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Angelo Maria Ripellino
Praga magica
Saggi

Copyright 1973 e 1991
Giulio Einaudi editore s'p'a
Torino
Prima edizione 俟aggi1973
Einaudi

**********

Il libro mostra, al di ldel clichturistico di Praga, 剃itt d'oro tutta l'arcana sostanza, le ambiguit il tenebrismo, il
torpore, il fascino nascosto della cittboema. Il capolavoro di un
saggista profondamente innamorato della sua materia, ma anche
struggentemente poeta in proprio. Praga narrata non solo nei suoi
splendori, ma anche nelle sue ombre non meno fascinose: quelle del
Quartiere ebraico, del Golem, delle taverne, degli stanieri che vi
abitarono, della letteratura tedesca che vi fior di Hazek e di
Kafka, di Apollinaire, di Meyrink e dei dadaisti boemi. Un viavai
inesauribile di storie, leggende, personaggi.

N'B': Per la grafia dei nomi e dei termini cechi e polacchi si adottata la segnografia Braille originale.

Angelo Maria Ripellino, nato a Palermo nel 1923, morto a Roma nel
1978, allievo di Ettore Lo Gatto, ordinario di Lingua e Letteratura
Russa all'universitdi Roma, si appassionmolto anche alla lingua e
alla letteratura boema. Nell'immediato dopoguerra fu a Praga ed
esordappunto con una Storia della poesia ceca contemporanea, nel
1950. Lo studio critico-antologico Poesia russa del Novecento
invece, del 1954. Le due ricerche sono proseguite parallelamente
senza alcun calo di passione per l'intera vita di Ripellino. Se il
saggio Majakovskij e il teatro russo d'avanguardia del 1959 e il
romanzo-saggio dedicato al teatro russo dei primi decenni del secolo,
Il trucco e l'anima, del 1965, Praga magica del 1973.
Ripellino stato il primo in Italia a presentare le poesie di
Boris Pasternak nel 1957 e il primo a presentare la prosa di Andrej
Belyi nel 1961. Traduttore di grande livello e di grande audacia,
affrontautori molto ardui come appunto Pasternak, Belyi,
Majakovskij, Blok. Tradusse e curedizioni di Ha蟌k, 螮pek, B'
Hrabal, Holan, Holas, Octena蟌k e un grande numero di altri scrittori
slavi. E fu anche e soprattutto poeta di ispirazione autobiografica,
dalla raccolta Non un giorno, ma adesso del 1960 ad Autunnale barocco
del 1977, tentativo struggente di incrociare barocco siciliano e
barocco praghese da lui spavaldamente mescolati.
Praga magica, il capolavoro di Ripellino, narra, anzi rivive la
metropoli boema dell'etdi Rodolfo II, degli alchimisti, del
Quartiere ebraico, del Golem, delle taverne, dell'indole funeraria e
maligna di certe sue fabbriche e strade, degli stranieri che vi
abitarono nel corso dei secoli, della letteratura tedesca che vi
fiorsullo scorcio dell'impero austro-ungarico e di Ha蟌k e di
Kafka, cerimonieri dell'intero libro, e di Apollinaire, Macha, Holan,
Meyrink e dei dadaisti boemi e degli infernali pagliacci della
pittura di Tichche esprimono a meraviglia la notturnalit il
malumore di Praga. Attorno alle ombre di Josef K' e di Josef 襒ejk
una selva di personaggi e di maschere recita in questo teatro. In un
via vai inesauribile vi si accalcano astrologi, distillatori,
negromanti, architetti, manigoldi, fantasmi, gesuiti, fantocci,
sembianze di cera, automati, santi di pietra arenaria.
Per il vasto affresco che, a tratti, assume cadenze di antica
cronaca, Ripellino ha tirato in ballo frantumi di annali e di vecchie
riviste illustrate, vecchie canzoni da fiera e leggende, immagini di
poeti e pittori cechi e tedeschi. Nella sua fl滱erie innamorata,
Ripellino s'indugia a enumerare non solo gli splendori del Gotico e
del Barocco, le bizzarrie manieristiche, ma anche il tritume dei
rigattieri, le croste da marchaux puces, le fatiscenti reliquie,
che hanno gran parte nel Logos di Praga, ricorrendo ora ai congegni
del m郵o e dei racconti di spiriti, ora all'enfasi dei viaggiatori
incantati, ora alle iperboli kitsch degli aneddoti di birreria, in un
miscuglio di inventiva e di storia.

**********

Parte prima

1
Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, Franz Kafka ritorna a via
Celetn(Zeltnergasse) a casa sua, con bombetta, vestito di nero.
Ancor oggi, ogni notte, Jaroslav Ha蟌k, in qualche taverna, proclama
ai compagni di gozzoviglia che il radicalismo dannoso e che il sano
progresso si puraggiungere solo nell'obbedienza. Praga vive ancora
nel segno di questi due scrittori, che meglio di altri hanno espresso
la sua condanna senza rimedio, e perciil suo malessere, il suo
malumore, i ripieghi della sua astuzia, la sua finzione, la sua
ironia carceraria.
Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, Vit瞛slav Nezval ritorna
dall'afa dei bar, delle bettole alla propria mansarda nel quartiere
di Troja, attraversando la vitava con una zattera (1) Ancor oggi,
ogni notte, alle cinque, i massicci cavalli dei birrai escono dalle
rimesse di Smichov. Ogni notte, alle cinque, si destano i gotici
busti della galleria di sovrani, architetti, arcivescovi nel triforio
di San Vito. Ancor oggi due zoppicanti soldati con le baionette
inastate, al mattino, conducono Josef 襒ejk gida Hrad螮ny per il
Ponte Carlo verso la CittVecchia, e in senso contrario, ancor oggi,
la notte, a lume di luna, due guitti lucidi e grassi, due manichini
da panoptikum, due automi in finanziera e cilindro accompagnano per
lo stesso ponte Josef K' verso la cava di Strahov al supplizio.
Ancor oggi il Fuoco effigiato dall'Arcimboldo con svolazzanti
capelli di fiamme si precipita gidal Castello, e il ghetto si
incendia con le sue scrignute catapecchie di legno, e gli svedesi di
K霵igsmark trascinano cannoni per MalStrana, e Stalin ammicca
malefico dal madornale monumento, e soldatesche in continue manovre
percorrono il paese, come dopo la sconfitta della Montagna Bianca.
Praga 剌u sempre cittdi avventurieri si legge in un dialogo di
MiloMarten, 厚er secoli nido di avventurieri senza pietnlegami.
Venivano a frotte dalle quattro parti del mondo a predare, a
spassarsela, a spadroneggiare 前 ciascuno strappava, ingoiava un
pezzo della viva polpa di questa misera terra, la quale dava sino a
esaurirsi, senza che alcuno le si desse, per ripagarla di ciche le
aveva tolto(2)
Troppo spesso asservita ed afflitta da ruberie e da soprusi, troppo
spesso teatro alla spocchia di prepotenti stranieri, di masnade
bruttissime di lanzichenecchi e gradassi, che ne fecero strazio e si
lupeggiarono ogni sua sostanza. Quanti grugni porcini, impacciandosi
nelle occorrenze di Praga, vi si sono accampati nel corso dei tempi:
squassapennacchi dalle armature dorate e dal gonfio petto tintinnante
di ciondoli, fratacchioni di tutte le confraternite e prelati del
porta inferi, Obergauner che piombavano in side-car, seminando
rovina, e machiavellisti e fratelli traditorissimi, e ceffi mongolici
come in racconti di Meyrink, e qualche assessore di collegio
caucasico, preposto a imbavagliare il pensiero, e ciurme di regolisti
e di sgherri che, puntando il mitra, sbaiaffano fagiolate
ideologiche, e interi conclavi di generali capocchi, tra i quali sia
ricordato, per le innumere placche e medaglie che lo avviluppano, lo
zelante Episciov, coglione in cremisi.
Alla soglia della seconda guerra mondiale Josef 螮pek, che sarebbe
perito in un Lager nazistico, narrin un ciclo di caricature la
storia di due protervi stivali, due neri viscidi guitti che,
moltiplicandosi come le salamandre, spargono per l'universo menzogna,
sfacelo e morte (3) Ancor oggi pesanti stivali calpestano Praga, ne
strozzano l'inventiva, il respiro, l'intelligenza. E, sebbene
ciascuno di noi non si stanchi di sperare che queste sciagurate
scarpacce, come quelle che disegnJosef 螮pek, finiscano tra le
cianfrusaglie di Chronos, il Gran Rigattiere, tuttavia molti si
chiedono se, data la brevitdella vita, cinon accadrtroppo
tardi.

NOTE:
(1) Cfr' Vit瞛slav Nezval, Z m逸o eivota, Praha 1959, pp' 177-79, e
JiwSvoboda, Pwitel Vit瞛slav Nezval, Praha 1966, p' 203.
(2) MiloMarten, Nad m瘰tem (1917), Praha 1924, p' 24.
(3) Josef 螮pek, Dikt漮orskboty (1937), in D疀iny zblizka (Soubor
satirick蓫l kreseb), a cura di Otakar Mrkvi螶a, Praha 1949. Cfr'
Jaromir Pe蟊rka, Josef 螮pek, Praha 1961, p' 82.

2
Detlev von Liliencron era convinto di esser givissuto una volta
nella capitale boema, non come poeta, ma come capitano dei
lanzichenecchi del Wallenstein (1) Anch'io ho la certezza di avervi
abitato in altre epoche. Forse vi giunsi al seguito della siciliana
principessa Perdita che, in The Winter's Tale di Shakespeare, va
sposa al principe Florizel, figlio di Polissene, re di Boemia. Oppure
come scolaro dell'Arcimboldo, 勇ngegnosissimo pittor fantastico che
dimorper molti anni alla corte di Sua MaestCesarea Rodolfo II
(2) Lo aiutavo a dipingere i suoi ritratti compositi, quegli
inquietanti e scurrili mostacci, rigonfi come di porri e di scrofola,
che egli imbastiva ammucchiando frutti, fiori, spighe, paglie,
animali, coscome gli Incas mettevano pezzi di zucca nelle guance e
occhi d'oro ai cadaveri (3)
Oppure, nello stesso torno di tempo, ciarlatano in una baracca a
Piazza della CittVecchia, spacciavo lettovari ed intrugli ai
babbioni e, quando gli sbirri scoprirono i miei ingannamenti, feci un
leva eius, tornando da Praga come una gazza scodata. O piuttosto vi
giunsi con un Caratti, un Alliprandi, un Lurago, con uno dei tanti
architetti italiani, che diedero inizio al Barocco nella citt
vitavina. Ma se guardo il quadro in cui Karel 螶r鈣a effigi(1653)
Dionysius Miseroni con una coppa di onice in mano, mi sembra di aver
lavorato, io che amo limar le parole come pietre dure, nella bottega
di questo intagliatore, che fu anche custode delle collezioni
imperiali.
O forse non c'bisogno di risalire coslontano: semplicemente ero
uno dei molti figurinai e stuccatori italiani, che nel secolo scorso
affluirono a Praga, aprendovi negozi di statuette di gesso (4)
Benchsia piprobabile che io appartenessi alla folta schiera di
quelli che, a ogni ora del giorno, giravano per le viuzze e i cortili
della capitale boema con un organetto, nella cui parte anteriore
splendeva un teatrino invetriato. Posavo l'organetto su un trespolo,
alzavo la tela di canapa che lo ricopriva e, al volgersi della
manovella, nella bacheca raffigurante una fuga di piccole sale con
sfondo di specchi danzavano a coppie minuscoli vagheggini in marsina
e calzoni bianchi, bianche damine con la crinolina e la pettinatura a
paniere ed esigui ventagli (5)
Ma taluni gida lungo tempo mi hanno identificato con Titorelli,
l'imbrattatele, il dispensiere di Kitsch, il quale, oltre a ritratti,
dipinge paesaggi stenti ed uguali che a molti non piacciono, perch
咨roppo tristi(6) E c'chi pensa che io sia stato quel cliente
della banca a cui, nel Processo, K', che sa un po di italiano e si
intende di arte, dovrebbe mostrare i monumenti di Praga. L'origine
meridionale del cliente, i suoi 剋rossi baffi grigio-bleuprofumati,
la sua 剋iacchettina stretta e corta i molti gesti delle sue agili
mani mi inducono a credere che qualcosa di vero sussista in questo
bislacco accostamento. Se cos mi dispiace di non essere andato
quel giorno piovoso, freddo, umido all'appuntamento nella cattedrale
costruita nel XIV secolo da Maty碭 di Arras e da Petr Parl鈍 di
Gmd, mi dispiace di aver fatto attendere invano il signor
procuratore (7) Se poi mi rammento che Titorelli vien definito 哎omo
di fiducia del tribunale(8) e che il cliente italiano ne certo
uno strumento segreto, un cursore, allora, nel futile giuoco delle
incarnazioni, mi accorgo di essere io stesso morbosamente invischiato
nel guazzabuglio malsano di accuse, soffiate, messaggi arcani,
sentenze, espiamenti, che costituisce il mistero e il calvario di
Praga.
Una sola cosa sicura, che da secoli io cammino per la citt
vitavina, mi mescolo alla moltitudine, arranco, gironzolo, annuso
tanfo di birra, di fumo di treni, di melma fluviale, potete vedermi
ldove, come afferma Kol漙, 勇nvisibili mani rimenano sulle
spianatoie dei marciapiedi la pasta dei passanti(9), ldove, per
dirla con Holan, 勇 crostini di strade strofinati@ con l'aglio della
folla un poco puzzano@(10)

NOTE:
(1) Cfr' Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten (Wanderungen durch das
romantische Prag), Prag-Wien-Leipzig 1922, p' 87.
(2) Cfr' Gregorio Comanini, Il Figino ovvero Del fine della
pittura, in Trattati d'arte del Cinquecento, a cura di Paola
Barocchi, III, Bari 1962, p' 257.
(3) Cfr' Alfred metraux, Gli Incas, Torino 1969, pp' 66-67.
(4) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety, I, Praha 1926, p' 86.
(5) Cfr' ibid', III, pp' 44-45.
(6) Franz Kafka, Il Processo, a cura di Alberto Spaini, Torino
1966, pp' 245-46.
(7) Franz Kafka, Il Processo cit', pp' 304-15. Pavel Eisner
(促rocesFranze Kafky, commento alla traduzione ceca del Processo,
Praha 1958, p' 222) asserisce che si puparlare di una sorta di
剃omplesso italianodi Kafka, riflesso forse del periodo (1907) in
cui fu impiegato nella filiale praghese delle Assicurazioni Generali.
Nel novembre 1907 Kafka scriveva a Hedwig W': 勇mparo l'italiano
perchprima di tutto andrprobabilmente a Trieste(Epistolario, a
cura di Ervino Pocar e Anita Rho, Milano 1964, I, p' 52) Di questo
剃omplessotestimoniano anche i cognomi Sordini e Sortini nel
Castello.
(8) Franz Kafka, Il Processo cit', p' 224.
(9) JiwKol漙, Sv璠ek, in 鐰y a variace, Praha 1946, p' 31.
(10) Vladimir Holan, PrvnTestament (1939-40), Praha 1940, p' 11.

3
促raga non molla. Non molla noi due. Questa mammina ha gli artigli.
Bisogna adattarsi o... In due punti dovremmo appiccarle il fuoco, al
Vy蟌hrad e al Hradschin, e cossarebbe possibile liberarci. Pensaci
un po fino a carnevale sono parole di Kafka in una lettera a Oskar
Pollak del 20 dicembre 1902 (1)
Antico in-folio dai fogli di pietra, cittlibro (2), nei cui libri
resta 冠ncora tanto da leggere, da sognare, da capire(3), cittdi
tre popoli (il ceco, il tedesco, l'israelitico) e, secondo Breton,
capitale magica dell'Europa (4), Praga soprattutto vivaio di
fantasmi, arena di sortilegi, sorgente di Zauberei, ossia di
kouzelnictv(in ceco), di kischef (in jiddisch) Trappola che, se
afferra con le sue brume, con le sue male arti, col suo tossicoso
miele, non lascia pi non perdona. 俏on cessa mai di ammaliare coi
propri incantesimi - scrisse Arno褾 Proch漘ka - la vecchia versiera
Praga(5)
Non andarvi se cerchi una felicitsenza nuvole. Ghermisce ed arde
coi suoi furbi sguardi ed infatua e trasforma gli incauti che siano
entrati nel cerchio delle sue mura. Il banchiere occultista Meyer vi
diventa, dopo un crac finanziario, lo scrittore di storie spiritiche,
il ciarlatano mistico Meyrink. Affatturato, anch'io mi dibatto dentro
il suo opaco cristallo come, in un racconto di Meyrink, il Pierrot
che soffoca in una bottiglia (6) Le ho venduto la mia ombra, come
Peter Schiemihl al diavolo. Ma in cambio mi ricompensa con
larghissima usura: il Klondyke del mio spirito, uno straordinario
pretesto per i miei ghiribizzi verbali, per i miei Nachtsthe. Le
ripeto sovente questi versi di Nezval:
Mi chino sugli angoli dimenticati Praga@ che intessi il tuo
splendore funebre@ fumo di osterie in cui si perde il cinguettio
degli uccelli@ la sera come un sonatore di armonica fa scricchiolare
le porte piangenti@ lunghe chiavi pesanti rinserrano indecifrabili
cose@ e si spargono le orme come un rosario spezzato@ (7)
Il sonatore di armonica proprio uno di quelli dipinti da Josef
螮pek: l'ho spesso incontrato a Dejvice ed in altri quartieri di
periferia. 促rag, die Stadt der Sonderlinge und Phantasten, dies
ruhelose Herz von Mitteleuropa(8) Cittper cui vagano strampalati
commandos di alchimisti, di astrologhi, di rabbini, di poeti, di
templari acefali, di angeli e santi barocchi, di arcimboldeschi
fantocci, di marionettisti, di conciabrocche, di spazzacamini. Citt
aggrottescata di umori stravaganti e propizia agli oroscopi, alla
clownerie metafisica, alle raffiche di irrazionale, agli incontri
fortuiti, ai concorsi di circostanze, alle complicitinverosimili
tra fenomeni opposti, ossia a quelle 剃oincidenze petrificantidi
cui discorre Breton (9) E dove i boia, come in Kafka, hanno il
doppio mento e l'aspetto di glabri tenori (10) e potresti intopparti
nelle 剎ambole parlanti(匍luvicpanny di Nezval, simili a quelle
di Bellmer, testa calva ed orecchie di porcellana (11), o nella Leni
kafkiana, rusalca, la quale ha l'anulare e il medio della mano destra
congiunti da una membrana (12)
La tua sorte - aveva predetto Tycho Brahe a Rodolfo II - legata
alla sorte del tuo prediletto leone: e Rodolfo infatti mor(gennaio
1612) pochi giorni dopo la morte della belva (13) Rodolfo,
personaggio precipuo della cittvitavina, devoto alle stelle e
cultore di arte spargirica, che giustamente Bulg跮ov ha posto nel
novero degli illustri Cadaveri invitati all'orrido ballo di Satana
(14)
A tratti l'arcanitdella Golemstadt si dilata all'intera Boemia,
terra di frontiera, crocicchio esposto a tutti i venti, 南el punto
centrale dell'Europa, dove - a detta di Musil - si intersecano gli
antichi assi del mondo(15) In un racconto di Apollinaire una
vecchia zigana in un villaggio bosniaco asserisce di venire dalla
Boemia, 勁e pays merveilleux ol'on doit passer mais non s嶴ourner,
sous peine d'y demeurer envo ensorcel incant暺 (16) Un sogno:
girare a piedi un'estate per la provincia boema, da Dobw斁 a
Protivin, da Vod螁ny a Hlubok picareschi, arruffati, di taverna in
taverna, tovaglie lorde e birra stantia, spaventare le oche sulle
aie, dormire sull'erba, scavezzacolli, sventati, 剋igli di campo, -
con anima ingenua di apostoli come i vagabondi di Karel Toman (17),
come lo sregolato pittore barocco Petr Brandl, come Jaroslav Ha蟌k.
Afferma Nietzsche in Ecce Homo: 俟e cerco un'altra parola per dire
musica, trovo sempre e solamente la parola Venezia(18) Io dico: se
cerco un'altra parola per dire arcano, trovo soltanto la parola
Praga. E' torbida e malinconiosa come una cometa, come un'impressione
di fuoco la sua bellezza, e serpentina ed obliqua come nelle
anamorfosi dei manieristi, con un alone di lugubrite di sfacelo,
con una smorfia di eterna disillusione.
Osservandola di sera dalla sommitdi Hrad螮ny, Nezval not 俟e
guardi di lassPraga, che accende ad una ad una le sue luci, ti
senti come uno che volentieri si getterebbe a capofitto in un lago
chimerico, nel quale gli sia apparso un castello incantato con cento
torri. Questa sensazione, che in me si ripete quasi sempre ogni volta
che su quel nero lago di tetti stellati mi sorprende lo scampanio
vespertino, un tempo nella mia mente si univa all'immagine di una
defenestrazione assoluta(19) Lampeggianti parole che colgono il
nesso tra la mestizia di un paesaggio intriso di un lutto cosmico, un
lutto aggrandito dai rispecchiamenti fluviali, e la sostanza franosa,
la trama di crolli, le inibizioni, i precipizi della storia praghese.
Ma giprima di Nezval, in modo analogo, MiloMarten aveva
adombrato l'ontologia Praga-mistero, che meglio si avverte, scrutando
la cittdal poggio di Hrad螮ny al tramonto: 亭ra poco divamperanno
nel nero cristallo della notte le luci, centinaia di occhi che
guardano in su, malsicuri 俠i conosco tutti! I custodi del fuoco
dei lungofiume, duplicati nello specchio della scintillante vitava,
questo ardente viale che sale per la collina come nell'infinito, e
l in alto, il cespuglio di candele accese sul catafalco di un
cadavere ogni giorno diverso. E la pupilla fosforescente di un
uccello rapace giaccanto al ponte e lo sguardo sghembo di una
casetta simile al volto di un cinese che rida(20)
L'ambigua cittvitavina non giuoca a carte scoperte. La civetteria
antiquaria, con cui va fingendo di essere ormai solamente natura
morta, taciturna sequela di trapassati splendori, spento paesaggio in
un globo di vetro, non fa che accrescere il suo maleficio. Si insinua
sorniona nell'anima con stregamenti ed enigmi, dei quali solo essa
possiede la chiave. Praga non molla nessuno di quelli che ha
catturato. Dunque pensaci fino a carnevale.

NOTE:
(1) Franz Kafka, Epistolario cit', p' 10.
(2) Cfr' Vit瞛slav Nezval, M瘰to kniha (1936), in B滻nv蟌dn駩o
dne (Dilo, XII), Praha 1962, pp' 148-49.
(3) Josef Hora, Praha ve snu, in Proud, Praha 1946, p' 61.
(4) AndrBreton, Introduction l'飀vre de Toyen, in: AndrBreton
- Jindwich Heisler - Benjamin peret, Toyen, Paris 1953, p' 11.
(5) Arno褾 Proch漘ka, Kouzlo Prahy (1913), in Rozhovory s knihami,
obrazy i lidmi, Praha 1916, p' 96.
(6) Gustav Meyrink, Der Mann auf der Flasche.
(7) Vit瞛slav Nezval, Ve蟌rka, in Praha s prsty de褾(1936), ora
in Dilo, VI, Praha 1953, p' 123.
(8) 促raga, la cittdegli strambi e dei visionari, questo cuore
irrequieto del Mitteleuropa Oskar Wiener, Deutsche Dichter aus
Prag, Wien-Leipzig 1919, p' 5.
(9) AndrBreton, Nadja, Torino 1972, pp' 15-16.
(10) Franz Kafka, Il Processo cit', p' 344.
(11) Cfr' Vit瞛slav Nezval, Mluvicpanna, in Zp漮e螽listek,
Praha 1933, pp' 171-76.
(12) Franz Kafka, Il Processo cit', p' 167.
(13) Cfr' Eduard Herold, 俠vdv鑴 in Podivuhodnpwib璡y ze
starPrahy, a cura di Karel Krej鍎, Praha 1971, pp' 142-44.
(14) Michail Bulg跮ov, Il Maestro e Margherita, Torino 1967, pp'
262-63.
(15) Robert Musil, L'uomo senza qualit I, Torino 1957, p' 36.
(16) Guillaume Apollinaire, L'Otmika (1903), in L'H廨esiarque et
C'ie (1910), ora in 飀vres completes, a cura di Michel decaudin, I,
Paris 1965, p' 156.
(17) Karel Toman, Tul歊i, in Slune螽hodiny (1913), ora in Dilo, a
cura di A'M' P斁a, Praha 1956, p' 100.
(18) Friedrich Nietzsche, Ecce Homo, a cura di Roberto Calasso,
Milano 1969, p' 49.
(19) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec (1938), ora in Dilo, XXXI,
Praha 1958, pp' 280-81.
(20) MiloMarten, Nad m瘰tem cit', p' 20.

4
Non a caso parecchi scrittori del tempo della Secese (Secession)
hanno rappresentato la cittvitavina come una donna lusinghevole e
perfida, come una magalda lunatica. Paragonandola ad una 俟alom
tenebrosache danzi con la testa dei suoi innamorati, dice Oskar
Wiener: 青hi l'abbia guardata una volta nei profondi occhi trepidi e
misteriosi, resta per tutta la vita succubo dell'incantatrice
隹nche coloro che la passione per Praga non portalla rovina
ammalarono di un perenne struggimento(1) E MiloMarten: 亟'
bella. Ammaliante come una donna, inafferrabile come una donna, nei
veli azzurri del crepuscolo, in cui si rannicchia sotto i fiorenti
declivi, allacciata dalla cintura di acciaio del suo fiume, cosparsa
degli smeraldi di cupole verderame...(2). E MiloJir滱ek: 侮i sono
sere in cui Praga, la nostra sporca, triste, tragica Praga nella luce
d'oro del tramonto si muta in una bionda bellezza fiabesca, in un
solo prodigio di luce e di fulgore(3)
Ma giVil鄉 Mr褾骿, nel romanzo Santa Lucia (1893), aveva
effigiato la cittcome una 南era bellezza una 南era seduttrice
南ascosta nel negligdelle bianche nebbie vitavine(4) Per i
giovani della provincia morava sullo scorcio del secolo XIX Praga,
coi suoi palazzi di nobile affare, col suo fiume, con le sue
leggende, come Mosca per le tre sorelle, sorgente di insonnia,
miraggio, acciarino del desiderio. Senza progetti nimpieghi e senza
conquibus spiccano il volo dalle remote campagne verso la capitale,
ossia verso l'ignoto e, impigliandosi nella sua demonia, molti di
loro non tornano.
Il protagonista di questo romanzo, JiwJord滱, figlio di un povero
operaio di Brno, affascinato dalla cittvitavina, sua terra
promessa, calappio della sua fantasia, vi si reca per studiarvi
legge. Egli ama Praga come una femmina viva, con una malsana
concupiscenza (5) Ma Praga scontrosa coi suoi innamorati:
哀trangola nel proprio abbraccio di pietra l'ingenuo entusiasta, il
focoso sognatore di Brno, attratto da essa con tutti i suoi nervi e i
suoi sensi vogliosi di vita(6) Viene l'inverno, nessuno ha cura di
lui e, consumati gli scarsi risparmi, egli soffre il freddo, la fame,
prova mille amarezze, come tutti gli studenti di provincia
sbalestrati nella capitale.
Jord滱 dunque 哀i brucia nella fiamma inebriante di Praga come una
barcollante farfalla(7) Ma il disinganno non attenua il suo
ardore: continuava a irretirlo, peccaminosa, lo attraeva, anche
quando, osservata di lontano, sembrava riposare nel buio. La
seduttrice dormiva tra le braccia di quelli che la pagavano meglio
亮li frusciava alle spalle, con un cupo rombo accompagnava i
soffocati sospiri delle sue insaziabili labbra e, se non poteva far
altro, con urli squillanti gli ricordava di lontano che i treni si
approssimavano al suo corpo e che sempre nuove folle, sempre nuove
vittime si perdevano nel suo grembo senza fondo(8)
Bellissima immagine dei treni, che si accostano al grembo di questa
non certo 匍ammina(匍ati螶a, ma adescatrice, volubile druda, la
quale si sbelletta con mutevolissimi bistri di luci e si avvolge in
vestaglie fluttuanti di nebbie, come in bizzarri negliges di
bordello. Vien da pensare che, invece di corrispondere alla dedizione
di un gramo studente smarrito, costei si daralle lascivie con
qualche ricco mammalucco venuto dalla provincia, con un baalboth
imbertonato, sulla cui pancia sussulti l'orologio pendente da
un'enorme catena, un baalboth come quello che Werfel, in un suo
racconto, ha inserito tra i clienti di un lussuoso postribolo (9)
Jord滱, infermo, affamato, smagrito, senza pastrano, le scarpe
rotte, si aggira, cespitando come un automa, per Praga, arso dalle
sue intemperie, saettato dai suoi sguardi allettanti, in preda alla
febbre e al delirio, il non ammesso, l'escluso, l'estraneo. Si aggira
in continuo colloquio con la civetta di pietra, che insieme lo
incapriccia e lo sfugge, indifferente ai suoi spasimi, al suo errare
disperatissimo. Raccolto esanime in strada, morirall'ospedale, ma
sino all'ultimo brilla nei suoi occhi l'icona di Praga, vanissima
femmina, costorbida e cosprovocante, da richiamare alla mente le
creature muliebri dei quadri della Secese. E in effetti qualcosa in
questa ipostasi sessualizzata e meretricia della cittvitavina
rimanda alle languide donne, alle 剎ianche camelie che all'inizio
del secolo nostro dipingerMax 襒abinsk(10)
Per la melodiosa sequela di acquerelli e di guazzi che lo percorre,
il romanzo tiene anche dell'impressionismo. Con straordinaria sagacia
pittorica Mr褾骿 rende le pisottili e impalpabili sfumature
atmosferiche, il variare del tempo, le tinte della capitale boema,
illusoria Santa Lucia, nelle diverse ore della notte e del giorno: i
barlumi lunari e le ombre azzurrognole, il biancore dei tetti sotto
la neve, lo scintillare del nastro di perle del fiume, il giallo
barbaglio dei desolati lampioni a gas. Coi suoi contorni tremolanti e
confusi, ammorbiditi dall'umiditvitavina, la Praga perlacea di
Vil鄉 Mr褾骿 sembra, come una Lo髾 Fuller, dissolversi nello
sventolio degli iridescenti veli di bruma, nel turbine dei drappi di
luci multicolori che la avviluppano.

NOTE:
(1) Oskar Wiener, Deutsche Dichter aus Prag cit', p' 5.
(2) MiloMarten, Nad m瘰tem cit', p' 21.
(3) MiloJir滱ek, O kr滻nPraze, in Dojmy a potulky (1908), ora
in Dojmy a potulky a jinpr歊e, Praha 1959, p' 43.
(4) Vil鄉 Mr褾骿, Santa Lucia, Praha 1948, pp' 137 e 39.
(5) Cfr' JiwKar滻ek ze Lvovic, Vil鄉 a Alois Mr褾骿ov in
Impressionista ironikov Praha 1903, pp' 76-77.
(6) F'X' 螮lda, Vil鄉 Mr褾骿, in Du蟌 a dilo (1913), Praha 1947, p'
115.
(7) Arne Nov毾, Praha a slovesnkultura, in Kniha o Praze, a cura
di ArtuRektorys, III, Praha 1932, p' 17. Cfr' Vladimir Justl,
Bratwi Mr褾骿ov Praha 1963, pp' 12-14.
(8) Vil鄉 Mr褾骿, Santa Lucia cit', p' 231.
(9) Franz Werfel, La casa di lutto, in Nel crepuscolo di un mondo,
a cura di C' Baseggio, Milano 1950, p' 515.
(10) Cfr' Antonin Mat疀蟌k, Max 襒abinsk Praha 1947, pp' 20-22;
Jan Lori Max 襒abinsk Praha 1949, pp' 100-4.

5
Ora che ne sono lontano, forse per sempre, mi chiedo se Praga
esista davvero o se piuttosto non sia una contrada immaginaria come
la Polonia di re Ubu. Eppure ogni notte, camminando nel sogno, sento
pietra per pietra il selciato di Piazza della CittVecchia. Vado
spesso in Germania, per veder di lontano, come da Dresda lo studente
Anselmo, le seghettate catene di monti della Boemia (1) Mein Herr,
das alte Prag ist verschwunden.
V瘲a Linhartov noi, sciame di fantasmi della diaspora, portiamo
da un capo all'altro del mondo la nostalgia di questa terra perduta.
Il ritrattista barocco Jan Kupeck profugo di confessione
evangelica, dovunque vivesse, in Italia, a Vienna, a Norimberga, non
cessmai di chiamarsi 厚ictor bohemuse sino all'ultimo fiato
rimase devoto alla lingua ceca, alla fede dei Fratelli Boemi (2) E
cosl'incisore barocco V歊lav Hollar, benchesule a Francoforte sul
Meno, a Strasburgo, ad Anversa, a Londra, si sentsempre ceco, come
dimostrano parecchie acqueforti firmate 俐enceslaus Hollar Bohemus
la didascalia di una di esse (1646): 非obrko螶a, kternemls熐 (Una
brava gatta non ghiotta), le parole ceche (come 勁es bosco e
厚ole campo) inserite nei suoi disegni e le sue frequenti vedute di
Praga (3)
La capitale boema, che noiosamente rimacina la sua triste farina,
ci appare gistinta e aggricciata nel freddo della memoria, dopo
appena qualche anno di esilio, stinta ma pifavolosa, come nei
vostri racconti, V瘲a Linhartov La prosa della Linhartov specie
nei sei 剃apriccidel libro Mezipr鱵kum nejbl擯 uplynul逸o
(Interanalisi del fluito prossimo, 1964), vuol trasferire nella
dimensione del linguaggio i procedimenti della geometria descrittiva:
il suo ordito infatti si configura come una fuga di assoli di linee e
di punti, una serie di proiezioni, traiettorie, rotazioni ed ellissi
di corpi geometrici (4) Ma questo mondo geometricamente preciso
ravvolto in fittissimi stracci di nebbia (la nebbia coincide col
vuoto della memoria) I contorni di tutte le cose, la natura, persino
le pietre svaporano in un'aria lattiginosa, di sfilacciato cotone,
come nei quadri di 蟊ma (5), e le parvenze, mutevoli ed evanescenti,
traspaiono appena dalla caligine del proprio peculiare paesaggio.
Fantocci di complicate manovre cerebrali, esse sono gli anemici
prolungamenti e alterego della scrittrice, e come lei trasognate,
sonnambule. Pallida e quasi avesse le guance incrostate di biacca,
V瘲a assomiglia a quelle bambole di cera da vetrina di parrucchiere,
剎ambole parlanti a quegli ovali enigmatici che piacevano ai
surrealisti praghesi e, come le sue balenanti creature, sa suscitare
un'irradiazione arcana, una zona di inesplicabile in qualunque luogo
si ponga.
Se Bohumil Hrabal, nella propria prosa, attinge alle fonti del Pop
di Praga, alla billboard picture e al Kitsch dei vecchi album, - la
Linhartovsottende i suoi rompicapi di assidui rimandi a diversi
pittori cechi, fra i quali, oltre a 蟊ma, i surrealisti Jindwibl
褾yrske Franti蟌k Muzika. Ma quel barcollio onirico, quel velatino
stillante (哀tillanteequivale per lei ad 哎moresco, le
talismaniche trasposizioni, il continuo rimuginare da demone loico,
certi simulacri come il dottor Altmann, la Venezia da carnevale che
sfuma nella precaria Praga degli anni Sessanta: tutto questo ci
riconduce alla narrativa hoffmanniana.
Del resto le contorsioni e gli spasimi della dialettica, la
depurata astrattezza del ragionamento spingono la Linhartova
rimescolare alla rinfusa la storia e a far convergere nelle sue
parabole gente di terre e di etdiverse. CosPraga, fasciata da
sciarpe di bruma ed intrisa di un lume alcoolico analogo a quello che
imbeve il poemetto Edison di Nezval, diventa cittdi elezione di
Charlie Parker (che suona il sassofono nella bettola 保rl骿, di
Billie Holiday, di Dylan Thomas (che dimora in un quartiere fumoso
della periferia), di Verlaine e Rimbaud (che convivono in una camera
mobiliata nel centro della CittVecchia), di Nieinskij, della
Linhartovstessa (anzi del signor Linhart, poichparla al maschile)
in un 匍antello di rasosettecentesco. Cittche una sorta di
manicomio metafisico, dove questi personaggi, pazienti e forse
invenzioni dell'ambiguo psichiatra dottor Altmann (della lega dei
Coppelius e dei Lindhorst), si fanno pedine di quell'occulto elemento
che potremmo chiamare 厚ragheit鉬: manicomio e ad un tempo
palcoscenico sull'universo, con specole e scale da capogiro e
macchine buffe e con jazz e coi cammelli che Rimbaud si trascina sin
dentro la stanza d'affitto, una stanza molto kafko-praghiana.
Le sottigliezze, gli assiomi, l'incongruo spostarsi e sparire delle
figurette, e gli insistenti motivi di deviazione dalla traiettoria,
vertigine, precipizio e caduta danno al discorso della Linhartovun
tono di freddo delirio, una demenza analitica, tanto picavillosa
quanto piesangue. Con la loro tensione continuamente spezzata come
da una logopatia, saltuari allo stesso modo di alcune esecuzioni di
Charlie Parker, con gli squilibri e i sofismi e con quei movimenti di
spola su e gi di topo smarrito in un labirinto, i suoi 剃apricci
verbali imbastiscono un distretto medianico, una sconsolata regione
di larve, tra le cui matasse di nebbia ella si annida, come Else
Lasker-Scher, principe Jussuf, nelle sue chimeriche Tebe e Bagdad
(6)
Anni or sono, non ricordo che anno, ma prima che le fonderie della
sorte lavorassero nuovi fulmini e tuoni per la cittvitavina,
trascorremmo insieme a Roma la sera di Natale, una sera piovosa,
umidiccia, in casa di Achille Perilli. Il pittore, dalla zazzera
chagalliana gisparsa di canutiglia d'argento, sfoggiava un'enorme
cravatta di fuoco, sua demonia. V瘲a indossava lo stesso trench
d'argento, con cui mi era apparsa alla soglia del caffSlavia una
mattina d'agosto: l'argento si addice ai sonnambuli. Un altro
pittore, Gastone Novelli, che ci ha preceduti nell'erebo, si era
tolti gli immensi scarponi, restando con le rozze calze di rossa
lana. V瘲a se ne stava chiotta in un angolo a bere. Beaujolais,
whisky, cognac. Dice il poeta: 青ome vi ho amato, bottiglie piene di
vino(7)
Quando poi, a tarda notte, mi offrii di accompagnarla, non
rammentava pil'indirizzo della famiglia che l'aveva ospitata.
Cominciammo a girare dannatamente, corseggiando le vie gideserte
del centro, e Roma, fluttuando sul parabrezza bagnato, sembrava
riempirsi di fiocchi di nebbia praghese. Senza curarsi dei miei nervi
impigliati in quel bandolo di giravolte, V瘲a cicalava
sconnessamente. Il suo dire imitava il ductus dei suoi 剃apricci
che si vanno costruendo 冠 vista come ossessivi garbugli di una
dialettica tortuosa e schizoide, tutta ritardi, ritorni,
duplicamenti, ossimori, lacune, amnesie, discordanze, incastri di
piani difformi, strampalati trastulli grammaticali: con un'attonita
timidite un'andatura svogliata, a ritroso, da 剃anone granchiesco
Quella notte brilla, coinvolto nei viluppi implacabili di questa
ciarla, resi ancor piintricati dai ghirigori e meandri del nostro
annaspare, nel metti e leva incessante di questa fabbrica, capii che
la dialettica, come ogni ricerca a vuoto, per dirla con Weiner,
l'autore picaro a V瘲a Linhartov 哎n diavolo, il quale ci
incalza in cerchio come cani che inseguano la propria coda(8)
V瘲a ripeteva: sessantacinque, sessantacinque: probabilmente un
numero civico. Come due maschere di un carnevale hoffmanniano
correvamo su e giper il Corso, da Piazza Venezia a Piazza del
Popolo e da Piazza del Popolo a Piazza Venezia, passando dinanzi a
San Carlo, ldove, di giorno, su un palco, il ciarlatano Celionati
vende radici miracolose e rimedi infallibili contro l'amore infelice
e il mal di denti e la podagra (9) Ripeteva con stizza: nei pressi
di via Condotti, nei pressi... Ma via Condotti era ormai la praghese
via Na Pw骿op Si accaniva a cercare nella borsetta il foglietto con
l'indirizzo, rovesciando sul sedile forcine, portacipria, amuleti,
pettini. Procedevo ormai lentamente come una rozza d'affitto e
facendomi della mano sinistra letto a una guancia.
Infine, dopo ore ed ore di giramenti, sguainfuori un grido: via
di Monte Brianzo. Per la mia candela verde, voliamo. La tanto attesa
parola mi aveva scosso dalla sonnolenza. Premetti il pedale, come un
lampo imboccando la strada tanto anelata. Tic toc tac: a un portone
imporrito. Poi, dobrko螶a, kternemls(brava gatta non ghiotta),
mi scappdalla vista, ficcandosi in un buio androne, senza nemmeno
salutarmi. In quel momento mi accorsi che era anche lei un
personaggio della mia Praga magica e picaresca, della compagnia di
alchimisti, di astrologhi, di stralunati, di manichini, di odradek,
che vi tiene spettacolo.
Parigi o Roma, che importa. Avete scritto voi stessa che ognuno
il portatore del proprio paesaggio e che questo paesaggio non
impegnativo per gli altri che vi si muovano provvisoriamente e che
l'uomo sveste e abbandona 削opo un certo tempo anche il piamato
paesaggio con minore rimpianto che se si trattasse di una scomoda
pelle di serpente(10)

NOTE:
(1) E'T'A' Hoffmann, Il vaso d'oro (Prima vigilia), in Romanzi e
Racconti, Torino 1969, I, p' 169.
(2) Cfr' Jaromir Neumann, 蟌skbarok, Praha 1969, pp' 65-66.
(3) Cfr' Eugen Dost滎, V歊lav Hollar, Praha 1924, pp' 20 e 134;
Johannes Urzidil, Hollar: A Czebl Emigrin England, London 1942, pp'
22-23 e 29.
(4) Cfr' Daniela Hodrov Um瘽projekce, in 保rientace(Praha)
1968, 3.
(5) Cfr' Joseph Sima, catalogo della mostra al Mus嶪 National d'Art
Moderne, Paris 7 novembre-23 decembre 1968, con scritti di Jean
Leymarie, Fanti蟌k 螸ejkal, Roger Gilbert-Lecomte, Roger Caillois,
ecc'
(6) Cfr' Else Lasker-Scher, Die Wolkenbrhe (Briefe), Mchen
1972.
(7) Vladimir Holan, Vezmi m齹 d骿, dal ciclo Vino, in Trialog
(1964) e ora in Lamento, Praha 1970, p' 72.
(8) Richard Weiner, Lazebn骿, Praha 1929, p' 12.
(9) Cfr' E'T'A' Hoffmann, La principessa Brambilla, cap' 1, in
Romanzi e racconti cit', III, p' 417.
(10) V瘲a Linhartov Interanalisi del fluito prossimo, a cura di
Ela e Angelo Maria Ripellino, Torino 1969, pp' 16-17.

