蟌skalchymie, Praha 1933, pp' 48-49; 
Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti, PRaha 1967, p' 157.
(2) M瘰to vidim velikcit', p' 373.
(3) Max Brod, Tycho Brahes Weg zu Gott (1916): trad' it' B' Maffi, 
Milano 1933, p' 49.
(4) Cfr' Neu vermehrter Curieuser Antiquarius (1746), in M瘰to 
vidim velikcit', p' 93.
(5) Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo 
tolemaico e copernicano, Torino 1970, p' 65.
(6) Cfr' F'J' Studni螶a, Prager Tychoniana, Prag 1901, pp' 63-66; 
Ingvald Undset (1810), in M瘰to vidim velikcit', p' 175; Jan 
Dolensk Praha ve svsl潎i utrpen Praha 1903, pp' 327-330.
(7) Guillaume Apollinaire, Le passant de Prague, in 飀vres 
completes cit', I, p' 109.
(8) JiwKar滻ek ze Lvovic, Rom滱 Manfreda Macmillena cit', p' 38.
(9) Francis Marion Crawford, The Witch of Prague (1891), trad' ceca 
Praesk螮rod疀ka, a cura di Karel Vratislav, Praha 1912, p' 32.
(10) Max Brod, Tycho Brahes Weg zu Gott, trad' it' cit', pp' 73, 
115-16, 303.
27
Salendo per via Thunova verso le scale del Castello, 剃hi conosce 
la storia di Praga - afferma JiwKar滻ek nel romanzo Ganymedes - 
ricorda senza volerlo il malinconico regno dell'agonizzante Rodolfo 
Il, che seppelliva da vivo la propria persona sotto le ombre pesanti 
dell'astrologia, della magia e dell'alchimia(1) Sette anni dopo 
l'ascesa al trono, nel 1583, Rodolfo II (1576-1611) trasferinfatti 
la sua sede al Castello praghese.
Deliri di alchimisti, oroscopia genetliaca, elisirvite e pietra 
filosofale, Tycho Brahe e Keplero, la Viuzza d'Oro, le fisionomie 
ortolane e belluine dipinte dall'Arcimboldo, Rabbi L饖 col suo 
omuncolo Golem, il ghetto spaurito e sbilenco, l'antico cimitero 
ebraico, la 便unstkammerdell'imperatore: ecco le componenti e le 
immagini di quel maleficio, di quel caleidoscopio, che chiamiamo 
Praga rodolfina.
Domicilio del re boemo e ungherese, signore d'Austria e imperatore 
romano, fu Praga allora in ogni pregio di civilte di magnificenza. 
Attorno a Rodolfo convennero distillatori, pittori, alchimisti, 
botanici, orafi, astronomi, astrologhi giudiziari, professori 
dell'Arte Speculatoria, - brulicun nuvolo di spiritisti, di 
presagenti, di coniettori, e in specie di cerretani e maestri di 
poltronerie da donar volta ai cervelli. La cittera tutta un 
accorrere, non solo di barbassori e di dulcamara, che in baracche di 
legno vendevano pillole di turbitto e di reubarbaro di ermodattili, 
contando frottole e ciance, - ma anche di sgherri, di spadaccini, di 
bravi di ogni contrada, ai quali Praga appariva un paese di cuccagna, 
una sorta di bruegeliano 俠uilekkerlandAttraeva, la residenza 
imperiale, avventurieri e furfanti, che spesso venivano a briga, 
finendo nelle prigioni della Torre Bianca sopra il Fossato dei Cervi 
(2) Sembra persino che una combriccola di banditi italiani tenesse 
bordone all'intrigante gran ciambellano Philipp Lang z Langenfelsu 
(3)
Il romanziere Alfred Meissner (1884) lamentche l'etrodolfina 
aspettasse ancora il suo Walter Scott (4) Etballatesca, con fumo 
di negromanti e garbugli di ciurmatori e mormorio di lambicchi e 
torve occhiate di manichini. Nel 1588, due anni prima di esser 
gettato sul rogo, visitPraga Giordano Bruno. La leggenda segnala il 
passaggio del dottor Faust. In quel torno di tempo giunsero 
nell'Europa centrale gli Englische Komedianten, il cui clown ormai, 
col nome di Pichelhering, buffoneggiava in tedesco (5) Per 
l'afflusso di tanti stranieri Praga divenne crogiuolo di molte 
lingue. E speriamo che l'italiano che vi si parlava (6) fosse meno 
posticcio di quello che personaggi dell'etrodolfina, impettiti come 
stoccafissi, sfoggiano in crude tragedie romantiche: ad esempio, 
nella verbosa Magel霵a (1852) di Josef JiwKol漷.
NOTE:
(1) JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes, Praha 1925, XIV, p' 49.
(2) Cfr' Jan Dolensk Praha ve svsl潎i utrpencit', pp' 
99-100.
(3) Cfr' Karel Pejml, D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 49.
(4) Cfr' M瘰to vidim velikcit', p' 430.
(5) Cfr' D疀iny 蟌sk逸o divadla, a cura di Franti蟌k 蟌rn I, 
Praha 1968, pp' 194-96.
(6) Cfr' Jan Dolensk Praha ve svsl潎i utrpencit', pp' 
221-22.
28
Ma chi era Rodolfo II, questo mecenate di luminari e di ciurmatori, 
alla cui corte mi sembra di esser vissuto? 俗n saggio pagliaccio ed 
un folle poeta secondo la formula ironica di Voskovec e Werich? 
(1) In realtsi entra nel cerchio della sua tetraggine, come in un 
mondo di Quadragesima, come affrontando una 亭instere Bootsfahrt 
una tenebrosa navigazione.
Suo padre Massimiliano (1564-1576), figlio di Ferdinando I, aveva 
sposato la cugina Maria, ossia la figlia di Carlo V, fratello di 
Ferdinando. E quindi per doppia ascendenza Rodolfo era pronipote di 
Giovanna la Pazza. Alla fine del 1563, a undici anni (era nato il 18 
luglio 1552), fu inviato a Madrid, dallo zio Filippo II (fratello 
della madre), perchsi avvezzasse al gelido e duro rituale della 
corte di Spagna (2) Corte profondamente diversa da quella di 
Massimiliano, il quale non soffocava la libertdi coscienza e aveva 
rispetto per i protestanti.
Qui, in sette anni, Rodolfo divenne un compiuto 哀pagnuolo 
appropriandosi le costumanze e le maschere di una monarchia 
spigolistra ed ambigua. Il bigottismo, gli intrighi, le solennit
religiose, la diffidenza, la caccia agli eretici, i roghi 
dell'inquisizione, gli inganni di una maestsconfinata, la 
vanagloria terrestre e navale: questa fu la sua scuola (3) Strano 
addestramento davvero per colui che doveva regnare in un paese geloso 
delle proprie franchigie teologiche e infetto di malattia ereticale. 
Il fosco sistema dinastico, intriso di sotterfugi e sospetti, ebbe 
influsso funesto sull'animo del giovane principe: esacerbla sua 
timidezza morbosa, la sua ansia di solitudine, pose i germi di quella 
mania di grandezza e persecuzione, che lo avrebbe aduggiato pi
tardi.
Sebbene ammaestrato al perfetto cattolicismo e al rigore della 
corte spagnuola, e sebbene maniere di Spagna vigessero nel suo 
governo, Rodolfo si riveltuttavia tollerante, sia per l'esempio del 
padre che per amore di pace e per la certezza che la parte cattolica 
era ancora sparuta a confronto con gli utraquisti e coi Fratelli 
Boemi. Non a caso ebbe amico il rabbino L饖, uno dei maggiori 
sapienti del 亮闤ess e accolse a corte Keplero, perseguitato per la 
sua fede evangelica.
L'anziana generazione cattolica, che lo assistette agli inizi del 
regno, non era del resto bacchettona e arrabbiata, come quei giovani 
di alto lignaggio che la Societdi Ges giunta nel paese nel 1556 
(4), stava educando nel fanatismo della Controriforma. Ma durante il 
suo reggimento, mentre i riformisti e i propugnatori della tolleranza 
si scindevano in piccole confessioni discordi, prese aire e irruenza 
il gruppetto cattolico, ben organizzato, compatto, appoggiato dai 
cortigiani, dai nunzi papali, dagli ambasciatori spagnuoli (5) 
Veniva nascendo, anche in virtdei connubi tra nobili di Boemia e di 
Spagna, una Spagna praghese: 哀pagnuoli(恃pan瘭飩) erano detti in 
Boemia i cattolici ferventi (6)
NOTE:
(1) JiwVoskovec - Jan Werich, Golem, in Hry Osvobozen逸o divadla 
cit', p' 94.
(2) Cfr' Jan Bedwibl Nov毾, Rudolf II. a jeho p歍, Praha 1935, p' 
3; Kamil Krofta, D疀iny 蟌skoslovensk Praha 1946, pp' 364-89; Karel 
Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', p' 145; Philippe Erlanger, 
Rodolphe II de Habsbourg, Paris 1971.
(3) Cfr' Jan Bedwibl Nov毾, Rudolf II. a jeho p歍 cit', pp' 5 e 9.
(4) Cfr' Josef Poli蟌nsk Doba Rudolfa II, Praha 1941, p' 15.
(5) Cfr' ibid', p' 20.
(6) Cfr' ibid', pp' 20 e 22.
29
Rodolfo II non intermise mai di leggere poeti latini, parlava 
parecchie lingue, ma in specie tedesco e spagnuolo, e con pi
incertezza anche il ceco. Di alchimia, di scienze, di fisica, di 
astrologia, di magia era dilettantissimo. Passava il suo tempo tra i 
quadri, gli oggetti preziosi, le coppelle, i crogiuoli lutati, le 
olle di vetro, le sfere armillari, i lambicchi, in compagnia di 
alchimisti, pittori, pronosticanti, - e lui stesso amava dipingere, 
tessere, far lavori di intaglio e orologeria (1)
Partecipava svogliato e saltuariamente alle adunanze del consiglio 
di corte; trascurava gli affari di stato, affidandoli spesso ai 
maneggioni e agli achitofellisti che lo attorniavano. Si nascondeva 
agli estranei, segregandosi per lunghi periodi nell'intimo del 
Castello praghese, come in un Escurial. Cento volte riflesso da 
specchi spietati, nella labile luce dei candelieri. Scolorita la 
faccia, gli occhi rimorti nell'abbattimento della malinconia, 
cascanti e stracchi i muscoli della bocca: secondo Max Brod, 哎n dio 
bisognoso di aiuto(2) 隹ssiste alle messe in un oratorio riposto e 
tutto recinto di grate - dice di lui il ciambellano Rumpf nel dramma 
Kr滎 Rudolf di Kar滻ek - Passeggia soltanto per corridoi, le cui 
finestre tranne un breve pertugio sono murate(3)
Non si riusciva a distoglierlo dai suoi matracci e dalle sue 
osservazioni superstiziose (4) E, cosappartato, avveniva che 
prestasse fede alle sciocche calunnie dei cinguettatori, all'ignavum 
pecus dei cortigiani. Restio a concedere udienze, lasciava che 
ambasciatori stranieri attendessero per mesi e mesi nelle anticamere, 
che erano, come le barbierie, sorgenti di chiacchiere. Ma in cambio 
avevano adito a lui i fabbricanti di oroscopi e specchi magici e 
omuncoli, i gabbamondo come Jeronymo Scotta.
Dalle sue stanze situate nell'ala piinterna, sopra il Fossato dei 
Cervi, scendeva talvolta in giardino, per ammirare le siepi di 
tulipani e i viali di acacie, l'aranciera, le serre, gli zampilli, le 
statue, le pergole, i volatili esotici, e in specie il leone 
africano, la cui morte - secondo un oracolo - sarebbe stata preludio 
della sua morte (5)
Umor negro e fuliggini guastavano lo spirito di Rodolfo II. bench
avesse a schivo gli affari di governo, tuttavia era geloso del 
proprio potere e propenso a inventarsi fantasmi persecutori e 
vendicativo come una vipera contro coloro che d'improvviso 
accendevano la sua diffidenza. In quei momenti scoppiava in selvaggi 
scatti di collera, tramando irragionevoli azioni per annientare i 
presunti nemici e mostrare agli altri che la sua potenza non si era 
sminuita (6)
Oroscopi, oroscopi. Scorgiamo Rodolfo in un'attitudine obliqua e 
scontorta, che fa pirisaltare la frenesia dei suoi gesti. Furioso, 
va in diagonale. E lunghe ombre truci, ombre da ombromane lo 
inseguono per i corridoi, vestito alla guisa spagnuola in abito nero 
di felpa rasa trinato di merletti d'oro e con bianca gorgiera (7) 
Lugubre vita da Quadragesima e senza bagattellieri. Ma con le orrende 
maschere dell'iracondia e della doppiezza.
Dallo zenit del favore Rodolfo precipitava i suoi accoliti nel 
nadir della disdetta. La notte del 26 settembre 1600 assalcol 
pugnale il ciambellano Wolfgang Rumpf, che sospettava di malevolenza 
(8) Opinando che si proponesse di scalzarlo dal trono, gettin 
prigione perpetua, senza averne le prove, un altro gran ciambellano, 
JiwPopel z Lobkovic, e i vigorosi interventi della parte cattolica 
non valsero a liberare lo sfortunato (9) Nella reboante tragedia 
Kr滎 Rudolf (1862) Vit瞛slav H滎ek immagina che nemmeno Eva z 
Lobkovic, della quale Rodolfo invaghito, riesca a ottenere da lui 
salvezza per il proprio padre.
Cessati gli accessi morbosi, cadeva nell'apatia, sempre pi
rintanandosi e disertando il governo, per darsi tutto all'alchimia, 
alle arti, alle stelle. Eppure l'impero era travagliato dalle 
controversie teologiche e dalle sommosse dei principi di Transilvania 
e dalle continue incursioni dei turchi. Durante il suo regno, per 
quattordici anni (1592-1606), i maomettani e i cattolici si fecero 
guerra, con stragi e saccheggiamenti e capitolazioni e conquiste di 
grandi fortezze, come si legge nelle concitate memorie di Mikul碭 
Da蟊ck
Nel dramma di JiwKar滻ek il ciambellano Rumpf cosdescrive 
Rodolfo: conosco Sua Maestdall'infanzia. Lo accompagnai alla 
corte spagnuola da re Filippo. E perciposso dire che non c'al 
mondo creatura pimesta e pisolitaria. Nei tetri templi 
indugiavamo a lungo sino a notte. Lo vedevo pregare fervidamente, e 
mi pareva che il cielo dovesse arrendersi a un simile attacco. Eppure 
pregava invano. Quando uscivamo dal tempio, era di nuovo infelice. 
Dubitava della propria salvezza e lo atterrivano i castighi 
infernali. Qui a Praga si rifugicome in un chiostro. Temendo la 
gente, usciva solo di notte. Non parlava con nessuno, nessuno lo ha 
mai visto sorridere. coscome il suo abito sempre nero, sempre 
fosca la sua anima. E se non ci fosse l'incanto delle scienze 
occulte che tanto lo allettano, dell'astrologia e dell'alchimia, se 
non ci fossero l'arte, le statue, i dipinti, i libri, i gioielli e le 
stoffe, che accumula con insaziabile brama, vivrebbe in un tale nulla 
da consumarsi come una vanissima ombra...(10).
L'ereditaria demenza della famiglia, l'alterezza fumosa, gli 
strascichi dell'oppressivo apprendistato spagnuolo, l'inguaribile 
fistola dei sospetti, il complesso di lesa maest la paura dei 
turchi, dell'ambizioso fratello Maty碭 e delle forze celesti 
confluivano a ingigantire la malinconia che annegriva e ardeva il suo 
sangue.
Afferrato sovente da umore cupidinesco, Rodolfo cercava ebbrezza e 
conforto tra le braccia di belle schiattone (11) Non approdmai al 
matrimonio per titubanza (12) e perch secondo un oroscopo, un erede 
legittimo lo avrebbe privato del trono. Ma si consolcon una gran 
mandra di concubine. pia lungo delle altre rimase nella sua alcova 
Katewina Stradov figlia dell'antiquario di corte Jacopo Strada, la 
quale gli partorsei bambini (tre maschi e tre donne), tra cui quel 
Don Julius che, dopo una vita lasciva e violenta, sarebbe perito nel 
castello di Krumlov a soli ventitranni (13)
Vaso di infamite quindi pasto ghiottissimo dei drammoni 
romantici, Don Julius (ovvero Don cesar de Austria o marchese Julio) 
vien ricordato per la feroce uccisione dell'ultima amante, la figlia 
di un barbiere e Wundarzt di Krumlov. Dopo averla trafitta e scannata 
sul letto con minuzioso rituale, spargendo per tutta la camera brani 
di carne, le tributesequie solenni, facendola accompagnare alla 
tomba dal clero e dai servi in gramaglie con fiaccole a vento (14) 
俏ella melma di ripugnanti passioni sguazza la tua anima, - grida 
Rodolfo contro di lui in Magel霵a di Kol漷 - una lugubre turba di 
cento scelleratezze ti brulica addosso come ramarri sul teschio di un 
diavolo(15)
NOTE:
(1) Cfr' Jan Bedwibl Nov毾, Rudolf II. a jeho p歍 cit', pp' 19 e 
20.
(2) Max Brod, Tycho Brahes Weg zu Gott, trad' it' cit', p' 365. 
Cfr' inoltre Josef JiwKol漷, Magel霵a (1852), I, 2; Vit瞛slav 
H滎ek, Kr滎 Rudolf (1862); JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf cit', 
p' 15.
(3) JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf cit', p' 59.
(4) Karel Pejml, D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 43.
(5) Cfr' Josef JiwKol漷, Pekla zplozenci, Praha 1862, p' 16; 
Josef Sv漮ek, Astrolog cit', pp' 66-70; Jan Dolensk Praha ve sv
sl潎i utrpencit', pp' 87-88; Max Brod, Tycho Brahes Weg zu Gott, 
trad' it' cit', pp' 349-51; F'X' Harlas, Rudolf II, milovn骿 um瘽a 
sb瘲atel, Praha s'd' [ma 1916], p' 27; Augustin Vojt璚h, Praha 
kamennsen, Praha 1941, p' 144; Karel Krej鍎, Praha legend a 
skute螽osti cit', p' 152.
(6) Cfr' Jan Bedwibl Nov毾, Rudolf II. a jeho p歍 cit', p' 21.
(7) Cfr' Josef JiwKol漷, Magel霵a cit', II, 2; JiwKar滻ek ze 
Lvovic, Kr滎 Rudolf cit', p' 15.
(8) Cfr' Jan Bedwibl Nov毾, Rudolf II. a jeho p歍 cit', p' 25.
(9) Cfr' ibid', pp' 22-23.
(10) JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf cit', pp' 10-11.
(11) Cfr' Jan Bedwibl Nov毾, Rudolf II. a jeho p歍 cit', p' 21.
(12) Cfr' ibid', p' 24.
(13) Cfr' Anton Gindely, Rudolf II und seine Zeit, II, Praha 1865, 
p' 337.
(14) Cfr' Anton Gindely, Rudolf II und seine Zeit cit', II, pp' 
338-43.
(15) Josef JiwKol漷, Magel霵a cit', II, 2.
30
Col passare dei giorni si venne inasprendo la paranoia di Rodolfo. 
Il tetro e negro umore generava in lui spiriti orribili. E nulla 
potevano apozemi e medicine apritive e tintura di sale di tartaro ed 
occhi di gamberi e magistero di corna di cervi. Diffidava del nunzio 
papale e di tutta la curia, mal tollerando le loro sollecitudini per 
la sua successione. Lo infastidivano il salmeggiare e gli uffizi dei 
cappuccini di Hrad螮ny, che considerava agenti segreti dei suoi 
persecutori (1)
Temeva i gesuiti e ogni sorta di confraternite, anche perchun 
altro oroscopo aveva pronosticato che egli sarebbe stato soppresso da 
un monaco, come il sovrano francese Enrico III. sparlava del papa, 
sfuggiva la messa e le cerimonie di chiesa, cadeva in attacchi 
isterici alla vista del crocifisso (2) Di qui forse, nelle lettere 
ceche e nella cultura praghese, l'assiduo motivo degli spasimi e 
dell'inquietante bellezza di Cristo, inchiodato su un duro legno di 
croce. Si bisbigliava che fosse invasato dal diavolo e affatturato 
dai filtri delle sue concubine. Ecco perch in Magel霵a, frammezza 
il suo dire di parole esorcistiche come 促atibulum, Patibulum
La letteratura ha ingrandito la malvagitdei cortigiani che 
ronzavano intorno a Rodolfo. L'astio delle leggende si addensa in 
specie sul tracotante Philipp Lang z Langenfelsu, un ebreo 
convertito, di povera origine, che, per mettere in atto i suoi 
flagiziosi propositi, non esitava a ricorrere a una banda di 
grassatori. Costui aveva anche una propria officina alchimistica, ma 
non certo con le trasmutazioni si era arricchito, bensestorcendo 
regali ai supplicanti e sottraendo preziosi alle casse 
dell'imperatore.
Non sempre ride perla moglie del ladro. Il 7 maggio 1608 fu 
incarcerato nella Torre Bianca, dove perun anno dopo di morte 
violenta (3) Nel fragoroso romanzo Pekla zplozenci (Progenie 
d'inferno, 1862) Josef JiwKol漷 (chiamandolo Jachym e non Philipp) 
fece di Lang un maestro di scelleratezze. Poichanela ai tesori del 
defunto alchimista Kurcin, conservati a Praga nella casa di Faust, 
Lang ordisce un intrigo per eliminare Jo褾 e Vil鄉, i due figli 
gemelli di Kurcin. Invia sicari ad uccidere Jo褾 e poi accusa Vil鄉 
di averlo ucciso per istigazione di una fiorentina Sibilla Rezonica. 
Sulle prime la sua impresa va a vuoto, perchJo褾 salvato dal 
priore del Convento Slavo e Vil鄉, impiccato - oh, questo sche 
troppo! - precipita vivo gidalla forca, trovando rifugio in casa di 
quel barbagianni di Scota, alle cui cerimonie sataniche prende parte 
lo stesso Rodolfo. In ultimo Lang riesce a far trucidare i due 
giovani Kurcin, 厚rogenie d'inferno ma chi trama frode si tesse 
ruina: lo aspettano le orrende segrete della Torre Bianca. Nella 
commedia Rabinskmoudrost' (La saggezza rabbinica, 1886) Jaroslav 
Vrchiickcontrappone all'austera scienza di Rabbi L饖 la nequizia di 
Lang, libertino e prevaricatore che, con l'ausilio di complici e di 
ruffiani, insidia le donne altrui, ladroneggia e assottiglia i tesori 
dell'imperatore.
Ma torniamo a Rodolfo. La malinconia divora come una febbre la sua 
complessione. Ogni parola lo inalbera, ogni punturetta lo irrita. 
Egli din crude smanie, inventa vendette, tenta pivolte il 
suicidio. Nd'altro sono i suoi ragionamenti che di morire. 亟' vita 
ogni rapporto con la gente, - asserisce Rumpf nella commedia di 
Kar滻ek. - Solitario dimora nelle sue stanze. Non va nemmeno in 
giardino a godersi le aiuole di tulipani. Non sceso nemmeno a 
visitare il leone che lui stesso ha domato. Il calice d'oro da lui 
cesellato giace nell'abbandono tra le altre cose dimenticate... Sua 
Maestosserva con indifferenza i tavoli colmi di incartamenti 
inevasi. Per Praga gicorrono voci che Rodolfo sia morto e che al 
popolo la sua morte sia tenuta nascosta. Questo perchmolto tempo 
che nessuno lo vede. Nemmeno nell'oratorio guizza la sua ombra. Ed 
altri dicono che sia impazzito. Ricordano che pronipote della pazza 
Giovanna di Castiglia(4)
Sullo scorcio degli anni, scacciati i pochi ministri fedeli, 
commise gli affari di stato agli sguatteri, ai palafrenieri, ai 
trabanti, agli sfrattapanelle, dei quali pensava che non gli 
avrebbero tolto il potere. Viveva ormai alla mercdei famigli, ma 
anche di loro aveva ribrezzo: dovevano volgere altrove lo sguardo, 
quando lui si svestiva. Tutto questo condusse all'ultimo spirito 
l'ulcerato corpo dell'impero.
Ma c'un forte legame tra la malinconia di Rodolfo e il torbido 
Logos, la nera sostanza di Praga. In Kr滎 Rudolf di Kar滻ek, 
affacciandosi alla finestra nella luce lunare, egli vagheggia che 
Praga, 哀orella delle anime mistiche sia domandata in futuro 勁a 
cittdi Rodolfo(5) Nella tragedia di H滎ek, abbandonato da tutti, 
costretto a cedere il regno al fratello Maty碭 (23 maggio 1611), 
scaglia anatemi su questa 剃ittdell'ingratitudine(6) In Magel霵a 
di Kol漷 le rimprovera di essere ormai concistoro dell'impudicizia ed 
asilo di infamit immaginandola ingombra di forche (7), come se la 
sua Praga non fosse che il paesaggio tutto patiboli del Trionfo della 
Morte di Bruegel.
NOTE:
(1) Cfr' Jan Bedwibl Nov毾, Rudolf II. a jeho p歍 cit', p' 25.
(2) Cfr' ibid', pp' 25-26.
(3) Cfr' Karel Pejml, D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 49.
(4) JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf cit', pp' 10-11.
(5) JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf cit', pp' 39 e 66.
(6) Vit瞛slav H滎ek, Kr滎 Rudolf cit', V, 2.
(7) Josef JiwKol漷, Magel霵a cit', II, 2.
31
Rodolfo ebbe in sua corte pittori e scultori notevolissimi, i quali 
tutti di doni, di benefici e di favori colmava. L'Arcimboldo, 
Bartholom酳s Spranger, Adriaen de Vries, Johann Hofmann, Josef 
Heintz, Joris e Jacob Hoefnagel, Pieter Stevens, 輍idius Sadeler, 
Hans von Aachen, Daniel Froeschi, Roelant Savery, Matth酳s Gundelach 
e molti altri (in prevalenza tedeschi e dei Paesi Bassi) costituirono 
intorno all'imperatore una sorta di cosmopolitica 嶰ole de Prague, il 
cui segno comune il manierismo (1) Giungevano in gruppi, legati da 
amicizie e da parentele; nuovi maestri prendevano il posto degli 
scomparsi e di quelli che si rimettevano in viaggio; al Castello era 
un andirivieni di miniaturisti, medagliai, lapidari, pittori di 
paesaggi e di 勃ontrfekty(contraffazioni) e di scene sacre e di 
selvaggina. Ed curioso che la loro schiera infittisse verso il 
1600, quando divenne pitorbida la malinconia del sovrano e si 
accrebbe la sua declinazione.
Il desiderio di ornare la corte di una gran folla di artisti fa 
riscontro in Rodolfo all'ansia spasmodica di collezionare, di 
accumulare preziosi e rarite naturalia. Collezionare e nascondere 
agli occhi insidiosi degli altri i tesori ammucchiati. Carezzare gli 
oggetti, covarseli gelosamente, goderne come un avaro.
Jakub de Strada (Jacopo Strada), il soprintendente alle collezioni 
imperiali, nel romanzo Astrolog di Sv漮ek afferma: 勁'imperatore 
considera queste raccolte proprietpersonale e percile custodisce 
come la pupilla dei suoi occhi. Solo alcune teste coronate venute qui 
in visita e alcuni artisti di grido egli ha ammesso in questi 
saloni l'imperatore ritiene la pinacoteca proprietsua 
esclusiva, che nessuno deve toccare(2) Non si pututtavia, come 
fa qualche studioso (3), asserire che i dipinti di cui il Castello 
era imbandito non avessero influsso sul corso dell'arte boema, se 
vero che il sommo pittore barocco Karel 螶r鈣a conobbe da giovane 
quelle raccolte (4)
Giil nonno Ferdinando I, il padre Massimiliano II e lo zio, 
l'arciduca Ferdinando del Tirolo, erano fervidi collezionisti ed 
archeologhi. Ma in questa passione Rodolfo non ebbe l'uguale. Per la 
sua Kunst-und Wunderkammer affrontava profusissime spese. Spediva 
speciali commissionari e talvolta gli stessi Hofmaler a comprare per 
lui in tutta Europa dipinti e gioielli e suppellettili esotiche. 
Chiedeva agli artisti del seguito di eseguirgli le copie delle tele 
che non riusciva a ottenere. Perchnon si guastasse, fece portare 
attraverso le Alpi sugli omeri da quattro omaccioni forzuti il quadro 
Das Rosenkranzfest (Rencovslavnost) di Der, acquistato a 
Venezia da un suo delegato (5) Pieter Bruegel e Der fra tutti i 
pittori erano i suoi prediletti.
恃acmistrovvero governatore delle raccolte fu dunque l'antiquario 
italiano Jacopo Strada, che giaveva tenuto un analogo ufficio alla 
corte di Vienna. Il fatto che la sua bella figlia fosse a lungo 
tagliuola del negro cuore dell'imperatore concorse a dare una 
posizione eminente al Castello a lui e alla famiglia (tanto che alla 
sua morte, nel 1588, la direzione delle raccolte passal figlio 
Octavio)
Ma, nel romanzo Astrolog, Josef Sv漮ek sostiene che lo stesso 
Strada poteva accedere alla 恃ackomora a quel prestigioso gabinetto 
di curiositrodolfine, solo in presenza dell'imperatore o con un 
permesso particolare (6) L'esagerazione forse dovuta all'ambigua 
parte che Sv漮ek assegna al vecchio antiquario, facendone addirittura 
l'uomo di paglia dell'astutissimo Scotta, re dei Quacksalber e dei 
truffatori.
NOTE:
(1) Cfr' Karl Chytil, Kunst und Kstler am Hofe Rudolfs II., Praha 
s'd' [1913]; Jaromir Neumann, Obraz漷na Praesk逸o Hradu, Praha 1966.
(2) Josef Sv漮ek, Astrolog cit', pp' 72 e 74.
(3) Cfr' Jan Mor潎ek, Dv鑴 Rudolf驠: sbirky na Praesk鄉 hrad in 
Co daly na蟌 zemEvropa lidstvu, a cura di Vil鄉 Mathesius, Praha 
1940, pp' 143-45.
(4) Cfr' Jaromir Neumann, Obraz漷na Praesk逸o Hradu cit', p' 32.
(5) Cfr' Josef Sv漮ek, PosledndnovRudolfov蓫l sbirek v Praze, 
in Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓳h, I, Praha 1891, p' 50; F'X' 
Harlas, Rudolf II, milovn骿 um瘽a sb瘲atel, Praha s'd' [1916]
(6) Josef Sv漮ek, Astrolog cit', pp' 49 e 71.
32
Nel romanzo di Max Brod, ragionando con Tycho Brahe, il sovrano 
dubbioso e malato afferma di cercar nelle pietre, nei metalli, nei 
quadri la perfezione (1) E in realttutti i pezzi della sua 
raccolta, gli orologi, i gioielli, persino gli strumenti astronomici 
e le bizzarrie naturali recavano il segno di un'abile rifinitura che 
ne faceva preziose opere d'arte (2) L'ansia di compiutezza, il 
perfezionismo si univano in lui a un raro amore del raro, delle cose 
eteroclite, esotiche, 勇ndiane delle appariscenti, delle quisquilie 
che sapessero di avventura e di prodigio (3)
Del resto questa predilezione per il meraviglioso concorda col 
gusto di un'epoca incline al manierismo. Infervorava i collezionisti 
la mercatanzia che le carovane marittime portavan dalle Indie: Cocus 
de Maledivia, coquiglie, corni da caccia d'avorio, frutti esotici di 
terra e di mare, terraglie dei Chini, uova di struzzo, pelli di 
uccelli, pitture giapponesi su carta e su seta. E tutto questo era 
detto 勇ndianisch
Le Schatz- und Wunderkammern ambivano i piccolissimi oggetti 
costruiti con microscopica ricercatezza, i minuti lavori in avorio, 
su gusci di noce, su noccioli di ciliegia, su nicchi, le esigue 
ornature di smalto. A tanto amore della minuteria potrebbe fare da 
emblema uno splendido quadro della galleria di Rodolfo, in cui Joris 
Hoefnagel addensfiori, frutti, farfalle, arvicole, rospi, lumache, 
una locusta, ogni sorta di insetti attorno a una bianca rosa (4), una 
sfatta rosa da poesia halasiana.
Gli orafi, cosnumerosi alla corte di Praga, incastravano denti di 
squalo nell'oro come lingue di serpi. I cesellatori intagliavano in 
forma di paesaggi e calvari e miniere grezzi cristalli di minerali 
(信andsteine, considerati portenti della natura. Le cose insolite, 
le pellegrine erano talismani di 咬瞚erie pretesti di analogie. E 
perciin un aguzzo dente di narvalo la fantasia ravvisava il corno 
di un lunicorno amorevole con le pulzelle o un coagulo di ambra o una 
massa rappresa di etere cosmico o la secrezione di arcani animali. 
Nell'osso di una bestia antidiluviana l'osso di un gigante. Nelle 
cave corna di un'antilope africana gli artigli di un grifo.
Scontraffatte parvenze, pietre e piante di strana figura ferina e 
di colore inusato erano per Rodolfo sorgenti di forza soprannaturale, 
則uacacome per gli Incas. Egli aveva nella sua raccolta gran copia 
di cammei e raritlitologiche (5), 非onnersteine(martelli di selce 
preistorici), due bulloni dell'Arca di No mostri bicefali, un 
coccodrillo e campioni di bezoar, concrezione calcarea degli 
intestini di camosci e stambecchi, pietra gastrica dalle virt
misteriose, che il tocco degli orafi tramutava in amuleti e monili.
Tra le altre cose balzane da lui possedute notiamo il coltello 
inghiottito da un contadino durante una crapula ed estratto dopo nove 
mesi, nel 1602, da mastro Florian, barbiere; una sedia di ferro 
(亭angstuhl, che imprigionava chi vi si fosse seduto; un 
冠rtefattosonoro, sulla cui cima indorata si moveva una caccia di 
camosci e di cervi; un 保rgelwerk che eseguiva da solo 咬icercari, 
madrigali, e canzoni struzzi impagliati; calici di rinoceronte, in 
cui le bevande ribollono se avvelenate; un medaglione votivo di 
argilla di Gerusalemme; un grumo di creta della valle di Ebron, con 
cui Jahve Elohim plasmil protoplasto Adamo; e grosse radici di 
mandragora (Alraune) in figura di omini, poste sul morbido velluto di 
piccoli scrigni come in lettucci di bambole. Il sortilegio di questa 
pianta delle solanacee cresceva se era trovata sotto un patibolo. 
Alraune, vegetale fantoccio del teatro di Praga: della stessa 
famiglia di manichini, cui appartengono il Golem, i robot, Odradek.
NOTE:
(1) Max Brod, Tycho Brahes Weg zu Gott, trad' it' cit', p' 368.
(2) Cfr' Jaromir Neumann, Obraz漷na Praesk逸o Hradu cit', p' 18.
(3) Cfr' F'X' Harlas, Rudolf II, milovn骿 um瘽a sb瘲atel, Praha 
s'd' [1916], pp' 49, 58, 60, 66, 67, 68.
(4) Cfr' Jaromir Neumann, Obraz漷na Praesk逸o Hradu cit', pp' 
156-58.
(5) Cfr' Karel Chytil, La Couronne de Rudolphe II, Praha 1921.
33
Rodolfo II affastellava a capriccio e senza un sistema le 
preziositdella sua raccolta su mensole e tavoli, dentro innumeri 
armadi e forzieri (1) Perchi lettori abbiano una breve contezza 
degli altri oggetti che popolavano quel 哉erzauberter Raum 
tenteremo di elencarne ancora qualcuno in una sorta di scompigliato 
inventario che, per essere appunto manchevole, rispecchiermeglio il 
disordine della collezione.
Calchi di lucertole in gesso e di altre bestie in argento, 
俑eermuscheln corazze di tartarughe, madreperle, noci di cocco, 
pupazzetti di cera a colori, figurine di argilla egizie, finissimi 
specchi di vetro e di acciaio, occhiali, coralli, scatole 勇ndiane
con piume sgargianti, vasi 勇ndianidi paglia e di legno, pitture 
勇ndianeossia giapponesi, noci 勇ndianed'argento battuto e 
indorato, e altre esotiche cose che le gran caracche portavano a vele 
tese dalle Indie, un torso muliebre di gesso color carnicino, di 
quelli che piaceranno ai surrealisti praghesi, tavolieri d'ambra e 
d'avorio per giocarvi a dadi, un teschio di gialla ambra, calici 
d'ambra, zampogne, 厚aesaggidi diaspro di Boemia, una tavoletta 
d'argento smaltato, nicchi di agata, diaspro, topazio, cristallo, un 
quadro d'argento montato nell'ebano, una pittura su alabastro 
orientale, pietre dipinte, mosaici, un altarino d'argento, un 
pecchero di cristallo con coperchio d'argento, una caraffa di topazio 
donata a Rodolfo da un'ambasceria moscovita, un'anguistara di 厚ietra 
stellare un bellicone di agata boema con anse d'oro, un tonfano di 
topazio in foggia di leone, posate d'oro con rubini, orci di terra 
sigillata (alcuni dentro un involucro di velluto rosso), una nave di 
corallo con figurine, una nave di legno indorata, una nave maiuscola 
di Cocus de Maledivia rivestita d'argento, un cofanetto di cristallo 
di rocca, una cassetta di madreperla, un liuto d'argento, lamine di 
lapislazzuli, corni di rinoceronte, corni da caccia in avorio, 
vistosi coltelli guarniti con oro e con gemme, porcellane, tagli di 
drappo, mappamondi di varie guise: uno indorato, uno argenteo su un 
ippogrifo, sfere armillari, strumenti di misurazione, vetreria 
veneziana, un'antica testa di Polifemo, Deianira e il centauro in 
argento, medaglie, maioliche a molti colori, preparati anatomici, 
finimenti, speroni, briglie, bardelle, cupole di trabacche, farsetti 
ed altro bottino preso ai turchi nel rigettare le loro gualdane, 
arnesi di venazione, bandiere, museruole e collari, ogni specie di 
vasellamenti, coppe di uova di struzzi, sciabole, daghe di manigoldi, 
moschetti, stiletti, stocchi, spingarde, pistole, verdughi. E automi, 
e meccanismi melodici. E orologi, orologi. In forma di barca 
d'argento, di torre con trombettieri... (2). Come nel sogno di Kubin 
a Perla nel romanzo Die andere Seite: sentii intorno a me un 
ticchettare molteplice e scorsi una quantitdi orologi piatti, di 
grandezze svariate, da quella dell'orologio della torre a quella 
degli orologi da cucina, fino ai pipiccoli orologi da tasca. 
Avevano piccoli mozziconi di gambe e si trascinavano come tartarughe, 
qua e lper il prato, disordinatamente, con un ticchettio eccitato
(3) Nella raccolta di Rodolfo era appunto una tartarughina con un 
congegno di orologeria (4)
Dai granati di Boemia alle selle da naso, dagli arbori petrigni del 
mare alle caraffelle di corno di rinoceronte, dalle perfide lame con 
occhi-rubini sui manichi agli 哎shebtise alle piume di colibr Dio 
mio, quanti stimoli per la fantasia. Abbracciando i diversi regni 
della natura e le lontananze geografiche, quel guazzabuglio, 
quell'attrezzeria conviviale, quel repertorio di gioie e di artefatti 
e di argenti e di utensili e di inutilezze voleva essere un 卻rbis 
pictus riflettere il libro di Dio. D'altronde la promiscuitdegli 
oggetti di vari campi e di varie contrade corrispondeva al brulichio 
pittoresco di gente eterogenea nella cittrodolfina. A tutto questo 
si aggiungano le statue antiche e moderne e la numismatica e stormi 
di quadri. E non siano dimenticati i cavalli che Rodolfo collezionava 
con grande fervore, non foss'altro che per farsi ritrarre in arcione, 
con l'armatura pesante e l'aspetto marziale.
NOTE:
(1) Cfr' F'X' Harlas, Rudolf II, milovn骿 um瘽a sb瘲atel cit', p' 
60.
(2) Cfr' F'X' Harlas, Rudolf II, milovn骿 um瘽a sb瘲atel cit', 
pp' 60-68.
(3) Alfred Kubin, Die andere Seite, trad' it' L'altra parte, Milano 
1965, p' 158.
(4) Cfr' F'X' Harlas, Rudolf II, milovn骿 um瘽a sb瘲atel cit', p' 
64.
34
Nel romanzo di Brod, visitando la 恃ackomorarodolfina, Tycho 
Brahe tutto si raccapriccia in considerare l'oppressione e l'angoscia 
che suscita 叛uesto cumulo confuso di oggetti pareva all'astronomo 
剃he lo stesso imperatore tremasse di spavento di fronte a 
quell'immensa ricchezza(1)
La febbre di oggetti nasce in Rodolfo dalla bramosia di riempire il 
vuoto che lo avviluppa, di soperchiare la paura della solitudine. 
Egli congrega avidamente una selva di rari ordigni, come a innalzare 
muraglie contro la morte. Il suo collezionismo maniaco esprime 
tanatofobia. Se vero, come Gogolafferma nel Ritratto, che una 
vendita all'asta somiglia a un uffizio funebre, per la penombra e la 
lugubre voce del banditore che batte col martelletto, - le prodigiose 
raccolte di Rodolfo hanno anch'esse qualcosa di sepolcrale, e le sue 
gallerie sono arche di morti piche stanze di vivi.
Ma quell'inerzia, quella fissitsoltanto apparente. Le morte 
cose rivelano una sinistra inquietudine. Lo guardano con maleficio 
dalle loro tane come bestie in agguato. E alcune, troppo guardate da 
lui, hanno assunto il suo volto, quasi fossero specchi della sua 
ipocondria.
Agli ipocondriaci molto avvantaggiosa la mutazione dell'aria, che 
le fibre del cervello fortifica, il sugo nervoso purifica ed i 
fermenti tutti coi fluidi corregge. Ma Rodolfo non riesce a sottrarsi 
agli oggetti che lo tengono schiavo. Egli torna tra loro anche nel 
cuor della notte alla fosca vampa di grandi doppieri. Ed ecco sembra 
mutarsi in uno degli uomini-oggetti delle 剎izzarriedel Bracelli, 
in un corpo tutto scomparti e cassetti, per nascondervi peccheri, 
gemme, monili. Il ranocchiesco cric-crac degli armadi, l'ammiccare 
dei cristalli e degli amuleti, l'idiozia da santone dell'abinzoar, i 
terribili occhi dei quadri, il sugnoso luccichio delle stoffe, i 
bisbigli delle pietre sono per lui piattraenti degli affari di 
stato. In quella dispensa di 則uaca in quel 削reamlanddi feticci 
egli legge il mistero dell'universo, come nelle cucurbite e negli 
oroscopi.
Nel dramma di JiwKar滻ek l'amletico Rodolfo, 勃r滎-snivec 
re-sognatore, esitante nelle decisioni e nemico degli sguardi curiosi 
e della luce del giorno, povera larva in un serbatoio di rarite di 
anticaglie, si sente alla fine lui stesso morto tra le morte cose che 
lo circondano: 剌antasma di re, giuoco alle ombre con la corona, - 
che il destino mi ha impresso sulla testa martoriata, - come nel 
fiore della passiflora - la natura stampgli strumenti del 
supplizio...(2).
NOTE:
(1) Max Brod, Tycho Brahes Weg zu Gott, trad' it' cit', pp' 366-67.
(2) JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf cit', p' 16.
35
E Sua Maestla Polvere@ si posa lievemente sul trono 
abbandonato.@ 
Jaroslav Seifert (1)
Queste raccolte ebbero sciagurato destino. Giil branco dei 
cortigiani vi fece man bassa. Ben sapendo che l'argento suol rendere 
candido persino un corvo, Philipp Lang z Langenfelsu, furo e maestro 
di surrezione, sgraffigna tutto spiano vecchie monete, gioielli, 
vasi di diaspro, rarit勇ndiane(2)
Nelle sue memorie Da蟊ckricorda che, dopo la morte di Rodolfo II 
(20 gennaio 1612), uno dei ciambellani, l'iniquo Jeron蔂 Makovsk 
rivel nella speranza di uscir di prigione, l'esistenza di molti 
tesori che l'imperatore aveva 南ascosto e muratoEd aggiunge: 非ove 
siano andate a finire queste cose preziose e queste mostre rimesse in 
luce e rivalutate non affatto noto: perchsotto quelle discordie 
in Boemia era un continuo dryps-draps...(3).
Le raccolte rimasero abbandonate, quando il successore Maty碭 
trasferla sua sede a Vienna. La guerra dei Trent'anni, iniziatasi 
nel 1618 con la defenestrazione di Praga, arrecduri colpi 
all'oggetteria rodolfina (4) Dopo la battaglia della Montagna 
Bianca, il duca Massimiliano di Baviera, nel lasciar Praga il 17 
novembre 1620, si portdietro, in compenso dell'aiuto prestato a 
Ferdinando II, non meno di mille e cinquecento carri con ori e 
preziosi trafugati al Castello. Altri cinquanta veicoli riempdi 
bottino il Kurfst di Sassonia quando, nel 1631, il suo esercito 
occupla capitale boema. Dryps-draps. Chiunque passasse per Praga, 
la faceva vedova di un'altra porzione delle raritdi Rodolfo. 
L'enorme balena, senza piGiona nell'oratorio-spelonca delle sue 
viscere, forniva ai predoni stranieri interi carriaggi di carne, di 
pelle, di grasso.
Ma il peggio venne quando, la notte del 26 luglio 1648, gli svedesi 
si impadronirono di Hrad螮ny e di MalStrana. Le volpi di Sansone 
non menarono tanta strage nelle biade dei filistei, quanto la 
soldataglia di K霵igsmark nelle gallerie rodolfine. Come se gli 
svedesi fossero giunti con l'unico scopo di rapinare i tesori 
dell'ipocondriaco sovrano, agognati dalla regina Cristina. Nella 
ruberia madornale che, longe horrendior quam ignis, si estese ai 
palazzi della nobiltceca e alle biblioteche dei Roemberk e di 
Strahov, - K霵igsmark pensanche a se stesso, riservandosi cinque 
carri ingombri di oro e di argento. Dryps-draps. Le dovizie sottratte 
furono trasportate a Wismar e di l per nave, a Stoccolma. La 
commissione chiamata a tirare le somme del piratesco finale di 
trent'anni di guerra, trovsolo statue in frantumi, cornici deserte, 
e qualche quadro deteriorato, tra cui Das Rosenkranzfest di Der 
(5)
Quel che patirono in seguito le smembrate raccolte disperse per 
tutta l'Europa, troppo bisognerebbe a scriverlo distesamente. Eppure 
qualcosa era sopravvissuto, come se le 則uacasi moltiplicassero per 
virtmagica. Fu merito dell'arciduca Leopold Wilhelm, fratello 
dell'imperatore Ferdinando III, se, soprattutto con quadri acquistati 
quell'anno ad Anversa nell'asta della collezione Buchingham, si pot
costituire, assieme ai residui dell'etrodolfina, una nuova copiosa 
raccolta (6), che ebbe lustro per tutto il Seicento e lascitracce 
nell'opera del pittore barocco Petr Brandl (7)
Ma dai tempi di Carlo VI (1711-40), mediocre sovrano e fanatico 
religionista, gli Absburgo, in nome del centralismo, presero a 
considerare la galleria del Castello riserva e deposito di quella 
viennese, e comincilemme lemme un trafugamento di quadri, un 
dryps-draps, che immisernuovamente le ripristinate raccolte (8) 
Per rinsanguar le finanze, nel 1749, Maria Teresa vendette a cuor 
leggero parecchi dipinti alla pinacoteca di Dresda (9) Quando, nel 
1757, durante la guerra dei Sette anni, Federico II di Prussia fece 
cannoneggiare il Castello, ciche restava fu ammonticchiato nei 
sotterranei, ma in tanta fretta, che statue e porcellane e cristalli 
andarono in pezzi.
E nel 1780, quando Giuseppe II deliberdi adibire l'antico 
edificio, l'orgoglio del popolo boemo, a caserma di artiglieria, fu 
necessario sgombrarlo delle tele e di tutte le inutilezze ammuffite, 
per lasciar posto ai depositi di munizioni. Si indisse un'asta 
contumeliosa. Ma prima si provvide a una frivola estimazione dei 
beni. Per dirla d'un fiato, i quadri migliori (compreso Das 
Rosenkranzfest di Der) e i meno guasti erano valutati un fiorino o 
due, i meno vistosi o pidanneggiati pochissime crazie. E poichle 
statue si valutavano solo secondo la massa di materiale scolpito ed 
il grado di conservazione, trenta crazie soltanto, insieme con altri 
due torsi di marmo, venne prezzato il famoso Ilioneus, che Rodolfo 
aveva pagato diecimila ducati (10) Nell'annunzio dell'asta fu posto 
come condizione che si dovessero portar via senza indugio le cose 
acquistate: tale era l'ansia nei liquidatori di liberarsi dei pezzi 
decidui di una grande raccolta, che al gelido utilitarismo di allora 
appariva un'inutile congerie di roba 哀uperflua(11) La tristissima 
asta, non meno desolatrice del sacco svedese, si svolse il 13 e il 14 
maggio 1782.
E i detriti, gli oggetti cionchi? Il giorno prima dell'asta, al 
Castello, i famigli ammucchiarono in gerle e ceste rottami, cocci, 
calchi di gesso, fossili, nicchi, statuette, monete e medaglie 
ammaccate, pietre di poco momento, gettando poi tutta questa 
minuzzaglia dal Ponte delle Polveri nel sottostante Fossato dei 
Cervi. Nel profondo fossato si accumulun alto acervo di scarti, nel 
quale i ragazzi praghesi frugarono ancora per cinquant'anni (12) 
Cosun immenso tesoro, una lista lunghissima di splendori si ridusse 
a un ammasso di vili festuche e di carabattole da robivecchi. Eterna 
presenza del tandlmark nella dimensione di Praga.
Per tutto il XIX secolo il ricordo dell'asta giuseppina brucicome 
un affronto la coscienza dei cechi. Ancora nel 1862 il pittore Karel 
Purkynsi crucciava che le meraviglie della galleria di Rodolfo 
abbellissero le pinacoteche di Vienna, Monaco, Dresda, Stoccolma, 
mentre al Castello non era rimasto piniente (13) In quell'archivio 
di glorie perdute echeggiavano ormai, per usare parole di Seifert, le 
剌anfare del silenzio(14) Quella sfarzosa fuga di stanze, enclave 
dell'aborrito potere absburgico, appariva alle generazioni del 
risorgimento un forziere spogliato, un estraneo mausoleo disadorno.
Eppure non tutto era finito con l'asta contumeliosa. Ripullulava 
come amputate radici la dispensa di 則uacaUn ispettore inviato da 
Vienna nel 1876 constatche parecchi dipinti, riposti in luoghi meno 
accessibili, erano sfuggiti ai saccheggiamenti, alle sottrazioni, 
all'incanto (15) E ricominciil dryps-draps, le tele di maggior 
valore furono sommessamente a piriprese trasferite a Vienna, senza 
che il pellegrino di Praga, l'eterno escluso, ne avesse conoscimento 
(16) Ma la sfolgorata galleria rodolfina possedeva davvero vitalit
di fenice, perch nonostante lo stillicidio dell'ultima 
depauperazione, negli anni recenti si ancora trovato negli ipogei 
del Castello qualche dimenticato dipinto di pregio, estremo residuo, 
estrema consolazione.
La storia a sorpresa di questa 恃ackomorasembra simboleggiare le 
innumere perdite, ma anche la caparbietdi rivivere di una contrada, 
削ove l'albero in fiore del miraggio - rapidamente si tramuta in 
sabbia(17) Qui cascettelle di gioie si convertono in un 
bric-brac da bazar delle pulci, albagia di falcone si stempera in 
sordo avvilimento di gufo, dei grandi sogni non resta che un apparato 
di ceneri. Ma finiamola con queste matte raccolte, che io son proprio 
stanco di inseguirle nel loro baluginio.
::::::::::
(17) Jaroslav Seifert, Praeskhrad, Praha 1969.
NOTE:
(1) Jaroslav Seifert, Praha, in Po褾ovnholub (1929)
(2) Cfr' F'X' Harlas, Rudolf II, milovn骿 um瘽a sb瘲atel cit', p' 
23.
(3) Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, p' 261 (1619) Cfr' 
anche Karel Pejml, D疀iny 蟌skalchymie cit', pp' 49-50.
(4) Cfr' Josef Sv漮ek, PosledndnovRudolfov蓫l sbirek v Praze, 
in Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', I, pp' 47-67.
(5) Cfr' Jaromir Neumann, Obraz漷na Praesk逸o Hradu cit', p' 21.
(6) Cfr' ibid', pp' 24-27.
(7) Cfr' ibid', pp' 16 e 33.
(8) Cfr' ibid', p' 33.
(9) Cfr' ibid', p' 38.
(10) Cfr' Jaromir Neumann, Obraz漷na Praesk逸o Hradu cit', p' 42.
(11) Cfr' ibid', p' 43.
(12) Cfr' Josef Sv漮ek, PosledndnovRudolfov蓫l sbirek v Praze, 
in Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', p' 62.
(13) Cfr' Jaromir Neumann, Obraz漷na Praesk逸o Hradu cit', p' 11.
(14) Jaroslav Seifert, Praha, in Po褾ovnholub cit'
(15) Cfr' Jaromir Neumann, Obraz漷na Praesk逸o Hradu cit', pp' 
50-51.
(16) Cfr' ibid', pp' 53-54.
36
Quando il tenente Luk碭 gli chiede se si mai mirato allo
specchio, 襒ejk risponde: 俗na volta dal cinese Stan瘯 avevano uno 
specchio convesso e quando uno vi si guardava, gli veniva voglia di 
vomitare. Il muso cos la testa come un acquaio per le sciacquature, 
la pancia come in un canonico ubriaco, insomma una figura(1) A 
剌igureriflesse negli specchi magici di un baraccone metafisico 
fanno pensare i ritratti compositi dell'Arcimboldo, che tengono 
anch'essi della sostanza di Praga, quei volti di verdure, di frutti, 
di volatili, di selvaggina, di arrosti, di libri, di utensili e 
arnesi rurali da cucina e cantina: 匍usaico di spropositi insieme 
commessi supremo conseguimento di quel 勁avorare a grottesco di 
cui parla il Bartoli nella Ricreazione del savio (2) 
Giuseppe Arcimboldo (1527-93), 勇ngegnosissimo pittor fantastico
(3), prese nel Sessanta del XVI secolo il posto di ritrattista alla 
corte di Vienna, lasciato, per debolezza d'occhi, da Jakob 
Seisenegger. Regnava Ferdinando I (1526-64). Vi rimase con 
Massimiliano II (1564-76) Con Rodolfo II si trasferpoi a Praga. Si 
fuse a tal punto con l'atmosfera rodolfina, da entrare nella 
mitologia di quel tempo, lui stesso assumendo qualcosa di quella 
magica ambiguite malinconia saturnina, che contraddistinsero gli 
alchimisti. Come si vede del resto dall'autoritratto, in cui appare 
ieratico e duro, con gabbano nero, alto berretto a pan di zucchero, 
colletto inamidato sotto la barba. Nella commedia Rabinskmoudrost' 
(La saggezza rabbinica, 1886), ambientata nell'epoca di Rodolfo II, 
Jaroslav Vrchiickha fatto di lui (col nome Arcimb[a]ldo) un pittore 
scavezzacollo, un avventuriere boh幦ien, che rivela i segreti delle 
stregonerie di Rabbi L饖 (4)
NOTE:
(1) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky, 
Praha 1968, I-II, p' 193.
(2) Daniello Bartoli, La ricreazione del savio, in Trattatisti e 
narratori del Seicento, a cura di Ezio Raimondi, Milano-Napoli 1960, 
p' 555.
(3) Gregorio Comanini, Il Figino cit', p' 257. Cfr' Benno Geiger, I 
dipinti ghiribizzosi di Giuseppe Arcimboldi, Firenze 1954; in 
tedesco, Die skurrilen Gem鄟de des Giuseppe Arcimboldi, Wiesbaden 
1960.
(4) Jaroslav Vrchiick Rabinskmoudrost' (1886), Praha 1902, pp' 
31-32.
37
L'arte dell'Arcimboldo dunque fortemente connessa con le 
predilezioni di Rodolfo II: col suo amore degli Automaten e dei 
fantocci meccanici, col mondo bizzarro ed esotico che lo attorniava, 
col senso alchimico dell'amalgama di corpi diversi, col marionettismo 
golemico, e in specie con l'ansia di collezionare che incalzquesto 
sovrano (1) C'un intenso rapporto tra i ritratti ibridi 
dell'Arcimboldo e la Kunstkammer di Rodolfo, gabinetto di naturalia, 
di rarite anomalie. In quanto fastelli di oggetti, di frutti, di 
fiori, di bestie, le figure arcimboldesche sono collezioni esse 
stesse. Non a caso l'Arcimboldo contribupure lui ad arricchire le 
raccolte dell'imperatore e, quando fatto vecchio, si ritirdalla 
vita di corte a Milano (1587), continua provvedere all'acquisto di 
剃uriosit鉬 per il gran museo rodolfino.
Le Quattro Stagioni, ad esempio, sono vere raccolte di elementi 
vegetali. L'Estate (1563): un profilo costruito di frutti: chicchi 
d'uva per denti, una pera per mento, la guancia una mela, un 
cetriuolo per naso, l'orecchia-pannocchia, e una rigogliosa natura 
morta per cappello. L'applicazione dei frutti alle membra 怨 tanto 
ingegnosa, che la maraviglia conviene che passi in stupore(2) 
Collezioni e nomenclature sono i ritratti del Cantiniere (1574), 
groviglio di fusti, caratelli, bottiglie, bicchieri, cavatappi, 
cannelli, e del Cuoco (1574), composto di pentole, scodelle, padelle, 
frissore, colabrodo, gusci d'uovo, lumache, - nel gusto della 
Bauernhochzeit, la parodia nobiliare dei costumi contadini.
Il collezionismo si avverte in particolare nel Bibliotecario, 
caricatura dello storiografo imperiale Wolfgang Lazio (1514-65), 
raccoglitore di tomi e di in folio e numismatico. Tutto un commesso 
di libri: un libro aperto per capelli, un naso-libro, di libri la 
testa, nastri segnalibro per orecchi, il busto di libri rilegati e 
digesti voluminosi. Il modello il Narrenschiff (La nave dei pazzi) 
di Sebastian Brant (1494) Viene in mente, guardando quella 剌igura 
la descrizione della biblioteca nel Labirinto di Comenio: 
biblioteca-apoteca, dove si conservano medicine contro i mali del 
pensiero, con scatole chiamate libri, scatole-libri, apoteca con 
scatole e dotti che si ingozzano di libri (3) Il Bibliotecario 
arcimboldesco ha una cubicitscatolosa, che rimanda alle parvenze 
geometriche, ai robot cubici di altri campioni del manierismo, Luca 
Cambiaso, il Bracelli. Ma non dimenticheremo che, tra i personaggi 
incontrati da 襒ejk al manicomio, 勇l pifurioso era un signore, il 
quale si spacciava per il sedicesimo volume dell'Enciclopedia 
scientifica Otto e pregava ciascuno di aprirlo e di trovarvi la voce 
青ucitoio di quinterni altrimenti sarebbe andato in rovina. Si 
calmava soltanto quando gli mettevano la camicia di forza. E allora 
era tutto contento di esser finito in un torchio da rilegatore e 
pregava che gli facessero una rifilatura moderna(4)
La passione per le 剃uriosit鉬 si accompagna nell'Arcimboldo a quel 
senso delle minuzie, che fu proprio di molti pittori della corte di 
Rodolfo, come Bartholom酳s Spranger, Pieter Stevens, Roelant Savery, 
i quali, nei loro paesaggi, serragli e 匍anuali della natura 
curavano ogni peluzzo, ogni ramo, ogni stelo, ogni sasso. Nel 
Labirinto di Comenio uno dei due trabanti che assistono la regina del 
mondo Marnost (Vanit, quello che incarna la olisnost (Untuosit, 
indossa, invece di corazza, una pelliccia di volpe rovesciata e tiene 
una coda di volpe per alabarda (5) Come in Comenio, nell'Arcimboldo 
gli animali sono allegorie di difetti, passioni e scomponimenti 
dell'animo. Gli animali diversi che formano la testa dell'Uomo hanno 
tutti una significazione allegorica, che il canonico mantovano 
Gregorio Comanini, nel dialogo Il Figino ovvero Del fine della 
pittura (1591), ha spiegato (6)
Difficile raccapezzarsi in quel fitto fastello, in quella tarsia di 
bestie sovrapposte, in quell'intreccio di orecchie, di code, di 
zampe, di corna, che fanno dell'Uomo una sorta di arca di No un 
conglomerato ferino, simile ai paesaggi ancestrali di Roelant Savery, 
afose accozzaglie di gallinacei, babbuini, palmipedi, cervi, 
volatili, belve. Dalla nuca all'occipite sino alla fronte si 
affollano scimmia, stambecco, cavallo, cinghiale, orso, mulo, cervo, 
daino, leopardo, gazzella, cane, cammello, leone. La volpe, 冠nimale 
astutissimo la fronte, e con la coda fa il sopracciglio. 
L'orecchio e la guancia hanno aspetto di vergognoso liofante, 
appoggiato ad un asino. La lepre, che ha odorato eccellente ma 
imprudenza, forma con la sua schiena il rotondo naso. Un lupo con la 
bocca aperta costituisce l'occhio. Gatto vorace la bocca. Il mento 
una testa di tigre sottesa dalla tromba del liofante. Un bue 
ravvoltolato con accanto un capriolo rassembra il collo.
NOTE:
(1) Cfr' Gustav RenHoche, Die Welt als Labyrinth, Hamburg 1957, 
pp' 45-46 e 144-49.
(2) Gregorio Comanini, Il Figino cit', p' 266.
(3) Jan Amos Komensk Labyrint sv皻a a r毄 srdce cit', p' 40.
(4) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, pp' 34-35.
(5) Jan Amos Komensk Labyrint sv皻a a r毄 srdce cit', p' 98.
(6) Gregorio Comanini, Il Figino cit', pp' 266-67.
38
Kokoschka sbaglia nell'affermare che l'arte dell'Arcimboldo 
冠ntimagicae franca di ogni superstizione (1) Lo stesso Comanini 
ne aveva messo in risalto la sostanza onirica, l'冠rtificio il 
meraviglioso. Nel Figino, parlando dei tre 匍inistri del Sonno
Morfeo, Icelone e Fantaso, uno degli interlocutori, il Guazzo, 
asserisce: 俟e queste non fosser favole, io direi che tutti e tre 
questi ministri del Sonno molto son famigliari dell'Arcimboldo, 
poichegli sa fare l'arti e le trasformazioni che eglino fanno. 
Anzi, fa di vantaggio picose che non fanno essi, trasformando egli 
animali et uccelli e serpenti e bronchi e fiori e frutti e pesci et 
erbe e foglie e spiche e paglie et uve in uomini et in vestimenti 
d'uomini, in donne et in ornamenti di donneE un altro 
interlocutore rincara, osservando 勁a virtfantastica前ssere 
gagliardissima nell'Arcimboldo, poichegli, componendo insieme 
l'imagini delle sensibili cose da lui vedute, ne forma strani 
capricci et idoli non pida forza di fantasia inventati, quello che 
pare impossibile a congiungersi accozzando con molta destrezza e 
facendone risultar ciche vuole(2)
Anche se imitati con la maggior diligenza, in stesure precise e 
realistiche, gli oggetti dell'Arcimboldo hanno la vitalitspiritata 
e spaventosa dei fantasmi, delle morte reliquie: morti guazzabugli di 
pesci, castelli di frutta troppo matura e gisfatta. Qualcosa di 
amorfo, di molliccio, di ripugnante nel volto-serraglio dell'Uomo, 
questo incubo di cacciatore, torvo affastellamento ferino. L'Acqua 
(1566), mostruosa testa di pesci occhiuti e di polipi e di lucertole 
e di menomi animaluzzi marini e nicchi di conchiglie e gusci di 
chiocciole, il trionfo del viscido. Cosmi immagino l'orrida testa 
di piovra del dio marino Cthulhu di Lovecraft.
Un immenso squallore emana dall'Inverno (1563), orrido mascherone 
di vecchio irsuto e pungente, carico d'anni sino alla decrepit 
conglobato di acumi spinosi. Un tronco d'albero noderoso forma la 
testa, con rami contorti e piccole foglie per capelli, un tronco da 
cui sporge fuori un groppo scortecciato per naso. Spuntoni di rami 
fanno da ciglia e barbetta. Le turgide labbra sono agarici bianchi, 
cosparsi di muschio. Da una stuoia vien fuori il collo grinzoso, 
assieme a un ramo con un limone e un'arancia.
E che dire dell'orridezza spettrale del Fuoco (1566), questa 
espressione di antico furor militare, questo idolo pronto a 
imprendere arsioni e gualdane, - ricordo della campagna di 
Massimiliano II contro i Turchi? (3) La figura ha capelli di fiamme 
turbate e svolazzanti, di matasse di micce la fronte e la bocca, 
nell'occhio un mozzicone di cera, naso e orecchia di impugnature di 
spade, una sorta di portacandele e una torcia appicciata per collo, 
un collare di borchie alternate a smeraldi, e bombarde e archibugi 
nel busto.
La minuzia del reale non esclude mai l'ambiguit come ci hanno 
insegnato i pittori del Surrealismo. Basta guardare il Guerriero, 
testa reversibile di alcuni pezzi di arrosto tra due vassoi, che 
danno un elmo o il colletto di metallo di una corazza, secondo che il 
quadro si gira di 180E' chiaro, nella tangibilitdegli arrosti, 
dei frutti, della selvaggina, in questa realtche per troppa minuzia 
imitativa diventa fantastica, si potrebbe trovare qualche rapporto 
con la cool imagery Pop, coi cibi, coi vegetables, coi bright 
pastries, coi sandwiches di un Oldenburg (4) Ma il pennello 
ghiribizzante dell'Arcimboldo giunge a diversi effetti di demonia. 
L'accostamento di pezzi nomenclativi, anche se attinti alla stessa 
serie, crea una sorta di magia del fortuito, di ibriditdiavolesca.
E forse per questo si avverte in quelle parvenze come un continuo 
rimando alla dimensione dei primitivi, ai tatuaggi dei Marchesiani, 
alle deformazioni craniche dei Mangebetou del Congo belga. L'ittico 
impasto dell'Acqua ci ricorda che la Melanesia concepisce i suoi dei 
come squali e l'Estate, caleidoscopio di frutti, non lontana dal 
volto istoriato di un polinesiano (5)
NOTE:
(1) Cfr' Oskar Kokoschka, Schriften 1907-55, Mchen 1956, p' 593.
(2) Gregorio Comanini, Il Figino cit', pp' 269-70.
(3) Cfr' Pavel Preiss, Giuseppe Arcimboldo, Praha 1967, p' 17.
(4) Cfr' Lucy R' Lippard, Pop Art, London 1966, p' 110.
(5) Cfr' Marcel Mauss, Manuel d'ethnographie, Paris 1967, pp' 60, 
95, 97.
39
Un volto istoriato, un volto di pezzi diversi un oggetto, un 
oggetto adorno. L'uomo diventa inventario e addizione dei propri 
strumenti abituali, un fantoccio composto degli arnesi del suo 
mestiere. Del corpo non v'sentore nelle immagini dell'Arcimboldo, 
ma si presume rigido e marionettesco. Tutto l'umore viene riassunto 
dal capo che un rompicapo, un puzzle di oggetti incastrati l'uno 
nell'altro, di vegetali che allignano insieme in un'apparente 
concordia, come le viti con gli olmi e le ulive con le mortelle, di 
bestie riunite per mansuetudine.
Alla vita si sostituisce il rappezzo inerte, l'insieme di molti 
congegni: tendono anch'esse ai robot di 螮pek le visioni morfiche 
dell'Arcimboldo. Aspirano a una serialit hanno la vocazione di 
riprodursi in sequele, nel limbo dei duplicati. La fantoccesca 
ricucitura di attrezzi e di volatili e di frutti indica il 
decadimento della bellezza del Volto, che, rinunziando ad esser 
sembianza di Dio, si fa laido e morchioso, e si riduce a compendio e 
dispensa di oggetti, perchl'uomo schiavo degli arnesi che si 
illude di manovrare e che lo divorano invece, sino ad invadere le sue 
fattezze.
La serialitdi queste facce composite contiene due opposti 
aspetti: da un lato esse suggeriscono un'ammiccante vuotaggine, un 
Menetekel di orrore, un lugubre senso di disfacimento e di morte, 
dall'altro hanno qualcosa di ironico e di farsesco, una l踄herliche 
Anatomie da baraccone, gli attributi di un mondo carnevalesco e 
scurrile, un mondo da Celionati. Quei volti simili a molli pasticci 
di frutta apritive, per farne emulsioni contro l'ipocondria; il 
ghigno idiota e gaudente della paflagonica Estate dalle guance 
rigonfie e con un carciofo sul petto; e persino la faccia della 
Primavera che, sebbene mosaico di fiori, a ben guardare, si rivela 
arrappata, come se l'amido degli anni atteggiasse i fiori in rigide 
crespe da lattochiglia: tutto questo ha sapore di carnevale.
Ma il comico e lo stupidamente giocondo danno spesso nel 
diavolesco, come nei volti mostruosi dagli occhi grossi del Cuoco o 
del Cantiniere, o nel 咬itratto di vari arrosti(1566), simulacro di 
un certo Dottore e Leggista, ossia il vicecancelliere imperiale 
Johann Ulribl Zasio (1521-70), 冠 cui tutto il volto era guasto dal 
mal francese e pochi peluzzi erano al mento rimasti(1), - mostaccio 
fatto di rane e di cosce ossute di uccelli, cossconcio che sembra 
il priore dei diavoli e dalla cui bocca rospesca par emanare lezzo di 
assafetida.
NOTE:
(1) Gregorio Comanini, Il Figino cit', p' 269.
40
Ma le parti di quei ritratti sono fuse davvero in un'unica 
orologeria, o piuttosto ogni pezzo vive di vita autonoma, in una 
specie di scomposizione anatomica, come gli elementi del viso nei 
racconti di Gogol E, come per certi selvaggi, per l'Arcimboldo non 
hanno le diverse frazioni del volto ciascuna un'anima? (1)
Sono inquietanti i nasacci bitorzoluti, che quasi con operazione di 
rinoplastica egli ha appiccato alle facce rigonfie. Se lo stuzzico di 
un pruritante ingrediente facesse loro sparare starnuti sonori, si 
staccherebbero forse quei nasoni proboscidali. E se d'improvviso un 
naso-popone dovesse andarsene in giro per Praga? In fatto di nasi, le 
arcimboldesche parvenze si affiancano a un'altra figura della 
demonologia praghese, l'astrologo Tycho Brahe, che sfoggiava un naso 
d'oro posticcio.
Qualcosa inoltre accomuna questi mostacci compositi, soprattutto 
quelli delle Stagioni, alle maschere agresti del teatro barocco 
boemo: alle Lucky dal lungo becco mostruoso, ai fantasmi di irchi e 
cavalle dagli occhiacci sgranati, che han nome Br蠼a, Perchta, 
Klibna, alla Smrtka, la Morte, manichino di paglia ravvolto in una 
catena di gusci d'uovo (2) La materia stessa degli indumenti e delle 
ornature avvicina i soggetti di questi dipinti ai personaggi 
folclorici, che si vestivano appunto di gusci d'uovo, di paglia, di 
tela di sacco, di pelle d'orso. L'Estate ha una rustica giubba di 
paglia asserrata alla gola, dal cui bavero escono fasciolini di 
spighe. L'Autunno incamiciato di grosse doghe di botte. Figure per 
le suites popolari di un regista come Emil Franti蟌k Burian.
Anche se nel 1648 furono in massima parte trafugati dagli Svedesi, 
sembra ancora di scorgerli in carnevalesche brigate per le vie di una 
Praga-Bamberga, mossi da Celionati-Arcimboldo, questi feticci. Del 
resto varie testimonianze attribuiscono all'Arcimboldo 
l'orchestrazione di mascherate e di feste con luminarie, di caroselli 
e tornei e cortei mitologici (per le nozze, ad esempio, dell'arciduca 
Carlo di Stiria, fratello di Massimiliano II, con Maria di Baviera a 
Vienna nell'agosto 1571), in cui sfilarono ibridi analoghi alle sue 
teste composite (3)
Sembra di scorgere nella nebbia di Praga l'Autunno dal piglio di 
lanzichenecco, tutto intessuto di pomi, poponi, tralci di vite e 
grappoli d'uva, campione rozzissimo di una brutale vendemmia, privo 
di quel malinconico vitreo, di quella 咨esklivina di cui fatto 
l'Autunno nei versi di Halas. E l'Aria, fastello di becchi e capini 
ed occhietti inquieti di uccelli, la quale ha per busto una coda di 
pavone con altri occhietti. E la Primavera, il cui viso ed il bianco 
armacollo dello scuro vestito spagnuolo sono un fitto ricamo di 
fiori. E Flora, tutta spampanata, merlettatura di stami e vilucchi e 
zagarelle di petali, arcana creatura botanica, pertroppo corposa, 
per confrontarla alla minuscola pupattola floreale D顤tje Elverdink, 
che dorme nel calice di un tulipano in Meister Floh di Hoffmann. 
Aggregandoci agli innumeri imitatori dell'Arcimboldo, potremmo, con 
quella 咨raslazione metaforicache la sua strategia (4), imbastire 
altre teste composite, e anzitutto un Alchimista, un insieme di 
matracci, cucurbite, storte, lambicchi. E pensare Praga come 
un'侵nventio Arcimboldi come una cittantropomorfica, che abbia 
gli alberi di Petwin per capelli, Hrad螮ny per fronte, i palazzi di 
MalStrana per occhi, il Ponte Carlo per naso, Piazza della Citt
Vecchia per bocca.
Ma chi il 厚rincipaledi questi spettri che scendono gidalle 
gallerie del Castello? Lo stesso Rodolfo II, anche lui intarsio di 
pezzi, Rodolfo-Vertumnus, come lo raffigurl'Arcimboldo, 
lussureggiante conglomerato di frutti: un popone la fronte, una 
melappia e una pesca le guance, un occhio ciliegia e l'altro gelsa 
vermiglia, una pera per naso, tralci e grappoli e spighe i capelli, 
due nocciole sul labbro, una spinosa castagna la barba (5) Da quel 
capo pigrosso di una cocozza d'India, da quelle gote pasciute e 
scoppianti, da quel trionfo di drupe e di polpe traspira una 
pagliaccesca stoliditsoddisfatta, un ghigno schizoide.
NOTE:
(1) Cfr' Marcel Mauss, Manuel d'ethnographie cit', p' 249.
(2) Cfr' 蟌n瘯 Zibrt, Veselchvile v eivotlidu 蟌sk逸o 
(1909-11), Praha 1950; Petr Bogatyrev, Lidovdivadlo 蟌ska 
slovensk Praha 1940; D疀iny 蟌sk逸o divadla cit', I, pp' 285-87.
(3) Cfr' Jan Port, Divadelnv蓨varnici starPrahy, in Kniha o 
Praze, III, a cura di ArtuRektorys, Praha 1932, pp' 75-78; Pavel 
Preiss, Giuseppe Arcimboldo cit', p' 10; D疀iny 蟌sk逸o divadla cit', 
I, p' 140.
(4) Cfr' Ivo Pond瘭斁ek, Fantasknum瘽 Praha 1964, pp' 99-102.
(5) Gregorio Comanini, Il Figino cit', pp' 258-64.
41
Il fascino dell'Arcimboldo non si esaurito. I manichini di cera 
da vetrina di barbieria prediletti dai surrealisti praghesi sono 
parenti di quelle teste composite. C'un intenso rapporto fra il 
Panoptikum dell'Arcimboldo e la creazione di Jindwibl 褾yrsk che 
amava ammucchiare 剃uriosit鉬 d'ogni sorta. Nezval ricorda come 
褾yrskgli confessasse di aver costruito alcune figure artificiali: 
una dal corpo di asparago su una scarpina donnesca antiquata, una dal 
corpo di vetusta ottomana e con la testa reclame di un prodotto per 
la crescita del seno (1) Qualcosa di arcimboldesco nei collages di 
Teige, attuazione del tema nezvaliano 勁a donna al plurale nudi 
femminili dalle membra staccate e ricomposte ad arbitrio (mammelle 
per guance, occhi su gambe), intrecciati con specchi, colonne, 
amaniti, ovoli.
Ma la tecnica dell'Arcimboldo rivive soprattutto in alcune figure 
verbali della raccolta Absolutnhrobaw (Il becchino assoluto, 1937) 
di Nezval. Nella prima di queste parvenze, l'Uomo che compone di 
oggetti il proprio ritratto (Mukterskl歍z pwedm皻svou 
podobiznu), alla staticitdelle misture arcimboldesche Nezval 
sostituisce una sorta di trasformismo (2) Nella costruzione del 
ritratto gli oggetti si avvicendano secondo il tempo e l'umore, 
sicchla figura si cambia e si ricompone continuamente, passando per 
una sequela di 剌antasmagorie corporalio piuttosto esercizi da 
illusionista. Quell'Uomo ora indossa un 剃appello a foggia di piccola 
bara trovato in una vetrina di rigattiere, ora ha una 咨esta 
cactus coperta dalle 哀pine di laceranti pensieri ora, nel 
gabinetto di un dentista, scopre nella propria bocca due macine che 
tritano 勁'occhio di vetro delle sue bramosie di cannibalee si 
accorge che la sua lingua ha 剌orma di talpaIn quel torno il suo 
collo 哎n mazzetto di sigari Avana legati da un aderente colletto 
alto, e la cravatta 哎na rondine addomesticataNei giorni in cui 
l'Uomo si sente pivecchio, i suoi capelli assumono aspetto di 
剎ianchi trucioli
Ma la picuriosa di queste figure quella del titolo, il becchino 
assoluto. Se i vespiglioni di El Lisichij, nella cartella di figurine 
per lo spettacolo elettromeccanico Sieg er die Sonne, sono danzanti 
casse da morto con in cima un cilindro, feretri da music-hall che la 
sostanza geometrica rende simili a 厚rouny(3), - questo di Nezval 
uno spauracchio che fa stomaco, una larva muffita di carniprivio. 
Gargantuesca parvenza, intenta a digerire 哎no dei suoi putridi 
pranzi quotidianiin una fatiscente taverna, il becchino assoluto 
riunisce una sozza gastrimargia ad un funerario disfacimento. 
L'occhio sinistro, 哀imile a un uovo sotto spirito si affisa 哀u 
una mappa catastale formata da un ragno su un salame patinoso di 
muffa mentre dal destro, 哀maltato di larve di mosche 哀vola ogni 
tanto una mosca carnaria grande quanto un bottoneNel suo molle 
palato, 剃operto di una membrana di saliva e di polvere racchiuso 
哎n cimitero in miniatura mutato in un fritto mistoPersino gli 
冠llegri becchini(哉eselhrobawi della tenebrosa creazione di 
Halas impallidiscono appetto a questo orsaccio nefando, tutto croste 
e materia viscosa e slumacature e licheni, sebbene anche in Halas vi 
siano volti costruiti di elementi tombali, come quello la cui bocca 
哎n obitorio di voci strozzate(4)
Con un diretto rimando alle immagini dell'Arcimboldo, Nezval 
insiste sulle madornali dimensioni del naso: 哀imile ad una pinna di 
cicloni oceanici 剃operto di urtiche e di isolette caseiformi 
grandi come semolino 哉entilatore protetto da narici Secession 
剃hiocciola dello sfacelo sotto cui intesse il nido una rondine. 
Questo 匍etafisico rimestatore delle crusche di una fogna assoluta 
questo golem imbastito con rappezzi funebri a meraviglia si addice 
alla sostanza di una cittche trae gran parte della sua stregheria 
da un cimitero inquietante: il cimitero ebraico.
Gli espedienti dell'Arcimboldo riappaiono in alcune 厚odoby
(visages), le caricature di Adolf Hoffmeister. Ogni 厚odoba
racchiude una sintesi del mondo del personaggio raffigurato, della 
sua vocazione, dei simboli di cui si circonda. cos
Chesterton-pallone, con un'antenna di croce sul naso, si libra come 
una mongolfiera. Max Ernst, dal corpo di decrepita villa britannica, 
si aggira fra le colonne e i fantasmi e le piante dei suoi collages. 
Teige si fa parte integrante delle sue geometrie tipografiche. Sergej 
Tret槍akov un lungo rettangolo dalle scritte cinesi, e Shaw un 
affilato cactus in un vaso. In questi ritratti burleschi, come nelle 
fantasiose vignette di libri (il Fix di Verne ha occhiali composti di 
due orologi, la Regina Gatta di Carroll ha sul cappello e sui seni e 
sul grembo grifi di gattonacci che sembrano teste d'allocco) e nelle 
剃artes drolatiquesdell'Europa per il Teatro Liberato, Hoffmeister 
traspone lo scurrile arcimboldesco in un'allegra spensieratezza, in 
una clownerie, proprie della stagione poetistica (5)
NOTE:
(1) Vit瞛slav Nezval, Wet瞛 褾瘰t Praha 1936, pp' 35 e 42.
(2) Vit瞛slav Nezval, Absolutnhrobaw, Praha 1937, pp' 9-20. Cfr' 
Jan Mukawovsk Semantickrozbor b滻nick逸o dila: Nezval驠 
隹bsolutnhrobaw(1938), in Kapitoly z 蟌skpoetiky, II, Praha 
1948, pp' 269-89.
(3) El Lissitzky, Sieg er die Sonne (1923), K闤n 1958.
(4) Franti蟌k Halas, U hrobu (Presso una tomba) e Ticho (Il 
silenzio), in Sepie (1927) Cfr' Imagena, a cura di A'M' Ripellino, 
Torino 1971, pp' 50-51 e 58-59.
(5) Cfr' Kresl魾 Adolf Hoffmeister, PRaha 1948; Miroslav Lama 
V蓨varndilo Adolfa Hoffmeistera, Praha 1966.
42
e nella calma delle rosee sere@ tintinna il fogliame di vetro,@ 
che le dita degli alchimisti sfiorano@ come il vento.@ 
Jaroslav Seifert, Praha (1)
Quando Rodolfo II trasfera Praga la sede imperiale (1583), - la 
cittvitavina divenne teatro e liceo di arte ermetica. Come moscini 
al vin dolce, vi accorsero alchimisti da ogni parte d'Europa. Nella 
speranza di poter rinsanguare con l'oro alchimico le finanze stremate 
dagli acquisti di rarite di ottenere un elettuario che gli 
allungasse la vita, Rodolfo amcircondarsi di uno stuolo di 
stravaganti distillatori, che magnificava e colmava di doni, per poi 
ripudiarli e rinchiuderli in un arto carcere, se lo deludevano (2)
I vasi lutati, i matracci, gli androgini, le perturbazioni, gli 
sposalizi, le copule degli elementi, la catabasi nelle contrade 
infernali, il coito del re solforoso e della regina mercuriale, che 
genera l'oro filosofico, l'identitfra la tortura dei metalli negli 
alambicchi e la passione di Nostro Signore, l'uovo, le sfere di 
vetro, gli alberi cavi, simbolo dell'athanor: tutto il meraviglioso 
dell'alchimia infervorava sino al delirio la sua fantasia, 
distogliendolo dalle cure di stato.
Si tramanda che fosse lui stesso un adepto della doctrina di Ermete 
e che portasse sempre, appeso al collo in uno scrignetto d'argento 
avvolto nel velluto nero, un inutile elisirvite. Quando egli si 
spense, il ciambellano Ka螲ar Zruckz Rudz rubquello scrigno, 
assieme a tesori e tinture, ma finin prigione, si impiccad un 
cordino di seta, venne squartato, perchsi aggirava come fantasma, 
le sue ceneri furono sparse nella vitava (3)
L'alchimia si innesta mirabilmente nel mondo rodolfino, che 
predilesse i capricci del manierismo, gli ibridi, le bizzarrie, le 
esperienze sinistre, il composito, gli androidi d'argilla. Del resto 
la stessa malinconia saturnina di Rodolfo II, quella sua morbosa 
mestizia, in cui sembra di cogliere gile premesse della lugubrit
del Barocco e di M歊ha, corrisponde al nero della putrefazione, alla 
nigredine, durante la quale la materia della Grande Opera assume un 
colore di morte, - la malinconia dell'adepto che attende 
infinitamente l'esito delle sue mistioni e cozioni (4)
Gli agenti sguinzagliati da Rodolfo nei paesi stranieri in cerca di 
oggetti d'arte avevano anche il mandato di scovare alchimisti e con 
regali e promesse attirarli a corte (5) Per i ciarlatani, che 
percorrevano allora in lungo e in largo l'Europa come gli Englische 
Kom鐰ianten e pitardi i guitti della commedia improvvisa, la Boemia 
fu una sorta di California della scienza spargirica. Un'incisione 
emblematica avrebbe potuto raffigurare cosla cittvitavina in 
quegli anni: nell'aria viziata da vapori di zolfo, sotto un torbido 
sole androcefalo, che ha l'effigie di Rodolfo, Trismegisto Secondo, 
nei giardini imperiali fioriscono alberi di metallo con neri corvi 
sui rami e, spaventando gabbiani e anatroccoli, una flottiglia di 
strampalati vascelli-athanor naviga per la vitava, mentre, bardata di 
ferro, la stomacosa megera di Bruegel corre gidal Castello verso 
l'inferno.
Alla prova si conoscono i meloni, e perciRodolfo, prima di 
assumere un alchimista al suo servizio, lo faceva esaminare dal 
protomedico Taddeo Hagecio (Tade碭 H毄ek z H毄ku) (6) Ma molti 
arcadori riuscivan lo stesso con gherminelle a uccellare come 
pippioni lui e il protomedico. Usavan crogiuoli con falsi fondi 
d'argilla o di cera, sotto cui era nascosta polvere d'oro. O 
rimescolavano il contenuto del caldo crogiuolo con una bacchetta cava 
che racchiudeva qualche oncia d'oro sotto uno strato di cera. O nel 
crogiuolo mettevano carboncini con dentro limatura del superbo 
metallo occultata da cera nera, che al fuoco si sarebbe dissolta (7)
Rodolfo si inebrispesso di imbroglioni, che menavano il can per 
l'aia, senza che mai nel Castello dalla continuata coniunctio di 
zolfo e mercurio, di fissi e volatili, nascesse l'oro. Ma ugual cosa 
accadeva ai patrizi e ai ricchi borghesi di Boemia, che andavano in 
cimbalis per i coagoli e le sublimazioni e, divorati dalla passione 
di 咨ingerecome il sovrano, depauperando le proprie sostanze, 
tenevano fornaci alchimiche nei loro palazzi e manieri. Abbindolati 
dalle inintelligibili algarabie e dai prestigi di falsi distillatori, 
che li rendevano vedovi delle loro borse, speravano di fabbricare il 
giallo metallo e di raggiungere una giovinezza perenne, come i grulli 
delle fiabe aspettano le cacarelle d'oro e le dissenterie di rubini 
degli asini degli orchi. Come un feticcio malefico li attraeva il 
Lapis philosophorum.
Frotte di truffatori e frapponi disutili e barri, di dulcamara e 
unguentari invasero Praga, abbagliando col loro parlare catacumbaro, 
coi loro balsami e magici specchi la gente. Vantando maestria nel far 
volare il mercurio e lampeggiare lo zolfo, parecchi avventurieri si 
empirono il sacco nella cittrodolfina, per poi dileguarsi come il 
corvo dell'arca, se la mala sorte non li scaglinel 厚rofondo 
Caucasodella Torre Bianca o non li appese a una forca dorata, 
vestiti di pagliuzze d'oro, a dondolare nel vento. Del resto, se 
nella parvenza del clown il ghigno burlesco trapassa sovente nella 
smorfia di sofferenza di un reietto esposto al ludibrio, nella 
maschera dell'alchimista la sicumera sguaiata da cerretano-pagliaccio 
ha un risvolto di acerba tristezza e di lutto.
NOTE:
(1) In Po褾ovnholub (Il piccione viaggiatore, 1929)
(2) Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in 
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', II, p' 43; Karel Pejml, 
Alchymie v 蟌ch槆l pwed Bilou Horou, in Co daly na蟌 zemEvropa 
lidstvu, a cura di Vil鄉 Mathesius, PRaha 1940, pp' 149-53; V'H' 
Matula, Alchymie v 蟌sk蓫l zemich, in Hled滱kamene mudrc Praha 
1948, pp' 69-97; Alois M骿a, Alchymista 螮rlat滱i v Rudolfinsk
Praze, in Kniha o Praze, a cura di Josef Jan碭ek, Praha 1965, pp' 
282-96.
(3) Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in 
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', p' 59; Karel Pejml, D疀iny 
蟌skalchymie cit', pp' 44 e 50.
(4) Cfr' J' van Lennep, Art et Alchimie, Bruxelles 1966, pp' 201-2.
(5) Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in 
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 60-61; Karel Pejml, 
D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 65.
(6) Cfr' Karel Pejml, D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 43.
(7) Cfr' Zden瘯 Kobza, Alchymie, Praha 1916, p' 28; Karel Pejml, 
D疀iny 蟌skalchymie cit', pp' 19 e 43.
43
La tradizione vuole che, al tempo di Rodolfo II, gli alchimisti 
abitassero nelle minuscole casette della Viuzza d'Oro (ZlatUli螶a, 
Alchimisteng魠chen, Goldmacherg魠chen), una lillipuziana stradina 
onirica alla periferia del sontuoso Castello. Meyrink che, a detta di 
Max Brod, cercava anche lui la Pietra Filosofale (1), cosla 
descrive: 俗na stretta, tortuosa viuzza con balestriere, una traccia 
di lumaca, di una larghezza appena bastevole a lasciar passare le 
spalle - ed ecco mi ritrovai dinanzi a una fila di casette, nessuna 
delle quali pialta di me. Stendendo il braccio, potevo toccarne i 
tetti. Ero capitato nella Via degli Alchimisti, dove nel Medioevo gli 
adepti avevano arroventato la Pietra Filosofale e avvelenato i raggi 
lunari(2) E Oskar Wiener: 亟' una strada davvero molto allegra e 
come costruita coi pezzi di una scatola di giocattoli. Le variopinte 
casette di bambola, di cui la pigrande misura appena quattro passi 
al quadrato, sono appiccate al muro di cinta del Fossato dei Cervi. 
Nel meraviglioso vicolo cieco abita ancora povera gente, ma le 
minuscole stanzette, ognuna delle quali costituisce tutta una casa, 
sono tenute scrupolosamente pulite, e alle finestre, mai pidi due, 
fioriscono pelargoni e garofani(3)
La leggenda racconta che il sospettoso Rodolfo custodiva con aspra 
sorveglianza i suoi capelluti alchimisti nella Viuzza d'Oro. Ciascuno 
aveva per dimora e per laboratorio un Puppenhaus e, chiuso ldentro, 
doveva senza concedersi tregua attendere alle trasmutazioni. Un 
lanzichenecco con alabarda andava su e gi giorno e notte, per la 
stradina. Una volta, inebriandosi del sole d'oro che splendeva nel 
cielo e del canto dei primi uccelli di primavera che intrecciavano 
nidi nelle mura, alcuni di questi ciarlatani chiesero a gran voce di 
uscire a passeggio nel Fossato dei Cervi. Ma nel Fossato cacciavano i 
nobili amici dell'imperatore e non si poteva permettere che i rozzi 
alchimisti si frammischiassero a coseletta brigata. Per protesta 
contro il rifiuto, i Wunderm鄚ner si strapparono le barbe assire, 
fracassarono storte e matracci e soffietti, buttando tutto ginel 
Fossato sui cacciatori, e si misero in sciopero: non piun chicco 
d'oro alla corte. E allora Rodolfo decise di accontentarli a suo 
modo: li fece condurre nel Fossato e comanddi schiaffarli dentro 
gabbie di ferro appese agli abeti, dove essi morirono miseramente di 
fame. E questo perchun alchimista non deve lasciare la sua fumicosa 
cucina, per uscir spensierato sotto lo sferico manto, a godersi 
l'azzurro della primavera (4) Il supercilioso Rodolfo maltratta 
dunque e sopprime gli alchimisti del suo 哀erraglio coscome 
Saturno divora la propria prole e l'antimonio, lupus metallorum, 
corrode i metalli (5) Meyrink afferma addirittura che nel Fossato 
dei Cervi gli orsi di Rodolfo 哉ivono di carne di adepti(6)
La leggenda secondo cui gli alchimisti risiedevano nella Viuzza 
d'Oro risale, come quella golemica, al periodo del tardo 
romanticismo. Il Castello, cittnella citt non era soggetto alle 
leggi vigenti nel resto di Praga: e per questo nel XVI secolo una 
ciurma di bottegai, di artigiani non registrati, di rivenduglioli, di 
gente fregiata di mal nome piglialloggio nella cornice delle sue 
mura. Col muto consenso delle autoritnacque sopra il Fossato dei 
Cervi una spalliera di case-giocattolo aggrappate come un'aggiunta 
parassitica al complesso organismo del Castello. In quelle casette 
abitarono anche battilori, da cui la Viuzza derivl'iniziale 
appellativo di Zlatnick(degli orafi), e arcieri, che facevan le 
guardie al Castello e i custodi delle sue prigioni. Gli artigiani, i 
mercanti e persino gli arcieri traevano sostanziale guadagno dalla 
vendita di vettovaglie, bevande, oggetti utili ai prigionieri delle 
due torri che delimitano la Viuzza: la Torre Bianca, dove erano 
spesso gettati anche gli alchimisti, e la Daliborka (7)
Quest'ultima prese nome dal cavaliere Dalibor z Kozojed, che vi fu 
rinchiuso alla fine del XV secolo, per aver appoggiato i contadini 
della regione di Litom瞝ice nella rivolta contro un possidente 
crudele. Temendo di impazzire nella buia segreta per la solitudine e 
l'eterno silenzio, senza mai scorgere uno straccio di cielo, Dalibor 
si fece comprare un violino, e con assiduo esercizio raggiunse una 
tale maestria, che da tutta Praga i curiosi venivano ad ascoltare 
sotto la torre le sue sonate. A primavera i mesti gorgheggi dello 
strumento del prigioniero gareggiavano col cinguettio degli uccelli 
nel Fossato dei Cervi. Il violinesco singhiozzo cesssolo quando 
Dalibor cadde (1498) sotto la scure del manigoldo. Ma ogni favola 
esige una ragione: e dunque la lamentevole musica altro non era che 
l'urlo straziante di Dalibor torturato sul cavalletto, che in gergo 
boiesco si addimanda 哉iolinoCinon toglie perche nelle notti 
lunari egli suoni ancora dentro la torre stregata (8)
La convinzione che nella Viuzza d'Oro avessero dimora gli 
alchimisti scaturforse dal fatto che v'erano anche orafi tra gli 
inquilini delle sue casette. La spiegazione storica non tuttavia 
meno avvincente della leggenda, perchci offre l'immagine kafkiana 
di un mondo parassitico ai margini di un misterioso Castello. Non a 
caso Kafka abitper qualche tempo (1916) al n' 22 di quella stradina 
(9) E non a caso, piche un castello, il Castello nel suo romanzo 
(1922) un'冠ccozzaglia di casupolefatiscenti, serrate l'una 
sull'altra (10) Ma chiaro, nessuno potrcancellare il favoloso 
legame tra gli alchimisti e la stretta stradina. Con Nezval diremo:
Nella viuzza d'Oro a Hrad螮ny@ sembra quasi che il tempo non passi@ 
Se vuoi vivere cinquecento anni@ lascia tutto e consacrati 
all'alchimia@@ Quando avverrquel semplice miracolo@ i nostri fiumi 
non avranno pioro@ Addio addio ciarlatano saluta@ da parte nostra 
il secolo futuro@ (11)
Nelle pittoresche casette di bambola, nelle anguste cucine, dietro 
le finestrine minuscole la fantasia scorge ancora adepti e famuli 
ansiosi di ritrovare, come afferma Cencio nel Candelaio, 勁'oro 
purissimo e probatissimo al fondo della vitrea cucurbita, risaldata 
luto sapientiae(atto I, scena XI) Li immaginiamo tappati in quelle 
casucce, come in vasi lutati, intenti a eseguire innumere 
distillazioni, a ripetere per settimane e per mesi, cotti dal fumo, 
arsi dal fuoco, tinti di pece, cascanti dal sonno, lo stesso processo 
con una pazienza che ben si accorda con l'infinita, proterva pazienza 
di Praga. Ci sembra di sentirli brontolare, come nel Labirinto 
comenico (12), chi per il disfavore degli astri, chi per l'intrusione 
di terra fangosa nel mercurio, chi per lo scoppio delle cucurbite a 
causa del fuoco irruente, chi invece per la cattiva cozione a causa 
del fuoco lento e morticcio, chi per il fumo che gli impedisce di 
seguire la calcinazione, chi per lo svaporar dell'azoto. Con Seifert 
diremo:
Alchimisti, bollite i vostri veleni,@ borbottate una formula 
oscura,@ scrivete i segni di un occulto alfabeto,@ e vi obbediscano i 
diavoli@ (13)
Nella Viuzza d'Oro una sceneria da fiera e da cantambanchi, 
un'esiguitarchitettonica, che par provocata dalla bacchetta di un 
mago, fa dunque da sfondo al prodigio drammatico della trasmutazione. 
Gran parte della demonia della cittvitavina emana appunto da quelle 
casette. Nel dramma di Kar滻ek Kr滎 Rudolf Arthur Dee confessa a 
Rumpf: amo questa meravigliosa Praga, che singolare e 
incantevole come il suo malinconico re. Questa tetra citt credimi, 
infonde una vampata di follia nel cervello di quelli che la fanno 
propria. Nella Viuzza d'Oro, dove Rodolfo ha collocato le fucine dei 
suoi alchimisti, tutta l'anima della citt Tanto vigore, tanto 
magnetismo di forze occulte sono in essa addensati, che vi riescono 
tentativi che fallirebbero altrove(14)
Ma il quadro non sarebbe completo, se non ricordassimo che lo 
scrittore polacco Stanis獪w Przybyszewski, idolo dei decadenti boemi, 
vagheggiinvano di stabilirsi nella Viuzza d'Oro (15), e che in una 
di quelle casette, al n' 4, prima della seconda guerra mondiale, 
albergava una celebre chiromante praghese, madame de Thebes (16) Tre 
carte consunte, tre carte sulla spessa coperta del tavolo, e molte 
foto ingiallite sulle pareti, e una magnifica vista sul Fossato dei 
Cervi. Come nelle spelonche delle indovine di Josefov, un gattonaccio 
rotondo dal ventre a tamburo, un grosso miagolatore, passeggiava per 
la piccola stanza, quando non se ne stava accucciato, come il black 
cat di Beardsley, sulla chioma-canestro della chiromante.
NOTE:
(1) Max Brod, Vita battagliera cit', p' 229.
(2) Gustav Meyrink, Der Golem, Mchen 1955, cap' Weib. Cfr' anche 
Johannes Urzidil, Prager Triptychon, Mchen 1963: in italiano 
Trittico di Praga, Milano 1967, p' 18.
(3) Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten cit', p' 67.
(4) Cfr' Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten cit', pp' 67-68.
(5) Cfr' J' van Lennep, Art et Alchimie cit', pp' 86-87.
(6) Gustav Meyrink, Der Engel vom Westlichen Fenster, Bremen 1927, 
p' 249.
(7) Cfr' Emanuel Poche, Zlatuli螶a na Praesk鄉 hrad Praha 1969.
(8) Cfr' Josef Sv漮ek, K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in Obrazy 
z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', II, p' 160; Alois Jir滻ek, Star
pov瘰ti 蟌sk(1894), Praha 1949, pp' 190-96; Jan Dolensk Praha ve 
svsl潎i utrpencit', p' 100; Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten 
cit', p' 66; Adolf Wenig, Starpov瘰ti praesk Praha 1931, pp' 
289-91.
(9) Cfr' Max Brod, Franz Kafka cit', pp' 176-77; Emanuel Frynta - 
Jan Lukas, Franz Kafka lebte in Prag cit', p' 108; Klaus Wagenbach, 
Kafka cit', p' 111; Emanuel Poche, Zlatuli螶a na Praesk鄉 hrad
cit', p' 40.
(10) Franz Kafka, Il Castello cit', pp' 39-40.
(11) Vit瞛slav Nezval, U alchymist in Zp漮e螽listek cit', p' 
25.
(12) Jan Amos Komensk Labyrint sv皻a a r毄 srdce cit', cap' XII, 
p' 54.
(13) Jaroslav Seifert, Sv皻lem od瘽cit', p' 22.
(14) JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf cit', atto I, p' 11.
(15) Cfr' Stanis獪w Helszty盭ki, Przybyszewski, Krak闚 1958, pp' 
167-76 e 449; Otakar 褾orch-Marien, Sladko je 鋱t, Praha 1966, pp' 
178-82; Emanuel Poche, Zlatuli螶a na Praesk鄉 hradcit', p' 40.
(16) Cfr' Otakar 褾orch-Marien, Sladko je 鋱t cit', pp' 130-31; 
Emanuel Poche, Zlatuli螶a na Praesk鄉 hradcit', pp' 48-49.
44
Nell'agosto 1584 due maghi inglesi giunsero al Castello: John Dee 
ed Eduard Kelley. Venivano dalla Polonia.
