JSEMTS搜尋引擎
 

Jack London

LA CROCIERA DELLO SNARK


A Charmian Secondo dello "Snark"
che fu sempre al timone, notte e giorno nell'uscire dai porti o nell'entrarvi in ogni difficile passaggio
che fu sempre al timone in ogni emergenza e che pianse, dopo due anni di navigazione alla vela,
quando il viaggio fu interrotto.



CAPITOLO 1


PREMESSA

Tutto comincialla piscina di Glen Ellen. Tra una nuotata e l'altra avevamo l'abitudine di uscire dall'acqua e sdraiarci sulla sabbia, lasciando che i nostri corpi si saturassero di aria calda e di sole.

Roscoe era uno yachtman. Io ero andato un po' per mare. Era inevitabile che venissimo a parlare di barche. Parlammo di barche piccole e di come tengono il mare; ricordammo il capitano Slocum e il suo viaggio di tre anni intorno al mondo sullo "Spray".

Dichiarammo che l'idea di fare il giro del mondo in una barca di piccole proporzioni, per esempio di quaranta piedi, non ci spaventava.

Sostenemmo per giunta che l'idea ci sarebbe piaciuta. Infine dichiarammo che nessuna cosa al mondo ci sarebbe stata pigradita che avere una possibilitdi farlo.

- Facciamolo - si disse per scherzo.

Pitardi chiesi a Charmian in privato se veramente ci teneva, e lei rispose che era troppo bello per essere vero.

La volta dopo che ci ritrovammo sdraiati sulla sabbia accanto alla piscina, io dissi a Roscoe: - Facciamolo. - Facevo sul serio, e lui pure: infatti chiese: - Quando si parte?

Avevo in progetto di costruire una casa nella tenuta, un orto, una vigna. Avevo da piantare varie siepi e mille altre cose da fare. Cospensammo che saremmo partiti fra quattro o cinque anni. Ma a poco a poco il fascino dell'avventura ci afferr Perchnon partire subito?

Non saremmo mai pistati giovani come ora, nessuno di noi; l'orto, la vigna e le siepi potevano crescere durante la nostra assenza. Al nostro ritorno sarebbero stati pronti ad accoglierci, e mentre costruivamo la casa, avremmo potuto abitare nella rimessa.

Cosil viaggio fu deciso ed ebbe inizio la costruzione dello "Snark".

La barca fu battezzata col nome di "Snark" perchnon riuscimmo a trovarne uno migliore - questa informazione a beneficio di quelli che altrimenti potrebbero sospettare qualcosa di misterioso in questo nome.

I nostri amici non riescono a capire la ragione di questo viaggio.

Rabbrividiscono, piangono, si lamentano. Nessuna spiegazione riesce a convincerli che in realtstiamo seguendo la linea di minor resistenza, ossia che metterci per mare con una barca per noi molto pifacile che rimanere sulla terraferma. Questo stato d'animo deriva da un eccessivo predominio dell'"ego". Non possono evadere da loro stessi; non riescono a uscire da loro stessi quel tanto che basti per capire che la loro linea di minore resistenza non necessariamente quella degli altri. Del loro bagaglio personale di desideri, simpatie e antipatie essi fanno il metro con cui misurano desideri, simpatie e antipatie di ogni altro essere; questo non onesto e lo dico, ma loro non riescono a uscire da loro stessi quel tanto da ascoltarmi. Mi credono pazzo - in ricambio io li compatisco. E' questo uno stato d'animo che mi familiare. Siamo tutti propensi a credere che c'qualcosa che non va nel modo di ragionare di quelli con cui non andiamo d'accordo.

La parola finale questa: MI PIACE. E' alla base della filosofia ed inseparabile dal nocciolo dell'esistenza. Quando la filosofia ha brontolato pedantemente per un mese, per mostrare all'individuo quello che deve fare, l'individuo a un tratto dice: "mi piace", fa qualcos'altro e la filosofia se ne va a spasso. Perchcosgli piace; l'ubriaco beve e il martire indossa il cilicio, l'uno diventa un crapulone e l'altro un anacoreta, l'uno cerca la gloria, l'altro la ricchezza, l'altro l'amore e l'altro ancora Dio. Molto spesso la filosofia il mezzo con cui l'uomo spiega il proprio "mi piace".

Ma ritorniamo allo "Snark" e al perchdel mio desiderio di viaggiare con esso intorno al mondo. Le cose che mi piacciono costituiscono il mio sistema di valori. La cosa che preferisco il SUCCESSO PERSONALE - non per l'applauso del mondo, ma per una mia intima soddisfazione.

E' l'antico grido: "Ce l'ho fatta! ce l'ho fatta con le mie proprie mani!". Ma per me il successo dev'essere concreto. Preferirei vincere una gara in piscina o restare in sella a un cavallo che tenta di buttarmi a terra, piuttosto che scrivere il Grande Romanzo Americano.

A ognuno il proprio gusto: un altro al mio posto preferirebbe scrivere il Grande Romanzo Americano piuttosto che vincere una gara in acqua o domare un cavallo.

L'impresa di cui forse io fui pifiero, il pigrande momento della mia vita, accadde quando avevo diciassette anni. Ero su un tre alberi al largo della costa giapponese - nel bel mezzo di un tifone.

L'equipaggio era stato in coperta quasi tutta la notte. Alle sette del mattino venni chiamato dalla mia cuccetta per prendere il timone.

Senza una vela, la nave scappava davanti all'uragano con i soli alberi. C'erano almeno duecento metri tra un'onda e l'altra e il vento strappava le candide creste dalla loro sommit rendendo l'aria cosdensa di spruzzi sferzanti che era impossibile riuscire a vedere pidi due ondate alla volta. Il veliero non si poteva quasi pigovernare. A ogni rollata metteva le murate sott'acqua, poggiando e straorzando follemente tra scirocco e libeccio, e minacciava di traversarsi ogni volta che un colossale maroso ne sollevava la poppa.

Se si fosse traversato, non se ne sarebbe saputo piniente e sarebbe stato dato per perso con tutto l'equipaggio.

Presi la ruota del timone. Il capitano mi stette a guardare per un po': era allarmato dalla mia giovent aveva paura che io mancassi di forza e di coraggio; ma quando mi vide lottare vittoriosamente con la nave a piriprese, se ne andsottocoperta a colazione. Tutto l'equipaggio, da poppa a prua, era gia colazione. Se la nave si fosse traversata, nessuno di loro avrebbe avuto il tempo di salire in coperta. Per quaranta minuti me ne stetti lsolo al timone, con in mano la sorte del veliero nella sua corsa sfrenata e la vita di ventidue uomini. Ci fu un momento in cui un colpo di mare si abbattsulla poppa. Lo vidi venire e, mezzo affogato, schiacciato da tonnellate d'acqua, riuscii a frenare l'impeto della nave a traversarsi. In capo a un'ora, sudato e sfinito, mi fu dato il cambio.

Ma ce l'avevo fatta! Con le mie mani avevo saputo tenere il timone e guidare cento tonnellate di legno e di ferro attraverso alcuni milioni di tonnellate di vento e di onde.

Ero felice d'esserci riuscito - non per il fatto che ventidue uomini ne fossero a conoscenza. Prima della fine dell'anno una buona metdi essi era morta o dispersa, ma questo non diminuil mio orgoglio per l'impresa compiuta. Sono tuttavia pronto a riconoscere che non mi dispiace un po' di pubblico; ma dev'essere un pubblico scelto, composto di gente che mi vuol bene e al quale voglio bene; quando allora ottengo un successo, ho l'impressione di giustificare cosil loro affetto per me. Ma cinon ha nulla a che vedere con il successo in s Questa gioia particolarmente mia e non dipende dall'avere o no dei testimoni. Quando ho fatto qualcosa del genere mi sento esaltato, brucio di un orgoglio che mio e mio soltanto. E' qualcosa di organico, ogni fibra in me ne vibra. E' una cosa proprio naturale, null'altro che la soddisfazione di essermi saputo adattare all'ambiente. Insomma il successo.

La vita che si vive intensamente vita di successo, e il successo l'aria che si respira. La riuscita di un'impresa difficile consiste nell'essersi saputi conformare a circostanze che esigevano un severo adattamento. Pil'impresa difficile, pigrande la soddisfazione di averla saputa effettuare. Cosper chi dal trampolino si tuffa nella piscina ed entra nell'acqua di testa prima con un mezzo giro rovesciato. Nell'attimo in cui ha lasciato il trampolino, l'ambiente che lo circondava diventato di colpo crudele, e crudele sarebbe la pena inflittagli se sbagliasse e toccasse l'acqua di piatto.

Naturalmente non aveva nessun bisogno di correre il rischio di pagare la pena. Avrebbe potuto rimanersene placidamente sdraiato sulla riva in una dolce atmosfera di aria estiva, sole e stabilit Ma non era fatto a quel modo. In quel rapido movimento a mezz'aria egli ha vissuto con un'intensitche non avrebbe mai raggiunto standosene sulla riva. Quanto a me, preferisco essere l'uomo che si tuffato dal trampolino, piuttosto che di quelli seduti a guardarlo.

Ecco perchmi sto costruendo lo "Snark". Sono fatto a questo modo: mi piace, ecco tutto. Il viaggio intorno al mondo significa grandi momenti di vita. Abbiate pazienza un istante e pensateci un po'.

Eccomi qui, un piccolo animale che chiamano uomo, frammento di materia animata, cento e sessantacinque libbre di carne e sangue, nervi, tendini, ossa e cervello - il tutto tenero e delicato, suscettibile al dolore, fragile e caduco. Se do un leggero manrovescio sul muso di un cavallo recalcitrante, mi rompo un osso della mano. Se tengo la testa sott'acqua per cinque minuti, annego. Se cado da sei metri, mi sfracello. Sono suscettibile alla temperatura: qualche grado in meno e le orecchie e le dita mi si anneriscono e si staccano; qualche grado in pie la pelle mi si copre di vesciche e si accartoccia, separandosi dalla carne viva e dolorante. Ancora qualche grado in pio in meno e la vita e la luce in me si estinguono. Se una goccia di veleno mi iniettata nel corpo da un serpente non mi muovo pi- per sempre. Se una pallottola di piombo mi penetra nel cranio, sono per sempre avvolto nelle tenebre.

Fragile e caduco, frammento di vita gelatinosa e pulsante, non sono altro che questo. Intorno a me ci sono le grandi forze naturali - colossali minacce, titani distruttori, mostri spietati che hanno per me meno riguardo di quanto non ne abbia io per il granello di sabbia che calpesto. Essi non hanno per me riguardo alcuno, non mi conoscono.

Sono incoscienti, spietati e amorali. Sono i cicloni e gli uragani, i fulmini e i nubifragi, le maree e le onde di marea, i risucchi e le trombe marine, i grandi vortici, i gorghi e le correnti, i terremoti e i vulcani, la risacca che romba sulle coste dentate e i marosi che si avventano sopra i bastimenti pigrandi, riducendo gli uomini in poltiglia o spazzandoli via in mare a morte sicura - questi mostri insensati ignorano il minuscolo essere sensibile, tutto nervi e debolezza, che viene chiamato Jack London e che considera se stesso un essere superiore e con le carte in regola.

Nella confusione e nel caos del conflitto di questi immani e burrascosi titani, spetta a me tracciare la mia precaria strada. Quel frammento di vita che io sono esultersu di essi. Se riuscira sventarli o a imbrigliarli, si credersimile a Dio. E' bello cavalcare la tempesta e sentirsi simile a Dio, e oso dire che sentirsi tale ancora pimeraviglioso per un corpuscolo di vita gelatinosa che per un vero e proprio Dio.

Qui c'il mare, il vento e l'onda; qui sono i mari, i venti e le onde di tutto il mondo. Ecco l'ambiente crudele, le circostanze che esigono un rigoroso adattamento, la cui riuscita pura gioia per questa piccola vibrante vanitche sono io. Mi piace, sono fatto cos E' la mia particolare forma di vanit ecco tutto.

C'ancora un altro lato in favore del mio viaggio sullo "Snark".

Finchsono in vita, voglio vedere, e il mondo intero cosa pigrande da vedersi che non una piccola citto vallata. Non abbiamo ancora pensato a stabilire il nostro itinerario. Una cosa sola sicura, che il primo porto che toccheremo sarHonolulu. A parte alcune idee generiche, non abbiamo ancora stabilito quale saril porto che verrdopo le Hawaii. Aspetteremo a decidere quando saremo pivicini; ma in linea di massima sappiamo che andremo vagando per i mari del sud, toccando Samoa, la Nuova Zelanda, la Tasmania, l'Australia, la Nuova Guinea, Borneo e Sumatra e poi attraverso le Filippine proseguiremo fino al Giappone. Poi verrla Corea, la Cina, l'India, il Mar Rosso e il Mediterraneo. Dopo di che il percorso diventa troppo incerto per poterlo descrivere, benchci siano varie cose che sappiamo di voler fare, e tra l'altro prevediamo di passare uno o pimesi in ogni paese d'Europa.

Lo "Snark" sara vela. Ci sarun motore a benzina, ma verrusato solo in casi d'emergenza, per esempio in acque pericolose tra secche e scogli a fior d'acqua, ldove un'improvvisa bonaccia lascia la barca in balia della corrente. L'attrezzatura dello Snark sardel tipo chiamato "ketch". L'attrezzatura a "ketch" un compromesso tra la "yawl" e la goletta. In questi ultimi anni l'attrezzatura a "yawl" si dimostrata la migliore per crociera. Il "ketch" conserva le doti da crociera della "yawl" e ha inoltre alcune delle qualitveliche della goletta. Quanto ho detto va preso con riserva, perchper me tutta teoria. Non ho mai navigato su di un "ketch", anzi non ne ho mai visto uno. E' la teoria che mi sembra buona; aspettate che io sia in alto mare, allora potrdire di pisulle qualitveliche e di crociera del "ketch".

Nel progetto originale, lo "Snark" doveva avere una lunghezza di quaranta piedi al galleggiamento. Ma poi si scoprche non c'era spazio per un gabinetto da bagno, e allora si portla sua lunghezza fino a quarantacinque piedi. La sua larghezza massima di quindici piedi; non c'ntuga nstiva; ha sei piedi di puntale e la coperta interrotta solo da due scalette di discesa e da un boccaporto a prua. Il fatto che non vi sia tuga a diminuire la resistenza del ponte fa sche ci sentiremo pisicuri il giorno in cui i colpi di mare ci rovesceranno addosso le loro valanghe d'acqua. Un pozzetto grande e spazioso, affogato nella coperta, con paramare alto e ombrinali di sfogo, renderun po' picomode le nostre giornate e nottate di tempo cattivo.

Quanto a marinai, non ce ne saranno. O piuttosto saremo Charmian, Roscoe e io. Faremo tutto da noi. Noi con le nostre mani faremo il giro del mondo - lo faremo o andremo a fondo. Naturalmente ci saranno un cuoco e un mozzo. Perchdovremmo stare a cucinare sopra un fornello, lavare i piatti e apparecchiare? Potremmo starcene a terra, se avessimo voglia di far questo. Senza contare che avremo il turno di guardia e la manovra delle vele. Non solo, ma dovrpure lavorare al mio mestiere di scrittore per procurarci da mangiare, comprare nuove vele e sartiame e mantenere lo "Snark" in efficienza. E poi c'la fattoria; devo fare in modo che la vigna, l'orto e le siepi continuino a crescere.

Quando aumentammo la lunghezza dello "Snark" per ricavare un bagno, scoprimmo che non tutto lo spazio era assorbito dal bagno; abbiamo potuto cosmettere un motore pigrosso. E' un motore di sessanta cavalli e poichci dovrebbe spingere a una velocitdi nove nodi, non ci sarfiume che abbia una corrente tale da ostacolarci.

Ci ripromettiamo di fare molta navigazione interna, resa possibile dalle misure dello "Snark": allora si serrano le vele e si accende il motore. Ci sono i canali della Cina e lo Yang-tse. Ci passeremo dei mesi, se otterremo il permesso dal Governo; i permessi dei governi saranno l'unica cosa che potrostacolare la nostra navigazione interna. Me se li otterremo, non ci sarquasi limite alla strada che potremo fare.

Quando arriveremo al Nilo, beh, potremo risalire il Nilo. Potremo risalire il Danubio fino a Vienna e il Tamigi fino a Londra e la Senna fino a Parigi, fermandoci ad attraccare di fronte al Quartiere Latino con una cima di prua a N矌re-Dame e una cima di poppa alla Morgue.

Potremo lasciare il Mediterraneo e risalire il Rodano fino a Lione, lentrare nella Saona, passare alla Marna attraverso il canale di Borgogna, e dalla Marna entrare nella Senna e riuscire dalla Senna a Le H潎re.

Quando attraverseremo l'Atlantico per tornare negli Stati Uniti, potremo risalire lo Hudson, passare lungo il canale dell'Erie, attraversare i Grandi Laghi, lasciare il lago Michigan a Chicago, raggiungere il Mississippi per mezzo del fiume Illinois e del canale che li collega e seguire il Mississippi fino al golfo del Messico. E poi ci sono i grandi fiumi del Sud America. Al nostro ritorno in California, ne sapremo qualcosa di geografia.

La gente che si costruisce delle case spesso gravemente perplessa - ma a tutti quelli che provano un godimento in queste difficolt consiglio di costruirsi una barca come lo "Snark". Considerate solo per un istante la complessitdei particolari. Prendete il motore.

Qual il tipo migliore di motore? Quello a due tempi? a tre tempi? a quattro tempi?

Ho le labbra paralizzate a furia di pronunciare vocaboli inconsueti, e cospure il cervello, stanco di percorrere simili nuove ed erte vie del pensiero. Per esempio: il sistema d'accensione: dovressere a spinterogeno o a magnete? Dovremo usare pile a secco o una batteria di accumulatori? Una batteria avrebbe dei numeri, ma richiede una dinamo.

Una dinamo di quale potenza? E dal momento che abbiamo installato una dinamo e una batteria, sarebbe sciocco non illuminare la barca con la luce elettrica. Quindi si mette in discussione quante dovranno essere le lampadine e di quante candele. E' un'ottima idea, ma l'illuminazione elettrica vuol dire avere una batteria pipotente, la quale a sua volta richiede una dinamo pigrossa. E giacchci siamo, perchnon avere un proiettore? Sarebbe estremamente utile, ma consuma tanta energia elettrica che, quando saracceso, metterfuori uso tutte le luci. Eccoci da capo a percorrere lo stesso faticoso cammino in cerca di una maggiore potenza per la batteria e la dinamo. E quando infine anche questo problema risolto, qualcuno viene a dire: - E se il motore fa avaria? - E' allora che abbiamo un collasso. Ci sono i fanali di via, la luce della bussola, il fanale di fondo. La nostra vita stessa ne dipende. Percinon ci rimane che fornire l'intera barca con lampade ad olio di riserva.

Ma non abbiamo ancora finito con quel motore. Questo motore potente.

Noi non siamo che due piccoli uomini e una piccola donna! La fatica di salpare l'ancora a mano ci spezzercuore e schiena: lasciamo il compito al motore. Ed ecco che si presenta il problema di come trasmettere l'energia dal motore al verricello a prora. Quando tutto questo stato definito, dobbiamo ricominciare la ripartizione dello spazio tra il locale del motore, la cucina, il gabinetto da bagno, le cuccette e la cabina, e ricominciare tutto da capo. E quando il motore stato spostato, mando ai suoi costruttori a New York un telegramma senza senso, che suona press'a poco cos "Rinunciato al giunto a croce modificate di conseguenza cuscinetto reggi spinta distanza tra faccia anteriore volano e dritto di poppa sedici piedi sei pollici".

Se volete affaticarvi con altri particolari, perchnon vi mettete in cerca della migliore attrezzatura di governo o non provate a decidere se guarnirete il sartiame con arridatoi a bigotte all'antica o a vite?

La chiesuola della bussola dovressere situata di fronte alla ruota del timone al centro della barca o essere messa da un lato, ma sempre di fronte alla ruota? Bastano questi argomenti per riempire un'intera biblioteca di controversie marinaresche.

Poi c'il problema della benzina - millecinquecento galloni di benzina - qual'il modo migliore di stivarla e pomparla? E qual il miglior estintore per un incendio di benzina? E poi c'il simpatico problema del battello di salvataggio e del come sistemarlo. E quando anche questo risolto, arrivano cuoco e mozzo a porre uno di fronte a veri incubi. La barca piccola e saremo stipati. Il problema della donna di servizio per quelli che vivono a terra diventa insignificante al confronto. Avevamo scelto un mozzo, e almeno per quanto lo riguardava, le nostre perplessiterano risolte, quand'ecco che questo va a innamorarsi e dle dimissioni.

E in mezzo a tutto ci come puun individuo trovare il modo di studiare navigazione, se il suo tempo diviso fra tutti questi problemi e la necessitdi far soldi per poterli risolvere? Sia Roscoe che io non sappiamo niente di navigazione, ed ecco che gil'estate passata e si avvicina il momento di partire e i problemi sono piassillanti che mai e la cassa completamente vuota. In ogni modo, ci vogliono degli anni per imparare a essere marinai e noi siamo entrambi marinai. Se ci mancheril tempo, ci muniremo di libri e strumenti e impareremo navigazione da soli sull'oceano tra San Francisco e le Hawaii.

C'un fatto disgraziato e imbarazzante nel viaggio dello "Snark": Roscoe, che dividercon me il compito di ufficiale di rotta, seguace di un certo Cyrus R. Teed. Ora questo Teed crede in una cosmologia diversa da quella generalmente accettata, e Roscoe condivide la sua opinione. Ne segue che Roscoe crede che la superfice della terra sia concava e che noi viviamo all'interno di una sfera vuota, per cui, pur navigando su di un'unica barca, lo "Snark", Roscoe faril giro del mondo dall'interno, mentre io lo farall'esterno. Ma di questo parleremo ancora. Prima che il viaggio sia finito, rischiamo di trovarci di una stessa opinione. Io ho fiducia di poterlo convertire a fare il viaggio all'esterno, mentre lui altrettanto sicuro che prima di tornare a San Francisco io mi troverall'interno della terra. Non ho idea di come lui potrfarmi passare attraverso la crosta terrestre, ma Roscoe un uomo dalle molte risorse.

P.S. - Accidenti a quel motore! Dal momento che l'abbiamo e che abbiamo la dinamo, e la batteria, perchnon avere anche una macchina per fare il ghiaccio? Avere ghiaccio nei tropici! E' pinecessario del pane. E vada per la macchina per il ghiaccio! Ora sono sprofondato nella chimica, mi bruciano le labbra e mi duole il cervello; dove mai troveril tempo per studiare navigazione?




CAPITOLO 2


ENORMITA' IMPREVEDIBILI

- Non badiamo a spese - dissi a Roscoe. - Per lo "Snark" voglio tutto quello che c'di meglio. L'estetica non ha importanza. Tavole di pino grezzo, secondo me, non hanno bisogno di altre rifiniture. I soldi devono andare tutti per la costruzione. Voglio che lo "Snark" sia pistagno e robusto di qualsiasi altra barca. Non ti preoccupare per quel che si spende per renderlo stagno e robusto. Tu bada che sia costruito stagno e robusto, e io continuera scrivere e a guadagnare i soldi per pagare i conti.

E cosfeci, come meglio potevo; perchlo "Snark" inghiottiva denaro piin fretta di quanto io non ne guadagnassi. Tant'vero che ero sempre a chiedere soldi in prestito per arrotondare i miei guadagni.

Una volta erano mille dollari, una volta duemila, una volta cinquemila. E per tutto quel tempo continuavo a scrivere ogni giorno e profondevo i miei guadagni in quell'impresa. Lavoravo anche la domenica senza concedermi una vacanza. Ma ne valeva la pena. Ogni volta che pensavo allo "Snark", sapevo che ne valeva la pena.

Sappi, caro lettore, quant'robusto lo "Snark". Ha una lunghezza al galleggiamento di 45 piedi. I torelli hanno uno spessore di tre pollici; le tavole del fasciame di due pollici e mezzo; quelle della coperta di due pollici; e tra tutte le tavole non c'un nodo. Lo so, perchper il legno ho fatto un'ordinazione speciale a Puget Sound.

Poi lo "Snark" ha quattro compartimenti, il che equivale a dire che sezionato da tre paratie stagne. In questo modo, per quanto grande sia un'eventuale via d'acqua, solo uno dei compartimenti si allaga. Gli altri tre compartimenti lo manterranno a galla egualmente e ci permetteranno inoltre di riparare la via d'acqua. Queste paratie stagne hanno un altro vantaggio. L'ultimo dei compartimenti, quello di estrema poppa, contiene sei serbatoi, che tengono pidi mille galloni di benzina. Ora la benzina un articolo molto pericoloso, specie ad averne una grande quantitsu una piccola barca in alto mare. Ma se i sei serbatoi, che non presentano perdite, sono a loro volta contenuti in un compartimento ermeticamente isolato dal resto della barca, il pericolo veramente molto ridotto.

Lo "Snark" una barca a vela. E' stata costruita essenzialmente per andare a vela. In aggiunta perstato sistemato a bordo un motore ausiliario di settanta cavalli. E' un buon motore, resistente; lo so bene, io che ho pagato per farlo venire da lontano, da New York.

Inoltre, in coperta, sopra il motore, c'un verricello; un affare grandioso, che pesa centinaia di libbre e ingombra mezza coperta.

Capite, ridicolo salpare l'ancora a forza di braccia quando si ha a bordo un motore di settanta cavalli. E per questo abbiamo sistemato sulla barca il verricello, azionandolo dal motore a mezzo di una trasmissione ad ingranaggi costruita apposta in una fonderia di San Francisco.

Lo "Snark" fu costruito in modo che fosse confortevole, e non si bada spese a questo riguardo. Ecco il gabinetto da bagno, per esempio, piccolo e ingombro sia pure, ma che possiede tutte le comoditdi un qualunque bagno in terraferma. Il gabinetto da bagno un ideale di trovate e congegni, pompe e leve e valvole di scarico. E' vero che mentre lo stavano costruendo, passavo le notti sveglio a pensarci.

Subito dopo il bagno eccovi il battello di servizio e la lancia. Sono sistemati in coperta e occupano quel po' di spazio che ci sarebbe rimasto per sgranchirci le gambe; d'altra parte valgono pidi un'assicurazione sulla vita; e una persona prudente, anche se ha costruito una barca stagna e robusta come lo "Snark", provvedera munirsi anche di un buon battello di servizio - e il nostro proprio buono, un gioiello. Doveva costare 150 dollari e al momento di pagare venne fuori che il conto era di 395!!! Basta questo a dimostrare che razza di battello sia!

Potrei dilungarmi ancora molto sulle varie virte i pregi dello "Snark", ma mi trattengo. L'ho gimagnificato abbastanza, e l'ho fatto a ragion veduta, come si vedrprima della fine di questo capitolo. E vi prego di ricordarne il titolo: "Enormitimprevedibili".

Secondo i programmi, lo "Snark" avrebbe dovuto far vela il primo ottobre del 1906, e giil fatto che non sia partito allora di per sinconcepibile ed enorme. Non c'era alcuna ragione valida per non partire, se non il fatto che esso non era pronto, nalcuna ragione concepibile per cui non lo fosse. Ce l'avevano promesso per il primo novembre, per il 15 novembre, per il primo dicembre; eppure non era mai pronto. Il primo dicembre Charmian e io lasciammo la dolce e pulita campagna di Sonoma e scendemmo a vivere nella cittsoffocante - ma non per molto; solo per due settimane, perchil 15 dicembre saremmo partiti. E direi che ne potevamo essere sicuri, dato che l'aveva detto Roscoe, e fu per suo consiglio che venimmo in cittper starci due settimane. Ahim le due settimane passarono, ne passarono quattro, sei, otto, e la partenza era pilontana che mai. Chi puspiegarlo? Non io certamente. Questa la prima volta in vita mia che mi sono tirato indietro da una cosa. Non c'modo di spiegarlo; se ci fosse, lo farei. Proprio io, che sono un artefice della parola, confesso la mia incapacita spiegare perchlo "Snark" non fosse pronto. Come ho gidetto e come devo ripetere, era inconcepibile ed enorme.

Le otto settimane diventarono sedici, e infine un giorno Roscoe ci tirsu il morale, dicendo: - Se non partiamo prima del primo aprile, potrete giocare a pallone con la mia testa.

Due settimane dopo disse: - La mia testa si sta preparando per quella famosa partita.

- Pazienza - dicevamo Charmian e io - pensa, che splendore di barca, quando sarpronta!

E allora, per incoraggiarci a vicenda, ricapitolavamo le infinite virte i pregi dello Snark. Inoltre prendevo altro denaro in prestito e mi mettevo con maggior lena al mio lavoro e scrivevo con maggior impegno, rifiutando eroicamente di far vacanza la domenica e di partecipare con gli amici alle gite in collina. Mi stavo costruendo una barca, e quant'vero Iddio doveva essere una barca, una barca in lettere maiuscole, e per quanto costasse non me ne importava niente, purchfosse una BARCA.

E poi c'un altro pregio dello "Snark" di cui devo vantarmi, e precisamente la sua prua. Nessuna ondata potrebbe mai scavalcarla; essa si prende gioco del mare, ecco cosa fa - lo sfida - lo provoca. E con tutto ciuna bellissima prua - la sua linea un sogno; mi chiedo se una barca ebbe mai la fortuna di avere una prua pibella e nello stesso tempo piefficiente. E' stata costruita apposta per cozzare contro la tempesta - toccare quella prua come posare la mano sul naso cosmico delle cose; guardandola si capisce che nei suoi riguardi non si badato a spese. E ogni volta che si rimandava la nostra partenza o che veniva fuori una nuova spesa, noi pensavamo a quella meravigliosa prua ed eravamo contenti.

Lo "Snark" una barca piccola. Quando calcolai con larghezza che ci sarebbe costato settemila dollari, fui abbondante ma pure esatto. Ho costruito case e rimesse, e so che queste cose hanno la caratteristica particolare di superare il preventivo. Questo lo sapevo, e lo sapevo giquando valutai a settemila dollari il probabile costo della costruzione dello "Snark". Ebbene, ci costtrentamila dollari. Ora per favore non venite a chiedermi il perch E' la verit ho firmato gli assegni e mi sono procurato il denaro. Naturalmente non c'modo di spiegarlo. E' davvero inconcepibile ed enorme, e su questo sono certo che sarete d'accordo prima che il capitolo sia terminato.

Poi c'era la questione del ritardo. Ebbi a che fare con quarantasette operai di diverse specie e con centoquindici ditte differenti; e non ci fu mai nun operaio nuna ditta che effettuasse una consegna alla data convenuta; erano puntuali solo per ritirare la paga e per riscuotere le fatture. Certuni mi garantirono sulla loro testa che avrebbero consegnato una data cosa entro un certo giorno; di regola, dopo tale garanzia, raramente erano in ritardo di pidi tre mesi nella consegna. E cossi andava avanti, e Charmian e io ci consolavamo dicendo che splendida barca era lo "Snark", cosstagna e robusta; e poi anche prendevamo il battello e facevamo un giro attorno allo "Snark", beandoci dell'indicibile bellezza della prua.

- Immagina - dicevo a Charmian - una burrasca al largo della costa cinese, e pensa allo "Snark" alla cappa con quella sua splendida prua che si apre un varco nella tempesta, asciutta, senza imbarcare neanche uno spruzzo; e noi saremo tutti sottocoperta a giocare a whist mentre urla la bufera.

E Charmian mi afferrava la mano nel suo entusiasmo esclamando: - Davvero ne vale la pena, nonostante il ritardo, il costo, i fastidi e tutto il resto. Che barca meravigliosa!

Ogni volta che guardavo la prua dello "Snark" o pensavo ai suoi compartimenti stagni, mi sentivo sollevato. Nessun altro, per lo era. I miei amici cominciarono a scommettere sulle diverse date di partenza dello "Snark". Il signor Wiget, al quale era stato affidato l'incarico di badare alla nostra fattoria di Sonoma, fu il primo a vincere la scommessa. Gliela pagai il giorno di capodanno del 1907.

Dopo di che le scommesse incalzarono senza tregua. Gli amici mi circondavano come un branco di arpie, scommettendo contro ogni data di partenza che fissavo. Io ero avventato e ostinato. Scommettevo e scommettevo e continuavo a scommettere; e pagavo tutti. Figuratevi che persino le mie amiche si fecero cosbaldanzose che quelle che non avevano mai fatto una scommessa in vita loro cominciarono con me. E pagai anche loro.

- Non te la prendere - mi diceva Charmian - ma pensa a quella prua alla cappa nei mari della Cina.

- Vedete - dissi agli amici quando pagai l'ultimo mazzetto di scommesse - non stiamo risparmiando npene ndenaro per rendere lo "Snark" la barca pimarina che mai fece vela dal Golden Gate, ecco la causa di tutto il ritardo.

Nel frattempo i direttori e gli editori con i quali avevo dei contratti mi tempestavano di domande, esigendo spiegazioni. Ma come potevo spiegare a loro quando non sapevo spiegare a me stesso e quando nessuno, nemmeno Roscoe, era in grado di farlo?

I giornali cominciarono a burlarsi di me e a pubblicare delle poesiole sulla partenza dello "Snark" con ritornelli come: "Non ancora ma ben presto". E Charmian mi consolava ricordandomi la prua, e io andavo da un banchiere e mi facevo prestare altri cinquemila dollari.

Ci fu tuttavia un compenso per il ritardo. Un amico mio, che fa il critico, scrisse una presa in giro di me e di tutto quello che avevo fatto e di quello che avrei dovuto fare; e progettdi farla pubblicare quando io fossi stato in alto mare. Senonchquando uscero ancora in porto, e da allora non ha fatto altro che giustificarsi.

Intanto il tempo continuava a passare. Una cosa stava diventando evidente, e cioche era impossibile finire lo "Snark" a San Francisco. C'era voluto tanto di quel tempo per la sua costruzione che cominciava a logorarsi e a cadere a pezzi. Anzi aveva raggiunto lo stadio in cui si guastava a una tale velocitche non si faceva in tempo a ripararlo. Era diventato uno scherzo. Nessuno lo prendeva sul serio; e tanto meno gli uomini che ci lavoravano. Dissi che saremmo partiti coscom'era, e che avremmo finito di costruirlo a Honolulu.

Immediatamente si apruna via d'acqua che dovette essere riparata prima che potessimo partire. Lo avviai allo scalo d'alaggio; prima di arrivarci, rimase preso in mezzo a due enormi chiatte e subuna violenta compressione. Lo portammo sull'invasatura e a metdell'alaggio l'invasatura si allarge lo lascicadere di poppa nel fango.

Era un bel pasticcio, un lavoro di recupero, non di costruzione. Ci sono due alte maree nelle ventiquattr'ore, e ad ogni alta marea, giorno e notte, per una settimana, due rimorchiatori tirarono a tutto vapore sullo "Snark". Era lincastrato e, senza sostegno, appoggiava sulla poppa. In seguito, mentre ancora si trovava in quella situazione critica, cominciammo a mettere in funzione la trasmissione a ingranaggi fabbricata nella fonderia locale, per mezzo della quale il motore doveva azionare il verricello. Era la prima volta che si tentava di usare quel verricello. La trasmissione era difettosa e si sfasci gli ingranaggi stridettero gli uni contro gli altri e il verricello fu fuori servizio. Subito dopo andfuori servizio il motore di settanta cavalli. Il motore veniva da New York e cospure la piastra di fondazione; c'era un difetto nella piastra, c'erano un mucchio di difetti; e il motore di settanta cavalli si staccdalla base infranta, si impenn spezztutti i collegamenti e le ritenute e ricadde di fianco. Intanto lo "Snark" era sempre incastrato nell'invasatura deformata e i due rimorchiatori continuavano vanamente a tirare.

- Non ha importanza - diceva Charmian - pensa a quanto forte e robusta questa barca.

- S- dicevo - e pensa a quella meravigliosa prua.

Cosriprendevamo animo e ci rimettevamo al lavoro. Il motore massacrato fu fissato a ciche rimaneva del basamento. Gli elementi spezzati e gli ingranaggi della trasmissione di forza furono smontati e messi da parte al solo scopo di portarli a Honolulu, dove sarebbero state fatte le riparazioni e costruiti i pezzi nuovi. Allo "Snark" era stata data non so dove nel suo confuso passato una mano di pittura bianca all'esterno dello scafo; a vederlo in buona luce, tuttavia, c'era ancora un'apparenza di colore; all'interno non era mai stato pitturato - al contrario era stato ricoperto da uno strato spessissimo di grasso e sputi di tabacco lasciati dalle moltitudini di meccanici che ci avevano trafficato dentro. Pazienza, dicemmo, il grasso e la sporcizia si potevano raschiare via, e in seguito, quando avremmo raggiunto Honolulu, lo "Snark" poteva essere pitturato mentre lo si ricostruiva.

Con vera fatica riuscimmo a strappare via lo "Snark" dall'invasatura danneggiata e lo ormeggiammo di fianco alla banchina municipale. I furgoni portarono tutto l'equipaggiamento da casa, i libri, le coperte e il bagaglio personale. Insieme a questo, come un torrente disordinato, giunse a bordo tutto il resto: legna e carbone, acqua e serbatoi per l'acqua, verdura, provvista, lubrificante, il battello di servizio e la lancia, i nostri amici al completo, tutti gli amici dei nostri amici e quelli che si spacciavano per loro amici, senza parlare di alcuni degli amici degli amici degli amici dell'equipaggio. C'erano anche cronisti, fotografi, estranei e ciarlatani, e soprattutto, nuvole di polvere di carbone dalla banchina.

Dovevamo far vela domenica alle undici ed era il pomeriggio del sabato. La folla sulla banchina e la polvere di carbone erano pifitte che mai. In una tasca avevo un libretto d'assegni, una penna stilografica, un'agenda e una carta assorbente. In un'altra tasca avevo uno o duemila dollari in biglietti di banca e in oro. Ero pronto per i creditori, con denaro liquido per quelli minori e assegni per quelli pigrossi, e aspettavo solo l'arrivo di Roscoe con il residuo dei conti delle centoquindici ditte che mi avevano ritardato la partenza per tanti mesi. Quand'ecco che accadde ancora una volta il fatto imprevedibile ed enorme. Prima che potesse venire Roscoe, sopraggiunse un altro individuo. Era un ufficiale giudiziario del Governo Federale. Attaccun cartello sul fiero albero maestro dello "Snark" in modo che tutti quelli che erano sulla banchina potessero leggerci che lo "Snark" era stato sequestrato per debiti. L'ufficiale giudiziario lasciun vecchietto a guardia della barca e se ne and

Non avevo pinessun controllo sullo "Snark" e sulla sua splendida prua. Il vecchietto ne era da questo momento il padrone e signore, e appresi che lo pagavo tre dollari al giorno per questo. Inoltre venni a sapere il nome dell'uomo che aveva fatto sequestrare lo "Snark". Si chiamava Sellers ("venditori"); il debito era di duecentotrentadue dollari e l'azione era quanto ci si poteva aspettare dal detentore di un nome simile. Sellers! Buon Dio! Sellers!

Ma chi mai poteva essere questo Sellers? Consultai il mio libretto di assegni e vidi che due settimane prima gli avevo versato un assegno di cinquecento dollari. Altre matrici mi dimostrarono che, durante i lunghi mesi della costruzione dello "Snark", gli avevo versato varie migliaia di dollari. Allora perchin nome della pielementare correttezza non aveva cercato di farsi pagare questo miserabile residuo invece di far sequestrare lo "Snark"? Misi le mani nelle tasche e in uno trovai il libretto degli assegni, l'agenda e la penna e nell'altra le monete d'oro e i biglietti di banca. C'era di che saldare questo misero conto decine di volte - perchnon me ne aveva dato la possibilit Non c'era nessuna spiegazione; era puramente inconcepibile ed enorme.

Per rendere ancora pigrave la faccenda, lo "Snark" era stato sequestrato nel tardo pomeriggio del sabato - e benchavessi sguinzagliato avvocati e agenti per tutto Oakland e San Francisco non si riusca trovare nun giudice federale nun agente giudiziario nil signor Sellers nil suo legale - nessuno.

Erano tutti fuori cittper la vacanza di fine settimana. Coslo "Snark" non potpartire alle undici di domenica mattina. Il vecchietto era ancora al suo posto e disse di no. Charmian e io ci portammo sulla banchina di fronte e ci consolammo guardando la splendida prua dello "Snark" e pensando a tutte le bufere e i tifoni contro cui essa avrebbe superbamente lottato.

- Un espediente borghese - dissi a Charmian, parlando del signor Sellers e del suo sequestro - il panico di un trafficante meschino. Ma non fa niente, i nostri guai termineranno appena saremo lontani da tutto questo, in mare aperto.

E finalmente facemmo vela la mattina di marted23 aprile 1907. La partenza fu piuttosto mediocre, lo confesso. Dovemmo salpare l'ancora a forza di braccia, perchla trasmissione del motore era un disastro.

Oltre a ci i resti del nostro motore di settanta cavalli erano ben legati nella sentina dello "Snark", a fare da zavorra. Ma che importavano queste cose? A Honolulu avremmo potuto metterle a posto, e intanto che meraviglia era tutto il resto della barca!

E' vero, il motore della lancia non funzionava, e il battello faceva acqua come una cesta, ma d'altra parte essi non erano lo "Snark", ma solo accessori. Quello che contava erano le paratie stagne, il tavolame spesso senza nodi, i congegni del gabinetto da bagno - queste cose erano lo "Snark". E oltre a esse, la pigrande di tutte, c'era quella nobile prua, avversaria dei venti.

Uscimmo a vela attraverso il Golden Gate e dirigemmo la rotta a sud, verso quella parte del Pacifico dove potevamo sperare di trovare l'aliseo di nord-est. Ma subito cominciarono i "fatti nuovi". Avevo calcolato che la gioventfosse quanto ci voleva per un viaggio come quello dello "Snark", e avevo assunto tre giovani - il motorista, il cuoco e il cameriere. I miei calcoli erano sbagliati solo per due terzi; avevo dimenticato di considerare che i giovani possono soffrire il mal di mare, e due dei nostri, il cuoco e il cameriere, lo soffrivano. Si buttarono immediatamente in cuccetta e per tutta la settimana successiva non servirono pia niente. Da quanto precede si comprenderperchnoi non avemmo i cibi caldi che avremmo potuto avere, nsottocoperta furono mantenuti l'ordine e la pulizia.

Comunque questo importava molto relativamente, dato quello che non tardammo a scoprire: le nostre arance dovevano aver subito una gelata, le mele erano molli e stavano andando a male, i cavoli, andati a male fin da prima della consegna, dovettero essere gettati a mare immediatamente; il petrolio si era rovesciato sulle carote e le rape erano legnose e le barbabietole fradicie, mentre le fascine per accendere il fuoco consistevano di legno morto che non bruciava, e il carbone, giunto in sacchi da patate imputriditi, si era sparso sulla coperta e veniva spazzato via dal rigurgito degli ombrinali.

Ma che importanza aveva? Questi non erano che dettagli. Ma la barca - la barca era in gamba, no? Feci quattro passi in coperta e in un minuto contai quattordici nodi nel bel tavolame ordinato appositamente a Puget Sound onde non avesse neanche un nodo. Inoltre quella coperta faceva passare l'acqua, e tanta. L'acqua allagla cuccetta di Roscoe, obbligandolo a traslocare, e rovini ferri nel locale del motore, per non parlare delle provviste che guastin cucina. Ma anche il fasciame dello "Snark" faceva acqua, e trovavamo tanta acqua in sentina da dover ogni giorno pompare per tenerci a galla. L'impiantito della cucina di un paio di piedi pialto della sentina; eppure mi accaduto di essere in piedi su quell'impiantito, tentando di mangiare un boccone (freddo), e di essere a mollo fino alle ginocchia nell'acqua che sciacquava tutto attorno, solo quattro ore dopo l'ultima pompata.

E poi, quei magnifici compartimenti stagni che erano costati tanto tempo e denaro: ebbene, in realtnon erano stagni per niente. L'acqua passava da un compartimento all'altro con la facilitdell'aria; non solo, ma una forte puzza di benzina dal compartimento di poppa mi indusse a sospettare che uno o pidi quella mezza dozzina di serbatoi che vi erano stati sistemati avessero cominciato a perdere. Cosi serbatoi perdevano e la tenuta del loro compartimento non era ermetica. Poi c'era il gabinetto da bagno con le sue pompe e leve e valvole di scarico - andfuori uso prima di venti ore.

Massicce leve di ferro si spezzarono presso all'impugnatura mentre uno provava a pompare. Il gabinetto da bagno, di tutte le parti dello "Snark", fu quello che anda pezzi pirapidamente.

E le ferramenta dello "Snark", qualunque ne fosse la provenienza, si rivelarono di cartapesta. Ad esempio, la piastra di sostegno del motore era giunta da New York, ed era di cartapesta; e coserano gli ingranaggi e le trasmissioni del verricello, provenienti da San Francisco. E c'era infine il ferro dolce impiegato nell'alberatura, che comincia cedere in tutte le direzioni non appena subi primi sforzi. Ferro fuso, badate bene, e si spezzava come un fuscello. La trozza del picco della randa si spezzvicino all'attacco - la sostituimmo con la trozza della pennola della vela di fortuna, e pure questa seconda trozza si spezzall'attacco dopo un quarto d'ora, e badate bene che era quello della pennola della randa di fortuna, a cui avremmo dovuto affidarci nei momenti di tempesta. Attualmente lo "Snark" trascina la sua randa come un'ala spezzata, dato che la trozza stata sostituita con una rozza legatura. Vedremo se riusciremo a trovare a Honolulu del ferro come si deve.

Gli uomini ci avevano traditi e ci avevano mandati per mare su di una cesta, ma bisogna dire che il Signore ci voleva bene, perchil tempo durbuono mentre stavamo imparando che per tenerci a galla dovevamo pompare ogni giorno, e che ci si poteva fidare di pidi uno stuzzicadenti di legno che del pimassiccio pezzo di ferro esistente a bordo.

Man mano che la tenuta stagna e la robustezza dello "Snark" venivano meno, Charmian e io riponevamo sempre di pila nostra fiducia su quella magnifica prua. Non restava altro su cui contare. Era tutto inconcepibile ed enorme, lo sapevamo, ma quella prua, almeno essa, era razionale. Ma infine, una sera, cominciammo a cappeggiare.

Come potrdescriverlo? Lasciate prima di tutto che spieghi, ad uso dei principianti, che la cappa un'andatura in cui la nave obbligata da una velatura ridotta ed equilibrata a mantenere la prua al vento e al mare. Quando il vento troppo violento e il mare troppo grosso, una barca della grandezza dello "Snark" puprendere la cappa senza difficolt dopo di che in coperta non c'piniente da fare.

Non ci vuole nessuno al timone; anche la vedetta superflua; l'equipaggio al completo scende sotto coperta a dormire o a giocare a whist.

Ebbene, eravamo in una mezza burraschetta estiva quando dissi a Roscoe che avremmo preso la cappa. Stava scendendo la notte. Avevo tenuto il timone per quasi tutta la giornata e tutti noi in coperta (Roscoe e Bert e Charmian) eravamo stanchi, mentre quelli abbasso stavano soffrendo il mare. A quel punto alla maestra avevamo gipreso due mani di terzaroli. Fiocco e controfiocco furono ammainati, e prendemmo un terzarolo alla trinchettina. Anche la mezzana fu ammainata.

All'incirca a questo punto il bome della trinchettina scomparve in un'onda e si spezzall'attacco. Cominciai a metter barra per venire all'orza. In quell'istante lo "Snark" stava rollando, traversato al mare. Rimase traversato, sempre rollando; una caviglia dopo l'altra, detti sempre pitimone: ma esso rimaneva traversato. (Traversato al mare, amico lettore, la posizione pipericolosa in cui una nave possa trovarsi). Misi tutta la barra ma lo "Snark" rollava sempre traversato. Non riuscii a stringere il vento pidi 90 gradi. Feci venire Roscoe e Bert alla randa di maestra. Lo "Snark" continuava a rollare traversato, mettendo il trincarino sott'acqua ora da un lato ora dall'altro.

Ancora una volta l'inconcepibile, l'enorme, mostrava il suo volto misterioso. Era grottesco, impossibile. Rifiutavo di crederci. Lo "Snark", tenendo la maestra con due mani e il fiocco con una di terzaroli, si rifiutava di venire all'orza per cappeggiare. Bordammo la randa di maestra a ferro. La rotta dello "Snark" non cambidi un decimo di grado. Allascammo la stessa vela senza maggior risultato.

Inferimmo una vela di fortuna alla mezzana e imbrogliammo la maestra.

Nessun cambiamento. Lo "Snark" restava traversato a rollare. Quella sua bella prua rifiutava di venire all'orza e di far fronte al vento.

Subito dopo ammainammo il fiocco giterzarolato. In questo modo l'unico pezzo di tela ancora a riva era la mezzanella di fortuna.

Nulla sarebbe mai riuscito a far orzare lo "Snark", se non ci riusciva quella. Non mi crederete forse, quando vi dico che non ci riusc ma cos Non riesco a crederlo neanche io. E' incredibile, ma vi sto raccontando non quello che credo, ma quello che ho visto.

Ora, amico lettore, tu cosa faresti se ti trovassi su una piccola barca, traversata al mare e sotto rollate violente, con una randa di fortuna a poppa che non ce la fa a far venire la prua al vento?

Metteresti a mare l'ancora galleggiante. Proprio quello che facemmo noi. Ne avevamo una brevettata, fatta apposta per noi e di galleggiabilitgarantita. Pensate a un cerchio d'acciaio impiegato per tenere aperta la bocca di un grande sacco conico di tela: questa un'ancora galleggiante. Ebbene, legammo una cima all'ancora galleggiante, demmo volta alla stessa cima sulla prua dello "Snark", e gettammo poi l'ancora fuori bordo. Andsubito sotto. Avevamo anche un cavo per abbatterla, cosl'abbattemmo e la recuperammo a bordo. Le attaccammo un grosso trave come galleggiante, e la ributtammo di nuovo a mare. Questa volta rimase a galla. La cima sulla prua venne in forza. La mezzanella di fortuna tendeva a portare la prua all'orza, ma nonostante tale tendenza lo "Snark" prese tranquillamente l'ancora fra i denti e proseguin avanti, trascinandosela dietro, sempre rollando con il mare al traverso. E ora state a sentire.

Arrivammo persino ad ammainare la randa di fortuna, e ad alzare invece la randa grande di mezzana. La bordammo a segno, e sempre lo "Snark" ballava traversato e si trascinava dietro l'ancora galleggiante. Non credetemi pure. Non ci credo neanch'io, non faccio che raccontarvi quello che ho visto.

Lascio giudicare a voi. Chi ha mai sentito parlare di una barca a vela che non prende la cappa? Che non viene all'orza neanche con l'aiuto di un'ancora galleggiante? Nella mia breve esperienza di barche io non l'ho mai sentito. E, in piedi sulla coperta, guardai la nuda faccia dell'inconcepibile e dell'enorme - lo "Snark" che non prendeva la cappa. Era sopraggiunta la notte, tempestosa e illuminata a tratti dalla luna. C'era nell'aria una certa umidit e lontano a sopravvento incombevano dei piovaschi. C'era poi il cavo dell'onda, freddo e crudele nella luce lunare, e in esso lo "Snark" rollava compiaciuto.

Recuperammo allora l'ancora galleggiante, ammainammo la mezzana, alzammo il fiocco terzarolato, ci mettemmo a correre in poppa e scendemmo sotto coperta - non al pasto caldo che avrebbe dovuto attenderci, ma ad attraversare scivolando sulla melma viscida l'impiantito della saletta, dove cuoco e cameriere giacevano come morti nelle loro cuccette, e a gettarci sulle nostre, tutti vestiti e pronti alla chiamata, con negli orecchi lo sciacquio dell'acqua di sentina che in cucina giungeva a mezza gamba.

Al Bohemian Club di San Francisco si trovano marinai di prim'ordine.

Lo so, perchli ho sentiti discettare sullo "Snark" mentre era in costruzione. Una sola cosa veramente importante gli rimproveravano, e su di essa erano tutti d'accordo: che non avrebbe potuto correre in poppa. Andava benissimo in tutto il resto, dicevano, ma non sarebbe mai stato capace di correre in poppa con un vento e un mare fresco.

"Le sue linee", spiegavano misteriosamente, "colpa delle sue linee.

Non si puASSOLUTAMENTE farlo correre in poppa, ecco tutto".

Bene, avrei proprio voluto avere a bordo dello "Snark", l'altra notte, quei gran marinai del Bohemian Club, perchvedessero con i loro occhi quel loro unico giudizio, fondamentale e unanime, rovesciato totalmente. Correre in poppa? Ma proprio la cosa che lo "Snark" fa alla perfezione. Lo ha fatto con un'ancora galleggiante data volta a prua e la mezzana grande bordata a ferro a poppa. In questo momento, mentre sto scrivendo, stiamo scivolando via in poppa, a una media di sei nodi, in pieno aliseo di nord-est. C'un bel po' di mare; nessuno al timone, la ruota non nemmeno fissata ed messa mezza caviglia all'orza. Per essere precisi, il vento da nord-est; la mezzana dello "Snark" serrata, la randa di maestra orientata sulla dritta, i fiocchi sono a segno, la rotta dello "Snark" sud-sud-ovest. Eppure ci sono delle persone che hanno battuto i mari per quarant'anni e sostengono che nessuna barca pucorrere in poppa senza timoniere. Mi daranno del bugiardo quando leggeranno questo; ma lo dissero anche del capitano Slocum, quando egli affermla stessa cosa dello "Spray".

Per quanto riguarda il futuro dello "Snark" sono in alto mare. Non so.

Se avessi denaro o credito, costruirei un altro "Snark" capace di prendere la cappa. Ma ho dato fondo a tutte le mie risorse. Devo adattarmi a questo "Snark" o rinunciare, e non posso rinunciare. Credo proprio quindi che dovrcercare di arrangiarmi, prendendo con lo "Snark" la cappa di poppa. Aspetto la prossima bufera per vedere se funziona. Penso che sia una cosa fattibile. Tutto dipende da come la sua poppa agguanta le ondate. E chi sa che magari in una tempestosa mattina nel mare della Cina, un capitano dalla barba grigia non spalanchi gli occhi, se li stropicci incredulo, e torni a spalancarli alla vista di una piccola e strana nave, molto simile allo "Snark", alla cappa con la poppa al vento, in attesa che la bufera si calmi.

Tornando in California dopo il viaggio sono venuto a sapere che lo "Snark" era lungo, al galleggiamento, 43 piedi e non 45. Questo perchil costruttore non aveva familiaritcon il metro e la squadra.




CAPITOLO 3


SPIRITO D'AVVENTURA

No, lo spirito d'avventura non morto, malgrado la locomotiva a vapore e Thomas Cook e figlio.

Quando venne annunciato il progettato viaggio dello "Snark", i giovani di "temperamento girovago" si rivelarono in quantite cospure le giovani - per non dire degli uomini e delle donne anziane che si offrirono volontari per il viaggio. Per esempio fra i miei amici personali almeno una mezza dozzina rimpiansero i loro recenti o imminenti matrimoni; e so di un matrimonio che minaccidi andare all'aria per colpa dello "Snark".

La mia posta era sempre carica di lettere di candidati che si sentivano asfissiare nelle citt "soffocate dall'uomo", e ben presto cominciai a capire che un Ulisse del ventesimo secolo aveva bisogno di un reggimento di stenografe che sbrigasse la sua corrispondenza prima di poter far vela. No, certamente lo spirito d'avventura non morto, finchuno riceve lettere che cominciano cos "Non c'dubbio che quando leggerete questa supplica dell'anima da parte di una sconosciuta di Nuova York", eccetera; e nel corso della quale si viene a sapere che questa sconosciuta pesa solo 40 chili, desidera fare il mozzo e "anela a vedere i paesi del mondo".

Un postulante, per esprimere la propria smania di viaggiare, si diceva affetto da un "appassionato amore per la geografia"; mentre un altro scriveva: "Sono perseguitato da un eterno desiderio di essere sempre in movimento, donde questa lettera". Ma meglio ancora fu quello che disse che voleva venire perchgli prudevano i piedi.

Ce n'erano alcuni che scrivevano anonimamente, suggerendo nomi di amici loro e dandone le qualifiche; ma secondo me c'era qualcosa di un po' sinistro in questo modo di procedere e non approfondivo oltre la questione.

Tolte due o tre eccezioni, le centinaia di persone che si offrirono volontarie per far parte dell'equipaggio erano assolutamente in buona fede. Molti mandarono la loro fotografia. Il novanta per cento si offrper qualsiasi genere di lavoro, e il novantanove per cento si offrdi lavorare senza paga. "Riflettendo al vostro viaggio sullo 'Snark'", scriveva uno, "e nonostante i pericoli inerenti, l'accompagnarvi con qualsiasi incarico sarebbe il massimo delle mie ambizioni". Il che mi rammenta il giovane che era "diciassettenne e ambizioso" e che alla fine della lettera mi chiedeva sinceramente: "ma per favore, non lasciate che questo venga pubblicato sui giornali o sulle riviste". Ben diverso era quello invece che diceva: "Sarei disposto a sgobbare come un negro senza chiedere un soldo". Quasi tutti volevano che io telegrafassi a spese loro l'accettazione dei loro servizi; e un buon numero di essi offrivano di versare una cauzione a garanzia della loro comparsa il giorno della partenza.

Alcuni avevano delle idee alquanto vaghe circa il lavoro da farsi sullo "Snark"; come per esempio quello che scriveva: "Mi prendo la libertdi scrivervi questo biglietto per sapere se vi sia alcuna possibilitper una mia assunzione come membro dell'equipaggio della vostra barca per fare disegni e illustrazioni". Parecchi, inconsapevoli del lavoro necessario su di un'imbarcazione piccola come lo "Snark", offrivano i loro servizi, come uno di essi si espresse, "in qualitdi assistente nel catalogare il materiale raccolto per libri e romanzi". Questo quanto si ottiene a essere prolifico.

"Lasciate che vi segnali le mie attitudini per l'impiego", scriveva un tale. "Sono orfano e vivo con mio zio, il quale un fervente socialista rivoluzionario e sostiene che chi non ha il sangue vermiglio dell'avventura uno strofinaccio fatto uomo". Un altro disse: "Me la cavo nel nuoto, benchnon conosca nessuno dei nuovi stili. Ma, quel che importa pidello stile, sono amico dell'acqua".

"Se mi lasciassero solo in una barca a vela, la saprei portare dove voglio", cossi raccomandava un terzo - e sempre meglio del seguente:

"Ho anche visto scaricare le barche da pesca". Ma in fondo il premio spetterebbe a quest'altro, che esprime molto ingenuamente la sua profonda conoscenza del mondo e della vita con queste parole: "La mia et in cifre, di ventidue anni".

Poi c'erano le lettere semplici, dirette, alla buona e disadorne di giovani ragazzi, privi, vero, di felicitdi espressione, ma grandemente desiderosi di fare il viaggio. Queste erano le pidifficili da respingere, e ogni volta che ne respingevo una era come se avessi dato uno schiaffo alla Giovinezza. Erano talmente in buona fede questi ragazzi, e avevano una cosgran voglia di partire. "Ho sedici anni, ma sono grande per la mia et, scriveva uno; e un altro:

"Ho diciassette anni ma sono grande e robusto". "Sono per lo meno altrettanto forte quanto un ragazzo normale della mia corporatura", scriveva un tale, evidentemente di costituzione delicata.

"Non temo nessun genere di lavoro", dicevano in molti, mentre uno in particolare, evidentemente per tentarmi con l'economicitdella sua proposta, scrisse: "Sono in grado di pagare il mio viaggio fino alla costa del Pacifico, cosicchquesto lato vi dovrebbe essere accettabile". "Andare in giro per il mondo l'UNICA cosa che voglio fare", diceva uno, e pareva che fosse l'unica cosa che volevano fare a centinaia. "Non ho nessuno a cui possa importare che io parta o non parta", era la patetica nota di un altro. Un tale aveva mandato la sua fotografia, e accennandovi disse: "Sono un ragazzo non bello, ma non sempre l'aspetto ha importanza". E sono sicuro poi che il ragazzo che scrisse quanto segue avrebbe dato un'ottima prova di s "Ho diciannove anni ma sono piuttosto piccolo e di conseguenza non occupertroppo posto, ma sono forte come un accidente". E c'era poi un aspirante di tredici anni di cui Charmian e io ci innamorammo e quasi ci si spezzil cuore nel rifiutarlo.

Ma non si deve immaginare che la maggior parte dei miei volontari fossero ragazzi; al contrario, i ragazzi costituivano una piccolissima proporzione. C'erano uomini e donne di ogni professione. Medici, chirurghi e dottori si offrirono di accompagnarci in gran numero e, come tutti i professionisti, si offrirono di venire senza compenso, con qualsiasi incarico, e persino di pagare per avere il privilegio di arruolarsi in questo modo.

C'era un'infinitdi tipografi e giornalisti che volevano venire con noi, per non parlare dei camerieri, cuochi e domestici esperti.

Ingegneri civili desideravano ardentemente fare il viaggio, dame di compagnia in quantitspuntarono fuori per Charmian; mentre io ero sopraffatto dalle offerte di sedicenti segretari privati.

Molti studenti delle scuole superiori e di universitardevano di fare il viaggio, e nella classe lavoratrice ogni mestiere produsse alcuni candidati, tra cui i pivolonterosi erano i meccanici, gli elettricisti e i motoristi. Fui sorpreso dal numero di coloro che in ammuffiti uffici legali, furono raggiunti dal richiamo dell'avventura; e fui ancora pisorpreso dal numero di capitani di lungo corso anziani e a riposo che ancora erano soggiogati dal mare. Parecchi giovani che pitardi sarebbero diventati milionari, erano pazzi per l'avventura, e cospure lo erano parecchi sovrintendenti alle scuole.

Padri e figli volevano venire, e molti uomini con le mogli, per non parlare della giovane stenografa che scrisse: "Avvertitemi immediatamente se avete bisogno di me. Verrcol primo treno portando la mia macchina da scrivere". Ma la migliore lettera questa - osservate con che delicatezza riesce a includere la moglie: "Ho pensato di scrivervi due righe per sapere se ci sarebbe la possibilitdi fare il viaggio con voi; ho ventiquattro anni, sono sposato e al verde, e un viaggio di quel genere proprio la cosa che ci vorrebbe per noi".

A pensarci bene, per la media degli uomini dev'essere discretamente difficile scrivere una lettera onesta di autoraccomandazione. Uno dei miei corrispondenti era cosimbarazzato che inizila sua lettera con queste parole: "Questo un compito difficile"; e dopo aver tentato invano di descrivere i punti in suo favore, termincos "E' difficile scrivere di se stessi". Tuttavia ce ne fu uno che fece di sun ritratto molto colorito e prolisso, e in conclusione affermche questo lo aveva molto divertito.

"Ma supponete questo: che il vostro cameriere sia in grado di far andare il motore, di ripararlo quando va in avaria. Supponete che sia in grado di fare la sua guardia al timone, che sappia fare qualsiasi lavoro da falegname e da meccanico. Supponete che sia robusto, sano, e con molta voglia di lavorare. Non preferireste forse avere lui piuttosto che un ragazzino che soffre il mal di mare e che non sa fare altro che lavare i piatti?". Erano le lettere di questo genere che odiavo di dover respingere. L'autore di questa, autodidatta in inglese, era stato solo due anni negli Stati Uniti, e, come diceva, "non desidero venire con voi per guadagnarmi il pane, ma desidero imparare e vedere". All'epoca in cui mi scriveva era disegnatore per una delle grandi Societproduttrici di motori, aveva avuto una certa esperienza di mare, e fin dall'infanzia aveva avuto familiaritcon le barche.