6
Come la cittvitavina, questo libro sarsignoreggiato dalla
siluetta di Hrad螮ny, la rocca, la dominante della conca praghese. A
Hrad螮ny, a contrasto col sottostante Barocco di MalStrana ritmato
da pause di verde, si leva la cattedrale gotica di San Vito, coi suoi
archi rampanti, con le lingue di fiamma dei suoi frastagliati
pinnacoli, con le sue finestre ogivali, con le smorfie ghignanti dei
suoi doccioni (1)
Come un lumacone incantato, tornavo spesso ad almanaccare sulla
schiera di busti che ne orna il triforio. La mia bramosia di colori
si inebriava delle pietre preziose boeme: corniole, ametiste,
calcedoni, diaspri, agate, crisopazi, che, incastonate e commesse in
una malta d'oro, abbelliscono le pareti della soave cappella di San
Venceslao, brillando nella luce svenevole delle candele. Quell'intimo
spazio raccolto e fiabesco e la Porta d'Oro a tre arcate col mosaico
veneziano appagavano la mia sete di meraviglioso. Il nembo di
insegne, reliquie, gioielli, patene, ostensori, che si accumula nella
cattedrale, rispondeva d'altronde alla mia smania di nomenclature,
alla mia passione per gli ammucchiamenti di oggetti. E poichil
Gotico per me si immedesima con l'ardire della giovinezza, mi
rallegravo che Carlo IV, dopo la morte del primo costruttore Maty碭
di Arras (1352), avesse affidato la fabbrica di San Vito a un giovane
ventitreenne, a uno sconosciuto, Petr Parl鈍 di Gmd, che si rivel
architetto geniale.
Eppure anche da quella sonata verticale, da quella drusa di pietra
cristallica, da quel trionfo del Sesto Acuto soffia sempre qualcosa
di misterioso, di ambiguo, ossia di praghesco, come se frotte di
demoni tentennini vi si mescolassero a generazioni di santi. I
doccioni mi si fondevano sempre nella fantasia con le larve
grottesche e inquietanti della letteratura praghese. Fanno combutta
diverse cose puntute nel cielo della capitale boema, trafiggono il
costato del cielo con le loro guglie la cattedrale, il superbo
beffroi del Municipio della CittVecchia, la Porta delle Polveri, le
torri della chiesa di T蓽, quelle idrauliche e quelle del Ponte Carlo
e cento altre. Non a caso Nezval paragona le torri nel chiarore
notturno a un'冠ccolta di negromanti(2) Il cielo di Praga si
ristora delle beccate delle cuspidi, appoggiando le guance alle
soffici cupole della stagione barocca, sebbene anche in quello
smeraldo palustre si celi la coda del maleficio: a detta di Seifert,
quando sorge la luna, in quel verderame, come negli acquitrini, si
sente il gracidio delle rane (3)
Nell'ora dell'avemaria ascoltavamo dall'alto il fremito delle
campane di tutte le chiese di Praga. Guardavamo dall'alto l'intrico
ammaliante di lucidi tetti embricati, di ballatoi, di torrette, di
camini, di abbaini (4) Ricordi le sere di festa, quando i riflettori
incendiavano il verderame di San Nicola, le statue del Ponte Carlo,
la facciata del San Salvatore? Dalla sommitdi Hrad螮ny la citt
sembrava annegata in un polverio di fulgori giallognoli. Gli edifici
riflessi nel fiume e cullati dalle onde si trasformavano in tremuli
castelli subacquei, in rifugi di vodnici, di omini acquatili. Quelle
sere i gabbiani, accecati dai calcinosi barbagli, strillavano pi
raucamente, come note di Jan碭ek, profondendosi in lazzi e
lanciandosi in torneamenti precipitevoli. Bianchissimi, col becco
nero, volteggiavano inquieti sugli orli del Ponte delle Legioni, per
poi posarsi sfiniti sulle acque, come barchette di carta. E al vicino
Teatro Nazionale frattanto, con non minore destrezza, saltabeccava,
magnifico bagattelliere, Ladislav Pe蟌k, con mostaccio di furbo e
invenzioni ridicolose, negli abiti del ciurmadore Vocilka (5)
Ricordi le gelide sere in cui salivamo a Petwin, al Laurenziberg,
sotto la neve, lentissimi come acquaiuoli? 侮a bene, - si legge in
Kafka - se proprio vuole verrcon lei, ma resto del parere che
assurdo andare ora, d'inverno e di notte, sul Monte San Lorenzo(6)
Una luce giallastra stillava filamenti di miele dentro i lampioni. Tu
avevi neri stivaletti di feltro, e col puntale dell'ombrello
tracciavi sconclusionati alfabeti sui sentieri nevosi. La luna
sbirciava di dietro sipari di nuvole, come una guitta paffuta nel
giorno della beneficiata. Ammiccava il rosso occhio grifagno
dell'osservatorio astronomico. Briciole di luccicanti ricordi si
affollano come specchietti spezzati ammucchiati a scatafascio dentro
una gerla. Le trarrfuori ad una ad una, e con tanti frantumi che a
malapena combaciano tenterdi evocare l'inafferrabile effigie della
cittvitavina.
La rotonda romanica della Santa Croce in via Karolina Sv皻l
dinanzi alla nostra abitazione adornata di ottocenteschi graffiti. La
fiera di San Matteo, il 24 febbraio, a Dejvice, nel cui fitto fango
le scarpe affondavano, baraonda di giostre e musei delle cere e
bancarelle gremite di pettini e trombe di cartapesta, di lucerne in
ferro battuto e cuori di latta o panforte, di immagini sacre e
ritratti di Stalin. e i vagoni fermi su binari morti alla stazione
Masaryk. E la villa Bertramka, dove, ospite della cantante Josefina
Du螶ov una notte di ottobre del 1787, Mozart avrebbe composto a
poche ore dallo spettacolo, mentre i copisti irrequieti aspettavano,
l'ouverture del Don Giovanni (7) E le statue del Ponte Carlo
incappucciate di neve. E gli occhi guerci delle lampade a gas nelle
sghembe viuzze a Hrad螮ny. E i mulini dell'isola Kampa, in specie il
Mulino dei Gufi (Sovovskml蓽, Eulenmle), accanto al quale, in
un'umida casa che un tempo era stata una conceria, nella 剃asa del
poeta tragico(8), abitava, lugubre, Holan, sempre rissando con
l'inquilino di sopra, Jan Werich, il pigrande clown di Boemia. La
leggenda racconta che quel mulino derivasse il nome dai gufi (sovy),
che facevano il nido nelle cavitdi un vecchissimo pioppo,
superstite di primordiali foreste, mentre in effetti, pi
poveramente, cossi chiamava per il suo proprietario, pan Sova,
ossia signor Gufo (9) E l'acqua stagnante della 蟌rtovka (Ramo del
Diavolo) E il labirinto di specchi a Petwin. e i manifesti con le
scarpe Bat'a, tarchiate barcacce di indistruttibile cuoio. E i cieli
mossi dal vento, arene di 冠zzurri soffianti(10) sulla collina di
Vy蟌hrad, dalla quale i passanti in basso sembrano le figurine di un
disegno infantile.
E, in Piazza San Venceslao, la maiuscola insegna luminosa della
Casa della seta di Lione, gli automaty, i buffets, zibaldoni di
torte, tartine, salsicce nella mostarda, nericcia spuma di birra. E i
pupazzi dei turchi in turbante e gabbano turchino, che annuivano
dalle vetrine delle drogherie Meinl. E la ferraglia dei rossi tram,
che arrancavano verso il cimitero di Ol螮ny, con una corona appesa al
rimorchio, come una ciambella di salvataggio. E le ragazze che, in
abito lungo, le guance con leggerissime leccature di minio, figure
dell'inestinguibile Biedermeier praghese, consimili alle 剎ambole da
caff頠 (勃潎ovpanenky di 褾yrsk(11), andavano al primo ballo al
Lucerna, in compagnia della madre. E le mingherline stamberghe del
Nuovo Mondo, che si accatastano a vanvera l'una sull'altra (12) E le
fortunose casacce di Libe di E'i鋘ov che, nonostante la scorticata
miseria, sanno recitare misteri barocchi, mutandosi, come afferma
Kol漙, in 南avate di templi con infinito corale di vasellame - fra
incenso di sciacquature - con elevazione di zolfanelli per cercare il
numero - dei confessionali (con ottomana attaccapanni e catinella)
(13)
E la torre del Municipio della CittVecchia, col calendario
dipinto da Josef M滱es, 剃iclo di dodici idilli sulla vita del
contadino boemo(14), e con l'orologio astrologico di Maestro Hanu
sopra cui si anima, al batter delle ore, un teatrino allegorico.
Dietro due finestrine vedi sfilare un gruppetto di piccole statue:
gli apostoli col Salvatore, e la morte che alletta l'avaro e l'avaro
che la respinge, e il turco, ed altre figure, finch al canto di un
gallo, tutto sparisce (15) E l'abbagliante ostensorio d'oro
tempestato di pidi seimila diamanti nell'assorto oratorio di
Loreta, dove batte alle tempie il silenzio dei secoli e dal torrido
sfarzo di tabernacoli, statue, calici, ex voto traspare ancor oggi la
mestizia di Praga ricattolicizzata (16) Ma basta: dai troppi ricordi
mi fuma ormai il sale in zucca.
Eppure: ricordi? Nella nostra continua fl滱erie per le strade della
cittvitavina cercavamo i caffdei poetisti, i Kaffeeh酳ser,
catacombe - come Kafka not- degli scrittori ebraici di Praga (17),
le cento osterie frequentate da Jaroslav Ha蟌k, i cabarets di altri
tempi e, a Na Pow斁 le tracce dei vecchi 螮nt滱y e Tingeltangel
(18) Attirati dalla 厚rofonda risata delle birrerie(19), vi
entravamo, partecipando alla guerra di successione dei boccali e dei
gotti, agli accesi battibecchi dei clienti che, irrorati da un
perpetuo asperges di Pilsen, dialogano secondo il principio 侯o
koze von o voze(Io della capra lui della rapa), che anch'esso
rispecchia l'incongruenza della capitale boema. Entravamo nelle
kav漷ny, in stanzoni fumosi di moca, e qui ci accoglievano l'alpaca
nero dei camerieri dal portafogli rigonfio, il balbettio implacabile
delle vecchiette, che vi si riuniscono a spettegolare, dopo aver
fiutato tutte le chiese, lo sguardo scurrile di gnocche sgualdrine
grassocce, le quali danno mattana a bellimbusti maturi, che fingono
di ripararsi dietro un giornale attaccato a una stecca, l'ebetudine
di goccioloni, che restano per ore intere imbambolati a fissare in un
bicchiere il dio della birra, e talvolta orchestre di dame polpose
con volto bistrato e gorgiere di perle sull'ampio scollo.
Tutto ciritorna la notte a ingombrare le insonnie. Picchiano
arcanamente, la notte, impugnati da chi torna tardi, i battenti
arabescati e inquietanti dei portoni di MalStrana (20) Strani nomi
che aguzzano la r瞚erie hanno i palazzi di questo quartiere (21): Al
gambero verde, Al gambero d'oro, All'angelo d'oro, Alla rapa bianca,
Al luccio d'oro, Al leone rosso, Alle tre stelline, All'aquila
bianca, Al cervo rosso, Ai tre cuori d'oro, Alle tre rose, Alla mela
bianca, Al capro rosso, All'aquila nera, Al cigno d'oro, Alla ruota
d'oro, Al grappolo d'oro, Al ferro d'oro di cavallo. Sebbene il
Castello sia volto verso MalStrana, che gli giace in grembo,
tuttavia MalStrana non sembra guardare il Castello, e del resto non
guarda nemmeno il fiume (22) Le sue architetture guarnite di altane,
attici, torri, mansarde, comignoli, sono immerse nel sonno, racchiuse
in se stesse, scontrose come forzieri, e le sue viuzze rassembrano
spazi segreti, ridotte, corridoi misteriosi: circostanza che accresce
il suo distacco dalla vita in fermento, la sua ciclotimia, la sua
solitudine.
Qualcosa di noi rimasto nei pr麡hody, ossia nei passaggi, che
permettono di attraversare il centro di Praga senza uscire
all'aperto, nella fitta rete di piccole strade furtive, nascoste
all'interno di blocchi di case vecchissime (23) Nella CittVecchia
ci imbrogliava questo ordito di anditi occulti e comunicazioni
infernali, che per ogni verso si spandono e la ricercano tutta.
Straduzze bambocce, infilate di androni, cammini di ronda dove si
penetra a stento, cunicoli che ancora odorano di Medioevo, trasandate
strettoie impacciatissime, in cui mi sentivo come dentro la gola di
una bottiglia.
In certi punti strozzati della CittVecchia il visitatore si
perde, intoppando nella malignitdi alti muri. Ah, i muri di Praga,
questo motivo ossessivo della poesia holaniana. Il plesso volubile
delle medievali straduzze, che d'improvviso si stringono o allargano,
si ritraggono o sporgono spezzatamente, cava del senno il passante,
impedendogli un libero andare. E' come se la materia della citt
medievale gli venisse addosso, quasi aderendo al suo corpo con
smancerie carcerarie (24) Mi sottraevo all'angustia impiccatoia
delle viuzze, alla sbriccaria di quei vicoli torvi, a quei muri
prensili e storti, fuggendo sulle verdi isole, nei fioriti perterri e
nei parchi e nei belvederi e negli orti, che da ogni lato circondano
Praga.

NOTE:
(1) Cfr' Zden瘯 Wirth, Franti蟌k Kop, V歊lav Ryne Metropolitn
chr滵 Svat逸o Vita, Praha 1945; Vojt瑿l Birnbaum, Listy z d疀in
um瘽 Praha 1947, pp' 91-112, 113-19, 120-45; A' Kutal, D' Libal e
A' Mat疀蟌k, 蟌skum瘽gotick Stavitelstva sochawstv I, Praha
1949, pp' 24-26; Jan Wenig, Chr滵 chr滵 Praha 1955; Jakub Pavel,
Chr滵 Svat逸o Vita v Praze, Praha 1968; Viktor Kotrba, Architektura,
in 蟌skum瘽gotick 1350-1420, a cura di Jaroslav P膰ina, Praha
1970, pp' 58-62.
(2) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 374.
(3) Jaroslav Seifert, Sv皻lem od瘽(1940), Praha 1946, p' 24.
(4) Cfr' Ladislav Sitensk- Jaroslav Herout, Praha stov璔at
Praha 1971.
(5) Nella commedia Strakonickdud毾 (Il sonatore di cornamusa di
Strakonice, 1847) di Josef Kajet滱 Tyl (1808-56)
(6) Franz Kafka, Descrizione di una battaglia (1904-905), in
Racconti, a cura di Ervino Pocar, Milano 1970, p' 6.
(7) Cfr' Jaroslav Patera, Bertramka v Praze, Praha 1948, pp' 92-98.
(8) Vladimir Holan, Noc s Hamletem (1964): Una notte con Amleto,
Torino 1966, p' 126.
(9) Cfr' Jan Herain, StarPraha, Praha 1906, p' 130.
(10) 侮anoucmodwe(Azzurri soffianti) intitolFranti蟌k Kupka
alcuni suoi quadri. Cfr' Ludmila Vachtov Franti蟌k Kupka, Praha
1968.
(11) Cfr' Jindwibl 褾yrsk Sny, a cura di Franti蟌k 螸ejkal, Praha
1970, pp' 69-70.
(12) Cfr' Vojt瑿l Volavka, Pout' Pr殠ou, Praha 1967, p' 288.
(13) JiwKol漙, Litanie, in 鐰y a variace, Praha 1946, p' 16.
(14) MiloJir滱ek, Josef M滱es, Praha 1917, p' 28.
(15) Cfr' Jan Dolensk Praha ve svsl潎i utrpen Praha 1903,
pp' 298-300 e 307-15; Joseph Wechsberg, Prague: The Mystical City,
New York 1971, pp' 67-68.
(16) Cfr' Jan Herain, StarPraha cit', pp' 254-55.
(17) Cfr' Gustav Janouch, Colloqui con Kafka, a cura di Ervino
Pocar, Milano 1964, p' 32.
(18) Cfr' Vojt瑿l Volavka, Pout' Prahou cit', p' 98, e Eduard Bass,
LabutpiseNa Pow斁 in Kuk漮ko, Praha 1970, pp' 211-12.
(19) JiwKol漙, Sv璠ek, in 鐰y a variace cit', p' 33.
(20) Cfr' Jan Dolensk Praha ve svsl潎i utrpencit', pp'
172-75.
(21) Cfr' N' MelnikovPapou螶ov Domovnznaky a v蓯瘰n褾ity
praesk in Kniha o Praze, a cura di ArtuRektorys, III, Praha 1932,
pp' 128-45.
(22) Cfr' Vojt瑿l Volavka, Pout' Prahou cit', pp' 159-60.
(23) Cfr' Egon Erwin Kisch, Die Abenteuer in Prag,
Wien-Prag-Leipzig 1920, pp' 68-77; Vojt瑿l Volavka, Pout' Prahou
cit', pp' 74-75.
(24) Cfr' Vojt瑿l Volavka, Pout' Prahou cit', p' 33.

7
Questo non signori, un Baedeker, sebbene molte vedute della
cittvitavina vi compaiano, scattando come i vetrini a colori di un
View-Master, di un Guckkasten. non farl'accompagnatore saccente,
che caca le sue imparaticce parole come un graziano.
Questo mio dittamondo praghese un libro sconnesso, sbandato, a
frastagli, scritto nell'insicurezza e nei mali, con disperaggine e
con pentimenti continui, con l'infinito rimorso di non conoscere
tutto, di non stringere tutto, perchuna citt anche se assunta a
scenario di una fl滱erie innamorata, una dannata, sfuggente,
complicatissima cosa. E perciscorrertraballante come le vecchie
pellicole, che si proiettavano al Bio Ponrepo, il primo cinema a
Praga, nello 螮nt滱 隹l luccio azzurro un libro incrinato da
strappi e sobbalzi e lacune e da accessi di accoramento, come la
musica del Sax Alto di Charlie Parker. Del resto, come afferma Holan:
俟ei senza contraddizioni? Sei senza possibilit鉬 (1)
Qualcosa di irreparabile si abbattuto in un agosto gilontano
sulla capitale boema, qualcosa che ha stravolto la nostra vita. E
questo libro mi guarda con gli occhi lacrimosi della mia vecchiaia,
me lo trascino ansimando, con una profonda stanchezza. Fatico a
mettere insieme gli innumeri appunti, a raccogliere i foglietti di
molte stagioni felici, volati in aria come fanfaluche rapite dal
vento. La penna sergente si sforza di allineare le sornione parole
soldati. Frattanto Jirka e Zuzanka hanno avuto un bambino, si chiama
Adam: vuol dire che, dopo le traversie, ricomincia tutto daccapo? Ma
quanti sono in prigione? Quanti sono morti di crepacuore? Quanti si
sono dispersi nell'oscuritdell'esilio? Quanti hanno indossato un
ignobile abito servigiale?
E percicome potrei scrivere con distaccata e sussiegosa dottrina,
in bell'ordine, un esauriente trattato, soffocando la mia
irrequietezza, il mio argentovivo col rigor mortis dei metodi e con
la lana caprina delle pedanti disamine? Vado invece intessendo un
libro a capriccio, un agglomeramento di meraviglie, di aneddoti, di
numeri eccentrici, di brevi intramesse e di pazze giunte: e sarei
felice se, a differenza di tanta ciurmaglia di carta che ci circonda,
non fosse governato dal tedio. Come JiwKol漙 nei suoi collages e
nelle sue 厚oesie evidenti(2), incollerin queste pagine brandelli
di quadri e di dagherrotipi, antiche acqueforti, stampe rubate dal
fondo di cassapanche, reclames, illustrazioni di vecchi periodici,
oroscopi, brani di libri di alchimia e di viaggi stampati a caratteri
gotici, storie di spettri senza annodomini, fogli d'album, chiavi dei
sogni: i cimeli di una cultura svanita.
La capitale boema non infatti soltanto vetrina di preziose
pietruzze e di lampeggianti reliquie e ostensori, che fanno
vergognare il sole della morta sua luce. C'un'altra faccia di
Praga, il suo aspetto infetto, arruffato di tandlmark (o tarmark),
ossia di mercato di cianfrusaglie e di roba consunta e di scarti da
ferrivecchi, tra i quali magnificenze di gemme sfavillano. L'antico
tandlmark della CittVecchia dilaga come una zizzania per tutti i
quartieri, sino all'estrema cisposa periferia.
Affastellando oggetti obsoleti, frugando nel limo profondo della
nomenclatura, riuscirforse a rendere i laceramenti della capitale
boema, tutto il pulcioso e il tarlato che vi si annidano, i suoi
guidaleschi, la sua vocazione per il ciarpame. Perchio vedo Praga
in una duplice chiave: non solo come una riserva di splendidezze e
tesori, noci moscate addentate sovente nei secoli da forestieri
cinghiali, ma anche come una catasta di arsiccio e maculato
vecchiume, di scarabattole intrise di rassegnata tristezza, come una
popolosa famiglia di utensili sbreccati, di decrepiti oggetti malati,
di ninnoli marci. E purtroppo 卻gni oggetto ha la propria ombra
notturna, ogni oggetto contiene veleno. Digitale, cicuta, aconito
azzurro danzano a notte su zampe d'oro di gallo nel buio erboso(3)

NOTE:
(1) Vladimir Holan, Lemuria (1934-38), Praha 1940, p' 70.
(2) Cfr' Miroslav Lama- Dietrich Mahlow, Kol漙, K闤n 1968:
Miroslav Lama JiwKol漙, Praha 1970; Arturo Schwarz e altri, Jiw
Kol漙, L'Arte come Forma della libert Milano 1972; A'M' Ripellino,
Il suo messaggio esce da un cesto di coriandoli, in 俠'Espresso 23
aprile 1972.
(3) Paul Adler, N鄝lich (1915), in Das leere Haus (Prosa Jischer
Dichter), a cura di Karl Otten, Stuttgart 1959, p' 180.

8
Come il medico di corte Tadd酳s Flugbeil, detto Pinguino per le sue
ali mozze, nel romanzo di Meyrink Walpurgisnacht (1917), scrutavo
Praga dall'alto di Hrad螮ny con un cannocchiale, che enormemente
ingrandiva le brulicanti figure, quasi schiacciandole contro i miei
occhi. laggi come in una lanterna magica, vaneggiava la vita.
Osservavo il corso, il passeggio, il Bummel nel centro della citt i
tedeschi sul Graben (Na Pw骿op, i cechi a via Ferdinandova (1)
Eleganti signore con larghi cappelli guarniti di nastri e di
aigrettes e di altri fronzoli e con abiti lunghi, sotto cui si
intuivano le rigidezze di un corset baleines, e con strascichi come
nei quadri della Secese, damerini con chapeau melon e mustacchi
ritorti come code di scorpioni, bontemponi, svitati, pancioni
birrosi, ufficialetti impettiti, studenti tedeschi dai berretti di
vari colori, studenti cechi con la pod瑿radka, un berretto rotondo
dagli orli di grigio astracan. vedevo nel Graben, sul ciglio del
marciapiede, l'ex banchiere e canottiere della societsportiva
俘egattaGustav Meyrink, snello, attillato, un po zoppicante,
calamita di pettegolezzi: dicevano che fosse figlio illegittimo di un
principe della casata dei Wittelsbach, che si fosse servito dello
spiritismo per ingannare i clienti della sua banca, che avesse curato
un suo oscuro male con una ricetta trovata in un libro di Paracelso
(2)
L'inizio del Novecento. Gli ultimi anni della monarchia. Regna Sua
MaestApostolica imperiale e reale Francesco Giuseppe. Anche se
sbeffeggiata e svilita dal rancore boemo, la sua effigie di vecchio
dalla bianca barba spartita nel mezzo sovrasta alle vicissitudini
della cittvitavina, perch come Werfel not 咨utto il vespro
dell'impero absburgico occupato dalla figura di quest'uomo(3)
Il sortilegio di Praga scaturiva in gran parte dalla sua indole di
cittdi tre popoli (Dreiv闤kerstadt): il ceco, il tedesco,
l'ebraico. La mescolanza e l'attrito di tre culture dava alla
capitale boema un particolare carattere, una straordinaria dovizia di
risorse e di impulsi. All'alba del Novecento vi risiedevano 414'899
cechi (92,3%) e 33'776 tedeschi (7,5%), dei quali 25'000 di stirpe
ebraica (4) La minoranza di lingua tedesca possedeva due teatri
sontuosi, un'ampia sala dei concerti, l'Universite il Politecnico,
cinque ginnasi, quattro Oberrealschulen, due quotidiani, una filza di
circoli e di istituzioni (5)
Nessuno di noi cosingenuo da immaginare quella convivenza come
un idillio, anche se tante vicende accadute in seguito inducono molti
a vagheggiare un siffatto consorzio di popoli come un'Arabia felice,
come una Traumwelt. Reciproche interdizioni, ripicchi, ruggini,
malevolenze turbavano il pericolante equilibrio. Kisch asserisce che
nessun tedesco si sognmai di mettere piede nel circolo della
borghesia ceca, e non si vide mai nessun ceco nel casindei
tedeschi. Le due nazionalitdisponevano di parchi, sale da giuoco,
piscine, orti botanici, cliniche, laboratori, obitori, ciascuna per
proprio conto. E spesso anche i caffe i ristoranti si distinguevano
secondo la lingua parlata dagli avventori. Non c'erano colleganza n
scambi tra l'ateneo dei tedeschi e quello dei cechi. Se il N漷odn
divadlo (Teatro Nazionale), inaugurato nel 1881, ospitava la Comedie
Fran蓷ise o il Teatro d'Arte di Mosca o un illustre cantante, i
critici tedeschi non ne facevano cenno, e zitti come spuma restavano
i critici cechi, se al Deutsches Landestheater (del 1885) o al Neues
Deutsches Theater (del 1888) si esibivano il Burgtheater di Vienna o
Enrico Caruso o Adolf von Sonnenthal (6)
A tutto questo si aggiungano i frequenti conflitti, il velenoso
napello dello sciovinismo, le deflagrazioni di intolleranza tra gli
studenti cechi e i Burschen tedeschi, l'arroganza del gruppo
germanico, che guardava i cechi come risaliti e gentuccia da
dirozzare (7), e l'astio dei proletari cechi verso i tedeschi (e gli
ebrei), i quali accentravano nelle loro mani la pigrossa parte del
capitale. 俠a Praga tedesca! - ha scritto Kisch - Erano quasi
esclusivamente ricchi borghesi, proprietari di cave di lignite,
consiglieri di amministrazione delle imprese minerarie e della
fabbrica di armi 螶oda, mercanti di luppolo, che facevan la spola tra
E'atec e il Nord-America, fabbricanti di zucchero, di stoffe e di
carta, nonchdirettori di banca; nel loro cerchio si movevano
professori, alti ufficiali e impiegati dello stato(8)
Ma, nonostante i dissidi e l'arroccarsi degli uni e degli altri su
posizioni contrarie, le varie componenti si compenetravano. La lingua
ceca formicolava di locuzioni tedesche, e del resto, malgrado le
smorfie dei cornacchioni puristici, sarsempre valido il detto del
poeta Franti蟌k Gellner: 俟pesso un buon germanismo ormai piceco
di una frase ceca antica(9) Ma il Prager Deutsch a sua volta,
厚apierenes Buchdeutsch(10), abbondava di boemism Esistevano
anche un Kleinseitner Deutsch (tedesco della Kleinseite, ossia di
MalStrana), sul quale Kisch ha imbastito spassevoli pagine (11), e
un goffissimo maccheronico ceco-tedesco da pavlae da cucina, e una
variante praghese dello jiddisch, il Mauscheldeutsch (12) Questa
babele linguistica, questa attiguitdi elementi discordi nell'ambito
dell'impero absburgico, immenso calderone etnico, aguzzava gli
ingegni, serviva di prodigioso incentivo alla fantasia e alla
creazione. L'esposizione di Munch (13), le tourn嶪s degli attori del
Teatro d'Arte, i Moskev褾 come li chiaml'attrice Hana Kvapilov
(14), e di Max Reinhardt col Sogno di una notte di mezza estate (15),
le stagioni d'opera italiana al Deutsches Landestheater, diretto dal
Theaterzauberer Angelo Neumann, 匍istische Gestaltsecondo Kisch
(16), e molti altri avvenimenti consimili arricchirono il paesaggio
interiore della cittvitavina. Tutto cifavorla mirabile
fioritura di poeti, di artisti, di pensatori praghesi nell'etdel
tramonto della monarchia.
A onta della sua sfarzosissima vita sociale, la minoranza tedesca,
compagine di benestanti sprovvista di un retroterra linguistico e
senza proletariato, era un'isola nel mare slavo. Ma, in questo
malfermo convitto di stirpi, ancor piinsulare fu sempre la
situazione del gruppo ebraico. Nel secolo scorso, mentre il popolo
ceco compiva il suo risorgimento e Praga si rislavizzava per
l'afflusso di gente dalle campagne, gli israeliti boemi e moravi,
uscendo dal ghetto, in gran parte sceglievano la lingua e la cultura
tedesca. L'ebreo ingermanito della cittvitavina viveva come nel
vuoto (17) Estraneo ai tedeschi non meno che ai cechi, i quali, nel
loro erompente nazionalismo, non facevano gran differenza tra lui e
il tedesco. Si aggiunga poi che l'ebreo soleva essere ligio alla casa
imperiale: oltre alla smania di portare il colletto bianco, c'era in
lui l'ambizione di assurgere a Kommerzienrat, a Kaiserlicher Rat: e
gli Absburgo lo proteggevano (18) Per tale ragione ai cechi sembrava
un araldo della monarchia che osteggiavano. Non solo il pingue
industriale, ma ogni impiegato di banca, ogni commesso viaggiatore,
ogni Samsa, ogni bottegaio o mercante di razza israelitica finiva con
l'apparire un p滱, un signore, un rincrescevole intruso.
Sulla condizione intricata e senza rimedio dell'ebreo nella citt
vitavina ci illumina un caso accaduto a Franz Kafka in una pensione a
Merano: 非opo le prime parole si seppe che venivo da Praga; entrambi,
il generale (seduto di fronte a me) e il colonnello conoscono Praga.
Ceco? No. Spiega ora a questi occhi militari fedeli e tedeschi chi
sono veramente! Qualcuno dice: "boemo-tedesco", un altro:
便leinseitePoi si smette di parlare e si mangia, ma il generale
col suo orecchio acuto, filologicamente addestrato nell'esercito
austriaco, non soddisfatto, dopo la colazione riprende a dubitare
del mio timbro tedesco, e forse dubita pil'occhio che l'orecchio.
Posso tentare di spiegarlo col fatto che sono ebreo(19)
Di qui quel senso di insicurezza, di alterit di indefinibile
colpa che intride la letteratura ebraico-tedesca di Praga. Le
autoritdel Castello eludono le petizioni dell'agrimensore, che
invano anela di essere ammesso nel suo circondario come un cittadino
di pieno diritto. Ed curioso che il cruccio dell'isolamento,
l'incapacitdi adattarsi, la sradicatezza tormentino anche parecchi
scrittori israelitici di lingua ceca, come il romanziere e poeta
Richard Weiner (1884-1937) che, nato a Pisek e vissuto quasi sempre a
Parigi, sfuggtuttavia all'atrabile di Praga e agli attriti delle
stirpi absburgiche. In certe sue pagine, come, ad esempio, il
racconto Pr漘dneidle (La sedia vuota, 1919), egli macera una
kafkoide ossessione per una colpa di cui innocente, una colpa che
mostruosamente ingrandisce, inafferrabile, orrida, senza un appiglio:
俏aufrago nella Colpa, ne soffoco, sguazzo dentro il peccato - e non
lo conosco e non potrmai conoscerlo(20)
Gli ebrei tedeschi di Praga furono sempre vicini o bramosi di
avvicinarsi agli slavi. Molti di loro sapevano esprimersi in ceco,
anche se imperfettamente. Sono indicative queste parole di Max Brod
in una lettera a Jan碭ek: 促斁u n瘱ecky, pon瞚adv 蟌褾ind瘭潎滵
mnoho chyb(Scrivo in tedesco, perchin Ceco faccio molti errori)
(21) Willy Haas rammemora: 俠a pialta burocrazia parlava un
grottesco e sterile imperialregio ceco-tedesco del tutto denaturato.
I nobili nei loro misteriosi ed immensi palazzi barocchi di Mal
Strana parlavano francese, non appartenendo a nazione alcuna, se non
forse a quel Sacro Romano Impero, che da quasi un secolo era
scomparso. La mia balia, la mia bambinaia, la cuoca, la cameriera
parlavano ceco, ed io parlavo ceco con loro(22)
Dalle nutrici e dalle bambinaie venute dal contado i ragazzi delle
facoltose famiglie ebraiche di Praga apprendevano, non solo l'idioma
ceco, ma anche le fiabe e le canzoni e persino le usanze devozionali
cattoliche della stirpe slava (23) Franz Werfel esaltin diverse
poesie e in un romanzo (24) la sua babi, la balia Barbora, come
incarnazione della purezza e riparo dalla perfidia del mondo. Sotto i
vigili occhi della balia ceca il ragazzo, vestito alla marinara,
giocava tra gli alberi dello Stadtpark (i giardini Vrchiickdinanzi
alla stazione centrale), le cui cime frondose si protendevano verso
le finestre della sua casa paterna. Nella lontananza degli anni die
treue Alte, la vecchia fedele (25), divenne per Werfel l'immagine
della perduta sicurezza (Geborgenheit) dell'infanzia, il simbolo di
un'etfavolosa.
I letterati e gli artisti ebrei tedeschi (e non solo gli ebrei)
idoleggiavano, come afferma Paul Leppin (che non era ebreo), 削ie
wiegende und schw酺merische Anmut der slavvischen Frauen(la
dondolante e fantastica grazia delle donne slave) (26) Con ragazze
del popolo ceco intrecciarono le loro prime avventure amorose. Tra i
visitatori dell'Esposizione Giubilare (Jubilejnv蓧tava) Egon Erwin
Kisch conobbe nel 1908 una quindicenne di famiglia proletaria,
operaia in una fabbrica di profumi. La ragazza, che si sarebbe ben
presto affermata come ballerina col nome Em螮 Revoluce, accompagnil
咬eporter furioso(削er rasende Reporter nei suoi vagabondaggi per
i bassifondi, i locali notturni, le osterie malfamate (27) Hugo Haas
ricorda come imparassero le canzoni folcloriche slave dalle amiche
ceche (28) Tutta la letteratura tedesca di Praga permeata di
questa simbiosi erotica (29) Dimostrativo ci sembra il titolo Ein
tschechisches Dienstm輐chen di un romanzo (1909) di Max Brod. Ma la
picompiuta testimonianza di tali rapporti fu forse Kafka a
fornirla: pensiamo alle amanti dei K' nel Processo e nel Castello,
cameriere come Frida o infermiere come Leni, tutte complici degli
aiutanti, dei guardiani, dei legulei, ma ad un tempo mediatrici fra
gli eroi e le dispotiche autoritimpenetrabili: false avvocate,
illusorie sorgenti di intercessione, alquanto streghesche (30)
A dispetto dei pregiudizi e delle preclusioni, fittissimi legami
annodarono la cultura ceca con quella degli ebrei di lingua alemanna.
Nel gruppo 保sma(Gli Otto), che espose nella primavera del 1907, si
erano uniti senza divario pittori cechi, ebreo-cechi, ebreo-tedeschi:
Emil Filla, Friedrich Feigl, Max Horb, Otakar Kubin, Bohumil Kubi褾a,
Willi Nowak, Emil Artur Pittermann Longen (poi drammaturgo ed attore
di cabaret), Antonin Proch漘ka (31) Fu il pittore ebreo boemo Georg
Kars (Karpeles) a introdurre a Parigi Kubi褾a tra i fauves (32) Gli
scrittori israelitici tedeschi di Praga con libertdi intelletto si
fecero ardenti propagatori delle lettere ceche nell'area germanica,
traducendo gli inni di Otokar Bwezina, le liriche di Fr碲a 褳滵ek, i
canti slesiani (Slezskpisn di Petr Bezru Molto si prodigarono
in questo prezioso lavoro di innesti e di permute Rudolf Fuchs e Otto
Pick, e Pavel Eisner pitardi (33)
Ma il maggior contributo alla divulgazione dei valori cechi fu dato
dall'ostinatissimo e generoso Max Brod. Dissertdi musica ceca in
parecchi saggi (34), tradusse i libretti di alcune opere di Josef
Bohuslav Foerster, di Jaroslav Kwi螶a, di Jaromir Weinberger, di
Vit瞛slav Nov毾 e quasi tutti i libretti di quelle di LeoJan碭ek,
aprendo le porte del mondo all'arte di questo compositore moravo, al
quale dedicinoltre una monografia, che comparve dapprima in ceco
(1924) e quindi in tedesco (1925) (35) Tutta la vita si travagli
nel rimorso di non aver fatto ugualmente conoscere il musicista
Ladislav Vycp滎ek (36) Intusubito i pregi dello 襒ejk di Ha蟌k:
elogiil picaresco romanzo sui giornali tedeschi e, con Hans
Reimann, ne curun adattamento drammatico che, con molti ritocchi,
venne rappresentato a Berlino, nel 1928, da Erwin Piscator (37)
L'amicizia e la corrispondenza tra Brod e Jan碭ek (1916-28) assumono
un peculiare significato, se si tien conto della veemente slavit
delle radici liturgiche, dell'ascendenza cirillo-metodiana, del forte
attaccamento alla Russia del musicista di Hukvaldy (38)
Si potrebbe discorrere a lungo degli scrittori ebraici bilingui,
come Pavel Eisner, autore tra l'altro di un fervoroso e quasi ebbro
trattato, chr滵 i tvrz (Tempio e fortezza, 1946), sulla beltdella
lingua ceca, o Camill Hoffmann, che fu poi diplomatico della
repubblica cecoslovacca. E degli influssi mutuali delle due
letterature: ad esempio del fascino che esercitla raccolta di
Bwezina Tajemnd滎ky (Lontananze arcane, 1895) sul Werfel della
raccolta Der Weltfreund (1911), che a sua volta sembra precorrere
quella di JiwWolker Host do domu (L'ospite in casa, 1921) (39) Chi
legga in Wolker: 隹mo gli oggetti, compagni taciturni, - perchtutti
li trattano, - come se non fossero vivi(40) non potrnon
rimembrare un analogo brano di Werfel: 俊ranquilli oggetti, - che in
un'ora piena - come brave bestie ho accarezzato(41) Campione
felice di questa irripetibile sintesi fu Egon Erwin Kisch, che si
frammise alla scapigliatura ceca delle taverne e collaboralla
Revolu螽sc郾a di Longen, approntando per essa tra l'altro il dramma
Galgentoni (Tonka 蟊benice), in cui trionfXena Longenov e, con
Jaroslav Ha蟌k, la commedia Z Prahy do Bratislavy za 365 dn(Da
Praga a Bratislava in 365 giorni), descrizione di un suo
sconclusionato viaggio sul rimorchiatore 俠anna 8per la vitava,
l'Elba, il Mare del Nord, il Reno, il Meno, il Danubio (42) Ma forse
la fertilite la bizzarria dell'incontro fra le civiltceco-slava e
israelitica sono adombrate meglio che da altri dai due fratelli ebrei
Langer: Franti蟌k, medico, legionario in Russia, generale
dell'esercito cecoslovacco, narratore ed autore drammatico del gruppo
dei 螮pek, la cui cavillosa commedia Perif鈔ie (1925) fu messa in
scena anche da Reinhardt (43), e Jiw amico di Kafka: JiwLanger,
studioso di cabala e di psicanalisi, poeta in ebraico, il quale,
posseduto dall'idea chassidica, andda Praga nella paludosa e
arretrata Galizia orientale, alla corte di strampalati e giulivi
rabbini, e scrisse in ceco uno chagalliano novellino di aneddoti sui
chassidim: Dev皻 bran (Le nove porte, 1937) (44) JiwLanger, che si
aggirava per le strade stupite di Praga, avvolto in un nero
caffettano, con p嶴ess e nero cappello tondo.
Tutte queste attinenze pernon attenuarono l'Inseldasein,
l'incapacitdi adattarsi degli ebrei tedeschi di Praga. Il
pellegrinaggio di JiwLanger nei medievali villaggi degli zad骿im va
forse considerato come un tentativo di fuga dalla cittvitavina,
alla stregua dei tentativi falliti di Kafka. L'adesione di Brod al
sionismo, di cui Praga fu uno dei primi centri all'inizio del secolo
(45), l'accanimento di Werfel nel contrapporre Verdi al Wagner
prosperato dalla minoranza germanica (46), il girovagare di Kisch per
il globo, l'entusiasmo di Kafka per i guitti jiddisbl della compagnia
di Jizchak L饖y: tutto cisembra attestare il desiderio che li
tortur di sottrarsi agli 冠rtiglidi Praga, cambiando orizzonte.
Ma la fuga fisica non equivale a liberazione: anche lontani dalla
cittvitavina, essi provarono sempre, sino alla fine, un immutabile
senso di estraneit un'insulare sradicatezza. Eppure fu appunto
questo paradossale viluppo di contrasti e di commessure, questa vita
apprensiva nel vacuo di una cittdi frontiera a far nascere la fitta
schiera di grandi scrittori tedesco-praghesi sullo scorcio della
monarchia (47)