John Dee soleva conversare con gli spiriti, evocandoli in un magic 
mirror, un globo di quarzo affumicato, dono dell'angelo Uriel (1) 
Negli incontri coi messaggeri celesti assisteva John Dee il 
negromante Eduard Kelley. Piene di enigmi, di misteriose 
interferenze, di oscurit di miracoli sono le biografie degli 
alchimisti. Ma se di John Dee (Jan Devus), astrologo nato a Londra 
nel 1527 e caro alla regina Elisabetta, alcune cronache parlano come 
di un arcisapiente, - di Kelley le fonti tutte asseriscono 
unanimemente che egli era un Jahrmarktsdoktor, un cerretano avido di 
guadagni, con l'animo vuoto del prezioso balsamo dell'onest un 
avventuriere parabolano, al quale, secondo Sv漮ek, "appartiene un 
posto nel Pitaval boemo e non in un Panteon dei dotti dell'et
rodolfina(2)
Il fatto poi che egli avesse il naso beccuto, gli occhi topeschi e 
le orecchie mozze (gliele aveva mozzate nel 1580 il boia di Lancaster 
per falsificazione di documenti notarili) (3) accresceva la sua 
ambiguit il suo alone di diavolo. Meyrink lo definisce: 勇l 
ciarlatano dalle orecchie recise, l'istigatore, il medium(4) In 
realtsi chiamava Talbot ed era nato nel 1555 a Worcester. Storpiato 
dal manigoldo, si fece crescere lunghi capelli, per dissimulare la 
mancanza di orecchie, mutil nome in Kelley e fuggda Lancaster, 
vagando per l'Inghilterra. Durante questi vagabondaggi, in una 
locanda del Galles mise le mani su un arcano manoscritto, trovato 
nella tomba di un monaco-stregone assieme a due ampolle d'avorio, una 
con polvere rossa, una con polvere bianca. Il vecchio scartabello era 
scritto in un linguaggio impenetrabile. Convinto che contenesse la 
formula per ottenere la Pietra Filosofale, Kelley corse (22 novembre 
1582) a Mortlake, dove il dottor Dee risiedeva, sperando che, 
scongiurati dal magico specchio, gli spiriti fornissero la chiave per 
decifrarla (5)
Sebbene sbornione e lestofante, Kelley ispirgrande fiducia 
all'astrologo della regina e divenne suo aiuto nei colloqui con gli 
angeli e nelle trasmutazioni. I loro esorcismi, la loro angelogia, i 
loro prestigi attirarono molti curiosi e, sembra, la stessa 
Elisabetta nella 剃appelladi Mortlake. Quando, nel giugno 1583, il 
palatino di Sieradz, Olbracht 獪ski, il 厚rencipe Alasco polacco
(6), fu in Inghilterra, non mancdi far visita al laboratorio di 
Dee. Il 26 giugno uno spirito, interpellato mediante lo specchio, gli 
precantche, alla morte del re Stefan Batory, egli sarebbe asceso al 
trono degli Jagielloni (7) 獪ski, che ambiva a quel posto, tutto in 
solluchero, inviti due stregoni in Polonia. Dopo un fortunoso 
viaggio John Dee, assieme alla moglie Fromonda, al figlio Arthur ed 
al vendifrottole Kelley, giunse a Cracovia: e anche qui continuarono 
le apparizioni chagalliane, le antiveggenze che inebriavano 獪ski 
(8) Stefan Batory, che era molto intendente di oroscopi e di 
astrologia, non volle esser da meno, e i messi celesti comparvero 
anche per lui, nella sua residenza (9)
Nell'agosto 1584 due maghi inglesi giunsero al Castello: John Dee 
ed Eduard Kelley. Venivano dalla Polonia. John Dee, che capiva il 
linguaggio degli uccelli e sapeva parlare l'idioma del protoplasto 
Adamo, si ingrazil'ipocondriaco sovrano, trasmutando mercurio in 
oro e animando tutto un teatrino di spiriti nel suo cristallo (10) 
Del resto quale attrezzo poteva essere piadatto di uno specchio 
incantato ai ghiribizzi di Rodolfo e a quella boutique merveilles 
che la cittvitavina? Uno specchio parlante, una voragine di 
angeli, un oggetto folle, da porre, nell'arsenale dell'illusionismo 
praghese, accanto ai cilindri dei giocolieri di Tich al triangolo 
che conduce indietro nel tempo a velocitdi baleno nel 咬omaneto
Nevvton驠 mozek (Il cervello di Newton) di Jakub Arbes.
Benchaccolti alla corte con tutti gli onori, i due maghi tenevano 
il piede in due staffe. Promettendo anche a lui, con l'ausilio della 
provvida sfera, il trono polacco, si abusarono del favore di un altro 
fanatico dell'alchimia e gran credulone, Vil鄉 z Roemberka, signore 
di Krumlov e margravio del regno boemo. Nei laboratori di Roemberk a 
Krumlov e a Tweboconvenivano in frotta taumaturghi, indovini, 
distillatori, masnade di amputatori di borse e imbroglioni, che 
impoverirono con mille aggiramenti e malizie il casato della Rosa 
Pentifoglia. Un adepto di Meissen si fece dare da lui ottanta fiorini 
e li seminnel giardino del castello di Krumlov, innaffiandoli poi 
con tintura alchimica. E mentre Roemberk aspettava che germogliassero 
oro, il truffatore, una notte, li disseppell dileguando col 
gruzzolo (11) Questo aneddoto adombra a mo di parabola la tendenza 
spargirica a considerare i metalli organismi che possono crescere, 
maturare, moltiplicarsi come il frumento, se seminati nella buona 
terra (12), ed insieme la furfanteria dell'alchimista-seminatore che 
beffa il suo mecenate (perchil beneficio semenza di 
ingratitudine)
Come 獪ski, anche Roemberk partecipava alacremente alle sedute con 
gli spiriti. Mise a disposizione di Dee la fucina di Krumlov, perch
ricercasse soltanto per lui la Pietra Filosofale, e lo nascose nel 
castello di Twebo quando Rodolfo II, sobillato dalla parte 
cattolica e dal nunzio papale, che accusavano il mago inglese di 
negromanzia e di commercio con Satana, lo sbanddalle terre boeme 
(13) Quando poi, spentosi Batory (1586), al trono polacco salil 
principe svedese Zygmunt III Waza, nipote dell'ultimo degli 
Jagielloni, e Roemberk e 獪ski rimasero con un palmo di naso, Dee 
preferritornarsene in Inghilterra, sebbene la plebe di Mortlake gli 
avesse bruciato la casa e la biblioteca ricchissima. Continuava 
frattanto, anche se ormai senza Kelley, a tener protocolli dei suoi 
appuntamenti con gli angeli. Scomparsa perElisabetta (1603), il 
successore, re Giacomo I, non gli fu favorevole. Ed egli, consigliato 
dai serafini, si accinse a ripartire, ma ammalpoco prima di 
prendere imbarco, e la morte lo colse a Mortlake nel settembre 1607.
Nella letteratura praghese John Dee appare spesso come uno 
scroccone e raggiratore anche lui, sebbene non grossolano, non 
improntaccio come Kelley. Nel dramma Kr滎 Rudolf di JiwKar滻ek il 
gabbamondo John Dee e suo figlio Arthur, fingendo di lambiccare 
l'aurum potabile, approntano una micidiale miscela per avvelenare 
Rodolfo, ma, scoperti, finiscono nella Torre Bianca, sepoltura di 
vivi. Ed la figlia dell'alchimista Gelchossa a denunziare il padre 
e il fratello al sovrano, che si invaghito di lei: Gelchossa, che 
vuole scacciare la malinconia, sedia di spiriti maligni, dall'anima 
di Rodolfo e sostituire col proprio affetto i libri ventosi, gli 
inganni della turlupinesca magia siderale e spargirica, consolandolo 
nella sua inerme solitudine.
Nel romanzo di Meyrink Der Engel vom westlichen Fenster John Dee si 
rincarna ai giorni nostri nel protagonista, il quale rivive il 
viaggio del mago inglese nella cittvitavina, la sua visita al tetro 
Rodolfo II, ed inoltre si incontra col raggrinzito e quasi mummia 
Rabbi L饖, per disputare con lui sull'alchimia e sugli angeli. Vi 
sono dei nessi tra il dottor Dee e il Maharal della leggenda? Adamo 
veniva chiamato il magistero degli alchimisti, perchla materia 
delle trasmutazioni era la quintessenza dell'universo, - e il Golem 
copia di Adamo, perchconglobato di argilla (14) La creazione 
golemica e la ricerca della Pietra Filosofale convergono. Lo specchio 
di Dee antivede il futuro, come gli alcioni le tempeste, il cinema 
del Maharal risuscita le ombre dell'antico passato, i patriarchi.
Ma possibile che tutto lo spiritismo di John Dee fosse soltanto 
ciarlataneria, escamotage, Gaukelei da mercato? Se vi erano inganni 
nelle sue evocazioni degli esseri sovratterreni, nessuno si accorse 
mai che, col suo compare, egli ciaramellava gli ingenui? E' possibile 
che tante esaltate fantasie si lasciassero cosfacilmente trappolare 
dalle gherminelle della kryszta瘳wa tarcza ovvero magickzrcadlo? Ed 
Elisabetta, che lo teneva in gran pregio, non ebbe mai alcun sentore 
dei suoi tours d'adresse, delle sue frodi? D'altronde, se egli era 
davvero un pronosticante e un veggente e un esperto alchimista, 
perchmai consentiva, Elisabetta, che un simil uomo di vaglia, 
anzichstare alla sua corte, cercasse fortuna presso sovrani e 
magnati stranieri?
Qualcuno insinua, e il sospetto non da scartare, che Dee e Kelley 
fossero agenti segreti della regina di Albione, la quale voleva col 
loro aiuto impedire che gli Absburgo si impadronissero della corona 
polacca oppure ottenere appoggi contro Filippo II di Spagna. Questa 
tesi verrebbe suffragata da una certa freddezza di Rodolfo verso John 
Dee e dalla continua spola dei due stregoni tra Boemia e Polonia. In 
tal caso il ciarlatanismo, con tutto il suo inventario di specchi, di 
presagi, di arcangeli, sarebbe servito soltanto di copertura ai 
maneggi politici, e il diario in cui Dee registri suoi colloqui coi 
messi celesti sarebbe finzione, o crittografia.
NOTE:
(1) Cfr' Alexandr Kraushar, Czary na dworze Batorego (Karta z 
dziej甖 mistycyzmu w XVI wieku, jako przyczynek do charakterystyki 
krola Stefana), Krak闚 1888, pp' 129-30. La mia immagine di John Dee 
leggendaria e tracciata da un'angolazione boema. Una raffigurazione 
veridica di questo alchimista-Prospero si trova nel bellissimo saggio 
di Furio Jesi, John Dee e il suo sapere, in 青omunit鉬, 1972, 166, 
pp' 272-303.
(2) Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in Obrazy z 
kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', I, p' 136. Cfr' anche C'A' Burland, 
The Arts of the Alchemists, London 1967, pp' 91-93.
(3) Cfr' Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in 
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 136-37; Karel Pejml, 
D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 54.
(4) Gustav Meyrink, Der Engel vom Westlichen Fenster cit', p' 206.
(5) Cfr' Alexandr Kraushar, Czary na dworze Batorego cit', pp' 
132-33; Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in Obrazy 
z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 137-38.
(6) Giordano Bruno, La Cena delle Ceneri, Dialogo Quarto.
(7) Cfr' Alexandr Kraushar, Czary na dworze Batorego cit', p' 136; 
Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in Obrazy z 
kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 138-39.
(8) Cfr' Alexandr Kraushar, Czary na dworze Batorego cit', p' 159.
(9) Cfr' ibid', pp' 182-83 e 200.
(10) Cfr' ibid', pp' 165-66 e 167-68; Karel Pejml, D疀iny 蟌sk
alchymie cit', p' 52.
(11) Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in 
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', II, pp' 64-65; Karel Pejml, 
D疀iny 蟌skalchymie cit', pp' 38-40.
(12) Cfr' J' van Lennep, Art et Alchimie cit', pp' 236-41.
(13) Cfr' Alexandr Kraushar, Czary na dworze Batorego cit', pp' 
215, 217; Karel Pejml, D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 53.
(14) Cfr' J' van Lennep, Art et Alchimie cit', p' 69.
45
Una simile ipotesi percontrariata dal successivo destino di 
Kelley, detto Engelender. Anche lui godette la stima di Vil鄉 z 
Roemberka e distillnei laboratori di Krumlov e di Twebo 
contribuendo ad assottigliare le sostanze di quel margravio invasato 
dalla passione spargirica. Quando nel 1586 Dee fu sbandito da Praga, 
Rodolfo II chiamal Castello il dulcamara dai lunghi capelli, 
sebbene Vil鄉 non volesse mollarlo.
Kelley diede al sovrano un reubarbaro contro l'ipocondria e con una 
goccia di rossa tintura mutin sua presenza il mercurio in oro. 
Rodolfo, persuaso di aver trovato una perla di adepto, un lume di 
sole tra fiaccole, lo rimeritcon regali ed onori, lo nomin
consigliere imperiale e, poichKelley asscriva di derivare da un 
gentilizio lignaggio di Irlanda, lo elevnel 1588 a cavaliere boemo 
(ryt魾 z Imany) (1) Kelley divenne tronfio di vento, si affibbila 
giornea, si diede a principeggiare come un barbassoro che avesse 
smidollato l'essenza dell'universo.
Ogni tanto faceva una gita a Twebo dove, protetto dal Roemberk, 
era nascosto John Dee. Col suo vecchio socio girava i dintorni, 
andava a caccia nelle foreste e a pesca negli stagni, in quella 
regione cosnumerosi. Un autunno, per colpa di un cocchiere ubriaco, 
precipitarono con la carrozza in un botro, e a fatica i pescatori li 
trassero in salvo (2) Frattanto sia l'imperatore che il Roemberk 
aspettavano invano da Kelley la Pietra Filosofale. Se Rodolfo lo 
aveva promosso al grado di cavaliere, il Roemberk gli donnel 1590 
due feudi nei pressi di Jilov Libewice e NovLibe ciascuno coi 
villaggi contigui (3)
Coi propri guadagni e con la dote della moglie Johanna, una 
facoltosa boema, Kelley compra Jilovun birrificio, un mulino, 
alcune case, e pian piano si arrogil monopolio dei viveri in quel 
circondario, rincarando i prezzi a capriccio, e non valsero a nulla 
le proteste dei cittadini, perchl'alchimista era ormai tra i pi
alti maggiorenti del regno. Il fratello minore giunse anche lui nella 
terra promessa: spacciandosi per cavaliere irlandese, prese in moglie 
una ricca nobile, e con la dote acquistdue poderi dal 
Senza-orecchie (4)
A Praga, dove passava il suo tempo in crapule e dissolutezze, 
Engelender comprdue case nella CittNuova: in una di esse, a 
Dobyt鍎 trh (Mercato del bestiame), prima di Kelley, secondo la 
tradizione romantica, aveva abitato il dottor Johann Faust (5) Tra i 
cerretani della cittrodolfina Faust non poteva mancare: nei 
Faustbher, il piantico dei quali del 1587, l'incantatore, 
girando l'Europa in groppa a Mephostophiles, mutato in un cavallo che 
ha le ali 剃ome un dromedario sorvola anche Praga (6) E la casa di 
Faust (Faust驠 d籯) non poteva trovarsi in un luogo pistreghesco e 
spettrale di quel Dobyt鍎 trh, del quale diremo in seguito, - un 
luogo, nel cui sottosuolo la fantasia popolare collocprigioni, 
supplizi, congiure, sepolti vivi, - un ambiente ideale, con le sue 
forche e mandragore, per i negromanti (7)
Secondo una leggenda, che faceva gonfiare d'orgoglio i romantici, 
Faust era un ceco, esperto nelle arti negre, ossia nella negromanzia 
e nella stampa. Si chiamava 褾'astn ossia Felice, ossia Faustus. 
Durante la rivolta husitica sarebbe emigrato in Germania, prendendo 
l'appellativo di Faust e di Kuttenberg, dal paese natio (in ceco 
KutnHora) Insomma costui non era altri che il Guttembergo, 
l'inventore della tipografia (8) Nel poema Labyrint sl潎y (Il 
labirinto della gloria, 1846) di Jan Erazim Vocel il baccelliere 
boemo Jan Kutensk dopo la sconfitta del t槆oriti di Prokop Hola 
Lipany (1434), disperato, si dedica all'arte spargirica, avendo per 
famulo il diavolo Duchamor, al quale ha venduto l'anima. Dopo che il 
sacrificio dell'innamorata Ludmila lo libera dalle grinfie sataniche, 
egli si stabilisce a Magonza, e qui inventa la stampa, ad eterna 
gloria del popolo slavo. Ma nelle commedie dei marionettisti 
folclorici, nel teatro dei 厚imprlata(9), Faust sempre quello, 
piattraente, dei Faustbher, anche se nella capitale del 
Portugalo, dove evoca a corte 隹lessandro il Grande col manto di duca 
ceco e la bella Helenoria vestita da turca si ritrova accanto al 
burlesco fantoccio boemo Ka螲漷ek, che scambia i diavoli per allocchi 
(10)
Le fortune e la celebritdi Kelley crebbero nel giro di pochi 
anni. Ma non sempre ride la moglie del ladro. L'albero di cuccagna 
porta in cima una maschera mortuaria. Nell'aprile 1591 egli uccise in 
duello il cortigiano JiwHunkler (11) Quel giorno fu gettato il 
dado della sua totale rovina. Acceso di sdegno, l'imperatore, che si 
era stancato di attendere invano la Pietra Filosofale, emise un 
mandato di cattura contro Kelley. L'alchimista cercdi raggiungere 
Twebo per trovare rifugio nell'Eldorado dei Roemberk, ma gli sbirri 
lo presero in una locanda di Sob瘰lav, mentre aspettava il cambio dei 
cavalli. Snudla spada, ma fu sopraffatto e rinchiuso nella torre 
Chuderka a Kwivokl漮 (12)
Nella prigione Kelley infuriava come una belva: gli passavano il 
cibo per un angusto forame. Poi comincia digiunare e ammaldi 
inedia. Temendo che l'alchimista morisse senza svelare la formula, 
Rodolfo speduno dei mediconi di corte a guarirlo. Ma poichil 
prigioniero non volle palesare i segreti dei suoi lambicchi a due 
consiglieri da lui inviati, l'imperatore gli rese piduro il 
carcere. Intrattabile e alpestre, rincarla dose, quando il Roemberk 
intercedette per il suo protetto. Il castellano della torre Chuderka 
ebbe l'ordine di estirpargli a ogni costo, anche con la tortura, 
l'arcana ricetta, ma Kelley: acqua in bocca (13) Frattanto la 
famiglia languiva nelle strettezze, perch nell'autunno 1591, 
Rodolfo aveva posto il sequestro sulle proprietdell'inglese, 
affidandole a due commissari imperiali, che vi fecero man bassa. La 
moglie si indebitsino al collo per alleviargli la prigionia.
Kelley rimase pidi due anni e mezzo a Kwivokl漮. Perduta ormai 
ogni speranza nella grazia o in un regolare processo, deliberdi 
fuggire e, corrotta una guardia, si caluna notte da una finestra 
della torre. Ma la corda si spezze Kelley cadde nel fosso. Lo 
trovarono privo di sensi al mattino, e con una gamba fracassata. 
Rodolfo si impietose permise che la famiglia lo portasse a Praga. 
Ma il chirurgo dovette amputargli la gamba e sostituirla con un arto 
di legno.
cosla storpia parvenza di Kelley, il Gamba-di-legno, il 
Senza-orecchie, si affianca a quella di Tycho dal naso-protesi, ai 
mostacci compositi che dipinse l'Arcimboldo, alle schiere di 
pellegrini zoppi. A corte, dove altri arcadori splendevano per il suo 
discoloramento, Kelley non venne piammesso. Le possessioni gli 
furono restituite, ma i commissari le avevano ridotte a cosmal 
partito che, per rimetterle in sesto, la moglie dovette vendere i 
gioielli (14) L'alchimia non fruttava pinulla. Vil鄉 z Roemberka 
era morto nel 1592, e il fratello Petr Vok preferiva tenere a Twebo
un harem di bellezze esotiche anzichdissipare il denaro in 
distillazioni. La vicenda di Kelley comprova la giustezza del detto 
che la borsa degli alchimisti era fatta di pelle di Camaleonte, 
perchnon d'altro si empiva che di aria e di vento. Nemmeno 
privandosi delle sue molte case e proprietdi campagna, Kelley 
riusca rabbonire la turba dei creditori, e Rodolfo, col pretesto 
dei debiti, nel novembre 1596, lo fece scaraventare nel carcere del 
castello di Most. Per stargli vicino, la moglie, ricusando di 
ritirarsi in un chiostro, si trasfercoi due figli in quella 
cittadina.
Dal carcere Kelley invia Rodolfo il proprio trattato De lapide 
philosophorum con una lettera in cui si proclamava innocente, 
affermando che sarsempre costume degli uomini affrancare i Barabba 
e crocifiggere Cristo. Per tutta risposta gli fu resa piacerba la 
detenzione. Ed ecco che un ciarlatano diventa un inerme guitto 
martoriato, assumendo sembianza di Cristo. Signori, invece dello 
sfarzoso spettacolo dei vasi lutati, degli alberi cavi, delle diafane 
sfere in cui si consuma lo sposalizio degli elementi, - vedremo ora 
il tracollo di uno spocchioso alchimista precipitato, non come un 
Icaro in un breugeliano mare dalla foschia opalescente, ma come 
l'ultimo dei ribaldi nel freddo inferno di un carcere boemo. Se lo 
spasimo del metallo torturato ripete la sofferenza di Cristo, non 
meno del metallo soffre nell'alambicco della prigione il ciarlatano 
privo di orecchie, e per di pi se nell'athanor le sostanze 
conoscono solo una morte provvisoria, perchcome Cristo 
risorgeranno, sublimate, - per il Senza-orecchie non c'gloriosa 
risurrezione, ma morte senza ritorno.
Nell'estate 1597 la moglie di Kelley chiese udienza all'imperatore, 
ma un ciambellano minaccidi arrestarla come complice e di segregare 
i suoi figli in convento. L'alchimista decise allora di ritentare la 
fuga. Il fratello, venuto da Praga, lo avrebbe aspettato con una 
carrozza sotto il castello di Most. Sorte fottuta! Anche stavolta la 
corda si spezz e Kelley cadde nel fosso, rompendosi l'altra gamba. 
Riportato in carcere, si tolse la vita, bevendo un violento veleno, 
che di soppiatto gli aveva passato la fedelissima moglie: era il 1o 
novembre 1597.
NOTE:
(1) Cfr' Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in 
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 142-43; Karel Pejml, 
D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 55.
(2) Cfr' Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in 
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', p' 144.
(3) Cfr' ibid', p' 143.
(4) Cfr' ibid', pp' 145-46; Karel Pejml, D疀iny 蟌skalchymie 
cit', pp' 55-56.
(5) Cfr' Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in 
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 146-47.
(6) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 170-72.
(7) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', p' 154.
(8) Cfr' Carl August Schimmer (1845), in M瘰to vidim velik
cit', p' 356; Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 
172-73.
(9) Plurale di 厚imprle marionetta, dal tedesco 促umpernichel
(10) Cfr' Richard Andree (1872), in M瘰to vidim velikcit', pp' 
414-15.
(11) Cfr' Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in 
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 147-48.
(12) Cfr' ibid', pp' 149-50.
(13) Cfr' Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in 
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 150-51; Karel Pejml, 
D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 57.
(14) Cfr' Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in 
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 152-53.
46
Travagliata esistenza ebbe anche un altro alchimista, il cui nome 
connesso con la stregheria della cittvitavina: il polacco Michael 
Sendivogius (1) cosdisparate vicissitudini gli occorsero, che la 
sua biografia sembra un collage di parecchie vite.
Dopo aver carrozzato per la Germania, nel 1590 fece alto a Praga, 
ma Kelley che, allora in auge, temeva la concorrenza, lo tenne 
lontano dalla corte, ospitandolo in una sua casa a Jilov(2) Non fu 
difficile per Sendivogius, che si spacciava per nobile e aveva 
spiriti signorili, trovar protettori nella capitale boema. Riuscin 
breve tempo a uccellare il medico Mikul碭 L饖 z L饖ensteinu e poi il 
dovizioso patrizio Ludv骿 Kor滎ek z T膰ina. Quest'ultimo era un 
patito dell'arte spargirica, come Cencio, il protagonista del 
Candelaio di Giordano Bruno: la consorte, bisbetica e insofferente 
delle girelle alchimistiche del marito merlotto, avrebbe potuto 
ripetere le corrucciate parole di Marta, la moglie di Cencio: 亟cco 
costui, per essergli ficcato nel cervello la speranza di far la 
pietra filosofale, dovenuto a tale, che il suo fastidio il 
mangiare, la sua inquietitudine il trovarsi a letto, la notte 
sempre gli par lunga come a putti che hanno qualche abito nuovo da 
vestirsi. Ogni cosa gli dnoia, ogni altro tempo gli amaro, e solo 
il suo paradiso la fornace(atto I, scena XIII)
Per abbagliare Kor滎ek, Sendivogius immerse in un liquido un chiodo 
e un rampino da appendervi panni e li sollevsu tizzoni roventi, 
cambiandoli in puro argento. Poi gli promise di prolungargli la vita 
sino ad anni duecento. Kor滎ek perse la testa e, bisticciando con la 
consorte, elarga Sendivogius denaro e regali. Quando costui lo 
guardall'idropisia e gli guardal vaiolo la figlia, Kor滎ek si 
infervordell'alchimista a tal punto da assegnargli una casa nella 
CittNuova e da mandargli le suppellettili, due letti con 
biancheria, un carro di carbone per gli esperimenti, un cappello con 
bianca piuma. Quando poi a Sendivogius nacque un bambino, il patrizio 
invialla puerpera lenzuola e piumini, due botti di vino, burro 
delle proprie campagne (3)
Avendo con una sua panacea risanato anche il figlio di L饖 z 
L饖ensteinu gravemente infermo, Sendivogius era ormai in concetto di 
taumaturgo (4) Eppure lui stesso non doveva credere molto nel 
proprio farmaco, se, nel 1594, scoppiata a Praga la peste, fuggin 
Sassonia e, nonostante gli appelli del suo protettore, tornsolo 
quando l'epidemia fu cessata. E subito bussa quattrini, per 
acquistare una delle case di Jilov che la moglie di Kelley nelle 
strettezze vendeva. Per soddisfarlo, Kor滎ek, la cui borsa si era 
afflosciata, contrasse un debito col ricco ebreo Maisl, irritando 
talmente la moglie, che ella scappdalla madre. Poco dopo il 
patrizio gocciolone, che univa il dado dell'alchimia al vizio del 
bere, ricadde malato, e Sendivogius non seppe stavolta, ncon grogo 
del sole ncon sale della luna ncon tintura di antimonio 
diaforetico, salvarlo. Kor滎ek mor riconciliato con la sua 
santippe, nel 1599, gridando: 信ic est ille Lapis tuus 
philosophicus!all'alchimista polacco (5)
La signora Kor滎kovaccusSendivogius di averle avvelenato il 
marito coi suoi elettuari e gli ingiunse di restituire le somme che 
la buon'anima gli aveva prestato. Gli zaffi lo arrestarono a Jilov 
ma egli potdimostrare che le emulsioni e misture somministrate a 
Kor滎ek non erano tossiche e che Kor滎ek era morto per vinolenza. 
Paguna parte del debito e fu scarcerato. Scoppiata di nuovo la 
peste, si eclissnel generale scompiglio.
E qui entra in ballo la misteriosa figura di Alexandre Seton, detto 
Cosmopolita, un alchimista girovago, che faceva prodigi con la sua 
polvere rossa. Appariva come una meteora in diversi punti d'Europa, 
per compiervi un'abbagliante trasmutazione e subito dopo 
squagliarsela. Finchnon incappnelle reti del principe elettore di 
Sassonia Cristiano II, il quale, nella vana speranza che egli 
svelasse la formula delle sue distillazioni, lo fece rinchiudere e 
torturare nella casamatta di K霵igstein. L'ombra di Seton (Setonius) 
si intrufola nel destino di alcuni alchimisti, che passarono per il 
Castello di Praga. In quello, ad esempio, dell'orafo di Strasburgo 
Filip Jakub Gtenh饘er. Avendo appreso che costui possedeva 
un'ampolla di tintura purpurea, donatagli in una delle sue fugaci 
comparse da Seton, Rodolfo II spedsubito in quella cittun 
ciambellano, perchconvincesse l'orefice a recarsi a Praga. 
Gtenh饘er accettdi malavoglia, ed il viaggio gli fu infatti 
fatale, perchl'ampolla, che non era la bouteille inepuisable di 
Robert-Houdin, si esaurpresto, e l'imperatore, sospettando un 
raggiro, lascirovinare l'orefice nella Torre Bianca (6)
Mentre Seton languiva, fiaccato dalle torture e dai ferri, nel buio 
paludoso della cella di K霵igstein, giunse a Dresda Michael 
Sendivogius. Egli aveva conosciuto Setonius nelle giovanili 
peregrinazioni per la Germania. Accolto ora a corte, con le sue 
levigate maniere e coi suoi prestigi (tra l'altro mutava una trota 
viva in cristallo e il cristallo in trota), Sendivogius si cattivla 
benevolenza di Cristiano II e, affermando che avrebbe convinto 
l'alchimista scozzese a rivelare la formula, ottenne il permesso di 
far visita a Seton e di passeggiare con lui nel perimetro della 
fortezza (7) Non gli fu malagevole quindi prezzolare le guardie e 
fuggire con Seton verso Cracovia. Too late! Stremato dagli inusitati 
supplizi e dall'evasione, Seton si spense qualche mese dopo, senza 
svelare la formula nemmeno a lui, ma lasciandogli in cambio i suoi 
dotti scartabelli e la polvere rossa, nascosta al momento della 
cattura e ricuperata durante la fuga.
Con la setoniana tintura Sendivogius ritorna Praga e rese felice 
Rodolfo, lasciando che eseguisse lui stesso una trasmutazione. 
Secondo Meyrink, per evitare che sovrani e magnati gli chiedessero un 
segreto che non conosceva, l'alchimista polacco fingeva di cascar 
dalle nuvole nel vedere il mirabile effetto della sua tintura, 
asserendo che non si aspettava una tal meraviglia da una vilissima 
polvere comprata da un Marktschreier a Cracovia per pochi baiocchi. 
Ma Rodolfo: gli si avvental cuore tanta allegrezza, che dispose di 
incidere su una lastra di marmo la scritta: 亭aciat hoc quispiam 
alius, - quod fecit Sendivogius Polonus
Salalle stelle la gloria di Sendivogius, ma insieme si accrebbero 
le insidie. Durante un viaggio da Praga a Cracovia fu assalito dai 
bravi del nobile moravo Ka螲ar Mac毾 z Ottenburku e gettato in una 
prigione, da dove evase aggrappandosi a una corda di sbrendoli del 
proprio vestito. In piacerbo pericolo incorse, quando anda 
trasmutare a Stoccarda, al palazzo del duca Federico. Con la sua 
artificiosa squisitezza polacca riusca conquistarsi il favore anche 
di questo sovrano, ma il suo successo destle gelosie 
dell'alchimista di corte Mler von Mlenfels.
Barbiere svevo che aveva appreso gli stratagemmi della giocoleria 
da Quacksalber di fiera, Mler, nei suoi peregrinamenti attraverso 
l'Europa, si era fermato anche lui al Castello di Praga. Eseguendo 
una finta trasmutazione di un crogiuolo a sorpresa e facendosi 
sparare addosso una pallottola di amalgama, che si dissolse 
nell'aria, il barbiere suscitl'entusiasmo del ghiribizzoso Rodolfo, 
il quale per premio gli diede patenti di nobilt
Mediocre e rozzo alchimista o piuttosto istrionico giocolatore, si 
capisce che fosse geloso di Sendivogius, cavaliere di belle creanze, 
polaccuccio aggraziato, che era venuto a guastargli le uova nel 
paniere, mettendo in bilico la sua posizione alla corte di Stoccarda. 
Comincida un lato a insufflare nel duca che Sendivogius mentiva di 
aver comprato per caso la rosso-sangue tintura da un cerretano, e 
dall'altro, con consigli da Achitofelle, a esortare il polacco a 
svignarsela, prima che il duca, per carpirgli il segreto, lo facesse 
impiccare. Memore della sorte di Seton, Sendivogius battin 
ritirata. Ma con palandrani e barbe posticce e buffe sul viso gli 
sgherri del grossolano barbiere lo assaltarono mentre fuggiva, gli 
sottrassero la prodigiosa tintura e lo diruparono nella profonda 
prigione di una torraccia. Mler potmenar vanto di aver trovato 
anche lui, attraverso una serie di esperimenti, la mistura per 
trasmutare, ma il duca esultante gli prese l'ampolla e con gabelliera 
inquisizione prova interrogarlo sulla formula. Era come premere 
olio dal sughero e vino dalla pomice.
Sendivogius, che riusciva sempre come un Houdini dell'alchimia ad 
evadere dalle piintricate prigioni, era scappato frattanto dalla 
torraccia. Meyrink ha romanzato questa evasione, attribuendone il 
merito alla leggiadra Fia[m]etta, una giovane zingara, degna di un 
racconto di M歊ha. L'alchimista, infiammandosi, vorrebbe portar seco 
Fia[m]etta a Strasburgo, ma quella: 侵 figli d'Egitto - gli dice - 
non tradiscono il proprio sangue(8) e si separa da lui in un 
congedo romantico. Quando il duca Federico venne a conoscenza delle 
trufferie del suo benaffetto distillatore, lo affidal carnefice, e 
l'ex barbiere, in un abito di pagliuzze d'oro, pendette come un 
fantoccio da una forca dorata.
Sendivogius non tornpiin possesso della rossa polvere (9) E 
senza la polvere era un uomo finito. Si mise a girar la Polonia, 
vendendo lattovari e sciroppi di acetosella e di agresto e spillando 
conquibus ad ingenui magnati polacchi. Meyrink favoleggia che, dopo 
tante avventure, l'alchimista si ritircon la sua bella zingara in 
un fatiscente casale sull'inaccessibile punta di un monte nel folto 
della Selva Nera, lontano dal chiasso del mondo, a studiar scienze 
ermetiche. Morottantenne nel 1646.
Nella letteratura praghese anche Sendivogius ha lo stampo 
dell'intrigante malefico e del giuntatore. Nella bolsa tragedia 
romantica Magel霵a di Josef JiwKol漷, tutta infrascata di turgide 
frasi, di latinorum, di termini alchimici, di traboccanti 
corbellerie, Sendivogius, astrologo, 剌abbricante d'oroe indovino, 
associatosi al pazzo don C鈕ar, illegittimo figlio di Rodolfo II, 
architetta spavalde trappole, trafugamenti, piani infernali e 
finisce, degno batacchio di tal campana, sulla forca. Ma il pi
curioso di questa tragedia che don C鈕ar, il quale circuisce la 
nobildonna spagnuola Magel霵a Trebizonda, sarebbe frutto di un 
peccaminoso amore tra Rodolfo e la moglie di Sendivogius.
NOTE:
(1) Ricordato anche come MichaSziw爊, Sendivoj, Sendeivoj ze 
Skorsky na Lukavici a Lygot Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l 
za doby Rudolfa II, in Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', p' 54; 
Karel Pejml, D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 59.
(2) Cfr' Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in 
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', p' 146.
(3) Cfr' Zikmund Winter, K滵en filosofsk(1893), in Pane螽ice a 
jinpraeskobr漘ky, Praha 1949, pp' 83-111.
(4) Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in 
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', p' 59; Karel Pejml, D疀iny 
蟌skalchymie cit', p' 60.
(5) Cfr' Zikmund Winter, K滵en filosofsk in Pane螽ice a jin
praeskobr漘ky cit', p' 104.
(6) Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in 
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 37-75; Karel Pejml, 
D疀iny 蟌skalchymie cit', pp' 64-65.
(7) Cfr' Gustav Meyrink, Die Abenteuer des Polen Sendivogius, in 
Goldmachergeschichten, Berlin 1925, pp' 197-261.
(8) Gustav Meyrink, Die Abenteuer des Polen Sendivogius, in 
Goldmachergeschichten cit', p' 256.
(9) Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in 
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 51-52; Karel Pejml, 
D疀iny 蟌skalchymie cit', pp' 61-63.
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Praga era dunque, ai tempi di Rodolfo II, albergo di ciarlatani e 
di traforelli, di vendifrottole gravidi di vento, insomma di 
esploratori delle borse. Il nostro novellino non putralasciare il 
greco Mamugna di Famagosta, che giunse nella cittvitavina con due 
neri mastini, ossia neri diavoli. Cosimmaginiamo che arrivi a Praga 
il Paganini satanico dei quadri di Tich in una nera sciancata 
carrozza, tutto nero, con uno squamoso cilindro. Mamugna si gabellava 
per figlio del veneziano Marco Antonio Bragadin, catturato e scoiato 
dai turchi nella presa di Famagosta. Si faceva chiamare 剃onte 
serenissimoe con l'oro spillato ai suoi mecenati praghesi dava 
sfarzosi festini. Non ebbe perun eccessivo successo a causa 
dell'avversione di Kelley e anda Monaco, dove, nel 1591, fin in 
abito d'oro, su una forca dorata e quindi in una fossa comune con le 
carogne dei suoi mastini-luciferi (1)
Ma il campione degli avventurieri fu, sotto Rodolfo II, l'italiano 
Geronimo (o Alessandro o Giovanni) Scotta (o Scota o Scotti o Scoto), 
astrologo e distillatore, ma soprattutto paltoniere e ruffiano (2) 
Nelle memorie di Da蟊ck all'anno 1591, si legge: 哎n certo italiano 
abitante a Praga, abbindolando e ingannando la gente, con stregonesca 
arte diabolica eseguiva le sue gherminelle: Scota lo chiamavano(3) 
Sembra che fosse nativo di Parma. Aveva percorso anche lui la 
Germania, commettendo una selva di ribalderie, intrigando in faccende 
matrimoniali, infinocchiando i babbioni con la sua dottrina imparata 
sotto il noce di Benevento. Giunse a Praga il 14 agosto 1590 con tre 
carrozze tirate da quaranta cavalli e con un fitto corteo di 
servitori in arcione. In una delle carrozze, rivestita di rosso 
velluto, c'era lui, abbigliato con lustro peregrino: con due 
mustacchini affilati, col braccio curvo a foggia d'arco sul fianco, 
con un cappello la cui ala alzata gli faceva da vela sul capo. Prese 
alloggio in un pomposo appartamento in una locanda della Citt
Vecchia.
Si insinupresto al Castello, dove sulle prime fu tolto per un 
corsiero di molta stima, ma Kelley, il quale, al vedere ogni altro 
alchimista, contraeva un gran contracuore, gli permise soltanto di 
astrologare le stelle. La fortuna di Scotta non dura lungo: ginel 
1593 lo troviamo in una baracca di legno a Piazza della Citt
Vecchia, a vendere unguenti e gelatine di corno di cervo e vetriolo 
di Marte e polpa di cassia e a esibirsi in giuochi di bussolotti.
Nella letteratura praghese Scotta compare come un sanguisuga e uno 
scomunicato: come un artefice di iniquite di malizie, abilissimo 
nel buscherare la folta confraternita dei pecoroni e dei gonzi. Sulla 
sua figura si impernia il supremo Kitsch dell'orrore praghese, il 
romanzo gotico Pekla zplozenci (Progenie d'inferno, 1862), dove Josef 
JiwKol漷 rifrigge e sciorina reboanti empietsu patiboli, crimini, 
alchimia, mandragore, strigi, riti occultistici, congregazioni 
notturne, e dove gli stereotipi dell'efferatezza sono cossbracati 
da suscitare allegria. In quelle pagine Giovanni Scota, 
alchimista-cerusico, 剋ran negromante ed alabardiere del serenissimo 
principe signor Satanasso sembra fuggito dalla notomia: 哀ulla 
groppa convessa del suo naso aquilino spiccava un segno demonico, 
ossia una bruna verruca dall'aspetto di ragno crociato, avente la 
strana proprietdi arrossarsi in una tinta di fuoco, appena nelle 
profonditdella sua anima si destava una selvaggia concupiscenza o 
una passione furiosa
Scota risiede in un'orrida casa affumicata e annerita, tutta 
bernoccoli e storte sporgenze, - una catapecchia con una decrepita 
torretta di legno sul tetto ogivale e un giardino, dove dimorano 
gazze, cornacchie e, in gabbie di ferro, lupi, dei quali egli 
utilizza, quando hanno accessi di rabbia, la schiuma. Nel suo 
laboratorio fanno bellissima vista un'Athenora d'oro e cristallo ed 
alcuni scrigni, in cui conserva un'accolta di oggetti folli: le 
radici dell'erba Sidrikma, l'erba delle sette erbe, che il 
combustibile dell'Athenora, una capsula colma di veleno di rospi 
massacrati al bagliore del pianeta Giove ed una di aculei di api 
regine, una verde bombola con schiuma di lupi idrofobi, un piccolo 
astuccio con la pietra Anachytis per captare i raggi della 
costellazione delle Pleiadi, - pietra che un giorno ha rubata tra le 
rovine di Menfi ai sacerdoti custodi del toro Apis nel tempio di 
Iside e Osiride.
Strabiliante pasticcio. In casa Scota accudisce alle faccende 
domestiche una serva grinzosa e assecchita, una vieta befana, che il 
negromante chiama con uno zufolo: 俟trana bestia era questa Abigaila! 
- Piccola figura scrignuta in un abito di broccato scuro, con 
l'oblungo viso paonazzo come le mummie e una cuffia dai lunghi nastri 
che si aggraticciavano dai lati verso l'alto, somigliava non poco a 
un vampiro (a un Phyllostoma Spectrum, per dirla coi naturalisti), di 
quelli che nella notte agguatano gli uomini e gli animali dormienti, 
per succhiarne il sangue con la lingua aguzza
pitardi vien fuori che questo canchero, 匍iracolosissimo oggetto 
di pneumatologia occulta ha sposato Scota in seconde nozze, 
partorendogli la figlia Lukrecie, alias Bella Diavolina. Dal 
precedente connubio con l'adesso defunto alchimista Jakub Bartoz 
Kurcinha avuto i gemelli Vil鄉 e Jo褾, che un perfido ciambellano 
di Rodolfo II, il solito Lang (qui J歊hym Lang) perseguita per 
annientarli. Accusandolo di aver ucciso il fratello (e invece lui 
che ha tentato di farlo uccidere), Lang manda Vil鄉 al patibolo, ma 
Vil鄉, la notte del 25 maggio 1593, durante una fragorosa tempesta, 
udite udite, si libera dal cappio da cui pendeva e trova rifugio 
nella casa di Scota, quando ormai tutti lo credono cadavere profanato 
dal boia e sezionato dagli 冠natom歊i ovvero dai dissettori. Vil鄉 
diviene seguace della dottrina di Scota, di quella 剌amigerata 
pneumatologia occulta et vera che, nell'etdi Rodolfo, molti spiriti 
acuti fece insanire e mennei pantani dei fuochi fatuiAssieme a 
Scota e allo stesso Rodolfo ritorna al patibolo da cui era caduto, 
per cercar la mandragora che, com'noto, cresce sotto le forche. E 
la vezzeggia come una bambola, la lava nel vino rosso, le mette una 
camiciola, la tiene in un cofanetto di ebano foderato di morbido 
velluto rosso.
Scota vorrebbe rendere immortale Vil鄉, per poi congiungerlo 
all'arcana Sempiterna. E' il problema praghese del prolungamento 
dell'esistenza, che anche Crawford affrontnel romanzo The Witch of 
Prague, dove il sozzo e scontorto negromante Kyjork Arabian, assieme 
a madama la strega onorna, progetta di allungare la vita di un 
matusalemme, trasfondendo nelle sue vene il sangue del giovane Israel 
Kafka gravemente ammalato. Scota sostiene che l'uomo raggiunge 
l'immortalitsolamente se viene squartato e se i suoi sparsi 
brandelli sono deposti nell'Athenora, che li ricompone in una nuova 
compagine imperitura. L'insistenza sull'冠natom歊e ovvero sulla 
dissezione, in rapporto col fatto che a Praga, nel 1600, il dottor 
Jan Jessenius esegula prima pubblica autopsia: 隹 Praga - si legge 
nelle memorie di Da蟊ck- un certo dottore, medicus forestiero, 
volendo conoscere a perfezione la natura dell'uomo, chiese alle 
autoritdella legge un delinquente sentenziato a morte e, uccisolo 
col veleno, ne taglie aprtutte le membra e osservciche stava 
nel corpo, specialmente le vene. La qual arte i medici "anatom歊e
chiamano(4)
Quando Vil鄉 gisulla tavola operatoria sotto il coltello da 
beccaio di Scota, Abigaila accorre a salvarlo, invasata come la Dulle 
Griet bruegeliana, con una frusta di serpi avvolticchiate nella 
destra, nella sinistra la mandragora. Scota le scaglia addosso 咨utta 
una turba di gatte bianche come la neve 咨utta una caterva di 
grandi, schifosi, fetidi batraci e rospi 哎n'innumera moltitudine 
di vipistrelli che sbattono agilmente le aliRabbuffata, rabbiosa, 
Abigaila si difende con la mandragora, mentre Scota, per 
rinvigorirsi, trangugia un serpente. PoichAbigaila resiste, egli 
strappa come un sipario il manto scarlatto che le ricopre la parte 
inferiore del corpo: una gamba di luccicante metallo ed un'altra 
asinina, a conferma che la stomacosa Abigaila appartiene alla stirpe 
delle strigi. Questo Gran Putiferio di rospi, di botte, di gatte, di 
nottole ricalca la rissa tra l'archivista Lindhorst e la laida e 
sdentata stregaccia Lisa nel Vaso d'oro di Hoffmann. La megera 
hoffmanniana va in corso anche lei con vipistrelli ed allocchi e con 
un gatto nero, e allo studente Anselmo rinchiuso in una bottiglia di 
cristallo si mostra nuda, aborrevole.
Nella commedia Golem (1931) Voskovec e Weribl hanno parodiato il 
linguaggio chimerico, gli ambienti ambigui, le truci parvenze, la 
falsa rodolfinit insomma le castronerie di questo ridicolo 
thrilling. L'alchimista di corte Jeron蔂 Scotta, 南egromante e 
ministro di Satana che nel romanzo era avversario di Lang, nelle 
scene di questa commedia tiene invece bordone all'abietto 
ciambellano. Vecchiaccio decrepito, al quale, malgrado l'asma e la 
sclerosi, dona energia il quotidiano uso di un elisirvite, Scotta 
trama tranelli dietro le quinte, ruba lo schem in sinagoga, strangola 
con la sua barba bianca (una lunga barba da comica slapstick) 
l'astrologo Bwen瘯 e lo appende a una forca, - ma quello, spezzatosi 
il cappio, come il Vil鄉 di Pekla zplozenci, ne precipita vivo (5)
Nel romanzo Astrolog (1890-91) di Josef Sv漮ek l'alchimista di 
corte (Alessandro Geronimo) Scotta meno diabolico, ma pi
cagliostresco: untuoso, dolciastro, volpino, addottrinato nelle 
scaltritezze mondane, manovratore di intrighi in combutta con 
cortigiani malevoli, sputa miele ma col palato piamaro della 
coloquintide e con perniciosi raggiri avviluppa gli ingenui. Sv漮ek 
lo associa al patrizio Kor滎ek z T膰ina, che invece fu il protettore 
di Sendivogius, e trasferisce alla sua biografia alcuni dati della 
vita di Kelley e John Dee, generando un guazzabuglio senza uguali.
Lo Scotta di Sv漮ek maneggia uno specchio magico, trovato cent'anni 
prima nella tomba di un vescovo gallese, intenditore di alchimia: la 
匍iracolosa sfera di vetroche 咬ivela le cose lontanevenne un 
giorno in possesso dell'alchimista tedesco (!) Setonius, il quale 
l'ha data a Scotta. Poichla figlia del dabben uomo Kor滎ek, 
Zuzanka, si strugge per il fidanzato Oldwibl Rab褾ejnskz 鍎hanova, 
recatosi in Spagna per conto di Rodolfo II, il ciurmadore di Parma, 
che vorrebbe diventar lui genero del facoltoso patrizio, per 
sgraffignare la dote, le fa apparire in quello specchio di 
catoptromante l'amato, mentre stringe una madrilena angiolella tra le 
proprie braccia, scalzandolo cosdal suo cuore.
Ma com'svilito in Sv漮ek l'attrezzo suscitatore di pronosticanti 
ectoplasmi: squallido globo cristallico, in cui una lente ingrandisce 
un'anemica immagine impiastricciata dallo stesso Scotta. Ad 
accrescere la furfantaggine del suo personaggio, Sv漮ek narra anche 
di un'altra giunteria da lui ordita d'accordo con l'antiquario Jakub 
de Strada. Scotta nasconde nei boschi di Brand蓧 sull'Elba una bara 
con la mummia di un faraone e poi la disseppellisce dinanzi a Rodolfo 
Il, per comprovare che nell'antica Boemia esisteva una necropoli 
egizia. Ma dalla mummia cade la cedola di spedizione dell'agente che 
l'ha venduta alle raccolte imperiali, e l'imbroglione finisce nella 
Torre Bianca. Scarcerato dopo tre anni, si mette a far l'unguentario, 
spacciando in una baracca di legno sughi d'herbe, borraggine, 
lenitivi elettuari.
Si potrebbe affermare che nella letteratura praghese, dove cos
spesso ricorre, l'infetto di criminosi vizi personaggio di Scotta 
unisca le pratiche dei negromanti alla sfrontata destrezza di quei 
grassatori e banditi che corseggiavano la Boemia rodolfina. Scotta 
diventato il prototipo dei lestofanti italiani incagliatisi nella 
cittsulla vitava. Sv漮ek non perde occasione per definirlo 
勇taliano malfido 剎riccone italiano 勇taliano fatuo 
冠vventuriere italianoe per porre in risalto la sua 削iavolesca 
furbizia italianaA questo proposito ricorderemo che, nell'etdi 
Rodolfo, Praga ricettuno stuolo di facinorosi italiani, che 
uccidevano su commissione, usando pistole dette 剎ambitkyo 
厚anditky dalla parola 剎anditiPer metter fine ai saccheggi e 
agli scempi, Rodolfo fece innalzare tre forche di legno, tre horridi 
palchi della giustizia, da cui numerosi ribaldi pendettero (6)
Scotta servdi modello ad alcuni impostori della letteratura 
praghese. Nel citato poema di Vocel il diavolo afferma di appartenere 
al casato italiano del Duca del'amor, crucciandosi di esser finito 
unguentario (al pari di Scotta) col nome di Duchamor (Pestilenza 
dello Spirito) E dinanzi a un consesso di luminari si nomina 
匍aestro italianoe smargiassa di aver insegnato 南el glorioso 
ateneo di Bologna(7) A Scotta potremmo ricollegare anche il furbo 
Vocilka della fiaba teatrale di Tyl Strakonickdud毾 (Lo zampognaro 
di Strakonice, 1847), studente fallito e giramondo e scroccone e 
farfarello e ruffiano.
Alla fine rimane fitto nella memoria qualcosa di ibrido e di 
inquietante, assieme alla Viuzza d'Oro con le sue casupole affette da 
nanismo. Gli innumeri adepti ed imbonitori che giunsero sulla vitava 
sembrano sovrapporsi, per la similaritdelle sorti, in un unico 
enorme fantoccio composito di ciarlatano-alchimista che ballonzola su 
Praga, come distorto per anamorfosi e col mariolesco sguardo in 
sberleffo. O cecit o stolidezza, o deliri di uomini ingordi! Tutto 
questo tramenio, questa febbre truffaldina, questi dannati 
avvolgimenti si sono perduti nel nulla, lasciando solo piombo e fumo, 
e malinconia saturnale. Nessun elisire ha allungato la vita. E se un 
poco d'oro c'stato, quello della forca.
NOTE:
(1) Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in 
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 48-49; Karel Pejml, 
D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 64.
(2) Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in 
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 49-51; Karel Pejml, 
D疀iny 蟌skalchymie cit', pp' 63-64.
(3) Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', p' 175.
(4) Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', p' 198. Cfr' anche 
Josef Poli蟌nsk Jan JesenskJessenius, Praha 1965, pp' 29 e 
97-122.
(5) JiwVoskovec - Jan Werich, Golem, in Hry Osvobozen逸o divadla 
cit', pp' 91-184.
(6) Cfr' Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', pp' 195 (1599) e 
201 (1601), e Josef Sv漮ek, K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in 
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', II, pp' 195-96.
(7) Cfr' Jan Erazim Vocel, Labyrint sl潎y, Praha 1846, pp' 13-14, 
49, 55.
48
Nel Labirinto del mondo e paradiso del cuore di Jan Amos Komensk
si legge: 侶uella cosa che muta i metalli in oro possiede altre virt
straordinarie: come, ad esempio, di conservare la salute umana 
integra sino alla morte e di non lasciar passare la morte (se non 
dopo due o trecento anni) Anzi, chi la sapesse usare potrebbe 
rendersi immortale. Questo lapis non certamente nient'altro che 
seme di vita, gheriglio e quintessenza dell'intero universo, da cui 
gli animali, le piante, i metalli e gli stessi elementi traggono 
sostanza(XII)
Nella commedia Alchymista (1932) di Vladislav Van襁ra l'imperatore 
Rodolfo II, dinanzi a un consesso di vari astrologhi e distillatori 
(John Dee, Sendivogius, Kelley, Bragadino, Keplero, H毄ek, Tycho de 
Brahe ed altri), supplica con trafelate parole l'alchimista 
Alessandro del Morone (variante forse del ciurmadore italiano 
Alessandro Scota) di fermare la sua decrepitudine, di sottrarlo 
all'abisso melmoso, di restituirgli la giovinezza. L'alchimia, che 
fiora Praga nei tempi di Rodolfo II, e la pietra filosofale, che 
allunga la vita, fornirono lo spunto alla commedia di Karel 螮pek V璚 
Makropulos (L'affare Makropulos, 1922) (1)
Hieronymos Makropulos, uno dei tanti dulcamara e distillatori che 
affollavano la corte rodolfina, un barbassoro della stirpe degli 
avventurieri Scota e Mamugna, appronta per il sovrano un elisirvite 
capace di mantenerlo immortale e giovane per trecento anni. Ma 
Rodolfo, temendo il veleno, vuole che sia la sedicenne figlia 
dell'alchimista a provare per prima l'冠urum potabileCosun altro 
motivo praghese, l'arte spargirica, entra accanto a quello golemico 
nell'inventario di 螮pek.
Si chiama Elena Marty ed una famosa cantante la longeva figlia 
dell'alchimista al momento della commedia. pidi trecento anni 
vissuta, e con nomi diversi (Elina Makropulos, Ellian Mac Gregor, 
Eugenia Montez, Ekaterina My螶ina, Elsa Mler) 螮pek insiste sulla 
sua bellezza. S bella: 剎ella da impazzirne Ma 剌redda come il 
ghiaccio 剌redda come un coltello come uscita da una tomba. Emana 
da lei una malia, un magnetismo perverso, che invischiano e infatuano 
gli uomini in cui si abbatte.
La sua perenne giovinezza assomiglia pera una vecchiaia 
mascherata, che a mala pena nasconde il fastidio delle memorie, la 
saziet il cinismo dell'esperienza. Basta forse una grinza, un 
involontario moto del volto, perchella appaia nel suo vero aspetto 
di vecchia ringiovanita: tutta cascante per vezzi, sguaiatamente 
imbottita di belletto, le labbra di cera purpureggiante, le rughe 
stirate dall'artifizio, i capelli ingialliti di forfora, forse un 
occhio di vetro - e su tutto questo un cappellino alla moda degli 
anni Venti (2)
C'nella cantante qualcosa di metafisico e di streghesco, una 
torva stregheria che acquista pigrande risalto per il contrasto col 
secco ambiente curiale in cui si svolge la commedia. La formula 
dell'immortalit che Elena Marty porta appesa al petto, rimanda allo 
哀chemdel Golem. Fa gola a molti, ingombra di desiderio molti animi 
la formula Makropulos. Ma Elena Marty stracca e sfinita 
dell'immortalitche sovverte i valori morali e inaridisce i 
sentimenti. La gioia di vivere nasce dalla coscienza della brevit
della vita. Una vita troppo lunga ingenera tedio e disgusto. 俠'uomo 
non puamare per trecento anni. Nsperare, ncreare, nosservare 
per trecento anni. Non ce la fa. Tutto viene a noia. Sia l'esser 
buoni che l'esser cattivi. Cielo e terra vengono a noia. E poi ci si 
accorge che in realtnon c'nulla. Nulla. Nil peccato nil 
dolore nla terra, assolutamente nulla
Gil'automa parlante, protagonista del 咬omanetoNevvton驠 mozek 
(Il cervello di Newton, 1877) di Jakub Arbes, aveva affermato dinanzi 
a un'assemblea di dotti che in futuro la vita, prolungata dal 
perfezionarsi della medicina, diverrper troppa lunghezza un 
marasma. Dunque la longevituna condanna. Non sono degni di 
invidia gli 俟truldbrugdel Gulliver di Swift.
LeoJan碭ek, nell'opera V璚 Makropulos (L'affare Makropulos, 
1925), derivata dalla commedia 螮pkiana, accrebbe la spettralit
della cantante, che il troppo vivere ha reso proterva, aggressiva, 
dispotica, vuota (3) 俟apete, - egli scrisse - questa cosa 
terribile, il sentimento dell'uomo di non avere mai fine. Pura 
infelicit Non vuol nulla, non aspetta nulla(4). 俗na bellezza 
vecchia trecento anni - ed eternamente giovane - ma coi sentimenti 
bruciati! Brrr! Fredda come ghiaccio...(5).
Come Helena Glory in R'U'R', anche qui una donna, Kristina, a 
distruggere nel fuoco la formula. Emilia Marty finircome un Golem, 
cui sia tolto per sempre lo 哀chemSe in R'U'R' lo sfacelo 
dell'umanittrucidata dai robot suscita in 螮pek un canto di lode 
alla vita, in V璚 Makropulos l'estenuazione di un'interminabile vita 
gli ispira invece un'apologia della morte. Ma la morale la stessa: 
non bisogna turbare l'ordine dell'esistenza. Nel grande dilemma 
ontologico che lacera il mondo necessaria la morte perchla vita 
sia bella.
NOTE:
(1) Rappresentata il 21 novembre 1922 con regia dello stesso 螮pek 
e scene di J' Wenig al Vinohradskdivadlo di Praga, di cui lo 
scrittore fu Dramaturg dal 1921 al 1923.
(2) Karel 螲ek inventla parte di EmiliMarty per l'attrice 
Leopolda Dostalov Cfr' Otakar 褾orch-Marien, Sladko je 鋱t cit', p' 
177.
(3) Cfr' Jaroslav 蟌da, LeoJan碭ek, Praha 1961, pp' 322-23. Cfr' 
anche Jaroslav Vogel, LeoJan碭ek dramatik, Praha 1948, pp' 87-92.
(4) Cfr' Bohumir 褾璠ro Jan碭ek ve vzpomink槆l a dopisech, Praha 
1946, p' 233.
(5) Cfr' Jaroslav 蟌da, LeoJan碭ek cit', p' 309.
49
Punto magico di Praga era la Cittebraica (亟'idovskm瘰to, 
chiamata anche Josefov, dall'imperatore Giuseppe II, che per primo 
attenu alla fine del Settecento, le discriminazioni religiose e 
razziali, e pitardi, nel XIX secolo, Quinto Quartiere (促漮
褾vrt Contrada misteriosa, della quale ben poco rimasto: alcune 
sinagoghe, principalmente la Staro-nov(Vecchio-Nuova), e il 
cimitero, e il municipio, con l'orologio dalle lancette che vanno a 
ritroso, ricordato da Apollinaire (勁es aiguilles de l'horloge du 
quartier juif vont rebours (1) e da Cendrars (前t le monde, comme 
l'horloge du quartier juif de Prague, tourne 廧erdument rebours 
(2) Contrada dove si avverte ancor oggi l'eterna presenza del Golem, 
perchnel suo territorio, come afferma Nezval, lo 哀chemdi Rabbi 
L饖 怨 inserito sotto la lingua di tutte le cose, persino sotto la 
lingua del marciapiedi, anche se esso del medesimo tipo di pietra 
che copre l'intera Praga(3) Fantasticando sopra l'architettura 
pencolante del ghetto, vien fatto davvero di credere che le storte 
case si muovano e si affastellino per l'impulso di 哀ch逶mess
ficcati nelle fauci dei loro inquietanti portoni ogivali.
La tradizione ebraica fa risalire l'origine del ghetto praghese ad 
epoche immemorabili, precedenti persino la fondazione della citt
sulla vitava. Alcune leggende tramandano che gli ebrei giunsero a 
Praga subito dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme, altre 
fissano la loro venuta all'VIII o al IX secolo. Nei romanzi romantici 
addirittura Libu蟌 ne predice l'arrivo, ma anche le cronache hanno 
costume di imbrogliare le carte. V歊lav H毄ek z Libo螮n, nella sua 
cronaca boema (1541), e dietro a lui l'annalista ebraico David Gans, 
in Zemach David (La discendenza di Davide, 1592), affermano che gli 
ebrei ottennero nel 995-97 il permesso di stabilirsi nella citt
vitavina, per aver aiutato i cristiani a respingere gli infedeli (4) 
Ma certo che ginel X secolo carovane di mercanti ebraici, nei 
lunghi itinerari da Oriente a Occidente, si fermavano a Praga, 
fondandovi fondachi, e che da quei nuclei, da quelle stazioni ebbe 
origine, tra il XII e il XIII secolo, la colonia ebraica praghese.
Sin dai tempi del gotico, la Cittebraica fu un plesso di case 
assiepate, recinto da mura con porte (5), - mura dentro le mura, che 
si spostavano, quando riusciva ad estendersi un poco, acquistando 
dimore ai suoi margini (dopo la Montagna Bianca, ad esempio, 
incorporalcune case, abbandonate dagli evangelici) (6) Nel XIX 
secolo, a dispetto di rabbini fanatici che preferivano l'isolamento, 
quelle mura vennero abbattute e per qualche tempo sostituite da 
恃錩rye 削r漮y ossia da corde e fili di ferro.
L'attaccamento alla consuetudine fece sche, nonostante gli 
incendi e i diluvi e gli assalti della marmaglia cristiana e 
nonostante le aggiunte barocche di sporti e torrette e loggiati e 
altane sui tetti, il ghetto conservasse intatte sin quasi alla met
dell'Ottocento la topografia originaria e la sembianza medievale. 
Malgrado i divieti, sino al XIX secolo, furono pinumerose le case 
di legno che quelle di pietra (7) Ad ogni distruzione (come dopo il 
terribile incendio del 1689) veniva subito, in fretta, febbrilmente 
ricostruito nell'aspetto di prima (8) E mentre Praga mutava gli 
stili, allargandosi, il ghetto restsempre lo stesso avaro fastello 
di medievali casupole, con poche sovrastrutture barocche (9)
Confitto in un'area esigua, tra la CittVecchia ed il fiume, a 
ridosso del 剋allimordium l'antico bordello (10), questo 
sovraffollato quartiere, con una crescente densitdi abitanti (11), 
con scassoni di case e tane da sorci che si accatastavano l'una 
sull'altra, era il pipiccolo di tutti i quartieri praghesi: 
novantatremila metri quadrati, ossia un nono di tutta la Citt
Vecchia, ingombra di chiese, mercati, conventi, un tredicesimo di 
MalStrana, in gran parte coperta dagli orti che circondavano i 
palazzi della nobilt(12) Non vi rameggiavano altri alberi che 
quelli dipinti sui muri. Vi era un solo giardino: il giardino dei 
morti. Eppure, malgrado questa asfissiante strettezza, il ghetto 
aveva una sinagoga ogni dieci case (13)
Il pittoresco del ghetto (come ci appare nelle foto ingiallite e 
nei dipinti di Jan Minaw骿, Antonin Slav斁ek ed altri pittori 
dell'inizio del Novecento) nasceva dall'architettura 
contorsionistica, dal fitto incastro e dall'imbricazione di 
catapecchie sbilenche, smattonate, umide, infette, covaccioli per re 
Rosecone e la sua plebe di topi. Era un bizzarro labirinto di viuzze 
sudicie e non lastricate, strette come i cunicoli di una miniera e 
dove il pagliaminuta del sole penetrava di rado a spazzare le 
immondizie delle ombre. Brutte viuzze malate, che attraversavano la 
pancia di una casaccia, scartando poi all'improvviso da un lato, per 
sbattere infine come pipistrelli su un muro cieco. Viuzze come 
fessure percorse da zaffate di tanfo e di muffa. Viuzze a zigzag, con 
lanterne agli angoli, cloacose pozzanghere e portoni di legno 
dall'arcata ogivale. Budelli, cui le sporgenze ed i gomiti davano un 
che di ubriaco, di barcollante, di onirico.
Il ghetto aveva gran copia di cortili e di ballatoi, ballatoi 
dentro i cortili, con scalette esterne scontorte, dai vecchi gradini 
svitati, e un tettuccio sulle scalette. Se non era possibile porre il 
ballatoio sul cortile, le catapecchie del ghetto tranquillamente lo 
appiccavano sulla facciata (14)
Quel mucchio di fatiscenti casupole scoppiava di abitanti assiepati 
sovente a quattro a quattro ogni stanza, un pagliericcio in ogni 
angolo, e tuttavia questo nauseante ammasso di corpi non impediva di 
stipare in ogni casupola merci e di mettervi stie per le colombe e le 
oche (15) cosgli abituri della Cittebraica si apparentano per la 
strettezza alle case da bambola della Viuzza degli Alchimisti. La 
strettezza era sempre accompagnata dall'incubo che il gipiccolo 
spazio venisse ridotto. Perciquesta febbre di accatastarsi, di 
vivere a strati come alici dentro un barile.
Mi sembra di esser vissuto in antichi tempi in quel ghetto, mi 
rivedo ebreo chagallesco a 俟uk飆(促od Zelenou, con in mano un 
前tr鐷 un giallo cedro, e a 青hanukk熐, intento ad accendere con 
una candelina-哀ch滵essi ceri su una 匍enor熐 ad otto bracci, 
oppure come uno degli 哀cham飉simdelle tante sinagoghe, o in una 
stantia bottega di rigattiere, mi aggiro nel buio pestilento e 
gespenstisch delle sue straduzze.
Siamo abituati a vedere il ghetto praghese coi filtri 
dell'espressionismo e soprattutto attraverso le descrizioni di 
Meyrink che, nel romanzo Der Golem, rese, a detta di Kafka, 
匍eravigliosamente勁'atmosfera dell'antico quartiere ebraico di 
Praga(16) Meyrink fa del ghetto praghese lo 俟chauplatzdi una 
demonica 俚wischenwelt un terreno da incubo, una contrada 
immiserita e larvale, la cui spettralitsembra estendersi a 
significare l'estenuazione, la macilenza dell'Europa all'inizio del 
secolo.
Dalle carte di Meyrink conosciamo la perfidia delle catapecchie del 
ghetto, perfidia che cresce di notte, quando le porte si spalancano 
come gole urlanti. Nel film Der Golem (1920) di Paul Wegener quelle 
casupole oblique e angolose, articolate ritmicamente, hanno pinnacoli 
gotici ricoperti di stoppa, quasi a riscontro con gli alti cappelli 
conici e con le barbe da capra dei loro inquilini (17) 
L'espressionismo calca la mano sulla medievalittenebrosa e 
unheimlich, sulla putredine del Quinto Quartiere, sulla turbolenza 
degli spettri che vi abitano. Con le sue viuzze tortuose, con le sue 
case sbilenche e rattratte, con le sue sghembe finestre, con le sue 
chiazze d'ombra, la cittdel Dottor Caligari arieggia forse il 
ghetto praghese. Sembra del resto che Carl Mayer e Hans Janowitz 
volessero affidare le scene del film ad Alfred Kubin (18), boemo di 
Litom瞝ice, disegnatore di incubi e di stregonerie e di mostruosi 
grotteschi, - Kubin, nel cui romanzo Die andere Seite le case muffite 
e decrepite della cittdi Perla ricordano anch'esse le stamberghe 
del Quinto Quartiere.
Il ghetto praghese conobbe la sua etmigliore negli anni di 
Rodolfo II, quando vi ebbero grido Rabbi Jehuda L饖 (Liwa) ben 
Becalel, miniera d'oro di salutevoli ammaestramenti, e il mecenate e 
finanziere Mordechaj Maisl (Meysl o Mayzl), entrambi personaggi di 
varie leggende. Quest'ultimo (1528-1611), le cui ricchezze erano 
attribuite alla fatagione di due coboldi (咨rpaslici, fu 
咬ojsch-hak闤della Cittebraica e vi fece costruire tre sinagoghe, 
una delle quali porta il suo nome, e bagni pubblici, e il municipio, 
e un ospedale, e diede incremento al 剎et hamidrasch l'alta scuola 
talmudica, fondata da Rabbi L饖. Benefattore e limosiniere 
nominatissimo, vestiva i poveri, donava il corredo alle spose 
mendiche, e prestdenaro allo stesso Rodolfo per le sue raccolte e 
le guerre contro i Turchi (19)
Ma la storia della Cittebraica di Praga, come quella di tutti i 
ghetti, in primo luogo la storia del piccolo uomo braccato: sequela 
di persecuzioni, di esosi balzelli, di pogrom, di ripieghi, di 
sotterfugi. Non solo di usura e di compravendita di cianfrusaglie 
perviveva il ghetto. Vi si incontravano artigiani di ogni mestiere 
ed un'inclita consorteria di macellai, che fornivano carne anche ai 
cristiani. Vi fu un tempo un beccaio, che ogni sabato si pesava 
assieme alla moglie, per poi distribuire alla poveraglia tocchi e 
quarti di carne in misura corrispondente al suo peso e a quello della 
consorte (20) Ed curioso che gli ebrei, eccellenti pompieri, 
accorressero a spegner gli incendi nei rioni contigui, trampolino 
delle scorrerie che mettevano le loro case in desolazione e 
sconquasso (21)
Fra le catapecchie cadenti del ghetto gli ebrei camminavano 
barbipiombati, con l'alto cappello giallo, dalla punta adornata 
spesso di un bizzarro boccino, e con un tondino di panno giallo 
cucito sul caffettano (22) Con trepide mani va accarezzato ciche 
pittoresco, specie quando ha un risvolto di amara miseria e di 
umiliazioni. Uscendo dal ghetto nella CittVecchia, gli ebrei erano, 
come fantocci di un 勉eu de massacre assaliti dalla ciurmaglia con 
pietre e palle di neve. Rotolava per terra il cappello puntuto, nei 
tempi nuovi il cilindro.
NOTE:
(1) Guillaume Apollinaire, Zone (1913), in 飀vres Po彋iques, Paris 
1956, p' 43.
(2) Blaise Cendrars, Prose du Transsiberien et de la petite Jeanne 
de France (1913), in Du monde entier au c飀r du monde, Paris 1957, p' 
48.
(3) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 324.
(4) Cfr' Hana Volavkov Zmizelpraeskghetto, Praha 1961, p' 4.
(5) Cfr' Alois Jir滻ek, Syn ohnivc驠, seconda parte del romanzo 
Mezi proudy (1888)
(6) Cfr' Hana Volavkov ZmizelPraha: E'idovskm瘰to praesk 
Praha 1947, p' 32.
(7) Cfr' ibid', p' 15.
(8) Cfr' ibid', pp' 34 e 37.
(9) Cfr' ibid', p' 42.
(10) Cfr' ibid', pp' 18-19.
(11) Cfr' ibid', p' 31.
(12) Cfr' id', E'idovskm瘰to praesk Praha 1959, p' 3.
(13) Cfr' Hana Volavkov E'idovskm瘰to praeskcit', p' 3.
(14) Cfr' id', ZmizelPraha cit', p' 61.
(15) Cfr' ibid', pp' 59-60.
(16) Gustav Janouch, Colloqui con Kafka cit', p' 33.
(17) Cfr' Herbert Jhering, Der Schauspieler im Film (1920), in Von 
Reinhardt bis Brecht, I, Berlin 1958, pp' 380-82; Lotte H' Eisner, 
L'嶰ran demoniaque, Paris 1965, pp' 48-49.
(18) Cfr' Lotte H' Eisner, L'嶰ran demoniaque cit', pp' 24-25, e 
Ado Kyrou, Le Surrealisme au cinema, Paris 1953, p' 80.
(19) Cfr' Hana Volavkov ZmizelPraha cit', pp' 28-30; id', 
E'idovskm瘰to praeskcit', pp' 24-25; id', Zmizelpraeskghetto 
cit', pp' 30-34; JiwWeil, Sou螮snici o Mordechajovi Mayzlovi, in 
E'idovskro蟌nka (5718), Praha 1957-58, pp' 77-85. Cfr' anche Alois 
Jir滻ek, Ze eidovsk逸o m瘰ta, in Starpov瘰ti 蟌sk(1894), Praha 
1949, pp' 200-6.
(20) Cfr' Zikmund Winter, 鍒st kulturnhistorick in Praesk
Ghetto, a cura di Ign漮 Herrmann, Josef Teige, Zikmund Winter, Praha 
1902, p' 12.
(21) Cfr' ibid', p' 70.
(22) Cfr' ibid', p' 68.
50
Ma col voltare dei secoli non rotolcome un cappello il triangolo 
dentato, la cuspide della Sinagoga Vecchio-Nuova, tetro e annerito 
quadrilatero oblungo, armadio di angelogia, che risale alla fine del 
Duecento (1)
L'eroe del romanzo Gotickdu蟌 (Un'anima gotica, 1921) di Jiw
Kar滻ek, vagando una sera per le sudicie stradine del ghetto, capita 
in questa sinagoga, 匍orta, come infossata nella muffa delle tombe, 
in cui dalle strette finestre gotiche cade un livido raggio di luce 
come un fioco barlume del presente俏el tanfo soffocante delle 
lampade ad olio, nel buio, un cantore cantava nell'冠lmem顤", 
strascicando la voce, e quel canto era come un gemito su un morto 
passato e su un popolo inane: i credenti, chinata la testa, gemevano 
tenebrosamente sulla distruzione di Gerusalemme侮'era qualcosa di 
cosdisperato e di coslugubre, che dovette uscire, perchla 
mestizia non lo soffocasse...(2). Ma pibanalmente un altro 
visitatore, Andersen, ricorda (1866): 侵l soffitto, le finestre e le 
pareti erano sporchi di fumo, v'era un costerribile puzzo di 
cipolla che dovetti uscire all'aperto(3)
Oggi la sinagoga ha la spenta patina dei musei, ma ancora 
nell'Ottocento, sommersa nel pigia pigia delle addossate casupole, 
suscitava inquietudine con la sua architettura ogivale, con la debole 
luce in gramaglie filtrata dalle sue esigue finestre, con la gotica 
grata che cinge il suo 冠lmem顤 con la sua polverosa soffitta in 
cui si diceva giacessero, mamma mia, i resti del Golem, con le sue 
pareti fuligginose e coperte di macchie come murene o lamprede e 
schizzate del sangue degli ebrei trucidati nell'eccidio del 1389, sul 
quale il rabbi Avigdor Karcompose un famoso lamento (4)
俊ausend Jahre z鄣lt der Tempel schon in Pragha scritto Else 
Lasker-Scher in una lirica (5) Si diceva che fosse piantica di 
San Vito e di tutte le chiese praghesi. Sulla sua origine esistono 
varie leggende: a) fu costruita con pietre del distrutto Tempio di 
Gerusalemme, che portarono a Praga gli ebrei provenienti dalla 
Palestina; b) gli anziani della comunitscavarono in un punto 
indicato da un vecchio veggente, trovando sotto un rialzo di terra la 
sinagoga gipronta; c) gli angeli trasferirono a Praga (come da 
Nazareth a Loreto la casa della Vergine) i frantumi del Tempio di 
Gerusalemme e li ricomposero, con l'ingiunzione di non mutarvi mai 
nulla. Chi tentdi cambiare qualcosa in quella buia cella a doppia 
navata fu colpito da sventura e da morte. Durante un incendio della 
Cittebraica gli angeli, creature di fiamma essi stessi secondo il 
Talmud (6), apparvero in forma di bianche colombe sulla cuspide, sul 
cappello a punta della sinagoga, salvandola con la loro presenza dal 
fuoco (7)
NOTE:
(1) Cfr' Hana Volavkov ZmizelPraha cit', p' 23; id', E'idovsk
m瘰to praeskcit', pp' 15-16; id', Zmizelpraeskghetto cit', pp' 
10-14; Vojtebl Volavka, Pout' Prahou: D疀iny a um瘽 Praha 1967, p' 
59.
(2) JiwKar滻ek ze Lvovic, Gotickdu蟌 (1900), Praha 1921, cap' 
XXI, p' 91.
(3) H'C' Andersen, N歍hernseskupen in M瘰to vidim velik
cit', p' 411.
(4) Cfr' Alois Jir滻ek, Ze eidovsk逸o m瘰ta, in Starpov瘰ti 蟌sk
cit', pp' 199-200; Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', p' 
177.
(5) Else Lasker-Scher, Der alte Tempel in Prag (1920), in 
Dichtungen und Dokumente, Mchen 1951, p' 38.
(6) Cfr' Henri serouya, La Kabbale, Paris 1947, p' 98.
(7) Cfr' Adolf Wenig, O Staronovsynagoze, in Starpov瘰ti 
praeskcit', pp' 309-14; Karel H歍ek, Pov瘰ti o Staronov螶ole, in 
褾eno starPraze, Praha 1948, pp' 27-31.
51
Per le straduzze del ghetto incede una schiera di signori barbuti 
di colore ulivigno con nere palandrane dalle bianche lattughe e con 
neri cappellacci schiacciati. Sembra una visita di spiriti. Sono i 
soci della Confraternita funebre (促ohwebnbratrstvoovvero 青hevra 
kadi螮, che si occupava delle opere pie, del conforto ai malati, 
dell'assistenza ai morenti, delle pompe esequiali, della custodia dei 
cimiteri. Era un grande onore far parte di questa venerabile 
congregazione. Al banchetto annuale per la nomina del primicerio gli 
affiliati bevevano da brocche di vetro, sulle cui guance erano 
dipinte scenette di funerali (1) La loro compunzione declinante alla 
malinconia, il loro incesso gravigrado contrastavano con le 
mattaccinate dei 剎adch霵im i pagliacci del 促orimEccoli dunque, 
mentre, con pettini d'argento per carminare le chiome dei morti, con 
spazzolini d'argento per nettarne le unghie, con mucchietti di terra 
da mettere sotto le teste esanimi, si dirigono, maschere arcigne, 
verso l'antico cimitero ebraico.
Le leggende, fondandosi sull'errata lettura di alcune lapidi, 
collocarono in etimmemorabili l'origine di questa necropoli. In 
realtla pivecchia pietra tombale, quella del poeta sinagogale e 
rabbino Avigdor Kar del 23 aprile 1439. Nel suo lamento per il 
pogrom del 1398 Karafferma che nemmeno gli avelli sfuggirono alla 
furia della ciurmaglia cristiana, ma egli si riferisce di certo ad un 
altro piantico luogo di seppellimento. L'ultimo cippo risale al 17 
maggio 1787. Quell'anno, per evitare il contagio della peste, 
trovandosi il cimitero frammezzo alle case abitate, vi si cessarono 
le inumazioni, su ordine di Giuseppe II (2)
Compressa in un'area esigua tra le sinagoghe Klaus, Pinkas e 
Vecchio-Nuova, - dalla parte del fiume la necropoli ebraica confinava 
in antico con bordelli e baracche di boia, di reietti, di 
accalappiacani e fogne di nitro e capanne di salnitrari (3) Viluppo 
di tombe sovrapposte e stipate, quel defuntoro palesa la stessa 
smania di assiepamento che riscontriamo nelle catapecchie e nelle 
cataste di oggetti dei rigattieri del ghetto.
Per penuria di spazio nuova argilla veniva gettata sui vecchi 
sepolcri, sicchin certi punti vi sono fin dodici strati di tombe 
l'una sull'altra, e cispiega l'inegualitdel terreno (4) Da 
quegli strati sporgono fitte agglomerazioni di lapidi cionche, 
cascanti, inclinate come i ciechi di Breugel, sprofondate sino alla 
punta, inghiottite dal suolo umido e nero.
I signori della confraternita si fanno strada a fatica tra gli 
stretti sentieri, e i loro gesti sbilenchi somigliano alle posture 
malferme delle stele tombali. Pietre scontorte come denti sradicati, 
rugose tiare di pietra confitte nel fango, lastre che strisciano come 
剃uls-de-jattesu inestricabili grovigli di cippi, stele scalzate 
dalle contorsioni dei morti, dalle escrescenze della terra compongono 
un misterioso balletto. Il nipote di Rabbi L饖, Samuel, che si spense 
nel 1655, voleva esser sepolto vicino alla tomba del nonno. Ma tutto 
lo spazio contiguo era ingombro, ed allora, tuffete di qua e tiffete 
di l l'arca del Rabbi si mosse per fargli posto (5)
Come stracci di crespo tele di ragno si tendono fra le urne. Sulle 
urne i visitatori, i discendenti, i devoti, come un tempo gli ebrei 
nel deserto in mancanza di fiori, hanno lasciato mucchietti di 
sassolini in segno di ossequio per i trapassati. Nelle straduzze del 
ghetto non rameggiavano altri alberi che quelli dipinti sui muri. Ma 
nel giardino dei morti, tra le lapidi erose, si intrecciano scarni e 
aggrinziti e ricurvi frutici di sambuco, quasi mimando l'inclinazione 
delle lapidi. In primavera un subisso di piccoli bianchi sambuchi in 
corimbi pervade l'aria di un odore pungente, e la popolosa famiglia 
di lastre rachitiche e storpie sembra trarre sollievo da quelle 
bianche infiorescenze.
Holunderble (Sambuco) si intitola una novella (1863) di Wilhelm 
Raabe, storia di uno scioperato studente che, giunto a Praga da 
Vienna, conosce nel ghetto una ragazza ebraica, nipote del custode 
del cimitero e discendente di Rabbi L饖, la quale, "come la figlia di 
Giobbe ha nome Jemima. Con lei lo studente passeggia tutta 
un'estate tra le lapidi e i frutici di sambuco, ascoltando leggende 
sui trapassati. Come il fascino della morente Marinka, figlia di un 
violinista mendico, nell'omonimo racconto di M歊ha (1834), la 
bellezza di Jemima stona con la miseria e col sudiciume streghesco 
dell'ambiente in cui vive (6) Anche Jemima sa di esser vicina alla 
fine, perchsoffre di cuore, come la gracile ballerina Mahalath, che 
si spense nel fiore degli anni, l'ultima (secondo Raabe) creatura 
inumata, nel 1780, in quel camposanto.
俊u mi dimenticherai come si dimentica un sognodice Jemima al suo 
innamorato, ed aggiunge: 俘icordati del sambuco!Nel maggio 
dell'anno dopo (1820), tornando, quando i sambuchi fioriscono, nella 
citt che 前ssa stessa simile a un sogno mentre Praga, adornata 
di ghirlande e tappeti e stendardi, si prepara alla festa di San 
Giovanni Nepomuceno, - lo studente, nel ghetto, in cui regna a 
contrasto un silenzio lugubre, apprende che Jemima morta. Col 
lusinghevole aroma dei suoi sambuchi, con la sua secolare putredine, 
con l'obliquitdelle sue lapidi che hanno il cipiglio di maligni 
feticci, il cimitero contagia una malinconia perniciosa, micidiali 
fuliggini. 亟 dire - prorompe Raabe - che essi chiamano questo luogo 
Beth-Chaim, la Casa della Vita!
In quel teatro litologico sembra di udire la Preghiera della pietra 
di Vladimir Holan, nei cui versi un masso, non importa se della 
famiglia dei 匍enhiro dei 削olmeno delle 匍ass軸飆o delle stele 
praghesi, si esprime con un suo oscuro linguaggio catacumbaro:
Paleostom bezjazy,@ maden泉n at kraun at tath柑u at sa@ luharam 
amu-amu dahr!@ Ma yana zinsizi?@ Gamchabatmy! Darsk 柑d殃n darsk 
bameuz.@ Voskresajet at maimo 螮rgiz-duz,@ chisoh ver gend ver 
sabur-sabur@ Theglathfalasar@ bezjazy munay! Dana! Gamchabatmy!@ 
(7). La preghiera holaniana potrebbe intendersi come l'eulogia di un 
defunto, attribuendo alla parola 哉oskresajet(che poi il russo 
咬isorge 咬isuscita un valore simile a quello che ha 
l'espressione 恃滎闣(pace) negli antichi epitaffi greco-ebraici di 
Palestina (8) Lo stesso Holan, nel diario Lemuria, chiama 
冠ktinolitla pietra tombale, ossia 厚ietra-luce(dal greco akt鮢: 
luce, splendore) (9)
I signori della confraternita vagano tra l'immenso gregge annerito 
dei cippi. Immenso in un recinto cosangusto, che si penetra a 
stento fra il pigia pigia dei sepolcri. Undicimila cippi vi sono, da 
quelli pisemplici e rozzi di arenaria, quadrati o bislunghi, con la 
cima piatta o a mezzaluna o cuspidale, alle stele del XVI secolo, pi
raffinate e piappariscenti, in marmo rosso di Slivenec o pietra 
calcare, sino ai sarcofaghi del Seicento, come quello di Rabbi L饖, 
in forma di tabernacolo, di arca (卻hel volgarmente 則酳slech 
casetta), in cui si riflette l'influsso dell'architettura barocca 
(10)
NOTE:
(1) Cfr' Hana Volavkov Walter Sojka e JiwWeil, Pr驠odce po 
St漮nim eidovsk鄉 museu v Praze, II, Praha 1956, pp' 15-16; Hana 
Volavkov Pwib璡 eidovsk逸o musea v Praze, Praha 1966.
(2) Cfr' Hana Volavkov E'idovskm瘰to praeskcit', pp' 19-20; 
id', Zmizelpraeskghetto cit', pp' 22-24; Stareidovskhwbitov v 
Praze, Praha 1958, p' 7.
(3) Cfr' id', Okolo star逸o eidovsk逸o hwbitova v Praze, in 
E'idovskro蟌nka (5717), Praha 1956-57, pp' 75-84.
(4) Cfr' Stareidovskhwbitov v Praze cit', p' 8.
(5) Cfr' Stareidovskhwbitov v Praze cit', p' 19; Karel Krej鍎, 
Stareidovskhwbitov praeskv pov瘰ti a legend in StaletPraha, 
III, Praha 1967, p' 41.
(6) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 192-93.
(7) Vladimir Holan, Modlitba kamene, in Na postupu (1943-48), Praha 
1964, p' 12.
(8) Cfr' Otto Muneles - Milada Vilimkov Stareidovskhwbitov v 
Praze, Praha 1955, p' 55.
(9) Vladimir Holan, Lemuria cit', p' 147.
(10) Cfr' Stareidovskhwbitov v Praze cit', p' 10; Hana 
Volavkov E'idovskm瘰to praeskcit', p' 20; id', Zmizelpraesk
ghetto cit', pp' 23 e 28.
52
Le lapidi sfoggiano una doviziosa simbologia. Le mani benedicenti 
sono il segno dei 勃鐬滱im i sacerdoti; la brocca e la bacinella il 
segno dei loro coadiutori, i 勁鈞駧mForbici indicano la tomba di 
un sarto, pinzette quella di un medico, un mortaio con pestello parla 
di uno speziale, un'arpa di un liutaio, un libro di uno stampatore, 
un 前tr鐷di un venditore di cedri per la festa di Suk飆 (Pod 
Zelenou) Un grappolo rappresenta saggezza e fertilit una scenetta 
in paradiso vuol dire che in quel sepolcro riposa una donna di nome 
Chava (Eva), e una rosa una Rosa, e le immagini di animali, un 
intero bestiario (cervo, orso, lupo, leone, volpe, gallo, colomba, 
carpa, oca), designano cognomi ferini (1)
Di un avello, sul quale erano raffigurati Adamo ed Eva, si 
favoleggiava che vi giacessero due giovani sposi stroncati il di 
delle nozze dall'angelo della morte. E di uno, sul quale due galline 
da lati opposti puntavano il becco contro una testa femminile, che vi 
dormisse un'adultera, cui per castigo le galline avevano beccato gli 
occhi. Si narrava anche che Rabbi L饖 avesse fatto inumare in un 
angolo del cimitero la carogna di un cane gettata per spregio dal 
muro (2)
Oltre al nome del morto e al suo titolo e alla sua professione e 
alla data del transito e delle esequie (partendo dalla creazione del 
mondo), le lapidi racchiudono epiteti, frasi stereotipe di elogio e 
di augurio per la vita eterna in versetti o prosa rimata, elenchi 
delle benemerenze, formule di rimpianto attinte alla Bibbia e alla 
letteratura rabbinica (3)
Ti sembra, in quel funerario balletto, che anche le lettere delle 
lapidi debbano a un tratto animarsi, come le parole del libro Ibbur, 
che uno sconosciuto dagli occhi obliqui consegna ad Athanasius 
Pernath nel romanzo di Meyrink. I quadrati caratteri ebraici (forse 
analoghi a quelli delle antiche stamperie del ghetto) compongono, 
assieme ai simboli, pittografie alfabetiche, poemi ottici, 
paragonabili alle insegne di vecchie botteghe praghesi, che Josef 
螮pek celebrnel volume Nejskromn疀鍎 um瘽(Le arti pimodeste, 
1920) Non a caso Hoffmeister ha effigiato il cimitero ebraico in 
collages quasi lettristici, dove gli stessi sambuchi ricalcano le 
forme delle lettere impresse sulle affastellate pietre tombali (4) 
Diresti che in quella necropoli i cippi e gli avelli e gli arbusti e 
i signori della confraternita si tramutino tutti in lettere danzanti, 
combinandosi insieme con permutazioni fantastiche, come in un folle 
esercizio talmudico di acrologia.
Questi 剎izzarri geroglifici come Raabe li chiama, hanno 
ammaliato parecchi scrittori. Josef K', in un breve racconto di 
Kafka, compie in sogno una visita a un cimitero, che certo il 
cimitero del Quinto Quartiere, e vi incontra un artista dal berretto 
di velluto (forse un collega di Titorelli), il quale con una comune 
matita scrive a lettere d'oro con grandi svolazzi: 侶ui giacesu una 
pietra tombale (la pietra, sotto cui Josef K' scivolerpoco dopo): 
保gni lettera appariva nitida e bella, incisa profondamente, e tutta 
d'oro(5)
Nel romanzo Ganymedes (1925) di JiwKar滻ek l'inglese Adrian 
Morris, enigmatico come il Pellegrino di Crawford, 哎omo-sfinge si 
aggira per il cimitero ebraico, cercando il sarcofago di Rabbi L饖 e 
interpretando le scritte e gli emblemi che adornano i cippi (6) In 
Hobby (1969) di JiwFried il narratore, nella malinconia del 
tramonto, si reca con un copista maniaco, givecchio, a contemplare 
le lapidi di un sepolcreto, che forse quello del ghetto, - gli 
epitaffi in ebraico, che il suo personaggio trascrive come formule 
arcane, pur senza capirle.
Dov'il matematico Josef 螮lomo ben Elijahu Delmedigo de Candia? 
Dov'l'annalista ed astronomo David Gans? Dov'il macellaio David 
Koref? Dove sono i rabbini Zeeb Auerbach e David Oppenheim? Dov'
Rabbi Jehuda L饖 ben Becalel? Dov'Mordechaj Maisl? E Frumeta, la 
sua seconda moglie? E Hendel, la sposa dello 信ofjudeJakub Ba蟌vi 
di Treuenberk, nella cui tomba dicevano fosse riposta una regina 
polacca? (7) Dove sono i signori della confraternita, che erano qui 
poco prima, neri e di cosstrutta apparenza da sembrare rigogoli in 
larghi cappelli a focaccia? Involti alla melma, schiacciati sotto 
faglie di pietre, poltiglia, licheni, ombre della memoria.
俏el buio entra l'ombra e l'uomo nell'argillasussurra, nel poema 
Sv皻lem od瘽(Vestita di luce), Jaroslav Seifert, nella sua 
passeggiata per Praga appressandosi in punta di piedi, sommesso, sul 
far della sera, ai muri del cimitero del ghetto, da cui si propaga 
l'umore pestilenzioso, il malocchio del Golem (8) E non solo di quel 
fantoccio di creta. Perchla necropoli brulica di fantasmi. Sotto 
una lapide, che raffigura una donna in mezzo a due galli, giace un 
prete cattolico, transfuga dell'ebraismo, il quale volle esser 
sepolto accanto all'ebrea amata nella giovinezza. E ogni notte uno 
scheletro lo traghetta attraverso la vitava, perch nella cattedrale 
di San Vito, egli possa sonare all'organo salmi di penitenza (9)
NOTE:
(1) Cfr' Stareidovskhwbitov v Praze cit', pp' 10-11; Hana 
Volavkov Zmizelpraeskghetto cit', p' 28.
(2) Cfr' Karel Krej鍎, Stareidovskhwbitov praeskv pov瘰ti a 
legend in StaletPraha cit', III, pp' 44-45.
(3) Cfr' Otto Muneles - Milada Vilimkov Stareidovskhwbitov v 
Praze cit', pp' 61-93.
(4) Cfr' Miroslav Lama V蓨varndilo Adolfa Hoffmeistera cit'
(5) Franz Kafka, Un sogno (1914-15), in Racconti cit', pp' 263-65.
(6) JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes, Praha 1925, cap' XII, pp' 42 
e 43.
(7) Cfr' Karel Krej鍎, Stareidovskhwbitov praeskv pov瘰ti a 
legend in StaletPraha cit', III, pp' 45-46.
(8) Jaroslav Seifert, Sv皻lem od瘽cit', p' 30.
(9) Cfr' Karel Krej鍎, Stareidovskhwbitov praeskv pov瘰ti a 
legend in StaletPraha cit', III. cfr' anche Stareidovsk
hwbitov v Praze cit', pp' 17-18.
53
Il cimitero ebraico ha incantato la fantasia di molti pittori cechi 
(Antonin M滱es, Jaroslav 蟌rm毾, Vojt瑿l Hynais, Jindwibl 褾yrsk 
Adolf Hoffmeister) e di alcuni scrittori stranieri, come Andersen e 
Liliencron (1) Nei soggiorni praghesi il polacco Przybyszewski vi 
andava a passeggiare con JiwKar滻ek (2), esperto di leggende 
golemiche e maestro di attrezzeria sepolcrale, come puvedersi anche 
dal 咬omanetoZastwenobraz (Il quadro velato, 1923), in cui si 
profila un altro camposanto della cittvitavina, quello in sfacelo 
di MalStrana (a Ko鍎we), con malinconici frassini, croci di ferro 
arrugginite, angeli di stile impero (3)
Colpivano i visitatori la secolare mestizia di quel recinto, 
l'accatastarsi in un piccolo spazio dei morti di molte generazioni, 
sommersi, per dirla con Raabe, 剃ome in un vorace pantano senza 
fondo la torva vitalitdella plebe di pietre sciancate, il loro 
mistero che cresce nella stracca luce invernale, quando sporgono di 
sotto la neve ed il gelido vento scrolla gli striminziti rami. Rudolf 
Lothar, nel racconto Der Golem (1904), ha espresso la desolazione del 
cimitero del ghetto nei giorni in cui il turbinio della neve mette 
bianchi berretti alle stele, ermellino ai sarcofaghi e adagia un 
luccicante tappeto sugli angusti viottoli. Nell'opaca illuminazione 
di un pomeriggio d'inverno i cippi sembrano a Crawford le schiere di 
un grande esercito sbaragliato e i tisici arbusti uno stuolo di 
scheletri che tendano le braccia ossute. Ricordati del sambuco!
La spettralitdi quella necropoli spiega perchRaabe, Kar滻ek, 
Crawford vi abbiano ambientato scene arcane. Kar滻ek, in Ganymedes, 
ne fa il luogo d'incontro dell'eccentrico inglese Adrian Morris e 
dello scultore ebraico danese J顤n Moller, un occultista che cerca di 
estrarre dall'epitaffio scolpito sull'arca di Rabbi L饖 il segreto 
della fabbricazione del Golem, - un negromante malato dal naso 
咬icurvo come il becco di un rapacee coi perfidi occhi iniettati di 
sangue, 剃ome stillanti un rossastro cupo succo di more(4) In quel 
fragoroso carrozzone, che il romanzo di Crawford The Witch of 
Prague, al cimitero del Quinto Quartiere la strega onorna ipnotizza 
il giovane ebreo esaltato Israel Kafka e in catalessi gli fa rivivere 
tutti i tormenti sofferti dal ragazzo 蟊mon Abeles, il quale, secondo 
la leggenda, fu martoriato ed ucciso dal padre, perchaveva abiurato 
la fede ebraica.
Questa leggenda, prosperata dalla propaganda della Controriforma, 
destrumore nell'etbarocca. Bramoso di convertirsi alla religione 
cattolica, nel settembre 1693 il dodicenne 蟊mon Abeles fuggdal 
ghetto nel collegio gesuitico Clementinum, per farsi battezzare. Ma i 
genitori se lo ripresero indietro, ed il padre, con l'aiuto di un 
certo L鐽l Kurtzhandl, lo sottopose a torture e, il 21 febbraio 1694, 
lo uccise. Il delitto venne scoperto, e Lazar Abeles, arrestato, si 
impiccai filatteri nella prigione del Municipio della Citt
Vecchia. Il boia strascinil suo cadavere fuori le mura, lo squart 
gli cavil cuore, spiaccicandolo sopra la bocca. Kurtzhandl, 
condannato a morte il 19 aprile 1694, fu messo alla ruota e poich 
vinto dalle sofferenze, accettdi cambiar fede, gli fu concesso il 
vantaggio di esser finito dal re dei capestri con un solo fendente.
Egon Erwin Kisch, esaminando gli atti del processo inquisitorio, si 
convinse che il caso Abeles fu una mostruosa montatura del politbjur
dei gesuiti (5) La salma del ragazzo, esumata dal cimitero ebraico, 
venne esposta per un mese intero al municipio della CittVecchia, e 
le folle la visitavano, intingendo il fazzoletto nelle fontane di 
vivo sangue sgorganti dalle ferite. Da uno sfarzoso corteo esequiale 
infine, nel marzo 1694, 蟊mon Abeles fu accompagnato nella chiesa di 
T蓽, dove trovsepoltura vicino alla tomba di Tycho Brahe. Il clero, 
le scolaresche, la nobiltin apparenza di duolo, le campane di tutte 
le chiese salutarono il martire, il nuovo campione dei repertori 
agiografici. Ma spaventoso era il silenzio nel ghetto (6).
A detta di Raabe, non v'in tutto il mondo alcun camposanto in cui 
il cielo, squassato dalla tempesta, diventi cosnero come sulla 
necropoli del ghetto praghese. I vecchi sambuchi 剃ome creature 
viventi sospirano e gemono in grande tribolazione青on un sinistro 
gorgoglio il terreno sorseggia i torrenti d'acqua che colano in basso 
dai cippi ammonticchiati l'uno sull'altroPrima che il temporale 
tinga di inchiostro la faccia del cielo, usciamo, signori della 
confraternita funebre, da questo recinto che non mi dnell'umore. 
Percha ogni cosa riparo fuor che alla morte.
NOTE:
(1) Cfr' M瘰to vidim velikcit', pp' 412 e 460-61.
(2) Cfr' Stanis獪w Helszty盭ki, Przybyszewski cit', p' 451.
(3) Cfr' Otakar 褾orch-Marien, Sladko je 鋱t cit', pp' 104-6 e 212.
(4) JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes cit', cap' XII, p' 44.
(5) Cfr' Egon Erwin Kisch, Aus Glaubenhass, in Prager Pitaval 
(1931), Berlin 1953, pp' 85-98; in ceco col titolo Ex odio fidei..., 
in PraeskPitaval, Praha 1968, pp' 103-11.
(6) Cfr' Zikmund Winter, 鍒st kulturnhistorick in Praesk
Ghetto cit', p' 52; Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', p' 
178.
54
Quando, all'inizio dell'Ottocento, furono abbattute le mura e le 
porte, a segnare i confini tra il ghetto e la CittVecchia rimasero 
solo matasse di filo metallico, ossia 削r漮yo 恃錩ryA mano a 
mano gli ebrei danarosi evasero dallo sporco e sovraffollato Josefov, 
trasferendosi in case moderne e accrescendo la propria ricchezza con 
speculazioni e commerci (1) All'alba del Novecento lo spazio intorno 
ai giardini Vrchiick ovvero lo Stadtpark praghese, e la zona 
residenziale di Bubeneerano un plesso di superbe fabbriche e ville 
di ebrei milionari (2) Ma anche la piccola borghesia di contabili, 
impiegati d'ordine, commessi viaggiatori, che amava la dignitdel 
solino inamidato, abbandonl'奎jrew il recinto del Quinto 
Quartiere.
Nel ghetto rimasero i poveri in canna e gli ortodossi fanatici. E 
in cambio nelle umide tane cominciad affluire la poveraglia 
cristiana: branchi di marranchini e frapponi, accattoni, truffieri, 
bagasce, bastasi, gente sospetta e perduta. La Cittebraica, detta 
俚a dr漮em(Oltre il filo di ferro), per il filo che ancora negli 
anni Settanta penzolava ormai floscio in alcuni punti del suo 
perimetro (3), divenne ridotto di malviventi e di naufraghi, 
pozzanghera di cantoniere, terra promessa di ladri e di vagabondi, 
covacciolo della libidine.
青ome se qui avesse fine la giurisdizione del resto del mondo e il 
solitario viandante fosse qui abbandonato all'arbitrio di altre 
potenze invisibili, occulte - e maligne(4) Aggirandosi in quel 
territorio, l'inglese Adrian Morris, nel romanzo Ganymedes di 
Kar滻ek, 哀entiva l'umiliazione dell'antico ghetto oggi ormai 
demolito, l'impurited il lerciume dei suoi edifici sbreccati, delle 
sue tortuose strade e straduzze, piene del brulichio di abitanti che 
erano usciti dalle loro afose e laide spelonche...(5).
Ripugnanti rifiuti ingombravano il putrido selciato, tutto gore 
cloacose e rivoli d'acqua fetente. Migliaia di ratti avevano 
domicilio in quei vicoli. E, mancando il quartiere di destri e di 
fogne, vi si respiravano infette zaffate di miasmi. Sulla soglia 
delle catapecchie, dai muri macchiati come lamprede e murene, donne 
discinte facevano i loro bisogni alla vista del prossimo e, nei 
giorni torridi, quando nelle spelonche si soffocava, si mettevano in 
strada a spidocchiare i bambini (come una volta in remoti villaggi 
della mia Sicilia: ho ancora nella memoria lo schiocco dei pidocchi 
schiacciati tra le unghie dei pollici) Nelle calde sere, seduti su 
panche dinanzi ai neri portoni, gli inquilini delle maleolenti 
casupole ciarlavano coi loro dirimpettai, e non v'era segreto di 
famiglia che non corresse di finestra in finestra, di porta in porta, 
da sporti a cortili (6)
Nella lirica Z ghetta (Scene del ghetto) Jaroslav Vrchiick
raffigura una donna, che in un ardente pomeriggio d'estate va 
barcollando per questa 咬ete sinuosa di case sbilenche - e luride 
per questo 匍iscuglio di spazzatura e macerie - una donna gialla 
nel viso, malmessa, con piume nei capelli arruffati, col 厚eso della 
maternitsotto il velo di logori stracci inseguita e derisa dalla 
marmaglia (7)
Ma diamo uno sguardo all'interno di quelle fredde e muffite 
stamberghe, sentine di fetore, buche di ogni sporchezza. Corde o 
linee tracciate col gesso sul pavimento dividevano in molti scomparti 
stanzette di pochi metri quadrati, e in cospiccolo spazio vivevano 
promiscuamente persone di varia ete di sesso diverso, conosciutesi 
in una taverna o in galera, mariuoli incalliti e proprietari falliti, 
che un tempo avevano posseduto in altri rioni di Praga appartamenti 
ovattati da morbide tappezzerie. Era dunque ogni stanza una sorta di 
Pertusocupo, un dominio di sorci, un accampamento di stramazzi 
imporriti e giacigli di tavole, in cui, fra spettrali frontiere di 
gesso, si ammucchiavano vecchi malati e giovani sposi in amore e 
meretrici e bambini, e in cui le donne partorivano sotto gli occhi di 
estranei, un Pertusocupo, in cui la sera l'affollamento cresceva per 
l'arrivo di quelli che, dopo aver mendicato l'intero giorno, verso il 
tramonto si riconducevano a casa. Il pigia pigia di fantesche e di 
aiutanti nella camera surriscaldata di K' all'Osteria del Ponte nel 
Castello kafkiano sembra riflettere l'accatastarsi di molti inquilini 
in un vaso esiguo nei vili pertugi di Josefov.
Il provento maggiore della poveraglia confluita nel ghetto e degli 
ebrei ivi rimasti era costituito dalla baratteria di ogni specie di 
ciarpe. Su bancarelle e all'imbocco di scure botteghe rivenduglioli 
buffi, omini in bombetta esponevano le loro Tr鐰elwaren, adescando 
con viso astuto i bighelloni ed i cacapensieri che andavano al ghetto
per curiosare. Ne Le Passant de Prague Apollinaire racconta: 俏ous
travers滵es le quartier juif aux 彋alages de vieux habits, de
ferrailles et d'autres choses sans nom(8) A ogni passo, ad ogni
angolo, da bugigattoli e cave stormi di rigattieri garrivano per
spacciare le cianfrusaglie racimolate in cittdagli 則andrlata
::::::::::
(8) Guillaume Apollinaire, 飀vres completes, a cura di Michel
decaudin, I, Paris 1965, p' 109.