"Ho una buona posizione, ma non me ne importa affatto, poichpreferisco viaggiare", scrisse un altro. "In quanto alla paga, guardatemi, e se valgo un dollaro o due, bene, se no, come non detto.

Per quel che riguarda il mio carattere e la mia onest sarfelice di dimostrarvi i miei principali. Mai bere, niente tabacco, ma, per essere sincero, anch'io, dopo un altro po' di esperienza, voglio scrivere qualcosa".

"Posso assicurarvi che sono altamente rispettabile, ma trovo le altre persone rispettabili noiose". L'individuo che scrisse questo mi diede certamente da pensare, ancora mi sto domandando se mi avrebbe trovato noioso o no, o che cosa diavolo volesse dire.

"Ho visto giorni migliori di quelli che sto attraversando ora", scriveva un vecchio marinaio, "ma ne ho anche visti di molto peggiori".

Ma la volontdi sacrificio da parte di quello che scrisse quanto segue era coscommovente che non mi fu possibile accettare: "Ho un padre, una madre, fratelli e sorelle, cari amici e una posizione remunerativa, e tuttavia sono pronto a sacrificare tutto quanto per entrare a far parte del vostro equipaggio".

Un altro volontario che non avrei mai potuto accettare era il giovane schizzinoso, che, per dimostrarmi quanto fosse indispensabile che io gli offrissi un'opportunit mi fece notare "che mi sarebbe impossibile andare su una nave normale, sia veliero che piroscafo, perchmi toccherebbe vivere e mescolarmi con il comune tipo di marinaio, il che di regola non un modo di vivere pulito".

Poi c'era il giovane di ventisei anni, che aveva "provato tutta la gamma delle emozioni umane" e che "aveva fatto di tutto, da cucinare a frequentare l'Universitdi Stanford", e che, al momento in cui scriveva, era "vaquero", su di una distesa di 2000 ettari. In assoluto contrasto era la modestia di quello che diceva: "Non mi pare di possedere alcuna delle qualitparticolari che potrebbero segnalarmi alla vostra attenzione. Ma se aveste un'impressione favorevole, potreste considerare che i pochi minuti impiegati a rispondermi non sono del tutto sprecati. In caso contrario, c'sempre lavoro nel mio mestiere. Senza contarci troppo, ma con speranza, sono il vostro eccetera eccetera".

Ancora adesso mi sto scervellando per cercare di scoprire la fratellanza intellettuale tra me e quello che scrisse: "Molto tempo prima di sentir parlare di voi avevo studiato insieme l'economia politica e la storia, e ne avevo dedotto in concreto molte delle vostre conclusioni".

Questa, a modo suo, una delle lettere migliori, come pure la pibreve, che abbia mai ricevuto: "Se a qualcuno dell'equipaggio attualmente arruolato per la crociera dovesse venir paura, e vi servisse un'altra persona che s'intenda di barche, motori, eccetera, sarei contento se me lo faceste sapere, eccetera". Eccone un'altra breve: "Di punto in bianco: vorrei impiegarmi come cameriere durante il vostro viaggio intorno al mondo, o con qualsiasi altro incarico a bordo. Ho diciannove anni, peso 63 chili e sono americano".

Ed ecco una buona lettera da parte di un uomo poco pialto di un metro e cinquanta: "Quando lessi del vostro nobile progetto di navigare intorno al mondo su di una piccola barca con la signora London, ne fui cosrallegrato che mi parve di averlo progettato io stesso, e pensai di scrivervi circa la possibilitdi impiegarmi come cuoco o come cameriere, ma per qualche ragione non lo feci, e venni a Denver da Oakland il mese scorso per entrare nell'azienda di un mio amico, ma le cose vanno meno bene e le prospettive sono poco favorevoli. Fortunatamente avete ritardato la vostra partenza per via del grande terremoto, cosmi sono finalmente deciso a proporvi di assumermi in una mansione o nell'altra. Non sono molto forte, essendo alto poco pidi un metro e mezzo, perho una salute di ferro e una buona competenza".

"Credo di poter aggiungere alla vostra attrezzatura un sistema in piper sfruttare la forza del vento", scrisse un individuo benevolo, "il quale sistema, pur non intralciando le vele normali quando il vento leggero, vi darla possibilitdi impiegare tutta la spinta del vento, nelle sue raffiche piforti, in modo che anche quando la sua violenza tanta da costringervi a serrare tutte le vele, se usate come di consueto, potrete col mio sistema mantenere il massimo della velatura. Con questa mia sistemazione la barca non potrebbe mai fare scuffia".

La lettera sopraccitata era stata scritta a San Francisco il 16 aprile 1906. Due giorni dopo, il 18 aprile, ci fu il Gran Terremoto. E questa la ragione per cui ce l'ho con quel terremoto, perchesso dell'uomo che scrisse la lettera fece un profugo, e ci impeddi incontrarci mai.

Molti dei miei compagni socialisti fecero obiezioni alla mia crociera, di cui la seguente tipica: "La Causa Socialista e i milioni di vittime oppresse dal Capitalismo hanno un giusto diritto sulla tua vita e sulla tua attivit Se tuttavia persisti nel tuo proposito, ricordati, quando starai inghiottendo l'ultimo boccone di galletta salata che potrai prendere prima di andare a fondo, ricordati che noi almeno abbiamo protestato".

Uno che aveva girato il mondo, e che "poteva, se se ne fosse presentata l'occasione, narrare molti strani episodi ed eventi", consumparecchie pagine tentando ardentemente di venire al sodo, e riuscfinalmente a buttar giquanto segue: "Ancora non sono venuto all'argomento di cui era mia intenzione parlarvi. Cosvi dirsubito che stato asserito sulla stampa che voi e uno o due altri state per fare una crociera intorno al mondo in una piccola barca di cinquanta o sessanta piedi. Non posso perrisolvermi a pensare che un uomo della vostra statura ed esperienza possa intraprendere una tale azione, perchnon sarebbe altro che un modo di andare a cercare la morte. E anche se doveste scampare per qualche tempo, la vostra Persona, e quelli che sono con voi, verrebbero ad essere tutti pesti per l'incessante movimento di una barca di quelle dimensioni, anche se essa fosse imbottita, cosa abbastanza insolita per mare". Grazie, gentile amico, grazie per quel chiarimento "cosa abbastanza insolita per mare". Nsi pudire che questo amico sia inesperto di mare. Come dice di se stesso, "non sono un terraiolo e ho percorso tutti i mari e tutti gli oceani". E chiude la sua lettera cos "Benchnon voglia offendere nessuno, sarebbe pazzia portare qualunque donna persino fuori della baia, in una simile imbarcazione".

Eppure, nel momento in cui sto scrivendo, Charmian nella sua cabina dinanzi alla macchina da scrivere, Martin sta facendo da mangiare, Tochigi sta apparecchiando la tavola, Roscoe e Bert stanno calafatando la coperta, e lo "Snark", senza nessuno al timone, si fa i suoi cinque nodi con un buon mare vivo - e lo "Snark" non neanche imbottito.

"Vedo un trafiletto nel giornale sul viaggio che progettate, e vorrei sapere se desiderate un buon equipaggio, dato che siamo in sei ragazzi, tutti buoni marinai, con buoni documenti di congedo sia della Marina Militare che della Marina Mercantile, tutti veri americani, tutti tra i venti e i ventidue anni, e siamo al momento impiegati come attrezzatori all'Union Iron Works, e ci piacerebbe molto partire con voi".

Queste erano le lettere che mi facevano rimpiangere che la barca non fosse pigrande.

E questa la lettera dell'unica donna al mondo - eccetto Charmian - adatta alla crociera: "Se non siete riusciti a procurarvi una cuoca, mi piacerebbe molto fare il viaggio con tale mansione. Sono una donna di cinquant'anni, sana e capace, e mi sento in grado di fare il lavoro per il piccolo gruppo che compone l'equipaggio dello "Snark". Sono un'ottima cuoca e un ottimo marinaio e in parte anche una viaggiatrice, e se il viaggio fosse di dieci anni sarebbe per me ancora meglio che se fosse di uno. Referenze, eccetera".

Un giorno o l'altro, quando avrun sacco di soldi, voglio costruire una grossa nave dove ci sia posto per un migliaio di volontari.

Dovranno fare loro tutto il lavoro per portare quella nave intorno al mondo, o se ne staranno a casa. Io credo che lo faranno, perchso che lo spirito d'avventura non morto. So che lo spirito d'avventura non morto, perchho avuto una lunga e intima corrispondenza con esso.




CAPITOLO 4


IMPARANDO A DIRIGERSI

"Ma", obiettarono i nostri amici, "come osi metterti per mare senza uno che si intenda di navigazione a bordo? Tu non te ne intendi, no?".

Dovetti confessare che non me ne intendevo, che non avevo mai guardato in un sestante in vita mia e che mi domandavo se avrei saputo distinguere un sestante dalle tavole nautiche. Quando chiesero se Roscoe si intendeva di navigazione, dissi di no. Roscoe se ne risent

Aveva dato uno sguardo all'"Epitome" comprata per il viaggio, sapeva servirsi delle tavole logaritmiche, gli era capitato di vedere un sestante in qualche occasione, e per questo, e per i suoi antenati marinai concluse che conosceva la navigazione. Ma Roscoe si sbagliava, insisto ancora nel dirlo.

Da ragazzo era andato dal Maine alla California attraverso l'istmo di Panama, e quella era stata l'unica volta in vita sua che si era trovato fuori vista dalla terra. Non era mai stato a una scuola di navigazione, naveva mai sostenuto un esame in questa materia; e neppure aveva navigato in alto mare e imparato quest'arte da qualche ufficiale di rotta. Era uno yachtman della Baia di San Francisco, dove la terra non mai che a qualche miglio di distanza, e non c'mai bisogno dell'arte della navigazione.

Coslo "Snark" partper il suo lungo viaggio senza uno esperto in navigazione. Riuscimmo a passare il Golden Gate il 23 aprile, e ci dirigemmo verso le isole Hawaii distanti 2100 miglia marine in linea d'aria. Il risultato ci giustific arrivammo. Non solo, ma, come vedrete, arrivammo senza difficolt o meglio, senza difficoltrilevanti. Per cominciare, fu Roscoe a occuparsi della rotta. Aveva benstutte le nozioni teoriche, ma era la prima volta che le applicava, come fu dimostrato dal modo di procedere capriccioso dello "Snark" - non che lo "Snark" non fosse perfettamente stabile nell'acqua, i suoi capricci erano solo sulla carta nautica. Il giorno che c'era una brezza leggera, esso faceva un salto sulla carta che faceva pensare a "vela bagnata e scotte filate", e il giorno che pareva volasse sull'oceano, il punto sulla carta non si spostava quasi. Ora quando una barca ha mantenuto i sei nodi per ventiquattr'ore consecutive, indubbio che ha percorso 144 miglia di mare. Il mare era quello che era e il solcometro brevettato andava bene; quanto alla velocit la si vedeva a occhio nudo. Pertanto quello che non andava erano i calcoli che si ostinavano a non voler riconoscere sulla carta il progresso dello "Snark". Questo non capitava tutti i giorni, ma capitava. Era perfettamente giusto e non ci si poteva aspettare di pida un primo tentativo di mettere la teoria in pratica.

La conoscenza della navigazione ha uno strano effetto sulla mente umana; in generale l'ufficiale di rotta parla della navigazione con profondo rispetto. Per il profano la navigazione un mistero profondo e terrificante, e questo sentimento stato causato in lui dal profondo e terrificante rispetto per la navigazione che egli ha riscontrato negli ufficiali di rotta. Ho conosciuto giovani semplici, modesti e leali, limpidi come l'acqua, che, appena imparata la navigazione, subito diventavano misteriosi, riservati e pieni di s quasi avessero conseguito un successo intellettuale di grande portata.

Un qualsiasi ufficiale di rotta per il profano come il sacerdote di un rito sacro.

Per questo i nostri amici erano tanto preoccupati nel vederci partire senza uno che si intendesse di navigazione.

Durante la costruzione dello "Snark", Roscoe e io venimmo ad un accordo, press'a poco in questi termini: "Io provvederlibri e strumenti", dissi, "ma tu mettiti subito a studiare la navigazione. Io avrtroppo da fare per avere il tempo di studiare. Poi, quando saremo per mare, mi potrai insegnare quello che avrai imparato". Roscoe accettcon gioia. Per giunta egli era semplice, modesto e leale come i giovani di cui parlavo. Ma quando fummo per mare ed egli comincia celebrare il sacro rito, mentre io lo guardavo con ammirazione, il suo modo di fare subun cambiamento sottile ma inequivocabile. Quando prendeva l'altezza del sole a mezzogiorno, l'aureola del successo lo avvolgeva di una fiamma lucente. Quando scendeva sotto coperta, eseguiva i suoi calcoli e poi tornava su e proclamava la nostra latitudine e longitudine, c'era nella sua voce una nota autorevole che nessuno di noi aveva mai sentito. Ma questo non era ancora il peggio.

Egli divenne un pozzo di nozioni non comunicabili; e quanto piscopriva la causa dei salti capricciosi dello "Snark" sulla carta, tanto pile sue nozioni diventavano non comunicabili, sacre e terrificanti. Quando timidamente gli feci notare che era ormai tempo che cominciassi a imparare anch'io, non ebbi una risposta entusiasta nalcuna offerta di aiuto. Non manifestla minima intenzione di tener fede al nostro accordo.

La colpa non era di Roscoe; era inevitabile; egli non faceva che seguire l'esempio di tutti quelli che prima di lui avevano imparato la navigazione. A causa di una comprensibile e perdonabile confusione di valori, oltre alla perdita dell'orientamento, si sentiva oppresso dalla responsabilite si trovava in possesso di un potere simile a quello di un dio. Roscoe aveva vissuto tutta la sua vita sulla terraferma, e quindi l'aveva sempre avuta sotto gli occhi. Essendo sempre stato in vista della terra, e con punti di riferimento su cui regolarsi, era riuscito, salvo qualche difficoltdi tanto in tanto, a pilotare il suo corpo di qua e di lsu di essa. Ora si trovava sul mare, con le sue distese infinite, limitate soltanto dall'eterno cerchio dell'orizzonte. Questo cerchio appariva sempre uguale; non c'erano punti di riferimento. Il sole sorgeva a oriente e tramontava a occidente e le stelle ruotavano nella notte. Ma chi puguardare il sole e le stelle e affermare: "La mia posizione sulla faccia della terra in questo momento preciso quattro miglia e tre quarti a ponente della bottega di Jones a Smithersville?" oppure: "So dove mi trovo adesso, perchl'Orsa Minore mi dice che Boston a tre miglia di distanza alla seconda svolta a destra?".

Eppure questo proprio quello che si mise a fare Roscoe. Che fosse sbalordito dal successo dir poco; era pieno di un timore reverenziale per se stesso; aveva compiuto un'impresa miracolosa.

L'azione di scoprire la sua posizione sulla superficie del mare divenne un rito e si sentun essere superiore a noi che non conoscevamo questo rito e dipendevamo da lui per essere guidati attraverso l'infinito e agitato deserto del mare, la strada maestra salmastra che collega i continenti e sulla quale non ci sono pietre miliari. Cos con il sestante, rendeva omaggio al dio-sole, consultava antichi testi e tavole con caratteri magici, mormorava preghiere in una lingua strana che suonava come ERRORE D'INDICE PARALLASSE RIFRAZIONE, tracciava segni cabalistici sulla carta, sommava e riportava uno, e poi, su di un documento sacro chiamato "Graal" - scusate, carta nautica - posava il dito su un certo spazio perfettamente vuoto e diceva: "Siamo qui". Quando guardavamo lo spazio vuoto chiedendo "Qui dove?", ci rispondeva nel linguaggio cifrato dei Gran Sacerdoti: "31-15-47 nord, 133-5-30 ovest". E noi rispondevamo "Ah!" e ci sentivamo estremamente insignificanti.

Ma sostengo che non era colpa sua. Era simile a un dio, e ci trasportava nel palmo della mano attraverso gli spazi vuoti sulla carta nautica. Cominciai a provare un grande rispetto per Roscoe; questo divenne cosprofondo che se mi avesse ordinato di inginocchiarmi e di adorarlo, so che mi sarei buttato gisulla coperta balbettando. Ma un giorno mi venne un pensiero, dapprima appena abbozzato, e mi dissi: "Costui non un dio, costui Roscoe, e non altro che un uomo come me. Quello che ha fatto lui lo posso fare anch'io. Chi gli ha insegnato? Nessuno. Va e fa come lui. Impara da solo". E di colpo il mito di Roscoe si infranse, ed egli non fu piil Gran Sacerdote dello "Snark". Invasi il santuario e pretesi gli antichi testi e le tavole magiche, nonchla ruota della preghiera - voglio dire il sestante.

E ora, in parole povere, vi dircome ho imparato da solo la navigazione. Trascorsi un intero pomeriggio seduto nel pozzetto, tenendo il timone con una mano e studiando i logaritmi con l'altra.

Per due pomeriggi, due ore alla volta, studiai la teoria generale della navigazione, e in particolare il modo di prendere l'altezza meridiana. Poi presi il sestante, ricavai l'errore d'indice, e presi l'altezza del sole. Il calcolo sui dati di questa osservazione fu un gioco da ragazzi. Nell'"Epitome" e nelle Tavole Nautiche c'erano decine di tavole ingegnose, tutte calcolate da matematici e astronomi.

Era come servirsi delle tavole d'interesse e di calcolo rapido che tutti conoscete. Il mistero non era pitale. Posi il dito sulla carta e annunciai che quello era il nostro punto. E per giunta avevo ragione, o per lo meno l'avevo quanto Roscoe, che scelse un punto lontano dal mio un quarto di miglio - persino lui era d'accordo nel dividere questa distanza a metcon me. Avevo svelato il mistero; eppure, e questo era il suo lato prodigioso, avevo coscienza di un nuovo potere in me, e provavo l'emozione e lo stimolo dell'orgoglio.

Quando Martin mi chiese la nostra posizione, nello stesso tono umile e rispettoso che io aveva usato in precedenza con Roscoe, risposi esaltato e pieno di prosopopea nel linguaggio cifrato dei Gran Sacerdoti e Martin mi rispose con un "ah" umile e riverente. In quanto a Charmian, mi pareva d'aver dimostrato in un nuovo modo di meritarla; e mi rendevo conto anche di un altro sentimento, e ciola consideravo una donna fortunatissima per aver sposato un uomo come me.

Non potevo farci nulla. Lo racconto per giustificare Roscoe e tutti gli altri ufficiali di rotta. Il veleno del potere stava operando in me. Non ero come gli altri uomini - o come la maggior parte di essi, almeno; conoscevo ciche essi ignoravano, il mistero dei cieli che indicava la strada attraverso l'Oceano. E fu il gusto del potere che mi era stato dato a spingermi oltre. Per lunghe ore manovravo con una mano la ruota del timone e con l'altra studiavo i misteri. Dopo una settimana, essendomi istruito per conto mio, ero in grado di fare diverse cose. Per esempio presi l'altezza della Stella Polare, di notte naturalmente, e ne ricavai l'altezza vera corretta dell'errore d'indice e della depressione, eccetera, e trovai la nostra latitudine.

Questa latitudine corrispondeva a quella del mezzogiorno precedente, corretta fino a quel momento con la stima. Se ero fiero? Ebbene lo fui ancor di pidopo avere compiuto il miracolo successivo. Alle nove dovevo ritirarmi sotto coperta. Eseguii il calcolo e, sempre studiandoci da solo, trovai quale stella di prima grandezza sarebbe passata al meridiano verso le otto e mezza. Risultche era Alpha Crucis. Non l'avevo mai sentita nominare prima d'allora; la ricercai sulla carta delle stelle; era una delle stelle della Croce del Sud. Ma come, pensai, abbiamo forse navigato con la Croce del Sud sull'orizzonte tutte queste notti senza saperlo? Che imbecilli siamo!

Che stupide talpe! Non potevo crederci. Ritornai da capo sul problema e ne ebbi conferma. Charmian, quella sera, era di guardia al timone dalle otto alle dieci. Le dissi di tenere gli occhi bene aperti e di cercare la Croce del Sud nell'esatta direzione del sud. Quando apparvero le stelle, ecco che la Croce del Sud brillava bassa sull'orizzonte .

Se ero fiero? Nessun stregone o Gran Sacerdote lo fu mai pidi me.

Per giunta, con la ruota della preghiera presi l'altezza di Alpha Crucis e dalla sua altezza ricavai la nostra latitudine. E ancora, presi l'altezza della Stella Polare e mi venne confermato quello che avevo appreso dalla Croce del Sud. Se ero fiero? Il linguaggio delle stelle non aveva pisegreti per me, io stavo in ascolto ed esse mi dicevano la via da seguire sull'oceano.

Fiero? Io operavo miracoli. Dimenticai la facilitcon cui mi ero istruito sui libri stampati. Dimenticai che tutto il lavoro (un formidabile lavoro) era stato fatto da menti superiori prima di me, da matematici e astronomi che avevano scoperto ed elaborato l'intera scienza della navigazione e calcolato le tavole della "Epitome". Non rammentavo altro che il miracolo indimenticabile di aver ascoltato le voci delle stelle e di averne appreso la mia posizione sulle grandi vie del mare. Charmian non sapeva niente, e neppure Martin, e neppure Tochigi, il cameriere. Ero io che li illuminavo, io ero il messaggero di Dio. Io stavo tra loro e l'infinito. Io traducevo il sublime linguaggio celeste in termini per loro facilmente comprensibili.

Eravamo guidati dall'alto ed IO sapevo leggere i cartelli indicatori del cielo. Io, proprio io!!

Ma ora, in un momento di maggior calma, mi affretto a rivelare la grande semplicitdi tutto ci a spettegolare su Roscoe, sugli altri intenditori di navigazione e su tutti gli altri Gran Sacerdoti, e tutto per paura di diventare come sono loro, segreti, presuntuosi e pieni di s E ora voglio dire questo: qualunque ragazzo fornito di un cervello normale, di una normale istruzione, e con un minimo di attitudine allo studio, purendersi padrone dei libri, delle carte nautiche, degli strumenti e imparare da sla navigazione. Non bisogna perfraintendermi: essere un buon marinaio una cosa del tutto diversa. Non si impara nin uno nin molti giorni, ci vogliono anni.

Per giunta, saper navigare con la stima richiede un lungo studio e molta pratica. Ma navigare mediante l'osservazione del sole, della luna e delle stelle, grazie agli astronomi e ai matematici, un gioco da ragazzi. Un qualsiasi ragazzo normale puimparare da sin una settimana. Ma di nuovo non bisogna fraintendermi, non intendo dire che in capo a una settimana un ragazzo possa prendersi la responsabilitdi un piroscafo da 15000 tonnellate che solca il mare a 20 nodi, che corre da una terra all'altra con buono o cattivo tempo, con cielo sereno o coperto, governando alla bussola con l'esattezza del grado e compiendo atterraggi di una meravigliosa precisione. Ma intendo invece questo: il ragazzo normale di cui parlavo pusalire su una solida barca a vela e spingersi sull'Oceano senza intendersi di navigazione, e in capo a una settimana ne saprabbastanza da determinare il suo punto sulla carta nautica. Sarin grado di prendere un'altezza meridiana con buona precisione, e da quell'altezza, con dieci minuti di calcolo, ricavare la sua latitudine e longitudine. E, dal momento che non trasporta ncarico npasseggeri, e non ha nessuna urgenza di raggiungere la sua destinazione, puprendersela con calma, e se in qualsiasi momento gli vengono dei dubbi sulla sua posizione e ha paura dell'atterraggio imminente, pumettersi alla cappa per tutta la notte e proseguire la mattina.

Joshua Slocum fece il giro del mondo a vela alcuni anni fa con una barca da 37 piedi, da solo. Non dimentichermai che, nel corso della narrazione della sua crociera, egli ribadisce con entusiasmo l'idea che un simile viaggio possa essere affrontato da giovani uomini su barche altrettanto piccole. Io da parte mia sottoscrissi immediatamente l'idea, e con tale entusiasmo che portai mia moglie con me. Naturalmente un giro organizzato da Cook diventa una cosa da quattro soldi al confronto, ma oltre a ci e oltre al divertimento e al piacere, una splendida educazione per un giovane - educazione non limitata alle cose del mondo esterno, ai paesi, alle genti, ai climi - ma educazione nei riguardi del proprio mondo interiore, e di se stesso, opportunitdi conoscere se stesso, di comunicare con la propria anima. C'inoltre un lato formativo del fisico e dello spirito. In principio, com'naturale, il giovane imparera conoscere i propri limiti; e subito dopo, inevitabilmente, egli si adoprerper superarli.

Al ritorno da un simile viaggio, egli non potrnon essere un uomo di maggior valore. In quanto poi al divertimento, un divertimento da re portare se stessi in giro per il mondo, farlo con le proprie mani, non dipendere che da se stessi, e alla fine, di ritorno al punto di partenza, contemplare nella propria mente il pianeta che solca lo spazio e poter dire: "Ce l'ho fatta! Ce l'ho fatta con le mie proprie mani! Ho fatto il giro completo di questa sfera ruotante e posso viaggiare da solo, senza essere tenuto a balia da un qualche capitano che mi guidi attraverso i mari. Magari non potrvolare fino agli altri astri, ma di questo io stesso sono padrone".

Mentre scrivo queste righe, alzo gli occhi e guardo verso il mare.

Sono sulla spiaggia di Waikiki nell'isola di Oahu. In lontananza, nel cielo azzurro, le nuvole dell'aliseo vagano basse sul turchese-blu- verde del mare profondo. Pivicino il mare color smeraldo e di un tenue verde-oliva. Piin lc'la barriera corallina, dove l'acqua tutta di un viola ardesia chiazzato di rosso. Pivicino ancora ci sono verdi pivivaci e colori fulvi in strisce alterne che indicano le zone di sabbia tra i banchi di vivo corallo. Fuori da questi meravigliosi colori, attraverso e al di sopra di essi, tuonando si elevano e rovesciano magnifici i frangenti. Come dicevo, alzo gli occhi per contemplare tutte queste cose, e improvvisamente, in mezzo alla cresta bianca di un cavallone compare una figura scura, uomo- pesce o dio marino, dritto in piedi sulla estremitanteriore della cresta dove questa si incurva e ricade, avanzante verso la riva, immerso fino alle reni nel ribollire degli spruzzi, e afferrato dall'onda e scagliato verso terra con tutto il suo peso per un quarto di miglio. E un kanaka su di una tavola galleggiante. E so che quando avrterminato queste righe saranch'io in quel tumulto di colori e di schiuma martellante, tentando come lui di domare quei cavalloni senza riuscirci, cosa che a lui non mai capitata, ma vivendo la vita nel modo a cui i migliori di noi possono aspirare.

Lo spettacolo di quel mare intensamente colorato e di quel kanaka alato dio marino diventa un motivo di piper il giovane di andare verso occidente, sempre piin l oltre le acque del tramonto, e poi ancora verso ovest, finchnon avrraggiunto di nuovo la sua casa.

Ma per tornare al discorso di prima, non crediate, ve ne prego, che io sappia gitutto: conosco solo i rudimenti della navigazione: ho ancora un mucchio di cose da imparare. Sullo "Snark" mi attendono una ventina di libri affascinanti sulla navigazione. C'l'angolo di sicurezza di Lecky, c'la retta di Sumner, che, quando proprio non sapete dove vi trovate, vi indica in maniera assolutamente definitiva dove siete e dove non siete. Ci sono decine e decine di sistemi per fare il punto in alto mare, e uno pulavorare per anni prima di riuscire a impadronirsi di tutta la materia con tutte le sue sottigliezze.

Persino nel mettere in pratica quel poco che imparammo, commettemmo degli errori che giustificavano il comportamento apparentemente bizzarro dello "Snark". Per esempio gioved 16 maggio, l'aliseo ci venne a mancare. Nel periodo di ventiquattr'ore che andava fino al mezzogiorno di venerdalla stima, non avevamo percorso neanche venti miglia. Eppure ecco qui le nostre posizioni a mezzogiorno dell'una e dell'altra giornata, ricavate dalle nostre osservazioni:

Gioved20 gradi 57 primi 9 secondi Nord 152 gradi 40 primi 30 secondi Ovest.

Venerd21 gradi 15 primi 33 secondi Nord 154 gradi 12 primi Ovest.

La differenza tra una posizione e l'altra era di una ottantina di miglia. Eppure sapevamo di non avere percorso neanche venti miglia.

Ora i nostri calcoli erano giustissimi; li rivedemmo pidi una volta.

L'errore era nelle osservazioni eseguite. Fare un'osservazione giusta richiede pratica e abilit specialmente in un'imbarcazione piccola come lo "Snark". La difficoltdovuta ai violenti movimenti della barca e alla vicinanza dell'occhio dell'osservatore alla superficie dell'acqua. Una grossa onda che si solleva a un miglio di distanza pufacilmente nascondere l'orizzonte.

Ma nel nostro caso particolare c'era un altro elemento di disturbo.

Il Sole, durante il suo percorso in cielo verso il nord, come tutti gli anni, stava aumentando la sua declinazione. Al diciannovesimo parallelo di latitudine nord alla metdi maggio, il Sole quasi a perpendicolo. L'altezza era tra gli ottantotto e gli ottantanove gradi. Se fosse stata di novanta gradi, il Sole sarebbe stato esattamente allo zenit. Fu in un altro giorno che imparammo qualcosa su come si prende l'altezza del Sole quando quasi a perpendicolo.

Roscoe comincia portare giil Sole all'orizzonte dal lato di levante, e restin quella direzione nonostante che il Sole stesse passando in meridiano a sud. Io, d'altra parte, cominciai a portare giil Sole a sud-est e me ne allontanai via via verso sud-ovest.

Stavamo imparando da soli, capite? Il risultato fu che alle dodici e venticinque, ora di bordo, io proclamai che era mezzogiorno vero.

Questo voleva dire che avevamo variato la nostra posizione sulla faccia della terra di venticinque minuti di orologio, cioqualcosa come sei gradi di longitudine, o trecentocinquanta miglia.

Questo comportava che lo "Snark" aveva filato a quindici nodi per ventiquattro ore consecutive - e noi non ce ne eravamo mai accorti!

Era assurdo e grottesco! Ma Roscoe, che stava ancora guardando verso est, dichiarche non erano ancora le dodici. Voleva assolutamente darci una media di venti nodi. Allora cominciammo a puntare i nostri sestanti irregolarmente per tutto l'orizzonte, e dovunque puntassimo, si rivedeva il Sole, misteriosamente vicino alla linea del mare, talvolta sopra e talvolta sotto di essa. In una direzione il Sole proclamava che era mattina, mentre in un'altra stava proclamando che era pomeriggio. Sul Sole non c'erano dubbi - questo almeno era sicuro; di conseguenza noi stavamo sbagliando in pieno. Il resto di quel pomeriggio lo trascorremmo nel pozzetto, cercando di chiarire la questione sui libri, e scoprendo quale era lo sbaglio. Saltammo l'osservazione per quel giorno, ma non il giorno dopo. Avevamo imparato.

E imparammo bene, meglio di quanto noi stessi per un certo tempo credessimo. Una sera, all'inizio del secondo gaettone (periodo di guardia tra le 18 e le 20), Charmian e io eravamo seduti a prora estrema per una partita di cribbage. Guardando per caso di prora, avvistai delle montagne, con le cime coperte di nubi, e che spuntavano dal mare. Fummo rallegrati alla vista della terra, ma io fui desolato per la nostra navigazione. Credevo che avessimo imparato qualcosa, e, invece, secondo il nostro punto di mezzogiorno e tenendo conto del percorso coperto in seguito, non potevamo essere a meno di cento miglia da terra. Eppure la terra era l che svaniva sotto i nostri occhi nell'incendio del tramonto. La terra senza dubbio c'era. Questo era indiscutibile. Quindi la nostra navigazione era completamente sbagliata.

E invece era giusta: la terra che avvistammo era la vetta dell'Haleakala, la Casa del Sole, il vulcano spento pigrande del mondo. Esso torreggiava sul mare con i suoi tremila metri, ed era a oltre cento miglia di distanza. Per tutta la notte navigammo mantenendo i sette nodi, e al mattino la Casa del Sole era sempre davanti a noi, e ci vollero ancora alcune ore di navigazione per averla al traverso.

- Quell'isola Maui - dicemmo, confrontando la carta. - Quell'altra isola che spunta dietro Molokai, dove ci sono i lebbrosi. E quella ancora dopo Oahu. Ecco adesso Capo Makapuu. Domani arriveremo a Honolulu. La nostra navigazione va benissimo.




CAPITOLO 5


IL PRIMO ATTERRAGGIO

- Non sarcosmonotono in alto mare - avevo promesso ai miei compagni dello "Snark". - Il mare brulica di vita. E' cospopoloso che ogni giorno vi accade qualcosa di nuovo. Non appena avremo oltrepassato il Golden Gate e ci dirigeremo verso sud, troveremo i pesci volanti. Ce li mangeremo fritti come prima colazione. Prenderemo e tonni e delfini e dal bompresso infilzeremo con la fiocina le focene. E infine ci saranno i pescicani, pescicani a non finire.

Attraversammo il Golden Gate e dirigemmo verso sud, lasciando dietro l'orizzonte le montagne della California, e di giorno in giorno il Sole si faceva picaldo. Ma npesci volanti, ntonni e delfini comparivano. L'oceano sembrava privo di vita. Non avevo mai navigato su un mare cosdesolato. Sempre, prima d'ora, alla stessa latitudine, avevo trovato i pesci volanti.

- Non importa - dissi. - Aspettiamo di esserci allontanati dalla costa della California meridionale. E troveremo i pesci volanti.

Arrivammo all'altezza della California meridionale, all'altezza della penisola della Bassa California, all'altezza delle coste del Messico: niente pesce volante. E nemmeno qualsiasi altro. Nessun segno di vita.

Man mano che i giorni passavano, l'assenza di vita finiva per avere qualcosa di magico.

- Non importa - dissi. - Quando avremo trovato i pesci volanti, troveremo anche tutti gli altri. Il pesce volante la staffetta che annuncia la vita di tutte le altre specie. Verranno a frotte, non appena avremo trovato il pesce volante.

Quando avrei dovuto dirigere lo "Snark" per sud-ovest verso le Hawaii, continuai a far rotta verso sud. Dovevo trovare quei benedetti pesci volanti. Alla fine giunse il momento in cui, se intendevo andare a Honolulu, avrei dovuto dirigere per ponente esatto. E invece continuai nella rotta a sud. Solo al diciannovesimo grado latitudine incontrammo il primo pesce volante. Era veramente solo; e fui io a vederlo. Altre cinque paia di occhi scrutarono avidamente il mare per tutta la giornata, senza vederne un altro. Erano cosrari quei pesci volanti che ci volle quasi una settimana perchognuno di noi ne avesse avvistato uno. Quanto a delfini, tonni, focene e tutti gli altri esemplari di fauna marina - non ce n'era neppure uno.

Neppure un pescecane fu visto fendere la superficie con la sua minacciosa pinna dorsale. Bert si tuffava quotidianamente sotto il bompresso, tenendosi attaccato alla briglia e lasciando strascicare il corpo nell'acqua, e quotidianamente riprendeva in esame un suo progetto di lasciarsi andare per fare una bella nuotata. Facevo di tutto per dissuaderlo, ma ai suoi occhi avevo perduto ormai qualsiasi autoritin fatto di abitatori del mare.

- Se ci sono dei pescicani - insisteva a chiedere - perchnon si fanno vedere?

Gli garantivo che se realmente si fosse lasciato andare per mettersi a nuotare, i pescicani sarebbero subito apparsi. Era una fanfaronata, la mia. Non ci credevo. Ma per due giorni riuscii a dissuaderlo. Il terzo giorno, il vento cadde e faceva piuttosto caldo, e lo "Snark" navigava a un nodo all'ora. Bert s'immerse sotto il bompresso e si lasciandare. E ora guardate un po' la malignitdel destino! Avevamo percorso duemila miglia e pidi oceano, senza incontrare un pescecane. Cinque minuti dopo che Bert aveva finito la sua nuotata, la pinna di uno squalo fendeva la superficie dell'acqua in circoli concentrici tutto attorno allo "Snark".

Perc'era qualcosa di non chiaro in quel pescecane. Mi infastidiva.

Non avrebbe dovuto esserci in quell'oceano deserto. Quanto pici pensavo, tanto pila cosa mi diventava incomprensibile. Ma due ore dopo avvistammo terra e il mistero si chiar Era venuto a noi dalla terra e non dalle profonditdisabitate. Era stato un presagio di atterraggio. Era un annunciatore della terra.

Ventisette giorni dopo la partenza da San Francisco, arrivammo nell'isola di Oahu, nell'arcipelago delle Hawaii. Nel primo mattino scivolammo pigramente attorno al Capo Diamond, finchci apparve in pieno Honolulu; e di colpo l'oceano fu tutto un fremito di vita. Pesci volanti in frotte luccicanti fendevano l'aria: in dieci minuti ne vedemmo piche durante l'intero viaggio. Altri pesci, di quelli grossi, di tipi svariati, balzavano nell'aria. Dappertutto pulsava la vita, in mare e sulla riva. Potevamo vedere gli alberi e i fumaioli del naviglio nel porto, in costa gli alberghi e i bagnanti sulla spiaggia di Wainiki, il fumo che si elevava dalle case su per i pendii vulcanici di Punch Bowl e Tantalus. Il rimorchiatore della Dogana si affrettava a venirci incontro, e un grosso branco di delfini si portsotto la nostra prua e incomincia fare le pipazze capriole. La lancia dell'ufficiale sanitario di porto sembrprecipitarsi su di noi e una grossa tartaruga marina emerse con lo scudo e ci diede una guardatina. Non s'era mai visto un simile erompere di vita. Ci furono strani visi sulla nostra coperta, strane voci parlarono, e copie del giornale di quel mattino, con telegrammi da ogni parte del mondo, ci furono messe sotto gli occhi. Fra l'altro potemmo leggere che lo "Snark" con tutto l'equipaggio si era perso in mare e che in ogni modo era una barca molto poco marina. E mentre leggevamo una simile informazione, un radiogramma giungeva a una comitiva di membri del Congresso sulla sommitdell'Haleakala, annunciando il felice arrivo dello "Snark".

Fu il primo atterraggio dello "Snark" - e quale atterraggio!

Per ventisette giorni ci eravamo trovati in pieno oceano deserto, e a stento ora si riusciva a realizzare quanta vita ci fosse nel mondo; ce ne sentivamo storditi, quasi non potessimo adeguarci ad essa di colpo.

Eravamo come tanti Rip Van Winkle ridestati, e ci sembrava di continuare ancora a sognare. Da un lato il mare azzurro si riversava all'orizzonte nel cielo azzurro, dall'altro il mare stesso si sollevava in grossi frangenti color smeraldo, che ricadevano in bianche nuvole di spuma su una candida spiaggia corallina. Oltre la spiaggia, verdi piantagioni di canne da zucchero ondulavano dolcemente verso pendii sempre piscoscesi, che a loro volta si tramutavano in frastagliate creste vulcaniche, inzuppate da acquazzoni tropicali e coronate da masse stupende di nubi spinte dagli alisei. Era, ad ogni modo, un magnifico sogno. Lo "Snark" accoste si diresse verso il frangente smeraldino, finchquesto non si sollevrombando da ogni lato, e da ogni lato, lontano quanto si pugettare una galletta, la scogliera mostrava la sua lunga dentatura minacciosa di un verde pallido.

Bruscamente la terra stessa, in un'orgia di verdi oliva dalle mille sfumature, protese le braccia a racchiudere lo "Snark". Non ci fu pinessun passaggio pericoloso attraverso la scogliera, nessun frangente smeraldino o mare azzurro - nient'altro che terra soffice e calda, un'immobile laguna, e piccole spiagge sulle quali si bagnavano bambini del tropico dal bruno colorito. Il mare era scomparso. La catena dell'ancora scese rumoreggiando per la cub駮, e ci trovammo immobili in uno specchio d'acqua piatto e liscio. Era tutto cosbello e strano che non potevamo concepirne la realt Sulla carta quel luogo era detto Pearl Harbour - porto delle perle; ma noi lo chiamammo Dream Harbour - porto del sogno.

Una lancia si staccnella nostra direzione; erano alcuni membri dello Yacht Club di Hawaii, che venivano a darci il benvenuto e a mettere a nostra disposizione, con pretta ospitalithawaiana, tutto quanto era loro. Uomini come tutti gli altri, carne e sangue e tutto il resto: ma nulla in loro che disturbasse il nostro sogno. L'ultimo ricordo di uomini che serbavamo era quello di ufficiali giudiziari degli Stati Uniti, e di piccoli mercanti in preda al panico, dalle anime simili a dollari arrugginiti, che, in un'affumicata atmosfera di fuliggine e polvere di carbone, piantavano sullo "Snark" le loro sudicie mani per inibirgli la sua avventura attraverso il mondo. Ma questi uomini che ci venivano incontro erano invece individui puri, dal sano viso abbronzato, dagli occhi senza occhiali, e non abbagliati da una diuturna contemplazione di luccicanti mucchi di dollari. No, essi non facevano che rendere pivero il sogno, confermarlo con le loro anime incontaminate. Cosandammo a terra con loro, solcando un mare piatto e splendente, fino alla verde terra meravigliosa; sbarcammo su di una piccola banchina e il senso del sogno si fece piinsistente; perchin veritper ben ventisette giorni avevamo ballonzolato sull'oceano con quel piccolo "Snark".

Non una volta sola, in tutti quei ventisette giorni, avevamo conosciuto un momento di requie, un momento di cessazione di quel moto. E questo moto incessante si era radicato in noi. Corpo e cervello, avevamo beccheggiato e rollato cosa lungo che, quando salimmo su quella stretta banchina, continuammo a beccheggiare e a rollare. E naturalmente ne demmo la colpa alla banchina. Era un caso di psicologia proiettata. Io mi trascinai sulla banchina e per poco non caddi nell'acqua, gettai uno sguardo a Charmian, e il suo modo di camminare mi depresse. La banchina aveva tutta l'apparenza della coperta di una nave. Si sollevava, s'inclinava di lato, si gonfiava, ricadeva; e poichnon c'erano ringhiere, avevamo un bel da fare, Charmian e io, per evitare di perdere l'equilibrio. Non avevo mai visto una piccola banchina cosassurda. Se la osservavo da vicino si rifiutava di rollare, ma non appena mi distraevo, se ne fuggiva via, proprio come lo "Snark". Una volta la sorpresi proprio nel momento in cui si rizzava dritta e potei scorrerla con lo sguardo per tutti i suoi duecento piedi di lunghezza; ed era precisamente come la coperta di una nave che si infilasse in un mare di prora.

Alla fine, per con l'aiuto dei nostri ospiti, venimmo a patti con la banchina e toccammo terra. Ma anche la terra non si comportmeglio.

La primissima cosa che fece fu di inclinarsi da un lato, e fin dove poteva giungere il mio sguardo, la vedevo piegarsi proprio fino alla sua dentata spina dorsale vulcanica, e vedevo inclinarsi anche le nuvole, al di sopra. Questa non era una terra stabile, dalle solide fondamenta, che non avrebbe fatto simili acrobazie. Era come tutto il resto del nostro atterraggio, irreale. Era un sogno. In qualsiasi momento, come vapore mutevole, avrebbe potuto dissolversi. Mi venne l'idea che la colpa fosse mia, che mi girasse la testa o che mi avesse fatto male qualcosa che avevo mangiato. Ma mi voltai a guardare Charmian e il suo deprimente modo di camminare, e proprio mentre la guardavo, la vidi vacillare e andare a sbattere contro il socio dello Yachting Club che le camminava vicino. Quando le rivolsi la parola, si lamentdel grottesco comportamento della terra. Traversata una vasta e magnifica prateria, percorso un viale di magnifiche palme, di nuovo attraversammo un altro meraviglioso prato, ombreggiato da piante maestose. L'aria era tutta un canto di uccelli, era pregna di calde fragranze - esalate da grandi gigli e fiammeggianti fiori di ibisco e altri strani e sgargianti fiori tropicali.

Il sogno, per noi che cosa lungo avevamo visto soltanto l'irrequieto mare salato, stava diventando fin quasi troppo bello. Charmian mi tese la mano, si strinse a me, forse per trovare un appoggio di fronte a tanta insostenibile bellezza, immaginai. Ma no. Mentre la sostenevo, irrigidii le gambe, poichsia fiori che prato vacillavano e ondulavano intorno a me. Sembrava una scossa di terremoto, solo che passdi botto senza far danni. Era piuttosto difficile cogliere la terra nell'atto di fare simili scherzi; finchci stavo attento, non succedeva niente, ma non appena mi distraevo, tutto quanto il panorama se ne fuggiva via, e oscillava, si gonfiava, e assumeva tutte le inclinazioni possibili. Una volta, per nel girare il capo all'improvviso, sorpresi quella fila imponente di palme regali che oscillava descrivendo un grande arco nel cielo. Ma non appena la sorpresi, si ferm e il sogno diventnuovamente placido.

Arrivammo poi a una casa tutta fresca con una grande veranda ventilata, che avrebbe potuto essere la dimora dei mangiatori di loto.

Finestre e porte erano spalancate alla brezza e canzoni e profumi pigramente ne entravano e uscivano a fiotti. Le pareti erano foderate di tapa, e ovunque divani ricoperti da stuoie apparivano invitanti; c'era anche un grande pianoforte, che certamente non poteva suonare nulla di pieccitante di nenie. Cameriere - fanciulle giapponesi nel loro costume - vagavano qua e l silenziosamente, come farfalle.

Tutto era straordinariamente fresco. Non piil dardeggiare di un sole tropicale sopra un mare implacabile. Era troppo bello per essere vero.

Ma non era una cosa reale. Quella dimora era una dimora di sogno. Lo sapevo, perchmi voltai di colpo e vidi il grande piano compiere delle evoluzioni in un angolo spazioso della stanza. Non dissi nulla, perchproprio in quel momento ci stava dando il benvenuto una donna graziosa, una bella Madonna, che indossava un'ampia veste bianca e aveva i sandali ai piedi, salutandoci come se ci avesse sempre conosciuti.

Ci mettemmo a tavola nella veranda immersa in una calma sognatrice, serviti dalle fanciulle-farfalle, a mangiare strani cibi e a gustare un nettare detto "poi". Ma il sogno minacciava di dissolversi, splendeva di una luce tremula, come una bolla iridescente sul punto di scoppiare. Ero per l'appunto intento a guardare lfuori l'erba verde e gli alberi imponenti e i fiori di ibisco, quando sentii a un tratto la tavola muoversi. La tavola e la Madonna di fronte a me e la veranda dei mangiatori di loto, l'ibisco rosso, e il tappeto verde e le piante - tutto si solleve inclindinanzi ai miei occhi, e si gonfie ricadde nel cavo di un immane cavallone. Afferrai convulsamente la seggiola, tenendola stretta. Mi pareva di tenermi stretto al sogno oltre che alla seggiola. Non mi sarei sorpreso se il mare fosse penetrato d'impeto, sommergendo tutta quella terra fatata, e io mi fossi ritrovato al timone dello "Snark", sollevando distrattamente lo sguardo da uno studio dei logaritmi. Ma il sogno continuava. Guardai di soppiatto la Madonna e suo marito. Non davano segno di turbamento.

Sulla tavola i piatti non si erano mossi. L'ibisco e gli alberi e l'erba erano sempre l Nulla era mutato. Sorseggiai ancora un po' di nettare e il sogno fu piche mai rea]e.

- Volete un po' di tghiacciato? - chiese la Madonna; e in quel mentre il suo lato della tavola si piegdolcemente e io le risposi di sa un angolo di quarantacinque gradi.

- A proposito di pescicani - disse suo marito - su a Niihau c'era un uomo.... - E in quell'istante la tavola si drizze gonfi e io alzai gli occhi su di lui, a un angolo di quarantacinque gradi.

Cosla colazione continu e io mi rallegravo di non dover soffrire nel vedere Charmian camminare. A un tratto, per una parola misteriosa usca intimorirmi dalle labbra dei mangiatori di loto.

"Ah, ah", pensai, "ecco che il sogno comincia a svanire". Di nuovo mi aggrappai disperatamente alla seggiola, deciso a riportare alla realtdello "Snark" qualche vestigio tangibile della terra del loto. Sentivo che tutto il sogno stava subdolamente cercando di sfuggire. Proprio allora la misteriosa parola, che incuteva timore, venne ripetuta.

Suonava come "giornalisti". Alzai gli occhi e ne vidi tre venire avanti nel prato. Oh, benedetti quei giornalisti! Ma allora il sogno era indiscutibilmente vero, dopo tutto. Guardai fuori, verso l'acqua splendente, e vidi lo "Snark" all'ancora, ricordai che con esso avevo navigato da San Francisco alle Hawaii, e che questo era Pearl Harbour, e che proprio in quell'istante alcune persone mi erano presentate e io dicevo, rispondendo alla prima domanda: "S durante tutta la navigazione abbiamo avuto un tempo magnifico".




CAPITOLO 6


UNO SPORT DA RE

Ecco cos' uno sport da re per i re naturali della terra.

Sulla spiaggia di Waikiki, l'erba cresce proprio fino all'acqua, e anche in mare per una fascia di venti piedi oltre la linea della bassa marea. Anche le piante crescono fino al limite salino delle cose, e si sta seduti alla loro ombra, si guarda in direzione del mare, verso i maestosi frangenti che si abbattono rombando sulla spiaggia ai nostri piedi. Mezzo miglio piin lc'la scogliera, e li frangenti dalle candide creste si innalzano ad un tratto verso il cielo dalla placida distesa azzurra e giungono rotolando fino a riva. Vengono, uno dopo l'altro, per tutto un miglio, con le creste frangiate di spuma, battaglioni infiniti dell'infinito esercito del mare.

Si sta seduti, prestando l'orecchio al rombo perpetuo, contemplando la processione senza fine, e ci si sente piccoli e fragili di fronte a questa forza terrificante che si esprime in furore e schiuma e suono.

Davvero, ci si sente microscopicamente minuscoli, e il pensiero che si potrebbe avere da lottare con un simile mare desta nell'immaginazione un fremito d'apprensione, quasi di paura.

Ma via, vengono dalla lontananza di un miglio, questi mostri dalle fauci ferine, e pesano migliaia di tonnellate, e vengono all'attacco della spiaggia pivelocemente di quanto un uomo possa correre. Quale possibilitin una simile lotta? Proprio nessuna, ecco il verdetto dell'IO intimorito: e si continua a star seduti, a guardare e ascoltare, e si pensa che erba e ombra compongono un piacevole rifugio.

Ma ad un tratto, lfuori, dove una grande nuvola di spruzzi si drizza verso il cielo, come un dio marino che sorga da quell'accavallarsi di spuma e di un bianco ribollire, sulla cresta instabile, vorticosa, che crolla, s'impenna e ricade, del frangente, appare il bruno capo di un essere umano. Veloce si erge nel mezzo di quel bianco precipitare. Le sue brune spalle, il torace, i fianchi, le membra, tutto si staglia bruscamente dinanzi ai nostri occhi. Ldove solo un istante prima non c'era che un'ampia distesa desolata e un rombare incontenibile, ecco ora un uomo eretto in tutta la sua statura, non lottando freneticamente in quel moto selvaggio, non sepolto e schiacciato e sbattuto da quei mostri possenti, ma ritto al di sopra di essi, calmo e superbo, in equilibrio sull'instabile sommit i piedi immersi nella spuma ribollente, avvolto dagli spruzzi salini fino alle ginocchia, e tutto il resto del suo essere nella libera aria e nel sole splendente.

Si erge e vola attraverso l'aria, vola avanzando, vola alla velocitdell'onda su cui si erge. E' un Mercurio, un bronzeo Mercurio, dai talloni alati e veloci quanto il mare. In veritsorto dal mare, balzando sul dorso del mare, e sul mare cavalca, sul mare che romba e muggisce e non riesce a scuoterselo di dosso. Ma il suo non un frenetico cercare di sopravanzare e tenersi in equilibrio. Egli impassibile, immobile, come una statua che, miracolosamente scolpita, sorga dalle profonditdel mare da cui anch'egli sorto. E dritto verso la riva vola sui talloni alati e sulla bianca cresta dell'onda.

Con un furioso erompere di spuma, un lungo e tumultuoso rombare, l'onda ricade vana ed esausta sul lido ai nostri piedi; e dinanzi a noi si avanza quietamente un kanaka, abbronzato dal sole tropicale.

Pochi minuti prima non era che un puntolino alla distanza di un quarto di miglio: ora ha "domato il frangente dalle fauci ferine", montandoci sopra, e l'orgoglio dell'impresa visibile nel portamento del suo magnifico corpo, mentre noncurante getta uno sguardo su di voi, seduto all'ombra sulla spiaggia. E' un kanaka, piancora, un uomo, appartiene alla razza regale che ha soggiogato la materia e gli esseri bruti e domina su tutto il creato.

E allora, continuando a stare seduti, si pensa all'ultima lotta di Tristano con il mare in quel fatale mattino, si pensa anche che il kanaka ha fatto quanto Tristano non fece mai, conosce una gioia offerta dal mare che Tristano mai conobbe. E si pensa ancora che bellissimo stare seduti nell'ombra quieta della spiaggia, ma che voi siete un uomo, appartenente a quella razza regale, e che ciche un kanaka pufare, lo potete fare pure voi. Suvvia, toglietevi gli abiti, che ingombrano, in questo dolce clima. Entrate in mare, lottate con esso, rendete alati i vostri talloni con l'abilite la forza che in voi; imbrigliate le onde del mare, dominatele, cavalcate sui loro dorsi, come spetta a un re.

Fu cosche io mi diedi allo sport di correre sulle onde. E ora che l'ho praticato, piche mai lo considero uno sport da re. Ma prima lasciate che ve ne spieghi la natura fisica.

Un'onda un'agitazione che si trasmette. L'acqua che costituisce la sostanza di un'onda non si muove. Se lo facesse, quando un sasso buttato in uno stagno e le increspature si allargano in un cerchio sempre pivasto, al centro si dovrebbe formare una cavitin continuo aumento. No, l'acqua che costituisce la sostanza di un'onda resta ferma. Cos se guardate un punto determinato della superficie dell'oceano, vedrete sempre la stessa acqua sollevarsi e ricadere mille volte per l'agitazione trasmessa da mille onde successive.

Immaginate ora che questa agitazione che si comunica si diriga verso terra. Quando il fondo del mare si rialza, la parte inferiore dell'onda la prima a urtare la terra ed fermata. Ma l'onda fluida, e la parte superiore dell'onda non ha urtato nulla, quindi continua a comunicare il suo moto, continua ad andare avanti. E quando la sommitdi un'onda continua ad avanzare, mentre la parte inferiore rimane indietro, qualcosa dovrpur accadere.

Infatti la parte inferiore dell'onda rimane indietro al disotto, la sommitsi incurva e ricade al di l in avanti, e all'ingi arricciandosi, increspandosi e rombando, come infatti succede. Ed la parte inferiore dell'onda, che urta contro la terra, la causa di tutti i frangenti.

Ma la trasformazione da una lieve ondulazione a un frangente non subitanea, se non dove il fondo si rialza improvvisamente. Se il fondo si eleva gradatamente in uno spazio che va da un quarto di miglio a un miglio, su un'eguale distanza avverrla trasformazione. Cosavviene, per esempio, dinanzi alla spiaggia di Waikiki, che dorigine a un frangente fatto apposta per lo sport di correre sulle onde.

Si balza sulla sommitdi un frangente proprio ldove incomincia a rompersi e ci si mantiene in equilibrio, man mano che l'onda si rompe prima di arrivare alla spiaggia.

Ed ora parliamo un po' delle caratteristiche di questo sport.

Portatevi al largo su una tavola piatta, lunga sei piedi e larga due, di una forma vagamente ovale, stendetevi sopra, come un bimbo sopra una slitta, e vogate con le mani fino ad arrivare dove l'acqua profonda, dove le onde incominciano a incresparsi. Rimanete tranquillamente stesi sulla tavola. Un'onda dopo l'altra continuera infrangersi dinanzi, dietro a voi, sopra e sotto di voi, e a precipitarsi verso la spiaggia, lasciandovi dietro di s Se stesse ferma, voi potreste percorrerla scivolando come fanno i ragazzini lungo il pendio di una collina. "Ma", voi obietterete, "l'onda non sta ferma". Verissimo: ma l'acqua che costituisce la sostanza di un'onda non si sposta, e in cista il segreto di questo sport.

Se voi cominciate a scivolare lungo la superficie anteriore di quell'onda, continuerete a scivolare, senza mai cadere nel cavo dell'onda stessa. Non ridete, vi prego. L'altezza di quell'onda potressere di soli sei piedi, pure voi potrete continuare a scivolare su di essa per un quarto o una metdi miglio, senza cadere nel cavo dell'onda. Perch vedete, dal momento che un'onda non che un'agitazione trasmessa o una spinta, e l'acqua che forma l'onda cambia a ogni momento, nuova acqua si eleva nell'onda, alla stessa velocitdi percorso dell'onda stessa. Voi scivolate lungo questa nuova acqua, ma rimanete nella vostra posizione iniziale sull'onda, scivolando lungo l'acqua sempre rinnovantesi che si eleva e forma l'onda. E scivolate precisamente alla stessa velocitdi percorso dell'onda. Se essa percorre quindici miglia all'ora, voi percorrerete scivolando quindici miglia all'ora.

Tra voi e la spiaggia si stende un quarto di miglio d'acqua. Mentre l'onda avanza, quest'acqua cortesemente si ammassa nell'onda, la gravitfa il resto e voi ve ne andate gi percorrendola tutta di scivolata. Se continuate a essere dell'opinione, mentre scivolate, che l'acqua si muove con voi, immergeteci le braccia e tentate di remare con le mani; vi accorgerete che dovrete essere notevolmente rapido per riuscire a fare una palata, perchquell'acqua sta scadendo di poppa con la stessa velocitcon cui voi vi precipitate in avanti.

Ed ora parliamo di un altro lato di questo sport. Ogni regola ha le sue eccezioni. E' vero che l'acqua di un'onda non va avanti, ma c'quella che si potrebbe chiamare la spinta del mare.

L'acqua della cresta che ricade al di lcontinua ad avanzare, come potrete presto constatare se vi schiaffeggia in viso, o se rimanete al di sotto di essa e da un colpo potente siete spinti sotto la superficie dell'acqua, rimanendo senza fiato e ansimanti per mezzo minuto.

L'acqua della sommitdell'onda si appoggia su quella della parte inferiore dell'onda stessa. Ma quando quest'ultima urta contro la terra, si ferma, mentre la parte superiore dell'onda continua ad avanzare, senza peravere pila parte inferiore dell'onda a sostenerla, sicchdove prima c'era tutta acqua, ora c'dell'aria.

Avviene cosche per la prima volta l'onda risente l'effetto della forza di gravit e cade gi venendo nello stesso tempo strappata dalla parte inferiore, che rimane indietro, e scagliata in avanti. E per questa ragione scivolare sull'onda sopra una tavola qualcosa di diverso dal semplice lasciarsi scivolare giper una collina. A dire il vero, proprio come se si fosse afferrati e scagliati verso terra dalla mano di un Titano.

Abbandonai l'ombra fresca, indossai un costume da bagno, mi procurai una tavola adatta a questo sport (era troppo piccola: ma io non lo sapevo, e nessuno me lo disse), e raggiunsi alcuni ragazzini kanaka che giocavano in acqua poco profonda, dove le onde arrivavano giesaurite e ridotte - un vero giardino d'infanzia. Mi soffermai a guardarli: non appena arrivava un'onda che prometteva bene, si gettavano bocconi sulle loro tavole, scalciavano pazzamente e arrivavano con l'onda sino a terra. Decisi di imitarli. Continuai a guardarli, mi sforzai di fare tutto quello che facevano e feci un fiasco completo. L'onda passava via, e senza di me. Ritentai a piriprese, scalciai ancora pifreneticamente dei ragazzini, ma non serviva a niente. Ne avevo intorno una mezza dozzina e tutti balzavano sulle tavole davanti a un'onda promettente; i nostri piedi roteavano come pale di battelli fluviali a ruota, e ogni volta quei bricconi sfrecciavano via, mentre io, sciagurato, rimanevo indietro.

Tentai per una buona ora, senza riuscire a convincere una sola onda a issarmi fino alla spiaggia. Poi arrivun amico, Alexander Hume Ford, globe-trotter di professione, un tipo sempre in cerca di nuove sensazioni. E ne aveva trovate a Waikiki. Diretto in Australia, si era fermato lper una settimana per vedere se si provava qualche emozione nello scivolare sulle onde sopra una tavola, e non se ne era pistaccato. Per un mese intero si era dato ogni giorno a quello sport, nriscontrava in salcun sintomo di un diminuire dell'attrazione. Mi parlda competente.

- Togliti da quella tavola - disse - sbattila via subito. Vedi un po' come fatichi a starci sopra. Se mai il naso di quella tavola urta contro la terra, ti troverai sbudellato. Su, prendi la mia. E' di dimensioni adatte per un uomo.

Sono sempre umile di fronte alla competenza. Ford era un competente, e mi insegna salire correttamente sulla sua tavola, poi aspettun bel cavallone, mi diede una spinta al momento giusto, e cosmi avvi Oh, il momento delizioso, in cui sentii quell'onda afferrarmi e lanciarmi!

Sfrecciai via per quattrocento metri, e mi afflosciai con l'onda sulla spiaggia. Da quel momento il mio caso fu disperato. A guado riportai a Ford la sua tavola, che era larga, di uno spessore di parecchi pollici e pesava buone settantacinque libbre. Ford mi diede dei consigli, tanti. Non aveva avuto nessuno che gli desse delle lezioni, e tutto quanto aveva imparato faticosamente in varie settimane, me lo trasmise in mezz'ora. Davvero imparai per procura! E alla distanza di mezz'ora fui in grado di darmi l'avvio da solo e iniziare la scivolata.

Continuai a farlo ancora e ancora, mentre Ford applaudiva e consigliava. Mi disse, ad esempio, di stendermi sulla tavola solo fino a un certo punto e non piin l ma probabilmente dovetti essere andato un pochino piin l perch mentre arrivavo a tutta carica in terra, quella disgraziata tavola ficcil naso nel fondo, si arrestbruscamente e fece una bella capriola, troncando di botto ogni nostro rapporto. Fui lanciato in aria come un pezzetto di legno, e vergognosamente sommerso dal frangente che ricadeva. E compresi che, senza i consigli di Ford, sarei stato sbudellato. E' appunto questo rischio una parte del divertimento, Ford almeno lo sostiene. Puessere che tale emozione tocchi a lui, prima di lasciare Waikiki, e allora, ne sono convinto, la sua smania di sensazioni sarsoddisfatta per un bel po'.

Tutto ben considerato, una mia netta convinzione che un omicidio peggiore di un suicidio, soprattutto se, nel primo caso, si tratta di una donna. Ford mi salvdal diventare un omicida. - Immagina che le tue gambe siano un timone - mi disse. - Tienile ben strette, e governa con quelle. - Pochi minuti dopo stavo arrivando a tutta velocitsu di un frangente crestato, e mentre mi avvicinavo alla riva, lnell'acqua, che le giungeva alla vita, proprio di fronte a me, comparve una donna. Come fermare quel cavallone, su cui mi trovavo?