NOTE:
(1) Cfr' Max Brod, Streitbares Leben (1960): in italiano: Vita
battagliera, a cura di Italo Alighiero Chiusano, Milano 1967, pp'
159-60.
(2) Cfr' Id', Vita battagliera cit', pp' 221 e 223-24; Kurt Krolop
- Barbara Spitzov Gustav Meyrink, introduzione a Gustav Meyrink,
蟌rnkoule, Praha 1967, pp' 7-8 e 12; Joseph Wechsberg, Prague: The
Mystical City cit', pp' 40-43.
(3) Franz Werfel, Nel crepuscolo di un mondo cit', p' 23.
(4) Cfr' Klaus Wagenbach, Franz Kafka: Eine Biographie seiner
Jugend, Bern 1958, pp' 71 e 205 (nota 241); Eduard Goldsther,
Pwedtucha z滱iku (K profilu praeskn瘱eckpoezie pwed p灦stoletim),
in "Plamen", 1960, 9; Hans Tramer, Die Dreiv闤kerstadt Prag, in
Robert Weltsch zum 70. Geburtstag von seinen Freunden, a cura di Hans
Tramer e Kurt L饖enstein, Tel Aviv 1961, p' 138.
(5) Cfr' Egon Erwin Kisch, Deutsche und Tschechen, in Marktplatz
der Sensationen (1942), Berlin 1953, pp' 93-94; Emanuel Frynta - Jan
Lukas, Franz Kafka lebte in Prag, Praha 1960, p' 44.
(6) Cfr' Egon Erwin Kisch, Deutsche und Tschechen cit', pp' 94-95.
(7) Cfr' Du螮n Ham鍎k - Alexej Kus毾, O zuwiv鄉 report鈔u E'E'
Kischovi, Praha 1962, p' 11.
(8) Cfr' Egon Erwin Kisch, Deutsche und Tschechen cit', p' 93.
(9) Cit' in Karel Teige, Sv皻, ktervon Praha 1930, p' 96. Cfr'
Roman Jakobson, O dne螽im brusi褼tv蟌sk鄉, in Spisovn蟌褾ina a
jazykovkultura, a cura di Boh' Havr滱ek e MiloWeingart, Praha
1932, p' 94.
(10) Oskar Wiener, Deutsche Dichter aus Prag cit', p' 6.
(11) Egon Erwin Kisch, Die Abenteuer in Prag cit', pp' 276-85.
(12) Cfr' Klaus Wagenbach, Franz Kafka: Eine Biographie seiner
Jugend cit', p' 86.
(13) Cfr' Emil Filla, Eduard Munch a na蟌 generace (1938), in O
v蓨varn鄉 um瘽 Praha 1948, pp' 66-76; JiwKotal骿, Modern
蟌skoslovenskmal魾stv in 恃eskoslovensko 1947, 3.
(14) Cfr' Jindwibl Vod毾, Twi hereckpodobizny, Praha 1953, p'
102; Franti蟌k 蟌rn Hana Kvapilov Praha 1960, pp' 268-69, 271,
277.
(15) Cfr' Hans Tramer, Die Dreiv闤kerstadt cit', p' 146. Cfr' anche
Karel Hugo Hilar, Pw骿lad Maxe Reinhardta, tv鑴ce scenick逸o
prostwed in Divadelnpromen歍y (1906-14), Praha 1915, pp' 99-106.
(16) Egon Erwin Kisch, Marktplatz der Sensationen cit', p' 73. Cfr'
anche Hans Tramer, Die Dreiv闤kerstadt cit', pp' 145-46.
(17) Cfr' Pavel Eisner, Franz Kafka a Praha, in 便ritick
m瘰斁n骿 1948, 3-4; Id', Franz Kafka, in 俟v皻ovliteratura
1957, 3.
(18) Cfr' Willy Haas, Die literarische Welt, Mchen 1960, pp' 10 e
17; Hans Tramer, Die Dreiv闤kerstadt cit', pp' 153 e 157.
(19) Franz Kafka, Epistolario cit', I, p' 321 (10-IV-1920) Cfr'
Gustav Janouch, Colloqui con Kafka cit', p' 16: 促arlava ceco e
tedesco, ma preferibilmente tedesco. Il suo tedesco aveva una durezza
simile a quella che si riscontra nel tedesco dei cechi (20) Richard Weiner, Pr漘dneidle, in Pr漘dneidle a jinpr驆y,
con introduzione di Jaroslav mmka, Praha 1964, p' 118. Cfr' Jindwibl
Chalupeck Richard Weiner, Praha 1947, pp' 26-27.
(21) Korespondence Leo蟌 Jan碭ka s Maxem Brodem, a cura di Jan
Racek e ArtuRektorys, Praha 1953, p' 17 (6-XII-1916)
(22) Willy Haas, Die literarische Welt cit', pp' 10-11.
(23) Cfr' Pavel Eisner, Franz Kafka, in 俟v皻ovliteraturacit'
(24) Barbara, oder die Fr闣migkeit (1929) Cfr' Willy Haas, Die
literarische Welt cit', pp' 18-19.
(25) Franz Werfel, Der diche Mann im Spiegel, in Der Weltfreund
(1911)
(26) Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis: Ein Prager
Gespensterroman, Mchen 1914, p' 125.
(27) Cfr' Du螮n Ham鍎k - Alexej Kus毾, O zuwiv鄉 report鈔u E'E'
Kischovi cit', pp' 18-19.
(28) Willy Haas, Die literarische Welt cit', p' 38.
(29) Cfr' Pavel Eisner, Milenky, Praha 1930.
(30) Cfr' Id', Franz Kafka, in 俟v皻ovliteraturacit'
(31) Cfr' JiwKotal骿, Modern蟌skoslovenskmal魾stv in
恃eskoslovenskocit' E inoltre: Libu蟌 Halasov Antonin Proch漘ka,
Praha 1949, p' 20, e JiwKotal骿, V歊lav 螲滎a, Praha 1972, pp'
22-23.
(32) Cfr' LuboHlav碭ek, E'ivotndrama Bohumila Kubi褾y, Praha
1968, p' 59.
(33) Cfr' Peter Demetz, RenRilkes Prager Jahre, Dseldorf 1953,
p' 106; Willy Haas, Die literarische Welt cit', pp' 37-38.
(34) er die Sch霵heit h魠licher Bilder (1913), Adolf Schreiber,
ein Musikerschicksal (1921), Sternenhimmel (1923)
(35) Max Brod, LeoJan碭ek: eivot a dilo, trad' di Alfred Fuchs,
Praha 1924 (LeoJan碭ek: Leben und Werk, Wien 1925) Cfr' Leo
Jan碭ek: Obraz eivota a dila, a cura di Jan Racek, Brno 1948; Jan
Racek, introduzione a Korespondence Leo蟌 Jan碭ka s Maxem Brodem
cit', pp' 8-11; Max Brod, Vita battagliera cit', pp' 313-25.
(36) Cfr' Max Brod, Franz Kafka, a cura di Ervino Pocar, Milano
1956, p' 169.
(37) Cfr' Erwin Piscator, Das politische Theater (1929), trad' it'
Il teatro politico, Torino 1960, pp' 185-201.
(38) Cfr' Bohumir 褾璠ro Jan碭ek ve vzpomink槆l a dopisebl, Praha
1946, pp' 131-37; Robert Smetana, Vypr潎瘽o Leo蟊 Jan碭kovi,
Olomouc 1948, pp' 63-64.
(39) Cfr' Hana E'antovsk B滻n骿 jako majordomus mundi, in Franz
Werfel, Pwitel sv皻a, Praha 1965, p' 137.
(40) JiwWolker, V璚i, in Host do domu (1921)
(41) Franz Werfel, Ich habe eine Gute Tat getan, in Der Weltfreund
cit'
(42) Cfr' Egon Erwin Kisch, Marktplatz der Sensationen cit', pp'
319-24.
(43) Cfr' Edmond Konr歍, Franti蟌k Langer, Praha 1949.
(44) JiwLanger, Le nove porte (I segreti del chassidismo), a cura
di Ela Ripellino, Milano 1967.
(45) Cfr' Max Brod, Vita battagliera cit', pp' 55-70.
(46) Cfr' ibid', pp' 30-32.
(47) Cfr' Eduard Goldsther, Pwedtucha z滱iku cit'

9
Nel 1911 uscDer Weltfreund, una raccolta di versi in cui Werfel
esprime, in toni sin troppo dolciastri e indulgenti, il suo desiderio
di fondersi coi reietti e con gli umili, la brama di buone azioni che
aiutino a vincere il morso della solitudine, la fede nell'originaria
clemenza degli uomini (1) Quella raccolta, che inaugura una linea di
francescana mitezza, che nelle lettere ceche giungersino a Orten,
somiglia, a detta di Haas, 冠 una passeggiata con un allegro ragazzo
o allo scampanellio di una slitta in una serena cittcoperta di neve
intorno al 1911(2) Ossia poco prima che la gragnuola di un immane
conflitto disertasse gli artificiosi domini di un'illusoria
innocenza.
Rievocando quell'anno, la stagione incantata dell'inizio del
secolo, propizia al Dichterkreis di Praga coscome il Venti sar
benigno ai poetisti, poeti di lingua ceca, Otto Pick esclam 保re di
quell'inverno: il ricordo fa lampeggiare di un gaio luccichio
argenteo gli afflitti sogni crepuscolari di coloro che invecchiano.
Serate, notti di quel beato inverno! Come eravamo uniti, come eravamo
affiatati. Si stava seduti nei caff si imperversava attraverso la
cittnotturna, si scalava il tracotante Hradschin, si andava lungo
il largo fiume e, facendo baldoria in una sala con ragazze leggere,
non ci si accorgeva dell'alba dallo spiraglio della finestra(3)
Haas rammenta gli interminabili dibattiti che li infervoravano nei
ritrovi e durante le camminate sul Belvedere e nelle straduzze e nei
parchi di MalStrana (4)
Diversi caffservirono da Treffpunkte ai poeti tedeschi praghesi:
il CafZentral, il CafArco, il CafLouvre, il CafEdison, il
CafGeisinger, il CafContinental (5) In quest'ultimo, in una
stanza rivestita di cuoio pressato con righe rosse e dorate su fondo
nero, pontificava Gustav Meyrink (6), allo stesso modo del ceco Jakub
Arbes, autore anche lui di romanzi del brivido, nell'osteria 俗
zlat逸o litru(Al litro d'oro) (7) Conversando su temi
occultistici, in una cerchia di accoliti, Meyrink giocava a scacchi e
frattanto 剎eveva da un'esile cannuccia di paglia innumerevoli
bicchieri di ponce svedese(8)
俏otti di quel beato inverno!Ancor oggi, ogni notte, alle cinque,
Franz Kafka ritorna a via Celetn(Zeltnergasse), a casa sua, con
bombetta, in abito nero. Ritorna dalla taverna Montmartre, dove,
sempre assetato come gli ebrei nel deserto, Jaroslav Ha蟌k trinca ed
impazza. Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, dalla taverna
Montmartre Egon Erwin Kisch ritorna a casa sua, 俗 dvou zlat蓫l
medv璠欞 (俚u den zwei goldenen B酺en, all'angolo tra via
Melantrichova e via Koen la cui cantina, dicevano, era
l'imboccatura di cripte estese sotto l'intera citte addirittura
sotto l'alveo del fiume (9) Karel Konr歍 ha scritto: 侶uando questo
passante notturno tornava nella sua dimora 隹i due orsi d'oro i
lampioni avevano ormai una cateratta diafana. Si otterrebbe una
divertente cifra di migliaia di migliaia, se si tentasse di sommare i
fiammiferi che Kisch dovstropicciare per addentrarsi nel nero
cratere del corridoio e poi per le scale sino al primo piano
attraverso il colore di fumaiolo del buio(10)
Il Montmartre fu aperto il 16 agosto 1911 dall'attore e chansonnier
Josef Waltner nella decrepita casa 俗 twdiv蓫l mu凞(俚u den drei
wilden M鄚nern a via Wet瞛ov cosdetta perchvi si erano un
tempo esibiti tre fittizi cannibali di Vod螁ny con anelli alle
orecchie, mostaccio tatuato e in testa piume di gallo (11)
Consisteva in due larghe stanze, una dipinta da Franti蟌k Kysela e
un'altra, con pista di danza, pianoforte su una pedana, piccoli box,
aggrottescata di caricature di V'H' Brunner, che parodiavano lo stile
cubistico. In questa Kstlerkneipe, consimile alla 雨rodj酮caja
sob跮a(Il cane randagio) di Pietroburgo (12) e allo 俚ielony
Balonik(Il palloncino verde) di Cracovia (13), convenivano i poeti
cechi del gruppo anarchico, gli scrittori israelitici di lingua
tedesca, i pittori pizingareschi, gli attori del teatro Lucerna,
dove in quei giorni Karel Ha螿er cantava le sue lacrimose nenie sulla
vecchia Praga.
Qui gorgheggiavano a tempo perso i solisti del N漷odndivadlo. Non
c'era interprete di cabaret, da Julius Pol碭ek o Eduard Bass a quelli
della 蟌rvensedma (Il sette di cuori) di Jiw蟌rven che non
comparisse qui a frascheggiare. Qui Emil Artur Longen e Xena
Longenovintonavano le loro canzoni di strada e Artur Poprovsk
salmeggiava melodie ebraiche. Qui, accompagnata al pianoforte da
Trumm 螿ap毾 (Trumm Punta-e-Tacco), detto anche der diche Trumm
(Trumm l'obeso), Em螮 Revoluce ballava il tango con Hamlet, il capo
dei camerieri, o con Kisch, che aveva un berretto sghimbescio da
bullo del rione Podskal un fazzoletto da vagheggino al collo e,
incollata all'angolo della bocca, una sigaretta. Hamlet (Franti蟌k
Jir毾), ex attore, dalla testa di hidalgo ravvolta in un'enorme
matassa di capelli ricciuti, costituiva con Po褾a del N漷odnd籯 di
Praga-Vinohrady e col leggendario Patera del CaffUnion (14) una
triade di camerieri che prese sempre le parti degli scapigliati e li
favorcon una sorta di spicciolo mecenatismo.
Qui Ha蟌k aveva posto la sua abitazione. Dormiva in un angolo sopra
un divano di felpa. Spesso vi ritornava, la sera, dopo aver visitato
altre taverne, giubriaco, e cianciava come una pettegola treccola
e, tenendo un bicchiere con mani malferme, spruzzava birra
all'intorno e faceva piazzate. Se poi veniva espulso da Waltner, si
rifugiava nell'osteria Na Balk滱ossia Kopmanka, a via Templov
anch'essa ricetto di artisti e scrittori tedeschi e cechi,
inserendosi nei numeri che vi recitavano Artur Poprovsk Julius
Pol碭ek ed altri commedianti di cabaret oppure, come un ladroncello
scorbacchiato o uno charlot vagabondo, passeggiava su e gi anche
sotto la pioggia, dinanzi al Montmartre, aspettando che Hamlet o un
cliente o magari un gendarme intercedesse per lui (15)
Praga all'inizio del secolo, cittdi poeti, stazione dell'保
Mensch-Lyrik(16) Karl Kraus che, ostile alla compagnia werfeliana,
graffispesso con acutezza di motti la scuola praghese (17), scrisse
questa sentenza cattiva: 隹 Praga, dove sono particolarmente dotati e
dove chiunque sia cresciuto vicino ad uno che scrive poesie scrive
anche lui e dove il virtuoso di bambinaggine Werfel feconda tutti,
cosche i lirici vi si moltiplicano come i topi muschiati...(18).
Un verso attribuito a Karl Kraus cosbeffeggia la brigata praghese:
亟s werfelt und brodelt, es kafkat und kischt(19) Ma quanti altri
nomi illustrarono questo Dichterkreis.
Citiamone alcuni alla rinfusa, anche se un semplice elenco uno
sterile armadio di fonemi fantocci: Rainer Maria Rilke, Gustav
Meyrink, Hugo Salus, Emil Faktor, Johannes Urzidil, Rudolf Fuchs,
Oskar Wiener, Leo Perutz, Paul Kornfeld, Leo Heller, Paul Paquita,
Viktor Hadwiger, Oskar Baum, Karl Brand, Otto Pick, Ludwig Winder,
Ernst Weiss, Willy Haas, Franz Janowitz (20) Soffermarsi su tutti
richiederebbe lunghezza di trattato. Vi sono in specie due autori che
adescano la mia fantasia, due 削ilettanti del miracolo Paul Adler
(1878-1946), coi suoi allucinati e saltuari e dispnoici racconti,
gorghi di forsennatezza, Elohim (1914), N鄝lich (Infatti, 1915),
prossimo al Bebuquin (1912) di Carl Einstein, e Die Zauberfl飆e (Il
flauto magico, 1916) (21), e Paul Leppin (1878-1945), der ungekr霵te
K霵ig der Prager Boheme (il re non coronato della Scapigliatura
boema), con le sue raccolte di versi Die Ten des Lebens (Le porte
della vita, 1901) e Glochen, die im Dunkeln rufen (Campane chiamanti
nel buio, 1903) e coi suoi romanzi Daniel Jesus (1905) e Severins
Gang in die Finsternis (Severin se ne va nelle tenebre, 1914)
Sconsolato cantore di una Praga cadente ed ormai al lumicino, 削ei
vicoli malfamati, delle notti trascorse in bagordi, dei vagabondi e
dell'inutile fede dinanzi a pompose immagini barocche di santi(22),
Leppin fu vezzeggiato da Else Lasker-Scher in due soavi poesie: Dem
K霵ig von B鐬men e Dem Daniel Jesus Paul (23) Certo, la languida
cantilena di Leppin, quella sua scrittura infermiccia, aggricciata ed
intrisa di un nordico Zwielicht, che a tratti si infiamma per
un'improvvisa vampata di satanismo, oggi sa di stantio. Eppure il suo
impulso d'amore per la cittvitavina, per questo trebbio di spettri,
non meno ardente di quello di un Nezval in Praha s prsty de褾
(Praga dalle dita di pioggia) o di un Seifert in Sv皻lem od瘽
(Vestita di luce)
Ingagliardiva per l'apporto di queste figure il pingue pittoresco
di Praga. Paul Leppin, alto, sottile, con viso cereo da attore
kabuki, largo cappello alla calabrese, abito scuro stretto alla
cintola, cammina sul Graben (io guardavo dall'alto col cannocchiale
di Flugbeil) e, come gli altri poeti che lo circondano, tutti in
uguali assise da Biedermeier, porta una rossa rosa dal lungo gambo:
咨utte quelle fiammelle floreali facevano pensare alle candele di una
processione(24) Nei ritrovi notturni Franz Werfel modula arie di
Verdi: 俠e ragazze entusiaste: 青aruso, Caruso!esclamavano, appena
egli entrava nel loro locale, e le piistruite pronunziavano
addirittura il nome in francese: 青arousseau!" Il pianista o
l'orchestra del salone intonavano subito "La donna mobileo
侶uest'e quella e Werfel sfrenatamente si sgolava(25) 亟gli pu
cantare come un Caruso - scrisse di lui con sarcasmo nel suo
剎estiario" Franz Blei - e lo fa spesso e volentieri, specie se c'
rumore. Rumoreggia ad esempio una guerra, e il Werfel canta cosche,
se si stampasse il cantato, facilmente con esso si potrebbe riempire
un volume in ottavo di trecentootto pagine. Per questa sua voce
tenorile, che canta con squisitezza arie e trilli, il Werfel
fortemente invidiato dalle altre bestie che cercano di contraffarlo
(26)
Nel circondario del pittoresco praghese primeggia il misterioso
Nikolaus di un romanzo di Leppin, ossia Meyrink, della lega anche lui
dei fantasmi boemi, nella cui casa remota vicino al gassometro si
accatastava 哎n gran numero di singolari ed insoliti oggetti, Budda
in bronzo con le gambe incrociate, disegni medianici appesi in
cornici metalliche, scarabei e specchi magici, un ritratto della
Blavatsky e un autentico confessionale(27) Dalle memorie di Brod
si raccoglie come Meyrink avesse tra le sue amicizie un collezionista
di mosche morte ed un rigattiere che rivendeva volumi rari soltanto
con l'approvazione di un corvo dalle ali tarpate (28) Non dico che
Meyrink diventi nella mia inventiva un antenato del decoroso becchino
signor Kopfrkingl, ma se penso alle sue stravaganze funerarie mi
pifacile intendere la melliflua lugubritdel romanzo di Ladislav
Fuks Spalovamrtvol (Il bruciacadaveri) (29)
I poeti tedeschi di Praga traggono linfa dai miti, dalle leggende,
dalla topografia della cittvitavina. Diresti che molti dei loro
scritti siano soltanto pretesti per rappresentare il Corpus mysticum,
le torbide gale, il ferale umore di questa parvenza di pietra. Non
la Praga moderna coi regoli delle sue strade, coi cubi dei suoi
casamenti-caserme ad attrarli, ma la vecchia Praga muffita, che
suscita nel loro cuore fornaci di incendio, raffiche di malinconia.
Atterriti, come gli indiani dagli eclissi di luna, dal sentore di
morte ladra, di morte impiccata, di morte fedifraga che vi si spande,
guardano Praga come una fantasima (m漮oha), come una manifattura
chimerica. Scelgono a sfondo le cattedrali barocche, la Viuzza d'Oro,
San Vito, le topaie ed i passaggi della CittVecchia, le scarrupate
casupole del Nuovo Mondo, il cimitero ebraico, le nere sinagoghe, le
stamberghe superstiti, le sghembe straduzze pistrette di brecce e
le bettole della Judenstadt, i palazzi maligni e l'opaca vita di Mal
Strana.
Fanno di Praga una metropoli occulta, irreale, avviluppata nel
fioco velatino stillante delle Gaslaternen, un'esausta citt
pervenuta a decrepitezza, un groviglio di sguaiate osterie, di
lebbrosi cantucci nictalopi, di uli螶y del diavolo, di ciarliere
pavla蟌, di oscuri cortili, di magazzini di robivecchi, di bancarelle
di tandlmark. Cittin cui tutte le immagini tendono a deformarsi
spasmodicamente, ad assumere facce grottesche e spettrali. Citt
intormentita da una sonnolenza (Verschiafenheit) di cittdi
provincia, nel cui torpore si cela in agguato qualcosa di occhiuto e
di minaccevole. Come se, per un paradosso, nell'animo degli scrittori
tedeschi e in specie degli israelitici si fosse trasfusa la
malinconia, la tardanza, l'irresolutezza dei giorni dopo il disastro
della Montagna Bianca, quando la capitale giacque ludibrio di
spietati invasori. Alle corte, o lettore, la cittvitavina si muta
in un Mittelpunkt dell'espressionismo, e non tanto perchparecchi
dei suoi poeti aderiscono a quel movimento, ma soprattutto perch
essa giconteneva nella sua indole, nello steccato della sua scena,
nelle sue caligini i motivi precipui degli espressionisti.
Nelle pagine degli scrittori tedeschi praghesi del principio del
secolo si ripresentano spesso le bettole, i ritrovi notturni, le
ultime 剃ase di gioiadell'impero absburgico, con sale adorne di
arazzi e di specchi e di tende di velluto rosso, con arpiste cieche e
strimpellatori di pianoforte, con ragazze di tutte le terre della
monarchia. Il picelebre di questi locali, il lussuoso Sal霵
Goldschmied in via Kamz骿ov(Gemseng酲schen), paragonabile forse al
lupanare di Vienna in cui, nella Milleduesima notte di Joseph Roth,
lavora Mizzi Schinagl, fu effigiato da Werfel nel raccapricciante
racconto Das Trauerhaus (La casa di lutto) Ma anche le osterie, le
locande del Castello kafkiano, coi loro afosi sgabuzzini e con quel
pigia pigia di fantesche equivoche, odorano di bordello praghese.
Nella descrizione della vita notturna e dei bassifondi della citt
vitavina nessuno persopravanza Egon Erwin Kisch, che fu assiduo
frequentatore di ogni sorta di ab褾ajgy, pajzly, putyky, 螲elu螄y,
zapad毾y, knajpy (30) Klamovka, Omnibus, Gogo, Jedovna (Osteria dei
Veleni), Starpan(La vecchia signora), Starkr螸a (La vecchia
taverna), Mim驆a (nome floreale del tempo del Biedermeier corrotto in
Phimose), Brazilie, Apollo, U twhv瞛di蟌k (Alle tre stelline),
Eldorado, Maxim, Trocadero, U zelen逸o orla (All'aquila verde), U
m瘰ta Slan逸o (Alla cittdi Slan, U dvou ber滱k(Ai due agnelli),
V tunelu (Nel tunnel), Artista, Na sen骿u (Al fienile), U kn擯ete
Bwetislava (Al principe Bwetislav): una lunga sequela di cimiciai, di
caff di gargotte, di balere, di luridi lupanari, di bische scorre
come una stinta pellicola nelle sue carte (31), accanto ad asili
notturni, rifugi di donne perdute, istituti di rieducazione, cucine
economiche, carceri.
avido di cronaca nera, curioso della malavita ed incline ai
勃rv毾y(storie di sangue) ed ai 厚itavaly(bozzetti
criminologici), Kisch, nei molti volumi di reportages praghesi (32),
gremiti di bertoni e baldracche, di malandrini e magnaccia, e di ogni
specie di re della birba e regine dei meretricio, rinnova una
tradizione iniziata nell'Ottocento dai 叛uadretti di polizia
(卻br漘ky policejn儢) di Jan Neruda e dai ragguagli di Karel Kukla
sulle fogne e sui ricettacoli dei malfattori e dei pezzenti. Kisch ci
delucida insomma quel lato palustre ed insoave di Praga, che
costituiva il contrario dell'angelogia del Barocco.
便isch - ha scritto Konr歍 - era sensibile all'umana vulnerabilit
che si cela sotto il belletto delle prostitute, sotto il riflesso di
orpello di quella fallacia. Il rovescio dell'ingiustizia, della
miseria. I notturni del suburbio e dei bassifondi. Il coltello da
macellaio che mutava il carminio del trucco in sangue che va
raggelando. E la sua comprensione di quei rapporti di causa aveva il
valore di una scoperta. Auscultava i cuori denudati come un medico
paziente(33) Basta pensare al suo ritratto di Tonka, la bella
prostituta dello sfarzoso Sal霵 Kouckin via Platn鈍sk Dinanzi ad
un tribunale celeste la 剎laue Toni chiamata cosper i suoi occhi
azzurri e l'azzurro vestito, racconta le proprie vicende patetiche:
essendosi offerta per allietare l'ultima notte di un orrido uccisore
di tre ragazze condannato alla forca, pfui Teufel, le piantano
addosso il titolo di 蟊benice (Patibolo), ossia Galgentoni. Costretta
a fuggire in un altro Puff e quindi a scendere sul marciapiede,
continua a sognare, sino alla morte e all'ascesa in cielo, la veste
blu stile impero di un tempo, il grande grammofono a tromba del Sal霵
Kouck(34)
Non sarebbe difficile rinvenire un legame tra gli eroi delle
ballate di stracci di Kisch, dei suoi piccoli guizzi di
Dreigroschenoper e le figurine dei polizieschi (咬acconti dell'una e
dell'altra tasca 1929) di Karel 螮pek o i 剃herubini ossia i
marioli e i ladruncoli che tengono bordone al gobbo maestro di furti
Ferdinand Stavinoha, omino di scarsa furbizia, nel romanzo Bid蔮ko
(1927) di Emil Vachek o il Franci, cameriere e ballerino superbo del
proprio frac (come Hamlet), sfortunato guidone che accoppa un cliente
dell'amica sgualdrina, una sgualdrina mansueta come Galgentoni, e si
tortura poi dal rimorso, nel dramma Periferie (1925) di Franti蟌k
Langer. Dall'ufficio oggetti smarriti al monte dei pegni, dalle aste
alle lotterie e al tandlmark di Natale: non c'era favilla della vita
praghese che non accendesse la chiacchiera del 咬eporter furiosoE
lui stesso, come un attore stanislavskiano, si immedesimava coi tipi
che stava studiando, persino indossandone gli abiti: aspettava il suo
turno nelle cucine economiche, pernottava nei dormitori dei poveri,
spaccava il ghiaccio sul fiume coi disoccupati, faceva il giorgio con
le sgallettate, recitava nei teatri come comparsa (35)
Come i poeti del simbolismo russo, all'inizio del secolo, gli
scrittori tedeschi della capitale boema avvertivano il doloroso
presagio di un'imminente rovina. Questa praghese sismografia
corrispondeva, si intende, al comune presentimento del crollo
dell'impero absburgico, che tormentparecchi ingegni lungimiranti
del Mitteleuropa. Alludendo agli anni estremi del regno di Francesco
Giuseppe, Werfel ricorda che la stagione, l'intonazione politica, la
caratteristica umana di quest'epoca furono inverno, gelo invernale,
crepuscolo e vicinanza di morte (36) Ma la livida funebrit la
malevolenza di Praga (in antitesi col gaudeamus, con l'operettismo di
Vienna) dilatavano la prospettiva dello sfacelo. Trappola di
Hassliebe, cuore di un popolo che non condivide il loro anelito di
affratellamento, Praga diviene per gli scrittori tedeschi segnacolo
di agonia e di tramonto. Dai cortili, dai ballatoi, dai passaggi li
assale un brontolio giudiziale, la voce cavernosa di un ortel, di una
condanna (37)
L'atmosfera febbrile di quegli anni, l'angoscia delle premonizioni
sono rese da molti di loro con una scrittura imbellettata,
aggettivale, barocca, tutta rossori di tisi e tremiti di ribrezzo.
Nelle prose convulse e spiritiche di un Meyrink, di un Leppin, di un
Perutz una putrida Praga storce gli occhi e fa smorfie, centrale di
mistagogia, serbatoio di truculenti stregoni, di spaventacchi, di
mostri di argilla rabbinica, di m'schug鑀m, di svitati, di torve
larve orientali, come, nella stessa epoca, la Pietroburgo di Belyj.
Citttratteggiata col viola banale dell'inchiostro di
Meyrink-Nikolaus (38), il quale blandisce la degradazione di quelle
strade mefitiche, di quelle case tarlate con un compiacimento da
pessimo esteta, ingioiellando come una festa il patema della
catastrofe, il deperimento della vecchia Praga. Ma intanto,
affiorando da questo marasma di finimondo, la Praga ceca rinasce dal
crollo dell'impero absburgico e, sorretta dalle savie mani del
filosofo Masaryk, avanza, per usare il nome di una marcia di Josef
Suk, 哉erso una nuova vita che sarspezzata a sua volta da nuovi
soffocamenti.
I decadenti tedeschi dunque sorseggiano la cittvitavina come una
maledizione, appigliandosi a tutto ciche di doppio, di trasognato,
di unheimlich, di morbido si annida nella sua sostanza. Di questa
letteratura austriaco-praghese dell'etdel declino della monarchia
(e dei suoi prolungamenti) restano nella memoria un tanfo di
pestilenza, una semiluce di D鄝merung che stringe il cuore, un
barcollio di candele di altare che si vanno spegnendo, un'onda di
musica mesta, un ghigno istrionesco, la sanguinante lesione di un
addio che bamboleggia, e una zuccherosa, appiccicaticcia dolcezza.
Else Lasker-Scher scrisse di Werfel: 哀ulla sua bocca - un
usignuolo dipinto(39)