NOTE:
(1) Cfr' Hana Volavkov ZmizelPraha cit', p' 50; id', E'idovsk
m瘰to praeskcit', pp' 29, 32; Karel Krej鍎, Praha legend a 
skute螽osti cit', p' 381.
(2) Cfr' Pavel Eisner, Franz Kafka a Praha, in 便ritickm瘰斁n骿 
1948, 3-4.
(3) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety, I, Praha 1926, pp' 
207-8.
(4) Ibid', IV, Praha 1938, pp' 120-21.
(5) JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes cit', cap' XII, p' 42.
(6) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', IV, pp' 122-23.
(7) Jaroslav Vrchiick Z ghetta, nel ciclo Praeskobr漘ky della
raccolta Mvlast (1903)
55
Robivecchi ambulanti, gli 則andrlata(1) con un sacco in spalla
giravano di casa in casa a comprare stracci e rottami. Figure 
costanti delle strade di Praga, come i 削r漮enici(sprangai) e gli 
卻p滱k漙i(sandalai) slovacchi dai larghi cappelli rotondi (2) 
Erano vecchi, vecchissimi, e ormai quasi diafani, come di paglia, 
connestabili di Matusalemme, amostanti della Befana. Avvolti in 
sordidi e lunghi cappotti neri, simili ai caffettani degli ebrei 
polacchi, piegandosi sotto il peso del sacco, entravano in tutti i 
cortili, con voce strascicata e lamentosa gracchiando: 
信滱drle-h滱dele v(3) Un codazzo di ragazzacci li canzonava: 
信滱drle-h滱dele v e invano, per spaventarli, essi agitavano il 
sacco.
Se dalle finestre o dai ballatoi si sporgeva una testa curiosa, lo 
則andrle questo dieu-clochard, ammiccando con aria volpina, urlava 
come per scherzo: 俏yx cu handln, nyx cu 螮chrn?(4) Dal primo 
piano gli fa segno la signora Hlochov ha ammonticchiato per lui 
nella stretta cucina la roba smessa del marito: scarpe scalcagnate, 
panciotti consunti, cilindri ammaccati che arricciano il pelo. Lo 
則andrleacquista tutto, ma stiracchia disperatamente sul prezzo, 
bisogna chiedergli il triplo, per poi calare man mano. Se gli si 
offrono scarpe, vuole vestiario, se abiti, vorrebbe scarpe. E bench
in ugual modo bramoso di abiti e scarpe, afferma che quella merce non 
lo interessa e che la prende soltanto per 南on aver fatto le scale 
invano
Raggiunto l'accordo, domanda: 俏ient'altro, signora?La signora 
Hlochovestrae da una cassapanca un'intera flottiglia di bianchi 
colletti duri, e guanti e bombette ed un parapioggia. Lo 則andrle
acquista tutto, non c'bazzecola che egli rifiuti: rasoi, pettini, 
lampade, forbicine dalle punte spezzate, speroni, blonde, albi, toppe 
sprovviste di chiavi, ciocche recise da capigliature prodigiosamente 
cresciute per merito della lozione di Anna Csillag. Soltanto una cosa 
non gli va a sangue: i cappellini di donna.
La signora Hlochovne tira fuori uno antiquato, lucente di 
naftalina, da un grand'armadione: lo 則andrlesobbalza, stringe le 
palpebre, come se avesse adocchiato un 匍滻ik un demone, esclama 
con sdegno: 俏on sono una modista, signora mia!Ma poi sul 
cappellino scorge una nera piuma di struzzo: 俟 quella piuma la 
prendo, ma il cappello se lo putenereIl tiremmolla continua per 
ore. pivolte l'omicciolo sparuto si getta il sacco in spalla, 
spalanca la porta e finge di andarsene, ma poco dopo allunga la 
testa, come un burattino, dalla tenda che copre la porta, dicendo 
亭acciamo un ducato e ottanta, signora, Dio lo sa, pidi tanto non 
posso...(5).
Tutto ciche gli 則andrlatacompravano nei loro pellegrinaggi per 
i cortili praghesi finiva, assieme alla merce rubata, nella congerie 
di bagattelle e rottami al 咨andlmarke nelle viuzze del Quinto 
Quartiere. Negli antri profondi dei fondachi e in gerle e su 
bancarelle per strada si affastellavano mortai acciaccati, grattuge 
scontorte, mazze, martelli, scalpelli, strumenti scassati, 
irriconoscibili pezzi di macchine, trappole. Fangosi ferri di cavallo 
spaiati, ramaiuoli e padelle e catene da fuoco, fucili privi del 
calcio, verduchi, spadini con impugnature di madreperla, orologi 
senza quadrante, 俟chwarzwaldsenza soneria, manichi di coltello 
senza codolo, forchette senza rebbi, durlindane senza elsa, colini 
sfondati, schioppi senza grilletto, bilance senza aghi (6) E inoltre 
un 勃udlmudldi libri vecchi (7), in cui rovistare con gioia, 
scarpe-barcacce, urnette di pipe, ombrelli, abiti incincignati, che 
puzzavano di sudore.
cos nelle strade del ghetto, con minuzie da cleptomania e con 
sbrendoli racimolati per tutta Praga, si innalzava una sorta di 
Merzbau, una babelica darsena di rifiuti. Come se vi si fossero dati 
convegno tutti i cocci e i detriti, le scorie, i fracassati strumenti 
della creazione. Se nella 恃ackomoradi Rodolfo II primeggiava 
l'argento, nei rigiri del Quinto Quartiere era il ferro arrugginito a 
predominare. A tutti gli ammassamenti praghesi di oggetti, siano 
preziositda parata o vili reliquie del quotidiano diluvio, sembra 
presiedere l'apotropaica potenza, l'antimalia dei metalli.
Vecchie fotografie ci conservano l'immagine delle buie botteghe dei 
rigattieri del ghetto, stipate di merce sino al soffitto. La merce 
trabocca dalle grandi porte di legno spalancate, accatastandosi su 
trespoli e sul suolo. Omini in bombetta, con brache cadenti da clown, 
i rigattieri si fanno fotografare, solenni come 勃int羃 georgiani, 
sotto l'insegna del proprio negozio, dinanzi a orologi, gabbiette per 
uccellini, mestole, lumi a petrolio. Meyrink ricorda nel Golem i 
dozzinali arnesi ammucchiati in una di queste botteghe: 勁a tromba di 
latta storta senza le chiavi, il quadro ingiallito dipinto su carta, 
coi soldati cosstranamente aggruppati. Poi una ghirlanda di 
arrugginiti speroni appesi a una cinghia di cuoio ammuffita ed altro 
ciarpame mezzo marcito. E sul davanti per terra, fittamente pigiate 
l'una sull'altra, cosche nessuno puvarcare la soglia della 
bottega, una serie di piastre rotonde di ferro per fornelli
Al Quinto Quartiere le cose mozze e sciancate si rimettevano in 
piedi. I quadranti ritrovavano le perdute lancette, i fucili il 
grilletto, le lame il manico. E qualsiasi 厚i褾unt滎(8), qualsiasi 
quisquilia diventava una meraviglia da fiera. La domenica in specie 
questo microcosmo della compravendita formicolava di folla. Venditori 
e clienti mercanteggiavano con urli e spergiuri e stiracchiamenti e 
dissensi, menando le mani come sonatori di pifferi. Vi si animava un 
teatrino, un battibuglio di figurette che avrebbe potuto ispirare un 
Bruegel boemo (9)
NOTE:
(1) Dal tedesco 則andeln commerciare.
(2) Cfr' Karel H歍ek, 褾eno starPraze cit', pp' 265-66.
(3) 侶ualcosa da commerciare?
(4) 恃achrn corruzione del tedesco 哀chachern trafficare al 
minuto (come facevano appunto i mercanti girovaghi ebraici) In ceco, 
con valore dispregiativo, 恃achrovati
(5) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', I, pp' 202-9.
(6) Cfr' ibid', IV, pp' 123-24.
(7) 勃udlmudl c籯ulo di polverosi volumi. Cfr' Otakar 
褾orch-Marien, Sladko je 鋱t cit', p' 107.
(8) Corruzione del tedesco 雨estandteil(pezzo, parte, elemento)
(9) Cfr' Zikmund Winter, 鍒st kulturnhistorick in Praesk
ghetto cit', p' 61.
56
La notte convenivano al ghetto i pifieri beoni e sbordellatori di 
Praga. 侮ous allez voir: - dice Isaac Laquedem ad Apollinaire - pour 
la nuit, chaque maison s'est transform嶪 en lupanar(1) Le 
straduzze del Quinto Quartiere erano fertili di taverne e postriboli 
e di ogni sorta di panie. Taverne affumicate, puzzanti di muffa e 
decrepitezza, con gli avventori assiepati in un piccolo spazio sotto 
una lampada a olio che gettava un giallastro barlume sui loro 
corpacci gonfi (2) Bordelli che, per decreto del 1862, inalberavano 
dinanzi alla porta, su una lunga asta di ferro, una lanterna con luce 
rossa (3), - rossa come le luci degli 則onky-tonkse dei 哀aloon
nel quartiere di Storyville a New Orleans, agli inizi del jazz (4)
Chi fosse andato, ombra ambigua, per i meandri del ghetto la notte, 
nella torbida fiamma dei rari lampioni a gas, avrebbe incontrato 
nugoli di uccellatrici: 剌lundry 剌uchtle 剎ludi螶y(5) che, con 
movimenti della bocca sguaiatamente truccata, gesti di mani, girate 
d'occhi ed alzando la gonna, per mostrare le calze 哇eisiggr 
adescavano i passanti (6) In certe strade quasi ogni casa era 
albergo di prostituzione (7), dalle cui porte e finestre ammiccavano 
vecchie ruffiane, baldracche in disarmo dalle poppacce grinze 
pendenti ormai sino ai cubiti. 隹 chaque porte se tenait, debout ou 
assise, t皻e couverte d'un ch滎e, une matrone marmonnant l'appel 
l'amour nocturne(8)
Le calze verde-lucherino, le bieche lanterne, ampolle di rosso 
liquido medicinale, nella notte viziosa del ghetto. In molti bordelli 
sonavano arpiste cieche. V'erano anche lussuosi 哀aloni(come il 
Sal霵 Aaron descritto da Paul Leppin), con pianoforte e con stanze 
intonacate di lucidi specchi, dove sfatte e opulente puttane, degne 
dei quadri di Pascin, le 勉epti螶y le 匍onache come sono chiamate 
in alcune canzoni praghesi (9), trascinavano pigre lo strascico stile 
Secese su spessi tappeti. I provinciali capitati nel Quinto Quartiere 
in cerca di svaghi rischiavano di risvegliarsi amputati del 
portafoglio e senza orologio nanelli (10) Nelle taverne nebbiose e 
nei luoghi di malaffare venivano spesso delinquenti e guidoni e 
professori dell'arte di Michelasso a nascondersi e gendarmi dal 
cappello di cacciatore con piume di gallo a scovarli (11)
Ma curioso che sino all'ultimo, accanto alle case del 
traviamento, sopravvivessero nel Quinto Quartiere le case di austeri 
ebrei ortodossi, che santificavano al vecchio modo le feste. Accadeva 
perciche al fragore delle Tanztavernen, all'urlo dei beoni per 
strada, al suono delle arpe, alle squacquerate di risa delle bagasce 
si mescolasse il monotono salmodiare delle preghiere del sabato, che 
usciva dalle sinagoghe (12)
Sullo scorcio dell'Ottocento personaggi bislacchi accrebbero 
l'ambiguit l'ibridezza, la stramberia di Josefov. Nelle sue viuzze, 
attorniati da una frotta di strepitanti ragazzi, passeggiavano il 
minuscolo, ben vestito e ben raso, signor Wehle, detto 俐ehle mit dem 
Parapl(Wehle col parapioggia), perchsempre munito di un 
ombrello e di un parasole, uno aperto sul capo e l'altro chiuso sotto 
l'ascella, secondo il tempo, e il malinconico Chaim Paff, detto 促aff 
mit der ledernen Flinte(Paff dal fucile di cuoio), che fuggiva 
sbraitando dalla paura, se a bruciapelo qualcuno lo assaliva col 
verso "piff paff(13)
Servette infelici in amore, dame fruscianti di seta, persone 
smaniose di antivedere la sorte accorrevano da ogni parte di Praga, 
per consultare le chiromanti e le streghe, numerose nel Quinto 
Quartiere. Abitavano, quelle indovine, in smattonati bugigattoli, cui 
si accedeva passando per un ghirigoro di ballatoi, corridoi ed altre 
stanze, ingombre di abitatori che scrutavano gli intrusi con sguardi 
guerci e avidi. Nei bugigattoli, angusti come tagliuole, le 
chiromanti maneggiavano mazzi di carte rigonfie, gessetti, bottiglie 
di limacciosi liquidi, libri di geomanzia. Accanto a parecchie di 
quelle megere ronfava un nero gattaccio infernale dalla testa di 
allocco (14)
NOTE:
(1) Guillaume Apollinaire, Le Passant de Prague, in 飀vres 
completes cit', pp' 111-12.
(2) Cfr' Jan Neruda, Obr漘ky policejn(1868), II.
(3) Cfr' Karel H歍ek, 褾eno starPraze cit', pp' 262-63.
(4) Cfr' Barry Ulanov, Storia del jazz in America, Torino 1965, pp' 
36-37.
(5) Zoccole, troie, fiammelle vaganti. La parola 剎ludi螶a(fuoco 
fatuo) piaceva a Kafka: 青ome devono essere poveri, abbandonati e 
intirizziti coloro che pretendono di scaldarsi alla fiamma di questi 
miasmi, di questi gas di palude(Gustav Janouch, Colloqui con Kafka 
cit', p' 90)
(6) Cfr' Paul Leppin, Das Gespenst der Judenstadt, in Deutscher 
Dichter aus Prag, a cura di Oskar Wiener, Wien-Leipzig 1919, pp' 
197-98.
(7) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', IV, pp' 131-32.
(8) Guillaume Apollinaire, Le Passant de Prague, in 飀vres 
completes cit', pp' 111-12.
(9) Cfr' Pisnlidu praesk逸o, a cura di V歊lav Pletka e Vladimir 
Karbusick Praha 1966, p' 93.
(10) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', IV, p' 137.
(11) Cfr' ibid', p' 135.
(12) Cfr' ibid', p' 133.
(13) Cfr' Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten cit', pp' 115-16.
(14) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', IV, pp' 129-31.
57
Il lezzo, l'umidit la sporcizia nauseante, la decrepitudine delle 
casupole sovraffollate, causa di contagi e di alta mortalit la 
carenza di servizi igienici e di acqua potabile, l'angustia delle 
straduzze malconce e senz'aria e senza un filo di sole, la miseria e 
la prostituzione e la malavita che vi si annidavano: tutto ci
indusse gli amministratori di Praga a distruggere il ghetto (1) In 
seguito all'冠sana螽z毾on(legge sul risanamento) dell'11 febbraio 
1893, la Cittebraica, ad eccezione di alcune sinagoghe e del 
municipio e del camposanto, fu interamente rasa al suolo e cassata.
Sparirono le storte catapecchie, e le balere, i bordelli, le 
mescite, i saloni, le bettole: 俠ojz斁ek 俠uskovic 侯ener滎 俠a 
vecchia signora(俟tarpan儢), 俠a stella diana(非enice, 俠e 
tre carpe(俊wi kapwi, 俗 Li螶欞, 隹lla bestia astuta(俗 
chytr逸o zvirete: rovinnella polvere la Babilonia, in cui si 
infognava la melma di ciurmadori, lenoni e relitti (2) Anche se 
erano valide le ragioni del diroccamento, si demoltuttavia con 
soverchia implacabilite leggerezza un complesso cospittoresco. Se 
non sapessimo che in questa impresa di smantellamento ebbe gran parte 
la speculazione edilizia, potremmo quasi supporre che il desiderio di 
cancellare l'umiliazione del ghetto aumentasse la furia sterminatrice 
dei demolitori. Le viuzze si trasformarono in larghi boulevards di 
tipo parigino, alle infami spelonche si vennero sostituendo lussuosi 
palazzi di stile Secese, che appagavano l'ansia di fasto della grossa 
borghesia (3)
Del resto la legge sul risanamento non si riferiva soltanto al 
quartiere ebraico. Molte zone di Praga, che non rispondevano alle 
esigenze igieniche di una cittmoderna, come ad esempio Na 
Franti螶u, crollarono sotto il piccone. La spietata devastazione 
suscitlo sdegno di molti uomini di cultura. Per iniziativa di Vil鄉 
Mr褾骿, l'autore del romanzo Santa Lucia (1893), alcuni scrittori 
promulgarono, il 5 aprile 1896, il manifesto 恃esk鄉u lidu(Al 
popolo ceco) in difesa delle antichitminacciate.
Lo stesso Mr褾骿 pubblicnel 1897 l'opuscolo Bestia Triumphans, 
ardente panfletto contro coloro che in nome di un ipotetico 
risanamento sconciavano il sembiante di Praga, sventrando e 
agguagliando al suolo prestigiose e bizzarre fabbriche, per 
surrogarle con squallide 俐ohnmaschinenInsipienza, 
mentecattaggine, antitesi dell'umanismo, la Bestia Triumphans, figura 
ricavata da Aurora di Nietzsche, accieca e abbrutisce i suoi 
accoliti, spingendoli a deturpare con atti vandalici la citt
vitavina. 促olitica del belletto, circo di maschere farisaiche cos
Mr褾骿 definisce l'irresponsabile azione del 剃onsiglio municipale
asservito alla Bestia Triumphans (4)
Nella devastazione della vecchia Praga, di questo 厚aradiso del 
cuore Mr褾骿, proveniente dall'ancora intatta provincia morava, 
intravede una conseguenza del decadimento della cultura nazionale 
che, per smania di modernismo, rinnega le tradizioni, il folclore, le 
patriarcali costumanze (5) Altri scrittori riprendono il tema di 
Mr褾骿. Per Jir滱ek anche il taglio dello 哀plendido ramo di un 
secolare castagno in via Letensk熐, l'abbattimento di un platano, la 
lottizzazione di un vetusto giardino testimoniano della feroce 
invadenza della Bestia Triumphans (6) E Vrchiick nella lirica 
StarPraha (Vecchia Praga), cantando 勁a cittguastata dall'epoca 
nuova si rammarica dello sparire dei 哉ecchi cantucci dei 哉ecchi 
templi delle 哀trette viuzze tortuose del 剋hetto mistico dei 
哉ecchi lungofiumi(7)
pivolte i poeti espressero malinconia di quel mondo perduto. Paul 
Leppin, nel racconto Das Gespenst der Judenstadt, narra della bella e 
malata prostituta Johanna, che scappa una notte dall'ospedale, per 
tornare nel 哀alonein cui lavorava, ma non trova pil'edificio, 
che il risanamento ha spianato (8) E Vrchiick piangendo la 
scomparsa del ghetto, esalta le affumicate e crollanti sinagoghe 
superstiti: 青ome vedove siete, voi grigie sinagoghe,@ la veste a 
brandelli e sulla testa cenere,@ ma quando la notte col nero t滎ess 
scende in terra,@ vedo le vostre finestre brillare di fiamma e di 
porpora@(9)
Sebbene lo zelo del risanamento abbia dissolto questo palcoscenico 
di sortilegi, tuttavia il tanfo e la malsania e il mistero del Quinto 
Quartiere sono ancora presenti nell'aere grasso di Praga. 非entro di 
noi - disse Kafka a Janoubl - vivono ancora gli angoli bui, i 
passaggi misteriosi, le finestre cieche, i sudici cortili, le bettole 
rumorose e le locande chiuse. Oggi passeggiamo per le ampie vie della 
cittricostruita, ma i nostri passi e gli sguardi sono incerti. 
Dentro tremiamo ancora come nelle vecchie strade della miseria. Il 
nostro cuore non sa ancora nulla del risanamento effettuato. Il 
vecchio malsano quartiere ebraico dentro di noi pireale della 
nuova cittigienica intorno a noi. Svegli, camminiamo in un sogno: 
fantasmi noi stessi di tempi passati(10)
A volte, in certe ore magiche, il sentore del ghetto diroccato 
sembra diffondersi in ogni cantuccio di Praga, come l'afrore della 
birra, come la muffa del fiume. GiNezval notche di tanto in 
tanto, 哀pecie nei giorni in cui i cieli si aggrondano per la 
tempesta ma la tempesta non viene l'incantesimo della Cittebraica 
si espande a tutti i quartieri, 剃ome un'ala troppo a lungo tesa al 
volo in uno dei vecchi musei(11) Lo stesso Nezval rammemora una 
passeggiata notturna con Jindwibl Honzl nello stralunato distretto 
dell'antico Josefov che, ormai con vedute a suo dire dechirichiane, 
gli fornisce la chiave per una diversa concezione emotiva di Praga 
(12) Il fitto assieparsi di febbrili stamberghe si dunque mutato 
nella nostalgica rarefazione di un circondario da Pittura Metafisica.
NOTE:
(1) Cfr' Hana Volavkov ZmizelPraha cit', pp' 66-79.
(2) Cfr' Karel L' Kukla, E'blu螄 (Obr漘ek eivota v no螽kr螸, in 
Ze v蟌bl koutPrahy, Praha 1894, p' 165.
(3) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', p' 274.
(4) Vil鄉 Mr褾骿, Bestia Triumphans, Praha 1897, p' 12.
(5) Ibid', p' 14.
(6) MiloJir滱ek, O kr滻nPraze, in Dojmy a potulky (1901-908), 
ora in Dojmy a potulky a jinprice cit', p' 45.
(7) Jaroslav Vrchiick StarPraha, nel ciclo Praeskobr漘ky 
della raccolta Mvlast cit'
(8) Paul Leppin, Das Gespenst der Judenstadt, in Deutsche Dichter 
aus Prag cit', pp' 197-202.
(9) Jaroslav Vrchiick Starsynagogy, nel ciclo Novhebrejsk
melodie della raccolta Z漥ady, 1907.
(10) Gustav Janouch, Colloqui con Kafka cit', p' 34.
(11) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 324.
(12) Id', Wet瞛 褾瘰tcit', p' 118.
58
Che cos'un Golem? Un uomo artificiale, d'argilla. Come 
l'attendente 襒ejk, il servo Golem un personaggio-chiave di Praga 
magica. Il vocabolo ebraico 剋olem(in jiddisbl 剋鎩lem, che si 
incontra nel Salmo 139, indica un rudimento, un germoglio, un 
embrione o piuttosto, come Ceronetti traduce, un 剋rumo informe
Non ti era il mio corpo nascosto@ nel chiuso dove mi hai fatto@ gi
nella terra dove mi hai tessuto@ un grumo informe i tuoi occhi mi 
videro@ (15-16) (1). L'accenno alla terra invoglia a supporre che gi
nella Bibbia 剋olemdesigni un ammasso di creta (2)
Il concetto di 剋olemimplica dunque qualcosa di incompiuto, di 
ruvido, di embrionale. Nel Talmud una donna che non abbia ancora 
concepito, una brocca che abbia bisogno di levigatura si addimandano 
剋olem(3) Dal significato di 勇mperfettoe di 剋rossolano
breve il passo a quello di omaccio balordo e goffissimo.
La creazione del Golem, questo spasso rabbinico, ricalca il mito di 
Adamo, l'unico uomo che non uscda ventre materno, ma fu impastato 
con la polvere dallo stesso Elohim (Genesi 2, 7) (4) Si potrebbe 
dire che l'antico protoplasto fosse anche lui una massa informe di 
terra (terra vergine), un golem, finchJahve Elohim non soffinelle 
sue narici, facendone un paradisiaco hortolano. E viceversa che il 
Golem sia un adamo rimasto incompiuta parvenza d'argilla, senza uno 
spirito vitale. La sua afasia dimostra che sprovvisto dell'anima, 
anche se alcuni mistici affermano che, sebbene privo della Nescham
(la Luce di Dio), avrebbe invece la Ruabl e la Nefesbl o almeno, come 
le bestie, quest'ultima, l'anima vegetativa (5)
Le numerose varianti della Golemlegende presentano tutte il muto 
fantoccio di mota come un servitore torvo e tardissimo, come un 
plumbeo zanni. Ha statura ben confacevole a un gigante, atti da 
babbuino, due froge che paiono due chiaviche, una bocca grande quanto 
un palmento. Nella tavolozza sgargiante delle varianti tre motivi 
ricorrono con piinsistenza: la condizione servile (Knechtmotiv), la 
collera che esplode in rivolta, il ritorno alla terra, materia 
costitutiva.
Come si fabbrica un Golem? Bisogna anzitutto purificarsi. La pi
antica ricetta contenuta nel commento del fantasioso Eleasar di 
Worms (1176-1238) allo Sefer Jezira, il Libro della Creazione, un 
testo che occorre conoscere bene, prima di accingersi all'opera (6) 
Impastare un pupazzo con terra vergine, e poi girargli intorno pi
volte, recitando, in molteplici permutazioni, le lettere del 
tetragramma. Girare quattrocentosessantadue volte, propone una delle 
varianti (7) Poi, per metterlo in moto, gli si incide il vocabolo 
Emet (Verit sulla fronte oppure gli si introduce in bocca lo schem 
(schem hameforasch), il foglietto col nome impronunziabile di Dio. 
Poichi segni alfabetici hanno avuto una parte essenziale, assieme 
ai numeri e alle sefirot, nella creazione dell'universo, anche il 
modellamento dell'uomo fittizio, imitazione della fattura divina, si 
vale del contributo possente della parola. E' la virtmagica 
dell'alfabeto, e in specie del tetragramma, a infondere istinti e 
impulsi di locomozione nella misera argilla.
Come si distrugge un Golem? Girare in senso contrario, recitando 
per maleficio l'alfabeto all'inversa, ma fare attenzione al numero 
degli avvolgimenti, alle combinazioni delle lettere, alla maniera di 
incedere. Perchnon si finisca come quegli scolari di un mistico 
che, girando all'indietro con andatura sbagliata e mormorando le 
lettere in un ordine falso, sprofondarono sino all'ombelico nel fango 
e sarebbero morti, se il rabbi non fosse intervenuto a correggerli 
(8) Ma vi sono mezzi pisemplici per fiaccare e dissolvere un 
Golem, che sia divenuto, Dio ce ne scampi, arrogante.
Gli si toglie di bocca lo schem oppure, se ha sulla fronte il 
vocabolo Emet, si cancella la prima lettera, in modo che resti 
soltanto Met (ossia: morte), e il fantoccio si affloscia e ritorna 
ammasso di molle belletta. Ma anche qui si faccia attenzione, perch
non accada come al rabbino polacco Elijahu di Che瘱, detto Bal-Schem, 
illustre gaon e taumaturgo del XVI secolo, il quale persuase con 
un'astuzia il fantoccio a chinarsi, per abradergli dalla fronte la 
prima lettera di Emet, ma la madornale congerie d'argilla gli croll
addosso, schiacciandolo (9)
NOTE:
(1) I Salmi, a cura di Guido Ceronetti, Torino 1967, pp' 266-67.
(2) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage und ihre Verwertung in der 
deutschen Literatur, Breslau 1934, pp' 1-2.
(3) Cfr' ibid', p' 2.
(4) Cfr' ibid', pp' 3-4.
(5) Cfr' Chajim Bloch, Der Prager Golem (von seiner 亮eburtbis zu 
seinem 俊od, mit einem Geleitwort von Hans Ludwig Held, Berlin 
1920, p' 177: trad' franc' Le Golem (legendes du Ghetto de Prague), a 
cura di Fran蔞is Ritter, Strasbourg 1928, p' 167. Cfr' anche Henri 
S鈔ouya, La Kabbale cit', pp' 355-60.
(6) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', p' 10.
(7) Cfr' ibid', p' 11.
(8) Cfr' ibid'
(9) Cfr' Chajim Bloch, Der Prager Golem cit', p' 196, e Le Golem 
cit', pp' 8-9; Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', pp' 20-21.
59
Non c'era un tempo cittaduzza della Slavia centro-orientale che non 
avesse una sua Golemlegende. Non c'era rabbino che non vagheggiasse 
di foggiare androidi e automi con l'aiuto dello Sefer Jezira. Fra 
tutti i nomi di manipolatori di argilla emergono quelli del gi
ricordato Rabbi Elijahu di Che瘱 e di Rabbi Jehuda L饖 ben Becalel, 
che fabbricil suo Golem nel ghetto di Praga.
L饖 (o L饖e o Liwa) nacque a Worms o a Poznatra il 1512 e il 
1520, fu rabbino a Mikulov in Moravia, poi a Poznae infine, dal 
1573, a Praga, dove si spense nel 1609 (1) Intendentissimo di 
matematica e fisica e astronomia, molto internato nell'intelligenza 
della Agadah e capitale nemico degli arzigogoli della talmudiana 
casistica, il Maharal (2) era in concetto di uno dei piprofondi 
pozzi di erudizione dell'epoca (3) 俠a sua fama - si legge nel 
racconto Der Golem (1904) di Rudolf Lothar - dilaga per tutta la 
terra. Di lui parlano imperatori e sovrani, e tutti i luminari sono 
suoi amici. Ciche scrive prezioso come oro e gioielli, e ciche 
dice gli posto in bocca da Dio(4)
Ma come si spiega che la leggenda golemica si sia cossaldamente 
appiccata a un sapiente estraneo alla cabala, la cui biografia non 
fornisce appigli al mito della creazione del pestifero mostro? (5) 
Si spiega forse con l'atmosfera demoniaca di Praga, seminario di 
androidi e patrocinio di larve, - Praga dell'etdi Rodolfo II, della 
quale egli fu un personaggio cospicuo. La leggenda trasforma Rabbi 
L饖 in un cabalista e in un mago addottorato nelle scienze del 
diavolo: cionel tipico campione di un'epoca in cui torme di 
cerretani da fiera e di mangiaguadagni degni di sprofondare negli 
ultimi tufi dell'inferno tenevano il campo accanto ai cattedranti e 
alle arche di sapienza, ed era grande la fede nelle potenze 
soprannaturali.
Dotato di straordinarie virttaumaturgiche, nella leggenda Rabbi 
L饖 si fa illusionista ed ombromane, Totenbeschw顤er, maestro di 
goezia e distillatore. Non a caso nella commedia Rabinskmoudrost' 
(La saggezza rabbinica, 1886) di Jaroslav Vrchiicke nel racconto 
Der Golem di Rudolf Lothar e nel film Der Golem (1920) di Wegener il 
suo gabinetto una vera fucina alchimistica, con athenor, segni 
astrali, libri occulti, lambicchi ed altri strumenti per sublimare.
NOTE:
(1) Cfr' Chajim Bloch, Le Golem cit', pp' 213-14; Beate Rosenfeld, 
Die Golemsage cit', p' 26.
(2) Maharal (Mhrl): abbreviazione di 匍orenu harab Rabbi L饖Cfr' 
Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', p' 22.
(3) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', p' 26.
(4) Rudolf Lothar, Der Golem (Phantasien und Historien), 
Mchen-Leipzig 1904, pp' 4-5.
(5) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', p' 25.
60
L'avvenimento principale della vita di L饖 l'udienza che il 16 
febbraio 1592 gli accordRodolfo II (1) Qualche storico afferma che 
essi parlarono dei problemi della comunitebraica. Ma la leggenda 
vuole che Rodolfo II, bramoso di penetrare i segreti dell'universo, 
interrogasse il mago sulla cabala e su cose mistiche e arcane. Questo 
colloquio colple fantasie, perchrimase avviluppato nel mistero e 
perchun ebreo (di alta condizione, ma pur sempre ebreo) era stato 
ammesso a discorrere con l'imperatore.
Le leggende e la letteratura hanno aggrandito il legame di Rabbi 
L饖 con la corte e coi dotti e con gli astronomi di corte e 
specialmente con Rodolfo II, - legame che avrebbe assicurato la 
protezione imperiale agli ebrei praghesi. Nella commedia di Vrchiick
Rabinskmoudrost' il perfido ministro Lang, fogna di biasimatissime 
indegnit si lamenta che, per l'appoggio di Tycho e del 剃iarlatano
Keplero, il Maharal goda il sommo favore di Rodolfo II (2) Max Brod 
immagina che Tycho Brahe e il rabbino, ieratici onniscienti, si 
incontrino nell'anticamera dell'imperatore: e che Tycho scorga 
un'analogia con la propria vita randagia nel destino del popolo 
ebraico braccato, ma abbarbicato alla fede.
Nell'avvicinarlo all'ambiente di Rodolfo II, le leggende dilatano 
la stregheria del rabbino, facendone quasi una sorta di Faust giudeo. 
Non si conoscevano ancora, quando L饖, per implorare la revoca del 
decreto di espulsione degli israeliti da Praga, andincontro 
all'imperatore sul Ponte di Pietra, tagliando la strada alla superba 
carrozza tirata da quattro cavalli, che incontanente si arrestarono, 
come per murmurazione di incanti. La plebe prese a scagliargli 
addosso fanghiglia e sassi, ma sassi e fango si mutarono in fiori. 
Cosparso di fiori, il rabbino cadde in ginocchio: Rodolfo gli 
concesse la grazia per la gente del ghetto ed inoltre lo invita 
corte (3)
Al Castello, in una saletta remota, dopo essersi fatto promettere 
che nessuno lo avrebbe interrotto con chiacchiere e risa, L饖 
acconsentad evocare alla presenza dell'imperatore e dei cortigiani 
le ombre dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe e dei dodici figli 
di questo. Nel buio, da un braciere di rame carboni roventi 
sprizzavano lunghe matasse di fumo. Su una parete, chiamate dai 
vocaboli magici del rabbino, comparvero ad una ad una dal fumo le 
madornali figure della Genesi. Ma quando Neftali, uno dei dodici 
figli di Giacobbe, rossiccio e lentigginoso e scrignuto, si libr
sbilicando con salti zanneschi su uno scenario di spighe e di steli 
di lino, Rodolfo e con lui i cortigiani maleficiati proruppero a 
ridere sgangheratamente. La visione spar e con uno schianto il 
soffitto cominciad abbassarsi sui dignitari atterriti e li avrebbe 
schiacciati, se L饖 non lo avesse fermato, recitando formule della 
cabala (4)
Nel Balladenfilm Der Golem di Wegener invece Assuero che provoca 
il riso, e il soffitto crollante vien puntellato dal fantoccio 
d'argilla, dopo che l'imperatore spaurito ha promesso clemenza agli 
ebrei che voleva sbandire. Meyrink asserisce che L饖 evocnella 
rocca di Rodolfo II 勁e larve dei morti servendosi di una 俠anterna 
magica e anche Kar滻ek, in Ganymedes, discorre dei 厚rodigi della 
lanterna magicadel rabbi (5) Saremmo tentati anche noi di inserire 
L饖 nel novero dei precursori del cinema, accanto al gesuita 
Athanasius Kircher, che per primo descrisse (1654) la lanterna magica 
(6), se non ricordassimo che giJohann Faust, in un Volksbuch del 
1587, richiama dal regno delle ombre dinanzi all'imperatore Carlo V, 
a Innsbruck, i gentili fantasmi di Alessandro Magno e della consorte 
(7) D'altronde, fra i cabalisti, ve ne furono alcuni, e basta citare 
Isaac Luria (1534-72), che con mormorio di scongiuri attiravano gli 
spiriti dall'oltretomba e tenevan commercio coi patriarchi biblici 
(8)
Rodolfo II decise un giorno di recarsi col seguito in casa di L饖 
(9), e per l'occasione il rabbino, sulle orme di Faust, che 
d'improvviso fa sorgere sopra un'altura un portentoso castello per il 
conte di Anhalt, mutla sua vecchia casa in una magione sfarzosa, 
tutta parata con marmi e damaschi e tappeti e pitture da trasecolare, 
come il castello di Marnost, la Vanit la regina del mondo, nel 
Labirinto comenico. cosuna meschina dimora incassata tra le 
fatiscenti catapecchie del ghetto divenne per fatagione no palazzo de 
sfuorgio, dal cui salone centrale (m漘hoz) si scorgevano infilate di 
splendide stanze con specchiere e con lustri di cristallo e con 
tavole sfavillanti di coppe d'oro e vasellame prezioso e geli bianchi 
e canditi e chiaretti e lecconerie. Che masticatorio e che festa si 
fecero. Un banchetto da disgradare quello imbandito da Faust 
nell'immaginario maniero.
Alcuni glossatori dei farfalloni della leggenda opinano che L饖 
avesse ottenuto la metamorfosi edilizia, proiettando nel proprio 
gabinetto l'intero castello di Hrad螮ny con gli inganni ottici della 
剃amera obscura(10) Questa 剃amera obscura nella commedia di 
Vrchiick diventa un 剎izzarro giocattolo una cassa girevole, nel 
cui intimo, diviso in quattro scomparti intercambiabili, L饖, 
剌attucchiero e stregone come vien definito dal pittore 
Arcimb[a]ldo, nasconde, destando la gelosia della moglie Perl, le 
ragazze insidiate dal solito Philipp Lang z Langenfelsu, briccone e 
vaso di ogni malizia. Quell'ordigno o baule non dunque soltanto un 
recondito laboratorio per 哀tudi sulla luceo per la ricerca 
dell'aurum potabile, ma anche un rifugio di perseguitati e un 
attrezzo da illusionista (11) 俠a mia camera - proclama L饖 - 
proprio la pancia della balena di Giona 勁dentro (il mio servo) 
Jechiel ha preparato in segreto diversi balocchi, v'un leone di 
ferro che cammina, e sino a poco tempo addietro v'era un fantoccio 
metallico chiamato Golem che, messo in moto da un interno meccanismo, 
apriva la bocca, imitando il linguaggio umano(12) Si noti: al 
manichino d'argilla Vrchiicksostituisce un automa metallico.
Il Wundermann Jehuda L饖, con le sue virtcabalistiche, tenne a 
lungo lontana la Morte. Una notte, durante la peste, girando per il 
cimitero, si abbattin una smunta, cachettica donna velata, che 
stringeva un foglietto. Le prese il foglio di mano e lo lacersenza 
indugi: era la lista dei morituri, e conteneva anche il suo nome, 
vergato con inchiostro rosso. Con varie astuzie riuscmolte volte a 
sfuggirle. Ma un giorno, per il compleanno, la nipotina gli regal
una magnifica rosa. Affatturato, si mise a odorarla, e cadde riverso: 
la Morte si era nascosta nel calice (13) La Morte in una rosa. Ahi, 
la Morte in una rosa. Per Nezval, guardata attraverso il filtro delle 
leggende, la parvenza di Rabbi L饖 si immedesima con la poesia:
Cercavi poesia e trovi leggenda@ servono dunque a qualcosa gli 
aneddoti su Rabbi L饖@ la tua storia poesia@ la tua storia come 
non riconoscerti@ mi porgi la mano da lontanissimi secoli@ sei stata 
tu a venir fuori sul Ponte di Pietra@ per ottenere l'udienza 
dall'imperatore@ la plebaglia ti accoglie con sassi sul tuo vestito@ 
cadono invece di fango fiori@ la tua casa diversa dalle altre 
dimore@ sei leone ed inoltre grappolo d'uva@ ravvivi le cose 
d'argilla e le cambi in creature caparbie@ metti in bocca a ciascuna 
lo schem@ la sua virtdura un secolo oppure una settimana@ occorre 
ogni venerdrinnovarla@ eppure poesia perchhai ucciso il Golem@ 
terribile abradere dalla propria fronte l'arcana scritta@ esser 
portati in solaio e dissolversi in polvere@ gelosamente tu agguati la 
morte e le prendi di mano le lettere@ dov'il tuo nome nell'indice 
dei predestinati a morire@ quella volta le sei sfuggita ma infine 
anche tu troverai poesia@ la morte nascosta in una rosa@ (14)
NOTE:
(1) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', p' 27.
(2) Jaroslav Vrchiick Rabinskmoudrost' cit', p' 18.
(3) Cfr' Alois Jir滻ek, Starpov瘰ti 蟌skcit', pp' 207-8; Adolf 
Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', p' 318; Eduard Peti螶a, Golem a 
jineidovskpov瘰ti a poh歍ky ze starPrahy, Praha 1968, pp' 
44-45.
(4) Cfr' Alois Jir滻ek, Starpov瘰ti 蟌skcit', pp' 208-9; Adolf 
Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', pp' 319-20; Beate Rosenfeld, Die 
Golemsage cit', p' 28; Eduard Peti螶a, Golem cit', pp' 48-50.
(5) JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes cit', cap' XII, p' 43.
(6) Cfr' Georges Sadoul, Histoire generale du cinema, I 
(L'invention du cinema), Paris 1946, pp' 99-100.
(7) Il Faust goethiano fa comparire dinanzi all'imperatore e alla 
corte Paride e Elena dal fumo di un tripode (II, 1) Nella commedia 
ceca per marionette Jan doktor Faust, derivata dal testo di Marlowe 
che recitarono in Boemia gli Englische Kom鐰ianten, Faust chiama 
dall'Erebo, per desiderio del re del Portukal (o scipersiano), il 
minuscolo David e il gigantesco Golia. Cfr' Loutk漙skhry 蟌sk逸o 
obrozen a cura di Jaroslav Barto Praha 1952, pp' 26-27, e Komedie 
a hry 蟌sk蓫l lidov蓫l loutk漙 a cura dello stesso, Praha 1959, pp' 
54-55.
(8) Cfr' Henri serouya, La Kabbale cit', pp' 416-17.
(9) Cfr' Alois Jir滻ek, Starpov瘰ti 蟌skcit', pp' 209-10; 
Chajim Bloch, Le Golem cit', pp' 182-86; Adolf Wenig, Starpov瘰ti 
praeskcit', p' 319; Eduard Peti螶a, Golem cit', pp' 51-53.
(10) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', pp' 28-29.
(11) Jaroslav Vrchiick Rabinskmoudrost' cit', pp' 108, 31, 102.
(12) Ibid', pp' 105 e 108-9.
(13) Cfr' Chajim Bloch, Le Golem cit', pp' 195-99; JiwKar滻ek ze 
Lvovic, Ganymedes cit', cap' XII, p' 43; Beate Rosenfeld, Die 
Golemsage cit', p' 29; Adolf Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', pp' 
326-27; Eduard Peti螶a, Golem cit', pp' 89-91.
(14) Vit瞛slav Nezval, Rabi L饖, in Praha s prsty de褾(1936) 
俠eonee 剋rappolo d'uvasono gli emblemi di Jehuda L饖.
61
State ora in orecchi, che sentirete come L饖 plasmil Golem. Nel 
5340 (1580), una notte, dopo aver fatto il bagno rituale nella m骿we 
e recitato il tortuoso salmo centodiciannove e letto brani del Sefer 
Jezira, il rabbino (l'aria), il genero Jizchak ben Simson (il fuoco) 
e il discepolo levita Jakob ben Chajim Sasson (l'acqua), avviluppati 
in un bianco capperone, si recarono alla luce di torce sulla sponda 
della vitava, dov'erano cave di salnitro e molto fango (1) Col fango 
(la terra) modellarono il Golem. Quindi Jizchak da destra e Jakob da 
sinistra compirono sette giri ciascuno intorno al fantoccio, 
borbottando combinazioni di lettere (zirufim) e trasfondendo nel 
corpo d'argilla, l'uno il rossore del fuoco l'altro l'umidezza 
dell'acqua. Il rabbino gli pose in bocca lo schem, il foglietto di 
pergamena col nome di Dio, gli ordindi levarsi sulle gambe e di 
obbedire come un servo, ciecamente. All'alba i tre tornarono in 
ghetto assieme a Jossile Golem e, per evitare importune domande, L饖 
racconta Perl, la sua petulante consorte, di aver raccolto in 
strada per compassione quel povero straniero mutolo (2)
Qual'era l'aspetto dell'androide di L饖? La leggenda lo veste da 
sch滵ess. Ma difficile ormai immaginarlo diverso da come lo 
raffigurWegener nel film Der Golem. Alto e gonfio, i capelli a mo 
di elmo compatto, scarpe-coturni, una giubba come un ghiazzerino di 
cartapecora pressata o piuttosto come una di quelle armature di 
cotone imbottito, indurite da un bagno nel sale, che indossavano i 
guerrieri aztechi. Nel film perla fabbricazione del manichino 
avviene in laboratorio come atto di schwarze Kunst, con l'ausilio 
delle congiunzioni degli astri e delle scienze chimeriche. L饖 
traccia un cerchio di fiamma, evocando Astarte, dea dei Cananei, e 
tra vampe e vapori di zolfo compare una bieca maschera, un Totenkopf, 
come di gelatina fosforescente. L'orrido ceffo fornisce al rabbino il 
vocabolo magico, che egli registra su una striscia di pergamena, per 
poi celare la striscia, assieme alla stella ebraica, nel petto del 
Golem (3)
Il fantoccio di creta sedeva assorto in un angolo, con lo sguardo 
ebete e fisso, aspettando gli ordini del Maharal. Docile e pecorone, 
eseguiva ogni suo volere. Con divertente incongruenza Meyrink 
asserisce che il rabbi aveva costruito l'omuncolo, 厚erchlo 
aiutasse a sonare le campane della sinagogaSecondo Vrchiick
invece l'omuncolo assisteva il rabbi nella sua 剃ucina cabalistica
(4) Poichil sabato Jossile Golem doveva astenersi da qualsiasi 
lavoro, ogni venerdal tramonto del sole L饖 gli toglieva di bocca 
(o dalla fronte o dal petto) lo schem, rendendolo inerte.
Ma una volta se ne dimentic Era ginella Sinagoga Vecchio-Nuova 
per la consueta cerimonia serale del venerd quando il Golem d'un 
tratto si mise a schiumare e a smaniare, invasato dai demoni. Dopo 
aver fracassato suppellettili e arredi e squarciato stramazzi di 
piume, si precipitsulla strada, strangolando galline e gatti, 
spianando dattorno ogni impaccio di case. Mamma mia, quant'era 
brutto. La rabbia lo aveva fatto abbottare come un rospo enorme. La 
gente, scappando a fiaccacollo, strillava: 侯ossile Golem 
impazzito!Spruzzando fiamme dagli occhi sanguigni e dibattendo la 
testa con violentissime concussioni, l'informe corpaccio incedeva 
pesante attraverso il ghetto aggrinzito dallo spavento.
Avvertirono L饖, e il rabbino interruppe subito il canto del salmo 
novantadue. Se avesse tardato, l'intero universo rischiava di esser 
distrutto. Se il sabato fosse iniziato, egli non avrebbe potuto 
fermare l'insano fantoccio. Con faccia annuvolita andincontro al 
Golem e svelto gli sottrasse di bocca il foglietto. Il servo furioso, 
tutto imbrattato di sangue e di sterro e di piume, ruzzol
tramortito. In sinagoga ripresero a salmeggiare. In alcune varianti 
la dimenticanza del rabbi spiegata col fatto che egli era in pena 
per la figlia Esther malata (5) Nel film di Wegener il Golem, 
placatosi il parossismo, esce dal ghetto su un prato inondato di 
sole, nel quale giuocano bambini ignari con ghirlandette di fiori sul 
capo. Spauriti, i bambini fuggono, ma poi, rincorato, uno di loro gli 
salta in braccio e gli ruba per scherzo la stella. Lo spropositato 
famiglio si affloscia e crolla di schianto. E' l'innocenza puerile a 
salvare il genere umano dalla stizza belluina dell'orco (6)
Ma quando il fantoccio fu reso inerme, che fece il rabbi? Coi due 
aiutanti, cui si era aggiunto lo sch滵ess Abraham Chajim, compsette 
giri al contrario intorno all'androide, pronunziando le formule della 
cabala in ordine inverso. Jossile Golem torngrumo d'argilla e fu 
abbandonato nel solaio della Sinagoga Vecchio-Nuova, sotto una 
ciurmaglia di logori libri e di vecchi tal逶ssim e gilguarniti di 
ziziss (7) Requie, scarpe e zoccoli. Eppure quei resti terrosi 
furono a lungo incentivo di orrore e feconda materia di nocumenti. Si 
diceva che L饖 avesse posto il divieto di recarsi in solaio. Un 
rabbino e gaon tuttavia, avvolto in un t滎iss-kotn e con le t'filin, 
volle esplorarlo, ma subito ne ridiscese sbianchito, tremante come 
una verga (8) Egon Erwin Kisch invece, salito spavaldamente in 
quella soffitta, non vi rinvenne nient'altro che cassapanche tarlate, 
candelieri incrostati di sego e un bric-brac ammuffito sotto strati 
di sudiciume e tele di ragno (9)
Un'altra leggenda racconta che lo sch滵ess Abraham Chajim, il quale 
aveva aiutato il Maharal a distruggere il Golem, deliber 
trasgredendo i precetti del rabbi, di rianimarlo. E una notte, 
assieme al cognato Abraham Sacharjach, sch滵ess anche lui, si intruse 
a foggia di ladroncello nel solaio della sinagoga e trasferil 
mucchio di creta a via Cik滱sk nella cantina del genero Ascher 
Balbierer, che era intendente di cabala. Mentre essi armeggiavano per 
ridar vita al fantoccio, scoppila peste, e il castigo divino con 
calamitosa sventura colpnei suoi affetti il ricettatore della 
dannatissima argilla: due dei cinque bambini di Balbierer morirono. 
Per cui con scompigliata fretta gli scham鈕sim misero dentro una bara 
il tetro aborto di terra e corsero a seppellirlo fuori le mura su una 
collina detta Calvario, vicino alla porta della CittVecchia (10)
NOTE:
(1) Cfr' Chajim Bloch, Der Prager Golem cit', pp' 47-52; Eduard 
Peti螶a, Golem cit', pp' 61-64; Pavel Grym, Tnoci povstal Golem, 
Praha 1971, pp' 11-63.
(2) Cfr' Chajim Bloch, Le Golem cit', pp' 40-42; JiwKar滻ek ze 
Lvovic, Ganymedes cit', cap' XVI, pp' 57-58.
(3) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', p' 148; Lotte H' 
Eisner, L'嶰ran demoniaque cit', pp' 47-48.
(4) Jaroslav Vrchiick Rabinskmoudrost' cit', p' 32.
(5) Cfr' Alois Jir滻ek, Starpov瘰ti 蟌skcit', pp' 210-11; Jiw
Kar滻ek ze Lvovic, Ganymedes cit', cap' XVI, p' 60; Beate Rosenfeld, 
Die Golemsage cit', pp' 31-32; Adolf Wenig, Starpov瘰ti praesk
cit', pp' 320-23; Karel H歍ek, 褾eno starPraze cit', pp' 30-31; 
Eduard Peti螶a, Golem cit', pp' 84-88.
(6) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', p' 146.
(7) Cfr' Chajim Bloch, Le Golem cit', pp' 160-62; JiwKar滻ek ze 
Lvovic, Ganymedes cit', cap' XVI, p' 61.
(8) Cfr' Chajim Bloch, Le Golem cit', pp' 208-10; Beate Rosenfeld, 
Die Golemsage cit', pp' 32-33.
(9) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 186-87.
(10) Cfr' Chajim Bloch, Le Golem cit', pp' 163-65; JiwKar滻ek ze 
Lvovic, Ganymedes cit', cap' XXVIII, pp' 93-94.
62
Chi avrpazienza di leggere tutto questo volume, sicuramente una 
cosa piacevolissima vi trover la parola Fine. Ma quali caratteri 
contraddistinguono il Golem praghese? Le leggende legittimano la sua 
creazione con la necessitdi difendere i contumacissimi ebrei dai 
pogrom che i cristiani scatenavano contro di loro, accusandoli di 
omicidio rituale. Il piaccanito nemico della gente del ghetto di 
Praga in quelle leggende un certo Taddeo, un fanatico frate, 
architetto di calunnie e macchinazioni, un furfante che sarebbe stato 
danno alle forche l'impiccarlo.
Il Golem del Maharal si rivela un soccorritore del tante volte 
malmenato rione ebraico, alle corte un paladino d'argilla. 
Soprattutto nel periodo tra il Porim e il P逶ssabl va in giro di 
notte per le sue viuzze sghimbesce, fugando ogni ombra sospetta, 
vigilando che qualche paltoniere non occulti nelle case ebraiche 
cadaveri di bambini cristiani. Una notte ha sorpreso il fatticcio 
beccaio cattolico Havl斁ek, mentre introduceva nella dimora del ricco 
Mordechaj Maisl, suo creditore, la salma dissepolta di un bimbo, 
nascosta nell'epa di un porco sgozzato (1)
Ecco perchJossile Golem dotato di forza superumana. 
Invulnerabile, sventa tutte le trappole, assaggia le costole dei 
farabutti con le sue manacce, sbaraglia la plebe malevola. Per di pi
egli reso invisibile da un amuleto di pelle di daino, cosparsa di 
cabalistiche formule, - un talismano di quelli di cui discorre 
Eleazar di Worms (2)
Foggiato dunque per compiti protettivi, il Golem praghese vien 
manovrato dal rabbi come un cieco palladio, un ariete sterminatore. E 
perci nella sua sconfinata sommissione di servo, non ha bisogno di 
intelligenza: un maccherone, un allocco, uno zucconaccio da 
sementa. Una sentenza attribuita a Jehuda L饖 asserisce che i 
movimenti di questo Tolpatsbl o pachiderma 冠ssomigliano a quelli di 
un automa obbediente all'impulso di chi lo ha costruito(3) Ma per 
il fatto che esegue i comandi alla lettera, incappando spessissimo in 
situazioni ridicole, il grossolano fantoccio tiene anche dei furbi 
tonti che ricorrono nelle favole (4)
Inviato a comprar mele al mercato, der dumme Hans alias Golem si 
tira dietro per le strade di Praga la venditrice con tutta la 
bancarella e le ceste di frutta (5), come quel servo che, avendogli 
detto il padrone: 促ortami un arancio schiantun albero intero di 
arance e, levatoselo in collo, glielo recimmantinente. Se va a 
prender acqua, Jossile allaga il cortile (6) Se Perl, cossimile 
alle svampite mogli di rebbi delle novellette chassidiche, lo manda a 
comprare pesci, Jossile, inviperendosi contro una carpa che lo ha 
colpito con la coda sul viso, getta i pesci nel fiume e ritorna a 
mani vuote (7) Del resto meglio non assegnarlo a lavori domestici: 
non tagliato per fare lo sparecchiatavole, il nettacucine.
Per l'onniveggenza, i prodigi, la strategia con cui muove il suo 
servo, il suo paladino, L饖 si tramuta in una sorta di z歍ik e 
Wunderrabbi, della stirpe dei bislacchi santoni che affollano i 
racconti chassidici. Non a caso quel fiele del frate 
Taddeo-sanguisuga, il quale non cessa un istante di macchinare 
tranelli contro gli ebrei, inebetito per le gesta del Golem, che 
mandano in fumo tutti i suoi intrighi, va affermando che L饖 un 
negromante. Grazie a Jossile, il rabbi sfugge anche al veleno che il 
maledetto Taddeo, pifastidioso di una zecca cavallina, ha fatto 
impastare nel pane azzimo (8)
Mentre la Golemsage polacca, imperniata su rabbi Elijahu di Che瘱, 
gisi incontra nel XVII e XVIII secolo, quella praghese risale 
soltanto alla stagione romantica. Essa narrata per la prima volta 
nello zibaldone di miti, curiosit aneddoti di vita giudaica, che 
l'editore ebreo boemo Wolf Pascheles pubblicin tedesco col titolo 
Sippurim tra il 1847 e il 1864. Prima di quelle date nessun documento 
(nla cronaca di David Gans del 1592 nla biografia di Rabbi L饖 
del 1718) accenna ad un Golem plasmato dal Maharal. Prima di quelle 
date ogni discorso sui g鐱lemess si riferisce di solito ai pupazzi 
d'argilla dei rabbini galiziani. Alla miscellanea Sippurim, 
articolata in cinque volumi, attinsero tutti i successivi 
raccontatori della leggenda, da Vrchiicka Kar滻ek, da Jir滻ek a 
Meyrink. Sono da considerarsi mistificazioni la lettera di Rabbi L饖 
sulla fattura del Golem, datata 1583 ma non anteriore al 1888, e il 
Volksbuch del 1909 Wunder des Rabbi L饖 (Niflaoth Mhrl), falsamente 
attribuito a un contemporaneo del grande gaon. Compendio e 
manipolazione di queste fonti il libro di Chajim Bloch Der Prager 
Golem (1920) (9)
cosla saga di Rabbi L饖 si ingigantita sino a mettere in ombra 
e a scalzare quella di Che瘱, e Praga diventata il precipuo 
Schauplatz delle leggende golemiche. Queste leggende innestano nella 
biografia del Maharal reminiscenze delle imprese di Faust, del Faust 
dei Volksbher e delle commedie ceche per marionette, - ma 
soprattutto avvicinano la sua figura all'area del chassidismo. La 
magia elementare che le pervade, la presenza di macchiette da 
aneddoto, una certa mattezza da m'schoge del rabbi e lo stesso 
interrompimento della preghiera e il ritardo della cerimonia: tutto 
cirisente della tradizione e delle trovate chassidiche. E non 
importa se il clima tetro di Praga e l'indole torva del pan毾 di 
fango escludono quell'ambigua gaiezza che fu una costante dei 
chassidim. C'pur sempre un abisso tra L饖, incarnazione della 
gravitdel sapere, esperto (a giudizio della leggenda) nelle 
cabalistiche scaltritezze, e Israel Bal-Schem-Tov, taumaturgo della 
Podolia, rozzo esorcista e venditore di talismani e di semplici, 
alieno dai cavilli anagogici e dalla talmudiana casistica.
Il ciclo praghese dilata il motivo dell'improvvisa demenza del 
corpo di creta, che sull'orlo del sabato minaccia sfacelo, non solo 
per la comunitdegli ebrei, ma anche per Praga e l'intero universo. 
Lo schem hameforasch, fomento di animazione e suscitatore di collera 
devastatrice, in questo ciclo diventa un attrezzo magico, un 
attrezzo-personaggio, come l'arcolaio d'oro di una ballata di Erben, 
e insieme un lasciapassare per il meraviglioso, un laccio del 
diavolo, un'esca di demonia.
Ma la Golemlegende di Praga accenna diagonalmente anche il tema 
della rivolta del manichino contro il proprio creatore: rivolta della 
forza bruta contro l'ingegno o del servo contro il padrone. E infine, 
osservando lo stretto nesso tra L饖 e il suo androide, si potrebbe 
anche insinuare che il Golem sia un fosco alterego, un terribile 
Doppelg鄚ger del rabbi. Con questo non voglio asserire che L饖 avesse 
la faccia laida e morchiosa del Jekyll di mota, ma certo che a 
tratti anche lui, al pari del suo paflagonico Knecht, sembra in 
quelle leggende il messaggero di una contrada di spettri, di una 
Lemuria.
NOTE:
(1) Cfr' Chajim Bloch, Le Golem cit', pp' 50-53.
(2) Cfr' Henri serouya, La Kabbale cit', pp' 176-77.
(3) Cfr' Chajim Bloch, Der Prager Golem cit', p' 177.
(4) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', p' 34.
(5) Cfr' Chajim Bloch, Le Golem cit', pp' 109-10.
(6) Cfr' ibid', pp' 43-44.
(7) Cfr' ibid', p' 108.
(8) Cfr' ibid', pp' 65-75.
(9) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', pp' 22-24; Karel 
Krej鍎, Stareidovskhwbitov praeskv pov瘰ti a legend in 
StaletPraha cit', III, p' 36; id', Praha legend a skute螽osti cit', 
pp' 179-80.
63
Nella letteratura golemica si alternano il motivo polacco (dello 
Emet) e quello praghese (dello schem) Sarebbe lungo elencare gli 
scrittori cechi e tedeschi che hanno narrato in drammi e ballate le 
imprese del feticcio d'argilla. Nelle loro pagine il Golem di 
solito ottusa fanghiglia che odia il suo plasmatore, impasto di 
belluine passioni, lacchgradasso ed agente di Barsabucco, 
incendiario avido di vendetta. La ribellione del gaglioffo non di 
rado coincide coi trucchi e con le mellonaggini della 
Schauerromantik.
A volte il santone si fa presuntuoso e si aderge in un empio 
a-tu-per-tu con Dio, vagheggiando l'ideale del Superuomo 
nietzscheano, - ma il castigo divino non tarda a travolgerlo, a 
infrangere il suo titanismo di princisbecco. A volte, nella schiumosa 
grandigia, egli appare soltanto un Menschiein, un omiciattolo, che 
non conosce i propri limiti.
Nella ballata Golem di Vrchiickla fabbricazione del mostro 
d'argilla un atto d'orgoglio del rabbi, il quale, sebbene 哀emplice 
gnomo(厚ouze trpasl骿, vuole agguagliarsi al Signore. Ma il 
manichino si gonfia sformatamente, smania come un diavolone dagli 
occhi di fuoco, flagizioso aborrisce i suoi vani esorcismi. Senza 
l'aiuto di Jahve, che con un lampo converte il fantoccio in un 
mucchio di polvere, il rabbino sarebbe perduto. cosDomineddio fa 
provare all'arrogante bambolaio e baccelliere il tormento da lui 
sofferto per la sedizione dei suoi figli demoni, scaraventati poi gi
nell'inferno (1)
Ma giLiliencron, nella ballata Der Golem (1898), aveva descritto 
la danza grottesca del rabbi, per imbrigliare lo scatenato pupazzo, 
che scalcia e si impenna e corseggia come un cavallo: 信opsa, hopsa, 
che razza di salti!Il ridicolo Golem di Liliencron non di creta, 
bens"di legno intagliato servitore instancabile, ecco i suoi 
compiti: 哀pazzare, far da cucina, - cullare bambini, pulire 
finestre, - lustrare stivali e cosviaE quando gli viene la 
senapa al naso, non solo 哀radica alberi dalla terra, - scaglia case 
nelle nuvole, - scaraventa uomini in aria ma addirittura 哀i calca 
lo Hradschin in testacome una parrucca. Tuttavia piridevole del 
Golem-cavallo (cavallo di legno) ci sembra il rabbino che, sebbene 
versato 南ella nera, - nell'ardua cabala quanto dovrfaticare, e 
che corse, che affanni, per strappargli il foglietto. E il poeta 
conclude: 青iche troppo saggio troppo sciocco talvolta(2)
Dalla ballata comica di Liliencron poco spazio separa la commedia 
dadaistica Golem (1931) dei clowns Voskovec e Werich. Qui un 
cantambanco girovago snocciola una Pisestra螿ivo Golemovi 
(Canzone tremenda sul Golem), tessuta con l'ingenuite la malizia 
delle 勃ram漙skpisn篕, le canzoni da fiera. Pigliandosi spasso 
della pecoraggine del padrone e del servo, il rapsodo racconta che, 
incollerito contro la zia, la quale gli ha sgraffignato la 
vecchio-nuova trombetta, L饖 modella un 剎oia un fantoccio, per 
incuterle paura e spiarne le mosse. Il Golem persi innamora della 
piacente e vogliosa zia del rabbino e, sorpresala tra le braccia di 
un uffizialetto di infanteria, tr麡ida il seduttore. La furiosa 
bertuccia d'argilla compie altri delitti, ma infine, assediata per 
nove mesi e nove settimane da un reggimento in un vecchio mulino, si 
toglie la vita, gettandosi in acqua (3) cosla saga golemica si 
cambia in mattaccinata, e il mago saccente e il suo gonzo servitore 
si affiliano alla consorteria dei pagliacci.
Tra i presunti pensieri di L饖 troviamo anche questo: 侵l Golem 
dovette esser creato senza istinto sessuale: se lo avesse avuto, 
nessuna donna sarebbe stata sicura dinanzi a lui(4) Eppure la 
storia dell'androide d'argilla come poteva difettare di supplementi 
erotici? In una moraleggiante e snervatella ballata del poeta 
praghese Hugo Salus la figlia del rabbi, la frivola Rifke, 哀cempia 
come un'oca si invaghisce del torpido 信ans di creta fabbricato 
dal padre. Per cacciarle di dosso l'infatuazione, L饖 ingiunge al 
fantoccio di stringerla fra le sue braccia, e quello la preme con 
tanto vigore che le ossa le scricchiano, e manca poco che non resti 
stritolata (5)
Ma le cose si fanno funeste, quando il Golem, l'argilla 
imbecille, ad imbertonirsi. Odor di cunno risveglia anche il limo, 
dentro le brache dell'orco si accende la mostruosa candela. E che 
tetraggine gufesca, che sentore di apocalisse in questa libidine. Si 
chiami Esther o Golde o Mirjam o Abigail, la figlia civetta del rabbi 
desta le voglie del grosso mandrone di luto. E' conseguenza delle sue 
brame lascive l'ansia che lo bistratta, di uscire dalla condizione di 
automa, di avere un'anima umana.
Nel dramma Der Golem (1908) di Arthur Holitscher il plumbeo Golem 
Amina, incapricciatosi di Abigail, si cruccia di non essere un uomo, 
e la figlia del rabbi lo consola con melate parole. Ma l'assurditdi 
una tale passione induce Abigail a zompare dalla finestra e il 
fantoccio a strapparsi dal collo la polizza di animazione, per 
ridivenire lugubre grumo (6) Ma come si arrovella l'androide, se lo 
assale la gelosia. Nel film Der Golem di Wegener, geloso di Mirjam 
che gli preferisce il biondo Junker Florian, damerino strigliato e 
spirante languidezza vezzosa, il rozzo fantoccio dalla faccia coperta 
di morviglioni brucia i tuguri del ghetto, sbalza per terra i 
passanti, trascina svenuta la figlia del rabbi, getta gida un 
terrazzo il carminato e lisciato zerbinotto, sua antitesi.
Rudolf Lothar, l'autore del Maskenspiel K霵ig Harlekin, nel 
racconto Der Golem (1899) ha intricato ancor pila vicenda. Esther, 
la figlia di L饖, respinge il brutto Elasar, che il padre le ha 
scelto a marito. E allora con esorcismi il rabbi fa trasmigrare nel 
Golem l'anima di Elasar dormiente. Il manichino si infiamma di amore, 
ed Esther gli corrisponde. Tornando dalla cerimonia serale del 
venerd L饖 rabbrividisce a vedere che il Golem stringe Esther fra 
le proprie braccia. Alza un martello su Jossile. Ed ecco, fra lo 
strepito di un'improvvisa burrasca, il fantoccio s'invola, come se 
avesse le ali, e precipita nel cimitero ebraico, disgregandosi. Nel 
ridestarsi, Elasar riprende possesso dell'anima, ed Esther si accorge 
di sentire ora per lui lo stesso affetto provato per l'androide (7)
Lothar immette nella saga golemica qualcosa di insolito: la 
temporanea trasmigrazione dell'anima, una sorta di gilgl provvisorio, 
da un vivo immerso nel sonno ad un pupazzo d'argilla. L'operazione 
ricorda le ipnosi dei fachiri e degli sciamani, il cui spirito 
passeggia il cosmo, mentre essi giacciono in un letargo simile a 
morte. L'anima pura del deforme Elasar acquista nuovo splendore, 
racchiusa nel frale di creta. Dette per bocca del Golem, le sue 
paroline soavi convincono la renitente fanciulla, la quale dimentica 
per incantamento come Elasar sia schifo all'aspetto e piccolo e 
storto e scrignuto, 叛uasi un nano con una testa sproporzionata, da 
cui ardevano due grandi occhi neri(8) Il Golem diventa dunque 
incentivo d'amore e mezzano. E non basta: come dimostra il suo 
terminale decollo nella bufera, dove lo attendono 冠late legioni il 
puerile androide di Lothar assunto fra le schiere angeliche.
NOTE:
(1) Jaroslav Vrchiick Jnechal sv皻 jit kolem (1901-902), Praha 
1902, pp' 151-54.
(2) Detlev von Liliencron, Bunte Beute, in S鄝tliche Werke, vol' X, 
Berlin-Leipzig s'd', pp' 25-27.
(3) JiwVoskovec - Jan Werich, Hry Osvobozen逸o divadla cit', II, 
pp' 122-26.
(4) Cfr' Chajim Bloch, Der Prager Golem cit', p' 178.
(5) Hugo Salus, Von hohen Rabbi L饖, in Ernte, Mchen 1903, pp' 
91-92.
(6) Arthur Holitscher, Der Golem (Ghettolegende in drei Aufzen), 
Berlin 1908. Cfr' anche Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', pp' 
138-45.
(7) Rudolf Lothar, Der Golem cit' Cfr' Beate Rosenfeld, Die 
Golemsage cit', pp' 135-38.
(8) Rudolf Lothar, Der Golem cit', p' 22.
64
Non sempre dunque il Golem disavvenente. Del suo angelo-golem, 
campione di giovanile leggiadria e di vigore fisico, a contrasto con 
la desolante deformitdello sposo promesso, Lothar afferma che il 
rabbi, nel fabbricarlo, si certo ispirato a una 剋reca statuetta 
marmorea di Apollo(1) Un'antica bellezza traspare anche dal Golem 
plasmato dallo scultore danese J顤n Moller nelle pagine del Ganymedes 
(1925) di JiwKar滻ek (2)
Conviene indugiare un momento su questo romanzo, che trasporta la 
saga golemica nell'area del decadentismo. Kar滻ek affronta il motivo 
con la solennitsussiegosa di quei decadenti che amavano celebrare 
la vita, come von Stuck, il quale persino durante il lavoro al 
cavalletto indossava un abito di societ fiero di esser chiamato 
俑aler im Gehrock(3) Lo scultore ebreo danese J顤n Moller dunque, 
famoso quanto Thorwaldsen, ha abbandonato l'arte, perchessa non 
riesce ad animare le statue. Egli si fitto in mente di dar vita ad 
un Golem che, a differenza di quello di L饖, abbia il dono della 
parola.
Trasferitosi a Praga per ritrovare la ricetta magica che permise al 
rabbino di muovere il suo famiglio d'argilla, - dopo cinque anni di 
assidue ricerche nel cimitero ebraico, J顤n Moller, attraverso 
complessi calcoli di g'm漮rije, scopre che la formula suscitatrice 
contenuta a guisa di crittogramma nell'epitaffio che il Maharal 
compose per la propria lastra tombale. Una presunta sentenza di L饖 
infatti asserisce che, per infondere vita in un Golem, bisogna 
estrarre dalle lettere dell'alfabeto i raggi in esse nascosti: ma 
questo pufarlo soltanto un sapiente, che sia anche un giusto, uno 
z歍ik (4)
Moller che, per la bruttezza, non stato mai amato da alcuno, si 
accinge a plasmare, non un rozzo e balordo servitore dalla 
bernoccoluta facciaccia, ma un bel ragazzo che tenga delle antiche 
statue, un Ganimede suo amico e signore, del quale appagare ogni 
desiderio. cosanche l'appiglio dell'omosessualitviene aggiunto 
alle circostanze della materia golemica. E qui sia ricordato di fuga 
che in letteratura si incontrano anche g鐱lemess-donne, come il 
fantoccio foggiato per Carlo V dentro una baracca di fiera da un 
ebreo polacco a sembianza della zigana Isabella in un racconto di 
Arnim, che infervori surrealisti, - racconto in cui, accanto a 
Bella-Golem, compare anche un omino-radice, un Alraun (5)
Se gia L饖 riuscarduo placare il suo sguattero, come potr
Moller, malato di tisi e vicino a morire, ridurre alla ragione un 
pupazzo del quale, anzichpadrone, vuol essere docile strumento? Ma 
Moller sicuro che la reciproca passione tra l'uomo e l'androide 
sarpiforte delle potenze maligne, e del resto egli esclude il 
pensiero di riconvertire Ganimede in argilla, anche se quello dar
nelle furie.
Moller modella il suo Golem, specchiandosi sull'effigie di Radovan, 
un molle e languido diciottenne dal corpo di adolescente, la cui 
deliquiosa effeminatezza rammemora le figurette di Beardsley. Costui, 
studiosissimo di poeti francesi e in specie di Mallarme poeta lui 
stesso, di madre lesbica e padre misogino, si incipria e dipinge gli 
occhi per invaghire il bislacco inglese Adrian Morris, che lo trae 
fuori di senno. Sebbene potrebbe usare la cera, che 咬inomata come 
assorbente del fluido nel rituale della magia nera(6), Moller si 
serve anche lui dell'argilla, impastandola con acqua pura, mentre 
L饖, secondo Kar滻ek, la intrise di sangue di bestie, come 
dimostrerebbe il furore ferino che assalse l'androide, quando 
entrarono in giuoco malefiche potenze astrali.
Il motivo della perfetta identittra fantoccio e modello deriva 
forse da L'E've future di Villiers de l'Isle-Adam, dove Edison 
fabbrica con l'幨ectro-magnetisme e la Matiere radiante l'Andreide 
Miss Hadaly, un manichino, 剃reature nouvelle, 幨ectro-humaine che 
riproduce a puntino i tratti, la pelle, la luce degli occhi, i gesti 
dell'inafferrabile e gelida Alicia Clary per Lord Ewald, che ne 
innamorato.
Fuori Praga, in una vecchia casa deserta fra i campi, Moller plasma 
il suo Ganimede, inebriandosi del nudo modello, del morbido corpo del 
giovane, dalle cui snelle membra traspira 勁'eccitante voluttdel 
languore e della morte(7) A mano a mano perche il Golem cresce, 
J顤n Moller, sempre pipreso dal manichino, si disinteressa di 
Radovan, che gli appare squallido e spento a confronto del suo 
Ganimede. Non solo: ma a mano a mano che la statua si affina, Moller 
va perdendo le forze: 侶uanto piGanimede si anima, tanto pimi 
avvicino alla soglia della morte. Sento che nell'istante in cui si 
animerdel tutto, io morir ed questa la tragedia del mio 
tentativo, che non giungera rimirare le vive pupille del mio 
Ganimede e a udirne la voce e che, nel creargli la vita, creo la mia 
morte...(8).
Dopo innumere prove, riesce infine ad infondere impulsi cinetici 
nel suo vaghissimo Golem. Ma la sfibrante fatica lo riduce allo 
stremo. Contrariamente agli iniziali propositi, in punto di morte 
supplica Morris di annientare il fantoccio, che giace su un soffice 
letto sposereccio in una camera velata di bianche stoffe e olezzante 
di mirra, e di inumarlo di notte nella sua stessa tomba. Ma Morris 
non ha il coraggio di dissolvere in polvere coi sette cerchi 
cerimoniali l'androide e risolve di portarselo via.
Penetrando di notte per un abbaino nella casa di Morris, che odora 
di ceri bruciati e corone funebri, Radovan scorge se stesso, ossia 
Ganimede, sul letto dell'aristocratico inglese. Atterrito dalla 
somiglianza, sfiora senza volerlo lo schem sulle labbra del damerino 
di creta, e quello apre gli occhi, discende dal talamo, avanza, lo 
abbraccia, lo stringe, sino a soffocarlo. cosla rivolta del Golem 
diventa rivolta del simulacro contro il proprio modello, - per non 
dire della iettatura che quel canchero di Ganimede esercita 
sull'invasato scultore. Adrian trova per terra Radovan morto e sopra 
di lui l'androide in frantumi. Anche se ingentilito, se sdilinquito, 
se efebo, se odoroso e frisato come una pupattola da parrucchiere, il 
lutoso fantoccio sempre un flagello, un fomite di perdizione.
NOTE:
(1) Rudolf Lothar, Der Golem cit', p' 16.
(2) Assieme a Rom滱 Manfreda Macmillena (Romanzo di Manfred 
Macmillen, 1924) e Scarabaeus (1925), Ganymedes costituisce la 
trilogia dei Rom滱y twMag(Romanzi dei Tre Maghi)
(3) Cfr' Anton Sailer, Franz von Stuck: Ein Lebensm酺chen, Mchen 
1969, p' 30.
(4) Cfr' Chajim Bloch, Der Prager Golem cit', pp' 179-80.
(5) Achim von Arnim, Isabella von 輍ypten, Kaiser Karls V. erste 
Jugendliebe (1812) Cfr' l'introduzione di AndrBreton a Achim 
d'Arnim, Contes Bizarres, Paris 1953.
(6) JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes cit', cap' XIX, p' 68.
(7) Ibid', cap' XVII, pp' 64-65.
(8) JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes cit', cap' XXV, p' 82.
65
Il Golem di Gustav Meyrink (1915) ha in fondo ben poco in comune 
con lo smisurato spauracchio di Rabbi L饖. Non un manichino 
d'argilla, ma una sembianza sfuggente, nebbiosa, enigmatica, uno 
Spuk, uno spettro, che ricompare ogni trentatranni nelle viuzze del 
ghetto praghese, suscitando scompiglio. Il fantasma si annida fra gli 
abitanti della Judenstadt, senza che essi lo percepiscano, e di tanto 
in tanto, per influsso di astrali pneumi, di congiunzioni sideree, 
preceduto da segni premonitori, assume apparenza sensibile (1)
Questo Golem dunque l'indizio di un'epidemia spirituale, che si 
propaga a periodi fulminea, l'incarnazione di torbidi umori, che in 
eterno fermentano nella soffocante strettura del ghetto, 
prorompendone a volte, per spargere una malia tremendissima, 
un'oscura psicosi. In altre parole, sono le paure e le angosce del 
piccolo ebreo perseguitato a dar corpo al Golem. Prolungamento 
dell'atmosfera lugubre e intossicata del Quinto Quartiere, delle sue 
fatiscenti casupole che digrignano i denti, delle sue pietre unte 
come pezzi di grasso, - lo spettro attraversa ogni trentatranni i 
sordidi vicoli immersi in un ambiguo Zwielicht, prendendo l'aspetto 
di uno sconosciuto dal viso giallo e dai tratti mongolici, vestito di 
uno stinto abito altmodisch, dall'andatura cespicante, 剃ome se a 
ogni attimo volesse cadere in avanti
La mongolicitdel fantasma (anche nel film di Paul Wegener il 
Golem ha gli occhi obliqui, gli zigomi aguzzi, il naso camuso) (2) 
testimonia della presenza di bieche forze orientali fra i muri di 
Praga. Quanti sghembi occhi asiatici fosforeggiano nel tenebroso 
tessuto dei racconti di Meyrink: a MalStrana, in un edificio 
spettrale che si appoggia 剃ome un morto custodealle erbose Scale 
del Castello, ha il suo macabro laboratorio il Dr' Mohammed 
Darasche-Koh, preparatore e 哀atanasso persiano(3) Ne avvengono di 
meraviglie a MalStrana: c'in via Thunova una casa ugualmente 
spettrale: tisica, angusta, maligna, in cui il misterioso egittologo 
Dr' Cinderella coltiva nepenti, drossere ed altre piante carnivore, 
cosparse di turgide vene e di innumeri bulbi oculari (4) Parlando di 
Meyrink, Max Brod ricorda come lo affascinassero gli arcani universi 
della Cabala e del Buddismo, situati dal narratore tra le siluette 
degli antichi palazzi praghesi (5)
Nel Golem, tra le altre imperscrutabili fanfaluche, si legge anche 
quella di un immenso tesoro sepolto dall'Ordine dei Fratelli 
Asiatici, 勇 presunti fondatori di Praga sotto una grigia pietra 
nella Viuzza d'Oro, sul precipizio del Fossato dei Cervi, - una 
pietra vegliata da Matusalemme, perchSatana non la fecondi. Tra gli 
orientali intanati nelle pieghe della cittvitavina, portinai 
dell'inferno, sentine di scelleraggini, spicca l'imbalsamatore Kyjork 
Arabian del romanzo The Witch of Prague di Crawford, un nano dal viso 
di basilisco e dal cranio deforme, del quale diremo tra poco.
In Die andere Seite (L'altra parte, 1907), un romanzo per tanti 
versi vicino a Der Golem, Kubin si spinto pioltre: anzich
trasferire gli asiatici a Praga, ha spostato Praga, ribattezzandola 
Perla, nel cuore dell'Asia, di lda Samarcanda. Ed curioso che il 
proteiforme, molliccio, viscido, evanescente satrapo che signoreggia 
ed opprime la capitale decrepita del Regno del Sogno abbia il nome 
praghese Patera, lo stesso nome del popolare cameriere del caff
Union, amico di letterati e di artisti (6)
Nel romanzo di Meyrink sembra a tratti che il Golem si identifichi 
con l'Eterno Ebreo, che giApollinaire, all'inizio del secolo, aveva 
incontrato nella cittvitavina. Nel ritorno periodico di questo Spuk 
si puravvisare una reminiscenza del mito di Ahasvero, mentre lo 
spazio di trentatranni, che intervalla le sue apparizioni, rimanda 
all'etdi Cristo (7) Oltre ad essere dunque un'emanazione 
dell'anima delle moltitudini ebraiche e del 剃limapestilenziale del 
ghetto, il Golem diviene emblema del giudaismo, con supplementi di 
cristologia.
Per la sostanza larvale e notturna, per gli sgargianti ceroni dei 
personaggi, figure da gabinetto di cere, per il brulichio di 
alterego, per la stregheria e la scrittura-delirio, il romanzo di 
Meyrink partecipa dell'espressionismo. Vari elementi cospirano a 
dilatarne l'arcanit influssi delle teorie yoga e in genere del 
pensiero indiano, riferimenti al Talmud, dottrine occultistiche, 
bizzarrie della Cabala e ogni sorta di negri prestigi. Si noti per
che Meyrink, studioso di teosofia e di fenomeni metapsichici, ascrive 
impropriamente alla Cabala tutto ciche ha sapore esoterico: ad 
esempio l'origine magica dei tarocchi e il libro Ibbur, inesistente 
come il Necronomicon di cui discorre Lovecraft, benchil suo titolo 
riprenda un vocabolo con cui la mistica ebraica denota la 
剌econdazione dell'anima(俟eelenschw鄚gerung, ovvero l'aggiunta 
di una seconda anima (8)
L'idea che il Golem sia un fantasma, il quale gironzola nei luoghi 
in cui sorgevano un tempo le catapecchie del ghetto, riaffiora nel 
Ganymedes di JiwKar滻ek. Lo scultore J顤n Moller, 剌arnetico 
naufrago nelle profonditdel Passato(9), sostiene che si pu
incontrare il simulacro d'argilla (ma non un mostro, s'intende, 
bensun aggraziato giovane d'alta statura) nelle strade tracciate 
dopo il 咬isanamento nei cantucci ove palpita ancora lo spirito 
della scomparsa Cittebraica. Del resto c'una leggenda, secondo 
cui il santo rabbi risorgere con le formule dello Sefer Jezira dar
nuova vita al fantoccio di creta, che giace frattanto in letargo 
dentro una tomba (10)
NOTE:
(1) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', pp' 158-68.
(2) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', pp' 146-47.
(3) Gustav Meyrink, Das Pr鄡arat.
(4) Id', Die Pflanzen des Dr' Cinderella.
(5) Max Brod, Vita battagliera cit', p' 220.
(6) Cfr' Kav漷na Union (sborn骿 vzpominek pam皻n骿, Praha 1958.
(7) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', p' 162.
(8) Cfr' ibid', pp' 163-64.
(9) JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes cit', cap' XV, p' 51.
(10) Cfr' Hans Ludwig Held, prefazione a Chajim Bloch, Der Prager 
Golem cit', p' 11.
66
Le lettere e la cultura praghesi abbondano di manichini, di 
g鐱lemess, di marionette, di statue di cera, di figurine da 
panoptikum, di pupazzi imbottiti, di automi.
Nel romanzo Pekla zplozenci (Progenie d'inferno, 1862) di Josef 
JiwKol漷, peschiera di bagattelle e di satanismi da grand opera, il 
negromante italiano Scota, benaffetto di Rodolfo II, vuol notomizzare 
il giovane Vil鄉, per poi ricomporne le membra dentro il forno 
Athenora e ldentro ammogliarlo con l'immortale Sempiterna. 
Approfittando, ahi ahi, dell'assenza del presuntuoso metafisicastro, 
Vil鄉 si introduce nell'Athenora, dove su un canapgiace immobile la 
sposa promessa, e si accorge che Sempiterna ha un calvo cranio di 
legno nascosto dalla parrucca e allunga le braccia e si muove, 冠nima 
orologesca solo se le si dla carica. Infuriato, mette a soqquadro 
il tartareo laboratorio del truffaldino Scota, che voleva 
affibbiargli un 削wev瘽tajtrl骿 una guitta di legno, e si 
allontana verso la Casa di Faust, seguito da Sempiterna che, tutta 
suste e rotelle, cigola in ogni giuntura, 剃ome un cadavere strappato 
al patibolo(1)
Non men giallo l'orpimento del croco. E non meno orrido di 
Scota il nano Kyjork Arabian del romanzo di Crawford. Imbalsamatore 
convinto che il corpo umano possa resistere alla corrosione del tempo 
quanto il granito delle egizie piramidi, allinea nel suo gabinetto 
praghese una folla di uomini e di animali impagliati, di teschi, di 
mummie d'ogni parte del mondo in mezzo a cataste di armi e armature 
barbariche, maschere di selvaggi africani, idoli, tamburi sacri e 
altra merce da Esposizione Coloniale. Simile all'animatore Herbert 
West di un racconto di Lovecraft, - con elisiri, con strampalati 
congegni, con cuori di vetro e con scariche elettriche cerca di 
eccitare le cellule morte, di ridestare nelle mummie la vita, ma non 
ottiene dagli imbalsamati nient'altro che un'effimera smorfia, un 
perfido ghigno.
Che innumerabile turba di mummie e di scontraffatte sembianze di 
cera anche in Meyrink. Nel Golem il mostruoso rigattiere Aaron 
Wassertrum, dai 咬otondi occhi di pescee dal labbro leporino, 
conserva nella sua bottega, tra una ciurmaglia di oggetti sbreccati, 
哎na figura di cera a grandezza naturale vendutagli dal 
proprietario di un baraccone. Ai teraphim cabalistici, teste umane 
salate e condite con spezie, con una lamina sotto la lingua (2), 
assomiglia la testa bionda di Axel, impagliato dal bieco persiano 
Mohamed Darasche-Koh, un demonio che torna pivolte nei racconti di 
Meyrink. La testa dagli occhi sgranati confitta per il cocuzzolo 
dentro una sbarra di rame pendente dal soffitto, e sotto il suo collo 
avviluppato in una sciarpa di seta vibrano allo scoperto rossicci 
lobi polmonari ed un cuore dai fili d'oro collegati ad un piccolo 
apparecchio elettrico (3)
Tra le mummie animate di cui Praga fu fertile non ci lasceremo 
sfuggire l'eroe del 咬omanetodi Jakub Arbes Newton驠 mozek (Il 
cervello di Newton, 1877) Prestigiatore caduto nella battaglia di 
Kr滎ovHradec, costui, dopo la morte, riappare a Praga una notte, 
per dare spettacolo di illusionismo dinanzi a una schiera di dotti, 
di nobili, di maggiorenti. Sulle prime cadavere imbalsamato in divisa 
di ufficiale, l'eroe a grado a grado si avviva come un automa pervaso 
di corrente elettrica, scende gidalla bara posta su un catafalco e, 
dopo un attimo di oscurit si ripresenta nel suo vecchio abito nero 
da giocatore di bussolotti. Si toglie come un berretto la parte 
superiore del cranio, spaccato da un fendente prussiano, e la tiene 
in mano, comunicando agli attoniti barbassori di aver surrogato il 
proprio cervello con quello di Newton rubato in un museo inglese.
Non si finirebbe mai ad elencare tutti i fantocci inquietanti di 
Praga, le mummie dei suoi panottici, i simulacri sornioni che 
ornavano le sue vetrine. Tra questi ultimi ebbe il primato la grande 
tigre impagliata del negozio 隹lla tigredel pellicciaio Proch漘ka 
nella Ferdinandova twida. Il felino imbottito divenne alla fine del 
secolo scorso parte integrante della cittvitavina. Il poeta tedesco 
Friedrich Adler gli dedicuna poesia, se ne trova memoria anche in 
Leppin. Avviluppata in pellicce, la belva teneva nelle fauci aperte 
un manicotto alla moda e sul capo un berretto smargiasso di lontra o 
castoro. Il signor Proch漘ka affittava sovente la tigre agli 
organizzatori di balli in maschera e di 蟊bwinky, che la collocavano 
a far leggiadra comparsa tra giunchi e palme e rovine di templi 
indiani, in un Oriente di paccottiglia (4)
Alla stirpe degli automi praghesi appartiene Odradek, il rocchetto 
da refe a forma di stella, che sta in piedi e va in giro nel racconto 
kafkiano Il cruccio del padre di famiglia. La sua pragheitvien 
rafforzata dal nome, che non un astratto Klangmaterial, come, 
poniamo, Ango Laina di Blner, ma un vocabolo ceco contiguo al verbo 
卻draditi dissuadere. Tutta una r瞚erie si potrebbe impostare su 
questo groviglio di filo agglobato, metfantoccio metoggetto 
ambiguo, che emette un suono 哀imile al frusciar di foglie cadute 
dibattere se sia un'Alruna meccanica, della natura di quelle che 
fabbrica, nel Gatto Murr, Mastro Abramo, o un rottame comprato al 
tandlmark, che obbedisca a un segreto impulso di animazione, come le 
due buffe palline di celluloide bianca addogata d'azzurro, che 
saltellano alla zannesca nella stanza di Blumfeld, scapolo non pi
giovane.
Nel museo ideale della Manichinia praghese metteranche il Bambino 
di Praga, lo Jezul漮ko, fantoccino di cera, che nelle diverse 
stagioni muta mantelli e finissimi drappi di seta e d'oro broccato. 
La statuetta fu portata nella cittvitavina dalla Spagna negli anni 
di Rodolfo II, in un tempo di intensi rapporti tra la nobiltboema e 
quella spagnuola. Se l'ingombro massiccio del Golem, benchdissolto 
in argilla, fu sempre foriero di malefici e sconcerti, lo Jezul漮ko 
invece, venusto bamboccio, campionario di delicatissimi tessili, 
esposto nella chiesa carmelitana barocca di Santa Maria delle 
Vittorie, divenne dispensatore di salutevoli balsami, fomento da 
ravvivare gli spiriti nel cuore degli sconfidati, protomedico del 
corpo e dell'anima. E non importa se il principal donatore di quel 
tetro tempio, nelle cui cripte pompeggiano in bare aperte le mummie 
dei protettori dell'ordine dei carmelitani, era stato il crudele 
generale spagnuolo Baltazar de Marradas, colui che, nella leggenda 
Inultus (1895) di Julius Zeyer, commette alla scultrice Flavia 
Santini l'immagine del Cristo in agonia (5)
Nel racconto N鄝lich (Infatti, 1915) del narratore tedesco praghese 
Paul Adler il protagonista, un demente con la fantasia di un na髽, 
riferendosi allo Jezul漮ko, asserisce: 侵o pure amo molto il bambino 
Ges Ma di sua madre ho un poco paura, perchdi vecchia 
porcellana. Le guance sono rosse, e le mani tengono una bacchetta. Al 
bambino Gespiace giocare con una grande sfera levigata. Spesso il 
bambino fa con me il giuoco del cavallo a dondolo. Io sono sempre il 
cavallo, e il bambino di Dio cavalca sul mio dorso(6)
Ho posto qui come un talismano la statuetta dello Jezul漮ko, perch
mi difenda e mi salvi dalla malia tremendissima dei troppi g鐱lemess 
e manichini di cera, che ho incautamente evocato.
NOTE:
(1) Josef JiwKol漷, Pekla zplozenci cit', pp' 77-78.
(2) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', pp' 66-67.
(3) Gustav Meyrink, Das Pr鄡arat cit'
(4) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', I, pp' 78-79 e 
91-98. Cfr' anche Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis cit', 
p' 25. 蟊bwinka: veglione, festa da ballo: dal tedesco Schnabernack: 
burla, celia.
(5) Cfr' Karel H歍ek, 褾eno starPraze cit', pp' 50-54; Karel 
Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 220-21; Vojt瑿l Volavka, 
Pout' Prahou cit', p' 230.
(6) Paul Adler, N鄝lich, in Das leere Haus cit', p' 193.
67
L'anatra d'ottone e il sonatore di flauto di Vaucanson, il turco 
scacchista del barone von Kempelen (1), tutti gli idoli orologeschi, 
gli automi farciti di rulli e ingranaggi, le teste parlanti, i 
manichini di cera animati dei 匍ecaniciens d'autrefois(2) non sono 
che dilettosi e intarlati pupazzi da fiera, piacevolezze da 
cantambanchi a confronto coi truci robot escogitati dallo scrittore 
boemo Karel 螮pek nel dramma R'U'R' (Rossum's Universal Robots, 1920) 
(3) 俘obot androide, operaio artificiale, vocabolo ceco, che 
螮pek derivda 咬obota ossia 剃orv嶪 sfacchinata (4)
Questi automi appartengono alla stessa famiglia del Golem e, bench
fabbricati in un'isola lontana, hanno radici nell'humus, nel 
maleficio di Praga. Il Golem parvenza d'argilla avvivata dallo 
哀chem il foglietto col nome di Dio. In modo simile i robot non 
sono viluppi di molle e stantuffi, come gli automi da baraccone, ma 
impasti di una sostanza chimica che si comporta come il protoplasma, 
di un 剋lutine organicoa detta di Josef 螮pek (5), - sostanza 
scoperta dallo scienziato-filosofo Rossum (咬ozum ragione), un 
哉ecchio stravagante un 厚azzo fantasticodella stirpe dei folli 
sapienti prosperati dall'espressionismo.
Come il Golem, il robot ha natura di 便necht di 前wed(in 
jiddisch) e forse di 勃nouk per usare una parola di Bechett, ossia 
di servo obbediente ma torvo e sornione, che cova vendetta contro le 
avanie dei padroni. Del resto giin slavo antico 咬obsignifica 
哀chiavoQuesta plebe di meccanismi compiuti, che ignorano la 
sofferenza e gli affetti e la paura della morte, mano d'opera ideale 
per la resistenza, la gagliardia, il basso costo, sostituisce 
mirabilmente l'imperfetta macchina umana, carcame con grandi 
ambizioni ma forze di grillo.
Nel termine 咬obotla fantasia crede persino di scorgere 
un'immaginaria assonanza con 咬abbiMa diversamente dal tetro 
sganarello di Rabbi L饖, i robot, sebbene anch'essi senz'anima, hanno 
una 哀traordinaria intelligenza razionalee una 匍emoria 
straordinariaLa robustezza di questi 冠w鐰iminsensibili ai 
guasti e agli infortuni ci fa inoltre pensare che alla concezione e 
allo stesso nome del robot abbia concorso il ricordo di un 
personaggio di Verne, Robur-le-Conquerant, il quale sfoggia 哎ne 
constitution de fer, une santtoute 廧reuve, une remarquable force 
musculairee somiglia, con la sua 剃arrure geometrique a un 
trapezio su cui sia innestata un'enorme testa sferoide.
Con parole di Mehring, R'U'R' pudunque definirsi una 
亮olems-Marionetten-Kom鐰ie(6) A 螮pek sembrava tuttavia, come 
disse nel 1927 a Jules Romains, che la lotta col Golem fosse molto 
pisemplice: per domare l'insorta materia bruta, bastava estrarre lo 
哀chemdalla bocca del gaglioffo d'argilla. Ma coi robot (7). Alle 
corte, il Golem solo uno e, se gli monta la stizza, un atto rituale 
lo ricondurralla ragione, mentre i robot costituiscono una compatta 
e caparbia moltitudine che, miserandissima cosa, nessuno riuscirad 
imbrigliare. Non c'paragone tra la fulminea demenza di un orso di 
creta, che schiuma e diruggina i denti, e l'orchestrato rancore 
implacabile di questa spropositata masnada di g鐱lemess. Quasi il 
pupazzo rabbinico si moltiplicasse in una serie infinita di identici 
simulacri. Il Dottor Gall asserisce: 冠bbiamo dato ai robot volti 
troppo uguali. Centomila facce uguali puntate verso di noi. Centomila 
bolle senza espressione. E' come un sogno terribile
Bolle senza espressione. Lo stesso pudirsi delle scomunicate 
salamandre del romanzo 螮pkiano V滎ka s mloky (La guerra con le 
salamandre, 1936) Ibride parvenze anfibie, mezzo foche mezzo 
ramarri, con manine infantili, questi viscidi diavoli acquatili, 
degni della sommersa cittdi R'iyeh in cui dimora (nei racconti di 
Lovecraft) il Grande Cthulhu, si riproducono infrenabilmente e si 
propagano con incontrollabile crescita, enorme massa omogenea e 
indistinta, mucillaggine orrenda, flagello che scalza e disgrega il 
genere umano. Come i robot, le salamandre 勇n complesso non hanno 
bisogno di nulla di ciin cui suole cercare sollievo e conforto il 
metafisico orrore, l'angoscia esistenziale dell'uomo; fanno a meno 
della filosofia, della vita dell'oltretomba e dell'arte; non sanno 
che siano fantasia, umore, mistica, giuoco o sogno(8) Ancor pi
spettrali dei robot rendono questi 勁izardso 咨apaboys 剃osa
molliccia che avanza, il 咨'ap-t'apcon cui vengono fuori la notte a 
guazzo a guazzo dal liquido limo e il 咨s ts tscon cui chiamano gli 
uomini. Che palpiti, che sudor freddo: ho nell'orecchio quei suoni 
d'apocalisse, come il 剎uch buch buchdei vampiri nelle ballate 
romantiche.
Oltre al tema precipuo del servo meccanico, parecchie altre 
invenzioni di R'U'R' si ricollegano alla 亮olemlegende e in primo 
luogo il motivo dell'improvvisa pazzia, del mal caduco, della 
convulsione che a volte, per un guasto dell'organismo, assale e 
inabilita i robot, riducendoli a carcasse da macero. Dal cerchio di 
quella leggenda deriva anche l'idea, espressa con raccapriccio dalla 
balia, che sia demonia e sacrilegio imitare la creazione divina, 
foggiando dannati omuncoli. Il motivo dell'insurrezione dei robot 
contro gli uomini che li hanno costruiti connesso in particolare 
con quelle varianti della saga golemica, in cui l'infuriare del 
manichino d'argilla viene spiegato col suo odio per il rabbino 
inventore e sapientone barbuto. Solo che la rivolta degli 
indifferenziati colloidi di 螮pek rispecchia, secondo i dettami del 
dramma di masse allora di moda, anche l'insofferenza sociale, la 
sorda collera degli oppressi.
E' questa collera senza mitigazioni e scissure, questo rancore 
corale di cuori-macigno, la stupida gravitche campeggia sulle 
bieche bolle dei volti ciche soprattutto fa spiritare. Diversamente 
da Fritz Lang, che in Metropolis (1926) disporrle folle di schiavi 
e di uomini-macchina in gruppi decorativi che tengono della geometria 
espressionistica (9), 螮pek non trae pretesti di stilizzazione dai 
movimenti sincronici della genia robotica. Ma in cambio la sobriet 
la secchezza del suo ordito verbale ingrandiscono l'attivitdel 
ribrezzo. Lui stesso era sgomento dei fantasmi che aveva scatenato: 
俑entre scrivevo, mi prese una terribile paura, volevo mettere in 
guardia contro la produzione della massa e degli slogans disumanati e 
a un tratto mi strinse l'angoscia che un giorno sarcos forse 
presto, che ormai non servira nulla il mio avvertimento, che al 
modo in cui io-autore ho condotto le forze di questi ottusi congegni 
ldove volevo, un giorno qualcuno condurrlo sciocco uomo-massa 
contro il mondo e contro Dio(10)
Come nella commedia gemella V璚 Makropulos (L'affare Makropulos), 
anche in R'U'R' la donna a distruggere le presuntuose formule 
architettate dalla smodata ambizione degli uomini. Ma la distruzione 
della Formula, compiuta da Helena Glory, personaggio alquanto 
stopposo col suo umanitarismo da suffragetta o piuttosto da delegata 
dell'Esercito della Salvezza, risulta in fondo un atto diabolico, 
perchtoglie ai superstiti l'ultima possibilitdi salvarsi, 
barattando il segreto della fabbricazione dei robot in cambio della 
propria vita. Nel barbaglio del fuoco che brucia il mistero della 
scoperta, la donna diventa improvvisamente ancella del diavolo.
Non passa molto, e gli automi si accorgono che anche la loro 
progenie finircon l'estinguersi, se non vi sono piuomini a 
costruirli, se Alquist, l'unico sopravvissuto allo scempio, non 
rammenta la Formula. Ma 螮pek corre ai ripari, e sulle rovine 
dell'apocalisse innalza di nuovo l'albero della vita. 俟tavo male, 
Olga, - egli scrisse alla moglie - e perciverso la fine ho cercato 
in modo quasi spasmodico una soluzione di amore e accomodamento, 
pensate che ci si possa credere, cara?(11) Reciproco amore umano, 
con supplemento di gelosia e vanite dedizione, si apprende a due 
androidi del tipo pirifinito, Helena e Primus. E cosanche il 
finale rielabora un tema dell'area golemica: il risveglio sessuale 
dei g鐱lemess, il loro sogno di mutarsi in uomini.
Come nei romanzi Tov漷na na Absolutno (La Fabbrica dell'Assoluto, 
1922) e Krakatit (La cracatite, 1924), in questa commedia che si 
potrebbe chiamare con Mehring 前ine Science-Nonfiction-Horror-Story
(12), 螮pek si appiglia a una mirabolante scoperta scientifica, per 
imbastire immagini di catastrofe. Si tratti di robot o di cracatite o 
di carburatore dell'Assoluto, la scoperta, la macchina sfugge di mano 
all'uomo e si ammutina, provocando cataclismi e sterminio. D'altronde 
la colpa ricade sugli uomini che, fuggifatiche e dappochi, hanno 
favoreggiato gli automi e, armandoli e usandoli in guerre interumane 
e moltiplicandoli, si sono scavati la fossa da soli: 俏essun Gengis 
Khan si mai costruito un cosenorme tumulo di ossa umaneLo 
stesso avverrcon le salamandre: ammaestrate e sfruttate dagli 
uomini, che se ne servono come di mano d'opera rozza e strumento di 
guerra, torme di salamandre con infrenabile riproduzione vanno 
scalzando a grado a grado e trucidando il genere umano. L'Uomo stesso 
剌inanzia questa Fine del Mondo, tutto questo Nuovo Diluvio(13)
R'U'R' vuol essere dunque un ammonimento alla societtecnologica, 
perchsi avveda in tempo del baratro in cui sta precipitando. Non si 
pudire perche il gruppetto di uomini dell'isola dello scienziato 
Rossum guadagni molto dal confronto con l'impronta brutaglia dei 
robot. Mi irrita la loro freddezza, la loro flemma calcolatrice, il 
loro civettare con Helena durante l'assalto degli automi. Ma 
soprattutto mi lascia perplesso il fatto che in tanta ingegneria 
avveniristica gli uomini siano muniti di sole pistole e di qualche 
matassa di fili ad alta tensione e non posseggano nemmeno un piccolo 
aereo su cui scappare (14)
O tutto ciserve a porre in risalto la dabbenaggine di questi 
inventori, inabili a sbarazzarsi dei mostri che han fabbricato? Se 
cos come appare ridicola la grandigia d'archetipo dei loro nomi 
parlanti: Domin (Dominus), Busman (Businessman), Alquist 
(Aliquis+Alchymista), Fabry (Faber), Gall (Galenus) (15) Del resto, 
allargando le significazioni, negli stessi robot puscorgersi un 
simbolo del genere umano ridotto a una turba servile e oneraria. 
Un'affinittrasparente avvicina gli uomini meccanizzati di Noi di 
Zamj漮in, che indossano 哎nifazzurrognole col numero su placche 
d'oro, ai colloidi 螮pkiani, infagottati in casacche di tela e con un 
numero d'ottone sul petto.