Diedi la donna per morta. La tavola pesava settantacinque libbre, io ne pesavo centosessantacinque; questo peso addizionato aveva una velocitdi quindici miglia orarie; la tavola e io formavamo un proiettile. Lascio ai fisici di calcolare la forza dell'urto contro quella povera, tenera creatura. Ma in quell'istante mi ricordai del mio angelo custode, Ford. - Governa con le gambe! - Le sue parole mi risuonarono nel cervello. Governai con le gambe, governai energicamente, bruscamente, con tutte le mie gambe e con tutta la mia energia. La tavola devimettendosi di traverso sulla cresta. Molte cose accaddero allora simultaneamente. L'onda mi schiaffeggidi sfuggita, un debole colpetto, per essere quello di un'onda, ma sufficiente a gettarmi gidalla tavola e a scagliarmi in basso attraverso l'acqua impetuosa, fino sul fondo, con cui venni a violenta collisione e sul quale rotolai a piriprese. Misi la testa fuori dell'acqua per respirare un po' e poi mi rizzai in piedi. La donna era ldinanzi a me. Mi sentii un eroe: le avevo salvata la vita. E lei mi sorrise. Oh, non per isterismo: non si era mai sognata di essere in pericolo! Ad ogni modo, cosmi consolai, non ero stato io, ma era stato Ford a salvarla, e quindi non avevo nessuna ragione di sentirmi un eroe. Per di piquel governare con i piedi era una cosa grande.

Con altri pochi minuti di esperienza fui in grado di infilarmi tra i vari bagnanti, rimanendo sulla cresta del mio frangente, invece di esserne sommerso.

- Domani - disse Ford - ti porterin mare aperto.

Guardai il mare nella direzione che lui additava, e vidi dei grossi cavalloni spumeggianti che facevano sembrare i frangenti su cui avevo scivolato sino allora delle leggere increspature. Non so cosa potrei aver detto, se non mi fossi ricordato proprio allora che io appartenevo a una razza regale. Cosmi limitai a dire: - Benone, domani me la vedrcon quelle onde l

L'acqua che arriva rotolando sulla spiaggia di Waikiki proprio la stessa di quella che bagna le spiagge di tutte le isole delle Hawaii, e in certo modo, specialmente dal punto di vista di un nuotatore, un'acqua meravigliosa, abbastanza fresca per dare un senso di piacere, ma abbastanza calda perchci si possa rimanere immersi tutto il giorno senza provare freddo. Sotto il Sole o le stelle, a mezzogiorno o a mezzanotte, in pieno inverno o in piena estate, non importa quando, ha sempre la stessa temperatura, ntroppo calda ntroppo fredda - giusta. E' un'acqua meravigliosa, salata come il vecchio oceano, pura, cristallina. Se si pensa alle caratteristiche di quest'acqua, non poi tanto strano, dopo tutto, che i kanaka siano una delle razze piesperte in fatto di nuoto.

Avvenne cosche l'indomani mattina, quando Ford si present io mi tuffai in quell'acqua meravigliosa per una nuotata di durata indefinita. A cavalcioni delle nostre tavole, o meglio stesi bocconi su di esse, vogando con le mani, superammo il giardino d'infanzia dove i piccoli kanaka stavano giocando, e presto ci trovammo nell'acqua fonda dove i frangenti giungevano rombando. Anche solo lottare con essi, vogare verso il mare aperto passando sopra o attraverso ad essi era giun divertimento. Si doveva stare ben attenti, perchera una lotta in cui da un lato venivano inferti duri colpi e dall'altro si ricorreva all'astuzia - una lotta tra la forza bruta e l'intelligenza.

Presto mi feci esperto. Quando un frangente si arricciava sopra la mia testa, per un breve istante potevo vedere la luce del sole attraverso la sua verde fluidit poi abbassavo la testa e mi tenevo stretto alla tavola con tutte le mie forze. Poi veniva l'urto, e per chi guardava dalla spiaggia io non esistevo pi In realte la tavola e io eravamo passati attraverso la cresta dell'onda, riemergendo nella zona di respiro dall'altra parte. Non raccomanderei questi urti a un malato o a una persona delicata, perchsono dotati di un certo peso, e la pressione dell'acqua sospinta come quella di uno spruzzo violento di sabbia, quando si fabbrica il vetro. Certe volte si passa in rapida successione attraverso una mezza dozzina di frangenti, e proprio allora facile scoprire nuove attrattive alla terraferma e nuove ragioni per rimanersene sulla spiaggia. Fu lfuori, in mezzo a una successione di grosse onde spumeggianti, che un terzo uomo si una noi, un certo Freeth.

Mentre, emergendo da un'onda, scrollavo il capo per togliermi l'acqua dagli occhi e guardavo davanti a me per cercare di vedere com'era l'onda successiva, lo vidi che avanzava veloce su di essa, ritto sulla tavola, in noncurante equilibrio, un giovane dio abbronzato dal sole.

Attraversammo il frangente sulla cui sommitegli correva; quando Ford lo chiam con una piroetta nell'aria si staccdall'onda, recuperla sua tavola, vogando con le mani ci raggiunse e si una Ford nel mostrarmi come si doveva fare. Una cosa specialmente imparai da Freeth: come affrontare i cavalloni di dimensioni eccezionali che talvolta si presentavano. Questi ultimi erano proprio spaventosi, e affrontarli sopra la tavola era una cosa arrischiata.

Ma Freeth mi insegn ogni volta che ne vedevo uno di quel calibro venirmi addosso, a scivolare verso l'estremitposteriore della tavola, lasciandomi cadere gi sotto la superficie dell'acqua, tenendo la tavola con le braccia ripiegate sopra la testa. Cos se l'onda me l'avesse strappata di mano, cercando di servirsene per colpirmi (uno scherzetto normale di queste onde), ci sarebbe stato un cuscinetto d'acqua della profonditdi un piede almeno, se non di pi tra la mia testa e il colpo.

Passata l'onda, risalivo sulla tavola e andavo avanti vogando con le mani. Sentii dire che molta gente si era ferita molto gravemente per i colpi inferti dalle loro stesse tavole.

Imparai anche che lo sport di lasciarsi portare dai frangenti e quello di affrontarli si basano sul principio della non-resistenza. Schiva il colpo che ti destinato, tuffati dentro l'onda che cerca di schiaffeggiarti, immergiti, piedi all'ingi ben lontano dalla superficie dell'acqua e lascia che il grosso cavallone che tenta di sfracellarti si allontani al di sopra della tua testa. Non essere mai rigido, rilassati, cedi all'acqua che violentemente ti strappa e ti scrolla. Quando il risucchio dell'onda ti afferra e trascina verso il largo sul fondo, non lottare contro di esso. Se lo fai, potresti affogare, perchpiforte di te - cedi al risucchio, nuota con esso, non contro di esso, e sentirai diminuire la pressione. E mentre nuoti con l'onda, assecondandola, cosche non ti tenga avvinghiato a s nuota anche verso l'alto. Non ti sardifficile raggiungere la superficie dell'acqua.

L'individuo che voglia imparare lo sport di lasciarsi portare dai frangenti dovressere un forte nuotatore e abituato ad andare sott'acqua. Oltre a ci un po' di forza e di buon senso, ecco tutto quanto necessario. La forza del grosso cavallone piuttosto inaspettata e succedono delle mischie in cui la tavola e l'uomo che ci sta sopra sono violentemente strappati l'uno all'altro e separati da centinaia di metri. L'individuo che pratica questo sport deve badare a se stesso poich se anche ci fossero quanti si vogliano altri individui a praticarlo con lui, non potrassolutamente contare sul loro aiuto. Il senso di sicurezza immaginaria che provavo in compagnia di Ford e di Freeth mi aveva fatto dimenticare di essere alla mia prima nuotata in acqua profonda e in mezzo ai cavalloni. Me lo ricordai per e piuttosto bruscamente, quando una grossa onda venne avanti, portandosi via i due uomini sopra di se fino a terra, e io avrei potuto annegare in una dozzina di modi differenti prima che loro mi avessero di nuovo raggiunto.

Si scivola lungo la superficie di un frangente sulla tavola speciale adatta a questo sport, ma per iniziare la scivolata bisogna sapersi dare la spinta. Tavola e individuo dovranno essere in moto verso la terra a una buona velocitprima che l'onda li raggiunga. Quando vedete avvicinarsi l'onda da cui volete essere portati, dovete voltarle le spalle e vogare con le mani verso la terra con tutta l'energia di cui disponete, imitando la bracciata a stile libero. E questa specie di spinta dev'essere esercitata proprio dinanzi all'onda. Se la tavola ha acquistato una velocitsufficiente, l'onda la accelera, e la tavola inizia la sua scivolata di un quarto di miglio.

Non dimentichermai la prima grossa onda che mi riuscdi acchiappare in mare aperto. La vidi arrivare, le voltai la schiena e vogai per avere salva la vita! La tavola avanzava sempre pivelocemente, finchmi parve che le braccia mi si spezzassero. Non potrei dire che cosa accadeva dietro di me. Non si puguardare dietro di se nello stesso tempo vogare imitando le pale di un mulino! Sentii la cresta dell'onda turbinare sibilando, poi la mia tavola fu sollevata e scagliata in avanti. Nel primo mezzo minuto quasi non potei capire cosa succedeva.

Sebbene tenessi gli occhi aperti, non riuscivo a vedere nulla, sepolto com'ero nella bianca spuma avanzante della cresta. Ma non me ne curai.

Ero conscio unicamente di un senso di gioia estatica per avere acchiappato l'onda. E alla fine del primo mezzo minuto cominciai a vedere tutto attorno a me e respirare.

Vidi che l'estremitanteriore della mia tavola era per un metro fuori dell'acqua e avanzava nell'aria; mi spostai allora in avanti, facendola inclinare. Poi rimasi bocconi, in tranquillo riposo in mezzo a quel moto violento, guardando la terra e i bagnanti sulla spiaggia, che a poco a poco diventavano riconoscibili. Non feci neppure un quarto di miglio su quell'onda perch per impedire alla tavola di tuffarsi in avanti, riportai indietro il mio peso ma fin troppo, e caddi giper la china posteriore dell'onda.

Era il secondo giorno che sperimentavo quello sport, e mi sentivo veramente fiero di me stesso. Rimasi fuori quattro ore, deciso, alla fine di questo tempo, a ricominciare l'indomani, questa volta ritto in piedi sulla tavola; ma l'inferno, a quanto dicono, pavimentato di buone intenzioni. L'indomani io ero a letto, non malato, ma infelicissimo e a letto.

Nel descrivere la meravigliosa acqua delle Hawaii, ho dimenticato di descrivere il meraviglioso Sole delle Hawaii - un Sole tropicale e per di pi nella prima metdel mese di giugno, un Sole allo zenit. E inoltre un Sole insidioso, ingannatore. Per la prima volta nella mia vita, non mi ero accorto di essere stato bruciato. Braccia, spalle e schiena lo erano state tante volte in passato da essere diventate resistenti; non cosle mie gambe, di cui per quattro ore avevo esposto i teneri polpacci posteriori a quel Sole hawaiano a perpendicolo. Soltanto quando mi ritrovai sulla spiaggia scoprii che risentivo degli effetti.

Ora una scottatura da Sole in principio semplicemente calda, poi si fa sentire piforte, vengono fuori le vesciche, e le giunture, ldove la pelle si raggrinza, rifiutano di piegarsi. Ed ecco perchoggi ancora sto scrivendo tutto questo a letto. E' pifacile cosche non il contrario. Ma domani, ah, domani tornerfuori in quell'acqua meravigliosa e verrfino a terra ritto in piedi sulla tavola, proprio come Ford e Freeth. Se domani non ci riuscissi, ebbene, ritenteril giorno dopo o quello dopo ancora. A una cosa sono deciso: lo "Snark" non salperda Honolulu finchanch'io non avrdotato i miei talloni di ali veloci quanto il mare e mi sartrasformato in un Mercurio abbronzato, spellato dal Sole.




CAPITOLO 7


I LEBBROSI DI MOLOKAI

Mentre lo "Snark" veleggiava lungo la costa sopravvento di Molokai, diretto a Honolulu, guardai la carta; poi posi il dito su una bassa penisola addossata a una montagna scoscesa alta dai due ai quattromila piedi, e dissi: - Ecco lil vero inferno, il luogo pimaledetto sulla terra! - Sarei stato ben sorpreso se in quel momento avessi potuto vedermi un mese dopo, sbarcato nel luogo pimaledetto sulla terra, mentre me la spassavo vergognosamente in compagnia di ottocento lebbrosi che se la spassavano anche loro. Il loro divertimento non era vergognoso, il mio s perchmi pareva sconveniente divertirmi in mezzo a tanta infelicit - cosalmeno io pensavo: e l'unica mia attenuante era che non potevo fare a meno di divertirmi.

Per esempio il pomeriggio del 4 luglio, tutti i lebbrosi si radunarono all'ippodromo per le corse. Mi ero allontanato dal Soprintendente e dai medici per prendere un'istantanea della fase finale di una gara, una gara interessante, che destava gran fervore nei tifosi. Erano iscritti tre cavalli, cavalcati uno da un cinese, uno da un hawaiano e il terzo da un ragazzo portoghese; tutti e tre i fantini erano lebbrosi, e lo erano pure i giudici e la folla. La gara si svolgeva percorrendo due volte la pista. Il cinese e l'hawaiano partirono insieme e correvano testa a testa, mentre il ragazzo portoghese arrancava circa duecento piedi piindietro. Fecero il primo giro sempre nelle stesse posizioni: a metdel secondo e ultimo, il cinese si avvantaggie superper una lunghezza l'hawaiano, mentre il ragazzino portoghese stava cominciando a guadagnare terreno, per quanto il suo sembrasse un caso disperato. La folla diventfrenetica.

Tutti i lebbrosi sono appassionati per i cavalli. Il ragazzino portoghese guadagnava sempre piterreno, e anch'io diventai frenetico. Erano ormai tutti e tre sulla dirittura finale. Il ragazzo portoghese superl'hawaiano, si udun rombo di zoccoli, l'impeto di tre cavalli riuniti in gruppo, mentre i fantini lavoravano di frusta, e tutti gli spettatori, dal primo all'ultimo, si sgolavano a furia di gridi e urla. Avvicinandosi sempre pi a grado a grado, il ragazzo portoghese avanzsino a superare il cinese, per una lunghezza.

Passata l'emozione, mi ritrovai in mezzo a un gruppo di lebbrosi, che urlavano, lanciavano in aria i berretti e ballavano come matti. Mi accorsi che facevo lo stesso anch'io, e agitando il cappello mormoravo con voce estatica: - Perbacco, il ragazzo vince, il ragazzo vince!

Cercai di frenarmi, ripetendomi che mi trovavo dinanzi a uno degli orrori di Molokai, e che in simili circostanze non dovevo comportarmi da persona senza cuore e senza testa; ma inutilmente.

Il programma offriva poi una corsa di asini, che stava per avere inizio e anche il divertimento era all'inizio. L'asino arrivato ultimo avrebbe vinto la corsa: e a complicare maggiormente le cose, ogni fantino non cavalcava il proprio asino, ma quello di un altro, sicchcercava che l'asino da lui montato vincesse il proprio montato da un altro. Naturalmente solo chi possedeva asini molto lenti o estremamente indisciplinati li aveva iscritti alla gara. Uno di essi era stato allenato a piegare le gambe e a buttarsi per terra ogni volta che il fantino lo spronava con i talloni; altri cercavano di girarsi e tornare indietro, altri ancora mostravano una decisa simpatia per i lati della pista, dove piantavano i musi sopra le sbarre e si fermavano; tutti quanti poi avevano un'andatura lentissima. A metpercorso uno degli asini cominciad avere a che dire con il suo fantino, e tutti gli altri avevano gisuperato il traguardo, che quello stava ancora llitigando, e cosvinse la corsa, se anche il suo fantino la perdette e dovette finirla a piedi.

Durante tutto questo tempo un migliaio di lebbrosi ridevano e schiamazzavano; e qualsiasi altro al mio posto avrebbe fatto come loro e si sarebbe divertito.

Tutto quanto precede serve da preambolo all'affermazione che gli orrori di Molokai, come sono stati dipinti in passato, non esistono.

La Colonia stata a piriprese descritta da gente che amava il sensazionale, e di solito da persone del genere che pernon l'avevano mai vista. La lebbra la lebbra, si capisce, ed una cosa terribile: ma su Molokai stato scritto in un modo tanto disgustoso da non rendere giustizia nai lebbrosi na quelli che dedicano a essi le loro esistenze. Eccovene un esempio. Un giornalista, che naturalmente non si era mai avvicinato alla Colonia, dipinse efficacemente il Soprintendente MacVeigh accovacciato in una capanna d'erbe e assediato ogni notte da lebbrosi affamati che ginocchioni gli chiedevano lamentosamente da mangiare. Un simile quadro, davvero raccapricciante, fu riportato dalla stampa di tutti gli Stati Uniti e provocmolti articoli di indignata protesta. Ebbene, ho vissuto e dormito per cinque giorni e notti nella capanna d'erbe del signor MacVeigh (tra parentesi, una comoda casetta di legno: e in tutta la Colonia non esiste una sola capanna d'erbe) e ho sentito i lebbrosi che chiedevano lamentosamente da mangiare - solo che il lamento era particolarmente armonioso e ritmico, accompagnato dalla musica di strumenti a corda, violini, chitarre, ukulele, banjo. Inoltre questo lamento era di vario genere: c'era quello della fanfara dei lebbrosi, quello di due societcorali, e infine un quintetto di magnifiche voci. Tanto a confutazione di una bugia che non avrebbe mai dovuto essere stampata. Il lamento era la serenata che i circoli corali fanno sempre al signor MacVeigh, quando torna da una gita a Honolulu.

La lebbra non coscontagiosa come ci si immagina. Feci un soggiorno di una settimana nella Colonia, portando con me anche mia moglie; e tutto questo non sarebbe accaduto, se avessi avuto il minimo timore di prendermi la malattia. Ncalzammo dei lunghi guanti speciali o ci tenemmo in disparte dai lebbrosi, chanzi ci frammischiammo spontaneamente a loro, e prima di venircene via, ne avevamo conosciuto un buon numero di vista e di nome. Bastano le sole precauzioni di una semplice pulizia. Ritornando alle proprie case, dopo essere stati in mezzo ai lebbrosi e averli toccati, i non lebbrosi, come i dottori e il Soprintendente, si limitano a lavarsi visi e mani con un sapone lievemente antisettico e a cambiarsi d'abito.

Invece si dovrebbe insistere sul fatto che un lebbroso infetto, e quindi la segregazione dei malati, per quel poco che si sa di questa malattia, dovrebbe essere severamente mantenuta. D'altro lato l'orrore spaventato con cui si considerato il lebbroso in passato, e il terribile trattamento che gli era riservato, sono stati non indispensabili e crudeli. Per dissipare alcuni degli equivoci pidiffusi riguardo alla lebbra, vorrei dirvi qualcosa delle relazioni fra lebbrosi e non lebbrosi, come potei osservarle da vicino a Molokai.

Il mattino dopo il nostro arrivo Charmian e io partecipammo a una gara di tiro al Circolo del fucile di Kalaupapa, facendoci cosuna prima idea della democrazia della sofferenza e delle mitigazioni ora in vigore. Al circolo era appena incominciata allora una gara a premio per una coppa messa in palio dal signor MacVeigh, pure socio del Circolo, come lo sono i dottori Goodhue e Hollmann, medici residenti (che, sia detto incidentalmente, vivono nella Colonia con le loro mogli). Tutti intorno a noi, nel padiglione, erano lebbrosi: e lebbrosi e non lebbrosi usavano gli stessi fucili, spalla a spalla nello spazio ristretto. La maggioranza dei lebbrosi era hawaiana.

Seduto accanto a me sulla panca c'era un norvegese, e proprio di fronte, sul palco, un americano, veterano della Guerra Civile, che aveva combattuto dalla parte dei Confederati, un uomo di sessantacinque anni, ciche non gli impeddi raggiungere un buon punteggio. Dei tipi vigorosi di poliziotti hawaiani, lebbrosi, vestiti di kaki, stavano pure tirando, coscome facevano portoghesi, cinesi e "kokuas" - questi ultimi degli indigeni non lebbrosi che lavorano nella Colonia. E quel pomeriggio che Charmian e io salimmo sul "pali", alto duemila piedi, per avere un'ultima visione della colonia, Soprintendente, dottori e tutta quella mescolanza di nazionalite di malati e non malati, erano tutti quanti impegnati in un'eccitante partita di baseball.

Non coserano trattati in Europa il lebbroso e la sua malattia, tanto temuta e incompresa, nelle etdi mezzo, quando egli era considerato legalmente e politicamente defunto, collocato nel mezzo di una processione e condotto in chiesa, dove le preghiere dei defunti erano lette nel suo nome dal sacerdote officiante. Poi una spalata di terra gli era gettata sul petto, ed egli era morto - un morto vivente.

Benchquesto trattamento severo non fosse affatto necessario, esso servalmeno a far conoscere una cosa. La lebbra era sconosciuta in Europa, e vi fu importata dai crociati al loro ritorno, per poi diffondersi lentamente, finchcontagiun gran numero di persone.

Evidentemente tale malattia poteva essere presa per contatto, era una malattia contagiosa; ed era altrettanto evidente che essa poteva essere sradicata mediante la segregazione. Per quanto sia stato terribile e mostruoso il trattamento del lebbroso in quei tempi, esso serva insegnare la grande lezione della segregazione, e in tal modo a fugare la lebbra.

Con questo stesso mezzo anche adesso la lebbra continua a diminuire nelle isole hawaiane. Ma la segregazione dei lebbrosi a Molokai non affatto quel terribile incubo cosspesso sfruttato dagli scrittori di "libri gialli". Anzitutto il lebbroso non spietatamente strappato alla famiglia; quando uno di essi scoperto, dalla Direzione di Sanitinvitato a recarsi all'ufficio ricevente di Kalihi a Honolulu, e tutte le spese gli sono ripagate. Come prima cosa, egli viene sottoposto a un esame al microscopio da parte del batteriologo della Direzione di Sanit Se trovato il "bacillus leprae", il paziente esaminato da una commissione di medici, cinque in tutto; qualora sia riconosciuto come lebbroso, dichiarato tale, e il verdetto poi confermato ufficialmente dalla Direzione di Sanit la quale impartisce l'ordine che il lebbroso sia mandato a Molokai.

Inoltre, durante tutto l'esame a cui sottoposto, il paziente ha il diritto di essere assistito e curato da un medico di sua scelta. E anche dopo essere stato dichiarato lebbroso, il paziente non scaraventato immediatamente a Molokai, ma gli concesso un periodo sufficiente, di settimane e persino di mesi, talvolta, in cui egli sta a Kalihi e liquida o sistema i suoi affari. A Molokai, a turno, potrricevere la visita dei suoi familiari, amministratori eccetera, benchnon sia loro permesso di mangiare e dormire nella sua casa. E a tale scopo speciali edifici per i visitatori sono mantenuti sempre disinfettati.

Potei constatare come avviene l'esame completo al quale viene sottoposto un soggetto, quando visitai Kalihi con il signor Pinkham presidente della Direzione di Sanit L'individuo sospetto era un hawaiano settantenne, che per trentaquattro anni aveva lavorato a Honolulu presso una casa editrice. Secondo il batteriologo egli era lebbroso, ma il Comitato di investigazione non era riuscito a prendere una decisione e quel giorno si era trasferito al completo a Kalihi per compiere un ulteriore esame.

Anche quando a Molokai, il lebbroso dichiarato tale ha il diritto di essere riesaminato; e a tale scopo i pazienti ritornano continuamente a Honolulu. A bordo del piroscafo che mi porta Molokai c'erano due lebbrose che vi ritornavano, ambedue giovani donne, una delle quali era andata a Honolulu per sistemare una sua propriete l'altra per visitare la madre malata. Ambedue erano rimaste un mese a Kalihi.

Lo colonia di Molokai gode di un clima assai pifavorevole della stessa Honolulu, trovandosi sul lato sopravvento dell'isola lungo il percorso dei freschi alisei di nord-est. Il paesaggio magnifico: da un lato il mare azzurro, dall'altro la meravigliosa parete del "pali", che qua e lsi apre in belle vallate montagnose. Ovunque pascoli erbosi, su cui vagano centinaia di cavalli, di proprietdei lebbrosi, alcuni dei quali hanno i propri veicoli e relativo equipaggiamento.

Nel porticciolo di Kalaupapa sono alla fonda barche da pesca e una scialuppa a vapore, tutte proprietprivata dei lebbrosi, che le manovrano personalmente. Naturalmente possono allontanarsi solo entro limiti determinati, ma nessun'altra restrizione posta alle loro gite in mare. Il pesce pescato da essi venduto alla Direzione di Sanite il ricavato appartiene a loro stessi. Mentre mi trovavo l la pesca di una sola notte fu di 4000 libbre.

E mentre questa gente pesca, altra si occupa di agricoltura. Tutti i mestieri sono esercitati. Un lebbroso, hawaiano puro, il capo dei pittori, ha otto uomini sotto di se assume lavori per conto della Direzione di Sanit anche socio del Tiro a segno di Kalaupapa, dove lo incontrai, e devo confessare che era vestito molto meglio di me. Un altro individuo, nella medesima situazione sociale, il capo dei falegnami. E oltre a un negozio della Direzione di Sanit ci sono molte piccole botteghe, proprietdi privati, dove chi abbia l'anima del commerciante puesercitare le proprie attitudini. Il Vicesoprintendente, signor Waiamau, una persona capace e istruita, hawaiano e lebbroso; il signor Bartlett, l'attuale magazziniere, un americano che si occupava di affari a Honolulu prima di essere colpito dal male. Tutto ciche questi uomini guadagnano va a finire nelle loro tasche, e di chi non lavora si occupa l'amministrazione locale, che assicura vitto, abitazione, vestiario e cure mediche. La Direzione sanitaria provvede all'agricoltura, all'allevamento del bestiame e alla produzione del latte per usi locali, e impieghi con buoni salari sono offerti a chiunque voglia lavorare. Pernessuno obbligato a farlo, poichtutti sono ospiti dell'amministrazione locale, e ci sono case di ricovero e ospedali per i giovani, i molto vecchi e gli impotenti.

Mi accadde di conoscere il maggiore Lee, americano e per lungo tempo ingegnere navale della Compagnia di Navigazione interinsulare, mentre si occupava attivamente di sistemare il macchinario di una nuova lavanderia a vapore; in seguito lo incontrai spesso, e un giorno fu lui a dirmi:

- Fate un bel racconto di come viviamo qui, per amor del Cielo, dite le cose come sono, parlate chiaro su tutta quella roba da camera degli orrori. Non ci pufar piacere essere rappresentati sotto una luce falsa. Abbiamo la nostra suscettibilit Dite soltanto al mondo come realmente viviamo qui.

Ogni uomo che incontrai nella colonia, e ogni donna, tutti espressero in un modo o nell'altro lo stesso sentimento. Era evidente che li offendeva aspramente il modo sensazionale e non corrispondente alla veritin cui erano stati sfruttati in passato.

Nonostante siano affetti da una malattia, i lebbrosi costituiscono una colonia felice, divisa in due villaggi e in numerose case in aperta campagna o lungo il mare, composta di ben duemila anime, con sei chiese, un edificio per la Young Men's Christian Association, parecchie sale di riunioni, un palchettone per la banda, un ippodromo, dei campi di baseball e di tiro a segno, una societdi ginnastica, numerosi circoli di divertimento e due bande musicali.

- Sono coscontenti qui - mi affermil signor Pinkham - che non si riesce a mandarli via neppure a fucilate.

E io stesso lo riscontrai in seguito. Nel gennaio di quell'anno undici lebbrosi, nei quali la malattia, dopo avere compiuto un'opera devastatrice, non mostrava pisegni di attivit furono riportati a Honolulu per esservi riesaminati. Non volevano saperne di andarci; e alla domanda se, in caso di immunitda lebbra, volevano essere lasciati liberi, risposero tutti quanti senza eccezioni: - Vogliamo tornare a Molokai.

In passato, prima della scoperta del bacillo della lebbra, alcuni pochi uomini e donne, affetti da varie malattie completamente diverse, furono giudicati lebbrosi e inviati a Molokai: anni dopo, furono veramente costernati quando i batteriologhi dichiararono loro che non erano affetti da lebbra nlo erano mai stati. Lottarono per non essere mandati via da Molokai e in un modo o nell'altro, o come aiutanti o come infermieri, ottennero un impiego dalla Direzione di Sanite ci rimasero. L'attuale guardia carceraria uno di quelli: dichiarato non lebbroso, accettun salario, e l'incarico di custode della prigione, per evitare di essere mandato via.

Attualmente a Molokai c'un lustrascarpe, un negro degli Stati Uniti, di cui ci narrla storia il signor MacVeigh. Parecchio tempo fa, prima che si facessero gli esami batteriologici, si mise a fare l'indipendente in modo superlativo, dando cosorigine a una quantitdi piccoli guai. Poi un giorno, dopo essere stato per anni la fonte di seccature, all'esame batteriologico risultnon lebbroso.

- Ah, ah! - rise sotto i baffi il signor MacVeigh - adesso ti aggiusto io! Te ne andrai via col primo piroscafo, e saruna bella liberazione!

Ma il negro non voleva saperne di andare via. Immediatamente sposuna vecchia nell'ultimo stadio della lebbra, e comincia inviare petizioni alla Direzione di Sanit chiedendo che gli fosse concesso di rimanere a curare la moglie ammalata, affermando pateticamente che nessuno avrebbe saputo curare sua moglie tanto bene quanto lui. Ma gli altri capirono il gioco, e venne spedito via sopra un piroscafo e messo in completa libert Ma preferiva Molokai. Sbarcato sulla costa sottovento di Molokai, una notte scese furtivamente dal "pali" e si stabilnuovamente nella Colonia; fu arrestato, processato, condannato per violazione di confini a pagare una lieve multa e rispedito via sul piroscafo con l'ammonizione che, se avesse una volta ancora contravvenuto agli ordini, sarebbe stato multato per cento dollari e mandato in prigione a Honolulu. E ora, quando il signor MacVeigh si reca a Honolulu, il lustrascarpe gli lucida le scarpe e gli dice:

- Beh, capo, stavo proprio bene laggi Sissignore, stavo proprio bene. - Poi la sua voce si smorza in un sussurro per confidare: - Dite, capo, non potrei tornarci? Non potete fare in modo che io ci torni?

Aveva vissuto nove anni a Molokai, e molto meglio laggidi quanto non sia mai stato, prima o dopo, fuori di l

Quanto alla paura della lebbra per se stessa, non ne riscontrai mai nessun segno nella Colonia, sia tra i lebbrosi che tra i non lebbrosi.

L'orrore della lebbra sempre piforte nell'animo di quelli che non hanno mai visto un lebbroso e non sanno niente della malattia.

All'albergo di Waikiki una signora manifestil suo stupore atterrito perchio avevo avuto l'audacia di visitare la Colonia. Parlando con lei, venni a sapere che era nata a Honolulu e c'era sempre vissuta, senza avere mai messo gli occhi sopra un lebbroso. E' pidi quanto io personalmente potrei vantare, poichnegli Stati Uniti, dove la segregazione dei lebbrosi eseguita con molta larghezza, ho visto ripetutamente dei lebbrosi nelle vie di grandi citt La lebbra una terribile malattia, non c'che dire: ma da quel poco che so di essa e del suo grado di contagiosit preferirei di molto passare il resto della mia vita a Molokai piuttosto che in qualsiasi tubercolosario.

In ogni ospedale di citto di campagna, o in istituti dello stesso genere in altri paesi, si possono vedere spettacoli altrettanto terribili quanto quelli di Molokai, e l'ammontare totale di questi spettacoli infinitamente piterribile. Per questa ragione, se mi fosse permesso di scegliere tra essere costretto a passare il resto della mia vita a Molokai o nell'East End londinese, nell'East Side di Nuova York o negli Stockyards di Chicago, sceglierei Molokai senza esitazioni. Preferirei un anno di esistenza a Molokai a cinque anni nelle suddette sentine di ogni degradazione e miseria umane.

A Molokai la gente felice. Non dimentichermai la celebrazione del 4 luglio (anniversario della dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti) a cui assistetti laggi Alle sei del mattino, maschere mostruose erano giin giro, vestite in modo fantastico, a dorso di cavalli, muli e asini (di loro propriet, caracollando per tutta la Colonia. Poi c'erano le magnifiche amazzoni "pa-u", una trentina o quarantina, tutte donne hawaiane, vestite in modo sgargiante con i vecchi costumi indigeni, che sfrecciavano da ogni parte a due, a tre o in gruppo. E anche le due bande erano giin giro. Nel pomeriggio Charmian e io partecipammo nel palco della giuria alla premiazione di queste amazzoni per i loro costumi e l'abilitnel cavalcare. Attorno a noi c'erano centinaia di lebbrosi, con ghirlande di fiori in testa, intorno al collo e sulle spalle, che guardavano e si divertivano un mondo. E ovunque, sui pendii delle colline e nelle ampie distese erbose, apparivano e scomparivano gruppi di uomini e donne, vestiti a colori vivaci, su cavalli al galoppo, cavalli e cavalieri adorni e inghirlandati di fiori, che cantavano, ridevano e filavano come il vento. Mentre mi trovavo sul palco della giuria e contemplavo tutto ci mi tornalla memoria il Lazzaretto di Avana, dove una volta avevo visto circa duecento lebbrosi rinchiusi entro quattro strette mura finchnon morivano. No, ci sono in tutto il mondo alcune migliaia di posti che io conosco bene, e ai quali preferirei Molokai quale mia residenza fissa. La sera ci recammo in una delle sale di riunione dei lebbrosi, dove, con la partecipazione di un folto pubblico, ci fu un concorso a premi tra le varie societcorali, e la serata termincon un ballo. Ho visto gli hawaiani che vivono nei bassifondi di Honolulu; e avendoli visti, posso capire facilmente perchi lebbrosi, ricondotti dalla Colonia in cittper subirvi un nuovo esame, gridano tutti dal primo all'ultimo: - Vogliamo tornare a Molokai!

Una cosa sicura. Nella Colonia il lebbroso vive in condizioni molto migliori di quello che se ne sta nascosto fuori, ridotto a un paria solitario, vivendo nella continua paura di essere scoperto e marcendo lentamente ma sicuramente. L'azione della lebbra non costante; essa si impadronisce della sua vittima, compie le sue devastazioni e poi rimane latente per un periodo indeterminato. Pudarsi che non provochi altre devastazioni per cinque o dieci, o anche quarant'anni, durante i quali il paziente godrdi una buona salute ininterrotta, perraro che queste prime distruzioni cessino da sole; di solito necessario un abile medico, e questi non puessere chiamato dal lebbroso che vive nascosto. Per esempio, la prima distruzione potrebbe assumere la forma di un'ulcera perforante nella pianta del piede.

Quando l'osso intaccato, ne consegue la necrosi. Se il lebbroso vive nascosto, non puessere operato, la necrosi continuerla sua opera di distruzione dell'osso della gamba, e in poco tempo, tra orribili sofferenze, quel lebbroso morirdi cancrena o di qualche altra tremenda complicazione. Se invece lo stesso lebbroso si trovera Molokai, il chirurgo gli opereril piede, estirpando l'ulcera e ripulendo l'osso, e arrestercompletamente la particolare distruzione causata dalla malattia. Un mese dopo l'operazione il lebbroso potrandare a cavallo, prendere parte a corse podistiche, nuotare fra i frangenti, o scalare i fianchi scoscesi delle vallate alla ricerca di mele di montagna. E, come dicemmo prima, la malattia, diventata latente, potrnon attaccarlo piper cinque, dieci o anche quarant'anni.

Gli orrori che si raccontavano in passato a proposito della lebbra risalgono alle condizioni esistenti prima della chirurgia antisettica, e prima che dottori come il dottor Goodhue e il dottor Hollman andassero a vivere nella Colonia. Il dottor Goodhue il miglior chirurgo di nuovo stampo che esista l e non si potrmai lodarlo abbastanza per l'opera cosnobile che compie. Passai una mattinata con lui nella sala operatoria, e delle tre operazioni da lui eseguite, due lo furono su uomini appena arrivati con me sul mio piroscafo. In tutti e due i casi la malattia aveva attaccato un punto solo: uno aveva un'ulcera perforante alla caviglia, in uno stadio piuttosto avanzato, e l'altro soffriva dello stesso male, ma sotto il braccio.

Nei due casi la malattia aveva fatto molti progressi, perchsi trattava di gente vissuta fuori, senza poter essere curata; il dottor Goodhue riuscad arrestare la distruzione dei tessuti in modo completo e immediato, e quattro settimane dopo quei due uomini si saranno trovati in condizioni di buona salute ed efficienza, come erano stati sempre nella loro vita. La sola differenza tra loro e voi o me sarche nei loro corpi la malattia rimarrlatente, e potrebbe in futuro provocare altre distruzioni.

La lebbra vecchia quanto la storia e accenni a essa si possono trovare nelle piantiche testimonianze. Eppure oggi non si conosce su di essa pidi quanto si conosceva allora. Ossia allora si sapeva questo: che era contagiosa, e quindi chi ne era affetto doveva essere segregato. La differenza tra allora e ora che oggi il lebbroso segregato piseveramente e trattato piumanamente, ma la lebbra in srimane lo stesso spaventoso e profondo mistero. La lettura dei rapporti di dottori e specialisti di tutti i paesi rivela la natura sconcertante del male. Questi specialisti della lebbra non concordano su nessuna fase della malattia. Non la capiscono. In passato si accontentavano di generalizzare in modo irriflessivo o dogmatico; ora invece non generalizzano pi Il solo concetto generale che si possa ricavare da tutte le ricerche fatte che la lebbra "debolmente contagiosa"; ma in che modo essa lo sia, si ignora. Il bacillo della lebbra stato isolato, si pudeterminare mediante esami batteriologici se un individuo lebbroso o no, ma si sempre allo stesso punto per quanto riguarda il modo in cui quel bacillo penetra nel corpo di un non lebbroso. Non si sa quanto tempo dura l'inoculazione. Si cercato di inoculare la lebbra in ogni sorta di animali, senza riuscire a nulla.

E' stata vana la ricerca di un siero con cui combattere il male, e nonostante infiniti studi non si trovato nessun indizio, nessuna cura. Si avuto ora qua ora lun divampare di speranze, di teorie sulle cause e di cure proclamate con grande sfoggio di pubblicit ma ogni volta l'ombra dell'insuccesso ha spento la fiamma. Un dottore insiste che la causa della lebbra una dieta prolungata a base di pesce e prova diffusamente la sua teoria, finchun altro dottore dell'altopiano dell'India manda a chiedere come mai allora gli abitanti di quella zona sono affetti da lebbra, mentre nessi ntutte le generazioni che li hanno preceduti hanno mai mangiato pesce.

Un altro ancora tratta un lebbroso con un certo tipo di olio o di medicina, annuncia una cura, e cinque, dieci, quarant'anni dopo, la malattia si manifesta nuovamente. Si deve a questa caratteristica della malattia di rimanere latente nel corpo per periodi indeterminati l'abbondanza delle sedicenti cure. Ma questo solo certo: FINORA NON SI E' AVUTO NESSUN CASO PROVATO DI GUARIGIONE.

La lebbra "debolmente contagiosa", sta bene: ma come lo Un medico austriaco ha inoculato la lebbra in se stesso e nei suoi assistenti, e non riuscito a infettarsi. Pure la prova non decisiva, poichc'sempre il famoso caso di quell'assassino hawaiano, la cui condanna a morte fu commutata in reclusione a vita, dopo che egli accettdi essere inoculato con il bacillo della lebbra. Poco dopo l'inoculazione la lebbra si manifeste l'uomo morlebbroso a Molokai. E neppure questa prova decisiva, perchsi scoprche quando egli era stato inoculato, parecchi membri della sua famiglia erano gia Molokai, colpiti da]la stessa malattia, quindi egli avrebbe potuto avere contratto il male da loro, ed essere stato inoculato ufficialmente proprio durante il misterioso periodo di incubazione. E c'ancora il caso di quell'eroe della Chiesa, Padre Damiano, che venne a Molokai sano e vi morlebbroso; sono state elaborate molte teorie sul come egli contrasse la lebbra, ma nessuno lo sa con precisione e lui stesso non lo sapeva. D'altra parte ciche egli rischiallora, rischiato attualmente da una donna che vive nella Colonia, c'vissuta per molti anni, sposandosi con cinque mariti lebbrosi, ha concepito dei figli da loro, e oggi ancora immune dalla malattia come lo sempre stata.

Finora nessuna luce stata fatta sul mistero della lebbra. Quando se ne saprdi pi ci si potraspettare un rimedio. Non appena verrscoperto un siero efficace, la lebbra, dato che cosdebolmente contagiosa, dopo una battaglia breve ed energica scomparirrapidamente dalla terra. Ma nel frattempo, come scoprire quel siero o qualche altra arma impensata? Ai giorni nostri il problema serio. Si calcola che ci sia mezzo milione di lebbrosi, non segregati, nella sola India. Biblioteche Carnegie, UniversitRockefeller e altre simili iniziative umanitarie sono una gran bella cosa, ma non si pufare a meno di pensare quanto sarebbero efficaci poche migliaia di dollari, ad esempio, per la Colonia lebbrosa di Molokai. Quelli che vi risiedono sono vittime del destino, capri espiatori di una misteriosa legge naturale ignorata dall'uomo, isolati per il bene dei loro simili, che potrebbero altrimenti prendersi la terribile malattia proprio come essi se la sono presa, nessuno sa come.

Non solo per il bene loro, ma per quello delle generazioni future, poche migliaia di dollari aiuterebbero una ricerca fondata e scientifica di una cura della lebbra, di un siero, o di qualche scoperta finora impensata, che permetteral mondo medico di sterminare il "bacillus leprae".

Ecco dove profondere il vostro denaro, o filantropi.




CAPITOLO 8


LA CASA DEL SOLE

Ci sono migliaia di persone che viaggiano come spiriti irrequieti per tutto il mondo alla ricerca di paesaggi di terra e di mare e di prodigi e bellezze della natura - che a falangi percorrono l'Europa, e si possono incontrare a sciami e mandrie nella Florida e nelle Indie Occidentali, vicino alle piramidi e sui declivi o sulle sommitdelle Montagne Rocciose del Canade dell'America. Ma nella Casa del Sole, esse sono altrettanto rare di vivi e guizzanti dinosauri.

Haleakala una parola hawaiana che significa "Casa del Sole", ed veramente un nobile edificio, questo, situato nell'isola di Maui; ma cospochi turisti vi hanno posato lo sguardo, e meno ancora ci sono entrati, che il loro numero puaddirittura essere ridotto a zero.

Eppure oso dire che, per bellezze e meraviglie naturali, chi ama la natura potrvedere altre cose grandiose quanto Haleakala, ma nessuna pigrandiosa, mentre non vedrmai in nessun posto qualcosa di pibello o meraviglioso.

Honolulu a sei giorni di navigazione a vapore da San Francisco, Maui alla distanza di una notte di piroscafo da Honolulu, e altre sei ore, se il viaggiatore ha fretta, possono portarlo a Kolikoli, che si eleva a diecimilatrentadue piedi sopra il livello del mare e proprio accanto al portale d'ingresso della Casa del Sole. Eppure il turista non ci viene, e Haleakala continua a sonnecchiare nella sua grandiositsolitaria e ignorata.

Non essendo dei turisti, noi, gente dello "Snark", ci recammo a Haleakala. Sulle balze di quella colossale montagna c'una fattoria per l'allevamento del bestiame di circa cinquantamila acri dove passammo la notte a un'altitudine di duemila piedi. La mattina dopo si ricorse agli stivali e alle selle, e in compagnia di cow-boys e di cavalli da soma ci arrampicammo sino a Ukulele, un casolare di montagna, che per la sua altitudine di cinquemilacinquecento piedi, ha un clima moderatamente rigido, tale da richiedere delle coperte la notte e un fuoco scoppiettante nella stanza di riunione. Sia detto incidentalmente, Ukulele una parola hawaiana che significa "pulce che salta", ma corrisponde pure a uno strumento musicale che potrebbe essere paragonato a una chitarra primitiva. Secondo me, quel casolare stato chiamato cospensando allo strumento musicale. Non avevamo fretta; cospassammo la giornata a Ukulele, discutendo dottamente di altitudini e di barometri, e scuotendo il nostro barometro personale tutte le volte che l'asserzione di qualcuno richiedeva una dimostrazione. Il nostro barometro lo strumento pigentile e compiacente che io abbia mai visto. Inoltre raccogliemmo delle fragole di montagna, grosse come uova di gallina, e anche pi alzammo gli occhi sui pendii lavici ricoperti di pascoli fino alla vetta dell'Haleakala, a circa quattromilacinquecento piedi al di sopra di noi, e li abbassammo su una violenta zuffa tra nuvole, che si svolgeva sotto di noi mentre noi eravamo in pieno Sole radioso.

Ogni giorno dell'anno questa battaglia interminabile continua. Ukiukiu il nome dell'aliseo che scende infuriando da nord-est e si scaglia su Haleakala. Ora Haleakala tanto massiccio e alto che devia l'aliseo di nord-est e da un lato e dall'altro, siccha ridosso di Haleakala non soffia pinessun aliseo, ma anzi il vento soffia nella direzione opposta, in faccia all'aliseo di nord-est, ed chiamato Naulu. Giorno e notte, senza requie, Ukiukiu e Naulu si azzuffano, avanzando, ritraendosi, compiendo un movimento aggirante, curvandosi, arricciandosi, voltandosi e attorcendosi, in un conflitto reso visibile da masse di nubi strappate dai cieli e scaraventate avanti e indietro in squadroni, battaglioni, armate e grandi cumuli simili a montagne. Di tanto in tanto Ukiukiu, con raffiche possenti, getta masse immense di nuvole proprio sulla vetta di Haleakala, dopo di che Naulu abilmente le cattura, le riordina in nuove formazioni da battaglia e con esse colpisce di rimando il suo antico ed eterno antagonista. Allora Ukiukiu invia un grosso esercito di nubi sul lato di levante della montagna, in un movimento aggirante bene eseguito. Ma Naulu, dalla sua tana di sottovento, costringe le forze attaccanti a concentrarsi, spingendole e avvolgendole e trascinandole, martellandole cosda modellarle, e le rinvia all'attacco contro Ukiukiu sul lato a ponente della montagna. E nel frattempo, sopra e sotto il vasto campo di battaglia, su per i pendii digradanti sino al mare, continuamente Ukiukiu e Naulu mandano fuori piccoli bioccoli di nuvole, in ordine sparso, che avanzano lentamente strisciando sul terreno, insinuandosi fra gli alberi e su per le valli, si attaccano di sorpresa e si catturano in subitanee imboscate e sortite. Talvolta Ukiukiu o Naulu, mandando inaspettatamente all'attacco una colonna pesante, fa prigionieri quei deboli combattenti isolati o li sospinge verso il cielo, girandoli e rigirandoli a piriprese, in vortici verticali, su per migliaia di piedi nell'aria.

Ma sulle pendici occidentali di Haleakala che si svolge la battag]ia principale; qui Naulu concentra le sue formazioni pipesanti e ottiene le sue maggiori vittorie. Nel tardo pomeriggio Ukiukiu si indebolisce, com'uso di tutti gli alisei, ed respinto indietro da Naulu, la cui strategia eccellente. Per tutta la giornata questi ha raccolto e ammucchiato immense riserve, e man mano che il pomeriggio avanza, le fonde insieme in una salda colonna a forma appuntita, di una lunghezza di miglia e larga un miglio, e profonda un centinaio di piedi. Questa colonna, la fa penetrare lentamente entro l'ampio campo di battaglia di Ukiukiu, e in modo lento, ma sicuro Ukiukiu, che rapidamente perde le forze, viene frantumato. Ma non sempre ciavviene senza perdite. Qualche volta Ukiukiu si oppone selvaggiamente, e con nuovi rinforzi provenienti dallo sconfinato nord-est fa a pezzi persino mezzo miglio alla volta della colonna di Naulu, e la spazza via, in direzione del Maui occidentale. Ora invece, quando le due armate attaccanti s'incontrano alle estremit ne risulta un terribile vortice verticale, cosche i grossi nembi, avvinti l'uno all'altro, si innalzano per migliaia di piedi nell'aria, continuando a roteare.

Uno stratagemma favorito di Ukiukiu consiste nel mandare fuori una formazione bassa, tozza, fitta fitta, che avanza lungo il terreno e sotto Naulu. Quando Ukiukiu si trova proprio al di sotto del nemico, comincia a inarcarsi, la possente parte mediana di Naulu cede al colpo e si incurva all'ins ma di solito esso riesce a respingere la colonna attaccante su se stessa, dando inizio a un processo di schiacciamento. E in tutto questo tempo i piccoli combattenti isolati, dispersi e frazionati, s'infiltrano fra le piante e nelle valli, strisciando sopra e dentro l'erba, si sorprendono a vicenda con balzi e corse inaspettate; mentre al disopra, parecchio al di sopra, sereno e solitario nei raggi del sole al tramonto, Haleakala guarda gisulla lotta. Poi, cala la notte. Ma al mattino, secondo il costume degli alisei, Ukiukiu riacquista forza e respinge le falangi di Naulu che ripiegano in una ritirata disordinata. E un giorno simile all'altro nella battaglia delle nuvole, eternamente combattuta da Ukiukiu e Naulu sulle pendici di Haleakala.

La mattina seguente stivali e selle furono nuovamente rimessi in funzione, cospure cow-boys e cavalli da soma, ed ebbe inizio la scalata alla vetta. Ogni cavallo portava venti galloni d'acqua, appesi da ambo i lati in sacche da venti galloni, perchl'acqua preziosa e rara persino nel cratere, anche se parecchie miglia a nord e a est dell'orlo del cratere la pioggia cade in misura maggiore che in qualsiasi altra parte del mondo. Il cammino saliva attraverso innumerevoli colate di lava, senza preoccuparsi di piste, e non ho mai visto dei cavalli che avessero un passo cossicuro come quello dei tredici che costituivano il nostro equipaggiamento, e che si arrampicavano o scendevano lungo chine ripidissime con la sicurezza e l'indifferenza di capre di montagna, senza che mai un cavallo cadesse o facesse uno scarto.

C'una strana illusione ben nota a tutti quelli che scalano montagne isolate. Quanto pisi sale, tanto pivasta la superficie terrestre che diventa visibile, e in conseguenza di cil'orizzonte sembra pialto rispetto all'osservatore. Questa illusione particolarmente sentita a Haleakala, poichil vecchio vulcano si eleva direttamente sul mare, senza contrafforti o catene scaglionate; e cos per quanto noi ascendessimo rapidamente il difficile pendio di Haleakala, ancora pirapidamente e Haleakala e noi stessi e tutto intorno a noi affondava nel centro di quello che sembrava un abisso profondo. Da ogni lato, molto al di sopra di noi, l'orizzonte dominava. L'oceano declinava dall'orizzonte fino a noi. Quanto pisalivamo, tanto piprofondamente ci sembrava di affondare, tanto pilontano sopra di noi risplendeva l'orizzonte, e tanto piaccentuata era la pendenza fino a quella linea orizzontale dove cielo e mare si incontravano. Era una sensazione magica e irreale, e nella nostra mente aleggiarono vaghi ricordi del Buco di Simms e del vulcano attraverso il quale Giulio Verne giunse sino al centro della terra.

E poi, quando giungemmo finalmente alla sommitdi quella colossale montagna, la cui vetta era come il vertice di un cono rovesciato situato nel centro di un impressionante abisso cosmico, trovammo che non eravamo nin cima nin fondo. Molto al di sopra di noi c'era l'orizzonte torreggiante sul cielo, e molto al di sotto di noi, dove avrebbe dovuto essere la vetta della montagna, c'era un abisso piprofondo, il grande cratere, la "Casa del Sole". Per ventitre miglia tutt'attorno si stendevano le vertiginose pareti del cratere. Ci trovavamo sull'orlo della parete occidentale quasi verticale, e il fondo del cratere era a circa mezzo miglio piin gi solcato da colate di lava e da coni di cenere, ma altrettanto rosso, recente e intatto da erosioni, come se il fuoco si fosse spento solo il giorno prima. I coni di cenere, i pipiccoli alti oltre quattrocento piedi e i pigrandi oltre novecento, apparivano dei disprezzabili monticelli di sabbia, tale era la grandiositdella cornice. Due fenditure, profonde migliaia di piedi, interrompevano l'orlo del cratere, e attraverso ad esse Ukiukiu si sforzava vanamente di far penetrare le sue orde fioccose di nuvole spinte dall'aliseo. Man mano che esse si avanzavano attraverso le fenditure, il calore del cratere le dissolveva nell'aria chiara, e per quanto avanzassero sempre, non arrivavano mai in nessun luogo.

Era una vasta scena di lugubre desolazione, priva di vegetazione, severa, respingente, affascinante. Abbassavamo gli occhi su un terreno sconvolto dal fuoco e dal terremoto e l'intima struttura della terra si manifestava in tutta la sua nudit era come se ci apparisse un'officina della natura, ancora ingombra del primo materiale grezzo servito alla costruzione dell'universo. Qua e lgrandi dighe di rocce primordiali si erano elevate erompendo dalle viscere della terra, aprendosi a forza il passaggio attraverso la fusa ebollizione superficiale, che evidentemente da ben poco tempo si era raffreddata.

Tutto quanto era irreale e incredibile. Guardando all'ins molto al di sopra di noi (in realt al di sotto di noi) si svolgeva nell'aria la battaglia di nuvole tra Ukiukiu e Naulu. E ancora pial di sopra del pend髺 di quello che sembrava un abisso, sopra la battaglia di nuvole, nell'aria e nel cielo, stavano appese le isole di Lanai e Molokai. Al di ldel cratere, a sud-est, sempre nell'illusione di guardare verso l'alto, vedevamo elevarsi prima il mare color turchese, poi la bianca linea dei frangenti sulla costa di Hawaii, sopra ancora la fascia di nuvole portate dall'aliseo e infine, a una distanza di ottanta miglia, stagliarsi con la loro massa stupenda sul cielo azzurro, coronate di neve e inghirlandate di nuvole, tremule come un miraggio, le vette di Mauna Kea e di Manaloa, appese in bell'equilibrio alla parete del cielo.

Si narra che molto, molto tempo fa un Maui, figlio di Hina, vivesse nella localitora detta il Maui occidentale. Sua madre Hina passava tutto il tempo a fare delle "kapas", e doveva farle di notte, perchdi giorno cercava di farle asciugare. Ogni mattina e per tutta la mattinata si affaccendava a stenderle al Sole, ma non appena aveva finito di metterle fuori, incominciava a rientrarle per poterle avere tutte quante al riparo prima di notte. E dovete sapere che i giorni allora erano pibrevi di adesso. Maui osservava la vana fatica di sua madre e ne soffriva; decise percidi fare qualcosa - oh, non di aiutarla ad appendere fuori le "kapas" e a rientrarle, no, era troppo intelligente per questo. La sua idea era di fare andare il Sole piadagio. Forse egli fu il primo astronomo hawaiano; di certo prese una serie di osservazioni del Sole da vari punti dell'isola, giungendo alla conclusione che il corso del Sole passava proprio per Haleakala.

A differenza di Giosu non ebbe bisogno di aiuti divini: raccolse una grande quantitdi noci di cocco, con la loro fibra intessuna solida corda, facendoci un nodo scorsoio a un'estremit proprio come fanno anche oggi i cow-boys di Haleakala, poi si arrampicsino alla Casa del Sole, e rimase in attesa. Quando il Sole sopraggiunse frettoloso, deciso a portare a termine il suo viaggio nel pibreve tempo possibile, il bravo giovane gettil suo lazo attorno a uno dei pigrossi e forti raggi del Sole, costrinse cosil Sole a rallentare un pochino, poi spezzil raggio stesso, strappandolo via; e continua prendere raggi al lazo e a strapparli, finchil Sole non si disse pronto a venire a patti. Maui espose le sue condizioni di pace che il Sole accett convenendo di andare pilentamente da allora in poi. E cosHina ebbe tempo in abbondanza per asciugare le sue "kapas", e i giorni sono pilunghi di quanto non solevano essere, ciche del resto si accorda perfettamente con i dettami della moderna astronomia.

Facemmo colazione con carne di bue seccata al Sole e "poi" duro, in un recinto di pietre usato nei tempi passati per racchiuderci la notte il bestiame che doveva attraversare l'isola; poi costeggiammo l'orlo del vulcano per mezzo miglio e iniziammo la discesa nel cratere. Il fondo era a duemilacinquecento piedi pisotto, e ci scendemmo lungo un ripido declivio di molle cenere vulcanica, sulla quale i cavalli dal piede sicuro continuamente scivolavano senza cadere. L'oscura superficie della cenere, rotta dagli zoccoli dei cavalli, si cambiava in polvere di un giallo ocra, velenosa all'apparenza e acida al gusto, che si sollevava a folate. Si potandare al galoppo per un tratto piano fino all'inizio di un provvidenziale canalone, poi la discesa proseguin mezzo al turbin髺 di cenere vulcanica, serpeggiando fra coni di cenere, di un colore rosso mattone, vecchio rosa e nero purpureo. Al di sopra di noi, sempre pialte, si drizzavano le pareti del cratere, mentre continuavamo il nostro itinerario fra innumerevoli colate di lava, aprendoci tortuosamente il cammino tra i flutti adamantini di un mare pietrificato. Onde di lava frastagliata tormentavano la superficie di questo magico oceano, mentre da ogni lato si elevavano creste dentate e a spirale di forme fantastiche, e la traccia che seguivamo ci porta costeggiare per sette miglia un abisso senza fondo, e a passare lungo e sopra la colata principale di lava pirecente.

All'estremitpibassa del cratere c'era il punto dove avremmo fatto sosta, in un boschetto di piante olapa e kolea, ficcato in un angolo del cratere alla base di pareti che si elevavano verticalmente per millecinquecento piedi. Ltrovammo anche il pascolo per le bestie, ma non l'acqua, e la nostra prima cura fu di deviare da un lato, aprendoci per un miglio la strada attraverso la lava fino a un punto dove si sapeva che ci sarebbe stata una fonte in una fessura della parete del cratere.

Ma la fonte era asciutta. Per arrampicandoci per cinquanta piedi sopra la fessura, trovammo una pozza che conteneva una mezza dozzina di barili di acqua; ci procurammo un secchio, e presto un fiotto continuo del prezioso liquido prese a scorrere giper la roccia, riempiendo il bacino inferiore, mentre i cow-boys avevano il loro da fare a tenere indietro i cavalli, dato che per lo spazio ristretto uno solo alla volta poteva bere. Venne poi il momento di preparare il campo ai piedi della parete, sulla quale mandrie di capre selvatiche si arrampicavano belando; e la tenda fu rizzata al suono di fucilate.

Di nuovo bue seccato al Sole, "poi" duro e capretto arrostito formarono il nostro pasto. Sull'orlo del cratere, proprio sopra le nostre teste, un mare di nuvole spinte da Ukiukiu si accavallava, e per quanto passasse ininterrottamente non riusciva mai a cancellare e oscurare del tutto la Luna, chil calore del cratere dissolveva le nuvole, non appena comparivano. Nel chiarore lunare, attratti dai fuochi dell'accampamento, gli animali che vivevano nel cratere venivano a guardarci, quasi sfidandoci, e ci sembrarono grassi, pur bevendo raramente acqua, sostituita dalla rugiada mattutina sull'erba.

Fu a causa di questa rugiada che la tenda diventuna camera da letto assai gradita; e ci addormentammo al suono delle "hulas" cantate dagli instancabili cow-boys hawaiani, nelle cui vene, senza dubbio, scorre il sangue di Maui, il loro prode progenitore.

La macchina fotografica non riesce a rendere bene la Casa del Sole. La chimica sublimata della fotografia non pumentire, ma certamente non dice tutta la verit Il Koolau Gap riprodotto fedelmente, proprio come si impresse sulla retina della macchina fotografica, eppure nella positiva che ne risulta mancano le dimensioni gigantesche dell'insieme. Quelle pareti che sembrano alte parecchie centinaia di piedi lo sono in realtparecchie migliaia: quel cuneo avanzante di nubi largo un miglio e mezzo nella fenditura, mentre al di ldi essa addirittura un vero oceano, e quel primo piano di coni di cenere e di cenere vulcanica, che appaiono flosci e incolori, sono in realtdi tinte sgargianti, rosso mattone, terracotta, rosa, giallo ocra e rosso scuro. Allo stesso modo anche le parole sembrano vane e disperanti. Dire che la parete di un cratere alta duemila piedi dire solo che essa precisamente alta duemila piedi, ma quella parete del cratere rappresenta molto di piche una semplice cifra statistica. Il Sole distante novantatre milioni di miglia, ma a noi mortali sembra molto pilontano il paese confinante con il nostro.

Questa facilitdi errori di giudizio dell'intelletto umano, se ingiusta nei riguardi del Sole, lo anche per la Casa del Sole.

Haleakala ha un messaggio di meravigliosa bellezza da trasmettere all'umanit ed esso non puessere trasmesso per procura. Kolikoli a sei ore da Kahului, Kahului a una notte di navigazione da Honolulu, Honolulu a sei giorni da San Francisco. Non c'bisogno di aggiungere altro.

Scalammo le pareti del cratere, superando con i cavalli passi difficilissimi, facendo rotolare pietre e ammazzando capre selvatiche.

Io non ne colpii nemmeno una: ero troppo occupato a far rotolare pietre. Ricordo specialmente un punto, in cui mettemmo in moto una pietra delle dimensioni di un cavallo; inizila discesa abbastanza facilmente, capovolgendosi, zigzagando incerta e minacciando di fermarsi, ma in pochi minuti volava per l'aria facendo dei salti di duecento piedi. Rapidamente si fece pipiccola, finchandad urtare un insignificante monticello di sabbia vulcanica, da cui sfreccivia come un coniglio impaurito, sollevando dietro di suna minuscola scia di polvere gialla. Pietra e polvere diminuirono di dimensioni, finchqualcuno del gruppo disse che la pietra si era fermata: e lo disse solo perchnon la poteva pivedere. Era sparita in lontananza, ldove non giungevano i nostri sguardi. Altri la videro che continuava a rotolare, come la vidi io, ed mia ferma convinzione che quella pietra stia tuttora rotolando.

L'ultimo nostro giorno sul cratere, Ukiukiu ci offrun assaggio della sua forza. AnnientNaulu ricacciandolo su tutta la linea, colmla Casa del Sole di nuvole fino a straboccarne, e ci sommerse completamente. Ci serviva da pluviometro una ciotola da mezzo litro messa sotto un buchetto della tenda. Quell'ultima notte di bufera e pioggia colmla ciotola e non ci fu modo di misurare l'acqua che si riverssopra le nostre coperte. Con un pluviometro fuori combattimento non c'era pinessuna ragione di rimanere: coslevammo le tende nell'alba umida e grigia, e ci avviammo in direzione est attraverso la lava fino al Kaupo Gap (o Passo di Kaupo). Il Maui orientale non npinmeno che l'ampia corrente di lava che in un remoto passato fluda un capo all'altro del Kaupo Gap; seguendo questa corrente scendemmo da un'altezza di seimilacinquecento piedi fino al mare.