NOTE:
(1) Cfr' F'X' 螮lda, Proch鄉y lidu a lidovosti v novtvorb
b滻nick in 螮ld驠 z漥isn骿, Praha 1931-32, IV, pp' 181-82.
(2) Willy Haas, Die literarische Welt cit', p' 22.
(3) Otto Pick, Erinnerungen an den Winter 1911-12, in 非ie Aktion
1916, p' 605, cit' in Expressionismus: Literatur und Kunst
(1910-1923), catalogo dell'esposizione allo Schiller-Nationalmuseum
di Marbach (8 maggio-31 ottobre 1960), pp' 62-63. Cfr' Kurt Pinthus,
Souvenirs des debuts de l'Expressionnisme, in L'Expressionnisme dans
le th殪tre europ嶪n, a cura di Denis Bablet e Jean Jacquot, Paris
1971, p' 36.
(4) Cfr' Willy Haas, Die literarische Welt cit', p' 29.
(5) Cfr' Hans Tramer, Die Dreiv闤kerstadt Prag cit', pp' 143-45.
(6) Cfr' Max Brod, Vita battagliera cit', pp' 224-27.
(7) Cfr' Karel Krej鍎, Jakub Arbes: E'ivot a dilo, Praha 1946, pp'
332-33.
(8) Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis cit', pp' 41-42.
(9) Cfr' Jan Herain, StarPraha cit', pp' 124-25; G鈑a V蟌li螶a,
Auf den Spuren Kischs in Prag, in Kisch-Kalender, a cura di F'C'
Weiskopf, Berlin 1955, pp' 255-56.
(10) Karel Konr歍, Rod毾 ze Star逸o M瘰ta, in Nevzpominky, Praha
1963, p' 94.
(11) Cfr' G鈑a V蟌li螶a, Auf den Spuren Kischs in Prag cit', pp'
257-58.
(12) Cfr' A'M' Ripellino, Il trucco e l'anima, Torino 1965, pp'
196-202.
(13) Cfr' Zenon, Jama Michalika: Lokal 俚ielonego Balonika Krak闚
1930; Tadeusz 蔒le盭ki (boy), Znaszli ten kraj? .i inne
wspomnienia, Warszawa 1956.
(14) Cfr' Kav漷na Union (Sborn骿 vzpominek pam皻n骿, a cura di
Adolf Hoffmeister, Praha 1958.
(15) Cfr' Egon Erwin Kisch, Zitate vom Montmartre, in Die Abenteuer
in Prag cit', pp' 399-404; Zden瘯 Mat疀 Kud疀, Ve dvou se to l酥e
t殠ne (1923-27), Praha 1971, pp' 288-95; E'A' Longen, Jaroslav Ha蟌k
(1928), Praha 1947, p' 37; V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma, Praha
1935, pp' 247-249; G鈑a V蟌li螶a, Auf den Spuren Kischs in Prag cit',
p' 259; Jiw蟌rven 蟌rvensedma, Praha 1959, p' 53; Du螮n Ham鍎k
- Alexej Kus毾, O zuwiv鄉 report鈔u E'E' Kischovi cit', pp' 27-31;
Franti蟌k Langer, Vzpomin滱na Jaroslava Ha螶a, in Byli a bylo,
Praha 1963, pp' 30 e 52-53; J滱 L' Kalina, Svet kabaretu, Bratislava
1966, p' 369; Radko Pytl骿, Toulavhouse (Zpr潎a o Jaroslavu
Ha螶ovi), Praha 1971, pp' 219-21.
(16) Karl Kraus, in "Die Fachel", n' 546-550, p' 68.
(17) Cfr' Roger Bauer, La querelle Kraus-Werfel, in
L'Expressionnisme dans le th殪tre europ嶪n cit', pp' 141-51.
(18) Karl Kraus, in "Die Fachel", n' 398, p' 19.
(19) Cfr' Max Brod, Vita battagliera cit', p' 33.
(20) Cfr' Deutsche Dichter aus Prag cit'
(21) Cfr' Karl Otten, Nachwort a Das leere Haus cit', pp' 610-12;
Michel zeraffa, Le roman et sa problematique de 1909 1915, in
L'ann嶪 1913, a cura di L' Brion-Guerry, Paris 1971, I, pp' 649-53.
(22) Max Brod, Vita battagliera cit', p' 163. Cfr' anche Hans
Tramer, Die Dreiv闤kerstadt cit', pp' 189-91.
(23) Else Lasker-Scher, Die gesammelten Gedichte, Mchen 1920,
pp' 114-16.
(24) Cfr' Max Brod, Vita battagliera cit', pp' 162 e 165-66; Joseph
Wechsberg, Prague: the Mystical City cit', pp' 43-45.
(25) Willy Haas, Die literarische Welt cit', pp' 12-13.
(26) Franz Blei, Das grosse Bestiarium (1922), Mchen 1963, p' 42.
(27) Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis cit', p' 42.
(28) Cfr' Max Brod, Vita battagliera cit', pp' 226-27.
(29) Cfr' A'M' Ripellino, Fuksiana, introduzione a Ladislav Fuks,
Il bruciacadaveri, Torino 1972.
(30) Locuzioni ceche, per lo pidi origine tedesca o jiddisbl (ad
esempio 厚ajzlda 剎奫iss casa), per indicare taverne di infimo
ordine, mescite, alberghi ad ore, postriboli.
(31) Cfr' Egon Erwin Kisch, Konsignation er verbotene Lokale, in
Die Abenteuer in Prag cit', pp' 301-17; Du螮n Ham鍎k - Alexej Kus毾,
O zuwiv鄉 report鈔u E'E' Kischovi cit', pp' 30-31.
(32) Aus Prager Gassen und N踄hten (1908), Prager Kinder (1911),
Die Abenteuer in Prag (1920), Prager Pitaval (1931), Marktplatz der
Sensationen (1942)
(33) Karel Konr歍, Rod毾 ze Star逸o M瘰ta, in Nevzpominky cit', p'
94.
(34) Cfr' Egon Erwin Kisch, Die Himmelfahrt der Galgentoni, in
Marktplatz der Sensationen cit', pp' 239-66.
(35) Cfr' Du螮n Ham鍎k - Alexej Kus毾, O zuwiv鄉 report鈔u E'E'
Kischovi cit', pp' 32-37.
(36) Franz Werfel, Nel crepuscolo di un mondo cit', p' 24.
(37) Cfr' Eduard Goldsther, Pwedtucha z滱iku cit'
(38) Cfr' Max Brod, Vita battagliera cit', p' 227.
(39) Else Lasker-Scher, Die gesammelten Gedichte cit', p' 154.

10
In un suo racconto intitolato Kafk漷na (Kafkeria) Bohumil Hrabal
immagina di vagabondare una notte per la cittvitavina e di fermarsi
a colloquio con una versiera sdentata che, nel barbaglio di un lume
ad acetilene, rivolta sul fuoco scoppiettanti salsicce:
非ico alla vecchia:
- Signora, ha conosciuto Franz Kafka?
- Ges - disse - sono io KafkovFranti螶a. E mio padre era
macellaio equino e si chiamava Franti蟌k Kafka Lo stesso Hrabal si immedesima con l'autore della Metamorfosi. A
Piazza della CittVecchia, alludendo alle strettoie staliniane, urla
ad un vigile: 俟enza una fenditura nel cervello non si puvivere.
Non si puspulciare l'uomo dalla libert鉬 E quello, con aria
severa, risponde: 俏on gridi cos perchgrida cos signor Kafka?
Dovrpagare il rumoratico(1)
Non solo nella nostra coscienza, ma nella realtPraga e Kafka sono
carne ed unghia. In America, alla capocuoca, viennese di origine (e
perci剃ompaesana, Rossmann rivela con nostalgia di esser nato
nella cittvitavina (2) La rete di sgraffi e di sfregi che
stracciano i muri di Praga corrisponde alle trafitture, di cui cos
spesso si legge nei diari kafkiani (3) Non mi rimarrdall'insistere
sulle analogie che imparentano l'autore delle vicende di 襒ejk
all'inventore di K' Se Kafka, come afferma Adorno, 剃erca la
salvezza incorporando la forza dell'avversario(4), non diverso
risulta l'assunto di Ha蟌k alle prese con l'apparato
austro-absburgico. D'altronde la stessa stesura dello 襒ejk
assomiglia a quella dei romanzi kafkiani, dove 勁e tappe delle
avventure narrative diventano stazioni di un calvario(5) L'effigie
di Kafka, il suo 勁ungo, nobile viso olivastro di principe arabo
(6), si incide in sovrimpressione sui lineamenti della capitale
boema. Parlava sottovoce e di rado, vestiva abiti scuri (7). 俠a
Kafka - asserisce Franz Blei - un magnifico topo blu-luna assai
raro, che non mangia carne, ma si nutre di crauti amari. Il suo
sguardo affascina, perchessa ha occhi umani(8)
A differenza di Rilke, il cui vincolo con la capitale boema rimane
epidermico, una civetteria letteraria, l'affabilitdi un esteta
verso una stirpe infelice e diseredata, Kafka assorbtutti gli umori
e i veleni di Praga, calandosi nella sua demonia. Piuttosto che
insudiciarsi nelle grasse fuliggini del pentolone vitavino, il
giovane Rilke, nella raccolta Larenopfer (1895), si limita alla
scintillante superficie ottica, sciorina il compiacimento di un
turista raffinatissimo, che sta tuttavia sulle sue. Gli accenni al
folclore, alle torri, alle cappelle, alle cupole, a figurette di
strada, a figure come Hus, Tyl, Zeyer, Vrchiick gli stessi vocaboli
cechi sono soltanto una bardatura (9) A un innamorato di Praga danno
fastidio versi da souvenir, come 剎ierfrohe Musikanten spielen - ein
Lied aus der Verkauften Braut(剎irrosi e allegri musicanti suonano
- un motivo della Sposa venduta, o la sufficienza di una poesia
come quella in cui, dopo aver cantato l'inno ceco Kde domov m齹
(Dov'la mia patria), una ragazza di campagna riceve l'elemosina dal
poeta commosso e, grata, gli bacia la mano. Darei tutte le cartoline
e le squisitezze del Baedeker rilkiano per una lirica breve di Kafka,
nella quale, sostanza dell'anima, Praga, sebbene non nominata,
traluce da una buia filigrana:
Uomini che sopra oscuri ponti camminano@ dinanzi a santi@ dai
fiochi lumini.@ Nubi che sopra il cielo grigio passano@ dinanzi alle
chiese@ dai campanili che imbrunano.@ Uno che al parapetto squadrato
si appoggia@ e guarda l'acqua serale,@ le mani su vecchie pietre@
(10)
L'atteggiamento del giovane Rilke verso il mondo slavo che lo
circonda ambiguo a causa di due contrastanti influssi. Da un lato
lo condiziona la madre Phia, ostinata nel proprio orgoglio di casta e
proclive ad uno spocchioso sciovinismo anticeco. Dall'altro indirizza
i suoi sentimenti la sua prima amata, Valerie David-Rhonfeld, nipote
del poeta ceco Julius Zeyer, che da parte materna era ebreo.
L'affetto per Valerie e l'amicizia di Zeyer, il quale gli fu di
modello per l'estetismo, il gusto della stilizzazione, la passione
dei viaggi, l'aristocratico sdegno, lo avvicinarono ai cechi, che
l'altezzosa e snobistica Phia gli aveva insegnato a spregiare (11)
Quanto a Kafka, come tutti sanno, suo padre Herrmann (o Hewman) era
nato nel villaggio ceco di Osek presso Strakonice (Boemia
meridionale) nella famiglia di un beccaio israelitico. Herrmann si
trasfera Praga nel 1881, sposandovi l'anno dopo Julie L饖y, che
anche lei proveniva da un ambiente ceco, il paesino di Pod瑿rady
(12) Ed curioso che Franz da ragazzo abbia scritto un dramma sul
re husitico Jiwdi Pod瑿rady. Sebbene frequentasse le scuole
tedesche, egli apprese il ceco sin da bambino. Con la cuoca, con le
cameriere, coi commessi del negozio paterno di chincaglierie a via
Celetne poi a Piazza della CittVecchia (Palazzo Kinsk, coi
colleghi d'ufficio conversava in ceco.
Si teneva sempre aggiornato nelle cose ceche (13) Andava ai comizi
dei leader politici Kram漙, Klof碭, Soukup (14) Bazzicava i poeti e
scrittori anarchici del 便lub mlad蓳h(Club dei giovani), ossia
Karel Toman, Franti蟌k Gellner, Fr碲a 褳滵ek, Stanislav Kostka
Neumann, Jaroslav Ha蟌k (15) Ebbe contatti con Arno褾 Proch漘ka e
coi letterati della 俑odernrevue(16) E, particolare incredibile,
se si pensa che 南essun cittadino ceco visitava mai il teatro tedesco
e viceversa(17), frequentil N漷odndivadlo e il Teatro Pi褾瘯
(18), anche se i loro spettacoli lo ispirarono meno della piccola
compagnia jiddisbl di Jizchak L饖y, che recital CafSavoy nel
maggio 1910 e nell'ottobre dell'anno seguente (19) Desideroso di
evadere dalla dimensione insulare, nei diari sospira dell'enorme
vantaggio di essere 剃eco cristiano tra cechi cristiani(20) e si
diverte sui nasi cechi (21)
L'insegna della bottega del padre raffigurava un nero uccello, una
kavka, ossia una cornacchia, eine Dohle. Con un nome ceco di sua
invenzione egli chiama Odradek un rocchetto di filo che sale e scende
le scale su due bacchette, un'ammatassata parvenza, paragonabile agli
smemorati e imperfetti angeli dell'ultimo Klee (22) Il rapporto di
Kafka con la favella ceca non quello di un conferenziere in
tourn嶪, di un viaggiatore, di un Liliencron, che tende l'orecchio a
sorprendere fonemi incogniti: l'autore della Metamorfosi penetra il
ceco con sottilitfilologica. Rammaricandosi di non conoscere a
fondo l'idioma slavo, leggeva, oltre ai quotidiani cechi, la rivista
puristica 俏a蟌 We蹍 (Lingua Nostra) (23) Ma ancor pistrabiliante
che leggesse il giornaletto dei boy-scouts 俏碭 skaut骿(Il nostro
scout) (24)
Dell'interesse di Kafka per la lingua ceca testimoniano in specie
le lettere a Milena Jesensk 青erto che capisco il ceco. Giun paio
di volte volevo chiederle perchnon scrive in ceco. Non che Lei non
sia padrona del tedesco. Per lo pine padrona in modo stupefacente
e, se qualche volta non lo esso si piega davanti a Lei
spontaneamente e diventa piche mai bello: cosa che un tedesco non
osa nemmeno sperare dalla sua lingua, perchnon osa scrivere in modo
cospersonale. Ma vorrei leggere uno scritto Suo in ceco...(25).
In quelle missive i vocaboli cechi ricorrono con la stessa frequenza
delle parole olandesi nei diari, che Beckmann tenne durante l'esilio
nei Paesi Bassi (26) Kafka vi manifesta una sorta di compiaciuto
bilinguismo: non sono mai vissuto in mezzo a gente tedesca, il
tedesco la mia lingua materna e percimi naturale, ma il ceco mi
sta pinel cuore...(27). L'amicizia e l'amore e la corrispondenza
(1920-22) tra lo scrittore ebreo tedesco e Milena Jesensk
discendente da un'antica famiglia patrizia ceca, che vantava tra i
propri antenati il dottor Jan Jesenius, giustiziato nel 1621, dopo la
sconfitta della Montagna Bianca (28), assumono un significato
simbolico per la dimensione di Praga. Lo stesso pudirsi
dell'antitesi dei loro caratteri: la malattia, il desiderio di morte,
la timidit la terribile angoscia, le rinunzie di Kafka contrastano
con l'impavida risolutezza, l'ardente brama di vivere, l'odio dei
pregiudizi, lo spirito di sacrificio, la grande prodigalitdi questa
donna tipicamente ceca che, dopo un'esistenza strampalatissima
(matrimoni sconnessi, morfinismo, miseria, mania di gatte, delusioni
politiche, attivitclandestina, persecuzione da parte degli stessi
compagni), si sarebbe spenta il 17 maggio 1944 nel Lager di
Rawensbrk (29)
Kafka era avido di cultura ceca. Il 22-9-1917 scrive a Felix
Weltsch da Zau: qui leggo quasi esclusivamente libri cechi e
francesi e soltanto autobiografie o carteggi, naturalmente stampati
alla meno peggio. Potresti prestarmi un volume per ciascuna lingua?
(30) E ai primi di ottobre rincalza: 侵n quanto ai libri non mi hai
capito. A me importa soprattutto leggere opere originali ceche o
francesi, non traduzioni(31) Nei diari indugia (25 dicembre 1911)
sulle letterature dei piccoli popoli, prendendo ad esempi la jiddisbl
e la ceca (32) Nella corrispondenza discorre di Jenufa di Jan碭ek
(33), di Vrchiick(34), del pittore Ale(35), di Bo鋀na N瘱cov il
cui epistolario per lui 哎n pozzo inesauribile in esperienza umana
(36) Kafka ammirava la soavissima 厚rosa musicaledi questa
scrittrice dell'Ottocento (37) E Max Brod era convinto che un
episodio del romanzo Babi螶a (La nonna, 1855) di Bo鋀na N瘱cov
quello di Kristla, la figlia dell'oste insidiata da un insolente
italiano del seguito della castellana (IX), avesse influito sulla
storia di Amalia e dell'alto funzionario Sortini nel Castello
kafkiano (XV) (38) Certo comunque che la masnada di aiutanti e di
intermediari dipinti da Kafka fa pensare alla schiera di maggiordomi
in livrea e di tronfi impiegati che ammiccano nel castello descritto
da Bo鋀na N瘱cov Kafka si infervorava inoltre per le sculture di
Franti蟌k Bilek (39) e avrebbe voluto che Brod componesse una
monografia sulla sua arte spoglia e implorante, tutta visioni,
languori mistici, spasimi di colpevolezza, per rivelarla al mondo,
come aveva fatto con la musica di Jan碭ek (40) In realtsi
potrebbero istituire paralleli tra l'opera di Bilek, che fu molto
vicino ai poeti simbolisti Bwezina e Zeyer (41), e la creazione di
Kafka, 哀otto la comune insegna di Praga Sebbene cambiasse spesso dimora, come quella di Ha蟌k, la famiglia
di Kafka non si allontanmai dal centro, dai margini dello scomparso
ghetto (42) Tranne i brevi periodi in cui risiedette a Piazza San
Venceslao e nella Viuzza d'Oro, Franz Kafka, 剃apostipite del
ventesimo secolo(43), restsempre nel cerchio incantato della
CittVecchia. Alcune strade: via Maislova (dove nacque il 3 luglio
1883), via Celetn via Bilkova, Dlouhtwida, via Du螽 via
Pawiesk(Mikul碭sk, con vista sul fiume, e la Piazza della Citt
Vecchia sono per sempre legate all'effigie dell'autore della
Metamorfosi, come Kampa rimarrper sempre connessa con quella di
Holan. non solo le sue abitazioni, ma la scuola elementare, il
ginnasio tedesco, la Facoltdi giurisprudenza si trovavano al
centro, e addirittura il ginnasio aveva sede in quel Palazzo Kinsk
dove Herrmann Kafka trasferpitardi il negozio. A pochi passi
dalla CittVecchia, a Na Pow斁 sorgeva il suo ufficio,
l'Arbeiter-Unfall-Versicherungs-Anstalt f das K霵igreich B鐬men
(D瘭nickorazovpoji褾'ovna)
Il racconto Descrizione di una battaglia l'unico nella narrativa
kafkiana a rispecchiare con un'esplicita esattezza la toponomastica
della capitale boema. Carrellata notturna sulla neve gelata, nel
chiaro di luna, esso inquadra via Ferdinandova, via Po褾ovsk la
collina di Petwin (Laurenziberg), la vitava, il parapetto di ferro
del lungofiume, i 叛uartieri dell'altra riva in cui 冠lcuni lumi
冠rdevano e luccicavano come occhi veggenti(44), Stweleckostrov
(l'Isola dei Tiratori), la Torre del Mulino con l'orologio, il Ponte
Carlo, via Karlova, la chiesa del Seminario. E' stato osservato che,
nella scena del poliziotto, che scivola fuori come un pattinatore da
un lontano caffdalle nere vetrate, e in quella della donna grassa,
che esce con una lampada da una fiaschetteria di via Karlova, dove
suonano il pianoforte, Kafka sembra sfiorare per il colore locale i
bozzetti di Kisch (45)
Nel Processo, nel pipraghese dei romanzi cechi e tedeschi, Praga
non mai nominata. Ma il pudore che vieta la nominazione non toglie
che essa traspaia in filigrana, in una luce di fieno. La presenza di
Praga, assottigliata ai suoi tratti essenziali, qui di gran lunga
piforte che nella topografia verseggiata di Rilke, nei Larenopfer,
in cui Hrad螮ny, San Vito, Loreta, Vy蟌hrad, Malvazinky, Smichov,
Zlichov, la vitava, la cupola di San Nicola compaiono a tutto tondo,
come in un organetto di vedute a colori (46) A render piarcana e
pionirica la cittvitavina nel Processo concorre la stessa
scrittura sobria e precisa, la scrittura monodica, vitrea, aliena da
orpelli, la secca, oggettuale argomentazione talmudica. Questa
avvocatura trascendentale contrasta col gonfio e infiammato
linguaggio dei neoromantici e degli espressionisti praghesi, sebbene,
come Adorno ha notato, partecipi anch'essa dell'espressionismo e
risenta della pittura di quel movimento (47)
Nel Processo dunque la capitale boema velata ed anonima: anonima
e priva di anamnesi come il protagonista, trama di schemi di luoghi,
di luoghi-archetipi. Eppure nell'ordito astratto del suo tracciato
molti punti reali sono identificabili. Potremmo congetturare che la
banca, in cui lavora Josef K', rimandi all'edificio delle
Assicurazioni Generali a Piazza San Venceslao, dove Kafka fu
impiegato, prima di essere assunto come procuratore legale
all'Arbeiter-Unfall-Versicherungs-Anstalt f das K霵igreich B鐬men,
o piuttosto, se si tien conto del bugigattolo ingombro di vecchie
cartacce e di vuote bottiglie da inchiostro, dove un frustatore
scudiscia i due guardiani, al fatiscente palazzo percorso da
labirinti in penombra della B鐬mische Unionbank (蟌skBanka Union) a
Na Pw骿op(48) Il quartiere nel quale si acquatta l'enorme
edificio, dove Josef K' subisce il primo interrogatorio, con le sue
informi catapecchie, con le sue finestre piene di materassi, con le
sue botteguzze al di sotto del livello stradale, benchsia detto che
sorge in periferia, fa pensare alla diroccata Cittebraica. L'ancor
pisudicio e grigio sobborgo, in cui, arrampicata in cima a ripide
scale, si annida l'opprimente bicocca di Titorelli, potrebbe essere
quello proletario di E'i鋘ov, amato da Kafka.
Il desiderio di uscire dal cerchio incantato del centro verso la
periferia e il senso di colpa del figlio di famiglia agiata dinanzi
ai reietti lo spingevano spesso in quel rione selvatico, poco
raccomandabile allora ai signori 厚er beneMa pudarsi che, nella
raffigurazione del sordido tribunale, Kafka avesse in mente gli
uffici praghesi in genere, gli uffici rintanati in bizzarre
barabizny, in taccagne stamberghe da sorci, con bui corridoi, con
ciurmaglia di scartabelli ingialliti, con tanfo di muffa e di
polvere. Il duomo San Vito e, nel duomo, la 哀tatua d'argento di un
santoil sepolcro del Nepomuceno. Al supplizio Josef K' si reca,
passando per un "ponte che il Ponte Carlo, al di sopra di
un'isoletta, che Kampa. Le 哀trade in salitacorrispondono a
quelle di MalStrana, l'arena dell'esecuzione coincide con la cava
di Strahov.
Ma la pragheitdel Processo si appalesa in molte altre minuzie,
tra le quali, ad esempio, l'accenno al rapporto tra l'affittacamere e
l'inquilino, un rapporto che avvince sovente l'inventiva kafkiana
(49) Lo scrittore ha trasfuso nel proprio romanzo, come d'altronde
anche nel Castello, l'accidia, il malessere della cittvitavina,
un'accidia che collima con la sua ritrosia, con le sue ombrose
ripulse, con la sua estenuazione. Il continuo ricorso di letti e
giacigli, l'odore di letto non rifatto di cui parla Adorno (50),
l'universo molliccio di materassi nei quali i personaggi, sempre
spossati, sprofondano, il riflesso, non solo dell'infermitche
serpeggia nel corpo di Kafka, ma anche dell'abulia, della forzata
indolenza di una metropoli, i cui impulsi sono perpetuamente
stroncati. Per tutto questo non sembri curioso ciche Haas ha
scritto dei due romanzi: li lessi come si legge un panorama
compiutamente familiare della propria giovinezza e in cui subito si
riconosce ogni ripostiglio nascosto, ogni cantuccio, ogni corridoio
polveroso, ogni lascivit ogni lontana allusione ancora cos
delicata(51)
Al contrario che nel Processo, nei diari Kafka indica minutamente
le strade, i caff i teatri, le sinagoghe, i dintorni. Andava spesso
a passeggio nel parco Chotek (52) Le sue camminate nell'oscura,
misera periferia, e in specie a E'i鋘ov, somigliano alle scorribande
di Blok nei sobborghi palustri e nebbiosi di Pietroburgo (53) Ma
inoltre con quanta sete di favola egli coglie, nella sfera praghese,
i momenti pierrotici, i guizzi di incantamento, le bizzarrie da
panoptikum, che coincidono con l'incolumitdell'infanzia: 侵 vecchi
giuochi al mercato di Natale. Due pappagalli sopra un'asta estraggono
pianeti. Errori: a una fanciulla si predice una amante. - Un tale
offre in vendita fiori artificiali con versetti: To jest re ud瘭an
z ke (Questa una rosa fatta di cuoio)(54), oppure, con
riferimento al giuoco ai quattro cantoni, che in ceco vien domandato
俟catole scatole fate una mossa 俟i sta giocando a 螶atule 螶atule
hejbejte se, io striscio nell'ombra da un albero all'altro(55)
L'amore per la cittvitavina si accompagna in Kafka a un basso
continuo di insofferenza e di maledizione. In una lettera del
settembre 1907 a Hedwig W' egli chiama 削annata citt鉬 la capitale
boema (56) A Max Brod, il 22-7-1912, scrive: 青he vita faccio mai a
Praga? Il mio desiderio di gente che, se appagato, si trasforma in
angoscia, si raccapezza soltanto nelle vacanze(57) Egli sogna
spesso di dileguarsi, di scampare lontano. A Kurt Wolff: ..prender
moglie e andrvia da Praga, forse a Berlino(58) Quando,
nell'ottobre 1907, viene assunto alle Assicurazioni Generali,
comunica a Hedwig W': 南utro perla speranza di sedermi un giorno
sulle sedie di paesi molto lontani, di guardare dalle finestre
dell'ufficio su campi di canna da zucchero o cimiteri musulmani
(59) Quest'ansia di terre remote, che avverti anche nel tema di
alcuni sui scritti, come America o Desiderio di diventare un indiano,
si ricollega forse al modello di due zii materni, due L饖y: Alfred,
che fu direttore delle ferrovie spagnuole, e Josef, che amministr
una compagnia coloniale nel Congo e allestcarovane (60)
Le sue annotazioni sulla cittvitavina hanno spesso una spera di
arcanit un sapore oppressivo: 俊riste, nervoso, fisicamente
indisposto, paura di Praga, a letto(61), oppure: 促raga. Le
religioni si perdono come gli uomini(62) Janoubl imbastisce un
confronto che mi raccapriccia tra Kafka seduto alla scrivania
dell'ufficio, la testa reclina, le gambe distese, ed il cadaverico
勁ettore di Dostoevskij dalla testa riversa sullo schienale di una
poltrona, le braccia pendenti, in un lugubre quadro di Emil Filla
(63) 亭ra i gesti dei racconti kafkiani - afferma Benjamin - nessuno
pifrequente di quello dell'uomo che piega profondamente la testa
sul petto. E' la stanchezza nei signori del tribunale, il chiasso nei
portieri dell'albergo, la bassezza del soffitto nei visitatori della
galleria(64) Vi sono nei diari assidue allusioni ad un nesso che
si alimenta dell'humus di Praga, quello tra il condannato innocente e
il carnefice che lo trafigge (65) Holan sentenzia: 侵l carnefice
prepara il letto ai poeti. Taci, terra, avrai un osso!(66).
::::::::::
(65) Cfr' Franz Kafka, Confessioni e diari cit', pp' 540, 562,
564-65, 576, ecc'
(66) Vladimir Holan, Kolury (1932), in Babyloniaca, Sebranspisy,
vol' IX, Praha 1968, p' 80.

NOTE:
(1) Bohumil Hrabal, Kafk漷na, in Inzer漮 na d籯, ve kter鄉 u nechci bydlet (1965): in italiano Kafkeria, in Inserzione per una
casa in cui non voglio piabitare, a cura di Ela e A'M' Ripellino,
Torino 1968, pp' 28-29 e 31-32.
(2) Franz Kafka, America, a cura di Alberto Spaini, Milano 1947, p'
148.
(3) Cfr' Id', Confessioni e diari, a cura di Ervino Pocar, Milano
1972, pp' 538, 540, 562, 715, ecc'
(4) Theodor W' Adorno, Appunti su Kafka (1942-53), in Prismi,
Torino 1972, p' 280.
(5) Ibid', p' 275.
(6) Willy Haas, Die literarische Welt cit', p' 32.
(7) Max Brod, Vita battagliera cit', p' 207.
(8) Franz Blei, Das grosse Bestiarium cit', p' 25. I 剃rauti amari
alludono al fatto che Kafka per un certo tempo fu vegetariano. Cfr'
Max Brod, Franz Kafka, Milano 1956, p' 87.
(9) Cfr' Petr Demetz, Franz Kafka a 蟌skn漷od, in Franz Kafka a
Praha, Praha 1947, pp' 46-48; Id', RenRilkes Prager Jahre cit', pp'
113-35.
(10) In una lettera del 9-11-1903 a Oskar Pollak.
(11) Cfr' Petr Demetz, RenRilkes Prager Jahre cit', pp' 11-29,
138-40, 146-50.
(12) Cfr' Max Brod, Franz Kafka cit', pp' 9-14; Emanuel Frynta -
Jan Lukas, Franz Kafka lebte in Prag cit', pp' 70-74; Klaus
Wagenbach, Kafka, Milano 1968, pp' 13-20.
(13) Cfr' Klaus Wagenbach, Franz Kafka: Eine Biographie seiner
Jugend cit', p' 74; Franti蟌k Kautman, Kafka et la Boh瘱e, in
"Europe", novembre-decembre 1971.
(14) Cfr' Klaus Wagenbach, Kafka cit', p' 78.
(15) Cfr' Id', Franz Kafka: Eine Biographie seiner Jugend cit', pp'
162-64; Emanuel Frynta - Jan Lukas, Franz Kafka lebte in Prag cit',
p' 12.
(16) Cfr' Hugo Siebenschein, Prostweda 螮s, in Franz Kafka a
Praha cit', p' 22.
(17) Egon Erwin Kisch, Tschechen und Deutsche, in Marktplatz der
Sensationen cit', p' 95.
(18) Cfr' Franti蟌k Kautman, Franz Kafka a 蟌skliteratura, in
Franz Kafka (Liblickkonference), Praha 1963, p' 47.
(19) Cfr' Max Brod, Franz Kafka cit', pp' 125-31; Id', Vita
battagliera cit', p' 55; Klaus Wagenbach, Franz Kafka: Eine
Biographie seiner Jugend cit', pp' 179-81.
(20) Franz Kafka, Confessioni e diari cit', p' 385 (1o luglio
1913)
(21) Ibid', pp' 204-6 (16 ottobre 1911)
(22) Nel racconto Il cruccio del padre di famiglia (1917) Secondo
Max Brod (Franz Kafka cit', pp' 152-53) "odradek" "come l'eco di
tutta una serie di parole slave che significano "apostata": defezione
della stirpe, rod, dal consiglio, dalla divina decisione di creare,
rada"
(23) Cfr' Gustav Janouch, Colloqui con Kafka cit', pp' 68-69;
Franti蟌k Kautman, Franz Kafka a 蟌skliteratura, in Franz Kafka
cit', pp' 46-47.
(24) Cfr' Franz Kafka, Confessioni e diari cit', p' 604 (23
dicembre 1921)
(25) Id', Epistolario cit', p' 654.
(26) Max Beckmann, Tagebher 1940-1950, Mchen 1955.
(27) Franz Kafka, Epistolario cit', p' 660.
(28) Cfr' Max Brod, Franz Kafka cit', pp' 245-70; Willy Haas, Die
literarische Welt cit', pp' 38-41; Klaus Wagenbach, Kafka cit', pp'
139-45.
(29) Cfr' Jana 蟌rn Adres漮 Milena Jesenk Praha 1969.
(30) Franz Kafka, Epistolario cit', p' 201.
(31) Ibid', pp' 214-15.
(32) Id', Confessioni e diari cit', pp' 296-98.
(33) Id', epistolario cit', p' 212.
(34) Ibid', p' 278.
(35) Ibid', p' 837.
(36) Ibid', p' 201.
(37) Ibid', p' 665.
(38) Cfr' Max Brod, Franz Kafka cit', pp' 304-8.
(39) Cfr' Franti蟌k Kov漷na, Franti蟌k Bilek, Praha 1941.
(40) Cfr' Franz Kafka, Epistolario cit', pp' 478-79; Max Brod,
Franz Kafka cit', p' 169.
(41) Cfr' Dopisy Otokara Bweziny Franti螶u Bilkovi, a cura di Vil鄉
Ne螮s, Praha 1932; B滻n骿 a sochaw (Dopisy Julia Zeyera a Franti螶a
Bilka, z let 1896-1901), a cura di J'R' Marek, Praha 1948.
(42) Cfr' Klaus Wagenbach, Franz Kafka: Eine Biographie seiner
Jugend cit', pp' 66-68; Id', Kafka cit', pp' 20-21; Emanuel Frynta -
Jan Lukas, Franz Kafka lebte in Prag cit', pp' 74-81.
(43) Rio Preisner, Kapil漷y, Brno 1968, pp' 9 e 13.
(44) Franz Kafka, Descrizione di una battaglia cit', p' 11.
(45) Cfr' Emanuel Frynta - Jan Lukas, Franz Kafka lebte in Prag
cit', p' 121.
(46) Cfr' Petr Demetz, Franz Kafka a 蟌skn漷od, in Franz Kafka a
Praha cit', pp' 51-52.
(47) Cfr' Theodor W' Adorno, Appunti su Kafka, in Prismi cit', pp'
269 e 273: "Molti passi fondamentali di Kafka si leggono come se
fossero la traduzione verbale di quadri espressionistici che
avrebbero dovuto venir dipinti"
(48) Cfr' Pavel Eisner, "Proces" Franze Kafky cit', p' 217.
(49) Cfr' Hugo Siebenschein, Prostweda 螮s, in Franz Kafka a
Praha cit', pp' 16-17.
(50) Cfr' Theodor W' Adorno, Appunti su Kafka, in Prismi cit', p'
262.
(51) Willy Haas, Die literarische Welt cit', p' 33.
(52) Cfr' Max Brod, Franz Kafka cit', p' 173.
(53) Cfr' Aleksandr Blok, Zapisnye kni津ki (1901-20), a cura di N'
Orlov, Mosca 1965.
(54) Franz Kafka, Confessioni e diari cit', p' 284.
(55) Id', Epistolario cit', p' 676.
(56) Ibid', p' 43.
(57) Ibid', p' 116.
(58) Ibid', p' 187.
(59) Ibid', p' 51.
(60) Cfr' Max Brod, Franz Kafka cit', pp' 13-14.
(61) Franz Kafka, Confessioni e diari cit', p' 713.
(62) Ibid', p' 760.
(63) Cfr' Gustav Janouch, Colloqui con Kafka cit', p' 15.
(64) Walter Benjamin, Franz Kafka, in Angelus Novus, Torino 1962,
p' 283.