Nelle scene di R'U'R' Karel 螮pek trasfonde la sua avversione per 
la retorica del collettivismo, per l'odio di classe, per le ideologie 
totalitarie, per le rivolte che disgregano il mondo in nome di 
un'illusoria trasformazione. Se il ripugnante dilagare delle 
salamandre riflette l'espandersi della piovra nazistica, - nel 
sommovimento robotico facile scorgere diagonali rimandi alla 
rivoluzione russa. Se le feroci caricature di personaggi della 
monarchia absburgica nello 襒ejk (1921-23) di Ha蟌k risentono del 
deformante grottesco dei manifesti sovietici, i proclami aggressivi 
degli androidi 螮pkiani ricalcano i motti di propaganda e gli editti 
del bolscevismo.
Della rivolta proletaria i 螮pek avevano gitoccato nel racconto 
Syst鄉 del 1908 (16) Qui un tronfio capitalista e proprietario di 
piantagioni, John Andrew Ripraton, mena vanto dell'infallibile 
哀istemacoattivo con cui tiene a bada ed isterilisce le masse 
lavoratrici della sua casermesca Hubertstown: 俠'operaio deve 
diventare una macchina che giri e nient'altro. Ogni pensiero una 
trasgressione della disciplina - ma le maestranze asservite si 
svegliano e insorgono, distruggendogli le fabbriche e la famiglia.
螮pek, ovvio, vedeva con malumore l'egoismo, l'avidit 
l'arroganza dei boss, dei pescicani, dei risaliti, le sproporzioni 
stridenti della societcapitalistica, la grettezza del benessere. Ne 
fa testimonianza la 匍oralit鉬 entomologica Ze eivota hmyyzu (Scene 
della vita degli insetti, 1921), in cui, col fratello Josef, 
satireggii vizi degli uomini di quel dopoguerra, attribuendoli a 
farfalle, a formiche, a coleotteri. Ma nello stesso tempo egli non 
aveva fiducia nelle altere riforme che promettono soleggiati futuri. 
Convinto che gli oggidiani e i riformatori fanatici ripeteranno 
domani ingigantiti gli errori delle classi che avranno sbandito, non 
si faceva illusioni nei cambiamenti, non condivise l'ebbrezza 
dell'avanguardia, che nel calpestio della sommossa sentiva il segnale 
della palingenesi. Secondo 螮pek, gli slogan, le rivolte, le 
prodigiose scoperte, anzichmigliorare la condizione dell'uomo, 
conducono l'umanitallo sfacelo.
Di qui la sua propensione al buon senso, all'equilibrio, alla 
giusta misura, - propensione che potrebbe apparire irritante, se 
troppe esperienze, troppe ubbie progressive, troppe falcate di 
superuomini non ci avessero ormai resi canuti e disposti, pur col 
rammarico di smettere gli attraenti tabarri romantici, a dargli in 
fondo ragione. Alquist, quasi alterego di 螮pek, asserisce: 促enso 
che sia pigiusto collocare un solo mattone che tracciar piani 
troppo grandiNel finale di Krakatit Dio, un vecchietto bianco che 
porta sotto il tendone di un carro il mondo, cassetta di immagini 
illuminate da una lampada ad olio, dice all'inventore Prokop: 侮olevi 
far cose troppo grandi, e farai invece cose piccole. E' bene che sia 
cos儢 Un altro personaggio di R'U'R', il Console Busman, afferma che 
non sono i grandi sogni, ma i minuti bisogni dei piccoli uomini a 
fare la storia. Il guaio che la negazione dell'eroismo spocchioso e 
dei ciechi tumulti e dei castelli in aria si converte sovente in una 
facile contentatura, in un compiaciuto minimalismo, in una 
provincialitsoddisfatta e domenicale, come nel conclusivo festino 
di Tov漷na na Absolutno, in cui figurette mediocri, compari di 
campagna, discorrono all'osteria di fiducia tra gli uomini e di 
tolleranza, masticando frattanto salsicce e crauti.
Di fronte alla truculenza degli squallidi automi 螮pkiani, 
truculenza che esclude ogni giocoleria da baraccone, ogni allegra 
ambiguitmanichinica, - si pensa con nostalgia ai colorati pupazzi 
dei musei delle cere. E' vero, 螮pek tratta anche l'apocalisse con 
distacco raziocinante, senza mai calcare sull'orrido. Eppure, a ben 
guardare, i suoi androidi sbocciati dal maleficio di Praga sono 
potenze demoniche come gli arlecchini, sebbene una netta antitesi 
contrapponga queste due 俗rgestalten(17)
Anche se principale di una masnada di trapassati e parvenza ctonia 
in commercio con l'俗nterwelt arlecchino pur sempre un funambolo, 
un bagattelliere, un superbajazzo, una vela di rombi multicolori. 
Mentre i robot, cupi come un Dies irae, feticci dell'aggrondata 
civilttecnologica, sono seccume manageriale, superciliose figure di 
Quadragesima, campioni di un macchinismo che spegne l'umore e la 
fantasia. Dircon l'Ariosto: "che ben fu il picrudele e il pidi 
quanti - mai furo al mondo ingegni empii e maligni, - ch'imagins
abominosi ordigni(XI, 27)
NOTE:
(1) Cfr' Rolf Strehl, I robot sono tra noi, Milano 1954, pp' 106-8, 
117-32.
(2) L'espressione di Villiers de l'Isle-Adam ne L'E've future, 
livre deuxieme, IV.
(3) Rappresentato al N漷odndivadlo di Praga il 25 gennaio 1921, 
con regia di Vojta Nov毾, scene di Bedwich Feuerstein, costumi di 
Josef 螮pek.
(4) 俘obot(al femminile 咬obotka rimanda anche al russo 
咬abotat獄 (lavorare), da cui 咬abotjaga(lavoratore instancabile, 
il 削w斁ceco) Nel gergo dei Lager sovietici 咬abotjagadesigna il 
condannato addetto ai lavori pigravosi e piingrati. In origine 
螮pek voleva chiamare i suoi automi 勁abowi(da 勁abor il russo 
咬abota, ma la parola gli parve troppo libresca. Fu il fratello 
Josef a suggerirgli il termine 咬obotCfr' Karel 螮pek, in 俠idov
Noviny del 24 dicembre 1933, ora in R'U'R', montaggio di materiali 
a cura di Miroslav Hal骿, Praha 1966, p' 105. La parola coi suoi 
derivati entrnelle lingue occidentali dopo il successo londinese di 
R'U'R' (1923) Cfr' Otakar Vo螮dlo, 蟌skLiteratura na sv皻ov鄉 
foru: Oblast anglosask in Co daly na蟌 zemEvropa lidstvu, a 
cura di Vil鄉 Mathesius, Praha 1940, p' 406.
(5) Josef 螮pek, Um瘭螿ov瘯, in R'U'R', montaggio di materiali 
cit', p' 160.
(6) Walter Mehring, Die verlorene Bibliothek, Iching-Mchen 1964, 
p' 240.
(7) Cfr' Otakar 褾orch-Marien, Oh螉stroj, Praha 1969, pp' 110-11.
(8) Karel 螮pek, V滎ka s mloky, Praha 1965, III, 5, p' 209. Cfr' 
Stanis獪w Lem, Fantastyka i futurologia, Krak闚 1970, vol' I, pp' 
90-92.
(9) Cfr' Lotte H' Eisner, L'嶰ran demoniaque cit', pp' 153-58.
(10) Karel 螮pek, frammento di una lettera a Olga Scheinpflugov 
in R'U'R', montaggio di materiali cit', p' 106.
(11) Karel 螮pek, frammento di una lettera a Olga Scheinpflugov
cit'
(12) Walter Mehring, Die verlorene Bibliothek cit', p' 240.
(13) Karel 螮pek, V滎ka s mloky cit', p' 247.
(14) Cfr' Ivan Klima, Modernm蓨us, in R'U'R', montaggio di 
materiali cit', p' 193.
(15) Cfr' ibid', p' 196.
(16) In Krakono蟞va zahrada (1918)
(17) Cfr' Curt Sechel, Ma腠t踀e der Kunst im 20. Jarhundert, 
Dseldorf-Wien 1967, pp' 39-48.
68
Ti scrivo dalla cittche adori, per comunicarti che Praga, in 
questo sediziosissimo tempo, pullula di g鐱lemess. Non c'piun 
castagno nun cortile nun tetto nun ponte che non portino 
l'impronta di manacce argillose. MalStrana, Loreta, il tuo angolo a 
Kampa, Petwin, il Belvedere, il cimitero di Ol螮ny. Masnade di 剋rumi 
informisi ammucchiano in questa barca di pazzi, che ha la prua a 
Hrad螮ny e la poppa sulla Letn
La citttutta si giace in tenebre e orrori. I glutinosi imbratti 
di creta ricorrono spesso a camuffamenti, mutandosi in microfoni 
occulti, in bisce, in furetti, in orecchi ciclopici, in fastellacci 
di incartamenti, in insetti kafkoidi. Asseriscono che loro 
proposito ristorarci coi vezzi e coi proteggimenti, i dispensieri di 
aiuto fraterno, - ma in realtsono pronti a straziarci con le 
unghie, a scatenare su noi enormi rospi di latta, che hanno cingoli 
invece di zampe.
Dappertutto c'lezzo di golem: ossia di terriccio muffito, di 
servit di sudore caprino. E' ormai troppo tardi per rinforzare le 
deboli mura, incastellare le porte, steccare i fossi a difesa. Questa 
salsa del diavolo traboccata a tal punto, che quel tuo amico poeta, 
quel Folle di Pampeluna, potrebbe comporre una lugubre golemiade. 
Sono ormai penetrati nelle nostre case: in qualsiasi dimora si 
incontrano manichini di creta, che hircum redolent, intenti a 
grattarsi la rogna, a ridere sganasciatamente, a crapulare, a 
trincare, a pulirsi la sconquassata dentiera.
Gli uomini stessi, i piinnocui, i pifededegni, per aver troppo 
pattuito il vassallaggio col diavolo, si vanno pian piano cambiando 
in orribili g鐱lemess. I venditori di salsicce nei baracchini, i 
deviatori dei tram, i birrai, i camerieri del caffSlavia, gli 
avventori che escono all'alba dal night Barbora hanno giparvenza 
golemica. E i piluridi barri della confraternita, ostentando la 
propria golemeria, come si allacciano alta la giornea e con qual 
seminario di indegnite di soprusi e di prevaricazioni avviluppano i 
tremuli, gli spaventati. E molte femmine copulano coi g鐱lemess, 
senza paura di restar poi come bambole, dal cui ventre squarciato 
escano filamenti di sterro, trucioli di attaccaticcia fanghiglia.
Nel secolo scorso le nostre case erano alveari di vari congegni e 
ammennicoli musicali. Tabacchiere, scatole per gioielli o per sigari 
o per arnesi da cucito, appena veniva alzato il coperchio, si 
mettevano a tintinnare. Sotto il fondo di brocche di birra e di 
peccheri e di lumi da tavolo, sulle sedie e negli albi di 
dagherrotipi si nascondevano meccanismi sonori. Mulini a vento, 
dipinti in quadretti, se si tirava un cordino, movevano le ali, 
emettendo la gracile musichetta di un valzer, sovente il valzer di 
Massimiliano (1) Ma oggi non c'oggetto nel cui intimo non si 
nasconda un tagliente frantume, una faccetta di golem. Qualunque 
parola tu dica, un bisbiglio, un ricordo, una tenerezza, essi 
registrano tutto su piccoli rulli invisibili: ogni tua frase servir
loro a montare contro di te immonde macchine di calunnie e di 
perdizione.
E percinelle case regna il silenzio, e si sente solo il raspare 
dei topi che hanno fiutato il galestro. Ma a volte deflagrano 
irruenti conflitti, che i g鐱lemess non mancano di registrare: i 
figli si scagliano contro i padri, accusandoli di aver ignobilmente 
ceduta la nostra terra. Stretti nella morsa golemica, lasciamo andare 
ogni cosa in rovina, senza piprenderne pena e curando soltanto di 
non irritarli. Guai se danno nelle pazzie. 青he sardomani? - si 
chiese un tempo profeticamente il tuo poeta. - I muri avranno 
orecchie...(2).
L'unica nostra consolazione vedere al mattino nei bidoni della 
spazzatura i resti di g鐱lemess, che durante la notte si sono 
disgregati in marciume d'argilla. Ma un magro conforto: per un 
golem che si dissolve, cento altri ne spuntano, mentre purtroppo si 
vanno spegnendo di crepacuore o tapinano per il mondo i migliori di 
noi. Eppure deve esserci una redenzione. Nulla si tiene quaggiche 
non sdruccioli e cada. Ma quando?
NOTE:
(1) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety, II, Praha 1925, pp' 
88-89 e 94-95.
(2) Vladimir Holan, Lemuria (1934-38), in Babyloniaca, vol' IX di 
Sebranspisy, Praha 1968, p' 269.
Parte seconda
69
Il 18 giugno 1621 il boia praghese Jan Mydl漙 ricevette l'ordine di 
erigere un palco da supplizi per l'esecuzione di ventisette signori 
cechi (nobili, cavalieri, borghesi), condannati a morte per aver 
guidato la rivolta contro gli Absburgo (1) Al bagliore delle torce 
la stessa notte i garzoni del boia si misero all'opera, costruendo 
sulla Piazza della CittVecchia un palco alto quattro gomiti, lungo 
e largo ventidue passi e recinto da una ringhiera di legno. Questo 
theatrum fu unito con un ponticello a un balcone del municipio, che 
faceva da sfondo, e ricoperto sino a terra di panno nero.
Alle cinque del 21 giugno, orribilissimo giorno nella storia boema, 
i cannoni del Castello diedero il segnale d'inizio del nefando 
spettacolo. Nella gocciolosa luce dell'alba dal buio morente 
affiorava il theatrum, attorniato da due cornette di cavalleggeri e 
tre compagnie di fanteria, che tenevano a distanza la folla. Avvolto 
in un lugubre cappuccio, un garzone aveva piantato un alto crocifisso 
dinanzi al ceppo, accanto al quale stava in attesa sua signoria 
esecrabile il boia Mydl漙, con la spada snudata e la faccia dura come 
una cotogna gelata. Nel vuoto spazio sotto l'impalcatura giin 
precedenza, come in una cripta, erano state allineate le bare. 
Sussiegosi, in abito nero, maggiorenti e scabini sedevano al balcone 
del municipio: e tre di loro andavano su e gidal palco 
all'edificio, per chiamare ad uno ad uno i condannati.
Per tutto il tempo dell'esecuzione rullarono fragorosamente i 
tamburi e le trombe squillarono, perchla marmaglia non udisse i 
gemiti e le ultime parole dei giustiziati, le cui teste spiccate dal 
busto continuavano ancora per un attimo a palpitare sul tavolato 
cosparso di sabbia. Sei ministri del boia, ovvero sei servi di scena, 
gli holomci, in assise di panno nero, con nere maschere e nero 
mantello, portavano giper la scala sotto l'impalcatura i cadaveri 
tronchi, sicchil boia non toccnessuno degli infelici che con la 
spada-mannaia toglieva dal mondo. 俊erribile teatro esclama 
Da蟊ck nero palco, neri abiti, macabre maschere: la piazza, come 
Machar afferma in una poesia, aveva un aspetto da VenerdSanto (2)
L'esecuzione durquattro ore, e il carnefice usquattro spade, 
decollando, senza mai far cilecca, ventiquattro signori: a mo di 
intermezzo, e come a concedersi un po di respiro, impicci 
rimanenti: uno su una giustizia innalzata in mezzo alla piazza, due a 
una trave sporgente da una finestra del municipio. Nella citata 
poesia di Machar il manigoldo, la sera del 21 giugno, estenuato e con 
le fauci secche, aspettando che la servetta gli porti una brocca di 
birra dall'osteria 俠a rana verde racconta alla moglie i 
particolari dell'esecuzione e si vanta cinicamente di aver troncato 
le gole d'un solo colpo. Josef Sv漮ek invece discorre della 
commozione, del rammarico, dei rimorsi di Jan Mydl漙 e sostiene che, 
afflitto di dover trucidare patrioti cechi, egli indossnere spoglie 
di lutto in cambio del consueto capperone di fuoco e si adoperad 
attenuarne le sofferenze, decapitandoli con un solo fendente (3)
Sv漮ek intendeva di fare del manigoldo praghese una leggendaria 
parvenza, simile a quella del boia parigino Charles Sanson, che 
Pu毗kin defin哀virepyj figljar feroce pagliaccio (4) 
Sull'esempio delle presunte memorie della famiglia Sanson che 
abbracciano parecchie generazioni, egli inventtutta una dinastia di 
Mydl漙i e ne scrisse (1886-89) i fittizi ricordi, imperniati 
precipuamente sui crimini, sui processi, sui supplizi dell'etdi 
Rodolfo II e della guerra dei Trent'Anni (5) L'idea generatrice di 
questo tipo di rimembranze boiesche scaturisce dal fatto che i boia 
potevano solo sposare figlie di boia e i figli di boia erano 
costretti a seguire la sanguinaria professione del padre e le 
famiglie di boia (咬ody katovsk飩) in Boemia, come in altri paesi, 
formavano una singolare, compatta casta (6) Nelle memorie della 
stirpe dei Mydl漙i, infarcite degli ingredienti di un vieto 
romanticismo, le cruente vicende diventano lacrimosi pretesti di melo 
filisteo e i carnefici appaiono teneri, sentimentali, reietti, e 
quindi infelici.
Ma ancor prima di Sv漮ek, Josef JiwKol漷, nelle scene drammatiche 
di Praeskeid (L'ebreo di Praga, 1872), si era spinto pioltre, 
fantasticando che Jan Mydl漙 ricusaddirittura di giustiziare i 
ventisette signori e che sul palco fu sostituito da un altro boia, 
irriconoscibile sotto il rosso cappuccio (7) In questa tragedia, 
folta di orrori, di iperboli, di forzature patetiche, di 
maccheronismi da cavalocchi, Mastro Mydl漙 fugge da Praga con Rabbi 
Falu-Eliab e con Verena, figlia del conte Thurn, il capo dello 
sconfitto esercito ceco, che ha liberati dal carcere, e alla 
frontiera slesiana impicca ad un albero il malefico persecutore 
Pwib骿 Jen斁ek, ex unguentario, il quale ha avuto gran parte 
nell'eccidio.
In realtJan Mydl漙, non solo effettule decollazioni e strinse i 
nodi scorsoi, ma arricchil suo meticoloso lavoro di alcune 
raffinatezze, prima del colpo finale mozzando a Ondwej 螿ik, a 
Bohuslav z Michalovic, a Jiw骿 Hauen蟊ld e a Leander Rypl la mano 
destra e al dottor Johannes Jessenius, rettore dell'universit
praghese, la lingua. Nella poesia Jessenius di Vrchiickciche pi
turba il dottore, giamico di Tycho Brahe e campione della galleria 
di sognatori e bislacchi dell'etrodolfina, appunto questa 
咨remenda amputazione(8): come asserisce Machar, 厚enosa era a 
vedersi - la bocca insanguinata, in cui la lingua cionca - anelava di 
parlare...
Il cadavere acefalo di Jessenius non fu calato sotto l'impalcatura, 
ma trasferito sullo spiazzo dinanzi a Horskbr滱a (la Porta per 
KutnHora), dove il boia beccaio lo squartsotto il patibolo, 
infilzandone i pezzi su pali. Prima di mezzogiorno Mydl漙 torn
all'infausto theatrum e raccolse in bigonci di ferro le teste di 
dodici dei suppliziati, che portcoi garzoni sul ponte di pietra, 
per esporle al ludibrio come larve ghignanti sul cornicione della 
Torre della CittVecchia, sei di fronte a MalStrana, sei 
dirimpetto alla chiesa cattolica del San Salvatore. Sulla testa del 
conte 螿ik e del dottor Hauen蟊ld pose la mano destra recisa, sulla 
testa di Jessenius la lingua.
Tranne quello del conte 螿ik, che nel maggio 1622 fu restituito 
alla famiglia (9), gli altri teschi rimasero per un decennio sospesi 
nei bigonci di ferro. Gli emigrati cechi, rientrati a Praga nel 1631 
coi Sassoni protestanti, tolsero dalla torre i crani corrosi dalle 
intemperie e con solennissime esequie li seppellirono nella chiesa di 
T蓽 (10) Nel 1766, in quel tempio, venne alla luce una bara con 
undici teschi, ma la gente diceva che, prima della ritirata dei 
Sassoni (1632), quelle povere teste erano state inumate in un luogo 
segreto nella chiesa evangelica del San Salvatore. E che ogni anno, 
nella ricorrenza dell'esecuzione, sorgendo dal loro avello, 
visitavano la Piazza della CittVecchia, per osservare l'orologio 
astrologico di Mastro Hanu crucciati se, indizio di incombenti 
sciagure, erano ferme le sue lancette (11)
cos il 21 giugno 1621, al centro di Praga, su un 
theatrum-patibolo, fu recitata una delle piacerbe tragedie della 
storia boema. Il manigoldo Jan Mydl漙, strumento della vendetta e del 
perfido bigottismo di Ferdinando II, con le sue infallibili spade 
suggellla disfatta e la sudditanza di questo popolo di ribelli e di 
eretici. E percistrano che, nella nebbia degli anni, egli sia 
divenuto, per distorsione romantica, un flebile eroe, un desolato, 
costretto a compiere di malavoglia la strage. Ma io, contro tutti i 
Mydl漙i che hanno infuriato e che infuriano ancora su Praga, non mi 
stancherdi gridare: in ignem aeternum, in ignem aeternum!
NOTE:
(1) Cfr' Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, pp' 272-73; 
Josef Sv漮ek, K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in Obrazy z 
kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', II, pp' 202-4.
(2) Josef Svatopluk Machar, Ve蟌r Jana Mydl漙e v pond瘭21. 蟌rvna 
1621, in Apo褾olov(1911)
(3) Josef Sv漮ek, Pam皻i katovskrodiny Mydl漙v Praze (1886-89), 
Il, Praha 1924, pp' 201-248.
(4) Aleksandr Pu毗kin, O Zapiskabl Samsona (1830), in Polnoe 
sobranie so柚inenij, VII, Moskva-Leningrad 1949, pp' 104-6.
(5) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 310-11; 
id', Symbol kata a odsouzence v dile Karla Hynka M歊hy, in Realita 
slova M歊hova, a cura di R' Greben斁kove O' Kr滎骿, Praha 1967, pp' 
230-36.
(6) Cfr' Josef Sv漮ek, K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in Obrazy 
z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', p' 142.
(7) Leggiamo Praeskeid nell'adattamento di Vladislav Van襁ra 
(Praha 1959, con una nota di Franti蟌k G飆z), senza trascurare per
quello di AlePodhorsk(Praha 1947) Cfr' Ljuba Klosov Josef Jiw
Kol漷, Praha 1962.
(8) Jaroslav Vrchiick Jessenius, in Jnechal sv皻 jit kolem 
cit'
(9) Cfr' Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, p' 279.
(10) Cfr' Josef Jan碭ek, Mald疀iny Prahy, Praha 1968, pp' 208-9.
(11) Cfr' Adolf Wenig, Starpov瘰ti 蟌skcit', pp' 15-16; Karel 
Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 131-32.
70
Salito al trono imperiale nel 1612, Maty碭, che l'anno prima aveva 
costretto il fratello Rodolfo II ad abdicare alla corona boema, 
trasfera Vienna la sede dell'impero. A Praga frattanto cresceva la 
tensione fra i protestanti e i cattolici. Per diversi indizi di 
intolleranza temendo che venisse meno la libertreligiosa concessa 
da Rodolfo II con la Bolla del 9 luglio 1609, i capi degli 
evangelici, infervorati dal conte Thurn, deliberarono di passare 
all'azione contro gli Absburgo. Il 23 maggio 1618 un piccolo gruppo 
dei piradicali si reca chiedere udienza al Castello. Dopo scambi 
di contumelie e di oltraggi, i protestanti gettarono a capofitto da 
una finestra i due luogotenenti Jaroslav Bowita z Martinic e Vil鄉 
Slavata col loro segretario Filip Fabricius. Nonostante l'altezza, i 
tre rimasero vivi. Ormai non era pigiuoco di armeggeria, ma totale 
rivolta (1)
Si formun direttorio di trenta membri, e il conte Thurn mise in 
piedi un esercito di sedicimila mercenari, che sulle prime sconfisse 
in leggere fazioni presso Pelhwimov e tra Vesele Lomnice le truppe 
dell'imperatore, guidate dai generali Dampierre e Buquoy, e poi si 
spinse sino ai sobborghi di Vienna. Ma l'indecisione e lo scarso 
sostegno impedirono ai cechi di sfruttare il momento. E frattanto 
inacetiva la birra dell'odio, si alzavano macchine di rissa e di 
risentimento. Morto nel 1619 il malaticcio e irrisoluto Maty碭, gli 
succedette il giovane arciduca di Stiria Ferdinando II, spigolistro e 
inflessibile alunno di scuole gesuitiche, persuaso che fosse 
un'offesa a Domineddio lo scendere a patti coi protestanti. Il 19 
agosto la dieta di Praga privFerdinando della corona ceca, che pur 
gli aveva elargita con leggerezza qualche anno prima, e acclamre di 
Boemia il ventitreenne Federico, elettore del Palatinato, genero del 
sovrano inglese Giacomo I e capo dell'Unione dei principi protestanti 
tedeschi. Federico, che per la sua calvinistica fede era molto vicino 
ai Fratelli Boemi, giunse a Praga alla fine di ottobre con la moglie 
e la corte, e il 4 novembre fu incoronato re ceco.
Ferdinando II comincia fare apparecchiamenti grandi, per 
sbarazzarsi di un pericoloso agli Absburgo regno evangelico proprio 
nel cuore d'Europa. La Lega dei principi cattolici gli avrebbe 
mandato un cospicuo esercito sotto la guida del bavarese duca 
Massimiliano, indurato con lungo esercizio nel mestier della guerra, 
il re di Polonia un reggimento cosacco. La Spagna, la Francia, 
l'intera Europa cattolica, e persino il luterano elettore di 
Sassonia, bramoso di annettersi la Lusazia, parteggiavano per 
l'imperatore contro il re calvinista di Boemia. I protestanti 
tedeschi, il sovrano inglese, l'Olanda, che pur caldeggiavano la 
causa ceca, non avevano voglia di impegnarsi. Solo dall'avventuroso 
principe di Transilvania Bethlen Gabor i cechi ottennero 
accrescimento di truppe. Le trattative coi turchi non andarono in 
porto.
L'equilibrio degli eserciti, che stavano a riscontro l'uno 
dell'altro, fu dissestato, quando alle forze imperiali di Buquoy si 
aggiunsero nel giugno 1620 i trentamila uomini della Lega cattolica, 
condotti da Massimiliano e dal generale Tilly. Il conclusivo 
combattimento tra i cattolici e i cechi, dei quali aveva il comando 
Kristi滱 z Anhaltu, si svolse l'8 novembre 1620 su una collina 
signoreggiante la capitale boema, alla Montagna Bianca (BilHora), 
coschiamata per la marna gessosa che se ne cavava (2) Questa 
battaglia, militarmente di scarso momento, fu per il resto d'Europa 
un marginale episodio, ma per la Boemia una ingente catastrofe, il 
crollo dell'antica gloria, l'inizio di una lunghissima declinazione 
(3)
Poco dopo mezzogiorno, era una domenica, gli imperiali, esortati 
dal fanatico frate carmelitano Dominicus a Jesu, attaccarono l'ala 
sinistra dell'esercito ceco, gli squadroni di cavalleggeri del conte 
Thurn. Sulle prime gli 前reticicontennero l'urto nemico, ma ben 
presto, ricevuti rinforzi, gli imperiali li costrinsero a dar volta 
indietro. In un battibaleno lo scompiglio della cavalleria che 
arretrava si trasmise a tutti i reparti, e fu vana la carica del 
giovane figlio di Anhalt, che per un istante riusca penetrare coi 
suoi drappelli tra le file imperiali. Un reggimento dopo l'altro, 
l'esercito ceco comincia disgregarsi sotto il maglio dell'armata 
cattolica, inanimita dai primi successi. Non fu ritirata, ma fuga 
sciolta, con abbandono delle armi e intralciamenti e pigia pigia. 
Anche la cavalleria ungherese nettil campo in gran fretta dinanzi 
ai cosacchi polacchi, che cavalcavano con le briglie tra i denti. 
Solo una compagnia di fanti moravi resistette sino allo stremo e fu 
sterminata. Alle due del pomeriggio la battaglia era spenta.
Il principe Anhalt, quando si avvide che non sortivano effetto i 
suoi tentativi di ridurre sotto le insegne le genti sbandate ed 
intimorite, torna Praga con un plotone di cavalleria. Fattosi 
strada a fatica tra i carriaggi ammucchiati dinanzi alla Porta di 
Strahov, galoppverso il Castello, abbattendosi in re Federico che, 
assieme ai cavalleggeri della sua guardia, correva alla zona dei 
combattimenti. Trattenuto a Hrad螮ny da un lunch in onore 
dell'ambasciatore britannico, non fece in tempo ad entrare nel teatro 
della battaglia. Praga brulicava di armati e si sarebbe potuta 
difendere. Ma all'alba del 9 il 咬e d'invernopartper la Slesia 
col seguito e con la famiglia, e gia mezzogiorno i protestanti si 
arresero a discrezione a Buquoy e a Massimiliano.
Mentre a Vienna si celebravano messe solenni di ringraziamento e i 
pulpiti scagliavano fuoco contro gli 前retici a Praga un tribunale 
speciale, presieduto da Karel z Lichtensteina, condanna morte i 
ventisette signori che, confidando nella clemenza, non erano fuggiti 
all'estero. Per rimunerare i capitani che lo avevan servito, 
Ferdinando II confisci beni dei ribelli fuggiaschi o caduti, dei 
suppliziati e, dopo il farsesco 厚erdono generale quelli di 
chiunque avesse favoreggiato il 咬e d'invernoCosun gruppo di 
avidi speculatori e carrieristi e malefikanti (4) di varie contrade, 
tra i quali Buquoy, Lichtenstein, Wallenstein, Marradas, concentr
nelle proprie mani patrimoni immensi. Nell'intento di riconvertire 
con minacce e capestri l'intero paese al cattolicismo, Ferdinando II 
perseguitluterani, utraquisti, evangelici, privandoli di ogni 
diritto e scacciando dalle terre ceche i loro preti e predicatori, e 
affidai gesuiti le scuole, l'universit la censura dei libri.
Migliaia di borghesi, di nobili, di artigiani, di intellettuali (e 
tra gli altri Comenio) emigrarono, continuando ancora per qualche 
decennio a lottare dall'estero col pensiero, con la congiura, con le 
armi, arruolandosi nelle file dei sassoni, degli svedesi, di tutti 
gli eserciti che guerreggiavano contro gli Absburgo. Fra le truppe di 
Gustavo Adolfo, nel quale tante speranze riposero, v'erano interi 
reparti di esuli cechi. E mentre la nobiltcattolica rimasta in 
patria si germanizzava, attirata dalla corte di Vienna, il popolo 
delle campagne, immiserito ed oppresso, rimase fedele alle tradizioni 
evangeliche ancora per molti anni. Nei villaggi parecchi 
persistettero nell'前resia alimentando la fede con la lettura di 
vecchi libri di devozione, che nascondevano agli occhi dei missionari 
gesuiti.
Dopo la Montagna Bianca e sino alla fine della guerra dei 
Trent'Anni (1648) le terre ceche vennero taglieggiate da diversi 
eserciti, che le imbrattarono coi loro stupri. Soldataglia venuta da 
varie contrade corseggile campagne morave e boeme, uccidendo e 
predando. Da蟊ckesclama: 俏on c'era nient'altro in Boemia che date 
e prendiamo(5) Esasperati dalle scorrerie e dai saccheggi, i 
contadini impiccavano agli alberi i soldati grassatori: e nelle 
campagne annerite da incendi, tra le fumanti rovine, mercenari 
pendevano dai rami come fantocci.
E' curioso che Praga, che dopo la Montagna Bianca non aveva 
rintuzzato le truppe imperiali, nel 1648 tenesse testa agli svedesi 
di K霵igsmark (6) Ma cisi spiega forse col fatto che gli svedesi, 
anzichrecitare la parte dei liberatori, si abbandonarono anch'essi 
ai saccomanni e ai soprusi. La pace di Vestfalia segnla fine delle 
speranze nella rinascita del regno boemo, che tempeste di 
moschettate, fulmini di artiglierie, depredamenti, soqquadri e 
spaurita abulia avevano ormai convertito in diserta provincia. Praga 
perdette l'antico splendore di residenza dei sovrani cechi: un triste 
silenzio ingombrle sue strade di morte. Il Castello dei re boemi 
restvuoto e muto, come reliquia di glorie preterite. Ebbe inizio 
quel provvisorio, che continua ancor oggi.
NOTE:
(1) Oltre a Kamil Krofta, BilHora (1913) e Josef Pekaw, Bil
Hora, jejpw斁iny a n滻ledky (1921), cfr' Doba b瘭ohorska Albrecht 
z Vald褾ejna, a cura di Jaroslav Proke Praha 1934; Josef 
Poli蟌nsk Twicetiletv滎ka a 蟌skn漷od, Praha 1960. E anche 
Kamil Krofta, D疀iny 蟌skoslovensk Praha 1946, pp' 389-407; Zden瘯 
Kalista, Stru螽d疀iny 蟌skoslovensk Praha 1947, pp' 141-48; Josef 
Jan碭ek, Mald疀iny Prahy cit', pp' 197-212.
(2) Cfr' Jan Dolensk Praha ve svsl潎i utrpencit', p' 559.
(3) Cfr' Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, p' 267.
(4) L'espressione si legge in Praeskeid di Josef JiwKol漷.
(5) Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, p' 294 (1623)
(6) Cfr' Jan Norbert Zato蟊l z Levenburku, Kronika obl逸滱Prahy 
od 襒辜(1685), Praha 1914.
71
A molti visitatori stranieri la cittvitavina apparsa accigliata 
e dolente, plesso di strade morte, occhio spento di una contrada 
prostrata e assopita dal giorno della Montagna Bianca. Come se una 
fittissima bruma indissipabile fosse calata sul suo corpo dopo quella 
sconfitta.
In una fredda notte del 1822 Caroline de la Motte-Fouque, sotto la 
bianca ostia della luna, arriva alla Montagna Bianca e si sente 
gelare alla vista del luogo, in cui fu suggellato il destino del 
popolo ceco, e il fragile velo di nebbia che avvolge il paesaggio le 
sembra un soffiare di spiriti (1) Hanno sempre colpito i pellegrini 
stranieri la fatiscenza di questa cittsenza gioia, imbronciata in 
eterno, la sua desolata ed inerme passivitche stringe la gola, la 
sua vedovile maestdi sovrana deposta, ed insieme il quattriduano 
pallore, la rassegnata cupezza dei suoi passanti nelle strozzate 
straduzze, letamaio di antichissime glorie (2) D'altronde gli stessi 
scrittori di Praga, cechi o tedeschi, portano nel proprio sangue 
fuligginoso l'angoscia di quella disfatta, la maledizione della 
Montagna Bianca, il merore della Finis Bohemiae.
促raga! Praga! Tu cuore di pietra della mia patria! 咨erra 
infelice, madre infelice!prorompe Karel Hynek M歊ha in una prosa 
del 1834, esprimendo il malessere, il deperimento, l'oscuro sconforto 
del popolo boemo, che non riesce a scrollarsi di dosso il maleficio 
della disastrosa battaglia (3) 俟alite sulla Montagna Bianca - dir
Kar滻ek - e sentirete di non esser mai stati pivicini alla morte. 
Di lontano vedrete la cittmorente, la tragica regina, Praga. 
Perisce per esaurimento, e l'agonia che la estenua gida tre secoli 
una ferita che non potrmai guarire. Quando qui, sulla Montagna 
Bianca, malinconicamente ed a lungo sanguina il tramonto scarlatto e 
laggi nell'azzurra conca che imbrunisce, Praga risuona di tutte le 
sue campane, come se foste presenti a un grandioso requiem(4) 
Come si attaglia a cosafflitto sfondo la definizione che Kafka 
forndi se stesso a Gustav Janouch: 侵o sono una cornacchia, una 
kavka 俟ono grigio come la cenere: una cornacchia che non vede 
l'ora di scomparire fra i sassi(5) Ma anche 襒ejk partecipa di 
quella tetraggine col suo umor nero, col suo ossessivo 
chiacchiericcio da bettola, con le sue apocalissi, coi suoi manicomi.
Il collerico malumore di Rodolfo II, l'ipocondria degli alchimisti, 
l'assenza di mare, il supplizio dei ventisette signori, la macabrit
del Barocco, la truculenza delle favole ebraiche: alle corte le 
componenti generatrici del lugubre sottofondo di Praga sono col tempo 
confluite nell'unico simbolo della Montagna Bianca. I fili della 
mestizia della cittvitavina tutti si sono avvolti al rocchetto di 
quella calamitlacrimevole.
Quanto all'assenza di mare, sentita dai cechi come strettoia ed 
incentivo di struggimento, la Boemia ha un suo pelago solo nel 
Racconto d'inverno di Shakespeare: il gentiluomo Antigono, venendo 
dalla Sicilia per nave, approda a una plaga deserta della Boemia 
(atto II, scena III) C'un personaggio di Jan Neruda, in uno dei 
Racconti di MalStrana, il quale continuamente si cruccia che la sua 
terra non sia bagnata dal mare. Anziano uditore in pensione, il 
signor Ryb漙 (Pescatore) ha il codino ed indossa un cilindro 
panciuto, un panciotto bianco, le scarpe di cuoio screpolato come il 
tetto di un fiacre, candide calze fermate con borchie d'argento, nere 
brache sino alle ginocchia, ed un verde frac dai bottoni d'oro, con 
lunghe falde che battono sugli smagriti polpacci. Per la verde 
marsina che lo agguaglia ai demoni acquatili del folclore boemo, per 
il suo nome, per il suo assillante desiderio di mare la gente del 
vecchio quartiere praghese chiama hastrman, omino delle acque, questo 
podivin, questo bislacco. Quando egli apprende che le pietre raccolte 
per tutta la vita non hanno alcun pregio, la sua delusione di piccolo 
omino senza orizzonti coincide col disperato rammarico che Praga non 
sorga su sponde marittime, trampolini di fuga e allargamento 
dell'anima (6)
All'esercito ceco messo in fracasso sull'iniqua collina il Barocco 
sostituirun altro esercito, una coorte di santi, di statue 
esagitate che, nelle chiese fastose e sulle spallette del ponte, 
fanno moresche e delirano, ansiose di cielo. Dalla convergenza tra il 
lutto della Montagna Bianca e la drammaticitdel Barocco nasce il 
particolare clima grottesco e febbrile della letteratura praghese, 
ridotto di personaggi esaltati e chimerici, di fuori sesto, di omini 
con tic, che diresti talvolta appendici alle carte di uno stralunato 
tarocco.
Il depressivo ricordo della Montagna Bianca intride dunque le 
pagine di molti scrittori praghesi, e cispiega perchin tanti 
libri Praga appaia soprattutto notturna o intonacata di livida biacca 
lunare. Quante volte Jakub Arbes, nei suoi 咬omaneta descrive le 
buie, vuote strade di MalStrana, imbrodolate di pioggia, - le 
straducole, in cui l'opaca luce dei lampioni a gas vacillati dal 
vento suscita arcane siluette, che mettono i brividi. Ma specialmente 
gli autori tedeschi ed ebraico-tedeschi inclinano a cogliere della 
cittvitavina l'atmosfera accasciata, il deliquio, la putridezza, 
ciche di essa scompare per il risanamento. La loro apprensiva 
insularitdi creature attorniate da un mare slavo li spinge a 
effigiare la capitale boema come uno spiritico e torvo scenario, ad 
accrescerne l'ambiguitmistagogica, la sostanza spettrale. Penso al 
romanzo Severins Gang in die Finsternis di Paul Leppin, dal quale 
balugina una Praga aggricciata, sgomenta, con nebbie e agonia di 
lampioni, e al racconto Beschreibung eines Kampfes (Descrizione di 
una battaglia, 1904-905), in cui Kafka tratteggia la capitale boema 
come una cittacherontea, come un'invernale Bruges vitavina: la 
Moldava e i quartieri dell'altra riva erano avvolti nello stesso 
buio. Alcuni lumi vi ardevano e luccicavano come occhi veggenti(7). 
La vitava tiene bordone ai sortilegi di Prr-aga: come Meyrink 
afferma, a un bietolone straniero pusulle prime sembrare possente 
come il Mississippi, ma in realt怨 profonda soltanto quattro 
millimetri e piena di sanguisughe(8)
Nel ritmo di Praga la lentezza di un'infinita masticazione 
(quella di Gregorio Samsa che, nella kafkiana Metamorfosi, rumina per 
ore intere un boccone tra le mascelle) (9), una sorta di nausea 
secolare, di catatonia, risvegliata talvolta da sobbalzi e da impulsi 
immediatamente stroncati. I visitatori hanno tutti notato questa 
flemma infelice, la sorda costernazione, in cui essa invischia anche 
gli estranei. Nel saggio La mort dans l'滵e Albert Camus ha reso con 
vitrea luciditl'inquietudine, lo sconforto che infonde la citt
rodolfina: 侯e me perdais dans les somptueuses 嶲lises baroques,
essayant d'y retrouver une patrie, mais sortant plus vide et plus
desesperde ce t皻e-t皻e decevant avec moi-m瘱e. J'errais le long
de l'vitava coup嶪 de barrages bouillonnants. Je passais des heures
demesur嶪s dans l'immense quartier du Hradschin, desert et
silencieux(10) Gide, nel Journal, con cadenza di antiche fanfare,
definisce Praga: 哉ille glorieuse, douloureuse et tragique(11)
Nelle contorte viuzze ammuffite, nelle chiese fastose, nei vecchi
palazzi ristagna ancor oggi il cordoglio della Finis Bohemiae,
l'amaro rancore di una civiltassiduamente interrotta dalle
ingerenze brutali di tracotanti vicini. I rari furori di Praga sono i
trasalimenti febbrili di una sonnolenza sorniona, fiammate di
effimera ebbrezza, cui seguono giorni e giorni di cenere, pesantezza
di luppolo, cancheri e crepacuori. Soffi di questa mestizia giungono
sino all'Ostbahnhof di Vienna, si sentono nell'acquoso squallore dei
vagoni spenti che aspettano di partire la notte per la perduta
Boemia, in certe scritte di quella stazione che, come messaggi di
barbagianni e civette, ripetono: 非er billige Verkauf geht weiter
俠a svendita continua
NOTE:
(1) Caroline de la Motte-Fouque, Erinnerungen (1823), cit' in M瘰to 
vidim velikcit', pp' 203-4.
(2) Cfr' F' Gustav Kne (1857) e William Ritter (1895), cit' in 
M瘰to vidim velikcit', pp' 384 e 454.
(3) Karel Hynek M歊ha, N潎rat, in Dilo cit', II, pp' 177 e 181.
(4) JiwKar滻ek ze Lvovic, Rom滱 Manfreda Macmillena, Praha 1907, 
p' 133. Cfr' dello stesso il sonetto BilHora (1904), nel ciclo 
Pasiflora, in Hovory se smrt Praha 1922, p' 32.
(5) Gustav Janouch, Colloqui con Kafka cit', p' 15.
(6) Jan Neruda, Hastrman (1876), in Povidky malostransk(1877)
(7) Franz Kafka, Descrizione di una battaglia, in Racconti cit', p' 
11.
(8) Gustav Meyrink, Praha, in 蟌rnkoule, Praha 1967, p' 31.
(9) Cfr' Gaston Bachelard, Lautreamont (1939), Paris 1965, pp' 
17-18: 俠a metamorphose de Kafka appara褾 nettement comme un 彋range 
ralentissement de la vie et des actions
(10) Albert Camus, La mort dans l'滵e (1937), in L'envers et 
l'endroit, Paris 1958, p' 86.
(11) AndrGide, Journal 1889-1939: 5 ao 1934, Paris 1951, p'
1214.
72
(Scritto a Bruges)
L'incantesimo della Montagna Bianca ha fermato la cittvitavina 
nel tempo, mutandola in arca e dispensa di antichi splendori, di 
cimeli, di statue, di monumenti, ma anche di rognosi detriti, di ex 
voto, di candelabri incrostati, di molle di arrugginiti orologi, 
insomma in cittreliquiario. Praga dorme accucciata come una bestia 
restia nel suo sfarzoso passato: pesanti cavalli da birrai vanno 
indietro nei secoli verso un unico punto: la Montagna Bianca. E ahim
la sontuositdelle fabbriche non smorza il lutto: la bellezza delle 
bende non balsamo delle piaghe.
Il protagonista del romanzo Gotickdu蟌 (Un'anima gotica, 1900) di 
Kar滻ek si sente esausto ed inerme come la civiltboema, immedesima 
la sua spiritata esistenza col funebrismo della cittvitavina, nido 
di rancide glorie, albergo di un popolo che anneghittisce, stroncato 
dalla malasorte. Al tramonto, ascoltando da Petwin i rintocchi di 
chiese di etdiverse, gli sembra che il tempellare di tante campane 
risusciti gli svariamenti e i disastri dell'infelice storia di Praga. 
Quei colpi tetri e metallici, sonorizzando 剋li 幦brici dei tetti, 
gli inclinati camini, le putride cornici delle finestre, le accecate 
lastre di vetro, gli anneriti comignoli, gli sbriciolati cornicioni 
risvegliano nell'aria immota del crepuscolo il musicale fragore degli 
accadimenti passati (1)
Tutti i luoghi di Praga - afferma Kar滻ek nel Rom滱 Manfreda 
Macmillena (Romanzo di Manfred Macmillen, 1907) - 哀ono impregnati di 
passato. Si erge dinanzi a voi da ogni parte. Soffia su voi 
dall'ombra verdognola di profondi giardini con alberi frondosi. Vi 
avviluppa da un buio portale, dal fondo dell'andito di un palazzo. Vi 
trovate in una vetusta cittche conserva l'anima dei suoi antichi 
abitanti, la soffocante vicinanza tombale di coloro che vissero qui 
in altri secoli(2) 俏on so nulla - dice Francis a Manfred nel 
citato romanzo - del presente di questa citt Tutto ciche vi cerco 
il passato. Se voglio avere da vivo le impressioni che avrebbero i 
morti adagiati in cristallici armadi, se voglio guardare la vita come 
attraverso il vetro della mia bara, vado a Praga: la sua atmosfera 
oppressiva e pesante per la tragicitdi tutto ciche vi avvenuto. 
Vedo Hrad螮ny, MalStrana, Piazza della CittVecchia e sento che 
solo il Passato presente a Praga 隹 Praga tutto concluso e 
compiuto: indifferente chi vi abiti adesso, com'indifferente chi 
risieda in un vecchio palazzo in rovina, i cui proprietari si siano 
estinti. Mi piace andare per Praga di notte: quasi a cogliere ogni 
sospiro della sua anima. In rari istanti di repentina chiarezza mi 
pare come se la gloriosa cittmorta si destasse, per tuffarsi di 
nuovo nel triste, buio specchio della propria vanitesiziale(3) 
In Ganymedes (1925), ldove J顤n Moller si reca a casa di Morris a 
MalStrana, Kar滻ek annota: 侶ui nel profondo della vecchia citt
gli sembrche essi fossero gli unici esseri vivi, mentre le antiche 
vie intorno a loro erano deserte. Qui il ricordo del mondo, del 
presente era morto. Qui viveva soltanto il sentore del Passato e dei 
suoi ridestati misteri(4)
Le passeggiate praghesi dei personaggi di questi romanzi offrono il 
destro a Kar滻ek per adombrare l'effigie afflittiva della snervata 
citt i cui superbi palagi incupiscono sotto i neri crespi dei 
secoli (5), cittchimerica, trappola di arcani incontri, teatro 
ferale, dove rullano ancora, velati di nero, i tamburi che 
assordarono l'esecuzione dei ventisette signori. Manfred racconta: 
erravamo per le vie nel crepuscolo e a notte, quando 
nell'ingannevole luce lunare le dimensioni di tutte le cose crescono 
in grandiosit Dai lungofiume e guardavamo la vitava, che scorre per 
la cittcon un mesto, funerario sussiego, e la tetra siluetta del 
Castello, dal quale soffiava malinconia come da un rudere. Il vuoto, 
lungo edificio, buio come un carcere, aveva su noi un effetto 
deprimente: vi era simboleggiata tutta la vanitdi questa terra 
sopravvissuta alla propria gloria(6) Nel dramma Kr滎 Rudolf (1916) 
dello stesso autore il sovrano, sporgendosi a lume di luna da una 
finestra del Castello, invoca Praga: 哀arcofago... immerso nella 
penombra... avviluppato nel mistero...(7). Il mito della Montagna 
Bianca, nelle pagine di questo scrittore, si fonde con la propensione 
tipica dei decadenti, dei dandies alle cittfantomatiche, morte.
Ma giprima di Kar滻ek, in The Witch of Prague (1891), Crawford 
aveva messo in risalto la sepolcrale cupezza di Praga, viluppo di 
viscose foschie e di fumea di carbone, dove regna un costante 
pomeriggio cinereo, con rare vampate di stracco sole che stenta a 
forare le nebbie dense come olio. Raggricchiata nel torvo torpore di 
un interminabile inverno, catalessi di tomba, che ne fa quasi una 
b鐼kliniana isola della morte, la metropoli ceca assume nel suo 
romanzo un aspetto cimiteriale. 侶uesta citt- brontola Kyjork 
Arabian - si addice ai vecchi. E' mestissima. Le fondamenta delle sue 
case riposano su strati silurici(8) Nelle contorte viuzze sia 
Crawford che Kar滻ek si abbattono in schiere di trafelati passanti, 
che avanzano in abito di dolore, con andatura di automi, scambiandosi 
solo sommessi bisbigli, in affannosi viavai di figure allungate dai 
lunghi pastrani, con rigidi volti di salme, pifantasme fumose che 
corpi reali. A questi passanti potremmo aggregare quelle larve che 
vivono dopo la morte, quei revenants che fanno visita al poeta nei 
versi holaniani. 俑a l'intera cittsi estende estinta, - come un 
vuoto sepolcro giace Praga aveva cantato Karel Hynek M歊ha nella 
stagione romantica. In M歊ha la luna stessa intrisa del lutto della 
Montagna Bianca, e a questa fonte di desertitudine e desolazione 
rimandano nelle sue carte parecchi motivi, tra i quali, 
ostinatissimo, quello dell'冠rpa senza corde - appesa nella cripta 
degli scomparsi padri 冠rpa di tempi antichi, - culla di dolci 
suoni arpa dal 剋rembo cavo(9)
Il passato governa MalStrana. Nel racconto K霵ig Bohusch di Rilke 
si legge: 雨ohusch continu - Io conosco la mia mammina Praga sin 
dentro al cuore: sin dentro al cuore, - ripet come se qualcuno 
avesse posto in dubbio la sua affermazione, - perchproprio questo 
il suo cuore, MalStrana col Hradschin. Sta sempre nel cuore ciche 
vi di pisegreto e, vede, vi tanto di segreto in queste vecchie 
case(10) L'esotico Adrian Morris di Kar滻ek, passando per Mal
Strana, intuisce che potrebbero avverarsi 剃ose straordinarie nel 
fondo di queste vecchie casee potrebbe venire alla luce ciche 
sinora vi rimasto nascosto (11) La MalStrana dei racconti di 
Neruda, ambientati nella metdel secolo scorso, coi suoi nobiliari 
palazzi attorniati da orti, con le ampie chiese, con le strette 
straduzze in salita verso il Castello, con le gialle lanterne 
riflesse nelle pozzanghere, era un dormiglioso cantuccio di 
provincia. E ancor oggi, del resto, guardate dal verde di Petwin e 
dal Castello l'ammaliante conglomerato di 幦brici e altane e abbaini 
e camini e comignoli e torri: sembra immerso il quartiere in un 
altissimo sonno e come estraneo al brulichio della vita. Quelle case 
sono ancor oggi, per dirla con Arno褾 Proch漘ka, 咬ifugi per anime 
solitarie e scrigni per cuori abbandonati(12)
Nei giorni descritti da Neruda grossi miagolatori, rubicondi 
gattacci si affacciavano tra i pelargoni dei davanzali, fili d'erba 
spuntavano nelle straducole, panni disabitati e federe a righe e 
fiorami, che il vento gonfiava, pendevano dalle finestre, piccoli 
omini, per lo pipensionati, ingannavano il tempo a fumare la pipa e 
a narrarsi storielle alle osterie o dinanzi ai portoni. Piccoli omini 
bislacchi, figurette all'antica, partecipi della pensosit 
dell'accidia dello spento quartiere. 俟embra che in nessun luogo - 
afferma Oskar Wiener - vi siano tanti vegliardi come a MalStrana e, 
poichi vecchi ripongono volentieri le mani nel grembo e rifuggono 
la fretta smodata, una dolce contemplazione distingue l'intero 
quartiere e sono particolarmente tranquille le sue strade(13) Qui 
il melodioso fruscio del fogliame e le pietre e le araldiche insegne 
sulle facciate: tutto rammemora un'esistenza remota e svanita. La 
soavissima insegna dei Tre violini in via Nerudova (14) potrebbe fare 
da emblema alla musicalitdepressiva di MalStrana. Con la musica 
del suo silenzio, con la sua quiete, questo quartiere dilata ed 
esaspera l'insicurezza, la ciclotimia della cittvitavina.
Perla, la capitale del Regno del Sogno (Traumreich) in Die andere 
Seite (L'altra parte, 1909) di Kubin, cittfradicia, stigia, tinta 
in berrettino e come avvolta di funebre crespo e pivecchia della 
sibilla, un facsimile di MalStrana. 侵l cielo che vi si stendeva 
sopra era eternamente fosco; il sole non splendeva mai, mai si 
vedevano, di notte, la luna o le stelle(15) La nebbia solcata da 
gialli guizzi di deboli fiammelle a gas, l'aria torbida e smorta, il 
fiume Negro, sul quale essa sorge, scuro come l'inchiostro, i 
fastellacci di case decrepite e l'epidemia di sonnolenza che assale 
senza pieti suoi abitanti avvicinano questa opaca metropoli di 
letarghiti, misto di fiochi riverberi senza alcun primo lume, alla 
Praga luttuosa del Dopo-Montagna-Bianca.
青e qui me reste de Prague - afferma Albert Camus - c'est cette 
odeur de concombres trempes dans le vinaigre, quon vend tous les 
coins de rues pour manger sur le pouce, et dont le parfum aigre et 
piquant reveillait mon angoisse...(16). Qui, a Bruges, ti ho 
pensata, Praga. Lungo i canali putridi e sonnolenti, sui prati in cui 
si assiepano stormi di cigni bianchi con una B sul becco, dinanzi 
alle immagini di Memlinc, nella quiete del beguinage, nel Markt che 
rammenta la dissipata albagia delle Fiandre, dinanzi alle 
maisons-Dieu, in via dell'Asino cieco, sul Quai du Miroir, nelle 
botteghe che ammucchiano candelabri e merletti e quisquilie di rame, 
ti ho pensata, Praga, coi tuoi splendori di pietra e con le tue 
cassapanche gremite di rugginosi rottami, coi tuoi cetriuoli in 
aceto, il cui acre sentore provoca angoscia. Il marciume delle acque 
lezzose di Bruges ha un'assai stretta parentela con la muffa di certe 
tue viuzze nell'isoletta di Kampa, dove abita il gran pifferaio di 
ombre e di larve Vladimir Holan.
Smarrito, spinoso come un cardo violaceo di Tich ho gettato una 
corda funambola dalla Spagna fiamminga alla Spagna boema. Nei giorni 
impregnati di malta attaccaticcia, quando l'umido verde dei polder 
intorno stilla mestizia, quando le gotiche case di Bruges (che Hanu
Schwaiger riportnei suoi quadri) sono inquietanti come la 
misteriosa Sibylla Sambetha dipinta da Memlinc, ho pensato ai tuoi 
parchi, Praga, ai tuoi palazzi stregati, alle tue bettole, dove si fa 
gran guasto di birra. Ho pensato alle sere in cui dai muretti di 
Kampa guardavo la vitava, che con rabbiose spalmate di onde batteva 
le rive, spaurendo i grossi ratti acquatili, uguali al sorcio di 
chiavica che in una lirica di Holan rode e lacera Ofelia. Ho pensato 
al gocciolio delle sere in cui, bambola sciocca di stoppa, la luna 
giocava a rimpiattino coi castagni, cavalli dalla criniera di nebbia, 
col verderame della cupola di San Nicola, con le torri del ponte. 
Qui, a Bruges, come nelle tue strade sbilenche, io signor Rodenbabl y 
Kar滻ek, ho sentito la malinconia di un orgoglio sepolto, di un 
prestigioso passato, di una tramontata grandezza. Voi siete simili 
nella vostra agonia, nell'umore feccioso, nella luce da Venerd
Santo, voi fradicie, voi detestabili, voi cittofelizzate. Di 
lontano ho sentito il fischiettio con cui tu raccogli, 
Praga-Josefine, il tuo avvilito popolo di topi.
NOTE:
(1) JiwKar滻ek ze Lvovic, Gotickdu蟌 cit', cap' X, p' 48.
(2) Id', Rom滱 Manfreda Macmillena cit', pp' 39-40.
(3) JiwKar滻ek ze Lvovic, Rom滱 Manfreda Macmillena cit', pp' 
20-21.
(4) Id', Ganymedes cit', cap' XIV, p' 50.
(5) Cfr' ibid', p' 59.
(6) Id', Rom滱 Manfreda Macmillena cit', p' 111.
(7) Id', Kr滎 Rudolf cit', atto II, p' 39.
(8) Francis Marion Crawford, The Witch of Prague, trad' ceca cit', 
pp' 34-35.
(9) Karel Hynek M歊ha, Dilo cit', I, pp' 125, 160, 168, 185.
(10) Rainer Maria Rilke, S鄝tliche Werke, IV, Frankfurt am Main 
1961, p' 107.
(11) JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes cit', cap' XIX, p' 49.
(12) Arno褾 Proch漘ka, Kouzlo Prahy (1913), in Rozhovory s knihami, 
obrazy i lidmi, Praha 1916, p' 97.
(13) Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten cit', pp' 91-92.
(14) Cfr' N' MelnikovPapou螶ov Domovnznaky a v蓯瘰n褾ity 
praesk in Kniha o Praze, III, a cura di ArtuRektorys, Praha 1932, 
pp' 128-45.
(15) Alfred Kubin, L'altra parte cit', p' 51.
(16) Albert Camus, La mort dans l'滵e, in L'envers et l'endroit 
cit', p' 89.
73
Lo scrignuto Kyjork Arabian afferma che la metropoli ceca ha le 
stesse sinuosite giravolte del cervello umano (1) In quelle 
giravolte si acquattano case maligne, ricetto di spettri, macchiate 
di pustole nere, carcasse di cartilagini. A MalStrana, al Castello, 
nei ghirigori della CittVecchia resina liquefatta di ombre 
appiccicose sgocciola lungo i muri decrepiti. Nella nerissima cera 
delle nebbie si imprimono fatiscenti casacce dai grandi occhi 
stralunati, dalla gola malata come Kafka. Non c'viaggiatore che non 
abbia osservato la perfidia sorniona, la malsania delle case di 
Praga.
Case spilorce che intisichiscono, rimbambite casacce dalla vista 
babbuina, - e dentro le case viluppi di gallerie con ingorghi di 
correnti d'aria, come nella tana kafkiana. Stanze in penombra su 
viuzze strettissime, stanze intabarrate in pesanti tendaggi Secese 
con frange, stanze linfatiche, mal pettinate, e coi pettini 
abbandonati su tavole imbandite di tovaglie soffritte in brodo 
lardiero. Stanze con specchi appannati, come se vi si fosse riflessa 
una donna mestruata, con ritratti ovali di antenati in divisa 
austro-ungarica, con cassapanche abbondanti di bombette e solini 
duri, con trappole per i topi, topaie con abitanti lunatici, che nel 
buio hanno capelli di stoppa fosforescente come pagliacci dei quadri 
di Tich Corridoi guerci, soffitte ingombre di scarabattole, di 
ventagli, di albi, di lumi a petrolio, ballatoi, cacatoi sui 
ballatoi, serpentine e rompicolli di scale, ringhiere dalla gravit
oracolare.
Il poeta praghese Leo Heller ha cantato:
In meiner Heimat gibt es dunkle Gassen,@ die irr und eng sind und 
wie traumverloren,@ und H酳ser gibt es, alt und l酺mverlassen,@ mit 
blinden Fenstern und mit morschen Toren@ (2)
Ricordi, lettore, le catapecchie del ghetto nel Golem di Meyrink? 
俘annicchiate l'una accanto all'altra come vecchi animali 
neghittosi 冠ccatastate senza ponderazione剃ome erbaccia che 
spunti dal suolo 剃on volti perfidi pieni di una malvagitsenza 
nomeDi queste casupole Meyrink descrive la 哉ita perfida, ostile 
la 匍imica appena percettibile gli 冠foni, misteriosi conciliaboli
notturni, i rumori che, scivolando giper i tetti, cadono nelle 
grondaie, i portoni, 南ere fauci spalancateche, sebbene ormai prive 
di lingua, sanno emettere gridi coslaceranti e coscolmi di odio 
da infondere paura, i vetri delle finestre che, sotto la pioggia, 
sembrano farsi 匍ollicci, opachi e bitorzoluti come colla di pesce
(3) Non meno insidiose di quelle del ghetto sono in Meyrink le case 
di MalStrana tuffate in una raccapricciante Totenstille. 青'
un'aria sinistra in questo quartiere come in nessun altro posto al 
mondo. Non mai chiaro e non mai compiuta notte. Un torbido, fioco 
bagliore trapela da qualche parte, come una fosforescente caligine 
cola gida Hrad螮ny sui tetti. Svolti in una straduzza e vedi solo 
una morta oscurit ed ecco che dalla fessura di una finestra uno 
spettrale raggio di luce ti punge come un ago maligno le pupille. 
Dalla foschia affiora una casa con le spalle tronche e la fronte 
rientrante e fissa priva di sensi dai vuoti abbaini il cielo notturno 
come una bestia crepata(4) Meyrink ama paragonare le case praghesi 
a torvi animali in agguato.
Allo stesso modo ci raccapricciano i nidi di sorci, le scorticate e 
sbilenche e smaltate di zacchere case, che Kubin effiginel romanzo 
Die andere Seite. Guai a costeggiarle di notte: dalle finestre 
inferriate e dalle cantine filtrano gemiti soffocati, come se 
nell'interno avvenissero strangolamenti e delitti. 侵 portoni si 
spalancavano sul passante frettoloso come se volessero inghiottirlo
(5) Quando, alla fine, fra schianti di apocalisse, il Regno del 
Sogno si va scommettendo, le case, arrampicandosi in un ubriaco 
ammonzicchiamento che travaglia l'occhio, urlano tremendamente in un 
loro linguaggio 卻scuro e incomprensibile(6) Da queste vedute di 
linee pericolanti, da questi dislocamenti del vecchiume in rivolta, 
da questa teratologia architettonica derivarono forse le sghembe 
case, le oblique finestre dalle cornici distorte, le porte cuneiformi 
del Caligari (7)
GiCrawford aveva adombrato la misteriositdelle fabbriche della 
metropoli ceca, allogando la strega onorna nel palazzo 隹l pozzo 
d'oro(俗 zlatstudn篕) in via Karlova e il bieco Kyjork Arabian 
nell'edificio 隹lla nera Madre di Dio(俗 蟌rnMatky bo鳻 in via 
Celetn Il ghiribizzoso palazzo 隹l pozzo d'oro adorno sulla 
facciata di neri santi di stucco, protettori dalla pestilenza, fu un 
tempo cittadella di spettri. Popelka Bilianov(1862-1941), fertile 
manipolatrice di lacrimosi romanzi, sentine di Kitsch, scrisse che in 
quella casa la scala tortile, avvolta da un alto muro, era cos
stretta che un uomo grasso l'avrebbe riempita tutta, senza lasciare 
nemmeno uno spazio per un topo. Se ti si parava davanti un fantasma, 
non saresti potuto sgusciare. E chisscome portavano in alto le 
suppellettili e le cassapanche. I defunti li calavano gidalla 
finestra. C'era un pozzo in cantina, la cui acqua, il VenerdSanto, 
brillava di gialle pagliuzze. Nel suo fondo trovarono infatti 
nascosto un gruzzolo d'oro. Accanto al pozzo vegliava, in forma di 
bianco gomitolo bagnato, una serva che vi era annegata, attratta dal 
luccichio del metallo abbindolatore (8)
Nulla traspira al di fuori di ciche accade dentro agli 
scontraffatti palagi. Che accade nella tetra casa del 哀atana 
persianoDr' Mohammed Darasche-Koh a MalStrana? 侵n una vasca di 
vetro su un tavolino laterale nuotava in un azzurrognolo liquido una 
pancia umana 勁a maniglia interna della porta era una mano umana, 
ornata di anelli. - La mano del morto: le bianche dita aggranfiavano 
il vuoto(9) In quella dell'egittologo Dr' Cinderella, anch'essa a 
MalStrana, lussureggia una mostruosa vegetazione di piante 
carnivore, disseminate di vene pulsanti e di 勇nnumeri bulbi oculari 
con ripugnanti protuberanze in aspetto di more di rovo 俗rtai 
contro ciotole piene di biancastri bocconi di grasso, da cui 
crescevano amaniti muscarie, ricoperte di pelle vitrea. Funghi dalla 
carne rossa che, ad ogni tocco, tutti insieme scattavano(10)
Agli interni di Meyrink assomigliano lo stambugio del vecchio 
maestro in Ethiopsklilie (Il giglio etiopico, 1886) di Arbes, 
gremito di scheletri, erbari, animali impagliati, preparati anatomici 
(11), e il gabinetto di Kyjork Arabian, museo di salme mummificate. 
In Ganymedes il laboratorio di Moller, medievale fucina stipata di 
cianfrusaglie da solaio, pergamene cosparse di segni di cabala, libri 
di devozione, misteriosi elettuari, ha sede in una 哀pelonca da 
fattucchiere oltre Ko鍎we, presso il torrente Motol, dove L饖 
avrebbe trovato l'argilla per il suo Golem (12) Nello stesso romanzo 
Adrian Morris invece soggiorna a via Thunova, a MalStrana, alle 
pendici del Castello, in una dimora un tempo abitata da un'amata di 
Rodolfo II (13)
La letteratura praghese ci estenua con un florilegio di nere 
casacce streghesche, sorgenti di maleficio. Leppin dice del suo 
Severin che, quando guardava attraverso le palpebre socchiuse, le 
case di Praga prendevano parvenze fantastiche: 亟ra colpa di questa 
cittcon le sue buie facciate, col silenzio delle sue grandi piazze, 
col suo morto ardore? Gli pareva sempre che lo sfiorassero invisibili 
mani(14) Il pazzo eroe del romaneto di Arbes SvatXaverius (San 
Saverio, 1878) dove poteva abitare se non in un'angusta bicocca di 
MalStrana, in Umrl鍎 ulice (Via dei Cadaveri)? (15) E nel romanzo 
Zvone螶ovkr滎ovna (La regina dei campanellini, 1872) di Karolina 
Sv皻lche orrenda veduta le case e le chiese del lugubre Dobyt鍎 trh 
(Mercato del Bestiame) che, nella notte 南era come terriccio tombale, 
pesante come il coperchio di un feretro 哀embravano tumuli amorfi e 
senza contorni precisi, confusamente ammucchiati l'uno sull'altro
勇n una sola mescolanza balzanaTra le altre case quella chiamata 
俗 p皻i zvone螶欞 (Ai cinque campanellini), dal cui balcone 
illuminato si stacca nel fittissimo buio un rosso solco, come una 
traccia di sangue da un rosso sudario (16) A passarci vicino 
nell'ora dei gufi, le gambe ti avrebbero fatto, o lettore, nicola 
nicola. Non minore ribrezzo ci incutono nel romanzo Tajnosti praesk
(I misteri di Praga, 1868) di Josef Sv漮ek il Palazzo Bonneval a Mal
Strana, dalle finestre sempre serrate, avvolto da un folto giardino 
che ne preclude la vista, percorso la notte da uno scheletro che si 
lamenta, e il Palazzo Pachta a via Celetn arca di spettri e di 
spiriti, con stretti rivolgimenti di buie scale lumache, immensi 
spazi deserti e lunghissimi corridoi, di cui non si scorge la fine. 
Che tane di sorci, che topica. In questa edilizia del malaugurio 
hanno buon giuoco i vieti congegni, i banali orrori del tardo 
romanticismo.
La decrepitezza ingigantisce il sortilegio delle case praghesi. Ne 
fa fede la cupa Perla di Kubin, garbuglio di arcaiche casacce in 
compassionevole stato, che il tiranno Claus Patera ha comprato in 
Europa. Il Regno del Sogno un 亟ldorado per i collezionisti(17), 
una congerie di ciarpame da tandlmark: 俟oltanto la roba usata pu
oltrepassare la porta(18), e anche gli abiti dei suoi abitanti sono 
ridicolmente antiquati. Se la Innsmouth di Lovecraft esala sentore di 
pesci e viscida alga e belletta, il tanfo di un 哀ottile miscuglio di 
farina e di stoccafisso secco(19) si propaga per le strade di 
Perla. piche una metropoli asiatica, Perla, coi cortili ammuffiti e 
coi neri camini, con le mansarde recondite, e le scale a chiocciola, 
e i tetti di legno o di tegole, e la moltitudine di bizzarri 
comignoli, un cittadone da Mitteleuropa (20) Durante il flagello 
della sonnolenza, quando una 匍alattia della materia inanimata
(前ine Krankheit der leblosen Materie (21) copre di crepe e di 
ruggine le case e le cose e i muri vanno tombolando a pezzi a pezzi, 
anche nello sfacelo del vecchiume si avverte un riferimento 
specificamente praghese.
Dell'architettura inquietante della cittvitavina sono illustri 
esempi le afose e malconce casacce del Processo kafkiano. Tipica 
barabizna praghese, collusione tra un sordido casamento operaio e una 
catapecchia del ghetto, intrico di scale buie, corridoi soffocanti, 
ballatoi, sgabuzzini, il tribunale a cui Josef K' vien chiamato il 
mattino di una domenica. Il quartiere in cui sorge quel palazzaccio, 
insieme fondaco e ufficio e lavanderia, con le botteguzze sotto il 
livello delle strade, le finestre piene di materassi e gli inquilini 
che si parlano dai davanzali, tiene del proletario quartiere di 
E'i鋘ov e a un tempo della Cittebraica. Altrettanto praghese, con 
le sue strette scale senza spiragli e sulle scale una frotta di 
ragazzine petulanti, il casamento, il 蟊n魤k, di sporco sobborgo, 
nella cui soffitta risiede l'imbrattatele Titorelli. E qui si 
potrebbe discorrere a lungo della stantia pragheitdella stanza a 
pigione abitata da Josef K' Ma anche l'America kafkiana rimanda a 
Praga: pensiamo al casamento con innumere rampe di scale e 
pianerottoli e scale e balconi e anditi e scale, in cui vive, in una 
camera ingombra di armadi e di roba vecchia, su un canap in veste 
rossa e grosse calze di lana bianca, l'ambigua cantante Brunelda.
Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, Franz Kafka torna a via 
Celetn(Zeltnergasse) a casa sua, con bombetta, vestito di nero. Le 
case stesse, in cui Kafka abitcon la propria famiglia attorno alla 
Piazza della CittVecchia, avevano tutte sostanza arcana: in specie 
la casa 俚u den Heiligen Drei K霵igenin via Celetnn' 3, dove egli 
visse dieci anni dal 1897, vetusta costruzione addossata alla chiesa 
di T蓽, dalla quale, per un finestrone a trafori, si spandono nel 
quadrato cortile, buio pozzo con ballatoi, suoni d'organo e cori e 
odore di incenso (22) Ancor oggi, la notte, Jaroslav Ha蟌k, in 
qualche taverna, proclama ironicamente ai compagni di baldoria che 
ogni radicalismo dannoso e che il sano progresso puesser 
raggiunto soltanto nell'obbedienza. Anche su Ha蟌k ebbero influsso le 
case praghesi. La sua bisognosa famiglia si trasferiva continuamente 
di tugurio in tugurio: egli trascorse l'infanzia e l'adolescenza in 
umide, fosche come febbri quartane stamberghe, assordate dagli urli 
dei ragazzini in cortile e dalle instancabili ciarle delle comari sui 
ballatoi. Fu forse lo strazio di quelle strettoie giovanili, 
l'oppressione di quelle miserabili stanze a destare in lui una 
smodata brama di vagabondaggio (23)
Dunque: case lebbrose, stamberghe dall'aria pesante, pietre lisce 
come pezzi di grasso (24), palazzi che portano impresso un lutto che 
non si purisarcire con le lacrime, case che strusciano anche da 
lungi, come oggetti di insonnia, il muso contro le nostre mani. E 
percicitt dove si ha assidua coscienza dei muri che imprigionano 
e che non lasciano spiragli, sebbene, come dice Paul Adler, vi siano 
匍uri tra i quali abbastanza spazio per l'ignoto剃ase tra le cui 
fronti spazio per carrozzelle e cortei di pazzi(25) Una nera, 
sconfinata muraglia recinge il Regno del Sogno, la cui porta 哎n 
enorme buco nero(26) Kafka ha descritto la costruzione saltuaria e 
incoerente della muraglia cinese, movendo forse da quel sentimento di 
angustia e di reclusione che frequente negli scrittori praghesi. I 
muri come orrende lavagne sbreccate della fatiscenza, come enigma, 
come 匍alinconia di brecce nel prodigioso(27), come incubo 
ricorrono nei poeti e pittori del Gruppo 42, nella creazione di Orten 
e in quella di Holan.
NOTE:
(1) Francis Marion Crawford, The Witch of Prague, trad' ceca cit', 
p' 38.
(2) Leo Heller, Prag, in Deutsche Dichter aus Prag, a cura di Oskar 
Wiener, Wien-Leipzig 1919, p' 137: 俏ella mia patria strade scure 
sono,@ strambe e strette e come trasognate,@ cieche finestre e 
fracidi portoni,@ hanno le vecchie case abbandonate@
(3) Gustav Meyrink, Der Golem cit', cap' Prag.
(4) Gustav Meyrink, Die Pflanzen des Dr' Cinderella cit'
(5) Alfred Kubin, L'altra parte cit', p' 92.
(6) Ibid', p' 272.
(7) Cfr' Lotte H' Eisner, L'嶰ran demoniaque cit', pp' 24-30.
(8) Popelka Bilianov U 俚latstudn篕 (1904-905), in Podivuhodn
pwib璡y ze starPrahy, a cura di Karel Krej鍎, Praha 1971, pp' 
200-4.
(9) Gustav Meyrink, Das Pr鄡arat cit'
(10) Id', Die Pflanzen des Dr' Cinderella cit'
(11) Jakub Arbes, Ethiopsklilie (1886), Praha 1940, pp' 132-35.
(12) Cfr' JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes cit', cap' XIX, pp' 
66-68.
(13) Cfr' ibid', capp' VI, p' 21, e XI, p' 40.
(14) Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis cit', pp' 8-9.
(15) Jakub Arbes, SvatXaverius (1878), Praha 1963, p' 25.
(16) Karolina Sv皻l Zvone螶ovkr滎ovna (1872), Praha 1950, pp' 
7-8.
(17) Alfred Kubin, L'altra parte cit', p' 76.
(18) Ibid', p' 40.
(19) Ibid', p' 74.
(20) Cfr' ibid', p' 147.
(21) Ibid', p' 198.
(22) Cfr' Emanuel Frynta, Franz Kafka lebte in Prag cit', p' 80.
(23) Cfr' Radko Pytl骿, Toulavhouse (Zpr潎a o Jaroslavu Ha螶ovi), 
Praha 1971, pp' 55-56.
(24) Gustav Meyrink, Der Golem cit', capp' Frei e Schiuss.
(25) Paul Adler, N鄝lich, in Das leere Haus cit', p' 174.
(26) Alfred Kubin, L'altra parte cit', p' 44.
(27) Vladimir Holan, Zed', in Na postupu cit', p' 69.
74
Chi frequenta la letteratura praghese, avrl'impressione che i 
suoi personaggi siano gregari delle architetture, supplemento 
dell'edilizia (1) e come lunatiche larve si stacchino dai muri dei 
palazzi e delle casupole, dalle navate di pingui chiese barocche, 
dalle 勁arghe pagine dei tetti(2) Le chiese assumono un madornale 
risalto nel Logos della cittvitavina. 俟i dice che vi siano qui 
tante chiese quanti sono i giorni dell'anno. Per questo aspetto Praga 
puquasi rivaleggiare con la stessa Roma(3)
Di quegli edifici, seguendo l'esempio dei decadenti, che tanto 
hanno concorso a comporre l'immagine magica della metropoli boema, 
osserveremo, non tanto la grandiositarchitettonica, quanto la 
lugubre attrezzeria, l'umida oscurit la muffita antichezza. Kar滻ek 
tramuta ogni chiesa in un mesto panoptikum: indugia sulla putrescenza 
dei fiori dinanzi agli altari, sul deliquioso languore delle statue 
di cera, circoscritte da lucide vesti di seta gualcite, sul legame 
tra la penombra malata dei santuari praghesi e il corrotto della 
Montagna Bianca. Nello scenario di quelle chiese esaltando la 
corruzione del corpo, i chiaroscuri, lo spasimo della santit la 
voluttdel martirio, i decadenti non fanno del resto che dilatare le 
predilezioni del Barocco, categoria costante di Praga. Se le balza il 
capriccio di esser bizzarra, la cittvitavina non si risparmia nelle 
trovate barocche: inventa il convento delle barnabite a Hrad螮ny, con 
la chiesa di San Benedikt, dove le monache adorano la mummia annerita 
della beata Elekta, scolpisce a Loreta la statua di Santa Starosta in 
croce, con vesti sfarzose ma con barba d'uomo (4), e nella chiesa di 
San Jiw a Hrad螮ny, se le balza il capriccio, l'atroce statua di 
Santa Brigitka, putrido frale di rospi, cencri, lucertole (5)
Della funebrit del malanimo, della demenza, che Kar滻ek avverte 
nei templi praghesi ci forniranno lo specchio due brani del Rom滱 
Manfreda Macmillena. A San Jindwibl le statue d'oro di un altare 
冠vevano l'aria di fantasmi catalettici, usciti da tombe e stregati 
in pesanti, materiali parvenze. Presi a tremare, colpito dalla loro 
agghiacciante, grottesca spettralit La percezione del morbido 
orrore attizznel mio intimo arcani rapporti con gli esseri che 
erano qui marciti, sotto il pavimento del tempio e all'intorno, nel 
camposanto da tempo abolito(6) A San Jakub: 俊utti questi 
malinconici oggetti, che ho sinora guardato col diletto di un 
antiquario, hanno una smorfia beffarda. Cristo mi guarda fisso 
dall'armadio invetriato. Alcune cadaveriche effigi si avvivano nelle 
cornici dei reliquiari, alcune ossa e tibie mi minacciano, come se mi 
volessero attanagliare e strozzare. Tutto ora crudele e grottesco. 
Tutto sembra stravolto e concepito da un pazzo...(7).
Con ancor picupezza Kar滻ek ha espresso la misteriositdei 
santuari della metropoli boema nel romanzo Gotickdu蟌 (Un'anima 
gotica, 1921) L'eroe, estremo rampollo di un'antica famiglia di 
nobili, molti dei quali son finiti pazzi, un ipocondrico, ossia un 
rodolfino: ha paura di impazzire anche lui (e impazzirdavvero, 
morendo in un manicomio) Arroccato nella sua solitudine, crede che 
occhi malvagi lo bracchino, considera ogni uomo un nemico. Non c'
cosa pigoliosa al mondo per quest'冠nima goticache sentire aroma 
di incenso, tanfo di fiori sfatti, e vedere 剎are di vetro sopra gli 
altari con dentro imbalsamati cadaveri(8)
Soprattutto lo attira il convento delle barnabite (le carmelitane 
scalze), che vivono come ottusissime talpe nel buio della mistica 
reclusione. Questo chiostro funereo a Hrad螮ny era avviluppato in 
leggende di farnetica immaginazione (9) Si narrava che ogni novizia, 
prima di prendere i voti, dovesse sfilare a mezzanotte l'anello dalla 
mano grinzosa dell'orrida mummia della beata Elekta. Nelle cerimonie 
si udivano, come dai gorghi di un baratro, le salmodianti voci delle 
sepolte vive. E ai fedeli pareva di scorgere sfarfallio di occhi 
inquieti dietro le rugginose inferriate. 亮li altari si levavano come 
informi catafalchi sepolcrali(10) 俟olo l'altare maggiore, coperto 
di ceri appicciati sotto l'effigie di Santa Teresa, esausta ma 
fervida di devozione dinanzi a Cristo, splendeva come una grande 
piramide di luci liquefatte nel mercurio d'oro. Raggiava come un 
immenso castrum doloris(11) Quella chiesa scombuia Anima Gotica, 
lo toglie di senno. L'ormai smidollato motivo delle basiliche morte e 
inquietanti acquista nuovo sapore dalla connessione col mito di Praga 
spenta e tombale.
Sul tema delle barnabite si impernia anche una lambiccata novella 
di Julius Zeyer: Tereza Manfredi (1884) La principessa Manfredi, che 
il pittore Benedikt ha respinta, si ritira in quel chiostro, e la 
notte, nella verdognola luce lunare, incede sonnambula per le creste 
tortuose dei tetti verso lo studio di lui, che fiancheggia il 
convento. Benedikt ora avvampa d'amore, ma troppo tardi: Tereza 
morirsotto il velo durante la monacazione. Anche queste di Zeyer 
sono parvenze generate dall'architettura praghese, larve che emanano 
da quel 勁abirinto di tetti anneriti, superbe torri e maestose 
cupole(12)
Nel romaneto SvatXaverius Arbes racconta del pernicioso potere di 
un quadro di Franti蟌k Xaver Balko nella chiesa di San Nicola a Mal
Strana, - quadro che raffigura san Francesco Saverio morente su rozza 
stuoia in nero saio, in riva al mare. Chiuso dentro la chiesa 
deserta, di notte, un giovane esaltato a nome Xaverius, anche lui 
della stirpe dei rodolfini, dal viso identico a quello del santo, 
come se fosse servito di modello al pittore, indaga disperatamente 
l'enigma nascosto nella tela. E dopo lunghe ricerche e maceranti 
misurazioni, scopre nel quadro una trama di punti che, rapportata 
sulla pianta di Praga, indica l'itinerario dalla casa in cui visse 
Balko alle vigne di Malvazinka, oltre Smichov, dove dovrebbe trovarsi 
occultato un tesoro. Una notte Xaverius vi si reca a scavare assieme 
al narratore. Ma uno zolfanello, cadendo nell'erba, incendia pezzi di 
realg漷, e nella gialla luce sinistra che si sprigiona credendo di 
scorgere l'accigliato fantasma del santo, Xaverius fugge atterrito. 
La scatola di latta, che riuscito ad abbrancare, contiene soltanto 
minerali di nessun pregio. Qui il maleficio della pittura barocca e 
dei crittogrammi dei quadri si amalgama col tema del diavolismo 
gesuitico, fortissimo nella letteratura di Praga, e con la stregheria 
della chiesa notturna, granaio di fantasime.
Le chiese attraggono imperiosamente i personaggi morbosi della 
narrativa praghese. Del suo Severin dice Leppin: ..qualcosa lo 
spingeva sempre a indugiare nel buio degli altari laterali, dove le 
statue stavano austere dentro la nicchia e dove la luce perenne 
ardeva in un rosso bicchiere(13) E non da passare senza un 
accenno il rilievo che il duomo di San Vito ha nel Golem di Meyrink, 
il cui eroe, avendo scambiato nella cattedrale praghese il proprio 
cappello con quello di uno sconosciuto, percorre come in un sogno la 
vita di Athanasius Pernath, 勇l pifine intagliatore di gemme che vi 
sia oggi(14) In un romanzo, nel quale i pigran ghiribizzi del 
mondo sono messi in opera, non poteva mancare il numero magico e 
insieme clownesco dello scambio di cappelli, e per giunta nello 
spazio di una cattedrale. Del resto Meyrink osserva San Vito col 
morbido lume, col flou consueto alle descrizioni di chiese nella 
letteratura di Praga. 俠'altare d'oro splendeva nell'immobile quiete 
attraverso lo sfavillio verde e blu della luce morente, che dalle 
finestre a colori cadeva sugli inginocchiatoi. Scintille sprizzavano 
da rosse lampade di vetro. Odore avvizzito di cera e di incenso
(15)
Nella chiesa madre della diocesi boema si svolge il racconto di 
Neruda Svatov歊lavskm蟌 (La messa di San Venceslao, 1876) L'autore 
vi rievoca la notte che, sagrestano di nove anni, infreddolito, 
spaurito, tremante, nel dormiveglia, trascorse nella cattedrale, per 
assistere a un'immaginaria funzione officiata da san Venceslao. Con 
sbattimenti e con ombre contornate e taglienti sono da Neruda 
risuscitate l'orriditdella chiesa notturna, la malia dei suoi 
arredi e delle sue statue nel buio: sulle colonne e sugli altari 
come se fossero appesi gli azzurri drappi del VenerdSanto, con le 
loro lunghissime strisce avvolgendo ogni cosa in un'unica tinta o 
piuttosto in una stinta monotonia(16) E qui mi cade ottimamente in 
acconcio il ricordare la grande sequenza del Processo kafkiano nella 
sceneria di San Vito, - sequenza, in cui la glabra scrittura, 
invetriata di un sottilissimo lustro causidico, sembra riflettere la 
sostanza cristallica della cattedrale.
Il tempo pessimo (un giorno umido, freddo, nebbioso, che quasi 
notte), il buio del duomo impresso soltanto del luccichio di un 
剋rande triangolo di candelesull'altare maggiore, la vuota vastit
soffocante, il pulpito angusto come una nicchia: tutto questo 
raccorda il brano kafkiano alle precedenti descrizioni di chiese 
suscitatrici di angoscia nella letteratura praghese. Vi sono in 
realtsorprendenti analogie con quelle scene del romaneto arbesiano 
SvatXaverius, che avvengono nel chiaroscuro della basilica di San 
Nicola (17) Ad accrescere l'arcanit nel Processo interviene la 
parabola del guardiano della legge e dell'uomo di campagna, narrata 
dal prete a Josef K' Ma qualcosa di simile si trovava anche in 
Arbes: nella fosca chiesa, allucinato, Xaverius intravede un 
mostruoso omuncolo dalla testa grossa, che ha il volto del pittore 
Balko: costui, arrampicatosi sopra un altare, arringa con frasi 
sconclusionate due donne in gramaglie: la nonna e la madre di 
Xaverius. Ma si tratta soltanto di vaghe corrispondenze dovute al 
comune humus di Praga. D'altronde il guardiano della parabola, 南ella 
sua pelliccia, con quel gran naso a punta e la lunga barba nera alla 
tartara(18), sembra tratto dall'arsenale di Meyrink.
Dopo tanti esercizi di spiritismo, che smania di Tanztavernen, - ma 
mi resta ancora da aggiungere qualcosa al tema delle cattedrali, 
sebbene il sostare nei freddi templi, in questi umidi giorni, 
peggioreril mio raffreddore. Oppressiva ricorre negli scrittori 
praghesi l'immagine spagnoleggiante del crocifisso, tetro viluppo di 
trafitture e di membra stracciate, fontana di vivo sangue, parvenza 
medianica e insieme sorgente di raccapriccio. Due esempi da Kar滻ek. 
Nella chiesa di San Jindwich: appena il mio sguardo si affis
sulla croce appesa al muro, di colpo sentii alle mie spalle la 
presenza di un essere vivo. L'orrore mi invase - perchora anche la 
croce che stavo guardando assunse aspetto spettrale: non pendeva dal 
muro, ma era sospesa nel buio(19) Nel chiostro delle barnabite: 
侵l grande Cristo coperto di piaghe sanguinanti, che splendevano 
nelle tenebre come incandescenti segnali mistici, scese ora dai 
bracci della croce e si avvilentamente all'altare(20)
Sopra il letto della bacchettona Nepovoln nel citato romanzo di 
Karolina Sv皻l pende un enorme crocifisso di rozza fattura, con una 
corona di spine d'oro sul capo e grossi granati incastrati nelle 
cinque piaghe (21) Nel romaneto Sivookd鄉on (Il demone dagli occhi 
cenere, 1873) Arbes tratteggia un terrifico crocifisso annidato come 
un cattivo feticcio in un palazzo di MalStrana: un Cristo riottoso, 
inselvatichito, scontorto come uno storpio, con grumi di sangue nero 
come carbone e come ulcerato dalle pustole della peste (22) Il 
capriccio di un dipintore non avrebbe saputo fingerlo pi
spaventevole. Il sacro attrezzo su cui fu spento Nostro Signore 
diventa motivo precipuo in un altro granguignolesco e negricante 
romaneto arbesiano: Ukwieovan(La crocifissa, 1878) La mente del 
giovane protagonista di questo ordito di orrori, compagno di scuola 
del narratore, stravolta dalle iterate apparizioni di un 
crocifisso, che ha un sembiante muliebre deturpato da una foltissima 
barba nera. Quel sembiante corrisponde all'effigie di una fanciulla 
ebrea di Tarn饖 crocifissa dai contadini polacchi in rivolta e alla 
barbuta santa Starosta in croce che si ammira in Loreta. Demone 
suscitatore di questi deliri il deforme e di ceffo babbuino 
catechista Schneider, che coi suoi allucinanti ricordi ha ottenebrato 
l'animo del ragazzo. Torbidiccio pastone, in cui si frammischiano 
golgota e tricofilia e zolfo di ignee visioni e lividori di carni 
trafitte e demenza.
Il tema della croce governa le Twi legendy o krucifixu (Tre 
leggende sul crocifisso, 1895), e in specie quella praghese dal 
titolo Inultus, di Julius Zeyer. Vent'anni dopo la Montagna Bianca. 
Sul ponte si affollano mendicanti, straccioni, malati, simbolo della 
sofferenza e della miseria boema. Tra gli altri Inultus, un giovane 
poeta dai capelli alla nazzarena. Afflitto per la decadenza della 
patria oppressa, egli non riesce pia scrivere: 南ell'agonia di 
questa terra si era ammutolito il suo genio, e ogni individuo vivente 
in quel periodo era torpido, inebetito, impietrito come lei stessa
(23) L'altezzosa e impassibile scultrice Flavia Santini di Milano, 
passando una sera sul ponte, si accorge di Inultus e lo invita nel 
suo palazzo a Hrad螮ny. Sta lavorando ad un grande Cristo d'argilla e 
vuol dare al volto l'autentico spasimo di un uomo che lotti con la 
morte. Sceglie Inultus a modello, legandolo nudo alla croce. Per 
giorni e giorni il poeta pende, assetato, affamato, dall'orrido 
legno. La crudelissima Flavia gli tagliuzza la faccia, gli attorce 
attorno ferocemente le corde, gli conficca sul capo una corona di 
spine, e alla fine gli immerge un pugnale nel cuore. Solo ora, 
vedendo le estreme contrazioni del suo modello, il terminale 
tormento, puimprimere l'ultimo tocco al sacro fantoccio. Poi, 
impazzita, si impicca.
Zeyer allude diagonalmente in questa leggenda alla spasmodica 
drammaticitdelle statue barocche, al fulgore dell'arte barocca 
nella Boemia morente e, traendo spunti messianici dal paragone tra la 
Passione di Nostro Signore e il calvario del popolo ceco, collega 
l'orrore della crocifissione con lo sfacelo della Montagna Bianca. 
Inultus, l'Invendicato, si illude di riscattare la terra natia 
martoriata e lutosa di sangue, salendo la croce, provando i patimenti 
di Cristo, come se per ontologia qualsiasi crocifisso dovesse mutarsi 
in un redentore. All'atrocissima storia fa da sottofondo la musica 
lugubre della vitava, 剋rande, tragico pianto di Praga, che giace ai 
piedi del tetro Castello come un'incatenata sovrana(24)
NOTE:
(1) Cfr' Vojt瑿l Jir漮, Hlas Prahy c 蟌sk鄉 pisemnictv in 
便ritickm瘰斁n骿 1941, 2.
(2) Vladimir Holan, Mladost, in Triumf smrti (1930), ora in Jeskyn
slov (Sebranspisy, I), Praha 1965, p' 14.
(3) Ingvald Undset (1810), in M瘰to vidim velikcit', p' 175.
(4) Cfr' Arne Nov毾, Praha barokn(1915), Praha 1947, p' 33.
(5) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', p' 300.
(6) JiwKar滻ek ze Lvovic, Rom滱 Manfreda Macmillena cit', p' 124.
(7) Ibid', p' 30.
(8) Id', Gotickdu蟌 cit', cap' I, p' 13.
(9) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', p' 205.
(10) JiwKar滻ek ze Lvovic, Gotickdu蟌 cit', cap' VI, p' 35.
(11) Ibid', p' 31.
(12) Julius Zeyer, Tereza Manfredi (1884), in Novely, Praha 1947, 
p' 291.
(13) Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis cit', p' 100.
(14) Gustav Meyrink, Der Golem cit', cap' Weib.
(15) Ibid', cap' Schnee.
(16) Jan Neruda, Povidky malostranskcit', p' 187.
(17) Cfr' Karel Krej鍎, Franz Kafka a Jakub Arbes, in 促lamen 
1965, 2.
(18) Franz Kafka, Il Processo cit', pp' 327-28.
(19) JiwKar滻ek ze Lvovic, Rom滱 Manfreda Macmillena cit', p' 
125.
(20) Id', Gotickdu蟌 cit', cap' XXIII, p' 97. Cfr' anche cap' VI, 
pp' 31 e 35.
(21) Cfr' Karolina Sv皻l Zvone螶ovkr滎ovna cit', p' 25.
(22) Cfr' Jakub Arbes, Sivookd鄉on (1873), in Romaneta, I, Praha 
1924, p' 7.
(23) Julius Zeyer, Inultus, in Legendy, Praha 1949, p' 294.
(24) Julius Zeyer, Inultus, in Legendy cit', p' 299.
75
Cala di demonia, ricettacolo di neri e tossici spiriti era il 
Mercato del Bestiame (Dobyt鍎 trh), oggi Piazza Carlo: solitudine 
immensa, sottesa da labirinti di catacombe, nella quale davano la 
mala Pasqua baracche di ciarlatani, sozze e cascanti cas躦ole, la 
casa di Faust, la cappella del Corpus Domini, la chiesa gesuitica di 
Sant'Ignazio, e al centro un misterioso macigno con una croce (1) Su 
quel masso avvenivano esecuzioni abusive (2): il boia troncava le 
teste appoggiate alla pietra, e le salme cadevano per una botola gi
nell'intrico di anditi arcani, celle per i supplizi, covi di 
cospiratori, cubicoli in cui si muravano vivi i condannat dai 
tribunali segreti.
Nel romanzo Tajnosti praesk(I misteri di Praga, 1868) di Josef 
Sv漮ek gli affiliati alla societcarbonara 俑lad蟌chie(La 
giovane Cechia) si riuniscono in quei sotterranei meandri, ingombri 
di scheletri, e uno di essi, il medico Ludv骿, vi trova addirittura 
le ossa della propria madre, che vi fu incarcerata da sgherri in 
maschera (3) Le storie praghesi sono sovente tuffate nel buio di 
ipogei: e perciin un burlesco romanzo di Svatopluk 蟌bl il birroso 
filisteo signor Brou蟌k vaneggia di averne attraversati parecchi 
sotto l'osteria Na Vik漷ce durante il suo chimerico viaggio nel XV 
secolo (4) Karel Chalupa racconta di un bottaio che aveva bottega 
nell'ex convento dei crociferi: recatosi nella cantina in cerca di 
cerchi, costui si smarrin una rete di oscure cripte, stipate di 
bare putride, da cui traboccavano ossa (5) Ripeteremo con Holan: 
剃iche sarebbe nocchio in una bara, - quando sulla cittla luna 
indura...(6). Rigurgiti di infezioni romantiche, recidive di 
funebrit falegnameria di assi di feretri: un'armata di bare 
congregata nella letteratura praghese.
Diversi edifici di Praga si spartivano il vanto di aver ospitato il 
Dottor Faust nel suo soggiorno vitavino. La casa Teyfl (Teufel?) in 
via Sirkov(via Sulforea), cosdetta perchil negromante, 
svanendo, si sarebbe lasciato dietro un lezzo d'inferno; la casa Sixt 
a via Celetn non lungi dalla magione del mecenate di distillatori 
Kor滎ek z T膰ina; una malconcia bicocca al Mercato del Carbone; e 
soprattutto la casa di Faust (Faust驠 d籯) al Mercato del Bestiame, 
particolarmente indicata per il luogo, l'architettura bizzarra ed il 
fatto che vi aveva tenuto la sua cucina alchimistica Kelley (7) 
Vocel, nel poema Labyrint sl潎y (Il labirinto della gloria, 1846), fa 
di quest'ultima uno sfarzoso palazzo molto vago a vedere, con alte 
colonne, con paramenti di taffett con finestre dalle cornici d'oro, 
con soffitti di cedro liscio e lustrante (8) E Kol漷, nel romanzo 
Pekla zplozenci (Progenie d'inferno, 1862), la circonda di un orto 
con pellegrine piante e miracoli d'acqua e gabbie di iene, 
basilischi, lupi, leopardi (9) La leggenda ci vuol persuadere che 
quella casa fu l'estrema stazione del Dottor Faust, la scena del suo 
ultimo incontro col diavolo, e che da quella casa, disabitata e 
schivata da tutti, dopo la sparizione di Faust, il diavolo si port
vivo vivo per un buco del nero soffitto anche uno studente povero in 
canna (lo studente di Praga), il quale, armatosi di straordinario 
coraggio, vi aveva preso dimora (10)
Fucina di superstizioni fu in questo torvo mercato la cappella del 
Corpus Domini, riserva gesuitica. Chi fosse passato di notte vicino 
ai ruderi della cappella, specie se il vento gli scopava la faccia e 
mostarda di pioggia gli baciava le mani, avrebbe udito tinnir di 
catene e gemebondi richiami e veduto nella caligine figure in bianchi 
lenzuoli, fantasmi in arnese da prete, boia intabarrati nel rosso 
mantello e certamente gridato accorruomo. Qualcuno giurava che i 
gesuiti giustiziassero sotto quell'oratorio i loro avversari. Nel 
folclore e nell'inventiva del romanticismo boemo i gesuiti hanno 
infatti sostanza di diavoli. E non meraviglia: a detta del 
viaggiatore francese Charles Patin, che visitPraga nel 1695, se 
Londra era illustrata da mille e trecento speziali, la cittvitavina 
sguazzava nella beatitudine per essere albergo di duemila gesuiti 
(11)
Un'antigesuitica foga pervade il romanzo Zvone螶ovkr滎ovna (La 
regina dei campanellini, 1872) della Sv皻l che appunto si svolge 
nella sceneria dell'allucinante mercato. Nella casa 俗 p皻i zvone螶欞 
(Ai cinque campanellini), coschiamata per le campanelle d'argento 
che cingono la testa di San Giovanni Nepomuceno dipinta sulla 
facciata, campanelle vibranti con ghigno diabolico, risiede la fosca 
vedova baciapile Nepovolnassieme a Xavera (Xavera da Xaverius), 
figlia di una sua figlia morta demente.
Succuba dei gesuiti e in specie del malacoda e achitofellista Padre 
Innocenzo, la Nepovoln sotto colore di attendere alle pie collette, 
alle processioni, all'addobbo delle chiese di Praga, si dedica alle 
segrete manovre (siamo alla fine del Settecento) contro i frammassoni 
e gli illuministi e coloro che simpatizzano con la rivoluzione 
francese. La bellissima Xavera, regina dei campanellini, educata al 
religiosismo e alla doppiezza gesuitica, si innamora di Klement 
Natterer, un giovane cospiratore, capo di una societclandestina, e 
lo avverte dei pericoli che lo minacciano. Ma poichKlement, 
diffidando di lei, ne rifiuta i consigli, Xavera, signoreggiata da 
infrenabile collera, lo denuncia alla nonna ed al confessore come 
ribelle ed eretico. Il giovane vien suppliziato proprio sotto i suoi 
occhi vicino alla maledetta cappella, e Xavera impazzisce: vestita di 
stracci, nei geli e nelle tempeste, trascorre i suoi giorni 
all'aperto, ldove Klement salal patibolo.
Che giulio di commedia, che gioia per cornacchie, che insanguinata 
immondizia romantica questo mercato, questo pubblico banco di 
gesuiti, di spettri, di spigolistre, di cospiratori, di negromanti, 
di scheletri, di manigoldi, questo teatro tartareo con apparato di 
stragi.
NOTE:
(1) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 313-14.
(2) Cfr' Josef Sv漮ek, Tajnosti praesk(1868), Praha 1912, I, pp' 
76-77.
(3) Cfr' ibid', pp' 83-90.
(4) Svatopluk 蟌ch, Novepoch滎nv蔮et pana Brou螶a tentokr漮 do 
patn歊t逸o stolet(1889)
(5) Karel Chalupa, Hr鱵nou cestou, in Karel Krej鍎, Podivuhodn
pwib璡y ze starPrahy cit', pp' 227-31.
(6) Vladimir Holan, Sen (1939)
(7) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 154 e 
173-76. Cfr' anche Friedrich Heinse (1834), in M瘰to vidim velik.. 
cit', p' 259, e Pavel Grym, Tnoci povstal Golem cit', pp' 109-71.
(8) Jan Erazim Vocel, Labyrint sl潎y cit', I, 8, p' 45.
(9) Josef JiwKol漷, Pekla zplozenci cit', pp' 8-9.
(10) Cfr' Adolf Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', pp' 165-73.
(11) Charles Patin (1695), in M瘰to vidim velikcit', p' 45.
76
Cittfuneraria, dove si mangiano dolci che hanno parvenza e nome 
di piccole bare (rakvi螶y) e dove le bare slittano dai carri lugubri 
e il dottor Kazisv皻 (Guastafeste) risuscita il consigliere Schepeler 
durante le esequie (1) Cittdi elisiri alchimistici, dove la 
scialba e grinzosa giovane Ismena, prendendo l'arsenico, diventa 
leggiadra come una Madonna murillica, sebbene per poco, perchil 
veleno la uccide (2) Cittstregonesca, dove un gioiello di opale 
annuncia sventura, perdendo il suo luccichio (3) Cittdi prodigi, 
dove un fiore improbabile, un etiopico giglio, dall'erbario in cui 
disseccato si insinua nella sorte degli uomini (4) E percicitt 
in cui gli spettri corseggiano senza riposo e si propagano a guisa 
della mal'herba.
俟cheletri e spaventacchi dal teschio Keep Smiling, cavalieri 
acefali e bianche signore piangenti, monache diafane e conventuali 
assecchiti, gente scampata alla forca e vittime del patibolo, 
spilorci stregati e nennelli morti senza battesimo, ribaldi ululanti 
e perverse feudatarie altezzose(5) Anime in pena, involucri 
avvolti di fiamme, sanguinanti carcasse col pugnale nel petto, salme 
decapitate ed inoltre strigi e babau e barsabucchi in vari 
camuffamenti, lemuri dell'apocalisse, morbi incarnati, castighi 
divini su gambe, spiriti araldici, araldi della Peste vagano 
irrequietamente la notte nelle strade caliginose di Praga (6), nelle 
straduzze tortuose che si diramano da Janskvr蟌k sul pendio di 
Hrad螮ny, nei corridoi dei palazzi dagli indecifrabili stemmi (7), 
nelle cripte e nei cimiteri distrutti, nei vecchi monasteri ormai 
dissacrati (specie in quelli domenicani), nelle case di foggia 
bislacca come 俗 zlatstudn篕, negli immani edifici deserti come il 
palazzo 蟌rnin, nei cui pressi la principessa Drahomira sprofondcon 
gran tanfo di zolfo all'inferno. Dinanzi a queste proiezioni malsane 
della demonoplessia della cittvitavina non c'matamoros che non si 
senta tremare le viscere.