In fondo non si trattche di una giornata di fatica per i cavalli: ma non vidi mai cavalli come quelli che, sicuri nei punti pericolosi, non si davano mai alla fuga, non perdevano mai la testa, e appena trovavano una pista abbastanza ampia e liscia per poter correre, correvano. Non c'era modo di fermarli finchla pista non ridiventava cattiva, e allora si fermavano da soli. Continuamente, per giorni interi, avevano fatto un lavoro dei piduri cibandosi quasi sempre di erba pascolata la notte, mentre noi dormivamo; eppure quel giorno percorsero ben ventotto miglia, e di quelle che spezzano le gambe, e galopparono fino a Hana come tanti puledri. E oltre a tutto ce ne erano alcuni, allevati nella regione arida sul lato sottovento di Haleakala, che in tutta la loro esistenza non erano stati mai ferrati.

Un giorno dopo l'altro, e dal mattino alla sera, senza essere ferrati, camminarono sulla lava pungente, con il peso supplementare di un uomo sul dorso, e i loro zoccoli erano alla fine in condizioni migliori di quelli dei cavalli ferrati.

Nella zona tra Vieiras's (dove il Kaupo Gap termina a mare) e Hanai vale la pena di rimanere una settimana o un mese, mentre ci sostammo solo mezza giornata; ma pur nella sua selvaggia bellezza essa appare sbiadita e minuscola in confronto al paese di sogno che si stende al di ldelle piantagioni di gomma tra Hana e il Honomanu Gulch (gulch significa voragine, burrone). Ci vollero due giorni per percorrere questo tratto meraviglioso, situato sul lato sopravvento di Haleakala.

Quelli che ci abitano lo chiamano "ditch country", il paese del fosso, un nome antipatico, ma non ce n'un altro. All'infuori di essi, nessuno ci si reca mai, nessuno ne sa qualcosa. Ad eccezione di pochi uomini, che vi sono stati portati da ragioni di lavoro, nessuno ha mai sentito parlare del "paese del fosso" di Maui. Ora un fosso un fosso, quasi sempre fangoso, e di solito posto in paesaggi non interessanti e monotoni. Ma il Nahiku Ditch non un fosso ordinario.

Il lato sopravvento di Haleakala solcato da mille gole ripide, giper le quali si precipitano altrettanti torrenti, e ognuno di essi dorigine a una ventina di cascate e salti d'acqua prima di giungere al mare. Qui cade la pioggia piabbondante che in qualsiasi altra regione del mondo. Nel 1904 la quantitdi pioggia caduta in un anno fu di quattrocentoventi pollici. L'acqua significa zucchero e lo zucchero la spina dorsale del territorio di Hawaii e tutto dipende dal Nahiku Ditch, che non poi un vero fosso, ma un susseguirsi di tunnel. L'acqua scorre sottoterra, comparendo solo a intervalli per balzare al di ldi una gola, gettandosi alta nell'aria al di sopra di un vertiginoso precipizio, e sprofondando entro e attraverso la montagna di fronte. Questo magnifico corso d'acqua chiamato un "fosso" e con altrettanta esattezza la barca di Cleopatra avrebbe potuto essere chiamata un carro merci.

Non esistono strade carrozzabili in questo paese, e prima che il fosso fosse costruito, o meglio, scavato, non c'era neppure una pista per cavalli. Centinaia di pollici di pioggia ogni anno, su suolo fertile sotto un Sole tropicale, vogliono dire una giungla di vegetazione sempre avvolta da vapori. Un uomo che ci si avventuri a piedi, potrebbe avanzare di un miglio al giorno, ma alla fine di una settimana sarebbe tanto esausto da tornarsene indietro ben in fretta per uscirne, prima che la vegetazione abbia ricoperto il passaggio che egli si aperto. O' Shaughness fu l'ardito ingegnere che assoggettla giungla e le gole, tracciil fossato e la pista per i cavalli; che costruin modo duraturo, in cemento e muratura, e progettuno dei pirinomati sistemi idraulici del mondo. Ogni minimo ruscelletto e sgocciol髺 raccolto e convogliato per mezzo di canali sotterranei al grande fosso, ma talvolta la pioggia cosabbondante che innumerevoli canaletti permettono al sovrappidi riversarsi nel mare.

La pista per cavalli non molto ampia, ma, come l'ingegnere che la costru assai ardita. Ldove il fosso sprofonda nella montagna, la pista dla scalata alla montagna: e dove invece il fosso scavalca una gola sopra un precipizio, essa si serve dello stesso fosso per arrivare al di ldella gola, passando sull'orlo del precipizio.

Questa pista pazzerellona non si preoccupa affatto di percorrere all'inso all'ingii fianchi di un precipizio: si scava il suo stretto solco nella parete, girando attorno alle cascate o passando sotto di esse, dove cadono rombando in un bianco turbinare, mentre sopra la parete si eleva verticale per centinaia di piedi e sotto sprofonda verticale per mille. E quei meravigliosi cavalli di montagna sono altrettanto pazzerelloni della pista. La percorrono a passo di danza, come una cosa naturale, anche se il suolo scivoloso per la pioggia, pronti, se glielo permettete, a mettersi al galoppo, con le gambe posteriori che slittano sull'orlo. Soltanto a gente che abbia sangue freddo e nervi saldi consiglio di tentare la pista del Nahiku Ditch. Uno dei nostri cow-boys era rinomato come il pibravo e il piforte del grande ranch di Haleakala; per tutta la vita aveva montato cavalli di montagna sulle aspre pendici occidentali di Haleakala. Era il migliore di tutti nel domare i cavalli, e quando gli altri si tiravano indietro, ci si aspettava come una cosa naturale che si facesse avanti lui ad affrontare un toro selvaggio nel recinto del bestiame. Aveva una reputazione, insomma. Ma non aveva mai fatto a cavallo il Nahiku Ditch, e fu lche la perse. Quando si trovdi fronte al primo canalone, che imbrigliava una gola da far rizzare i capelli, stretto, senza parapetti, con una cascata rombante al disopra, un'altra al di sotto e ancora pisotto una furiosa cateratta, l'aria piena di schiuma volteggiante, in cui risonavano il fracasso e l'impeto di tanto movimento, beh, quel cow-boy smontda cavallo, spiegbrevemente che aveva moglie e due bimbi, e attraversa piedi, conducendo il cavallo dietro a s

Unico sollievo ai canaloni erano i precipizi, e unico sollievo dopo i precipizi erano i canaloni, eccetto dove il fosso era ben affondato nella terra, nel qual caso facevamo passare al di lcavalli e relativi cavalieri uno alla volta, su primitivi ponti di tronchi d'albero che oscillavano e minacciavano di trascinarci via. Confesso che le prime volte superai a cavallo uno di questi punti con i piedi quasi fuori dalle staffe, e che sulle nude pareti verticali mi preoccupai, per un deciso e cosciente atto di volont che il piede esterno, il quale sporgeva sui mille piedi di vuoto, fosse del tutto fuori dalla staffa. Dico "le prime volte" perch come nel cratere avevamo perduto rapidamente la nostra concezione abituale di grandezza, sul Nahiku Ditch perdemmo rapidamente il nostro timore delle profondit Il susseguirsi incessante di altezze e profonditgeneruno stato di consapevolezza, in cui altezza e profonditerano accettate come condizioni abituali di esistenza; e guardare giverticalmente, dal dorso di un cavallo, per quattrocento o cinquecento piedi, diventuna cosa assolutamente comune, che non suscitava pifremiti. E con la stessa indifferenza della pista e dei cavalli salivamo e scendevamo le altezze vertiginose e passavamo a testa china attorno o sotto le cascate.

E quale cavalcata fu la nostra! Dappertutto c'erano cascate.

Cavalcavamo sopra le nuvole, sotto le nuvole e attraverso le nuvole! E di tanto in tanto il Sole raggiava penetrando come un proiettore nelle profonditche si spalancavano sotto di noi, o splendeva su qualche guglia dell'orlo del cratere, migliaia di piedi al di sopra. A ogni curva della pista una cascata o una dozzina di cascate, con salti di centinaia di piedi nell'aria, apparivano bruscamente nel nostro campo visivo. La nostra prima notte al campo, al Keanae Gulch, da un solo punto contammo trentadue cascate. La vegetazione cresceva esuberante in quella terra selvaggia. C'erano foreste di acacie e cola, e alberi a candela, e poi quegli alberi detti ohia-ai, che producono rosse mele di montagna, tenere, succose, squisite da mangiare. Banane selvatiche crescevano dappertutto, abbarbicandosi su per i fianchi delle gole, e, per il peso dei grossi grappoli di frutti maturi, ricadendo sulla pista e ostruendo il cammino. E sopra la foresta si gonfiava un mare di vita verde, rampicanti di mille variet di cui alcuni aleggiavano leggeri, in filamenti che rammentavano un merletto, penduli dai rami pialti, altri si arrotolavano e avvolgevano attorno agli alberi, come enormi serpenti, ed uno, l'ei-ei, simile a una palma rampicante, dotato di un grosso stelo, passava da ramo a ramo e da pianta a pianta, soffocando i sostegni su cui si arrampicava. Attraverso quel mare di verde, altissime felci gettavano le loro grandi foglie delicate e la lehua metteva in mostra i suoi fiori scarlatti. Al di sotto dei rampicanti, in profusione non minore, crescevano le piante dai caldi colori, dalle strane caratteristiche, che negli Stati Uniti si soliti vedere conservare nelle serre come esmplari preziosi. In realtil "paese del fosso" di Maui non altro che un'immensa serra.

Ogni varietconosciuta di felci vi cresce, e molte altre ancora poco familiari, dal delicato capelvenere al grosso e vorace corno di cervo, quest'ultimo il terrore dei boscaioli, perchs'intreccia in masse intricate profonde cinque o sei piedi, ricoprendo acri interi di terreno.

Mai si vide una simile cavalcata; durdue giorni, poi ci ritrovammo in una zona a basse ondulazioni, su una strada veramente carrozzabile, e tornammo al galoppo al ranch. Lo so, era crudele far galoppare i cavalli dopo un percorso coslungo, cosduro; ma ci coprimmo le mani di vesciche nel vano sforzo di trattenerli. Ecco il tipo di cavalli che sono allevati a Haleakala. Al ranch ebbe luogo una grande festa, in cui il bestiame venne radunato e marcato a fuoco, e alcuni cavalli furono domati. In alto Ukiukiu e Naulu lottavano gagliardamente, e pisu ancora, nella luce del Sole, torreggiava la possente vetta di Haleakala.




CAPITOLO 9


UNA TRAVERSATA DEL PACIFICO

Dalle Isole Sandwich (Hawaii) a Tahiti. "Questa traversata molto difficile, passando per la zona degli alisei. Sia i balenieri che tutti gli altri esprimono molti dubbi sulla possibilitdi raggiungere Tahiti partendo dalle isole Sandwich. Il capitano Bruce dice che una nave dovrebbe tenersi a nord finchnon trova un inizio di vento, prima di dirigere verso le sua destinazione. Nel far questa traversata nel novembre 1837 egli non trovnessun vento variabile vicino all'equatore, mentre dirigeva a sud, e non potmai guadagnare verso est su nessuno dei due bordi, nonostante tutti i suoi sforzi per riuscirci." Cosdicono le "Istruzioni per la navigazione" nell'Oceano Pacifico meridonale: e non dicono altro. Niente altro che possa aiutare lo stanco viaggiatore a compiere questa lunga traversata - nsi accenna affatto alla traversata dalle Hawaii alle Isole Marchesi, situate circa ottocento miglia a nord-est di Tahiti e altrettanto ben difficili da raggiungere.

La ragione di tale mancanza di informazioni secondo me, che nessun viaggiatore ritenuto capace di volersi logorare nel tentare una traversata cosimpossibile. Ma l'impossibile non dissuase lo "Snark" - soprattutto per il fatto che soltanto dopo essere partiti ci capitdi leggere quel particolare paragrafetto nelle "Istruzioni per la navigazione".

Facemmo vela da Hilo, nelle Hawaii, il 7 ottobre e arrivammo a Nukahiva nelle Isole Marchesi il 6 dicembre. La distanza era di duemila miglia a volo di uccello, mentre in realtne percorremmo almeno il doppio per coprirla, provando cosuna volta per sempre che la pibreve distanza fra due punti non sempre una linea retta. Se avessimo messo la prua direttamente sulle Isole Marchesi, avremmo potuto percorrere cinque o seimila miglia.

A una cosa eravamo decisi: a non attraversare l'Equatore a ovest di 130 gradi longitudine ovest. Perchin questo consisteva il problema.

Se gli alisei di sud-est soffiavano esattamente da sud-est, attraversando l'Equatore a ovest di quel punto ci saremmo trovati tanto a sottovento delle Marchesi, che bordeggiare per tutta quella rotta controvento sarebbe stata una cosa maledettamente impossibile.

Inoltre non dovevamo dimenticarci della corrente equatoriale, che si muove in direzione ovest a una velocitvariabile dalle dodici alle settantacinque miglia al giorno. Un bell'affare, di certo, trovarsi a sottovento della propria destinazione con una simile corrente contraria. No: non avremmo attraversato l'Equatore un minuto, un secondo a ovest di 130 gradi longitudine ovest. Ma poichci si poteva aspettare di trovare gli alisei di sud-est a cinque, sei gradi a nord dell'Equatore (ciche, se essi soffiavano proprio da sud-est o da sud-sud-est, avrebbe reso necessario che noi dirigessimo verso sud- sud-ovest), avremmo dovuto tenerci verso levante, a nord dell'Equatore e a nord degli alisei di sud-est, finchnon fossimo pervenuti almeno a 128 gradi longitudine ovest.

Ho dimenticato di accennare al fatto che, al solito, il motore a benzina da settanta cavalli non funzionava, e che avremmo dovuto fare affidamento soltanto sul vento. E neppure il motore della lancia funzionava. E giacchci sono, tanto vale che io confessi che il motorino da cinque cavalli che serviva all'illuminazione, ai ventilatori e alle pompe, era pure sulla lista dei malati. Mi perseguita, che io dorma o sia sveglio, un titolo impressionante per un libro. Mi piacerebbe scriverlo un giorno, quel libro, e intitolarlo "Intorno al mondo con tre motori a benzina e una moglie". Ma temo che non lo scriverper paura di urtare la suscettibilitdei giovanotti di San Francisco, Honolulu e Hilo, che impararono il loro mestiere a spese dei motori dello "Snark".

Sulla carta la cosa sembrava facile. Qui c'era Hilo e lil nostro obiettivo, a 128 gradi longitudine ovest. Se avessimo potuto essere sicuri dell'aliseo di nord-est, avremmo potuto far rotta diretta fra i due punti, e persino allascare un bel po' le nostre scotte. Ma uno dei guai pigrossi con gli alisei quello che nessuno sa mai precisamente dove li incontrere in quale direzione precisa soffieranno. Incontrammo l'aliseo di nord-est appena usciti dal porto di Hilo, ma era una misera brezza molto spostata verso est. Poi c'era la corrente equatoriale che si muoveva verso ovest, come un grande fiume. Per di piuna piccola imbarcazione, che debba navigare di bolina, e con mare grosso in prora, non riesce a guadagnare molto al vento, ballonzola su e gisenza fare progressi. Con tutte le vele piene e tesate al limite, ogni tanto immerge nell'acqua la murata sottovento, si dibatte, picchia gi solleva spruzzi d'acqua, e non succede altro. Quando comincia ad abbrivarsi, va a sbattere con un gran tonfo contro una muraglia d'acqua, e si ferma di nuovo. Cos per lo "Snark", la risultante della sua piccolezza, dell'aliseo che era spostato verso est, e della forte corrente equatoriale, fu una lunga deviazione verso sud. Oh, non che proprio andasse in direzione sud, ma il progresso verso est fu desolante. L'11 ottobre fece 40 miglia verso est, il 12 ottobre quindici, il 13 ottobre niente, il 14 ottobre trenta, il 15 ottobre ventitre, il 16 ottobre undici, e il 17 ottobre in realttornindietro verso ovest di quattro miglia. Cosin una settimana esso fece centoquindici miglia verso est, ciche equivale a sedici miglia al giorno. Ma tra la longitudine di Hilo e i 128 gradi longitudine ovest c'una differenza di ventisette gradi, o, approssimativamente, di mille e seicento miglia. A sedici miglia al giorno, ci sarebbero voluti cento giorni per ricoprire questa distanza, e anche in quel caso il nostro obiettivo, 128 gradi longitudine ovest, si trovava cinque gradi a nord dell'Equatore, mentre Nuka-hiva, nelle Isole Marchesi, era situata nove gradi a sud dell'Equatore e dodici gradi a ovest!

Non restava che una cosa sola da fare: cercare di procedere verso sud, fuori dalla zona dell'aliseo, ed entro quella dei venti variabili. E' vero che il capitano Bruce non aveva trovato tali venti nella sua traversata e che non aveva mai potuto "guadagnare verso est su nessuno dei due bordi". Ma quanto a noi, si trattava o di trovare questi venti o di non potere fare null'altro, e pregammo per avere pifortuna di lui.

I venti variabili corrispondono alla zona d'oceano che si trova tra gli alisei e la zona delle calme equatoriali, e si vuole che derivino dalle correnti d'aria riscaldata che si innalzano nella zona delle calme equatoriali, soffiano alte nell'aria in senso contrario agli alisei, e gradualmente si abbassano fino a increspare la superficie dell oceano, dove pucapitare di incontrarli. E si incontrano... dove si incontrano, incuneati come sono tra gli alisei e le calme equatoriali, che ambedue si spostano di zona di giorno in giorno, di mese in mese.

Trovammo i venti variabili a 11 gradi latitudine nord, e rimanemmo gelosamente abbracciati a questa latitudine. A sud c'era la zona delle calme equatoriali, a nord l'aliseo di nord-est, che non voleva saperne di soffiare da nord-est. I giorni venivano e passavano, e sempre trovavano lo "Snark" nelle vicinanze dell'undicesimo parallelo. I venti variabili erano veramente variabili. Un leggero vento contrario compariva, moriva, e ci lasciava a rollare in una calma piatta per quarantotto ore. Poi si levava un altro leggero vento contrario, soffiava per tre ore, e ci lasciava a rollare in un'altra calma piatta per altre quarantotto ore. Poi - evviva! - si metteva vento da ponente, un vento teso, deliziosamente teso, che mandava avanti lo "Snark", come se avesse le ali, con la scia che ribolliva, la sagola del solcometro dritta di poppa. Alla fine di una mezz'ora, mentre ci preparavamo a sistemare lo spinnaker, con poche folate affannose il vento moriva, e si continuava cos Scommettevamo da ottimisti su qualsiasi favorevole r嶨ola che durasse pidi cinque minuti; ma non serviva a nulla. Le r嶨ole si spegnevano lo stesso.

Pure c'erano delle eccezioni. Nella zona dei venti variabili, se solo avete la pazienza di aspettare, qualcosa deve pur succedere, e noi eravamo riforniti di cibo e acqua con tale abbondanza che potevamo permetterci il lusso di aspettare. Il 26 ottobre percorremmo effettivamente centotrmiglia verso est, e in seguito ne parlammo per giorni e giorni. Una volta fummo sorpresi da un vento fortissimo proveniente da sud, che si esaurin otto ore, ma ci aiuta percorrere ben settantuno miglia in direzione est, proprio in quelle sole ventiquattro ore. E poi, mentre quello si stava spegnendo, il vento si levdritto da nord (la direzione completamente opposta) e ci spinse avanti per un altro grado, sempre verso est.

Per anni e anni nessuna nave a vela ha mai tentato questa traversata; e ci trovammo nel mezzo di una delle pisolitarie fra le solitudini del Pacifico. Nei sessanta giorni in cui l'attraversammo, non avvistammo neanche una vela, non rilevammo nessun fumo di nave a vapore sull'orizzonte. Una nave in avaria potrebbe andare alla deriva in questa estensione deserta per decine di generazioni, senza che nessuno venisse a salvarla. La sola possibilitdi salvataggio potrebbe essere offerta da una barca come lo "Snark", e lo "Snark" capitlprincipalmente per il fatto che la traversata era stata iniziata prima che avessimo letto quel particolare paragrafetto nelle "Istruzioni per la navigazione". Stando in piedi in coperta, una linea retta tracciata dall'occhio all'orizzonte avrebbe misurato tre miglia e mezzo. Quindi il diametro del circolo di mare, di cui noi eravamo il centro, era di sette miglia. Poichnoi rimanevamo sempre al centro, e poichci muovevamo costantemente in una direzione qualsiasi, noi contemplammo molti di questi circoli, ma tutti apparivano eguali.

Nessuna isoletta fronzuta, nessun promontorio grigio, nmacchie facilmente distinguibili di bianche tende guastarono mai la simmetria di quella curva ininterrotta. Le nubi venivano e se ne andavano, sorgendo sull'orlo del cerchio, percorrendone tutto lo spazio e calando sfatte all'orlo opposto.

Il mondo svaniva, man mano che le settimane si susseguivano. Il mondo svanfinchcessdi esistere un mondo che non fosse il piccolo mondo dello "Snark", con il suo carico di sette anime, galleggiante su quella distesa di acque. I nostri ricordi del mondo, del grande mondo, si affievolirono in tanti sogni di esistenze precedenti, vissute in qualche posto prima che il nostro destino ci facesse rinascere sullo "Snark". Dopo essere rimasti senza legumi freschi per un po' di tempo, ne parlavamo proprio come avevo sentito mio padre menzionare le mele scomparse della sua infanzia. L'uomo un essere abitudinario, e noi a bordo dello "Snark" avevamo preso l'abitudine dello "Snark". Tutto quello che lo concerneva o che era a bordo di esso era una cosa naturale, e qualsiasi cosa differente sarebbe stata irritante e offensiva.

Nil mondo avrebbe potuto importunarci in alcun modo. La campana segnava le ore, ma nessun visitatore la suonava, non c'erano invitati ai pasti, ntelegrammi o insistenti chiamate telefoniche a invadere la nostra intimit Non avevamo nessun impegno da mantenere, nessun treno da prendere, e nessun giornale del mattino su cui sprecare il tempo per informarci su quanto stava succedendo agli altri millecinquecento milioni di esseri umani, nostri compagni.

Ma non era noioso. I problemi del nostro piccolo mondo dovevano essere regolati, e diversamente dal grande mondo, il nostro doveva essere governato nel suo viaggio attraverso lo spazio. Inoltre c'erano dei turbamenti cosmici da affrontare e sventare, i quali non affliggono la grande terra nel suo moto orbitale senza attriti attraverso il vuoto, dove non soffia nessun vento. E non sapevamo mai quello che sarebbe potuto accadere da un momento all'altro. C'era abbastanza sapore e variet ce n'era persino d'avanzo. Cosalle quattro del mattino io rilevo Hermann al timone:

- Est-nord-est - mi dla rotta. - E' fuori rotta di otto quarte, ma non governa.

Non c'da meravigliarsi. Non esiste la nave che possa essere governata in una calma cosassoluta.

- C'era una brezza poco fa, forse soffierdi nuovo - dice Hermann in tono di speranza, prima di avviarsi verso la sua cabina e la sua cuccetta.

La mezzanella serrata e ben rizzata. Nella notte, sia per il roll髺, sia per la mancanza di vento, essa aveva reso la vita troppo sgradevole perchle si potesse concedere di continuare a sfregare contro l'albero, scuotendo i paranchi, e di schiaffeggiare l'aria ferma con vani schiocchi intermittenti. Ma la maestra ancora spiegata, e trinchettina, fiocco e controfiocco scoppiettano e frustano le scotte a ogni rollata. Tutte le stelle sono in cielo.

Quasi a tentare la sorte, metto il timone proprio nella direzione opposta a quella in cui stato lasciato da Hermann, mi piego all'indietro e alzo gli occhi alle stelle. Non mi resta altro da fare.

Non c'niente da fare con una barca a vela che sta rollando in una calma completa.

Sento allora un soffio aleggiarmi sul viso, ma debole, cosdebole, che appena me ne accorgo giandato via. Perne viene un altro e un altro ancora, finchuna brezza veramente percettibile incomincia a soffiare. Come le vele dello "Snark" riescano a sentirla mi riesce incomprensibile, ma la sentono di certo, come la sente anche la barca, perchil quadrante della bussola comincia lentamente a ruotare nella chiesuola. In realt non sta affatto ruotando. E' trattenuto in un punto dal magnetismo terrestre, ed lo "Snark" che sta ruotando, facendo perno su quel delicato congegno di cartone che galleggia nella vaschetta piena di alcool.

Coslo "Snark" torna indietro sulla sua rotta. Il soffio aumenta sino a essere una leggera raffica, lo "Snark" ne sente l'effetto ed effettivamente sbanda un pochino. C'una fuga di nuvole sopra di noi, e m'accorgo che le stelle si stanno celando alla nostra vista.

Muraglie di oscuritmi racchiudono da ogni parte, cosicch sparita l'ultima stella, l'oscuritcosvicina da dare l'impressione di poter stendere la mano e toccarla da ogni lato. Quando mi chino verso di essa, la posso sentire a contatto del mio volto. Una raffica tien dietro all'altra, e sono contento che la mezzana sia serrata.

Accidenti, questa sche era robusta! Lo "Snark" sbanda tanto che il bordo sottovento va sott'acqua e tutto quanto l'Oceano Pacifico si riversa nella barca. Quattro o cinque di questi colpi di vento mi fanno desiderare che fiocco e controfiocco fossero serrati. Il mare si sta ingrossando, e le raffiche diventano pirobuste, frequenti, e l'aria pregna di umiditper gli spruzzi. Non serve a nulla cercare di guardare sopravvento; la muraglia di oscuritalla distanza del mio braccio, pure non posso fare a meno di cercare di vedere per misurare i colpi inferti allo "Snark". C'qualcosa di minaccioso e sinistro la sopravvento, e ho l'impressione che se continuera guardare con intensitcostante e per un tempo sufficiente, capirdi che si tratta.

Impressione vana. Tra due colpi di vento lascio il timone e corro a prua alla scala della saletta, dove accendo un fiammifero e consulto il barometro. Segna "29-90". Quel sensibile strumento si rifiuta di accorgersi dell'agitazione che sta rombando sommessamente con un suono gutturale e profondo nel sartiame. Ritorno al timone appena in tempo per trovarmi di fronte a un altro colpo di vento, il piforte sinora.

Beh, ad ogni modo il vento al traverso, e lo "Snark" sulla sua rotta, guadagnando in direzione est. Almeno questo va bene.

Il fiocco e il controfiocco mi preoccupano, e vorrei che fossero ammainati. La barca se la caverebbe pifacilmente e anche con minor rischio. Il vento ronfa, e gocce rade picchiettano come pallini da caccia. Dovrcertamente chiamare tutto l'equipaggio, cosdecido: e un istante dopo decido di aspettare ancora un po'. Pudarsi che questa sia la fine e li avrchiamati inutilmente. Meglio lasciarli dormire. Tengo lo "Snark" fermo al suo compito, e dall'oscurit a 90 gradi dalla rotta, scende un diluvio di pioggia accompagnato dall'urlo del vento. Poi tutto si cheta, eccetto l'oscurit e io mi rallegro di non avere chiamato gii altri.

Non appena il vento si cheta, il mare si rinforza. Ora le onde alte s'infrangono, e la barca sballottata come un sughero; poi i colpi di vento balzano fuori dall'oscuritpisecchi e frequenti di prima. Se solo sapessi cosa si nasconde la sopravvento nell'oscurit Lo "Snark" procede a fatica e il suo bordo di sottovento pispesso sott'acqua che fuori. Altri urli e sibili del vento. Ora, se mai, il momento di chiamare gli altri.

"Li chiamer, decido. Poi c'uno scroscio di pioggia, un abbonacciarsi del vento, e non chiamo nessuno. Ma ci si sente ben soli, lal timone, governando un piccolo mondo nell'oscuritda cui esce un url髺 lamentoso. Ed una vera responsabilitquella di essere completamente soli sulla coperta di un piccolo mondo con tempo cattivo, dovendo provvedere a tutto, anche per quelli che dormono.

Rifuggo da tanta responsabilit quando altri colpi di vento cominciano a sferzare e le onde lambiscono il paramare, inondando il pozzetto. L'acqua salata fa l'effetto di essere stranamente calda sul mio corpo, ed traversata da strie spettrali di luce fosforescente.

Certamente chiamertutti quanti a diminuire le vele. Perchdovrebbero dormire? Sono sciocco a farmi tanti scrupoli al riguardo.

Il mio intelletto si schiera contro il mio cuore, era il mio cuore che aveva detto: "Lasciamoli dormire". S ma era stato il cervello ad appoggiare il cuore, in quella decisione. Ora il mio cervello prenda una decisione contraria; e mentre sto chiedendomi quale particolare facoltabbia impartito quell'ordine al mio cervello, i colpi di vento smettono. La preoccupazione per le comoditmateriali non pusussistere in una vera esistenza da marinaio, saggiamente io giungo a questa conclusione; ma bisogna anche studiare l'effetto della prossima serie di colpi di vento, e aspettare a chiamare gli altri. Dopo tutto, E' il mio cervello, dietro ogni cosa, il cervello che procrastina, misura la propria esperienza della resistenza dello "Snark" ai colpi ricevuti, e aspetta a chiamare il resto dell'equipaggio quando verranno colpi ancora piduri.

Il giorno, grigio e violento, s'insinua furtivamente attraverso la coltre di nubi e mostra un mare spumeggiante, che si spiana sotto il peso di ripetute e forti raffiche. Poi viene la pioggia, che riempie i tempestosi avvallamenti del mare con schiuma lattea e spiana ancor pile onde, le quali aspettano solo un chetarsi del vento e della pioggia per balzar su piselvaggiamente che mai. La gente sale in coperta, a sonno finito, e sale anche Hermann, sul volto un ampio sorriso di soddisfazione per il vento che ho trovato.

Cedo il timone a Warren e mi avvio a scendere dabbasso, fermandomi un istante a recuperare il tubo del fornello della cucina che sta andandosene col mare. Ho i piedi nudi, e le loro dita hanno avuto un magnifico allenamento nell'arte di aggrapparsi; ma quando la murata s'immerge in un mare verde, di botto mi trovo seduto in coperta, dove l'acqua scorre da ogni parte. Hermann, bonaccione, coglie quel momento per criticare la mia scelta di un simile posto; ma alla prossima rollata anche lui si siede di botto, e senza premeditazione. Lo "Snark" beccheggia, la murata s'immerge nel verde, e Hermann e io, attaccati al prezioso tubo del fornello, andiamo a finire contro la battagliola sottovento. Dopo di che posso portare a termine il mio viaggio dabbasso, e mentre mi cambio, sorrido soddisfatto - lo "Snark" progredisce verso est.

No, no, non tutta una vita monotona. Quando, essendoci preoccupati per il percorso da fare verso est fino a 128 gradi longitudine ovest, lasciammo i venti variabili e dirigemmo verso sud, attraverso le calme equatoriali, dove trovammo tempo molto picalmo, ci fu spesso concessa la gioia, sfruttando ogni soffio d'aria, di fare una ventina di miglia in altrettante ore. Eppure anche in una giornata di quelle, ci capitava di passare attraverso una dozzina di groppi e di essere circondati da altre dozzine ancora. E ogni groppo doveva essere considerato una randellata capace di sfracellare lo "Snark". Talvolta eravamo colpiti dal centro e talvolta dagli orli di questi groppi, e non sapevamo mai bene dove o come saremmo stati colpiti. La bufera che si sollevava, ricoprendo a metil cielo, e balzava gisopra di noi, quasi sempre si divideva in due groppi che ci passavano accanto dai due lati senza recare danno; mentre il piccolo groppo dall'aspetto innocente, che sembrava portare non pidi una cinquantina di galloni d'acqua e una libbra di vento, assumeva di punto in bianco proporzioni ciclopiche, e ci ricopriva di un diluvio di pioggia, soverchiandoci con le sue raffiche di vento. C'erano poi groppi traditori, che retrocedevano fieramente e da un miglio sottovento ripiombavano furtivamente su di noi. Oppure due groppi si separavano, allargandosi sui lati e da ambedue ci arrivava uno schiaffetto. Ora una raffica di vento diventa certamente tediosa dopo poche ore, ma i groppi non lo diventano mai. Il millesimo groppo di cui uno faccia l'esperienza altrettanto interessante del primo, e forse un pochino di pi E' il principiante che non ne ha paura. L'individuo che al millesimo groppo lo rispetta. Sa cosa vogliono dire.

Fu nella zona delle calme che ci capitl'avventura pieccitante.

Il 20 novembre venimmo a scoprire che per un guasto avevamo perduto pidi metdella nostra provvista di acqua dolce, e poicherano gipassati quarantatrgiorni dalla partenza da Hilo, la provvista di acqua dolce rimanente non era molta, e perderne pidi metera una vera catastrofe. Mettendoci a stretto regime, quanto rimaneva avrebbe potuto bastare per venti giorni. Ma eravamo nella zona delle calme equatoriali, e non si poteva sapere dov'era l'aliseo di sud-est, ndove lo avremmo trovato.

Bloccammo prontamente con un chiavistello la pompa, e una volta al giorno le razioni d'acqua erano distribuite; ognuno di noi ne riceveva un quarto di gallone per uso personale, e otto quarti erano dati al cuoco. E ora subentra la psicologia della situazione. Non appena fatta la scoperta della penuria d'acqua, io per primo fui tormentato da una sete ardente. Mi sembrava di non averne mai avuta tanta nella mia vita. Avrei potuto facilmente bere il mio piccolo quarto d'acqua in un solo sorso, e astenermi dal farlo richiedeva un severo sforzo di volont Nin ciio ero solo. Tutti noi parlavamo dell'acqua, pensavamo all'acqua, sognavamo l'acqua, nel sonno. Esaminammo le carte alla ricerca di possibili isole verso cui fare rotta in caso estremo, ma non ne esistevano. Le Isole Marchesi erano le pivicine, e si trovavano dall'altra parte dell'Equatore, e anche della zona delle calme, ciche era anche peggio. Ci trovavamo a 3 gradi latitudine nord, mentre le Marchesi erano a 9 gradi latitudine sud - una differenza di circa mille miglia. E inoltre le Isole Marchesi si trovavano circa 14 gradi a ovest della nostra longitudine. Un bell'affare per un gruppetto di esseri umani sperduti in pieno oceano, che soffocavano nel calore delle calme tropicali.

Stendemmo delle sagole da ambo i lati tra le sartie di maestra e di mezzana, a queste assicurammo la grande tenda di coperta, rialzandola dalla parte posteriore con una drizza, di modo che tutta l'acqua che ci si potesse depositare scorresse in avanti, dove sarebbe stata raccolta. Ogni tanto dei piovaschi passavano all'orizzonte sull'oceano. Tutto il giorno li sorvegliavamo ora sulla dritta ora sulla sinistra, e di nuovo di prua o di poppa, ma non uno ci venne cosvicino da bagnarci. Nel pomeriggio un groppo massiccio ci piombaddosso, allargandosi sull'oceano nell'avvicinarsi, e lo potemmo vedere che riversava innumerevoli galloni d'acqua nel mare salato.

Dedicammo un'attenzione ancora maggiore alla tenda, e rimanemmo in attesa. Warren, Martin e Hermann formavano un bel quadretto. Stretti in gruppo, aggrappati al sartiame, oscillando a seconda del roll髺, tenevano gli occhi fissi sul groppo, e ogni atteggiamento dei loro corpi denotava tensione, ansiete desiderio.

Accanto a loro, la tenda asciutta e vuota.

Poi, man mano che il groppo si divideva in due, di cui una parte ci passdi prua, mentre l'altra retrocesse verso poppa dirigendosi sottovento, li vidi deprimersi e in certo modo afflosciarsi.

Ma quella notte comincia piovere. Martin, la cui sete psicologica lo aveva costretto a bere di buon mattino il suo quarto d'acqua, avvicinla bocca all'orlo della tenda e trangugiil sorso piprofondo che io abbia mai visto bere. La preziosa acqua cadde a secchi e a vasche, e in due ore ne raccogliemmo e stivammo nelle casse di lamiera centoventi galloni. Strano a dirsi, in tutto il resto del nostro viaggio verso le Marchesi non un'altra goccia di pioggia cadde a bordo. Se quella burrasca non ci avesse raggiunto, il chiavistello sarebbe rimasto sulla pompa, e avremmo dovuto sforzarci di utilizzare la benzina di riserva per distillare l'acqua salata.

E poi c'era la pesca. Non era necessario andare a cercare il pesce, era l accanto alla murata. Un amo d'acciaio di tre pollici, all'estremitdi una lenza robusta, con un cencetto bianco come esca, ecco tutto quanto ci voleva per prendere dei tonni da dieci a venticinque libbre. I tonni si nutrono di pesce volante, quindi non sono avvezzi a mordere all'amo. Pure lo mordono allegramente, quanto il pisportivo pesce del mare, e il loro primo morso qualcosa che nessuno uomo che ne abbia presi pudimenticare. Inoltre i tonni sono i piautentici cannibali. Non appena uno preso all'amo, attaccato dai suoi simili, e molto spesso li alavamo a bordo con degli squarci recenti dovuti a morsi, grossi come tazze da t

Un banco di tonni, di parecchie migliaia, rimase con noi giorno e notte per pidi tre settimane. Con l'aiuto dello "Snark", fecero caccia grossa; perchessi portarono la distruzione nell'oceano su una fascia larga mezzo miglio e lunga millecinquecento. Si disponevano in fila di prua allo "Snark" da ambedue i lati, piombando sui pesci volanti spaventati dal dritto di prora. Per quanto continuamente essi inseguissero di poppa il pesce volante, che per pivoli riusciva a salvarsi, sempre perriacchiappavano lo "Snark", e in qualsiasi momento, guardando verso poppa, si poteva vedere, sulla faccia anteriore di un frangente, a sciami le loro forme argentee costeggiarci, appena sotto il pelo dell'acqua.

Quando avevano mangiato a saziet si divertivano a mettersi nell'ombra della nave o delle vele, e se ne scorgevano sempre circa un centinaio scivolare pigramente, rimanendo al fresco.

Ma quei poveri pesci volanti! Inseguiti e mangiati vivi dai tonni e dai delfini, cercavano scampo nell'aria dove i rapaci uccelli marini li costringevano a tornare nell'acqua. Sotto il cielo non c'era per essi nessun luogo dove rifugiarsi. Cercare di stare in aria non un gioco per i pesci volanti, ma una questione di vita o di morte. Mille volte al giorno potevamo alzare gli occhi e vedere svolgersi la tragedia. Il volo veloce, circolare, a sbalzi, di un albatro attirava la nostra attenzione, poi uno sguardo in basso mostrava il dorso di un delfino che fendeva la superficie dell'acqua con impeto selvaggio.

Proprio davanti al suo naso una stria argentea luccicante, palpitante, si slancia dall'acqua nell'aria - un meccanismo di volo organico, delicato, dotato di sensibilit di facoltdi dirigersi e amore della vita. L'albatro piomba su di lui e se lo lascia sfuggire, e il pesce volante, guadagnando in altezza a mo' di un aquilone, contro il vento, compie un mezzo giro e passa via rasente a sottovento, scivolando nella direzione del vento. Sotto di lui la scia del delfino visibile nella schiuma che ribolle: questi tien dietro, guardando all'ins con occhi spalancati, al lampeggiare del cibo che naviga in un elemento diverso dal proprio. Non puinnalzarsi di tanto, ma un perfetto empirico, e sa che presto o tardi il pesce volante, se non sarmangiato dall'albatro, dovrtornare all'acqua. E allora - buon appetito!

Di solito noi avevamo compassione del povero pesce alato, ed era triste dover assistere a un eccidio cosvile e sanguinoso. E allora, durante la guardia di notte, quando un povero piccolo pesce volante, urtando contro la vela maestra, cadeva boccheggiante, spruzzando dappertutto in coperta, ci precipitavamo su di lui con la stessa impazienza, con la stessa avidit con la stessa voracitdei tonni e dei delfini. Perch sappiatelo, i pesci volanti sono uno dei cibi pigustosi per la prima colazione. E mi stupisce sempre che da una carne cosdelicata non derivi un tessuto altrettanto delicato nei corpi dei suoi divoratori. Forse delfini e tonni sono di una fibra meno fine per la grande velocitcon cui si muovono nel cercare di catturare la loro preda. Benchanche il pesce volante, anche lui, si muove a grande velocit

Quanto ai pescecani, ne prendevamo ogni tanto, con grossi ami e mulinelli a catena, attaccati a una lunghezza di cordicella. E "pescecani" voleva dire pescipiloti, e remore, e ogni sorta di altri animali parassiti. Alcuni dei pescecani avevano l'aspetto di veri mangiatori di uomini con il loro sguardo feroce e le dodici file di denti, taglienti come rasoi. A proposito, noialtri dello "Snark" siamo tutti dello stesso parere: nessun pesce che abbiamo mangiato pusostenere il confronto con il pescecane arrostito e affogato in un sugo al pomodoro.

Nella zona delle calme equatoriali pescammo ogni tanto un pesce chiamato "hak dal cuoco giapponese. E una volta con un amo a cucchiaio filato a cento iarde di poppa, prendemmo un pesce che rassomigliava a un serpente, lungo pidi tre piedi e al massimo di un diametro di tre pollici, con quattro denti aguzzi nella mascella, che giudicammo il pesce pidelizioso - delizioso per la carne e per il sapore - che avessimo mai mangiato a bordo.

Ad arricchire la nostra dispensa fu apprezzata soprattutto una grossa tartaruga marina, che pesava ben cento libbre e che comparve in tavola sotto forma di appetitose bistecche, di minestre e stufati, e finalmente in un meraviglioso riso al curry che invittutto l'equipaggio a mangiare piriso di quanto non fosse giovevole alla salute. La tartaruga fu avvistata sopravvento, mentre dormiva tranquillamente alla superficie in mezzo a un grosso sciame di delfini curiosi, ed era certamente una tartaruga d'alto mare, perchla terra pivicina era lontana mille miglia. Virammo in prua e dirigemmo lo "Snark" su di lei, mentre Hermann le sparava in testa e nel collo.

Alata a bordo, ci accorgemmo che molte remore erano appiccicate al suo guscio, e dalle cavitalla base delle sue zampe strisciarono fuori parecchi grossi gamberi. Bastun solo pasto perchl'equipaggio dello "Snark" giungesse all'unanime conclusione che in qualsiasi momento avrebbe volentieri fatto virare di bordo lo "Snark" per una tartaruga.

Ma il delfino il re dei pesci d'alto mare. Il suo colore non mai lo stesso. Mentre nuota nel mare, un essere etereo dell'azzurro pipallido, appare gidi un colore meraviglioso, ma non nulla in confronto alle trasformazioni cui puandare soggetto. Talvolta sembra verde - di un verde pallido, verde cupo, verde fosforescente: altre volte turchino - turchino cupo, turchino elettrico, tutta la gamma dei turchini. Acchiappatelo con un amo e diventa d'oro, di un giallo oro, tutto oro. Alatelo in coperta, e lo vedrete sorpassare qualsiasi gamma di colore, passando attraverso sfumature turchine, verdi e gialle, e poi, di colpo, diventando di un bianco spettrale, a macchie sparse di un azzurro vivace. E a un tratto vi accorgete che si fatto screziato come una trota. Poi nuovamente da bianco che era ripercorre tutta la gamma di colori, assumendo alla fine una tonalitmadreperlacea.

Per gli appassionati della pesca, non posso raccomandare sport migliore della caccia al delfino. Naturalmente dovressere fatta con una lenza sottile, con mulinello e canna. Un amo da tarpon (NOTA) del tipo O'Shaughnessy numero 7 quello che ci vuole, con un intero pesce volante come esca. Come per il tonno, il nutrimento del delfino consiste in pesce volante, ed esso si avventa fulmineamente sull'esca.

Il primo avvertimento si ha quando il molinello sibila e voi vedete la lenza che si svolge fumando normalmente allo scafo. Prima che abbiate il tempo di provare una certa ansietper la lunghezza della vostra lenza, il pesce si drizza nell'aria in un susseguirsi di salti. Dal momento che quasi certamente sarlungo quattro piedi o anche pi non potrmancare il divertimento di alare a bordo un pesce cosvivace.

Quando preso all'amo, invariabilmente diventa dorato. Il concetto che ispira la serie di salti quello di liberarsi dell'amo, e l'uomo che ha fatto il colpo deve essere o un tipo insensibile o un decadente se non ha il cuore che batte con pulsazioni accelerate nel contemplare un pesce cossgargiante, brillante nella sua aurea corazza, che si scrolla come uno stallone a metdi ogni salto nell'aria. State bene attenti a filare! Se non lo fate, in uno di quei salti, l'amo sarscagliato via a venti piedi di distanza. Se non filate, il delfino inizieruna seconda corsa, culminante in un'altra serie di salti. A questo punto ci si comincia a preoccupare per la lenza e a desiderare di averne novecento piedi sul mulinello invece dei seicento che ci sono. Con un'abile manovra la lenza potressere salvata, e dopo un'ora di intensa eccitazione, il pesce potressere afferrato con un rampone. Uno di questi delfini che io alai a bordo dello "Snark" misurava quattro piedi e sette pollici.

Hermann prendeva i delfini in modo piprosaico. Una lenza a mano e un pezzetto di carne di pescecane, ecco tutto ciche gli occorreva. La sua lenza a mano era molto spessa, ma pidi una volta se ne andvia e il pesce fu perduto. Un giorno un delfino riusca scappare con un'esca di fabbricazione personale di Hermann, a cui erano attaccati quattro ami O'Shaughnessy. Nello spazio di un'ora lo stesso delfino fu alato a bordo con la lenza, e nel farlo a pezzi recuperammo i quattro ami. I delfini che rimasero con noi per pidi un mese, ci abbandonarono a nord dell'Equatore e non ne vedemmo piuno nel resto della traversata.

Cosi giorni passavano. C'era tanto da fare che il tempo non sembrava mai lungo. Anche se ci fosse stato poco da fare, il tempo non avrebbe potuto sembrare lungo, con quei meravigliosi scenari di mare e di nubi, - aurore simili a cittimperiali in fiamme sotto arcobaleni che s'inarcavano fin quasi allo zenit, tramonti che immergevano il mare purpureo in rossi fiumi di luce, raggianti da un sole i cui raggi divergenti, che si elevavano nel cielo, erano dell'azzurro pipuro.

Fuori bordo, nel calore diurno, il mare era di un tessuto satinato azzurro, e nelle sue profonditla luce del sole convergeva in fasci luminosi. Di poppa, ginel profondo, quando soffiava una brezza, si vedeva un pullulare di spettri di un turchese latteo - a schiuma respinta dallo scafo dello "Snark", ogni volta che esso urtava contro un'onda. Di notte la scia era fuoco fosforescente, dove la gelatinosa medusa si irritava per il passaggio dello scafo, mentre molto pigisi poteva osservare una fuga incessante di comete, dalle lunghe, ondulanti, nebulose code - causata dal passaggio dei tonni attraverso il liquido viscoso emesso dalle meduse. E di tanto in tanto, dall'oscuritsu ambo i lati, proprio sotto il pelo dell'acqua, organismi fosforescenti pigrossi si accendevano come lampadine elettriche a segnalare la collisione con gli spensierati tonni, diretti frettolosi a fare buona caccia a prua al di ldel nostro bompresso.

Guadagnammo verso est quanto era necessario, riuscimmo ad attraversare le calme equatoriali e incontrammo una brezza tesa di sud una quarta sud-ovest. Sospinti dal vento, in questa rotta inclinata, saremmo passati all'altezza delle Isole Marchesi assai pia ovest. Ma il giorno dopo, un marted 26 novembre, nel bel mezzo di una burrasca, il vento girimprovvisamente a sud-est. Era finalmente l'aliseo.

Non ci furono pigroppi, null'altro che bel tempo. Un vento favorevole, e un solcometro che girava con le scotte allascate e spinnaker e maestra che palpitavano e si gonfiavano, uno per lato.

L'aliseo continua retrocedere finchsoffida nord-ovest, mentre noi tenevamo una rotta decisa per sud-ovest. Dieci giorni cos e la mattina del 6 dicembre alle cinque avvistammo terra, "proprio dove avrebbe dovuto essere", dritto di prora. Passammo sottovento di Ua- huka, costeggiammo l'orlo meridionale di Nuka-hiva, e quella notte, in mezzo a raffiche sferzanti e in una oscuritda inchiostro, faticosamente arrivammo all'ancoraggio nella stretta baia di Taiohae.

L'ancora affondrumoreggiando, fra i belati delle pecore selvagge sulle alture; e l'aria che respiravamo era pregna di profumi di fiori.

La traversata era finita. Sessanta giorni da terra a terra attraverso un mare solitario, sui cui orizzonti non si stagliano mai vele di navi.


NOTA:

1) tarpon, grosso pesce delle acque dolci della Florida che si avventura anche in mare (N. d. T.)




CAPITOLO 10


TYPEE

Quella sera, a levante, Ua-huka era nascosta da un piovasco che rapidamente stava raggiungendo lo "Snark". Ma questa piccola barca, con il suo grosso spinnaker gonfio per l'aliseo di sud-est, correva validamente. Capo Martin, la punta pia sud-est di Nuku-hiva, era al traverso, e la Comptroller Bay si rivela poco a poco, quando sorpassammo rapidi la sua ampia imboccatura, dove Sail Rock, veramente rassomigliante a una vela di tarch駮 di una barca per la pesca del salmone, affrontava valorosamente l'urto dei frangenti di sud-est.

- Cosa pensi che sia? - chiesi a Hermann che era al timone.

- Un peschereccio - rispose dopo avere osservato accuratamente. Eppure sulla carta era chiaro il nome: "Sail Rock".

Ma a noi interessavano di pii recessi della Comptroller Bay, e i nostri occhi vi cercavano avidamente le tre insenature, soffermandosi su quella di mezzo, dove il crepuscolo calante mostrava i fianchi oscuri di una vallata che si addentrava nell'interno. Quante volte avevamo studiato la carta, sempre fermandoci su quella cala mediana e sulla valle che vi finiva - la valle di Typee. "Taipi" era scritto sulla carta ed era la dizione corretta, ma io preferisco "Typee" e la chiamersempre cos Da piccolo lessi un libro che portava quel titolo - il "Typee" di Herman Melville, - e passai lunghe ore a sognare su quelle pagine. Fu allora che presi la ferma risoluzione, qualsiasi cosa avvenisse, di andare anch'io a Typee, quando fossi cresciuto di anni e di forza, perchnella mia infantile consapevolezza stava penetrando il senso di quanto c'di prodigioso in questo nostro mondo - quel senso che mi ha condotto in tanti paesi, e ancora mi conduce, naccenna ad attutirsi. Passarono gli anni, ma Typee non fu mai dimenticata. Di ritorno a San Francisco dopo una crociera di sette mesi nel Pacifico settentrionale, decisi che era giunto il momento. Il brigantino "Galilea" stava partendo per le Isole Marchesi, con un equipaggio al completo; e io, che ero un buon marinaio e abbastanza giovane per esserne smisuratamente fiero, non avevo nessuna difficolta imbarcarmi in qualitdi cameriere, pur di fare il pellegrinaggio a Typee. Naturalmente il "Galilea" avrebbe salpato dalle Isole Marchesi senza di me, perchero deciso a trovare un altro Fayaway e un altro Kory-Kory (personaggi del libro di Melville). Dubito che il capitano leggesse nei miei occhi la decisione di disertare, o forse anche la cuccetta del cameriere di bordo era gioccupata. Ad ogni modo, non ottenni quel posto.

Poi venne il rapido passare degli anni, pieni zeppi di progetti, di successi e di insuccessi: ma Typee non era mai dimenticata, ed ecco che ora mi ritrovavo a guardare il suo profilo indistinto nella nebbia, finchil groppo non piombgie lo "Snark" sfreccivia sotto l'impeto del vento. Di prua scorgemmo un bagliore, e prendemmo il rilevamento di Sentinel Rock, inghirlandato dal frangente che lo martellava. Poi anch'esso fu cancellato dalla pioggia e dall'oscurit

Dirigemmo dritto su di esso, confidando di sentire il rumore dei frangenti in tempo per una tempestiva accostata. Noi dovevamo governare direttamente su di esso. Non avevamo altro rilevamento per orientarci, e se perdevamo Sentinel Rock, perdevamo anche Taiohae Bay, e avremmo poi dovuto buttare lo "Snark" al vento e rimanere fuori alla cappa per tutta la notte - prospettiva non piacevole per dei viaggiatori stanchi dopo una traversata di sessanta giorni nella vasta solitudine del Pacifico, desiderosi di terraferma, di frutta e anelanti da anni alla dolce vallata di Typee.

Improvvisamente, fra un rombare di onde, Sentinel Rock apparve dritto di prua nella pioggia. Accostammo con maestra e spinnaker gonfi di vento e passammo oltre. A sottovento della punta, il vento ci manc e ci trovammo a rollare in una calma assoluta. Poi una r嶨ola che proveniva dalla Taiohae Bay ci colpproprio di prora. Rientrammo lo spinnaker e alzammo la mezzana, ben bordata per bolinare: cominciammo cosad avanzare lentamente di prua, scandagliando e sforzandoci di vedere la luce rossa fissa sul forte in rovine, che ci avrebbe fornito il rilevamento per l'ancoraggio. La brezza era leggera e incostante, ora di est, ora di ovest, ora di nord, ora di sud, mentre da ogni lato giungeva il rombo di invisibili frangenti. Dalla scogliera, che appariva indistinta, si elevava il belato di capre selvagge, e sopra di noi le prime stelle scintillavano debolmente attraverso lo scrosciare a tratti di un nembo fuggevole. Alla fine di due ore, dopo aver percorso un miglio nella baia, demmo fondo all'ancora in undici braccia. E cosci trovammo a Taiohae.

La mattina dopo ci destammo in un paesaggio di sogno. Lo "Snark" era alla fonda in un placido porto annidato in un vasto anfiteatro, i cui fianchi scoscesi, rivestiti di vigne, sembravano sorgere direttamente dall'acqua. Lontano, verso est, scorgemmo la traccia sottile di un sentiero, visibile in un punto solo, dove solcava il lato anteriore del pendio.

- Il sentiero per cui Toby fuggda Typee! - esclamammo.

In un batter d'occhio, scesi a terra, ci trovammo montati su cavalli, per quanto la realizzazione del nostro pellegrinaggio dovette essere rimandata all'indomani. Due mesi di vita sul mare, sempre a piedi nudi, senza spazio in cui esercitare le membra, non sono la migliore preparazione a calzare nuovamente scarpe di pelle e per una camminata.

Inoltre la terra doveva smettere quel suo disgustoso roll髺, prima che ci sentissimo in condizione di stare in sella a cavalli che sembravano capre, su per sentieri che davano le vertigini. Cosdopo una breve cavalcata, tanto per cominciare, penetrammo faticosamente nella fitta giungla per fare la conoscenza di un venerando idolo ricoperto di muschio, accanto al quale si erano radunati un commerciante tedesco e un capitano norvegese per calcolare il peso di detto idolo e il suo valore, qualora fosse stato tagliato in due. Trattavano quel povero diavolo in modo veramente sacrilego, affondando in esso i loro coltelli per vedere quanto era duro e quanto era profondo il rivestimento di muschio, e quasi gli ordinavano di mettersi in piedi e camminare da solo fino alla nave, per risparmiare loro tanta fatica. E invece ci vollero diciannove kanaka, che lo appesero a un telaio di tronchi d'albero e lo trasportarono fino alla nave dove, ben assicurato sotto i boccaporti, proprio ora sta valicando il Pacifico meridionale in direzione di Capo Horn e dell'Europa - il luogo dove vanno a finire tutti i buoni idoli pagani, eccetto pochi rimasti in America, e uno in particolare, che sogghigna vicino a me, mentre scrivo, e che, se non andremo a fondo, sogghignerdovunque vicino a me, finchnon morir

E sarlui a vincerla. Continuera sogghignare, quando io sarormai polvere.

Inoltre, quale inizio del nostro soggiorno, partecipammo a un banchetto con cui un tale Taiara Tamarii, figlio di un marinaio hawaiano disertore da una baleniera, commemorava la morte di sua madre, oriunda delle Isole Marchesi, arrostendo quattordici maiali interi e invitando tutto il villaggio. Cosarrivammo pure noi, accolti dal benvenuto di un'indigena, una ragazza che, in piedi sopra una grande roccia, cantava l'informazione che il banchetto sarebbe diventato perfetto in grazia della nostra presenza - informazione che essa dava imparzialmente a ogni nuovo arrivato. Tuttavia non avevamo quasi fatto a tempo a sederci che lei cambitono, mentre tutta l'adunanza manifestava una grande eccitazione. Le sue grida divennero accalorate e penetranti, e si sentirono altre grida in risposta, voci di uomini che si fondevano in un canto violento, barbarico, che parlava di sangue e di guerra e faceva l'impressione di qualcosa di incredibilmente selvaggio. Poi, attraverso la vegetazione tropicale, apparve in lontananza una processione di indigeni, nudi ad eccezione di sgargianti teli attorno ai lombi. Avanzavano lentamente, emettendo grida gutturali di trionfo ed esaltazione. Appesi a giovani alberetti, che essi portavano sulle spalle, c'erano dei misteriosi oggetti di un peso notevole, celati al nostro sguardo da involucri di foglie verdi.

Null'altro che maialini, innocenti, grassi e arrostiti a dovere, erano dentro quegli involucri, ma gli uomini li portavano sul luogo della riunione come usava nei tempi antichi, quando portavano dei "lunghi maiali", - l'eufemismo polinesiano usato dai cannibali per indicare la carne umana: e quei discendenti di cannibali, con alla testa il figlio di un re, portavano in tavola i maiali come i loro progenitori avevano portato i nemici uccisi. Di tanto in tanto la processione si fermava perchi portatori potessero emettere picomodamente degli urli particolarmente feroci, che esprimevano gioia per la vittoria, disprezzo per i nemici, aviditdi cibo. CosMelville, due generazioni prima, aveva assistito al trasporto di cadaveri di guerrieri Happar uccisi, avvolti in foglie di palma, al banchetto al Ti. Un'altra volta, al Ti, egli aveva "notato un'imbarcazione di legno, scolpita in modo curioso", e, nel guardarla pida vicino, i suoi occhi "erano caduti sulle membra ammucchiate in disordine di uno scheletro umano, le ossa ancora imbevute di umidore e resti di carne ancora attaccati qua e l.

Spesso il cannibalismo stato considerato una favola dagli uomini ultracivilizzati, ai quali spiace forse l'idea che i propri selvaggi progenitori fossero dediti in passato a simili pratiche. Il capitano Cook era piuttosto scettico al riguardo finchun giorno, in un porto della Nuova Zelanda, decise di fare una prova. Per caso un indigeno aveva portato a bordo, per venderla, una bella testa disseccata al sole, e per ordine di Cook alcune fettine di carne furono tagliate via e date all'indigeno che si affretta divorarle avidamente. Il meno che si possa dire che il capitano Cook era un perfetto empirico; ma ad ogni modo, facendo cosegli fornun'informazione sicura di cui la scienza aveva gran bisogno, negli immaginava certamente l'esistenza di un gruppo di isole, distanti migliaia di miglia, dove in futuro si sarebbe svolto un curioso processo, quando un vecchio capo di Maui sarebbe stato accusato di millantato credito, perchinsisteva nell'asserire che il suo corpo era il deposito vivente dell'alluce di Cook! Si vuole che gli accusatori non riuscirono a dimostrare che il vecchio capo non era la tomba dell'alluce dell'esploratore, e percil'accusa fu respinta.

Immagino che in questa nostra epoca degenerata non mi sarpossibile di vedere nessun "lungo maiale" mangiato, ma sono almeno giin possesso di una zucca vuota delle Isole Marchesi, debitamente autenticata, di forma oblunga, stranamente scolpita, risalente a un secolo fa, in cui stato bevuto il sangue di due comandanti di navi, uno dei quali era un uomo spregevole, perchvendette una vecchia baleniera, che di buono aveva solo la pittura fresca, a un capo delle Isole Marchesi. Ma non appena il capitano se ne fu andato, la baleniera andin pezzi. Il destino volle che qualche tempo dopo, egli facesse naufragio, fra tanti posti, proprio su quell'isola. Il capo indigeno era assolutamente ignorante di pagamenti e interessi, ma aveva un senso primitivo della giustizia e un concetto egualmente primitivo dell'economia naturale; e pareggiil conto mangiando l'uomo che lo aveva truffato.

Nell'alba fresca partimmo per Typee, montati su feroci piccoli stalloni, che scalpitavano, nitrivano, mordevano il freno e si azzuffavano a vicenda, assolutamente dimentichi dei fragili esseri umani sul loro dorso, e dei ciottoli scivolosi, delle rocce friabili, dei precipizi spalancati. Il sentiero saliva su per un'antica pista, attraverso una giungla di alberi "hau". Da ogni parte si scorgevano vestigia di una popolazione un tempo numerosa. Ovunque l'occhio poteva penetrare nella folta vegetazione s'intravedevano pareti di pietra e fondamenta di pietra, alte da sei a otto piedi, costruite solidamente in ogni particolare, e per un'estensione e una profonditdi molte iarde. Formavano delle grandi piattaforme di pietra su cui, in passato, si erano elevate dalle case. Ma le case e le persone erano sparite, e immensi alberi affondavano le loro radici attraverso le piattaforme, e svettavano sulla giungla sottostante. Queste fondamenta sono dette "pae-paes", i "pi-pis" di Melville, la cui ortografia si basava sulla fonetica.

Gli attuali indigeni delle Isole Marchesi non hanno la forza di rimuovere e ricollocare simili pietre, pesanti, ndel resto hanno alcun incentivo a farlo. C'abbondanza di "pae-paes", cosda bastare per tutti, e ne rimangono ancora alcune migliaia inutilizzate. Una volta o due, mentre risalivamo la valle, ci capitdi vedere dei magnifici "pae-paes", sulla cui ampia superficie si elevavano delle meschine capannucce di paglia, con la stessa differenza di proporzioni che ci puessere tra un'edicola votiva posata sull'ampia base della piramide di Cheope e la piramide stessa. Infatti gli indigeni di queste isole stanno scomparendo, e a giudicare da quanto osservammo a Taiohae, l'unica cosa che ritarda la loro distruzione totale l'infusione di nuovo sangue. Un indigeno puro delle Isole Marchesi una rarit Sembrano tutti gente di sangue misto, strani miscugli di una dozzina di razze differenti. Diciannove lavoratori efficienti, ecco tutto quello che un commerciante pumettere insieme a Taiohae per l'imbarco sulle navi della copra; e nelle loro vene scorre sangue inglese, americano, danese, tedesco, francese, corso, spagnolo, portoghese, cinese, hawaiano, paumotano, tahitiano e dell'isola di Pasqua. Ci sono pirazze che persone, e nel migliore dei casi si tratta di relitti di razze.

La vita qui si indebolisce, vacilla, si spegne. In questo clima caldo, eguale - un vero paradiso terrestre - dove non si verificano mai temperature estreme e dove l'aria balsamica, conservata sempre pura dall'aliseo di sud-est carico di ozono, l'asma, la tisi, la tubercolosi fioriscono altrettanto rigogliose della vegetazione.