11

L'eroe precipuo della dimensione magica di Praga il pellegrino,
il viandante, che riappare costantemente nelle lettere boeme con nomi
diversi: 厚outn骿(pellegrino), 剃hodec(passante), 咨ul毾
(vagabondo), 勃r碭ivec(camminatore), 勃olemjdouc儢 (girovago),
哀v璠ek(testimonio) Il capostipite di questa numerosa famiglia
il 促outn骿 il Pellegrino, del romanzo allegorico Labyrint sv皻a a
r毄 srdce (Labirinto del mondo e paradiso del cuore), che Jan Amos
Komenskscrisse a Brand蓧 nad Orlic nel 1623, dopo la disfatta
della Montagna Bianca.
Le terre ceche e morave, percorse da soldatesche e masnade di
sbricchi e di sgherri, erano allora campo di atroce battaglia, lago
di vivo sangue, sepoltura di infelici ossa, arena di arsioni e di
ruberie. Nelle memorie di Da蟊ckz Heslova, all'anno 1620, si legge:
促oi gli imperiali, visto che non c'era piresistenza in Boemia, si
misero a predare, a saccheggiare, a sottrarre qua e lper l'intera
terra ceca, frugando tutti gli angoli e catturando la povera gente,
col laccio al collo o altrimenti col fuoco tormentandola,
torturandola e massacrandola, per scoprirne e scovarne il denaro
nascosto, sicchterribile e compassionevole era il racconto di
queste cose. E cosnon v'era nient'altro che: ahi, ahime poveri
noi, e dammi e prendiamo! Nemmeno ai cattolici di religione romana fu
concesso perdono e compatimento; dacci ogni avere e tieniti pure la
tua fede! Molti, fuggendo nei boschi assieme ai bambini, vi trovarono
morte(1)
Komensk giovane sacerdote dei Fratelli Boemi, dovlasciare
Fulnek: i bravi gli avevano incendiata la biblioteca, la peste gli
prese la moglie e due figli. Dal disgusto per la brutalite dal
dolore nasce il suo 勁abirintoIl Pellegrino di Komensksi reca
nel mondo, per conoscere ceti e mestieri. Gli vengono incontro due
guide: Onnisciente Dappertutto (V蟌zv璠 V襁dybud), che gli mette al
collo le briglie della Curiosite alla bocca il morso di ferro
dell'Ostinatezza, e Abbaglio (M滵en, stranamente camuffato e
avvolto di nebbia, il quale gli fa inforcare gli 卻cularidi vetro
del Dubbio con le stanghette di corno dell'Abitudine, perchla
regina del mondo, Moudrost (Saggezza) o Marnost (Vanit, non vuole
che gli uomini guardino ad occhi nudi. Occhiali mirabolanti: 冠 chi
guardava attraverso di essi - asserisce il Pellegrino - la cosa
lontana pareva vicina e la vicina lontana; la piccola grande e la
grande piccola; la noiosa bella e la bella noiosa; la nera bianca e
la bianca nera...(2). cosconciato, il Pellegrino diventa una
sorta di fantoccio allegorico, un ibrido, un uomo-cavallo, da porre
vicino ai mascherati dell'Arcimboldo. Ma gli occhiali (questa sella
da naso, che nel teatro folclorico del Barocco boemo sarsegno di
regalit non gli calzano bene, sicch alzando lo sguardo, egli pu
ancora vedere naturalmente, anche se con la coda dell'occhio, di
sghembo. 雨enchmi abbiate serrata la bocca e velati gli occhi, mi
rimetto al mio Dio che non vorrete legarmi la ragione e il pensiero
(3)
Il mondo una cittrotonda, cerchiata di alta muraglia, cui si
accede per la Porta della Vita, un plesso di strade e piazze
assegnate ciascuna a un diverso ceto. Oltre i muri dirupa una
tenebrosa voragine, al centro un 咬ynk un mercato, formicolante
di artefici e di faccendieri, un palcoscenico grande, una Babilonia,
in cui gli uomini vanno garrendo per accreditarsi saputi e portano
ognuno la maschera, per apparire difformi tra il popolo che vi
concorre affollatamente. Qui si affacchinano in mille faccende e
lavori a sproposito, si accapigliano senza capirsi, con spinte,
capriuole e cadute, e, poichstoliditne ingombra l'anima, si
divertono con raganelle e con mantici e con campane e con ninnoli.
Vanno su alti coturni e su trampoli e si travestono continuamente.
Imprendono qualche lavoro e poi lo tralasciano, scavano e spostano
invano mucchi di terra, inventano nuovi edifici per subito
abbatterli, rovinano le proprie cose e le altrui, si contemplano
compiaciuti allo specchio. In questa labilittutto lume di paglia
che presto si spegne, e tutti quei giuntatori transeunt tanquam
umbrae. La Morte getta a casaccio tra la folla del 咬ynkben alate e
penetrative saette. Chi soccombe scagliato dagli altri nella buia
fossa che attornia il mondo e la folla, tornando dai funerali,
riprende a infollire.
Il Pellegrino si imbatte in una sequela di numeri comici, che
testimoniano come il mondo sia matto, bismatto e senza cervello.
Numeri di uno spettacolo mattaccinesco: non a caso i clowns
dadaistici Voskovec e Weribl vagheggiavano di mettere in scena il
Labirinto (4) Assistiamo agli strambi esercizi, alle fissazioni di
artigiani, filosofi, musici, alchimisti, geometri, astronomi. I
medici tagliano e frugano dentro le viscere. Gli storici osservano i
tempi passati con 厚erspicilli ossia tubi storti puntati
all'indietro. Ma non mancano scene di orrore granguignolesco: i
giuochi, ad esempio, della soldataglia (riflesso dei saccheggi in
Boemia dopo la Montagna Bianca) o il grattarsi dei malati di morbo
gallico.
La corografia della cittcomeniana fatta a caselle distinte, a
哀tazionidimostrative, simili alle vignette dell'Orbis pictus:
哀tazioniche dicono come ogni cosa sia falsa e peritura e distorta
e come l'anfaneggiare, il rovello degli uomini non porti a nulla. A
qualcuno accadrdi trovare qualcosa di analogo tra l'iter di questo
pellegrino barocco ed il viaggio tortuoso del pellegrino 襒ejk, che
da un ospedale ad una prigione, da una caserma a un commissariato
percorre anche lui un 勁abirintogremito di stralunati e di grulli e
di pazzi, la cui ridicolaggine spesso sorgente di raccapriccio. E
non importa se in Ha蟌k il picaresco non ha supplementi di
salvazione.
Il pellegrino-Comenio si ingegna di restare in disparte dal teatro
del mondo, per commentarne le imprese da estraneo, dal di fuori,
quasi per catalogarle, come Tommaso Garzoni nella Piazza universale o
Francesco Fulvio Frugoni nel Cane di Diogene. Ma tuttavia si tormenta
di quell'insania e a tratti viene travolto, come nel viaggio per
mare, in cui la furia di violentissimi nodi di vento mette le onde
alle stelle ed affonda il legno su cui egli imbarcato. Non trova
consolazione ngioia, e nulla nel misero mondo cui ci si possa
appigliare. Invano Abbaglio lo esorta a far mattie. Dopo tante
promesse e giravolte e avventure, egli si interroga: 青he ho? Nulla.
Che so? Nulla. Dove sono? Non lo so, io stesso(5).
Persino la regina Saggezza alias Vanit vaporeggiante di fasto,
risulta una delusione. Quando Salomone, accompagnato da un treno di
saggi, si avvicina al suo trono e le toglie dal viso il velo, che pur
sembrava scintillante e prezioso, il velo si rivela un ragnatelo, e
la stessa regina mostra un viso pallido, gonfio, con rosso belletto
scrostato in pipunti sopra le guance, ha il respiro pesante come
assa fetida, e le mani rognose, e il corpo sconcio, come l'avola di
mazzamauriello, come un fantasma dei racconti di Meyrink. Ma cinon
serve: perchSalomone finisce col cedere alle tentazioni,
abbindolato da Affabilit Untuosit Volutt consigliere della
regina, la quale inoltre manda Potenza con un esercito a sgominare in
battaglia la compagnia dei sapienti.
Anzichcontinuare nella prospezione del falso e dell'insolenza, il
Pellegrino, sebbene Abbaglio non lo consenta (e percisi dissolve),
va a contemplare la cerimonia suprema: il lancio dei morti nel buio
oltre le mura. A tanto spettacolo perde i sensi e stramazza per
terra. Questa dunque la meta? 隹h, non fossi mai nato! Non fossi
mai passato per la porta della vita, se dopo le vanitdel mondo devo
essere solo tributo a queste tenebre e a questi orrori. Ah, Dio, Dio,
Dio! Dio, se sei Dio, abbi pietdi me misero!(6)
Affrancatosi di Onnisapiente e di Truffamondo, il Pellegrino
ritorna nel suo intimo, nella casa abbandonata del proprio cuore, la
cui finestrella di vetro era cosaffumicata, da non lasciar pi
filtrare la luce. Magia degli occhiali, perspicilli diversi con la
cornice di Verbo divino e lenti di Spirito Santo, gli consentono ora
di scorgere la verit Recuperata la fiamma della fede, la quiete
interiore, netto d'ogni mondiglia di turbamento terreno, dedito a
Cristo e protetto dagli angeli, il Pellegrino trova nella comunione
con Dio il senso del proprio viaggio.

NOTE:
(1) Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i, a cura di Ant' Rezek, I,
Praha 1878, p' 268.
(2) Jan Amos Komensk Labyrint sv皻a a r毄 srdce, Praha 1940, p'
15.
(3) Ibid'
(4) Cfr' F'X' 螮lda, 蟌skzrc漮ko, in 螮ld驠 z漥isn骿, VIII, Praha
1935-36, pp' 78-81.
(5) Jan Amos Komensk Labyrint sv皻a a r毄 srdce cit', p' 95.
(6) Jan Amos Komensk Labyrint sv皻a a r毄 srdce cit', p' 113.

12
Ma veniamus ad rem. Perchdico che il Pellegrino comenico ha
sostanza praghese? Anzitutto perchgli occhialoni di corta veduta lo
costringono al sotterfugio di guardare il mondo di sghembo. Egli si
avvale di quello spiraglio, per poter scorgere la veritnon falsata
e conservare il proprio giudizio, nonostante l'assillo dei due
nebuloni Onnisciente ed Abbaglio. Quando nel 咬ynkAbbaglio e la
folla insorgono contro di lui, perchha criticato quella ciurma di
gente vile, quei fuchi ignavi, il Pellegrino, come ogni creatura
praghese, si intana nel proprio silenzio, sfuggendo cosalla
gabelliera inquisizione di chi vorrebbe sequestrargli il pensiero.
青apito che filosofare era vano, tacqui, pensando: se vogliono essere
uomini, lo siano, io perquel che vedo, vedo. Temetti che egli mi
premesse ancor pigli occhiali, ingannandomi; per cui deliberai di
tacere e guardare piuttosto in silenzio le strane cose di cui avevo
qui veduto l'inizio(1)
La coscienza della vanitd'ogni cosa, della labilitdelle imprese
del mondo (coscienza cosapprofondita nel clima della cultura boema)
impedisce al Pellegrino di prendere parte, come Abbaglio vorrebbe,
alla sarabanda di ombratili larve, fantasme superficiose, cornacchie
in sembianza di cigni. Come ogni creatura della dimensione praghese,
egli resta sui margini, in qualitdi testimonio e 冠ffittuario di
ospite che, pur trovandosi in mezzo al rovinio della storia, non
potrmai mutare le sorti di quel 勁abirintonmitigarne l'insania.
E perciil suo riflessivo quietismo, la sua ricerca di un rifugio
interiore.
Ma inoltre il Pellegrino comenico il capostipite di quegli
innocenti accusati che saranno legione nello spazio praghese. 俟ei tu
stesso colpevole, - gli dice Abbaglio - perchchiedi qualcosa di
grande e di insolito che non tocca a nessuno亟 percitanto pimi
torturo - risponde il Pellegrino - che non solo io, ma l'intera mia
generazione sia povera e cieca e non conosca le proprie miserie(2)
Onnisciente Dappertutto si lamenta di lui con la regina Saggezza:
non siamo riusciti col nostro sincero e fedele lavoro a far s
che una vocazione gli andasse a genio e che la seguisse serenamente e
che fosse uno dei docili e ligi abitatori costanti di questa terra
comune; sempre mesto, non accetta nulla e agogna altre insolite
cose(3)
Ed ecco d'un tratto ti sembra che le due inseparabili guide del
Pellegrino preludano ai due assistenti dell'agrimensore nel Castello
e ai due guitti in redingote che, nel Processo, accompagnano Josef K'
al supplizio. E in effetti il Pellegrino del Labirinto viene
condotto, come ad un tribunale, al trono della regina. E non tanto di
lei si spaventa, quanto della belva che, stesa dinanzi al trono, lo
scruta con occhi luccicanti, aspettando di essere aizzata, e dei due
sgherri terribili in veste muliebre che le stanno accanto: uno in
lorica di ferro puntuta come gli aculei di un riccio, l'altro con una
pelliccia di volpe e una coda di volpe per alabarda. cosgiin
Komenskil livore di guardiani zelanti congegna calunnie, e il
pellegrino diventa un 卻bealovan蝏, ossia un accusato.

NOTE:
(1) Ibid', p' 20.
(2) Jan Amos Komensk Labyrint sv皻a a r毄 srdce cit', p' 95.
(3) Ibid', p' 97.

13
Al viaggiatore comenico si ricollega l'eroe del trattatello
filosofico Kulhavpoutn骿 (Il pellegrino zoppo, 1936) di Josef
螮pek, il quale, in scritti e dipinti, inclinsempre verso i
congegni allegorici. Il pellegrino zoppo ha una gamba spezzata, forse
per una caduta di giovinezza o per l'altrui cattiveria o per un
difetto congenito, e percisi muove lentamente, incespicando su un
piede e sostando spesso, ora in qualche fossato, perch勇l fossato
sempre un poco misura del mondo e della vita(1), ora nell'ombra di
un grande albero dal luccicante fogliame.
Il suo un viaggio tra nascita e morte, 削a un luogo indefinito ad
un luogo ancor piimpreciso侵n realt- egli dice - vado dal
nulla nel nulla, solo mi aggiro in qualcosa; non sono luoghi quelli
per cui conduce questo cammino: piuttosto un definito durare, una
tensione nel tempo, piuttosto solo uno stato(2) Dunque un andare
apparente che in realtun'assoluta immobilit Perch come dice
V瘲a Linhartovin Canone granchiesco, - 勁a continua velocit
equivale all'immobile irrigidimentoD'altronde il motivo del
pellegrino ricompare anche in lei, ldove ella afferma: 侵n fondo
sono un eremita (厚oustevn骿, ma a questo ho aggiunto la vocazione
di pellegrino (厚outn骿"), cio ho tolto tre lettere alla prima
parola e sono divenuto la seconda. Un eremita continuamente
pellegrinante(3)
Ma torniamo a 螮pek. Quel festina lente, quell'andare a stracca,
pedetemptim, gradatim, a luogo a luogo fermandosi, consente al
pellegrino di osservare minutamente ciche agli altri sfugge e di
riflettere, senza trasviarsi, sulle ultime cose dell'uomo. Molti
elementi apparentano il libro di 螮pek a quello comenico: la
passivitcontemplativa del protagonista, il suo arrancare tenendosi
agli orli del gran teatro, la sostanza stessa del suo viaggio, inteso
non come intreccio di azioni ma come sequela di incontri, asserzioni
come 勁e maggiori avventure sono quelle interiori(4), particolari
quale la Porta dell'Eternit(Br滱a V膰nosti), l'esaltazione
dell'anima, 冠rmonia tra sentimento e pensiero, alata conciliazione
tra i dolori e le gioie della vita, gratitudine all'essere e in
specie - in specie rivolta contro il nulla 螮pek perrinunzia del tutto alle grottesche e alle ridicolose
metafore con cui, nel 勁abirintocomenico, vien resa l'umana
forsennatezza, e si riallaccia piuttosto alla seconda parte di quel
romanzo-dittico, all'uscita dal 勁abirintonel 厚aradiso del cuore
come Comenio opponendo l'antora della virtper antidoto al napello
del vizio e ripetendo persino il suo moralismo da pergamo. Tutto il
negativo ed il putrido della 剃itt鉬 comenica qui condensato nella
Persona (Osoba), 削emone della fatuit鉬, volpe maestra, furba
trincata, aggressivo e vanesio alterego, tutto teso al successo e
agli onori, quasi dama di corte e castalda della regina comenica.
Dell'influsso che il 厚aradiso del cuoreha avuto su Josef 螮pek
testimonia anche il fatto che il suo pellegrino rivela una forte
indole religiosa. Anche qui si pavoneggia la Vanitas (Marnost), ma,
al contrario che in Comenio, il pellegrino di 螮pek non la rifugge:
勁e sono attaccato - egli afferma - con tutte le mie radici vitali
(5), 南on voglio mortificare il mio corpo e amo troppo il mondo(6)
La ricerca dell'interioritnon esclude dunque per il pellegrino
zoppo la gioia di vivere. Il suo spiritualismo, accresciuto
dall'assiduo dissidio fra Persona ed Anima, non negazione dei
piaceri e della bellezza del mondo.
A differenza che nel 勁abirinto qui la fede non giunge ex
abrupto, con folgore d'apocalissi, come un collirio possente a
serenare il guardo annebbiato dalla visione di mille storture e
mattie, ma connessa sin dall'inizio con quel camminare sciancato,
con quella flemma. Benchsia la vigilia delle stragi nazistiche, di
cui fu lui stesso vittima in un Lager, 螮pek non si sofferma sullo
scurrile e sull'orripilante della 剃itt鉬 terrena, e il suo
pellegrino non volta gli occhi come uno spiritato, ma, sebbene sui
margini e zoppo e fuori del giuoco (come ogni creatura praghese),
proclama di 前ssere senza dubbio felice(7) e sente la vita, non
come sconfitta, ma come 剋rande e inatteso regalo di cui non sa ci
che contenga. E percilibro 哀critto alle nuvole(Ps滱o do mrak,
secondo il titolo dei suoi aforismi di concentramento, che in un
certo senso continuano le riflessioni del pellegrino (8)

NOTE:
(1) Josef 螮pek, Kulhavpoutn骿, Praha 1936, p' 14.
(2) Josef 螮pek, Kulhavpoutn骿, cit', p' 36.
(3) V瘲a Linhartov Canone granchiesco su tema demonico, in
Interanalisi del fluito prossimo cit', pp' 97 e 95-96.
(4) Josef 螮pek, Kulhavpoutn骿 cit', p' 29.
(5) Josef 螮pek, Kulhavpoutn骿 cit', p' 169.
(6) Ibid', p' 65.
(7) Ibid', p' 107.
(8) Id', Ps滱o do mrak Praha 1947.

14
Col nome di Tul毾 (Vagabondo) il pellegrino appariva ginella
commedia Ze eivota hmyzu (Scene di vita degli insetti), che Josef
螮pek aveva scritto col fratello Karel nel 1921. Questo diorama o
piuttosto music-hall allegorico delle pazzie terrene, incarnate da
insetti, se guardato con riferimento a Comenio, potrebbe
considerarsi, per le sue raffigurazioni dei vizi, una sorta di
勁abirinto ossia la prima parte di un dittico, di cui Kulhav
poutn骿 sarla seconda, il 厚aradiso del cuoreNulla cambia se
alla 剃itt鉬 comenica si sostituisce qui la natura, secondo le
predilezioni dei 螮pek, sempre propensi a vedere gran magistero in
qualunque erbuccia o fiorellino sparuto.
Sembra infatti preludere allo zoppicamento del Pellegrino
l'iniziale caduta del Tul毾 ubriaco nella radura di un bosco.
Parlando nel Prologo con una Veronica officinalis, egli definisce
cosla sua vocazione di viaggiatore-filosofo: se avessi radici
come te, non vagherei per il mondo come un randagio. E' cos E se
non vagassi per il mondo non conoscerei tante cose侵o non voglio
migliorare nessuno. Ngli insetti nl'uomo. Mi limito solo a
guardare(1)
Questo personaggio, variante del pellegrino, appartiene al novero
di quei 咨ul歊ie girovaghi e 哀olitari maligni modellati sulle
figure di Jack London e sui 剎osjak儢 di Gor榭ij, che percorrono
l'opera di molti poeti e prosatori boemi del primo Novecento, i
cosiddetti scrittori 冠narchici Fr碲a 褳滵ek, Ivan Olbracht,
Franti蟌k Gellner, Jaroslav Ha蟌k, e in specie Karel Toman. nella
raccolta Slune螽hodiny (Orologio solare, 1913) di quest'ultimo i
咨ul歊i哉anno per il mondo, gigli di campo, - con anima ingenua di
apostoli fuggendo la gretta societbenpensante. Nella vita stessa
del resto Ha蟌k fu un vagabondo, incapace di perdurare in un posto o
in un impiego.
Ma torniamo ai 螮pek. La futilite gli amorosi vaneggiamenti delle
vagheggine farfalle, l'avarizia degli scarafaggi ravvoltatori di
pallottole immonde e l'ingordigia, l'egoismo crudele di grilli,
averle, icneumoni, che si divorano a vicenda, il taylorismo spietato
del formicaio-fabbrica e la cruenta guerra di due fazioni di
formiche, condotte ciascuna da un dittatore, che si ritiene l'eletto:
questo brulichio breugeliano di 厚roverbi fiamminghi queste
illustrazioni per un Buffon trasposto al morale sono stuzzicatoio al
commento del Tul毾, che da un angolo del proscenio, ossia dai
margini, osserva e giudica con un'infilacciata di sentenze
flemmatiche, - inabile, come ogni creatura praghese, a mutare
qualcosa in quel meschino arruffio, tanto pimostruoso per la
piccolezza dei menomi animalucci.
Vi sono in questa commedia due scene in specie di cui si rimane
confusi ed attoniti: la descrizione del formicaio, un rosso edificio,
dove le formiche sfaccendano affannosamente, mentre una di loro,
cieca, seduta dinanzi all'ingresso, misura il tempo; e la guerra, in
cui soldati-formiche si scontrano per un luoghicciolo da nulla, per
哎na spanna di terra da erba a erba per 哎n pezzo di mondo dalla
betulla al pino per 勁a strada tra due steli di erba
青inquantamila morti per conquistare venti passi di latrine(2),
mentre i dittatori inorpellano tanto massacro con lustre di onor
nazionale, prestigio, diritto e babionate consimili, per uccellare
merlotti corrivi. Oh che stupidezza, oh che insania, oh che cecit
促otere sul mondo? - chiede il Vagabondo al primo dei dittatori -
Povera formica, tu chiami mondo quel pezzetto di argilla e di erba
che conosci? Questa misera, sporca spanna di terra? Pestare tutto il
tuo formicaio assieme a te, e nemmeno la corona dell'albero
fruscerebbe sopra di voi, mentecatto!(3) La stessa morte fa da
generale in questo quadro di guerra che, appunto perchintessuto con
le deformanti iperboli dell'espressionismo, rimanda pidirettamente
agli orrori del 勁abirinto a quel punto agghiacciante in cui
Comenio rappresenta gli abusi della soldataglia. E che orrendo
pronostico dei tempi hitleriani ci offre questa mirmecologia in
quella scena, in cui uno dei dittatori, smagliata l'oste avversaria,
nomina colonnello il 亮rande Dio delle formiche Nonostante la turpitudine delle umane imprese e i dolori e le
derelizioni, l'epilogo esprime fede nel vivere, mostrando una
turbinosa danza di effimere che, nel morire, lodano la vita. Eppure
lascia smarriti il grido 信o ancora tanto da dire!del Tul毾
aggredito dalla morte (4), perchsi pensa all'inanitdi una vita
cui non sia dato di intervenire nelle sorti del mondo. Sembra
comunque posticcio l'epilogo 厚er il regista dove il Tul毾 (il cui
nome trapassa ormai in quello di Poutn骿) risuscita e trova lavoro da
un taglialegna.
Nel cuore d'Europa l'uomo che pensa e non si aggrega alla mandria
il pidelle volte costretto a farsi randagio, e spesso randagio in
poca ampiezza di terra, nel cerchio di una strettissima conca, perch
sono altissime come muraglie le invalicabili frontiere. E percisi
vorrebbe che quel Tul毾, quel Poutn骿, piche passivi osservatori e
filosofi, fossero a volte piuttosto astuti maghi dal cappello a
punta, capaci di dissipare dentro una sfera di cristallo la malsania
della loro terra. E fa paura pensare che un bieco amostante dilati
gli occhiali del Pellegrino comenico come la madornale insegna di un
ottico demoniesco, posandoli sulle orbite spente di Praga.
Del resto non da escludere che anche la vocazione del Tul毾 sia
oggi soggetta, come asserisce V瘲a Linhartov al controllo di
appositi funzionari: se qualcuno ha dubbi se si possa o no
condurre nel nostro tempo vita da vagabondo, gli faccio notare che
una sezione speciale del Ministero degli Interni a Praga, sulla
Letn rilascia in particolari giorni un libretto di vagabondaggio e
che tutto consiste nel presentarsi al momento giusto e nella dovuta
sezione(5)

NOTE:
(1) Bratw螮pkov Ze eivota hmyzu, Praha 1947, p' 16.
(2) Ibid', pp' 81 e 84.
(3) Bratw螮pkov Ze eivota hmyzu cit', pp' 90-91.
(4) Ibid', p' 101.
(5) V瘲a Linhartov Quanto pigrigio, in Interanalisi del fluito
prossimo cit', pp' 15-16.

15
Benchsia una variante del Wanderer caro ai romantici, il
pellegrino, che cosspesso riappare nel mondo notturno del poeta
Karel Hynek M歊ha, ha tuttavia una sua ambiguite incrinatura
praghese. Attratto dalle lontananze, incalzato dal desiderio di
andare sempre piavanti, discorre maltriti sentieri, serragli di
scoscese montagne, ma non giungermai alla meta. E perciora
incarna l'anelito della giovinezza verso gli ideali, ora al contrario
la frana dei trasognamenti, la vanitdegli impulsi, la fuga della
negra vita.
Il 剌iacco viandante(匍dlchodec, bramoso di verite di
bellezza, si appressa nella luce lunare alla 厚atria(distretto
incantato dell'immaginazione), che gli balugina dinanzi agli occhi,
inafferrabile nella foschia (1) E viceversa: egli anche colui che
si allontana deluso, svoltando al crepuscolo dietro una roccia,
simulacro e sigillo della nostra breve esistenza (2) E per questo un
morente vien ragguagliato ad un pellegrino, che si volga a guardare
la 厚atria prima di abbandonarla per sempre (3)
Sul tema del viaggio attraverso la vita con supplemento di esilio
si impernia il corto brano di prosa Pout' krkono褼k(Pellegrinaggio
alle Krkono蟌, 1833), narrazione slegata, viluppo di parti
dissimilari, in cui tuttavia balenano tutti i motivi precipui di
M歊ha: il male di vivere, l'enigma dell'oltretomba, l'eterno nulla,
il pessimismo senza rimedio, il pianto per la freschezza che muore,
l'amarezza del disinganno (4) All'inizio il pellegrino un giovane,
che avanza sul far della notte, vestito di nero, per una stretta
viottola, sotto la Sn膱ka, montagna d'ertissimo giogo, nel gruppo
delle Krkono蟌. 俠'occhio suo azzurro un'inesprimibile malinconia
rivelava(5) Egli sgombra focosi sospiri dal petto e si cruccia
della fuggevolezza dei conseguimenti terreni, del dissiparsi delle
utopie giovanili, del perduto amore. Si tratta del poeta stesso, il
quale proietta la propria mestizia sullo scenario delle Krkono蟌, tra
Boemia e Slesia, dove si era recato nell'agosto di quell'anno.
俟olitario pellegrino tornera camminare per la notte sconfinata, il
cui vuoto silenzio si ravviversolamente per il mio lamento(6) Ma
anche questo un andare apparente, un continuo fermarsi per
meditare, un iter da pellegrino zoppo, con l'aggiunta perdella
stregheria della notte.
Il giovane sogna di trovarsi all'alba in cima alla Sn膱ka, in un
gotico chiostro scarrupato, proprio in quell'unico giorno in cui i
morti monaci, rimasti impietriti nell'ultimo gesto, rivivono,
scegliendo poi se tornare per un altro anno in letargo o lasciarsi
seppellire per sempre. Tutto questo episodio, e il funerale, e la
lugubre ridda dei monaci vivi e dei letarghiti ridesti ripetono un
orrido sogno, che M歊ha, come soleva, registril 14 gennaio 1833,
nei suoi taccuini (7) Ma anche l'immagine finale, l'emblema barocco
del Pellegrino, che scende dalla montagna con passo fiacco (匍dl蔂
krokem, ormai vecchio, i grigi capelli cadenti per le cave guance e
la bianca barba sino alla cintola (8), deriva da un brano del diario,
intitolato Poutn骿 (Il Pellegrino):
亟ra una fredda notte, un buio profondo copriva lo stretto sentiero
tra le rocce, per cui, sovente in teschi e scheletri umani abbattuti
inciampando, con passo fiacco incedeva il pellegrino. Lontano e lungo
era il crepaccio roccioso; nero buio tutt'intorno, solo teschi
ingialliti splendevano fiaccamente e in lontananza sulla pialta
roccia dirimpetto al crepaccio, coperta in cima di neve eterna, si
ergeva una croce rischiarata dalla luce abbagliante della pallida
Luna. 雨uona notte- 剎uona nottebisbiglifiaccamente; - come uno
smarrito raggio della Luna pareva dinanzi a lui levarsi una pallida
parvenza, indicando con mano stecchita la croce; ma il turbine,
ululando e gemendo minaccioso, gli parlava con altre arcane parole.
Alle sue spalle divampl'alba; avrebbe voluto ogni tanto voltarsi a
guardare i rosei bagliori che indoravano il sentiero percorso; ma la
tempesta con veemenza lo spingeva avanti e un desiderio inesprimibile
lo trascinava in una terra sconosciuta per lo sconosciuto sentiero
(9)
Boemia: bruegeliana parabola di ciechi. Frotte di
pellegrini-filosofi, male in arnese, avanzano tentoni nella tempesta,
tenendosi l'uno all'altro come ciechi, in diagonale da Praga alla
Sn膱ka. 俠asciateli andare! Sono ciechi e guide di ciechi. Se un
cieco guida un altro cieco, ambedue cadranno nella fossa(Matteo 15,
14)
Il frammento or ora citato torna a punto al proposito nostro di
soffermarci un istante sull'espressione 剎uona notte - buona notte
L'idea ossessiva dell'addio, dell'estremo congedo da tutte le cose,
il saluto finale il Leitmotiv del pellegrino e di altri personaggi
di M歊ha (10) Come una formula magica con ciglia imperlate di
lacrime, quel 剎uona notte(che ritroveremo nel poemetto Edison di
Nezval) ricorre assiduamente nelle sue pagine. Tutto il racconto
Kwivoklad tramato dei fili di questa melodia lacerante. Con un
剎uona nottesi congeda dalla natia Vene[c]ia, in Cik滱i, il vecchio
zingaro Giacomo, prima dell'esecuzione (11), e Bohdana con un 剎uona
nottesi separa dal mondo in Karl驠 Tejn (12) Il giovane di Pout'
krkono褼k anche lui, saluta nel freddo vetro del buio le montagne
con un 剎uona notte e 剎uona notteripete l'eco dai gioghi (13)
Poi, quando ne scende, ormai 厚ellegrino infiacchito(哎mdlel
poutn骿, bisbiglia ancora: 剎uona notte, buona notte(14)
Questo funereo rintocco riecheggia in diverse liriche e in brani
del diario. 雨uona notte, o amore! coppa d'oro - colma di mortifera
delizia! - Il tuo leggiadro regno ingannatore - non sarpila mia
patria(15) Il morente dal sole l'ultima 剎uona notte come il
sole, compiendo il suo pellegrinaggio quotidiano, dla 剎uona notte
ai prati (16) Il bosco grida 剎uona notteall'innamorato, e
l'innamorato all'amata: 剎uona notte(17) Leggendo M歊ha, non si ha
piil cuore a nulla, nell'udire il continuo saluto notturno del
pellegrino, a cui le montagne rispondono anch'esse 剎uona notte
come se la natura fosse sul punto di spegnersi (18) La musica di
quel congedo agghiacciante nasce dalle fuliggini del sangue mesto di
Praga, dal suo umore barocco. E' il memento che vox es, praetereaque
nihil, l'appoggiatura di un'eloquenza ferale, un'incursione della
notte.

NOTE:
(1) Karel Hynek M歊ha, Poutn骿, in Dilo, Praha 1948, III, p' 103.
(2) Id', M毄, in Dilo cit', I, p' 49.
(3) Id', Umirajic in Dilo cit', I, p' 127.
(4) Cfr' Albert Pra魤k, Karel Hynek M歊ha, Praha 1936, pp' 131-33.
(5) Karel Hynek M歊ha, Pout' krkono褼k in Dilo cit', II, p' 157.
(6) Ibid', p' 159.
(7) Karel Hynek M歊ha, Sen, in Dilo cit', III, pp' 82-86.
(8) Id', Pout' krkono褼k in Dilo cit', II, p' 166.
(9) Id', Poutn骿, in Dilo cit', III, p' 144.
(10) Cfr' Bohumil Nov毾, 蟌tba a z歋itek jako prameny b滻n骿ovy
tvorby, in V膰nM歊ha, Praha 1940, pp' 131-34.
(11) Karel Hynek M歊ha, Cik滱i, in Dilo cit', II, pp' 293 e 303.
(12) Id', Karl驠 Tejn, in Dilo cit', II, p' 93.
(13) Id', Pout' krkono褼k in Dilo cit', II, pp' 159-60.
(14) Ibid', p' 165.
(15) Id', Dobrou noc!, in Dilo cit', I, pp' 124-25.
(16) Id', Umirajic in Dilo cit', I, p' 127.
(17) Id', Zastaven斁ko, in Dilo cit', I, p' 78.
(18) Cfr' anche id', Liter漷nz漥isn骿y, in Dilo cit', III, p' 68.

16
Della solitudine di Kafka nella sua terra natia. Dell'ebreo
praghese di lingua tedesca, che vive come in contumacia in un mondo
slavo. Che soffre tragicamente la sua alterit estraneo in ugual
misura ai tedeschi, di cui pur condivide il linguaggio, e ai cechi,
dai quali considerato un tedesco, un forestiero. Del malessere
dell'ebreo non ammesso ma tollerato, con l'animo ingombro di un senso
di insondabile colpa e come costretto ad attendere perennemente un
decreto di accoglimento. Di tutto questo abbiamo scritto.
Il groviglio arruffato dalla stregheria stessa di Praga, mantice
di solitudine e di paura e di perdimento. E in questa luce la
situazione dell'ebreo praghese acquista intime analogie con quella
dell'Homo Bohemicus, il cui albergo nel punto cruciale d'Europa
diventa spesso ghetto e prigione. I due principali romanzi di Kafka
sono specchi della dimensione praghese, e poco cambia se
l'Agrimensore viene respinto dal Castello, mentre con moto inverso
Josef K' chiamato al tribunale.
Con rimandi kafkiani si purinvenire lo stesso disagio di creatura
sui margini in ogni creatura praghese, straniera nella sua terra e
soggetta agli abusi di autoritinaccessibili, a una solerte e
sfuggente inquisizione, che scruta e braccheggia e manipola l'uomo.
Intrappolato in tortuose macchinerie, il pellegrino non pudecidere
della propria sorte, di lui decide una burocrazia misteriosa, a lui,
si chiami Josef 襒ejk oppure Josef K', non resta che cercar
sotterfugi e stratagemmi ingegnosi, per passare attraverso il
soffocante rituale di regole e di imposizioni.
C'un piccolo passo dalla condizione di pellegrino a quella di
accusato innocente. E l'accusato non ha alternative: deve acquietarsi
alle risoluzioni e ai soprusi di arcani giudici e funzionari, contro
cui nulla valgono i criteri della consuetudine, i razionali
argomenti. Non solo, ma, nel subire l'arbitrio, ovvero l'assurda
logica dei loro cavilli, lui stesso finisce col credere che la sua
anima sia imbrattata di imperscrutabili colpe. E cosaccade che
accetti la propria colpevolezza e, sentenziato a morte, si faccia
persino complice dei suoi manigoldi.
Ricordate quel che dice l'ostessa all'Agrimensore? 俠ei non del
Castello, lei non del paese, lei non nulla. Eppure anche lei
qualcosa, sventuratamente, un forestiero, uno che sempre di
troppo e sempre fra i piedi...(1). Come appartiene alla sostanza di
Praga l'inafferrabile Klamm, cossimile a un altro oppressore
praghese, il sovrano di Perla, Patera, in Die andere Seite di Kubin.
Invano il pellegrino di Kafka si ingegna di entrare in rapporto con
lui: Klamm (in ceco 勃lamsignifica 冠bbaglio e Abbaglio, M滵en
un personaggio comenico) 南on parlermai a qualcuno con cui non
vuol parlare, a dispetto degli sforzi di questo qualcuno e della sua
importuna insistenza(2) Del resto nemmeno Barnaba, il messaggero
che trascorre intere giornate al Castello, sicuro chi sia Klamm e
se il Klamm da lui visto sia quello vero. E i messaggi stessi 匍utano
continuamente di valore, le riflessioni a cui danno materia sono
senza fine, il caso soltanto determina i punti di fermata(3)
Quasi volesse trovare quietudine e sonno nell'ambito di una
burocrazia imbalsamatrice, l'Agrimensore smania di giungere alla meta
del suo itinerario, a questo Castello, che un surrogato feccioso
del 厚aradiso del cuoreEgli si aggira e smarrisce nei consolati
scurrili, nei Tingeltangel di quell'occhiuto potere, nel 勁abirinto
dell'Albergo dei Signori e dell'Osteria del Ponte, luoghi di
trivialitmetafisica. Parrebbe che il Castello gli sia negato.
Eppure non c'dissidio fra 厚aradisoe 勁abirinto perchil
Castello continua nel villaggio con la sua falsa sacralit col suo
morto rituale oppressivo, con la sua fitta rete di agenti e di
segretari, che vi si recano per incongrue faccende d'ufficio o per
continuare laggiil loro sonno o per fotterne le donne asservite.
Infatti solo all'Albergo l'Agrimensore riesce a scorgere Klamm,
grasso e pesante, con grandi baffi e con lenti a molla, attraverso
uno spioncino.
Dunque, per arrivare al 厚aradisodistrutto, che ha nome Castello,
mucchio d'altronde di fatiscenti casupole, K' dovrradicarsi (al
contrario del Pellegrino comenico) nel male, nella servit negli
orrori del 勁abirinto del mondo anche se gli abitanti dalla mente
ormai distorta lo accolgono con raccapriccio e superstizione. Perch
il 厚aradisoormai l'inferno, e in cambio di angeli ostenta una
cimiciosa turba di negromanti copisti e coadiutori. E se egli non
saprorientarsi nel groppo delle assurdite accattivarsi i potenti,
la colpa sarancora la sua: il sorcio la tirannia delle gatte.
Viaggio di un pellegrino braccato dagli occulti segugi di un
tribunale invisibile, viaggio tra i malintesi e i cavilli di una
Praga causidica, quello del procuratore di banca Josef K',
arrestato il mattino del suo trentesimo compleanno. Nessuno saprmai
quale sia la sua colpa. E ancora alla fine, prima dell'esecuzione
nella cava di Strahov, l'autore si chieder 非ov'era il giudice che
egli non aveva mai veduto? Dov'era il tribunale supremo davanti al
quale non era stato ammesso?(4) Come ha notato Marthe Robert, nel
Processo, al contrario che nei romanzi polizieschi, si cerca, non il
criminale, ma il crimine (5) E' inutile ogni difesa, se
l'istruttoria svolta in segreto da inquirenti inaccessibili e se lo
stesso avvocato, malsano e sempre in letto, senza conoscere gli atti,
si appaga di stendere un memoriale illusorio. PerciLeni esorta
Josef K': non sia picosostinato, contro questo tribunale non
ci si pudifendere, bisogna finire per confessare. Alla prima
occasione confessi tutto. Solo quando si confessata la colpa si ha
la possibilitdi sfuggire, solo allora(6)
Ma anche inventarsi una colpa non serve. Il processo dilaga, come
una malattia, fomentato da una tribdi scaltriti e malefici
aggiratori e gran maestri di fingere, da una gigantesca
organizzazione, 剃he occupa non solo guardiani corruttibili,
ispettori straccioni e giudici istruttori, che nel migliore dei casi
sono molesti, ma anche un corpo di giudici di alti, anzi di sommi
gradi, con un seguito innumerevole di uscieri, scrivani, gendarmi e
altri aiuti e forse persino carnefici(7)
Il linguaggio disadorno, monodico, di un rigore implacabile, che
quasi un vitreo rigor mortis, questa avvocateria metafisica, cos
diversa dal fiammeggiante e dal febbrile di altri scrittori ebraici
di Praga, concorre a dare sostanza allegorica al Processo. E cos
l'assenza di un'anamnesi che definisca in concreto i personaggi
portanti, i quali risultano quasi astrazioni personificate. Del resto
l'indole di pellegrino del protagonista svelata anche dal fatto
che, nel viaggio verso il supplizio, egli percorre, come quello
comenico, alcune 哀tazionidimostrative (esempi scarniti sino alla
diafanitdelle storture del mondo), avvenendosi in varie comparse
emblematiche, le quali non hanno rapporto tra loro, ma appaiono
separatamente nel suo campo d'azione, perch come afferma Marthe
Robert, il distretto di Josef K' costituito di 厚etits cercles
fermes entre lesquels il est la seule communication possible(8)
Questo aumenta la solitudine del pellegrino-contumace. Ma
l'astrattezza da panoptikum delle comparse non toglie che esse siano
specificamente praghesi. Titorelli, il pittore saccente che pennella
leccati ritratti di giudici, forse imbastendoli come fastelli di
cartacce e di codici, alla maniera dell'Arcimboldo; l'avvocato
malsano, o piuttosto l'avvocato-letto, l'azzeccagarbugli mutato in
suppellettile; la lubrica lavandaia del casamento operaio che ospita
il tribunale; il molliccio commerciante Block, che aspetta in eterno
un segno dell'avvocato; la streghesca Leni, che si concede a tutti
gli imputati clienti del suo padrone; l'affittacamere stessa; i rozzi
guardiani e i pavidi attuari: tengono tutti del sangue, dell'aere
grasso di Praga.