Come i grilli e le rane sui prati nelle sere d'estate, gli spettri 
di Praga tutti insieme garriscono agli orli delle mie pagine. Per 
evitare seccaggine, tirerin ballo soltanto pochi gregari di questa 
compagnia pestilente, prosperata da innumere fanfaluche e leggende. 
Nell'ex monastero dei domenicani in via Karmelitsk che per un certo 
tempo fu trasformato in teatro, si aggira l'attrice Laura l'Acefala, 
la quale amoreggiava con un ricchissimo e spocchioso conte. Quando si 
accorse del tradimento, il marito, un umile guitto, le troncla 
testa graziosa, spedendola in un pacco al nobile. Laura prese ad 
errare per i corridoi del convento in una veste frusciante di seta 
rosa a fiorami, tutta bindelli, con braccialetti sui polsi e con 
vezzi di perle al collo decapitato (8)
Nella chiesa di San Jan Na Pr歍le a MalStrana, che fu ospedale 
dei poveri e lavanderia, abitun certo tempo una vedova gretta e 
taccagna, che aveva nascosto il suo gruzzolo in un avello. Ogni notte 
lo spettro di un monaco nero, per alcuni di un insanguinato prevosto, 
la supplicava di dargli un tallero, perchaveva rubato nella casa di 
Dio e voleva lenire i rimorsi. La vedova resistette a lungo, con 
acqua santa tracciando circoli intorno al proprio giaciglio: infine, 
turbata da troppe insonnie, gli gettun tallero, come si fa a quelli 
che cantano in banco. Il monaco balzsu una nera carrozza trascinata 
da due capri neri e, infilando le porte che si spalancarono con 
intollerabil fracasso, fuggvia. Ma la moneta era falsa, e la notte 
seguente il monaco si ripresent per strozzare la pidocchiosa. Ogni 
notte, a San Jan Na Pr歍le, di sotto terra prorompe una fiammeggiante 
carrozza tirata da irchi infernali, con dentro un insanguinato 
prevosto o un monaco nero e, tra schianti, fragore di ruote, 
schiocchi di frusta, belati, rotola per i dintorni. Spettri producono 
spettri, l'avara vaga anche lei come spirito per quella chiesa, col 
marchio del falso tallero impresso in fronte (9)
In via Liliov nella CittVecchia, presso il chiostro di San 
Lorenzo, ogni venerddopo la mezzanotte, su un bianco cavallo che 
schizza vampe dalle narici, compare, col bianco mantello solcato da 
una rossa croce, un templare acefalo, tenendo in una mano le briglie 
e nell'altra il proprio teschio (10) Ogni notte da un monastero di 
benedettini a via Hybernskesce un Nero Spagnuolo, guercio di un 
occhio, su un ronzinante a tre zampe: ha la goliglia, il sombrero 
tirato sul mostaccio, una punta di barba come la coda di un sorco, 
spesso capello gli inonda la parte deretana del capo intorno alla 
collottola (11) Dalla chiesa di San Jakub invece la mezzanotte trae 
fuori la muta ombra di un pallido spadaccino lettone con un rosso 
sfregio in mezzo alla fronte e il cappello rosso, rabbuffato nel 
viso, lo sguardo in sberleffo (12) A JanskVr蟌k, ogni notte, uno 
scheletro acefalo passeggia in un carro di fuoco (13) 
Premonstratensi privi di testa galoppano; monache varcano il muro, 
dietro il quale trascorsero l'intera vita, sepolte; mugnai 
cacastecchi attraversano la cittcon un tiro a quattro (14): 
mercanzia stomacosa per una fiera di larve. Sarcauto 
nell'avvicinare questa torbida turba di fantaccini gregari del 
folclore di Praga.
A Kozn滵瘰t(Piazza delle Capre) raminga con un gran mazzo di 
chiavi una grassa signora dalla turgida gonna inamidata. Da viva si 
diletta tormentare sartine e fantesche, perchi suoi guardinfanti 
fossero rotondeggianti a guisa di ampie campane. E ora soffia su 
tutti i passanti, gonfiandoli come palloni (15) Un'ebrea procace dai 
capelli corvini e dagli occhi negrissimi spunta nel buio dal bordello 
隹lle dieci verginia Ozerov e, arcando e vibrando il corpo con 
positure lascive, solluchera e adesca i nottambuli: e, facendo con 
loro mulinello di baci, li trascina nel turbine di pazzissime danze, 
sino a tramortirli (16) Un tempo un'altra adescatrice, una bella 
tutta languori, ogni venerda mezzanotte, scendendo da una carrozza 
d'argento, girellava per il cimitero annesso alla chiesa di San 
Martin ve zdi, canticchiando triste. Da una finestra di fronte una 
volta un giovane volle accompagnarla sulla chitarra. Guardandolo con 
occhi grati e pieni di lesine, la signorina gli fece pertugio nel 
cuore e lo convinse a montare in carrozza con lei, per rubarlo senza 
ritorno (17) Una damigella di quelle che tendono i panioni e il 
vischio giunse a Praga nel Settanta del secolo scorso, tutta collane 
di vetro e gioie contraffatte, col volto coperto da un velo nero e 
con un nero vestito di lucida seta stridente. Prese alloggio nella 
locanda 隹l cavallo neroa Pw骿opy. Offriva una cena e cinquantamila 
fiorini, l'ambigua dama che aveva girato il mondo, a ogni giovane 
pronto a passare con lei una sola, deliziosissima notte. Molti 
gradassi e vagheggini, saliti nella sua stanza, fuggirono con la 
febbre fredda e la lingua annodata per lo spavento, vedendo che sul 
collo della nera straniera era infisso un orribile teschio (18)
Degna di nota l'incidenza che occorse nel giricordato palazzo 
俗 zlatstudn篕 (Al pozzo d'oro) A un pasticciere, che aveva 
bottega in questo edificio, venne in talento a Natale di impastar con 
dragante le figurine di due fantasmi spagnuoli decapitati, un 
cavaliere e la sua consorte, che a notte girandolavano dentro 
l'oscura casaccia. I due derelitti gli apparvero con la testa sul 
collo, pregandolo di aggiungere in fretta l'autentico loro sembiante 
alle zuccherose bambole che aveva plasmato e di esumarli dalla 
cantina, dove il loro uccisore li aveva scaraventati. Il pasticciere 
obbedsenza sgomento, diede loro dicevole sepoltura e ne ebbe in 
cambio un mucchietto di denaro, i loro risparmi nascosti nel 
calcinaccio (19) Nella casa 隹l gatto neroa via Pansk quando la 
peste si portvia il proprietario e la moglie, un servo malvagio ne 
trucidle tre bambine, per arraffare gli averi della famiglia. Ma un 
gran micio nero dalle unghie ritorte, ossia parasacco, giorno e notte 
gli stava sul petto, graffiandolo con le zampacce rampinose. Invano 
correva il servo impazzito per le vie, supplicando la gente di 
levargli dal petto quell'impaccio d'inferno: il gatto era invisibile 
(20) Ma chi quel vecchione dal cappello piumoso che, stivalato e 
speronato, vien fuori dalla chiesa gesuitica di San Bartolomeo, 
difendendosi con un pugnale dagli assalti di un mastino furioso? E' 
il conte Deym, che non ha pace, perchda vivo mutun uomo in cane. 
E quel cane non avrcalma esequiale, se non sarrestituito alla 
sagoma d'uomo. Solo che il conte, in quanto cadavere, non pufar pi
prestigi (21)
Al chiostro di Emauzy va in giro la notte un furfantissimo monaco 
acefalo, che scialacquava elemosine in donne e ubriachezza. Accecato 
da mazzamauriello, giunse persino a sottrarre le ostie dal 
tabernacolo, e per punizione gli fu mozzata la testa (22) Capperoni 
unti e bisunti, tonache color taneto, tronchi privi di effigie si 
avventano su noi, implorando sepoltura e riscatto. Vi fu un tempo in 
cui l'apparizione di spettri antiveniva flagelli. Nel 1713, una notte 
di marzo, sotto una tormenta di neve, la Grande Peste arriva Praga 
in tenuta di cavaliere su un nero bucefalo da barella, scendendo in 
una locanda della CittVecchia. Aveva il viso di gialla cera, le 
labbra asciutte e violacee, e sul cappello un grandissimo pennacchio 
nero, pendente da un groppo di cordoncini dorati. Ma sotto il tabarro 
il suo corpo era scheletro. La prima vittima della pestilenza, che in 
breve avrebbe ammorbato tutto il paese, fu la vezzosa cameriera della 
locanda, che egli strinse al petto e bacicon la boccaccia fetida, 
mentre ella gli apparecchiava la stanza (23)
Ma di certi spettri non si venne mai a capo. Nel dicembre 1874, nel 
quartiere di Podskal nella casa del signor Proch漘ka, che un tempo 
era forse appartenuta ai gesuiti, cominciun insistente strombettio, 
accompagnato da sussulti del suolo e da fragore di ruzzolanti 
stoviglie e da gemiti. Ci volle un intero drappello di polizia per 
tenere a bada i curiosi. Qualcuno asscriva di aver visto volare il 
cappello di un gesuita. Altri erano certi che vi imperversasse lo 
spirito dello sterminatore di una famiglia. Le vecchine appicciavano 
ceri, spargevano profusamente acqua santa, giocavano i numeri al 
lotto. Come un sol cane che latri desta tutti gli abbai dei vicini, 
cosquegli squilli svegliavano intorno uno stizzito fracasso. Dopo 
tre settimane di strepiti, il fantasma dalla trombetta, che intanto 
aveva ispirato una canzone da fiera e una polca ed era entrato nel 
repertorio dei caffconcerto e nei balli, cessdi rumoreggiare 
(24) In quel torno di tempo tutta Praga accorreva al teatro di 
spiriti Bergheer, un padiglione di legno, sul cui palcoscenico, per 
ripercotimento scambievole di grandi specchi tra loro, dentro una 
fitta nebbia frignando a spron battuti, guizzavano lemuri, scheletri, 
m漮ohy, larve, che un servo di scena cercava invano di decapitare e 
di abbattere con marrovescie sciabolate (25)
Le canzoni da fiera (kram漙skpisn, i pitavaly (26), le 
lacrimevoli frottole di Popelka Bilianov i sensa螽krv毾y (romanzi 
sensazionali), i corrieri illustrati alimentarono a dismisura la 
stirpe degli spettri praghesi. Nella cittvitavina i vivai di 
fantasmi e le storie nere conobbero nuovo incremento coi surrealisti, 
che si infervoravano per la letteratura dello spavento. Specialmente 
Nezval ebbe un debole per le dozzinali narrazioni di orrori e 
fattacci, per i 匍isteri di Praga fascicoli dalla scrittura 
fecciosa, sentine di scelleratezze, pubblicati da vari editori di 
bassa lega, e soprattutto da Alois Hynek, per lettori che bevevano 
grosso, alla fine dell'Ottocento (27) 隹nche se queste opere sono 
ormai in molti punti - Nezval afferma - illeggibili, nella loro 
decrepitezza si cela molta poesia autentica, autentico amore per 
Praga 促raga ha i propri misteri. Son certo che verrun tempo in 
cui il suo nascosto chiaroscuro romantico saril piardente 
collaboratore dei poeti(28): 剃ol crescere dell'interesse per i 
romanzi neri Praga mi apparsa di giorno in giorno in una luce 
sempre piaffascinante, la vecchia parte di Praga, quella che meno 
appartiene a questo secolo(29)
Cittdi panottici e statue di cera, cittdi guerce vicende, 
zodiaco di spettri, cittdove superbe e imparruccate contesse, mal 
sopportando le scarpe comuni, si facevano modellare dai cuochi 
scarpine di pasta di pane, scarpine frolle, e davano lauti banchetti, 
disordinando in magnificenza, finchil diavolo con una folgore non 
diroccava la loro magione, risucchiandole vive all'inferno (30) 
Anche durante l'ultima guerra, nell'insipido buio dell'occupazione 
tedesca, la diceria popolare ha prodotto a Praga un fantasma, Per毾, 
un omino su molle, uno sparutello di poca apparenza, un odradek che, 
grazie alla sua agilit sventava i tranelli dei nazi e sfuggiva alle 
loro persecuzioni.
Benchparecchi si siano eclissati, trovando riscatto, e parecchi 
se ne stiano in disparte, abbiosciati ed inermi come pulcini nel 
capecchio, i fantasmi della metropoli boema sono ancora cos
numerosi, che varrebbe la pena, secondo il consiglio di Bass, di 
sfruttarli per scopi turistici, lanciando slogans come questi da lui 
coniati: 侮ecchia Praga, prediletto ritrovo di spiriti di tutti i 
generi 保gni mezzanotte tregenda di spaventacchi di prima 
categoria(31) Allo scompiglio di una tal mascherata di mostri 
ossia infernaliana potremmo aggregare le ombre che sciamano attorno 
al Ponte delle Legioni nel poemetto Edison di Nezval e gli angeli 
morti di Holan. Ed io vorrei aggiungere il fantasma di una mia 
conoscente che, in una decrepita stamberga in via Ostrovn tra 
montagne di pacchi di scoloriti giornali legati con spago, suona il 
pianoforte ogni notte, come faceva da viva, la magra e streghesca 
signora Hu螶ov cui il matrimonio con un impiegato di banca imped
di diventare una concertista.
NOTE:
(1) Jan Neruda, Doktor Kazisv皻 (1876), in Povidky malostransk
cit'
(2) Jakub Arbes, Z漘ra螽madona (1884)
(3) Id', Odumirajicdrahokam (1889)
(4) Jakub Arbes, Ethiopsklilie cit'
(5) Eduard Bass, Praeskstarosti duchovn(1937), in Pod kohoutkem 
svatovitsk蔂, Brno 1942, p' 221.
(6) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 
299-300; id', Podivuhodnpwib璡y ze starPrahy cit', pp' 183-84.
(7) Cfr' N' MelnikovPapou螶ov Domovnznaky a v蓯瘰n褾ity 
praesk in Kniha o Praze cit', III, pp' 140-41.
(8) Cfr' Eduard Bass, Praeskstarosti duchovn in Pod kohoutkem 
svatovitsk蔂 cit', pp' 217-218; Popelka Bilianov V b蓯al鄉 kl碭tewe 
u Sv' M漙Magdal郾y, in Karel Krej鍎, Podivuhodnpwib璡y ze star
Prahy cit', pp' 192-93.
(9) Cfr' Eduard Bass, Praeskstarosti duchovn in Pod kohoutkem 
svatovitsk蔂 cit', p' 216; Popelka Bilianov V b蓯al鄉 kl碭tewe, in 
Karel Krej鍎, Podivuhodnpwib璡y ze starPrahy cit', pp' 194-98.
(10) Cfr' Adolf Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', pp' 90-93.
(11) Cfr' Eduard Bass, Praeskstarosti duchovn in Pod kohoutkem 
svatovitsk蔂 cit', pp' 211-12.
(12) Cfr' ibid', pp' 212-13.
(13) Cfr' Adolf Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', pp' 232-33.
(14) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', p' 299.
(15) Cfr' Popelka Bilianov Tlustdom歊 in Karel Krej鍎, 
Podivuhodnpwib璡y ze starPrahy cit', pp' 218-21.
(16) Cfr' Popelka Bilianov Tancujiceidovka, in Karel Krej鍎, 
Podivuhodnpwib璡y ze starPrahy cit', pp' 224-27.
(17) Cfr' Eduard Bass, Praeskstarosti duchovn in Pod kohoutkem 
svatovitsk蔂 cit', p' 222.
(18) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', III, pp' 26-27.
(19) Cfr' Popelka Bilianov U 俚latstudn篕, in Karel Krej鍎, 
Podivuhodnpwib璡y ze starPrahy cit', pp' 201-3. Cfr' anche Eduard 
Bass, Praeskstarosti duchovn in Pod kohoutkem svatovitsk蔂 cit', 
p' 222.
(20) Cfr' Karel Chalupa, U 恃ern逸o kocoura in Karel Krej鍎, 
Podivuhodnpwib璡y ze starPrahy cit', pp' 190-92.
(21) Cfr' Popelka Bilianov HrabDeym v chudobinci, in Karel 
Krej鍎, Podivuhodnpwib璡y ze starPrahy cit', pp' 204-5.
(22) Cfr' Eduard Bass, Praeskstarosti duchovn in Pod kohoutkem 
svatovitsk蔂 cit', pp' 218-19.
(23) Cfr' Karel Chalupa, U 俟mrti in Karel Krej鍎, Podivuhodn
pwib璡y ze starPrahy cit', pp' 187-89.
(24) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', II, pp' 174-88.
(25) Cfr' ibid', III, pp' 10-11.
(26) 厚itaval racconto o reportage poliziesco, dal nome 
dell'avvocato francese Fran蔞is Gayot de Pitaval, autore di una 
raccolta di cause celebri [1745-51] Egon Erwin Kisch scrisse un suo 
Prager Pitaval [1931]
(27) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 
319-21, 337.
(28) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 278.
(29) Id', Wet瞛 褾瘰tcit', p' 76.
(30) Cfr' Eduard Herold, Lichtensteinskpal歊, in Karel Krej鍎, 
Podivuhodnpwib璡y ze starPrahy cit', pp' 146-47. Cfr' anche Adolf 
Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', pp' 303-5.
(31) Eduard Bass, Praeskstarosti duchovn in Pod kohoutkem 
svatovitsk蔂 cit', pp' 220-21.
77
Il boia, il padrone dei lacci, dunque un personaggio essenziale 
della metropoli boema. Nezval considerava Jan Mydl漙, colui che mise 
a morte i ventisette signori, 哎omo degnodei suoi 剌uturi romanzi 
neri(1) Avviluppato in un nero mantello dal rovescio scarlatto 
come le piaghe panotticali della peste, con rosso corpetto di pelle e 
brachesse nere, bassi stivali di cuoio molle e spadino al fianco (2), 
si aggrega alla grande parata di alchimisti, g鐱lemess, 襒ejk, 
pellegrini, fantocci di luppolo, arcimboldesche cocuzze, incantatori 
meravigliosi, che percorre da secoli la cittvitavina. A Praga, come 
in altre contrade, il signore della Forca non soltanto torturatore 
e cerimoniere ed interprete di uno spettacolo macabro che attira 
immenso concorso di popolo, ma anche stregone e unguentario, ed 
esperto in ortopedia: se sa stroppiare gli arti, sapranche curarne 
le fratture.
I carnefici ebbero in Boemia tempi di grascia nell'etrodolfina e 
in specie durante la guerra dei Trent'anni, quando tutto il paese 
divenne, per usare una frase di Aloysius Bertrand, 哎n gibet suspendu 
qui demande aux passants l'aum獼e comme un manchot(3) Villani 
vengono decapitati per aver reciso a un ribaldo appiccato pezzi di 
stoffa, sbrendoli di camicia, e i genitali e le mani, con cui 
preparare beveraggi d'amore e decotti contro il sudore delle 
giumente. Ubriaconi si aggirano con botti sfondate appese al collo 
come casacche di legno. Soldatacci marrani, gettatisi al mestiere dei 
disperati, pendono da rami di alberi. I garzoni del boia raccolgono 
in conche di lucente oricalco la bava e il sangue dei giustiziati, 
rimedio contro il mal caduco. Show di capestri quest'epoca: e show 
appariscente, se il laccio d'oro e se l'impiccato un "ufficial 
militare in una magnifica uniforme costosa con speroni indorati(4)
I boia arrotondano il loro guadagno, vendendo brincelli di corda 
come amuleti, ossa di bestie, pollici dei suppliziati, fornendo 
cadaveri ai notomisti, catturando cani rabbiosi, sgombrando le strade 
dalle carogne, pulendo i destri e le fogne. Epoca grassa per gli 
annodacapestri. Ne fanno testimonianza i 勁ibri peciosi ossia neri 
ossia i protocolli di confessioni estorte sul cavalletto in quegli 
anni. Questi 勁ibri peciosi(勃nihy smoln飩) contengono storie di 
streghe manipolatrici di filtri e pozioni, di ragazze sedotte che 
danno in pasto ai maiali i figli illegittimi, di patrigni che 
seducono le figliastre, di dementi che stuprano capre: e quindi 
storie di raccapriccianti supplizi con ruote e fuoco e tenaglie, e di 
impiccagioni e decollazioni e seppellimenti di vivi: storie che 
Hrabal agguaglia ai moryt漮y, 叛uelle canzoni da fiera che dovevano 
suscitare negli ascoltatori orrore e spavento per un delitto(5)
Sotto Rodolfo II la piclamorosa esecuzione fu quella del 
maresciallo imperiale Hewman Kry褾of Rosswurm (ovvero Christian 
Herrmann Freiherr von Ru腛urm), uomo d'arme e gran donnaiuolo che, il 
25 (o 29) luglio 1605, a MalStrana, istigato dal malandrino 
milanese Giacomo Furlani, aveva attaccato duello col conte Francesco 
Barbiano di Belgiojoso. Intervennero i servi dei due contendenti, e 
nella mischia che ne seguBelgiojoso perdette la vita. Rosswurm fu 
arrestato, cercdi scolparsi, ma il perfido ciambellano Philipp Lang 
z Langenfelsu (il solito Lang) lacertutte le suppliche e convinse 
Rodolfo che il maresciallo congiurava contro di lui con l'appoggio 
dei Turchi. E cos all'alba del 20 (o 29) novembre, nel municipio, 
alla luce di esequiali doppieri, disteso sulla nuda terra in un saio 
monacale, Rosswurm fu decapitato. Trattenuta dal canchero Lang, la 
grazia sovrana giunse un'ora pitardi (6) Tempi d'oro per i 
carnefici. Quando nel 1612 il ciambellano Ka螲ar Ruckz Rudz, 
alchimista e arcadore, imprigionato per aver sottratto tesori al 
defunto Rodolfo, si impiccin una cella della Torre Bianca, il boia 
trasfercon un carro il cadavere alla Porta di Strahov, gli tronc
il capo, segle braccia e le gambe, ne svelse il cuore, 
schiacciandolo come flaccido cibo da gatti contro la bocca, squart
ciche restava del torso e scaraventtutti i pezzi disgiunti di 
questa carcassa in una fossa ricolma di calce viva, ma poichlo 
spettro del ciambellano, non privo di un certo umor nero, vagava per 
Praga su un carro di fuoco, dovette esumare la salma e darla alle 
fiamme e gettarne le ceneri nella vitava (7)
La connessione di Rodolfo II con la lugubre sceneria delle forche 
mostrata da un'ordinanza del 9 febbraio 1608, in cui la cancelleria 
del sovrano chiede agli scabini di KutnHora 哎n po di quel musco 
che cresce nei patiboli sulle ossa degli uomini usciti da questo 
mondo per i loro misfatti 哀pecie di quello che cresce sui teschi 
umani(8) E perciKol漷 non esagera quando, nel suo ampolloso 
romanzo, immagina che Rodolfo II vada di notte, al barlume di una 
fuligginosa lucerna, camuffato da garzone di boia, a cercar la 
mandragora col dottor Scota e col cane nero Damnausta e con Vil鄉 
sotto la forca, dal cui cappio quest'ultimo incolume si era spiccato. 
侶ui - dice Scota - nell'inclita e meravigliosa Praga, in questa 
sedia dell'arte occulta e di tutto lo scibile umano怨 sbocciato il 
fiore dell'unica, autentica, viva mandragora(9) Con sussiego da 
gabelliere pignolo Kol漷 descrive il cervellotico rito del 
ritrovamento della pelosa radice di Alraune, che egli chiama anche 
蟊beni螽斁ek, ossia Patibolina, da 蟊benice (patibolo)
Tutta la metafisica boiesca praghese rivive nel gran finale del 
Processo di Kafka, dove, al chiaro di luna delle esecuzioni 
romantiche, due manigoldi, due guitti 勁ucidi e grassi due 
redingotes, due cilindri conducono Josef K' nella 厚iccola cava 
abbandonata e tristedi Strahov (10) Arbes, nel romaneto D'槆el na 
skwipci (Il diavolo sul cavalletto, 1865), aveva narrato 
dell'uccisione di un cane 南ella vuota cava di pietra dietro la Porta 
di Strahov(11) 俐ie ein Hund! 青ome un cane! sono le ultime 
parole di Josef K', mentre uno dei guitti gli immerge il coltello nel 
cuore (12)
NOTE:
(1) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 318.
(2) Cfr' Josef Sv漮ek, K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in Obrazy 
z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', II, p' 182.
(3) Aloysius Bertrand, Le Cheval mort, in Gaspard de la Nuit 
(1842)
(4) Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, p' 292 (1623)
(5) Bohumil Hrabal, introduzione a Knihy Smoln a cura di Zden瘯 
Bi鍎k, Hradec Kr滎ov1969, p' 5. Questi 勁ibritraggono il nome di 
哀moln飩 (peciosi) dalla 哀molnice(torcia di stoppa intrisa di 
pece), con la quale i carnefici strinavano i condannati. Cfr' Josef 
Sv漮ek, K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in Obrazy z kulturnibl 
d疀in 蟌sk蓫l cit', p' 192.
(6) Cfr' Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, pp' 209 e 211 
(1605); Josef Sv漮ek, Pam皻i katovskrodiny Mydl漙cit', II, pp' 
87-122; id', K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in Obrazy z 
kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 198-99; Egon Erwin Kisch, Zwei 
Edelleute, in Prager Pitaval cit', pp' 37-53.
(7) Cfr' Josef Sv漮ek, Pam皻i katovskrodiny Mydl漙cit', II, pp' 
132-54; id', K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in Obrazy z 
kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 170-71.
(8) Cfr' id', Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in Obrazy z 
kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', II, p' 41.
(9) Josef JiwKol漷, Pekla zplozenci cit', p' 26.
(10) Franz Kafka, Il Processo cit', p' 347.
(11) Jakub Arbes, D'槆el na skwipci (1865), in Romaneta, IV, Praha 
1926, p' 34.
(12) Cfr' Karel Krej鍎, Franz Kafka a Jakub Arbes cit'
78
Che un'idea di spettacolo governi le cerimonie del boia cosciente 
anche Kafka. Josef K' sospetta che i due neri signori, i quali devono 
accompagnarlo al supplizio, siano 哉ecchi attori di infimo ordinee 
chiede di quale teatro ed infine dal loro doppio mento deduce: 亭orse 
sono tenori(1)
Se nelle miniature verbali di Aloysius Bertrand la parola 厚endu
ricorre dieci volte, quante volte ricorrono forca e impiccato in 
questa mia pragheria? Ma come potrei trascurare Piperger, il 
penultimo manigoldo ufficiale della cittvitavina? Abitava in una 
grigia casaccia di via Platn鈍sk e sulla sua porta ghignava la 
targa:
Jan Kwtitel Piperger
maestro carnefice
del regno boemoEra un tranquillo artigiano, tappezziere o ebanista, 
corto e grosso della persona, storpiato dalla gotta, il quale, al 
momento opportuno, sapeva trasformarsi in un demoniaco virtuoso dei 
lacci. E percidinanzi a quella casaccia, contigua a una lercia 
taverna, una commediante vestita di un nero frac, con bombetta e 
garofano bianco all'occhiello, la Morte, veniva spesso a sonare il 
violino, adescando i passanti.
Il giornalista Kukla ha descritto l'angoscia granguignolesca che lo 
assalquando, nel gennaio 1888, fece visita a maestro Piperger nella 
sua stamberga, qualche giorno prima che questi si recasse a Kutn
Hora, per giustiziare due malviventi, August e Karel Pwenosil, che 
avevano trucidato in una foresta il giovane appuntato della 
gendarmeria Ka螲ar Melichar (2) Piperger era nato nel 1838 da un 
manigoldo di Steyr, che fu tra i primi a desistere dalle decollazioni 
con spada, per dedicarsi esclusivamente ai capestri. I suoi sedici 
fratelli esercitavano tutti il mestiere di 匍aestro carneficein 
varie contrade dell'impero absburgico. Nel suo oscuro stambugio 
Piperger teneva dentro un armadio nero una sacca ricolma di ganci e 
di aggrovigliate corde di canapa e dentro una nera cassapanca la 
spada, con cui il padre, buon'anima, aveva eseguita l'estrema 
decapitazione: le spade per i vecchi boia possedevano virt
talismaniche (3)
Quando Kukla lo anda trovare, vincendo la paura dei 
corridoi-catacombe, in cui rintronava il tip-tap dei suoi passi, 
Piperger era agli sgoccioli: malato di cuore, tremava di freddo e 
parlava con voce rantolosa, agitando le mani di cosscarna carne 
coperte, da trasparire nel rosso balenio del crepuscolo. Discorrendo 
con Kukla, Piperger, larva da libro di Meyrink, espresse il 
presentimento che l'esecuzione imminente di KutnHora avrebbe 
segnato il tracollo della sua vita, - e la sua faccia livida, gialla, 
assecchita, dagli occhi incavati, prese l'aspetto di un teschio. 
Burla agghiacciante: infilsogghignando il cappio al collo di Kukla 
atterrito, e poi si fece aiutare a indossare la nera redingote da 
carnefice.
Secondo Kisch, nel declino dei giorni, Piperger era gidi umore, 
perchla diceria lo accusava di aver avvelenato nel 1872 Jana 
Wohlschi輍rov una vedova da lui sposata in Croazia dieci anni 
prima. Chi avrebbe creduto all'innocenza di un boia, tanto piche ai 
boia erano proprie le erbe magiche e le incantazioni? Tuttavia Kukla 
attribuisce a Piperger intenerimenti e pallori e tremori, che fanno 
di lui una parvenza patetica, un demone afflitto. Narra, ad esempio, 
che scolore batti denti e si disfece in pianto, quando, il 21 
giugno 1866, gli toccdi impiccare sulla piana di E'i鋘ov a un 
altissimo palo il suo amico V歊lav Fiala, cantiniere della taverna 
侮e sklipku(La cantinuccia) e vagheggino di molte servette, che 
aveva ucciso l'amante Kl漷a E'emli螶ov
Fu Piperger ad affogar nella canapa su una piazza di Plzelo 
zingaro Josef Jane蟌k, grassatore e furfante, che 襒ejk ricorda l
dove, al tribunale di divisione, conforta l'avvilito maestro-soldato: 
南on deve perdere la speranza, come diceva lo zingaro Jane蟌k a 
Plze che tutto puancora volgere al meglio, quando nel 1879 gli 
misero il capestro al collo a causa di quel duplice omicidio per 
rapina(4) Il patibolo, al quale Jane蟌k venne condotto fra un 
assordante tempellio di campane, era attorniato dal trentacinquesimo 
reggimento di fanteria: nella piazza cosimmensa folla premeva, che 
per la calca molti furono infranti. Si bisbigliava che un branco di 
zingari sarebbe piombato sulla cittper bruciarla e sottrarre il 
briccone al castigo. La salma spenzolsino alla notte seguente, e la 
plebe non accennava a disperdersi.
All'esecuzione di KutnHora (12 gennaio 1888 per Kukla, 11 giugno 
dello stesso anno per Kisch) Piperger partecipdi malavoglia, 
molestato da febbre, oppresso da premonizioni. E infatti, appena i 
due delinquenti pendettero dal suo nodo scorsoio, si affloscitra le 
braccia del figliastro che, sin dal tempo dell'impiccagione di 
Jane蟌k, gli dava una mano. Il figliastro, Leopold Wohlschi輍er, lo 
riportin treno a Praga, e qui il cagionevole boia si spense quattro 
giorni dopo. Una canzone da fiera insinua che, quando Domineddio 
chiamin cielo Piperger, il manigoldo esitava, temendo di ritrovarsi 
all'inferno con quelli che aveva appiccato (5) Ancora a lungo la 
commediante col fiore all'occhiello si ferma sonare il violino 
dinanzi alla casa decrepita in cui era vissuto.
Di ogni provvista di mistero fu privo peril suo successore, il 
figliastro, nominato Scharfrichter f das K霵igreich B鐬men il 24 
giugno 1888. Se a Piperger piaceva almeno bazzicare le bettole e in 
specie 恃ernpivovar(La birreria nera), dove spauriva i clienti 
con storie patibolari, Wohlschi輍er invece, tra un'esecuzione e 
l'altra, menuna vita appartata, in pantofole, dedito al lavoro di 
orafo e alla famiglia. Con lui persino il trovarobato boiesco, che 
era caro a Piperger, l'insieme di cappi e di ganci smorfiosi e di 
serpi di corde, venne perdendo la sua stregheria. Wohlschi輍er, di 
cui 襒ejk afferma che impiccava per quattro fiorini (6), aveva una 
sola ambizione: diventare carnefice a Vienna. Ma quando, invitato 
nella metropoli austriaca per prova, strangoluna donnaccia che 
aveva scannato la propria figlia, i lacci gli si imbrogliarono e la 
condannata si dimenalcuni istanti, sbattendo come un polipo. Di 
quel posto nemmeno a parlarne. Era colpa, si lamentava Wohlschi輍er, 
della scadente qualitdelle corde che a Vienna si usavano.
NOTE:
(1) Franz Kafka, Il Processo cit', pp' 343-44.
(2) Cfr' Karel L' Kukla, U kata pwed popravou (Z ovzdu鍎 
popravi褾, in Ze v蟌bl koutPrahy cit', pp' 167-86. Cfr' anche 
Egon Erwin Kisch, Wohlschi輍er, in PraeskPitaval cit', pp' 20-31.
(3) Cfr' Josef Sv漮ek, Pam皻i katovskrodiny Mydl漙cit', II, pp' 
116-17.
(4) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, p' 344.
(5) Piseo katu Pipergrovi, in Pisnlidu praesk逸o, a cura di 
V歊lav Pletka e Vladimir Karbusick Praha 1966, pp' 47-48.
(6) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', III-IV, p' 95.
79
E qui vorrei che il lettore avesse una breve contezza del frammento 
di M歊ha Kwivoklad (1830), tutto barbagli e riverberi e lingue di 
fiamma, - frammento che doveva far parte di un ampio romanzo dal 
titolo Kat (Il boia), progettato in quattro 哀tazioni ciascuna col 
nome di un gotico castello boemo. Il testo di M歊ha, che per la 
sostanza drammatica e la ricchezza di dialoghi invogliBurian a 
metterlo in scena (1), si impernia sul legame che avvinse V歊lav IV 
al suo boia. Gli antichi annalisti abominarono questo sovrano, 
l'unico re da cui Nezval asscriva di sentirsi attratto (2): nelle 
cronache infatti egli frequenta le taverne praghesi in compagnia del 
suo manigoldo, che chiama 剃ompare si affratella con la marmaglia, 
affoga i preti, decapita i nobili, frigge i cattivi cuochi allo 
spiedo, fa mordere a morte la moglie da una cagna selvatica (3) 
Ugual detrazione lo aspetta nel racconto machiano: 隹l mattino re 
V歊lav ovvero, come i praghesi lo domandano, V歊lav il pigro condanna 
chiunque gli sembri colpevole, a mezzogiorno il compare toglie costui 
con la spada dal mondo, e la sera dinanzi a un bicchiere di vino 
piangono entrambi, si dice, l'ucciso e continuano a rammaricarsi, 
finchnon si inceppa loro la lingua e non li portano a letto 
ubriachi fradici(4)
Poichil poeta indugia con minuzia ossessiva sullo sguardo 
afflitto, sulle fiammeggianti pupille, sulle smorfie, sul ghigno, 
sulle trasformazioni del volto del manigoldo, l'intero racconto 
potrebbe considerarsi un saggio di metoposcopia o chiaroscuro 
facciale. Compenetrandosi l'uno con l'altro in un giuoco di 
contrapposti colori, il re (in bianco guarnito d'argento) e il boia 
(in nero con mantello rosso) sembrano fondersi in un'unica stralunata 
figura a due facce: un'uguale tristezza sonnambula, un'uguale 
inquietudine consumano i due personaggi. Solo che il re si vergogna 
della propria maested anela di scendere in mezzo alla feccia, 
mentre il boia smania di evadere dal vilissimo stato, che gli procura 
continuo tormento. In effetti, come risulta alla fine, il boia il 
nipote bastardo di V歊lav III, l'ultimo dei Pwemyslidi, e ha scelto 
questo nefario mestiere per scherno dell'umanite per ansia di 
umiliazione. Nel boia, che si affisa nella lontananza infinita, 
travagliato, sognante e quasi pierrot, nel boia, che nasconde con 
scoppi di risa sguaiate e sogghigni il suo lutto, M歊ha ha trasfuso 
se stesso, la propria disperazione, la propria ipocondria di poeta 
romantico (5)
La discendenza regale e il malumore del boia; l'amore di una 
ragazza (Mil歍a) per il boia, che le ha giustiziato il padre; le 
tristi canzoni intonate da Mil歍a sull'arpa; il deperimento e la 
morte della ragazza; ed inoltre l'arpa, i castelli, la gattabuia, il 
catafalco, su cui giace alla fine Mil歍a in bianco, con la spada 
boiesca sul cuore: gli scenari, gli attrezzi, i motivi di questo 
racconto provengono tutti dall'arsenale del romanticismo. 
Attrezzo-chiave, la spada vi ricorre insistentemente: se il boia 
rappresenta il tralignamento dell'orgoglio regale e il declino 
dell'antica gloria, la spada, simbolo di regalit rinvilita a 
strumento boiesco (6) 俟pada! Mio simulacro!esclameril manigoldo 
alla fine, ritrovandola sulla morta Mil歍a (7)
La metamorfosi di un dinasta in un boia, ossia in un reietto, si 
aggancia al tema della boemitvulnerata, del Dopo-Montagna-Bianca, 
della prostrazione e dello sconforto del popolo ceco. La musica di 
questo sconforto espressa dal Leitmotiv 保 re! Buona notte! 
lacerante segnale di spegnimento e stanchezza, zaklinadlo 
(incantesimo) e insieme sospiroso saluto, che compendia la sorte del 
boia, del re, di Mil歍a, significando la fugacitdella vita, la 
precarietdel potere, la Finis Bohemiae (8) O re! Buona notte! Il 
romanticismo si ingegna di sublimare l'immagine del manigoldo. Nel 
dramma Praeskeid (L'ebreo di Praga), annodando le vicende di Rabbi 
Falu-Eliab con quelle di Jan Mydl漙 dopo la Montagna Bianca, Kol漷 
attribuisce all'ebreo e al boia un'identica condizione di 
perseguitati ed abietti. Nell'intento di annobilire il carnefice, ne 
fa un salvatore: bramoso di redenzione, Mydl漙, boia-patriota, ricusa 
di trucidare i ventisette signori e conduce in salvo il rabbino e 
Verena, accusati di stregoneria e ribellione contro gli Absburgo.
O re! Buona notte! Sul filo dell'Alta Scuola romantica i 
bozzettisti praghesi, in novellette tramate di tenerume e di ogni 
sorta di caccabaldole, tramuteranno questa scure animata, questo 
fantoccio castigatore, questa lutosa canaglia, questo fratello 
primogenito del diavolo in un povero paria, in un infimo, tenuto in 
eterna quarantena dal consorzio umano, che pronuncia sentenze 
capitali, ma non stima pidi un radicchio e rifugge come 
un'infezione l'esecutore dei suoi verdetti. Il boia, spregiato e 
sbandito dalla societ viene ascritto senza dubitazione nel novero 
dei derelitti, dei commiserevoli.
Lacrimose storie, sentine di melo, si crucciano della mala sorte 
del boia. E in veritc'da commuoversi. Perchil boia, poveretto, 
vive a guisa di fiera selvaggia, sequestrato dal commercio degli 
uomini, come se il fiato suo pestilente ammorbasse l'aria. Ingolfato 
in intrichi di corde e di ganci e di rampiconi per afferrar le 
carogne, intriso di sangue e di umori giallicci e biliosi, trascorre 
insonni le notti a tu per tu coi fantasmi di quelli che, con uno 
shrack della fune o una pesante trinciata, ha spedito agli alberi 
pizzuti. Entra in cittper uno speciale passaggio scavato in un 
punto remoto della cerchia di mura. Nella chiesa di San Valentino gli 
riservato un cantuccio in disparte. Alla taverna ha un suo tavolo e 
un suo sporco bicchiere abortito nelle fornaci e, se prende a ballare 
con la moglie sua serenissima, pagando lui i sonatori, che 
accompagneranno ogni nota con visacci e sberleffi, dopo il ballo 
l'ostessa spazza ed annaffia in gran fretta il suolo, benchil 
proverbio ammonisca: Chi scopa le ordure si infarda. Chi va alle 
esequie di un boia, e nemmeno i becchini lo fanno di buona gana, 
precede sempre la bara, perchil seguirla sarebbe ignominia. Durante 
le esecuzioni i signori non vogliono che egli li sfiori con le sue 
fetide mani (9) Un boia commendato se fa bene il groppo o recide 
netta la testa. Ma guai se manca il colpo: la plebe eccitata non 
perdona ai manigoldi maldestri e li caccia via spennacchiati. Da蟊ck
racconta che a Praga nel 1588 due carnefici vennero soppressi a 
sassate dalla bordaglia furente, perchnon erano riusciti a 
decollare la vittima nemmeno al terzo fendente (10)
O re! Buona notte! Cavalca ancora da Kwivoklad verso Praga il boia 
machiano, ed il rosso mantello nel raggio afoso dell'ultimo sole 
dietro di lui si solleva come un incendio (11) Quinta pittorica, 
immagine dell'ingordo museo del pittoresco, interprete di una cruenta 
pagliacceria, e ormai spettro: ormai spettro. Ma in cambio altri 
carnefici invisibili hanno imperversato in anni recenti nella 
caligine oleosa di Praga con martiri di fuoco, con calce viva di luci 
accecanti, con acque gelate e punture di scopolamina. Ed ora, dopo 
una troppo breve tregua inebriante, dai pantani dell'odio stanno 
ripullulando tutti gli sgherri, che emanavano ferali sentenze nei 
tempi del culto, quando, come Kol漙 ha scritto, 冠nche la corda si 
vergognava del cappio(12)
La cittvitavina oggi immersa di nuovo nell'oblivione del sonno, 
sotto un torbido cielo non salutevole alla vita. E per le sue fogne, 
per le sue intercapedini, per le sue cripte strisciano occulti 
Mydl漙i. CittKiebitz, che pusolo guardare passivamente il giuoco 
a carte degli altri sulla sua carne. Immenso emporio di corde e di 
canapi. Cittdove, in ogni taverna, l'ombra sugnosa di un delatore, 
di un Bretschneider, tende l'udito al chiacchierio degli ubriachi, 
dei disperati. Cittstrega con maschera disciplinare dalle orecchie 
asinesche e col giogo sul collo. Cittin cui basta un bagliore di 
pensiero ribelle negli occhi, per essere scaraventati in sozze e 
spaventevoli carceri, in immonde catorbie, con pane ed acqua di 
tribolazione.
Eppure spesso, nel terminale abbandonamento di ogni umano conforto, 
il manigoldo nelle segrete di Praga diventa l'unico amico e sostegno 
dell'innocente recluso. Con minacce e percosse e droghe e molestie e 
continue svegliate notturne e interrogatori estenuanti egli lo 
convince della veritdelle accuse, lo porta a confessare chimeriche 
colpe. E cosne accelera la condanna a morte, affrancandolo dagli 
infernali supplizi, dalle vessazioni, dalla pazzia, dal delirio, 
dall'infame segregamento (13) E allora che resta al pellegrino di 
Praga, al colpevole privo di colpa? Come scrisse JiwOrten nei 
giorni del Protettorato: 剃ompatire i carnefici, andare dritto al 
patibolo - e cantare, cantare fino all'estremo!(14)
NOTE:
(1) Al D 36 di Praga il 22 giugno 1936. Cfr' E'F' Burian, M歊hovo 
divadlo, in Ani labut' ani L蠼a, Praha 1936, pp' 63-68.
(2) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 318.
(3) Cfr' Karel Krej鍎, Symbol kata a odsouzence v dile Karla Hynka 
M歊hy, in Realita slova M歊hova cit', pp' 236-37; id', Praha legend a 
skute螽osti cit', pp' 84-87.
(4) Karel Hynek M歊ha, Kwivoklad, in Dilo cit', II, p' 12.
(5) Cfr' F'V' Krej鍎, Karel Hynek M歊ha, Praha 1916, pp' 28-29; 
Albert Pra魤k, Karel Hynek M歊ha, Praha 1936, pp' 113-14.
(6) Cfr' Karel Krej鍎, Symbol kata a odsouzence v dile Karla Hynka 
M歊hy, in Realita slova M歊hova cit', p' 253.
(7) Karel Hynek M歊ha, Kwivoklad cit', p' 50.
(8) Cfr' Bohumil Nov毾, 蟌tba a z歋itek jako prameny b滻n骿ovy 
tvorby, in V膰nM歊ha (Pam漮n骿 蟌sk逸o b滻n骿a), Praha 1940, pp' 
132-33.
(9) Cfr' Josef Sv漮ek, K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in Obrazy 
z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 141-42, 183, 185-86.
(10) Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, p' 163. Cfr' anche 
Josef Sv漮ek, K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in Obrazy z 
kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 186-87.
(11) Karel Hynek M歊ha, Kwivoklad cit', p' 51.
(12) JiwKol漙, Rada slouh籯, in 俠iter漷nListy 1968, 10.
(13) Cfr' Ivo Pond瘭斁ek, Jak zabit lidskou osobnost, in 俠iter漷n
Listy 1968, 20. Cfr' anche Artur London, L'aveu, Paris 1968 [La 
Confessione, Milano 1969]
(14) JiwOrten, Zcest(22-IV-1941), in Dilo, Praha 1947, p' 227.
80
Il Barocco penetra Praga nella prima metdel XVII secolo, 
durante la guerra dei Trent'Anni (1) La sua apparizione coincide con 
vicende esiziali per le terre ceche, ovvero con la vittoria di 
Ferdinando II nella battaglia della Montagna Bianca (1620) e con la 
pace di Westfalia (1648) Col tempo in cui, fracassata la 咬ibellione 
abominevole(卻havnrebelie, la Controriforma si prodiga tutto 
spiano per sbarbare le radici dell'eretica pianta, per sbandire gli 
inganni di Anticristo, le pompe del demonio.
Con sterminato potere gli Absburgo costrinsero i nobili e gli 
intellettuali avversi al cattolicismo a rifugiarsi in paesi stranieri 
e ne confiscarono i beni, per distribuirli a un pugno di generali e 
di accoliti, i quali, per aver sposata la causa del vincitore, si 
arricchirono fulmineamente. Mentre la cultura ceca veniva estirpata 
come zizzania, tagliacantoni e sparvieri speculatori, ottenendo feudi 
sativi e fecondi, si fecero grassi come turchi. Consumato da inopia e 
ormai al lumicino per i saccheggi e le arsioni e le scorrerie degli 
eserciti oltremontani, il volgo delle campagne dovette moltiplicare 
il lavoro per la magnificenza dei nuovi padroni. Si aggravla 
robota, la schiavitrusticale. I balzelli delle interminabili guerre 
succhiarono l'uomo boemo. Gli occhi dei vinti divennero 
abbondantissimi fiumi di lacrimazione. E frattanto, come un diluviare 
di ceneri, promettendo tormenti, sul soggiogato paese calavano sciami 
di carmelitani, gesuiti, serviti, barnabiti, crociferi, Fratelli 
della Misericordia, benedettini spagnuoli.
All'inizio dunque il Barocco si intruse da estraneo nella vita del 
popolo ceco, come arte di ammansimento e di propaganda, aggressivo 
segnacolo della Controriforma, pungolo di sudditanza agli Absburgo, e 
quasi scherno ostentato dalla Chiesa trionfante sull'agonia 
dell'indocile nazione sconfitta. Ed il popolo sulle prime guardcon 
rancore le sue opere, come narcisi nati da una fetida e vile cipolla.
Grama esistenza dei vinti: chi non udiva messe era in odore di 
paterino, e le pile dell'acqua santa crescevano al cielo, e uffizi e 
prediche e perdonanze opprimevano l'anima. I sacri edifici mutarono 
volto. La chiesa della Santa Trinita MalStrana, appartenente ai 
luterani tedeschi, fu assegnata nel 1624 ai carmelitani scalzi di 
provenienza spagnuola, i quali la trasformarono (1636-44) con 
travestimento barocco, consacrandola a Santa Maria delle Vittorie, 
che aveva protetto gli Absburgo nello scontro della Montagna Bianca. 
Un'ispanitcorrugata e santocchia si insinua nella sostanza 
praghese, trovando a simboli, non solo il Bambino di Praga, lo 
Jezul漮ko, che in quella chiesa ebbe asilo, ma anche don Baltazar de 
Marradas, maresciallo di campo dell'imperatore e comandante della 
guarnigione, che forni mezzi per riedificarla.
L'ansia di imporsi e ostentare grandigia suscitnegli usurpatori, 
che avevano malandrinato le proprietdi fuggiaschi e degli 
impiccati, una straordinaria passione edilizia. I condottieri fedeli 
all'imperatore e le congreghe monastiche, diroccando con brutale 
veemenza interi quartieri, si fecero erigere fabbriche schiaccianti e 
massicce, edifici-balene, maestosissimi troni di vanagloria.
Il generalissimo Albrecht V歊lav Eusebius Vald褾ejn (Wallenstein), 
fantasioso machiavellista, non esita demolire ventisei case, tre 
orti e una mattonaia, per innalzare (1623-30) nel cuore di Mal
Strana il suo sfoggiato palazzo a due piani con cinque cortili e 
giardino, pesante mole, mastodontica macchina, che allinea nella 
facciata un'estenuante sequela di finestre simmetriche e nel tetto 
aggrondate occhiaie di abbaini. Vald褾ejn, 冠mmiraglio del mare 
Atlantico e di quello Baltico non sopportava i fragori, e lo 
turbava persino il pigolare di un passero. Sebbene avvezzo agli 
schianti delle battaglie, egli pretendeva, nel vuoto del madornale 
palazzo, un cosrigoroso silenzio, che gli ufficiali del seguito non 
ardivano aprir bocca o parlavano tanto sommessi da sembrare, come 
asserisce il Brusoni, 厚enitenti che si confessassero(2) Dinanzi 
alle sue stanze uno stuolo di paggi e trabanti teneva a bada il 
Rumore, ossia la Vita stessa.
Trentadue case, tre chiese, due orti e un convento di domenicani 
rasero al suolo i gesuiti, per elevare (1653-79) il collegio 
Klementinum, enorme blocco incastrato tra le stamberghe della Citt
Vecchia, arce arcigna, bugnato baluardo, provocante e spocchioso, 
specchio di preponderanza e di duro indottrinamento. Alla monotonia 
delle fasce verticali, che sulla facciata congiungono da un piano 
all'altro le finestre, alternandosi con possenti pilastri squadrati, 
corrisponde come un kubinesco incubo l'interno ordito di corridoi 
interminabili. Di smoderate dimensioni fa pompa anche il Palazzo del 
conte Humprecht Jan 蟌rnin z Chudenic a Hrad螮ny (1669-92), che 
sembra sfidare con la sua caparbia arroganza il Castello. Palazzo 
imbronciato, impettito, da cui non si cava fervore: tutto di 
ghiaccio, con un'immane facciata, che alle finestre frammezza una 
fila di trenta spropositate semicolonne palladiane, sorrette da 
altissimi zoccoli a bugne.
Il Barocco iniziale di Praga, nella sua tendenza alle iperboli e 
alle iterazioni ossessive e nel suo gigantismo, palesa la satraperia 
ed il sussiego di committenti, che si consideravano vasi di elezione. 
La stessa orizzontalitdella materia cubica, articolata da 
monumentali colonne e pilastri, testimonia dell'implacabile brama dei 
nuovi padroni di prender possesso di vasti spazi, di abbarbicarsi in 
larghezza, di dominare. piche palazzi, queste severe dimore, aliene 
da ogni parvenza di giuoco, sembrano fortificazioni, ridotti campali 
in una terra nemica.
Ma tra la fine del Seicento e il principio del XVIII secolo le 
condizioni cambiano. I nobili, signoreggiando nei loro sfarzosi 
palazzi e castelli, allentano i vincoli con la corte di Vienna. Il 
clero ceco ravviva le costumanze locali e alimenta con luminarie, 
tridui, pellegrinaggi il culto del Nepomuceno. Le feste solenni per 
la sua inscrizione nel canone dei beati (1721) e dei santi (1729) 
accrescono il significato della provincia boema nell'orbe cattolico.
All'inizio del Settecento i patrizi ed i religiosi competono in una 
sorta di acceso certame edile, commettendo ad artisti di ogni parte 
d'Europa chiese, certose, santuari, palazzi, giardini, statue, 
cappelle, colonne mariane e colonne in memoria delle scampate 
pestilenze. Per la sontuositdelle fabbriche Praga in quel tempo era 
tutta miracoli. Si dice che lacrime e sangue siano commisti alla 
malta delle chiese barocche nella cittvitavina. La fatica del 
popolo ceco perversato dalle privazioni e ricurvo sotto la soma di 
tanto fasto sembra adombrata dai robustissimi atlanti di Braun che, 
nel portale del Palazzo Clam-Gallas (1713-25), sorreggono sulle 
spalle il balcone.
A mano a mano il Barocco, sciogliendosi dalla compatta austerit
imperialesca, si amalgama con la cultura boema. Ciche era agli 
inizi un dispotico apporto straniero, un proverbiale, un memento di 
soggezione, diverril sangue stesso, il genio, il tessuto 
costitutivo della nazione ricattolicizzata. Grazie al tardo Barocco, 
la Boemia, sebbene sprovvista di autonoma vita politica, ritrova il 
suo estro, come nei giorni del Gotico, e si reinserisce nel contesto 
europeo, arricchendolo con le sue risorse e varianti. I palazzi di 
MalStrana, le tele e gli affreschi di Karel 螶r鈣a, Petr Brandl, 
V歊lav Vavwinec Reiner, il viale di statue sul Ponte Carlo, le 
sculture di Braun a Kuks, le chiese di Giovanni Santini-Aichi e di 
Kilian Ignac Dienzenhofer testimoniano del prodigioso fervore con cui 
l'ambiente ceco, destatosi dall'umiliazione, assimilgli espedienti 
barocchi.
Il tardo Barocco esplose in Boemia nei due primi decenni del XVIII 
secolo con un rigoglio e una foga incoercibili, come se il paese 
volesse, nonostante le angustie e il ripetersi delle pestilenze, 
ricuperare il tempo perduto. E in breve costitula componente 
essenziale, la dominante del panorama di Praga, la sua chiave 
stilistica, il suo basso continuo. Vi sono cantucci nella citt
vitavina, in cui si respira ancor oggi, senza il diaframma dei 
secoli, un'atmosfera barocca. Bramoso di teatralismo e di effetti 
ottici, il tardo Barocco mutil paesaggio praghese, accordando le 
fabbriche alla vegetazione e modulando il terreno ineguale con rampe 
di scale ed altane orlate da schiere di statue. Allo staccato delle 
case gotiche sostituuna fuga continuata di superbi palagi, le cui 
facciate si fondono in un'unica quinta dagli stucchi pittorici e 
morbidi. Dagli obliqui spazi incassati della cittmedievale ricav
suggestive piazzette, conchiglie di raccoglimento.
Specialmente il paesaggio della riva sinistra, elevato dalla natura 
a guisa di anfiteatro visibile con un sol colpo d'occhio dal Ponte 
Carlo, offrstraordinari pretesti all'architettura risorta. Se sul 
Fossato dei Cervi conservil suo carattere di Medioevo, il suo odore 
di alchimia, dal lato di MalStrana e del verde pendio di Petwin fu 
convertito in una sorta di bo褾e perspective, di bo褾e d'optique, 
in cui ogni parte ha una proporzione meravigliosa con le altre e in 
cui alle splendide fabbriche sono appuntellati giardini a terrazze, 
aerei giardini, come quello dei Fstenberk e quello dei Vrtba, di 
dove la nobiltsi affacciava su Praga come da palchi di teatro e 
dove imbastiva ristori di pastorali. Nel grembo di questo digradante 
prospetto, in questa declivitstralunata si innesta un edificio che 
un punto nodale del panorama praghese, un magnifico oggetto, la 
smisurata massa plastica di San Nicola, con la sua fiammeggiante 
cupola verderame, costruita dal Dienzenhofer (1750-52) Qui tornano 
acconce le parole di Kafka a proposito di una veduta di Praga dipinta 
da Kokoschka, 剃on nel mezzo la cupola verde della chiesa di San 
Nicola 侵 tetti volano via. Le cupole sono ombrelli al vento, tutta 
la cittsta per levarsi a volo(3)
La musica dell'architettura barocca della cittvitavina un 
inesausto discanto di forme convesse e concave. In Giordano Bruno si 
legge: 勇l sferico non posa nel sferico, perchsi toccano in punto, 
ma il concavo si quieta nel convesso(4) Nel San Giovanni Sulla 
Roccia (Sv' Jan Na Skalce, 1730-39) del Dienzenhofer alla convessa 
balaustra della scalinata si contrappone in un unico Ovale la concava 
materia della facciata, una concavitapprofondita dalla sghemba 
postura delle due torri dalle alte lanterne. Una labilit
ondulatoria, che ci rimanda agli stratagemmi del Borromini, sommuove 
parecchie facciate di chiese praghesi: quelle, ad esempio, di 
Sant'Orsola (Sv' Vor蟊la, 1702-704) e di San Nicola a MalStrana 
(Sv' Mikul碭, 1703-11) In quest'ultima le ali si incurvano 
concavamente, mentre al centro la pietra accenna un moto convesso, 
che subito si ritrae spaurito in tre secondarie onde concave. La 
consistenza della materia si infrange in un fluttuare ostinato di 
sporgenze e risucchi, di risalti e di scavi, trappole per la luce. Al 
contrasto tra la timidezza del concavo e l'albagia del convesso sulle 
facciate dei sacri edifici e nelle statue praghesi corrispondono i 
bisticci e gli ossimori della poesia barocca di un Bridel e di quella 
baroccheggiante di un Holan.
Nei primi decenni del Settecento si stempera dunque nelle 
costruzioni praghesi la scorrucciata rigiditda quaresima, 
l'autocrate orizzontalismo, che aduggiava la vita della citt
vitavina dal giorno della Montagna Bianca. Le chiese del tardo 
Barocco boemo, suscitatrici di immagini di trascendenza, esche di una 
咬瞚erieinesauribile, con la gravitazione celeste delle loro 
cupole, col loro estatico verticalismo, con la mobilitdelle loro 
superfici ondeggianti, coi loro sottinsda vertigine, non 
appartengono infatti a quei collitorti e chietini che affiggono il 
viso in terra, aspettando un asperges di acqua santa, ma ai 
sognatori, agli innamorati, ai poeti. Perch come Holan afferma, 
哀enza uno schietto trascendentalismo - nessun palazzo si potr
innalzare(5)
Del resto il Barocco in Boemia cercintensamente, piche in altri 
paesi, le proprie connessioni col Gotico, come un Oggi che cerchi con 
ansia il suo Ieri. Molti ordini monastici, e in specie i 
premonstratensi, i cistercensi, i benedettini, proponendosi di 
rinnovellare la tradizione religiosa del Medioevo boemo, prosperarono 
la promiscuitdei due stili, l'architettura more gotico. Fosse il 
desiderio di aprirsi una strada nel cuore del popolo o la smania di 
svicolare dalle imposizioni di Vienna o l'ansia di mitigare i 
rammarichi degli oggidiani, mostrando che il cattolicismo non era un 
intruso nelle terre ceche, fatto che congreghe di frati 
vivificarono i moduli e i motivi e le consuetudini dell'etgotica.
Questo richiamo al Medioevo si avverte soprattutto nell'edilizia 
votiva. Se molte chiese costruite tra il XIII e il XV secolo 
conservarono intatta nel travestimento barocco l'essenza gotica, un 
impasto di Gotico e di Barocco pudirsi la morfologia di molte altre 
fabbricate nel Settecento. Splendide variazioni sui temi del Gotico, 
sulle verticali della Hallenkirche, balleria di pinnacoli, forme 
acutangole, volte reticolari dalle nervature guizzanti, in cui la 
materia sembra perdere peso, sono le chiese conventuali innalzate da 
Giovanni Santini-Aichi in provincia (Sedlec, Kladruby, E'eliv), 
soprattutto la cistercense di ZelenHora presso E'd'漷 sulla S漘ava 
(1719-22)
Questo accanito storicismo che scavalca la stagione husitica, 
questa combinazione fantastica della ridondante spiritualitdel 
Barocco col ritmo ascensionale del Gotico non un privilegio 
soltanto dell'architettura, ma pervade altresle leggende, la 
poesia, l'omiletica, i panegirici, la liturgia della Boemia del 
Sei-Settecento. Giun personaggio di un dialogo di MiloMarten 
parla del 咬innovato gotico della Controriforma(6) Per volontdi 
vari studiosi (Vil鄉 Bitnar, Josef Va蟊ca, e in specie Zden瘯 
Kalista) oggi invalsa l'espressione 恃eskbarokngotika ossia 
亮otico del Barocco boemo
cosla commessura e il raccordo di due stili distanti nel tempo 
ricostituisce l'interrotta continuitdi una terra, che guerre e 
saccheggi avevano desolata. Che importa se i Dienzenhofer, i Brokof, 
i Braun, i Santini-Aichi erano stranieri o di famiglia straniera? 
L'incantagione di Praga e della Boemia derivsempre dalla mescolanza 
di eterogenei elementi. Del resto gli artisti forestieri, convenuti 
in gran folla come nell'etdi Rodolfo II, si insignorirono in breve 
della tradizione boema. E, intabaccandosi della cittvitavina, ne 
trasfusero la fantasia, i trasognamenti, gli umori nelle loro 
invenzioni.
NOTE:
(1) Cfr' Karel B' M歍l, Sochy na Karlovmostv Praze, Praha 1921; 
Vil鄉 Bitnar, O 蟌sk鄉 baroku slovesn鄉, Praha 1932; Oldwibl Stefan, 
Pozadpraesk逸o baroku, in Kniha o Praze, III, Praha 1932, pp' 
54-66; Bohdan Chudoba, Po鍒tky baroknmy螿enky; Zden瘯 Kalista, 驠od 
do politickideologie 蟌sk逸o baroka; Josef Va蟊ca, O 蟌skbarokn
poesii; Jan Racek, Slohova ideovprvky baroknhudby; Albert 
Kutal, V蓨varnum瘽baroka, in Baroko (p皻 stat, Praha 1934; 
Oskar Scher, Die Stadt des Adels, in Prag, Mchen-Brn 1935, pp' 
213-56; F'X' 螮lda, O liter漷nim baroku cizim i dom歊im, in 螮ld驠 
z漥isn骿, Praha 1935-36, pp' 71-77, 105-26, 177-182, 232-46; V歊lav 
蟌rn Esej o b滻nick鄉 baroku, Praha 1937; Josef Va蟊ca, 蟌sk
liter漷nbaroko, Praha 1938; Praeskbaroko, catalogo della mostra 
al Vald褾ejnskpal歊: maggio-settembre 1938, con saggi di Zd' 
Kalista, O' Stefan, V'V' 褾ech, Emanuel Poche; Zrozenbarokov逸o 
b滻n骿a, a cura di Vil鄉 Bitnar, Praha 1940; Antonin Mat螴蟌k - 
Zden瘯 Wirth, 蟌skbarok v蓨varn in Co daly na蟌 zemEvropa 
lidstvu, a cura di Vil鄉 Mathesius, Praha 1940, pp' 200-6; Zden瘯 
Kalista, 蟌skbaroko, Praha 1941; Oskar Kokoschka, Boehmisches 
Barock, in Stimmen aus B鐬men, London 1944, pp' 15-19; Antonin 
Novotn Praha 俊emna Praha 1946; Arne Nov毾, Praha barokn(1915), 
Praha 1947; Kamil Novotn- Emanuel Poche, Karl驠 most, Praha 1947; 
Antonin Novotn Z Prahy doznivajic駩o baroka, Praha 1947; Oldwibl J' 
Bla鳻蟌k, Rokoko a konec baroku v 蟌ch歊h, Praha 1948; V歊lav Mencl - 
Emanuel Poche, Vzpominka na Prahu, Praha 1949, pp' 112-66; Oldwibl J' 
Bla鳻蟌k, L'Italia e la scultura in Boemia nei secoli XVII e XVIII, 
Praha 1949; Olga Strettiov Das Barockportr酹 in B鐬men, Praha 1957; 
Jaromir Neumann - Josef Pro蟌k, Maty碭 Braun-Kuks, Praha 1959; Barock 
in B鐬men, herausgegeben von Karl M' Swoboda: Die Architektur und 
Plastik von Erich Bachmann, Die Malerei von Erich Hubala, Die 
Kunstgewerbe von Hermann Fillitz und Erwin Neumann, Mchen 1964; 
Emanuel Poche, Maty碭 Bernard Braun, Praha 1965; L'Arte del Barocco 
in Boemia, catalogo della mostra al Palazzo Reale di Milano: 
aprile-maggio 1966, con saggi di Josef Poli蟌nsk Oldwibl J' 
Bla鳻蟌k, Pavel Preiss, Dagmar Hejdov Alois Kubi蟌k, BaroknPraha 
v rytin槆l B'B' Wernera, Praha 1966; K嗉 howpopel m齹, a cura di 
V歊lav 蟌rn Praha 1967; Vojt瑿l Volavka, Pout' Prahou cit'; Kapka 
rosy tekouc a cura di Milan Kopeck Brno 1968; Christian 
Norberg-Schulz, Kilian Ignaz Dientzenhofer e il Barocco boemo, Roma 
1968; Smutnkavalewi o l滻ce: z 蟌skmilostnpoezie 17. stolet a 
cura di Zde螄a Tiche Josef Hrab毾, Praha 1968; V歊lav Mencl, Ve 
stinu BilHory e Smysl praesk逸o baroka, in Praha, Praha 1969, pp' 
120-35 e 136-71; Jaromir Neumann, 蟌skbarok, Praha 1969; Um瘽
蟌sk逸o baroku, catalogo della mostra a Vald褾ejnskjizd漷na: 
febbraio-aprile 1970, con saggi di Oldwibl J' Bla鳻蟌k, Dagmar 
Hejdov Pavel Preiss; Pavel Preiss, V歊lav Vavwinec Reiner, Praha 
1970; R鱵 kterousmrt zavwela, a cura di Zde螄a Tich Praha 1970; 
Zden瘯 Kalista, 蟌skbarokngotika a jejed'漷skohnisko, Brno 
1970; Oldwibl J' Bla鳻蟌k, Um瘽Baroku v 蟌ch歊h, Praha 1971.
(2) Cfr' Girolamo Brusoni, Il carrozzino alla moda, in Trattatisti 
e narratori del Seicento cit', p' 878. Cfr' anche Carl August 
Schimmer (1845) e Baronessa Blaze de Bury (1850), in M瘰to vidim 
velikcit', pp' 356, 366. Su Vald褾ejn si confrontino inoltre: 
Hellmut Diwald, Wallenstein, Mchen-Esslingen 1969, e Golo Mann, 
Wallenstein, Frankfurt am Main 1971.
(3) Cfr' Gustav Janouch, Colloqui con Kafka cit', pp' 37-38.
(4) Giordano Bruno, Spaccio de la Bestia Trionfante, Dialogo Primo, 
in Opere, a cura di Augusto Guzzo, Milano-Napoli 1956, p' 474.
(5) Vladimir Holan, PrvnTestament cit', p' 89.
(6) MiloMarten, Nad m瘰tem (1917) cit', p' 24.
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Eserciti immensi di statue barocche ingombrano i campi di Praga. 
Nel Sei-Settecento su attici, logge, facciate di chiese e di chiostri 
comparvero, pinumerose dei distillatori nell'etdi Rodolfo, figure 
ansiose di gloria celeste, rapite in estasi. I pulpiti si tramutarono 
in traboccanti vegetazioni scultoree. Statue convulse, statue in 
cimbalis ornarono i confessionali, gli altari, le balaustre, le 
cantorie, le cappelle, i balconi degli organi. Si raccolsero in 
gruppi teatrali, adombrando le scene della Passione. Si annidarono 
sulle terrazze e sui ponti, sulle colonne mariane, sulle scalinate, 
sugli orli dei viali, nei parterres dei giardini e, dentro nicchie e 
su mensole, dinanzi ai palazzi sfarzosi. Famiglie di segretari 
celesti e baroni angelici, di cherubini volanti, di patroni boemi, di 
gesuiti, di diavoli, di piangolose madonne, di evangelisti, di 
iurisperiti, di santi legislatori. E oltre a queste figure della Lega 
del Caeli Caelorum, tutta una turba di atlanti e giganti e parvenze 
mitiche, di aquile, di schiavi mori.
Nel primo quarto del XVIII secolo, nella cittvitavina, pidi 
venti botteghe di maestri scultori lavorarono a gara e con un fervore 
creativo che sembra esser trasfuso nella febbrilitdelle statue. In 
questo clima di emulazione maturarono due artisti, complementari 
l'uno dell'altro e, benchforestieri, impregnati dell'humus e della 
luce di Praga: Ferdinand Maxmili滱 Brokof (1688-1731) e Maty碭 
Bernard Braun (1684-1738)
Brokof: una maestosit una compattezza monumentale, una logica: 
alle corte una concentrazione espressiva, che raffrena gli impulsi 
drammatici. La ponderatezza e la solidit la ricerca di puri 
equilibri plastici prevalgono nelle sue sculture sull'esasperazione 
consueta allo stile barocco. Maty碭 Bernard Braun al contrario 
imprime nei suoi personaggi un malessere, un'eccitazione smodata, 
cogliendoli in attimi di turbamento e di parossismo. Egli incline 
alle iperboli, agli uragani dei sensi, alle distorsioni patetiche. 
Con un mulinello di svolazzanti drappi increspati dalle punte 
taglienti, con pieghe rabbiose di drappi rattorti come calappi egli 
accresce l'irrequietezza, l'affanno delle sue labili larve ghermite 
in un movimento impetuoso. Questo dinamismo flogistico, di berniniana 
ascendenza, sembra avere un risvolto di fredda desolazione. Quasi 
l'esuberanza gestuale volesse coprire l'acre sentore del nulla. Braun 
assimilinteramente la materia drammatica e l'insofferenza di Praga. 
亟ra nato in Tirolo - ha scritto Oskar Kokoschka - e nella sua patria 
sarebbe senza alcun dubbio divenuto solo uno degli innumerevoli 
intagliatori, dei quali i viandanti ammirano i crocifissi nelle Alpi 
austriache(1)
Le statue barocche sono accenti spaziali, segnali ritmici nel 
panorama della cittvitavina. Il passante di Praga coinvolto nei 
loro mercati e nei loro cicalamenti. E se ad una di loro venisse il 
gricciolo di levarsi a volo? 俏on aspetto altro - Holan afferma - che 
l'ultima e cara illusione, quando, rimosso il piedistallo, statua, 
resterai per un attimo in aria!(2) E quando, nei giorni di aprile, 
si incapricciano anche le pietre, il passante di Praga si illude che 
un primaverile calore le esagiti e le loro labbra bisbiglino sospiri 
amanteschi, come nella barocca 冠lam鐰ovpoezie(poesia alla moda) 
(3) 亟' amore! - sono ancora parole di Holan - Anche le statue 
farebbero il primo passo(4)
Una folla di simulacri scultorei si annicchia nella moderna lirica 
boema. Halas discorre dell'勇mmobile angoscia delle statue(5). 
Seifert afferma: 勁e statue si sono fuse col buio, sventolando - il 
peso dei paludamenti...(6). E Holan: 勇narrestabile era il platano 
a Kampa, - i secoli ancora incompiuti e la statua su Opy- sin dalla 
fine non era mai stata relegata tra i gessi...(7). E Kol漙: 勁e 
statue civettavano l'una con l'altra(8) E Kainar: una siffatta 
- terribile immobilit- solamente la prova - di una suprema 
ubriachezza(9)
Esiste un intenso rapporto tra i contorcimenti delle statue di 
Braun e gli spasimi dei versi di un Halas, di un Zahradn斁ek, di un 
Holan. Perchil Barocco la linfa della poesia di Boemia, e non 
solo della poesia. 隹ncora - assevera 螮lda - non supponiamo nemmeno 
sino a che punto il Barocco si sia mescolato con l'indole nazionale 
boema e quale funzionale importanza abbia assunto nell'anima creativa 
del nostro popolo(10) Per l'atletismo delle metafore, l'ottica e 
la ridondanza teatrale, l'abuso di paradossi, di iperboli, di 
agghindamenti, di emblemi, le accumulazioni asindetiche, l'estasi, il 
senso dello sfacelo, il continuo assillo del nulla, che tutte le 
lustre converte in cenere morta, gran parte dei moderni lirici boemi 
si ricongiunge, attraverso l'esempio di M歊ha, alla poesia e alla 
statuaria della Praga barocca (11) 青onoscete l'eterna brama, - dice 
Holan. - E' il nulla che abbiamo bramato. Perchl'uomo non ha 
proprio nulla. Nemmeno la Morte(12). E ancora Holan: 雨ellezza, sei 
cespo di rose, che tiene un teschio fra le sue radici, bellezza 
immortale!(13) Il teschio ghignante di M歊ha, cantore dell'前terno 
nulla(14) e delle girandole della natura fantasima e 
dell'implacabile fuga delle cose terrene (15), si colloca accanto 
alle teste nocchiute delle statue di santi barocche.
Come i pupazzi compositi dell'Arcimboldo, le statue barocche di 
Praga formano un trebbio ben affiatato, un perenne conclave. E nei 
giorni grigi della cittla loro ansia di volo, la loro trascendenza, 
come anche del resto la curva levitdelle cupole, alterca col passo 
pesante degli abitanti incupiti che, chiusi in uggiosi cappotti, 
camminano catalone catalone lungo traiettorie abituali, impugnando 
borsacce rigonfie. Ho confidenza con molte di loro. Incanta la mia 
fantasia il Sant'Uberto col cervo miracoloso, che Brokof scolp
(1726) sulla facciata del 青ervo d'oro una casa di MalStrana. Non 
si cancella dalla memoria il signor Chronos, modellato da Brokof 
(1716) sulla tomba di Jan V歊lav Vratislav z Mitrovic nella chiesa di 
S' Jakub: vecchiaccio nerboruto e ancor pieno di voglie, come l'Ebreo 
errante di Apollinaire: vecchiaccio arcigno ed inesorabile, ah 
quantum currit. Ritornano sempre alla mente il Giorno e la Notte di 
Brokof (1714), due busti che adornano la facciata del Palazzo dei 
Morzin a MalStrana. Il Giorno, bel civettino ricciuto col sole, 
bersaglio da tirassegno, sul petto e un mantello infiorato di 
girasoli. La Notte, ragazza dalla boccuccia soave, malinconica, 
immersa nei gorghi del sonno, con un manto ingioiellato di stelle e 
sul manto una falce di luna posata come una barchetta. Passando 
dinanzi a quei busti, intrisi di trasognato lirismo, ripetevamo, 
ricordi, i versi di Nezval:
Le nostre vite sono come la notte e il giorno@ arrivederci stelle 
uccelli labbra delle donne@ arrivederci morte sotto il prunalbo in 
fiore@ arrivederci addio arrivederci addio@ arrivederci buona notte e 
buon giorno@ buona notte@ dolce sonno@ (16)
NOTE:
(1) Oskar Kokoschka, Boehmisches Barock, in Stimmen aus B鐬men 
cit', p' 16.
(2) Vladimir Holan, Kolury cit', p' 31.
(3) Cfr' Smutnkavalewi o l滻ce: z 蟌skmilostnpoezie 17. 
stolet a cura di Zde螄a Tiche Josef Hrab毾, Praha 1968.
(4) Vladimir Holan, Lemuria cit', p' 70.
(5) Franti蟌k Halas, Za Jiwim Ortenem, in Lad瘽(1942), Praha 
1947, p' 102.
(6) Jaroslav Seifert, Sv皻lem od瘽cit', p' 74.
(7) Vladimir Holan, Tosk滱a (1956-63), in Pwib璡y, Praha 1963, p' 
192.
(8) JiwKol漙, Pwespolnd瘭n骿, in Kwestnlist, Praha 1941, p' 
13.
(9) Josef Kainar, Sochy, in Osudy (1940-43), Praha 1947, p' 28.
(10) F'X' 螮lda, O liter漷nim baroku cizim i dom歊im, in 螮ld驠 
z漥isn骿 cit', VIII, p' 245.
(11) Cfr' Zden瘯 Kalista, Baroknprvek v na鍎 novpoezii, in 
隹rch(蟌skBud疀ovice), 1969, 4, e A'M' Ripellino, introduzione a 
Franti蟌k Halas, Imagena cit'
(12) Vladimir Holan, Kolury cit', p' 40.
(13) Ibid', p' 9.
(14) Karel Hynek M歊ha, T膱komyslnost, in Dilo cit', I, p' 117.
(15) Cfr' D' 覭鋀v螶yj, K M歊hovu sv皻ov鄉u n漘oru, in Torso a 
tajemstvM歊hova dila, a cura di Jan Mukawovsk Praha 1938, pp' 
111-80.
(16) Vit瞛slav Nezval, Edison (1927), in B滻nnoci (1930), Praha 
1959, p' 116.
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(Moldava stellis lustratur)
Scendevamo gidal Castello, la sera. Imbronciati, ci guardavano i 
due atlanti mori di Brokof dalla facciata del Palazzo dei Morzin a 
MalStrana. Nella vitava guizzava il barbaglio dei vetri illuminati 
dei tram. 俟opra il Palazzo Vald褾ejn si vedevano - come dice Holan - 
macchie maschili sul lenzuolo della luna(1) Ricordi la verde luce 
dei lampioni sul Ponte Carlo? Per questo viale chimerico, orlato di 
statue di arenaria, passavano ancora ai nostri anni carrozze 
sciancate dai fanali giallo rosolio. Accanto alle schiere di santi 
istrioni dal portamento reinesco montavano in banco sul palco del 
ponte gli ubriachi, aggrappandosi al parapetto, per parlare col 
fiume, con le stelle riflesse nell'acqua nera.
Cinque stelle, cinque piccole fiamme blu come il ponce brillarono 
sull'acqua vitavina, quando Jan Nepomuck(Nepomuceno), scagliato dal 
ponte, spartra le onde. Ma la leggenda si gonfia: ignes et flammae, 
innumera et miri candoris lumina, flammae pulcherrimae, luminaria 
caelestia. Era il 16 maggio 1383. Tutta la vitava luccicdi un 
哉erdognolo scintillio(2) 隹vresti visto un innumero numero di 
chiarissime luci, come se il fuoco con l'acqua si fosse rappattumato, 
scorrendo per essa(3)
Ogni anno, il 16 maggio, ciurme di donne bisodie, nuvoli di 
pellegrini si recavano da ogni villaggio di Boemia e Moravia a 
rendere omaggio a quel punto del ponte, da cui il canonico del 
capitolo metropolitano e decano di Tutti-i-Santi Johannes di Pomuk (o 
Nepomuk) era stato, secondo la cantafavola, gettato in acqua dagli 
sbricchi del crudelaccio re V歊lav IV, per non aver voluto rivelare i 
segreti confessionali della regina (4) Non ci perderemo in 
disquisizioni su questo controverso argomento agiografico: gli 
antijohannisti ritennero che il Nepomuceno non era esistito e dovesse 
identificarsi con un suo omonimo, dottore di diritto ecclesiastico e 
vicario dell'arcivescovo praghese, annegato anche lui dieci anni 
dopo, per aver confermato l'abate del chiostro di Kladruby contro il 
volere di V歊lav IV, che tutte le cronache infamano come un erode, un 
nerone (5)
La simbologia delle stelle nepomucene ispirmolte opere nell'arte 
ceca. A questo quintetto stellare sgorgato dall'acqua rimanda la 
pianta e l'intera struttura pentagonale della soave chiesetta di 
ZelenHora nei pressi di E'd'漷, compatta e puntuta come una drusa 
cristallica. Il motivo riappare persino, sebbene per burla, nel 
romanzo di Ha蟌k: riportato a casa da 襒ejk con la forza, l'alticcio 
cappellano Otto Katz 匍anifestava bramosia di martirio, chiedendo che 
gli spiccasse la testa e la gettasse in un sacco nella vitava: 俠e 
stelline intorno alla testa mi starebbero bene, - diceva con 
entusiasmo - me ne occorrerebbero dieci遙 (6)
Con giaculatorie, con tridui, con feste, con parlari 
predicatoreschi i gesuiti aggrandirono il culto del riottoso 
canonico. Sorgiva dai cinque zampilli, manna celeste, altissimo cedro 
innestato sulla vetta del Libano, thesaurus sine defectione, novello 
Eliseo, muro saldo e incrollabile nei patimenti, il martire 
nepomuceno, suscitando pietper la violenza subita, obliterava il 
ricordo dell'eretico Hus e perci senza arcani ricorsi n
strologamenti dogmatici, giovava come un'immagine cartellonesca alla 
loro polemica contro le 哀torturehusitiche. E non si diedero pace, 
finchnon riuscirono a metterlo in cielo, nello stormo dei santi.
Il 15 aprile 1719 fu aperta la presunta tomba del Nepomuceno in San 
Vito. E, dinanzi a decrepiti baccellieroni, giuristi, patrizi e 
prelati, un collegio di cerusici, presieduto dal protomedico 
Franti蟌k L饖 z Erlsfeldu, barbassoro sommerso in un'enorme parrucca 
di riccioli, compla ricognizione dello scheletro, traendolo dalla 
bara di quercia imporrita, in cui giaceva tra sbrendoli di stoffa. Lo 
scheletro, sentenziarono i medici, era intatto, sebbene, urtando 
nella caduta contro un pilastro del ponte, in piparti si fosse 
incrinato. Con ogni cautela scrostarono dalla scatola cranica ciuffi 
di muffa e grumi di argilla, ed ecco nel cavo della bocca farcita di 
terra comparve la lingua vermiglia, ancora intrisa di fresca, 
vivissima linfa (7)
Il miracolo accrebbe la gloria del martire e ne acceler
l'assunzione ai palchi dei beati. Il giorno della beatificazione (4 
luglio 1721) lo scheletro privo di lingua, ripicchiato in un abito 
canonicale con nicchio e rocchetto, venne deposto in una bara di 
vetro. Appoggiava il teschio su un guanciale di seta a ricami, nella 
destra tenendo una croce e una spiga d'argento, nella sinistra un 
ramoscello di palma di cannutiglia. Fra il tara tantara dei trombetti 
la bara fu portata in corteo sullo spiazzo dinanzi a Hrad螮ny. Dietro 
la diafana bara, posando le rosse pianelluzze con circospezione, come 
se le ponesse sulla bambagia, il vecchio arcivescovo reggeva in un 
reliquiario cilindrico argenteo la Sacra Lingua, segregata ormai 
dallo Scheletro. La sera Praga fu tutta arabescata dai guizzi di una 
luminaria. Torcioni ardevano ai lati dell'arco di trionfo innalzato 
davanti al Palazzo Schwarzenberg. Birra e vino scorrevano dalle 
fontane dell'arcivescovo (8)
Ma tutto il paese aspettava con inquietudine che il canonico fosse 
santificato. Continui pellegrinaggi affluivano a Praga dalla 
campagna. Le paroline in composta dei panegirici e i fuochi e la 
musica navale eseguita sotto le arcate del ponte preparavano gli 
animi al solennissimo evento. Qualche capocchio insinuava che il 
diavolo ritardasse coi suoi trabocchetti e cavilli il santificetur. A 
Roma la congregazione dei riti volle saperne di pisulla magica 
Lingua. Ed ecco, al cospetto dell'arcivescovo e dei dignitari, di 
nuovo (1725) L饖 z Erlsfeldu piegil suo imparruccato testone sulla 
reliquia. E la Lingua, che di primo acchito era sembrata secca e 
grigiastra, in mano ai cerusici prese a gonfiarsi e a mutare colore, 
come per un afflusso di sangue facendosi cremisi, porpora. 非ella tua 
lingua il rovente rubino - dal giaciglio dei vermi sollevato - fermo 
fiammeggia dal gorgo divino, - dalla violenta polvere inviolato 
cosha scritto Jan Zahradn斁ek in un inno al Nepomuceno (9)
Nella mitologia della cittvitavina la Lingua del penitenziere si 
affianca al naso posticcio di Tycho Brahe, allo Jezul漮ko, alle cere 
panotticali, ai fantocci dell'Arcimboldo, al cavallo impagliato del 
Palazzo Vald褾ejn, il cavallo sul quale il silenzioso generalissimo 
galoppnella battaglia di Lzen. 亟ra altrettanto muta quella 
bestia, quando squillava la tromba bellica, come era muto il suo 
signore, quando lo visitava la gloria? Deve esserci una ragione per 
cui fra tutti gli altri fu proprio questo corsiero ad esser chiamato 
agli onori dell'immortalit si direbbe che forse non emise mai alcun 
nitrito(10) Si impagliano i prodi cavalli, non gli eroi caduti, 
osservLiliencron dinanzi al destriero del duca di Fridlandia, ormai 
manichino, ormai pieno di tarme (11)
La lingua nepomucena, che non aveva voluto tradire il segreto della 
confessione, divenne simbolo di pertinace silenzio scontato col sonno 
eterno, un silenzio che disputa con l'affannosa loquacitaltrettanto 
praghese di quei capi sventati che taverneggiano. La Lingua, 
splendente come una gemma di una cappella del duomo, si incontra con 
altre lingue patinose di birra, e queste le chiedono con uno 
sberleffo: 促azza, come hai potuto tacere?Un cianciume di 
arciribalde storielle da bettola gira le strade di Praga, pigliando a 
gabbo il Silenzio, identitdella morte.
Venne infine l'annunzio della santificazione, trascinandosi dietro 
otto giorni di feste (9-16 ottobre 1729) Che solluchero per i 
bacchettoni: nella sola cattedrale di San Vito in quel torno di tempo 
si celebrarono trentaduemila messe e furono impartite 
centoottantaseimila comunioni (12) Archi trionfali e lunette e 
trasparenti con l'effigie ingrandita del santo, fiammeggianti 
piramidi, fiaccole, impalcature allegoriche, quintetti di stelle 
inorpellarono la cittvitavina. All'alba del 9 ottobre, sotto nubi 
di incenso e di fumo di torce e di ceri, una processione sgargiante 
con gonfaloni e vessilli di broccato d'oro mosse verso il Castello. 
Intervallate da varie fanfare, sfilarono torme di cappuccini, 
gesuiti, crociferi, barnabiti, ibernesi, domenicani, trinitari, 
carmelitani, serviti, premonstratensi: bianca, bigia, corvina parata, 
brulichio di cocolle, di tonache, di cordigli, di scapolari. Sei 
preti portavano la policroma statua del santo, attorniati da frotte 
di chi廨ici, diaconi, parroci in rossi piviali. Sfilarono le facolt
con enormi bandiere, i signori dei tre municipi praghesi, i 
coadiutori, i vicari, i canonici capitolari, ciascuno con una croce 
tempestata di gemme e cristalli di rocca sul petto, l'arcivescovo col 
reliquiario in cui sfolgorava la Lingua del Santo, gli 哀taticon 
tricorni coperti di piume multicolori. Dietro a loro ondeggiava un 
gran pelago di campagnuoli in costume folclorico, che tra un canto e 
l'altro infilzavano avemarie e paternostri (13)
La cattedrale era stata addobbata sfoggiatamente con rossi tendami 
e dipinti sui prodigi del nuovo patrono e festoni e damaschi e 
stendardi e lustranti attrezzi liturgici e innumeri ceri in 
candelabri d'argento. Tanta magnificenza escludeva almeno per quegli 
otto giorni ogni pensiero di pena, ogni bando in ignem aeternum. 
Sull'altare maggiore troneggiava un'argentea statua del Nepomuceno 
sotto un baldacchino di velluto purpureo a ricami d'argento, tenuto 
alle punte da quattro messaggeri celesti. Su un altro altare, vicino 
al vitreo sepolcro, in cui riposava lo scheletro del penitenziere, 
brillavano sciami di lampade, riverberandosi in un preziosissimo 
ostensorio d'oro. Sul suo dossale si accatastava una serqua di ex 
voto, ossia calici, cuori, lingue, crani, statuette, lapislazzuli, 
diaspri, medaglie e molte altre galanterie e bagattelle da 
gioiellieri. Salutate dal festevol rimbombo dell'artiglieria, 
prediche e messe si susseguirono, non solo all'interno della 
cattedrale, ma altressul sagrato, gremito di strabocchevole folla. 
Cadde un breve acquazzone. Poi tornarono limpidi i cortinaggi dei 
cieli. La sera: tutti a vedere i bengala, le splendide fughe e 
cascate di fuoco (14)
L'immagine e il mito del Nepomuceno divennero insegna e ossessione 
delle terre ceche e morave nella stagione barocca. Poesie, chiese, 
cappelle, quadri, musica, affreschi, sculture, archi di trionfo 
variarono con accanimento il tema del suo martirio. Assidue pompe 
liturgiche, assidui spettacoli di processioni esaltarono usque ad 
sidera e tennero viva la memoria del santo. La sua fama si propag
per l'intero orbe cattolico, sino in finibus terrae.
Il Ponte Carlo albergava in principio soltanto un crocifisso e un 
calvario. Per la trecentesima ricorrenza del suo annegamento (1683), 
nel punto da cui gli sgherri lo avevano precipitato fu posta la 
statua del taciturno penitenziere, la prima del corteo barocco del 
ponte. Nel bronzo di Maty碭 Rauchmler il canonico con la barbetta 
indossa il rocchetto e la berretta a tre spicchi, stringe tra le 
lunghe dita un ramoscello di palma ed un crocifisso: ormai sparita 
l'aureola di cinque stelline che gli cingeva la testa. Nella sua 
morte per acqua, nel sorgere del suo culto, nel cominciamento della 
galleria di statue sul ponte la vitava ebbe una singolarissima parte. 
Jan Zahradn斁ek ha scritto:
Intercedi per noi, Santo Giovanni,@ gettato ai pesci nel brago 
fluviale!@ Le sciacquature che incalzano nella corrente,@ tutti i 
naufraghi che essa ha trascinato,@ gli stracci insanguinati dallo 
scempio,@ tutti i panni che il vizio ha imbrattato,@ tutto il 
marciume che in essa si strizza:@ tutto trova in te il suo 
confessore@ (15). Come se le ombre malsane del poema Edison di Nezval, 
ombre di ubriachi, di donne perdute, di suicidi, di giocatori 
d'azzardo, andando in deriva, confluissero per la vitava dal Ponte 
delle Legioni al Ponte Carlo.
Quella scultura servdi archetipo alle innumere statue del 
canonico santo, che la devozione barocca collocsui crocicchi, sui 
ponti, sotto il rezzo dei tigli nelle piazzette dei villaggi boemi e 
moravi (16) All'inizio del Settecento, seguendo l'esempio del 
cittadino, che vi aveva fatto innalzare il simulacro del Nepomuceno, 
borghesi, nobili, facolt monasteri vollero che figurasse sul ponte 
anche il loro patrono (non in bronzo, ma in pietra arenaria) E cos
nacque questa mirabile, unica al mondo glittoteca che, ondulando con 
le verticali plastiche delle sculture la sua lunghissima orizzontale, 
la groppa pesante delle sue spallette, trasformil ponte in una 
sorta di maestoso centauro a piteste.
NOTE:
(1) Vladimir Holan, Tosk滱a, in Pwib璡y cit', p' 196.
(2) Jan Zahradn斁ek, SvatJan Nepomuck in Korouhve, Praha 1940, 
p' 69.
(3) Bohuslav Balbin, E'ivot svat逸o Jana Nepomuck逸o (1968), in 
Zden瘯 Kalista, 蟌skbaroko cit', p' 157.
(4) Cfr' Johann Georg Keyssler (1732) e Ingvald Undset (1810), in 
M瘰to vidim velikcit', pp' 62-63 e 175.
(5) Cfr' Karel H歍ek, Blahowe蟌nJana Nepomuck逸o, in 褾eno 
starPraze cit', pp' 194-201, e Karel Krej鍎, Praha legend a 
skute螽osti cit', pp' 222-36.
(6) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, p' 107.
(7) Cfr' Antonin Novotn Praha 俊emnacit', pp' 252-56.
(8) Cfr' ibid', pp' 260-61, e Karel H歍ek, 褾eno starPraze 
cit', pp' 196-98.
(9) Jan Zahradn斁ek, SvatJan Nepomuck in Korouhve cit', p' 71.
(10) Baronessa Blaze de Bury (1850), in M瘰to vidim velikcit', 
p' 366.
(11) Cfr' Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten cit', p' 50.
(12) Cfr' Antonin Novotn Kolem 俊emna in Staropraesksensace, 
Praha 1937, p' 48.
(13) Cfr' Antonin Novotn Kolem 俊emna in Staropraesksensace 
cit', pp' 40-41.
(14) Cfr' ibid', pp' 42-43.
(15) Jan Zahradn斁ek, SvatJan Nepomuck in Korouhve cit', p' 73.
(16) Cfr' Rainer Maria Rilke, Heilige, in Larenopfer (1895): ora in 
S鄝tliche Werke, Erster Band, Wiesbaden 1955, pp' 31-32.
83
Ricordi i primi sentori della primavera, quando i gabbiani 
tornavano sulla vitava dal lago M歊ha e la signora Hlochovtraeva 
dalle cassapanche pizzi di Fiandra per vesti leggere? L'inverno si 
rincantucciava nelle latterie dai freddi banchi di zinco, sui 
comignoli sparsi di croste di neve, nelle straduzze in penombra di 
MalStrana. Baluginava, fi憝ole ancora, come dai vetri di un'urna il 
sole di paglia, ma presto sulla collina di Petwin sarebbe esploso un 
rigoglio di gialle Forsythia, di lilla, di gelsomini. Un rigoglio 
febbrile, demente, che accendeva il malessere, riempiva il volto di 
sfogo, mozzava il respiro. A contrattempo con quel dissennato fiorire 
fugace, cosinverosimile nella consueta cupezza della citt
vitavina, la mente rimugina queste parole di Kafka: 青he squallore, 
un granaio in primavera, un tisico in primavera(1)
Aprile: la domenica all'alba scendevamo gidal Castello. 
Sull'isoletta di Kampa c'era allora un mercato di pentole. In Seifert 
si legge: 侵 pentolai stanno vicino al banco, - battono con un dito 
sulle brocche, - hanno le mani ricolme di fiori(2) Un filo di 
vento sollevava sul fiume trottole d'acqua. Le anatre, che nei geli 
invernali si scaldano agli infocati zampilli sgorganti dalle Terme 
Caroline, tronfie nuotavano verso la barriera di travi che protegge 
le arcate del Ponte Carlo. 促azzi tranquilli i pescatori in 
barchetta, fumando la pipa, impassibili come i demoni acquatili nei 
quadri di Lada, tenevano immersa la lenza nella vitava. Bastava un 
fioco barbaglio di sole, perchle statue dei santi sul ponte si 
illuminassero, uscendo dall'involucro dell'invernale fuliggine. Ancor 
oggi vi torno con la memoria, correndo gidal Castello, come 
l'assolo di una 匍olesta(南eodbytn熐) linea di Kupka, una linea che 
si attorciglia e si incurva per quelle straduzze, bramosa d'amore.
Al ponte che unisce MalStrana alla CittVecchia si comincia 
lavorare nel luglio 1357, ossia negli anni di Carlo IV (3) Ne 
inventle strutture l'architetto svevo Petr Parl鈍, che era giunto a 
Praga nel 1353, per continuare la fabbrica della cattedrale di San 
Vito, intrapresa da Maty碭 di Arras. Il precedente ponte, innalzato 
nel 1157-72 forse da scalpellini italiani per volere della regina 
Judita, consorte di re Vladislav II, era crollato sotto la furia 
delle acque nel febbraio 1342. Per il nuovo ponte, invece 
dell'abituale marna, fu usata la pidurevole pietra arenaria di 
Nehvizdy: si favoleggia che, per rafforzarla, i cittadini di Velvary 
mandassero sporte e canestre di uova sode e quelli di Unho褾' 
formaggi e giuncata per impastare la malta (4) Nei secoli i 
viaggiatori ammirarono la sua lunga traiettoria, che dalla parte di 
MalStrana fa gomito, le sue sedici arcate, le sue terminali gotiche 
torri, questi mirabili prismi compatti con porte ogivali e tetti a 
guglia e statue su mensole e stemmi e merlature e pinnacoli.
Si chiamava in principio Ponte di Pietra o Ponte di Praga: solo dal 
1870 ebbe il nome del suo fondatore. La leggenda racconta che in un 
pilastro nascosta la miracolosa spada del mitico principe Bruncv骿, 
che san Venceslao brandirper sconfiggere le soldatesche nemiche, 
quando la Boemia sarin pericolo (5) Chimere, giardini in aria. Ma 
una profezia truculenta sentenzia che un giorno sul ponte i cechi 
saranno pirari dei cervi dalle corna d'oro. I denti del tempo, le 
sparatorie, l'insofferenza dell'acqua hanno pivolte provata la 
solidezza delle sue impalcature. Non minor patimento dell'incendio, 
che aveva bruciato nel 1881 il N漷odndivadlo (Teatro Nazionale) di 
Praga, arrecal popolo ceco l'inondazione del 1890, che travolse un 
tratto del ponte, inghiottendo alcuni gruppi scultorei, poi 
ripescati.
Questo viale sospeso, sempre in baruffa coi capricci dei ghiacci e 
dei flutti, fu in altri tempi un'arteria centrale della citt un 
passaggio frequentatissimo: e percidi ogni luogo molto animato la 
fantasia popolare diceva: 怨 come il Ponte di PragaUna canzoncina 
affermava: 俟ul Ponte di Praga@ cresce il rosmarino@(6) Per 
attraversarlo, le merci pagavano il dazio e una speciale gabella, il 
m軼hess, dovevano sborsare gli ebrei.
Vi si accampavano, specie nell'etbarocca, turbe di sfacondati e 
di mendicanti. Mendicanti avidi e fastidiosi, come quello che stende 
la mano verso san Martino nel gruppo scolpito da Konr歍 Max Ssner 
(1690) nella vicina chiesa di San Francesco dei Crociferi. E bricconi 
che, per ottener l'elemosina, facevan sembiante di avere un cancaro 
in una gamba o il mal di san Lazzaro o il fuoco di sant'Antonio, 
ostentando piaghe, fistole, bolle, composte ad arte con vischio, 
mestruo, farina. Il gesuita Albrecht Chanovsk il quale non si 
vergognava di assidersi su carri di fango e di stabbio, come se 
fossero carri di trionfo, e di accompagnarsi a reietti e pitocchi, 
era solito andare 剃on la bisaccia sulle spalle come un accattone per 
le piaffollate vie cittadine e persino attraverso il Ponte di 
Praga(7) Penso che vi apparisse sovente il pittore barocco Petr 
Jan Brandl (1668-1735), fallimbello ubriacone e pieno di debiti. E la 
leggenda vuole che, dopo la Montagna Bianca, quasi a simboleggiare il 
tracollo e l'umiliazione del popolo ceco, vi mendicasse il poeta 
蟊mon Lomnickdi Bude l'eroe del racconto Inultus di Zeyer: 
leggenda ispirata forse dal fatto che il poeta, il quale in realt
era un voltagabbana, si firmava anche Ptocheus (8)
NOTE:
(1) Franz Kafka, Gli otto quaderni in ottavo: Secondo Quaderno, 
1916-18, in Confessioni e diari, a cura di Ervino Pocar, Milano 1972, 
p' 703.
(2) Jaroslav Seifert, Kamennmost (1944), in Kamennmost, Brno 
1947, p' 21.
(3) Cfr' Jan Dolensk Karl驠 most, in Praha ve svsl潎i utrpen
cit', pp' 260-72; Kamil Novotn- Emanuel Poche, Karl驠 most cit'; 
Karel Krej鍎, Nesrozumitelnsvat in Praha legend a skute螽osti 
cit', pp' 213-50.
(4) Cfr' Adolf Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', p' 102.
(5) Cfr' Adolf Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', pp' 101-4.
(6) 俏a tom Praesk蔂 most澢 rozmarinka roste@Cfr' Karel Jaromir 
Erben, Proston漷odn蟌skpisna w骿adla (1863), Praha 1939, p' 232 
(n漥瞚 442)
(7) Cfr' Jan Tanner, Pokora P漮era Albrechta Chanovsk逸o (1680), in 
Zden瘯 Kalista, 蟌skbaroko cit', pp' 159-61.
(8) Cfr' Adolf Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', p' 110; Karel
Krej鍎, Nesrozumitelnsvat in Praha legend a skute螽osti cit', pp'
132-34.
84
All'inizio del Settecento il Ponte Carlo si popoldunque di
statue, che adombrano la vittoria della Controriforma in Boemia, la 
Chiesa trionfante ad un secolo dalla Montagna Bianca, l'espansione 
del cattolicismo in contrade lontane. Nel giro di otto anni (1706-14) 
sulle orizzontali lunghissime delle spallette, sui possenti pilastri 
infissi profondamente nel fiume, venne sorgendo uno stuolo di gruppi 
scultorei a distanze ritmate come i nomi di una litania. Se lsotto, 
nell'isoletta di Kampa, il poeta si cruccia della soffocante 
strettura dei muri, che spesso portano in cima 勁a ben nutrita dal 
Barocco - statua della morte(1), nel viale, che prende origine dal 
Ponte Sant'Angelo, i santi in cymbalis bene sonantibus, impasto di 
visionario fervore e di aneliti di trascendenza, hanno intorno aria, 
acqua, nuvole, immensi baldacchini di cieli, e un brulichio di 
gabbiani che cadono a vite tra le onde. Facolt chiostri, collegi, 
famiglie gentilizie e borghesi commisero quei manichini di pietra 
arenaria a diversi scultori, fra i quali emergono Mat疀 V歊lav 
J踄hel, Jan Oldwibl Mayer, Ferdinand Maxmili滱 Brokof, Maty碭 Bernard 
Braun. Polverose processioni con fiori di campo giungevano dalla 
provincia morava e boema a masticare paternostri dinanzi a questa 
vetrina di baroni celesti.
Ma non si puintendere la magia del Ponte Carlo, senza includervi 
le architetture contigue che, a detta di MiloMarten, esprimono 
concordemente 咨utto il dramma dello spirito latino(2) Dal lato 
della CittVecchia l'intima e soave piazzetta dei Crociferi, arca di 
gioielli barocchi, 咬idente aiuola(3), ai cui lembi si affacciano 
le chiese del San Salvatore e di San Francesco, oltre al Klementinum. 
Dal lato di MalStrana la cattedrale di San Nicola, sulla quale 哎n 
capriccio incantevole ha posto la capovolta coppa smeralda di una 
cupola di verderame, come un faro di luce trionfale(4) Nella 
siluetta della CittVecchia la chiesa di San Francesco dei 
Crociferi, con l'elastica curva della sua pura e leggera cupola, fa 
riscontro alle guglie della torre del ponte, costituendo una duplice 
consonanza, uno sposalizio di Gotico e di Barocco. E a questo 
accordo, dall'altro lato del ponte, corrisponde il perfetto 
equilibrio tra la torre gotica dell'ingresso di MalStrana e la 
cupola di malachite di San Nicola, 前norme rosa verde(5), che si 
armonizza a sua volta con quella di San Francesco dei Crociferi.