Ovunque, dalle poche capanne d'erba, si sentono uscire colpi lancinanti di tosse o un lamento fioco di polmoni consunti. Altri orribili mali vi prosperano altrettanto bene, ma i piletali sono quelli che attaccano i polmoni. C'una forma di consunzione detta "galoppante", particolarmente temuta, che in due mesi riduce l'uomo pirobusto a uno scheletro avvolto in un sudario.

Una vallata dopo l'altra, l'ultimo abitante si estinto, e il suolo fertile tornato a essere giungla. Al tempo di Melville, la valle di Hapaa (da lui chiamata "Happar") era popolata da una tribforte e guerriera; una generazione dopo, non contava piche duecento individui. Oggi una distesa tropicale deserta, dove si sente solo l'urlo del vento.

Continuammo a salire sempre pinella vallata, e i nostri stalloni non ferrati procedevano prudenti sul sentiero quasi cancellato, che ondulava penetrando sinuoso tra i "pae-paes" abbandonati ed entro la giungla insaziabile. La vista di rosse mele di montagna, le "ohias", gigustate alle Hawaii, ci suggerdi far arrampicare un indigeno sopra un albero per coglierne, e di nuovo egli si arrampicper prendere delle noci di cocco. Ho bevuto il cocco della Giamaica e delle Hawaii, ma non ho mai gustato una bevanda simile a quella che gustai qui nelle Isole Marchesi. Ogni tanto si cavalcava sotto limoni e aranci selvatici - grandi alberi sopravvissuti nel deserto pia lungo delle molecole umane che li avevano coltivati.

Cavalcammo attraverso innumerevoli macchie di cinnamomo, dal giallo polline - se si poteva dirlo un cavalcare, giacchquei cespugli profumati erano invasi da vespe. E quali vespe! Grossi esemplari delle dimensioni di piccoli canarini, che volavano rapidi per l'aria trascinandosi dietro quelle loro zampe lunghe un paio di pollici. Un puledro si rizza di botto, sulle gambe davanti, gettando al cielo quelle posteriori: le riabbassa abbastanza lentamente, tanto da fare un balzo selvaggio in avanti, e poi le riporta alla loro posizione abituale. Non nulla. Semplicemente la sua spessa pelle stata trafitta dal dardo bruciante dell'organo virile di una vespa. Poi un secondo e un terzo puledro, e tutti quanti, incominciano a impennarsi sulle gambe anteriori in quel paesaggio fatto di precipizi. Zaf! Un pugnale incandescente penetra nella mia guancia. Zaf, di nuovo! Ora sono pugnalato nel collo. Tutta la retroguardia si butta su di me e ne ho per pidel mio dovuto. Non c'modo di battere in ritirata, e i cavalli, che si slanciano avanti sulla pista malsicura, non danno molte garanzie di salvezza. Il mio cavallo oltrepassa quello di Charmian, il quale, da animale suscettibile, offeso in un preciso momento psicologico, pianta uno dei suoi zoccoli sul mio cavallo e l'altro su di me. Ringrazio la mia stella che non sia ferrato, e mi drizzo a metsulla sella, sotto la trafittura di un'altra daga bruciante. Certamente quello che mi tocca pidel mio dovuto; e lo anche per il mio povero cavallo, e la sua sofferenza e la sua paura non sono superate che dalle mie.

"Via! Via! Via di qui! Ve la farvedere!" grido cercando freneticamente di colpire con il berretto le vipere alate che mi circondano.

Da un lato del cammino il paesaggio si eleva verticalmente, dall'altro scende verticalmente. L'unica via d'uscita consiste nell'andare avanti, ed un miracolo se quella fila di cavalli non cade, poichsi slanciano avanti, sorpassandosi a vicenda, al trotto, al galoppo, incespicando, saltando, scrollandosi, e metodicamente scalciando verso il cielo ogni volta che una vespa si getta su di loro.

Dopo un po' ci fermammo a riprendere fiato e a contare le nostre ferite. E questo accadde non una sola volta o due, ma si ripetcontinuamente. Strano a dirsi, la cosa non diventmai monotona. Per conto mio posso dire che ogni volta passai attraverso ogni cespuglio lottando con l'ardore sempre eguale di un uomo che cerca di sfuggire a una morte improvvisa. No, il pellegrino da Taiohae a Typee non potrmai patire la noia durante il viaggio.

Alla fine ci innalzammo al di sopra del tormento delle vespe, ma fu piuna questione di altezza che di fortezza. Tutto attorno a noi si stendevano, fin dove lo sguardo poteva giungere, le dentate dorsali di catene, con le vette immerse nelle nuvole dell'aliseo. Sotto di noi, lda dove eravamo partiti, lo "Snark" sembrava un giocattolo nelle acque placide della baia di Taiohae; davanti a noi erano visibili le insenature della Comptroller Bay, che penetravano nel retroterra.

Scendemmo per un migliaio di piedi e Typee apparve sotto di noi.

"Se mi fosse stato dato di intravedere per un attimo i giardini del paradiso, non avrei potuto essere pirapito dallo spettacolo", cosnarra Melville dell'istante in cui gettil primo sguardo sulla valle.

Egli vide un giardino, noi vedemmo un deserto incolto. Dov'erano mai finite le centinaia di cespugli di alberi del pane che lui vide? A noi non fu dato di scorgere che giungla, null'altro che giungla, ad eccezione di due capanne d'erba e di alcuni gruppi di noci di cocco che interrompevano il verde manto primordiale. Dov'era il "Ti" di Mehevi, il luogo di riunione dei celibi, il palazzo dove le donne non erano ammesse, e dove egli governava con i suoi capi minori, tenendosi una mezza dozzina di anziani sonnacchiosi e sporchi a ricordo di un passato valoroso? Dal torrente rapido nessun suono si elevava di fanciulle e matrone che macinassero il "tapa". E dov'era la capanna che il vecchio Narheyo costruiva eternamente? Invano lo cercai appollaiato a novanta piedi da terra su qualche alto albero di cocco, a farsi la sua fumatina mattutina.

Scendevamo ora lungo un sentiero sinuoso sotto la giungla intricata, mentre grandi farfalle svolazzavano nel silenzio. Nessun selvaggio coperto di tatuaggi e munito di randello e giavellotto vi montava la guardia, e una volta guadato il corso d'acqua, fummo liberi di vagare dove volevamo. Non piil tab sacro e implacabile, regnava in quell'amena vallata. No, il tabvi regnava ancora, ma un nuovo tab poichquando ci avvicinammo troppo ad alcune miserabili donne indigene, la parola "tab, venne pronunciata a guisa di avvertimento.

E giustamente. Esse erano lebbrose. L'uomo che ci aveva avvertito era orribilmente deformato dall'elefant駮si. Tutti quanti erano malati di polmoni. La valle di Typee era diventata la dimora della morte, e in quella dozzina di sopravviventi della tribsi stava lentamente e penosamente spegnendo la razza.

Certamente la vittoria non era toccata ai forti, giacchun tempo gli abitanti di Typee erano molto forti, pidegli Happar, pidegli abitanti di Taiohae, pidi tutte le tribdi Nuku-hiva. La parola "typee", o meglio "taipi", in origine significava mangiatore di carne umana. Ma poichtutti gli indigeni delle Isole Marchesi lo erano, essere cosdesignati testimoniava che i typeani erano gli antropofaghi per eccellenza. Nsolo fino a Nuku-hiva arrivava la reputazione del coraggio e della ferocia dei typeani, ma in tutte le Isole Marchesi il loro nome era pronunciato con terrore. L'uomo non riusciva a soggiogarli. Persino la flotta francese, che s'impossessdelle Marchesi, li lascitranquilli. Il comandante Porter della fregata "Essex", una volta invase la valle con i suoi marinai e le truppe da sbarco, rinforzati da duemila uomini di Happar e Taiohea; riuscirono a penetrare abbastanza profondamente nella valle, ma vi incontrarono una resistenza cosaccanita da essere ben felici di ritirarsi e andarsene via con la loro flottiglia di barche e canoe da guerra.

Di tutti gli abitanti dei Mari del Sud quelli delle Isole Marchesi erano giudicati i pirobusti e i pibelli; Melville ne disse: "Fui colpito specialmente dalla forza e bellezza fisica di cui facevano mostra.... Quanto a bellezza esteriore, essi sorpassavano qualsiasi cosa da me vista. Non un solo caso di deformitnaturale poteva essere riscontrato tra la folla che prese parte alle feste.... Ogni individuo appariva privo di quelle imperfezioni che talvolta sciupano l'effetto di una figura altrimenti perfetta. Ma la loro perfezione fisica non consisteva soltanto nell'essere privi di queste imperfezioni; quasi ogni individuo fra loro avrebbe potuto essere preso come modello da uno scultore".

Menda鎙, lo scopritore delle Isole Marchesi, descrisse gli indigeni come meravigliosamente belli, e Figueroa, il cronista del suo viaggio, ne disse: "Di pelle erano quasi bianchi, di bella statura e ben fatti". Il capitano Cook li defini pisplendidi fra gli abitanti delle Isole del Sud; e disse degli uomini, che erano "generalmente di statura elevata, quasi mai inferiore ai sei piedi".

E ora tutta questa forza e bellezza sparita, e nella valle di Typee dimorano alcune dozzine di creature infelici, malate di lebbra, elefantiasi, tubercolosi. Melville calcolche la popolazione fosse di duemila persone alla sua epoca, senza contare la valletta adiacente di Ho-oumi. La vita imputridita in questo meraviglioso giardino, dove il clima altrettanto delizioso e sano quanto qualsiasi altro nel mondo. E i typeani non soltanto erano magnifici fisicamente, ma erano anche puri, la loro aria non conteneva i bacilli e germi e microbi di cui piena la nostra aria. Quando gli uomini bianchi importarono con le loro navi questi vari microrganismi di malattie, i typeani ne furono contagiati e distrutti.

Se si riflette su questo fatto, si quasi spinti a concludere che la razza bianca fiorisce nell'impurite nella corruzione. Ma la vera spiegazione ci data dalla selezione naturale. Noi di razza bianca siamo i sopravviventi e discendenti di migliaia di generazioni sopravvissute nella lotta contro i microrganismi. Se mai uno di noi nacque con una costituzione particolarmente favorevole ad accogliere questi piccolissimi nemici, quello morben presto. E di noi sopravvissero soltanto coloro che potevano opporsi a essi. Noi che siamo vivi siamo gli immuni, siamo gli idonei - i piidonei per la loro costituzione a vivere in un mondo di microrganismi ostili. I poveri abitanti delle Isole Marchesi non avevano subito questa selezione, non erano immuni, ed essi, usi a divorare i loro nemici, furono a loro volta divorati da nemici cosmicroscopici da essere invisibili, e contro i quali nessuna guerra con dardi e giavellotti era possibile. D'altro lato, se ci fossero state alcune centinaia di migliaia di indigeni all'inizio, ci sarebbe stato anche un numero sufficiente di sopravviventi a porre le basi di una nuova razza - una razza rigenerata, se l'immersione in un bagno contaminato di veleno organico puessere detta una rigenerazione.

Dissellammo i cavalli per fare colazione, e dopo essere riusciti a stento a separarli - il mio con parecchi segni di grossi morsi sul dorso - e dopo avere vanamente lottato contro le pulci della sabbia, mangiammo banane e carne conservata, innaffiata da abbondanti sorsi di latte di cocco. C'era poco da vedere. La giungla aveva respinto e inghiottito avidamente le meschine opere degli uomini. Qua e lsi poteva incespicare su alcuni "pae-paes", ma senza iscrizioni, geroglifici, tracce del passato che essi attestavano - solo pietre mute, costruite e scolpite da mani ormai fatte polvere e dimenticate.

Dai "pae-paes" sorgevano grossi alberi, che, invidiosi del lavoro fatto dall'uomo, fendevano le pietre, disperdendole e rinnovando il caos primitivo.

Abbandonammo la giungla per cercare il corso d'acqua nella speranza di sfuggire alle pulci della sabbia. Vana speranza. Per entrare in acqua a nuotare ci si doveva togliere i vestiti: le pulci lo sapevano, e a miriadi innumerevoli stavano in agguato sulla riva del torrente. Nel linguaggio indigeno sono chiamate "nau-nau", con un suono corrispondente all'inglese "now-now" (ora-ora), e il nome certamente ben dato, perchesse sono insistenti e sempre presenti. Non c'pinpassato nfuturo, quando si avviticchiano a un'epidermide, e sono pronto a scommettere che Omar Khayyam non avrebbe mai potuto scrivere il Rubaiyat nella valle di Typee - sarebbe stata una cosa psicologicamente impossibile. Commisi l'errore strategico di svestirmi sull'orlo di una riva scoscesa da dove potevo tuffarmi in acqua, ma non risalirne. Quando fui pronto a rivestirmi, dovetti percorrere un centinaio di iarde sulla riva prima di giungere ai miei vestiti. Al primo passo, ben diecimila "nau-nau" si gettarono su di me, al secondo camminavo dentro una nuvola, al terzo non si vedeva piil sole nel cielo. Dopo ci non so cosa accadde. Quando arrivai dov'erano i miei vestiti, ero impazzito. E qui avvenne il mio grande errore tattico.

Non c'che una sola norma di condotta con le "nau-nau". Non schiacciatele mai! Qualsiasi cosa facciate, non schiacciatele mai.

Sono cosmaligne che nell'istante dell'annientamento emettono il loro ultimo atomo di veleno nella vostra carcassa. Dovete afferrarle delicatamente, tra il pollice e l'indice, e persuaderle gentilmente a staccare le loro proboscidi dalla vostra carne fremente. E' come togliere un dente. Ma la difficoltera che i denti spuntavano pirapidamente di quanto io non li distaccassi, cosfinii per schiacciare e in tal modo mi riempii del loro veleno. Questo avvenuto una settimana fa. Ancora adesso rassomiglio a un convalescente di un vaiolo curato male.

Ho-o-umi una valletta, separata da Typee da un basso contrafforte, e ci dirigemmo coldopo avere finalmente costretto all'obbedienza le nostre indomabili e insaziabili cavalcature. E nonostante questo, il cavallo di Warren, dopo una corsa di un miglio, scelse la parte pipericolosa del sentiero per un'esibizione che ci tenne tutti in ansia per buoni cinque minuti. Eravamo giunti all'imboccatura della valle di Typee e guardavamo giverso la spiaggia da cui Melville era scappato.

Ecco lil punto dove la baleniera stava pronta sui remi in prossimitdei frangenti, ed ecco dove Karakoee, il kanaka tab si trovava nell'acqua e si affannava a salvare la vita del navigatore. Quello, di certo, era il punto in cui Melville aveva dato l'ultimo abbraccio a Fayaway prima di lanciarsi sulla barca. Ed ecco laggila punta di terra da cui Mehevi e Mow-mow e i loro seguaci si sono buttati a nuoto per intercettare la barca, con l'unico risultato di avere i polsi tagliati dai coltelli a serramanico, quando ormai avevano posto le mani sulla murata, benchfosse riservato a Mow-mow di essere trafitto in gola dalla gaffa per mano di Melville.

Proseguimmo verso Ho-o-umi. Melville era stato sorvegliato cosstrettamente da non avere mai immaginato l'esistenza di questa valletta, per quanto dovesse incontrarne continuamente gli abitanti, che appartenevano a Typee. Passammo attraverso le stesse "pae-paes" abbandonate, ma nell'avvicinarci al mare trovammo una profusione di noci di cocco, piante del pane e macchie di aro, e una buona dozzina di capanne d'erbe. Ci accordammo di passare la notte in una di esse, e immediatamente ebbero inizio i preparativi per un banchetto. Un maialino da latte fu spacciato in un batter d'occhio, e mentre arrostiva in mezzo a pietre calde, e mentre alcuni polli stavano cuocendo in latte di cocco, convinsi uno dei cuochi ad arrampicarsi sopra un albero di cocco eccezionalmente alto. Il grappolo di noci alla sommitera a pidi centoventicinque piedi dal suolo, ma l'indigeno si mise a cavalcioni dell'albero, lo afferrcon entrambe le mani, ripiegato sulla cintola, in modo che le palme dei piedi appoggiassero piatte contro il tronco, e poi si arrampicsino in cima senza fermarsi. Non c'erano sporgenze sull'albero, non corde ad aiutarlo; semplicemente egli risall'albero camminando sino a centoventicinque piedi per aria e dalla cima gettgile noci.

Nessuno degli altri uomini avrebbe avuto l'energia fisica per una simile impresa, o meglio i polmoni, poichla maggior parte di essi non faceva che tossire. Alcune delle donne avevano i polmoni tanto malati che non cessavano di gemere continuamente. Ben pochi tra quegli uomini e donne erano puri indigeni delle Isole Marchesi, ma in maggioranza per meto per tre quarti di origine francese, inglese, danese e cinese. Nel migliore dei casi queste infusioni di sangue nuovo servivano unicamente a ritardare la morte, e - visti i risultati - ci si poteva chiedere se ne valeva la pena.

Il banchetto fu servito su un vasto "pae-pae", la cui parte posteriore era occupata dalla casa in cui avremmo dormito. La prima portata consistette in pesce crudo e "poi-poi", quest'ultimo di un gusto piforte e acre di quello del "poi" delle Hawaii, fatto con l'aro. Il "poi-poi" delle Isole Marchesi fatto con l'albero del pane. Il frutto maturo, dopo averne estratto il torsolo, messo in una zucca vuota e battuto con un pestello di pietra fino a diventare una pasta dura e appiccicosa. A questo punto, avvolto in foglie, puessere seppellito nella terra dove rimarrper anni. Prima di essere mangiato, per altre manipolazioni sono necessarie. Un pacco involto in foglie messo fra pietre calde, come si fa col maiale, e arrostito bene; in seguito viene mescolato con acqua fredda e reso pimolle - non tanto da scorrere ma abbastanza per poter essere mangiato prendendolo con due dita. Dopo averlo assaggiato pivolte, lo si apprezza come un cibo piacevole e sanissimo. E' il frutto dell'albero del pane, maturo e ben bollito o arrostito! E' delizioso! I frutti dell'albero del pane e dell'aro sono cibi da re, tutti e due, per quanto il primo abbia ovviamente un nome inesatto, e rassomigli pia una patata dolce che ad altro, pur non essendo ncosdolciastro ncosfarinoso come una patata dolce.

Terminato il banchetto, ci soffermammo a vedere la luna che saliva in cielo al disopra di Typee. L'aria era balsamica, con un vago profumo di fiori. Era una notte magica, mortalmente tranquilla, senza la minima brezza a muovere le foglie; e si tratteneva il fiato, quasi si soffriva per tanta squisita bellezza. Debole e lontano giungeva il tenue rimbombo dei frangenti sulla spiaggia. Non c'erano letti: ci sdraiammo dove la terra pareva pisoffice. Accanto a noi una donna ansimava e gemeva nel sonno, e tutto intorno a noi gli indigeni morenti tossivano nella notte.




CAPITOLO 11


L'UOMO DELLA NATURA

Lo avevo incontrato una prima volta a San Francisco, in Market Street, in un pomeriggio umido e piovigginoso, mentre camminava a lunghi passi, vestito solo con un paio di cortissimi pantaloncini e una camicia cortissima, i piedi nudi che guazzavano nella mota del selciato. Alle sue calcagna una ventina di ragazzi eccitati. Nel vederlo passare ogni testa - e ce n'erano migliaia - si voltava per gettargli uno sguardo di curiosit e anch'io mi ero voltato. Non avevo mai visto un'abbronzatura pibella. Era tutto abbronzato, di quel colore che prendono i biondi quando l'epidermide non si spella. I suoi lunghi capelli color stoppia erano pure bruciati dal sole, e cosla sua barba, evidentemente decoro di un mento che non conosceva il rasoio. Era un uomo di una tonalitrossiccia, rossiccio-dorata, che sembrava risplendere e irraggiare sole. Un altro profeta - pensai - , venuto in citta portare un suo messaggio per la salvezza del mondo.

Alcune settimane dopo mi trovavo con degli amici in una villetta sui Piedmont Hills che sovrastano la baia di San Francisco, e "lo abbiamo visto, lo abbiamo visto", strepitavano, "l'abbiamo sorpreso su un albero: ma ora quieto, mangia nella mano. Venite a vederlo".

Cosli accompagnai su per una collina scoscesa e in una malferma capannuccia in mezzo a una macchia di eucalyptus scorgemmo quel profeta abbronzato, che avevo visto per le vie della citt

Si affretta venirci incontro, in un roteare confuso di capriole. Non ci strinse la mano, anzi il suo benvenuto prese la forma di uno sfoggio di esercizi ginnastici. Fece altre capriole, contorse il suo corpo sinuosamente come un serpente, finch quando si fu sufficientemente sgranchito le membra, si chinsui fianchi e a gambe rigide e ginocchi stretti, si mise a tamburellare sul terreno con le palme delle mani; poi continua fare giravolte e piroette, a ballare e a fare capriole intorno a noi come una scimmia ubriaca. Tutto il calore solare di una vitalitardente irraggiava dal suo viso. Sono cosfelice, ecco la canzone senza parole che egli cantava.

La canttutta la sera, ritmando i vari cambiamenti di tonalitcon una varietinfinita di prodezze ginnastiche. "Un pazzo! E' un pazzo!

Ho incontrato nella foresta un pazzo!" pensai. Ma si dimostrava un pazzo sensato.

Tra capriole e girotondi, egli ci confidil suo messaggio che avrebbe salvato l'umanit Era duplice. Anzitutto, l'umanitsofferente avrebbe dovuto spogliarsi di ogni indumento e andare a fare la vita di un selvaggio sulle montagne e nelle vallate; e in secondo luogo, questo infelicissimo mondo avrebbe dovuto adottare un'ortografia fonetica. Mi vidi dinanzi i grandi problemi sociali risolti dalle popolazioni cittadine sciamanti nude per tutto il paesaggio, fra i colpi di fucile, l'abbaiare dei cani delle fattorie, e innumerevoli assalti con i forconi maneggiati da contadini inferociti.

Passarono gli anni e in un mattino soleggiato lo "Snark" ficcla sua prua in una stretta apertura della scogliera, vaporante di spuma per l'urto furioso delle onde mosse dall'aliseo, e bordeggilentamente entro il porto di Papeete. C'era un'imbarcazione, con bandiera gialla, che si dirigeva verso di noi, e sapevamo che portava l'ufficiale sanitario del porto. Ma molto indietro, nella sua scia, c'era una piccola canoa fuori scalmo che ci rese perplessi. Sventolava una bandiera rossa. La osservai accuratamente con il binocolo, per paura che indicasse qualche pericolo nascosto per la navigazione, un recente naufragio, o una boa o un segnale asportati dal mare. Poi il dottore sala bordo, e quando ebbe finito di esaminare le nostre condizioni di salute e si fu assicurato che non avevamo nessun topo vivo nascosto sullo "Snark", gli chiesi il significato di quella bandiera rossa.- Oh, Darling - fu la risposta.

E allora Darling, Ernest Darling, che inalberava la bandiera rossa, la quale significa la fraternitumana, ci salut - All Jack - grid

- AllCharmian! - Vogando rapidamente si avvicinancora di pi e io riconobbi in lui l'abbronzato profeta dei Piedmont Hills.

Si affianca noi, un dio solare cinto di un telo rosso attorno ai lombi, con dei regali arcadici quale benvenuto in ambedue le mani - una bottiglia di miele dorato, con macchie di un oro piscuro, ananassi dorati e limoni dorati, e aranci gustosi prodotti dallo stesso prezioso materiale di sole e terra. E in tal modo, sotto il sole tropicale, incontrai ancora una volta Darling, l'Uomo della Natura.

Tahiti uno dei pibei posti del mondo, popolato da ladri e truffatori e bugiardi, e anche da alcuni pochi uomini e donne onesti e sinceri. Perci a causa della maledizione scagliata sulla meravigliosa bellezza di Tahiti dalla spregevole canaglia umana che la infesta, ho deciso di raccontare non di Tahiti, ma dell'Uomo della Natura. Lui, almeno, confortante e salutare. Da lui emana un efflusso cosdolce e gentile, che non potrebbe fare del male a nessuno, ferire i sentimenti di nessuno, se non forse quelli di un capitalista rapace e plutocratico.

- Che vuol dire quella bandiera rossa? - gli domandai.

- Il socialismo, naturalmente.

- S s lo so - continuai - ma che vuol dire in mano vostra?

- Beh, che ho trovato il mio messaggio.

- E lo state forse annunciando a Tahiti? - chiesi incredulo.

- Di sicuro - rispose semplicemente: e in seguito mi accorsi che egli ne era veramente sicuro.

Dato fondo all'ancora, calammo in mare il battello e ci avviammo verso la spiaggia, seguiti dall'Uomo della Natura. Adesso, pensai, chisscome sarmortalmente perseguitato da questo pazzo; che io sia sveglio o dorma, non me ne potrpiliberare, fin quando non me ne andrvia di qui.

Ma in tutta la mia vita non feci mai sbaglio pigrande. Presi in affitto una casa per andarci a stare e a lavorare, ma l'Uomo della Natura non si avvicinmai a me: aspettava di essere invitato. Invece nel frattempo anda bordo dello "Snark", prese possesso della sua biblioteca, soddisfattissimo per l'abbondanza di libri scientifici e disgustato, come venni poi a sapere, dall'eccessivo numero di romanzi.

L'Uomo della Natura non spreca mai il suo tempo a leggere romanzi.

Dopo una settimana o due, la coscienza mi rimordeva e lo invitai a pranzo in un albergo giin citt Arrivcon un'arietta decisamente infelice, infagottato com'era in una giacchetta di cotone; invitato a togliersela, s'irradidi gioia e gratitudine, e nel farlo mise in mostra la sua pelle dorata dal sole, dalla cintola alle spalle, coperta solo da una rada rete di un tessuto grossolano. Un telo rosso attorno ai lombi completava il suo abbigliamento. Fu quella sera che incominciai a conoscerlo, e durante il mio lungo soggiorno a Tahiti la conoscenza si trasformin amicizia.

- Dunque voi scrivete dei libri - disse un giorno che, stanco e sudato, avevo appena finito il mio compito del mattino. - Anch'io scrivo dei libri - annunci

Ah, ah, pensai, sta a vedere che ora mi perseguitercon i suoi conati letterari. Provai un senso di ribellione. Non avevo fatto tutta quella strada fino ai Mari del Sud per diventare un agente letterario!

- Ecco il libro che sto scrivendo - egli spieg dandosi a pugno chiuso un colpo rimbombante sul torace. - Il gorilla nella giungla africana si batte il petto finchil rumore puessere sentito a mezzo miglio di distanza.

- Un torace ragguardevole! - dissi con ammirazione - che persino un gorilla potrebbe invidiare!

Fu allora, e in seguito che venni a sapere i particolari del libro meraviglioso scritto da Ernest Darling.

Dodici anni prima si era trovato in punto di morte; non pesava che novanta libbre ed era troppo debole per parlare. I dottori l'avevano dato per spacciato e cossuo padre, pure medico di professione. Erano stati tenuti dei consulti con altri professori, ma non si aveva pinessuna speranza di salvarlo. Uno studio eccessivo (quale maestro di scuola e studente di universit e due successive polmoniti erano state la causa del suo crollo fisico. Di giorno in giorno perdeva le forze, senza poter trarre alcun vantaggio dai cibi pesanti che gli ammannivano, mentre npillole npolverine riuscivano ad aiutare lo stomaco a compiere la sua funzione digerente. E non soltanto egli era rovinato fisicamente, ma anche mentalmente, perchil suo cervello era stato logorato dall'eccessivo lavoro. Quindi era stanco e sazio di medicine, stanco e sazio degli esseri umani; e i discorsi degli altri gli riuscivano insopportabili, le attenzioni altrui lo facevano impazzire. Gli venne l'idea, dal momento che doveva morire, che avrebbe potuto altrettanto bene morire all'aria aperta lontano da ogni fonte di cruccio e di irritazione. E dietro questa idea se ne insinuun'altra; che forse, dopo tutto, non sarebbe morto, se soltanto fosse riuscito a sfuggire ai cibi pesanti, alle medicine e alle persone piene di buone intenzioni che lo facevano impazzire.

CosErnest Darling, un mucchietto di ossa e un teschio da morto, un cadavere ambulante, con in sappena il pitenue fremito di vita bastante a farlo muoversi; voltla schiena agli uomini e alle loro case e si trascinper cinque miglia attraverso la boscaglia, lontano dalla cittdi Portland nell'Oregon. Naturalmente era un pazzo.

Soltanto un pazzo si sarebbe trascinato fuori dal suo letto di morte.

Ma nella boscaglia Darling trovquello che cercava - il riposo.

Nessuno lo importunava con bistecche e carne di maiale, nessun dottore lacerava i suoi nervi tesi tastandogli il polso, o tormentava il suo stomaco stanco con pillole e polverine. Incomincia sentirsi picalmo. Il Sole splendeva caldo, e lui ci si scaldava, provando la sensazione che la luce del Sole fosse un elisir di salute. Poi gli parve che tutto quanto il suo corpo consunto chiedesse il Sole. Si tolse i vestiti e fece dei bagni di Sole. Si sentmeglio. Ne ebbe un giovamento - il primo senso di sollievo in lunghi mesi di sofferenza.

Man mano che migliorava, si mise a sedere e incomincia guardarsi attorno. Era tutto un battito d'ali e un cinguett髺 di uccelli, intorno a lui; gli scoiattoli giocavano chiacchierini. Invidiava la loro salute e il loro buon umore, la loro esistenza felice, senza preoccupazioni. Che dovesse contrapporre le loro condizioni di vita alle proprie, era inevitabile; e inevitabile pure che si dovesse chiedere perchessi apparivano cosvigorosi, mentre egli era una debole larva di uomo morente. La sua conclusione fu la piovvia, ossia che essi vivevano naturalmente, mentre egli viveva nel modo piinnaturale. Quindi, se voleva vivere, doveva tornare alla natura.

Solo lnella boscaglia, meditil suo problema e comincisubito ad attuare i risultati della sua meditazione. Si tolse ogni indumento, andin giro facendo salti e sgambetti, camminando a quattro zampe, arrampicandosi sugli alberi, insomma facendo delle prodezze ginnastiche - e intanto continuando a impregnarsi della luce del Sole.

Imitgli animali. Si costruun nido di foglie secche e di erbe per dormirci la notte, ricoprendolo di corteccia quale protezione dalle prime piogge autunnali.

- Ecco un bell'esercizio - mi disse una volta, agitando le braccia e dandosi dei colpi sui fianchi - l'ho imparato guardando i galli, quando cantano - Un'altra volta notai il suo modo sonoro, aspirante di bere un sorso di latte di cocco, ed egli mi spiegdi avere osservato che le mucche bevevano a quel modo e di averne concluso che doveva esserci qualcosa di buono. Aveva provato il metodo, lo aveva trovato giovevole - e da allora aveva bevuto a quel modo.

Osservche g]i scoiattoli si cibavano di frutta e di noci, e iniziuna dieta di frutta e noci, con l'aggiunta di pane, e diventforte e comincia crescere di peso. Per tre mesi continuquesta esistenza primitiva nella boscaglia, poi le forti piogge dell'Oregon lo costrinsero a rientrare nelle abitazioni umane. Un essere di novanta libbre, che aveva superato due attacchi di polmonite, non poteva certamente acquistare in tre mesi una robustezza sufficiente a permettergli di vivere all'aperto nell'inverno dell'Oregon.

Aveva gifatto molto, ma perchvi era stato costretto dalle circostanze. Ora non gli restava che tornare a casa, da suo padre; e l vivendo in camere chiuse con i polmoni che anelavano a tutta l'aria del cielo aperto, fu di nuovo ridotto male da un terzo attacco di polmonite. Divenne pidebole di quanto non fosse mai stato prima, e in quel vacillante tabernacolo di carne, la mente subun collasso.

Stava sempre disteso, come un morto; troppo debole per resistere alla fatica di parlare, troppo irritato e stanco di cervello per ascoltare con interesse i discorsi degli altri. Il solo atto di volontdi cui era capace era quello di ficcarsi le dita nelle orecchie e rifiutarsi risolutamente a sentire una sola parola che gli fosse detta. Furono chiamati degli psichiatri, che lo giudicarono pazzo, ma dichiararono anche che non sarebbe vissuto pia lungo di un mese.

Da uno di questi psichiatri venne spedito in una clinica sul monte Tabor. Qui, quando si accorsero che era inoffensivo, lo lasciarono libero di fare come voleva e non gli prescrissero piquello che doveva mangiare; cosritornalla frutta e alle noci - olio d'oliva, burro di noccioline e banane erano gli elementi principali della sua alimentazione. Quando ebbe ripreso le forze, decise di vivere da ora in avanti come voleva lui. Se fosse vissuto come gli altri, secondo le convenzioni sociali, sarebbe morto di certo. E non voleva morire. La paura della morte fu uno dei fattori pidecisivi nella genesi dell'Uomo della Natura. Per vivere, doveva seguire una dieta naturale, vivere all'aria aperta e nella benedetta luce solare.

Ora un inverno nell'Oregon non offre proprio nessuna attrattiva a chi desideri tornare alla natura; perciDarling si mise alla ricerca di un altro clima, inforcuna bicicletta e si diresse verso il sud, verso le terre assolate. La Stanford University lo trattenne per un anno, e qui egli studie lavorcome piaceva a lui, assistendo alle lezioni nell'abbigliamento pisuccinto permesso dalle autorit e applicando per quanto gli era possibile i princ髹i di vita appresi nel mondo degli scoiattoli. Il suo metodo prediletto di studio consisteva nell'andare sulle colline dietro l'Universit lspogliarsi e sdraiarsi sull'erba, imbevendosi di Sole e di salute, mentre s'imbeveva anche di cultura.

Ma anche la California Centrale ha i suoi inverni e la ricerca di un clima adatto all'Uomo della Natura lo spinse oltre. TentLos Angeles e la California Meridionale, pivolte arrestato e portato davanti alle commissioni psichiatriche perch in verit il suo modo di vivere non corrispondeva a quello degli altri uomini. Tentle Hawaii, dove, non potendo provare la sua pazzia, le autoritgli intimarono di andarsene. Non lo scacciarono esattamente: avrebbe potuto rimanere se avesse fatto un anno di prigione. Gli lasciarono la scelta. Ora la prigione morte per l'Uomo della Natura, che prospera solo all'aria aperta e nella luce del Sole dato a noi da Dio. Le autoritdi Hawaii non possono essere biasimate. Qualsiasi uomo che non vada d'accordo con un altro indesiderabile. E il fatto che nessun uomo poteva andare d'accordo con Darling per il suo modo di applicare senza limiti la sua filosofia della vita semplice giustifica abbondantemente le autorithawaiane per il loro verdetto sulla sua qualitdi indesiderabile.

CosDarling se ne andvia anche da qui alla ricerca di un clima che non soltanto fosse desiderabile, ma dove non sarebbe stato indesiderabile. E lo trova Tahiti, giardino di tutti i giardini. E fu l come abbiamo narrato, che scrisse le pagine del suo libro. Non porta che un telo attorno ai lombi e una camicia di rete senza maniche. Il suo peso, nudo, di centosessantacinque libbre. La sua salute perfetta. La vista, gidichiarata rovinata, eccellente, i polmoni, praticamente distrutti dai tre attacchi di polmonite, non solo sono guariti, ma sono pirobusti che mai.

Non dimentichermai la prima volta che egli schiacciuna zanzara, mentre mi parlava. Questa pestifera punzecchiatrice si era fissata nel mezzo del suo dorso tra le spalle. Senza interrompere il discorso, senza neppure tralasciare una sillaba, egli drizzil suo pugno chiuso nell'aria, lo abbass si colpil dorso tra le spalle, ammazzando la zanzara e facendo risuonare il torace come un sonoro tamburo. A nessun'altra cosa mi fece pensare quanto ai cavalli che nelle scuderie tirano calci contro le partizioni di legno.

- Il gorilla nella giungla africana si batte il petto finchil rumore puessere sentito a un miglio di distanza - mi annunciava improvvisamente, e incominciava un tambureggiare insopportabile, diabolico, sul proprio torace.

Un giorno notun paio di guanti da boxe appesi alla parete. I suoi occhi si illuminarono all'istante:

- Sapete fare la lotta ? - gli chiesi.

- Quando ero a Stanford, davo lezioni di boxe - fu la risposta.

E immediatamente ci spogliammo e infilammo i guanti. Bang! Un lungo braccio scimmiesco lampeggi stampando l'estremitguantata sul mio naso. Bif! In un tuffo improvviso egli mi raggiunse su un lato della testa quasi buttandomi gidi fianco. Mi rimase un bozzo per una settimana, in seguito a quel colpo. Mi chinai per evitare un diretto sinistro e gli sferrai un diretto destro sullo stomaco. Era un colpo terribile. L'intero peso del mio corpo lo appoggiava e incontril suo corpo, mentre egli si protendeva in avanti. Mi aspettavo che si piegasse e finisse per terra. Invece la sua faccia espresse un'approvazione soddisfatta ed egli esclam - Bel colpo! -. L'istante appresso io cercavo di difendermi da una gragnuola di colpi, spintoni e uppercuts. Poi aspettai il momento buono e mirai al plesso solare.

colpendo nel segno. L'Uomo della Natura abbassle braccia, respiraffannosamente e si sedette:

- Passersubito - disse - aspettate un momento solo.

E trenta secondi dopo egli era di nuovo in piedi - s e mi restituiva il complimento, agganciandomi nel plesso solare, e a mia volta io respiravo affannosamente, abbassavo le braccia e mi sedevo un poco piimprovvisamente di quanto non avesse fatto lui.

Tutto questo io lo racconto per provare che l'uomo con cui feci la lotta era un individuo completamente differente dal povero essere del peso di novanta libbre di otto anni prima, l'essere che, dato per spacciato da medici e alienisti, stava lentamente spegnendosi in una stanza chiusa di Portland nell'Oregon. Il libro che Ernest Darling ha scritto un buon libro, ed buona anche la sua rilegatura.

Hawaii per anni ha lamentato il proprio fabbisogno di immigranti desiderabili, e ha speso molto tempo, fatica e denaro nell'importare dei cittadini desiderabili, ma finora non si puvantare dei risultati. Eppure Hawaii ha scacciato l'Uomo della Natura, gli ha rifiutato una possibilitdi vita. Cos per castigare questa mentalitorgogliosa di Hawaii, colgo l'occasione per mostrarle quanto ha perduto, scacciando l'Uomo della Natura.

Quando egli giunse a Tahiti, comincicol cercare un pezzo di terra, dove coltivare il cibo di cui si nutriva, ma era difficile trovare della terra - ciodella terra che costasse poco. L'Uomo della Natura non nuotava nell'abbondanza. Per intere settimane andvagando per i monti scoscesi finch su in alto sulla montagna, dove era un succedersi di tanti piccoli canyon, trovottanta acri di boscaglia, che sembravano non appartenere a nessuno. I funzionari del governo gli dissero che, se avesse voluto disboscare la terra e coltivarla per trent'anni, gliene avrebbero riconosciuto la propriet

Immediatamente si mise al lavoro, e non si vide mai un simile lavoro.

Nessuno coltivava a quell'altezza: il terreno era coperto da un groviglio di giungla, e ci scorrazzavano cinghiali e innumerevoli topi. La vista di Papeete e del mare era magnifica, ma le prospettive non sembravano incoraggianti. Gli ci vollero settimane pcr costruire una strada in modo da poter accedere alla piantagione, e cinghiali e topi divoravano qualsiasi cosa lui piantasse, non appena spuntava.

Uccise i maiali, prese in trappola i topi; di questi ultimi, in sole due settimane, ne acchiappmillecinquecento. Doveva portare a dorso ogni cosa, e di solito faceva la notte questo lavoro di bestia da soma.

A poco a poco incominciad avere il sopravvento; si costruuna casetta dalle pareti d'erba, e sul terreno vulcanico, fertile, che aveva strappato alla giungla e agli animali della giungla, fece crescere cinquecento alberi di cocco, cinquecento papaye, trecento manghi, molti alberi da pane e peri d'alligatore per non parlare delle vigne, degli arbusti e dei legumi. Accentula pendenza dei declivi nei canyon, e fece funzionare un efficiente sistema d'irrigazione, scavando canali paralleli tra un canyon e l'altro a differenti quote.

I suoi stretti canyon diventarono dei giardini botanici. Le aride balze dei monti, dove prima il Sole bruciante aveva inaridito la giungla, abbassandola quasi al livello del suolo, produssero alberi e arbusti e fiori. Non soltanto l'Uomo della Natura ormai bastava a se stesso, ma era divenuto un prospero coltivatore di prodotti che vendeva ai cittadini di Papeete.

Si scoprallora che la sua terra la quale, secondo l'informazione data dai funzionari del Governo, era senza proprietario, ne aveva realmente uno, e che atti, descrizione eccetera, tutto era registrato.

Tutto il suo lavoro sarebbe andato perduto. La terra non valeva niente, quando lui l'aveva presa; e il proprietario, un facoltoso possessore di terre, ignorava fino a che punto l'Uomo della Natura l'avesse resa fertile. Si concordun prezzo equo, e l'atto di acquisto di Darling fu redatto regolarmente.

Ma venne poi un colpo piterribile. L'accesso di Darling al mercato fu distrutto. La strada, che lui aveva costruito, fu chiusa con un triplice ferro spinato, per uno di quegli imbrogli negli affari umani coscomuni in questo nostro assurdissimo sistema sociale. Dietro a esso si celava la lunga mano di quell'elemento conservatore che aveva trascinato l'Uomo della Natura davanti alla Commissione per gli alienati di Los Angeles e che lo aveva bandito da Hawaii. E' cosdifficile per uomini soddisfatti di loro stessi comprendere qualsiasi uomo le cui soddisfazioni siano completamente diverse. E' evidente che i funzionari governativi s'erano messi d'accordo con l'elemento conservatore, perchancora oggi la strada costruita dall'Uomo della Natura chiusa: nulla stato fatto in proposito, e da ogni parte appare evidente l'ostinata volontdi non fare niente. Ma l'Uomo della Natura va avanti per la sua strada danzando e cantando. Non passa le notti a ripensare ai torti che gli sono stati fatti, lascia le preoccupazioni a chi ha commesso questi torti. Non perde tempo in queste amarezze. Crede di essere al mondo per essere felice e non ha un momento da sprecare in altri scopi.

La strada che porta alla sua piantagione bloccata, negli pucostruire una nuova strada, perchnon c'suolo su cui lo possa fare.

Il Governo gli ha concesso soltanto un sentiero da cinghiali, che sale ripido su per la montagna. L'ho percorso con lui, e dovemmo arrampicarci con mani e piedi per riuscire a salire, nesso potrebbe essere trasformato in una strada, per quanto ci si fatichi, se non con l'aiuto di un ingegnere, di un motore e di un cavo d'acciaio. Ma che importa all'Uomo della Natura? Nella sua etica di mitezza, egli ricambia con la bontil male che gli uomini gli fanno. E chi sa se egli non pifelice di loro!

- Non preoccupiamoci della loro dannata strada - mi disse quando, dopo esserci issati faticosamente su una roccia, ci sedemmo ansanti a riposare. - Presto mi procurerun aereo e me ne riderdi loro. Sto disboscando uno spiazzo per farne un campo d'atterraggio, e la prossima volta che voi arriverete a Tahiti, scenderete proprio davanti alla mia porta.

S l'Uomo della Natura ha delle idee strane, oltre a quella del gorilla che si batte il torace nella giungla africana. L'Uomo della Natura ha delle idee personali anche riguardo alla levitazione. - S- mi disse - la levitazione non impossibile. E pensate che cosa magnifica, sollevarsi dal suolo con un atto di volont Pensateci! Gli astronomi ci dicono che tutto il nostro sistema solare si sta spegnendo e che, a meno di imprevisti, tutto diventercosfreddo, che nessuna vita sarpipossibile. Benissimo. Quel giorno tutti gli uomini saranno diventati abili levitazionisti, e lasceremo questo pianeta moribondo per cercare dei mondi piospitali. Come si pueffettuare la levitazione? Con salti progressivi. S ho provato e alla fine mi sentivo realmente diventare pileggero.

Quest'uomo un maniaco, pensai.

- Naturalmente - egli aggiunse - queste non sono che teorie mie. Mi piace speculare su un futuro glorioso dell'umanit Puanche darsi che la levitazione non sia possibile, ma mi piace pensare che lo sia.

Una sera, vedendolo sbadigliare, gli chiesi quante ore di sonno si concedeva.

- Sette - fu la risposta. - Ma fra dieci anni dormirsolo sei ore, e fra venti solo cinque. Vedete, diminuirun'ora di sonno ogni dieci anni.

- Allora, quando sarete centenario, non dormirete pidel tutto - esclamai.

- Proprio cos Esattamente. Quando avrcent'anni, non avrpibisogno di sonno. E inoltre, vivrd'aria. Ci sono delle piante che vivono d'aria, sapete.

- Ma c'stato qualche uomo che sia riuscito a farlo?

Scrollil capo.

- Non l'ho mai sentito dire. Ma non che una teoria mia, questa, di vivere d'aria. Sarebbe bello, vero? Naturalmente puanche essere impossibile, molto probabilmente lo sar Vedete, non che io non pensi al lato pratico. Non dimentico mai il presente. Quando mi elevo nel futuro, lascio sempre un filo con cui ritrovare la strada per tornare indietro.

Ho paura che l'Uomo della Natura sia un burlone. Ad ogni modo vive la sua semplice vita. Il suo conto della lavandaia non dev'essere forte.

Su nella sua piantagione vive di frutta, il cui costo lavorativo, tradotto in moneta sonante, secondo lui di cinque cents al giorno.

Attualmente, sia per la strada ostruita, sia perchsi dato a fare propaganda di socialismo, vive in citt dove le sue spese, affitto compreso, sono di venticinque cents al giorno. Per pagare queste spese, tiene un corso serale per cinesi.

L'Uomo della Natura non un fanatico. Quando non c'nulla di meglio da mangiare che carne, mangia la carne, e cosanche, ad esempio, quando in prigione o a bordo di una nave e non ci sono pinnoci nfrutta. Nsembra categorico in nulla, eccetto nella questione dell'abbronzatura.

- Date fondo all'ancora ovunque e l'ancora arer ciose la vostra anima un mare illimitato, insondabile, e non una pozzanghera per cani - cit e aggiunse: - Vedete, la mia ancora sta sempre arando.

Vivo per la salute e il progresso dell'umanit e cerco che la mia ancora ari sempre in quella direzione. Per me le due cose sono identiche. L'ancora che ara quella che mi ha salvato. La mia ancora non faceva presa, quando ero sul letto di morte. La trascinai nella boscaglia e me ne risi dei dottori. Quando ebbi recuperato forza e salute, incominciai con la parola e con l'esempio a insegnare alla gente a diventare uomini e donne della natura; ma essi non vollero sentirmi. Poi sul piroscafo che mi portava a Tahiti, un secondo capo mi spiegil socialismo e mi dimostrche era necessaria una perequazione economica prima che donne e uomini potessero vivere secondo natura. Costrascinai nuovamente l'ancora e ora sto lavorando per una comunitcooperativistica. Quando questa si avverer sarfacile realizzare un modo di vivere naturale.

- Ho fatto un sogno la notte scorsa - continupensieroso, mentre il suo viso lentamente si stava rischiarando. - Mi pareva che venticinque uomini e donne, decisi a vivere in modo naturale fossero appena arrivati sul piroscafo dalla California, e che io mi avviassi a salire con loro il sentiero da cinghiali che porta alla piantagione.

Oh caro Ernest Darling, adoratore del Sole e Uomo della Natura, ci sono dei momenti in cui non posso fare a meno di invidiare te e la tua esistenza spensierata. Ti vedo ora, mentre sali i gradini a passo di danza e sgambetti nella veranda, i capelli gocciolanti per un tuffo nel mare, gli occhi brillanti, il tuo corpo dorato dal Sole risplendente, il torace che rimbomba per un tamburinare diabolico, mentre canti: "Il gorilla nella giungla africana si batte il torace finchil rimbombo puessere sentito a mezzo miglio di distanza". E ti vedrsempre come ti vidi quell'ultimo giorno, quando una volta ancora lo "Snark" ficcla prua attraverso il passaggio nella scogliera spumeggiante, dirigendo verso il mare aperto, e io salutavo i rimasti sulla spiaggia.

Il gesto con cui dissi addio al dorato dio del Sole, con il suo telo rosso intorno ai lombi, dritto in piedi nella sua piccola canoa fuori scalmo, fu tra i pibenevoli e affettuosi.




CAPITOLO 12


IL REGNO DELL'ABBONDANZA

"Quando arrivano degli stranieri, ognuno cerca di prendersene uno come amico e di portarselo nella propria casa, dov'trattato con la massima gentilezza dagli abitanti del distretto; lo mettono sopra un alto sedile e lo nutrono abbondantemente con i cibi migliori".

("Ricerche sulla Polinesia").

Lo "Snark" era alla fonda a Raiatea, proprio al largo del villaggio di Uturca; arrivati la sera prima, a crepuscolo calato, ci stavamo preparando per la nostra prima gita a terra. Di buon mattino avevo notato una minuscola canoa a bilanciere con una vela a tarchia impossibile, che sfiorava lo specchio d'acqua della laguna. La canoa stessa era a forma di bara, semplicemente scavata in un tronco, lunga quattordici piedi, larga dodici pollici scarsi e profonda forse ventiquattro. Non aveva sagoma, eccetto il fatto che era appuntita in ambedue le estremit I fianchi erano diritti. Priva del bilanciere, si sarebbe capovolta in un decimo di secondo. Era il bilanciere che la teneva dritta.

Ho detto che quella vela a tarchia era impossibile: e lo era. Era una di quelle cose, non che bisogna vedere per crederci, ma che non si possono credere neppure dopo averle viste. La caduta e il bordame erano giterrificanti, ma, non contento di questo, il suo artefice le aveva dato un'antenna smisurata, coslunga che in nessun modo avrebbe potuto sostenere lo sforzo anche con un vento moderato. Cosalla canoa era stato assicurato un tangone, che si protendeva verso poppa sull'acqua. A questo erano stati fissati due canapi; in questo modo il bordame della vela era sostenuto dalla scotta e l'antenna dal vento.

Non era una semplice barca, non era una semplice canoa, ma un meccanismo a vela. E l'uomo che ci stava dentro lo governava con il suo peso e con il suo coraggio, soprattutto con quest'ultimo. Rimasi a guardare la canoa bordeggiare da sottovento e filare verso il villaggio con l'unica persona a bordo tutta spostata all'infuori sul bilanciere, orzando o puggiando a seconda delle raffiche di vento.

- Beh, so una cosa - annunciai - non lascerRaiatea prima di aver fatto una corsa su quella canoa.

Pochi minuti dopo Warren mi chiamava dall'alto della scaletta: - C'qui quella canoa di cui parlavate.

Immediatamente balzai in coperta per accogliere il suo proprietario, un polinesiano alto, snello, dal viso ingenuo e dagli occhi chiari, brillanti, intelligenti. Portava un telo scarlatto attorno ai fianchi e un cappello di paglia. In mano recava dei doni - un pesce, un mazzo di legumi e parecchi enormi ignami. Tutto questo accompagnato da cenni del capo e da sorrisi (che sono ancora moneta corrente in alcuni luoghi isolati della Polinesia) e da frequenti ripetizioni di "mauruuru" (grazie in tahitiano). Mi accinsi a fargli capire a gesti che desideravo fare una corsa con la sua canoa. Il suo viso s'illumindi piacere e disse una sola parola "Tahaa", voltandosi nello stesso tempo e designando le cime elevate, coronate da nubi, di un'isola distante tre miglia - l'isola di Tahaa. C'era un buon vento fuori, ma un po' troppo di prua.

Ora io non avevo nessuna intenzione di andare a Tahaa. A Raiatea dovevo consegnare delle lettere, vedere dei funzionari, e sotto coperta Charmian si preparava per andare a terra. Con gesti insistenti feci capire che non desideravo altro che una rapida corsa nella laguna. Una rapida ombra di disappunto apparve sul suo volto, ma sorridendo assent

- Vieni a fare una corsa - chiamai Charmian che era sotto - ma mettiti in costume da bagno. Ci bagneremo.

Non fu una cosa reale, fu un sogno. Quella canoa scivolava sull'acqua come una stria argentea. Io mi spostai in fuori sul bilanciere e feci da contrappeso per tenerla dritta, mentre Tehei (da pronunciarsi Te- he-yi) forniva il coraggio, e anche lui, sotto le raffiche, veniva un po' fuori sul bilanciere, governando nello stesso tempo con tutte e due le mani per mezzo di una grossa pagaia e tenendo con il piede la scotta.

- Pronti a virare! - grid

Accuratamente spostai il mio peso dentro la barca per mantenere l'equilibrio, mentre la vela si afflosciava.

- Tutto alla puggia - grid venendo velocemente al vento.

Scivolai fuori dal lato opposto al di sopra dell'acqua, sull'asta assicurata di traverso alla canoa, e ci trovammo in piena vela e in velocitsull'altro fianco.

- Bene - disse Tehei.

Quelle tre frasi, "pronti alla vira", "tutto alla puggia" e "bene" costituivano tutto il vocabolario inglese di Tehei e mi indussero a sospettare che un tempo avesse fatto parte di un equipaggio kanaka agli ordini di un comandante americano. Tra una raffica e l'altra gli feci dei cenni e ripetutamente e in tono interrogativo pronunciai la parola "marinaio" in inglese, poi tentai di dirla in un francese atroce. Ma "marin" non voleva dire niente per lui, e neppure "matelot". O il mio francese era cattivo, o lui non era in grado di capirlo. In seguito venni alla conclusione che tutte e due le congetture erano esatte. Alla fine incominciai a elencare le isole vicine. Col capo accenndi esserci stato. Quando la mia inchiesta giunse a Tahiti, capa che cosa miravo. L'evoluzione del suo pensiero era quasi visibile, ed era un piacere vederlo pensare. Accennenergicamente con il capo. S era stato a Tahiti, e aggiunse egli stesso nomi di isole come Tikitau, Rangiroa e Fakarava, provando cosdi aver navigato fino alle Paumotu - indubbiamente come membro dell'equipaggio di una nave mercantile.

Dopo la nostra breve navigazione, quando egli fu tornato a bordo, a segni si informdella destinazione dello "Snark", e quando io ebbi menzionato Samoa, le Figi, ]a Nuova Guinea, la Francia, l'Inghilterra e la California, secondo la loro successione geografica, egli disse "Samoa" e a gesti fece capire che avrebbe voluto andarci. Al che mi trovai in difficoltper spiegargli che a bordo non c'era posto per lui. "Petit bateau" finalmente ci riusc e di nuovo il disappunto sul suo viso si una una sorridente acquiescenza, e prontamente ripetpivolte l'invito ad accompagnarlo a Tahaa.

Charmian e io ci guardammo. L'ebbrezza del volo appena fatto era ancora in noi. Lettere da portare a Raiatea, funzionari da vedere, tutto fu dimenticato. Un paio di scarpe, una camicia, un paio di calzoni, sigarette, fiammiferi e un libro da leggere furono ficcati di furia in una latta da biscotti e avvolti in un telo di gomma, e scavalcato il bastingaggio, scendemmo nella canoa.

- Quanto vi dovremo aspettare? - chiese Warren mentre il vento gonfiava la vela e spingeva me e Tehei precipitosamente sul bilanciere.

- Non so - risposi - quando torneremo; non vi saprei dire altro!

E ce ne andammo via. Il vento era aumentato e con le scotte allascate noi correvamo in poppa. Il bordo libero della canoa non era pialto di due pollici e mezzo, e la maretta continuamente si riversava oltre il bordo, ciche rendeva necessario sgottare. Ora sgottare una delle funzioni principali della "vahine", il nome della donna in tahitiano, e poichCharmian era l'unica donna a bordo, la funzione spettgiustamente a lei. Tehei e io non avremmo potuto farlo bene, essendo tutti e due in parte appollaiati fuori sul bilanciere e occupati a mantenere dritta la canoa. CosCharmian sgott con una sassola di legno dalla forma primitiva, e lo fece cosbene che ci furono dei momenti in cui poteva stare in riposo buona parte del tempo!

Raiatea e Tahaa formano una cosa sola, perchsi trovano tutte e due all'interno di una stessa scogliera che le circonda. Tutte e due sono isole vulcaniche, che si stagliano con una linea dentata sull'orizzonte, con vette e punte aguzze che tendono al cielo. Dal fatto che Raiatea ha una circonferenza di trenta miglia e Tahaa di quindici si puricavare un'idea della scogliera che le racchiude. Tra le isole e la scogliera c'una distesa d'acqua larga da un miglio a due, che forma una bella laguna. I grandi frangenti del Pacifico, che si stendono in una linea ininterrotta talvolta per un altro miglio o due di lunghezza, si scagliano sulla scogliera, impedendo e ricadendo su di essa con uno schianto tremendo; eppure la fragile struttura corallina resiste all'urto e protegge la terra. Fuori, l'imbarcazione pirobusta minacciata di distruzione, all'interno regna la calma delle acque tranquille, dove una canoa come la nostra poteva veleggiare con appena un paio di pollici di bordo libero.

Volavamo sull'acqua. E che acqua! chiara come la fonte pichiara, e cristallina nella sua limpidezza, tutta percorsa da uno sfolgor髺 di colori e sfumature dell'arcobaleno - una cosa da impazzire! - ma pisplendidamente smaglianti che in qualsiasi arcobaleno. Il verde giada si alternava al turchino, il blu pavone allo smeraldo, mentre ora la canoa passava sfiorandole su acque di un rosso purpureo, e ora su altre di un bianco tremulo, scintillante, ldove il fondo era di finissima sabbia corallina, su cui posavano mostruosi molluschi. Un momento ci trovavamo sopra a un giardino delle meraviglie di corallo, in cui pesci colorati folleggiavano, svolazzando come farfalle marine; un momento dopo sfrecciavamo attraverso l'oscura superficie di canali profondi, da cui sciami di pesci volanti si levavano in un argenteo volo: e in un terzo ancora eravamo sopra altri giardini di corallo vivo, ognuno pimeraviglioso dell'altro. E su tutto incombeva il cielo tropicale, da aliseo, con le nuvole fioccose, in corsa attraverso lo zenit, che riempivano l'orizzonte con le loro soffici masse.

Quasi senza accorgercene, ci trovammo vicini a Tahaa (da pronunciarsi Tah-ah-ah, con ogni sillaba accentata), mentre Tehei sorridendo esprimeva la sua approvazione per l'efficiente sgottare della "vahine". La canoa si arensulla spiaggia bassa a venti piedi da terra e guadammo attraverso un fondo morbido, dove grossi molluschi si arricciavano e torcevano sotto i nostri piedi e dove minuscoli cefalopodi segnalavano la loro esistenza per la superlativa morbidezza su cui si camminava.

Accanto alla spiaggia, tra palme di cocco e alberi di banane, elevata su trampoli, fatta di bambe con un tetto d'erbe, c'era la casa di Tehei. E da essa uscfuori la "vahine" di Tehei, una snella figurina di donna dagli occhi dolci e dalle fattezze mongoliche - se pure lei non discendeva da una razza indiana del Nord America. "Bihaura", la chiamTehei, ma non pronunciquesto nome secondo le norme inglesi di pronuncia. Compitil nome in modo che suonava come "Bi-ah-uu-rah" con ogni sillaba fortemente accentata.

Lei prese per mano Charmian e la guidnella casa, lasciando che Tehei e io le seguissimo. E qui, mediante gesti il cui significato non poteva essere frainteso, fummo informati che tutto quanto essi possedevano era nostro. Nessun hidalgo fu mai pigeneroso nell'offrire, mentre sono sicuro che pochi hidalghi lo furono mai altrettanto nel dare realmente.

Ben presto scoprimmo che non dovevano ammirare ciche loro possedevano, perchnon appena ammiravamo un determinato oggetto, esso ci era immediatamente regalato. Le due "vahine", com'costume delle "vahine", si misero a esaminare e a discutere degli aggeggi donneschi, mentre Tehei e io, come usano fare gli uomini, guardavamo gli attrezzi da pesca e per la caccia al cinghiale, e anche un'ingegnosa apparecchiatura per prendere dei tonni con aste da quaranta piedi, stando su canoe accoppiate. Charmian ammirun cestino da lavoro - il pibell'esempio di cesto polinesiano che avesse mai visto: e fu suo.

Io ammirai un amo per tonni, scavato in un pezzo solo in una conchiglia madreperlacea: e fu mio. Charmian fu attirata da una buffa treccia di corda di paglia, un rotolo lungo trenta piedi, sufficiente a fare un cappello di qualsiasi forma: e il rotolo di treccia fu suo.

Il mio sguardo indugisu un mortaio per il "poi", che risaliva all'epoca della pietra: fu mio. Charmian si soffermun po' troppo a lungo su una ciotola di legno per il "poi" a forma di canoa, con quattro piedini, tutta ricavata da un solo pezzo di legno: fu sua. Io guardai una seconda volta una gigantesca fiasca di cocco: e fu mia.

Allora Charmian e io ci riunimmo a colloquio e decidemmo di non ammirare piniente - non perchla cosa non fosse redditizia, ma perchlo era fin troppo. Di pici stavamo tormentando le meningi per trovare a bordo dello "Snark" dei regali che potessero servire al contraccambio. Il problema dei regali natalizi un'inezia in confronto a un'orgia di regali polinesiana.

Ci sedemmo sotto il portico fresco, sulle migliori stuoie di Bihaura, mentre preparavano il pranzo, e nello stesso tempo facemmo la conoscenza degli abitanti del villaggio. Si presentavano a gruppi di due o tre o piancora, ci stringevano la mano, pronunciando la parola tahitiana di benvenuto - "Ioarana", pronunciato yo-rahnah. Gli uomini, bei tipi aitanti, portavano un telo intorno ai lombi, e certi erano con la camicia e certi senza, mentre le donne indossavano l'universale "ahu", una specie di grembiale per persone grandi, che cadeva in pieghe graziose dalle spalle fino a terra. Era triste vedere l'elefantiasi da cui alcune di esse erano afflitte. Per esempio una bella donna dalle forme magnifiche, e dal portamento regale, era rovinata da un braccio quattro - o dodici volte - pigrosso dell'altro. Accanto a lei stava un uomo alto sei piedi, dritto, dalla muscolatura possente, abbronzato, con il corpo di un dio, ma con piedi e polpacci cosgonfi che si confondevano formando qualcosa di informe, di mostruoso, che si sarebbe potuto prendere per gambe di elefante.

Sembra che nessuno conosca realmente la causa dell'elefantiasi dei Mari del Sud. Secondo una teoria, essa causata dal bere acqua infetta, secondo un'altra da un'intossicazione dovuta a morsicature di zanzare. Una terza teoria l'attribuisce a predisposizione, piun processo di acclimatazione. D'altro lato nessuno che viva in un perpetuo terrore di questa e di altre malattie del genere si pupermettere di viaggiare nei Mari del Sud. Ci saranno dei momenti in cui bisogna bere dell'acqua, e ci saranno anche dei momenti in cui le zanzare cominceranno a pinzare. Ma ogni precauzione di genere schizzinoso sarinutile. Se si corre a piedi nudi sulla spiaggia per gettarsi in acqua, si mettono i piedi dove pochi minuti prima li ha messi un malato di elefantiasi. Se ci si rinchiude nella propria casa, ogni boccone di cibo fresco che verrin tavola avrpotuto essere contaminato, sia che si tratti di carne o di pesce o di selvaggina o di legumi. Al mercato pubblico di Papeete due ben noti lebbrosi hanno dei banchi di vendita, e Dio solo sa per quale tramite vi arrivano quotidianamente i rifornimenti di pesce, frutta, carne e legumi.