NOTE:
(1) Franz Kafka, Il Castello, a cura di Anita Rho, Milano 1968, p'
80.
(2) Ibid', p' 139.
(3) Franz Kafka, Il Castello cit', p' 257.
(4) Id', Il Processo cit', p' 350.
(5) Marthe Robert, Kafka, Paris 1960, p' 88.
(6) Franz Kafka, Il Processo cit', p' 164.
(7) Ibid', p' 68.
(8) Marthe Robert, Kafka cit', p' 145.

17
E' immerso nella neve il Castello, come un paesaggio invernale di
Bruegel. L'Agrimensore chiede a Pepi: 亭ra quanto tempo sar
primavera?- 促rimavera? - ripetPepi. - L'inverno lungo da noi,
molto lungo e monotono, pernon ce ne lamentiamo, contro l'inverno
siamo ben protetti; un bel giorno la primavera verr e anche
l'estate, non c'fretta. Ma nel ricordo primavera ed estate sembrano
tanto brevi, poco pidi due giorni, e anche in quelle stagioni, pur
con un tempo splendido, cade qualche volta la neve(1)
La neve ritorna continua, ossessiva nelle liriche e nei taccuini di
JiwOrten, poeta ebreo di lingua ceca, travolto ed ucciso da
un'autoambulanza tedesca su un lungofiume di Praga il 30 agosto 1941,
nel giorno (circostanza kafkiana) del suo ventiduesimo compleanno.
Una colata di neve si posa 剃ome una pezza fredda sulla citt
indolenzita(2) 俟e mi ascoltasse la neve, - coscome ascolta i
bambini(3) 促alpavo la neve, era fredda e riscaldava il mio palmo,
la bella, la bella neve, la mia prediletta(4) 俟empre neve! Fiocca
silenziosa, - come una mano che scriva, - quante cose deve
ricoprire!(5) 俚ampine di neve mi hanno graffiato - sul viso,
negli occhi, sul petto...(6). 俗n nevicare paziente - in noi si
scioglie sommesso(7) Il dipingere 剃he cade sulla tela怨 come la
neve bianca, che non sa, non sa nemmeno - perchdebba cadere(8)
Noi stessi 哀iamo neve, se muti, nella nostra miseria ci
sciogliamo...(9). Neve ed uva si accostano in un binomio
suscitatore di magiche 咬瞚eries(10)
Praga e la neve: un tema frequente negli scrittori praghesi,
soprattutto in quelli di sangue ebraico. Paul Leppin, descrivendo
l'inizio dell'inverno, dice del suo Severin: 促er la prima volta gli
fu chiaro che la neve ha un proprio odore, come le mele che siano
rimaste a lungo tra le finestre(11) Hugo Salus canta Hrad螮ny e
San Vito immersi sotto una coltrice di luccicante neve: 侮iuzza degli
alchimisti, anche tu - ti sei tutta sepolta in un letto di neve
(12) Uva e neve, mele tra le doppie finestre, letto di neve: che
operatori di immagini.
Se la stagione di Halas l'autunno, Orten il poeta dell'inverno
卻stile ai frutti(13) L'inverno, come Halas afferma, 剋li si
infiltra tenacemente fra le unghie dei versi(14) Non a caso una
sua raccolta si intitola Cesta k mrazu (Viaggio verso il gelo) In
un'etdi sterminio, in cui le creature umane divennero pipreziose
dell'oro di Ofir (Isaia 13, 12), Orten condivise con la sua
generazione il concetto dell'哎omo nudo senza orpelli nappigli
sociali, schiacciato dal peso della nequizia. Ma ciche picolpisce
nelle sue pagine, anche se puoi trovarne l'origine nella scrittura di
Francis Jammes, sono il pudore smagato, il desiderio di autenticit
la purezza residua dell'adolescenza. Forse anche per questo nella
creazione orteniana si annida tanta neve, ricorre cosspesso
l'inverno.
Di qui la nostalgia dell'infanzia calda e felice, a contrasto col
freddo del Protettorato, il tema del 咬egressus ad uterum del
ritorno alla madre, alla serenitprenatale (15) Di qui il suo
affetto per gli animali e le umili cose che lo circondano, specie per
quelle sprovviste di spigoli, morbide, ovali, che gli danno calore
nella solitudine, anche se come lui inermi e bisognose di conforto.
俟arai il piabbandonato, quando le cose ti abbandoneranno. Le cose
non domandano; dicono di sa tutto. Le cose sarebbero delle
magnifiche amanti(16)
Orten anche lui un pellegrino praghese. Lo dice Halas: 冠more,
purite compassione erano tutta la ricchezza del suo fagotto di
pellegrino e poeta nei viaggi verso il gelo. Sostava con esso alla
porta dell'angoscia accanto alle fessure della notte...(17). Un
pellegrino or ora uscito dall'adolescenza in un tempo calamitoso.
剃osgiovane, coscrudelmente giovane e appena maturo, che nella
mia giovinezza assomiglio gial re di un regno tramontato(18)
L'ultimo triennio di vita a Praga fu per Orten, venuto dalla natia
KutnHora, un'amara sequela di stenti e di privazioni, nello
squallore di camere di subaffitto, una vita alla macchia, braccata,
senza guadagni (spalava talvolta la neve) (19) Lui stesso
cosciente della sua parte di pellegrino che non puspostare nmutar
nulla (20); come i poeti del Gruppo 42, sa di essere solo un
咨estimonio(哀v璠ek, che registra passivamente: 南on sono nato
per nient'altro su questa terra, che per testimoniare(21) Ma
ricusa l'appellativo di 哇oppo gli zoppi sono per lui gli altri, i
cattivi:
隹vete chiesto con che cosa io mi aiuti nel camminare. Ebbene, ho
udito qualcosa sulle grucce delle parole. Non mi immedesimo con
questa locuzione. S grucce, dacchci siamo alzati in piedi a
stento e siamo deboli, e barcolliamo. Ma io intendo qualcosa d'altro:
gambe, gambe delle parole, gambe con talloni, piante, dita, polpacci,
ginocchia, anche, gambe forti, tenere e snelle, gambe, gambine
precipitose e strascicanti, ubriache e audaci, gambe saltabeccanti e
gambe che pestano sulle punte, sulle punte delle vocali dure! Gambe,
gambine del mio ceco! Se (perchmi esprima infine adeguatamente), se
mi lasciassero! Chi? I muti, quelli con grucce di bastoni, fucili e
crudelt quelli con grucce di sciocchezza, odio e alterigia, quelli
con grucce di freddo, nulla e calcolo, quelli con grucce di molte
strade qualsiasi. Se mi lasciassero vivere! Correrei e giungerei in
qualche luogo. A gara con che cosa? Col vento!(22).
Il pellegrino scrive senza tregua, quanto pipresso alla fine
tanto pichiaro splendendo, come una lucerna allo spegnersi.
Siffatta dovizia nella miseria si spiega col suo maturare
precipitoso, con la febbrilitdei suoi giorni sospesi ad un filo,
col presagio di morte che lo assillava. D'altronde, in anni di
sospetti e di scarsi rapporti umani, non gli restava che affidare
alla carta l'esuberanza dei propri pensieri, dialogando con se
stesso, come uno che voglia orientarsi nel buio. Egli lascitre
fittissimi quaderni ben ordinati, dal colore della copertina
chiamandoli: ModrKniha (Libro azzurro, 1938-39), E'駩anKniha
(Libro zigrinato, 1939-40), 蟌rvenKniha (Libro rosso, 1940-41)
Quaderni che, non solo comprendono, come i Tagebher di Kafka o i
taccuini del poeta romantico Karel Hynek M歊ha, appunti di letture,
citazioni di altri scrittori, racconti di sogni, lettere, brani
autobiografici, ma anche, incastonate fra questi frammenti, le stesse
poesie, intese come squarci di diario e specchi della quotidiana
sofferenza. Sicchil diario non arsenale di materiali e di
abbozzi, trampolino e retroterra della creazione, ma creazione
anch'esso, genere a s opera letteraria compiuta, insomma poesia in
prosa e in versi. Coi taccuini Orten conversa come con persone vive,
con donne amate (勃nihafemminile), confessa il suo malumore ai
taccuini nella solitudine (23)
Nel registrare i moti dell'anima, i suoi soprassalti di capriuolo
aggredito, il disinganno, le paure, Orten accorda ogni frase della
scrittura sull'unica tonalitdi un lirismo attonito, che avvolge il
dolore come in un velo di favola. E accade perciche persino
l'elenco agghiacciante dei divieti imposti a un ebreo assuma sostanza
lirica (24) La ruggine tuttavia non sfugge al suo ferro, come dice
Holan in Lemuria (25), e la liricitnon allevia il morso dello
sgomento, la disperazione a fatica tenuta a briglia. 信o una gran
voglia di una mela grossa e succosa. Ho una gran voglia di una
passeggiata breve, tagliente e piena di gelo. Ho una gran voglia di
libert鉬 (26)
Orten partecipa di alcuni motivi dominanti della demonia praghese:
l'ossessione del nulla, l'eterno errore (哀bagliare eternamente, fino
ad essere puri (27), l'incubo di un muro insormontabile, il senso
della vanit(egli dice a un canarino: 俟ono anch'io come te. Di
Canarinia. - Venuto al mondo per la vanit鉬) (28), la coscienza della
colpevolezza. Orten, che vive come Josef K' tra le strettoie di una
camera di subaffitto, anche lui un condannato innocente. Nella
Poslednb滻e(Ultima poesia, 24-IX-40) si autoaccusa:
- Sono colpevole per l'odore che odora,@ per il vano desiderio di
un padre,@ per i versi, lo so, per l'amore perduto,@ per il pudore e
il silenzio e la terra infelice,@ per il cielo e il Signore che ha
accorciato severo i miei giorni@ in un paradiso morto all'apparenza
-@ (29)
Se soffro, non possibile che io sia privo di colpa. Sono
colpevole, perchcondannato. E accetto una pena di cui non so la
ragione. Accetto le colpe del prossimo, proclamandomi colpevole (30).
Invitati ad esprimere l'ultimo desiderio, i condannati a morte -
afferma Orten nella Prima Elegia - non chiedono clemenza per la
vergogna e la paura di mettere il giudice nell'impaccio di non
poterli accontentare. Chiedono piuttosto tabacco e una cena ed un
sorso 剃he inumidisca la gola, - la gola che sarstrangolata
青omprensivi, solleciti fingono di aver gustato quel vino 厚er
buona pace del boia(31) 青ompatire i carnefici, andare diritto al
patibolo - e cantare, cantare fino all'estremo!(32)
In quella situazione senza scampo scriver poesia fu per Orten come
respirare. Soltanto la poesia, vergata giorno per giorno, gli permise
di non crollare dallo sconforto. La poesia, che gli nasceva in un
flusso melodico, sebbene non schiva dei trucchi e delle scaltrezze,
era per lui l'unica difesa possibile dell'esistenza minacciata, e
insieme un rimedio alla perdita della libert Ginel '38 aveva
scritto a Halas: 哉oglio esser poeta con tutto il cuore e ancor pi
e voglio morire per questo(33) Ma nel triennio delle persecuzioni,
nella doppia estrania di pellegrino praghese e di ebreo senza patria,
si fa piaccanito l'attaccamento di Orten alla 剃osa chiamata
poesia groviglio terribile che assorbe l'intero organismo,
risucchia i nervi, dissangua. Poesia come caparbiet argine che
respinge ancora la morte, anche se ne vermina tutto, ricerca
dell'essenza dell'uomo nell'impenetrabile nulla che lo avviluppa, ma
insieme barlume di speranza, anche quando ormai la candela brucia da
entrambi i capi, perch削opo l'infinito resta la Nona ancora(34)
Orten supera il vuoto di quegli anni flagiziosi con una sorta di
furia poetica. 俟olo questo il mio mondo, la mia speranza, la mia
fede, scrivere, scrivere fino al termine estremo(35) Quanto pi
cresce l'orrore all'intorno, tanto piaumenta il suo spasimo di
trasformare in atto creativo l'esasperante tensione, come se tutto
quello che accade e che lo minaccia fosse solo uno stimolo perch
egli scriva. Il pellegrino sa bene che non cambierniente, perchla
poesia non elleboro per risaldare il cervello agli scatenati,
perchtutto predestinato e immutabile: 俠a pietra fu data, - la
pietra fu data!(36) Ma cinonostante bisogna aderire al proprio
destino, guizzare nell'inestricabile assurdo, trovando salvezza in se
stessi, dare un senso a ciche pidisperato. Bisogna compiersi
fino in fondo, essere, prima che vengano a prenderti.

NOTE:
(1) Franz Kafka, Il Castello cit', p' 337.
(2) JiwOrten, Den骿y, a cura di Jan Grossman, Praha 1958, p' 89.
Cfr' id', La cosa chiamata poesia, a cura di Giovanni Giudici e
Vladimir Mike Torino 1969, pp' 20-21.
(3) Id', Cvi蟌no sn璡u, in Den骿y cit', p' 158.
(4) Id', Den骿y cit', p' 204.
(5) Ibid', p' 190.
(6) Id', Sn璔npout', in Den骿y cit', p' 333.
(7) Id', Ml蟌n in Den骿y cit', p' 347.
(8) Id', Bilobraz, in Den骿y cit', p' 159. Cfr' id', La cosa
chiamata poesia cit', pp' 50-51.
(9) Id', Dev漮elegie, in Den骿y cit', p' 402. Cfr' id', La cosa
chiamata poesia cit', pp' 170-71.
(10) Cfr' id', Sn駩 nebo r鈞a, in Den骿y cit', p' 449. Cfr' id', La
cosa chiamata poesia cit', pp' 194-95.
(11) Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis cit', p' 49.
(12) Hugo Salus, Wintertag auf dem Hradschin, in Oskar Wiener,
Deutsche Dichter aus Prag cit', p' 306.
(13) JiwOrten, Den骿y cit', p' 231. Cfr' anche id', La cosa
chiamata poesia cit', pp' 76-77.
(14) Franti蟌k Halas, Magickmoc poesie, Praha 1958, p' 111.
(15) Cfr' Antonin Brousek, Hrst kaminkna nepwitomnhrob Jiw駩o
Ortena, in JiwOrten, 蟌mu se b滻ew骿 Praha 1967, pp' 14-15.
(16) JiwOrten, Den骿y cit', p' 267. Cfr' id', La cosa chiamata
poesia cit', pp' 90-91.
(17) Franti蟌k Halas, Magickmoc poesie cit', p' 110.
(18) JiwOrten, Sedmelegie, in Den骿y cit', p' 393. Cfr' id', La
cosa chiamata poesia cit', pp' 162-63.
(19) Cfr' Ota Ornest, O bratrovi, in JiwOrten, Den骿y cit', p'
465.
(20) Cfr' JiwOrten, Den骿y cit', p' 155.
(21) Ibid', p' 89. Cfr' id', La cosa chiamata poesia cit', pp'
20-21.
(22) Id', Den骿y cit', pp' 165-66.
(23) Cfr' Jan Grossman, Den骿y Jiw駩o Ortena, in JiwOrten, Den骿y
cit', pp' 7-32.
(24) Cfr' JiwOrten, Z毾azy, in Den骿y cit', pp' 303-4. Cfr' id',
La cosa chiamata poesia cit', pp' 116-17.
(25) Vladimir Holan, Lemuria, 1940, p' 18.
(26) JiwOrten, Den骿y cit', p' 318. Cfr' id', La cosa chiamata
poesia cit', pp' 122-23.
(27) Id', V膰n in Dilo, Praha 1947, p' 398. Cfr' id', La cosa
chiamata poesia cit', pp' 114-15.
(28) Id', Co jsem odpov璠瘭 kan漷kovi, in Den骿y cit', p' 282. Cfr'
id', La cosa chiamata poesia cit', pp' 102-3.
(29) Id', Poslednb滻e in Den骿y cit', p' 289.
(30) Cfr' V歊lav 蟌rn Za Jiwim Ortenem (1947), in 信ost do domu
1966, 9, e Josef Koci滱, JiwOrten, Praha 1966, pp' 56-57.
(31) JiwOrten, Prvnelegie, in Den骿y cit', p' 367. Cfr' id', La
cosa chiamata poesia cit', pp' 138-39.
(32) Id', Scest in Den骿y cit', p' 408. Cfr' id', La cosa
chiamata poesia cit', pp' 178-79.
(33) Franti蟌k Halas, Magickmoc poesie cit', p' 110.
(34) JiwOrten, Po hudb in Den骿y cit', p' 300. Cfr' id', La
cosa chiamata poesia cit', pp' 112-13.
(35) Id', Epitaf, in Den骿y cit', p' 326. Cfr' id', La cosa
chiamata poesia cit', pp' 125-26.
(36) Id', B滻ekamene, in Den骿y cit', p' 119. Cfr' id', La cosa
chiamata poesia cit', pp' 28-29.

18
Anche i viaggiatori stranieri, venuti nella capitale boema si
atteggiarono spesso a pellegrini. Un pellegrino il protagonista del
mediocre romanzo The Witch of Prague (1891) di Francis Marion
Crawford (1854-1909) tradotto in ceco col titolo Praesk螮rod疀ka
(1912) da Karel Vratislav. Pasticcio prolisso, infrascato di tediose
elucubrazioni, questo libro, per la precisione dei riferimenti
topografici, fa pensare che Crawford, il quale nacque e trascorse
gran parte della sua vita in Italia, conoscesse Praga minutamente.
L'immagine tetra del pellegrino, ed inoltre: le scene nel cimitero
ebraico; la figura dell'ebreo esaltato Israel Kafka, simile al
Ganymedes di Kar滻ek e come lui sofferente di mal sottile; l'ambiente
Secese della maga onorna; il problema del prolungamento
dell'esistenza (onorna custodisce un vecchio ipnotizzato); la
scongegnata e scrignuta sembianza dell'orientale Kyjork Arabian e il
suo gabinetto delle mummie; la dipintura della CittVecchia col
labirinto delle sue straducole e con le sue case decrepite; la
continua allusione alla mestizia che pesa sulla capitale dai tempi
della Montagna Bianca: tutto questo inserisce consapevolmente il
romanzo nella dimensione dei miti praghesi.
Il pellegrino appare all'inizio nella chiesa di T蓽 tra la folla in
preghiera, al fioco barlume delle candele per i defunti. Poi,
inseguendo per Praga la donna amata, si infila nel vecchio palazzo 俗
zlatstudny(Al pozzo d'oro) a via Karlova. E il portinaio, dalla
bionda barba fluente sino alla cintola e dall'assisa verde cupa con
passamani d'oro, lo introduce in una sorta di giardino d'inverno,
gremito di una turba di piante lussureggianti e di alberi tropicali,
consimile all'Eden sotterraneo, 咬oyaume de la f嶪rie tutto liane e
rose d'Oriente e uccelli del paradiso, in cui abitava Hadaly, il
manichino costruito da Edison ne L'E've future di Villiers de
l'Isle-Adam. Qui lo accoglie, vestita di bianco, con un diadema di
capelli rosso-oro, dall'alto di una poltrona intagliata, sotto il
fogliame di una palma, l'ammaliante onorna (da 卻nor febbraio),
un'ambigua creatura Secese, degna di uno 襒abinsk
Il pellegrino giunto a Praga, girando il mondo sulle orme della
fanciulla amata. Benchonorna, invaghitasi di lui, cerchi di
fargliela dimenticare e di soggiogarlo con artifizi negromantici e
con l'aiuto del bieco Kyjork, egli ritrovernella capitale boema la
sua Beatrice. Ma tante balorderie, tanti scampoli da racconto di
orrori sono solo contorno alle camminate del pellegrino per la citt
annuvolita e cimmeria e come parata a lutto, pretesti al suo
vaneggiare sulla sostanza afflitta di Praga.

19
Per l'indole deambulatoria e la propensione ai sofismi non diverso
dal 厚ellegrinonelle lettere ceche il 剃hodec il passante: solo
che egli si muove, non sugli sfondi allegorici di un'astratta citt
fasciata di mura, ma in un paesaggio minuziosamente praghese, con
rimandi da Baedeker.
Il poeta Jaroslav Vrchiick nel ciclo Praeskobr漘ky (Quadretti
praghesi) della raccolta Mvlast (La mia patria, 1903) si definisce
pivolte 剃hodece 剃hodec samot漙(passante solitario) e
哇pozd瘽chodec(passante attardato) (1) Un passante instancabile,
un malinconico camminatore il protagonista del romanzo Santa Lucia
(1893) di Vil鄉 Mr褾骿, lo studente Jord滱, innamorato di Praga come
di una donna. Le passeggiate di Jord滱 ad ogni ora della notte e del
giorno, in ogni stagione, soprattutto dentro la nebbia, offrono il
destro a Mr褾骿 per comporre una musicale sequela di vedute della
cittcoi riverberi e i lampi di luce e con gli sprazzi
dell'impressionismo. Ma l'indifferente e civetta bellezza di Praga,
che muta d'aspetto a ogni istante, contrasta tragicamente con la
solitudine e la disperazione del giovane di provincia, che vi trover
la morte. Spettacolo oltre ogni usato oppressivo l'ultima
passeggiata di Jord滱 febbricitante e quasi in deliquio. Mr褾骿 vuol
dirci che a volte il passante di Praga in dissidio con Praga stessa
e vittima della sua volubilite demonia.
Anche Apollinaire porta il suo contributo al mito del pellegrino
praghese, compiendo, nel racconto Le passant de Prague (1902), la
traversata della capitale boema assieme a Isaac Laquedem,
reincarnazione dell'Eternel Juif. Nel tessuto di Praga il suo
Ahasvero, che cammina incessantemente, si agguaglia al
viandante-filosofo della tradizione boema. I suoi passi uguali e
lenti (剃omme ceux de quelquun qui, ayant un long chemin
parcourir, ne veut pas 皻re fatiguen arrivant au but e
l'accettazione serena della vita (勉e ne parcours pas un chemin de la
croix, mes routes sont heureuses (2) avvicinano Isaac Laquedem allo
zoppo di 螮pek.
Al suggestivo racconto di Apollinaire, e insieme alle pagine de Le
paysan de Paris di Aragon, si ricollega Vit瞛slav Nezval nel libro
Praeskchodec (Il passante di Praga, 1938) Il chodec-clochard di
Nezval, ossia Nezval stesso, va errando col ritmo saltellante della
sua poesia, che tutta un capriolare sino all'ultimo sfinimento, una
girandola da illusionista, un geyser di metafore: sfarfalla
sbandatamente di strada in strada, per chiese, bettole, ponti, caff
birrerie, chiese, teatri, in percorsi discontinui e incrociati,
cercando i prodigi nascosti e l'arcano di Praga alla vigilia di tempi
travagliosi.
Nezval riscopre col filtro di Parigi la sua cittminacciata,
prossima a farsi bersaglio dei fulmini e nido a male augurati uccelli
notturni. Ed strano che certi attributi di Praga, come il bizzarro
da romanzo nero, le connessioni astrologiche, le stesse reliquie da
rigattiere coincidano con le predilezioni del surrealismo, cui Nezval
apparteneva. D'ora in poi Praga sarsempre impigliata per i poeti in
questo suo reliquiario di cose muffite da Marchaux Puces.
A differenza del 厚outn骿di Josef 螮pek, che guarda gli
avvenimenti come un gelido lento uccello pensoso, il 剃hodec
nezvaliano non possiede la 剌elicitdella meditazione(3): corre
irrequieto tra le meraviglie di Praga, senza indugiare in giudizi e
perscrutazioni. Eppure Nezval sente che esiste un legame tra il suo
passante ed il pellegrino zoppo (da lui chiamato anche 則rbat
chodec passante gobbo) (4), non fosse altro che per la coscienza
dell'identitdel miracolo con la fuggevolezza dell'esistenza. 侵l
compito del passante sembra essere forse cosideale appunto perch
la vita fugge(5) Tutto, in questa sua esplorazione praghese, odora
di miracolo: e tutto come quella farfalla imprigionata in una sfera
di cristallo che egli, assieme a Breton, contempla a Pwemyslova ulice
nella vetrina di una stireria: oggetto inquietante che unisce la
vanitlepidottera (ritornano in ballo le effimere dei 螮pek) alla
magia del pronosticare da globi di vetro e che Nezval associa col
nascere di Aube, la bambina concepita da Breton a Praga (6)

NOTE:
(1) Jaroslav Vrchiick Slav骿 v m瘰t U semin漙skzahrady, Motiv
z Hrad螮n, in Mythy. Selskbalady. Mvlast, Praha 1955, pp' 413-14,
424, 426.
(2) Guillaume Apollinaire, 飀vres completes, a cura di Michel
decaudin, I, Paris 1965, pp' 106 e 110.
(3) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 241.
(4) Ibid'
(5) Ibid', p' 235.
(6) Ibid', pp' 252-53 e 259.

20
促raga era pibella di Romaafferma Jaroslav Seifert all'inizio
del poema Sv皻lem od瘽(Vestita di luce, 1940) (1), con un paragone
venuto giin mente a parecchi visitatori, tra cui lo scultore Rodin
(2) Il poema descrive l'ubriaca scorribanda di un pellegrino
incantato attraverso Praga nei giorni dell'occupazione nazistica:
dalla Cattedrale di San Vito alla Viuzza d'Oro, al Belvedere, al
Ponte Carlo, sino al Cimitero ebraico, - e a ritroso, per Mal
Strana, al Castello.
Vi sono frequenti allusioni al travaglio e al malessere di quei
tempi tristissimi. Eppure Seifert ci offre a contrasto la rara
immagine di una Praga luminosa, tutta tessuta con melodiosi fili di
luce, e come in punta di piedi, danzante, lievissima. Del resto in
tutta la poesia seifertiana Praga appare simbolo della primavera e
dell'eterno rifiorire, albero che di continuo si rinchioma e
ringiovanisce.
Egli si ricollega, movendo dall'esperienza dell'avanguardia
厚oetistica a Vrchiick e in specie al suo ciclo Praeskobr漘ky
(Quadretti praghesi), in cui la cittsulla vitava sinonimo della
stagione novella, 匍are di verde e di fiori(3), cinguettio
smanioso. Vrchiick che nel poemetto di Seifert balena con
匍ustacchi di trichecoe col 削ito ingiallito di nicotina(4), in
una lirica di quel ciclo, dal titolo Hrad螮ny pwi z漥adu (Hrad螮ny al
tramonto), si atteggia lui pure a 厚outn骿 dinanzi ai cui occhi,
nel luccichio del crepuscolo, il Castello 剃ome fata morgana affiora
dal buio(5)
In Seifert il tema della primavera il suggello che Praga durer
nonostante la fuga del tempo e il mutar delle cose terrene e il
ferale sterminio e l'arbitrio dei calibani. Ma un altro motivo
pervade le inquadrature di questa carrellata: quello del ritorno: il
ritorno a Praga, rifugio dei tribolati e porto dei naufraghi: motivo
frequente nella poesia ceca degli anni dell'occupazione tedesca,
spunto del musicale e malinconico poema Jan houslista (Jan il
violinista, 1939) di Josef Hora, il cui eroe torna in patria, ai
luoghi della giovinezza, affranto dalla nostalgia. In quegli anni ai
poeti sino allora invaghiti delle 匍eravigliestraniere ogni sterpo
di Boemia sembra d'un tratto un rosaio, ogni cencio oro e porpora. Le
rondini tornano al nido. Dopo le avventure nel labirinto del mondo,
Seifert, campione di una generazione che propugnava l'esotismo e la
fuga verso Parigi e contrade lontane (Biebl, suo compagno di gruppo,
sino agli ultimi regni di Giava era andato pellegrinando), trova a
Praga, nella cittconculcata, il paradiso dell'anima. Perch
scritto: 勇n nidulo meo moriar(Giobbe 29, 18)

NOTE:
(1) Jaroslav Seifert, Sv皻lem od瘽cit', p' 11.
(2) Cfr' M瘰to vidim velik a cura di Vincy Schwarz, Praha
1940, p' 476.
(3) Jaroslav Vrchiick Praha v kv皻u, in Mythy. Selskbalady. M
vlast cit', p' 383.
(4) Jaroslav Seifert, Sv皻lem od瘽cit', p' 39.
(5) Jaroslav Vrchiick Praha v kv皻u, in Mythy. Selskbalady. M
vlast cit', p' 425.

21
Negli anni dell'occupazione nazistica un altro passante percorre
Praga, il 哉ratkkr碭ivec il 勁abile camminatoredel poemetto
PrvnTestament (Primo Testamento, 1940) di Vladimir Holan. cos
sottile e smilzo che 厚otrebbe dormire dentro un capello il
勃r碭ivec ossia la 剌erialitfatta persona(哉蟌dnost sama, al
primo romper dell'alba va per l'afflitta metropoli a spargere
briciole dolci agli uccelli. Sinistro e sonnambulo, come un fantoccio
animato da un Caligari, benchstringa al collo una sciarpa, 南on
soffoca la gutturale dei propri singhiozziMentre egli avanza, i
匍orti apparenti i letarghiti si svegliano e scendono in strada
(1) Nel pigia pigia il 勃r碭ivecafferra frantumi di dialogo,
discorsi smozzicati, invettive triviali, saluti, clamori di strilloni
e di rivenduglioli: 隹bf鄟le der Umgangssprache detriti verbali che
si ammucchiano in una sorta di 俑erzdichtungDopo la passeggiata
mattinale, il luttuoso 勃r碭ivecritorna nel suo 哀epolcroQuesto
esemplare funereo, venuto dalle danze macabre del Barocco boemo, ben
si inserisce nell'orrido panoptikum dipinto da Holan nei giorni di
guerra, nel suo stridulo cinema di larve e di lemuri, nella sua
勇nfernaliana che sembra proiettata dal fumigante fungo di una
storta lucerna.
C'uno stretto rapporto tra il 勃r碭ivecdi Holan e il 南o螽
chodec il "passante notturno parvenza precipua dei poeti e dei
pittori, che durante l'occupazione si raccolsero nel Gruppo 42. Il
南o螽chodecsi incontra di sfuggita giin Nezval, nel poemetto
Diabolo del 1926. Ma adesso diventa il protagonista di un'intera
stagione delle arti e delle lettere ceche. I poeti e i pittori del
Gruppo 42 si prefissero di descrivere con la minuzia ossessiva del
surrealismo gli aspetti pidesolati della grande citt mettendo in
specie in risalto la vita monotona e squallida dei quartieri
industriali e di quelle zone sui margini, in cui le case si perdono
fra gli acquitrini e le erbacce (2) Non pile 匍eraviglie
riscoperte da Nezval alla vigilia del Grande Buio, ma l'aere grasso e
il malessere dei rioni di periferia: Hole蟞vice, Dejvice, Ko鍎we,
Nusle, Podbaba, - e di qui la disperata nausea, il merore di Praga
nelle angustie del Protettorato. Una Praga su cui sembra incombere,
come un oggetto cattivo incastrato fra casamenti-caserme, il
gassometro di Libe quale appare nei dipinti di Franti蟌k Gross,
enorme sfera di metallo, rotondo fungo mostruoso (3)
Steccati di legno, bidonvilles, alveari decrepiti, muri vaiolati
come le tarantole, capolinea deserti, acquedotti, macelli, lampioni
su altissimi pali, immensi depositi di rifiuti e rottami da
咨andlmark alberghi ad ore, taverne simili a nidi di sorci,
orinatoi catramati, reclames sul cieco rovescio poroso di case in
sfacelo: ecco il mesto paesaggio dei quadri e dei versi del Gruppo.
Solo uno dei pittori, Kamil Lhot毾, si allontana con la fantasia sino
agli inizi del secolo, rievocando con la passione di un collezionista
macinini da cimiteri di auto, motocicli con side-car, mongolfiere,
biplani, reclames di gasolio, antiche vetture da corsa. Per
l'insistenza con cui raffigura gli aerostati, diresti che egli
appartenga al novero di quei 剎allonistesche in Robur le conquerant
di Jules Verne difendono con accanimento i loro 剎allons dirigeables
contro coloro che esaltano le macchine volanti.
pispesso il passante notturno si ripresenta nei quadri di
Franti蟌k Hude蟌k (4) Nella gelida notte invernale tempestata di
stelle egli penetra, messaggero misterioso, tra l'uniformit
casermesca dei casamenti. Su lui convergono la semiluce che filtra
dagli alti lampioni azzurrati per l'oscuramento e guizzi di lampadine
tascabili e strali di stelle, sprizzando con lo sfavillante barbaglio
delle candeline dell'albero di Natale. Sicchegli intrappolato e
nascosto, come in un rompicapo, in una geometrica f嶪rie, in una
trama di raggi, che a volte gli tracciano intorno larghissimi cerchi,
come se fosse bersaglio del tirassegno delle incrociate luci
notturne. La periferia diventa il teatro di una funebre luminaria, un
mistero cosmico, e il pellegrino-passante, complice della magia della
notte e come venuto dalla Sn膱ka di Pout' krkono褼k sembra lui
stesso un groviglio di stelle filanti e di scie luminose. I lunghi
filari di lampioni con tegamini che coprono globi di luce offuscata
sono alti su lui come i doppieri sospesi da servitori in livrea sopra
la testa di Carlo Rossmann nei corridoi labirintici della villa di
Pollunder in Amerika (5) C'in questo passante qualcosa dell'antica
fede praghese negli astri e nel loro influsso sulle sorti degli
uomini.
Simile a quello stellare di Hude蟌k il passante notturno del
poeta JiwKol漙, che ha nome anche 咬annchodec(passante
mattinale), 勃olemjdouc儢 (girovago), 哀v璠ek(testimonio) (6)
Poichsi muove in un tessuto di desolata miseria, fra
casamenti-caserme, ldove 勁unghe tovaglie di muffa厚endono in
stracci dai cieli(7), vien fatto di immaginarlo, al pari del
勃r碭ivecdi Holan, minuto, quasi lo avessero succhiato le streghe.
Molte delle ampie odi a pivoci di Kol漙 nascono da passeggiate
notturne o allo spuntare dell'alba per la pulciosa, affamata,
disavvenente periferia praghese, che egli invoca coi toni delle
litanie: 咨riste cane famelico strappato dalla catena ed ululante al
cielo(8)
Le 哀tazioniquaresimali di questo passante, piccolo uomo reietto,
sono le birrerie, le balere, le sale d'aspetto, gli scali merci, i
哀ipari crepati delle tavole di reclames(9), i ponti, le 哉uote
corde di lire di casamenti(10), le 南avate di templi con infinito
corale di vasellame - fra incenso di sciacquature(11) Dalla strada
egli irrompe sin dentro il cuore delle misere abitazioni: come se in
Kol漙 le brutte case trasparissero, mostrando tristissimi interni con
carabattole di sorda e vil suppellettile, di spelacchiata mobilia.
Questa scrittura aspra, ruvida, tutta schegge di dialogo,
parentesi, gridi, incline alle metafore barbare e alla prosa, al
parlato, esprime mirabilmente la sostanza scurrile, il malsano della
periferia, il brulichio della moltitudine informe che, anche in
Kol漙, come in Holan, suscita associazioni cibarie: 勇nvisibili mani
rimenano sulle spianatoie dei marciapiedi la pasta dei passanti
(12) Ma nella trivialit nell'ordito scurrile si insinuano sprazzi
di metafisica, analogie musicali, schiere foltissime di angeli forse
discesi da insegne di drogherie, forse fratelli degli halasiani
angeli della morte. Dalla 促oesie der Banalit酹Kol漙 sa far
scintillare improvvise note trascendentali. Una sorta di concerto
angelico sempre accompagna le sue vicende plebee di matrimoni
falliti, di infedeltconiugale, le sue camminate in un mondo
rancioso e sbricio, - e non importa se i suoi angeli sono anch'essi
assai spesso rozze reliquie di periferia. La squallidezza degli
sfondi non impedisce al poeta di raddoppiare come per arte maga il
mistero, lo spazio della notte.
Girano e annaspano con un andare pazzissimo i pellegrini praghesi
nel tempo dell'occupazione. Nei dipinti di Franti蟌k Gross il
passante si muta in 哎omo-macchina(恃lov瘯-stroj, arcimboldesco
meccano, agglomerato febbrile di leve, rotelle, stantuffi, bulloni, -
figura plumbea e senza la levitazione del pellegrino di Hude蟌k,
rocchetto di raggi stellari, nel quale sembra rivivere l'arcanitdei
sestanti dell'astrologia rodolfina. In alcune poesie di Ivan Blatn
il passante diventa il 勃olemjdouc儢, il 剋irovago un automa, un
impiegatuccio, che goffamente bighellona per la citt come un guitto
da comica slapstick, con giravolte inutili e soste in negozi, un
essere grigio, ma non alieno dai sogni e con un briciolo a volte di
stravaganza e follia (13)
Ma, tornando alle immagini di Hude蟌k e di Kol漙, sorge il dubbio
che anche stavolta tutto quel movimento, quel zigzag di percorsi sia
solo illusorio. E che il passante, alloppiato dagli umidi e grassi
vapori della periferia, sospeso in un viluppo di raggi stellari, sia
fermo nel morto silenzio che ingombra le strade, - fermo come il
南ehybnpoutn骿 il 厚ellegrino immobile effigiato da Franti蟌k
Janou蟌k, uno dei pittori picari al Gruppo 42. Il passante di
Nezval aveva colto la spuma iridescente, lo scintillio dell'eterna
bellezza della cittminacciata. Il passante notturno attraversa
invece lo squallido 勁abirintodella periferia, senza illudersi e
senza ammirare e, come un angelo caduto, senza alcuna speranza di
厚aradisoPellegrinaggio e miseria diventano tautologia. Non c'
riscatto. Non esistono occhiali che facciano di un mondezzaio una
montagna di gioia e un belvedere di un casamento-caserma.