Sul loggiato e sul tetto del San Salvatore, nelle nicchie della 
facciata e sull'attico di San Francesco hanno nido parecchie statue 
di evangelisti, gesuiti, teologi, vescovi, angeli con gli strumenti 
del martirio di Cristo. Di qui, da questo vivaio ed emporio di santi, 
dal caldo portico del San Salvatore, muove il corteo di arenaria che 
ingombra i parapetti del ponte. Il corteo muove, solenne come le 
apoteosi della pittura boema barocca, verso la cattedrale di San 
Nicola, la cui verde cupola, in questa giocoleria di semisfere e di 
triangoli, sembra gonfiarsi man mano che ci si avvicina dalla 
glittoteca fluviale.
Seifert discorre delle api che a primavera, intirizzite come se 
fossero nate nel tritume del ghiaccio, svolano dalle sottane dei 
santi dottori e soldati di Cristo allineati sul Ponte Carlo (6) 
Questa sfilata di pietra arenaria, che a un viaggiatore straniero 
parve una duplice fila di moschettieri (7), anche una prestigiosa 
rassegna di paramenti: dalmatiche, infule, berrette a spicchi, 
pastorali, pianete, piviali, drapperie svolazzanti, cascate di 
crespe, tonache simili a flutti infuriati. Al repertorio 
vestimentario si aggiunga un arsenale di oggetti: croci, vangeli, 
catene, rosari, aureole attaccate all'occipite con uno stecco da 
zucchero filato, e i libri e il calamo di san Tommaso, i vasi di 
sant'Antonino di Padova, il codice di sant'Ivo, la clava di san Giuda 
Taddeo, i bossoletti di unguenti dei medici Cosma e Damiano.
Quei baroni celesti hanno anche un loro zoo, ma il viale sul fiume 
principalmente uno scialo di cherubini. Un angelo porta una cesta 
di pane, uno vuol travasare il mare con una conchiglia, uno tiene un 
alveare, altri reggono stemmi, cartigli e attributi dei vari patroni. 
Chi si aggrappa alle rocce, chi vortica in aria come un fiore alato. 
Nel gruppo di san Gaetano testine di angeli sono sospese, assieme a 
ciuffi di nubi di sasso, ad un obelisco che culmina in un grosso 
cuore. Anche se ricco di glorie locali, questo circo di santi 
testimonia dell'esotismo caro al Barocco (8) Penso al turco e 
all'ebreo sul rovesciato tronco di cono del basamento di San Vincenzo 
Ferreri e di San Procopio (l'ebreo barbuto che, avvolto in un t滎ess 
e con le mani rugose, sembra star qui come un console del favoloso 
circondario di Rabbi L饖), al turco guardiano dei prigionieri 
cristiani nel piedistallo di San Felice di Valois e San Giovanni di 
Matha, al principe indiano e ai due paggi inginocchiati dinanzi a San 
Francesco Saverio che alza la croce, e al negro, al tartaro, al 
giapponese, all'indiano modellati sul dado dello stesso gruppo, 
all'Asia dalle sfarzose vesti di maga sul plinto di Sant'Ignazio.
Alcune sculture del conclave vitavino si imprimono con prepotenza 
nella memoria. Soprattutto ci affascina il gruppo di Santa Luitgarda. 
Rivolgendosi a Cristo, il poeta e organista barocco Adam Michna z 
Otradovic aveva scritto: 俟anta Luthgardys, costante@ tua amata 
vergine amante,@ trovnel tuo cuore convito@ e dolce idromele 
squisito@(9) La ballata di pietra scolpita da Braun rende 
mirabilmente lo spasimo della cistercense fiamminga intabaccata di 
Cristo. Vivificum latus exugit cor mutuans corde. Luitgarda, 
languente per il calore dei sensi come una rosa estivale, afferra in 
ginocchio le ginocchia di Cristo che, inchiodato con la sinistra alla 
croce, posa la destra sull'omero della sua mistica concubina. Questa 
scena di quasi venereo ardore e di indomita trasognatezza, cui 
assistono angelici putti e fiocchi di nuvole, questo tu-per-tu 
terra-cielo, il cui impulso drammatico dilatato dalla giacitura 
asimmetrica dell'intero gruppo, si svolge su un greppo pesante, 
tempestosamente ondulato come i maniconi ampi e cascanti della 
smaniosa tonaca della cistercense. Per la foga trascendentale, per 
l'irrequietezza le sculture di Braun sono tutte della stessa buccia: 
ma un turbine ancor pifurioso sommuove e rimesta i drappi tesi e 
sferzanti che si attorcono attorno al corpo scavato da un diluvio di 
rughe e di stroppiature di un'altra sua statua, non di questo 
areopago, non di arenaria ma di legno di tiglio, il grifagno 
vegliardo san Giuda Taddeo.
La piinquietante sembianza della glittoteca sul fiume il Turco 
di un gruppo di Brokof, il cosiddetto Turek na most il Turco del 
Ponte, che fra le stranezze di Praga pufar comunella col Golem e 
con la barbuta fantasima di santa Starosta (Heilige Kmernis) a 
Loreta. La scultorea compagine rappresenta san Felice di Valois e san 
Giovanni di Matha, fondatori dell'ordine dei trinitari, che si 
proponeva di riscattare i cristiani dal giogo degli infedeli, ed 
inoltre, chissperchassieme a loro, come un intruso, Ivan, santo 
slavo. I tre patroni campeggiano sopra una prigione di roccia, dalla 
cui finestra inferriata, torcendosi, tre disperati cattolici invocano 
aiuto. Appoggiato alla rupe, rabbuffando le ciglia, sonnecchiante, 
solenne, impassibile, vigila quella spelonca, quel caucaso un 
beglierbei, un panciuto giannizzero con lunghi mustacchi spioventi, 
un giubbone tutto alamari, scimitarra e turbante turchesco. Il suo 
cagnaccio rabbioso sta quasi sul parapetto, come per annusare i 
passanti. Il cervo di san Giovanni di Matha si tende dalle balze 
rocciose, come se udisse il lamento dei tre infelici. L'impostazione 
di tutto l'insieme rammenta gli aggruppamenti delle figurine nei 
presepi barocchi e le scenette minerarie scolpite dagli artigiani 
delle Kru螽Hory (10)
Racconta Oskar Wiener che Liliencron, nella sua fl滱erie innamorata 
per le strade di Praga, rise di cuore dell'arcigno mostaccio del 
Turco e ficcun'arancia, un'arancia nelle fauci aperte del cerbero 
(11) Le orme pagane erano ancora stampate per le campagne del 
Mitteleuropa, quando Brokof plasmquella statua (1714) Simulacri di 
turchi, riverbero delle scorrerie che li portarono nel 1683 sino a 
Vienna, troviamo in tutta l'arte barocca boema: e non solo nelle 
apoteosi pittoriche e nelle sculture, ma anche nei canti da fiera, 
nei presepi, nelle commedie folcloriche, nelle mascherate di San 
Nicola e di Carnevale (12) Il mustafdel Ponte Carlo non peruna 
cariatide, un vinto, uno schiavo, come in altre opere di stesura 
barocca (13), ma una parvenza spettrale, un aguzzino che incute la 
tremaruola, quasi un personaggio dell'infernaliana di Meyrink.
In un suo racconto Egon Erwin Kisch narra di un ricco e maturo 
mercante di tappeti persiani, l'armeno Zadriades Patkanian che, 
trasferitosi a Praga, sposMilu螶a, la giovane figlia di uno sbricio 
sellaio. Giorno e notte costui portava al fianco la sciabola, con cui 
aveva ucciso a Erzurum la prima moglie. Nella fantasia di Milu螶a 
spaurita il truculento armeno prese a immedesimarsi col malefico 
Turco del Ponte. Mentre quell'affumato babbione ciondolava nelle 
taverne, la puella correva dal proprio coetaneo Ton骿, un cacaspezie, 
per giocare con lui a spaccafico. Una sera, tornando tardi dal 
congiungimento, Milu螶a per scaramanzia scagliun sasso contro la 
scimitarra del musulmano di pietra: e l'arme, staccatasi 
dall'impugnatura, cadde a terra in frantumi. L'armeno, che aspettava 
gida qualche ora col cervello fumante di gelosia paladinesca e con 
un ghigno impiccatoio, consorte disavventurato, nell'estrarre la 
sciabola per decapitare Milu螶a, si trovfra le mani soltanto l'elsa 
(14)
Sia che ostentino assorto sussiego, fissando le calcinose pupille 
nel vuoto dei cieli, sia che si abbandonino al furioso dell'estasi, 
sia che rassembrino conversioni e miracoli, le statue di questo 
cammino della perfezione hanno tutte sostanza teatrale nei gesti, nel 
pathos, nello sventolio delle tonache. L'orgoglio, la spocchia, una 
certa spacconeria si mescono in esse con l'ansia di vincere la 
pesantezza che le avvince alla terra. Penso all'enfasi dei santi 
Cosma e Damiano, che come due cerretani sbandierano i loro farmachi, 
all'enfasi alquanto melliflua di sant'Ivo, il patrono dei legulei, 
all'enfasi di san Vincenzo Ferreri, che risuscita un morto dal 
feretro, e di san Procopio, il gran domatore di diavoli, sotto il 
quale si rotola un satanasso.
Nessuno di questi santi appare inerte e appagato e, a differenza di 
Praga stessa, nessuno soffre di catatonia: sulle scoscese come dirupi 
ribalte dei piedistalli danno simultaneamente spettacolo con 
esagitate o solenni movenze da istrioni celesti e con abilit
equilibristica, a ogni mossa rischiando di scivolare dai 
disagiosissimi greppi. Per implicare nel giuoco i passanti, alcune 
comparse si sporgono sino a sfiorarli: il cane del Turco, ad esempio, 
o quell'angelo di san Francesco Borgia, che spenzola liberamente le 
gambe dall'orlo del plinto. Nemmeno dopo il tramonto le statue 
cessano di recitare. Un tempo la diceria sosteneva che a mezzanotte 
discutessero con disertissimi termini e capziositteologale, e nelle 
taverne gli ubriachi ne riferivano i dialoghi immaginari.
NOTE:
(1) Vladimir Holan, Zed' III, in Askl酥iovi kohouta, Praha 1970, p' 
164.
(2) MiloMarten, Nad m瘰tem cit', p' 24.
(3) Ibid'
(4) Ibid', p' 25.
(5) MiloMarten, Nad m瘰tem cit', pp' 24-25.
(6) Jaroslav Seifert, Kamennmost cit', p' 18.
(7) D' Moores (1779), in M瘰to vidim velikcit', p' 101.
(8) Cfr' Germain Bazin, Destins du Baroque, Paris 1968, pp' 212-20.
(9) Adam Michna z Otradovic, 蟌skmari滱skmuzika (1647), in 
Re, kterousmrt zavwela, a cura di Zde螄a Tich Praha 1970, p' 
91.
(10) Cfr' Jaromir Neumann, 蟌skbarok cit', p' 131.
(11) Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten cit', p' 42.
(12) Cfr' Jan Kopeck 蟌skbarokndivadlo lidov in D疀iny 
蟌sk逸o divadla, I, Praha 1968, p' 326.
(13) Cfr' Germain Bazin, Destins du Baroque cit', pp' 212-17.
(14) Egon Erwin Kisch, Wie der Tke auf der Karlsbrhe um seinen 
S踀el kam, in Prager Pitaval cit', pp' 230-39.
85
Nezval afferma:  Chi non ha visto in che modo la notte, in certi 
giorni non segnati nel calendario, queste statue abbandonano i 
piedistalli suicidi, per mescolarsi ai passanti notturni, per 
osservare i dodici ponti praghesi (di qui non si riesce a vederli 
tutti), non capirmai la mia poesia...(1).
Leggendo le nezvaliane parole, mi sorto in pensiero di imbastire 
un matto spettacolo su quel ponte, su quella ornatissima nave 
incastellata di statue. Percimi rivolgo a lei, signor Krej螮, 
regista capo del Teatro Alla Porta (Za Branou), a lei, copiosissimo 
armadio di invenzioni sceniche, perchvoglia assumerne la regia, 
chiamando a recitare, non solo i fantocci di pietra arenaria, ma 
anche l'acqua del fiume e i verdi teloni di Petwin e il sottopalco di 
Kampa, e le torri e i telai delle nuvole e i fondali di MalStrana e 
il Castello. Si lasci imbarcare dalla fantasia, metta in opera tutta 
una schiera di ingegni e di macchine suscitatrici di mutazioni a 
sorpresa, diavolosi fracassi, girandole, magici apparimenti.
Cominceremo con una luminaria che replichi quella inscenata la sera 
del 9 ottobre 1729 in onore del Nepomuceno. E' il tramonto. Come in 
un quadro di Petr Brandl (2), il soffocato barlume dell'ultimo sole 
nascosto dietro una nuvola, la fredda luce svogliata del giorno 
morente si scontra con un caldo fluido luminoso, con una luce 
sacrale, che sembra emanare da una colomba smarrita, l'ormai 
spennacchiata colomba dello Spirito Santo. Rimbomba una triplice 
salva di pidi venti spingarde, spaurendo i gabbiani scavezzacollo e 
le campane che cantilenavano. Acrobatiche fiaccole, nidiate di lumi 
si appicciano sulle finestre dei nobiliari palazzi, sulle siluette 
dei chiostri, sui contorni a zigzag del Castello. Le facciate dei 
templi traboccano di emblemi, di trasparenti, di addobbi allegorici. 
Come file di quinte in successione prospettica divampano le rampicose 
straduzze di MalStrana.
Il bagliore dei fuochi policromi accesi sulle torri del ponte, 
cadendo nel fiume, si fonde col balenio di vermiglie stelle ornative 
e di un crocifisso di fiamma issato sopra la cupola di San Francesco. 
Come lucciole guizzano per la vitava barchette agghindate di aghi di 
pino e di tremolanti come conigli lucerne (3) Quasi sudditi di un 
regno del Sottins bramosi di trompe-l'鑀l, i fedeli, assiepati sul 
lungofiume, sulla piazzetta dei Crociferi, a Kampa, scrutano il 
cielo, dalla cui soffitta una frotta di cherubini precipita, come 
nelle apoteosi della pittura barocca.
Trecento musici dentro due navi con trombe e timballi attaccano un 
concerto fluviale sotto l'arcata del ponte che sottende la statua del 
Nepomuceno. Ed ecco una pioggia di bengala diluvia per il firmamento, 
spirali e soli giranti compongono labili allegorie sul taciturno 
patrono. Sotto il ponte l'acqua eccitata, cambiando continuamente 
colore, diventa ora verde come l'oliveto di Getsemani, ora fecciosa 
come la brodaglia in cui Ponzio Pilato intinse le mani, ora 
gialliccia come vino con fiele, ora nera come il buio del Calvario 
nell'ora sesta, ora scarlatta come il sangue di Nostro Signore, ora 
livida come il suo corpo inchiodato alla croce, ora violacea come i 
sepolcrali drappi della Passione, ora cenere come il pianto di Praga, 
come Praga che esanime aspetta che qualcuno le porga una spugna 
imbevuta di aceto.
A mezzanotte si spegne la luminaria. Si disperde la folla. Ma per 
il ponte passano ancora alla spicciolata perdigiorni ubriacatisi alle 
fontane che sprizzavano vino dinanzi al palazzo dell'Arcivescovo. 
Alcuni, cantando con voce alticcia, portano lunghissimi ceri, come 
quelli che Brandl dipinse nel quadro Smrt svat逸o Vint魾e (La morte 
di san Vint魾, 1718), nella chiesa di Santa Mark鈣a a Praga-Bwevnov. 
Passano tre musicanti vestiti di nero, in frac e bombetta, gli occhi 
arrossati sul ceffo bianco di gesso e di biacca, l'oboe sotto 
l'ascella. Cinque angeli aitanti, tenendo in mano un giglio, un ramo 
di palma, una fiaccola, una corona, una croce (attributi del 
Nepomuceno), saltando e ballando a imitazione di Davide dinanzi 
all'arca, tornano nella chiesa delle orsoline a Hrad螮ny, a 
ricollocarsi dentro l'affresco di V歊lav Vavwinec Reiner (1727), da 
cui erano scesi per prendere parte alla festa. Passano ancora 
confidenti-arlicchini e caifassi e iscarioti e malefici scribi e, 
diguazzando la spada, qualche arrogante Episciov o Reichsprotektor o 
don Marradas, qualche coviello venduto, qualche mangiapagnotte che va 
a riferire, qualche don Isquacquera, che se la fa sotto ad ogni 
ingiunzione straniera. Voglio infratarmi perse quei tre che 
arrancano adesso, gridando: "Illalla, illalla, Maumeth, 
russoillalla non sono i tre schiavi cristiani che il Turco teneva 
in prigione.
D'improvviso si sente un rimbombo, un cosintollerabil fracasso, 
che sembra di essere al noce di Benevento. Quasi avessero dieci 
spiriti in corpo, le statue sobbalzano furiosamente, agitandosi come 
fantocci che pendano dalle dita di occulti bagattellieri. Alcune si 
spiccano addirittura dal plinto, scendendone. Le scritte latine sui 
piedistalli si arruffano in incongrui garbugli e orditure 
lettristiche, simili ai 匍attogrammidi JiwKol漙. Presi da paura, 
gli ultimi sparuti passanti si mettono a correre alla pazzesca.
Ma dura poco. Ben presto i santi ritornano immobili, a guisa di 
ornamenti tombali. 非al vuoto le statue - racconta Mr褾骿 - 
affioravano ai lati del ponte come neri cadaveri(4) Ora sembrano 
tutte carcasse di cenere, senza nemmeno un granello del pathos che 
solitamente le muove, feticci agghindati e ghignanti, spaventacchi 
sacrali. La ridondanza ecclesiastica, la trionfalit l'alterigia dei 
paramenti rivelano il loro rovescio, un miscuglio di vanitas, di 
lutto, di ebbrezza del niente, un acre sentore di morte. Tra le 
statue compaiono alcune delle orribili mummie che si conservano in 
feretri aperti nelle ampie cripte della vicina chiesa spagnoleggiante 
di Santa Maria delle Vittorie (5) Dalla sommitdel Castello un 
attore (forse Radovan Lukavsk in un madornale megafono recita il 
poema Co B齻? 螿ov瘯? (Che Dio? Che l'Uomo?, 1658) del gesuita 
Bedwibl Bridel, - poema che contrappone alla verminosa nullezza dei 
nostri poveri frali di creta, alla sparutezza quaresimale di noi 
saccardelli l'immensa possanza e aseitdel Signore.
E a questo punto si leva un violentissimo nodo di vento, un vento 
d'oceano piche di fiume, di quelli che mettono le onde alle stelle 
e le caracche, i gran legni delle Compagnie delle Indie mandavano in 
fondo. Durante questa tempesta, che imiterle procelle con tanta 
frequenza descritte dalla letteratura barocca boema (6), la turba di 
statue farun repulisti me domine, i santi di pietra arenaria 
scompariranno, lasciando il ponte deserto e spettrale come una Badia 
a Spazzavento.
All'alba le statue, riapparse sui plinti, riprendono i loro 
recitamenti e sermoni, gli esercizi di acrobazia e trascendenza, 
mentre i passanti attraversano il corridoio vitavino con borse 
enormi, distratti, aggrondati, senza nemmeno curarsi di quel cabaret 
litologico. Di dietro le nubi trapela una larva di sole: e mentre i 
gabbiani si impennano, per poi cadere in candela, il sole, per dirla 
con Holan, 厚iomba frattanto i denti delle statue(7) 促azzi 
tranquilli i pescatori nei loro gusci fluviali tengono immersa la 
lenza nell'acqua (8) 勁agginel fiume - si legge nei diari di Kafka 
- c'erano alcune barche, i pescatori avevano buttato l'amo, era una 
giornata coperta. Al parapetto del lungofiume alcuni giovanotti 
stavano appoggiati con le gambe incrociate(9) Le rive 
brulicheranno di questi 襁milov fannulloni praghesi che passano il 
tempo a guardare, di questi pellegrini immoti che aspettano. Su e gi
per il viale uno strano tipo in un cilindro altmodisbl vender
piccoli libri, gridando: Alle belle istorie! Alle belle istorie! Il 
Turco del Ponte. L'estasi di santa Luitgarda.
NOTE:
(1) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 347.
(2) Mi riferisco alla tela Kwest Krist驠 (Il battesimo di Cristo, 
1715-16), che si ammira nella chiesa di S' Jan Kwtitel (San Giovanni 
Battista) a Man皻in.
(3) Cfr' Antonin Novotn Kolem 俊emna in Staropraesksensace 
cit', pp' 43-44.
(4) Vil鄉 Mr褾骿, Santa Lucia (1893), Praha 1948, p' 76.
(5) Cfr' Vojt瑿l Volavka, Pout' Prahou cit', p' 230.
(6) Cfr' Zrozenbarokov逸o b滻n骿a, a cura di Vil鄉 Bitnar, Praha 
1940, pp' 110-11, 167-69, 203-4, 257-59, 331-34, 459-60.
(7) Vladimir Holan, PrvnTestament cit', p' 9.
(8) Cfr' Eduard Bass, Ryb漙i pod mostem, in Kuk漮ko, Praha 1970, 
pp' 191-95.
(9) Franz Kafka, Confessioni e diari cit', 20 luglio 1913, p' 387.
86
Praga magica: ricettacolo e armadio di rottami e di oggetti 
stantii, di vecchi arnesi inquietanti, assemblage di detriti, immenso 
tandlmark, mercato di ciarpe e cianfrusaglie. Non a caso, sin dal 
Seicento, il tandlmark (o t漷mark) brulicava nel cuore stesso della 
capitale boema, nel mezzo della CittVecchia, fuori del ghetto. Da 
un groviglio di baracche rivenduglioli e arcadori urlavano a gara, 
offrendo all'udienza scarpacce, monete d'oro e d'argento, orologi, 
cappelli, pugnali, pappagalli, gabbie di canarini, utensili 
domestici, antiche bibbie, incunaboli, libri, pellicce e palandrane. 
Qui, nel XVII secolo, il pittore Norbert Grund smerciava i suoi 
quadretti per un ducato (1) Vivandiere vendevano frittelle, carne di 
porco, piselli unti di grasso, traendo la dozzinale cibaria da 
caldaie su rotelle. Una gran folla curiosa fiottava per le stradine e 
piazzette formate dagli assiepamenti delle consunte trabacche di 
legno. Paltonieri e bagasse e fottiventi si tramezzavano in quella 
calca.
Benchpochi segni ne siano rimasti, nella sostanza di Praga 
perdura il brulichio, il sortilegio del vecchio tandlmark. Ancor 
oggi, a dire di Hrabal, nei residui di quel mercato 冠lle venditrici 
di nastri scorrono nastri a colori dal naso quando li misurano col 
gomito, alle erbivendole spunta ogni giorno un ombrellino dal 
cocuzzolo 勁e fioraie tengono in tasche da canguro tulipani di 
tutte le tinte 厚appagalletti svolazzano in gabbie, come metafore 
poetiche e vecchiette, che 則anno il viso solcato dai segni dello 
zodiaco e, al posto degli occhi, due pezzetti di pelle di 
gattopardo 厚ortano alla luce quisquilie pazzesche 哎na vende 
rose verdi di piume, una spada da ammiraglio e bottoni per 
fisarmonica, l'altra offre mutandine militari da ginnastica e secchi 
di tela e una scimmia impagliataAncor oggi 剃'puzza di neonati, 
di pagliericci fradici, di aceto e di canapa(2)
All'inizio del secolo il tandlmark lussureggiava soprattutto a 
Natale. Sulla Piazza della CittVecchia sorgeva in una notte una 
cittaduzza di tremolanti baracche. Alle giallognole luci dei lampioni 
a gas rispondeva dalle baracche un baluginio di candele infisse in 
sfere di vetro, di lumini avvivati con olio di colza (3) In quella 
contrada fiabesca incontravo impostori con diavoletti cart[u]siani, 
indovini con pappagalli che estraevano a colpi di becco il pianeta 
della fortuna, dalmati con le canestre ricolme di specchi, gillette, 
preservativi. 亮elio, Gelio: Tutti Fruttiera il grido dei gelatai. 
Si udivano strambi richiami: 亭ichi, fichi d'America. Bretelle della 
bellissima regina MandaCome ha scritto Paul Leppin, 咨ra cavalieri 
di panpepato, gialle trombette e infantili tamburi a colori faceva 
ressa la gente, e tra la calca si aprivano a due a due le ragazze la 
strada. Svolazzando nel vento, le fiamme vacillavano sopra gli 
esposti dolciumi ed illuminavano il rosso turbante di quelli che 
offrivano in vendita il miele turco(4)
Nei tirassegni, vegliati da torpide donne accucciate come botoli ad 
una finestra, si sparava su pipe di gesso. Ka螲漷ek recitava la sua 
burletta in malfermi castelli di burattinai. Cantafavole sciorinavano 
storie d'amore e di crimini, indicando con una bacchetta le scene 
dipinte su un telone cerato. Ad accrescere la pittoresca farragine 
concorrevano i teatri meccanici, con le scenette del lavoro in 
miniera, i panorami, i musei, i gabinetti delle figure di cera, con 
la testa di cera parlante, la dama decapitata, la ninfa marina, 
miscuglio di scimmia impagliata e di carpa squamosa (5)
Il bulgaro Duko Petkovi柚 vendeva su襁k e miele turco, duro come 
granito, e rahat lokum, costellato di mandorle amare, e croccante, 
che tagliava da un blocco con una piccola scure o, come Kisch 
ricorda, con una ghigliottina (6) Nelle baracche di Praga-tandlmark 
si ammucchiava ogni sorta di leccornie: peprmint, panforte, 勁egno 
dolce 厚ane di San Giovanni e pendrek (B酺endreck: cacca d'orso) 
ossia liquirizia, e cukrkandl (zucchero candito), e mejdl斁ko 
(saponetta), prisma variopinto dal sapor di sapone, e cornetti di 
neve, e palline multicolori di semi di zettovario, che cacciavano i 
vermi, e incannate di berlingozi, e cialde, e amaretti, e confetti 
spumosi, e 螲al骿, piccolo ceppo di zucchero in forma cilindrica, 
attraversato da un fiore, e acoro inzuccherato, e altre innumere 
stirpi di chicche e di fanfrelicchi e di biancomangiari. Si 
aggiungano le figurette di neri spazzacamini, che comparivano nelle 
vetrine per San Nicola, accanto alle noci spruzzate d'oro: 
spazzacamini di prugne secche e grinzose, infilate su lunghe 
assicelle, con un bianco berretto di carta e una scaletta in spalla 
(7)
A simboleggiare la Praga dei rivenduglioli sceglieremo il signor 
Mar漮, un robivecchi che, alla fine del secolo scorso, sedette per 
vent'anni, come il personaggio di un pittore domenicale, a un suo 
misero banco sotto un'arcata del basso loggiato dinanzi al caffU 
褾urm al Mercato del Carbone, ossia nel folto del tandlmark (8) 
Dopo aver fatto il granatiere in quattro guerre, povero in canna, si 
era messo la vendere agli straccioni stracci e rimasugli raccattati 
in fastelli di rifiuti. Pioggia o neve, il robivecchi dal volto 
arrappato, pittura di rughe, se ne stava immobile sullo sfondo di 
quel casamento decrepito, di quella haluzna dai muri grigi e 
scrostati.
Sul banco tarlato e in due gerle piene di buchi teneva brandelli 
morchiosi, pentole rotte, stoviglie, lampade, lerce cravatte, 
bocciuoli e urnette di pipe senza cannello, logore borchie, scarpe 
senza calcagno nsuola, spazzole prive di setole, maglie di 
catenelle, una raccolta di ombrelli, cui mancavano la copertura e le 
stecche, colletti sporchi, frantumi di rasoi, di coltelli, di 
occhiali, forchette spezzate, fascicoli malconci di romanzi neri: 
alle corte una ciurmaglia di vili festuche, racimolate nei piremoti 
mondezzai e cacaturi di Praga. Davanti a questa babele di impolverate 
minuzie sedeva maestoso in una poltrona di legno il signor Mar漮, con 
un burnos rappezzato e un bisunto chepmilitare.
Praga non consiste soltanto nelle fastositdel Barocco, nelle 
verticali del Gotico, ma anche in questo Merz di ciarpame, di cose 
finite sul lastrico o chiuse nelle cassapanche, di ready-mades per 
incuria o risparmio, di detriti e vecchiume da rigattiere, di 
fatiscenti reliquie, che crescono come granelli di senapa nell'orto 
della fantasia (9) La presenza ebraica, la parsimonia dei cechi, il 
loro affetto per gli oggetti, 剃ompagni silenziosi(10), e in specie 
per i frantumi da rabberciare in mancanza di nuovi: tutto ci
prospera la mia concezione di Praga come mercato. Ancora in tempi 
recenti, in vecchie case borghesi, si affollavano nelle cassapanche 
stinti solini e cilindri, che un qualche signor Hloch, consigliere 
absburgico, aveva indossato a Vienna, e soprammobili rotti e 
stivaletti sformati e cartoline a colori e frastagli di cose ormai 
vane, conservate sino all'estrema decrepit come i vestiti antiquati 
nei sovraccarichi armadi dell'ostessa all'Albergo dei Signori (11)
Al metafisico tandlmark della cittvitavina appartengono anche le 
inezie delle serate danzanti dell'Ottocento, la chincaglieria 
malinconica dei balli a E'ofin e in altre sale, organizzati da 
associazioni dai nomi floreali: 俊uberosa 亮ardenie 促etunie i 
cotillons, che le ragazze celavano sino alla morte nel fondo di 
scrigni. Cotillons di cartone, di seta, di velluto, di pelle, in 
forma di quadrifogli, di foglie di tiglio, di faretre con frecce, di 
piccoli album dagli orli dorati, di manicotti con un cilindretto 
girevole che conteneva l'elenco dei balli. Tutte le inezie delle 
fuggevoli feste, e i programmi stampati in oro, in cinabro, in 
argento, su glaz酥apir, con a fianco una matitina, perchogni dama 
potesse segnarsi il nome del partner (12)
Ma c'era un altro tandlmark, quello che si spostava di osteria in 
osteria, trasformando l'intera Praga in una fiera ambulante. Nel 
romanzo Santa Lucia Vil鄉 Mr褾骿 ha descritto l'andirivieni di 
rivenduglioli nella birreria U Flekalla fine dell'Ottocento: 
una scugnizza dalla testa arruffata, che correva di tavolo in 
tavolo a offrire scatole di zolfanelli, mercanti di Ko蟌vje con gerle 
appese al collo, infarinati scultori con calchi di statue di gesso, 
umili vecchiette con accatastate piramidi di arance e meluzze di 
Meissen, venditori di quadri con insanguinati volti di Cristo e con 
nude ninfe dalle seducenti gambe incrociate e dal corpo di ballerine, 
valacchi con noci, venditori di mandorlati e merciaiuoli da fiera con 
uccelli che estraevano pianeti...(13).
Nell'elenco si mettano inoltre i molteplici rivenditori di frutti 
canditi, di barometri, di palloncini, di biglietti delle lotterie, di 
rotolini di aringhe, di macchinette, di mandorle abbrustolite, di 
cetriuoli annegati in un lurido liquido scuro. Un inesauribile nastro 
di merci scorreva di taverna in taverna. E non siano obliate le 
厚iccole locomotive dei caldarrostai che la notte 哀tavano con 
occhi rossi sull'orlo della carreggiata(14), e le notturne teiere a 
rotelle, i samovar semoventi, che avevano il loro prototipo in una 
minuscola vaporiera tirata da un cane, detta 隹mbulanza delle bevande 
caldeo 青affCandelabro perchil mescitore soleva appoggiarsi a 
un lampione (15)
Questo teatro di rivenduglioli e di rigattieri, di attrezzi 
spezzati e spenti rivive nei surrealisti praghesi che, come quelli 
parigini, idoleggiano i rancidi feticci dei march廥 aux puces. Vecchi 
Automaten con figurette danzanti, sfere di vetro, tavole da 
tirassegno, teloni da fiera, tabelle da chiromanti con la parabola 
della vita umana, maschere, specchi offuscati, statuine infrante, 
rottami, piccole bare con dozzinali arabeschi, putti da stele 
tombali: l'assortimento ammuffito del tandlmark si frammischia con 
l'attrezzeria surrealistica nelle foto del ciclo Na jehl槆l t璚hto 
dn(Sulle punte di questi giorni, 1935) del pittore Jindwibl 褾yrsk
(16) Un angelo appeso con le ali spiegate al frontone di una 
drogheria regge il cartiglio 俑aterialistaIn una vetrina da 
parrucchiere civettano manichini muliebri dalla capelliera ondulata, 
tra flaconi e reclames di Odol e Birkenwasser. Un sentore morboso di 
ortopedia si propaga dalle bambole rotte, dai torsi di celluloide di 
褾yrsk Rovesciando la formula, pudirsi che, in virtdel loro 
amore per le bambole a pezzi (rozbitpanenky), i tirassegni, i 
panottici, i fantocci delle barbierie, le statuette di legno dei 
caroselli, gli affissi dei baracconi, gli oggetti slabbrati, i 
surrealisti di Praga sono gli eredi del tandlmark (17)
NOTE:
(1) Cfr' Karel H歍ek, O tandlmarku, in 褾eno starPraze cit', p' 
21.
(2) Bohumil Hrabal, Kafkeria, in Inserzione per una casa in cui non 
voglio piabitare cit', pp' 22-23.
(3) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', II, p' 74; 
Johannes Urzidil, Trittico di Praga cit', pp' 20-22.
(4) Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis cit', pp' 50-51.
(5) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', II, pp' 72-74.
(6) Cfr' Egon Erwin Kisch, Praeskdobrodruestv Praha 1968, pp' 
52-54.
(7) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', II, pp' 70-71.
(8) Cfr' Karel L' Kukla, Pan Mar漮 od 褾urm(Obr漘ek z praesk逸o 
podloub, in Ze v蟌bl koutPrahy cit', pp' 102-3.
(9) Cfr' Bohumil Hrabal - Miroslav Peterka, Toto m瘰to je ve 
spole螽p塗i obyvatel, Praha 1967.
(10) JiwWolker, V璚i, in B滻n Praha 1950, p' 75.
(11) Franz Kafka, Il Castello cit', p' 340.
(12) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', I, pp' 121-24.
(13) Vil鄉 Mr褾骿, Santa Lucia cit', p' 205.
(14) Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis cit', p' 25.
(15) Cfr' ibid', pp' 137, 139, 140, e Egon Erwin Kisch, Caf
Kandelabr, in Die Abenteuer in Prag cit', pp' 353-56.
(16) Jindwibl 褾yrsk Na jehl槆l t璚hto dn(1935), Praha 1945.
(17) Per surrealisti intendo, non solo Nezval, Biebl, 褾yrsk la 
Toyen, ma anche i poeti e pittori della Skupina 42 e Holan e Hrabal e 
i fotografi Miroslav H毾 e JiwSever. Cfr' Toyen, Stwelnice 
(1939-40), Praha 1946; Miroslav H毾, O蟊ma sv皻 kolem n滻, Praha 
1947; Ludv骿 Sou蟌k, JiwSever, Praha 1968.
87
Praga magica: conglomerato di osterie e birrerie di ogni sorta, 
plesso di fumosi locali, mondo di ubriacature solenni e di imbrogli 
di tavernari, cui presiedeva il protettore dei beoni, il genio 
dell'allegra miseria Lumpacivagabundus. Chi non ricorda le molte 
gargotte del romanzo di Ha蟌k? Chi non ricorda 俗 Kalicha(Al 
Calice), terra promessa di 襒ejk e di Vodi螶a, e il 便ukl骿 dove 
哀uonano il violino e la fisarmonicae 哉anno battone e varia altra 
societcostumata, che non ammessa alla Casa di Rappresentanza 
(1)
Nel secondo Ottocento la Cittebraica pullulava di innumere 
bettole, cacarella della borsa e rovina del fegato. Ebbe il grido fra 
le altre l'equivoca 俗 Dejl欞, benevento e ricovero della marmaglia. 
Questa spelonca, fondata dal caduto in miseria Mamert Dejl, ex 
proprietario di una 剃asa giallaa MalStrana e del Caff俟tar
Slavia era insieme una bisca, una mescita ed un riparo di slendre. 
Ma nel sottosuolo, in un'afosa cantina, chiamata 亟'blu螄(con 
parola che imita il tonfo di un corpo dentro una gora), su fradici 
stramazzi, si accampavano ciurme di miserabili e gente da fogna, 
sbricchi, ladri e falsari.
In quel sottosuolo spettrale, nell'umido, al barlume di fuligginose 
lucerne a petrolio, gli 前blu螄awi cui era vietato l'accesso alla 
bettola, sonavano su pettini avvolti in carta velina, giocavano a 
carte, imbastivano recite, senza che quelli di sopra, gli eletti, se 
ne accorgessero. Di tanto in tanto gli sbirri dal pennacchio di piume 
di gallo irrompevano nelle catacombe. L'oste riusciva a tenere in 
briglia i ribaldi intanati nei sotterranei, ma quando, nel 1893, egli 
si tolse la vita, impiccandosi a un albero, la polizia chiuse la 
bettola 俗 Dejl欞 e il suo ipogeo di randagi (2)
NOTE:
(1) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, p' 97.
(2) Cfr' Karel L' Kukla, E'blu螄 (Obr漘ek ze eivota v no螽kr螸, 
in Ze v蟌bl koutPrahy cit', pp' 157-60.
88
Lo stesso giorno fu chiusa un'altra spelonca, 雨atali霵 della 
quale discorre, nel Golem di Meyrink, il marionettista Zwakh, 
raccontando le vicissitudini del dottor Hulbert. Non Hulbert (n
Ungr), ma Uher si chiamava lo strano personaggio, di cui verremo ora 
a dare una sufficiente contezza. Nato nel 1830, laureatosi in legge, 
Franti蟌k Uher era divenuto un illustre giurista, oltre che un 
deputato alla dieta boema. Secondo Zwakh, egli 冠veva la faccia tutta 
verruche e le gambe storte come un bassottoe abitava, come un 
mendicante, in una soffitta (1) La bellissima donna che aveva 
sposata, pigiovane di lui di venti anni, lo tradcol suo amico pi
caro, il tenente Hojer, fuggendo oltremare, dopo avergli sottratto 
ogni sostanza (2) A detta di Meyrink, la frivola moglie, di nobile 
origine ma sprovveduta di ricchezze dotali, scappinvece con uno 
studente povero, che Hulbert, privo di figli, aveva beneficato, senza 
che mai alcun sospetto gli si insinuasse nell'animo.
Ed ora entra in scena, melo. Nell'apprendere dell'infedelto nel 
sorprenderli, Uher crollcome una quercia schiantata. Ah, rinnegata 
donnaccia, la tua canitudine! Tornato in s diede segni di 
forsenneria, tentdue volte il suicidio e, dimesso dall'ospedale, 
cercnell'alcool sollievo. Secondo Meyrink, il marito sorprese 
l'adultera, mentre per il compleanno le portava un mazzetto di rose: 
俟i dice che le azzurre miosotidi possano perder per sempre il 
proprio colore, se improvvisamente la smorta, sulfurea fiamma di un 
lampo foriero di una grandinata si abbatte su loro: certo che 
l'anima del vecchio divenne cieca per sempre il giorno che la sua 
fortuna andin frantumi(3)
Lasciata la calda casa, si ridusse a dormire in stalle e cantine su 
mucchi di rifiuti, come un oggetto stantio di Praga-tandlmark. In 
sudici stracci, senza piun vedovo soldo, comincia debilitarsi e a 
smagrire. Simile a un'ombra, a una febbre quartana, a una mummia 
appiccata, chiedeva in strada in un latinorum curiale, come un 
Pedante, elemosina ai suoi colleghi avvocati ed ai minutanti, per 
poter bere con altri reietti.
Ign漮 Herrmann ricorda di averlo incontrato per la prima volta nel 
1869: 侵 piedi sguazzavano in scarpacce scollate, che tenevano 
insieme a malapena, rendendo alquanto blesi e striscianti i suoi 
piccoli passi precipitosi. Il giacomo giacomo delle ginocchia 
rafforzava questa impressione. Le sue brache erano in basso 
sfrangiate e piene di vecchio fango ormai secco. Copriva il corpo un 
lungo, stretto soprabito di un color ruggine fortemente sbiadito, 
serrato al mento. Era chiaro che non aveva camicia, forse nemmeno 
mutande, dacchle brache gli ciondolavano addosso come nel vento. Il 
gonfio e quasi tumido volto, sotto il mento e alle orecchie, era 
fasciato da un sordido fazzoletto screziato. Un'ammaccata bombetta 
copriva sul cocuzzolo il nodo del fazzolettoIl fratello di 
Herrmann, dottore in legge, diede a Uher una monetina d'argento, e 
quello: 剃on che aviditacchiappla moneta e com'erano sporche le 
sue mani. Sporche come il bastone scheggiato, senza pimetallo alla 
punta. Com'erano tumefatte le guance. Aveva le borse sotto gli occhi, 
e gli occhi torbidi, acquosi, allagati, i mustacchi come intrisi di 
broda, e il resto del volto coperto da uno sterpaio setoloso, come un 
ergastolano(4)
NOTE:
(1) Gustav Meyrink, Der Golem cit', p' 52.
(2) Cfr' Max B' St蓳ho, 蟌skn漷odnzp瞚毾, vlastenec, humorista 
a spisovatel Fr' Leopold 螸id: jeho eivot, dilo a kritickliter漷n
studie, Praha 1923, pp' 16-17.
(3) Gustav Meyrink, Der Golem cit', p' 54.
(4) Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', II, pp' 195-96.
89
Meyrink racconta che Hulbert, la stessa sera del giorno in cui 
sorprese la moglie col cascamorto, tramortito dall'acquavite giaceva 
nel 俟alon Loisitschek che poi divenne suo assiduo rifugio. Egli 
confonde peril 俠oisitschekcol 雨atali霵Il particolare del 
cucchiaio di stagno legato al tavolo da una catenella, cucchiaio con 
cui Zwakh batte il tempo (1), rimanda a questa seconda bettola: anzi, 
nella commedia di 螸id Batali霵, i cucchiai sono assicurati con fili 
di ferro, non ai tavoli, ma a pentolini.
Il 俠oisitschekdi Meyrink, gremito di prostitute spettrali e di 
folli parvenze diaboliche, pitturate con pingui colori, diverge, non 
solo dal 雨atali霵 ma anche dal vero 俠oisitschekSpelacchiata 
spelonca di Dlouhtwida, tra il Municipio ebraico e la Sinagoga 
Vecchio-Nuova, la taverna 俗 Lojz斁kasopravvisse pia lungo delle 
altre del Quinto Quartiere. Si animava dopo la mezzanotte: e nella 
musica di un pianoforte scordato, su cui strimpellava un anziano 
pianista, chiamato 俟ignor Maestro cantavano roco e facevano 
approcci bagasce con marranchini e beoni, per poi ritirarsi in 
disparte a giocare alla sciancata, a spaccafico, a quattro spinte, a 
quattro botte. Il padrone Alois Florian, vulgo Lojza o Lojz斁ek, 
piccolo omino paffuto con una lunga testa a foggia di pigna tra le 
spalle incavate, finsuicida anche lui, come Dejl (2)
Erano tutte d'una minestra queste grotte e gargotte, queste caverne 
di lupe, queste vetrine di fronti sudate e di teste pendenti per la 
stoppositdella birra. Ma Gustav Meyrink trasforma il volgare 
俠ojz斁ekin un ritrovo che unisce i sapori della Secession con una 
demonia di ascendenza hoffmanniana, in un Tingeltangel insieme 
scurrile ed onirico, in uno speco di maschere magiche e fantasime 
ambigue, di mattaccini dal bistro pesante, sfregiati dall'angelo 
della perdizione.
NOTE:
(1) Cfr' Gustav Meyrink, Der Golem cit', p' 51.
(2) Cfr' Karel L' Kukla, Praesktah (Obr漘ek z lotern駩o 
weditelstv, in Ze v蟌bl koutPrahy cit', p' 191; Ign漮 Herrmann, 
Praeskghetto (1902), in Pwed pades漮i lety cit', IV, 1938, pp' 
137-38.
90
Nella ripugnante bettola ebrea 雨atali霵 all'angolo tra via 
Platn鈍ske via Mikul碭sk di fronte alla trattoria 隹lla rana 
verde(俗 zelen魤by, si inselvava un'accolta di esistenze 
sciupate, di derelitti. Questa fossa era asilo notturno e quartier 
generale di Hulbert-Uher (1) Un fascio di luce violenta avrebbe 
scoperto in quel basso ed angusto seminterrato, nella spilorcia 
penombra, intrisa di fumo e di velenosi vapori, un formicolio di 
figure sospette, di ceffi fuggiti dalla notomia, di guance smorte, 
come incrostate del liscio della cerussa, di ubriachi truffieri, che 
canticchiavano con voce arrochita, di lerce cantoniere, che 
prorompevano in risa squaccherate, di straccioni dagli occhi torbidi, 
che esalavano l'anima in rutti, di lenoni, di bari, di malandrini.
Tutto l'arredo di questa tana dai muri smattonati e grommosi 
consisteva in alcune panche e tavole, a cui con catenine di ferro 
erano avvinti arrugginiti cucchiai, in un frantume di specchio 
incastonato vicino alla porta, in una piccola stufa, in una catasta 
di botti con rum e varie acquaviti, tra le quali il ginepro ed il 
persiko, che gli avventori sorbivano assieme a un'agliata comprata 
nella trattoria dirimpetto, e in un bancone stracarico di caraffelle 
e di brocche e di bicchieri cresimati, - un bancone, dietro cui 
troneggiavano l'oste, un ex vivandiere tozzo e scrignuto, e sua 
moglie, un tempo guardiana di carceri e percidetta 厚rofossa
雨atali霵si denominava da quando, una notte d'inverno, un ubriaco 
aveva vergato quella parola col gesso sulle decrepite porte. Hulbert 
si assunse l'incarico di presidente della bizzarra combriccola di 
勁eoni della bisboccia che vi avevano sede, di quel sodalizio di 
reietti, che erano amici per la pelle e disposti a battersi l'uno per 
l'altro. Il 剎attaglione il coro di questa 剎allata di stracci
(2), obbediva al giurista: egli guidava le scorrerie dei suoi 
哀udditi amministrava il denaro, che i mariuoli portavano dalle 
rapine o dai giri di accattonaggio, custodiva l'冠rchivioe il 
guardaroba comune, ossia due 冠bbigli di rappresentanza uno di gala 
per le occasioni solenni (questua dai pezzi grossi, chiamate alla 
polizia, musiche e nozze), nel quale ogni pitocco appariva stralunato 
ed improprio, come un asino in porpora, e l'altro 削a commercio un 
insieme di cenci lebbrosi, cossquarciato, che i poliziotti non 
potevano non impacchettare colui che lo indossava. Ed era questo 
appunto il proposito del 剎atalionistaprescelto: farsi arrestare, 
per ottenere in prigione un vestito pidegno, da rivendere ad un 
rigattiere, versando quindi l'importo nella cassa della congrega.
Il giureconsulto beveva disperatamente, sino a rotolar sotto i 
tavoli, addormentandosi come scannato. E quando (ritorna, melo!), 
rannicchiato in un angolo, con gli occhi pisciarelli, raccontava ai 
compagni il passato, l'amore infelice, aprendo loro il suo fondaco di 
affanni, la sua dogana di angosce, il suo magazzino di crucci, - 
brusio, urli, risate cessavano come per incanto, e gli straccioni si 
levavano il berretto, abbassando la testa. E non era raro, a detta di 
Meyrink, che una sgualdrina commossa gli mettesse in mano un fiore 
mezzo appassito (3)
Gli amici tentarono di svellere Uher da quella spelonca, ma lui 
ritornava sempre al suo 雨atali霵 al suo persiko e, salutato con 
gioia dai ribaldi, si riavvolgeva in brandelli. E quando gli vennero 
a noia i premurosi, ingiunse ai compagni di scacciare ogni intruso 
soccorritore. Secondo Meyrink, lo trovarono assiderato su una 
panchina del lungofiume. Ma sembra invece che fosse raccolto 
malconcio dietro un portone su un mucchio di scarti e portato 
all'ospedale della Misericordia, dove si spense l'11 settembre 1871.
Era consuetudine che ai funerali di ogni dottore dell'Universit
Carlo assistessero il preside ed il bidello della sua Facoltcon le 
insegne. Dietro il carro mortuario a due cavalli, che recava le 
spoglie di Hulbert-Uher dall'obitorio al cimitero di Ol螮ny, 
incedevano in toga i rappresentanti della Facoltdi Giurisprudenza e 
il bidello in un manto di velluto scarlatto dagli orli di ermellino, 
tenendo una catena d'oro su un guanciale di broccato, e i monaci 
della Misericordia e, a qualche distanza, l'intero 剎attaglione
piangente, una folla di sbrendoli, e in mezzo agli altri, a detta di 
Meyrink, persino un pezzente vestito di fogli di giornali legati con 
spago.
Meyrink racconta che, per testamento di Hulbert, ogni 
剎atalionistariceveva gratis ogni giorno, al 俠oisitschek una 
minestra dentro una conca scavata come scodella nei tavoli. In 
realt con la morte di Uher, il 雨atali霵si disperse, e i suoi 
accoliti resero l'anima a Dio per inopia o per etilismo. La taverna 
pitardi scomparve sotto il maglio del 咬isanamento come sotto la 
spada di un angelo sterminatore.
NOTE:
(1) Cfr' Karel L' Kukla, Batali霵 (Obraz z ovzdu鍎 alkoholu), in Ze 
v蟌bl koutPrahy cit', pp' 19-38.
(2) L'espressione 剎allata di stracciil titolo di una commedia 
(1935) di Voskovec e Werich. Cfr' JiwVoskovec - Jan Werich, Balada 
z hadr in Hry Osvobozen逸o divadla, I, Praha 1954, pp' 145-254.
(3) Cfr' Gustav Meyrink, Der Golem cit', p' 55.
91
Hulbert-Uher divenne un'immagine-chiave della mitologia praghese. 
La leggenda moltiplica mille doppi la desolazione della sua storia. 
Fu soprattutto l'attore e cantante folk Franti蟌k Leopold 螸id a 
diffonderne il mito nel suo atto unico Batali霵, in cui interpretava 
il dottor Ungr (ossia Uher), 咬e dei vagabondi(1)
螸id (1848-1915) fondil primo cafchantant praghese nella 
locanda 俗 billabut篕 (Al cigno bianco), modello di una fungaia di 
cabarets e teatrini di bettola, tra i quali rimane nella memoria, 
perchlegato ad Apollinaire, 俗 Rozvawil欞 Egli interpretava 
macchiette del popolo, figurine della vecchia Praga, 厚erdigiorni 
bonari e in specie pepici, ossia bulli, con un berretto sghimbescio 
e tra le labbra un virginia. Le sue commediole animavano una popolosa 
famiglia di ladruncoli, fisarmonicisti, 剌ilosofidei bassifondi, 
prostitute, eroi da taverna: e cispiega il suo caldo interesse per 
le vicende di Uher.
Il Batali霵 di 螸id, 叛uadretto di ambiente alcoolico descrive 
con flebile pathos quel 剃ovile di infamia movendo dalla certezza 
che la vita della malavita pipura dei giorni inorpellati dei 
probi. Invano i colleghi tentano di tirarlo fuori dalla cloacosa 
pozzanghera: nauseato della multiforme impostura della gente perbene, 
Ungr torna sempre a infognarsi nel sozzo regno della poveraglia, 
crucciata della sua assenza.
螸id trasfuse nella straziante delusione del giurista caduto 
qualcosa della propria amarezza di piccolo guitto impigliato nelle 
piccole scene delle osterie. La sua commediola contiene tutte le 
lacrimose risorse degli orfanili bozzetti dell'Ottocento: non manca 
l'incontro di una donna di strada col figlio tisico. Seduto su una 
botte, gli occhi fissi nel vuoto, Ungr-螸id gettava gli ahi pi
dolenti che possano uscire di cuore ad un disperato e cantava col 
tremolo di un ubriaco al quale si doppino le lucerne una canzone 
mestissima, che mosse il pianto di molte esistenze infrante e di 
molte anime negricate:
Ahi, tutto ormai nel fango,@ dura stata la prova,@ come un 
bambino io piango,@ ma questo a che mi giova?@@ Il sole ormai si 
spento,@ l'amore mio cessato,@ Iddio ti dia il tormento,@ perchmi 
hai abbandonato@ (2)
In un'altra mediocre commediola in un atto, V黵ce 雨atali霵u(Il 
comandante del 雨atali霵 di Josef Hais-T蓽eck(1885-1964), Uher, 
finito all'ospizio 俏a Karlov篕, suona all'organo questa canzone, 
alternandola a motivi sacri. Qui il giurista, vincendo la nostalgia 
della bettola, anela di riscattarsi e ricominciare una vita 
assestata, nella speranza che torni colei che lo tradper le 
spalline di un ufficiale. Ma la donna respinge l'offerta di 
riconciliazione e Uher, scoppiando in una folle risata, strappandosi 
cravatta e colletto, maledice la societcostumata, col suo 
勇mpeccabile involucro con la sua 勇ndoratura morale(3)
La leggenda ci ha tramandati anche i nomi dei derelitti che 
attorniavano Uher nella spelonca. Ricordiamo qualcuno dei personaggi 
di questa radunanza di palafrenieri della notte e dell'inferno. Lo 
Snasato (Beznoska, alias Steinfelder), uno spilungone dal naso piatto 
come una pantofola, vendeva forbici e, come un preparatore di pezzi 
anatomici, 咬ifaceva la natura ossia verniciava uccelli vivi, 
perchavessero pilucentezza, e ricuciva una bestia nella pelle di 
un'altra, mutando i passeri in gialli canarini e in talpe e 
scoiattoli i topi, per poi spacciarli al tandlmark come 厚ortenti 
e, precorrendo Ha蟌k-襒ejk, accalappiava per strada cani bastardi, 
per i quali inventava una genealogia, rivendendoli ai bietoloni al 
mercato. Vondra, spalluto omaccio di piombo, col naso rosso e coi 
mustacchi marziali incerati a coda di tarantola, narrava con enfasi 
delle sue gesta di mercenario nelle truppe del papa. Sergente 
maggiore del 促rimo Bataliono Ka螮tore Estery si era battuto cos
eroicamente contro il P[i]monte, da meritarsi un 匍etallod'argento, 
che aveva poi speso in bicchieri di persiko.
A incompreso titano drammatico si atteggiava l'istrione Vojta 
Mu蟌k. Rabbuffando le chiome che gli fluivano sulla collottola, 
declamava brani di Shakespeare, crucciandosi di dar perle ai porci, 
alla villana marmaglia. Abbandonata la compagnia con cui recitava, 
era giunto dalla provincia nel nido di Uher, d'inverno, in un costume 
teatrale, che il 剎attaglionesvendette al tandlmark. L'ex studente 
tisico BohouNov毾, avanzo di riformatori e galere, spacciava 
vignette e stornellava salaci couplets in ritrovi eleganti, versando 
il guadagno nella cassa 剎attaglionescaIn costume turco era giunto 
alla bettola il chimico 襒arc, il quale, scacciato per ubriachezza 
dal birrificio in cui lavorava, aveva percorso i Balcani, 
associandosi a zingari, a cavallari, a cacciatori di cinghiali, a 
banditi, a commedianti. In crapule aveva dissolto i beni della sua 
ricca famiglia lo studente 襒estka, fanatico della chitarra. In 
questa kermesse di reietti non poteva mancare un poeta, un poeta 
tragico e disperato: V歊lav 蟞lc (1838-71), l'autore della raccolta 
Prvosenky (Primule, 1868)
NOTE:
(1) Cfr' F'i' 螸ida v蓧tupy, kuplety, dvojzp瞚y, komicksc郾y, 
Praha 1904; Max B' St蓳ho, 蟌skn漷odnzp瞚毾, vlastenec, humorista 
a spisovatel Fr' Leopold 螸id cit'; Karel H歍ek, Zp瞚碭kov in 褾en
o starPraze cit', pp' 178-79.
(2) Cfr' Eduard Bass, Pisnlidu praesk逸o (1925), in Pod kohoutkem 
svatovitsk蔂 cit', p' 122; Pisnlidu praesk逸o cit', pp' 29-30; 
Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 360-61.
(3) Josef Hais-T蓽eck V黵ce 雨atali霵u(Obraz ze eivota Dr' Fr' 
Uhra o jednom d疀stv, Praha s'd' [ma 1922?], p' 16.
92
Il mito di Uher ricalca le traiettorie cadenti di molte 
ottocentesche figure traviate, che finivano la loro esistenza nella 
melma delle taverne. Ign漮 Herrmann si ingegndi sfatare la patetica 
storia, togliendo al giurista ubriacone l'aureola che 螸id gli aveva 
dato. Inutile impresa: come sloggiare l'alchimia dalla Viuzza d'Oro.
Con meticolose ricerche Herrmann appurche Franti蟌k Uher, nato a 
Bystr(Waltersdorf, distretto di Lan螶roun) il 23 gennaio 1825, 
aveva studiato diritto a Olomouc e a Praga, laureandosi nel 1856. Nel 
1861 fu eletto deputato alla dieta boema, ma il mandato gli venne 
sospeso il 26 aprile 1864 per le continue assenze o per 
l'ubriachezza. Herrmann dimostra che Uher sposnel 1861 una ragazza 
di provincia, la sedicenne figlia di un saponaio benestante, Anita 
X', nata nel 1845, e percidi venti anni pigiovane. La mucciaccia 
amava un garzoncello, un mercante del paese, ma il titolo e la 
posizione di Uher abbagliarono la madre della fanciulla, e del resto 
il giurista aveva bisogno di quella dote, per saldare i suoi debiti.
Dopo le nozze, Uher trascurla sposina, dileguandosi per 
settimane, ed in breve ne consumil patrimonio, vendendo persino 
gran parte dei mobili. Qualcuno della famiglia, la madre o il 
patrigno, andallora a Praga a riprenderla assieme alle masserizie 
superstiti. A detta di Herrmann dunque, la sdrusolina non sgraffign
le sostanze di Uher e non fuggoltremare col piintimo amico di 
lui, ma soltanto tornal paese natio, nella Boemia orientale. E, 
tornata al paese, per dimenticare, si diede agli spassi, alle danze, 
ai trastulli delle civette e, destando mulini di chiacchiere, ebbe 
faccenda con un mulinaio, che spos quando Uher fu morto. Ma il 
mulinaio pure lui prese a cioncare, si rinvolse nei debiti, tirle 
cuoia. Aninka anda vivere a Vienna con un ferroviere (1).
cos nell'intento di costruire un Uher-Hulbert diverso da quello 
del mito, un Uher beone giprima di esser tradito, rubandogli la 
delusione d'amore, Herrmann imbastun altro ordito di avvenimenti 
non meno impregnati di Kitsch, un altro melo, ma sprovvisto di 
chiaroscuro e di sortilegio, senza lo spazio della notte, senza 
discesa all'inferno.
E' chiaro, il 削ottoratodi Uher non rassomiglia alle scienze 
magiche degli archivisti e dei dottori di Hoffmann. Eppure chi 
volesse rivivere questa figura, dovrebbe sottrarla alle mani tenere 
del bozzetto, accrescere in lui quel granello di pazzia e di rivolta 
e di desolazione che la leggenda gli ha regalato. Fare della fetida 
fossa, di cui Uher principe, non un rifugio gottoso di piccoli 
omini da commiserare, ma un teatro maligno, un Panoptikum.
Ma c'chi pensa che il 雨atali霵 coi suoi ubriachi e con le sue 
donne avariate, coi suoi tisici e coi suoi ciurmatori, e persino con 
un attore che recita brani di Amleto e dispregia gli altri che non lo 
comprendono, sia soltanto un gor榭iano albergo dei poveri. Un albergo 
comunque, da cui sono esclusi ogni Satin, che esprima speranza 
nell'alto destino dell'uomo, ogni Luk ogni mendico, che si impanchi 
ad apostolo. La demonia della crapula li ha infognati per sempre 
nella spelonca, e non c'insetticida per i loro stracci, non c'
bevanda che spenga la sete dell'anima, non c'salvazione, perch
tutto zero, come Hamm e Clov asseriscono. Pudarsi soltanto che, 
uscendo da queste pagine, il guitto Vojta Mu蟌k vada a impiccarsi, 
come del resto l'attore del dramma di Gor榭ij.
NOTE:
(1) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', II, pp' 200-29.
93
Nei caff nelle bettole, nelle strade di Praga vegetava un gran 
numero di strampalati, di podivini, di burloni, di Lustigmacher, di 
cacapensieri, di m'schug鑀m, che concorrevano ad accrescere la sua 
bislaccheria (1)
Ritratti di eccentrici del principio del secolo scorso si trovano 
nelle pagine del romanziere ed attore drammatico Josef JiwKol漷. Il 
viso impiastrato di gesso bianco e rosa, le sopracciglia e le chiome 
dipinte con nerofumo, si aggirava per Praga in nera coda di rondine, 
gila fiorellini, brache bianche di cuoio, il barone Bonjour, 
maestro di ballo. La sua frivola amata Sidonie era fuggita con un 
cavallerizzo. E il barone, di natural melanconico, si aggirava a 
piccoli passi di minuetto, mormorando nella rossa cravatta a fiocco: 
俟idonie! Sidonie!e tenendo nella sinistra inguantata di giallo 
sporco un mazzetto di fiori avvizzito, come l'ufficiale del Sogno di 
Strindberg (2)
Rosina-Rosalia, signorina del botolo (sle螽a mopslov, venivano 
chiamate due gemelle-zitelle, identiche nelle fattezze, nei gesti, 
nella voce rauca, abitanti col loro panciuto botolo in una topaia in 
Via dei Cadaveri (Umrl鍎 ulice) a MalStrana (3) Magre, grinzose, 
accigliate, con becco da astore e bigi occhi di gatte maligne, 
indossavano uguali vestine sbiadite con logoro strascico, nere 
velette e, come dame-demoni, ammaccati cappelli violacei, sulla cui 
cupola tentennava uno sbricio ciuffetto di piume di fagiani 
morsicchiate dai sorci (4)
Sullo scorcio del secolo scorso le famiglie borghesi di Praga 
tenevano album paffuti di dagherrotipi interi e di mezzibusti in un 
cassetto del secretaire o in un ripiano del ve螶ostn, lo stipo della 
biancheria (5), questo scrigno di ricordi e reliquie, o in salotto, 
su un tavolo ovale, di dove ammiccava alle sazie poltrone foderate di 
percalle e alla porcellana, alle stolte statuette, all'argenteria di 
un armadio con vetri. In casa Hloch a via Karolina Sv皻lho trovato 
un ghiotto album di vecchie fotografie che ritraggono su lastre di 
rame argentato indovini del lotto con smorfie bisunte e lunari egizi 
(6), pronosticanti del tempo, patetici declamatori di bettola, 
venditori di arcani, attrici un po spelacchiate, ma soprattutto 
baggiani e bislacchi della fine del secolo scorso e dell'inizio del 
nostro.
Tra i Lustigmacher praghesi dell'estremo Ottocento emergeva 
Karl斁ek Bumm, un povero diavolo uscito di senno per un amore non 
corrisposto o, secondo altri, per aver perduto ogni bene durante un 
incendio (7) Sedeva lugubre come un oracolo sui gradini della 
stazione di via Hybernsk vendendo bandierine di carta a colori. La 
marmaglia attorniava Karl斁ek, beffandolo come J霵a l'Idiota di un 
冠rabescodi Neruda (8) Ma la sua mitezza scoppiava in selvaggia 
collera, in grandine di imprecazioni, se un impertinente gli urlava 
contro la frase 勃apsa how儢 (la tasca brucia) Su Karl斁ek correva 
persino una canzoncina ceco-tedesca dalle rime infantili, degna delle 
filastrocche di Wilhelm Busch.
Con la sua grinta funebre faceva contrasto la faccia giuliva del 
Signor Dottore (Pan Doktor), uno scemo che ciondolava per MalStrana 
con gli occhiali di corno sprovvisti di lenti, salutando benevolmente 
e, come un falso curiale, sfoggiando un suo latinorum. Un altro 
matto, chiamato 青haloupko, tancuj!(青haloupka, danza!, imitava 
di notte nelle taverne, per il gaudio dei beoni e per qualche soldo, 
le goffe moine ed il ballo degli orsi (9) Nel buio percorreva la 
CittVecchia der schiafende Honz斁ek (Honz斁ek il dormiente), con 
sulle spalle una gerla piena di ciambelle, a cui i bighelloni 
attingevano, senza destare il fittizio sonnambulo (10) Con passo 
precipitoso camminava in mezzo alla carreggiata, appeso al suo enorme 
naso, Jakob Weiss, detto Haschile, la cima dei mendicanti, l'oracolo 
degli accattoni, il quale beccava elemosine nelle taverne, non 
accettando mai dai clienti meno di dieci crazie (11)
Che limbo, che Bedlam di strampalati. Nessuno persopravanza in 
fantasticheria l'Uomo-Tabacco (Tab毾ovMu, che corvettper le 
strade di Praga nel Settanta del secolo scorso. Spilungone dal naso 
aquilino, indossava un vestito marrone, una camicia di cotonina 
stampata a disegni marrone, un fiscisvolazzante di seta marrone, un 
cappello marrone, scarpe di stoffa marrone, guanti marrone, 
stringendo sempre fra le dita un virginia, come il barone Victor van 
Dirsztay in un quadro di Kokoschka. Anche i capelli aveva marrone, e 
di capelli marrone il lungo cordino dell'orologio. Solo gli occhiali 
erano di vetro bianco, ma di tanto in tanto li strofinava con una 
pezzuola marrone. costutto orchestrato in avana, e inoltre bruno di 
pelle e con tenebrosi mustacchi, sembrava uno sperticato sigaro, un 
idolo di nicotina, - e non a caso la gente lo domandava Virginius.
Fanatico del tabacco, come il Manilov delle Anime morte, Virginius 
(ossia lo scrittore ceco-tedesco Eduard Maria Schranka) aveva 
raccolto in un grande armadio a vetri ogni sorta di arnesi da fumo: 
pipe di schiuma ferrate d'argento e bocchini di tutte le forme, pipe 
di radica, d'ambra, di terracotta, di creta, narghile 蟊buky alla 
turca, avvolti in seta e broccato, adorni di cannutiglia e di perle, 
pipe da oppio, fiammiferi, vecchi acciarini, piattini d'agata e vetro 
con pizzichi di rap di scaglietta, di macubino. Di fronte al 
mastodontico armadio, in uno stipo pipiccolo, si accatastavano 
libri di ogni epoca sulla coltivazione e sugli usi di questa pianta 
delle solanacee.
La stanza-museo di Virginius ostentava parati marrone con verdi 
arabeschi di foglie di Nicotiana Tabacum, e sui parati una serie di 
quadretti di genere sulle consuetudini dei fumatori. Il pavimento, il 
tramezzo, il tappeto ed il letto (dalle federe dei guanciali ai 
piumini e alla coltre) erano anch'essi marrone. Marrone le pantofole 
sotto il letto. Su vari tavoli in mostra Virginius teneva piramidi e 
scatole di luccicante tabacco in corda o trinciato, pacchetti di 
maryland, raschini per sfruconare le urnette delle pipe, toscani e 
trabuchi, candelieri di legno per accendervi i sigari a mezzo di 
rotolini di carta chiamati 剌idibuse cent'altre bagattelle per 
fumatori. Oltre a storie dei guanti, della birra, della minestra, 
costui aveva scritto, s'intende, un 勁ibro bruno(雨raunbuch, 
ossia un centone di aneddoti intorno al tabacco (12)
NOTE:
(1) Cfr' Hans Tramer, Die Dreiv闤kerstadt Prag, in Robert Weltsch 
zum 70. Geburtstag cit', pp' 187-88.
(2) Josef JiwKol漷, Bl漘ni (1888), in Karel Krej鍎, Podivuhodn
pwib璡y ze starPrahy cit', pp' 246-49.
(3) Via dei Cadaveri, oggi Bwetislavova (giTruhl漙sk, cos
detta per la dovizia di fabbricanti di bare che vi avevano bottega.
(4) Josef JiwKol漷, Bl漘ni, in Karel Krej鍎, Podivuhodnpwib璡y 
ze starPrahy cit', pp' 257-58.
(5) 哉e螶ostn in buon ceco 厚r歍eln骿 dal tedesco 
俐酲chekasten
(6) I cosiddetti 勁utrist飩 Cfr' Karel L' Kukla, Praesktah, in 
Ze v蟌bl koutPrahy cit', pp' 190-94.
(7) Cfr' Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten cit', pp' 114-16. Cfr' 
anche Egon Erwin Kisch, Typen der Strasse, in Die Abenteuer in Prag 
cit', p' 341.
(8) Jan Neruda, BlbJ霵a, in Arabesky (1864-80)
(9) Cfr' Egon Erwin Kisch, Typen der Strasse, in Die Abenteuer in 
Prag cit', pp' 339-40.
(10) Cfr' ibid', p' 343.
(11) Cfr' ibid', pp' 338-39.
(12) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i l鈣y cit', III, pp' 218-19, 
221-23, 224-36.
94
In un racconto di Bohumil Hrabal (1) un vecchio ciarlone, della 
stessa risma delle macchiette di Ha蟌k, macina un suo lungo monologo 
ininterrotto, un esilarante discorso a vanvera, ordito di 
reminiscenze dei tempi della monarchia, di paroloni a sproposito, di 
sballati rimandi a parabole sacre e a libri di sogni, di aneddoti 
erotici, di sentenze smargiasse, di storie da ballatoio, - un 
discorso, che continuamente trascorre da una volpina trappoleria a 
una sfoggiata balordaggine domenicale. E' difficile, in questi 
bislacchi praghesi, discernere il limite tra il sussiego citrullo da 
na髽 e la furberia di tre cotte, sicchsarpigiusto asserire che 
essi sono sornioni e doppi come cipolle.
Di tale ambiguitfu campione, ad esempio, il vagabondo israelitico 
Weissenstein Karel, che bazzicava l'ambiente dei letterati 
ebraico-tedeschi del CafArco. Idrocefalo dal corpo mingherlino, 
costui, sempre vestito di abiti ridicolosi, si esprimeva in un 
maccheronico impasto di ceco, tedesco e jiddisch. Lo chiamavano solo 
cos anteponendo il cognome al nome. I suoi biografi (Haas, Werfel, 
Urzidil) hanno stilizzato gli andari della sua vita quasi come la 
parodia di un motivo dell'espressionismo: la rivolta del figlio 
contro il tirannico padre (2) Il padre di Weissenstein Karel 
possedeva una lurida mescita di acquavite e di slivovice in un 
villaggio moravo. Ma il figlio che, sin da bambino, aveva divorato 
libercoli contro l'alcoolismo, una domenica sera, mentre la bettola 
rigurgitava di ubriachi, salito su un tavolo, comincia minacciare 
castighi divini, intollerabili doglie agli scialacquatori ed al 
padre, che spacciava per Kmel vinacce intrise di giallo e per vino 
una sordida minestra mora. Il padre, infuriato, lo caccidi casa.
Un moralismo fittizio da Esercito della Salute, una caricatura del 
compatimento fraterno propugnato da Werfel nella raccolta Der 
Weltfreund, un'untuosa sollecitudine da lima sorda ispiravano i gesti 
di Weissenstein Karel, il quale, espulso dalla famiglia, girper le 
fiere con un mercante di aggeggi mirabolanti e fece il garzone in una 
macelleria. Poichil beccaio sempre sbronzo picchiava la moglie, 
egli le consiglidi fuggire, ma questa, che era una frasca ma se lo 
toccava col guanto, snocciolil premuroso consiglio al marito, e 
Weissenstein Karel dovette cacciarsi la via tra le gambe. Scappando, 
final CafArco e, fattosi amico degli scrittori che lo 
frequentavano, visse da allora alle loro spalle, come un perdigiorno 
servile, allietandoli coi suoi semiseri sermoni contro l'alcoolismo, 
l'adulterio, la dissolutezza. Benchpivolte cercassero di 
sbarazzarsene, mettendolo in qualche lavoro, - imperturbabile, egli 
tornava, sia pure pedestremente, dalla lontananza, non patendogli il 
cuore di abbandonarli.
I bislacchi praghesi sono invasati da un'infrenabile brama di 
confabulare, di sfogarsi in ciarle, di stordire gli interlocutori con 
chiacchiere. Hrabal li denomina 厚槆itel飩, con un vocabolo che 
significa insieme parabolano e gradasso (3) Si tratta in genere di 
piccoli omini, travolti dalla locomotiva degli avvenimenti, di 
哀colorite esistenze per dirla con Neruda (4), di 厚erline sul 
fondo per dirla con Hrabal (5), che trovano consolazione nelle 
stravaganze e nella sonoritdelle ciance, in una logorrea, di cui 
襒ejk ci ha offerto magnifici esempi. Ho conosciuto una volta uno di 
questi giorneoni smaniosi di addottorarti con la loro facondia: pan 
Topol, uno spiantato biondiccio e slavato, assai servizievole, che 
aveva fatto diversi mestieri, dal carbonaio al trovarobe di teatro: 
un finto ingenuo dagli occhietti azzurri, che anelava alla birra come 
i nerogialli rigogoli anelano alle pere e alle prugne, bevendoci 
sopra succo di cavoli che attutisce il vapore del luppolo. Se lo 
chiamavi, accorreva con aria sorpresa, ballando di punta e di tacco, 
come un Fred Astaire di provincia, e rovesciandoti addosso un diluvio 
di arguzie e di aneddoti, in massima parte salaci, sui suoi 
fottimenti con guitte naticute e polpute, con priore di San Fregonio.
Nella vecchia Praga non c'era poi grande distanza tra questi 
bislacchi linguacciuti e gli scapigliati, specie quelli che 
gravitavano intorno a Jaroslav Ha蟌k. Caratteristico esempio il 
pittore-attore Emil Artur Pittermann Longen, ricordato da Kafka nei 
diari per i suoi 哀cherzi mimici per un 剎el salto da clown oltre 
una seggiola nel vuoto delle quinte(6) Longen, boh幦ien 
scanzonato, 咬aritumanae 匍iscuglio bastardo di un abitante della 
citte un pellerossa come egli si definisce nello sconclusionato 
romanzo Here螶a (L'attrice) (7), scrisse parecchie commedie e farse 
da cabaret, ambientate nel mondo austro-ungarico, in cui agiscono gli 
stessi figuri delle narrazioni di Kisch e di Ha蟌k e la materia la 
stessa: soldatesca, simulatoria, fecale (8) Ma ciche qui voglio 
porre in risalto la sua strampalatezza, la sua propensione alla 
chiacchiera, il suo estro di taroccare. Non a caso Kubi褾a, in una 
lettera del 1910 ad un altro pittore, Vincenc Bene si cruccia: 
促ittermann addirittura ci terrorizza con la parlantina e coi 
continui litigi(9)
Non si dimentichi di me, signor Ripellino. Mi sta chiamando uno dei 
pibalzani Lustigmacher di Praga: Ferda Mestek de Podskal, 
impresario di baraccone, rivendugliolo, Hanswurst, ammaestratore di 
pulci, - e Hochstapler. Omino minuscolo dall'enorme naso puntuto 
(10), questo cerretano ben si inserisce nella Praga baracconesca 
degli ultimi decenni della monarchia. La Praga, in cui si esibirono 
Donna Hypolita dalle tettazze come fiasconi, semisfere capaci di 
reggere una trave con due signori sopra (11), il gigante moravo Josef 
Drasal, il quale poteva storpiare una mucca con un sol pugno ed 
accendersi, come in una comica slapstick, il sigaro dai lampioni 
(12), e la marchesa di Pompadour, lillipuziana dalle vestine rococ 
con la sua aggraziata compagnia di nanerottoli (13)
Dal quartiere praghese di Podskal in cui era nato, Ferda Mestek 
aveva aggiunto al proprio cognome, con la spocchia dei bulli che vi 
abitavano, il titolo gentilizio 削e PodskalLo si incontrava in 
tutte le fiere del territorio austro-ungarico, intento a imbonire la 
folla esitante dinanzi a piccoli circhi e trabacche di legno. Secondo 
Bass, 冠veva compiuto tourn嶪s col pialto soldato dell'esercito 
bulgaro, col circo delle pulci, con cinque nani, con tre ciclopici 
fratelli russi, con una dama sprovvista di gambe, con un vitello 
bicefalo, con Ilona, una dama che si librava nell'aria, con un 
gabinetto delle figure di cera, con una dama tatuata, con una dama 
barbuta, con una dama serpente, con una dama che scompariva, con la 
principessa Ygarta, con la donna-ragno(14) Ma pispesso vendeva 
nelle fiere frascherie di ogni sorta: 勁imonata fredda in bottiglie 
come rimedio contro il colera, scatoline di chiodo di garofano come 
preventivo contro i figli illegittimi, un sapone infallibile contro 
la podagra e confetti contro la caduta dei capelli(15) Problema 
cruciale nell'impero absburgico, questo della calvizie, come ci 
testimoniano lo sproloquio di 襒ejk sui capelli nel treno al cospetto 
del maggiorgenerale von Schwarzburg (16) e la reclame di Anna 
Csillag, fanciulla calva cui un balsamo miracoloso di sua produzione 
aveva donato fluentissime chiome (17)
Jaroslav Ha蟌k narra in un suo racconto (18) di un viaggio nella 
provincia boema, intrapreso col 削omatore di serpentiFerda Mestek e 
con un tal 襒estka, proprietario di un otto volante, di una giostra, 
di un tirassegno, per presentare uno squalo, 咨errore dei mari del 
Nord che avevano comprato a Praga, un mattino, uscendo 
dall'osteria, in una rivendita di pesci marini. Il pubblico affluisce 
curioso, 剃ome quando si baciano le reliquie dei santiMa 
l'avventura finisce pessimamente e il terzetto in gattabuia, perch
il pescecane si decompone e, malgrado le loro aspersioni di essenze, 
emana zaffate pestilenziali, che fanno tramortire gli spettatori.
La sfortuna perseguitava Ferda, e non c'era mestiere in cui egli 
durasse a lungo. 俟e tu avessi un negozio di pompe funebri, - gli 
diceva la moglie - ti giuro che non morirebbe pinessuno. E se 
tuttavia ti venisse commissionata una bara, il giorno dopo il defunto 
te la restituirebbe, annunziandoti di aver chiuso gli occhi soltanto 
per celia(19) Nelle giornate pimisere Ferda se ne stava avvilito 
nelle taverne, e il suo naso, l'enorme escrescenza, 厚endeva sopra il 
bicchiere vuoto sentimentalmente come un cetriuolo amaro dalla punta 
morsicchiataMa se sentiva nell'aria odor di pecunia, il naso 
哀altava su come un clown pronto a far l'esercizio(20)
Nell'aneddotica praghese il nome di Mestek restersoprattutto 
legato al teatro delle pulci. Questo genere, molto diffuso in quei 
tempi nel Mitteleuropa (21), consisteva di solito in una parata di 
pulci, che trascinavano altre pulci in un carrozzino. Ma gli 
spettacoli del nostro Ferda erano piappariscenti, perch come un 
Barnum, egli possedeva un vastissimo assortimento di questi insetti, 
una vera scuderia: pulci acrobate, pulci da stanga, aggiogate a 
carrozze, omnibus e affusti di cannoncini, pulci ballerine dalla 
gonnella di carta satinata, pulci duellanti con sciabolette di carta, 
un'orchestra di pulci (22) Nelle sue grossolane memorie, 
abborracciate per desiderio di Kisch, egli si vanta di aver sempre 
comprato per il suo teatrino soltanto le 厚ulci umane di buona 
famiglia escludendo quelle conservate in bottiglie di alcoolici, 
perchnon tollerava le pulci ubriache, o in scatoline di sale di 
Seidlitz, perchafflitte da flussi di ventre (23) La picaresca 
esistenza, la fecalitdelle storie imperniate sulla sua figura, le 
fanfaronate avvicinano il 南obileFerda Mestek de Podskal, il cui 
stemma rappresentava 咨re schiaffi in campo azzurro(24), a Josef 
襒ejk, e in specie all'inventore di 襒ejk, suo amico e compagno di 
bettola.
NOTE:
(1) Tane螽hodiny pro star鍎 a pokro蟊l(Lezioni di ballo per 
anziani e progrediti, 1964)
(2) Franz Werfel, Weissenstein, der Weltverbesserer, in Erz鄣lungen 
aus zwei Welten, Frankfurt am Main 1952, III, pp' 59-66; Willy Haas, 
Die literarische Welt, Mchen 1960, pp' 58-65; Johannes Urzidil, 
Trittico di Praga cit', pp' 63-152.
(3) Cfr' Pwemysl Bla鳻蟌k, Hrabalovy konfrontace, in Pwib璡y pod 
mikroskopem, a cura di Radko Pytl骿, Praha 1966, pp' 9-27; Radko 
Pytl骿, P槆iteljazyka, in Struktura a smysl liter漷n駩o dila, a 
cura di Milan Jankovi- Zden瘯 Pe螮t - Felix Vodi螶a, Praha 1966, 
pp' 198-214; JiwOpel骿, Rozkoz povid滱 in Nen潎id瘽wemeslo, 
Praha 1969, pp' 125-26.
(4) Cfr' Jan Neruda, O襁m瘭existence, in Obr漘ky ze eivota 
praesk逸o, Praha 1947, pp' 247-55.
(5) Cfr' Bohumil Hrabal, Perli螶a na dn Praha 1963.
(6) Cfr' Franz Kafka, Confessioni e diari cit', p' 177 (29 
settembre 1911)
(7) Emil Artur Longen, Here螶a, Praha 1929, p' 22.
(8) C' a k' marodka (L'imperialregia infermeria militare), C' k' 
polnmar鍒lek (L'imperialregio maresciallo di campo), Osud tr蠼u 
Habsbursk逸o (Il destino del trono absburgico), ecc'
(9) Bohumil Kubi褾a, Korespondence a ovahy, a cura di F' 蟌wovske 
F' Kubi褾a, Praha 1960, p' 125.
(10) Cfr' Eduard Bass, Ferda Mestek de Podskal, in Kuk漮ko cit', p' 
188.
(11) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', II, p' 23.
(12) Cfr' ibid', III, pp' 28-29, 31.
(13) Cfr' ibid', p' 25.
(14) Eduard Bass, Ferda Mestek de Podskal, in Kuk漮ko cit', p' 189.
(15) Egon Erwin Kisch, Memo漷y neboet骿a Ferdy Mestka de Podskal, 
weditele a majitele ble鍎ho divadla, in Praeskdobrodruestv Praha 
1968, pp' 226-27, e Dramaturgie des Flohtheaters e Typen der Strasse, 
in Die Abenteuer in Prag cit', pp' 318-36 e 343.
(16) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky cit', I-II, pp' 199-204.
(17) Cfr' Karel Konr歍, J Anna Czilagov.., in Robinson歍a 
(1926), ora in Robinson歍a, Rinaldino, Dinah, Praha 1966, p' 49, e 
Zden瘯 Mat疀 Kud疀, Dobrodruencestov滱 Praha 1959, p' 304. Cfr' 
anche Andrzej Banach, Podr蠊e po szufladzie, Krak甖 1960, p' 125, e 
Bruno Schulz, Le botteghe color cannella, Torino 1970, pp' 92-93.
(18) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Twi muei se eralokem (Tre uomini con uno 
squalo, 1921), in Moje zpov璠', Praha 1968, pp' 76-81.
(19) Egon Erwin Kisch, Memo漷y neboet骿a Ferdy Mestka de Podskal, 
in Praeskdobrodruestvcit', pp' 227-28.
(20) Eduard Bass, Ferda Mestek de Podskal, in Kuk漮ko cit', p' 188.
(21) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', III, p' 6.
(22) Cfr' Egon Erwin Kisch, Memo漷y neboet骿a Ferdy Mestka de 
Podskal, in Praeskdobrodruestvcit', pp' 233-34 e 244.
(23) Cfr' ibid', pp' 228-29.
(24) Cfr' ibid', p' 244.
95
La biografia del clown Jaroslav Ha蟌k (nato a Praga il 30 aprile 
1883) si articola in una serie di comiche, nel gusto di quelle del 
muto: Ha蟌k-droghiere, Ha蟌k-redattore di una rivista zoologica, 
Ha蟌k-marito, Ha蟌k-mercante di cani, Ha蟌k-leader politico, 
Ha蟌k-commissario bolscevico, ma soprattutto Ha蟌k-arlotto e ribaldo 
di bettola. Una biografia costellata di aneddoti, nella quale riesce 
difficile ormai discernere il vero dalle bugie e baggianate che, in 
memorie confuse e saltuarie, inventarono i suoi compagni di 
bisboccia: il pittore Josef Lada, Emil Artur Longen, Franti蟌k 
Langer, l'istrione V歊lav Menger, l'attore di cabaret e narratore 
Eduard Bass, lo scrittore girovago Zden瘯 Mat疀 Kud疀, Franta Sauer, 
agente di assicurazioni, contrabbandiere di saccarina, libraio 
ambulante, guitto e Spassmacher (1), eroi a loro volta di altre 
burlette e altre storie, che insieme formano un buffonesco 
arcipelago, una saga birrosa.
Come Ensor ad Ostenda, tra i ninnoli della paterna bottega di 
chincaglierie (2), come Charlot dietro il banco, intento a sventrare 
e smontare una sveglia, nella bottega dell'usuraio (3), - lo troviamo 
all'inizio commesso della drogheria 隹lle tre sfere d'oro(俗 tw
zlat蓫l koul儢) del puntiglioso e bigotto signor Ferdinand Koko螶a, 
detto Radix, all'angolo di Na Per褾蓽con via Martinsk - sulla cui 
insegna, come dinanzi a tutti i negozi di materialisti, ossia di 
droghieri, nella vecchia Praga, un angelo policromo dalle ali 
spiegate spenzolava (4) Nella penombra di quel bugigattolo, simile a 
un'officina alchimistica e odoroso di lacca, di cinnamomo, di gocce 
di canfora, di topicidi, di trementina, di crema da scarpe, di 
colofonia, di elleboro fetido, di infuso di tiglio, Ha蟌k manipolava 
miracolosi decotti ed intrugli e prendeva a gabbo invidiosi garzoni, 
versando nella loro birra polveri purgative.
La comica della drogheria cossi conclude: il signor Koko螶a amava 
dipingere quadretti su vetro, e Ha蟌k lo fece dar nelle furie, 
aggiungendo la barba e l'occhialino a molla a una mucca da lui 
dipinta, - una mucca alpestre che, con quelle aggiunte, rassomigliava 
all'austero rivenditore di generi coloniali. 隹nch'io - dir襒ejk - 
sono stato apprendista droghiere da un certo signor Koko螶a Na 
Per褾蓽 a Praga. Era davvero un bislacco, e quando una volta per 
sbaglio nello scantinato appiccai il fuoco ad un fusto di benzina, mi 
caccivia, ed il consorzio non volle piaccogliermi, sicch a 
causa di quello stupido fusto, non potei compiere l'apprendistato
(5)
Nella speranza di farsi una posizione, per poter sposare l'amata, 
Ha蟌k si assunse, nell'autunno 1908, l'incarico di direttore della 
rivista divulgativa per allevatori e zoofili 俟v皻 zv魾at(Il mondo 
degli animali) (6) Con un mastino del canile annesso alla redazione 
faceva, come un J廨獽e Savary con le sue 剎estie tristi giri di 
propaganda per Praga. Regina di quel canile la signorina Giulia, una 
scimmia ammaestrata, ma traforella e turbolenta, che proveniva dal 
circo Hagenbeck di Amburgo e con la quale Ha蟌k era in confidenza 
(7)
Lo scrittore diede un'impronta inusitata alla rivista, mutandola in 
una sorta di cervellotico Brahm, in un inventario di inesistenti 
animali, degni di figurare in un Grand Magic Circus o piuttosto nel 
gabinetto di mostri del Dr' Katzenberger di Jean Paul: il 
tirannosauro, i cacatua-pipistrelli, l'orso Asvail, lo squalo cerulo, 
la pulce paleozoica (Paleopsylla khuniana), la balena dal ventre 
sulfureo (8) Della balena 厚rovvista di una vescica ricolma di acido 
formicoe della 厚ulce dell'ingegner Khon parassita di 
preistoriche talpe, parla anche, nello 襒ejk, il volontario con ferma 
annuale Marek, alterego di Ha蟌k, narrando di avere altres
escogitato, quando era redattore di 俟v皻 zv魾at 勇l felicione 
furbesco, mammifero della famiglia dei canguri, il bue edule, 
prototipo della vacca, l'infusorio seppiale 俟apevano Brehm e i 
suoi seguaci del mio pipistrello dell'isola di Islanda, il 
厚ipistrello remoto del mio gatto domestico della cima del monte 
Kilimangiaro dall'appellativo di pasciocervo irascibile?(9)
Firmando spesso gli articoli col nome del suo amico Lada e 
suscitando polemiche tra gli scienziati, Ha蟌k discettava con seriet
da prontuario scolastico dell'alcoolismo tra gli animali e delle loro 
reazioni alla musica e sparava sensazionali notizie: che i topi 
muschiati, allevati nel castello di Dobw斁, avevano invaso la vitava 
e che presto i lupi mannari sarebbero stati venduti come cani 
normali. Bench nello 襒ejk, il volontario Marek affermi di aver 
ridotto con le sue balzane trovate alla disperazione e alla morte il 
signor V歊lav Fuchs, proprietario della rivista (10), in realtanche 
la comica del 匍ondo degli animalifincon la cacciata del 
flemmatico mistificatore.
Un'ammiccante malizia traluce da queste 匍eraviglieda baraccone. 
Non a caso poco dopo 襒ejk racconta di un 剃erto Mestekche, in un 
panorama a via Havl斁kova, mostrava da un buco un 冠nimale 
inventato una 哀irena marina ossia una comune baldracca di 
E'i鋘ov, la quale 冠veva le gambe avviluppate in un velo verde che 
doveva rappresentare la coda, i capelli verniciati di verde e le mani 
ravvolte in guanti, sui quali erano state attaccate pinne di cartone 
ugualmente verdi, e sul dorso un timone assicurato con uno spago
(11)
Il signor Josef Mayer, stuccatore di molto credito e proprietario 
di un edificio a tre piani, non poteva certo esser propenso a 
concedere la propria figlia a uno spiantato, a un anarchico, a un 
beone, come Ha蟌k. La figlia del signor Mayer, Jarmila, sebbene in 
fondo anelasse a una solida Gemlichkeit borghese, ammirava per le 
sue bravate il suo Gr賧a (diminutivo di Riccardo Cuor di Leone) e 
prese ancor piad ammirarlo, quando, il 1o maggio 1907, fu messo 
dentro per oltraggio ad un poliziotto (12)
Le lettere di Ha蟌k a Jarmila sono incredibili scrigni di banalit 
di bambagia, di tenerume, di arre nuziali, di Kitsch zuccherino, di 
candore infantile. Egli vi ostenta un continuo proponimento di 
diventare migliore, di smetter di bere, di non trasandare il 
vestiario, di desistere dalla scapigliatura. Il florealismo leccato 
di quelle missive, come del resto il fittizio ritorno alle fede 
cattolica e il simulato abbandono dell'anarchia, non sono che le 
ambiguitdi una comica, di un ludus coniugale, in cui il clown 
assume la maschera del tranquillo borghese.
Solo cosegli ottenne, dopo tanti contrasti, il consenso del 
signor Mayer. Dopo il matrimonio (celebrato il 15 maggio 1910 nella 
chiesa di Santa Ludmila a Praga-Vinohrady) si atteggia benpensante 
grullo e accigliato, come la figurina di una torta nuziale: ricusando 
le libagioni, asscriva che, dopo un anno di prova, il suocero avrebbe 
premiato con una somma cospicua la sua astinenza. Ma le abitudini di 
vagabondo prevalsero, le scappate mandarono a monte i buoni 
propositi. L'ubriacone spariva per intere giornate, lasciando Jarmila 
nella disperazione. La nascita del figlio Richard (R斁a), nell'aprile 
1912, non lo distolse dalle stravaganze. Un aneddoto dice che Ha蟌k 
dimenticil bambino in un'osteria, dove lo aveva portato per 
mostrarlo agli amici, un altro che si gioca carte il denaro per la 
carrozzina, un terzo che sparcome il corvo col pretesto di andar 
per la birra, quando vennero i Mayer a visitare la puerpera (13) La 
veritche Jarmila si rifugicol neonato in casa dei genitori.
In Russia, durante la guerra civile, Ha蟌k sposun'orfanella, 
襁ra, ossia Alexandra Gavrilovna Lv榣va, che conobbe a Ufa nei giorni 
in cui era commissario politico della quinta armata (14) Sebbene la 
ragazza russa lo seguisse poi docile in Cecoslovacchia, - tornato a 
Praga, con nuovo travestimento Ha蟌k cercdi riavvicinarsi a 
Jarmila, scrivendole angeliche lettere gonfie di pentimento, in cui 
prosperava con acconce lodi le sue ambizioni di autrice di racconti 
donneschi, chiedeva perdono per il vizioso passato, giurava che il 
matrimonio con 襁ra era stato uno sbaglio e che i bolscevichi lo 
avevano perseguitato. Non riusca ricommettere i rottami del 
connubio distrutto: si videro tuttavia di nascosto, e Jarmila lo 
presental figlio di nove anni come 勇l signor redattoreHa蟌k, 
che in Russia aveva sempre portato al collo un medaglione con 
l'effigie del figlio, lo accarezzsui capelli, gli diede del voi. 
R斁a sapeva che il padre era caduto in Siberia, come legionario (15)
Alla fine del 1911 Ha蟌k aprnel rione di Ko鍎we un Istituto 
Cinologico (Kynologickostav), ossia un negozio di cani. Con un 
assistente tristerello, il signor 鍎鋀k, si mise ad accalappiare 
cagnacci randagi, che poi spacciava per esemplari di razza, 
inventandone la discendenza (16)
La comica si interruppe alla svelta, perchi clienti ben presto si 
accorsero dell'impostura. Ma Ha蟌k trasmise la propria esperienza 
襒ejk, che appunto 哉iveva della vendita di cani, brutti mostri 
bastardi, cui falsificava la genealogia(17) Col confidente della 
polizia Bretschneider il bravo soldato conversa da compiuto cinofilo 
(18), e al tenente Luk碭 spiega con competenza il modo di tingere 
cani stantii per ringiovanirli e di fingerne l'albero genealogico 
(19) 襒ejk ricalca la destrezza di accalappiacani del suo autore l
dove, suscitando scompigli, cattura il grifone da stalla dell'ebete 
colonnello Bedwich Kraus von Zillergut (20)
I cani, e in genere gli animali del bestiario di Ha蟌k, sono laidi 
e grifagni. Da un lato porremo le bestie mansuete e sognanti di Franz 
Marc, dall'altro i teratologici cani, i 匍ostri orrendi che 襒ejk 
rifila a Bretschneider: 侵l San Bernardo era un incrocio tra un 
impuro barbone e un cagnaccio di strada, il fox-terrier aveva 
orecchie da bassotto e grandezza di cane da macellaio con le gambe 
storte, come se fosse stato malato di rachitismo. La testa del 
Leonberger ricordava il muso peloso di un grifone da stalla, aveva la 
coda mozza, l'altezza di un bassotto e il tafanario nudo come i 
famosi cagnolini tosati americani(21) Mostri da baraccone, degni 
di stare in ditta con gli anaconda e le pulci di Ferda Mestek.
Nella primavera del 1911, avvicinandosi le elezioni alla dieta 
regionale boema, Ha蟌k fondcon alcuni accoliti il 促artito del 
progresso moderato nei limiti della legge(俟trana mirn逸o pokroku v 
mezibl z毾ona (22) Partito fumistico e mistificatore, espressione 
della boheme bettoliera, il quale ebbe sede nella taverna 俗 
Zv瞝in欞, detta anche Kravin, e in altre mescite, perch勁'alcool 
il latte della politica(23) Partito, il cui succo agrodolce, il 
cui principio sornione era questo: ogni radicalismo dannoso e 
l'incremento della societva promosso gradatamente e senza scossoni. 
Partito, che rispecchiava, nei suoi programmi da burla, la fittizia 
obbedienza, il furbesco lemme lemme di Ha蟌k.
I comizi di questa bislacca chiesuola divennero un'attrazione per 
gli intellettuali e gli artisti praghesi. Cominciavano alle otto di 
sera: dopo il canto corale di un inno, composto dal poeta Josef Mach, 
Jaroslav Ha蟌k, 勇l pigrande scrittore ceco(24), attaccava a 
parlare come una gazza per ore ed ore, con buffonesco sussiego, dei 
danni dell'alcoolismo, della riabilitazione degli animali, dei santi, 
delle suffragette, dei missionari, dei cibi sofisticati. Un fiotto di 
chiacchiere a vanvera, di citazioni fasulle, di iperboli, di 
strabilianti promesse, di frasi ampollose, di parodie degli slogans e 
degli idoli di altri partiti. Senza riscuotersi ai fischi e alle 
beccate degli avventori, il candidato loquace, alternando le ciarle a 
grandi sorsi di birra, insisteva sulla necessitdi abolire il 
pagamento nelle latrine pubbliche e l'obolo per l'apertura notturna 
ai portieri, coi quali ebbe perpetua inimicizia (25)
La comica, il cabaret linguacciuto del mettiscandali in maschera di 
conservatore, di ligio cittadino absburgico si conclude col fiasco 
del ridicoloso partito che, nelle elezioni, ottenne se no una 
ventina di voti.
Come quaresimalista politico, Ha蟌k riveldoti di improvvisatore e 
di guitto. Del resto, al pari di altri campioni della scapigliatura 
praghese (Bass, Mach, Longen, Langer), anche lui si esibin 
commediole satiriche, in sketch, in parodie letterarie: al 
Montmartre, alla Kopmanka e, col gruppo dei "Fratelli Maccabei 
nella taverna 俗 Zv瞝in欞 (26) Intorno al 1912 parecchie bettole a 
Praga allestivano fragorose serate di cabaret con l'ausilio di 
scatenati della risma di Ha蟌k. Ma Ha蟌k, sebbene spiegasse vela come 
un galeone, come attore era in fondo un burchiello di scarso peso: un 
frittata trasandatissimo, a umori, un bisbetico bagattelliere.
Nella parte seconda della sua vita, al ritorno dall'Unione 
Sovietica, recital cabaret 恃ervensedma(Il sette di cuori), 
barellando come uno strummolo per l'ubriachezza, sudicio, con le 
scarpe infangate. Barbugliava castronerie senza senso, ricantava il 
racconto Come incontrai l'autore del mio necrologio, una pasquinata 
contro il poeta Jaroslav Kolman-Cassius che, in un articolo malvagio 
dal titolo Zr歍ce (Il traditore, 1919), lo aveva dato per morto nel 
vortice della rivoluzione, definendolo 剌arabutto e commediante
(27) Nel gennaio 1921 pronunzialla 恃ervensedmauno sproloquio 
哀ugli usi e sui costumi cinesi e mongolici fingendo di cercare 
vocaboli in un dizionario, che era invece l'orario delle ferrovie, 
asscriva con serietbaccelliera che in mongolo 恃ovuol dire 
剃avallo un paio di cavalli 恃o蟞 e 恃o蟞蟞蟞蟞蟞tutto un 
branco (28) Siamo in pieno dadaismo. Nel settembre dello stesso anno 
Kurt Schwitters e Raoul Hausmann tennero a Praga una serata 俑erz und 
Antidada(29)
Quando, nel 1915, fu chiamato alle armi, Ha蟌k assunse un semiserio 
contegno di patriota absburgico e di soldato zelante. Prima di 
trasferirsi a 蟌skBud疀ovice, dove aveva stanza il 91o fanteria cui 
era stato assegnato, canticchiava la sera nelle taverne con la sua 
stonatissima voce couplets militari, trattando con spregio e con 
spocchia la gente in borghese, come genia di imboscati (30) Sulle 
sue traversie casermesche si sparsero molte leggende. Si disse che 
fosse stato arrestato per diserzione o che lo avessero espulso dal 
corso degli allievi ufficiali o che riuscisse a simularsi epilettico 
(31) Certo che dovette dar del filo da torcere ai suoi superiori.
Ben presto nelle mescite della cittvitavina comincia 
serpeggiare una serqua loquace di notizie contraddittorie sulla sua 
atroce morte. Si sussurrava che un tribunale di guerra lo aveva 
condannato al capestro per indisciplina, che era annegato nel Dnestr 
o caduto sul campo in Galizia, che a Odessa, in una gargotta del 
porto, durante una zuffa, marinai avvinazzati avevano fatto strazio 
di lui o che era perito per mano di legionari cecoslovacchi infuriati 
dal suo tradimento (32) cos勁a tendenza boema a inventare ballate 
- afferma Franti蟌k Langer - attribuiva al pigrande umorista 
praghese i pitristi destini(33) 俏ei cinque o sei anni del 
soggiorno in Russia - scriverHa蟌k pitardi - sono stato parecchie 
volte ucciso e ammazzato da varie organizzazioni e da singoli. 
Tornato in patria, ho scoperto di essere stato tre volte impiccato, 
fucilato due volte e una volta squartato da selvaggi kirghisi presso 
il piccolo lago di Kale-Y蟌l. Infine di essere stato definitivamente 
trafitto in una rissa selvaggia con marinai ubriachi in una taverna 
di Odessa. Questa versione mi sembra la piprobabile(34).
In realt con un viaggio tortuoso, raggiunse il fronte sul Bug, a 
Sokal', in Galizia, dove la sua compagnia, nel luglio 1915, sub
forti perdite. Il panico nelle file austriache era tale che, quando 
Ha蟌k impassibile tornnelle retrovie con trecento russi da lui 
catturati, il comando si diede alla fuga, credendo che si trattasse 
di un nuovo attacco avversario (35) Poco dopo, il 24 settembre, 
durante la battaglia di Chorupany, Ha蟌k, che aspettava l'occasione 
propizia, fu lui a passare al nemico, assieme a Franti蟌k Stra螿ipka, 
un mattonaio di Hostivice che, con la sua indole cicaliera e 
smargiassa, influsull'immagine del soldato 襒ejk (36)
Nel campo di prigionia di Tock presso Samara, dove infierivano il 
tifo e la dissenteria e la nag跱ka dei cosacchi, lo scapestrato, il 
taverniere divenne un banditore della resistenza antiaustriaca. 
Quando i russi, che guardavano con diffidenza gli indocili sudditi 
dell'impero absburgico, permisero la formazione di unit
cecoslovacche (1916), egli non esitad arruolarsi. E sulla rivista 
型cechoslovandi Kiev prese a tacciare di austrofilia e di vilt
filistea i renitenti, esaltando le tendenze slavofile e 
filozaristiche del gruppo kieviano, che era in dissidio con quello 
occidentalistico di Pietrogrado.
Ha蟌k propugnin quei giorni l'unione della Boemia alla Russia dei 
Romanov, l'incoronazione dello zar russo a re di Boemia con un ardore 
e con una demenza che ingenerano perplessit risvegliando il ricordo 
dei tempi in cui vaneggiava per il 促artito del progresso moderato 
nei limiti della leggeFu persino arrestato per un violento libello 
contro i componenti della sezione pietrogradese del Consiglio 
nazionale cecoslovacco, ma si trovin prima linea, quando le brigate 
di Masaryk, durante la vana offensiva di K鈔enskij, sconfissero a 
Zborov (luglio 1917) forti reparti austriaci e tedeschi.