Il solo modo di viaggiare spensieratamente nei Mari del Sud quello di farlo con una certa noncuranza, senza apprensioni e con una fede simile a quella degli Scienziati Cristiani nel brillante destino della propria stella. Quando vedete una donna, affetta da elefantiasi, che a mani nude fa sprizzare il latte dalla polpa della noce di cocco, bevete e pensate a quanto buono il latte, dimenticando le mani che lo hanno spremuto. E ricordate anche che malattie quali l'elefantiasi e la lebbra non pare che si possano trasmettere per contagio.

Ci fermammo a guardare una donna di Raratonga, dalle membra gonfie e distorte, che preparava il nostro latte di cocco, e poi andammo al capannone della cucina, dove Tehei e Bihaura facevano cuocere il pranzo, e questo ci fu poi servito nella casa sopra una scatola di latta. I nostri ospiti attesero che noi avessimo finito e poi si prepararono la loro tavola per terra. Ma il nostro pranzo!

Indubbiamente ci trovavamo nel regno dell'abbondanza! Anzitutto ci fu del magnifico pesce crudo, preso in mare alcune ore prima e lasciato a macerare in sugo di limone diluito con acqua. Poi venne un pollo arrosto; due noci di cocco, di una dolcezza un po' aspra, servivano da bevanda. C'erano delle banane che avevano il sapore di fragole e che si disfacevano in bocca, e c'era un "poi" di banana cosbuono da far rimpiangere che i nostri antenati americani abbiano mai tentato di fare dei pudding. Poi c'era dell'igname bollito, dell'aro bollito, e dei "fei" arrostiti, i quali ultimi non sono npinmeno che grosse banane da far cuocere, polpose, sugose, di colore rosso. Ci meravigliavamo per tanta abbondanza; e proprio mentre ci stavamo meravigliando, fu portato in tavola un maiale, un maiale intero, un maialino da latte, avvolto in foglie verdi e arrostito sulle pietre calde di un forno indigeno, il piatto pirinomato e squisito di tutta la cucina polinesiana. E dopo questo venne il caff un caffdelizioso, del luogo, coltivato sulle pendici delle colline di Tahaa.

Gli attrezzi da pescatore di Tehei mi affascinavano; e dopo avere organizzato di andare a pescare, Charmian e io decidemmo di rimanere lper la notte. Di nuovo Tehei tirfuori l'argomento di Samoa, e di nuovo il mio "petit bateau" fece sorgere il disappunto e un sorriso acquiescente sul suo viso. Bora Bora era il porto successivo che avremmo dovuto toccare; e non era tanto lontano che una barca a vela non potesse fare l'andata e ritorno fra le Raiatea. Cosinvitai Tehei a venire fin lcon noi sullo "Snark". Venni allora a sapere che sua moglie era nata a Bora Bora ed ancora vi possedeva una casa. Anche lei venne invitata, e immediatamente giunse in ricambio l'invito a essere loro ospiti nella casa di Bora Bora.

Era luned Il martedsaremmo andati a pescare, tornando a Raiatea.

Mercoledavremmo fatto vela verso Tahaa, e quando a un certo punto ci fossimo trovati a un miglio di distanza al largo, avremmo preso a bordo Tehei e Bihaura e continuato per Bora Bora. Tutto questo venne deciso in ogni particolare, e parlammo anche di molti altri argomenti, eppure Tehei conosceva tre frasi inglesi, Charmian e io sapevamo al massimo una dozzina di parole in tahitiano, e fra tutti e quattro c'erano solo una dozzina di parole francesi che tutti capivano.

Naturalmente una conversazione cospoliglotta era lenta, ma con l'aiuto di un notes, di una matita, il disegno di un orologio che Charmian traccisul rovescio del notes, e centomila gesti riuscimmo a cavarcela bene.

Non appena ci mostrammo desiderosi di coricarci gli indigeni invitati con sommessi "Ioarana" sparirono, ed egualmente sparirono Tehei e Bihaura. La casa consisteva in una grande stanza, che venne ceduta a noi mentre i nostri ospiti andavano a dormire altrove. Insomma il loro castello era nostro. E voglio dire subito che di tutte le ospitalitricevute in questo mondo da ogni sorta di razze in ogni sorta di luoghi, nessuna accoglienza potmai eguagliare quella che ricevemmo da questa coppia di negri di Tahaa. Non intendo parlare dei regali, della generositliberale, della notevole abbondanza, ma della finezza delle loro cortesie, del loro tatto, delle loro attenzioni, e della simpatia vera in quanto basata sulla comprensione. Essi non fecero nulla che ritenevano dovesse essere fatto per noi secondo le loro norme, ma fecero quello che indovinavano essere nostro desiderio, con uno spirito di divinazione veramente felice. Sarebbe impossibile enumerare le centinaia di piccoli gesti, di attenzioni, che ci usarono nei pochi giorni in cui ci trovammo insieme. Mi basti dire che fra tutte le ospitalite accoglienze che io ricordi in nessun caso la loro fu non dico superata, ma nemmeno eguagliata. Forse la sua caratteristica pisimpatica era di essere non giil risultato di un'educazione o di complessi ideali sociali, ma un'effusione spontanea, istintiva dei loro cuori.

La mattina dopo andammo a pescare, cioTehei, Charmian e io, nella canoa a forma di bara, ma questa volta la vela enorme fu lasciata a casa. Non era possibile veleggiare e pescare nello stesso tempo in quel piccolo scafo. Dopo aver percorso parecchie miglia, all'interno della scogliera, in un canale profondo venti braccia, Tehei gettin acqua gli ami innescati e delle pietre come ancora. L'esca era formata da pezzettini di carne di cefalopodi, che egli stacca morsi da un cefalopode vivo, che si contorceva sul fondo della canoa. Sistemnove di queste lenze, ognuna di esse attaccata all'estremitdi un corto bambche galleggiava alla superficie dell'acqua. Quando un pesce abboccava, questa estremitdel bambera trascinata sott'acqua: e naturalmente l'altra estremitsi drizzava nell'aria, agitandosi pazzamente quasi perchci spicciassimo. E ci affrettavamo a vogare da un bambsegnalatore all'altro, in mezzo a grida e urli, alando dal profondo dei magnifici pesci brillanti, lunghi da due a tre piedi.

Intanto a levante un groppo minaccioso aveva continuato insistentemente a levarsi, offuscando il cielo sereno spazzato dall'aliseo. E noi eravamo tre miglia sottovento da casa. Iniziammo il ritorno, mentre le prime raffiche di vento imbiancavano l'acqua. Poi venne la pioggia, la pioggia come si vede solo nei tropici, quando si direbbe che ogni rubinetto e condotto del cielo si spalanchi e, per colpo, lo stesso serbatoio si riversi in un diluvio accecante. Beh, Charmian era in costume da bagno, io in pigiama, e Tehei non aveva che il telo intorno ai lombi. Bihaura era sulla spiaggia ad aspettarci e si portCharmian in casa proprio come potrebbe farlo una madre con una bimba cattiva che si divertita a giocare nelle pozzanghere.

Il cambiamento di abiti e una tranquilla fumata, ben asciutti, occuparono il tempo mentre si stava preparando il "kai-kai". "Kai- kai", tra parentesi, la parola polinesiana per "cibo" o "mangiare", o piuttosto una forma di una radice originaria, qualunque essa sia stata, che si largamente diffusa in un'ampia zona del Pacifico. E' "kai" nelle Isole Marchesi, a Raratonga, Manahiki, Niue, Fakaafo, Tonga, nella Nuova Zelanda e a Vat A Tahiti "mangiare" diventa "amu", alle Hawaii e a Samoa "ai", a Bau "kana", a Niua "kaina", a Nongone "kaka" e nella Nuova Caledonia "ki". Ma qualsiasi forma abbia preso quel segno o simbolo, esso risuonassai piacevole alle nostre orecchie dopo la lunga vogata sotto la pioggia. Una volta ancora ci trovammo nel regno dell'abbondanza, tanto da finire per rimpiangere di non essere fatti a somiglianza di una giraffa o di un cammello.

Di nuovo mentre ci preparavamo a tornare sullo "Snark", il cielo a sopravvento si offusce un altro groppo piombgi Ma questa volta si trattdi poca pioggia e tutto vento. Soffiper piore, gemendo e urlando fra le palme, spezzando e strappando e squassando la fragile casa di bamb mentre sul lato esterno della scogliera si udiva un cupo rimbombo ldove l'urto delle onde agitate veniva infranto.

All'interno della scogliera, la laguna, per quanto riparata, era bianca per l'infuriare del vento, e neppure l'abilitdi marinaio di Tehei avrebbe permesso alla sua minuscola canoa di resistere in un mare cossconvolto.

Al tramonto, la coda del groppo si era scissa in due, benchil mare fosse ancora troppo agitato per la canoa. Cosincaricai Tehei di trovare un indigeno disposto a tentare con la sua barca la traversata fino a Raiatea per la somma enorme di due dollari cileni, ciche equivarrebbe a novanta cents americani. Una metdel villaggio fu incaricata di portare i regali di cui Tehei e Bihaura avevano munito gli ospiti partenti - polli legati, pesci ripuliti e avvolti in involucri di foglie verdi, grandi grappoli dorati di banane, ceste di foglie riboccanti di aranci e limoni, di pere d'alligatore (il frutto dell'albero del burro, chiamato anche "avoca"), grandi ceste di ignami, grappoli di frutti di aro e di noci di cocco, e, per ultimo, grossi rami e tronchi di alberi - legna da bruciare sullo "Snark".

Mentre stavamo recandoci alla barca incontrammo l'unico uomo bianco di Tahaa, e chi era mai se non George Lufkin, un oriundo del New England!

Aveva ottantasei anni, di cui una sessantina passati nelle Isole della Societ con assenze saltuarie, come quando aveva preso parte alla corsa all'oro nell'Eldorado nel 1849 o aveva dedicato un breve periodo all'allevamento del bestiame in California, vicino a Tulare. Quando i dottori non gli avevano dato pidi tre mesi di vita, era tornato ai suoi Mari del Sud, e c'era vissuto sino a ottantasei anni, beffandosi dei dottori predetti, a loro volta invece ginella tomba.

Era affetto da "fee-fee", la parola indigena per elefantiasi (che pronunciata fay-fay). Venticinque anni prima la malattia lo aveva colpito e non lo avrebbe lasciato fino alla morte. Gli domandammo se aveva famiglia; accanto a lui era seduta una vivace damigella di sessant'anni, sua figlia. - E' tutto ciche mi resta - mormortristemente - e non ha figli viventi.

La barca era un piccolo affare attrezzato a sloop, ma sembrava grossa vicino alla canoa di Tehei. D'altra parte, quando ci spingemmo fuori dalla laguna, e un altro duro groppo ci colp la barca diventlillipuziana, mentre nella nostra fantasia lo "Snark" sembrava promettere la stabilite inamovibilitdi un continente. Erano tutti buoni marinai, Tehei e Bihaura erano pure venuti per accompagnarci fino allo "Snark", e quest'ultima si dimostranche lei un buon marinaio. La barca era ben zavorrata, e affrontammo il groppo senza ridurre la velatura. La laguna era cosparsa di banchi di coralli e noi tiravamo avanti. Nel piforte del groppo dovemmo virare di bordo per fare un corto bordo di bolina, allo scopo di girare attorno a un banco di corallo, che si trovava a non pidi un piede proprio sotto il pelo dell'acqua. Mentre la barca stava prendendo vento sull'altro bordo ed era in quel punto morto che precede il riabbrivarsi, sbandcompletamente. Mollate la scotta di fiocco e la scotta di randa, essa si raddrizzvenendo all'orza. Tre volte sbande tre volte le scotte furono mollate, prima che essa potesse mettersi a correre su quel bordo.

Quando venne il momento di virare di nuovo, l'oscuritera ormai calata. Ci trovavamo ora sopravvento dello "Snark", e la bufera ululava. Rientrammo il fiocco, ammainammo la vela di maestra, tutta eccetto un pezzo delle dimensioni di una federa da guanciale.

Sfortunatamente non riuscimmo ad accostare allo "Snark", il quale ballava alla fonda su due ancore, e andammo in secco sul banco di corallo verso terra. Allungando sulla barca la pilunga cima che avessimo a bordo dello "Snark" per mezzo della lancia, riuscimmo a rimettere a galla la barca stessa dopo un'ora di duro lavoro, e a ormeggiarla sicuramente di poppa allo "Snark".

Il giorno che facemmo vela per Bora Bora il vento era lieve, e attraversammo la laguna a motore fino al punto in cui dovevamo incontrarci con Tehei e Bihaura. Mentre ci avvicinavamo alla terra tra i banchi di corallo, scrutavamo invano la spiaggia cercando i nostri amici. Non se ne vedeva nessun segno.

- Non possiamo aspettare - dissi - questa brezza non ci farraggiungere nel buio Bora Bora, e io non voglio usare pibenzina di quanto non sia necessario.

Vedete, la benzina un problema nei Mari del Sud: nessuno sa mai quando ci si potrrifornire di nuovo.

Ma proprio allora Tehei apparve fra gli alberi, dirigendosi verso la riva; si era tolto la camicia e la stava agitando freneticamente. A quanto pareva, Bihaura non era pronta. Salito a bordo, Tehei ci informa gesti che dovevamo andare avanti lungo la terra finchci fossimo trovati all'altezza della sua casa. Prese il timone e diresse lo "Snark" attraverso i banchi di corallo, superando una punta dopo l'altra, finchscapolammo l'ultima di tutte e grida di benvenuto si elevarono sulla spiaggia, dove Bihaura, con l'aiuto di parecchi altri abitanti del villaggio, aveva preparato di che riempire due canoe.

C'erano ignami, frutti di aro, fei, frutti dell'albero del pane, noci di cocco, aranci, limoni, ananassi, cocomeri, pere d'alligatore, melograni, pesce, galline in quantitche schiamazzavano e poi deposero le uova sulla nostra coperta dello "Snark", e un maialino vivo che strillava in modo infernale per il continuo terrore di essere ammazzato.

Nella luna crescente superammo lo stretto passaggio nella scogliera di Bora Bora e demmo fondo al largo del villaggio di Vaitap Bihaura, con l'ansia di una buona massaia, non vedeva l'ora di scendere a terra e andare a casa sua a preparare altro ben di Dio per noi. Mentre la lancia la portava con Tehei a una piccola banchina, un'armonia di musica e canti si sparse nella quieta laguna. Dappertutto nelle Isole della Societci avevano informato che avremmo trovato molto allegri gli abitanti di Bora Bora. Charmian e io scendemmo a terra per constatarlo e sopra uno spiazzo verde del villaggio, accanto a tombe dimenticate sulla spiaggia, trovammo giovanotti e ragazze che ballavano, inghirlandati e ornati di fiori, con nei capelli strani fiori fosforescenti che palpitavano e si oscuravano e brillavano nel chiaro di luna. Pilontano lungo la spiaggia ci capitdi vedere una grande casa d'erbe, di forma ovale, lunga settanta piedi, dove gli anziani del villaggio stavano cantando delle "himine", anche loro inghirlandati e allegri; e ci accolsero cordialmente tra di loro come pecorelle smarrite che rientrassero all'ovile dopo avere vagato nell'oscurit

Il mattino dopo, di buon'ora Tehei venne a bordo, con un'infilata di pesci appena presi e un invito a pranzo per la stessa sera. Nel recarci a pranzo ci fermammo alla casa delle "himine". Gli stessi anziani stavano cantando, con qua e lun giovane o una ragazza che non avevamo visto la sera prima. Secondo tutti gli indizi, si stava preparando un gran banchetto. Da terra si elevava una catasta di frutti e legumi, fiancheggiati da ogni parte da numerosi polli legati con stringhe di cocco. Dopo che furono cantate parecchie "himine", uno degli uomini si alzin piedi e pronunciun discorso. Questo discorso era rivolto a noi, e per quanto ci fosse incomprensibile, capimmo che in qualche modo c'era una connessione tra noi e quella catasta di viveri.

- Che ci vogliano regalare tutta quella roba? - mormorCharmian.

- Impossibile - sussurrai. - Perchce la dovrebbero dare? Del resto, non c'neppure posto sullo "Snark". Non potremmo mangiarne neanche la decima parte. Il resto andrebbe a male. Forse ci stanno invitando al banchetto. Ad ogni modo impossibile che ci vogliano dare tutto quanto.

Eppure ci trovammo una volta ancora in pieno regno dell'abbondanza.

L'oratore, a gesti il cui significato non poteva essere frainteso, ci regalogni oggetto in modo particolare, e poi ce li regal"in toto".

Fu un momento imbarazzante. Cosa fareste voi, se viveste in una sola camera che serve da salotto, camera da letto eccetera, e un vostro amico vi regalasse un elefante bianco? Il nostro "Snark" non era altro che un alloggio di una sola camera, e giera stato colmato con tutta l'abbondanza di Tahaa. Questo nuovo rifornimento era eccessivo.

Arrossimmo, balbettammo e continuammo a dire "mauruuru". Continuammo a dirlo con dei ripetuti "nui", che dovevano esprimere la schiacciante profonditdella nostra gratitudine. Nello stesso tempo, sempre a gesti, commettemmo la terribile infrazione all'etichetta di non accettare il regalo. Il disappunto dei cantori di "himine" fu evidente, e quella sera, con l'aiuto di Tehei, venimmo a un compromesso. Avremmo accettato un pollo, un grappolo di banane, un grappolo di aro e cosvia, insomma un po' di ogni cosa.

Ma non c'era modo di sfuggire all'abbondanza.

Comprai una dozzina di polli da un indigeno nella campagna, e il giorno dopo egli me ne porttredici insieme a un carico di frutta che riempiva una canoa. Il commerciante francese ci regaldei melograni e ci prestil suo pibel cavallo, e lo stesso fece il gendarme, prestandoci un cavallo che era la pupilla dei suoi occhi. Ognuno poi ci manddei fiori. Lo "Snark" era diventato un negozio di frutta e verdura camuffato da serra. Tutto il tempo andavamo in giro inghirlandati di fiori. Quando i cantori di "himine" vennero a bordo per cantare, le ragazze ci abbracciarono per darci il benvenuto, e l'equipaggio, dal capitano al cameriere, perse la testa per le ragazze di Bora Bora. Tehei organizzin nostro onore una grande partita di pesca, a cui ci recammo in una doppia canoa, manovrata da una dozzina di magnifiche amazzoni. Per fortuna non prendemmo pesci, perchdiversamente lo "Snark" sarebbe andato a fondo all'ormeggio.

I giorni passavano, ma l'abbondanza non diminuiva. Il giorno della partenza, una canoa dopo l'altra, lasciarono tutte la riva per venire sottobordo. Tehei ci portdei cetrioli e un alberello di papaya carico di splendidi frutti, e inoltre, per me personalmente, portuna piccola canoa doppia con una completa attrezzatura da pesca; e ancora frutti e vegetali con la stessa generositdi Tahaa. Bihaura portvari regali particolari per Charmian, come cuscini di sterculia, ventagli e stuoie variopinte. L'intera popolazione portfrutti, fiori e polli, e Bihaura ci aggiunse un maialino da latte vivo. Indigeni che io non ricordavo di avere mai visto saltarono sulla murata e ci regalarono oggetti come pali per la pesca, lenze e ami ricavati da conchiglie madreperlacee.

Quando lo "Snark" oltrepassveleggiando la scogliera, aveva una barca a rimorchio, l'imbarcazione che avrebbe riportato a Tahaa Bihaura, non Tehei. Alla fine avevo ceduto ed egli era entrato a far parte dell'equipaggio dello "Snark". Ma poi la barca mollil rimorchio e mise la prua a levante, e lo "Snark" diresse verso ponente; e Tehei allora si inginocchinel pozzetto e mormoruna silenziosa preghiera, mentre delle lacrime gli scorrevano sul volto. Una settimana dopo, allorchMartin, sviluppate e stampate le fotografie fatte, ne mostralcune a Tehei, quell'abbronzato figlio della Polinesia, nel vedere le fattezze della sua amata Bihaura, ruppe in pianto.

Ma quale abbondanza! Ce n'era fin troppo. Non potevamo manovrare lo "Snark" tanto ingombrava tutta quella quantitdi frutta. La barca era festonata di frutti, il battello di servizio e la lancia ne erano ricolmi. Le ritenute della tenda gemevano sotto tanto peso.

Ma non appena ci trovammo in mare aperto, mosso per un forte aliseo, comincilo scarico. A ogni rollata lo "Snark" lasciava cadere fuori bordo un grappolo di banane o di noci di cocco o un cesto di limoni.

Un rivolo dorato di limoni si riversava negli ombrinali. Le grandi ceste di ignami si spezzarono, e ananassi e melograni rotolarono da ogni parte. I polli si erano liberati e vagavano dappertutto, appollaiati sulle tende, svolazzando e gracchiando sul bompresso, sperimentando il gioco pericoloso di dondolarsi sul tangone dello spinnaker. Erano polli selvatici, abituati a volare. Quando facevamo dei tentativi per acchiapparli, volavano via sull'oceano, descrivendo dei cerchi attorno a noi, e ritornavano. Qualche volta non tornavano.

E nella confusione, inosservato, il maialino di latte si slege scivolfuori bordo.

"Quando arrivano degli stranieri, ognuno cerca di prendersene uno quale amico e di portarlo nella propria casa, dov'trattato con la maggiore gentilezza dagli abitanti del distretto: lo mettono sopra un alto sedile e lo nutrono abbondantemente con i cibi migliori" ("Ricerche sulla Polinesia").




CAPITOLO 13


LA PESCA CON IL SASSO A BORA BORA

Alle cinque del mattino le conchiglie, soffiate, incominciarono a risuonare. Lungo tutta la spiaggia si levavano quei suoni magici, come un antico richiamo alla guerra, per avvisare i pescatori di alzarsi e prepararsi a uscire. Anche noi dello "Snark" ci alzammo, perchnon era possibile dormire in quel pazzo frastuono di conchiglie. E inoltre anche noi saremmo andati alla pesca con il sasso, per quanto i nostri preparativi fossero ben pochi.

"Tautai-taora", cosdetta la pesca con il sasso, e "tautai" significa "strumento per pescare", mentre "taora" significa "gettato".

Ma "tautai-taora", una parola sola, significa pesca con il sasso, perchil sasso lo strumento che viene gettato. In realtla pesca con il sasso una caccia al pesce, simile in linea di principio a una caccia alle lepri o ad altre bestie, solo che in queste ultime cacciatori e cacciati operano nello stesso mezzo, mentre nella caccia ai pesci gli uomini devono rimanere nell'aria per respirare, e i pesci sono inseguiti nell'acqua. Non importa se l'acqua profonda cento piedi; gli uomini, che lavorano in superficie, inseguono il pesce proprio allo stesso modo.

Ecco come si fa. Le canoe si dispongono su una linea, lontane da cento a duecento piedi. A prua di ogni canoa un uomo tiene in mano un sasso, pesante parecchie libbre, al quale attaccata una corta cima. Egli non fa altro che percuotere l'acqua con il sasso, lo recupera e percuote di nuovo. E continua cosa percuotere l'acqua. A poppa di ogni canoa un altro uomo voga, mandando avanti la canoa e nello stesso tempo tenendola al suo posto nella fila. La linea di canoe avanza incontro a una seconda linea lontana un miglio o due fino a riunirsi con essa a una delle estremit in modo da formare un cerchio, la cui circonferenza completata dalla spiaggia. Il cerchio comincia a restringersi in direzione della spiaggia, dove le donne, che stanno ritte dentro l'acqua del mare in lunga fila, formano una siepe di gambe, che serve a impedire qualsiasi tentativo di fuga dei pesci diventati frenetici. Al momento opportuno, quando il cerchio si sufficientemente ristretto, una canoa sfreccia dalla spiaggia, calando fuori bordo una lunga graticciata di foglie di cocco, che chiude il cerchio, rinforzando cosla palizzata di gambe. Naturalmente la pesca avviene sempre nella laguna, all'interno della scogliera.

- "Tr鋊 jolie" - disse il gendarme, dopo avere spiegato a cenni e gesti che si sarebbero prese migliaia di pesci di ogni dimensione, dagli spinarelli ai pescecani, e che il pesce catturato sarebbe stato cotto sulla stessa sabbia della spiaggia.

E' un metodo molto redditizio di pescare, che ha inoltre piil carattere di una festa popolare all'aperto che non quello di una prosaica fatica per procacciarsi del cibo. Queste pesche avvengono circa una volta al mese a Bora Bora, secondo un'usanza che risale a tempi antichi. Non si sa chi sia stato l'innovatore; si sono sempre fatte. Ma non si pufare a meno di rievocare quell'ignoto e dimenticato selvaggio vissuto tanti anni fa alla cui mente si affacciper la prima volta questo metodo di pescare facilmente grandi quantitdi pesci senza amo, rete o fiocina. Una cosa sappiamo su di lui: dovette essere un estremista, e senza dubbio fu considerato un leggerone e un anarcoide dai membri conservatori della sua trib Le sue difficoltfurono molto pigrandi di quelle dell'inventore odierno, a cui basta convincere in anticipo uno o due capitalisti.

L'inventore di quei tempi dovette convincere in anticipo l'intera trib perchsenza la cooperazione di tutta quanta la tribnon si poteva attuare il suo progetto. Ci si puimmaginare facilmente le discussioni notturne in quel primitivo mondo insulare, quando egli taccii suoi compagni di ammuffiti e parrucconi, e loro gli diedero dello sciocco, del capriccioso, dell'incostante e lo accusarono di volere sempre delle novit Dio solo sa a prezzo di quanti capelli grigi e di quante maledizioni egli riuscalla fine a convincere un numero di persone sufficiente a potere sperimentare la sua idea. Ad ogni modo l'esperimento ebbe successo. La cosa superla prova della verit- funzion E da allora in poi, ne possiamo essere certi, non si trovpinessuno che non avesse sempre detto che la cosa avrebbe funzionato!

I nostri buoni amici, Tehei e Bihaura, che avevano organizzato la pesca in nostro onore, avevano anche promesso di venirci a prendere.

Eravamo sottocoperta quando da sopra ci avvertirono che essi stavano arrivando. Ci precipitammo verso la scaletta, rimanendo sbalorditi alla vista dell'imbarcazione polinesiana sulla quale avremmo dovuto salire. Era una lunga canoa doppia, composta da due canoe tenute insieme da pezzi di legno discontinui, tra i quali si vedeva l'acqua, il tutto decorato con fiori ed erbe di un giallo oro. Una dozzina di amazzoni con corone floreali erano ai remi, mentre a poppa di ogni canoa stava un aitante timoniere. Tutti portavano ghirlande di fiori gialli e rossi e arancioni, mentre ognuno aveva intorno ai fianchi un "pareu" scarlatto. C'erano fiori dappertutto, fiori, fiori, fiori, senza fine. Tutto l'insieme era un'orgia di colori. Sopra una piattaforma anteriore, appoggiata sulle prore delle canoe, Tehei e Bihaura stavano ballando. E tutte le voci si innalzarono in un pazzo canto di benvenuto.

Tre volte essi fecero il giro dello "Snark", prima di venire sottobordo per imbarcare Charmian e me. Poi partimmo per il luogo della pesca, una vogata di cinque miglia dritto contro vento. "E' tutta gente allegra a Bora Bora", cosdicono in tutte le Isole della Societ e certamente anche noi trovammo che erano tutti allegri.

Canzoni della canoa, canzoni del pescecane e canzoni da pesca, tutte erano cantate con l'accompagnamento dei colpi di remo, e tutti si univano nei cori travolgenti.

Ogni tanto si sentiva un grido "mao", dopo di che tutti si mettevano a vogare freneticamente. "Mao" il pescecane, e quando le tigri di alto mare compaiono, gli indigeni si affrettano ad andare a riva per salvare la vita, ben sapendo il pericolo che corrono di vedere rovesciate le loro fragili canoe e finire divorati. Naturalmente nel nostro caso non c'era nessun pescecane, ma il grido di "mao" era usato per incitare a vogare con altrettanta energia che se veramente un pescecane fosse la inseguirci. "Ho Ho" era un altro grido che ci faceva navigare in un mare tutto schiuma e spruzzi.

Sulla piattaforma Tehei e Bihaura danzavano, accompagnati da canti e cori o da un ritmico batter di mani. In altri momenti un picchiare ritmico delle pagaie contro i fianchi delle canoe segnava il tempo.

Una ragazza abbandonla sua pagaja, balzsulla piattaforma e danzuna hula, nel mezzo della quale, sempre continuando a ballare, essa ondul si curve impresse sulle nostre guance il bacio del benvenuto. Alcune delle canzoni o "himine" erano religiose e particolarmente belle, e in esse il basso profondo degli uomini si fondeva con i soprani e i contralti delle donne, formando un'armonia musicale che irresistibilmente faceva venire alla mente quella di un organo. E realmente "organo kanaka" la definizione scherzosa delle "himine".

Altre canzoni o ballate erano invece assai barbare, e risalivano a epoche precristiane.

E cos cantando, ballando, vogando, questi gai polinesiani ci portarono sul luogo della pesca. Il gendarme, che rappresenta il Governo francese a Bora Bora, ci accompagnava con la sua famiglia in una doppia canoa di sua propriet vogata dai suoi prigionieri; perchegli non soltanto il gendarme e il rappresentante del Governo, ma anche il carceriere, e in questo paese di gente allegra, quando uno va a pescare, tutti quanti vanno a pescare. Una ventina di canoe singole, a bilanciere, ci accompagnava. Da dietro una punta sbucuna grossa canoa a vela, filando meravigliosamente con il vento in poppa, che diresse verso di noi per venirci a salutare. Appollaiati in equilibrio precario sul bilanciere, tre giovanotti ci salutarono con un selvaggio rullare di tamburi.

La punta seguente, mezzo miglio piin l ci portsul luogo della riunione. Qui la lancia a motore, che era stata condotta lda Warren e Martin, attirl'attenzione generale, e gli abitanti di Bora Bora non riuscivano a capire che cosa la facesse camminare. Le canoe furono tirate in secco sulla sabbia e tutti i vogatori scesero a terra a bere noci di cocco, a cantare e a ballare. Poi il numero dei presenti aumentper l'arrivo a piedi di molti dalle abitazioni vicine; ed era veramente bello vedere le fanciulle incoronate di fiori, che giungevano lungo la spiaggia tenendosi per mano a due a due.

- Di solito si fa una grande pescata - ci spiegAllicot, un commerciante di sangue misto. - All'ultimo l'acqua tutta un pesce vivo. E' un divertimento da pazzi. Naturalmente sapete che tutto il pesce sarvostro.

- Tutto? - brontolai, poichlo "Snark" era gisovraccarico di regali generosi, di frutta, legumi, maiali e polli, portati a bordo sulle canoe.

- S fino all'ultimo pesce - confermAllicot. - Vedete, quando l'accerchiamento finito, voi, che siete l'ospite d'onore, dovrete prendere un arpione e infilzare il primo pesce. E' la consuetudine.

Poi tutti ci si mettono con le mani e gettano la pesca sulla sabbia.

Se ne fa una montagna. Poi uno dei capi pronuncia un discorso in cui vi regala attrezzi e tutto quanto. Ma voi non dovrete prendere tutto.

Dovrete alzarvi in piedi e fare un discorso, scegliendo il pesce che volete per voi e restituendo tutto il resto. Allora tutti dicono che voi siete molto generoso.

- Ma che cosa succederebbe se io mi tenessi tutto quanto il regalo? - chiesi.

- Non mai successo - fu la risposta. - La consuetudine quella di dare e riprendere.

Il sacerdote indigeno diede il segnale d'inizio con una preghiera per il felice esito della pesca, che tutti ascoltarono a capo scoperto.

Poi i capi della pesca contarono le canoe e assegnarono a ognuna il suo posto. Quindi tutti si imbarcarono sulle canoe e filammo via. Ma nessuna donna ci accompagn ad eccezione di Bihaura e di Charmian.

Nei tempi passati anch'esse sarebbero state escluse. Le donne rimanevano indietro nell'acqua bassa a formare una palizzata di gambe.

La grande canoa doppia fu lasciata sulla sabbia e noi salimmo sulla lancia. Metdelle canoe vogarono sottovento, mentre noi, con l'altra met ci dirigemmo per un miglio e mezzo sopravvento, finchl'estremitdella nostra fila fu a contatto con la scogliera.

L'individuo che dirigeva l'accerchiamento si trovava su una canoa a metdella nostra fila e ci stava ritto in piedi; era una bella figura di vecchio con la bandiera in mano, e dirigeva lo spostamento sulle posizioni fissate e la formazione delle due file soffiando dentro una conchiglia. Quando tutto fu pronto, agit]a bandiera verso destra.

Quelli che in ogni canoa di quel lato dovevano gettare i sassi, colpirono l'acqua con essi, tutti nello stesso istante. Mentre li stavano ricuperando - questione di un minuto, perchi sassi non andavano che poco oltre la superficie dell'acqua - la bandiera segnala sinistra, e con precisione ammirevole ogni sasso da quella parte colpl'acqua. Si continucos da un lato e dall'altro, a destra e a sinistra: a ogni segnale della bandiera, una lunga onda di concussione percorreva la laguna. Nello stesso tempo le pagaie facevano avanzare le canoe; e quanto succedeva nella nostra fila, succedeva anche nell'opposta fila di canoe, lontana pidi un miglio.

A prua della lancia Tehei, gli occhi fissi sul capo, gettava il suo sasso all'unisono con gli altri. Una volta il sasso si sfildalla cima e nello stesso istante Tehei si gettfuori bordo per recuperarlo. Non so se il sasso tocco no il fondo, ma so che un attimo dopo Tehei sbucdall'acqua lungo il nostro bordo con il sasso in mano. Notai che lo stesso incidente si verificpivolte sulle canoe vicine, ma sempre chi aveva gettato il sasso lo seguiva nell'acqua e lo riportava a galla.

Le estremitdelle nostre linee verso la scogliera accelerarono la loro attivit quelle verso la spiaggia la rallentarono, il tutto sotto l'attenta sorveglianza del capo, finchvicino alla scogliera le due linee si riunirono, formando un cerchio. Ebbe inizio allora la contrazione del cerchio, e i poveri pesci atterriti furono spinti verso la spiaggia dalle onde di concussione che percorrevano l'acqua.

Proprio nello stesso modo gli elefanti sono inseguiti nella giungla dai piccoli uomini che, accovacciati fra le lunghe erbe o nascosti dietro gli alberi, emettono strani suoni. La palizzata di gambe era gistata formata, e potevamo vedere le teste delle donne, in lunga fila, che punteggiavano il placido specchio d'acqua della laguna. Le donne pialte si spingevano pial largo, cosicchad eccezione di quelle vicinissime alla spiaggia, quasi tutte erano nell'acqua fino al collo.

Il cerchio continua restringersi finchle canoe quasi si toccavano.

Ci fu allora una pausa. Una lunga canoa si staccda terra, seguendo il perimetro del cerchio, alla massima velocitconsentita dalle pagaie. A poppa un uomo gettava fuori bordo una lunga, continua graticciata di foglie di cocco. Le canoe non servivano pi e gli uomini si gettarono anch'essi fuori bordo per andare a rafforzare la palizzata con le loro gambe, perchla graticciata non era che una graticciata, non una rete, e il pesce, se avesse voluto, avrebbe potuto attraversarla. Da cila necessitdelle gambe che continuavano ad agitare la graticciata, e delle mani che diguazzavano nell'acqua e delle voci che urlavano. Quanto pila trappola si stringeva, tanto piaumentava il pandemonio.

Ma nessun pesce apparve alla superficie dell'acqua o venne a cozzare contro le gambe celate nell'acqua. Alla fine il capo dei pescatori entrnella trappola e accuratamente a guado ne ispezionogni punto.

Ma non c'era nessun pesce che si agitasse in basso o in alto sulla sabbia, non una sardina, non uno spinarello, non un girino. Ci doveva essere stato qualcosa di sbagliato nella preghiera; oppure, piprobabilmente, come spiegl'individuo dai capelli grigi, il vento non era nel suo quadrante abituale, e il pesce si trovava altrove nella laguna. Insomma, non c'era nessun pesce da pescare.

- Una volta su cinque queste pesche sono dei fiaschi - ci consolAllicot.

Beh, era stata la pesca con il sasso a farci andare a Bora Bora, ed era toccata proprio a noi quella sola volta su cinque. Se si fosse trattato di una lotteria, sarebbe stato esattamente il contrario. Non pessimismo questo, nun'accusa rivolta all'ordinamento dell'universo. Semplicemente, lo stato d'animo familiare alla maggior parte dei pescatori verso la fine infruttuosa di una faticosa giornata.




CAPITOLO 14


IL NAVIGATORE DILETTANTE

Ci sono dei capitani marittimi d'ogni sorta, e ce ne sono di bravissimi, lo so: quelli che si succedettero sullo "Snark" erano ben differenti. La mia esperienza nei loro riguardi mi ha portato alla conclusione che pidifficile dover badare a un capitano su una piccola imbarcazione, che badare a due bambini piccoli. Naturalmente quanto ci si poteva aspettare.

I bravi tipi hanno una loro posizione, e non probabile che rinuncino alle loro destinazioni su navi da mille a quindicimila tonnellate per lo "Snark" con le sue dieci tonnellate nette. Lo "Snark" dovette cosprocurarsi i suoi capitani a terra, e quelli che sono a terra di solito sono degli inetti congeniti - quel tipo d'uomo che per una quindicina di giorni va battendo il mare da ogni parte alla ricerca di un'isola oceanica e ritorna con la sua goletta a riferire che l'isola affondata con tutti i suoi abitanti, il tipo d'uomo il cui carattere, o la cui passione per l'alcool lo fa licenziare dagli impieghi prima ancora di averci lavorato.

Lo "Snark" ebbe tre capitani marittimi, e per grazia di Dio non ne avrpialtri. Il primo era cossenile da non essere in grado di dare a un carpentiere la misura per una trozza di boma, coscompletamente impotente per l'etda non essere capace di ordinare a un marinaio di gettare alcuni buglioli di acqua salata sulla coperta dello "Snark". Per dieci giorni, alla fonda sotto un sole tropicale a picco, la coperta rimase all'asciutto. Era una coperta nuova, e mi era costata centotrentacinque dollari per calafatarla di nuovo.

Il secondo capitano era nato rabbioso. - Papsempre rabbioso - coslo descriveva un suo figliolo di sangue misto. Il terzo capitano era costortuoso da non potersi nascondere dietro un cavaturaccioli. La veritnon esisteva in lui, ed era altrettanto lontano da qualsiasi oneste procedimento corretto, quanto dalla sua rotta esatta, quanto per poco non fece naufragare lo "Snark" sulle isole Ringgold.

Fu a Suva, nelle Figi, che io licenziai il mio terzo e ultimo capitano e mi assunsi di nuovo il compito di navigatore dilettante. Lo avevo gifatto un'altra volta, al tempo del mio primo capitano, quando questi, al largo di San Francisco, aveva fatto fare tali balzi sulla carta allo "Snark" da costringermi proprio a scoprire cosa succedeva; e fu abbastanza facile scoprirlo, perchavevamo davanti a noi duemilacento miglia da percorrere.

Io non ne sapevo nulla di navigazione; ma dopo parecchie ore di studio e una mezz'ora d'esercizio con il sestante, fui in grado di trovare la latitudine dello "Snark" mediante l' osservazione meridiana e la sua longitudine con il semplice metodo conosciuto come quello delle "altezze corrispondenti". Questo non un metodo corretto, e neppure sicuro, ma il mio capitano stava tentando di navigare con quello, ed era la sola persona a bordo che avrebbe dovuto essere in grado di dirmi che non era un metodo da usare. Riuscii a portare lo "Snark" ad Hawaii ma perchle circostanze mi favorirono. Il sole era in declinazione nord, e quasi a picco. Del giusto metodo della "osservazione astronomica o cronometrica" avevo sentito parlare - s ne avevo sentito parlare. Il mio primo capitano lo aveva menzionato vagamente ma dopo uno o due tentativi di usarlo non lo aveva menzionato pi

Nelle Figi ebbi il tempo di confrontare il mio cronometro con altri due. Due settimane prima, a Pago Pago, nell'Isola di Samoa, avevo chiesto al mio capitano di confrontare il nostro cronometro con i cronometri di un incrociatore americano, l'"Annapolis". E questo, egli mi aveva detto di averlo fatto - naturalmente non aveva fatto nulla del genere: e mi aveva detto che la differenza riscontrata era solo di una piccola frazione di secondo. Me l'aveva detto con una gioia abilmente simulata e con parole di lode per il mio magnifico misuratore del tempo. Lo ripeto ora, con parole di lode per la sua magnifica abilitnel dire bugie senza arrossire. Perch badate, quattordici giorni dopo, a Suva, io confrontai il cronometro con uno dell'"Atua", un piroscafo australiano, e trovai che il mio anticipava di trentun secondi. Ora trentun secondi di tempo, convertiti in arco, corrispondono a sette miglia e un quarto. Cio se io stessi navigando in direzione ovest, di notte, e la mia posizione secondo la stima basata sull'osservazione astronomica del pomeriggio risultasse sette miglia distante da terra, ebbene, proprio in quel momento io sarei in procinto di fracassarmi sulla scogliera. Poi confrontai il mio cronometro con quello del capitano Wooley. Il capitano Wooley, comandante del porto, dil segnale orario a Suva sparando un colpo di cannone a mezzogiorno tre volte alla settimana. Secondo il suo cronometro, il mio era in anticipo di cinquantanove secondi, cio navigando in direzione ovest, io sarei stato in procinto di fracassarmi sulla scogliera, quando ritenevo di esserne distante quindici miglia.

Me la cavai sottraendo trentun secondi dal totale dell'errore in ritardo del mio cronometro, e feci vela per Tanna, nelle Nuove Ebridi, deciso, quando avessi messo la prua nelle vicinanze di terra in notti oscure, a tenere a mente le altre sette miglia di possibile errore, secondo lo strumento del capitano Wooley. Tanna si trova a circa seicento miglia a ovest-sud-ovest delle Figi, e io ero convinto che nel coprire quella distanza avrei potuto ficcarmi in testa delle nozioni di navigazione sufficienti a farmi arrivare fino l

Beh, ci arrivai, ma sentite prima tutti i miei guai.

La navigazione facile, io lo sosterr ma quando un uomo porta a fare il giro del mondo tre motori a benzina e una moglie, e ogni giorno si affatica a scrivere per mantenere i motori riforniti di benzina e la moglie di perle e vulcani, non gli resta molto tempo per studiare navigazione. Inoltre certamente pifacile studiare la predetta scienza a terra, dove latitudine e longitudine non cambiano, in una casa la cui posizione non muta mai, che studiarla su un'imbarcazione che corre notte e giorno verso la terra che uno cerca di trovare, e che gli potrmalauguratamente capitare di trovare nel momento in cui meno se l'aspetta.

Per cominciare, ci sono le bussole e la definizione della rotta.

Partimmo da Suva un sabato pomeriggio, il 6 giugno 1908, e l'oscuritscese prima che avessimo percorso lo stretto passaggio cosparso di scogli tra le isole di Viti Levu e Mbengha. L'oceano aperto si stendeva dinanzi a me. Non c'era nessun altro impedimento ad eccezione di Vatu Leile, un'isoletta da nulla, che insisteva nello sbucare dal mare a circa venti miglia a ovest-sud-ovest proprio dove volevo andare io. Naturalmente sembrava una cosa semplicissima evitarla seguendo una rotta che passasse otto o dieci miglia a nord. La notte era scura, e noi correvamo con il vento in poppa. A chi stava al timone bisognava dire la direzione da seguire per evitare Vatu Leile. Ma quale direzione? Mi rivolsi ai libri di navigazione. "Rotta vera". Mi ci buttai sopra. Proprio quella! Proprio la rotta vera di cui avevo bisogno io! E avidamente continuai a leggere:

"La rotta vera l'angolo fatto con il meridiano da una linea retta tracciata sulla carta a congiungere la posizione della nave con il luogo di destinazione".

Proprio quello che mi serviva. La posizione dello "Snark" era all'entrata occidentale del passaggio tra Viti Levu e Mbengha. La sua immediata destinazione era un punto sulla carta dieci miglia a nord di Vatu Leile. Segnai quel posto sulla carta con i miei compassi, e con la parallela trovai che la rotta vera era ovest una quarta sud-ovest.

Non avevo che da darla a chi stava al timone e lo "Snark" si sarebbe fatto strada sino alla franch駮 del mare aperto.

Ma, ahim ahim e fortunatamente per me, continuai a leggere.

Scoprii che la bussola, quella sicura sempiterna amica del marinaio, non ha l'abitudine di indicare il nord. Varia. Qualche volta si dirige pia levante del nord, qualche volta pia ponente, e in certe occasioni volta persino la coda al nord e punta verso sud. La variazione nel punto particolare del globo occupato dallo "Snark" era 9 gradi 40 primi verso est. Beh, io dovevo tenerne conto, prima di dare al timoniere la rotta su cui governare. Lessi:

"La rotta magnetica corretta si deduce dalla rotta vera, applicandole la variazione".

Perci io ragionai, se la bussola si dirigeva 9 gradi 40 primi a levante del nord, e io volevo navigare verso nord esatto, avrei dovuto governare 9 gradi 40 primi a ponente del nord indicato dalla bussola, e che non era per niente il nord vero. Cosaggiunsi 9 gradi 40 primi a sinistra della mia rotta ovest una quarta sud-ovest, ottenendo cosla mia rotta magnetica corretta, e una volta ancora fui pronto a navigare verso il mare aperto.

Di nuovo ahim ahim La rotta magnetica corretta non era la rotta bussola. C'era un altro sornione diavoletto che mi aspettava al varco per farmi lo sgambetto e mandarmi a fracassare sugli scogli di Vatu Leile. Questo diavoletto aveva nome Deviazione.

Lessi: "La rotta bussola la rotta da seguire e si deduce dalla rotta magnetica corretta applicando a essa la deviazione".

Ora la deviazione la variazione nell'ago causata dalla distribuzione del ferro a bordo della nave. Questa variazione puramente locale, io la dedussi dalla tabella di deviazione della mia bussola normale e poi l'applicai alla rotta magnetica corretta. Il risultato fu la rotta bussola.

Eppure, non ancora. La mia bussola normale era a mezza nave, sulla scaletta di discesa. La mia bussola di rotta era a poppa nel pozzetto, accanto al timone. Quando la bussola di rotta indicava "ovest una quarta e tre quartine sud" (la rotta da seguire), la bussola normale indicava "ovest mezza quarta nord", che non era certamente la rotta da seguire. Io feci accostare lo "Snark", finchla prua fu per ovest una quarta e tre quartine sud alla bussola normale, e mi risultsulla bussola di rotta l'indicazione sud-ovest una quarta ovest.

Le operazioni predette costituiscono la semplice piccola faccenda di definire la rotta. E il peggio che si deve eseguire ogni operazione con esattezza, altrimenti si sentirin una notte piacevole il grido "frangenti di prora", si farun bel bagno di mare e si avril delizioso diversivo di cercare di giungere a terra in mezzo a un'orda di pescecani.

Proprio come la bussola maliziosa e cerca di prendersi gioco del marinaio indicando tutte le direzioni eccetto il nord, cosagisce pure quel palo indicatore del cielo che il Sole, il quale persiste nel non essere dove dovrebbe essere in un dato momento. Questa spensieratezza del Sole la causa di altri guai, almeno fu la causa di guai miei. Per sapere dove uno si trova sulla superficie terrestre, deve sapere, precisamente nello stesso istante, dov'il Sole nella sfera celeste. In altre parole il sole, che il cronometro degli uomini, non segna bene il tempo. Quando lo scoprii, caddi in una profonda depressione e tutto il cosmo mi parve pieno di dubbi. Leggi immutabili, come quelle della gravitazione universale e della conservazione dell'energia, diventarono incerte, e io mi preparai ad assistere a una loro violazione in qualsiasi momento, rimanendo impassibile. Poich badate, se la bussola mente e il Sole non mantiene i suoi impegni, perchgli oggetti non dovrebbero perdere la mutua attrazione e perchuna quantitmodesta di energia non potrebbe annullarsi? Diventava possibile persino il moto perpetuo, e io mi trovai nello stato d'animo di chi pronto ad acquistare azioni di una societcostruttrice di motori perpetui dal primo agente di borsa intraprendente che avesse messo piede sulla coperta dello "Snark". E quando scoprii che in realtla terra ruota intorno al suo asse 366 volte all'anno, mentre ci sono soltanto 365 albe e tramonti, fui pronto a dubitare della mia stessa identit

Ed cosche funziona il Sole. E' cosirregolare che l'uomo non puescogitare un orologio che segna l'ora solare. Il Sole accelera e ritarda come non si potrebbe fare accelerare e ritardare nessun orologio. Talvolta il Sole in anticipo sul suo orario, in altri momenti rimane indietro; e in altri ancora corre oltre il limite di velocitper riprendersi, o meglio, per raggiungere il punto in cui dovrebbe trovarsi nel cielo. In quest'ultimo caso non rallenta poi abbastanza in fretta, e quale risultato, oltrepassa il punto dove dovrebbe fermarsi. In realtper soli quattro giorni in tutto un anno, il Sole coincide con il punto in cui dovrebbe essere. Negli altri 361 giorni, il Sole si agita inquieto tutto intorno nella sua bottega.

L'uomo, essendo piperfetto del Sole, fa degli orologi che segnano il tempo regolarmente.

Inoltre egli riesce a calcolare di quanto il Sole anticipa o ritarda sul suo orario di marcia. La differenza tra la posizione del Sole e quella in cui il Sole dovrebbe trovarsi, se fosse un Sole per bene, un Sole che si rispetta, detta dall'uomo equazione del tempo. Cosil navigatore, che sta cercando di trovare la posizione della sua nave sul mare, guarda il suo cronometro per vedere dove precisamente il Sole dovrebbe essere secondo il custode del Sole che sta a Greenwich.

Poi a quella posizione applica l'equazione del tempo e trova dove il Sole dovrebbe trovarsi e non si trova. Quest'ultima posizione, insieme a parecchie altre, lo pone in grado di determinare la propria, esattamente quello che anch'io desideravo sapere.

Lo "Snark" fece vela dalle Figi il sabato, 6 giugno, e l'indomani, domenica, in aperto oceano, fuori vista della terra, mi accinsi a trovare la mia posizione mediante l'osservazione astronomica per la longitudine e l'osservazione meridiana per la latitudine.

L'osservazione astronomica fu fatta al mattino, quando il Sole era a circa 21 gradi al di sopra dell'orizzonte. Guardai nelle Effemeridi astronomiche e riscontrai che quel giorno, 7 giugno, il Sole era in ritardo di 1 minuto e 26 secondi, e che stava recuperando in ragione di 14,67 secondi all'ora. Il cronometro diceva che, nel momento preciso in cui io avevo preso l'altezza del Sole, erano le ore 8 25 minuti, ora di Greenwich.

Partendo da questo dato, sembrerebbe un giochetto da scolari quello di correggere l'equazione del tempo. Purtroppo io non ero uno scolaretto.

Evidentemente, a metdella giornata, a Greenwich, il Sole era in ritardo di 1 minuto 26 secondi. E altrettanto evidentemente, se fossero state le undici del mattino, il Sole sarebbe stato in ritardo di 1 minuto 26 secondi, pi14,67 secondi. Se fossero state le dieci del mattino si sarebbe dovuto aggiungere due volte 14,67 secondi. E se erano le ore 8 25 minuti del mattino, allora avrebbero dovuto essere aggiunti tre volte e mezza 14,67 secondi. Quindi, con assoluta chiarezza, se invece di essere le ore 8 25 minuti antimeridiane, fossero state le ore 8 25 minuti pomeridiane, allora 8 volte e mezza 14,67 secondi avrebbero dovuto essere non aggiunti, ma sottratti; perchse a mezzogiorno il Sole era in ritardo di 1 minuto 26 secondi, e se stava recuperando verso il punto in cui avrebbe dovuto essere in ragione di 14,67 secondi all'ora, quindi alle ore 8 25 minuti pomeridiane sarebbe stato molto pivicino al punto in cui avrebbe dovuto essere di quanto non fosse stato a mezzogiorno.

Fin qui, va tutto bene. Ma quelle 8 ore 25 minuti del cronometro erano antimeridiane o pomeridiane? Guardai l'orologio dello "Snark":

segnava le ore 8 9 minuti, ed erano certamente antimeridiane, perchavevo appena finito di fare la prima colazione.

Perci se a bordo dello "Snark" erano le otto del mattino, le otto del cronometro (che era l'ora effettiva di Greenwich) dovevano essere "8 ore" diverse dalle "8 ore" dello "Snark". Ma quali otto erano? Non potevano essere le otto di quel mattino, ragionai: percidovevano essere o le otto di quella sera o le otto della sera precedente.

Fu a questo punto che io sprofondai in un abisso senza fondo di caos intellettuale. Noi siamo in longitudine est, ragionai, quindi siamo in anticipo su Greenwich. Se siamo in ritardo su Greenwich, allora oggi ieri: se siamo in anticipo, allora ieri oggi, ma se ieri oggi, allora cos'mai l'oggi? Domani? Assurdo! Eppure doveva essere proprio cos Quando avevo osservato il Sole la mattina alle ore 8 25 minuti, i custodi del Sole a Greenwich si stavano alzando in quel momento da tavola, dopo il pranzo della sera precedente.

"Allora correggi l'equazione del tempo per ieri" diceva la mia logica innata.

"Ma oggi oggi", insisteva la mia mentalitletterale. "Io devo correggere il Sole per oggi e non per ieri".

"Ma oggi ieri", incalza la logica.

"Tutto questo va benissimo", continua la mentalitletterale. "Se io fossi a Greenwich potrei trovarmi a ieri. Strane cose succedono a Greenwich. Ma io sono altrettanto sicuro di essere in vita quanto di essere qui, ora, nella giornata di oggi, 7 giugno, e di avere osservato il Sole qui, ora, oggi, 7 giugno".

"Storie!" ribatte irritata la logica innata. "Lecky dice...".

"Non m'importa affatto di quello che dice Lecky", interrompe la mentalitletterale. "Lascia che ti ripeta quello che dicono le Effemeridi astronomiche. Le effemeridi dicono che oggi, 7 giugno, il Sole in ritardo di 1 minuto 26 secondi e sta recuperando in ragione di 14,67 secondi all'ora. Dicono che ieri, 6 giugno, il Sole era in ritardo di 1 minuto 36 secondi, e stava recuperando in ragione di 15,66 secondi all'ora. Come vedi, assurdo pensare di correggere il Sole d'oggi con la tabella del tempo di ieri".

"Cretina!".

"Idiota!".

E continuano tutte e due a bisticciarsi finchmi gira la testa e sono pronto a credere di trovarmi al domani dell'ultima settimana prima della prossima.

Ricordai un avvertimento che mi aveva dato alla partenza il nostromo di porto di Suva: "In longitudine est, prendete dalle Effereridi astronomiche gli elementi per il giorno precedente".

Allora mi venne un nuovo pensiero. Corressi l'equazione del tempo per domenica e per sabato, facendo due calcoli separati, e guarda un po', quando confrontai i risultati, c'era una differenza di solo quattro decimi di secondo. Mi sentii trasformato. Avevo trovato il modo di uscire dal labirinto. Lo "Snark" non era abbastanza grosso per contenere me e la mia esperienza. Quattro decimi di un secondo corrispondono a una differenza di un solo decimo di miglio - una gomena!

Tutto filallegramente per dieci minuti, finchnon mi venne in mente quella strofetta dei naviganti: "Greenwich time least - longitude east; Greenwich best - longitude west".

(Ora di Greenwich minore - longitudine est: Ora di Greenwich maggiore - longitudine ovest).

Cielo! Ma l'ora dello "Snark" era minore di quella di Greenwich - quando a Greenwich erano le ore 8 25 minuti, a bordo dello "Snark" erano soltanto le ore 8 9 minuti. "Ora di Greenwich maggiore - longitudine ovest". Ecco dov'ero, in longitudine ovest, senza dubbio alcuno.

"Stupido", grida la mentalitletterale. "Le tue ore 8 9 minuti sono antimeridiane, quelle di Greenwich le ore 8 25 minuti pomeridiane.

"Benissimo", risponde la logica. "Per essere esatti, le ore 8 25 minuti pomeridiane corrispondono in realtalle ore 20 25 minuti ed certo pitardi delle ore 8 25 minuti. No, non c'da discutere: siamo in longitudine ovest".

Allora la mentalitletterale trionfa: "Abbiamo fatto vela da Suva nelle Figi, no?" chiede, e la logica consente. "E Suva in longitudine est?". Di nuovo la logica consente. "E noi abbiamo fatto vela verso ovest (ciche avrebbe dovuto portarci sempre piin longitudine est), no?". Perci senza che tu ci possa fare niente. siamo in longitudine est.

"Ora di Greenwich maggiore, longitudine ovest", canticchia la logica: "devi concedermi che le ore 20 25 minuti sono pidelle ore 8 25 minuti".

"Benone", nella disputa intervengo io, "calcoliamo l'osservazione astronomica e poi vedremo".

E faccio il mio bravo calcolo, solo per trovare che la mia longitudine a 184 gradi ovest.

"Te l'avevo detto", esplode la logica.

Ammutolisco. Cosfa pure la mentalitletterale, per alcuni minuti; poi enuncia: "Ma non esiste 184 gradi longitudine ovest e nemmeno longitudine est, nnessun'altra longitudine. L'ultimo meridiano quello a 180 gradi, come dovresti ben sapere".

Giunti a questo punto, la mentalitletterale ha un collasso per la tensione mentale, la logica rimane muta per la stupefazione; e quanto a me, assumo uno sguardo lugubre e glaciale, e comincio a vaneggiare, chiedendomi se sto veleggiando verso le coste della Cina o verso il Golfo di Darien.

Fu allora che una vocetta sottile, che non riconobbi, proveniente da un punto sconosciuto della mia coscienza, disse:

"Il numero totale dei gradi 360. Sottrai 184 gradi longitudine ovest da 360, e avrai 176 gradi longitudine est.

"Questa un'ipotesi gratuita" obiettla mentalitletterale, e la logica protest "Non c'nessuna regola che lo dica".

"Al diavolo le regole" esclamai, "non ci sono qui io?".

"La cosa evidente di per s, continuai, "184 gradi longitudine ovest significa uno sconfinare in longitudine est per 4 gradi. Inoltre sono stato tutto il tempo in longitudine est. Ho fatto vela dalle Figi, e le Figi sono in longitudine est. Ora faril punto della mia posizione e lo verifichercon la stima".

Ma altri guai e dubbi erano in serbo per me. Eccone un esempio. In latitudine sud, quando il Sole in declinazione nord, l'osservazione al cronometro o astronomica puessere fatta di buon mattino. Io feci la mia alle otto del mattino. Ora, uno degli elementi necessari per effettuare questa osservazione la conoscenza della latitudine. Ma la latitudine, uno la misura a mezzogiorno, con l'osservazione meridiana.

E' chiaro che per calcolare la mia osservazione astronomica delle ore otto, devo avere la mia latitudine alle ore otto. Naturalmente se lo "Snark" veleggiasse verso ovest esatto a sei nodi all'ora per le quattro ore intermedie, la sua latitudine non cambierebbe. Se esso veleggiasse verso sud esatto, la sua latitudine varierebbe della bellezza di ventiquattro miglia, nel qual caso una semplice addizione o sottrazione convertirebbe la latitudine di mezzogiorno in quella delle ore otto. Ma supponete che lo "Snark" navighi per sud-ovest.

Allora si dovranno consultare le tavole dell'appartamento.

Vi chiarisco la cosa. Alle ore 8 antimeridiane feci la mia osservazione astronomica. Nello stesso istante presi nota del percorso segnato dal solcometro.

A mezzogiorno, quando feci l'osservazione di latitudine, di nuovo presi nota del solcometro, il quale mi mostrche dalle ore otto lo "Snark" aveva percorso 24 miglia. La sua rotta vera era stata ovest tre quarte sud. Consultai la prima tavola, alla colonna delle distanze, alla pagina delle rotte per tre quarte, e mi fermai a 24, il numero delle miglia percorse. In corrispondenza nelle due colonne vicine, trovai che lo "Snark" aveva percorso tre miglia e mezzo verso sud o in latitudine e 23,7 verso ovest. Trovare la mia latitudine alle ore 8 fu facile: non ebbi che da sottrarre 3,5 miglia dalla mia latitudine di mezzogiorno. Essendo in possesso di tutti gli elementi, calcolai la mia longitudine.

Ma questa era la mia longitudine alle ore otto. Da allora e fino a mezzogiorno, avevo fatto 23,7 miglia verso ovest. Qual era dunque la mia longitudine a mezzogiorno?

Mi attenni alle regole, rivolgendomi alla seconda tavola per la navigazione di appartamento. Consultando la tavola, secondo le regole, ed eseguendo tutte le operazioni prescritte, secondo le regole, trovai che la differenza di longitudine per le quattro ore era di 25 miglia.

Ne rimasi allibito. Consultai nuovamente la tavola, secondo le regole, ripetei le operazioni una dozzina di volte, secondo le regole, e ogni volta trovai che la mia differenza di longitudine era di 25 miglia. Mi rimetto a te, caro lettore. Supponi di avere navigato 24 miglia e di avere coperto 3,5 miglia di latitudine, come potresti allora avere coperto 25 miglia di longitudine? Anche se tu avessi diretto verso ovest esatto per 24 miglia, senza cambiare latitudine, come avresti potuto cambiare la tua longitudine di 25 miglia? In nome del buon senso, come potresti avere coperto un miglio di longitudine in pidel numero totale di miglia percorse navigando?

Eppure la mia tavola di appartamento era una tavola nota, nientemeno quella di Bowditch! La regola era semplice, come quasi tutte quelle per i navigatori; non avevo commesso nessun errore. Passai un'ora a studiare il problema e alla fine mi trovavo ancora di fronte alla patente impossibilitdi avere percorso 24 miglia, durante le quali avevo variato la latitudine di 3,5 miglia e la longitudine di 25 miglia. Il peggio era che nessuno era in grado di aiutarmi. NCharmian nMartin ne sapevano in fatto di navigazione quanto me. E in tutto quel frattempo lo "Snark" faceva vela follemente verso Tanna, nelle Nuove Ebridi. Bisognava pur fare qualcosa.

Come mi sia venuto in mente, io non lo so - chiamatela un'ispirazione, se volete. Ma in me nacque il pensiero: se lo spostamento verso sud equivale alla variazione di latitudine, perchlo spostamento verso ovest non equivale alla variazione di longitudine? Perchio devo trasformare lo spostamento verso ovest, per ottenere la variazione di longitudine?

E allora tutta quanta la bella situazione mi apparve chiara. I meridiani di longitudine distano fra loro 60 miglia (nautiche) all'Equatore: ai poli convergono. Percise io dovessi risalire il meridiano 180 fino a raggiungere il Polo Nord, e se un astronomo di Greenwich risalisse il meridiano 0 fino al Polo Nord, allora, a quel Polo Nord, ci potremmo stringere la mano lui e io, anche se prima di partire per il Polo Nord distavamo alcune migliaia di miglia. E ancora: se un grado di longitudine al Polo non ha ampiezza, e se lo stesso grado ampio 60 miglia all'Equatore, allora in un punto situato tra il polo e l'Equatore quel grado sarlargo mezzo miglio, e in altri un miglio, due miglia, trenta miglia, s e sessanta miglia.