NOTE:
(1) Vladimir Holan, PrvnTestament cit', pp' 9-10.
(2) Cfr' JiwKotal骿, N瘯olik pozn滵ek o Skupin1942, in
亟'ivot 1946, 4-5; id', Modern蟌skoslovenskmal魾stv in
恃eskoslovensko 1947, 3.
(3) Cfr' JiwKotal骿, Franti蟌k Gross, Praha 1963, e Franti蟌k
Gross, Franti蟌k Gross, Praha 1969.
(4) Cfr' Eva Petrov Franti蟌k Hude蟌k, Praha 1969.
(5) Franz Kafka, America, a cura di Alberto Spaini, Milano 1957, p'
80.
(6) Cfr' Jan Grossman, Hore螽bd瘭ost Jiw駩o Kol漙e, in Jiw
Kol漙, N殠odnsv璠ek, Praha 1964, p' 186.
(7) JiwKol漙, R滱o, in 鐰y a variace, Praha 1946, p' 47.
(8) Id', Litanie, in 鐰y a variace cit', p' 15.
(9) Id', R滱o, in 鐰y a variace cit', p' 47.
(10) Id', Litanie, in 鐰y a variace cit', p' 16.
(11) Ibid'
(12) Id', Sv璠ek, in 鐰y a variace cit', p' 31.
(13) Ivan Blatn Tabulky, in 便ytice 1947, 6; Den, in 雨lok
1947, 1; Hra, in 便ritickm瘰斁n骿 1947, pp' 385-90.

22
Nei dipinti e nelle poesie del Gruppo 42 (e nelle foto di Miroslav
H毾, che ne fece parte) hanno grande risalto le lunghe teorie di
lampioni su altissimi pali, le macilente lampadine delle case povere,
gli aloni e i freddi riverberi delle luci di periferia. 俠'alba
schiaccia le cimici degli occhi cisposi delle lampade(1) si legge
in una lirica di Kol漙, e in un'altra: 勁a lingua delle lampade si
fatta legnosa(2) Blatnparla di 勁ucerne a gas denti ingialliti
dell'autunno(3) e conclude cosla descrizione di un paesaggio: 怨
una sera di sabato del tempo delle lampade a gas - come in un quadro
di Kamil Lhot毾 - con una ragazza sonnambula che guarda la luna
pallone(4) In alcuni cicli di foto di JiwSever, che fu molto
vicino al Gruppo 42 e ritrasse lui pure baracche, casacce decrepite,
steccati di travi, - specie nel ciclo MaskovanLucie a jinsetk滱
(La Lucia mascherata e altri incontri, 1940-42), troviamo lanterne
annebbiate languenti in deliquio, fanali sporgenti da squallidi muri,
fanali di carri funebri, lunghe ombre di fanali, gli smorti lumi del
tempo di guerra (5)
Potremmo studiare nei suoi scrittori l'ambigua illuminazione di
Praga, il suo balenio stemperato con molta caligine, la sua
fosforescenza ctonia. 俠e lucerne sul ponte - battono i denti di
vetrodice JiwWolker nella lirica N潎rat (Il ritorno, 1921) (6), e
Kafka, nella Descrizione di una battaglia: 俠a vitava e i quartieri
dell'altra riva erano avvolti nello stesso buio. Alcuni lumi vi
ardevano e luccicavano come occhi veggenti(7) Quante lanterne a
gas scintillano con agonizzante intercalare di vampature nel 促rager
GespensterromanSeverins Gang in die Finsternis (1914) di Paul
Leppin: 俠a tempesta spaccin due il tintinnante vetro delle
lanterne 非inanzi alla chiesa U Kwieovn骿sfavilluna precoce
lanterna e riempl'aria di vitrei colori 俠e lampade elettriche
gibrillavano, appese come lune sugli alberi(8) Non solo Praga,
ma persino il suo cielo ha lucerne nel romanzo di Leppin: 勁e stelle
della tarda estate come rossi lampioni bruciavano(9)
Severin, il protagonista, appartiene anche lui alla famiglia dei
passanti notturni: vaga attonito per una cittmisteriosa,
acherontica, che lampeggia di vacillanti lampade, di Gaslaternen.
俟'era fatto buio e con luci piagnucolose si stendeva Praga ai suoi
piedi俟otto di lui si stendeva la cittnella valle. Qua e l
ancora brillava qualche luce come gli occhi di una sonnolenta bestia
in lontananza(10) Severin ha ventitranni, ha abbandonato gli
studi, la mattina lavora in ufficio, e il freddo e il malumore
serpeggiano per il suo corpo. Torna a casa spossato nel pomeriggio e
si butta sul letto, dormendo fino a sera. Poi la sera, appena si
accendono le lanterne, scende in strada e si aggira, come tra ombre
cinesi, tra parvenze ammiccanti e malsane, su cui si potrebbe porre
il cartello 冠bsonderlich made in Prague. Esangue, irrequieto,
pervaso di angoscia, quasi spostandosi col vento come una renna, si
aggira di luogo in luogo, da un Nachtkaffee a una taverna, senza
trovare riposo.
C'qualcosa di stanco, di incrinato, di irrimediabile, un'infinita
俚酺tlichkeitche si abbandona alle lacrime, nel fragile ordito di
questo romanzo. E c'un rapporto tra il febbrile vacillio migratorio
del personaggio di Leppin nella cittallucinata e la fugacitdei
suoi amori, tra l'apprensione con cui, smodatamente curioso come una
renna, egli gironzola in sfibranti camminate notturne per il
勁abirintoe l'instabile sensualitche lo spinge da donna a donna,
in attimi fiammeggianti di ebbrezza, cui segue sempre una malinconia
senza scampo.
青antore di quella vecchia Praga che cosdolorosamente si
spegneva Leppin, come ha scritto Max Brod, fu il 厚oeta dell'eterna
delusione(11) Il suo 厚assanteuna timida ombra in una citt
raggricciata, larvale, tutta prodigi notturni e sfavillio di lucerne,
e paurosa della luce del giorno. Perch come dice M歊ha, 勁a candela
ha il suo ladro nel sole(12)

NOTE:
(1) JiwKol漙, R滱o, in 鐰y a variace cit', p' 47.
(2) Id', Druhrann in 鐰y a variace cit', p' 52.
(3) Ivan Blatn Podzimnden, in Tento ve蟌r, Praha 1945, p' 28.
(4) Id', Krjina, in Tento ve蟌r cit', p' 36.
(5) Cfr' Ludv骿 Sou蟌k, JiwSever, Praha 1968.
(6) JiwWolker, N潎rat, in B滻n Praha 1950, p' 61.
(7) Franz Kafka, Descrizione di una battaglia, in Racconti cit', p'
11.
(8) Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis cit', pp' 73, 144,
12-13.
(9) Ibid', p' 109.
(10) Ibid', pp' 145, 77.
(11) Max Brod, Vita battagliera cit', pp' 163 e 165.
(12) Karel Hynek M歊ha, Z漥isn骿 (1833), in Dilo cit', III, p' 131.

23
Nel suo viaggio per il labirinto del mondo, il pellegrino comenico
incontra balzani astronomi e astrologhi che, studiando le
congiunzioni e le opposizioni dei corpi celesti, inventano pronostici
e oroscopi. Onnisciente lo guida a un'altana, di dove gli astronomi
appoggiano scale al firmamento, per afferrare le stelle e misurarne i
percorsi con regoli, corde, pesi, compassi. Il pellegrino prende
diletto a quel giuoco, ma ben presto si accorge che le stelle danzano
diversamente da come costoro vorrebbero. Per cui essi si lagnano
dell'anomalitas coeli (1)
L'astrologia giudiziaria un attributo costante della natura di
Praga, in specie di Praga dell'epoca di Rodolfo II. Nelle sue
memorie, che si riferiscono appunto al periodo tra la fine del XVI e
l'inizio del XVII secolo, Mikul碭 Da蟊ckz Heslova accenna pivolte
a stelle precipitanti, a fantasme codate, a dragoni volatici, a
fuochi pazzi, che appaiono nel firmamento (2)
L'etdi Rodolfo II brulica di meteoristi e di astrologhi e di
勇ndovini di nuvole(3) che, fiutando le cose future come cani
venatici, desumono dalle stelle presagi di calamit Praga offre
rifugio a Tycho Brahe e a Keplero. Il passaggio di torbide e
malinconiose impressioni di fuoco annunzia morbi e lacci e tracolli e
rotte di eserciti e disertamenti delle campagne.
Non mi farleggere mai la ventura dal fantoccio di cera di una
chiromante, che gonfi il petto e tentenni la testa e mi scruti con
occhi maligni da una bacheca di vetro a Pigalle. Ma i cortigiani di
Rodolfo II anelavano tutti a conoscere la propria 南ativit鉬, che gli
astrologisti sovente imbastivano con espressa menzogna, e
l'imperatore anche lui era ansioso che gli spianassero il significato
delle esalazioni focose che solcavano l'aria, incombendo sulla citt
minacciata come frecce di Klee.
Nel dramma di JiwKar滻ek ze Lvovic Kr滎 Rudolf (Re Rodolfo, 1916)
Gelchossa, sua amante, cosdefinisce il sovrano: 哎n sognatore, la
cui indole - l'inganno dei sensi, - un sognatore cui parlano - solo
le stelle e le voci lontane(4) E Mad歊h, nel quadro ottavo della
Tragedia dell'uomo, immagina che Rodolfo, destatosi da un brutto
sogno, chieda un oroscopo a Keplero, il quale una delle molteplici
reincarnazioni di Adamo attraverso la storia: per soddisfare la sete
di denaro della frivola moglie Eva-Barbara, che lo tradisce coi
cortigiani, Adamo-Keplero, assistito dal famulo Lucifero, dopera
anch'egli al mestiere vanissimo di pronosticante.

NOTE:
(1) Cfr' Jan Amos Komensk Labyrint sv皻a a r毄 srdce cit', p' 51.
(2) Cfr' Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, pp' 152 (1577),
189 (1596), 208 (1605), 250 (1619)
(3) Ibid', p' 208 (1605)
(4) JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf, Praha 1916, p' 37.

24
L'astrologia rodolfina pervasa dall'ansia, dal senso di
instabilitche travagliavano l'epoca. Potrebbero farle da 勇mpresa
questi versi di Seifert: 侵 telescopi sono accecati per l'orrore
dell'universo@ e gli occhi fantastici degli astrologhi@ ha bevuto la
morte@(1)
Il manto di un re rispecchia il velo cosparso di stelle del
firmamento. Ai due astronomi di corte parevano apprendersi il
malumore di Rodolfo II, la sua insicurezza, il suo spirito infetto,
le sue tetre fuliggini. Max Brod, nel romanzo Tycho Brahes Weg zu
Gott, ha messo in risalto l'annosa mestizia di Tycho, questo
patriarca chagalliano, che giunge a Praga, stanco e malato, su invito
dell'imperatore, con un codazzo di allievi e di familiari e di servi,
dopo aver vagato alla deriva per l'Europa.
Nei due astronomi, come in Rodolfo II, l'inquietudine per la
mutabilitdella sorte si univa alla bramosia dell'incognito e allo
stupore per la suprema armonia del creato. Ciascuno di loro potrebbe
ripetere le parole del 匍ago meravigliosodi Nezval:
vidi la vita in infinite metamorfosi@ e benedissi il desiderio
umano@ di affrettarsi dietro a nuove stelle@ che via via si
accendevano e spegnevano@ dietro la vetrina della notte@ (2)
L'amore delle 剃uriosit鉬 e dei fenomeni arcani concorre ad
accrescere nell'etdi Rodolfo lo struggimento per i foschi indizi
celati nelle traiettorie dei fiammeggianti corpi celesti e quindi la
smania dell'Arte Speculatoria. Nel dramma di JiwKar滻ek ze Lvovic
Kr滎 Rudolf l'imperatore domanda ad Arthur Dee che ritorna da un
viaggio: 侮i sono nuove scoperte nelle scienze occulte? Mi porti la
pirecente interpretazione del simbolo della salamandra? Hai saputo
qualcosa della pietra magnetica, dell'asemone, delle ciglia del sole
e della luna?ed aggiunge: 俑i hanno narrato che nel tempio di San
Vito misteriosi fuochi si accendono e muovono nel buio della notte.
In che enigmatico tempo viviamo! Che meravigliose vicende si
appressano! Ah, vorrei conoscere l'imperscrutabile Ignoto che ci
avviluppa e ci manda segnali, come quei fuochi inquietanti,
sgomentevoli...(3).
Le cronache di questo periodo danno contezza di soli notturni, di
gatte parlanti, di campane che si rifiutano di rintoccare, di fiumi
bollenti, che erompono dalle cantorie, serpeggiando sino all'altare.
Da蟊ckregistra: 俗na strana cosa hanno pubblicato in Boemia, che a
Praga un'ebrea ha partorito una bestia, un orso vivo, e che quello,
correndo per la camera e grattatosi dietro l'orecchio, morto(4)
Atterriva le menti la paura dell'improvvisa estinzione del mondo,
l'angoscia per il progressivo allargarsi dei limiti della terra.
隹lcuni olandesi del Nederland - annota Da蟊ck- si spinsero molto
lontano per una nuova, sinora incognita rotta; giunti a grandi
deserti terreni e marittimi, incapparono in un mare ghiacciato,
attraverso il quale dovettero aprirsi la strada, con grande rischio
lottando con gli orsi bianchi. E non potendo andar oltre per i grandi
ghiacci ed il gelo, in patria, non tutti pere senza profitto,
tornarono. Il Signore Iddio conosce e sa dove e quando sarla fine
del mondo!(5)
Und die Komet strahlte blutrot am Himmel und in B鐬men war Krieg.
Il gracchiare frequente del corvo predice pioggia, le comete
annunziavano lunghe sequele di guerre. Le guerre continue, le
pestilenze continue, la minaccia del dilagare del turco, le
persecuzioni teologiche, rendendo pilabile e pifiliforme la vita,
alimentavano in tutti l'assillo della divinazione. Sia qui ricordata
la passione di Wallenstein per gli oroscopi, la sua credulitnegli
influssi celesti.

NOTE:
(1) Jaroslav Seifert, Praha, in Po褾ovnholub (1929)
(2) Vit瞛slav Nezval, Podivuhodnkouzeln骿 (1921), zp瞚 sedm
(3) JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf cit', pp' 24 e 25.
(4) Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, p' 195 (1599)
(5) Ibid', p' 190 (1596)

25
Nel Rom滱 Manfreda Macmillena (Romanzo di Manfred Macmillen, 1907)
Kar滻ek ze Lvovic esprime cosla nostalgia di quell'epoca: 亟stinta
la stirpe degli astronomi, e si sono spenti i fuochi alchimici
nelle casette della Viuzza d'Oro dietro la Daliborka. E nemmeno Tycho
Brahe e nemmeno Keplero fanno oroscopi ormai per l'afflitto Rodolfo
(1)
L'astrologo un personaggio-chiave della mitologia di Praga:
personaggio, che a volte si immedesima con l'alchimista. Anche se non
attraversano il fuoco e non scendono nelle contrade dell'ombra, sono
come sciamani questi pronosticanti bramosi di investigare le
congiunzioni celesti e di trarne responsi, assai spesso cososcuri e
dubbiosi che la stessa Sfinge nEdipo saprebbero scioglierli, questi
manipolatori di elisiri e rimedi contro la peste, questi professori
di oracoli, i quali danno sovente in apertissime ciurmerie, rivelando
scaltrezza di giuntatori.
Nel romanzo Astrolog di Sv漮ek il ruffiano truffiere alchimista
Scotta 哀a leggere dalle stelle il destino dell'uomoe si proclama
冠lunno della divina scienza dell'astrologia(2): inventa 南ativit鉬
per Don cesar de Austria, figlio illegittimo di Katewina Stradove
di Rodolfo II, e per Zuzana, la figlia del nobile Kor滎ek z T膰ina
(3) Nella tragedia Kr滎 Rudolf (Re Rodolfo, 1862) di Vit瞛slav H滎ek
un 剃annocchialista(勃uk漮k漙 mette in guardia l'imperatore dal
fratello Maty碭 (4)
I clowns dadaistici Voskovec e Werich, nella commedia musicale
Golem (1931), tentarono la parodia dell'astrologo rodolfino nella
figuretta svitata del mago Bwen瘯, che fabbrica per il sovrano una
donna artificiale (della stirpe dei golem e robot praghesi, formati
per via di lambicchi), una frigida (ahim) parvenza selenica,
Sirael, 咬aggio lunare materializzato(5) In un racconto di V瘲a
Linhartov Passatempo polifonico, il dottor Altmann, ambiguo
psichiatra e stregone hoffmanniano, il quale si aggira per Praga come
in un vacillante manicomio metafisico intriso di nebbia, ha tra i
propri pazienti, accanto a Verlaine e Rimbaud, a Dylan Thomas, a
Nieinskij, a Billie Holiday, a Charlie Parker, anche un
astrologo-funambolo, il beone Hamilton, che, legandosi ad una
ringhiera 剃on un sistema di funi e puleggieper non precipitare,
osserva il cielo da una specola in cima a un'altissima, vertiginosa
scala a chiocciola, sulla collina di Petwin (6)
Le giravolte di ogni passante notturno in questa citteternamente
insidiata dal disfavore delle comete mortifere sono il riflesso di
immaginari tracciati celesti, orbite ubriache, un annaspare nel
vuoto, con una continua paura di sviarsi dalla traiettoria, con una
continua vertigine e paura della caduta.

NOTE:
(1) JiwKar滻ek ze Lvovic, Rom滱 Manfreda Macmillena, Praha 1907,
p' 105.
(2) Josef Sv漮ek, Astrolog (1890-91), Praha 1924-28, p' 31.
(3) Ibid', pp' 103 e 116.
(4) Vit瞛slav H滎ek, Kr滎 Rudolf, Praha 1862, IV, 3.
(5) JiwVoskovec - Jan Werich, Hry Osvobozen逸o divadla, II, Praha
1955, p' 104.
(6) V瘲a Linhartov Passatempo polifonico, in Interanalisi del
fluito prossimo cit', p' 150.

26
Degli astrologisti e professori di sortilegi, Tycho Brahe
soprattutto (1546-1601) si fuso con la demonia di Praga, dove
giunse per desiderio di Rodolfo II nel 1599. E non importa se egli
trascorse la piparte del soggiorno ceco, non a Praga, ma a Ben漮ky
nella Boemia orientale, in un castello di caccia trasformato in uno
sfarzoso osservatorio, consimile a quello di Uranienburg (Arx
Uraniae) sull'isoletta di Hveen nell'Oresund, che in tempi felici gli
aveva donato re Federico II di Danimarca (1)
Se il tuffarsi del mergo nell'acqua pronostica pioggia, il nome
Tycho preannunzia quella cascata di nebbie che chiamano Praga.
L'umorista tedesco Albert Brendel (1856) lo chiamTichodejpr殟 (2)
Egli appartiene al mistero di questa citt non solo per la sceneria
di astrolabi, clessidre, armille, sestanti, fra cui si muove, ma
anche per il grande naso posticcio, che gli daspetto sinistro e lo
agguaglia al manichino spettrale di un compendio di rinoplastica.
Secondo Max Brod, una protesi d'oro e d'argento sostituiva il naso,
da lui perduto, quando era studente a Rostock, in un duello per una
dama. A Tycho piaceva lasciarselo palpeggiare dagli altri, e i suoi
avversari insinuavano che egli se ne servisse come di un'alidada per
compiere le osservazioni celesti (3), quasi il suo volto fosse
composto di attrezzi da astronomo, alla maniera dei quadri
dell'Arcimboldo. Ad aggrandire il grottesco si aggiunga che egli
sarebbe morto per aver troppo a lungo trattenuto l'urina durante un
banchetto (4) La 勁oquacitdi Ticone cui accenna Galileo (5),
sembra anch'essa confarsi alla sostanza della cittvitavina.
La lastra tombale di Tycho nella chiesa gotica di T蓽 balugina come
sorgente di stregoneria in molte storie di sfondo praghese: scolpita
in rosso marmo di Slivenec, la parvenza dello studioso degli astri vi
si aderge alquanto distorta come per un torcicollo, nella pesante
armatura di cavaliere, paflagonica e pettoruta, con barbetta a punta,
poggiando la destra su una sfera armillare e con la sinistra
impugnando una spada (6) 青ette 嶲lise contient la tombe de
l'astronome Tycho Brah暺: sussurra ad Apollinaire l'ebreo errante
Isaac Laquedem, mentre attraversano la CittVecchia (7) Il Manfred
Macmillen di Kar滻ek ze Lvovic si aggira nella penombra del tempio di
T蓽 accanto a quel sepolcro (8) Nel romanzo The Witch of Prague di
Crawford il Pellegrino contempla due volte la tomba: all'alba, quando
la chiesa affollata di pallida gente dagli occhi afflitti, e al
tramonto, nella chiesa deserta, incontrando vicino alla lapide il
bieco Kyjork Arabian (9)
Nella narrazione di Brod la misteriositdi Tycho dilatata dalla
vicinanza di un nano che lo accompagna, un gobbo rossiccio da
libretto di Boito, lo scricciolo Jeppe, che gli saltella attorno e
schiattisce come un bracco. L'astronomo ha salvato dal rogo questo
aborto coperto di pustole in un accampamento zigano messo a fuoco da
una masnada di lanzichenecchi. Durante i patriarcali banchetti, con
uno scarlatto abito da giullare, Jeppe se ne sta accovacciato ai
piedi di Tycho, che ogni tanto gli getta un boccone (10) Un vincolo
arcano unisce l'abominevole storpio all'astronomo dal finto naso.

NOTE:
(1) Cfr' Karel Pejml, D疀iny 蟌skalchymie, Praha 1933, pp' 48-49;
Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti, PRaha 1967, p' 157.
(2) M瘰to vidim velikcit', p' 373.
(3) Max Brod, Tycho Brahes Weg zu Gott (1916): trad' it' B' Maffi,
Milano 1933, p' 49.
(4) Cfr' Neu vermehrter Curieuser Antiquarius (1746), in M瘰to
vidim velikcit', p' 93.
(5) Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
tolemaico e copernicano, Torino 1970, p' 65.
(6) Cfr' F'J' Studni螶a, Prager Tychoniana, Prag 1901, pp' 63-66;
Ingvald Undset (1810), in M瘰to vidim velikcit', p' 175; Jan
Dolensk Praha ve svsl潎i utrpen Praha 1903, pp' 327-330.
(7) Guillaume Apollinaire, Le passant de Prague, in 飀vres
completes cit', I, p' 109.
(8) JiwKar滻ek ze Lvovic, Rom滱 Manfreda Macmillena cit', p' 38.
(9) Francis Marion Crawford, The Witch of Prague (1891), trad' ceca
Praesk螮rod疀ka, a cura di Karel Vratislav, Praha 1912, p' 32.
(10) Max Brod, Tycho Brahes Weg zu Gott, trad' it' cit', pp' 73,
115-16, 303.

27
Salendo per via Thunova verso le scale del Castello, 剃hi conosce
la storia di Praga - afferma JiwKar滻ek nel romanzo Ganymedes -
ricorda senza volerlo il malinconico regno dell'agonizzante Rodolfo
Il, che seppelliva da vivo la propria persona sotto le ombre pesanti
dell'astrologia, della magia e dell'alchimia(1) Sette anni dopo
l'ascesa al trono, nel 1583, Rodolfo II (1576-1611) trasferinfatti
la sua sede al Castello praghese.
Deliri di alchimisti, oroscopia genetliaca, elisirvite e pietra
filosofale, Tycho Brahe e Keplero, la Viuzza d'Oro, le fisionomie
ortolane e belluine dipinte dall'Arcimboldo, Rabbi L饖 col suo
omuncolo Golem, il ghetto spaurito e sbilenco, l'antico cimitero
ebraico, la 便unstkammerdell'imperatore: ecco le componenti e le
immagini di quel maleficio, di quel caleidoscopio, che chiamiamo
Praga rodolfina.
Domicilio del re boemo e ungherese, signore d'Austria e imperatore
romano, fu Praga allora in ogni pregio di civilte di magnificenza.
Attorno a Rodolfo convennero distillatori, pittori, alchimisti,
botanici, orafi, astronomi, astrologhi giudiziari, professori
dell'Arte Speculatoria, - brulicun nuvolo di spiritisti, di
presagenti, di coniettori, e in specie di cerretani e maestri di
poltronerie da donar volta ai cervelli. La cittera tutta un
accorrere, non solo di barbassori e di dulcamara, che in baracche di
legno vendevano pillole di turbitto e di reubarbaro di ermodattili,
contando frottole e ciance, - ma anche di sgherri, di spadaccini, di
bravi di ogni contrada, ai quali Praga appariva un paese di cuccagna,
una sorta di bruegeliano 俠uilekkerlandAttraeva, la residenza
imperiale, avventurieri e furfanti, che spesso venivano a briga,
finendo nelle prigioni della Torre Bianca sopra il Fossato dei Cervi
(2) Sembra persino che una combriccola di banditi italiani tenesse
bordone all'intrigante gran ciambellano Philipp Lang z Langenfelsu
(3)
Il romanziere Alfred Meissner (1884) lamentche l'etrodolfina
aspettasse ancora il suo Walter Scott (4) Etballatesca, con fumo
di negromanti e garbugli di ciurmatori e mormorio di lambicchi e
torve occhiate di manichini. Nel 1588, due anni prima di esser
gettato sul rogo, visitPraga Giordano Bruno. La leggenda segnala il
passaggio del dottor Faust. In quel torno di tempo giunsero
nell'Europa centrale gli Englische Komedianten, il cui clown ormai,
col nome di Pichelhering, buffoneggiava in tedesco (5) Per
l'afflusso di tanti stranieri Praga divenne crogiuolo di molte
lingue. E speriamo che l'italiano che vi si parlava (6) fosse meno
posticcio di quello che personaggi dell'etrodolfina, impettiti come
stoccafissi, sfoggiano in crude tragedie romantiche: ad esempio,
nella verbosa Magel霵a (1852) di Josef JiwKol漷.

NOTE:
(1) JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes, Praha 1925, XIV, p' 49.
(2) Cfr' Jan Dolensk Praha ve svsl潎i utrpencit', pp'
99-100.
(3) Cfr' Karel Pejml, D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 49.
(4) Cfr' M瘰to vidim velikcit', p' 430.
(5) Cfr' D疀iny 蟌sk逸o divadla, a cura di Franti蟌k 蟌rn I,
Praha 1968, pp' 194-96.
(6) Cfr' Jan Dolensk Praha ve svsl潎i utrpencit', pp'
221-22.

28
Ma chi era Rodolfo II, questo mecenate di luminari e di ciurmatori,
alla cui corte mi sembra di esser vissuto? 俗n saggio pagliaccio ed
un folle poeta secondo la formula ironica di Voskovec e Werich?
(1) In realtsi entra nel cerchio della sua tetraggine, come in un
mondo di Quadragesima, come affrontando una 亭instere Bootsfahrt
una tenebrosa navigazione.
Suo padre Massimiliano (1564-1576), figlio di Ferdinando I, aveva
sposato la cugina Maria, ossia la figlia di Carlo V, fratello di
Ferdinando. E quindi per doppia ascendenza Rodolfo era pronipote di
Giovanna la Pazza. Alla fine del 1563, a undici anni (era nato il 18
luglio 1552), fu inviato a Madrid, dallo zio Filippo II (fratello
della madre), perchsi avvezzasse al gelido e duro rituale della
corte di Spagna (2) Corte profondamente diversa da quella di
Massimiliano, il quale non soffocava la libertdi coscienza e aveva
rispetto per i protestanti.
Qui, in sette anni, Rodolfo divenne un compiuto 哀pagnuolo
appropriandosi le costumanze e le maschere di una monarchia
spigolistra ed ambigua. Il bigottismo, gli intrighi, le solennit
religiose, la diffidenza, la caccia agli eretici, i roghi
dell'inquisizione, gli inganni di una maestsconfinata, la
vanagloria terrestre e navale: questa fu la sua scuola (3) Strano
addestramento davvero per colui che doveva regnare in un paese geloso
delle proprie franchigie teologiche e infetto di malattia ereticale.
Il fosco sistema dinastico, intriso di sotterfugi e sospetti, ebbe
influsso funesto sull'animo del giovane principe: esacerbla sua
timidezza morbosa, la sua ansia di solitudine, pose i germi di quella
mania di grandezza e persecuzione, che lo avrebbe aduggiato pi
tardi.
Sebbene ammaestrato al perfetto cattolicismo e al rigore della
corte spagnuola, e sebbene maniere di Spagna vigessero nel suo
governo, Rodolfo si riveltuttavia tollerante, sia per l'esempio del
padre che per amore di pace e per la certezza che la parte cattolica
era ancora sparuta a confronto con gli utraquisti e coi Fratelli
Boemi. Non a caso ebbe amico il rabbino L饖, uno dei maggiori
sapienti del 亮闤ess e accolse a corte Keplero, perseguitato per la
sua fede evangelica.
L'anziana generazione cattolica, che lo assistette agli inizi del
regno, non era del resto bacchettona e arrabbiata, come quei giovani
di alto lignaggio che la Societdi Ges giunta nel paese nel 1556
(4), stava educando nel fanatismo della Controriforma. Ma durante il
suo reggimento, mentre i riformisti e i propugnatori della tolleranza
si scindevano in piccole confessioni discordi, prese aire e irruenza
il gruppetto cattolico, ben organizzato, compatto, appoggiato dai
cortigiani, dai nunzi papali, dagli ambasciatori spagnuoli (5)
Veniva nascendo, anche in virtdei connubi tra nobili di Boemia e di
Spagna, una Spagna praghese: 哀pagnuoli(恃pan瘭飩) erano detti in
Boemia i cattolici ferventi (6)

NOTE:
(1) JiwVoskovec - Jan Werich, Golem, in Hry Osvobozen逸o divadla
cit', p' 94.
(2) Cfr' Jan Bedwibl Nov毾, Rudolf II. a jeho p歍, Praha 1935, p'
3; Kamil Krofta, D疀iny 蟌skoslovensk Praha 1946, pp' 364-89; Karel
Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', p' 145; Philippe Erlanger,
Rodolphe II de Habsbourg, Paris 1971.
(3) Cfr' Jan Bedwibl Nov毾, Rudolf II. a jeho p歍 cit', pp' 5 e 9.
(4) Cfr' Josef Poli蟌nsk Doba Rudolfa II, Praha 1941, p' 15.
(5) Cfr' ibid', p' 20.
(6) Cfr' ibid', pp' 20 e 22.

29
Rodolfo II non intermise mai di leggere poeti latini, parlava
parecchie lingue, ma in specie tedesco e spagnuolo, e con pi
incertezza anche il ceco. Di alchimia, di scienze, di fisica, di
astrologia, di magia era dilettantissimo. Passava il suo tempo tra i
quadri, gli oggetti preziosi, le coppelle, i crogiuoli lutati, le
olle di vetro, le sfere armillari, i lambicchi, in compagnia di
alchimisti, pittori, pronosticanti, - e lui stesso amava dipingere,
tessere, far lavori di intaglio e orologeria (1)
Partecipava svogliato e saltuariamente alle adunanze del consiglio
di corte; trascurava gli affari di stato, affidandoli spesso ai
maneggioni e agli achitofellisti che lo attorniavano. Si nascondeva
agli estranei, segregandosi per lunghi periodi nell'intimo del
Castello praghese, come in un Escurial. Cento volte riflesso da
specchi spietati, nella labile luce dei candelieri. Scolorita la
faccia, gli occhi rimorti nell'abbattimento della malinconia,
cascanti e stracchi i muscoli della bocca: secondo Max Brod, 哎n dio
bisognoso di aiuto(2) 隹ssiste alle messe in un oratorio riposto e
tutto recinto di grate - dice di lui il ciambellano Rumpf nel dramma
Kr滎 Rudolf di Kar滻ek - Passeggia soltanto per corridoi, le cui
finestre tranne un breve pertugio sono murate(3)
Non si riusciva a distoglierlo dai suoi matracci e dalle sue
osservazioni superstiziose (4) E, cosappartato, avveniva che
prestasse fede alle sciocche calunnie dei cinguettatori, all'ignavum
pecus dei cortigiani. Restio a concedere udienze, lasciava che
ambasciatori stranieri attendessero per mesi e mesi nelle anticamere,
che erano, come le barbierie, sorgenti di chiacchiere. Ma in cambio
avevano adito a lui i fabbricanti di oroscopi e specchi magici e
omuncoli, i gabbamondo come Jeronymo Scotta.
Dalle sue stanze situate nell'ala piinterna, sopra il Fossato dei
Cervi, scendeva talvolta in giardino, per ammirare le siepi di
tulipani e i viali di acacie, l'aranciera, le serre, gli zampilli, le
statue, le pergole, i volatili esotici, e in specie il leone
africano, la cui morte - secondo un oracolo - sarebbe stata preludio
della sua morte (5)
Umor negro e fuliggini guastavano lo spirito di Rodolfo II. bench
avesse a schivo gli affari di governo, tuttavia era geloso del
proprio potere e propenso a inventarsi fantasmi persecutori e
vendicativo come una vipera contro coloro che d'improvviso
accendevano la sua diffidenza. In quei momenti scoppiava in selvaggi
scatti di collera, tramando irragionevoli azioni per annientare i
presunti nemici e mostrare agli altri che la sua potenza non si era
sminuita (6)
Oroscopi, oroscopi. Scorgiamo Rodolfo in un'attitudine obliqua e
scontorta, che fa pirisaltare la frenesia dei suoi gesti. Furioso,
va in diagonale. E lunghe ombre truci, ombre da ombromane lo
inseguono per i corridoi, vestito alla guisa spagnuola in abito nero
di felpa rasa trinato di merletti d'oro e con bianca gorgiera (7)
Lugubre vita da Quadragesima e senza bagattellieri. Ma con le orrende
maschere dell'iracondia e della doppiezza.
Dallo zenit del favore Rodolfo precipitava i suoi accoliti nel
nadir della disdetta. La notte del 26 settembre 1600 assalcol
pugnale il ciambellano Wolfgang Rumpf, che sospettava di malevolenza
(8) Opinando che si proponesse di scalzarlo dal trono, gettin
prigione perpetua, senza averne le prove, un altro gran ciambellano,
JiwPopel z Lobkovic, e i vigorosi interventi della parte cattolica
non valsero a liberare lo sfortunato (9) Nella reboante tragedia
Kr滎 Rudolf (1862) Vit瞛slav H滎ek immagina che nemmeno Eva z
Lobkovic, della quale Rodolfo invaghito, riesca a ottenere da lui
salvezza per il proprio padre.
Cessati gli accessi morbosi, cadeva nell'apatia, sempre pi
rintanandosi e disertando il governo, per darsi tutto all'alchimia,
alle arti, alle stelle. Eppure l'impero era travagliato dalle
controversie teologiche e dalle sommosse dei principi di Transilvania
e dalle continue incursioni dei turchi. Durante il suo regno, per
quattordici anni (1592-1606), i maomettani e i cattolici si fecero
guerra, con stragi e saccheggiamenti e capitolazioni e conquiste di
grandi fortezze, come si legge nelle concitate memorie di Mikul碭
Da蟊ck
Nel dramma di JiwKar滻ek il ciambellano Rumpf cosdescrive
Rodolfo: conosco Sua Maestdall'infanzia. Lo accompagnai alla
corte spagnuola da re Filippo. E perciposso dire che non c'al
mondo creatura pimesta e pisolitaria. Nei tetri templi
indugiavamo a lungo sino a notte. Lo vedevo pregare fervidamente, e
mi pareva che il cielo dovesse arrendersi a un simile attacco. Eppure
pregava invano. Quando uscivamo dal tempio, era di nuovo infelice.
Dubitava della propria salvezza e lo atterrivano i castighi
infernali. Qui a Praga si rifugicome in un chiostro. Temendo la
gente, usciva solo di notte. Non parlava con nessuno, nessuno lo ha
mai visto sorridere. coscome il suo abito sempre nero, sempre
fosca la sua anima. E se non ci fosse l'incanto delle scienze
occulte che tanto lo allettano, dell'astrologia e dell'alchimia, se
non ci fossero l'arte, le statue, i dipinti, i libri, i gioielli e le
stoffe, che accumula con insaziabile brama, vivrebbe in un tale nulla
da consumarsi come una vanissima ombra...(10).
L'ereditaria demenza della famiglia, l'alterezza fumosa, gli
strascichi dell'oppressivo apprendistato spagnuolo, l'inguaribile
fistola dei sospetti, il complesso di lesa maest la paura dei
turchi, dell'ambizioso fratello Maty碭 e delle forze celesti
confluivano a ingigantire la malinconia che annegriva e ardeva il suo
sangue.
Afferrato sovente da umore cupidinesco, Rodolfo cercava ebbrezza e
conforto tra le braccia di belle schiattone (11) Non approdmai al
matrimonio per titubanza (12) e perch secondo un oroscopo, un erede
legittimo lo avrebbe privato del trono. Ma si consolcon una gran
mandra di concubine. pia lungo delle altre rimase nella sua alcova
Katewina Stradov figlia dell'antiquario di corte Jacopo Strada, la
quale gli partorsei bambini (tre maschi e tre donne), tra cui quel
Don Julius che, dopo una vita lasciva e violenta, sarebbe perito nel
castello di Krumlov a soli ventitranni (13)
Vaso di infamite quindi pasto ghiottissimo dei drammoni
romantici, Don Julius (ovvero Don cesar de Austria o marchese Julio)
vien ricordato per la feroce uccisione dell'ultima amante, la figlia
di un barbiere e Wundarzt di Krumlov. Dopo averla trafitta e scannata
sul letto con minuzioso rituale, spargendo per tutta la camera brani
di carne, le tributesequie solenni, facendola accompagnare alla
tomba dal clero e dai servi in gramaglie con fiaccole a vento (14)
俏ella melma di ripugnanti passioni sguazza la tua anima, - grida
Rodolfo contro di lui in Magel霵a di Kol漷 - una lugubre turba di
cento scelleratezze ti brulica addosso come ramarri sul teschio di un
diavolo(15)

NOTE:
(1) Cfr' Jan Bedwibl Nov毾, Rudolf II. a jeho p歍 cit', pp' 19 e
20.
(2) Max Brod, Tycho Brahes Weg zu Gott, trad' it' cit', p' 365.
Cfr' inoltre Josef JiwKol漷, Magel霵a (1852), I, 2; Vit瞛slav
H滎ek, Kr滎 Rudolf (1862); JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf cit',
p' 15.
(3) JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf cit', p' 59.
(4) Karel Pejml, D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 43.
(5) Cfr' Josef JiwKol漷, Pekla zplozenci, Praha 1862, p' 16;
Josef Sv漮ek, Astrolog cit', pp' 66-70; Jan Dolensk Praha ve sv
sl潎i utrpencit', pp' 87-88; Max Brod, Tycho Brahes Weg zu Gott,
trad' it' cit', pp' 349-51; F'X' Harlas, Rudolf II, milovn骿 um瘽a
sb瘲atel, Praha s'd' [ma 1916], p' 27; Augustin Vojt璚h, Praha
kamennsen, Praha 1941, p' 144; Karel Krej鍎, Praha legend a
skute螽osti cit', p' 152.
(6) Cfr' Jan Bedwibl Nov毾, Rudolf II. a jeho p歍 cit', p' 21.
(7) Cfr' Josef JiwKol漷, Magel霵a cit', II, 2; JiwKar滻ek ze
Lvovic, Kr滎 Rudolf cit', p' 15.
(8) Cfr' Jan Bedwibl Nov毾, Rudolf II. a jeho p歍 cit', p' 25.
(9) Cfr' ibid', pp' 22-23.
(10) JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf cit', pp' 10-11.
(11) Cfr' Jan Bedwibl Nov毾, Rudolf II. a jeho p歍 cit', p' 21.
(12) Cfr' ibid', p' 24.
(13) Cfr' Anton Gindely, Rudolf II und seine Zeit, II, Praha 1865,
p' 337.
(14) Cfr' Anton Gindely, Rudolf II und seine Zeit cit', II, pp'
338-43.
(15) Josef JiwKol漷, Magel霵a cit', II, 2.