Scoppiata la rivoluzione d'Ottobre, in un primo momento avversi 
bolscevichi: fantasticava che le legioni attaccassero l'Austria, 
passando per il Caucaso, la Persia, la Romania. Ma appena Masaryk le 
incorpornelle forze armate francesi, ordinandone il trasferimento 
in Occidente attraverso la Siberia, egli aderal bolscevismo e 
comincia predicare, perchsi unissero all'Armata Rossa. Era il 
modo migliore per attrarsi un mandato di cattura da parte del comando 
cecoslovacco. Per sfuggire al controllo dei legionari, a Samara, nel 
giugno 1918, si finse 剌iglio scemo sin dalla nascita di un colono 
tedesco del TurkestanNuove ambiguit nuova maschera: pagliaccio 
tonto, bertoldo smarrito tra i tartari.
Nel settembre 1918, a Simbirsk, sono i rossi ad imprigionarlo, 
scambiandolo per un emissario nemico. Poi nuovo colpo di scena: alla 
fine dell'anno a Bugul榦 nello stato maggiore della 26a divisione 
sovietica. Risucchiato nel gorgo della guerra civile, Jaroslav 
Romanovi柚 Ga毗ek si prodiga senza risparmio, spostandosi da Ufa ad 
Omsk, da Novosibirsk a Krasnojarsk. Redige riviste e giornali in 
russo, in serbo, in magiaro, in tedesco, persino in burjato-mongolo. 
Organizza i reparti stranieri della Quinta Armata e una sezione 
segreta contro le spie legionarie. Diventa un temuto commissario 
politico e per un certo periodo governa, come un kubinesco satrapo 
Patera, un territorio asiatico pigrande della Cecoslovacchia (37) 
Si favoleggia che in tutti questi anni avesse smesso di bere (38)
Dalle diverse maschere trapela sempre l'autentica sostanza di 
Ha蟌k, la sua natura randagia, riottosa, disordinata, il suo estro di 
saltimbanco ambulante. Sin dalla prima giovinezza gli piacque 
girovagare, sudicio e sciamannato, avverando quel mito del vagabondo 
(tul毾), che fu proprio della sua generazione.
Si era appena impiegato, nel 1902, alla banca Slavie, che scapp
dall'ufficio, prima in Slovacchia e poi nei Balcani, dov'era esplosa 
la rivolta antiturca (39) Sarebbe lungo elencare le sue scorribande: 
Zden瘯 Mat疀 Kud疀 ha descritto gli strampalati zigzag per la Boemia 
centrale, che nelle estati del '13 e del '14 compirono insieme (40) 
Con l'insofferenza si spiega l'adesione di Ha蟌k al gruppo dei poeti 
anarchici, dei quali fu il piturbolento (41) Anche il suo scrivere 
risentiva della sua irrequietudine: scriveva con troppa agevolezza, 
in un fiat, persino nel chiasso delle Osterie. E portava in fretta 
nelle redazioni i racconti e i bozzetti appena composti, per ottenere 
immediatamente il compenso, che scialacquava in bevute o spartiva coi 
poveri (42)
Come le edere ficcan le barbe dentro le scorze delle querce, cos
Ha蟌k era impaniato nel luppolo delle taverne praghesi. Furono pidi 
cento le bettole da lui frequentate: da questo diluvio di alcool 
emergono i nomi T籯ovka, Hlavovka, Montmartre, Deminka, U Flek U 
Kalicha (Al Calice), U Zlat逸o litru (Al litro d'oro) (43) Solo 
nell'ebbrezza notturna, in tane e spelonche annerite e cosparse di 
sputi, in mezzo ad ubriachi sbilenchi e aggrondati e con cappellucci 
clowneschi, come quelli dipinti da Josef 螮pek, solo nell'acre 
sentore di birra orinata e ammoniaca che esala dalle latrine delle 
gargotte, solo in quelle sguaiate spelonche si infervora la sua 
fantasia. Per lui la taverna diventa, non solo un hortus deliciarum, 
ma anche un metaforico modellino del mondo: un mondo intravisto con 
occhi catarrali per il troppo fumo, col torbido delle sbornie.
Spesso, rientrando con aria compunta dalle sue scappate, Ha蟌k dava 
ad intendere di esser pentito e bramoso di emendarsi, ma il giorno 
dopo pigliava di nuovo il volo. Pessimi risultati conseguqualche 
uomo di garbo che si ingegndi trasviarlo da cosfortunosa 
esistenza. L'esploratore A'V' Fri ad esempio, lo ospitnella 
propria villa a Ko鍎we, dove, tra ciarpe e scarabattole esotiche, 
teneva anche un indiano della tribdei Cherokee. PoichHa蟌k ogni 
notte tagliava la corda, Frilo rinchiuse con vettovaglie e con una 
risma di carta da scrivere. Ma lo scapestrato riusclo stesso ad 
evadere, lasciando la cantina vuota e la risma di fogli bianchi 
mutata in una flottiglia di navicelle (44)
Ha蟌k non si rimase mai di far lega con malandrini e lenoni e 
cantoniere e reietti dei bassifondi praghesi e con ogni sorta di 
eccentrici e di svitati. Se si chiamassero dall'ombra i suoi amici, 
in primis accorrerebbero il direttore di circo Jakl, lo sbricio 
commediante girovago V歊lav 蟊mera con la funambola Esmeralda, il 
lottatore Karlas, la chiromante Cleo de Merod[o], ex concubina del re 
del Belgio, e soprattutto Ferda Mestek de Podskal, per il cui 
teatrino di pulci si improvvisimbonitore, e il ladro buono Oldwibl 
Zounek, detto Hanu螶a, da lui conosciuto in prigione (45) Per queste 
amicizie con cattivi soggetti e con gente dei baracconi, per le 
maschere assunte nel corso degli anni, per l'incapacitdi condurre 
un'esistenza assestata, per la facilitdi scrittura, Ha蟌k 
assomiglia al narratore russo Kuprin, allegro compare di zingari, di 
beoni, di rubacavalli, di biscazzieri, di artisti dello chapiteau 
come il clown 津akomino, di sollevatori di pesi come il mustacchiuto 
e atticciato Ivan Poddubnyj, - a Kuprin, che fece l'arbitro nei 
campionati di lotta francese sotto il tendone dei circhi, il 
pescatore, il pompiere e molti altri mestieri, - a Kuprin, che 
scriveva di getto ai tavoli delle osterie (46)
Ha蟌k cambiava continuamente dimora, dormendo nell'angolo di una 
taverna o in casa di amici, ai quali, con le sue stravaganze, dava 
sovente disgusti e fastidi. Gli bastava poco: un canap per coperta 
il cappotto, lo scendiletto arrotolato a mo di cuscino. Il suo 
assillo era sempre: sparire, sparire. Come se il troppo indugiarsi in 
un posto potesse svegliare la curiositdella morte. pia lungo, 
sebbene anche qui con latitanze e improvvisi ritorni da figliuol 
prodigo, abitin casa del pittore Lada: nei brevi intervalli in cui 
vi abitava, affiggeva sull'uscio una nera targhetta dagli orli 
d'argento, come un annunzio mortuario, con la dicitura: 侯aroslav 
Ha蟌k, imperialregio scrittore, padre dei poveri di spirito e 
patentato chiaroveggente parigino(47)
Come se fosse saltato fuori da una novella di un Sercambi o un 
Sacchetti boemo, Ha蟌k aveva un gusto dannato della beffa, 
dell'irrisione. Se gli cadeva in fantasia il gricciolo della burla, 
non conosceva remore nmisura. Le testimonianze dei compagni di 
mescita abbondano delle sue pazziuole, delle sue bambocciate. Ci 
restringeremo a riferirne due solamente.
Una notte del febbraio 1911, scavalcando la spalletta del Ponte 
Carlo, ldove sorge la statua del Nepomuceno, fece vista di gettarsi 
nel fiume. Un parrucchiere di teatro, che era ldi passaggio, lo 
afferre chiese aiuto. Agli accorsi gendarmi, sguizzando come 
un'anguilla, Ha蟌k prese a strappare dal cappello le piume di gallo. 
Al commissariato con nuovo travestimento sostenne la parte del 
mentecatto. E percifinin manicomio, di dove, come 襒ejk pi
tardi, non voleva piuscire (48) Anche se abituati al suo vezzo di 
mistificare, tuttavia ci si chiede: fu in effetti uno scherzo, uno 
Schabernack, una finzione grottesca, una bravata da beone? Oppure ci 
sfugge la disperazione che pervadeva le sue immani corbellature degli 
altri e di se stesso?
Quando, alla fine del 1914, l'esercito russo sfondin Galizia e i 
praghesi dicevano: 隹 N歊hod giparlano russo Ha蟌k andad 
abitare nella locanda U Val霘 in via Karolina Sv皻l segnandosi sul 
registro degli ospiti come Ivan Fiodorovi柚 Kuznecov o, secondo 
altri, Lev Nikolaevi柚 Turgenev, o Ivan Ivanovi柚 Ledrpales骿, 
commerciante di Kiev proveniente da Mosca. Scopo del viaggio: 
俘evisione dello stato maggiore austriacoIl portiere allibito, 
credendo di trovarsi di fronte a una sfrontatissima spia, si 
precipita chiamare i gendarmi. Al commissario, buscandosi cinque 
giorni di carcere, Ha蟌k dichiar col suo viso paffuto di uomo 
grosso di pasta, che voleva soltanto appurare se fossero pienamente 
osservate le norme di polizia per la registrazione dei cittadini 
stranieri in tempo di guerra (49)
Una mistura di caparbiet di perfidia ubriachesca, di stizza 
infantile deflagra in questo 冠lticcio, barcollante ed estatico 
Villon in questo 匍edievale fantasma uscito da una tela di Bruegel 
o Schwaiger, dipinta con sudici gialli e rossicci colori(50) Zanni 
dal fondo zotico e scaltro di villano slavo inurbato ed insieme 
intriso di tutto l'odore di pignatta grassa di Praga, con la sua 
faccia molliccia come una pagnotta, gli occhietti vispi, i capelli 
arruffati come un nido di passeri, il 剋eniale idiota(51), lo 
scavezzacollo, che cambia le maschere come i pagliacci la bombetta, 
diventa la maschera pisignificante della cittvitavina. 
Attaccabrighe spavaldo, 哀carruffato, pingue beone, il cui ventre 
rigogliosamente trabocca dalla cintola dei calzoni(52), egli 
provoca climi di rissa, sottosopra ed equivoci, barbagli di 
apocalissi, che subito dopo dirada con un bambinesco sorriso (53) 
Egli vive la vita come un carnevale di bettola, perchsolo la 
bettola (al pari del manicomio) gli consente di vivere 
nell'infrazione, nel bilico dell'impunit nel rifiuto dadaistico, in 
barba a regolamenti e interdetti.
Il 19 dicembre 1920 il signor Staidl, ossia Jaroslav Ha蟌k, 
imbacuccato in un lungo pastrano scuro, con stivali di feltro 
grigiastro e berretto caucasico, scende, assieme a 襁ra, dal treno 
alla stazione di Praga (54) Dalla stazione si reca in carrozza al 
caffUnion, dove, accolto trionfalmente, presenta agli amici la 
seconda moglie come la principessa L漓ova, nipote del capo del primo 
governo provvisorio russo, narrando di averla sottratta alla furia 
dei bolscevichi.
Il ritorno del commissario politico mise a rumore le bettole. Fior
una sequela di aneddoti sulla sua efferatezza. Si diceva che avesse 
sterminato l'intera famiglia di 襁ra, mutando l'orfanella in sua 
schiava, che avesse come un Erode mandato a morte migliaia di 
cecoslovacchi. La stampa di destra gonfiava queste fandonie, i 
legionari lo minacciavano, ma la sinistra anch'essa nutriva sospetti 
nei suoi riguardi (55)
Stucco e ristucco della gravitcommissaria, Ha蟌k smise ruba螶a e 
stivali, si rituffnel bitume, nel lago tartareo delle taverne e, 
lasciando sola in albergo la povera 襁ra, riprese a sparire per 
interi giorni. Fra capannelli di ubriachi spacciava notizie su 
fantastici orrori commessi dai bolscevichi. Alla scrittrice Olga 
Fastrov ansiosa di sensazioni, confermche i bolscevichi 
mangiavano carne di cinesi rapiti (56) Ma le sue crapule non avevano 
pila protervia di prima. Fitte di insicurezza, di crepuscolare 
sgomento incrinavano la sua giulleria.
Non potendo pagare l'albergo, traslocassieme a 襁ra in casa del 
compagno di birreria Franta Sauer, nel rione di E'i鋘ov (57) In quel 
periodo tentdi riavvicinarsi alla 哇ietta a Jarmila: ma in fondo, 
piche di Jarmila, aveva bisogno di 襁ra. La paziente e sommessa 
orfana tartara, il cui unico appoggio era lui in quel paese 
straniero, non gli rinfacciava le stravaganze di ubriaco, non si 
proponeva di rieducarlo, capiva le sue debolezze.
Tra una birra e l'altra Ha蟌k comincia scrivere il romanzo Osudy 
dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky (Le vicissitudini del bravo 
soldato 襒ejk durante la guerra mondiale) che, nei suoi intenti e in 
quelli di Franta Sauer, l'editore, doveva concorrere con le storie 
popolari di Nat Pinkerton e di Nick Carter, riscoperte in quegli anni 
dall'avanguardia del Dev褾sil. Affissi nerogialli annunziarono la 
pubblicazione del libro in fascicoli settimanali, che Ha蟌k e Sauer 
vendevano nelle taverne di E'i鋘ov (58)
Non fu impresa facile costringere Ha蟌k a portare avanti il 
romanzo. Accompagnata dal giovane poeta Ivan Suk, segretario e 
contabile della casa editrice, 襁ra lo andava braccando nelle 
osterie. L'ubriacone la riceveva con brutto cipiglio, insultandola, 
poi ordinava da bere per la 厚rincipessa perchse ne stesse zitta 
in un angolo, e continuava a cioncare, senza guardarla. 襁ra 
sorrideva umilmente alle sue ciarle sconnesse, aspettando l'istante 
in cui si sarebbe deciso a tornare a casa.
Convinto dal pittore Jaroslav Panu螶a, anche lui della 
congregazione del Luppolo e della Beffa (59), Ha蟌k si trasfer 
nell'agosto 1921, nel villaggio di Lipnice sulla S漘ava (Boemia 
sud-orientale) Qui, nella locanda-mescita U Invalid continula 
stesura del libro: dettava ad uno scrivano ventenne, figlio di un 
poliziotto, con interruzioni continue, chiacchierando frattanto o 
altercando con gli avventori. Spediva subito all'editore (non pi
Sauer, ma Synek) i capitoli pronti, lasciandosi solo l'ultimo foglio 
dettato (60)
襒ejk, quell'autunno, comparve sulla ribalta della Revolu螽sc郾a 
di Longen nell'interpretazione di Karel Noll, che ne fece una 
fatticcia e panciuta parvenza popolaresca (61) Nella locanda-mescita 
di Lipnice il suo autore non mutle abitudini: trincava al modo 
consueto, ospitava gli amici, pagando a tutti da bere, festeggiava le 
ricorrenze con libagioni e discorsi, narrava aneddoti per notti 
intere, preparava un suo grog marinaro, metteva il naso in cucina in 
cerca di intingoli. Coi primi proventi del libro compra Lipnice una 
fatiscente casupola strampalata, con quattro ingressi, rivolta da un 
fianco verso un quartiere di poveri, detto 俑iz鈔ieLa fine di un 
vagabondo. Ma, benchmalandato, asmatico, tumido, in questa botte 
grommosa, in questo terminale canile raggiunto dopo una volubile 
trafila di bettole, sino all'estremo non si astenne dal bere (62)
Quando si spense, il 3 gennaio 1923, nessuno prese sul serio la 
funeraria notizia: troppo spesso era stato annunziato il suo transito 
(63) A Praga i vecchi compagni di baldoria si dissero che Ha蟌k 
aveva ordito una nuova finzione. Alle esequie arrivarono dalla 
capitale soltanto Kud疀, Panu螶a, il fratello, il figlio, col quale 
si era incontrato pochissime volte (64)
NOTE:
(1) Cfr' Gustav Janouch, Prager Begegnungen, Leipzig 1959, pp' 
243-44.
(2) Cfr' Michel Ragon, L'Expressionnisme, Paris 1966, p' 63.
(3) The Pawnshop (1916) Cfr' Georgij Avenarius, Charles Spencer 
Chaplin: O柚erk rannego perioda tvor柚estva, Moskva 1939, pp' 121-22.
(4) Cfr' V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma, Praha 1935, pp' 38-49; 
Zdena An鍎k, O eivotJaroslava Ha螶a, Praha 1953, p' 14; Radko 
Pytl骿, Toulavhouse (Zpr潎a o Jaroslavu Ha螶ovi), Praha 1971, p' 
61.
(5) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, p' 365. Cfr' anche: id', Z drogerie (1904) e Ze star
drogerie (1909-10), in Zr歍ce n漷oda v Chot瑿owi, Praha 1962, pp' 
15-17 e 116-45.
(6) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Sv皻 zv魾at, in D疀iny strany mirn逸o 
pokroku v mezibl z毾ona (1912), Praha 1963, pp' 44-46; V歊lav Menger, 
Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp' 234-36; Josef Lada, Kronika m逸o 
eivota, Praha 1947, pp' 312-14; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 
159-65.
(7) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, MdrahpwitelkynJul螮, in Dekameron 
humoru a satiry, Praha 1968, pp' 195-211.
(8) Cfr' id', Malzoologickzahrada, Praha s'd', pp' 166-75.
(9) Id', Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky cit', I-II, 
pp' 291-92.
(10) Cfr' ibid', p' 295.
(11) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, p' 296.
(12) Cfr' V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp' 110-11, 
120-27, 141-43, 151-88, 192-208, 227-30; Zdena An鍎k, O eivot
Jaroslava Ha螶a cit', pp' 25-61; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', 
pp' 137-54.
(13) Cfr' V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', p' 234; Radko 
Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 194-95.
(14) Cfr' Nikolaj Elanskij, Jaroslav Ga毗ek v revoljucionnoj Rossii 
(1915-20), Moskva 1960, p' 162; Stanislav Antonov, Jaroslav Ga毗ek v 
Ba毗kirii, Ufa 1960, pp' 28-30; Aleksandr Dunaevskij, Idu za 
Ga毗ekom, Moskva 1963, pp' 73-77; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', 
pp' 220-21.
(15) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k (1928), Praha 1947, pp' 
172-73; Zdena An鍎k, O eivotJaroslava Ha螶a cit', pp' 87-90; Radko 
Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 344-45.
(16) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, M齹 obchod se psy, in Malzoologick
zahrada cit', pp' 105-15.
(17) Id', Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky cit', I-II, 
p' 11.
(18) Ibid', pp' 49-50.
(19) Cfr' ibid', pp' 160-62.
(20) Cfr' ibid', pp' 176-83.
(21) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, pp' 53-54.
(22) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', pp' 10-31; V歊lav 
Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp' 74-75 e 244-47; Franti蟌k 
Langer, Vzpomin滱na Jaroslava Ha螶a, in Byli a bylo, Praha 1963, 
pp' 34-44; Zdena An鍎k, O eivotJaroslava Ha螶a cit', pp' 64-65; 
Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 205-15.
(23) Jaroslav Ha蟌k, D疀iny strany mirn逸o pokroku v mezibl z毾ona 
cit', p' 48.
(24) Ibid', p' 136.
(25) Cfr' V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp' 136-38. Cfr' 
inoltre Jaroslav Ha蟌k, Boje s domovn骿y (1908), in D璠ictvpo panu 
螮fr滱kovi, Praha 1961, pp' 113-22.
(26) Cfr' Franti蟌k Langer, Vzpomin滱na Jaroslava Ha螶a, in Byli 
a bylo cit', pp' 44-50; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 216-23.
(27) Jaroslav Ha蟌k, Jak jsem se setkal s autorem sv逸o nekrologu 
(1921), in Moje zpov璠' cit', pp' 14-17. Cfr' anche Du蟊螶a Jaroslava 
Ha螶a vypravuje (1920), in ibid', pp' 333-37.
(28) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', pp' 143-44; Jiw
蟌rven 蟌rvensedma, Praha 1959, pp' 255-57; Radko Pytl骿, Toulav
house cit', pp' 341-44.
(29) Cfr' Raoul Hausmann, Courrier Dada, Paris 1958, pp' 112-14; Am 
Anfang war Dada, a cura di Karl Riha e Gter K鄝pf, 
Steinbach-Giessen 1972, pp' 64-66.
(30) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', pp' 130-31; Josef 
Lada, Kronika m逸o eivota cit', pp' 334-35.
(31) Cfr' Zdena An鍎k, O eivotJaroslava Ha螶a cit', p' 74; Radko 
Pytl骿, Toulavhouse cit', p' 255.
(32) Cfr' Ivan Olbracht, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky (1921), in O um瘽a spole螽osti, Praha 1958, p' 180; Emil 
Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', p' 42; Zdena An鍎k, O eivot
Jaroslava Ha螶a cit', p' 82.
(33) Franti蟌k Langer, Vzpomin滱na Jaroslava Ha螶a, in Byli a 
bylo cit', p' 64.
(34) Jaroslav Ha蟌k, Jak jsem se setkal s autorem sv逸o nekrologu, 
in Moje zpov璠' cit', p' 14.
(35) Cfr' Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 262-63.
(36) Cfr' Zdena An鍎k, O eivotJaroslava Ha螶a cit', p' 70.
(37) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Velitelem m瘰ta Bugulmy (1919-21), Praha 
1966; Nikolaj Elanskij, Jaroslav Ga毗ek cit'; Stanislav Antonov, 
Jaroslav Ga毗ek cit'; Aleksandr Dunaevskij, Idu za Ga毗ekom cit'; 
Franti蟌k Langer, Vzpomin滱na Jaroslava Ha螶a, in Byli a bylo cit', 
pp' 65-79; Zdena An鍎k, O eivotJaroslava Ha螶a cit', pp' 74-85; 
Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 266-93 e 300-35.
(38) Cfr' Ivan Olbracht, Deset let od Ha螶ovy smrti (1933), in O 
um瘽a spole螽osti cit', p' 182; Zdena An鍎k, O eivotJaroslava 
Ha螶a cit', p' 81; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', p' 319.
(39) Cfr' V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp' 64-71; Radko 
Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 75-85.
(40) Cfr' Zden瘯 Mat疀 Kud疀, Ve dvou so to l酥e t殠ne (1923-24), 
Ve dvou so to l酥e t殠ne, ve twebl h鱴e (1927), e Radko Pytl骿, 
Toulavhouse cit', pp' 234-35. Su Kud疀 cfr' Gustav Janouch, Prager 
Begegnungen cit', pp' 5-32.
(41) Cfr' V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp' 114-19; 
Zdena An鍎k, O eivotJaroslava Ha螶a cit', p' 21.
(42) Cfr' V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp' 148-49 e 
212-18; Josef Lada, Kronika m逸o eivota cit', p' 318.
(43) Cfr' Franti蟌k Langer, Vzpomin滱na Jaroslava Ha螶a, in Byli 
a bylo cit', p' 63; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 176-81.
(44) Cfr' V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp' 255-56 e 
261; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 225-26.
(45) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, M齹 pwitel Hanu螶a, in Dekameron humoru a 
satiry cit', pp' 353-56; Zden瘯 Mat疀 Kud疀, Ve dvou se to l酥e t殠ne 
(1923-24), Praha 1971, pp' 95-128; V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma 
cit', pp' 107, 242, 252-56; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 
237-47.
(46) Cfr' Kornej 柚ukovskij, Kuprin, in Sovremenniki, Moskva 1962, 
pp' 256-91.
(47) Cfr' Josef Lada, Kronika m逸o eivota cit', pp' 307-10 e 315.
(48) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Psychiatrickz殠ada (1911), in D璠ictv
po panu 螮fr滱kovi cit', pp' 226-30; Emil Artur Longen, Jaroslav 
Ha蟌k cit', pp' 32-36; V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp' 
230-34; Zdena An鍎k, O eivotJaroslava Ha螶a cit', p' 64; Radko 
Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 186-90.
(49) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', pp' 38-42; V歊lav 
Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp' 263-64; Jiw蟌rven 蟌rven
sedma cit', p' 86; Zdena An鍎k, O eivotJaroslava Ha螶a cit', p' 66; 
Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', p' 250.
(50) Franti蟌k Langer, Vzpomin滱na Jaroslava Ha螶a, in Byli a 
bylo cit', p' 63.
(51) Ivan Olbracht, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky, 
in O um瘽a spole螽osti cit', p' 180.
(52) Franti蟌k Langer, Vzpomin滱na Jaroslava Ha螶a, in Byli a 
bylo cit', p' 63.
(53) Cfr' Josef Lada, Kronika m逸o eivota cit', p' 326.
(54) Cfr' Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 337-38.
(55) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', pp' 132-37; 
Gustav Janouch, Prager Begegnungen cit', pp' 259-64; Radko Pytl骿, 
Toulavhouse cit', pp' 338-39.
(56) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Za Olgou Fastrovou (1922), in Moje 
zpov璠' cit', pp' 260-62.
(57) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', p' 145; Radko 
Pytl骿, Toulavhouse cit', p' 346.
(58) Cfr' Franta Sauer, Franta Hab滱 ze E'i鋘ova, Praha 1923; Emil 
Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', p' 146; Gustav Janouch, Prager 
Begegnungen cit', pp' 246-49; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 
348-55.
(59) Cfr' Josef Lada, Kronika m逸o eivota cit', pp' 345-53.
(60) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', pp' 147 e 171-72; 
Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 25-26, 362-65, 368-70.
(61) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', pp' 147-48 e 
214-15; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 31-32. Lo 襒ejk di Max 
Pallenberg ha obliterato quello tipicamente praghese di Karel Noll, 
il quale interpretil personaggio di Ha蟌k anche in alcune 
pellicole.
(62) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', pp' 213-15; Radko 
Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 38-39 e 360-61.
(63) Cfr' Ivan Olbracht, Deset let od Ha螶ovy smrti (1933), in O 
um瘽a spole螽osti cit', p' 182.
(64) Cfr' Franti蟌k Langer, Vzpomin滱na Jaroslava Ha螶a, in Byli 
a bylo cit', pp' 87-88; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', p' 18.
96
Quando lo misero in manicomio, la sera che voleva gettarsi dal 
ponte, Ha蟌k affermava di essere Ferdinando il Buono (1) In una 
rassegna degli strampalati di Praga non pumancare la calva e 
mingherlina figura di questo sovrano (1793-1875) che, il 2 dicembre 
1848, aveva rinunziato al trono in favore del nipote Francesco 
Giuseppe, ritirandosi nel Castello di Praga. Ferdinando V, detto il 
Buono (Dobrotiv era stato l'ultimo degli imperatori austriaci a 
cingersi della corona di re boemo (1836) (2)
Nelle foto del mio album appare givecchio e assecchito, con magre 
manine di bambola. Una barba bianca incornicia il suo insipido volto. 
Sprofonda sparuto in una poltrona, sporgendo dalla spalliera la 
boccia enorme della testa pelata. Passava i giorni, giocando al 
biliardo col maggiordomo e coltivando bellissimi fiori, che 
ottenevano premi nelle esposizioni botaniche. Appassionato della 
musica, aveva sonato lui stesso, da giovane, canzoni e danze 
viennesi. Bedwich Smetana si recava, sebbene malvolentieri, due volte 
la settimana al Castello, a eseguire per lui al pianoforte valzer e 
marce trionfali (3)
Vestiva in borghese, tranne che per il compleanno, quando, estratta 
dalla naftalina l'uniforme antiquata di generale, assisteva da una 
finestra alla sfilata della guarnigione praghese. Nella citt
vitavina si sentiva meglio che a Vienna: il clima di Praga, a suo 
dire, lo aveva guarito dal mal caduco. Se la turba crudele dei 
maggiorenti viennesi lo considerava con spregio, per la Boemia era 
almeno un prezioso cimelio, una curiosit
Qualunque fosse la guardatura del cielo, usciva ogni giorno con un 
cortigiano e col medico in una carrozza tirata da due candidi 
lipizzani. Benchguarnito con liste d'oro e con stemmi sugli 
sportelli, questo equipaggio non reggeva il confronto con la 
sfolgorata vettura di Federico Guglielmo I, nominato Hessenkassel 
(1802-75) L'ex elettore d'Assia, che si era schierato con l'Austria 
nella guerra del 1866, viveva a Praga con sfarzo regale nel palazzo 
Windischgr酹z. Tre coppie di cavalli dal manto colore isabella 
trascinavano la sua fragorosa carrozza, traballante su ruote massicce 
dai raggi dorati. Su un cavallo della prima coppia galoppava in 
costume di jochey uno staffiere, agitando un frustino bianco (4)
La carrozza di Ferdinando veniva gidal Castello per via Ostruhov
(Nerudova) e, attraversato il Ponte Carlo, rotolava per il 
lungofiume. I passanti si fermavano, levandosi con rispetto il 
cappello. E Ferdinando, raggruzzato in un angolo, col labbro 
inferiore pendente e con le gambucce sospese, rispondeva al saluto, 
togliendosi continuamente il cilindro, che gli tentennava sul testone 
enorme. Se c'era beltempo, talvolta scendeva dalla vettura e 
percorreva a piccoli passi via Ferdinandova e via Na Pw骿opsino 
alla Porta delle Polveri. La carrozza ed il maggiordomo in tricorno e 
livrea, con un plaid sul braccio, gli venivano dietro.
Il cilindro non aveva requie. Ferdinando si scappellava come un 
automa. Parrebbe un giuoco da circo. Ma i praghesi non dimenticavano 
che su quell'omino idrocefalo era stata posata per l'ultima volta la 
corona di San Venceslao. Del resto bastava che fosse tenuto in 
dispetto da Vienna, perchi cechi lo avessero in simpatia. E cos 
anche se babbeo, Ferdinando a passeggio, nell'inventiva praghese, 
servdi contraltare al Proch漘ka, ossia a Francesco Giuseppe che 
scarrozzava per le vie di Vienna, anche se la sua passeggiata alla 
buona, casalinga, da pensionato, era priva del fasto di quelle 
dell'imperatore.
Cinon vuol dire perche la cittvitavina, col suo umore da 
forca, non si divertisse alle spalle di questo svigorito sovrano che, 
per la sua indole bambinesca e citrulla, era chiamato Ferd碭ek. Nel 
racconto di Werfel La casa di lutto il pianista Nejedl in un 
bordello, si vanta di aver sonato una volta per Ferdinando come 
勇mperialregio Fanciullo Prodigioe discorre delle sue stravaganze e 
del suo stolido vezzo di appioppare ceffoni, che costringeva 
l'aiutante, durante le passeggiate in carrozza, a tenergli le mani 
ferme (5)
Praga si rallegrava di annoverare tra i propri 厚ortentiquel 
tritolo di re rimbambito e quando, per la cadente sanit egli non fu 
piin grado di uscire, i curiosi si ingegnarono di penetrare dentro 
il Castello sotto le spoglie di giardinieri, per vederlo negli orti 
su una sedia a rotelle. Una zingara aveva predetto al sovrano che 
sarebbe vissuto sino alla tarda vecchiezza, e ogni giorno tra 
Ferdinando ed il maggiordomo si svolgeva il seguente dialogo:
Ferdinando: Quanti anni potrvivere ancora?
Maggiordomo: Sua Maestpucampare novanta, cento anni.
F': Cento anni? Cento anni? E poi?
M': Chiss centoventi.
F': Centoventi. Ma poi?
M': Poi Sua Maestsi degnerdi morire.
F': Morire. Ma poi?
M': Ci sarun funerale magnifico e tutti faranno bum bum.
F': Bum bum? Faranno bum bum?
cos nel museo dei bislacchi praghesi, Ferd碭ek collima con 
Karl斁ek Bumm.
NOTE:
(1) Cfr' V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', p' 233.
(2) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', I, pp' 212-16; 
Bilder aus B鐬men (Leipzig 1876), in M瘰to vidim velikcit', pp' 
420-22; Eduard Bass, Kwieovatka u Pra螽br滱y, Praha 1947, p' 199; 
Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 96-97.
(3) Cfr' Josef Teichman, Bedwich Smetana, Praha 1946, pp' 84 e 158; 
Rok Bedwicha Smetany, a cura di Mirko O螮dl骿, Praha 1950, p' 127.
(4) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', I, p' 217.
(5) Cfr' Franz Werfel, Nel crepuscolo di un mondo cit', pp' 523-24.
97
Due neri signori, due guitti lucidi e grassi in redingote e 
cilindro una notte, a lume di luna, accompagnano per il Ponte Carlo 
su verso la casa di Strahov Josef K' al supplizio. E in senso 
contrario, un mattino, per lo stesso percorso due zoppicanti soldati 
con la baionetta in canna, uno spilungone e uno piccolo e pingue, 
conducono Josef 襒ejk, nella sua goffa uniforme rigonfia come una 
cipolla, dal carcere presidiario del Castello, lungo via Nerudova e 
il Ponte Carlo, a Karlin, dal cappellano militare (1) All'inizio del 
1921 alle finestre delle osterie e sugli angoli del quartiere 
proletario di E'i鋘ov un manifesto giallo-nero sgargiante annunziava 
con enfasi fanfaronesca l'uscita a fascicoli del romanzo Le 
vicissitudini del bravo soldato 襒ejk durante la guerra mondiale (2) 
Jaroslav Ha蟌k compose questo suo libro picaresco, che voleva 
competere con le novelle avventurose e le storie popolari a puntate, 
tra una bettola e l'altra di Praga e poi in una locanda a Lipnice, 
dove si spense il 3 gennaio 1923. E in un primo momento ne fu editore 
lui stesso assieme al compagno di bisboccia Franta Sauer e con Sauer 
lo diffuse fra i clienti delle osterie, che erano il suo rifugio e il 
suo porto e il suo santuario.
Il romanzo di Ha蟌k anzitutto un'apologia del pucflek o bur 
ovvero dell'attendente. L'autore in una solenne tirata esalta i pregi 
ed i privilegi di questa 匍aschera crucciandosi che l'antichissima 
storia degli attendenti non sia stata scritta. I superiori ritengono 
che il pucflek sia 哀oltanto un oggetto, in molti casi un fantoccio 
che prende gli schiaffi, uno schiavo, una serva factotum(3): un 
alterego del proprio ufficiale, del quale ricalca vizi e bestemmie e 
improperi (4) Ma in realtegli un alterego maligno, un fantoccio 
ambiguo, un oggetto sornione, - insomma discende dalla progenie dei 
servi scaltri che hanno provviste di stratagemmi e mezzucci per 
uccellare il padrone.
Dal pucflek-sganarello al clown il passo breve. E 襒ejk un 
clown praghese: linguacciuto, birroso, maldestro, con un'infrenabile 
parlantina da bettola. Anche il suo vestimento clownesco. Al 
carcere presidiario gli danno 哎na vecchia uniforme militare che era 
appartenuta a un pancione pigrande di lui di una testa. Nei suoi 
calzoni sarebbero potuti entrare altri tre 襒ejk. Le infinite falde 
dei calzoni che gli arrivavano dai piedi sin sopra il petto 
suscitavano senza volerlo l'ammirazione di chi lo guardava. Un'enorme 
giubba rattoppata nei gomiti, unta e bisunta, sbatteva su 襒ejk come 
un cappotto su uno spaventapasseri. I calzoni gli spenzolavano 
addosso come il costume su un clown al circo. Il berretto militare, 
che pure gli avevano sostituito al presidio, gli scendeva sino alle 
orecchie(5)
In queste spoglie di mammalucco, gonfio come i fichi troppo maturi 
e simile a un Grock, a uno Zavatta in sventolanti panni 
austroungarici, 襒ejk scende gidal Castello, mentre Josef K' vi 
sale, vestito di nero, chaplinoidale, agguagliabile alle sussiegose 
figure in bombetta e pardessus ben stirato che pitardi appariranno 
nei quadri di Magritte. Sembra che Ha蟌k, chiamato alle armi, si 
presentasse in caserma a 蟌skBud疀ovice con un vacillante cilindro 
sul capo (6)
In 襒ejk la condizione clownesca si associa alla finta idiozia, 
recitata con meravigliosa coerenza e sino all'estremo limite. Per il 
servo-pagliaccio, che intende di berteggiare i padroni, la grulleria 
una bruegeliana cuccagna, un espediente di grandissimo momento. Il 
principale studio di 襒ejk si indirizza appunto a convincere gli 
altri della propria insipienza. Egli orgoglioso che i superiori lo 
aspreggino con l'etichetta di grullo e, se qualcuno ha dei dubbi, 
eccolo a ribadire con aria trionfale la sua notoria idiozia, il suo 
poco cervello, a riaffermare che stata una commissione di medici a 
ritenerlo imbecille. "Io sono uno scemo ufficiale(7), 勇o sono un 
idiota autentico(8) Il vocabolo 剎lb grullo assume dimensioni 
iperboliche, si gonfia come una bolla di Bosch. 襒ejk non cessa di 
spippolare superbe dichiaratorie di perfetta minchioneria. La 
panotticale idiozia, tanto pighignante in quanto fittizia, e la 
fierezza per la comprovata qualitdi imbecille e di pecorone (9) si 
mutano in 襒ejk in una sorta di vaneggiante narcisismo della 
scemenza. Invano Luk碭 lo insulta: 亮uardatevi allo specchio. Non vi 
sentite male dinanzi alla vostra espressione di scimunito? Siete il 
pistupido scherzo della natura che io abbia mai visto(10); 哀iete 
l'uomo piscemo che vi sia al mondo(11); 匍i viene nausea a 
chiamarvi scemo. Per la vostra scemenza non vi sono parole. A dirvi 
scemo si pecca di gentilezza(12) Sotto questa gragnuola di 
oltraggi 襒ejk non rimane scorbacchiato e perplesso, al contrario si 
riempie di beatitudine.
Ha蟌k insiste sulla faccia di luna piena, sugli occhi buoni, sul 
morbido sguardo di agnello del suo personaggio (13) La cretineria, 
che trapela dal volto paffuto di 襒ejk nei piintricosi frangenti e 
nei putiferi da lui suscitati, equivale a una perfetta innocenza, ad 
un'冠ssoluta tranquillited ignoranza di qualsiasi colpa(14) Ai 
furori di Luk碭, irritato dalle sue stolte prodezze: 剋esummaria, 
himmelherrgott, vi faccio fucilare, voi bestia, voi bufalo, voi 
bovino, voi pezzo di cesso. Siete cosimbecille?(15), 襒ejk oppone 
l'incolume sorriso degli occhi bonari che irradiano sempre tenerezza 
e candore e persino un 厚erfetto equilibrio spirituale(16), come se 
nulla fosse accaduto, - un sorriso che disarma la collera altrui e 
disinnesca la miccia di incombenti tempeste.
Ha蟌k procura perche il lettore non si distolga sino alla fine 
dal dubbio se il personaggio sia veramente un idiota marchiano o 
piuttosto uno scaltro di sette cotte, pimalizioso di parasacco, 哎n 
raffinato furfante oppure un tanghero ed un citrullo maldestro(17) 
Ad accrescere la dismisura della scemenza concorrono la sostanza 
bamboccia di 襒ejk e l'infantilismo delle sue bravate e delle sue 
ciance, i suoi posticci attacchi di commozione, e in specie 
l'incommensurabile flemma, che gli consente di affrontare le 
situazioni incresciose senza il menomissimo sconcerto del volto e 
dell'anima. Capitale risorsa del finto idiota, la flemma, questo 
ammiccante torpore, questo non-batter-ciglio produce ridicolose 
macchine di incongruite di non senso, salutari trambusti, 
scombugli. Col suo mostaccio impassibile, con le sue cicalate, col 
suo operare da capra sciocca, il clown 襒ejk fa perder le staffe ai 
padroni, li esaspera, ne sconvolge i propositi, li sbeffeggia, li 
manda in malam crucem.
NOTE:
(1) Franz Kafka, Il Processo cit', pp' 342-50; Jaroslav Ha蟌k, 
Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky cit', I-II, pp' 95-102. 
Cfr' Karel Kos骿, Ha蟌k a Kafka neboli grotesknsv皻, in 促lamen 
1963, 6.
(2) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', pp' 145-46; Radko 
Pytl骿, Toulavhouse cit', p' 349.
(3) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, p' 150.
(4) Cfr' ibid', III-IV, pp' 134-35.
(5) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, p' 95.
(6) Cfr' Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', p' 252.
(7) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, p' 24. Cfr' anche p' 33.
(8) Ibid', p' 37.
(9) Cfr' ibid', pp' 145 e 155.
(10) Ibid', p' 193.
(11) Ibid', p' 200.
(12) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', III-IV, p' 35.
(13) Cfr' ibid', I-II, p' 18.
(14) Ibid', p' 277.
(15) Ibid', p' 191.
(16) Ibid'
(17) Ibid'
98
Per uscir salvo dagli ingranaggi della macchineria militare, il 
pucflek, l'idiota, il sacco di tela grossa, il pagliaccio ricorre 
alla calcitrosa finzione della perfetta obbedienza, della docilita 
tutta prova. Il suo motto  servire l'imperatore 哀ino a rompersi le 
ossa(letteralmente: sino allo strazio del corpo: 削o roztrh滱
t瘭a (1) Anche se riformato per citrullaggine e afflitto da 
reumatismi, 襒ejk si mostra ardentissimo di esporsi ad ogni pericolo 
per l'accrescimento e l'esaltazione del nome dell'Austria.
Egli ottempera agli ordini con un ossequio e uno zelo cos
smoderati da risultare imbarazzosi agli stessi angeli custodi e ai 
bagarozzi e ai dottori e alle ottuse gerarchie militari. Alla 
direzione di polizia egli accetta con gioia tutti i capi di accusa 
che gli elenca una belva dai tratti degni della criminologia di 
Lombroso: 侵o ammetto tutto, rigore ci vuole, senza rigore non si 
giungerebbe mai a nulla(2): 俟e desidera, eccellenza, che io 
confessi, allora confesser non mi punuocere. Ma se dir 襒ejk, 
non confessate nulla, cercherscappatoie a non finire, sino a 
rompermi le ossa(3) Tornando in cella, felice, dopo aver firmato 
la confessione, dichiara ai compagni di carcere: 信o ammesso or ora 
che forse sono stato io ad uccidere l'arciduca Ferdinando(4) E al 
tribunale penale, al magistrato che vuole sapere se alla polizia gli 
hanno fatto pressioni: 俑acch eccellenza. Ho chiesto loro io stesso 
se dovevo firmare e, quando mi han detto di firmare, ho obbedito. Non 
stara litigare per la mia firma. Non mi gioverebbe di certo. Ordine 
ci vuole(5)
Il tema della falsa e insondabile colpevolezza, connessa con la 
sostanza stessa di Praga, avvicina il personaggio di Ha蟌k a Josef 
K' Solo che 襒ejk invalida e bagattellizza la colpa col sotterfugio 
di una turlupinesca sommissione. 襒ejk si infervora a esprimere 
gratitudine ai poliziotti, l'unico ad entusiasmarsi della 
dichiarazione di guerra e a osannare all'imperatore, l'unico ad aver 
fede nella vittoria, l'unico che si rallegri della chiamata alle 
armi, - e il suo entusiasmo cosinnaturale che molti lo ritengono 
pazzo. Giall'inizio viene additato sui giornali come 勁uminosissimo 
esempio di fedelte devozione al trono del vecchietto monarca(6), 
quando, col berretto militare e col mazzolino variopinto delle 
reclute, si fa condurre in caserma, agitando le grucce e gridando 隹 
Belgrado, a Belgrado! nel carrozzino in cui il pasticciere 
dell'angolo 厚ortava un tempo il suo zoppo nonnino cattivo a prendere 
aria(7)
Se gli affidano un compito, egli lo esegue a dispetto di tutto e 
con tanta premura, da suscitare marchiani malintesi e carnevaleschi 
subbugli, piccole apocalissi, che dissipa, atteggiando l'obesa O 
della faccia a un sorriso ebete. Impancandosi a propugnatore 
dell'ordine e della disciplina, il volpone va chimerizzando che il 
soldato non deve pensare, perchpensano i superiori per lui. E 
pregusta persino la gioia della morte in battaglia: 俟ono anch'io del 
parere che molto bello farsi trafiggere da una baionetta - disse 
襒ejk - e che non male buscarsi una palla in pancia e ancor meglio 
se una granata ti falcia e tu vedi le gambe e la pancia lontane da te 
e ti sembra strano morire prima che qualcuno possa dartene una 
spiegazione(8) Quando Luk碭 gli annuncia che dovranno partire con 
un battaglione di linea: 亭accio rispettosamente notare, signor 
tenente che non sto piin me dalla gioia, - rispose il bravo soldato 
襒ejk - sarqualcosa di splendido quando cadremo entrambi per 
l'imperatore e la sua famiglia...(9).
Anche in una scena di cacaiuola, come quella di cui presenzial 
testimonio il grullo maggiorgenerale polacco, 襒ejk si distingue per 
attaccamento al dovere e per presenza di spirito, e vorrei dire: per 
spirito di corpo. Mentre, coi calzoni calati e con la cinghia al 
collo, come se stessero per impiccarsi, i soldati defecano sulle 
fosse aperte, entra il babbeo fiutastronzi in pompa magna a 
ispezionar le latrine: 襒ejk, intuendo la gravitdel momento, salta 
su, si pulisce con un frammento di carta strappato da un romanzo di 
Rena Jesensk dl'attenti e saluta. 非ue squadre coi calzoni 
abbassati e con le cinghie al collo si alzarono sulla latrina. Il 
maggiorgenerale sorrise amabilmente e disse: 俘uht, weiter machen遙 
(10) Questo quadretto da Simplicissimus fa parte di una delle 
sequenze picomiche e burattinesche, malevolo impasto di fecalite 
cretineria militare.
Con la babbuina obbedienza, col rispetto smaccato per i superiori, 
con l'osservanza caparbia del regolamento 襒ejk intralcia e rallenta 
l'azione. Ma la strategia del romanzo dispone di un mezzo ancor pi
efficace di ritardamento, gli aneddoti, che si frammettono 
continuamente a interrompere il ductus del racconto, la fluidit
itinerale. Supplemento di incongruitnell'incongruo, le folte 
arborescenze di barzellette a sproposito costituiscono un secondo 
tracciato, uno zigzag digressivo, un novellino all'interno della 
narrazione: birroso, sballato, patibolare, vaneggiante.
襒ejk rifila trafile di aneddoti, in cui si riflette un'atavica 
ironia prosperata da secoli di servit - aneddoti nati nel clima 
opaco e fumoso delle leggendarie taverne di Praga, che sono tutte 
Grenzschenken, osterie di frontiera, dove ombre di torbidi zaffi, di 
provocatori e Bretschneider stanno perennemente in ascolto. Il 
quietismo sornione dell'Homo Bohemicus infatti si sfoga in una 
loquacitirrefrenabile, che inventa mirabolanti fanfaronate, 
picaresche vicende da squarciabucchi, castelli in aria. Nelle 
barzellette da bettola, sfornate a getto continuo da 襒ejk, giostra 
in spoglie farsesche il rancore di un popolo oppresso, gavazza 
l'umore da forca, imperversano il desiderio funesto e la crudelt
degli asserviti. Queste ballate scurrili di tavernicoli, questi rutti 
da sbornia, queste beffarde fiammate di ciarle concorrono 
splendidamente all'intento che 襒ejk si prefigge: svuotare la marcia 
prosopopea del sistema e insieme mettere in luce, come il pellegrino 
del labirinto comenico, la scombinatezza del mondo.
Molte delle frascherie di cui sparso il romanzo hanno per 
argomento l'errore giudiziario, la condanna per sbaglio. Al tribunale 
di divisione, consolando il maestro-soldato, che languisce in 
prigione per aver composta una strofetta sul 哉ecchio pidocchione 
austriaco 襒ejk proclama: non deve perdere la speranza, come 
diceva lo zingaro Jane蟌k a Plze che tutto puancora volgere al 
meglio, quando nel 1879 gli misero il capestro al collo a causa di 
quel duplice omicidio per rapina. E infatti ci indovin perch
all'ultimo istante lo portarono via dalla forca, perchnon potevano 
impiccarlo a causa del genetliaco dell'imperatore, che cadeva proprio 
nel giorno in cui doveva penzolare. E coslo impiccarono solo il 
giorno seguente, quando il genetliaco fu passato, e il briccone ebbe 
per di piuna tale fortuna, che il terzo giorno ottenne la grazia e 
si dovette rifare il processo, perchtutto indicava che in sostanza 
il colpevole era un altro Jane蟌k. coslo dovettero disseppellire 
dal cimitero criminale e riabilitare nel cimitero cattolico di Plze 
e poi ci si accorse che era evangelico e allora fu trasferito in 
quello evangelico e poi...(11). In realtil motivo dell'immotivata 
colpevolezza, anche se trasportato al burlesco, assilla 襒ejk, 
riapparendo in parecchie delle sue barzellette: 俘icordo che una 
volta una donna fu condannata per aver strangolato i suoi due gemelli 
nati da poco. Sebbene giurasse che non avrebbe potuto strangolar due 
gemelli, essendole nata soltanto una bimba, che era riuscita a 
strangolare senza farla soffrire, fu tuttavia condannata per duplice 
infanticidio(12) 
Questo arsenale di facezie e di aneddoti a incastri e di sperticate 
panzane rispecchia dunque la condizione costante del piccolo uomo 
boemo che, escluso dall'attivitdella storia, si svelenisce in 
storielle, la cui grulleria non di rado avventa strali di sarcasmo 
demolitore. La logorrea, l'affannoso avviluppamento di chiacchiere 
matte lavorano in sinergia con la falsa obbedienza e la maschera del 
finto tonto.
::::::::::
(12) Ibid', pp' 22-23.
NOTE:
(1) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, pp' 18 e 59.
(2) Ibid', p' 25.
(3) Ibid', p' 27.
(4) Ibid'
(5) Ibid', p' 29.
(6) Ibid', p' 58.
(7) Ibid', p' 57.
(8) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, p' 143.
(9) Ibid', p' 195.
(10) Ibid', III-IV, p' 90.
(11) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, p' 344.
99
Incantesimo della parola 剎lb(scemo), di questo groppo di labiali
che stringono come due guitti una povera liquida, di questo 
剎ilboquetdi assiepate consonanti, di questa esplosiva 
denominazione che consente a 襒ejk di uscire indenne dal diavolio 
della guerra. Fra tanto scompiglio non v'nulla di piassennato che 
perdere il senno. Fingersi idiota, lasciarsi scivolare nella corrente 
e ingoffare cosi prepotenti, sotto l'involucro della sommissione 
salvando la propria irriducibile sostanza biologica. La carcassa 
umana val pidelle regole e degli ordinamenti. 襒ejk, viluppo di 
panni spropositati, bricconesca cipolla, rinvolto di aneddoti 
incartocciati l'uno nell'altro, con la proclamata scemenza la spunta 
sugli ingranaggi del gigantesco ed assurdo meccanismo 
austro-ungarico, sui connestabili e sui naturali coglioni che lo 
governano.
Il romanzo di Ha蟌k di solito considerato un libro comico, un 
seguito di fanfaluche e scenette che fanno ridere squarciatamente. In 
effetti esso abbonda di buffonerie, di clownades, di risorse 
burliere, di lepidezze a rompicollo. A un numero clownesco, degno del 
medievale Masti螶漙 (L'Unguentario), assomiglia la messa che il 
cappellano Otto Katz celebra alticcio con la pianeta a rovescio e con 
gemebondi grugniti e con gesti a vanvera (1) Ancor pifarsesca la 
scena in cui Katz, che ha bevuto il diluvio, sbilicando dal pulpito 
col rischio di precipitare, tiene una predica incongrua e reboante ai 
soldati del carcere presidiario, fra i quali spicca 襒ejk col gruppo 
degli angeli in lerce mutande bianche, - 襒ejk che, unico peccatore 
pentito, scoppia in singhiozzi (2) Per la ricchezza gestuale, queste 
pagine fanno pensare a quel film in cui, nel tempio dei puritani, 
Charlot, galeotto fuggiasco che ha indossato l'assisa di un ministro 
del culto, invece di pronunziare un sermone, esegue una matta 
pantomima sul tema: Davide e Golia (3)
Del resto parecchie allusioni rivelano che lo stesso Ha蟌k concep
come uno spettacolo le capestrerie di Otto Katz. Al carcere 
presidiario il capo camerata informa 襒ejk: 非omani abbiamo teatro. 
Ci porteranno in cappella alla predica. Tutti noi in mutande staremo 
proprio sotto il pulpito. Vedrai che spasso!(4). Il cappellano 
rimbrotta i soldati: 俏on sapete pregare e vi sembra che il recarsi 
in cappella sia una specie di spasso, che qui vi troviate in un 
teatro o in un cinema(5) Mentre egli dice, avvinazzato, la messa, 
i soldati si sentono 剃ome a teatro, quando non conosciamo il 
contenuto della commedia, l'azione si intreccia e con ansia ne 
aspettiamo lo svolgimento(6) Guitteria esilarante, la sequenza in 
cui 襒ejk riporta a casa in carrozza il cappellano sborniato fradicio 
(7); gran circo, la scena in cui, saltellando da un lato all'altro, 
quasi eseguisse 哎na danza indiana attorno a una pietra votiva 
serve la messa da campo ufficiata da Katz (8)
Molte mattaccinate del cappellano e del suo zanni ricordano le 
manovre dei clowns con gli attrezzi, di Charlot con la sveglia: non 
avendo telefono, il barellante curato parla allo stelo di un paralume 
(9); tornando in tram dalla messa castrense con l'altare pieghevole, 
il prete alticcio e il suo pucflek smarriscono il tabernacolo (10) 
Tutto il finale della seconda parte impostato sul giuoco di 襒ejk 
col telefono, arnese generatore di clownerie, oggetto folle che 
smaschera la baraonda militare e il bisbetico contraddirsi degli 
ordini.
Eppure le fitte facezie e le burle e le molte risorse ridicolose 
non bastano a fare del libro di Ha蟌k un'opera comica. Le idilliche e 
amene caricature di Lada, sapide di boemitvillereccia (11), ci 
hanno abituati a uno 襒ejk pacioccone e bonario come uno zio di 
campagna, una sorta di lepido figlio di Bertoldino, pingue sgorbio 
guazzante nella gualcita uniforme, con naso-turacciolo e barba di 
setole. E invece di giorno in giorno appar sempre pichiaro che la 
stolta effigie di 襒ejk (e Grosz colse nel segno) si contorce sovente 
in un ghigno grottesco, in una smorfia malefica. Nonostante lo 
smoderato umorismo e la vena beffarda che ne ricerca le pagine, il 
romanzo di Ha蟌k ha un risvolto di orrore agghiacciante e in qualche 
punto risulta contiguo al Processo di Kafka, la cui arcanitnon di 
rado del resto trapassa in una sinistra buffoneria.
Terribile come un gabelliere, inventariando nella sua allucinante 
mummiografia dell'impero le magagne di un mondo che scricchiola ormai 
come una mal commessa nave pigra di vela, Ha蟌k mette a nudo la 
balordaggine dei regolamenti, l'esiziale empietdelle imprese che si 
proclamano sacre e solenni, la podagra, la friabile argillositdelle 
istituzioni ufficiali. Ma soprattutto egli insulta la guerra, questa 
ingluvie di sangue, questo macabro sabba, che si tramuta alla fine in 
sfilata di grucce e di manichini spettrali. Sulle sue descrizioni 
della crudeltdel conflitto incombe una verminosa luce di 
apocalisse, che lo avvicina agli scrittori e ai pittori tedeschi 
dell'espressionismo.
Alla stazione di T槆or, nel ristorante di terza classe, 襒ejk 
incontra 哀oldati di vari reggimenti e svariate nazionalite 
formazioni, che la tormenta della guerra aveva scaraventato nei 
lazzaretti di T槆or e che adesso di nuovo si recavano al fronte verso 
nuove ferite, mutilazioni e dolori, per guadagnarsi sopra la tomba 
una semplice croce di legno, sulla quale ancora molti anni dopo nelle 
tristi pianure della Galizia orientale avrebbe ondeggiato nel vento e 
nella pioggia uno stinto berretto militare austriaco col 剌rant骿" (12) 
arrugginito, sul quale di tanto in tanto si sarebbe posato un triste 
corvo givecchio, ricordando i pingui festini degli anni passati, 
quando qui c'era per lui una tavola immensa imbandita di gustosi 
cadaveri di uomini e carogne equine, quando qui appunto, sotto un 
berretto come quello sul quale si era posato, si trovava il boccone 
pighiotto - gli occhi umani(13) Il cantambanco da bettola si 
erge a rapsodo di lutti e flagelli, con fredda acribia condensando le 
剋ioie della guerrain filari di croci che reggono vuoti berretti, 
in atroci banchetti di corvi:
侵l treno avanzava lento per terrapieni costruiti da poco, cosche 
l'intero battaglione poteva osservare ed assaporare minuziosamente le 
gioie della guerra e, guardando i cimiteri militari con le bianche 
croci che biancheggiavano sulle pianure e sul declivio di colli 
devastati, prepararsi lentamente ma con certezza ai campi della 
gloria, che si sarebbero conclusi con un berretto austriaco 
inzaccherato, ondeggiante su una bianca croce(14)
Neri stormi di corvi, una biancheggiante plebe di croci, sbiaditi 
berretti di spaventacchi, calcinosi cumuli di ossa: 侶ui dopo la 
guerra ci sarun buon raccolto, - disse 襒ejk dopo una pausa - non 
dovranno comprare farina di ossa, per i contadini di grande 
vantaggio che nei loro campi marcisca tutto un reggimento: insomma 
una rendita. Una sola cosa mi preoccupa, che i contadini non si 
lascino abbindolare e rivendano le ossa dei soldati senza trarne 
vantaggio come cenere decolorante alle raffinerie dello zucchero
(15)
In questi inserti il truffaldino sarcasmo di Ha蟌k assume 
l'asprezza deformatrice dei quadri di un Dix, di un Grosz, di un 
Beckmann. Per feconditvisionaria nelle lettere ceche pustargli 
vicino soltanto il Van襁ra del romanzo Pole orna v滎e螽(Campi di 
messi e di guerra, 1925), che, sforzando la voce a guisa di 
banditore, con un linguaggio specchiato sui versetti biblici e 
sotteso di un continuo menetekel, rievoca l'orriditdel conflitto 
sulle galiziane pianure incendiate, tutte 剃isterne di sanguee 
哀pelonche di tuoni(16) Che Van襁ra avesse presente il libro di 
Ha蟌k si vede da quel passaggio in cui dice che i carri delle 
munizioni sono 剋uidati da un bravo 襒ejk(17)
Quando non si contorce nelle scappatoie degli aneddoti e affronta 
allo scoperto il tema del militare calvario, la 襒ejkiada diventa 
graffiante e truce, perchHa蟌k sa come pochi, per dirla con Holan, 
勇nfilare il termometro nel retto della guerra(18) Con 
un'acrimonia che sembra il ricalco dell'ira dei primi cartelloni 
sovietici bolla le inutili stragi, la collusione tra i preti e gli 
eserciti, la guercia ottusitdei comandi, l'impostura dei florilegi 
patriottici e degli apologhi sulla gioia di morire per l'imperatore e 
dei santini donati ai soldati dalle zitelle. Un'orribile, tragica 
lugubritstravena dai turgori dell'umorismo. Del resto - sono ancora 
parole di Holan - 勁'ironia non muore per amor di tragedia(19)
Spingendo all'estremo l'anfibologia che il sostrato del suo 
personaggio, Ha蟌k ama immettere nella scurrilite nel banale 
momenti profetici, stentorei ricorsi alla Bibbia e alla storia, 
insomma una certa grandiositmolto ambigua, un sussiego da 
Doganiere. Alla direzione di polizia, 哀alendo le scale che lo 
conducevano alla III sezione all'interrogatorio, 襒ejk portava la sua 
croce verso la cima del Golgota, senza rendersi conto del proprio 
martirio(20) Al tribunale: 哀i ripeteva la storia gloriosa della 
dominazione romana a Gerusalemme. Gli arrestati venivan condotti al 
cospetto dei Pilati dell'anno 1914 gial pianterreno. E i giudici 
istruttori, Pilati della nuova epoca, invece di lavarsi onestamente 
le mani, ordinavano paprica e birra di Plzeda Teissig...(21). Al 
commissariato: 勁'ispettore di polizia Braun inscenl'incontro con 
襒ejk con la ferocia degli sgherri romani del tempo del 
simpaticissimo imperatore Nerone(22) Nella baracca dei simulatori: 
南emmeno Socrate tracannla sua coppa di cicuta con la serenitcon 
cui 襒ejk il chinino(23) Movendo a piedi da T槆or di notte 
nell'冠nabasi di Bud疀ovice 襒ejk 冠ndava per la strada nevosa, nel 
gelo, imbacuccato nel suo pastrano militare, come l'ultimo della 
guardia di Napoleone al ritorno dalla spedizione su Mosca 
俟enofonte, antico uomo d'arme, attraverstutta l'Asia Minore e fu 
Dio sa in quanti posti senza carta geografica. I vecchi Goti anche 
loro corseggiavano senza conoscere la topografia. Marciar sempre 
avanti, questo si chiama anabasi(24)
Si potrebbero riportare decine di simili esempi da manualetto 
scolastico, in cui, gatta cheta, il burlesco si paluda di austerit 
E qui va detto qualcosa delle sconclusionate letture di Ha蟌k. Egli 
prediligeva i compendi divulgativi di storia, di chiromanzia, di 
occultismo, la Bibbia, il Dizionario scientifico Otto (le cui voci 
fornirono spesso argomento alle sue facezie e umoresche), la Scienza 
dei matti e degli svitati del neurologo ceco Antonin Heveroch, le 
ricette di gastronomia, il catechismo, gli abbecedari, i romanzi 
femministici e moraleggianti di Olga Fastrov(Yvonna) e di Pavla 
Moudr le riviste specializzate di ciabattini, birrai, conciatori, 
la Vita degli animali di Brehm, la 便ronenzeitungcoi particolari di 
Casa Absburgo, e in specie le inserzioni e le lettere al direttore 
del giornale 俏漷odnPolitika(25) Della sua pretenziosa 
infarinatura scientifica, della sua sapienza da na髽, testimoniano le 
tirate teosofiche del cuoco occultista Jurajda o quei passaggi in cui 
襒ejk, intenditore di cani come il Nozdr褱 delle Anime morte, 
discorre con semiseria dottrina di cinologia.
Un romanzo cosirreligioso, coslutulento e sfacciato, macchina 
che sgonfia miti, romanzo che si fa gabbo di tutto, tuttavia non 
rinunzia a una sua storta metafisica, a un suo ridicolo 
soprannaturale. Penso al buffo oltretomba da calendario immaginato da 
Katz ed al sogno del cadetto Biegler prima di Budapest. L'inferno per 
il cappellano sbornione consiste in una dispensa di pentoloni e 
caldaie e graticole elettriche, dove i peccatori si friggono nella 
margarina, e il paradiso una contrada idilliaca, dove innumeri 
nebulizzatori spruzzano acqua di Colonia, e la Filarmonica suona 
Brahms cosa lungo, da farti preferire l'inferno, e gli angeli, per 
non stancarsi col moto delle ali, portano un'elica nel tafanario 
(26) Lo zelante cadetto Biegler, nel sogno, passa in rassegna le 
truppe col grado di generale e percorre illeso le linee sotto il 
fuoco degli obici, finchuno scoppio non lo solleva con la sua 
automobile a volo per la Via Lattea, 削ensa come la pannaAlla 
porta del cielo si affolla una turba di invalidi, che conservano 
dentro lo zaino i pezzi troncati del proprio corpo. Pronunciata la 
parola d'ordine 亭 Gott und Kaiser il general Biegler entra in 
auto in un paradiso tutto caserme, dove reclute-angeli imparano a 
urlare 隹lleluiaAnche il Quartier Generale di Dio una caserma: 
due angeli con l'uniforme della polizia militare lo prendono per il 
colletto, spingendolo in una stanza addobbata di ritratti dei 
principi absburgici e dei comandanti imperiali. Dio non altri che 
il capitano Sagner dell'undicesima Marschkumpanie, il quale, fuori di 
sperchBiegler si appropriato del titolo di generale, lo fa 
gettare da due angeli nella puzzolente latrina (27) Questo sogno 
cattivo, questa gran ciurmeria, questo impasto di beffa e di 
metafisica ha qualcosa in comune coi sogni dei films chapliniani, con 
le comiche slapstick, con le piconcitate, con le picrudeli.
NOTE:
(1) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky cit', I-II, pp' 86-87.
(2) Cfr' ibid', pp' 81-84.
(3) The Pilgrim (1923)
(4) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, p' 78.
(5) Ibid', p' 83.
(6) Ibid', p' 86.
(7) Cfr' ibid', pp' 102-9.
(8) Ibid', pp' 122-24.
(9) Cfr' ibid', p' 102.
(10) Cfr' ibid', p' 126.
(11) Cfr' Josef Lada, M齹 pwitel 襒ejk, Praha 1968.
(12) 剌rant骿 diminutivo di Franti蟌k: il tondino di ottone con 
le iniziali Fji (Franz Joseph I) sul berretto militare austriaco.
(13) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, p' 209.
(14) Ibid', III-IV, p' 136.
(15) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', III-IV, p' 202.
(16) Vladislav Van襁ra, Pole orna v滎e螽(1925), Praha 1947, p' 
21.
(17) Ibid', p' 152.
(18) Vladimir Holan, Noc s Hamletem (1964): in italiano: Una notte 
con Amleto, a cura di A'M' Ripellino, Torino 1966, p' 103.
(19) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, p' 24.
(20) Ibid', p' 28.
(21) Ibid'
(22) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, p' 38.
(23) Ibid', p' 68.
(24) Ibid', p' 217.
(25) Cfr' Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 228-29.
(26) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky cit', I-II, pp' 128-29.
(27) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky cit', III-IV, pp' 50-55.
100
A proposito di corvi: c'una ballata nella commedia Die letzten 
Tage der Menschheit (1915-19) di Karl Kraus, in cui i corvi, die 
Raben, si vantano di non soffrire la fame grazie a coloro che sono 
caduti sul campo (1)
In un certo senso il romanzo di Ha蟌k appartiene alla letteratura 
absburgica. Anche se con acredine e con rancore e senza un filo di 
rimpianto, esso esprime l'agonia di un impero, la Finis Austriae, il 
tramonto della Cacania, ossia di quella - come dice Musil - 南azione 
incompresa e ormai scomparsa che in tante cose fu un modello non 
abbastanza apprezzato(2)
Ma lo 襒ejk agli antipodi del Radetzkymarsch di Joseph Roth: al 
contrario di Roth e di molti altri scrittori austriaci, Ha蟌k non 
sente un briciolo di malinconia per lo sfacelo di quel mondo: anzi si 
avventa con satira feroce sull'Austria e sulla monarchia, riducendole 
come un Simplicissimus a una buazza fecale, a una lurida stroscia.
Il Latrinengeneral, la cui regola suona: 俗m halb neune Alarm, 
Latrinenscheissen, dann schiafen gehen 冠ttribuiva una tale 
importanza alle latrine che da esse pareva dovesse dipendere la 
vittoria della monarchia 勁a vittoria dell'Austria strisciava fuori 
dalla latrina(3) Nella baracca, dove ai simulatori inondano le 
budella con lavativi di acqua saponata e di glicerina, 襒ejk esorta 
lo sgherro preposto ad annegare nei serviziali le viscere dei 
malcapitati: 隹nche se qui giacessero tuo padre o tuo fratello, fa 
loro il clistere senza batter ciglio. Sappi che su tali clisteri si 
regge l'Austria, e che la vittoria nostra(4)
Kafka ricorda nei Diari (1911) che Kubin gli ha raccomandato come 
purgante la regulina, 哎n'alga pestata che nell'intestino si gonfia e 
lo scuote(5) I personaggi di Ha蟌k non abbisognano di lassativi, 
perchhanno tutti natura cacazzara. Pufar da emblema all'intera 
masnada il tronfio cadetto Biegler, il quale, per l'ingestione di 
troppi cannoli alla crema, si busca una sciolta cosmarchiana, che 
lo abbandonano all'ospedale di Budapest tra i colerosi, troncando i 
suoi sogni di gloria: 侵 suoi calzoni cacati si perdettero nel 
vortice della guerra mondiale(6) 俟tink awer d' Kerl wie a 
Stockfischdice di lui l'attendente del capitano Sagner: 匍u 
d'Hosen voll han 俟tink wie a Haizlputza...(7).
Quasi a simboleggiare ciche Van襁ra chiama 勁a dolorosa ed 
immonda morte sui cessi(8), la dissenteria, il romanzo si chiude 
con un'infrenabile gara di defecazione tra Biegler che, ormai 
lucignolo, corre da una ritirata all'altra, e Dub, assalito anche lui 
da una feroce diarrea (9) Altro che larve di gloria: la guerra per 
Ha蟌k un farsela sotto, un servizio corporale, un brago di 
squacquerate. Egli ha scritto terribili pagine sulla poltiglia di 
sterco e di sangue che lorda le trincee durante i combattimenti (10) 
Tuffato nella scurrilitdella guerra, l'impero absburgico appare 
all'inventore di 襒ejk un Dreckkatafalk, un'entitlatrinesca, una 
maleolente contrada di enteroclismi, di brache smerdate, di lavande, 
di suppositori: insomma una Cacania-Culabria.
Questa fecalitsi apprende anche all'effigie di Francesco 
Giuseppe. I viennesi prosperavano il mito dell'autocrata buono, 
palladio di un antico splendore, ma gli abitanti di Praga chiamavano 
l'ormai annoso sovrano signor Proch漘ka, ossia signor Passeggiata: 
哎n nome che aveva - come asserisce Max Brod - un sapore 
piccoloborghese, filisteo, che faceva pensare a un vecchio invalido o 
a un portinaio: pian piano, un passetto dopo l'altro(11) Se nelle 
pagine di due ebrei galiziani, Bruno Schulz e Joseph Roth, un mesto 
alone di favola avviluppa l'effigie dell'imperatore, emblema di un 
mondo perduto (12), per il praghese Jaroslav Ha蟌k egli soltanto un 
babbione, un fantoccio da sbeffeggiare. Della severitdi Francesco 
Giuseppe, del suo rigorismo, del suo lustro glaciale, della sua 
dedizione di funzionario tetragono, incupito dalle sventure, non si 
trova traccia nella storia di 襒ejk. Solo una volta, all'inizio, in 
un falso empito di commozione struggendosi per le sciagure della 
famiglia imperiale, 襒ejk sembra alludere al Lebensmotto 
dell'imperatore 俑ir bleibt doch nichts ersparrt(13), che Kraus gli 
fa cantare nella sua farragginosa commedia, gran cabaret, mammut e 
finimondo (14)
Leon Bloy gratificava Francesco Giuseppe di rispettosi attributi 
come 哉ieil imbecilee 匍alodorant cacogenaire(15): allo stesso 
modo Ha蟌k considera l'imperatore un 剋hignante idiota notorio(16), 
un rimbambito, scombuiato dalla cacarella. 垂Sua Maestl'imperatore 
dev'esser diventato scemo a causa di quel che succede, - proclam
襒ejk; - furbo non stato mai, ma questa guerra gli darcerto il 
colpo di grazia" 亟' scemo, - confermil piantone della caserma, - 
scemo come un ciocco. Forse non sa nemmeno che c'la guerra. Pu
darsi che si siano vergognati di dirglielo. Se c'la sua firma sul 
manifesto ai suoi popoli, non che una truffa. L'hanno fatto 
stampare a sua insaputa, lui ormai non pupensare pia nulla亟' 
bell'e finito, - aggiunse 襒ejk con aria di intenditore, - se la fa 
sotto e devono imboccarlo come un bambino. Poco tempo addietro un 
signore raccontava all'osteria che Sua Maestha due balie ed allatta 
tre volte al giorno遙 (17) Persino un guardiano della legge come il 
brigadiere dei gendarmi Flanderka nell'ubriachezza barbuglia alla 
fantesca Pejzlerka: 俟i ricordi, vecchia, che ogni sovrano, ogni 
imperatore pensa solo alla propria tasca e percifa la guerra, anche 
se stolido ormai come il decrepito Proch漘ka, che non possono pi
far uscire dal cesso, perchimbratterebbe loro l'intera Sch霵brunn
(18) Nel libro di Ha蟌k la monarchia danubiana cosaborrita e 
cosdeprezzata che a 襒ejk, alla visita medica, basta gridare: 
亟vviva, signori, l'imperatore Francesco Giuseppe il per esser 
dichiarato 哀cemo notorio(19) Se Schulz vezzeggia con nostalgia 
l'effigie dell'imperatore dalle canute fedine, riprodotta 哀opra ogni 
bollo, sopra ogni moneta e ogni timbro(20), - lo scrittore boemo 
ripete con fangosa insistenza che sul ritratto del vecchio monarca 
hanno cacato le mosche (21)
Radicato nell'humus di Praga, Ha蟌k ignora lo spumeggiante sfarzo 
di Vienna, la Vienna degli ufficialetti gaudenti e delle vedove 
allegre, l'esterioritdi parata, la sdolcinata cuccagna dei valzer e 
dell'operetta, l'edonismo, l'oblio, la beata spensieratezza 
dell'Austria felix. Un tempo nella cittvitavina erano di 
guarnigione i pieleganti soldati dell'esercito austriaco, i 
sontuosi dragoni del reggimento del principe Eugenio: bianche giubbe 
a coda dalla pistagna scarlatta, lungo pastrano con fodera rossa e 
due file di bottoni d'oro, nero tricorno con la coccarda, alti 
stivali con sproni, carabina, paloscio, pistole (22) Confrontateli 
coi soldati in lerce mutande della cella sedici o con la spenzolante 
uniforme, organetto di falde, coi braconi di 襒ejk.
Parodia del tramonto di un impero sclerotico e ingombro di mummie, 
il romanzo di Ha蟌k riflette l'animosited il malanimo di una gente 
asservita, costretta nei secoli a fingere. Non a caso il medico 
Bautze asserisce: 非as ganze tschechische Volk ist eine 
Simulantenbande(23) Ha蟌k non si rimane un istante dall'additare 
il marciume che si cela sotto una burocrazia contegnosa, il rovescio 
della pedante puntualite del decoro, le dissensioni e discordie che 
squassano questo agglomerato di varie nazioni o, come dice Urzidil, 
mosaico 則internazionale(24) Ha蟌k insacca di plurilinguismo 
scurrile, di maccheronici impasti la sua bambocciata, per meglio 
mostrare l'arruffio, la babele dell'imperialregia compagine. Ma il 
rancore antiaustriaco non toglie che il libro tenga di quella 
letteratura del Mitteleuropa che affresca lo sfacelo della civilt
absburgica. La mancanza di affetto per il 匍ondo di ieri il totale 
rifiuto dei valori della monarchia e una spietatezza molto boema 
permettono a Ha蟌k di mettere a nudo il madornale scompiglio e la 
corruzione del rugginoso sistema, il suo capillare apparato di spie e 
di sbirraglia, l'inefficienza della macchina bellica, la coglioneria 
e crudeltdei comandi, - insomma di guardar l'Austria senza 
rammarico, non come un frivolo Traumland da operetta, ma come uno 
squallido plesso di commissariati, prigioni, arrancanti tradotte, 
bordelli, caserme, lazzaretti, latrine.
Per aggrandire il ridicolo e la ripugnanza, lo scrittore praghese 
raffigura gli scampoli del potere austro-ungarico (ufficiali, 
gendarmi, maggiorgenerali, commissari, impiegati di polizia, 
cappellani, dame di carite zitelle santocchie) come maschere 
strulle e parvenze grifagne da museo delle cere. Giustamente 
Piscator, nella sua messinscena del libro di Ha蟌k, agguaglia 
marionette (25) questi 咬apaci zebrati di giallo e nero(26) Una 
galleria copiosissima: ne ricorderemo qualcuno, dei pibuffoneschi, 
iniziando da quelli di pisussiego.
Ed ecco il vecchio signore dalla zucca pelata, ossia il terribile 
maggiorgenerale von Schwarzburg, il quale, sul treno Praga-蟌sk
Bud疀ovice, ispira a 襒ejk un disastroso discorso sulla calvizie 
(27), che sembra cuculiare le reclames con l'effigie della capelluta 
Anna Csillag diffuse nei paesi absburgici; l'ebete generale polacco, 
剌antasma della quarta dimensione il cui assillo mandare la sera 
i soldati in latrina nelle stazioni, perchdi notte non venga 
imbrattata la linea (28); il 剋enerale balogio
(剋eneral-chcip碭ek, dall'勇nfantilismo senile che ispeziona le 
truppe alla stazione di Budapest: 非i generali siffatti l'Austria ne 
aveva un bel mucchio(29)
Scendendo i gradini della gerarchia, ci si imbatte nel colonnello 
Kraus von Zillergut, 咬ispettabile gonzo 剃ossfolgoratamente 
scemo che gli ufficiali lo schivavano gida lontano tronfio di 
匍isticismo caporalescoe fanatico del saluto militare (30), e nel 
baggiano sottotenente Dub, campione di ottuso lealismo, 
arrabbiatissimo propugnatore della disciplina, rigorista pignolo, cui 
Ha蟌k appioppa, cavandone tutta una disquisizione, il nomignolo di 
厚oloprd'och(mezza scorreggia) (31) Una lotta di paladini si 
svolge tra 襒ejk e questo gran seccatore, 哀cimunito come la merda 
secondo il parere del suo attendente (32) Su Dub, che lo attedia con 
rimbrotti e cicchetti, il finto tonto, il messer Dolcibene si piglia 
le sue rivincite: costretto da lui a tracannare d'un fiato una 
bottiglia di cognac, gli fa bere a sua volta un'acqua che sa di scolo 
di concio e di urina equina (33); dopo che Dub ha tuonato contro i 
bordelli, minacciando di schiaffar dentro i soldati che vi si 
rechino, lo sorprende sborniato, in mutande, 勇n un paradiso pieno di 
cimici fra le braccia della signorina Ella (34)
I cappellani, tutti in uguale misura vinolenti e amatori di donnine 
allegre, costituiscono un esilarante gruppetto: da Otto Katz, ebreo 
di origine, detto 哀anto padre giocatore d'azzardo ed assiduo di 
case chiuse (35), a padre Lacina dalla nera bombetta, insaziabile 
lurco e sgocciaboccali, che smaltisce le crapule in grandi dormite 
con accompagnamento di peti e di rutti (36); da padre Ibl, che alle 
truppe partenti sciorina stolte storielle di sacrificio patriottico 
(37), al minchione padre Martinec che, brillo, visita 襒ejk nella 
pidocchiosa prigione di Przemy闤, ondeggiando 勁ieve come una piuma 
剃ome una ballerina sul palcoscenico(38)
In tutti questi citrulli da teatrino grottesco, in queste funeree 
macchiette sghimbesce qualcosa di repellente e di oscuro che 
rimanda ai coboldi, ai trolli, agli ambigui mostacci dei disegni di 
Kubin. Ma la caricatura di Ha蟌k non risparmia nemmeno i soldati, i 
lazzari, coloro che soffrono per l'arroganza di quei pecoroni. Con 
quanta beffa, ad esempio, egli tratteggia il pucflek Baloun, mulinaio 
dei dintorni di Krumlov, 剋rosso fante coperto di barba come 
Krakono蹍 (39), leccapentole, pappaknedl骿y, canna di chiavica, 
sempre bramoso di cibaria. Baloun ha la lupa, il diluvio, sfondato, 
ruba le vettovaglie degli altri, non fa che sognare cervellate, 
salsicce di fegato, sanguinaccio, fette di coppa, rammenta con 
malinconia le madornali mangiate dei giorni in cui al villaggio si 
ammazza il maiale (40) L'iperbolica gastrimargia, la cannarona 
pinguedine si associano in questo bamboccio a una fecalit
primordiale (41) Accade cosche la truppa, ripetendone la babbeit 
la natura melensa, i garbugli di stomaco, alleghi compiutamente coi 
suoi stolti ufficiali.
NOTE:
(1) Atto V, scena 55.
(2) Robert Musil, L'uomo senza qualitcit', I, p' 36.
(3) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', III-IV, pp' 87-88.
(4) Ibid', I-II, p' 67.
(5) Franz Kafka, Confessioni e diari cit', pp' 175 e 178-79.
(6) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', III-IV, p' 59.
(7) Ibid', p' 55.
(8) Vladislav Van襁ra, Pole orna v滎e螽cit', p' 157.
(9) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky cit', III-IV, pp' 270-76.
(10) Cfr' ibid', I-II, pp' 312-13.
(11) Max Brod, Vita battagliera cit', p' 96.
(12) Cfr' Angelo Maria Ripellino, introduzione a Bruno Schulz, Le 
botteghe color cannella cit', pp' XX-XXII. cfr' anche Claudio Magris, 
Il mito absburgico nella letteratura austriaca moderna, Torino 1963, 
pp' 277-86, e Lontano da dove? Joseph Roth e la traduzione 
ebraico-orientale, Torino 1971.
(13) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky cit', I-II, pp' 17-18.
(14) Karl Kraus, Die letzten Tage der Menschheit, atto IV, scena 
31.
(15) Leon Bloy, Au seuil de l'Apocalypse, Paris 1916, p' 69.
(16) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, p' 185.
(17) Ibid', pp' 189-90.
(18) Ibid', p' 241.
(19) Ibid', pp' 32-33.
(20) Bruno Schulz, Le botteghe color cannella cit', p' 118.
(21) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky cit', I-II, pp' 14, 19, 24.
(22) Cfr' Karel H歍ek, E'ivot vojenskeivot vesel in 褾eno 
starPraze cit', p' 164.
(23) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, p' 59.
(24) Johannes Urzidil, Trittico di Praga cit', p' 19.
(25) Cfr' Erwin Piscator, Il teatro politico cit', p' 196.
(26) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, p' 45.
(27) Cfr' ibid', pp' 199-204.
(28) Cfr' ibid', III-IV, pp' 84-85.
(29) Ibid', p' 74.
(30) Ibid', I-II, pp' 184-89.
(31) Ibid', III-IV, pp' 147-48.
(32) Ibid', p' 134.
(33) Cfr' ibid', pp' 121-23.
(34) Ibid', pp' 161-67.
(35) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky cit', I-II, pp' 80-81.
(36) Cfr' ibid', pp' 281-82.
(37) Cfr' ibid', III-IV, pp' 10-11.
(38) Ibid', p' 233.
(39) Ibid', I-II, p' 356.
(40) Cfr' ibid', p' 382.
(41) Cfr' ibid', III-IV, pp' 180-81.
101
C'poco amore nelle pagine di Ha蟌k, l'amore si restringe alle 
fugaci avventure degli ufficiali con donne malmaritate e alle 
ubriache estasi dei bordelli. Ma anche la prosa di Kafka scarseggia 
di profondo amore. Come afferma Bataille: 俠'廨otisme dans Le Proces 
ou Le Ch漮eau est un 廨otisme sans amour, sans desir et sans force, 
un 廨otisme de desert(1) In cambio nell'uno e nell'altro sono 
montagne di burocrazia, sulle cui cime un inafferrabile Klamm con la 
sua coorte di segretari e implacabili branchi di zebrati 咬apaci
troneggiano, come il baffuto e sornione gatto sacro di Klee sulla 
propria montagna (2)
Con la scure della satira Ha蟌k fa a pezzi i marci alberi 
dell'intricata boscaglia erariale. Nello 襒ejk la monarchia danubiana 
si dirama e si sfiocca in un perfido ginepraio di paragrafi e commi, 
di istruzioni segrete, di sconnesse cartelle, di questionari, di 
contraddittorie sentenze, di 哀trettamente confidenziale(3) Al 
tribunale penale 南ella maggioranza dei casi spariva ogni forma di 
logica e prevaleva il  strangolava il  folleggiava il  sbavava 
il  rideva il  minacciava il  ammazzava il  e non perdonava. 
Vi erano qui giocolieri delle leggi, ierofanti aggrappati alla 
lettera dei codici, divoratori di imputati, tigri della giungla 
austriaca, che misuravano il loro balzo sulla vittima secondo il 
numero dei paragrafi(4) La direzione di polizia 前ra costituita da 
una bellissima ciurma di burocratici rapaci che, per difendere quei 
contorti paragrafi, non avevano altri pensieri che la prigione e la 
forca(5) Il brigadiere Flanderka cossconvolto dal brulichio 
delle cifre delle circolari, che la notte si sente al collo il 
capestro, per averne confusa qualcuna (6)
Collima con Kafka l'autore di 襒ejk nella sua detrazione di una 
sfuggente burocrazia disumana, che sotterra gli inermi sotto fastelli 
di pratiche e pentateuchi di leggi, impigliandoli in cavilli 
procedurali, affibbiando le colpe a casaccio. L'auditore inquirente 
Bernis 厚erdeva il materiale di accusa ed era costretto a 
inventarselo di sana pianta. Imbrogliava i nomi, perdeva i fili del 
processo e ne accannellava di nuovi a vanvera. Giudicava i disertori 
per furto e i ladri per diserzione. Imbastiva anche processi politici 
campati in aria. Ricorreva ai pistravaganti artifizi, per 
convincere gli accusati di delitti che non si erano mai nemmeno 
sognati. Inventava reati di lesa maeste attribuiva sempre le frasi 
incriminate di sua invenzione a qualcuno, i cui atti di accusa o la 
cui denuncia si erano smarriti in quell'ininterrotto caos di 
incartamenti e di prescrizioni ufficiali(7)
Di questo caos amministrativo si trovano molteplici esempi nei 
libri di Kafka, specialmente nel Castello. Basterricordare la 
congerie di pratiche e di formulari e di carte legate come fascine 
che ingombra la casa del sindaco (8), le cataste di pacchi di 
documenti che gli inservienti, portandoli su carrettini, 
distribuiscono porta per porta ai segretari, all'隹lbergo dei 
Signori(9) Stipate di fascicoli sino al soffitto sono le squallide 
stanze dell'Archivio di Perla, cui soprintende una misteriosa 
Eccellenza, tutta ordini cavallereschi e ricami d'oro, il ciambellano 
dell'inaccessibile, camaleontico Patera in Die andere Seite di Kubin 
(10) Non divergono molto in sostanza dai freddi e letargici 
funzionari kafkiani i tronfi 咬apacie gli ebeti sgherri di Ha蟌k: 
allo stesso modo avviliscono la persona umana con tortuosite con 
intralci e con ciurmerie e con rimandi e rimandi e con torpide 
interdizioni. Solo che i funzionari incontrati da 襒ejk hanno 
mostacci sgargianti da cabaret derisorio, mentre quelli di Kafka 
balenano come nebulose parvenze dai volti intercambiabili.
In alcuni passaggi del libro di Ha蟌k l'idea lancinante del sopruso 
erariale si annoda a quella del sacrificio e del distruggimento degli 
inermi, degli innocenti. 非al presidio di Hrad螮ny la strada portava 
anche attraverso Bwevnov alla piazza d'armi di Motol. In testa, tra 
le baionette, marciava un uomo ammanettato e dietro di lui un carro 
con una bara. E sulla piazza d'armi di Motol un comando secco: "An! 
Feuer!E in tutti i reggimenti e i battaglioni veniva poi letto un 
ordine del giorno, secondo il quale un altro uomo era stato fucilato 
per ribellione...(11). Quando, al carcere presidiario, il finto 
tonto non torna piin cella, perchKatz lo ha scelto come 
attendente: 哎n soldato lentigginoso della milizia territoriale, 
provvisto di una fantasia straordinaria, diffuse la voce che 襒ejk 
aveva sparato sul suo capitano e che lo avevano portato alla piazza 
d'armi di Motol per l'esecuzione(12) Due soldati con la baionetta 
inastata, uno spilungone e uno piccolo e grasso, lo accompagnano da 
Otto Katz: 勇n via Karlova il piccolo e grasso rivolse di nuovo la 
parola a 襒ejk: "Non sai perchti stiamo portando dal cappellano?
"Perchio mi confessi, - disse 襒ejk alla leggera, - domani mi 
impiccheranno. Si fa sempre cose cisi chiama conforto 
spirituale亟 perchmai ti dovranno insomma...- chiese 
cautamente lo spilungone, mentre il grasso guardava 襒ejk con 
compassione. Erano entrambi artigiani di campagna, padri di famiglia. 
俏on lo so, - rispose 襒ejk con un sorriso bonario, - non so nulla. 
Saril destino遙 (13)
Non difficile accorgersi che questi passaggi, sebbene intrisi di 
umorismo da forca e per autodifesa atteggiati a un noncurante 
burlesco, combaciano col desolato finale del Processo di Kafka. La 
piazza d'armi di Motol non lontana da Strahov. La cosa, la bara, 
che rappresenta la maestdell'impalcatura erariale, avanza 
spocchiosa su un carro, ma il misero condannato va a piedi (14) 
Molti innocenti pendono dal proliferante albero dei paragrafi. 
L'esprit comique, come mostra Magritte in un suo quadro, tutto 
tagliuzzato da scissure e da squarci e da spacchi.
NOTE:
(1) Georges Bataille, Kafka, in La litterature et le mal, Paris 
1957, p' 186.
(2) Der Berg der heiligen Katze (1923)
(3) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky cit', I-II, pp' 231-33.
(4) Ibid', p' 28.
(5) Ibid', p' 45.
(6) Cfr' ibid', pp' 234-35.
(7) Ibid', p' 87.
(8) Franz Kafka, Il Castello cit', cap' V, p' 91.
(9) Franz Kafka, Il Castello cit', cap' XIX, pp' 300-5.
(10) Alfred Kubin, L'altra parte cit', p' 68.
(11) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, pp' 76-77.
(12) Ibid', p' 94.
(13) Ibid', p' 96.
(14) Cfr' Karel Kos骿, Ha蟌k a Kafka neboli grotesknsv皻 cit'
102
Nei meandri di questa trappola amministrativa, nelle strettoie di 
questo apparato decrepito 襒ejk si muove come in un labirinto. 
Disponibile sempre, lesto, sollecito, egli ignora l'estenuazione, 
l'affaticamento dei personaggi kafkiani, esseri di bambagia che 
spesso recitano la loro parte sprofondati nel molliccio di un letto. 
Con supplemento di allegoria si puaffermare che il labirinto 
austro-ungarico, in cui 襒ejk-pellegrino si aggira flemmaticamente, 
indossando una lorica di indifferenza, equivale al comenico 
勁abirinto del mondo vetrina di spropositate tare e magagne. Nel 
digressivo viaggio che porta il pucflek al fronte quel labirinto 
diventa a tratti via crucis, calvario.
All'ordito labirintesco nello 襒ejk corrisponde un forte impulso 
cinetico. A ragione Piscator notche, nel romanzo, nonostante la 
passivitdel protagonista, 咨utto in continuo movimentoe, per 
meglio rendere l'勇rrequieto incalzare degli avvenimentiche vi sono 
narrati, adopernella sua messinscena il tapis roulant, il nastro 
continuo (1) Se poi volessimo sottilizzare, diremmo che sono tre i 
labirinti: l'intrico di commissariati, caserme, baracche, manicomi, 
ospedali, prigioni, in cui 襒ejk si trova ingolfato all'inizio; lo 
zigzag itinerale, l'inestricabile viluppo di giravolte, che il 
pucflek esegue (volutamente) durante l'冠nabasi di Bud疀ovice e lo 
scombinato dedalo della Cacania, per cui la pigra tradotta, questa 
caracca di folli su ruote, arranca con infinite manovre, ghirigori, 
fermate, ritardi, sviamenti.
In cosfrastornato viaggio, fra tanti cambiamenti di scena, il 
luogo piidillico il manicomio, mansione paradisiaca, giardino di 
beatitudine, dove l'uomo rinviene nella propria mattia la libert
conculcata. 俏on riesco davvero - 襒ejk asserisce - a capire perchi 
pazzi si indispettiscano a stare rinchiusi. Ldentro si pu
strisciar nudi per il pavimento, ululare come sciacalli, infuriare e 
mordere. Se uno facesse qualcosa di simile sulla passeggiata, la 
gente si stupirebbe: e invece ldentro una cosa assolutamente 
normale俑i ci trovai molto bene - egli aggiunge - e i pochi giorni 
trascorsi nel manicomio sono tra i pibei momenti della mia vita 
青iascuno poteva dire ldentro ciche voleva e che in quell'istante 
la saliva gli portava alla lingua, come se fosse in un parlamento
(2)
Uno dei folli incontrati da 襒ejk in quel felice soggiorno sembra 
specchiarsi su una figura composita dell'Arcimboldo, il 
Bibliotecario: 侵l pifurioso era un signore, il quale si spacciava 
per il sedicesimo volume dell'Enciclopedia scientifica Otto e pregava 
ciascuno di aprirlo e di trovarvi la voce 青ucitoio di quinterni 
altrimenti sarebbe andato in rovina. Si calmava soltanto quando gli 
mettevano la camicia di forza. E allora era tutto contento di esser 
finito in un torchio da rilegatore e pregava che gli facessero una 
rifilatura moderna(3) cosnei cantari folclorici e nelle fiabe: X 
si immagina di esser tizzone ed implora i vicini di soffiargli 
addosso per avvivarlo; Z, credendosi un granello di senape, si tuffa 
al mercato in una giara di gialla mostarda, perchla mostarda senza 
senape non sa di nulla.
NOTE:
(1) Erwin Piscator, Il teatro politico cit', pp' 187-88.
(2) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, pp' 34-35.
(3) Ibid', p' 34.
103
Mettiamo che 襒ejk sia Praga stessa, il suo popolo sempre costretto 
a subire. Che la finzione del pucflek rispecchi il sotterraneo 
rifiuto caparbio della gente boema, una gente venuta, in questi 
esercizi di scaltra sottomissione, a tanta eccellenza da non avere 
chi la pareggi. Che conseguenze derivano da una siffatta sin troppo 
vera identificazione? E' presto detto: il teorema della falsa 
obbedienza comporta un corollario avvilente: la propensione a curvare 
la schiena, il servilismo beffardo, la rinunzia a ogni slancio, ad 
ogni impennata.
O forse un pretendere troppo. Lasciamo che 襒ejk, il cui 
mostaccio paffuto di finto idiota appartiene alla moderna mitologia 
come il frigido volto di cera di Keaton o il faccione rotondo dagli 
occhi lippi del Senecio di Klee, si destreggi, con la giubba 
sgualcita e gli enormi panni di gamba, fra gli euripi e le sirti di 
un oppressivo sistema. Non torcia da fiammeggiare, e del resto a 
che servono i gesti? La sua principale faccenda di sopravvivere. A 
questo omaccino dall'aria furbesca si addice il vocabolo 恃lobrda 
con cui si designa un mediocre piccolo ometto birroso, assai scaltro 
nel barcamenarsi, ciarliero come i barbieri e le gazze.
Kafka non ha ragione ldove afferma: 俠a grande epoca dei buffoni 
dovrebbe essere passata e non ritornermai pi欞 (1) Finchvi 
saranno tiranni, vi saranno buffoni. Come cornacchie da campanili 
assuefatte allo strepito delle campane, gli 襒ejk fanno orecchi di 
mercante al frastuono delle prescrizioni e dei bandi e si arrischiano 
di promulgare veritimpronunziabili, appunto perchai buffoni si 
permette tutto (2) E percilasciate che le mosche cachino sui sacri 
ritratti delle autorit che i vessilli esposti nelle vie di Praga 
per le vittorie degli altri, scolorendo, diventino, come osserva Max 
Brod, 咨risti fantasmi bagnati 勁enzuoli funebri(3)
Secondo la diceria l'orco Golem ritorna a spalleggiare gli ebrei 
nei frangenti funesti. Capita, per analogia, di pensare che nei 
giorni oscuri (che si protraggono infinitamente) uno spirito del 
camuffamento, uno 襒ejk, un demonio dell'ossequio fittizio, 
dell'artificiosa umiltpecorile possieda ed ispiri gli abitanti di 
Praga nella loro resistenza passiva ai soprusi e all'arbitrio degli 
oltremontani. Ed curioso che, quando 襒ejk va a finire tra i 
prigionieri russi per aver indossata l'uniforme di uno di loro, un 
sergente austriaco lo prenda per ebreo: 俏on devi negarlo, - continu
con aria sicura il sergente-interprete, - ogni prigioniero che 
conosca il tedesco un ebreo, e basta. Come ti chiami? 襒ejch? Vedi 
dunque, a che scopo lo neghi dal momento che hai un nome del tutto 
ebraico?Non solo, ma scambia per una storiella chassidica 
l'aneddoto che il bravo soldato senza indugi gli narra (4)
L'umore praghese, il ricordo della cittvitavina accompagnano 
sempre come un basso continuo, come una filigrana l'azione di questo 
romanzo. In certi brani dal ruvido, dallo scurrile trapela un'intensa 
nostalgia di Praga e in specie delle sue taverne. Che cosa di pi
malinconico del congedo di 襒ejk e Vodi螶a che, uscendo a Kiralyhid 
di prigione, ritornano ai propri reparti?
disse 襒ejk: - Quando sarfinita la guerra, vieni a farmi 
visita. Mi troverai ogni sera dalle sei in poi alla bettola "Al 
Calicea via Na Boji褾i.
 Certo che verr - rispose Vodi螶a, - ci sarbaldoria?
 Ogni giorno vi si scatena qualcosa, - promise 襒ejk, - e se ci 
fosse troppa calma, ci penseremo noi a far chiasso.
俟i separarono e, quando furono ormai distanti di parecchi passi 
l'uno dall'altro, il vecchio zappatore Vodi螶a grida 襒ejk: - 
Allora cerca davvero di metter su qualche spasso, quando verr
亟 襒ejk a sua volta: - Vieni persul serio, quando sarfinita 
questa guerra.
促oi si allontanarono e di nuovo si ud dopo una lunga pausa, di 
dietro l'angolo della seconda fila di baracche, la voce di Vodi螶a: - 
襒ejk, 襒ejk, che birra hanno al 青alice"?
亟 come un'eco risonla risposta di 襒ejk:
 Di VelkPopovice.
 Pensavo che avessero quella di Smichov, - urlda lontano lo 
zappatore Vodi螶a.
 Ci sono anche donnine, - grid襒ejk.
 Allora a dopo la guerra, alle sei di sera, - gridVodi螶a dal 
basso.
 Meglio se vieni alle sei e mezzo, per il caso che io dovessi 
tardare, - rispose 襒ejk.
促oi echeggiancora, ormai da grande distanza, Vodi螶a: - Alle sei 
non puoi venire?
 Va bene, verralle sei, - fu la risposta del camerata che si 
allontanava...(5).
Un lacerante sconforto, l'irrimediabile dei distacchi che muovono 
il pianto serpeggia in questo canone a due, in questo graduale 
dileguamento, che copre con assurde battute il brulichio desolato 
delle lontananze, l'angoscia per l'impenetrabile attivitdel 
destino.
Ed ecco, la guerra finita. Baloun tornato al villaggio a 
diluviare schidioni di starne e salsicce di fegato. 襒ejk nella 
bettola 隹l Caliceaspetta Vodi螶a ma, invece dello zappatore, 
riappare il confidente della polizia Bretschneider. Dunque non lo 
hanno dilaniato i sette orridi cani bastardi vendutigli da Josef 
襒ejk? (6) Dunque bisogna ricominciare daccapo con la finteria, le 
imposture, le gherminelle, infilarsi di nuovo sino alla nausea la 
maschera di malizioso citrullo? Eppure non deve perdere la 
speranza, come diceva lo zingaro Jane蟌k a Plze..(7).
NOTE:
(1) Franz Kafka, Confessioni e diari cit', p' 572 (29 luglio 1917)
(2) Cfr' Jan Grossmann, Kapitoly o Jaroslavu Ha螶ovy, in 俠isty 
1948, I.
(3) Max Brod, Vita battagliera cit', p' 105.
(4) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', III-IV, pp' 211-12.
(5) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky 
cit', I-II, pp' 355-56.
(6) Cfr' ibid', p' 54.
(7) Ibid', p' 344.
104
亟n mars 1902, je fus Prague. J'arrivais de Dresde cos
Apollinaire incomincia il racconto Le Passant de Prague (1) Questa 
puntata in Boemia, che il poeta francese insernel suo 咨our 
d'Allemagne ebbe un profondo significato per la cultura ceca. E non 
sarinutile qui rammentare che nell'estate dello stesso anno, in 
occasione di una sua mostra, visitPraga anche Rodin, accompagnato 
dal pittore Alfons Mucha, che viveva a Parigi (2)
Soffermiamoci un poco su questo racconto, che sull'esatta 
topografia della cittvitavina fa scorrere invenzioni chimeriche e 
sembra tenere di quel filone di diavolesche praghesi, che fu 
coltivato da Arbes, da Meyrink, da Kar滻ek. Il viaggiatore incantato 
chiede in tedesco a diversi passanti di indicargli un alloggio, ma 
quelli tirano dritto senza rispondere, finchun sesto, dopo avergli 
spiegato in francese con quanta acredine i cechi detestino ciche 
tedesco, gli addita 哎n h矌el situdans une rue dont le nom est 
orthographide telle sorte quon le prononce Porjitz
Apollinaire si fermdunque a Na Pow斁 una strada della Citt
Nuova, che non scarseggiava di bettole, chiassi, birrerie, 
Tanztavernen, caffconcerto: 隹l bue verde "Al fagiano d'oro 侵l 
gallo nero 侵l cigno bianco(3) 侵l rez-de-chauss嶪 
dell'hotel, che mi era stato indicato, era occupato da un caf
chantant. Al primo piano trovai una vecchia che, dopo aver pattuito 
il prezzo, mi condusse in una camera angusta a due letti. Precisai 
che intendevo abitare da solo. La donna sorrise e mi disse di fare a 
mio piacimento: in ogni caso avrei facilmente trovato una compagna al 
cafchantant del rez-de-chauss嶪
Varie congetture sono state avanzate sul nome di quella locanda. 
Nezval, assieme ai poeti della sua generazione, era certo che 
Apollinaire fosse sceso al fatiscente albergo Bavaria, nel cui 
edificio era ubicato il cabaret U Rozvawil 俑i caro il viadotto 
di Karlin; mi cara la vista del misterioso hotel Bavaria... 
l'hotel in sfacelo, che mi sembra una delle pipoetiche case di 
questo quartiere e al quale mi reco sempre una volta all'anno, come 
se avessi dinanzi al suo ingresso un appuntamento col mio destino, 
che assume l'aspetto di un essere arcano, di un'illustrazione che mi 
abbia affascinato ma che non ricordo, o di un'immaginaria ruffiana 
che si sia messa in mente di farmi sparire dal mondo: confondo certi 
edifici ammalianti, come confondo le carte da giuoco ed alcuni 
omonimi(4)
Ed ecco Wilhelm de Kostrowitzky esce dall'ambiguo albergo, per 
compiere la sua traversata di Praga. Incontra Isaac Laquedem, 
l'彋ernel Juif, che si rincarnato in diverse epoche e diversi 
luoghi. Con questo nome fiammingo, attinto a una complainte 
medievale, Ahasvero era stato gimentovato da Tristan Corbiere nella 
raccolta Les amours jaunes (5)
Avviluppato in un lungo mantello marrone dal collo di lontra, 
strettissime brache di drappo nero, una piccola benda di seta nera 
sulla fronte, sul capo un cappellaccio di feltro nero, 削i quelli che 
spesso portano i professori tedeschi Isaac Laquedem ha tutti i 
numeri per figurare nel museo dei fantasmi di Praga. 侵l viso quasi 
spariva nel folto della barba, dei baffi e dei capelli lunghi 
oltremisura ma pettinati accuratamente, candidi come ermellino. 