Di nuovo tutto era chiaro. Lo "Snark" era a 19 gradi latitudine sud.

Il mondo non era cosampio lcome all'Equatore, quindi ogni miglio di percorso verso ovest a 19 gradi sud era pidi un minuto di longitudine: perchsessanta miglia sono sessanta miglia, ma sessanta minuti sono sessanta miglia soltanto all'Equatore. Giorgio Francis Train ha battuto il record di Giulio Verne in fatto di giri intorno al mondo, ma qualsiasi uomo che lo voglia pubattere il record di Giorgio Francis Train. Gli basterandare, con un piroscafo veloce, alla latitudine di Capo Horn, e fare tutto il giro continuando a navigare verso est esatto. Il mondo molto piccolo a quella latitudine e non c'nessuna terra che costringa a dirottare. Se il suo piroscafo tenesse una media di sedici nodi, la circumnavigazione del globo sarcompiuta in circa quaranta giorni.

Ma ci sono dei compensi. Il 10 giugno, un mercoledsera, avevo dedotto la mia posizione meridiana a mezzo della stima alle ore 8 pomeridiane. Poi tracciai la rotta dello "Snark" e vidi che sarebbe andato a finire dritto su Futuna, una delle isole pia est delle Nuove Ebridi, un cono vulcanico alto duemila piedi che sembra scaturire dall'oceano. Modificai la rotta, in modo che lo "Snark" passasse dieci miglia a nord. Poi dissi a Wada, il cuoco, che era di guardia al timone ogni mattina dalle quattro alle sei:

"Wada San, domani mattina, tua guardia, tu guardare bene per mura sopravvento, tu vedere terra".

E poi me ne andai a dormire. Il dado era gettato. Avevo messo in gioco la mia reputazione di navigatore. Supponete, supponete soltanto, che allo spuntar del giorno la terra non ci fosse. Ebbene, che ne sarebbe stato della mia navigazione? E dove saremmo stati? E come avremmo mai ritrovato la rotta? O dove avremmo trovato una terra? Ebbi visioni terrificanti di uno "Snark" che veleggiava per mesi e mesi nella solitudine degli oceani, cercando vanamente una terra, mentre noi consumavamo le nostre provviste e ci spiavamo a vicenda per cogliere nei rispettivi volti la tentazione del cannibalismo.

Confesso che il mio sonno non fu "... come un cielo estivo - che contenga la musica di un'allodola".

Piuttosto "mi risvegliai all'oscuritsenza voce" e ascoltai lo scricchiol髺 delle parat駰, e l'incresparsi del mare lungo il bordo, mentre lo "Snark" continuava a farsi le sue brave sei miglia all'ora.

Mi rifeci pivolte tutti i miei calcoli, sforzandomi di trovarci qualche sbaglio; finchil mio cervello fu in una tale effervescenza da scoprirne dozzine. Supponete che, invece di essere a sessanta miglia da Futuna, tutta la mia navigazione fosse sbagliata e io mi trovassi a sole sei miglia? In questo caso, la mia rotta sarebbe sbagliata, anche quella, e per quanto ne sapevo io, lo "Snark" poteva anche dirigere proprio su Futuna. Per quanto ne sapevo io, lo "Snark" poteva anche andare a cozzare contro Futuna tra un minuto.

A quel pensiero quasi balzai fuori dalla cuccetta: e per quanto mi frenassi, so che rimasi per un momento, nervoso e teso, ad aspettare l'urto.

Il mio sonno fu interrotto da tristissimi incubi. Il terremoto sembrava il tormento preferito, benchci fosse un uomo, con un conto in mano, che insistette nel perseguitarmi tutta la notte. E, di pi voleva venire alle mani; e Charmian continuamente mi dissuadeva dal farlo. Alla fine, per l'uomo con il suo sempiterno credito capitin un sogno da cui era assente Charmian. Era l'occasione che mi ci voleva, e ci azzuffammo in modo magnifico, lungo tutto il marciapiedi e per la strada, finchchiese grazia. E allora gli dissi:

"Beh, e quel conto?". Avendo trionfato, ero disposto a pagare. Ma l'uomo mi guardin faccia e brontol "Era tutto uno sbaglio. Il conto per la casa vicina".

Questo lo calm perchnon disturbpii miei sogni; e calmanche me, che mi svegliai ridendo per l'episodio. Erano le tre del mattino.

Salii in coperta. Henry, l'indigeno dell'isola Rapa, era al timone.

Guardai il solcometro: segnava quarantadue miglia. Lo "Snark" non aveva ridotto la sua andatura di sei nodi, e non era ancora incappato nella scogliera di Futuna. Alle cinque e mezza tornai in coperta.

Wada, al timone, non aveva avvistato nessuna terra. Mi sedetti sul bordo del pozzetto, in preda a pensieri morbosi per un quarto d'ora. E allora avvistai terra, un pezzetto piccolino, alto, di terra, proprio dove avrebbe dovuto essere, sorgente sull'acqua. Alle ore sei potei identificarlo per il bel cono vulcanico di Futuna. Alle otto, quando si presental traverso, presi la sua distanza con il sestante e trovai che era lontano 9,3 miglia. E io avevo deciso di passare alla distanza di 10 miglia.

Poi, a sud, Aneiteum sorse dal mare, a nord Aniwa e dritto di prora, Tanna. Per Tanna non ci si poteva sbagliare, perchil fumo del suo vulcano si innalzava alto nel cielo. Era distante quaranta miglia, e nel pomeriggio, mentre ci avvicinavamo all'isola, senza smettere di fare i nostri sei nodi, vedemmo che si trattava di una terra montagnosa, avvolta da nebbia, senza nessun passaggio visibile nella sua linea costiera. Mi misi a cercare Port Resolution, per quanto fossi preparatissimo a trovare che, come ancoraggio, esso non esisteva pi I terremoti vulcanici ne avevano rialzato il fondo negli ultimi quarant'anni, sicchldove un tempo le navi pigrosse stavano alla fonda, ora, secondo le notizie pirecenti, c'erano spazio e profonditappena sufficienti per lo "Snark". E perchun altro movimento tellurico, dopo le ultime notizie, non avrebbe potuto chiudere del tutto il porto?

Veleggiai vicino alla costa ininterrotta, frangiata di rocce a fior d'acqua, su cui le onde alte e rombanti spinte dall'aliseo si gettavano, bianche di spuma. A lungo scrutai con il binoccolo senza riuscire a vedere un'entrata. Presi un rilevamento bussola di Futuna, un altro di Aniwa, e li segnai sulla carta: dove i due si incontravano, avrebbe dovuto essere la posizione dello "Snark". Poi, con la mia parallela, tracciai la rotta tra la posizione dello "Snark" e Port Resolution. Dopo aver corretto questa rotta per la variazione e la deviazione, salii in coperta, e, guarda un po', la rotta si dirigeva verso quella linea costiera ininterrotta di fragorosi frangenti. Malgrado la viva preoccupazione del mio isolano di Rapa, continuai nella stessa direzione, finchgli scogli a fior d'acqua furono a un ottavo di miglio da noi.

- Nessun porto questo posto - egli annunci scrollando il capo in modo sinistro.

Ma io modificai la rotta e navigai parallelamente alla costa. Charmian era al timone, Martin al motore, pronto a mettere in moto. La stretta fenditura apparve a un tratto; perattraverso il binocolo potei vedere che la linea dei frangenti si presentava continua. Henry, il nativo di Rapa, guardava con occhi timorosi, e cosTehei, il nativo di Tahaa.

- Nessun passaggio l- disse Henry. - Noi andare l noi andare a fondo presto, sicuro.

Confesso che lo pensavo anch'io, ma continuai nella rotta al traverso, guardando attentamente se per caso la linea dei frangenti da un lato dell'entrata non si proiettava contro quella dei frangenti dall'altro lato. Ma certo, succedeva proprio cos Un punto stretto in cui le onde correvano lisce apparve. Charmian mise tutta la barra e diresse per l'entrata. Martin mise in moto il motore, mentre tutti gli altri e il cuoco si affrettarono ad ammainare le vele.

La casa di un commerciante apparve nell'insenatura della baia. Un geyser, sulla spiaggia, cento iarde piin l emetteva una colonna di vapore. A sinistra, mentre doppiavamo un piccolo promontorio, vedemmo l'edificio della missione.

- Tre braccia - annunciWada allo scandaglio.

- Tre braccia -, due braccia - si susseguirono rapidamente.

Charmian mise tutta la barra, Martin fermil motore, lo "Snark" accost e l'ancora scese rumoreggiando in tre braccia. Prima che potessimo riprendere fiato, uno sciame di neri abitanti di Tanna era lungo il bordo e a bordo - esseri scimmieschi, dal ghigno feroce, con i capelli attorti e gli occhi torbidi, che nei lobi forati delle orecchie avevano infisse delle spille di sicurezza e pipe di argilla, e che, del resto non avevano nulla a ricoprirli davanti e meno ancora dietro. E non ho scrupolo a dirvi che quella sera, quando tutti si furono addormentati, io tornai furtivamente in coperta, e contemplando quel tranquillo paesaggio, mi sentii fierissimo - s fierissimo della mia navigazione.




CAPITOLO 15


IN CROCIERA NELLE ISOLE SALOMONE

- Perchnon venite adesso? - ci chiese il capitano Jansen a Penduffryn, nell'isola di Guadalcanar.

Charmian e io ci guardammo in viso e silenziosamente discutemmo della cosa per mezzo minuto. Poi simultaneamente assentimmo. E' un modo nostro di prendere una decisione sulle cose da fare: ed un modo comodissimo, quando non si tipi da versare fiumi di lacrime sull'ultimo barattolo di latte condensato, che si appena rovesciato.

(Stavamo vivendo in quei giorni di roba in conserva, e poichsi vuole che la nostra mente sia un'emanazione della materia, i nostri paragoni ricadevano naturalmente nella categoria del genere "casse di roba di conserva").

- Farete bene a portarvi le vostre rivoltelle e un paio di fucili - disse il capitano Jansen. - A bordo ho cinque fucili, ma il Mauser senza munizioni. Avete qualche cartuccia da cedermi?

Portammo i nostri fucili a bordo, parecchie manciate di cartucce Mauser, e Wada e Nakata, rispettivamente cuoco e cameriere dello "Snark". Wada e Nakata avevano la tremarella: per minimizzare la cosa, non erano entusiasti, benchNakata non si fosse mai mostrato vigliacco di fronte a un pericolo. Ma le Isole Salomone non li avevano trattati gentilmente. Prima di tutto, tutti e due avevano sofferto di piaghe delle Salomone. Era accaduto lo stesso anche a tutti noi altri (in quel periodo, me ne stavo curando due recenti a base di sublimato corrosivo), ma i due giapponesi ne avevano avuto pidi quanto gli spettava. E le piaghe non sono simpatiche. Si possono definire delle ulcere eccessivamente attive. Una morsicatura di zanzara, un taglio o la minima screpolatura bastano perchvi si annidi il veleno di cui l'aria sembra satura. Immediatamente l'ulcera comincia ad allargarsi, si allarga in ogni direzione, distruggendo pelle e muscoli con stupefacente rapidit L'ulcera a capocchia di spillo del primo giorno, il secondo ha le dimensioni di una monetina, alla fine della settimana un dollaro d'argento non bastera coprirla.

Peggio ancora, i due giapponesi erano stati tormentati dalle febbri delle Isole Salomone. Tutti e due ne avevano sofferto a piriprese, e nei loro momenti di debolezza e di convalescenza, solevano stringersi l'uno all'altro in quella parte dello "Snark" che per caso era pivicina al lontano Giappone, e guardare a lungo nostalgicamente in quella direzione.

Ma ora, la cosa peggiore di tutte, li avevamo imbarcati sul "Minota" per una crociera lungo la costa selvaggia di Malaita a scopo di reclutamento.

Wada, che aveva la paura piforte, era sicuro di non rivedere piil Giappone, e con occhi tristi, spenti, stava a vedere fucili e munizioni portati a bordo del "Minota". Sapeva tutto sul "Minota" e sulle sue crociere a Malaita. Sapeva che la nave era stata catturata sei mesi prima sulle coste di Malaita, che il suo capitano era stato fatto a pezzi a colpi di tomahawk, e che, secondo il barbaro senso di equitin vigore in quella dolce isola, essa era in credito di altre due teste. Inoltre un coltivatore della piantagione di Penduffryn, un ragazzo di Malaita, era appena morto per dissenteria, e Wada sapeva che Penduffryn era ritenuta debitrice di un'altra testa ancora a Malaita. E ancora, nello stivare i nostri bagagli nella saletta del capitano, aveva visto le fenditure nella porta per i colpi d'ascia dati dagli uomini della boscaglia quando, dopo aver sopraffatto quelli del "Minota", erano riusciti a salire a bordo. Infine la cucina era senza tubo, detto tubo avendo fatto parte del bottino.

Il "Minota" era uno yacht australiano, costruito in legno di teck, attrezzato a ketch, lungo e stretto, con chiglia di piombo, progettato piuttosto per gareggiare in rada che per servire a reclutare dei negri. Quando Charmian e io arrivammo a bordo, lo trovammo affollato.

Il doppio equipaggio della nave, compreso il cambio, ammontava a quindici persone, inoltre c'era una ventina e pidi giovani "di ritorno", i quali, per contratto ultimato nelle piantagioni, dovevano tornare ai loro villaggi nella boscaglia. A vederli, si sarebbero detti, senza dubbio alcuno, dei veri cacciatori di teste. Nelle loro narici perforate erano infissi ossi e spilloni di legno della grossezza di matite. Parecchi fra loro avevano la punta estrema carnosa del naso bucata e ne sporgevano dritti dei pezzi appuntiti fatti con gusci di tartaruga o perle infilate su un filo metallico rigido. Alcuni, invece, avevano inoltre forato il naso con file di buchi che seguivano la curva delle narici, dal labbro alla punta del naso. Ogni lobo d'orecchio di quegli uomini recava da due a dodici buchi - da quelli abbastanza grandi per portare delle spine di legno del diametro di tre pollici fino a quelli minuscoli, che servivano a portare pipe d'argilla e altre inezie del genere. Insomma, avevano tanti di quei buchi da essere a corto di ornamenti per riempirli; e quando, l'indomani, nell'avvicinarci a Malaita, provammo i nostri fucili per vedere se erano in buono stato, ci fu una mischia generale per le cartucce vuote, che erano subito infilate nei vuoti - purtroppo numerosi - delle orecchie dei nostri passeggeri.

Mentre provavamo i nostri fucili, furono sistemate le battagliole di ferro spinato. Il "Minota", con una grande coperta priva di tuga, e con un bastingaggio alto sei pollici, era troppo accessibile a un arrembaggio. Percidei candelieri d'ottone furono avvitati sulla coperta e una doppia spira di filo spinato fu stesa tutto intorno da prora a poppa e di nuovo a prora. Il che era una bellissima cosa come protezione contro i selvaggi, ma veramente scomoda per chi si trovava a bordo, quando il "Minota" comincia impennarsi e a tuffare la prua nell'acqua.

Quando uno non ha molta simpatia per scivolare sul filo spinato del bordo di sottovento, e quando, con queste varie tendenze antitetiche, si trova su una coperta sdrucciolosa, sgombra e inclinata di 45 gradi, potrcapire alcune delle delizie di una crociera nelle Isole Salomone. Inoltre, e questo dev'essere tenuto a mente, lo scotto da pagare per una caduta sul filo spinato pidi semplici graffiature, perchognuna di esse con assoluta certezza diventerun'ulcera maligna. Che le precauzioni non salvassero dal filo spinato, ne avemmo la prova un bel mattino, mentre stavamo veleggiando lungo la costa di Malaita con una brezza al giardinetto. Il vento era teso e il mare si faceva sentire. Un ragazzo negro era alla barra. Il capitano Jansen, Mister Jacobsen (il secondo), Charmian e io c'eravamo appena seduti in coperta per fare colazione. Tre ondate insolitamente grosse ci colsero di sorpresa. Il ragazzo alla barra perse la testa, e tre volte il "Minota" fu spazzato dal mare. La colazione precipitfuori dalla murata sottovento, coltelli e forchette andarono a finire negli ombrinali, un giovane a poppa fu sbalzato fuori del tutto e recuperato; e il nostro formidabile comandante si trovmeta bordo e metfuori, imbrigliato nel filo spinato. Da allora in poi, per il resto della crociera, il nostro uso cumulativo dei vari utensili per mangiare rimasti fu un magnifico esempio di comunismo primitivo. Sulla "Eug幯ie" ad esempio, fu anche peggio, perchci trovammo ad avere un solo cucchiaino da tin quattro - ma quella dell'"Eug幯ie" un'altra storia.

Il nostro primo porto fu Su'u sulla costa occidentale di Malaita. Le Isole Salomone sono al limite delle zone conosciute. E' giabbastanza difficile navigare nella notte buia attraverso canali punteggiati da scogli e con correnti irregolari, dove non ci siano fanali a guidare, (da nord-ovest a sud-est le Salomone si stendono per un migliaio di miglia di mare, e in tutte le migliaia di miglia di coste non c'un solo faro): ma la difficoltmolto aumentata dal fatto che della terra stessa non c'una carta esatta. Su'u ne un esempio. Sulla carta di Malaita dell'Ammiragliato, la costa in questo punto segue una linea dritta, ininterrotta. Eppure in questa linea dritta ininterrotta il "Minota" navigin venti braccia d'acqua. Dove avrebbe dovuto esserci terra c'era una profonda insenatura. Vi penetrammo, mentre le mangrovie s'intrecciavano sulle nostre teste, finchdemmo fondo in un piccolo e tranquillo specchio d'acqua.

Al capitano Jansen questo ancoraggio non piaceva; era la prima volta che ci si trovava, e Su'u godeva di una cattiva fama. Non c'era vento per allontanarsi in caso d'attacco, mentre l'equipaggio poteva essere ammazzato da gente annidata nella boscaglia fino all'ultimo uomo, se avesse tentato di rimorchiare fuori la nave con la baleniera. Era una graziosa trappola, se le cose si fossero messe male.

- Supponiamo che il "Minota" vada in secco, che fareste? - chiesi.

- Non andrin secco - fu la risposta del capitano Jansen.

- Ma nel caso che questo succedesse? - insistetti.

Rimase un istante a riflettere, volgendo gli occhi dal secondo, che si affibbiava il revolver, all'equipaggio che stava imbarcandosi allora sulla baleniera, ogni uomo con il proprio fucile.

- Ci metteremmo nella baleniera e ce ne andremmo via di qui al pipresto che Dio ci permettesse - fu, dopo l'indugio, la risposta del comandante, che continupoi a spiegare come nessun bianco potesse essere sicuro del proprio equipaggio oriundo di Malaita in un posto isolato: che gli uomini della boscaglia consideravano ogni relitto loro proprietpersonale: che essi possedevano in abbondanza fucili Snider, e che lui aveva a bordo una dozzina di quei giovani "di ritorno", diretti a Su'u, i quali certamente si sarebbero uniti ai loro amici e parenti a terra, quando si fosse trattato di saccheggiare il "Minota".

Il primo compito della baleniera fu quello di portare a terra i giovani "di ritorno" e i loro bagagli, togliendo cosdi mezzo un pericolo.

Mentre si faceva questo, una canoa manovrata da tre selvaggi nudi venne sottobordo. E quando dico nudi, voglio dire nudi. Non avevano indosso nessun segno di indumenti, a meno che anelli nel naso, bastoncini negli orecchi e braccialetti di conchiglie possano essere considerati indumenti. Il capo della canoa era un vecchio, con un occhio solo, che sembrava amico, e cossporco che una raschietta avrebbe perso il suo filo su di lui. La sua missione consisteva nell'avvertire il comandante di non permettere a nessuno dell'equipaggio di andare a terra, e l'ammonimento ci fu ripetuto anche a sera.

Invano la baleniera si aggirper le varie spiagge della baia alla ricerca di reclute. La boscaglia era piena di indigeni armati, tutti abbastanza propensi a parlare con il reclutatore, ma nessuno voleva impegnarsi con un contratto di lavoro nella piantagione per tre anni a sei sterline l'anno. Eppure sembrava che desiderassero attirare la nostra gente a terra. Il secondo giorno fecero una fumata sulla spiaggia all'estremitdella baia, e poichquesto era il segnale consueto degli uomini che volevano essere assunti, mandammo la baleniera. Ma senza alcun risultato. Nessuno venne a farsi assumere e nessuno dei nostri uomini si sentattirato a scendere a terra.

Poco dopo scorgemmo vagamente un certo numero di indigeni armati che si aggiravano per la spiaggia.

All'infuori di questi pochi indizi, non si poteva dire quanti di essi potessero essere in agguato nella boscaglia. Non c'era modo di penetrare con lo sguardo in quella giungla primordiale. Nel pomeriggio il capitano Jansen, Charmian e io andammo a pescare con la dinamite.

Ogni uomo dell'equipaggio portava un fucile Lee-Entfield. "Johnny", il reclutatore indigeno, aveva un Winchester accanto a sal timone.

Vogammo vicino a una parte della spiaggia che sembrava deserta. Qui la barca fu fatta accostare e indietreggiare; in caso d'attacco, sarebbe stata pronta a schizzare via. Per tutto il tempo in cui fui a Malaita, non vidi mai una barca prendere terra con la prua. Anzi, di solito, le navi che vanno alla ricerca di lavoratori si servono di due battelli - uno per andare a riva, armato, naturalmente, e l'altro per rimanere in attesa, qualche centinaio di piedi al largo, e "proteggere" il primo.

Il "Minota" per essendo una nave piccola, non disponeva di un battello di protezione.

Eravamo giprossimi a terra e ci stavamo avvicinando ancor di pidi poppa, quando fu avvistato un banco di pesci. Demmo fuoco alla miccia e gettammo lo spezzone di dinamite. Per l'esplosione lo specchio d'acqua fu solcato dal lampeggiare di pesci che saltavano fuori. Nello stesso momento i boschi si animarono, e una ventina di selvaggi nudi, armati di archi, frecce e lance, e di fucili Snider, sbucarono sulla spiaggia. Istantaneamente l'armamento della barca imbraccii fucili.

E cosi due gruppi opposti rimasero l'uno di fronte all'altro, mentre i nostri uomini in eccedenza si buttavano in acqua alla ricerca dei pesci storditi dall'esplosione.

Passammo a Su'u tre giornate infruttuose. Il "Minota" non trovnessun nuovo lavoratore nella boscaglia, e gli indigeni non ricavarono nessuna testa dal "Minota". In veritil solo che prese qualcosa fu Wada, e fu una buona dose di febbre. Ci facemmo rimorchiare al largo dalla baleniera e navigammo lungo la costa fino a Langa Langa, un grosso villaggio di gente di mare, costruito con un lavoro prodigioso su un banco di sabbia nella laguna - letteralmente costruito; un'isola artificiale elevata quale rifugio contro gli abitanti della boscaglia assetati di sangue. L inoltre, sul lato costiero della laguna, c'era Binu, il luogo dove sei mesi prima il "Minota" era stato catturato e il suo capitano ucciso dagli uomini della boscaglia. Mentre passavamo attraverso la stretta imboccatura, una canoa venne sottobordo con la notizia che una nave da guerra era appena andata via quella stessa mattina dopo avere incendiato tre villaggi, ucciso una trentina di maiali e affogato un bambino. Si trattava del "Cambrian", al comando del capitano Lewes. Lui e io ci eravamo giconosciuti in Corea al tempo della guerra russo-giapponese, e da allora le nostre strade si erano spesso incrociate senza che ci potessimo mai incontrare. Il giorno che lo "Snark" era entrato a Suva, nelle Figi, avevamo avvistato il "Cambrian" che ne usciva. A Vila, nelle Nuove Ebridi, ci eravamo mancati per un giorno solo. C'eravamo passati accanto al largo dell'isola di Santo. E il giorno in cui il "Cambrian" era arrivato a Tulagi, noi lasciavamo Penduffryn, a circa dodici miglia di distanza.

E qui a Langa Langa non ci eravamo incontrati per poche ore di differenza.

Il "Cambrian" era venuto a punire gli uccisori del capitano del "Minota", ma che cosa fosse riuscito realmente a fare, lo venimmo a sapere soltanto pitardi, quel giorno, quando un missionario, Mister Abbott, venne sottobordo con la sua baleniera. I villaggi erano stati incendiati e i maiali uccisi, ma gli indigeni personalmente non avevano subito alcun danno. Gli uccisori non erano stati fatti prigionieri, anche se erano stati recuperati la bandiera e altri attrezzi del "Minota". L'annegamento del bambino era stata la conseguenza di un equivoco. Il capo Johnny di Binu si era rifiutato di guidare la compagnia da sbarco attraverso la boscaglia, e nessuno dei suoi uomini aveva potuto essere persuaso ad assumere questo incarico.

Perciil comandante Lewes, giustamente indignato, aveva detto a capo Johnny che egli si meritava di avere il suo villaggio bruciato. Ma l'idioma anglo-indigeno di Johnny non aveva nessuna parola che corrispondesse al verbo "meritare". Cosegli aveva interpretato che il suo villaggio sarebbe stato comunque bruciato. L'immediata evacuazione degli abitanti era stata cosprecipitosa che il bimbo era caduto nell'acqua.

Nel frattempo capo Johnny si era affrettato a recarsi da Mister Abbott, gli aveva messo in mano quattordici sterline, supplicandolo di andare a bordo del "Cambrian" e consegnare quella somma al Comandante Lewes per placarlo. Il villaggio di Johnn non era stato bruciato nil comandante Lewes aveva preso le quattordici sterline, perchle vidi poi in possesso di Johnny, quando venne a bordo del "Minota". La scusante che Johnny mi addusse per non avere guidato la compagnia da sbarco fu un grosso foruncolo, che mi mostrcon grande fierezza.

Tuttavia la sua vera ragione, e una perfettamente valida, per quanto non la dicesse, era la paura di vendette da parte degli abitanti della boscaglia. Se lui o qualcuno dei suoi uomini avesse guidato i marinai, avrebbe potuto aspettarsi delle rappresaglie sanguinose, non appena il "Cambrian" avesse salpato.

A illustrare le condizioni di vita nelle Isole Salomone, racconterche lo scopo di Johnny nel venire a bordo era quello di consegnare, in cambio di tabacco, il buttafuori, la vela maestra e il fiocco di una baleniera. Pitardi, nella stessa giornata, un altro capo Billy venne pure a bordo e consegnin cambio di tabacco l'albero e il boma, il tutto appartenente all'attrezzatura di una baleniera che il capitano Jansen aveva recuperato in un precedente viaggio del "Minota".

La baleniera apparteneva alla Piantagione Meringe nell'isola Isabella.

Undici lavoratori sotto contratto, per di pioriundi di Malaita e abitanti della boscaglia, avevano deciso di scappare, ma essendo gente della boscaglia, erano del tutto digiuni di mare e del maneggio di una barca. Cosavevano indotto due indigeni di San Cristobal, gente di mare, a fuggire con loro. Quelli di San Cristobal ebbero quello che si meritavano, perchavrebbero dovuto essere piaccorti; infatti, dopo che ebbero portato al sicuro a Malaita quella barca rubata, gli altri tagliarono loro la testa. Ed era questa barca ed erano questi attrezzi che il capitano Jansen aveva recuperato.

Non fu inutilmente che io feci tutto quel lungo viaggio fino alle Salomone. Finalmente mi fu dato di vedere la tempra orgogliosa di Charmian umiliata e la sua imperiosa regalitfemminile trascinata nella polvere. Questo avvenne a Langa Langa, a terra, nell'isola costruita che quasi non si puvedere, tante case vi sono.

Qui, circondati da centinaia di uomini, donne e bambini, tutti nudi, e senza vergognarsene, continuammo a girare per ammirare il panorama.

Avevamo le rivoltelle affibbiate alla cintura, e l'equipaggio del battello, armato di tutto punto, stava ai remi, poppa a terra; ma la lezione della nave da guerra era troppo recente perchdovessimo temere delle complicazioni. Girammo dappertutto e vedemmo tutto, finchall'ultimo ci avvicinammo a un grosso tronco d'albero che serviva da ponte al di sopra di un basso estuario. I negri ci sbarrarono il passo, formando come un muro davanti a noi, e rifiutarono di lasciarci passare. Chiedemmo perchci avevano fermato, e i negri risposero che noi potevamo andare avanti. Ci fu un malinteso e noi ci avviammo. Le spiegazioni diventarono allora pichiare.

Il capitano Jansen e io, essendo degli uomini, potevamo andare avanti, ma a nessuna Maria era permesso di passare a guado quel corso d'acqua e tanto meno di attraversare quel ponte. "Maria" la parola in quel linguaggio anglo-indigeno per "donna". Charmian era una Maria. Per lei il ponte era "tambo" - la parola indigena per tab Ah, come mi gonfiai d'orgoglio! Finalmente la mia virilitera rivendicata. In veritio appartenevo al sesso dominante. Charmian poteva trascinarsi alle nostre calcagna, ma noi eravamo uomini e avremmo potuto andare dritti in quel punto, mentre lei avrebbe dovuto passare oltre con la baleniera.

Ora io non vorrei essere frainteso per quanto dirora: ma una cosa comunemente risaputa nelle Isole Salomone che gli attacchi di febbre sono spesso dovuti a forti emozioni. Meno di un'ora dopo che a Charmian era stato rifiutato il diritto di passaggio, la dovevamo riportare in fretta a bordo del "Minota", avvolgerla in coperte e rimpinzarla di chinino. Non so quale genere di forte emozione fosse toccata a Wada e a Nakata, ma anche loro furono colti dalla febbre. Le Isole Salomone potrebbero essere pisalubri.

Inoltre, durante l'attacco di febbre, a Charmian venne fuori una piaga caratteristica di quelle isole. Fu l'ultima pagliuzza. Ognuno a bordo dello "Snark" ne aveva sofferto salvo lei. Io avevo creduto di dover perdere un piede fino alla caviglia per una noiosa ulcera eccezionalmente maligna. Henry e Tehei, i marinai di Tahiti, ne avevano avuto in quantit Wada era arrivato al punto di contare le sue a ventine. Nakata ne aveva avuto di quelle lunghe ognuna tre pollici, Martin era stato arcicerto che la necrosi dell'osso della sua tibia avesse avuto origine nella stupefacente colonia che aveva scelto di coltivare in quella zona. Ma Charmian si era salvata, e dalla sua lunga immunitera germogliato un senso di disprezzo per tutti quanti noi. Il suo "io" ne era cosorgoglioso che un giorno timidamente mi aveva informato come fosse tutta una questione di sangue puro. Siccome in tutti noi altri queste ulcere si manifestavano e in lei no - beh, ad ogni modo la sua era grossa quanto un dollaro d'argento, e la purezza del suo sangue le permise di farla guarire dopo parecchie settimane di cure energiche.

Lei ripone tutta la sua fiducia nel sublimato corrosivo, Martin non vuole che iodoformio, Henry si serve di succo di limone puro, e io ritengo che quando il sublimato corrosivo lento nel fare il suo effetto, medicazioni alternate di acqua ossigenata sono proprio quello che ci vuole. Ci sono dei bianchi nelle Isole Salomone che si fidano solo dell'acido borico, e altri che hanno un preconcetto a favore del lisolo.

Anch'io ho la debolezza di conoscere una panacea. Ed la California.

Sfido qualsiasi uomo a prendersi un'ulcera delle Isole Salomone in California.

Partendo da Langa Langa, percorremmo tutta la laguna in mezzo ad acquitrini di mangrove, attraversando bracci appena pilarghi del "Minota", passando accanto ai villaggi di Kaloka e Auki, sulla scogliera. Come i fondatori di Venezia, questa gente di mare era in origine fuggita dalla terraferma. Troppo deboli per sapersi difendere nella boscaglia, sopravvissuti a massacri di interi villaggi, essi avevano cercato rifugio sui banchi di sabbia della laguna, e ne avevano fatto delle isole. Costretti a cercarsi di che vivere nel mare, col tempo erano diventati dei marinai, avevano imparato a conoscere le usanze dei pesci e dei molluschi, inventato ami e lenze, reti e nasse, e avevano finito per avere dei corpi adatti alle canoe, erano diventati individui dalle braccia muscolose e dall'ampio torace, con una vita sottile e gambe fragili simili a quelle dei ragni. Poichcontrollavano tutta la costa del mare, si erano arricchiti e il commercio con l'interno era venuto a passare quasi tutto per le loro mani.

Ma tra loro e gli uomini della boscaglia esiste una perenne inimicizia. Praticamente le loro tregue corrispondono soltanto ai giorni di mercato, il quale si effettua a intervalli determinati, di solito due volte per settimana. Le donne della boscaglia e quelle della gente di mare fanno i baratti, mentre dietro, nella boscaglia, alla distanza di cento iarde, ben armati, stanno in agguato gli uomini della boscaglia, e, dal lato del mare, nelle canoe, ci sono i marinai.

Si sono verificati pochissimi casi in cui queste tregue nei giorni di mercato non sono state rispettate. Gli uomini della boscaglia hanno troppa passione per il pesce, mentre la gente di mare ha un bisogno organico dei vegetali, che non pufar crescere sulle isolette affollate.

Trenta miglia di navigazione da Langa Langa ci condussero al canale tra l'isola Bassakanna e la terraferma. Qui, al crepuscolo, il vento ci lascie per tutta la notte, con la baleniera che ci rimorchiava di prua e l'equipaggio a bordo che sudava ai remi, ci sforzammo di avanzare. Ma la marea ci era contraria. A mezzanotte, a metdel canale, raggiungemmo l'"Eug幯ie", una grossa goletta che serviva per il reclutamento, rimorchiata da due baleniere. Il suo comandante, capitano Keller, un ardito giovanotto tedesco di ventidue anni, venne a bordo per fare quattro chiacchiere, e ci confidammo le recentissime di Malaita. Lui era stato pifortunato di noi, essendo riuscito ad assoldare una ventina di uomini nel villaggio di Fiu.

Mentre era lalla fonda, era avvenuto uno dei soliti esecrandi assassinii. Il giovane ucciso era quello che si dice un uomo della boscaglia - marinaio - ossia un marinaio che anche per metuomo della boscaglia e che vive sulle rive del mare ma non in un'isoletta.

Tre uomini della boscaglia lo avevano avvicinato, mentre stava lavorando nel suo orto, si erano mostrati amichevoli e dopo un poco avevano accennato al "kai-kai", la parola che significa cibo. Lui aveva acceso il fuoco e incominciato a far bollire un po' di aro.

Mentre era chino sulla pentola, uno degli uomini della boscaglia gli aveva sparato in testa. Era caduto tra le fiamme: poi quelli gli avevano infilzato una lancia nello stomaco, lo avevano sbudellato e fatto a pezzi. - Parola d'onore - disse il capitano Keller - non vorrei mai morire ammazzato da un colpo di Snider. Che squarcio! Si sarebbe potuto far passare un cavallo e una carrozza attraverso quel buco nella sua testa. Un altro recente e sanguinoso assassinio di cui sentii parlare a Malaita era quello di un vecchio. Un capo di queste tribera morto di morte naturale. Ora gli indigeni della boscaglia non credono alle morti naturali. Nessuno mai morto di morte naturale; il solo modo di morire per una pallottola o per un colpo di tomahawk o per una ferita di lancia. Quando un uomo muore per qualche altra causa, evidentemente per effetto di un sortilegio.

Quando quel capo mornaturalmente, la sua tribne attribula colpa a una certa famiglia, e siccome non importava quale membro della famiglia fosse ammazzato, venne prescelto questo vecchio che viveva solo, ciche avrebbe reso l'impresa facile, tanto piche egli non possedeva nessun Snider ed era pure cieco. Il vecchio ebbe sentore di quanto si stava preparando e ammucchiun ampio rifornimento di frecce. Tre valorosi guerrieri, ognuno con il proprio Snider, lo vennero ad assalire quando fu buio, e tutta la notte lottarono strenuamente con lui. Non appena si muovevano nella boscaglia o facevano il minimo rumore o frusc髺, il vecchio lanciava una freccia in quella direzione. Al mattino, quando aveva ormai esaurito l'ultima sua freccia, i tre eroi avanzarono strisciando fino alla sua casa e gli fecero saltare le cervella.

La mattina ci trovche stavamo ancora cercando vanamente di risalire il canale. Alla fine, disperati, invertimmo la rotta, dirigendo verso il mare aperto e navigammo in franch駮 attorno a Bassakanna verso il nostro obiettivo, Malu. L'ancoraggio a Malu era ottimo, ma si trovava tra la spiaggia e una brutta scogliera, e mentre era facile entrarci, era difficile uscirne. La direzione dell'aliseo di sud-est rendeva necessario di puggiare al vento: la punta della scogliera era estesa e bassa, mentre una corrente con qualsiasi tempo spingeva verso la punta.

Mister Caulfeild, il missionario di Malu, arrivnella sua baleniera, reduce da un giro lungo la costa; era un individuo snello, delicato, entusiasta del suo lavoro, equilibrato e pratico, un vero soldato di Dio del ventesimo secolo. Quando era arrivato in questa destinazione di Malaita, come ci raccont si era impegnato a rimanerci sei mesi.

Successivamente aveva acconsentito a rimanere ulteriormente, se alla fine di quel periodo fosse stato ancora in vita. Erano passati sei anni, e lui era ancora l Tuttavia aveva avuto le sue buone ragioni per dubitare di sopravvivere pidi sei mesi. Tre missionari lo avevano preceduto a Malaita, e in un periodo di tempo ancora minore, due erano morti di febbre e il terzo era tornato in patria ridotto un vero relitto.

- Di quale assassinio state parlando? - domanda un tratto, nel bel mezzo di una conversazione animata con il capitano Jansen.

Questi glielo spieg

- Oh, non quello di cui parlavo io - disse Mister Caulfeild. - Quello roba vecchia, successo due settimane fa.

Fu qui a Malu che io espiai il senso di orgoglio ed esultanza di cui mi ero reso colpevole a proposito dell'ulcera delle Salomone, che Charmian si era presa a Langa Langa; e Mister Caulfeild fu indirettamente il responsabile della mia espiazione. Ci regalun pollo, che io inseguii nella boscaglia con un fucile, con l'intenzione di fargli volar via la testa. Ci riuscii, ma nel farlo caddi su un tronco d'albero e mi scorticai.

Risultato: tre ulcere delle Salomone. Cosin tutto ne avevo cinque ad adornare la mia persona. Inoltre il capitano Jansen e Nakata si erano presi il "gari-gari" che, tradotto letteralmente, significa "gratta- gratta". Ma la traduzione non era necessaria per tutti noi. La ginnastica del capitano e di Nakata serviva da traduzione senza bisogno di parole.

No, le Isole Salomone non sono cossalubri come potrebbero essere.

Scrivo queste righe nell'isola Isabella, dove abbiamo portato lo "Snark" a carenare e pulire la chiglia di rame. Stamattina ho superato il mio ultimo attacco di febbre, e tra un attacco e l'altro non sono rimasto senza che un giorno solo. Quelli di Charmian si distanziano di due settimane, Wada diventato un cencio per le febbri, e la notte scorsa presentava tutti i sintomi della polmonite. Henry, un magnifico gigante tahitiano, che ha appena lasciato il letto, dopo la sua ultima dose di febbre, si trascina per la coperta come una mela selvatica raggrinzita, e sia lui che Tehei hanno messo insieme uno spettacolo impressionante di piaghe. Inoltre si sono presi una nuova forma di "gari-gari", una specie di intossicazione per un veleno vegetale, come di quercia velenosa o di edera velenosa.

Ma in questo non sono soli. Parecchi giorni fa Charmian, Martin e io siamo andati a caccia di colombi in una piccola isola e da allora abbiamo pregustato gli eterni tormenti. Inoltre, in quella isoletta Martin si tagliuzzato le piante dei piedi sulla scogliera di corallo, mentre inseguiva un pescecane - almeno cosdice lui, che, da quanto ne potei vedere io, ritenevo che fosse esattamente il contrario. Tutti i tagli sono diventati altrettante piaghe delle Salomone. Prima del mio ultimo attacco di febbre mi spellai le nocche delle dita mentre facevo forza su una cima, e ora ho altre tre piaghe fresche fresche. E il povero Nataka! Per tre settimane non gli stato possibile rimanere seduto. Ieri lo aveva fatto per la prima volta, ed riuscito a starci per un quarto d'ora. Lui sostiene allegramente che conta di essere guarito del suo "gari-gari" il mese prossimo. Inoltre il suo "gari-gari", in seguito al grattarsi con eccessivo entusiasmo, ha fornito le basi per innumerevoli piaghe delle Salomone. E come se cinon bastasse, ha appena avuto il suo settimo attacco di febbre.

Se fossi un re, la peggiore punizione che vorrei infliggere ai miei nemici sarebbe quella di esiliarli nelle Salomone.

(Ripensandoci, re o no, non credo che avrei il coraggio di farlo).

Cercare di assoldare lavoratori per una piantagione con un'imbarcazione piccola e stretta non neppure troppo simpatico. La coperta brulica di operai reclutati e delle loro famiglie. La saletta ne strapiena, e di notte essi ci dormono. Il solo ingresso alla nostra piccola cabina dsulla saletta, e tutte le volte che dobbiamo attraversarla, non riusciamo a superare l'ostacolo altro che camminando su di loro. E neppure questo simpatico, poichdal primo all'ultimo sono tutti affetti da malattie della pelle d'ogni genere.

Alcuni hanno l'impetigine, altri la "bukua", causata da un parassita vegetale, che penetra nella pelle e la rode; il prurito intollerabile, e quelli che ne sono affetti si grattano finchl'aria piena di sottili squame secche. Ci sono poi le frambesie e molte altre ulcerazioni del]a pelle. Gli uomini vengono a bordo con piaghe delle Salomone nei piedi, cosgrandi che possono camminare solo sulle punte, o con buchi cosorribili nelle gambe che ci si potrebbe ficcare dentro la mano chiusa arrivando fino all'osso. L'avvelenamento del sangue molto frequente, e il capitano Jansen, con coltello e ago da vele, opera generosamente tutti quanti. Anche se le condizioni sono disperate, dopo aver aperto e ripulito, egli applica un impiastro fatto di galletta imbevuta d'acqua. Ogni volta che vediamo un caso particolarmente orribile, ci ritiriamo in un angolo a inondare le nostre piaghe con sublimato corrosivo. E cosviviamo e mangiamo e dormiamo a bordo del "Minota", correndo l'alea e "facendo finta che tutto vada per il meglio".

A Suava, altra isola artificiale, ebbi una seconda grana a proposito di Charmian. Un "grande uomo padrone di Suava" (ossia il capo principale di Suava) venne a bordo, ma prima mandal capitano Jansen un messo, chiedendo un braccio di cotonata con cui ricoprire le sue nudit e frattanto si fermad aspettare nella canoa sottobordo.

Giuro che la regale sporcizia era spessa mezzo pollice, mentre si poteva scommettere a colpo sicuro che gli strati sottostanti risalivano a qualcosa come dieci o vent'anni prima. Di nuovo egli rimandil suo messo a bordo, e questi spiegche il "grande uomo padrone di Suava" avrebbe accondisceso a stringere la mano al capitano Jansen e a me, e a chiedere una stecca o due di tabacco da rivendere, ma che tuttavia la sua nobile anima era di tanta elevatezza da non potere abbassarsi a una degradazione cosprofonda come quella di stringere la mano a una semplice femmina.

Povera Charmian! Dopo le sue esperienze di Malaita, diventata un'altra donna, la sua mitezza e umiltle si addicono in modo impressionante: e io non sarei sorpreso se, tornando alla civilt me la vedessi camminare lungo un marciapiede, restando a capo chino una iarda dietro di me.

A Suava non accadde quasi nulla. Bichu, il cuoco indigeno, disert il "Minota" arsull'ancora, ci furono forti groppi di vento e di pioggia, il secondo, Jacobsen, e Wada furono prostrati dalla febbre, e le nostre piaghe aumentarono e si moltiplicarono. E gli scarafaggi di bordo festeggiarono insieme il 4 luglio e la Rivista dell'Incoronazione, scegliendo per farlo la mezzanotte e, come localit la nostra piccola cabina.

Ce n'erano lunghi da due a tre pollici, ce n'erano delle centinaia, e camminavano su tutto quanto il nostro corpo. Quando cercavamo di inseguirli, abbandonavano la base solida, si innalzavano nell'aria e svolazzavano attorno a noi come uccelli ronzanti. Ed erano molto pigrossi dei nostri a bordo dello "Snark". E' vero che i nostri sono ancora giovani e non hanno ancora avuto la possibilitdi crescere.

Inoltre lo "Snark" ha delle scolopendre, grosse, lunghe sei pollici.

Ogni tanto ne ammazziamo, di solito nella cuccetta di Charmian. Due volte sono stato morsicato, e in modo osceno, mentre dormivo. Ma il povero Martin stato pisfortunato: dopo essere rimasto a letto per tre settimane, il primo giorno che si mise a sedere sul letto, si adagiproprio su una di quelle bestie!

In seguito ritornammo a Malu, riuscendo ad assoldare alcuni uomini; salpammo l'ancora e incominciammo a bordeggiare per uscire da quella infida entrata della baia. Il vento era variabile, e la corrente spingeva fortemente in direzione della pericolosa punta della scogliera. Proprio mentre stavamo per scapolarla e guadagnare il largo, il vento saltdi novanta gradi; il "Minota" cercdi virare in prua, ma non ce la fece. Aveva perso due delle sue ancore a Tulagi, e si diede fondo all'unica rimasta, filando la catena in modo che potesse far presa sul corallo. Poi la chiglia urtil fondo, l'albero di maestra oscille sussultcome se stesse per cadere sulle nostre teste. La nave venne in forza sull'imbando dell'ancora proprio nell'istante in cui un grosso frangente la spingeva con violenza verso riva. La catena si spezz e si trattava della nostra unica ancora; e il "Minota" girsu se stesso, facendo perno sulla chiglia, e deriv prua in avanti, nel frangente.

Fu un vero manicomio. Tutti gli operai reclutati, che si trovavano sotto coperta, uomini della boscaglia e paurosi del mare, si slanciarono in coperta presi dal panico, intralciando tutti quanti.

Nello stesso tempo l'equipaggio della nave si precipitsui fucili.

Sapevano quello che voleva dire andare in costa a Malaita - una mano per la nave e l'altra per combattere gli indigeni. A cosa si tenessero attaccati, non lo so, e d'altronde a qualcosa dovevano pur tenersi, poichil "Minota" si sollevava, rollava, e tallonava sul corallo. Gli uomini della boscaglia si tenevano stretti all'attrezzatura, troppo stupidi per preoccuparsi dell'albero di maestra. La baleniera fu messa in acqua con un cavo di rimorchio, in un misero tentativo di impedire che il "Minota" fosse gettato ancora piverso la scogliera, mentre il capitano Jansen e il suo secondo, quest'ultimo pallido e debole per la febbre, stavano improvvisando un'ancora con della zavorra e un ceppo di fortuna. Il missionario arrivin aiuto con i giovani della missione.

Quando il "Minota" aveva toccato il fondo per la prima volta, non c'era una canoa in vista: ma come avvoltoi che scendessero dal cielo descrivendo dei cerchi, cominciarono ora ad arrivare da ogni parte.

L'equipaggio della nave, i fucili puntati, le tenne a bada alla distanza di cento piedi, con la minaccia di morte se si fossero azzardate ad avvicinarsi. E se ne stavano l alla distanza di cento piedi, oscure e minacciose, sovraccariche di uomini che le trattenevano con le pagaie sull'orlo pericoloso del frangente. Nel frattempo gli uomini della boscaglia accorrevano dalle colline, armati di lance, Snider, frecce e randelli, finchla spiaggia ne fu piena. A complicare le cose, almeno dieci delle nostre reclute erano state scelte proprio fra quei negri che aspettavano avidamente di poter fare bottino del tabacco e delle altre merci e di tutto quello che avevamo a bordo.

Il "Minota" era stato costruito bene, la dote piessenziale per qualsiasi nave che stia tallonando su di una scogliera. Una pallida idea di quello che esso sopportpuessere dedotta dal fatto che nelle prime ventiquattro ore esso spezzdue catene da ancora e otto cavi d'ormeggio. L'equipaggio della nostra nave non faceva altro che tuffarsi per recuperare le ancore e dar volta nuovi cavi. Ci furono dei momenti in cui il "Minota" spezzle catene rinforzate da cavi d'ormeggio. Eppure tenne duro. Tre tronchi d'albero furono portati da terra e messi in opera sotto di esso per salvarne la chiglia e la sentina, ma furono corrosi e scheggiati, e i cavi che li tenevano ridotti a pezzi; eppure esso continuava a tallonare sul corallo e a resistere.

Fummo in questo molto pifortunati dall'"Ivanhoe", una grossa goletta addetta al reclutamento, che era andata in costa a Malaita alcuni mesi prima, e subito era stata invasa dagli indigeni. Capitano ed equipaggio erano riusciti a fuggire nelle baleniere, e gli uomini della boscaglia e la gente di mare indigena avevano completamente ripulito la nave di quanto ci fosse a bordo.

Un groppo dopo l'altro, raffiche di vento e pioggia sferzante, colpivano il "Minota", mentre il mare si faceva sempre pigrosso.

L'"Eug幯ie" era alla fonda a cinque miglia sopravvento, ma dietro un promontorio, e non poteva sapere delle nostre disavventure. Su suggerimento del capitano Jansen scrissi un biglietto al capitano Keller, chiedendogli di portarci altre ancore e attrezzi per aiutarci.

Ma non si riusca persuadere una canoa a portare la lettera. Offrii una mezza cassa di tabacco, ma i negri sogghignarono e continuarono a tenere le loro canoe con la prora al frangente. Una mezza cassa di tabacco valeva tre sterline. In due ore, anche con vento e mare contrari, un uomo avrebbe potuto portare la lettera e ricevere in pagamento quanto avrebbe guadagnato faticando per sei mesi in una piantagione. Riuscii a scendere in una canoa e vogai fin dove il missionario stava filando un'ancora con la sua baleniera. Pensavo che egli avrebbe avuto piinfluenza sugli indigeni. Caulfeild disse alle canoe di avvicinarsi alla sua, e una ventina di esse gli si riunirono attorno e ascoltarono l'offerta di una mezza cassa di tabacco. Nessuno fiat

- So cosa voi pensate - li avvertil missionario - voi pensate tanto tabacco su goletta e voi lo avrete. Vi dico tanti fucili su goletta.

Voi non avrete tabacco, voi avrete pallottole.

Finalmente un uomo, solo in una piccola canoa, prese la lettera e part In attesa di soccorso, il lavoro continualacremente a bordo del "Minota". Le casse d'acqua furono vuotate, e alberi, vele e zavorra presero la via della terra. Ci furono dei momenti d'ansia a bordo quando il "Minota" rollviolentemente sbandando da un lato all'altro, mentre una ventina di uomini cercavano a salti di salvare la vita e le gambe, poichle casse di mercanzia, le bome e i pani di ferro di zavorra da ottanta libbre rotolavano avanti e indietro da una murata all'altra. Quella povera barca da diporto! Le sue coperte e le sue manovre correnti facevano pensare a un bailamme! Sotto coperta ogni cosa era a pezzi. L'impianto della saletta era stato strappato per raggiungere la zavorra e acqua di sentina rugginosa vi sciabordava e ondeggiava. Un cesto di limoni, in mezzo a una mescolanza d'acqua e farina, ci veniva incontro da ogni parte come tanti gnocchi affusolati sfuggiti a uno stufato mezzo cotto. Nella nostra cabina interna, Nataka faceva la guardia ai fucili e alle munizioni.

Tre ore dopo che il nostro messaggero era partito, una baleniera, che avanzava sotto una gran forza di vele, riusca passare nel pieno di uno sferzante groppo di sopravvento: era il capitano Keller, bagnato per la pioggia e gli spruzzi, un revolver alla cintura, con l'equipaggio della barca armato di tutto punto, ancore e cavi ammucchiati sui paglioli, che sopraggiungeva cosrapido come il vento gli consentiva - l'uomo bianco, l'inevitabile uomo bianco, che veniva in soccorso di un altro uomo bianco.

La fila delle canoe di rapina, che aveva atteso cosa lungo, si spezze scomparve con la stessa rapiditcon cui si era formata. Dopo tutto, il corpo inerte non era ancora un cadavere. Ora avevamo tre baleniere di cui due facevano incessantemente la spola tra la nave e la costa, l'altra occupata a stendere ancore, a intugliare i cavi spezzati e a ricuperare le ancore perdute.

Nel tardo pomeriggio, dopo esserci consultati e avere preso in considerazione il fatto che un certo numero degli uomini che componevano l'equipaggio della nave, come pure dieci degli uomini assoldati, erano oriundi di quella localit disarmammo l'equipaggio - ciche, fra parentesi, permise agli uomini di lavorare con tutte e due le mani per la nave. I fucili furono affidati a cinque giovani della missione di Mister Caulfeild. E sottocoperta, in quel disordine della saletta, il missionario e i suoi neofiti pregavano perchIddio salvasse il "Minota". Era una scena impressionante. Il sacerdote disarmato che pregava con fede incrollabile, i suoi fedeli selvaggi che mormoravano "amen", appoggiandosi ai fucili. Le pareti della cabina ondeggiavano intorno a loro, la nave si sollevava e ricadeva, fracassandosi, sul corallo a ogni ondata. Dalla coperta giungevano le grida degli uomini che alavano e si affaticavano, pregando, in altro modo, con volontdecisa e forza di braccia.

Quella notte Mister Caulfeild ci venne ad avvertire che una delle nostre reclute aveva sulla propria testa una taglia di cinquanta braccia di monete di metallo e quaranta maiali, e che, frustrati nella loro aspirazione a impadronirsi della nave, gli abitanti della boscaglia avevano deciso di impadronirsi della testa di quell'uomo.

Quando si comincia ad ammazzare non si pumai dire come e quando si finir Cosil capitano Jansen armuna baleniera e vogfino al limite della spiaggia. Ugi, un marinaio, che faceva parte dell'equipaggio del "Minota", si alzin piedi e parlin nome suo.

Ugi era eccitatissimo. L'avviso del capitano Jansen che qualsiasi canoa avvistata quella notte sarebbe stata crivellata di colpi, fu da Ugi trasformato in una bellicosa dichiarazione di guerra, che terminava con una perorazione press'a poco di questo tenore:

"Voi uccidere mio capitano, io bere suo sangue e morire con lui". Gli uomini della boscaglia si accontentarono di dar fuoco a una casa disabitata della missione e se ne tornarono furtivamente nella boscaglia.

Il giorno dopo l'"Eug幯ie" entrnella baia e diede fondo. Per tre giorni e due notti il "Minota" tallonsulla scogliera ma continua resistere e alla fine il suo scafo fu disincagliato e ormeggiato in acque tranquille. Allora dicemmo addio alla nave e a tutti quelli che erano a bordo, e ci allontanammo sulla "Eug幯ie", diretti all'isola di Florida (1).


NOTA:

1) Per dimostrare che noi altri dello "Snark" non eravamo un gruppetto di deboli creature, come si potrebbe concludere dalle nostre varle malattie, cito quanto segue, ricavato parola per parola dal giornale di bordo della "Eug幯ie", e che puessere ritenuto un esempio tipico di una crociera nelle Isole Salomone.

Ulava, gioved 12 marzo 1908.
Barca andata a terra al mattino. Presi due carichi di noci d'avorio, quattromila copra. Capitano con febbre.

Ulava, venerd 13 marzo 1908.
Comperato noci da indigeno 1 tonnellata e mezza. Secondo e capitano con febbre.

Ulava, sabato, 14 marzo 1908.
A mezzogiorno salpato e navigato con leggerissimo vento di est-nord- est per Ngora-Ngora. Dato fondo in 8 braccia - conchiglie e coralli.
Secondo con febbre.

Ngora-Ngora, domenica, 15 marzo 1908.
All'alba trovato che il mozzo Bagua era morto durante la notte di dissenteria. Era ammalato da circa 14 giorni. Al tramonto, forte raffica da nord-ovest (pronto a dar fondo la seconda ancora). Durata un'ora e trenta minuti.

In mare, luned 16 marzo 1908.
Fatto rotta per Sikiana alle ore 4 pomeridiane. Vento cessato. Forti piovaschi durante la notte. Capitano malato di dissenteria, anche uno dell'equipaggio.

In mare, marted 17 marzo 1908.
Capitano e 2 uomini dell'equipaggio con dissenteria. Secondo con febbre.

In mare, mercoled 18 marzo 1908.
Mare grosso. Murata di sottovento sempre in acqua. Nave con terzaroli alla maestra, vela di straglio e piccolo fiocco. Capitano e 3 uomini con dissenteria. Secondo con febbre.

In mare, gioved 18 marzo 1908.
Troppa fosch駮 per vedere nulla. Burrasca tutto il tempo. Pompa tappata, si sgotta con buglioli. Capitano e cinque dell'equipaggio con dissenteria.

In mare, venerd 20 marzo 1908.
Durante la notte raffiche di vento con forza di uragano. Capitano e sei uomini con dissenteria.

In mare, sabato, 21 marzo 1908.
Invertita la rotta. Groppi tutto il giorno con forte pioggia e vento; Capitano e maggior parte dell'equipaggio con dissenteria.

E cos da un giorno all'altro, con quasi tutta la gente di bordo malata, continua il giornale di bordo della "Eug幯ie". La sola variante si verificil 31 marzo, quando il secondo si ammaldi dissenteria e il capitano dovette mettersi a letto con la febbre.




CAPITOLO 16


UN MEDICO DI BORDO DILETTANTE

Quando partimmo da San Francisco sullo "Snark", ne sapevo di malattie quanto ne pusapere di mare un ammiraglio della Marina svizzera! E subito, fin da ora, lasciatemi dare dei consigli a chiunque mediti di andare in remote localittropicali. Andate da un ottimo farmacista, di quelli che hanno per collaboratori quegli specialisti che sanno tutto. Parlate a lungo della cosa con uno di quelli, prendete nota con la massima cura di tutto quanto egli vi dir fate una lista di tutto quanto vi suggerir firmate un assegno per il totale della somma... e poi strappatelo.

Vorrei aver fatto lo stesso. Sarei stato molto pisaggio, lo so adesso, se avessi comprato una di quelle cassette di medicinali bell'e pronte, automatiche, di uso facile anche per gente ignorante, come si trovano dai provveditori di roba di mare di quart'ordine. In una simile cassetta ogni bottiglia ha un numero. Nell'interno del coperchio affissa una semplice lista di prescrizioni: Numero 1, mal di denti; Numero 2, vaiolo; Numero 3, mal di stomaco; Numero 4, colera; Numero 5, reumatismo e cosvia, enumerando tutte le malattie dell'umanit E avrei potuto usarla come faceva un certo venerando capitano il quale, quando il Numero 3 era vuoto, mescolava una dose del Numero 1 e del Numero 2, o quando il Numero 7 era esaurito, curava il suo equipaggio con una miscela del Numero 4 e del Numero 3, finchanche il Numero 3 era finito, e allora usava il Numero 5 e il Numero 2. E' differente la cosa per quanto riguarda i miei strumenti chirurgici. Mentre non ho ancora avuto nessuna seria occasione di servirmene, non rimpiango lo spazio che occupano. Sono come una specie di assicurazione sulla vita, solo che, pisimpaticamente di quest'ultimo funereo contratto, non necessario morire per ritirare il premio. Naturalmente non li so usare, e quello che ignoro in fatto di chirurgia, fornirebbe una clientela fiorente a una dozzina di ciarlatani. Ma quando la fame caccia il lupo dal bosco, bisogna fare di necessitvirt e noi dello "Snark" non sappiamo quando al lupo potrvenire in mente di presentarsi, magari a mille miglia da terra e a venti giorni dal porto pivicino.

Non so nulla in fatto di odontoiatria, ma un amico mi riforndi pinze e simili strumenti, e a Honolulu trovai per caso un libro sui denti; inoltre in quella cittsubtropicale, riuscii a impossessarmi di un teschio dal quale estrassi i denti rapidamente e senza dolore. Cosequipaggiato ero pronto, anche se non esattamente entusiasta, a cavare qualsiasi dente mi fossi trovato dinanzi.

Fu a Nuku-hiva, nelle Isole Marchesi, che si presentspontaneamente il primo caso nella persona di un piccolo e vecchio cinese. La prima cosa che feci fu di prendermi una febbre da cavallo, e io domando a qualsiasi persona equanime se una febbre da cavallo, con le sue conseguenze di palpitazione di cuore e tremito di braccia, la condizione migliore per un uomo che sta sforzandosi di atteggiarsi a vecchio praticante in campo odontoiatrico. Non riuscii a ingannare il vecchio cinese; era spaventato quanto me e un pochino pitremante.

Quasi dimenticai di aver paura per la paura che lui scappasse via come una freccia. Lo giuro, se avesse tentato di farlo gli avrei fatto lo sgambetto e mi sarei seduto su di lui finchnon fosse venuto a pimiti consigli. Volevo quel dente, e poi Martin voleva una mia istantanea, mentre lo cavavo. E anche Charmian aveva preso la sua macchina fotografica.

Poi la processione si avvie ci fermammo davanti a quello che una volta era un circolo, quando Stevenson giunse alle Isole Marchesi con la sua imbarcazione "Casco". Sulla veranda, dove trascorse tante ore piacevoli, la luce non era buona - per le istantanee, s'intende.

Guidai tutti in giardino, una seggiola in mano, l'altra piena di pinze di vario tipo; e avevo le ginocchia che tremavano in modo vergognoso.

Dopo di me veniva quel povero cinese, che tremava pure lui. Charmian e Martin formavano la retroguardia, armati di kodak. Passammo sotto degli alberi avocado, ci aprimmo la strada fra le palme di cocco e arrivammo in un punto che soddisfaceva le esigenze fotografiche di Martin.

Guardai il dente, e scoprii allora di non ricordare pinulla sui denti, che avevo strappato al mio teschio cinque mesi prima. Aveva una radice? ne aveva due? ne aveva tre? Quello che ne rimaneva e si poteva vedere era a pezzi, e sapevo che avrei dovuto afferrare il dente ben profondamente nella gengiva. Era indispensabile che io sapessi quante radici aveva quel dente. Ritornai a casa per cercare il libro sui denti. La povera vecchia vittima aveva tutto l'aspetto di quei suoi compatrioti criminali, che avevo visto spesso in fotografia, inginocchiati in attesa del colpo che li avrebbe decapitati.

- Non lasciarlo andare via - avvertii Martin - voglio quel dente.

- Sta pure tranquillo - rispose con entusiasmo, da dietro il suo apparecchio fotografico. - E io voglio questa fotografia.

Per la prima volta mi sentii addolorato per il cinese.

Anche se il libro non parlava di come si cavano i denti, mi fu utile, perchin una pagina trovai una riproduzione di tutti i denti, comprese le radici e il modo in cui erano infisse nella mascella. Poi venne la scelta delle pinze. Ne avevo sette paia, ma ero in dubbio su quale usare. Non volevo sbagliarmi. Mentre rigiravo fra le mani con un tintinnio metallico tutta quella chincaglieria, la povera vittima comincia perdere il proprio controllo e a diventare di un colore giallo-verdastro in volto; si lamentdel sole, ma questo era indispensabile al fotografo, ed egli lo dovette sopportare.

Afferrai con le pinze il dente, e il paziente rabbrivide comincia perdere le forze.

- Pronto? - chiesi a Martin.

- Prontissimo - rispose.

Diedi uno strappo. Dei! Il dente era gistaccato, e venne via in un momento. Ero giubilante, mentre lo tenevo in aria fra le pinze.

- Rimettilo al suo posto, ti prego, rimettilo al suo posto - invocMartin. - Sei stato troppo svelto per me.

E quel povero vecchio cinese rimase lseduto, mentre rimettevo il dente a posto e lo strappavo nuovamente. Martin prese l'istantanea. La grande impresa era compiuta. Esaltazione? Orgoglio? Nessun cacciatore fu mai pifiero del suo primo cervo abbattuto di quanto io lo fui di quel dente a tre radici. Io lo avevo tolto! Proprio io! Con le mie stesse mani e un paio di pinze lo avevo fatto, senza contare i ricordi dimenticati del teschio di un cadavere.

Il caso seguente fu quello di un marinaio di Tahiti, un ometto, in uno stato di estrema debolezza per lunghi giorni e notti di dolore lancinante. Prima feci un'incisione nelle gengive; non sapevo come farla, ma le incisi lo stesso. Dovetti strappare a lungo ed energicamente. Quell'uomo fu un eroe. Gemette, si lament credevo che stesse per svenire, ma tenne la bocca aperta e mi lascitirare. E finalmente il dente venne via.

Dopo questo, ero pronto ad affrontare chiunque fosse venuto - il vero stato d'animo per una disfatta alla Waterloo. E la disfatta ci fu.

Ebbe nome Tomi.

Era un bel pezzo di pagano, con la cattiva reputazione di essere dedito ad atti di violenza. Fra le altre cose, aveva ammazzato a furia di pugni due sue mogli. Suo padre e sua madre erano stati dei cannibali, avvezzi a girare nudi. Quando si fu seduto e gli ebbi messo la pinza in bocca, era quasi alto quanto me, che ero in piedi. Gli uomini grossi, inclini alla violenza, molto spesso hanno qualcosa di stupido nella loro mentalit cosnon ero molto tranquillo su di lui.

Charmian gli afferrun braccio e Warren l'altro. Allora cominciuna vera mischia. Non appena le pinze si strinsero attorno al dente, le sue mascelle si schiusero sulla pinza, le sue mani si alzarono di scatto e strinsero la mia mano che tirava. Io continuai a tirare e lui a tenermi. Charmian e Warren tenevano anche loro. Fu una lotta violentissima. Eravamo tre contro uno, e la mia presa su un dente non era certamente leale, ma nonostante lo svantaggio, fu lui ad avere la meglio. La pinza mi sfugg colpendo e arrotando i denti della mascella superiore con un rumore stridente che agghiacciava, poi gli volvia dalla bocca, ed egli si drizzin piedi con un urlo raccapricciante. Noi tre cademmo all'indietro. Ci aspettavamo di essere massacrati. Ma quell'ululante selvaggio in fama di sanguinario ricadde sulla seggiola, si prese il capo fra le mani e continuper un bel po' a gemere, senza voler sentire ragioni. Io ero un ciarlatano, la mia estrazione di denti indolore era stata un inganno, un'insidia e un basso espediente pubblicitario.

Avevo una tale smania di cavargli quel dente da essere quasi propenso a pagarlo, ma a tanto si oppose il mio orgoglio professionale; e lo lasciai andare via con il dente ancora intatto, il solo caso, che io ricordi finora, di insuccesso da parte mia, una volta messe in azione le pinze. Da allora non mi sono mai lasciato sfuggire un dente. Ancora l'altro ieri ho bordeggiato per tre giorni per andare a togliere un dente di una missionaria, e prima che la crociera dello "Snark" sia finita, mi aspetto di essere capace di sistemare ponti e corone d'oro.

Non so se si tratti o no di verruche endemiche (dette delle Ande, o del Per sono una malattia contagiosa, si manifesta con neoformazioni cutanee simili a lamponi, che a volte si ulcerano) - un medico delle Figi mi disse che lo erano e un missionario delle Isole Salomone mi disse il contrario: ad ogni modo posso attestare che sono veramente sgradevoli. Mi capitdi imbarcare a Tahiti un marinaio francese che, quando fummo in mare, riconoscemmo affetto da una brutta malattia della pelle. Lo "Snark" era troppo piccolo e ci si faceva una vita troppo in comune per poterlo tenere a bordo, ma per forza, finchnon era possibile toccare terra e sbarcarlo, spettava a me curarlo.

Rilessi i miei libri e mi accinsi a medicarlo, avendo sempre cura di lavarmi poi con un forte disinfettante. Quando giungemmo a Tutuila, invece di potercene sbarazzare, l'ufficiale sanitario del porto lo dichiarin quarantena, e rifiutdi lasciarlo sbarcare. Ma ad Apia, nelle Samoa, riuscii a trasbordarlo su un vapore diretto nella Nuova Zelanda.

Lad Apia le mie caviglie furono punte in malo modo da zanzare, e confesso di avere grattato le pinzate, come avevo gifatto mille volte. Allorchgiunsi nella isola di Savaii, si era formata una piaghetta sul collo del piede, che io ritenni dovuta al calore e alle esalazioni acide della lava calda su cui avevo camminato.

Un'applicazione di unguento l'avrebbe fatta guarire - cosalmeno pensavo. L'unguento la richiuse superficialmente, ma poi si manifestuna straordinaria infiammazione, la nuova pelle venne via e apparve una piaga pigrande. La cosa si ripeta piriprese, e ogni volta che si formava una nuova pelle, poi subentrava l'infiammazione, e la circonferenza della piaga aumentava. Ero sconcertato e spaventato. Per tutta la mia vita la facoltdi cicatrizzarsi della mia pelle era stata rinomata; eppure lc'era qualcosa che non le permetteva di cicatrizzarsi, anzi che quotidianamente rodeva la pelle e aveva intaccato persino il muscolo.

Nel frattempo lo "Snark" si trovava in mare diretto alle Figi. Mi ricordai del marinaio francese e per la prima volta fui seriamente allarmato. Quattro altre piaghe dello stesso tipo erano apparse - o meglio che piaghe, ulcere, le quali dal dolore non mi lasciavano dormire la notte. Avevo fatto tutti i piani per disarmare lo "Snark" alle Figi e andarmene sul primo piroscafo in partenza per l'Australia a farmi curare da medici di professione. Nell'attesa, feci del mio meglio, da medico dilettante. Lessi attentamente tutte le opere di medicina che avevo a bordo, senza trovare nuna linea nuna parola che corrispondesse al mio male. Ragionai sul problema con tutto il buon senso possibile; si trattava di ulcere maligne ed eccessivamente attive, e un veleno organico e corrodente era all'opera. Ne conclusi che due cose si potevano fare: anzitutto trovare un mezzo per distruggere il veleno, secondo, poichle ulcere non potevano essere guarite dall'esterno, curarle per via interna. Decisi di combattere il veleno con il sublimato corrosivo, ma lo stesso nome mi colpcome sbagliato. Era combattere il fuoco con altro fuoco. C'era un veleno corrodente che mi stava consumando, e mi veniva in mente di combatterlo con un altro veleno corrodente. Dopo alcuni giorni alternai le medicazioni con il sublimato corrosivo ad altre di acqua ossigenata. E, guardate un po', quando giungemmo alle Figi, quattro ulcere su cinque erano guarite, mentre l'unica rimanente non era pigrossa di un pisello.

Mi ritenni allora pienamente qualificato a curare le verruche endemiche, per le quali del resto provavo un salutare rispetto. Non cosil resto dell'equipaggio dello "Snark", poichnel loro caso vedere non significava credere. Dal primo all'ultimo, avevano visto le mie terribili condizioni, e tutti quanti, ne sono convinto, erano certi nel subcosciente che la loro personale magnifica costituzione e superba individualitnon avrebbero mai permesso che nelle loro carcasse si insediasse un veleno cosabietto come quello che il mio organismo anemico e la mia mediocre personalitavevano lasciato insediarsi in me. A Port Resolution, nelle Ebridi, Martin volle camminare a piedi nudi nella boscaglia e rientra bordo con molti tagli e scorticature, specialmente sulle tibie.

- Faresti bene a badarci - lo ammonii. - Ti preparerun po' di sublimato corrosivo per lavare quei tagli. E' meglio essere previdenti, lo sai!

Ma Martin sorrise da uomo superiore. Anche se non lo disse, voleva perfarmi capire che lui non era come gli altri uomini (io ero il solo uomo a cui avrebbe potuto fare allusione) e che in un paio di giorni i tagli si sarebbero cicatrizzati. Anzi mi fece pure una conferenza sulla particolare purezza del suo sangue e sulle sue notevoli doti cicatrizzanti. Quando ebbe finito, mi sentii davvero umile: evidentemente ero diverso dagli altri uomini, quanto a purezza di sangue.

Nakata, il cameriere di bordo, mentre un giorno stirava, scambiil polpaccio della sua gamba per un portaferro, e si fece una bruciatura lunga tre pollici e larga mezzo, ed ebbe anch'egli lo stesso sorriso di superiorit quando gli offrii il sublimato corrosivo e gli ricordai la mia dolorosa esperienza. Mi fece capire, con la debita soavite cortesia, che qualsiasi cosa potesse succedere al mio sangue, il suo, perfetto, giapponese, di reduce da Port-Arthur, era a postissimo e disprezzava questo avidissimo microbo.

Wada, il cuoco, partecipa un disastroso atterraggio della barca, in cui dovette balzare fuori bordo e parare l'imbarcazione fino alla riva in mezzo ai frangenti che si rompevano. Tra conchiglie e coralli, si tagliin bel modo gambe e piedi. Gli presentai la bottiglia di sublimato corrosivo, e una volta ancora subii il sorriso di superiorit e mi si fece capire che il suo sangue era lo stesso sangue che le aveva suonate alla Russia e le avrebbe suonate un giorno futuro agli Stati Uniti, e che se il suo sangue non era capace di far guarire pochi tagli da nulla, dal disonore si sarebbe fatto karakiri.

Da tutto ciconclusi che un medico dilettante non considerato affatto a bordo della propria nave, anche se si saputo curare da solo. Il resto dell'equipaggio aveva preso a considerarmi come la vittima di una tranquilla fissazione, in fatto di piaghe e di sublimato. Se il mio sangue era infetto, non era una ragione perchio credessi che lo fosse quello di tutti gli altri. Non feci piofferte.

Il tempo e i microbi avrebbero lavorato in mio favore, e non mi restava che aspettare.

- Credo che ci sia un po' di terra in quei tagli - disse Martin, qualche giorno dopo, a titolo d'assaggio. - Li lavere poi saranno a posto - aggiunse, quando vide che io rifiutavo di abboccare all'amo.

Passarono altri due giorni, ma i tagli non passavano e sorpresi Martin, mentre immergeva gambe e piedi in un bugliolo d'acqua calda.

- Non c'niente che faccia bene come l'acqua calda - proclamentusiasta. - E' meglio di qualsiasi porcheria inventata dai dottori.

Queste piaghe andranno benone domattina.

Ma l'indomani aveva un aspetto preoccupato, e io capii che l'ora del mio trionfo si avvicinava.

- Vorrei quasi provare un po' di quella medicina - annuncipitardi, lo stesso giorno. - Non che creda che mi farmolto bene - specific- ma tanto per provare.

Poi venne il fiero sangue del Giappone a chiedere un medicamento per le sue gloriose piaghe, mentre io alimentavo la loro inquietudine, spiegando in tono di comprensione e con i particolari piminuti la cura da seguire. Nakata si confermalle istruzioni, senza dire nulla, e di giorno in giorno le sue piaghe rimpicciolirono. Wada fu piapatico e guarmeno rapidamente. Ma Martin dubitava ancora e siccome non guarimmediatamente, elaborla teoria che, anche se la porcheria del dottore andava bene, non ne conseguiva che la medesima porcheria fosse efficace per tutti. Quanto a lui, il sublimato corrosivo non serviva a nulla. E poi, come potevo sapere io che era quello che ci voleva? Non avevo nessuna esperienza. Il fatto che mi fosse successo di guarire mentre la usavo, non provava affatto che il merito della guarigione dovesse essere attribuito alla detta porcheria. Poteva trattarsi di una semplice coincidenza. Indubbiamente c'era una porcheria che curava tutte le piaghe, e non appena egli si fosse trovato con un vero dottore, gli avrebbe chiesto qual era quella medicina e l'avrebbe usata.

Verso quest'epoca arrivammo nelle Isole Salomone. Nessun medico la raccomanderebbe mai come soggiorno per convalescenti o come casa di cura. Bastrimanerci poco tempo perchio capissi realmente, e per la prima volta nella mia vita, quanto i tessuti umani siano fragili e mutevoli.

Il nostro primo ancoraggio fu Port Mary, nell'isola di Santa Anna.

L'unico solitario uomo bianco, un commerciante, venne sottobordo; si chiamava Tom Butler, ed era un bellissimo esempio di come le Salomone possano ridurre un uomo forte. Stava disteso nella sua baleniera con l'aspetto di un morente, nun sorriso nun bagliore d'intelligenza illuminavano il suo viso. Aveva una lugubre testa da teschio, troppo spenta per sorridere. E aveva anche delle verruche, grosse. Fummo costretti a issarlo sulla murata dello "Snark". Disse che la sua salute era buona, che non aveva avuto febbre da qualche giorno, e che, ad eccezione del braccio, si sentiva in ottime condizioni. Il braccio sembrava paralizzato, ma egli negsprezzantemente che lo fosse. Lo era stato prima, ma adesso era guarito. Era una malattia diffusa a Sant'Antonio, disse, mentre lo aiutavamo a scendere la scaletta, e il braccio morto penzoloni urtava, bump-bump, a ogni gradino. Fu certamente l'ospite piraccapricciante che avessimo mai avuto, e a bordo c'erano stati non pochi lebbrosi e malati di elefantiasi.

Martin si informsulle verruche, perchquello era un uomo che avrebbe dovuto saperne qualcosa. Certamente ne era esperto, a giudicare dalle braccia e dalle gambe, tutte a cicatrici e ulcere aperte nel mezzo delle cicatrici. Oh, ci si abituava alle verruche, disse Tom Butler. Non erano realmente una cosa grave finchnon arrivavano a corrodere profondamente la carne. Allora attaccavano le pareti delle arterie, le arterie scoppiavano, e si faceva un funerale.

Parecchi indigeni a terra erano morti recentemente in quel modo. Ma che importava? Se non erano le verruche, era sempre qualcosa d'altro - nelle Salomone.

Notai che da quel momento Martin dimostrun interesse sempre crescente per le proprie verruche. Le medicazioni con sublimato corrosivo diventarono pifrequenti, mentre nel conversare egli prese a rievocare con un entusiasmo sempre pivivo il sano clima del Kansas e tutte le altre cose di quella regione. Charmian e io eravamo del parere che la California fosse un pezzetto di Paradiso, Henry sosteneva Rapa, e Tehei difendeva a spada tratta Bora Bora in onore della propria razza, mentre Wada e Nakata innalzavano un peana alla salubritdel Giappone.

Una sera, mentre lo "Snark" oltrepassava l'estremitmeridionale dell'isola di Ugi, cercando un famoso ancoraggio, un missionario della Chiesa d'Inghilterra, Mister Drew, che si dirigeva in baleniera verso la costa di San Cristoval, venne sotto bordo e si ferma pranzo.

Martin, le gambe fasciate in bende della Croce Rossa tanto da sembrare una mummia, mise la conversazione sull'argomento delle verruche. S disse Mister Drew, erano comunissime nelle Isole Salomone. Tutti i bianchi ne erano affetti.

- E le avete avute? - domandMartin, scandalizzato nel fondo della sua anima che un Reverendo della Chiesa d'Inghilterra potesse avere una malattia cosvolgare.

Mister Drew assente aggiunse che non solo le aveva avute, ma che in quel periodo se ne stava curando parecchie.

- E cosa ci mettete sopra? - interrogdi botto Martin.

Il cuore mi si fermquasi, nell'attesa della risposta. Da quella risposta il mio prestigio medico-professionale sarebbe stato confermato o rovinato. E la risposta fu... - benedetta risposta!

- Sublimato corrosivo - disse Mister Drew.

Martin si arrese elegantemente, lo ammetto, e ritengo che se in quell'istante gli avessi chiesto il permesso di cavargli un dente, non me lo avrebbe rifiutato.

Tutti i bianchi sono affetti da verruche nelle Isole Salomone, e qualsiasi taglio o scalfittura praticamente significa un'altra verruca. Ogni uomo che vi incontrai ne aveva avute, e nove volte su dieci ne aveva ancora in atto. Non ci fu che una sola eccezione, un giovanotto che era nelle isole da cinque mesi, ci si era ammalato di febbri dieci giorni dopo il suo arrivo, e che da allora in poi era stato cosspesso malato di febbri da non avere avuto nil tempo nl'occasione di prendersi le verruche.

Ognuno sullo "Snark" ne aveva avuto, ad eccezione di Charmian. Il suo era lo stesso egotismo dimostrato dal Giappone e dal Kansas. Lei attribuiva la sua immunitalla purezza del suo sangue, e quanto pii giorni passavano, tanto pilo attribuiva con maggiore energia e frequenza alla purezza del suo sangue. Personalmente, invece, io lo attribuivo al fatto che, essendo una donna, essa sfuggiva alla maggior parte dei tagli e delle scalfitture a cui andavamo soggetti noi uomini, nei lavori pesanti indispensabili per far navigare lo "Snark" intorno al mondo. Non gielo dissi per vedete, non volevo offendere il suo IO con dei fatti brutali. Essendo un dottore in medicina, anche se dilettante, ne sapevo pidi lei su quella malattia, e sapevo che il tempo sarebbe stato mio alleato. Ma ahim trattai male il mio alleato, quando si trattdi una deliziosa piccola verruca sulla tibia. Le applicai con tale rapidituna medicazione antisettica che la verruca guarprima che Charmian fosse convinta di averne avuta una. Una volta ancora, nella mia qualitdi Dottore in Medicina, mi vedevo ben poco apprezzato sulla mia stessa nave; peggio ancora, ero accusato di avere cercato di indurla erroneamente a credere di avere avuto una verruca. La purezza del suo sangue fu piesaltata che mai, e io mi rituffai senza fiatare nei miei libri di navigazione.

E giunse poi il mio giorno. Stavamo navigando lungo la costa di Malaita.

- Che hai sulla caviglia? - dissi.

- Niente - disse lei.

- Bene - dissi io - permettici sopra lo stesso un po' di sublimato corrosivo. E tra due o tre settimane, quando sarai guarita, ma ti rimarruna cicatrice che ti porterai fin nella tomba, dimentica tutto sulla purezza del tuo sangue e sulla storia dei tuoi antenati e dimmi, ad ogni modo, la tua opinione sulle verruche.

Era grossa come un dollaro d'argento, quella verruca, e ci vollero ben tre settimane perchguarisse. C'erano dei momenti in cui Charmian non poteva camminare, tanto le faceva male, e c'erano numerose altre volte in cui lei spiegava che il posto pidoloroso per avere una verruca era proprio la caviglia. A mia volta le spiegai che, non avendo mai fatto l'esperienza di una verruca in quel punto, ero indotto a concludere che il punto pidoloroso per la crescita di una verruca era il collo del piede. Lasciammo la decisione a Martin, che dissentda tutti e due e affermenergicamente come il solo punto veramente doloroso fosse la tibia. Non c'da meravigliarsi che le corse di cavalli siano cospopolari.

Ma dopo un po' anche le verruche smisero di essere una novit Nel momento preciso in cui sto scrivendo ne ho cinque sulle mani e altre tre sulla tibia. Charmian ne ha una da ogni lato del collo del piede destro. Tehei impazzisce per le sue. Le pirecenti coltivazioni di verruche di Martin, sulla tibia, hanno eclissato le altre sue precedenti. E Nakata ne ha sempre una ventina che rodono i suoi tessuti. Ma la storia dello "Snark" nelle Salomone stata la storia di ogni nave, sin dal tempo dei primi scopritori.

Cito dalle "Istruzioni sulla navigazione" quanto segue: "Gli equipaggi delle navi che rimangono un certo tempo nelle Salomone constatano che le ferite e le piaghe sono soggette a trasformarsi in ulcere maligne".

Nquelle Istruzioni sono piincoraggianti per quanto riguarda le febbri, poichvi leggo: "I nuovi arrivati sono quasi sicuri di essere soggetti a febbri presto o tardi. Anche i nativi vi vanno soggetti. Il numero dei morti fra i bianchi ammontnell'anno 1897 a 9 su una popolazione di 50".

Pertalune di queste morti erano state accidentali.

Nakata fu il primo a essere colpito dalla febbre, e la cosa avvenne a Penduffryn. Wada e Henry seguirono l'esempio, poi si arrese Charmian.

Io riuscii a cavarmela per un paio di mesi, ma quando fui sistemato anch'io, Martin per simpatia si una me alcuni giorni dopo. Su sette che eravamo in tutto, il solo Tehei riusca evitarle, ma le sue sofferenze per la nostalgia erano peggiori della febbre. Nakata, come al solito, segufedelmente le istruzioni, cosicchalla fine del terzo attacco, con una sudata di due ore e da due a due grammi e mezzo di chinino ingurgitato, si ritrovdebole ma guarito alla fine di sole ventiquattro ore.

Wada e Henry, invece, furono dei pazienti pidifficili da curare.

Anzitutto Wada era in uno stato di perpetua paura, perchaveva la ferma convinzione che la sua stella era al tramonto e che le Isole Salomone avrebbero accolto le sue ossa. Vedeva che intorno a lui la vita umana valeva ben poco; a Panduffryn aveva visto le stragi fatte dalla dissenteria, e sfortunatamente per lui, aveva visto una delle vittime portata a seppellire su una lamiera di ferro e ficcata in un buco nella terra senza nbara nfunerale. Tutti avevano la febbre, tutti avevano la dissenteria, tutti avevano tutto. La Morte era un fatto usuale. Oggi qui, domani morti - e Wada dimenticava tutto dell'oggi e aveva deciso che era giarrivato il domani.

Non si curava delle sue ulcere, trascurava di lavarle con il sublimato, e grattandosi senza frenarsi le aveva diffuse in tutto il suo corpo. E neppure voleva seguire le istruzioni per la febbre, con il risultato che ce l'aveva per cinque giorni alla volta, mentre un giorno avrebbe dovuto bastare. Henry, un tipo gigantesco, era altrettanto difficile. Si rifiutava energicamente di prendere il chinino, perchanni prima aveva avuto delle febbri, e le pillole che gli aveva dato allora il dottore erano di dimensioni e colore differenti dalle pastiglie che gli offrivo io. CosHenry si associava a Wada.

Ma io mi burlai di tutti e due, e li curai con la loro stessa medicina, ossia la credulit Essi avevano fede nella loro paura di dover morire. Io feci loro ingoiare una quantitdi chinino, poi misurai la loro temperatura. Era la prima volta che usavo il termometro della mia cassetta di medicinali, e mi accorsi rapidamente che non funzionava, che era stato messo nella cassetta a scopo di lucro, non di utilit Se avessi lasciato capire ai miei due pazienti che il termometro non funzionava, ci sarebbero stati due funerali entro un breve periodo di tempo. Giuro che la loro temperatura era di 41 gradi. Solennemente misi in bocca all'uno e all'altro il termometro, mi permisi di assumere una radiosa espressione di soddisfazione, e allegramente dissi loro che la loro temperatura era di 35 gradi! Poi li rimpinzai di nuovo di chinino, dicendo che qualsiasi sofferenza o debolezza avessero provato sarebbe stata dovuta al chinino, e li lasciai migliorare. E migliorarono, anche Wada, a dispetto di se stesso. Se un uomo pumorire per colpa di un inganno, che c'di immorale nel farlo vivere per merito di un inganno?

Vi raccomando la razza bianca, in quanto a fegato e resistenza.

Uno dei nostri due giapponesi e ambedue i nostri tahitiani erano in preda al terrore e si durfatica a rialzare il loro morale, a furia di battere loro sulla spalla e tenerli di buon umore. Charmian e Martin prendevano allegramente le loro sofferenze, le minimizzavano, e continuavano con calma sicurezza la loro vita. Quando Wada e Henry si convinsero che sarebbero morti, l'atmosfera funebre risulteccessiva per Tehei, il quale pregava con estrema afflizione e certe volte piangeva per ore intere.

Martin, d'altro lato, bestemmiava e guariva, e Charmian brontolava e progettava quello che avrebbe fatto, quando fosse stata di nuovo bene.

Charmian era cresciuta in un ambiente di vegetariani e salutisti. La zia Netta, che l'aveva allevata e viveva in un clima salubre, non credeva alle medicine; e neppure Charmian ci credeva. Inoltre le medicine non le andavano e i loro effetti erano peggiori dei mali che avrebbero dovuto alleviare. Peressa ascoltl'elogio del chinino, lo accettcome un male minore; e di conseguenza ebbe degli attacchi di febbre meno brevi, meno dolorosi e meno frequenti. Incontrammo un missionario, Mister Caulfeild, i cui due predecessori erano morti dopo meno di sei mesi di residenza nelle Salomone. Al pari di loro egli era stato un fervente assertore dell'omeopat駮, fin dopo la sua prima febbre quando, a differenza di loro, fece ritorno all'allopat駮 e al chinino, guarendo della febbre e continuando la sua opera evangelica.

Ma il povero Wada! La goccia che fece traboccare il vaso fu quando Charmian e io ce lo portammo dietro in una crociera nell'isola cannibala di Malaita, su un piccolo yacht, sul cui ponte il comandante era stato ucciso sei mesi prima. "Kai-kai" significa mangiare, e Wada era sicuro che sarebbe stato "kai-kai-to". Giravamo bene armati, la nostra vigilanza era incessante, e quando andavamo a fare il bagno alla foce di un corso d'acqua dolce, dei negri, armati di fucili, ci facevano da sentinella. Incontrammo delle navi da guerra inglesi che avevano bruciato e bombardato dei villaggi per punire degli assassini.

Indigeni con taglie sul loro capo cercavano di trovare rifugio a bordo da noi. L'assassinio era in agguato dappertutto. In luoghi isolati indigeni amici ci preavvertirono di attacchi imminenti. La nostra nave era debitrice di due teste a Malaita, e i cannibali avrebbero potuto esigerle in ogni momento. E per colmo, andammo in secco su una scogliera e con i fucili in una mano tenemmo lontane le canoe dei razziatori, mentre con l'altra lavoravamo a salvare la nave. Tutto cisi dimostreccessivo per Wada, che impazze alla fine disertdallo "Snark" nell'isola Isabella, sbarcando definitivamente durante uno sferzante piovasco, tra due attacchi di febbre e con la minaccia di una polmonite. Se sfuggiralla sorte di essere mangiato, e potrsopravvivere alle piaghe e alle febbri che imperversano a terra, potrsperare, con una dose ragionevole di fortuna, di andarsene da quel luogo all'isola vicina in circa sei od otto settimane. Wada non aveva mai avuto molta fiducia nelle mie medicine, sebbene gli avessi tolto trionfalmente al primo tentativo due denti che gli facevano male.

Lo "Snark" era stato un ospedale per mesi, e confesso che ci stavamo abituando alla cosa. Nella laguna di Meringe, dove carenammo e ripulimmo la fodera di rame dello "Snark", c'erano dei momenti in cui uno solo di noi era in grado di andare in acqua, mentre gli altri tre bianchi della piantagione a terra erano tutti malati di febbri.

Mentre sto scrivendo queste righe, siamo sperduti in mare a nord-est di Isabella e cerchiamo vanamente di trovare l'isola di Lord Howe, un atollo che non puessere avvistato prima di arrivarci addosso. Il cronometro non funziona. Il Sole ad ogni modo non splende, nposso fare una osservazione di stelle la notte, e per giorni e giorni non abbiamo avuto altro che raffiche di vento e pioggia. Il cuoco se ne andato; Nakata, che ha cercato di fare da cameriere e da cuoco insieme, in cuccetta con la febbre. Martin si appena alzato dopo un attacco di febbre. Charmian, la cui febbre diventata periodica, sta studiando sulla sua agenda quando avril prossimo attacco. Henry, in uno stato d'animo di attesa, ha cominciato a prendere chinino. E siccome i miei attacchi mi colpiscono con la subitaneitdi randellate, non so da un momento all'altro quando me ne verruno. Per sbaglio abbiamo dato via l'ultima farina che ci restava a dei bianchi che non ne avevano pi e non sappiamo quando potremo toccare terra.

Le nostre piaghe delle Salomone sono peggiori e pinumerose che mai.

Il sublimato corrosivo stato dimenticato a terra a Penduffryn; l'acqua ossigenata terminata, e sto provando l'acido borico, il lisolo e l'antiflogistina. Beh, se non riuscira diventare un buon medico, non sarper mancanza di pratica.

P. S. Sono passati ormai due mesi da quando ho scritto ciche precede, e Tehei, il solo immune a bordo, stato a letto dieci giorni con una febbre molto piforte di quelle avute da tutti noi, e vi ancora. La sua temperatura stata a piriprese di 41 gradi e il polso era 115.

P. S. In mare, tra l'atollo di Tasman e lo stretto di Manning.

L'accesso di febbre di Tehei si poi trasformato in febbre della lingua nera, la forma pigrave di febbri malariche, che anche dovuta a un'infezione esterna, come assicura il mio libro di medicina.

Essendo riuscito a tirarlo fuori dalla febbre, ora non so pia che santo rivolgermi, perchegli sragiona completamente. La mia esperienza medica troppo recente perchio mi possa assumere la cura di una pazzia. E questo il secondo caso di pazzia in un breve viaggio come il nostro.

P. S. Un giorno scriverun libro (per i professionisti) dal titolo "Intorno al mondo con la nave ospedale 'Snark'". Persino i nostri animali favoriti non hanno evitato una triste sorte. Siamo salpati dalla laguna di Meringe con due di essi, un terrier irlandese e un pappagallo bianco. Il terrier caduto dalla scaletta e si azzoppato la gamba posteriore sinistra, poi ha ripetuto la manovra e si azzoppato quella anteriore destra. Attualmente non ha che due gambe su cui camminare. Fortunatamente sono ai lati opposti e alle opposte estremit cosicchpuancora cavarsela in parte. Il pappagallo rimasto schiacciato sotto l'osteriggio della cabina, e ha dovuto essere ammazzato. E' stato questo il nostro primo funerale - benchanche i vari polli che avevamo, e che avrebbero fatto un brodo apprezzato per i nostri convalescenti, siano volati fuori bordo e siano cosannegati. Soltanto gli scarafaggi prosperano. Nmalattie ndisgrazie li colpiscono mai e diventano ogni giorno pigrossi e picarnivori, a furia di rosicchiare le nostre unghie delle mani e dei piedi, mentre dormiamo.

P. S. Charmian ha un altro attacco di febbre. Martin, disperato, ha cominciato a fare una cura da cavallo per le sue verruche, a base di solfato di rame, e a mandare accidenti alle Isole Salomone. Quanto a me, che devo navigare, curare e scrivere brevi racconti, non sto affatto bene. Ad eccezione dei casi di pazzia verificatisi a bordo, sono l'individuo in condizioni peggiori. Prenderil primo piroscafo per l'Australia per farmi operare. Tra le mie afflizioni minori, devo accennare a una nuova e misteriosa. Per tutta la settimana scorsa le mie mani hanno continuato a gonfiarsi come se fossi idropico. E soltanto con uno sforzo doloroso riesco a chiuderle: tirare una cima, poi, un vero tormento. Le mie sensazioni sono le stesse di quando si hanno dei forti geloni. Inoltre la pelle delle due mani si squama in modo impressionante, mentre la nuova pelle che cresce sotto ruvida e spessa. Il libro di medicina non parla di questa malattia. Nessuno sa cosa sia.

P. S. Beh, ad ogni modo ho regolato il cronometro. Dopo essere stati sballottati in mare per otto giorni tra raffiche continue di vento e di pioggia, quasi sempre alla cappa, sono riuscito a fare un'osservazione parziale di Sole a mezzogiorno. Da essa ho ricavato la mia latitudine, e poi ho diretto per raggiungere in base al solcometro la latitudine di Lord Howe. Cosfacendo, mi sono trovato a raggiungere insieme la latitudine e l'isola stessa. Qui ho controllato il cronometro a mezzo di un'osservazione di longitudine, e ho trovato un errore di circa tre minuti. Poichogni minuto equivale a quindici miglia, si puvalutare l'importanza dell'errore totale. Con ripetute osservazioni a Lord Howe, ho controllato la marcia del cronometro, trovando che esso ritardava ogni giorno di sette decimi di secondo.

Ora proprio un anno fa, quando facemmo vela dalle Hawaii, questo stesso cronometro aveva il medesimo ritardo di sette decimi di secondo. Poichtale errore era stato accuratamente aggiunto ogni giorno, e poichtale errore, come confermarono le osservazioni fatte a Lord Howe, non era variato, che cosa era mai accaduto sotto il Sole perchil cronometro di colpo accelerasse e recuperasse tre minuti?

Possono succedere cose simili? Gli orologiai esperti dicono di no, ma io dico che essi non hanno mai fatto un'esperienza di costruzione e regolazione di orologi nelle Salomone. Dipende dal clima, ecco la mia diagnosi. Ad ogni modo, ho curato con successo il cronometro, anche se non ci sono riuscito nei casi di pazzia e con le verruche di Martin.

P. S. Martin ha appena provato l'allume calcinato, e sta piche mai mandando accidenti alle Isole Salomone.

P. S. Tra lo Stretto di Manning e le Isole Pavuvu.

A Henry sono venuti dei dolori reumatici nella schiena, dieci pelli sono squamate dalle mie mani e l'undicesima si sta squamando ora, mentre Tehei pipazzo che mai, e giorno e notte prega Dio di non ucciderlo. Anche Nakata e io siamo di nuovo in piena febbre. E l'ultimissima che Nakata ha avuto un'intossicazione di ptomaina, e perciabbiamo passato metdella notte a metterlo fuori pericolo.




EPILOGO

Lo "Snark" aveva una lunghezza di 43 piedi al galleggiamento e di 55 piedi fuori tutto, una larghezza di 15 piedi (fra i madieri) e un pescaggio di 7 piedi e 8 pollici. Era armato a ketch, con trinchettina, fiocco, controfiocco, randa, mezzana e spinnaker. Aveva 6 piedi di puntale sottocoperta ed era costruito con ponte a corona e continuo.

C'erano quattro compartimenti cosiddetti stagni. Un motore ausiliario a benzina di settanta cavalli riusciva a far muovere sporadicamente la nave con una spesa approssimata di venti dollari per miglio. Un motorino di cinque cavalli metteva in funzione le pompe, quando era in efficienza, e in due occasioni si dimostrin grado di fornire alimento per il proiettore. Le batterie di accumulatori di riserva funzionarono quattro o cinque volte nel corso di due anni. Si sosteneva che la lancia di 14 piedi poteva funzionare, ma invariabilmente fece avar駮 tutte le volte che io salii a bordo.

Ma lo "Snark" navigava a vela, il solo modo con cui potgiungere in qualsiasi posto. Naviga vela per due anni, senza mai toccare roccia o scogliera o bassofondo. Non aveva zavorra interna, la sua chiglia di ghisa pesava cinque tonnellate, ma il suo forte pescaggio e il suo alto bordo libero lo rendevano molto stabile. Sorpreso da groppi tropicali in piena vela, metteva la murata sott'acqua e molte volte anche il trincarino, ma ostinatamente si rifiutava di sbandare oltre.

Poteva navigare facilmente giorno e notte senza muovere il timone, di bolina, al lasco, a mezza nave. Con il vento al giardinetto e le vele in un assetto opportuno, poteva governarsi da solo entro due quarte, e con il vento quasi di poppa muoveva entro tre quarte scarse, governando da solo.

Lo "Snark" era stato in parte costruito a San Francisco. La mattina che la sua chiglia di ghisa avrebbe dovuto essere fusa, fu proprio quella del grande terremoto. Poi venne il finimondo. Poichla sua costruzione era in ritardo di sei mesi, ne portai a vela lo scafo alle Hawaii per ultimarlo laggi con il motore legato in sentina e i materiali da costruzione legati in coperta. Se fossi rimasto a San Francisco per ultimarlo, ci sarei ancora adesso. Pur stando cosle cose, e parzialmente costruito, mi costil quadruplo di quanto avrebbe dovuto costare.

Lo "Snark" fu sfortunato fin dalla nascita. Fu registrato a San Francisco, alle Hawaii protestarono i suoi assegni come se fossero stati a vuoto, e nelle Salomone fu multato per infrazione alla quarantena. Per salvare la faccia, i giornali non potevano dire la verita mio riguardo. Quando sbarcai un capitano incompetente, dissero che io ne avevo fatto polpette. Quando un giovane torna casa per continuare i suoi studi, riferirono che io ero un vero mostro e che tutto l'equipaggio aveva disertato perchio lo bastonavo a sangue. In realtil solo colpo dato a bordo dello Snark fu quando il cuoco fu malmenato da un capitano che si era imbarcato con me con false commendatizie, e che io licenziai alle Figi. Inoltre Charmian e io facevamo la boxe come esercizio ginnastico, ma nessuno dei due ne rimase seriamente storpiato.

Il viaggio fu il nostro sogno di un bel periodo di esistenza.

Io costruii lo "Snark" e lo pagai, come pagai tutte le spese, essendomi impegnato a scrivere trentacinquemila parole, narrando il viaggio, con un periodico che mi avrebbe pagato la stessa somma che io ricevevo per i libri scritti a casa. Subito dopo, il periodico pubblicche io andavo in giro per il mondo quale suo inviato speciale. Si trattava di un periodico ricco, e ogni persona che ebbe a che fare con lo "Snark" triplicava i suoi prezzi, perchin veritil periodico poteva permetterselo. Questo mito diede i suoi frutti perfino nella piminuscola isola dei Mari del Sud, e io per conseguenza pagai. Ancora oggi tutti credono che il periodico mi abbia rifuso tutte le spese e che io mi sia arricchito in questo viaggio. E' difficile, dopo una simile pubblicit far penetrare nel comprendonio degli uomini che l'intero viaggio fu fatto per il solo divertimento di farlo.

Andai in Australia per entrare in una clinica, dove passai cinque settimane; poi rimasi cinque tristi mesi ammalato in albergo. La misteriosa malattia che mi aveva colpito alle mani superava le cognizioni degli specialisti australiani, era ignota nella letteratura della medicina. Di nessun caso simile si era mai sentito dire. Essa si estese dalle mani ai piedi, tanto che in certi periodi ero impotente quanto un neonato. Talvolta le mie mani raggiungevano dimensioni doppie delle normali, con sette pelli morte e morenti che si squamavano nello stesso tempo. E talvolta le unghie dei piedi, in ventiquattro ore, diventavano tanto lunghe quanto spesse. Dopo che le avevo limate, in altre ventiquattro ore ritornavano come prima.

Gli specialisti australiani furono concordi nel giudicare la malattia non parassitaria, e quindi, di origine nervosa. Ma essa non migliorava e mi fu impossibile continuare il viaggio. Il solo modo in cui io avrei potuto continuarlo sarebbe stato quello di farmi legare nella mia cuccetta, perchnelle mie condizioni di impotenza, incapace com'ero di afferrare con le mani, non avrei potuto andare in giro per il mare su una piccola barca che rollava. Inoltre, dissi a me stesso che mentre c'erano tante barche e tanti viaggi, non avevo che un paio di mani e una decina di unghie dei piedi. Feci anche il ragionamento che nel mio clima nativo della California avevo sempre mantenuto in equilibrio stabile il mio sistema nervoso. E costornai indietro.

Da quando sono tornato, sono guarito completamente, e ho scoperto di che si trattava. Mi capitano sott'occhio un libro del tenente colonnello Charles E. Woodruff dell'Esercito degli Stati Uniti, intitolato "Effetti della luce dei tropici sugli uomini bianchi". E allora ho capito. In seguito mi sono incontrato con il colonello Woodruff e ho saputo da lui che anch'egli aveva avuto la stessa malattia, quando era egli stesso un medico delle Forze Armate, e che diciassette medici militari si erano occupati del suo caso alle Filippine e, come gli specialisti australiani, si erano dichiarati incapace di curarla. A farla breve, io avevo una forte predisposizione alla distruzione dei tessuti sotto l'azione della luce tropicale. Ero stato fatto a pezzi dai raggi ultravioletti, proprio come molti di coloro che fanno esperienze con i raggi X, sono fatti a pezzi da essi.

Di sfuggita, permettetemi di menzionare che fra le altre malattie che unite insieme costrinsero a rinunciare a proseguire il viaggio, ce ne fu una chiamata in modo vario, "malattia dell'uomo sano", "lebbra europea" o "lebbra biblica". A differenza dalla vera lebbra, non si sa nulla di questa misteriosa malattia. Nessun dottore ha mai potuto vantarsi di averla guarita, per quanto si ricordino delle guarigioni spontanee. Essa viene, non si sa come; cosa sia, non si sa. Se ne va, non si sa perch Senza prendere medicine, solo vivendo nel salubre clima della California, la mia pelle argentea spar La sola speranza che i dottori mi avevano dato era quella di una guarigione spontanea, e tale fu la mia.

Un'ultima cosa: l'esperienza del viaggio.

E' abbastanza facile per me e per qualsiasi uomo dire che essa fu piacevole. Ma c'una teste piattendibile, la sola donna che lo fece dal principio alla fine. All'ospedale, quando dovetti dare a Charmian l'annuncio che saremmo tornati in California, gli occhi le si riempirono di lacrime. Per due giorni rimase costernata, disperata all'idea che il bel viaggio era stato abbandonato.

Clen Ellen, California

7 aprile 1911



PICCOLO GLOSSARIO MARINARESCO


ALABBASSO, cavo o manovra che serve ad alare in gila vela, il picco o un pennone.

ALARE, tirare, tesare.

ALBERETTO, pezzo superiore dell'albero (che puessere formato di uno, due o tre pezzi).

ALISEI, venti costanti che spirano da nord-est a sud-ovest nell'emisfero settentrionale e da sud-est a nord-ovest in quello meridionale.

ALLASCARE, filare un cavo, manovra o vela.

ANCA, la parte esterna e rotonda della poppa da ciascuna banda. Detta anche giardinetto.

ANTENNA, asta di legno a cui si allaccia il lato superiore di una vela latina.

ARARE, si dice di bastimento o di 跣cora quando per effetto di vento o di corrente l'跣cora non riesce a trattenere il bastimento e striscia sul fondo.

ARRIDARE, dare tutta la tensione dovuta alle manovre dormienti.

BAGLI, pezzi costruttivi trasversali che uniscono i fianchi e sostengono la coperta.

BANDO (venire in bando), si dice quando un cavo o una vela cessano di essere tesi.

BARRA, quella stanga che, fissata sulla testa del timone, serve a governarlo. Si dice anche barra quell'ammasso di rena, sassi o fanghiglia che si forma alla foce dei fiumi e davanti all'imboccatura dei porti e dei seni.

BASTINGAGGIO, parapetto formato dalle murate di una nave che si elevino al di sopra del ponte di coperta.

BATTAGLIOLA, aste fissate verticalmente sulla coperta che formano una ringhiera di riparo.

BATTELLO, piccola imbarcazione che sta legata ai bastimenti per le necessitche possono sorgere.

BIGOTTA, disco di legno con pifori dove passa un canapo (corridore) per tesare le sartie.

BOLINA, andatura di un bastimento quando naviga il pipossibile contro la direzione del vento. Si dice anche stringere il vento.

BOMA, asta orizzontale sostenuta per una estremita snodo sull'albero e per l'altra manovrata dalla scotta. Serve a tener distesa in basso una vela aurica o Marconi.

BOMPRESSO, asta sporgente dalla prua che sostiene i fiocchi.

BORDARE, detto di vela: legare al bordo le scotte delle vele. Metterle su uno dei bordi perchpiglino vento e portino.

BORDAME, lato inferiore di ogni vela detto anche linea di scotta.

BORDEGGIARE, il frequentativo di bordare e significa navigare contro il vento cambiando spesso di bordo.

BORDO, l'uno o l'altro lato di un bastimento. Anche percorso in una direzione di un bastimento che naviga di bolina o stringendo il vento.

BOROSA, cavo passato negli occhielli posti agli angoli o lungo la caduta di una vela per distenderla o per prendere terzaroli.

BOZZELLO, nome generico di tutte le carrucole di legno o di metallo che si adoperano nella marineria.

BRACCIO, misura di lunghezza equivalente a 2 yarde, pari a metri 1828 circa.

BRACCIARE, orientare una vela perchprenda o rifiuti il vento.

BRIGLIA, catena o cavo teso tra il bompresso e il dritto di prua ("tagliamare").

BUGLIOLO, secchio usato a bordo, generalmente di legno.

BUGNA, angolo di una vela in cui vi l'occhiello che serve a passarvi la legatura con cui si da volta la vela stessa al boma, picco o pennone. Per traslato, anche questa legatura.

BUTTAFUORI, asta che serve a spiegare in fuori una vela o a dare un passaggio a una manovra.

CADUTA, ciascuno dei lati verticali delle vele.

CALAFATAGGIO, guarnizione di stoppa od altro, inserita fra le connessure delle tavole formanti il fasciame o la coperta di un bastimento per impedire l'infiltrazione dell'acqua.

CAPO DI BANDA, orlo superiore del bordo.

CAPONARE, alzare l'跣cora a bordo mediante la grua di capone CAPPA, andatura che un bastimento deve prendere per affrontare con i minimi danni il cattivo tempo.

CARENA, parte immersa dello scafo.

CAVIGLIA, sorta di piuolo di legno o di metallo tornito, infilato in apposito supporto (cavigliera), a cui si danno volta cavi e manovre.
Anche una delle impugnature della ruota del timone.

COLLO (prendere a collo), si dice di una vela quando per errata manovra o per improvviso salto di vento, colpita dal vento a rovescio.

COMENTI, unione delle tavole del fasciame o della coperta.

COPPO, piccola rete da pesca di forma conica, tenuta aperta da un anello di ferro munito di manico. Detta volgarmente anche salario.

CORRIDOI, cavi sottili che servono a tesare ed assicurare l'estremitdi qualsiasi manovra dormiente (come per esempio le sartie).

COSTE, pezzi costruttivi trasversali che formano l'ossatura dello scafo.

CUBIA (occhio di cubia), foro od apertura sul bordo, in cui passa la catena dell'跣cora.

DERIVA, quello spostamento che soffre un bastimento per la forza della corrente.

DRIZZA, nome generico di ogni manovra corrente per drizzare, issare e mettere a posto qualsiasi cosa, specialmente vele.

FALCHETTA, orlo sporgente superiormente dal bordo.

FASCIAME, tavolame che copre esternamente uno scafo.

FIL DI RUOTA (navigare in fil di ruota), si dice quando un bastimento corre col vento esattamente in poppa.

FORCELLA, elemento di legno o di metallo a forma lunata con cui il boma o il picco si appoggiano all'albero.

FRANCHIA, zona di sicurezza in cui una nave dopo aver lasciato l'ormeggio, fuori da rischi di secche, scogli, eccetera.

GAFFA, gancio munito di asta che serve ad afferrare un cavo, un'imbarcazione, eccetera. Si dice anche "alighiero" e, volgarmente, "mezzo marinaio".

GALLOCCIA, specie di caviglia di legno o di metallo a forma di T schiacciato su cui si danno volta cavi e manovre.

GAVITELLO, galleggiante generalmente con la forma di due coni riuniti per le basi che serve a sostenere il cavo di un'跣cora, a indicare un punto in mare, eccetera.

GOLE, pezzi strutturali a forma di squadra che collegano i due fianchi a prua. Diconsi pure ghirlande.

GOMENA, misura di lunghezza pari a 200 metri circa. Anche grosso cavo.

GRIPPIALE, cavo sostenuto da un gavitello che si getta in mare e, legato al diamante (parte centrale) di un'跣cora, serve a spedarla (vedi) tirandola a rovescio nel caso in cui sia rimasta impigliata sul fondo (incattivata)

GROPPO, burrasca improvvisa violenta e di breve durata.

IMBROGLIARE, avviluppare a festoni la vela per sottrarla speditamente all'azione del vento.

INFERIRE, distendere e fissare una vela su di un pennone, picco o boma.

INGAVONARSI, si dice di imbarcazione o bastimento sbandato di circa 90 gradi, e ciocoricato sull'acqua, in modo da avere la coperta pressochverticale.

INVERGARE, lo stesso che inferire (vedi).

LAPAZZARE, riparare temporaneamente un'asta rotta mediante legature e con l'ausilio di stecche laterali dette lapazze.

LASCO, andatura di un bastimento a vela quando riceve il vento a circa 90 gradi dalla prora, e ciopressochsul traverso.

LEGA, misura di distanza pari a tre miglia marine, e corrispondente a metri 5556 circa.

MANOVRA, operazione eseguita a bordo in dipendenza della navigazione, entrata o uscita dai porti, eccetera. Anche cavo facente parte dell'attrezzatura. "Manovra corrente": quel cavo che, passando per i bozzelli assegnati, puessere filato, mollato o tesato al bisogno: la stessa manovra si dice libera mobile, volante. "Manovra dormiente": quel cavo che resta stabile al posto per tener fermo alcun oggetto.
Cavo che non fila.

MASCELLA, la metdi una forcella (vedi).

MASCONE, la parte esterna e rotonda della prua da ciascuna banda, detto anche masca.

MATAFIONE, ciascuno di quei cavetti che stanno penzoloni sul corpo della vela aperta e servono a legarla, quando si vuol sottrarne una parte al vento forte.

MEDA, colonna o piramide di muratura, asta metallica o di legno che segnala bassifondi o scogliere, e indica il passaggio alle navi.

MEZZANELLA, vela di mezzana di uno yawl.

MIGLIO MARINO, misura di lunghezza pari a un primo d'arco di meridiano e corrispondente a metri 1852 circa.

MURATE, i fianchi di uno scafo.

MURE, i due lati anteriori di uno scafo. Si dice che un bastimento naviga mure a dritta quando riceve il vento sulla dritta, e mure a sinistra quando lo riceve sulla sinistra.

NODO, parlando del cammino di un bastimento significa miglio marino.
In genere il bastimento col bel vento fresco e tutto invelato pucorrere sino agli otto nodi. Con le vele di fortuna, volendo correre, sino a quindici.

OMBRINALE, ciascuna delle aperture praticate sui fianchi in corrispondenza della coperta per far ricadere l'acqua in mare.

ORDINATA, pezzo di costruzione costituente la costola dell'ossatura del bastimento.

ORZARE, evoluzione di un bastimento per cui avvicina la prua alla direzione da cui spira il vento. Si dice anche venire all'orza.
"Orza!" comando di governare timone e vele all'orza: barra sottovento, forza di vele a poppa, levita prua.

ORZIERO, si dice di bastimento che ha tendenza a venire all'orza.

PARABORDI, specie di cuscini di cavo intrecciato, sughero o gomma, usati per proteggere i fianchi di un'imbarcazione dagli urti.

PARAMEZZALE, pezzo strutturale interno longitudinale, posto sopra alla chiglia.

PARANCO, apparecchio di forza costituito da due o pibozzelli con relativo cavo.

PATENTE, quella specie di passaporto, nella quale si scrive il nome del bastimento, la sua portata, il numero dell'equipaggio, la provenienza, la destinzione, eccetera.

PENNA, l'estremitpoppiera del picco.

PENNONE, ognuna delle aste orizzontali sostenute a metlunghezza dagli alberi che servono a tener distese le vele quadre.

PICCO, asta obliqua sostenuta anteriormente dall'albero, che serve a tener distesa in alto una vela aurica.

PIEDE, misura di lunghezza equivalente a dodici pollici, pari a metri 0,305 circa.

POGGIARE, evoluzione di un bastimento per cui allontana la prua dalla direzione da cui spira il vento. "Poggia!" comando di volgere di pia seconda del vento. Caricare le vele a prua e scaricare a poppa.

POLLICE, misura di lunghezza pari a millimetri 25 circa.

QUARTA, la quarta parte dell'angolo di 45 gradi, pari a 11 gradi 15 primi, corrispondente alla trentaduesima parte della circonferenza.
Chiamasi anche rombo di bussola.

RANDEGGIARE, navigare molto vicino a una costa.

RITENUTA, legatura con cui si assicura un oggetto perchnon venga spostato o vada perduto a seguito dei movimenti dello scafo.

RIVA, si dice per designare tutto ciche della nave si trova sull'alberatura.

RIZZARE, assicurare mediante una rizza o ritenuta.

ROMBO, lo stesso che quarta (vedi).

SARTIA, ognuno dei cavi che sostengono l'albero lateralmente.

SCALMOTTI, estremitdelle coste, sporgenti dal trincarino (vedi) a cui appoggiato il bastingaggio.

SCAPOLARE, si dice di un bastimento che rimonta e doppia un capo od un ostacolo di stretta misura.

SCARROCCIARE, si dice dello spostamento laterale di un bastimento sul mare prodotto dal vento (scarroccio).

SCASSA, quel grosso pezzo di rovere piantato sul fondo del naviglio, che serve ad incastrarvi dentro il piede dell'albero.

SCOTTA, cavo o manovra che serve a tesare una vela.

SEGNO (mettere a segno), tesare o allascare convenientemente una vela in modo che utilizzi bene il vento.

SENALE, paranco formato con due bozzelli, ognuno di tre pulegge: serve a sollevare grossi pesi, poichha un recupero di potenza (teorico) di sei volte.

SFERIRE, il contrario di inferire (vedi).

SOLCOMETRO, apparecchio costituito da un'elica-pesce che si getta in mare a poppa ed collegata ad un contatore per mezzo di un cavetto: per effetto del moto del bastimento l'elica-pesce gira, trasmettendo le rotazioni al contatore che registra il cammino percorso.

SPEDARE, distaccare un'跣cora dal fondo.

STRAGLIO, cavo che sostiene l'albero verso prua o verso poppa.

STRAORZARE, si dice di imbarcazione o bastimento a vela che, a causa del mare grosso, o per essere sovraccarico di vele, non riesce a tenere la rotta ma accosta (ciogira) con la prora bruscamente ora da un lato, ora dall'altro.

STROPPO, anello metallico o di cavo che serve per collegare un'asta, il bome, il picco, i bozzelli, eccetera.

TANGONE, vedi "buttafuori".

TERZAROLARE, diminuire la superficie di una vela quando il vento troppo forte. Si dice anche "fare terzaroli".

TERZAROLO, porzione della vela che destinata ad essere ripiegata per diminuire la superficie.

TONNEGGIARE, spostare un bastimento in porto o all'ormeggio alando o filando cavi assicurati a terra o su gavitelli o boe.

TORELLO, la prima tavola del fasciame in basso, che corre sui due fianchi lungo alla chiglia.

TRINCA, stretta legatura che serve ad assicurare certe parti dell'attrezzatura o dell'armamento. Si dice che un bastimento alla trinca, quando tutto predisposto per affrontare il tempo cattivo.

TRINCARINO, la tavola piesterna della coperta, che corre lungo i fianchi dello scafo. Si dice anche suola.

TRINCHETTINA, la piinterna delle vele triangolari ("fiocchi") che si alzano a proravia dell'albero.

TROZZA, attrezzo di forma circolare composto di cavi o armature di ferro con cui il picco della randa si appoggia e scorre sull'albero.

TUGA, sovrastruttura sporgente dalla coperta che serve per dar maggiore altezza ai locali interni.

VELA, la superficie di tela che, spiegata al vento da un'imbarcazione, gli imprime il moto. "Vele quadre": di forma quadrangolare che si inferiscono sui pennoni e si orientano con essi. "Vele di taglio": quelle che si inferiscono ad antenne, picchi, stralli, e per conseguenza possono essere messe anche di taglio rispetto al vento.
"Vela aurica o randa": di forma trapezoidale sostenuta in alto dal picco. "Vela Marconi o bermudiana": triangolare, che sostituisce la randa e la controranda abolendo il picco e si inferisce sull'albero e alla boma. "Vele latine": sono triangolari con un solo lato inferito all'antenna e si alzano una per albero.

VENTI, cavi che sostengono lateralmente un'asta muovendola nella direzione voluta.

VERRICELLO, apparecchio a tamburo ad asse orizzontale usato generalmente per salpare le 跣core: se ad asse verticale, si dice argano.

YARDA, misura di lunghezza equivalente a 3 piedi, pari a metri 0,914 circa.






搜尋引擎讓我們程式搜尋結果更加完美
  • 如果您覺得該文件有幫助到您,煩請按下我
  • 如果您覺得該文件是一個一無是處的文件,也煩請按下我

  • 搜尋引擎該文件您看起來是亂碼嗎?您可以切換編碼方式試試看!ISO-8859-1 | latin1 | euc-kr | euc-jp | CP936 | CP950 | UTF-8 | GB2312 | BIG5 |
    搜尋引擎本文件可能涉及色情、暴力,按我申請移除該文件

    搜尋引擎網址長?按我產生分享用短址

    ©2024 JSEMTS

    https://tw.search.yahoo.com/search;_ylt=A8tUwZJ2QE1YaVcAUmFr1gt.;_ylc=X1MDMjExNDcwNTAwMwRfcgMyBGZyA3lmcC10LTkwMC1zLXR3BGdwcmlkAwRuX3JzbHQDMARuX3N1Z2cDMARvcmlnaW4DdHcuc2VhcmNoLnlhaG9vLmNvbQRwb3MDMARwcXN0cgMEcHFzdHJsAwRxc3RybAM4NARxdWVyeQMlRTglQjYlODUlRTUlOEYlQUYlRTYlODQlOUIlRTclOUElODQlRTUlQUYlQjYlRTUlQUYlQjYlMjAlRTglODMlQTElRTUlQUUlODklRTUlQTglOUMEdF9zdG1wAzE0ODE0NTc3OTM-?p=%E8%B6%85%E5%8F%AF%E6%84%9B%E7%9A%84%E5%AF%B6%E5%AF%B6+%E8%83%A1%E5%AE%89%E5%A8%9C&fr2=sb-top-tw.search&fr=yfp-t-900-s-tw&rrjfid=2282172 https://tw.search.yahoo.com/search;_ylt=A8tUwZJ2QE1YaVcAUmFr1gt.;_ylc=X1MDMjExNDcwNTAwMwRfcgMyBGZyA3lmcC10LTkwMC1zLXR3BGdwcmlkAwRuX3JzbHQDMARuX3N1Z2cDMARvcmlnaW4DdHcuc2VhcmNoLnlhaG9vLmNvbQRwb3MDMARwcXN0cgMEcHFzdHJsAwRxc3RybAM4NARxdWVyeQMlRTglQjYlODUlRTUlOEYlQUYlRTYlODQlOUIlRTclOUElODQlRTUlQUYlQjYlRTUlQUYlQjYlMjAlRTglODMlQTElRTUlQUUlODklRTUlQTglOUMEdF9zdG1wAzE0ODE0NTc3OTM-?p=%E8%B6%85%E5%8F%AF%E6%84%9B%E7%9A%84%E5%AF%B6%E5%AF%B6+%E8%83%A1%E5%AE%89%E5%A8%9C&fr2=sb-top-tw.search&fr=yfp-t-900-s-tw&rrjfid=9901529 https://tw.search.yahoo.com/search;_ylt=A8tUwYgkQU1YcXoAUE9r1gt.;_ylc=X1MDMjExNDcwNTAwMwRfcgMyBGZyA3lmcC10LTkwMC10dwRncHJpZAMxWU5tY2FYMVFGQ2ZvUXZGN1N0bzVBBG5fcnNsdAMwBG5fc3VnZwMwBG9yaWdpbgN0dy5zZWFyY2gueWFob28uY29tBHBvcwMwBHBxc3RyAwRwcXN0cmwDBHFzdHJsAzQ4BHF1ZXJ5AyVFNiVBRCVBMSVFNiVBRCU4QyUyMCVFNSVCMCU4OCVFNiU4MyU4NSVFNSU5QyU5OAR0X3N0bXADMTQ4MTQ1Nzk3Ng--?p=%E6%AD%A1%E6%AD%8C+%E5%B0%88%E6%83%85%E5%9C%98&fr2=sb-top-tw.search&fr=yfp-t-900-tw&rrjfid=8562554 https://tw.search.yahoo.com/search;_ylt=A8tUwYgkQU1YcXoAUE9r1gt.;_ylc=X1MDMjExNDcwNTAwMwRfcgMyBGZyA3lmcC10LTkwMC10dwRncHJpZAMxWU5tY2FYMVFGQ2ZvUXZGN1N0bzVBBG5fcnNsdAMwBG5fc3VnZwMwBG9yaWdpbgN0dy5zZWFyY2gueWFob28uY29tBHBvcwMwBHBxc3RyAwRwcXN0cmwDBHFzdHJsAzQ4BHF1ZXJ5AyVFNiVBRCVBMSVFNiVBRCU4QyUyMCVFNSVCMCU4OCVFNiU4MyU4NSVFNSU5QyU5OAR0X3N0bXADMTQ4MTQ1Nzk3Ng--?p=%E6%AD%A1%E6%AD%8C+%E5%B0%88%E6%83%85%E5%9C%98&fr2=sb-top-tw.search&fr=yfp-t-900-tw&rrjfid=4931911 https://tw.search.yahoo.com/search;_ylt=A8tUwZJ2QE1YaVcAUmFr1gt.;_ylc=X1MDMjExNDcwNTAwMwRfcgMyBGZyA3lmcC10LTkwMC1zLXR3BGdwcmlkAwRuX3JzbHQDMARuX3N1Z2cDMARvcmlnaW4DdHcuc2VhcmNoLnlhaG9vLmNvbQRwb3MDMARwcXN0cgMEcHFzdHJsAwRxc3RybAM4NARxdWVyeQMlRTglQjYlODUlRTUlOEYlQUYlRTYlODQlOUIlRTclOUElODQlRTUlQUYlQjYlRTUlQUYlQjYlMjAlRTglODMlQTElRTUlQUUlODklRTUlQTglOUMEdF9zdG1wAzE0ODE0NTc3OTM-?p=%E8%B6%85%E5%8F%AF%E6%84%9B%E7%9A%84%E5%AF%B6%E5%AF%B6+%E8%83%A1%E5%AE%89%E5%A8%9C&fr2=sb-top-tw.search&fr=yfp-t-900-s-tw&rrjfid=5676269 https://tw.search.yahoo.com/search;_ylt=A8tUwYgkQU1YcXoAUE9r1gt.;_ylc=X1MDMjExNDcwNTAwMwRfcgMyBGZyA3lmcC10LTkwMC10dwRncHJpZAMxWU5tY2FYMVFGQ2ZvUXZGN1N0bzVBBG5fcnNsdAMwBG5fc3VnZwMwBG9yaWdpbgN0dy5zZWFyY2gueWFob28uY29tBHBvcwMwBHBxc3RyAwRwcXN0cmwDBHFzdHJsAzQ4BHF1ZXJ5AyVFNiVBRCVBMSVFNiVBRCU4QyUyMCVFNSVCMCU4OCVFNiU4MyU4NSVFNSU5QyU5OAR0X3N0bXADMTQ4MTQ1Nzk3Ng--?p=%E6%AD%A1%E6%AD%8C+%E5%B0%88%E6%83%85%E5%9C%98&fr2=sb-top-tw.search&fr=yfp-t-900-tw&rrjfid=8573404