Tuttavia si vedevano le labbra spesse e violette. Il naso era 
prominente, villoso e adunco
Sembianza in bianco e nero, con aggiunta di viola, Laquedem narra 
al poeta delle proprie rincarnazioni nei secoli, della propria 哉ita 
senza fine e senza riposo che stata e sarun camminare, un 
camminare perenne sino al Giudizio Finale. 亮esmi ordindi 
camminare sino al suo ritorno 匍a io non percorro una via crucis, 
le mie strade sono feliciL'Ebreo Errante di Apollinaire non 
rassomiglia a quello effigiato da HanuSchwaiger, vagabondo cencioso 
e decrepito, carcame diafano, quasi straccio di nebbia, della stirpe 
inquietante di acchiappatopi, spauracchi e coboldi, che questo 
pittore boemo di fine Ottocento amtratteggiare (6) Nonostante la 
zavorra degli anni, Laquedem ancora verde, il suo umore non 
freddo e tardissimo come nei vecchi, non lo bistratta l'ipocondria: 
carnalaccio e mangione, la longevitsecolare non gli impedisce di 
alzare il gomito nelle taverne, di prendersi mille spassi e di 
fottere.
Dal pomeriggio alla profondissima notte Laquedem accompagna il 
poeta nell'itinerario per la cittvitavina. pitardi Yvan Goll 
osserverche, dovunque Apollinaire-Kostrowitzky si aggiri, sempre 
剋li taglia la strada l'oscura ombra dell'Eterno Ebreo(7) Dinanzi 
ai loro occhi si profilano come in un diorama la Piazza della Citt
Vecchia, la chiesa di T蓽 col sepolcro di Tycho Brahe, l'orologio di 
Mistr Hanucon le sue statuette animate, il Quinto Quartiere con la 
sinagoga Vecchio-Nuova e l'orologio del Municipio ebraico, le cui 
勁ancette vanno all'indietro il Ponte Carlo, adorno di sacre 
statue, dal quale 哀i gode il magnifico spettacolo della vitava e di 
tutta la cittdi Praga con le sue chiese e coi suoi conventi
Discorrendo del destino del popolo ebraico, Laquedem e il poeta 
salgono verso Hrad螮ny, per visitare la cattedrale di San Vito, 削ove 
sono le tombe reali e il reliquiario d'argento di San NepomucenoE 
qui, nella cappella 削ove si incoronavano i re di Boemia e il santo 
re Venceslao subil martirio cappella dai muri incrostati di 
agate, diaspri, crisopazi, corniole e altre gemme, Laquedem addita al 
poeta, che prestava fede ai pentacoli, ai talismani e a ogni sorta di 
candarie (8), un'ametista, le cui venature disegnano 哎na faccia 
dagli occhi fiammeggianti e folli la maschera di Napoleone.  E' 
il mio viso, gridai, coi miei occhi scuri e gelosi! - Ed vero. E' 
l il mio ritratto dolente, vicino alla porta di bronzo, dove pende 
l'anello che teneva san Venceslao, quando fu massacrato. Dovemmo 
uscire. Ero pallido e infelice di essermi visto folle, io che ho 
tanta paura di diventarlo(9)
Nezval racconter 俏on ho trascurato di chiedere a uno di quelli 
che mi sono vicini nella concezione della poesia, a Tristan Tzara, se 
abbia visto sulle pareti della cappella di San Venceslao a San Vito 
le agate a cui due passaggi dell'opera di Guillaume Apollinaire 
assicurano una seconda immortalit un'immortalitdi nuovo genere
(10) Nel suo soggiorno praghese, nel 1928, Jules Romains volle 
recarsi nella cappella, per 咨rovare l'effigie di Apollinaire in una 
delle sue pietre dure(11)
Il tema delle agate dai tratti umani, delle gemme figurate riappare 
nel dramma praghese Kr滎 Rudolf di JiwKar滻ek. Tornando da un 
viaggio, l'impostore Arthur Dee porta al sovrano un gamah una di 
quelle pietre cosparse di geroglifici, che incanteranno Breton (12) 
亟' il pimisterioso - egli dice - talismano che la magia conosca. 
La natura stessa in rari attimi imprime nelle pietre, nei metalli e 
nei minerali immagini arcaneQuesto gamah rinvenuto a Venezia tra 
le cianfrusaglie di uno stregone orientale, spentosi a trecento anni, 
avrebbe il potere di prolungare la vita. Ma con orrore Rodolfo vi 
scorge un emblema di morte, uno scheletro (13) Delle impronte 
spettrali dei visi umani negli oggetti Apollinaire fa parola in un 
altro racconto, La serviette des poetes (1907), storia di quattro 
poeti che si contagiano l'un l'altro la tisi, asciugandosi tutti la 
bocca nello stesso tovagliolo, dai cui luridi grumi, dopo la loro 
dipartita, traspariranno quattro volti, come da una quadruplice 
veronica (14)
Ma riprendiamo l'itinerario praghese con Apollinaire e Laquedem, i 
quali, scesa la notte, riattraversano il fiume 哀u un ponte pi
modernoDopo aver cenato e ballato in un'auberge al fragore 
diabolico di un'orchestrina di tre musicanti, vanno di nuovo nella 
Cittebraica. E in una delle sue taverne-postriboli bevono vino 
d'Ungheria e l'arzillo Laquedem, sfoderando il suo lungo bordone, il 
suo 咨ronco nocchioso come un fallo arborescente da emblema 
alchimistico, si intrattiene con 哎na ungherese popputa e naticuta
All'uscita l'Eterno Ebreo si allontana nella gelida notte, e il poeta 
segue con gli occhi i giuochi della sua ombra, che il baluginio dei 
riflessi moltiplica. D'improvviso, con urlo di bestia ferita, si 
accascia al suolo. Il tempo per lui venuto di lasciar Praga. 
Risusciterin altri luoghi, con altre sembianze.
NOTE:
(1) Il racconto uscdapprima su 俠a Revue Blanchedel 1o giugno 
1902 e poi nella raccolta L'H廨esiarque et C'ie. Ora in Guillaume 
Apollinaire, 飀vres completes cit' Cfr' Pierre-Marcel Adema, 
Guillaume Apollinaire, Paris 1968, p' 74.
(2) Cfr' JiwMucha, Kank滱 se svatoz漙 E'ivot a dilo Alfonse 
Muchy, Praha 1969, pp' 209-12.
(3) Cfr' Eduard Bass, Kuk漮ko cit', pp' 211-12.
(4) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', pp' 358, 361, 373. Cfr' 
anche Z m逸o eivota cit', p' 168.
(5) Cfr' Charles Cros - Tristan Corbiere, 飀vres completes, Paris 
1970, pp' 749, 760.
(6) Cfr' Miroslav Lama HanuSchwaiger, Praha 1957, p' 27.
(7) Yvan Goll, Brief an den verstorbenen Dichter Apollinaire 
(1918), ora in Dichtungen (Lyrik-Prosa-Drama), Darmstadt 1960, p' 43.
(8) Cfr' Pascal Pia, Apollinaire par lui-m瘱e, Paris 1958, pp' 
148-50.
(9) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 
197-200.
(10) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 373.
(11) Cfr' Otakar 褾orch-Marien, Oh螉stroj cit', p' 110.
(12) Cfr' AndrBreton, Langue des pierres (1957), in Perspective 
cavaliere, Paris 1970, pp' 149-51.
(13) JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf cit', atto I, pp' 26-27.
(14) Guillaume Apollinaire, La serviette des poetes, in 
L'H廨esiarque et C'ie, ora in 飀vres completes cit', I, pp' 200-2.
105
Antichi manoscritti rappresentano le operazioni alchimiche con una 
sequela di vasi abitati da simulacri e da simboli. Se volessimo 
significare le magiche trasmutazioni della materia di Praga, 
racchiudendo le sue figure emblematiche in crogiuoli lutati, - in uno 
di essi si allogherebbe, arrogante e non meno praghese dei fantocci 
di L饖 o di Ha蟌k, Isaac Laquedem, pellegrino ed illusionista che, 
per il ciclismo delle sue periodiche riapparizioni, ha qualcosa in 
comune col Golem di Meyrink. Del resto, con la sua longevitsenza 
cancheri, come se avesse bevuto un elisirvite di Kelley o di 
Sendivogius e pustare accanto all'Emilia Marty-Makropulos della 
commedia di Karel 螮pek: 保gni novanta o cento anni un male terribile 
mi colpisce. Ma io ne guarisco, e ritrovo le forze necessarie per un 
altro secolo di vita
Con grande intuizione (e qui forse entra in giuoco l'origine slava) 
Apollinaire ha percepito alcuni elementi precipui della sostanza 
streghesca di Praga. Egli ha colto la losca magia del Quinto 
Quartiere, la sua tristezza, il suo impasto di talmudico e di 
malfamato, il suo odore di puttanesimo. E tra i sortilegi della citt
vitavina ha immesso il maleficio dei volti che occhieggiano dalle 
pietre dure. Le agate di San Vito, nella cui grana scorge sgomento il 
proprio sembiante, le taverne, in cui ascolta canzoni ceche, le 
lancette dell'orologio della Cittebraica: tutto questo ritorna in 
celebri versi del poemetto Zone (1912), dove egli accenna anche a 
un'arcana auberge dei dintorni:
Tu es dans le jardin d'une auberge aux environs de Prague@ tu te 
sens tout heureux une rose est sur la table@ et tu observes au lieu 
d'嶰rire ton conte en prose@ la cetoine qui dort dans le c飀r de la 
rose@@ Epouvanttu te vois dessindans les agates de Saint-Vit@ tu 
彋ais triste mourir le jour ou tu t'y vis@ tu ressembles au Lazare 
affolpar le jour@ les aiguilles de l'horloge du quartier juif vont 
rebours@ et tu recules aussi dans ta vie lentement@ en montant au 
Hradchin et le soir en 嶰outant@ dans les tavernes chanter des 
chansons tcheques.@
A proposito del 勉ardin d'une auberge il poeta Karel Toman 
suppose che Apollinaire alludesse alla vecchia osteria 恃ipkapas la 
cui terrazza si affacciava sulla valle di 鍒rka, - osteria 
frequentata dagli studenti tedeschi. Ma un altro poeta, Konstantin 
Biebl, era persuaso che il 勉ardinfosse l'altana di 俚latStudn篕 
(Il pozzo d'oro), una pittoresca taverna di MalStrana, arrampicata 
nel verde in cima a ripide scale, con una splendida vista sul 
verderame della cupola di San Nicola e su tutto il panorama di Praga. 
E non importa se MalStrana non era un sobborgo (1)
L'editore-scrittore Otakar 褾orch-Marien racconta di aver tentato 
con Karel 螮pek di ravvisare nell'area intorno a Hrad螮ny l'auberge 
alla quale si riferisce il poeta francese: 俘icordo benissimo il 
pomeriggio d'estate in cui giungemmo sulla piazzetta che ha nome U 
Daliborky e da dove si accede alla Viuzza d'Oro. Dirimpetto alle 
caserme della guardia del Castello era una bettola d'angolo: non so 
piquale fosse il suo nome, non ne rimasta la minima traccia. A 
quella casa hanno appiccicato anni addietro una facciata da cartolina 
e al posto dell'antico ingresso ora una finestra. Vi bazzicavano in 
specie i soldati e vi si svagavano spesso con canti corali. Anche 
quel giorno veniva dalla taverna una languida e mesta canzone a pi
voci, che infuse nell'animo nostro malinconia. Ci fermammo per 
ascoltare. "In ugual modo da queste parti avrforse ascoltato anche 
Apollinaire", disse Karel dopo un istante, appoggiandosi al bastone. 
"Con Zone le taverne praghesi sono entrate nell'eternit鉬, aggiunse 
con un fanciullesco sorriso, accendendosi una cicca. "Ma quale 
osteria "agli orli di Praga" potressere stata quella di cui si 
parla in Zone?osservai incuriosito, guardando gli azzurri e come 
onniscienti occhi di Karel. "Difficile dirlo, - rispose, - del resto 
non va presa alla lettera. E' chiaro che non era affatto agli orli di 
Praga, ma forse a pochi passi da qui, a ZlatStudn(2) Lo stesso 
褾orch-Marien rammenta come Giraudoux lodasse 勁'intimitdelle 
praghesi taverne-giardino che Apollinaire aveva scoperto nel suo 
ormai mitologico viaggio (3)
Con la traversata descritta dall'autore di Alcools e di 
Calligrammes collima quella compiuta dal poeta tedesco Detlev von 
Liliencron nel maggio 1898. Liliencron era stato fugacemente nella 
capitale boema, giovane ufficialetto, durante la guerra 
austro-prussiana del 1866. Ma fu il soggiorno del 98 a innamorarlo 
della cittvitavina, dove sarebbe tornato pivolte col vano 
desiderio di prendervi fissa dimora. 侶uando sarmorto, - egli preg
il poeta praghese Oskar Wiener, che lo accompagnava, - ritragga le 
nostre scorribande per Praga. Racconti tutto, perchsi sappia come 
io mi sia qui sentito felice(4)
Gambettando per strada come un capriuolo, ripeteva: 促rag ist 
sch霵er wie meine Lieblingstadt Palermo!(Praga pibella della 
mia prediletta cittdi Palermo!), ma a Palermo non era mai stato. 
Correva dietro alle ragazze, gridando: 咨schippi tschappi come se 
fossero parole ceche, e smargiassava contento: 俐ie schnell habe ich 
b鐬misch erlernt(Come ho imparato presto il boemo) (5) Da Na 
Pw骿opandarono a Piazza San Venceslao, che Liliencron defin勁a 
pisuperba strada del mondo a Piazza della CittVecchia, dove 
osservl'orologio di Mistr Hanu il punto in cui, il 21 giugno 
1621, era stato eretto l'ignominioso patibolo per il supplizio dei 
ventisette signori boemi, e la chiesa di T蓽 col sepolcro di Tycho 
dalla lapide di marmo rosso. Di qui al Quinto Quartiere, dove, fra i 
rimasugli delle unte casupole diroccate dal risanamento, ammirla 
Sinagoga Vecchio-Nuova, l'orologio del Municipio con le lancette 
retrograde, il cimitero ebraico con l'avello di L饖 ben Becalel.
Passato poi il Ponte Carlo, salirono a Petwin, per guardare la 
luccicante vitava al tramonto. E' curioso che l'itinerario della 
prima giornata praghese di Liliencron si concluda, come quello di 
Apollinaire, in una Singspielhalle ebreo-ceca. E che in esso 
l'elemento ebraico di Praga abbia lo stesso risalto che nel racconto 
del poeta francese: 侶uando, dopo aver percorso in lungo e in largo 
il vecchio cimitero ebraico, che era ingombro di narcotico odor di 
sambuco, sostammo dinanzi alla tomba dell'alto Rabbi L饖, Liliencron 
disse: "Lei deve darmi piampi ragguagli su questo popolo che non 
puvivere e non pumorire"(6)
Questa passeggiata e ancor piquelle dei giorni seguenti e di sei 
anni dopo e l'ultima, poco prima che Liliencron si spegnesse, offrono 
a Wiener il destro per decantare le bellezze di Praga, per tessere un 
minuzioso baedeker su bettole, chiese, palazzi, cappelle, giardini, 
con annesse leggende. Ma l'itinerario, almeno all'inizio, somiglia 
talmente al periplo di Apollinaire, da ingenerare il sospetto che 
Wiener si sia ricordato delle giravolte del 厚assante di Praga
(1902) nel descrivere (1922) gli Streifze del suo viaggiatore 
incantato.
NOTE:
(1) Cfr' Zden瘯 Kalista, Legenda o Apollinairovi, in 信ost do 
domu 1968, 4.
(2) Otakar 褾orch- Marien, Sladko je 鋱t cit', p' 130.
(3) Id', Oh螉stroj cit', p' 69.
(4) Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten cit', p' 100.
(5) Ibid', pp' 35 e 37.
(6) Ibid', p' 40.
106
促raga pibella della mia prediletta cittdi Palermoasser
Liliencron con un accostamento che mi ingombra l'anima di duplice 
malinconia. Nel poema Sv皻lem od瘽(Vestita di luce, 1940), 
carrellata sulla cittvitavina, Seifert prorompe: 促raga era pi
bella di RomaIn queste frasi mi sembra inscritto il vacillante 
triangolo della mia vita.
Il cominciamento della fortuna di Apollinaire in Boemia risale al 6 
febbraio 1919, quando Karel 螮pek pubblicsulla rivista 恃erven
(Giugno) la propria versione di Zone, con xilografie del fratello 
Josef, - versione che poi (1920) avrebbe inserito nella preziosa 
antologia di poeti francesi moderni, 厚rodigio dell'arte di tradurre 
poesiaa detta di Nezval (1), specchio di ammaliamenti per i giovani 
lirici boemi di quel dopoguerra. I tumultuosi affiliati 
dell'associazione 非ev皻sil(Il Farfaraccio) (2), fondata a Praga il 
5 ottobre 1920, sia nell'iniziale tendenza alle formule del 
proletarismo che nella fase seguente, quella poetistica, fecero di 
Apollinaire, 冠rlecchino di Parnasse e Montparnasse(3), 哀enza del 
quale non vi sarebbe la poesia del ventesimo secolo(4), il proprio 
nume e patrono, il capocaccia delle selve di Apollo, il ristoratore, 
la fontaine de Jouvence delle lettere boeme.
Stava perennemente dinanzi ai loro occhi, vivissima nella sceneria 
di Parigi, l'immagine del poeta col bianco rinvolto di bende sulla 
testa ferita. JiwWolker, Zden瘯 Kalista, Konstantin Biebl, Jaroslav 
Seifert, Vit瞛slav Nezval ed altri si imbragiarono a tal punto della 
sua opera, che avrebbero potuto ripetere con Blaise Cendrars:
Apollinaire n'est pas mort@ vous avez suivi un corbillard vide@ 
Apollinaire est un mage@ (5)隹pollinaire - affermKarel Teige, il 
prestigioso teorico del poetismo - per noi il simbolo di quello 
Spirito Nuovo, per il cui trionfo lottiamo ancora nella sua ombra. 
Apollinaire per noi l'asse di tutta la poesia moderna: la sua opera 
la pietra miliare da cui datiamo la nuova era della moderna 
creazione... 隹 Parigi e a Praga, cittche vivono nelle sue 
liriche, nel fulgore di una comune primavera libera e creativa 
dell'arte, dappertutto incontriamo il suo viso ed il suo sorriso...
(6)
Nei loro versi i poetisti ritrassero e ricordarono spesso l'autore 
dei Calligrammes. 促arigi lo specchio d'Europa. Vi scorgo il Vostro 
sorrisoscrisse Seifert nell'ede Guillaume Apollinaire, avvicinando 
l'effigie del 匍orto timoniereall'Eiffel, 冠rpa d'Eolo(7) Nella 
poesia Generace (Generazione) Biebl congettura che Apollinaire sieda 
a ZlatStudne che al tavolo accanto i poetisti, 剋iovani poeti e 
vecchi screanzati lo imitino nel bere vini francesi e nel fumare la 
pipa: 促roveremo anche noi - a fare nuove nuvolette(8) pitardi 
Nezval supplichercon rimpianto: 叛ualcuno mi reciti tutte les 
fleurs du mal come karel teige - oppure i calligrammes di apollinaire 
il cui nome ancor oggi mi fa piangere(9)
E' suggestivo pensare con Biebl che, tranquillamente pipando, 
Apollinaire guardi dalla terrazza di ZlatStudnl'orografia 
luccicante dei tetti di MalStrana, il conglomerato bizzarro di 
torri, torrette, abbaini, comignoli, e la cupola di San Nicola, 勇l 
pipuro smeraldo del mondo(10) I poetisti la notte trottavano, 
come una compagnia di stregoni, per la cittvitavina, assaporandone 
il fascino attraverso il ricordo dei versi di Zone. Nelle piazze, sui 
ponti, nei lungofiume pareva loro di udire i passi e la voce del 
poeta francese. Non sapevano raffigurarsi questo emporio di 
meraviglie senza la sua cicaliera presenza.
俠'Eterno Ebreo del racconto di Apollinaire - ha scritto Zden瘯 
Kalista - divenne addirittura una sorta di simbolo del nostro 
girovagare tra le lanterne a gas e i cantucci remoti della citt Non 
era possibile nella quiete notturna guizzare accanto al municipio 
della CittVecchia, senza rivivere dinanzi all'orologio la scena che 
conoscevamo dal Passante di Praga. Non era possibile sfiorare nel 
buio i muri del vecchio cimitero ebraico, senza che il silenzio di 
quel luogo non si allargasse per Nezval nel quadro della vecchia 
Cittebraica dell'inizio del secolo, che ormai non esisteva. La 
bettola all'angolo di via Josefsknella Praga V d'allora gli si era 
mutata nell'osteria in cui Laquedem entra col poeta, e nella sua 
fantasia una ragazza incontrata per strada era fuggita a 哎ne matrone 
marmonnant l'appel l'amour nocturne" Dovevamo andare a Vinohrady, 
dove si incontrano "des fillettes de quatorze quinze ans, que des 
philopedes eux-m瘱es trouveraient de leur go", dovevamo andare al 
noioso cabaret U Rozvawil perchera vicino all'hotel Bavorsk
dv鑴, dove Nezval riteneva, secondo la sua interpretazione del 
Passante di Praga, che Apollinaire avesse abitato(11)
俏on riesco ad esprimere con sufficiente fervore - sono parole di 
Nezval - come sia stato proprio lui, come siano stati i suoi occhi 
chimericamente velati a insegnarmi a guardare altrimenti, in maniera 
nuova, tutte le cose praghesi, che sino a poco tempo prima erano 
esclusivo argomento dei romanzetti Vecchia Praga(12) Anche gli 
amici stranieri, e in specie i francesi, i poetisti guidavano alla 
scoperta della cittvitavina lungo il tracciato percorso dal loro 
nume. Nezval ha narrato di una visita fatta nell'aprile del 35 con 
Paul Eluard al Museo ebraico. L'accompagnatore, 哎n giovane ebreo 
dalla fisionomia fantoccesca che essi avevano preso per un 
sordomuto, dopo averli lasciati osservare, senza dir parola, quel 
匍iracoloso ciarpame d'improvviso li apostrofad alta voce in 
falsetto: 哀urrealistiAllibiti, pensarono che il giovane ebreo 
dall'aspetto di marionetta fosse una nuova rincarnazione di Isaac 
Laquedem (13)
L'influsso di Apollinaire sulle lettere boeme esigerebbe lunghezza 
di trattato. Non vi fu poeta del primo dopoguerra che non venisse 
cogliendo conchiglie, nicchi, pietruzze nel mare della sua opera. 
Seifert tradusse il 削rame surrealisteLes mamelles de Tiresias, che 
andin scena all'Osvobozendivadlo (Teatro Liberato) il 23 ottobre 
1926. Nel 1928 la rivista 俘ed(Revue Dev皻sil) dedicun numero ad 
Apollinaire per il decennale della scomparsa (9 novembre 1918) Dal 
poeta francese, studiato a oncia a oncia, i poetisti impararono il 
senso del proteiforme e del meraviglioso, la mobilitdei raccordi, 
la tendenza alla perpetua trasformazione, al volubile, l'incanto 
della frivolezza, un certo cattivo gusto, una certa faciloneria. 
Tracce dei 剃alligrammessi ritrovano nella struttura tipografica 
dei loro libri e nelle loro 厚oesie otticheAncor di recente a 
quelle pittografie si ricollegato JiwKol漙 nei suoi tentativi di 
厚oesia evidente in specie nella raccolta L'enseigne de Gersaint 
(1966)
Zone, questo poema che, per Nezval, 南on ha l'uguale nel ventesimo 
secolo(14), 剌ragorosa e languida insieme - a detta di Teige - 
rapsodia di un globetrotter(15), si trasformin una sacra 
scrittura, in un campionario di archetipi. Vi fu persino una rivista 
a Brno, diretta dal critico Bedwibl V歊lavek, che ne prese il nome 
(Zone: in ceco P滻mo) I giovani lirici cechi di quel dopoguerra 
appaiono a tal punto maleficiati dai filtri di questa 剋aloppante 
pellicola ubriaca(16), che si potrebbe affermare di loro assieme a 
Cendrars: 侵ls parlent tous la langue d'Apollinaire(17) La 
concezione della poesia come un flusso infrenabile di lirica lava, 
l'agglomeramento simultaneo di temi difformi, l'abolizione 
dell'interpunzione, l'abbandono del ductus logico in favore 
dell'incongruo dell'analogia: tutto questo fu calamita possente per 
ispirare una serie di poemetti, la cui matrice nei versi di Zone. 
Mi riferisco a SvatKope蟌k (1921) di JiwWolker, a Panychida 
(Requiem, 1927) di Vil鄉 Z潎ada, a NovIkaros (Il nuovo Icaro, 1929) 
di Konstantin Biebl, e in specie a Edison (1927) di Vit瞛slav Nezval 
(18)
Su quest'ultimo il poeta cubista, 厚ianeta creatore di destini 
nell'oroscopo della moderna poesia come assevera Teige (19), 
esercitun immenso influsso. Il poemetto Podivuhodnkouzeln骿 
(L'incantatore meraviglioso, 1922) riprende motivi de L'enchanteur 
pourrissant. La prosa-periplo Praeskchodec (Il passante di Praga, 
1938) si riallaccia al racconto omonimo. La commedia Depe蟌 na 
kole螶槆l (Il dispaccio a rotelle, 1924) risente della concezione del 
teatro esposta dal Directeur de la troupe nel Prologo de Les mamelles 
de Tiresias. Ma vestigia di apollinairismo sono stampate in tutta la 
sterminata produzione nezvalica. Non paghi di attingere alla sua 
poesia, i poetisti trassero spunti e predilezioni dalla biografia 
dell'autore dei Calligrammes: l'invaghimento per il doganiere 
Rousseau, la credenza nei talismani, la passione per le pipe, di cui 
Apollinaire possedeva un'intera raccolta (20) Ma, propensi a 
guardare l'appena cessato conflitto come apocalissi e catastrofe, al 
modo degli espressionisti, non condivisero (unico forse divario) il 
battaglieresco attivismo, l'entusiasmo militare, la propensione di 
Apollinaire a convertire la guerra in una favola, in una luminaria.
Ciche picolpisce, in questo giuoco di rispecchiamenti e 
ricalchi, la straordinaria somiglianza di Nezval ad Apollinaire nel 
carattere e nell'aspetto. Nezval aveva infatti lo stesso umor 
capriccioso, la stessa indole di bon vivant e fantaisiste, 
addirittura la stessa corpulenza del poeta francese (21) Quella 
corpulenza da cardinalone di pezza, da alto prelato delle lettere 
boeme, che Hoffmeister satireggia nel ciclo di collages Nezvali歍a 
(22) In essi, come in una sequenza di scenette clownesche proiettate 
su sfondi di vecchie litografie, il rotondo caposcuola poetistico 
nasce in una cesta da un enorme uovo, con uno svolazzante mantello 
teatrale da obeso bardo romantico naviga dentro una barca verso 
l'incognito continente della poesia, si muta in fatticcio D'Artagnan 
dal cappello di piume, goffamente si regge come un Fatty a una 
ghirlanda d'alloro tenuta da un'antica statua, come se si reggesse al 
sostegno di un tram...
NOTE:
(1) Vit瞛slav Nezval, Z m逸o eivota cit', p' 65.
(2) Il termine 削ev皻sil(farfaraccio, petasites officinalis, 
Pestwurz), che fu suggerito al gruppo dai fratelli 螮pek (cfr' Adolf 
Hoffmeister, Ach, ml歍 in Pwedobrazy, Praha 1962, p' 34), viene 
spesso confuso con 厚odb瘭 tussilago farfara, ossia farfaro, 
farfugio, pid'asino, Huflattich. Nelle sue componenti 削ev皻e 
哀il(nove forze) questo fonema botanico allude forse anche alle 
nuove muse.
(3) Karel Teige, Guillaume Apollinaire a jeho doba (1928), in Sv皻 
stavby a b滻n Praha 1966, p' 373.
(4) Vit瞛slav Nezval, Guillaume Apollinaire (1955), in Modern
poesie, Praha 1958, p' 25.
(5) Blaise Cendrars, Hommage Guillaume Apollinaire (1918), in Du 
monde entier au c飀r du monde cit', p' 252.
(6) Karel Teige, Guillaume Apollinaire a jeho doba, in Sv皻 stavby 
a b滻ncit', p' 403.
(7) Jaroslav Seifert, Na vln槆l T'S'F' (1925)
(8) Konstantin Biebl, Generace (1930), in Dilo, V, Praha 1954, p' 
125.
(9) Vit瞛slav Nezval, Vyzv滱pw漮el籯, in Sklen瘽havelok, Praha 
1932.
(10) MiloJir滱ek, O kr滻nPraze, in Dojmy a potulky cit', p' 43.
(11) Zden瘯 Kalista, Legenda o Apollinairovi cit' Cfr' Vit瞛slav 
Nezval, Z m逸o eivota cit', p' 168.
(12) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 373.
(13) Ibid', pp' 325-26.
(14) Vit瞛slav Nezval, Z m逸o eivota cit', p' 65. Cfr' anche id', 
Guillaume Apollinaire, in Modernpoesie cit', p' 28. Nel suo Brief 
an den verstorbenen Dichter Apollinaire Yvan Goll, che fu caro ai 
poetisti, aveva scritto: 非eine Dichtung Zone ist unsres Jahrunderts 
erste Kundgebung und Quelle gewaltigerer Str闣e(Dichtungen cit', p' 
43)
(15) Karel Teige, Guillaume Apollinaire a jeho doba, in Sv皻 stavby 
a b滻ncit', p' 389.
(16) Ibid', p' 390.
(17) Blaise Cendrars, Hommage Guillaume Apollinaire, in Du monde 
entier au c飀r du monde cit', p' 253.
(18) Cfr' Milan Kundera, Velikutopie modern駩o b滻nictv 
introduzione a Guillaume Apollinaire, Alkoholy eivota, Praha 1965, p' 
9.
(19) Karel Teige, Guillaume Apollinaire a jeho doba, in Sv皻 stavby 
a b滻ncit', p' 344.
(20) Cfr' Pierre-Marcel Adema, Guillaume Apollinaire cit', p' 182.
(21) Cfr' Milan Kundera, Velikutopie modern駩o b滻nictvcit', 
pp' 9-10.
(22) Cfr' Adolf Hoffmeister, 螮s se nevrac Praha 1965, e Miroslav 
Lama V蓨varndilo Adolfa Hoffmeistera cit'
107
Viviane, la crudele Dame du Lac, creatura Art Nouveau, alloppia il 
mago Merlino, che di lei si invaghito, e, felice di aver incantato 
l'incantatore, lo inuma in un'arca nel folto della profonda foresta. 
Ma sul far della notte da ogni parte convengono a compiangere il mago 
in catalessi e a dialogare con la sua voce sepolta druidi, serpenti, 
rospi, lucertole, pipistrelli, ranocchie, posticci santoni, un corvo, 
un gregge di sfingi, un gufo, la fata Morgana, elfi calzati di 
cristallo, Lilit, Angelica, Dalila, biscioni araldici, falsi Re Magi, 
San Simone stilita, e innumere altre parvenze dei bestiari e delle 
favole antiche. Stiamo parlando de L'enchanteur pourrissant (1), in 
cui Apollinaire appalesa il suo amore per i romanzi della Table 
Ronde, per la medievale letteratura cavalleresca (2) Tra i sei 
venerabili vecchioni che la seconda notte si recano a visitare la 
tomba custodita dalla Dame du Lac troviamo l'Ebreo Errante, ossia 
Isaac Laq[u]dem, quello stesso che, col nome di Laq[ue]dem, si aggira 
per le strade di Praga.
Il Merlino di Apollinaire diverril prototipo di molti maghi e 
illusionisti della moderna letteratura boema, e in primo luogo 
dell'勇ncantatore meraviglioso(厚odivuhodnkouzeln骿 
dell'omonimo poemetto nezvalico. Lo stesso Nezval spiegche il suo 
montimbanco, il suo trasformista era nato dall'incontro della magia 
sprigionata dalle parole 前nchanteur pourrissantcon l'assioma che 
la bellezza deve essere 厚ura e fredda come i ghiacciai(3) Dalle 
pagine apollinairiane il poeta poetista trasfuse nelle pagine del 
proprio poemetto il gusto della 剌antaisie magique(剌antaisie de 
No螔 funeraire, la sembianza dell'incantatore, a tratti 
impastandola con quella del funambolo nietzscheano, la Dama lacustre 
(JezernD滵a) ad un certo florealismo Art Nouveau.
Nei versi di Podivuhodnkouzeln骿 giinfuriano quella gioia della 
mutevolezza, quella giocoleria, quella caccia al miracolo, che 
forniranno l'impulso essenziale alla scrittura di Nezval. Filza 
incalzante di metamorfosi, il poema congiunge la demonia dei prestigi 
con la dinamica del cinema. Il suo cagliostro chimerico riappare in 
diverse rincarnazioni sullo sfondo di vari paesaggi esotici. Al 
movimento di figurette irreali, che vanno in parata dall'immoto 
Merlino, Nezval sostituisce il movimento del mobilissimo mago che, 
destro pidi una lontra o di un Fairbanks, discorre, in molteplici 
camuffamenti, da un luogo all'altro: dai ghiacciai di Groenlandia al 
Rio delle Amazzoni, dall'India alle isole dei lebbrosi, da un arcano 
geyser a una grotta di stalattiti, da una miniera carbonica a Mosca, 
mutandosi in rivoluzionario (4)
La storia dell'incantatore poetistico ha insomma la stessa 
volubilitscenografica dei versi di Zone. Ma non si dimentichi che 
questo mago, nei suoi itinerari, si spicca da Praga notturna, sua 
base, da un lungofiume 咨etro e fosforescente come fata morgana dal 
勁atteo rosario di lampade ad arco che creano nella lontananza 
un'immagine reticolare della citt鉬, - e percipersonaggio 
praghese, della prosapia di ciurmadori e stregoni, di cui fu 
feracissima Praga.
L'illusionista dunque, il kouzeln骿, il kejkl魾, ossia il 
giocolatore, hanno un posto cospicuo nel baraccone poetistico. 
Saltano subito alla memoria il kouzeln骿 Arno褾ek che, nel racconto 
di Vladislav Van襁ra Rozmarnl鈣o (Una lunatica estate, 1926), mette 
in subbuglio coi suoi diavoleschi esercizi il sonnolento paesino di 
Krokovy Vary, e il funambolo-taumaturgo del poemetto Akrobat (1927) 
di Nezval, dedicato a Van襁ra. Atteso da torme di infermi e infelici 
che implorano la guarigione, il saltimbanco nezvalico, ipostasi del 
poeta, una domenica inizia ad attraversare su una corda tesa 
l'Europa, ma crolla gidalla corda (ricordo nietzscheano), 
significando cosl'impotenza della poesia. L'infanzia, incarnata da 
un marinaretto settenne privo di gambe, lo guida nella cittdegli 
acrobati, dei sognatori, dei pazzi, che ha la filigrana notturna e le 
luci di Praga, cittonirica, dove il poeta torner剃oi suoi sosia 
in innumeri aspetti(5)
Ma il Gran Mago della generazione del Dev皻sil fu Edison, artefice 
di miracoli elettrici: il suo nome ricorre nei versi di Seifert, di 
Nezval, di Biebl. Nell'ardente poemetto nezvalico Edison (1928) i 
motivi della biografia dell'inventore di Menlo Park, campione di 
alacrite vitalismo, si avvicendano a contrappunto con l'umida e 
mesta veduta di una Praga notturna, lazzaretto di ombre, impuntura di 
ubriache luci che cadono dai lungofiume e dai ponti nello specchio 
nero della vitava, nostro catrame, nostro Lete, ricettacolo di 
lacrime, fomento del morbo della malenconia. Ed curioso che anche 
qui, al quarto canto, reminiscenza di Apollinaire, si insinui il 
ricordo dell'前breo errante che va in cerca della patria
NOTE:
(1) L'enchanteur pourrissant, scritto nel 1898, apparve nel 1904 
sulla rivista 俠e Festin d'Esopee nel 1909 in volume, con 
illustrazioni di AndrDerain, primo libro pubblicato da Apollinaire. 
Cfr' Pierre-Marcel Adema, Guillaume Apollinaire cit', pp' 161-62.
(2) Cfr' Pierre-Marcel Adema, Guillaume Apollinaire cit', p' 45.
(3) Vit瞛slav Nezval, introduzione a Most, Praha 1937, pp' 22-23.
(4) Cfr' Milan Blahynka, Prom瘽y Podivuhodn逸o kouzeln骿a, in 俏ov
eivot 1959, I.
(5) Cfr' Antonin Jelinek, Vit瞛slav Nezval, Praha 1961, pp' 47-49.
108
Come disse Yvan Goll, i cafffurono negli anni Venti la 
亮eistzentrale der Welt(1) La storia dell'avanguardia ceca 
legata a diverse kav漷ny di Praga (Unionka, Deminka, T籯ovka, 
Hlavovka, Belvederka), ma soprattutto alla N漷odn(Nazionale) e alla 
Slavie (2) Logore sedie Thonet, canapzoppi con nere fodere 
incerate, cosparse di screpolature, tavolini con lastre di marmo come 
gusci di ortoceri, stecche con giornali appese ai muri: mitologici 
arredi di inesauste sedute, di infervorate discussioni. Primavera del 
1923: nei caff nelle bettole, nelle tane fumose dei night, nelle 
passeggiate notturne i poeti, i pittori, gli attori, i registi del 
Dev皻sil inventano la 厚oesia per tutti i sensi il poetismo. 
隹tmosfera di miracoli - avrebbe poi scritto Nezval - che si pu
vivere chiaro solo una volta nella vita(3) Il primo manifesto 
poetistico, l'articolo Poetismus di Karel Teige, uscnel 1924, e lo 
stesso anno apparve la raccolta Pantomima di Nezval che, unendo 
parecchi generi (cicli di piccole liriche, Podivuhodnkouzeln骿, un 
libretto di pantomima, un balletto, un 厚oema fotogenico un saggio 
sul mestiere poetico, calligrammi e viluppi di giuochi verbali), 
costituiva una sorta di fiera campionaria di questa tendenza (4)
Professori del carnevale, volteggiatori sulla corda funambolesca, 
artificieri di rutilanti girandole, i poetisti propugnavano un'arte 
salterella, rallegrativa, spumosa, - un'arte tramata di clownerie, di 
eccentrismo, che riflettesse con fughe di analogie e metamorfosi il 
ritmo, la celerit la 哀alute nervosadel ventesimo secolo (5) 
Ogni poeta poetista si atteggia ad alunno di Chaplin e dei 
Fratellini, si fa baladin, manipolatore di immagini, professionista 
di gags e di sommovimenti verbali. Profuse immagini saltano dalle 
pieghe della scrittura nezvalica, come gli animali e gli attrezzi 
dalle tasche e dai risvolti truccati del costume di prestigiatore, 
che Harold Lloyd indossa per sbaglio nel film Movie crazy (6) E non 
importa se i mascherevoli addobbi, lo stemperato amore delle 
capriuole zannesche, i colori da cipria e pasticceria, la frivolezza 
degli improvvisi avvicinano spesso le liriche di un Seifert, di un 
Nezval, di un Biebl alla cosmetica, ai rosei croccanti, ai 
lampioncini delle luminarie: l'assunto di smontare i feticci, di 
infrangere la tradizione, il sussiego della vecchia arte con una 
spensierata contrarte, sia pure infetta di Kitsch.
Karel Teige, instancabile Barnum degli accoliti del Dev皻sil e 
direttore dei loro bengala, nel suo Manifesto, grancassa come i 
Manifesti di tutta la progenie degli ismi, parla di 勁irico-plastica 
emozione dinanzi allo spettacolo del mondo moderno 厚assione della 
modernit modernolatria 匍oltiplicata fede ottimistica nella belt
della vita(7) La corrente da lui prosperata, questo brioso 
continuo, si addimanda poetismo, perchla poesia vi ha il 
sopravvento su tutte le arti, includendo nel circondario della poesia 
anche il cinema, l'aviazione, la radio, lo sport, il music-hall, il 
circo, la danza: 俠e barche a vela pure esse sono moderne poesie, 
strumenti di gioia(8)
NOTE:
(1) Yvan Goll, Der Eiffelturm (1924), in Dichtungen cit', p' 138.
(2) Cfr' Karel Honz骿, Kav漷ny Dev皻silu, in Ze eivota avantgardy, 
Praha 1963, pp' 54-63.
(3) Vit瞛slav Nezval, Vyzv滱pw漮el籯, in Sklen瘽havelok cit', 
p' 154.
(4) Cfr' Angelo Maria Ripellino, Storia della poesia ceca 
contemporanea, Roma 1950, e Poetismus, a cura di Kv皻oslav Chvat骿 e 
Zden瘯 Pe螮t, Praha 1967.
(5) Vit瞛slav Nezval, Papou蟌k na motocyklu, in Pantomima (1924)
(6) Cfr' Roland Lacourbe, Harold Lloyd, Paris 1970, p' 66.
(7) Karel Teige, Poetismus (1924), in Sv皻 stavby a b滻ncit', pp' 
123-24.
(8) Ibid', p' 126.
109
Il poetismo non si restringe alle dimensioni dell'arte, ma vuole 
agire sull'esistenza degli uomini, convertirsi in un modusvivendi: 
剌ar della vita un magnifico appalto di svaghi 哎n carnevale 
eccentrico, un'arlecchinata di sentimenti e concetti, una pellicola 
ubriaca, un miracoloso caleidoscopio(1) 亟picureismo 
rammodernato il poetismo, come Teige asserisce nelle sue 
勇struzioni(2), 勇ncentivo di comune felicitumana e di tempo 
sereno, non pretensioso, pacifico 哀timolatore di vitache 
削issipa le depressioni, le cure, il cattivo umore(3) La poesia 
acquista una funzione terapeutica e consolatoria: coi gagliardi 
mantici delle metafore e dei bisticci verbali eccitare fiamme di 
felicitnel consorzio degli uomini. Poesia giocoliera e prosperit
si identificano. Non diverso intento aveva forse Evreinov ldove 
attribuisce agli attori, al teatro virtguaritrici. Per la 
riscoperta di 咨utte le bellezze del mondo(4), per la sua sostanza 
danzante, per il suo contrapporre il rimedio di una lietezza svitata 
e nemica dei metodi alla gravigrada severite al merore dei Libri 
Praghesi, il poetismo potrebbe dirsi una sorta di chassidismo non 
mistico delle lettere boeme.
Questa allegria programmatica palesa del resto l'ebbrezza, l'ansia 
di vivere di una generazione cresciuta in un'epoca di madornali 
massacri, un'epoca aperta dalle parole della signora Mlerova 
襒ejk: 亟 cosci hanno ammazzato Ferdinandoe conclusa 
dall'epidemia di spagnola. Usciti dalle macerie della Cacania, i 
poetisti, variante boema del dadaismo, tolgono impresa di scatenare 
la rivoluzione della gaiezza contro le spregevolissime favate della 
Dignit dell'Autorit del Contegno, generatrici di morte. Ma nello 
stesso tempo si impancano, ormeggiando i costruttivisti sovietici, a 
costruttori della nuova vita, si ingegnano di formare lo stile della 
societpostbellica, di fornire, non solo un'arte moderna, ma anche 
un'insolita organizzazione del mondo: e qui entra in ballo la Grande 
Illusione, il comunismo, che fu il loro credo, anche se, tempi 
felici, non immisercon soggettacci obbligati e con slogans la loro 
opera. Quanto alle idee costruttivistiche, se esse calzarono a Teige, 
architetto, il quale intitolun proprio libro Stavba a b滻e
(Costruzione e poesia, 1927), non collimavano certo con le fragili 
ariette, con la sottilissima mussola dei madrigali, con la lirica 
dell'evanescente, coltivata da Nezval, da Seifert, da Biebl, col 
flusso senza argini delle loro sgargianti metafore bagattelliere e 
associazioni sfrenate, nemiche capitali dell'aridezza da scranna e da 
regolo dei produttivisti di Mosca. Come conciliare l'ascetismo 
costruttivistico con l'opulenta inventiva di Nezval, col suo 
fertilissimo 剃abaret fantastico (5)
Coi poetisti il lirismo, espressione della farfallica effimerit
della vita, diventa principio della creazione e sorgente di energia e 
di spirituale benessere. Sognando un mondo che rida, si studiano di 
sbandeggiare le nuvole della tetraggine e ogni aggravio dell'anima 
col nonsense, con l'analogia strampalata, con lo zolfo dell'umorismo. 
Di questo anelito di scanzonata gaiezza fanno testimonianza le 
filastrocche asemantiche, le cabalette burlesche, le pagine di 
厚oesia ottica le composizioni tipografiche di Teige, dove le 
lettere dell'alfabeto e le figure geometriche sembrano trovarobato da 
circo, e in specie le commedie dadaiche dei clowns Voskovec e Werich.
Nel Logos di Praga, 剃ittdi miracoli creata per la poesia(6), 
il poetismo rappresenta dunque il trionfo dell'arlecchinata e della 
fumisteria mercuriale sull'orrore golemico, la linea Antimeyrink, 
Antikafka, la fuga dalla Grelei, dall'ipocondria, dalla lugubrit 
che sono il basso continuo della letteratura praghese. Fuga dal 
microcosmo saturnico e infistolito di Rodolfo II, da quella sinistra 
malinconia, che impiagava l'anima degli alchimisti nelle lunghe notti 
di veglia dinanzi all'athanor, - malinconia da loro significata col 
color nero indicante la putrefazione e con arsenali di emblemi di 
crani, corvi, scheletri, bare. Alla catabasi ermetica nelle regioni 
infernali, al pallore da finismundi, al sangue spettrale, agli 
scompensi, al metabolismo alterato della letteratura di Praga, citt
cimmeria che non sorride, i poetisti oppongono il riso, fattore 
chiarificante del sangue, e un'alchimia diversa, l'alchimia gioiosa 
dell'associazione verbale, 冠lchimista pirapida della radio(7)
Eppure, come disse Banville, 勁e po褮e n'est pas toujours - en 
train de r嶴ouir les oursNonostante la sua buffonaggine, 襒ejk si 
svela in certi momenti paurosamente luttuoso, e anche il poetismo 
assume a tratti un colore morello e un cordoglio del tutto praghesi. 
Non penso ai cupissimi versi di Halas o Z潎ada, al languore dei 
seifertiani 前mbarquements pour Cythere ma allo stesso Nezval, Gran 
Visir del poetismo, il cui Edison intriso di nebbia praghese 
pesante come bitume, di umidore fluviale e, coi suoi gesti di addio, 
con le sue fuliggini e larve infelici, con la sua notturnalit si 
riallaccia alla disperata creazione di M歊ha.
NOTE:
(1) Ibid', p' 124.
(2) Ibid', p' 125.
(3) Karel Teige, Poetismus, in Sv皻 stavby a b滻ncit', p' 126.
(4) Cfr' id', Um瘽dnes a zitra (1922), in Stavba a b滻e Praha 
1927, p' 23, e Jaroslav Seifert, V蟌chy kr滻y sv皻a, in Saml滻ka, 
Praha 1923, p' 59.
(5) Vit瞛slav Nezval, Sklen瘽havelok cit', p' 83.
(6) Vit瞛slav Nezval, Vyzv滱pw漮el籯, in Sklen瘽havelok cit', 
p' 154.
(7) Id', Papou蟌k na motocyklu, in Pantomima cit', p' 73.
110
Ricordi il manifesto del circo Letn Un indiano in turbante fra 
due coccodrilli. Salivamo le Vecchie Scale del Castello, abitate 
dalla Muffa e dall'Ombra, parlando dei pagliacci e degli acrobati che 
montano in banco nei teatrini dei versi poetistici. Nelle ripide vie 
di Hrad螮ny la sera assumono un'aria spettrale i lampioni dalla luce 
biancastra con punte nere come spini, frutici di una ghignante 
vegetazione nordica, simili a teste mozzate sopra vassoi. Come sembra 
straniera e impossibile la festositdei poetisti fra cos
malinconiche quinte, specie quando la pioggia scende gialla 
gagliarda e Praga diventa un labirinto di corridoi di caligine.
Ma Nezval, poeta 彋oile del Dev皻sil, alla fine della commedia 
Depe蟌 na kole螶槆l (Il dispaccio a rotelle), scrive: 隹ttraversa la 
scena, correndo a testa in gisulle mani l'arte in aspetto di 
bajazzo di circoOssia l'arte una capriuola, una trottola, uno 
sfavillio di rappezzi policromi da truffaldino, uno sgargiante 
pagliaccio, ben diverso da quei farsanti tartarei e mercenari di 
satanasso, che ammiccano dai dipinti di Franti蟌k Tich Per generare 
felicit la poesia si muti in allegro spettacolo, in equilibrismo 
(1) 促iuttosto che i filosofi e i pedagoghi - afferma Teige - sono i 
clowns, le ballerine, gli acrobati e i turisti i veri poeti moderni
(2) 俠a nostra arte - dirin seguito Nezval - era vicina ai 
jongleurs, alle cavallerizze e ai trapezisti piuttosto che ai maghi 
dei riti religiosi(3)
Invece delle uova degli alchimisti un saltellio di palline da 
prestigiatore. I poetisti trasformano la cittvitavina in un Luna 
Park, in un tendone (con luce di stelle che filtra dalle fessure), in 
una stazione di carri da commedianti. Seifert vi fa lavorare il clown 
Pom, John 匍angiafuoco famoso la piccola ballerina chioe, la 
sognante trapezista Miss Gada-nigi; 褾yrsk in un quadro, il cirkus 
Simoneta; la Toyen, in un altro, il cirque Conrado. Il clown di 
Depe蟌 esegue esercizi al trapezio fisso. Nei libri di Nezval si 
incontra ogni sorta di guitti e di giocolieri, un'intera 剌amiglia di 
arlecchini tra i quali un 厚ierrot ciclista e si legge persino di 
un impresario di circo, il cui carrozzone era 咨irato da cigniNel 
balletto Abeceda (Alfabeto), dove le lettere suggeriscono figurazioni 
gestuali e vignette da sillabario poetistico, Nezval rassembra la H 
ad un clown che si tuffi dal trapezio volante e la I all'冠gile corpo 
di una danzatriceDi ballerine-bambole abbonda la delicata 
scrittura tutta merletti di Seifert. Il primo Halas, ancora fervente 
poetista, vaneggia di un 剎alletto elettrico nel circo Mondee di un 
clown, che ha smarrito il volto sotto la centesima maschera, senza 
piritrovarlo (4)
俏el circo, nel variet nel music-hall - sono sempre parole di 
Teige - nata la libertdella nuova arte. Vive in essi l'autentica 
poesia moderna, spigliata, elettrica, aliena dal naturalismo(5) In 
questa passione per gli equilibristi, gli amuseurs du tapis, gli 
icariani, le cavallerizze, i funamboli, insomma per tutte le 
attrazioni dello chapiteau, i poetisti ricalcano le infatuazioni 
delle consorelle avanguardie. Yvan Goll, nel suo Welt-Variet poneva 
il numero di Orfeo tra quello della Yankee-girl e quello dell'uomo 
serpente (6) Cocteau magnificava i Fratellini, la foire, il 
bastringue, il bal musette, Mistinguett, il circo Medrano, 勁es 
orchestres americains de negres(7) Schiemmer annotava nel diario: 
非adaismus, Zirkus, Variet Jazzband, Tempo, Kino, Amerika, 
Flugzeug, Auto(8)
Un fascino immenso esercitsui poetisti, come sulle altre 
avanguardie europee, il cinema, 雨etlemme, da cui verrla salvezza 
per l'arte moderna(9) Pearl White, Harry Langdon, Buster Keaton, 
Ben Turpin, Mary Pickford, Alla Nazimova, Harold Lloyd ne avvinsero 
la fantasia. E anche i due grandi zanni della generazione, Voskovec e 
Werich, nelle loro commedie e in specie nelle 哀cene dinanzi al 
sipario attinsero alle loufoqueries delle comiche slapstick e agli 
espedienti e alle burle del repertorio clownesco. Charlot, l'eroe del 
poema Die Chapliniade (1920) di Yvan Goll e della poesia Kinopovetrie 
(Cinecontagio, 1923) di Majakovskij, non poteva mancare, al fianco di 
Douglas Fairbanks, in Podivuhodnkouzeln骿 (1922):
Fairbanks afferra al lazo@ ciche gli viene in pasto@ Apollinaire 
Picasso@ ammalianti miei fantasti@@ Chaplin porta alla bella@ sul 
motociclo un dono@ specchio caviale stella@ quello che c'di buono.@
Non meno del cinema attrasse i poetisti il Dixieland jazz, che 
aveva scalzato le traballanti polche e le canzoni di birreria, il 
jazz come sorgente di gioia:
E i poeti ora non chiedono@ una misera prebenda@ come negri si 
allegrano@ al rugghio del jazzband.@Ma anche in questo caso accade 
che la malinconia prevalga: nell'humus praghese vien trapiantato il 
cafard, la desolatezza dei blues. Potremmo almanaccare a lungo sui 
南egro bluesdella raccolta nezvalica Sklen瘽havelok (La 
mantellina di vetro, 1932) o sui blues di Voskovec e Werich, musicati 
da Jaroslav Je鋀k, in specie su Tmavomodrsv皻 (Il mondo 
azzurrocupo, 1929) che, assommando l'angoscia del buio, della cecit 
delle strettoie senza scampo, cava lacrime sino dalla radice del 
cuore.
Futuristicamente protesi verso i 厚rodigidel progresso, i 
poetisti, orecchiando le avveniristiche smargiassate del libro di 
Erenburg A vs褮aki ona vertitsja (Eppur si muove, 1922), glorificano 
anche le macchine, i transatlantici, l'aeroplano Goliath, i 
grattacieli. Strombazza uno di loro, il prosatore Karel Schulz: 
俠'antenna dell'apparecchio radiotelegrafico pibella del 
Discobolo o dell'Apollo del Belvedere o della Venere di Milo(10) 
Seifert denomina Na vln槆l T'S'F' (Sulle onde della Telegrafia Senza 
Fili, 1925) una sua raccolta. In Depe蟌 di Nezval un lirico 
radiotelegrafista esorta l'umanitalla gioia e alla risata. Ma ci
che pisalta agli occhi, nella creazione di quei capi sventati, 
l'insistenza ossessiva sui temi esotici, la mobilitda globetrotter. 
Diresti che con l'esotismo essi vogliano sottrarsi al cerchio 
implacabile della pragheit che li avvolge come il serpente 
ouroboros degli alchimisti, all'esorbitante mestizia, al sopruso 
della cittvitavina.
NOTE:
(1) Cfr' Vit瞛slav Nezval, Papou蟌k na motocyklu, in Pantomima 
cit'
(2) Karel Teige, Poetismus, in Sv皻 stavby a b滻ncit', p' 124.
(3) Vit瞛slav Nezval, Z m逸o eivota cit', p' 97.
(4) Cfr' Franti蟌k Halas, B滻nrukopisn in Kr滻nne褾瘰t 
Praha 1968, pp' 348 e 340.
(5) Karel Teige, Foto kino film (1922), in Sv皻 stavby a b滻n
cit', p' 80.
(6) Yvan Goll, Der neue Orpheus (1925), in Dichtungen cit', p' 191.
(7) Jean Cocteau, Le coq et l'arlequin (1918)
(8) Oskar Schiemmer, Briefe und Tagebher, Mchen 1958, p' 191 
(1925)
(9) Karel Teige, Um瘽dnes a zitra, in Stavba a b滻ecit', p' 10.
(10) Karel Schulz, in Poetismus cit', a cura di Kv皻oslav Chvat骿 e 
Zden瘯 Pe螮t, p' 124.
111
Le avanguardie tutte nel Venti si infervorarono per le immagini 
esotiche. Ma nessun gruppo vezzeggil'esotismo con lo stesso calore 
dei cechi. Da Praga, dagli 哀tagni della Boemia verdi come un corale 
di rane(1), i poetisti amavano evadere verso smaglianti contrade da 
cartolina illustrata. L'ansia di mare e di vastit che fu sempre 
presente nella cultura ceca dei secoli andati e nell'indole stessa 
dell'Homo Bohemicus, per i seguaci del Dev皻sil si fa smania di 
incognito e di avventure, esemplate sui romanzi di Karl May e di 
Fenimore Cooper, sulle storie a puntate di Buffalo Bill e di Nick 
Carter, sugli itinerari di Rimbaud a Giava e in Abissinia. Le 
carovane, la giungla, il dondolio delle palme, gli indiani, gli 
indigeni, i negri, le praterie, tutto il pittoresco delle pellicole 
equatoriali e del western rivive nelle loro pagine: a volte vi 
ritrovi persino il sapore e il decor di una certa letteratura 
coloniale francese.
I poetisti condividevano la passione dei viaggi, considerando il 
turismo un ramo della poesia. Nella raccolta Na vln槆l T'S'F', 
ribattezzata nel 1938 Svatebncesta (Viaggio di nozze), Seifert 
esalta il fascino dei Wagons lits, 哉agoni nuziali chiama 勁ibro 
poeticol'orario delle ferrovie (2), allude allo scoramento delle 
partenze marittime: 促iangevano le ragazze io piangevo con loro - 
anch'io volevo sventolare il fazzoletto - sventolavano fazzoletti 
insanguinati - dal colore rosso dei belletti(3) E Nezval intitola 
Sbohem a 鍒te蟌k (Addio e fazzoletto, 1934) un volume di melodiose 
liriche parigine.
La fuga verso lidi remoti un motivo precipuo della loro poetica. 
Nezval afferma: 侶uando non ha pisenso stare a casa - svignarsela 
dritto in Australia(4) oppure 俑i dileguerscappando in Africa - 
mi condurril mio cavalluccio di legno(5) E Biebl: 青on la nave 
che porta te caff- un giorno andrnella lontana Giava(6) Ma 
pucapitare che piante e figure esotiche si spostino in Boemia e 
Moravia: Nezval, in Abeceda, invita le palme a trasferire il proprio 
equatore sopra la vitava e, in Panoptikum, fa congettura che i 
commedianti del Texas giungano nella sua Tweb斁 (7) Oppure la Boemia 
stessa diventa lo sconosciuto paesaggio di una cartolina, la veduta a 
colori di uno stereoscopio. Nel suo viaggio a Giava, pensando alla 
terra natia, Biebl osserva: 隹ll'altra parte del mondo la Boemia - 
bella ed esotica terra - piena di profondi e arcani fiumi(8) 
L'inventiva dei giocolieri del Dev皻sil non avrebbe escluso magari 
che uno show boat navigasse tra gabbiani e anatroccoli nelle acque 
della vitava.
Potremmo allegare moltissimi luoghi a illustrazione dell'esotismo, 
di cui essi infrascano le proprie liriche, ma di vantaggio basteranno 
i seguenti. Nel poemetto-balletto Abeceda la g rammemora a Nezval 勁a 
destrezza del lazo di Fairbanks la I la canzone Indianola. La V 
勇l riverbero di una piramide nella sabbia ardenteLa C, 勁una 
sull'acqua gli ispira queste parole: 俠e romanze dei gondolieri 
sono morte per sempre - e percivia capitano verso l'AmericaLa D, 
冠rco che si tende da occidente gli richiama alla mente un Indiano 
che abbia scorto una traccia. La R: 勇 commedianti del Dev皻sil - 
hanno piantato le tende sulle rive del divino NiloLa S: 南elle 
pianure dell'India Nera - viveva un domatore di serpenti a nome 
JohnPer Seifert, nel 厚allottoliere dell'amore sono 削ue mele di 
Australiai seni dell'amata (9) E le gru del porto, 剋rottesche 
giraffe 厚alme di un ignoto continente(10) Biebl ingombra i suoi 
versi di fonemi orientali (magistan, gamelang, rambutan) (11) e anche 
Halas, all'inizio, profonde senza risparmio noci di cocco, gondole, 
atolli, palme, burnos, narghiled ogni sorta di soprammobili 
esotici, immaginando persino un 剃arnevale nell'azzurro Sahara(12)
Tutto questo magasin pittoresque ha radici, s'intende, nelle 
rutilanti metafore del Bateau ivre di Rimbaud. Eppure il trastullo 
degli esotismi diviene sovente vanerello e gratuito. Se Biebl dice: 
保ggi il poeta dil proprio cuore per una banana - per una gialla 
banana, tropicale bambola(13) oppure: 俠a Cina un paese povero e 
triste, - popolato di canarini(14); se Seifert dice: 哀otto una 
palma fittizia sorride un negro - con una maschera rosa di luci sul 
volto(15) oppure: 勇l cinese si raddrizza gli occhi - nelle pieghe 
del suo abito un drago mastica cioccolata(16); se Nezval dice: 哎n 
moro giuoca al biliardo - con noci di cocco nel Sahara(17) oppure: 
勁'Asia intrisa di odori ondeggiava come un giallo vessillo - con 
intessuti ornamenti di giardini di loto(18), - lo scanzonato 
burlesco rasenta una banalitda operetta. Molte di quelle vedute 
assomigliano a dozzinali fondali di tela dipinta. In molti dei loro 
vaneggiamenti esotici infuso lo stesso giulebbe delle canzonette 
dal tema pseudo-orientale, dei calendari da parrucchieri. Del resto 
la poesia dei poetisti vuol essere, gilo sappiamo, 剌abbrica di 
cosmeticie il poeta 剃ommesso viaggiatore in profumi - ciprie 
liriche - liquori magici(19)
L'esotismo di cartapesta vorrebbe far da triaca contro gli umori 
malsani di Praga. Ma spesso peggio la triaca che non sia il veleno. 
Ed strano veder sovrapporsi su MalStrana, su quei palazzi 
araldici, un 南ero eden di palme con 厚appagalli, guardie notturne 
del Sahara(20) Alle bestie ambigue e dolenti della metafisica 
della cittvitavina Nezval sostituisce, traendolo da riserve 
esotiche, il pappagallo. Questo animato smeraldo che favella col 
rostro diviene l'emblema della sfavillante poesia del poetismo, la 
poesia stessa 哎ccello miracoloso, pappagallo in motocicletta 
勇nsieme di immagini, pappagalli dai nomi incantevoli(21) Crocida 
e impazza la poesia-parrocchetto nelle mani di un 
poeta-prestigiatore, Celionati, dal quale si esige 前leganza di 
ciarlatano(22) Il pappagallo (papou蟌k) di Nezval dopo le coq di 
Cocteau. Le coq est parisien, il parrocchetto poetistico, malgrado le 
piume esotiche, si fa anch'esso personaggio di Praga, di questa citt
fantasista, propensa al manierismo, laboratorio di innumeri 
arcimboldi.
NOTE:
(1) Vit瞛slav Nezval, Premier Plan, in Men鍎 r鼉ovzahrada (1926)
(2) Jaroslav Seifert, Svatebncesta, in Na vln槆l T'S'F' cit'
(3) Id', Odjezd lodi, in Na vln槆l T'S'F' cit'
(4) Vit瞛slav Nezval, Poetika, in Pantomima cit'
(5) Id', Na cestu, in Pantomima cit'
(6) Konstantin Biebl, S lod jedov睯螮j a k潎u (1927)
(7) Vit瞛slav Nezval, Panoptikum, in Pantomima cit'
(8) Konstantin Biebl, Protinoeci, in S lod jedov睯螮j a k潎u 
cit'
(9) Jaroslav Seifert, Po蟊tadlo, in Na vln槆l T'S'F' cit'
(10) Id', Pwistav, in Na vln槆l T'S'F' cit'
(11) Konstantin Biebl, Na howe Merbabu, Amin, Tok in S lod je
dov睯螮j a k潎u cit'
(12) Franti蟌k Halas, Kr滻nne褾瘰tcit', p' 382.
(13) Konstantin Biebl, Zlat蔂i wet瞛y (1926)
(14) Id', Jaro, in Zlat蔂i wet瞛y cit'
(15) Jaroslav Seifert, Ve蟌r v kav漷n in Na vln槆l T'S'F' cit'
(16) Id', Parav滱, in Slav骿 zpiv螲atn(1926)
(17) Vit瞛slav Nezval, Slunce, in N漥isy na hroby (1926)
(18) Id', Premier Plan, in Men鍎 r鼉ovzahrada cit'
(19) Franti蟌k Halas, Kr滻nne褾瘰tcit', pp' 355-56.
(20) Vit瞛slav Nezval, Premier Plan, in Men鍎 r鼉ovzahrada cit'
(21) Vit瞛slav Nezval, Papou蟌k na motocyklu, in Pantomima cit'
(22) Id', Poetika, in Pantomima cit'
112
C'alla Galleria Nazionale di Praga un autoritratto, che potrebbe 
servire da emblema alle invenzioni poetistiche. Vi grandeggia, 
vestito di nero, con nera barba, pennello, tavolozza e berretto nero 
da dipintore, il gabelliere (employd'octroi) Henri Rousseau, 
foderato del suo imperturbabile, perpendicolare sussiego. Alle spalle 
della madornale figura, che sembra su un palco di teatro, vediamo la 
Senna, un ponte, un veliero con un pavese di bandierine di tutto il 
mondo, la torre Eiffel, i tetti di Parigi, due minuscoli parigini a 
passeggio e, in cielo, fra le nuvolette, una mongolfiera (1)
Il primitivismo dei poetisti trovalimento in quella gala di 
bandierine, ma soprattutto nelle oniriche giungle e vedute tropicali, 
nelle 厚eintures mexicaines nello scaltro candore domenicale, nei 
匍itidel Doganiere. In difesa dei loro leccati paesaggi esotici e 
chromos da rivista illustrata sia ricordato che questo 厚etit pere
non esitava a ispirarsi agli arbusti del Jardin des Plantes per la 
sua vegetazione fantastica e all'album B皻es sauvages delle 
Galeries-Lafayette per i suoi temi ferini (2) Parecchie liriche di 
Nezval, di Seifert, di Biebl, parecchi quadri di pittori del Dev皻sil 
(Mrkvi螶a, Muzika, 蟊ma, Hoffmeister, Piska ricalcarono le 
rigogliose scenografie del suo Messico immaginario. I poetisti 
adoravano l'opera del Doganiere, e anche in questa passione si pu
scorgere forse l'influsso di Apollinaire. Il sofisticato Hoffmeister 
si impancava (certo con autoironia dadaistica) a novello Rousseau, 
imitando, non solo i motivi del pittore di Yadwigha, ma anche la 
grafia della firma (3) Persino Zrzav i cui quadri (specie gli 
sfondi lunari con piramidi ed esili palme) sono, per Teige, "sogni 
stregati in arcani cristalli(4), essi consideravano un Rousseau 
boemo.
Dalle parvenze dipinte dal Doganiere e insieme dai cartelloni del 
circo e dal balletto Parade (1917) di Cocteau-Satie-Picasso, che fu 
molto lodato da Apollinaire, discendono le esotiche gaie figurine, 
che ricompaiono con ritmo costante nei quadri e nelle poesie dei 
poetisti: il clown, il marinaio, il negro, la ballerina, l'acrobata. 
La schiera di figurette che vi si muove (il clown, il negro, il 
marinaio, la venditrice di pesci, i commercianti, gli exotov 
dimostra che il vaudeville nezvalico Depe蟌 na kole螶槆l tenne a 
modello Parade, dove agivano analoghe 匍aschere gli acrobati, un 
cinese di music-hall, una ragazza americana, i managers (5) E' 
chiaro che gli exotovdi Nezval, 哀ei scatole da cui sporgono solo 
la testa e le gambe scimmieggiano i managers, 則ommes-decor che 
avevano addosso ingombranti impalcature cubistiche. Assieme agli 
oggetti di quel folclore montmartrois, di cui furono vaghi i cubisti 
(pipe Gambier, chitarre, bottiglie, ventagli, carte da giuoco, 
pacchetti di tabacco), queste figurine simboliche degli interessi 
della generazione (il negro dell'amore del jazz, il clown dell'amore 
del circo, il marinaio dell'amore di terre lontane) costituiscono per 
il Dev皻sil una sorta di ingenua araldica, gli elementari simulacri 
di un abbecedario, di un orbis pictus poetistico.
Il geroglifico prediletto e il dada dei giocolieri praghesi degli 
anni folli fu la torre Eiffel, attrezzo principe del magasin 
d'accessoires di tutte le avanguardie europee. Yvan Goll scrisse che, 
dalla prima piattaforma della propria torre, flauto che canta nel 
vento, Monsieur Eiffel, 俑agier in Sportmze(mago in berretto 
sportivo), aveva invitato a cena tutti i poeti d'Europa (6) I 
poetisti si ripetevano spesso il celebre verso di Zone: 雨ergere 
tour Eiffel le troupeau des ponts b瘭e ce matinLa Musa Tour 
Eiffel, 剌eu d'artifice geant de l'Exposition Universelle 哀onde 
celestesecondo Cendrars (7), 冠rpa d'Eolosecondo Seifert (8), 
ricorre sovente nelle loro pagine. Alle 剌en皻resdi Delaunay, a 
Paris qui dort, agli omaggi di Rousseau e di Chagall si aggiunga 
dunque la calda eiffelogia del Dev皻sil. Nezval, in Abeceda, esorta 
la Z: 剃remagliera su per la Eiffelka!e, in Depe蟌, invoca la 
Eiffelka: 咨orre della gioia e dell'amore 咨orre dei poveri 
amanti 咨orre dei primi baci attribuendo le soavi parole alla 
figurina del radiotelegrafista, in armonia con la sentenza di Cocteau 
che la torre 恍tait reine des machinese 匍aintenant elle est 
demoiselle du telegraphe(9)
La Eiffel Parigi, e Parigi la Mecca dei poetisti: Parigi, 
哀pecchio di Europa(10) (per Yvan Goll: 非iamant am Halse Europas 
(11): di quell'Europa che ancora splendeva in quegli anni, sebbene la 
grande guerra l'avesse ridotta, come dice Seifert, a 匍antello 
d'arlecchinoe 哀conquassata scacchiera(12) Verranno poi tempi di 
sdegno e di delusione, quando Praga sardalla Francia abbandonata 
alle grinfie nazistiche. E allora Holan proromper 雨asta, Parigi! 
Non un passo pinei tuoi parchi smanianti, - dove una volta 
aspettavo che la notte mi facesse soffrire. - A non rivederci dunque, 
voi l voi sonanti - giardini di Boboli! - aggiungendo: 俠e ore 
frattanto implacabili battono - sulla torre Spasskaja(13)
Benchmolto bevessero gli sconsigliati poeti a smala tazza, non 
si pudire che la torre Spasskaja abbia avuto nelle lettere ceche il 
magico alone che avvolse la Eiffel. E' triste tuttavia pensare che le 
due grandi, vertiginose passioni dell'avanguardia boema, la Parigi di 
Apollinaire e l'勇nvisibile Mosca(14), abbiano entrambe tradito la 
fiducia degli intellettuali boemi. E che a Praga, trascorsa da 
inondazioni di oltremontani e votata all'oblio degli indifferenti, 
siano solo rimasti gli occhi per piangere.
NOTE:
(1) Cfr' Vratislav Effenberger, Henri Rousseau, Praha 1964, p' 38. 
Inoltre Oto Bihalji-Merin, Die naive Malerei, K闤n 1959, pp' 43-44.
(2) Cfr' RenPasseron, Histoire de la peinture surrealiste, Paris 
1968, p' 43.
(3) Cfr' Miroslav Lama V蓨varndilo Adolfa Hoffmeistera cit'
(4) Karel Teige, Jan Zrzav Praha 1923, p' 6. Cfr' Vit瞛slav 
Nezval, Z m逸o eivota cit', p' 98.
(5) Cfr' Antonina Vallentin, Storia di Picasso, Torino 1961, pp' 
233-36; Roland Penrose, Pablo Picasso, Torino 1969, pp' 258-67. 
Inoltre Parade, in Jean Cocteau, Entre Picasso et Radiguet, a cura di 
AndrFermigier, Paris 1967, pp' 63-76.
(6) Yvan Goll, Der Eiffelturm, in Dichtungen cit', p' 139.
(7) Blaise Cendrars, Dix-Neuf poemes 幨astiques (1919), in Du monde 
entier au c飀r du monde cit', pp' 81-82.
(8) Jaroslav Seifert, Guillaume Apollinaire, in Na vln槆l T'S'F' 
cit'
(9) Jean Cocteau, Carte blanche (1920)
(10) Jaroslav Seifert, Guillaume Apollinaire, in Na vln槆l T'S'F' 
cit'
(11) Yvan Goll, Der Eiffelturm, in Dichtungen cit'
(12) Jaroslav Seifert, Starboji褾 in Slav骿 zpiv螲atncit'
(13) Vladimir Holan, Odpov璠' Francii (1938)
(14) NeviditelnMoskva (1935) il titolo di un reportage di 
Nezval.
113
Entrino infine nelle mie pagine i funamboli, i clowns, i domatori, 
i cavallerizzi, i ventriloqui, gli uomini serpenti, i trapezisti, gli 
acrobati, gli inghiottitori di spade, le esmeralde, i prestigiatori, 
che gremiscono le tele e i disegni di Franti蟌k Tich L'arte di 
questo pittore (1896-1961), scaturita dal 哀abbioso humus dei maneggi 
dei circhi(1), vicina, per il gusto dello spettacolo e per 
l'esotismo, alla creazione dei poeti poetistici. Non a caso Nezval 
compose, nel 1944, col titolo K a tane螽ice (Il cavallo e la 
ballerina) un ciclo di poesie che traspongono in quadretti verbali le 
immagini della pittura tichiana (2) D'altronde essa ha infiammato la 
fantasia di molti lirici cechi, da Holan a Seifert, da Halas a Kol漙 
(3)
Questa pittura, non solo rassembra i personaggi del circo, ma ne 
trasfonde nella propria sostanza la giocoleria, il virtuosismo 
sospeso al filo del rischio, il duro drill, il pericolante mestiere, 
la compiutezza tecnica, i trucchi. Ansioso di 勁iberare del peso le 
cose pesanti(4), lo stesso segno si fa giocoliere, balletta come su 
una corda. Quelle 哀emplici linee, a volte sottili come il filo di un 
amo(5), ricalcano la calcolata labilitdi esercizi che non 
consentono sviste, la guizzante prontezza, la rapiditdi meteora dei 
numeri dello chapiteau. Nel barbaglio di polvere dei riflettori, 
哀otto la luce fittizia di lune elettriche(6), gli artisti sono 
fermati nel culmine del loro giuoco, nell'attimo in cui il direttore 
哀congiura con le mani levate l'orchestra di tacere prima del grande 
salto mortale(7), nell'attimo in cui l'esercizio sembra proiettarsi 
nel vuoto stellare.
La variopinta vita sotto il tendone attrasse talmente l'inventiva 
di Tich da far nascere la diceria che egli avesse lavorato al circo 
Pinder a Marsiglia (8) Lui stesso prosperava leggende, narrando che 
la madre era un'artista di circo ungherese, storpiata da una caduta, 
e che a sedici anni era fuggito con una compagnia di commedianti 
girovaghi (9) Del resto Alfons Mucha non passava per un 勉eune 
peintre hongroisdi origine tartara, trovato da Sarah Bernhardt 
nella puszta? (10) Egli fu amico di attori del maneggio e del 
variet soprattutto di Alberto Fratellini, che ritrasse nel 1937 con 
le enormi scarpacce e la parrucca rossiccia. Ammirava i jongleurs del 
Medrano, coscome Mucha aveva ammirato a Place de l'Observatoire gli 
ercoli e i lottatori dai baffi attorcigliati e dal costume da bagno 
addogato sul corpo possente (11) Seguiva con attenzione l'arrivo dei 
circhi nella cittvitavina. Con entusiasmo raccontava di Bosco, di 
Grock, di Houdini, di un prodigioso giocoliere del Medrano, Clement 
de Lyon, che nel suo numero pareva mutarsi in un essere irreale (12)
Tichcondivise coi poetisti il sogno delle lontananze. Il suo 
esotismo divampspecialmente a Marsiglia, citt勇mpiastrata di 
squame di pesci(13), dove diedero estro alle sue fantasie il circo 
Pinder, il porto, l'arena delle corride, il colorito brulichio di 
zuavi, marinai, pescivendoli (14), e, in anni di fame e di stenti 
(1930-35), a Parigi, dove trasse linfa dai Musei Guimet, Galli廨a, 
Carnavalet e dal Marchaux Puces (15)
Ma gli augusti e i funamboli dei Nachtsthe tichiani ignorano la 
spigliatezza, il brio dei maghi di Nezval e degli altri poetisti. 
Sono torvi e accigliati. Allampanati su gambe stecchite. Sottili come 
lucignoli e di cosscarsa carne coperti che, accostandoli a un lume, 
trasparirebbero. La loro magrezza si trasmette persino ai cavalli, i 
quali hanno esilissime zampe. Ogni pinguedine esclusa da questa 
contea di scorze senza midollo, di larve senza sostanza, che sembrano 
tutte ripetere, per la macilenza, l'effigie di Valentin le desoss 
Fanno raggricciare le carni i mangiaspade consunti, gli affilati come 
coltelli cavallerizzi in cilindro, le gracili cavallerizze. Come dice 
Kafka: 俟e un'acrobata a cavallo, fragile, tisica venisse spinta per 
mesi interi senza interruzione in giro nel maneggio sopra un cavallo 
vacillante...(16).
Gli artisti di questi 剃apriccihanno facce deformi, facce-funghi, 
oblunghe, ammaccate, facce da scontraffatte chimere, da incubi, facce 
dissolte in una perfida smorfia. Hanno teste gommose, impastabili, da 
manipolare come pongo, teste a foggia di cocuzza schiacciata, da cui 
a volte un berretto come un'escrescenza molliccia si allunga. E 
spesso, invece del viso, ci mostrano maschere di calcina, ruvide 
concrezioni geologiche o meglio, per dirla con Halas, l'勇ndurito 
belletto di antichi eccentrici(17) Occhi lippi balenano, sporgono 
nasi posticci dal cerone stratificato, dal gesso facciale, che non 
rassomiglia alla festosa polvere di riso dei clowns poetistici 
Voskovec e Werich, ma piuttosto un cinereo bianco di lutto, come 
nella vecchia Cina. Derivano dalle statuette negre, che Tich
comprava al Marchaux Puces (18), i 南egri bianchio 南egri 
negatividei suoi dipinti: bianchicci visi di cera dalle labbra e 
dagli occhi purpureggianti, archetipi forse dei negri che vagano 
senza speranza, 哉estiti di tossicolosi sudari per il Marchaux 
Puces, in una lirica di Holan (19) Un ceffo grinzoso di malta 
incrostata, con esigue fessure per occhi, il collo lungo, un cappello 
dalle falde simili ad ali di nottola, ha il pagliaccio Bodl毾 
(Cardo), che regge il gambo di un cardo tra i denti: pagliaccio, che 
ci rammenta un personaggio di Maestro Pulce di Hoffmann: Giorgio 
Pepusch, metamorfosi umana del malinconico cardo Zeherit.
Ho paura di quei mostacci rincagnati, di quei ghigni diabolici, di 
quei cardi, di quelle parvenze ctonie, di quei cilindri da Music-Hall 
e da Alta Scuola in bilico sulla testa di neri cavallerizzi e 
ventriloqui. L'illusionismo possiede un rovescio infernale, un 
trapunto di spettralit Torna sempre nei sogni a darmi 
rincrescimento l'Uomo serpente (Hadmu, figura emblematica delle 
astrologie di Franti蟌k Tich A guardarlo troppo, questo arabesco 
corporeo, questo fantasma 勇n costume di arrotolato anaconda vi 
sembrer剃he il viluppo di membra cominci a sciogliersi(20)
Le iperboli gestuali riflettono lo straordinario talento mimico 
dello stesso pittore, che fu attore di cabaret (21) Ma chiaro: in 
tutti questi scontorcimenti, che fanno di ogni bajazzo un folle da 
Katewinky, una fantastica larva da ballo di manicomio, con la 
malleveria di Daumier, in questa maledetta mistura di scurrile e 
clownesco, in questa magrezza quaresimale si esprime l'indole arcana 
e sghimbescia di Praga. Il cavallo dal viso di donna in cilindro, sul 
quale un cavaliere dal viso equino galoppa, il maestro di bussolotti 
con un alone di carte da giuoco che roteano sopra al cilindro, gli 
arlecchini con maschere di catrame e nasacci proboscidali, i 
ventriloqui dall'enorme cilindro floscio e dal naso di gomma-pane, i 
gemelli in cilindro, che si guatano guerci e ghignanti, sono tutti 
fantasime e strigi fomentate dall'atrabile della cittvitavina, dal 
suo digiuno, messaggeri di morte viaggianti sulla linea diretta 
Praga-Erebo.
E che dire del Paganini tichiano, Hollenfst segaligno, collosa 
catasta di nere chiome, con le gambe-stecchi e le lunghissime mani 
affusolate dalle dita contorte come convolvoli? Se il diavolo 
magro, per credere a Chamisso, come la punta di un filo fuggito 
dall'ago di un sarto (22), allora s il Paganini praghesco di questo 
pittore ripete l'effigie del diavolo. GiJiwKar滻ek aveva 
adombrato, secondo la ricetta romantica, l'identittra Paganini e il 
demonio, per il rosso bagliore degli occhi e il tartassato violino 
(23) Virtuosismo e diavoleria fanno lega nel Nacht-Musicus tichiano, 
che sprizza tra sprazzi di fosforo dalle viscere di un'oscurit
primordiale. Se non sapessi che sono in rapporto di parentato coi 
badch霵im del teatro folclorico jiddisbl ed insieme con gli austeri 
vespilloni ebraici dai lunghi talari neri e dal cappello a focaccia, 
dipinti sulle brocche votive morave della fine del XVIII secolo (24), 
immaginerei come pagliacci spettrali dei distretti di Tichi due 
cerimoniosi guitti boieschi, redingote e cilindro, che suppliziano 
Josef K', e i due aiutanti che fanno mille molestie all'altro K', 
bagattellieri balordi ed insieme persecutori, subalterni di un 
occulto potere, spie metafisiche.
Sulla contiguitdella diavolesca di questo pittore con le 
scritture di Meyrink, protocolli di anomalie ed epitomi di incubi, 
non sussistono dubbi. I saltimbanchi tichiani assomigliano 
all'acrobata Monsieur Muscarius del caffnotturno Amanita, lemure 
rampollato da un'intossicazione fungaria, il quale ha la pelle del 
collo aggrinzita come un tacchino, un maglione color carnicino in cui 
sguazza perchtroppo smunto, un cappello da fungo falloide. Ad una 
baldracca di quel night, Albine Veratrine, carcassa di luccicanti 
corde priva di corpo, matassa di fosforescente foschia, rimanda la 
trapezista, la losca ancroia pitturata da Tichnel '41, laida vamp 
in calzamaglia di lutto, che diruggina i denti e si tiene con braccia 
nodose come radici (25) Non va dimenticato del resto che Tich
illustralcuni degli sgomentevoli 咬omanetadi Jakub Arbes (26)
Alle corte la giocoleria trapassa in una macchina granguignolesca. 
Di brividi questa mattaccinata che agguaglia ad un circo satanico 
la tetra Praga, questa sepolcrale rassegna, in cui clowns e 
ventriloqui sfoggiano ceffi da parasacco e ogni numero si trasforma 
in un rito lugubre, in una visita di cortesia di beffardi, che ci 
spediscono con un solo ammicco alla malora, alle eterne fornaci, in 
ignem aeternum. Ma zitto e sufficit.
NOTE:
(1) Franti蟌k Halas, Sv皻 Franti螶a Tich逸o (1940), in Obrazy, 
Praha 1968, p' 104.
(2) Vit瞛slav Nezval, K a tane螽ice, Praha 1962.
(3) Cfr' Jaroslav Seifert, Pwed obrazy Franti螶a Tich逸o, in Ruka a 
plamen, Praha 1948, pp' 36-39; JiwKol漙, Franti蟌k Tich in Dny v 
roce, Praha 1948, pp' 97 e 98, e B滻ena pw滱F'T', in Ilustrace 
Franti螶a Tich逸o, a cura di Franti蟌k Dvow毾, Praha 1969, pp' 3-4; 
Vladimir Holan, Vzpominka II (Franti螶u Tich鄉u), in Bolest, Praha 
1966, pp' 83-84, ora in Lamento (Sebranspisy, III), Praha 1970, pp' 
188-89.
(4) Vit瞛slav Nezval, Levitace, in K a tane螽ice cit', s'p'
(5) Karel Konr歍, Na visuthrazd(1944), in Nevzpominky, Praha 
1963, p' 212.
(6) Franti蟌k Halas, Sv皻 Franti螶a Tich逸o cit', p' 105.
(7) Franz Kafka, In loggione, in Racconti cit', pp' 233-34.
(8) Cfr' V歊lav Nebesk L'art moderne tch嶰oslovaque (1905-33), 
Paris 1937, p' 157.
(9) Cfr' Milo螮fr滱ek, Francouzskl鈣a Franti螶a Tich逸o, Praha 
1965, p' 30.
(10) Cfr' 俠a Plume numero consacrAlphonse Mucha, n' 197, 
Paris, l'er juillet 1897.
(11) Cfr' JiwMucha, Kank滱 se svatoz漙(E'ivot a dilo Alfonse 
Muchy), Praha 1969, p' 73.
(12) Cfr' Franti蟌k Dvow毾, Cirkus a varietFranti螶a Tich逸o, 
Praha 1967, pp' 25-26.
(13) Jaroslav Seifert, Sv皻lem od瘽cit', p' 66.
(14) Cfr' Milo螮fr滱ek, Francouzskl鈣a Franti螶a Tich逸o cit', 
p' 21.
(15) Cfr' ibid', p' 74.
(16) Franz Kafka, In loggione, in Racconti cit', p' 233.
(17) Franti蟌k Halas, Klid, in Sepie: in italiano Quiete, in 
Imagena cit', pp' 44-45.
(18) Cfr' Milo螮fr滱ek, Francouzskl鈣a Franti螶a Tich逸o cit', 
pp' 17 e 68-69; Vojt瑿l Volavka, Franti蟌k Tich Kresby, Praha 1968, 
pp' 9-10.
(19) Vladimir Holan, Na ble蟊m trhu v Pawiei, in Na postupu cit', 
p' 29: in italiano: Al mercato delle pulci a Parigi, in Una notte con 
Amleto cit', p' 64.
(20) Franti蟌k Halas, Sv皻 Franti螶a Tich逸o cit', p' 105.
(21) Cfr' Franti蟌k Dvow毾, Franti蟌k Tich Praha 1960, p' 11; 
Milo螮fr滱ek, Francouzskl鈣a Franti螶a Tich逸o cit', p' 14; 
Vojt瑿l Volavka, Franti蟌k Tich Kresby cit', p' 7.
(22) Adalbert von Chamisso, Peter Schiemihls wundersame Geschichte 
(1814)
(23) JiwKar滻ek ze Lvovic, Paganini, in Endymion, Praha 1922, pp' 
52-53.
(24) Cfr' Hana Volavkov Pwib璡 eidovsk逸o muzea v Praze, Praha 
1966, pp' 75 e 106.
(25) Gustav Meyrink, Bal macabre, in Wachsfigurenkabinett, Mchen 
1918, pp' 139-53.
(26) Cfr' Franti蟌k Dvow毾, Ilustrace Franti螶a Tich逸o cit'
114
E a questo punto 勇l frequentatore del loggione posa il viso sul 
parapetto e, naufragando nella marcia finale come in un grave sogno, 
piange senza saperlo(1)
NOTE:
(1) Franz Kafka, In loggione, in Racconti cit', p' 234.
115
Mi trovo ormai, la Dio merc al termine di questa lunga e 
travagliosa fatica. Calcolavo ormai con bramosia quanti giorni ci 
volessero ancora per arramacciare il finale, come il pittore barocco 
Petr Brandl, nell'autoritratto, conta con ansietsulle dita. Dovrei 
esser felice di sbrogliarmi da un tal ginepraio. Dovrei dirle: mi 
sono stuccato di te, capitale boema. E invece le dico: voglio essere 
ancora tuissimo, mio Schicksal, mia follia. Voglio che mi si proverbi 
per matto di Praga. Ripeterle parole di Nezval: ..il tempo fugge 
ed io vorrei dire ancor molto di te - Il tempo fugge e di te ho detto 
poco sinora - Il tempo fugge come una rondine e accende le vecchie 
stelle su Praga(1) Come nel racconto di Kafka Primo dolore, 
l'acrobata non vuol scendere pidal trapezio.
E' curioso, sorella citt quanto pivogliono russificarti, tanto 
piodori di muffa absburgica. A mezzogiorno, in via Karmelitsk da 
ogni portone si effonde un afrore di crauti, knedl骿y, birra. 
Continuate, orchestrine dei ristoranti, a sonare le polche e i valzer 
di Fu鍎k. Bisogna di nuovo arrangiarsi, beffare i maestri di 
catechismo, fingere, procrastinare o, come dicevano ai tempi 
dell'imperatore, fortwursteln (tirare avanti alla meglio) (2) Jiw
Orten si cela ai nazisti, ma finirsotto un pesante autocarro 
tedesco sul lungofiume. Paul Adler lascia Hellerau, per rifugiarsi 
nella sua Praga natia, ma per un colpo apoplettico restersette 
anni, sino alla morte, inchiodato ad un letto in un nascondiglio del 
sobborgo di Zbraslav (3) Paul Kornfeld, al salire dei nazi, ripara a 
Praga, ma cadrugualmente nelle loro grinfie, perendo in un Lager di 
瘳d(4) Si gira in cerchio, si gira, ci si ritrova sempre allo 
stesso punto. A Praga non c'scampo: Nenoniku, come dice il titolo 
della seguente lirica di Holan:
Barcollando di notte per il Ponte Carlo,@ ti inginocchiavi dinanzi 
a ogni statua,@ che portava alla Piazza di MalStrana.@ Ma accanto 
alla Torre del Ponte passavi poi all'altro lato@ e ti inginocchiavi 
dinanzi a ogni statua, che riportava ai Crociferi,@ finchti 
trovasti di nuovo in quella taverna,@ da cui eri uscito un'ora 
prima.@@ Anche in altra epoca non avresti potuto altrimenti...@ (5).
Gli amici erano ansiosi che io concludessi al pipresto questo mio 
zibaldone, nella speranza che esso rinfocoli in altri il ricordo di 
un paese tradito e senza speranza. Irina scriveva da Amsterdam: 青e 
que j'attends avec impatience c'est ton livre sur PragueE V瘲a, da 
Parigi: 俊膰im se na Va蟊 magickou PrahuIl cavallo che ho 
cavalcato per tanti anni ha occhi di vetro gialliccio, impagliato e 
corroso dai tarli, come il destriero di Wallenstein. E tutta la mia 
rabbia per le macchinose menzogne e gli abusi che aduggiano quella 
contrada vana come una rissa di bettola.
Non volevo scendere a Bran骿, a Chuchie, ma penetrare sino al 
cuore, all'essenza della cittvitavina. Non mi appagavo, come un 
giornalista loquace, dei rinneghi del trespolo degli automaty, del 
l鐷r, sedimento di cicoria stracotta. Raspavo sino a ferirmi e a 
bruciarmi la tela di sacco, la canapa ardente della lingua ceca. Ma 
sono stanco. Se mi guardo allo specchio, mi accorgo di assomigliare 
davvero al Brandl dell'autoritratto: assorto in amari pensieri, 
smagrito, con gli occhi cerchiati e velati, accolgo con un acerbo 
sorriso l'annunzio della vecchiezza. Ma tutto ciche ho narrato 
accaduto davvero? O il circondario boemo soltanto la manifattura di 
un sogno, un castello in aria per chi sa lasciarsi imbarcare dalle 
chimere? Intonermalinconico la cantilena di Blok: 青iavvenne nei 
cupi Carpazi, - avvenne nella Boemia lontana(6)
La foltissima schiera di amici morti di crepacuore in questi anni 
mi dperla certezza che Praga esista davvero. Ora che nuovamente 
vi regnano la dottrinaria arroganza e il poliziesco sopruso e la 
tautologica noia, non potrpitornarvi. In Eine Prager Ballade 
Franz Werfel racconta di un sogno fatto nel treno dal Missouri al 
Texas, durante la guerra. Il defunto fiaccheraio V潎ra lo conduce a 
Praga in carrozza. Ma il poeta spaurito trattiene il cocchiere: vi 
sono i nazisti, non vi si puandare. E pan V潎ra, passando per i 
villaggi di Zbraslav e di Jilov lo riporta oltremare (7) 侵ntendi 
stabilirti a Tel Aviv? - chiedeva Werfel, malato, a Max Brod, 
nell'ultima lettera. - O pensi, a volte, che sia ancora possibile 
ritornare a Praga?(8) 俑anchmal hab ich Sehnsucht nach Prag 
scriveva Else Lasker-Scher a Paul Leppin (9)
Ora che vi si acquattano i soldati di Mosca, la grande prostituta 
con cui tutti i re della terra hanno fatto fornicazione (Apocalisse 
17, 1-2), ora che alcuni zelanti lacchvi si danno alle crapule 
mentre Cristo digiuna, non vi potrpitornare. Ora che Praga di 
nuovo, come gridMarina Cvetaeva, 厚isquallida di una Pompei
(10), mi terranno lontano. E frattanto si tutto confuso nella mia 
memoria di vecchio: alchimia e defenestrazione, salsicce e Montagna 
Bianca, birra di Pilsen e Primavera Praghese. AsserKarl Kraus: 
隹ustria: cella d'isolamento dove permesso gridare(11) Ah s 
Tristium Vindobona (12) Ma oggi nemmeno un bisbiglio: troppi 
microfoni, troppe orecchie puntate.
Di nuovo la cellulosa serve pialle denunzie, agli Acta Pilati 
(13), alle lettere anonime, che alla produzione dei libri. L'odiato 
蟌hona, archetipo del conservatore ligio alla monarchia (14), non era 
peggiore degli staffieri della scuderia moscovita. Di nuovo piccoli 
giudici fatui, ambiziosi, corrotti imbastiscono, appigliandosi a 
cavilli ideologici, processi contro chi ardisca pensare. E invano, 
accusato di colpe che non esistono, Josef K', firmatario anche lui 
del 俑anifesto delle Duemila Parole si ingegna di convincere i 
cavalocchi e i causidici della propria innocenza. Bohumil Hrabal 
aveva intitolato Inserzione per una casa in cui non voglio pi
abitare un suo libro di racconti sulle assurdite sulle trappole del 
periodo staliniano. Ma la casa di nuovo quella: angusta, afosa, 
gremita di trabocchetti. Di nuovo, dirTitorelli, sui casi nei quali 
il condannato fu assolto esistono solo leggende. Chi di scena oggi? 
Soltanto aguzzini, pagliacci maligni, robot dello sfacelo, farisei, 
negromanti, coadiutori del tribunale di Satana.
NOTE:
(1) Vit瞛slav Nezval, Praha s prsty de褾 in Praha s prsty de褾
(1936), ora in Matka Nad疀e, Dilo, VI, Praha 1953, p' 214.
(2) Cfr' Franz Werfel, Nel crepuscolo di un mondo cit', pp' 31 e 
38.
(3) Cfr' Das leere Haus cit', p' 265.
(4) Cfr' Karl Ludwig Schneider, La theorie du drame expressionniste 
et sa mise en 飀vre chez Paul Kornfeld, in L'expressionnisme dans le 
th殪tre europ嶪n cit', p' 113.
(5) Vladimir Holan, Nenoniku, in Trialog (1964), ora in Lamento 
cit', p' 65.
(6) 雨ylo to v t螜nybl Karpatach, - bylo v Bogemii dal槃ej...
Aleksandr Blok, O 柚螜 po褮 veter (1913), in Sobranie so柚inenij, 
III, Leningrad 1932, p' 213.
(7) Franz Werfel, Eine Prager Ballade, in Kunde vom irdischen Leben 
(1943)
(8) Cfr' Max Brod, Vita battagliera cit', p' 83.
(9) Else Lasker-Scher, Die Wolkenbrhe (Ausgew鄣lte Briefe), a 
cura di Margarete Kupper, Mchen 1972, p' 53 (12 aprile 1913)
(10) Marina Cvetaeva, Stichi k 柚echii (1939), in Izbrannye 
proizvedenija, Moskva-Leningrad 1965, p' 332.
(11) Karl Kraus, Detti e contraddetti, a cura di Roberto Calasso, 
Milano 1972, p' 151.
(12) E' il titolo di una raccolta di versi (1893) di Josef 
Svatopluk Machar.
(13) L'espressione di Vladimir Holan nel poema Cesta mraku, Praha 
1945, p' 52.
(14) 蟌hona, personaggio del romanzo M齹 pwitel 蟌hona (1925) di 
Viktor Dyk.
116
Popolo, tu non verrai cancellato!@ Da Dio sarai custodito!@ Per 
cuore ti ha dato il granato,@ per petto ti ha dato il granito.@ 
Marina Cvetaeva (1)
Avrei voluto trascorrervi il mio Lebensabend. Ma il sogno si 
dissipato, come quelli di Przybyszewski e di Liliencron. Non so pi
nulla di questa citt io che vi affondavo come un albero stento le 
mie radici. Talvolta un amico mi manda di soppiatto un saluto. 
Nessuna donna mi scrive, come Else Lasker-Scher e Max Brod: 俠ieber 
Prinz von Prag(2) Aspetto lettere invano. Del resto, come afferma 
Holan: 俗n terzo della vita l'ho passato aspettando il postino(3) 
Che importa? Mi consoler sfogliando l'elenco telefonico di Vienna, 
zeppo di cognomi cechi: di V潎ra, di Zajic, di Petw斁ek, di Fiala, di 
Zakopal.
Eppure il mio pensiero non riesce a distogliersi dalle tue 
continuate sterilit dalle tue piaghe, dai tuoi mancamenti. Ero a 
Monaco il 10 giugno 1972, la sera in cui a Praga il Divadlo Za Branou 
(Teatro Alla Porta) diede l'ultima rappresentazione. Proseguendo 
nella meticolosa opera di annichilimento della civiltceca, le teste 
farcite, le locuste, i marrani, che oggi governano la cittvitavina, 
hanno chiuso questa splendida scena, diretta da Otomar Krej螮 e ormai 
cara ai teatromani di tutto il mondo. Camminavo triste per la citt
bavarese la sera del 10 giugno, osservando le enormi vetrine 
sfacciate dove, in mezzo a cataste di carabattole e merci stereotipe, 
ammiccano, araldi del regno del Kitsch, allucinanti manichini dai 
colori di pasticceria. Die M饖e zum Abschied. Quella sera a Praga il 
Divadlo Za Branou interpretava il suo addio, il 柚echoviano Gabbiano, 
la commedia con cui il Teatro d'Arte di Mosca aveva iniziato un'epoca 
nuova nella storia dello spettacolo. Gli attori di Stanislavskij 
avevano pianto di gioia: nello stesso lavoro gli attori di Krej螮 
piangevano per disperazione e per rabbia. Il loro gabbiano stroncato 
strillava un requiem per Praga e per tutta la cultura europea. 
Torrenti di applausi squassarono per quasi un'ora il teatro. Gli 
spettatori, struggendosi in lacrime anch'essi, lanciavano fiori, 
gridavano: Na shledanou, Arrivederci. Ma Arrivederci un ipocrita, 
un guitto, un buffone, un campione di gherminelle.
A questo punto mi sembra di avere scritto un libro lugubre, una 
Totenrede, aggiungendo alla costante mestizia di Praga, mestizia 
generata dalla disfatta della Montagna Bianca, il Menetekel di un 
recente tramonto. Ma attorno a me c'era poco, se si escludono la 
funestissima pagliacceria degli spettri e il gaio frufru orlato di 
nero dei poeti poetisti, che fosse pretesto per uno spettacolo 
allegro. Il vero Mozart praghese non lo spensierato burlone che 
viene rinchiuso in una stanza della Bertramka, perchcomponga 
l'ouverture del Don Giovanni, mentre gaie dame gli porgono da una 
finestra del giardino cibi e bevande (4), ma il tetro holanesco che 
剃apovolse come un ubriaco le Alpi,@ per collocare poi malferma una 
bottiglia@ sullo scalino scricchiolante della paura della morte@
(5)
Da qualche anno si appresa alla mia fantasia la nezvaliana 
metafora che rassomiglia Praga a una 剃upa naveattaccata da legni 
corsari, che cannoneggiano le torri di Hrad螮ny 削a tutte le parti 
d'Europa(6) Da qualche anno, nella lontananza, mi sembra che le 
architetture della cittvitavina, come in certi collages di Jiw
Kol漙, incrinate da scossoni sismici, da gibbositdella terra, 
vacillino, pronte a crollare. Mi sembra che corvi volteggino sopra 
Hrad螮ny e la 剃arovana dei ponti(7) stia per fendersi e per 
sprofondare. Di fronte alla minaccia nazistica Nezval espresse un 
analogo presentimento di incombente rovina, di precipizio della 
capitale boema. Il timore che un'invasione e una guerra ne 
distruggessero le meraviglie lo induceva a sostare 削inanzi a Praga 
come dinanzi a un violinoe a 咨occarne in sordina le corde, come 
accordandole(8)
Da qualche anno, nella lontananza, la cittmagica mi appare in una 
gessosa e abbagliante luce di cataclisma, come nelle catastrofiche 
profezie del Barocco, scaturite dall'amarezza per il tracollo della 
Montagna Bianca. Mi riaffiorano in mente i pronostici delle Sibille 
che, nelle leggende boeme, antiveggono la trasformazione di Praga in 
un desolato viluppo di fango, sterpaglia e macerie, brulicante di 
rettili e di sozzissimi diavoli (9)
Ma tutto questo delirio, nebbia di un'inventiva malata, robaccia 
da untori. Perch come il poeta Karel Toman afferma, 勁'unica legge 
germogliare e crescere,@ crescere nella tempesta e nelle 
intemperie@ a dispetto di tutto@(10) E dunque: alla malora gli 
aruspici e le puttanesche sibille. Non avrfine la fascinazione, la 
vita di Praga. Svaniranno in un baratro i persecutori, i monatti. Ed 
io forse vi ritorner Certo che vi ritorner In una bettola di Mal
Strana, ombre della mia giovinezza, stappate una bottiglia di M瘭n骿. 
Andra Praga, al cabaret Viola, a recitare i miei versi. Vi porter
i miei nipoti, i miei figli, le donne che ho amato, i miei amici, i 
miei genitori risorti, tutti i miei morti. Praga, non ci daremo per 
vinti. Fatti forza, resisti. Non ci resta altro che percorrere 
insieme il lunghissimo, chapliniano cammino della speranza.
::::::::::
(10) Karel Toman, Duben, in M瘰ice (1918), ora in B滻n Dilo, I, 
Praha 1956, p' 116.
Fine
NOTE:
(1) Marina Cvetaeva, Stichi k 柚echii, in Izbrannye proizvedenija 
cit', p' 338.
(2) Else Lasker-Scher, Die Wolkenbrhe cit', p' 38.
(3) Vladimir Holan, Lemuria cit', p' 148.
(4) Cfr' Jaroslav Patera, Bertramka v Praze, Praha 1948, pp' 96-98.
(5) Vladimir Holan, Mozartiana, Praha 1963, p' 73.
(6) Vit瞛slav Nezval, Defenestrace, in Hra v kostky (1928), ora in 
B滻nv蟌dn駩o dne, Dilo, XII, Praha 1962, p' 54.
(7) Id', Ve蟌rka, in Praha s prsty de褾 ora in Matka Nad疀e cit', 
p' 121.
(8) Id', Praeskchodec cit', p' 244.
(9) Cfr' Alois Jir滻ek, Starpov瘰ti 蟌skcit', pp' 299-307; 
Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 140-41.
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