30
Col passare dei giorni si venne inasprendo la paranoia di Rodolfo.
Il tetro e negro umore generava in lui spiriti orribili. E nulla
potevano apozemi e medicine apritive e tintura di sale di tartaro ed
occhi di gamberi e magistero di corna di cervi. Diffidava del nunzio
papale e di tutta la curia, mal tollerando le loro sollecitudini per
la sua successione. Lo infastidivano il salmeggiare e gli uffizi dei
cappuccini di Hrad螮ny, che considerava agenti segreti dei suoi
persecutori (1)
Temeva i gesuiti e ogni sorta di confraternite, anche perchun
altro oroscopo aveva pronosticato che egli sarebbe stato soppresso da
un monaco, come il sovrano francese Enrico III. sparlava del papa,
sfuggiva la messa e le cerimonie di chiesa, cadeva in attacchi
isterici alla vista del crocifisso (2) Di qui forse, nelle lettere
ceche e nella cultura praghese, l'assiduo motivo degli spasimi e
dell'inquietante bellezza di Cristo, inchiodato su un duro legno di
croce. Si bisbigliava che fosse invasato dal diavolo e affatturato
dai filtri delle sue concubine. Ecco perch in Magel霵a, frammezza
il suo dire di parole esorcistiche come 促atibulum, Patibulum La letteratura ha ingrandito la malvagitdei cortigiani che
ronzavano intorno a Rodolfo. L'astio delle leggende si addensa in
specie sul tracotante Philipp Lang z Langenfelsu, un ebreo
convertito, di povera origine, che, per mettere in atto i suoi
flagiziosi propositi, non esitava a ricorrere a una banda di
grassatori. Costui aveva anche una propria officina alchimistica, ma
non certo con le trasmutazioni si era arricchito, bensestorcendo
regali ai supplicanti e sottraendo preziosi alle casse
dell'imperatore.
Non sempre ride perla moglie del ladro. Il 7 maggio 1608 fu
incarcerato nella Torre Bianca, dove perun anno dopo di morte
violenta (3) Nel fragoroso romanzo Pekla zplozenci (Progenie
d'inferno, 1862) Josef JiwKol漷 (chiamandolo Jachym e non Philipp)
fece di Lang un maestro di scelleratezze. Poichanela ai tesori del
defunto alchimista Kurcin, conservati a Praga nella casa di Faust,
Lang ordisce un intrigo per eliminare Jo褾 e Vil鄉, i due figli
gemelli di Kurcin. Invia sicari ad uccidere Jo褾 e poi accusa Vil鄉
di averlo ucciso per istigazione di una fiorentina Sibilla Rezonica.
Sulle prime la sua impresa va a vuoto, perchJo褾 salvato dal
priore del Convento Slavo e Vil鄉, impiccato - oh, questo sche
troppo! - precipita vivo gidalla forca, trovando rifugio in casa di
quel barbagianni di Scota, alle cui cerimonie sataniche prende parte
lo stesso Rodolfo. In ultimo Lang riesce a far trucidare i due
giovani Kurcin, 厚rogenie d'inferno ma chi trama frode si tesse
ruina: lo aspettano le orrende segrete della Torre Bianca. Nella
commedia Rabinskmoudrost' (La saggezza rabbinica, 1886) Jaroslav
Vrchiickcontrappone all'austera scienza di Rabbi L饖 la nequizia di
Lang, libertino e prevaricatore che, con l'ausilio di complici e di
ruffiani, insidia le donne altrui, ladroneggia e assottiglia i tesori
dell'imperatore.
Ma torniamo a Rodolfo. La malinconia divora come una febbre la sua
complessione. Ogni parola lo inalbera, ogni punturetta lo irrita.
Egli din crude smanie, inventa vendette, tenta pivolte il
suicidio. Nd'altro sono i suoi ragionamenti che di morire. 亟' vita
ogni rapporto con la gente, - asserisce Rumpf nella commedia di
Kar滻ek. - Solitario dimora nelle sue stanze. Non va nemmeno in
giardino a godersi le aiuole di tulipani. Non sceso nemmeno a
visitare il leone che lui stesso ha domato. Il calice d'oro da lui
cesellato giace nell'abbandono tra le altre cose dimenticate... Sua
Maestosserva con indifferenza i tavoli colmi di incartamenti
inevasi. Per Praga gicorrono voci che Rodolfo sia morto e che al
popolo la sua morte sia tenuta nascosta. Questo perchmolto tempo
che nessuno lo vede. Nemmeno nell'oratorio guizza la sua ombra. Ed
altri dicono che sia impazzito. Ricordano che pronipote della pazza
Giovanna di Castiglia(4)
Sullo scorcio degli anni, scacciati i pochi ministri fedeli,
commise gli affari di stato agli sguatteri, ai palafrenieri, ai
trabanti, agli sfrattapanelle, dei quali pensava che non gli
avrebbero tolto il potere. Viveva ormai alla mercdei famigli, ma
anche di loro aveva ribrezzo: dovevano volgere altrove lo sguardo,
quando lui si svestiva. Tutto questo condusse all'ultimo spirito
l'ulcerato corpo dell'impero.
Ma c'un forte legame tra la malinconia di Rodolfo e il torbido
Logos, la nera sostanza di Praga. In Kr滎 Rudolf di Kar滻ek,
affacciandosi alla finestra nella luce lunare, egli vagheggia che
Praga, 哀orella delle anime mistiche sia domandata in futuro 勁a
cittdi Rodolfo(5) Nella tragedia di H滎ek, abbandonato da tutti,
costretto a cedere il regno al fratello Maty碭 (23 maggio 1611),
scaglia anatemi su questa 剃ittdell'ingratitudine(6) In Magel霵a
di Kol漷 le rimprovera di essere ormai concistoro dell'impudicizia ed
asilo di infamit immaginandola ingombra di forche (7), come se la
sua Praga non fosse che il paesaggio tutto patiboli del Trionfo della
Morte di Bruegel.

NOTE:
(1) Cfr' Jan Bedwibl Nov毾, Rudolf II. a jeho p歍 cit', p' 25.
(2) Cfr' ibid', pp' 25-26.
(3) Cfr' Karel Pejml, D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 49.
(4) JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf cit', pp' 10-11.
(5) JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf cit', pp' 39 e 66.
(6) Vit瞛slav H滎ek, Kr滎 Rudolf cit', V, 2.
(7) Josef JiwKol漷, Magel霵a cit', II, 2.

31
Rodolfo ebbe in sua corte pittori e scultori notevolissimi, i quali
tutti di doni, di benefici e di favori colmava. L'Arcimboldo,
Bartholom酳s Spranger, Adriaen de Vries, Johann Hofmann, Josef
Heintz, Joris e Jacob Hoefnagel, Pieter Stevens, 輍idius Sadeler,
Hans von Aachen, Daniel Froeschi, Roelant Savery, Matth酳s Gundelach
e molti altri (in prevalenza tedeschi e dei Paesi Bassi) costituirono
intorno all'imperatore una sorta di cosmopolitica 嶰ole de Prague, il
cui segno comune il manierismo (1) Giungevano in gruppi, legati da
amicizie e da parentele; nuovi maestri prendevano il posto degli
scomparsi e di quelli che si rimettevano in viaggio; al Castello era
un andirivieni di miniaturisti, medagliai, lapidari, pittori di
paesaggi e di 勃ontrfekty(contraffazioni) e di scene sacre e di
selvaggina. Ed curioso che la loro schiera infittisse verso il
1600, quando divenne pitorbida la malinconia del sovrano e si
accrebbe la sua declinazione.
Il desiderio di ornare la corte di una gran folla di artisti fa
riscontro in Rodolfo all'ansia spasmodica di collezionare, di
accumulare preziosi e rarite naturalia. Collezionare e nascondere
agli occhi insidiosi degli altri i tesori ammucchiati. Carezzare gli
oggetti, covarseli gelosamente, goderne come un avaro.
Jakub de Strada (Jacopo Strada), il soprintendente alle collezioni
imperiali, nel romanzo Astrolog di Sv漮ek afferma: 勁'imperatore
considera queste raccolte proprietpersonale e percile custodisce
come la pupilla dei suoi occhi. Solo alcune teste coronate venute qui
in visita e alcuni artisti di grido egli ha ammesso in questi
saloni l'imperatore ritiene la pinacoteca proprietsua
esclusiva, che nessuno deve toccare(2) Non si pututtavia, come
fa qualche studioso (3), asserire che i dipinti di cui il Castello
era imbandito non avessero influsso sul corso dell'arte boema, se
vero che il sommo pittore barocco Karel 螶r鈣a conobbe da giovane
quelle raccolte (4)
Giil nonno Ferdinando I, il padre Massimiliano II e lo zio,
l'arciduca Ferdinando del Tirolo, erano fervidi collezionisti ed
archeologhi. Ma in questa passione Rodolfo non ebbe l'uguale. Per la
sua Kunst-und Wunderkammer affrontava profusissime spese. Spediva
speciali commissionari e talvolta gli stessi Hofmaler a comprare per
lui in tutta Europa dipinti e gioielli e suppellettili esotiche.
Chiedeva agli artisti del seguito di eseguirgli le copie delle tele
che non riusciva a ottenere. Perchnon si guastasse, fece portare
attraverso le Alpi sugli omeri da quattro omaccioni forzuti il quadro
Das Rosenkranzfest (Rencovslavnost) di Der, acquistato a
Venezia da un suo delegato (5) Pieter Bruegel e Der fra tutti i
pittori erano i suoi prediletti.
恃acmistrovvero governatore delle raccolte fu dunque l'antiquario
italiano Jacopo Strada, che giaveva tenuto un analogo ufficio alla
corte di Vienna. Il fatto che la sua bella figlia fosse a lungo
tagliuola del negro cuore dell'imperatore concorse a dare una
posizione eminente al Castello a lui e alla famiglia (tanto che alla
sua morte, nel 1588, la direzione delle raccolte passal figlio
Octavio)
Ma, nel romanzo Astrolog, Josef Sv漮ek sostiene che lo stesso
Strada poteva accedere alla 恃ackomora a quel prestigioso gabinetto
di curiositrodolfine, solo in presenza dell'imperatore o con un
permesso particolare (6) L'esagerazione forse dovuta all'ambigua
parte che Sv漮ek assegna al vecchio antiquario, facendone addirittura
l'uomo di paglia dell'astutissimo Scotta, re dei Quacksalber e dei
truffatori.

NOTE:
(1) Cfr' Karl Chytil, Kunst und Kstler am Hofe Rudolfs II., Praha
s'd' [1913]; Jaromir Neumann, Obraz漷na Praesk逸o Hradu, Praha 1966.
(2) Josef Sv漮ek, Astrolog cit', pp' 72 e 74.
(3) Cfr' Jan Mor潎ek, Dv鑴 Rudolf驠: sbirky na Praesk鄉 hrad in
Co daly na蟌 zemEvropa lidstvu, a cura di Vil鄉 Mathesius, Praha
1940, pp' 143-45.
(4) Cfr' Jaromir Neumann, Obraz漷na Praesk逸o Hradu cit', p' 32.
(5) Cfr' Josef Sv漮ek, PosledndnovRudolfov蓫l sbirek v Praze,
in Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓳h, I, Praha 1891, p' 50; F'X'
Harlas, Rudolf II, milovn骿 um瘽a sb瘲atel, Praha s'd' [1916]
(6) Josef Sv漮ek, Astrolog cit', pp' 49 e 71.

32
Nel romanzo di Max Brod, ragionando con Tycho Brahe, il sovrano
dubbioso e malato afferma di cercar nelle pietre, nei metalli, nei
quadri la perfezione (1) E in realttutti i pezzi della sua
raccolta, gli orologi, i gioielli, persino gli strumenti astronomici
e le bizzarrie naturali recavano il segno di un'abile rifinitura che
ne faceva preziose opere d'arte (2) L'ansia di compiutezza, il
perfezionismo si univano in lui a un raro amore del raro, delle cose
eteroclite, esotiche, 勇ndiane delle appariscenti, delle quisquilie
che sapessero di avventura e di prodigio (3)
Del resto questa predilezione per il meraviglioso concorda col
gusto di un'epoca incline al manierismo. Infervorava i collezionisti
la mercatanzia che le carovane marittime portavan dalle Indie: Cocus
de Maledivia, coquiglie, corni da caccia d'avorio, frutti esotici di
terra e di mare, terraglie dei Chini, uova di struzzo, pelli di
uccelli, pitture giapponesi su carta e su seta. E tutto questo era
detto 勇ndianisch Le Schatz- und Wunderkammern ambivano i piccolissimi oggetti
costruiti con microscopica ricercatezza, i minuti lavori in avorio,
su gusci di noce, su noccioli di ciliegia, su nicchi, le esigue
ornature di smalto. A tanto amore della minuteria potrebbe fare da
emblema uno splendido quadro della galleria di Rodolfo, in cui Joris
Hoefnagel addensfiori, frutti, farfalle, arvicole, rospi, lumache,
una locusta, ogni sorta di insetti attorno a una bianca rosa (4), una
sfatta rosa da poesia halasiana.
Gli orafi, cosnumerosi alla corte di Praga, incastravano denti di
squalo nell'oro come lingue di serpi. I cesellatori intagliavano in
forma di paesaggi e calvari e miniere grezzi cristalli di minerali
(信andsteine, considerati portenti della natura. Le cose insolite,
le pellegrine erano talismani di 咬瞚erie pretesti di analogie. E
perciin un aguzzo dente di narvalo la fantasia ravvisava il corno
di un lunicorno amorevole con le pulzelle o un coagulo di ambra o una
massa rappresa di etere cosmico o la secrezione di arcani animali.
Nell'osso di una bestia antidiluviana l'osso di un gigante. Nelle
cave corna di un'antilope africana gli artigli di un grifo.
Scontraffatte parvenze, pietre e piante di strana figura ferina e
di colore inusato erano per Rodolfo sorgenti di forza soprannaturale,
則uacacome per gli Incas. Egli aveva nella sua raccolta gran copia
di cammei e raritlitologiche (5), 非onnersteine(martelli di selce
preistorici), due bulloni dell'Arca di No mostri bicefali, un
coccodrillo e campioni di bezoar, concrezione calcarea degli
intestini di camosci e stambecchi, pietra gastrica dalle virt
misteriose, che il tocco degli orafi tramutava in amuleti e monili.
Tra le altre cose balzane da lui possedute notiamo il coltello
inghiottito da un contadino durante una crapula ed estratto dopo nove
mesi, nel 1602, da mastro Florian, barbiere; una sedia di ferro
(亭angstuhl, che imprigionava chi vi si fosse seduto; un
冠rtefattosonoro, sulla cui cima indorata si moveva una caccia di
camosci e di cervi; un 保rgelwerk che eseguiva da solo 咬icercari,
madrigali, e canzoni struzzi impagliati; calici di rinoceronte, in
cui le bevande ribollono se avvelenate; un medaglione votivo di
argilla di Gerusalemme; un grumo di creta della valle di Ebron, con
cui Jahve Elohim plasmil protoplasto Adamo; e grosse radici di
mandragora (Alraune) in figura di omini, poste sul morbido velluto di
piccoli scrigni come in lettucci di bambole. Il sortilegio di questa
pianta delle solanacee cresceva se era trovata sotto un patibolo.
Alraune, vegetale fantoccio del teatro di Praga: della stessa
famiglia di manichini, cui appartengono il Golem, i robot, Odradek.

NOTE:
(1) Max Brod, Tycho Brahes Weg zu Gott, trad' it' cit', p' 368.
(2) Cfr' Jaromir Neumann, Obraz漷na Praesk逸o Hradu cit', p' 18.
(3) Cfr' F'X' Harlas, Rudolf II, milovn骿 um瘽a sb瘲atel, Praha
s'd' [1916], pp' 49, 58, 60, 66, 67, 68.
(4) Cfr' Jaromir Neumann, Obraz漷na Praesk逸o Hradu cit', pp'
156-58.
(5) Cfr' Karel Chytil, La Couronne de Rudolphe II, Praha 1921.

33
Rodolfo II affastellava a capriccio e senza un sistema le
preziositdella sua raccolta su mensole e tavoli, dentro innumeri
armadi e forzieri (1) Perchi lettori abbiano una breve contezza
degli altri oggetti che popolavano quel 哉erzauberter Raum
tenteremo di elencarne ancora qualcuno in una sorta di scompigliato
inventario che, per essere appunto manchevole, rispecchiermeglio il
disordine della collezione.
Calchi di lucertole in gesso e di altre bestie in argento,
俑eermuscheln corazze di tartarughe, madreperle, noci di cocco,
pupazzetti di cera a colori, figurine di argilla egizie, finissimi
specchi di vetro e di acciaio, occhiali, coralli, scatole 勇ndiane
con piume sgargianti, vasi 勇ndianidi paglia e di legno, pitture
勇ndianeossia giapponesi, noci 勇ndianed'argento battuto e
indorato, e altre esotiche cose che le gran caracche portavano a vele
tese dalle Indie, un torso muliebre di gesso color carnicino, di
quelli che piaceranno ai surrealisti praghesi, tavolieri d'ambra e
d'avorio per giocarvi a dadi, un teschio di gialla ambra, calici
d'ambra, zampogne, 厚aesaggidi diaspro di Boemia, una tavoletta
d'argento smaltato, nicchi di agata, diaspro, topazio, cristallo, un
quadro d'argento montato nell'ebano, una pittura su alabastro
orientale, pietre dipinte, mosaici, un altarino d'argento, un
pecchero di cristallo con coperchio d'argento, una caraffa di topazio
donata a Rodolfo da un'ambasceria moscovita, un'anguistara di 厚ietra
stellare un bellicone di agata boema con anse d'oro, un tonfano di
topazio in foggia di leone, posate d'oro con rubini, orci di terra
sigillata (alcuni dentro un involucro di velluto rosso), una nave di
corallo con figurine, una nave di legno indorata, una nave maiuscola
di Cocus de Maledivia rivestita d'argento, un cofanetto di cristallo
di rocca, una cassetta di madreperla, un liuto d'argento, lamine di
lapislazzuli, corni di rinoceronte, corni da caccia in avorio,
vistosi coltelli guarniti con oro e con gemme, porcellane, tagli di
drappo, mappamondi di varie guise: uno indorato, uno argenteo su un
ippogrifo, sfere armillari, strumenti di misurazione, vetreria
veneziana, un'antica testa di Polifemo, Deianira e il centauro in
argento, medaglie, maioliche a molti colori, preparati anatomici,
finimenti, speroni, briglie, bardelle, cupole di trabacche, farsetti
ed altro bottino preso ai turchi nel rigettare le loro gualdane,
arnesi di venazione, bandiere, museruole e collari, ogni specie di
vasellamenti, coppe di uova di struzzi, sciabole, daghe di manigoldi,
moschetti, stiletti, stocchi, spingarde, pistole, verdughi. E automi,
e meccanismi melodici. E orologi, orologi. In forma di barca
d'argento, di torre con trombettieri... (2). Come nel sogno di Kubin
a Perla nel romanzo Die andere Seite: sentii intorno a me un
ticchettare molteplice e scorsi una quantitdi orologi piatti, di
grandezze svariate, da quella dell'orologio della torre a quella
degli orologi da cucina, fino ai pipiccoli orologi da tasca.
Avevano piccoli mozziconi di gambe e si trascinavano come tartarughe,
qua e lper il prato, disordinatamente, con un ticchettio eccitato
(3) Nella raccolta di Rodolfo era appunto una tartarughina con un
congegno di orologeria (4)
Dai granati di Boemia alle selle da naso, dagli arbori petrigni del
mare alle caraffelle di corno di rinoceronte, dalle perfide lame con
occhi-rubini sui manichi agli 哎shebtise alle piume di colibr Dio
mio, quanti stimoli per la fantasia. Abbracciando i diversi regni
della natura e le lontananze geografiche, quel guazzabuglio,
quell'attrezzeria conviviale, quel repertorio di gioie e di artefatti
e di argenti e di utensili e di inutilezze voleva essere un 卻rbis
pictus riflettere il libro di Dio. D'altronde la promiscuitdegli
oggetti di vari campi e di varie contrade corrispondeva al brulichio
pittoresco di gente eterogenea nella cittrodolfina. A tutto questo
si aggiungano le statue antiche e moderne e la numismatica e stormi
di quadri. E non siano dimenticati i cavalli che Rodolfo collezionava
con grande fervore, non foss'altro che per farsi ritrarre in arcione,
con l'armatura pesante e l'aspetto marziale.

NOTE:
(1) Cfr' F'X' Harlas, Rudolf II, milovn骿 um瘽a sb瘲atel cit', p'
60.
(2) Cfr' F'X' Harlas, Rudolf II, milovn骿 um瘽a sb瘲atel cit',
pp' 60-68.
(3) Alfred Kubin, Die andere Seite, trad' it' L'altra parte, Milano
1965, p' 158.
(4) Cfr' F'X' Harlas, Rudolf II, milovn骿 um瘽a sb瘲atel cit', p'
64.

34
Nel romanzo di Brod, visitando la 恃ackomorarodolfina, Tycho
Brahe tutto si raccapriccia in considerare l'oppressione e l'angoscia
che suscita 叛uesto cumulo confuso di oggetti pareva all'astronomo
剃he lo stesso imperatore tremasse di spavento di fronte a
quell'immensa ricchezza(1)
La febbre di oggetti nasce in Rodolfo dalla bramosia di riempire il
vuoto che lo avviluppa, di soperchiare la paura della solitudine.
Egli congrega avidamente una selva di rari ordigni, come a innalzare
muraglie contro la morte. Il suo collezionismo maniaco esprime
tanatofobia. Se vero, come Gogolafferma nel Ritratto, che una
vendita all'asta somiglia a un uffizio funebre, per la penombra e la
lugubre voce del banditore che batte col martelletto, - le prodigiose
raccolte di Rodolfo hanno anch'esse qualcosa di sepolcrale, e le sue
gallerie sono arche di morti piche stanze di vivi.
Ma quell'inerzia, quella fissitsoltanto apparente. Le morte
cose rivelano una sinistra inquietudine. Lo guardano con maleficio
dalle loro tane come bestie in agguato. E alcune, troppo guardate da
lui, hanno assunto il suo volto, quasi fossero specchi della sua
ipocondria.
Agli ipocondriaci molto avvantaggiosa la mutazione dell'aria, che
le fibre del cervello fortifica, il sugo nervoso purifica ed i
fermenti tutti coi fluidi corregge. Ma Rodolfo non riesce a sottrarsi
agli oggetti che lo tengono schiavo. Egli torna tra loro anche nel
cuor della notte alla fosca vampa di grandi doppieri. Ed ecco sembra
mutarsi in uno degli uomini-oggetti delle 剎izzarriedel Bracelli,
in un corpo tutto scomparti e cassetti, per nascondervi peccheri,
gemme, monili. Il ranocchiesco cric-crac degli armadi, l'ammiccare
dei cristalli e degli amuleti, l'idiozia da santone dell'abinzoar, i
terribili occhi dei quadri, il sugnoso luccichio delle stoffe, i
bisbigli delle pietre sono per lui piattraenti degli affari di
stato. In quella dispensa di 則uaca in quel 削reamlanddi feticci
egli legge il mistero dell'universo, come nelle cucurbite e negli
oroscopi.
Nel dramma di JiwKar滻ek l'amletico Rodolfo, 勃r滎-snivec
re-sognatore, esitante nelle decisioni e nemico degli sguardi curiosi
e della luce del giorno, povera larva in un serbatoio di rarite di
anticaglie, si sente alla fine lui stesso morto tra le morte cose che
lo circondano: 剌antasma di re, giuoco alle ombre con la corona, -
che il destino mi ha impresso sulla testa martoriata, - come nel
fiore della passiflora - la natura stampgli strumenti del
supplizio...(2).

NOTE:
(1) Max Brod, Tycho Brahes Weg zu Gott, trad' it' cit', pp' 366-67.
(2) JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf cit', p' 16.

35
E Sua Maestla Polvere@ si posa lievemente sul trono
abbandonato.@
Jaroslav Seifert (1)
Queste raccolte ebbero sciagurato destino. Giil branco dei
cortigiani vi fece man bassa. Ben sapendo che l'argento suol rendere
candido persino un corvo, Philipp Lang z Langenfelsu, furo e maestro
di surrezione, sgraffigna tutto spiano vecchie monete, gioielli,
vasi di diaspro, rarit勇ndiane(2)
Nelle sue memorie Da蟊ckricorda che, dopo la morte di Rodolfo II
(20 gennaio 1612), uno dei ciambellani, l'iniquo Jeron蔂 Makovsk
rivel nella speranza di uscir di prigione, l'esistenza di molti
tesori che l'imperatore aveva 南ascosto e muratoEd aggiunge: 非ove
siano andate a finire queste cose preziose e queste mostre rimesse in
luce e rivalutate non affatto noto: perchsotto quelle discordie
in Boemia era un continuo dryps-draps...(3).
Le raccolte rimasero abbandonate, quando il successore Maty碭
trasferla sua sede a Vienna. La guerra dei Trent'anni, iniziatasi
nel 1618 con la defenestrazione di Praga, arrecduri colpi
all'oggetteria rodolfina (4) Dopo la battaglia della Montagna
Bianca, il duca Massimiliano di Baviera, nel lasciar Praga il 17
novembre 1620, si portdietro, in compenso dell'aiuto prestato a
Ferdinando II, non meno di mille e cinquecento carri con ori e
preziosi trafugati al Castello. Altri cinquanta veicoli riempdi
bottino il Kurfst di Sassonia quando, nel 1631, il suo esercito
occupla capitale boema. Dryps-draps. Chiunque passasse per Praga,
la faceva vedova di un'altra porzione delle raritdi Rodolfo.
L'enorme balena, senza piGiona nell'oratorio-spelonca delle sue
viscere, forniva ai predoni stranieri interi carriaggi di carne, di
pelle, di grasso.
Ma il peggio venne quando, la notte del 26 luglio 1648, gli svedesi
si impadronirono di Hrad螮ny e di MalStrana. Le volpi di Sansone
non menarono tanta strage nelle biade dei filistei, quanto la
soldataglia di K霵igsmark nelle gallerie rodolfine. Come se gli
svedesi fossero giunti con l'unico scopo di rapinare i tesori
dell'ipocondriaco sovrano, agognati dalla regina Cristina. Nella
ruberia madornale che, longe horrendior quam ignis, si estese ai
palazzi della nobiltceca e alle biblioteche dei Roemberk e di
Strahov, - K霵igsmark pensanche a se stesso, riservandosi cinque
carri ingombri di oro e di argento. Dryps-draps. Le dovizie sottratte
furono trasportate a Wismar e di l per nave, a Stoccolma. La
commissione chiamata a tirare le somme del piratesco finale di
trent'anni di guerra, trovsolo statue in frantumi, cornici deserte,
e qualche quadro deteriorato, tra cui Das Rosenkranzfest di Der
(5)
Quel che patirono in seguito le smembrate raccolte disperse per
tutta l'Europa, troppo bisognerebbe a scriverlo distesamente. Eppure
qualcosa era sopravvissuto, come se le 則uacasi moltiplicassero per
virtmagica. Fu merito dell'arciduca Leopold Wilhelm, fratello
dell'imperatore Ferdinando III, se, soprattutto con quadri acquistati
quell'anno ad Anversa nell'asta della collezione Buchingham, si pot
costituire, assieme ai residui dell'etrodolfina, una nuova copiosa
raccolta (6), che ebbe lustro per tutto il Seicento e lascitracce
nell'opera del pittore barocco Petr Brandl (7)
Ma dai tempi di Carlo VI (1711-40), mediocre sovrano e fanatico
religionista, gli Absburgo, in nome del centralismo, presero a
considerare la galleria del Castello riserva e deposito di quella
viennese, e comincilemme lemme un trafugamento di quadri, un
dryps-draps, che immisernuovamente le ripristinate raccolte (8)
Per rinsanguar le finanze, nel 1749, Maria Teresa vendette a cuor
leggero parecchi dipinti alla pinacoteca di Dresda (9) Quando, nel
1757, durante la guerra dei Sette anni, Federico II di Prussia fece
cannoneggiare il Castello, ciche restava fu ammonticchiato nei
sotterranei, ma in tanta fretta, che statue e porcellane e cristalli
andarono in pezzi.
E nel 1780, quando Giuseppe II deliberdi adibire l'antico
edificio, l'orgoglio del popolo boemo, a caserma di artiglieria, fu
necessario sgombrarlo delle tele e di tutte le inutilezze ammuffite,
per lasciar posto ai depositi di munizioni. Si indisse un'asta
contumeliosa. Ma prima si provvide a una frivola estimazione dei
beni. Per dirla d'un fiato, i quadri migliori (compreso Das
Rosenkranzfest di Der) e i meno guasti erano valutati un fiorino o
due, i meno vistosi o pidanneggiati pochissime crazie. E poichle
statue si valutavano solo secondo la massa di materiale scolpito ed
il grado di conservazione, trenta crazie soltanto, insieme con altri
due torsi di marmo, venne prezzato il famoso Ilioneus, che Rodolfo
aveva pagato diecimila ducati (10) Nell'annunzio dell'asta fu posto
come condizione che si dovessero portar via senza indugio le cose
acquistate: tale era l'ansia nei liquidatori di liberarsi dei pezzi
decidui di una grande raccolta, che al gelido utilitarismo di allora
appariva un'inutile congerie di roba 哀uperflua(11) La tristissima
asta, non meno desolatrice del sacco svedese, si svolse il 13 e il 14
maggio 1782.
E i detriti, gli oggetti cionchi? Il giorno prima dell'asta, al
Castello, i famigli ammucchiarono in gerle e ceste rottami, cocci,
calchi di gesso, fossili, nicchi, statuette, monete e medaglie
ammaccate, pietre di poco momento, gettando poi tutta questa
minuzzaglia dal Ponte delle Polveri nel sottostante Fossato dei
Cervi. Nel profondo fossato si accumulun alto acervo di scarti, nel
quale i ragazzi praghesi frugarono ancora per cinquant'anni (12)
Cosun immenso tesoro, una lista lunghissima di splendori si ridusse
a un ammasso di vili festuche e di carabattole da robivecchi. Eterna
presenza del tandlmark nella dimensione di Praga.
Per tutto il XIX secolo il ricordo dell'asta giuseppina brucicome
un affronto la coscienza dei cechi. Ancora nel 1862 il pittore Karel
Purkynsi crucciava che le meraviglie della galleria di Rodolfo
abbellissero le pinacoteche di Vienna, Monaco, Dresda, Stoccolma,
mentre al Castello non era rimasto piniente (13) In quell'archivio
di glorie perdute echeggiavano ormai, per usare parole di Seifert, le
剌anfare del silenzio(14) Quella sfarzosa fuga di stanze, enclave
dell'aborrito potere absburgico, appariva alle generazioni del
risorgimento un forziere spogliato, un estraneo mausoleo disadorno.
Eppure non tutto era finito con l'asta contumeliosa. Ripullulava
come amputate radici la dispensa di 則uacaUn ispettore inviato da
Vienna nel 1876 constatche parecchi dipinti, riposti in luoghi meno
accessibili, erano sfuggiti ai saccheggiamenti, alle sottrazioni,
all'incanto (15) E ricominciil dryps-draps, le tele di maggior
valore furono sommessamente a piriprese trasferite a Vienna, senza
che il pellegrino di Praga, l'eterno escluso, ne avesse conoscimento
(16) Ma la sfolgorata galleria rodolfina possedeva davvero vitalit
di fenice, perch nonostante lo stillicidio dell'ultima
depauperazione, negli anni recenti si ancora trovato negli ipogei
del Castello qualche dimenticato dipinto di pregio, estremo residuo,
estrema consolazione.
La storia a sorpresa di questa 恃ackomorasembra simboleggiare le
innumere perdite, ma anche la caparbietdi rivivere di una contrada,
削ove l'albero in fiore del miraggio - rapidamente si tramuta in
sabbia(17) Qui cascettelle di gioie si convertono in un
bric-brac da bazar delle pulci, albagia di falcone si stempera in
sordo avvilimento di gufo, dei grandi sogni non resta che un apparato
di ceneri. Ma finiamola con queste matte raccolte, che io son proprio
stanco di inseguirle nel loro baluginio.
::::::::::
(17) Jaroslav Seifert, Praeskhrad, Praha 1969.

NOTE:
(1) Jaroslav Seifert, Praha, in Po褾ovnholub (1929)
(2) Cfr' F'X' Harlas, Rudolf II, milovn骿 um瘽a sb瘲atel cit', p'
23.
(3) Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, p' 261 (1619) Cfr'
anche Karel Pejml, D疀iny 蟌skalchymie cit', pp' 49-50.
(4) Cfr' Josef Sv漮ek, PosledndnovRudolfov蓫l sbirek v Praze,
in Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', I, pp' 47-67.
(5) Cfr' Jaromir Neumann, Obraz漷na Praesk逸o Hradu cit', p' 21.
(6) Cfr' ibid', pp' 24-27.
(7) Cfr' ibid', pp' 16 e 33.
(8) Cfr' ibid', p' 33.
(9) Cfr' ibid', p' 38.
(10) Cfr' Jaromir Neumann, Obraz漷na Praesk逸o Hradu cit', p' 42.
(11) Cfr' ibid', p' 43.
(12) Cfr' Josef Sv漮ek, PosledndnovRudolfov蓫l sbirek v Praze,
in Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', p' 62.
(13) Cfr' Jaromir Neumann, Obraz漷na Praesk逸o Hradu cit', p' 11.
(14) Jaroslav Seifert, Praha, in Po褾ovnholub cit'
(15) Cfr' Jaromir Neumann, Obraz漷na Praesk逸o Hradu cit', pp'
50-51.
(16) Cfr' ibid', pp' 53-54.

36

Quando il tenente Luk碭 gli chiede se si mai mirato allo
specchio, 襒ejk risponde: 俗na volta dal cinese Stan瘯 avevano uno
specchio convesso e quando uno vi si guardava, gli veniva voglia di
vomitare. Il muso cos la testa come un acquaio per le sciacquature,
la pancia come in un canonico ubriaco, insomma una figura(1) A
剌igureriflesse negli specchi magici di un baraccone metafisico
fanno pensare i ritratti compositi dell'Arcimboldo, che tengono
anch'essi della sostanza di Praga, quei volti di verdure, di frutti,
di volatili, di selvaggina, di arrosti, di libri, di utensili e
arnesi rurali da cucina e cantina: 匍usaico di spropositi insieme
commessi supremo conseguimento di quel 勁avorare a grottesco di
cui parla il Bartoli nella Ricreazione del savio (2)
Giuseppe Arcimboldo (1527-93), 勇ngegnosissimo pittor fantastico
(3), prese nel Sessanta del XVI secolo il posto di ritrattista alla
corte di Vienna, lasciato, per debolezza d'occhi, da Jakob
Seisenegger. Regnava Ferdinando I (1526-64). Vi rimase con
Massimiliano II (1564-76) Con Rodolfo II si trasferpoi a Praga. Si
fuse a tal punto con l'atmosfera rodolfina, da entrare nella
mitologia di quel tempo, lui stesso assumendo qualcosa di quella
magica ambiguite malinconia saturnina, che contraddistinsero gli
alchimisti. Come si vede del resto dall'autoritratto, in cui appare
ieratico e duro, con gabbano nero, alto berretto a pan di zucchero,
colletto inamidato sotto la barba. Nella commedia Rabinskmoudrost'
(La saggezza rabbinica, 1886), ambientata nell'epoca di Rodolfo II,
Jaroslav Vrchiickha fatto di lui (col nome Arcimb[a]ldo) un pittore
scavezzacollo, un avventuriere boh幦ien, che rivela i segreti delle
stregonerie di Rabbi L饖 (4)

NOTE:
(1) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky,
Praha 1968, I-II, p' 193.
(2) Daniello Bartoli, La ricreazione del savio, in Trattatisti e
narratori del Seicento, a cura di Ezio Raimondi, Milano-Napoli 1960,
p' 555.
(3) Gregorio Comanini, Il Figino cit', p' 257. Cfr' Benno Geiger, I
dipinti ghiribizzosi di Giuseppe Arcimboldi, Firenze 1954; in
tedesco, Die skurrilen Gem鄟de des Giuseppe Arcimboldi, Wiesbaden
1960.
(4) Jaroslav Vrchiick Rabinskmoudrost' (1886), Praha 1902, pp'
31-32.

37
L'arte dell'Arcimboldo dunque fortemente connessa con le
predilezioni di Rodolfo II: col suo amore degli Automaten e dei
fantocci meccanici, col mondo bizzarro ed esotico che lo attorniava,
col senso alchimico dell'amalgama di corpi diversi, col marionettismo
golemico, e in specie con l'ansia di collezionare che incalzquesto
sovrano (1) C'un intenso rapporto tra i ritratti ibridi
dell'Arcimboldo e la Kunstkammer di Rodolfo, gabinetto di naturalia,
di rarite anomalie. In quanto fastelli di oggetti, di frutti, di
fiori, di bestie, le figure arcimboldesche sono collezioni esse
stesse. Non a caso l'Arcimboldo contribupure lui ad arricchire le
raccolte dell'imperatore e, quando fatto vecchio, si ritirdalla
vita di corte a Milano (1587), continua provvedere all'acquisto di
剃uriosit鉬 per il gran museo rodolfino.
Le Quattro Stagioni, ad esempio, sono vere raccolte di elementi
vegetali. L'Estate (1563): un profilo costruito di frutti: chicchi
d'uva per denti, una pera per mento, la guancia una mela, un
cetriuolo per naso, l'orecchia-pannocchia, e una rigogliosa natura
morta per cappello. L'applicazione dei frutti alle membra 怨 tanto
ingegnosa, che la maraviglia conviene che passi in stupore(2)
Collezioni e nomenclature sono i ritratti del Cantiniere (1574),
groviglio di fusti, caratelli, bottiglie, bicchieri, cavatappi,
cannelli, e del Cuoco (1574), composto di pentole, scodelle, padelle,
frissore, colabrodo, gusci d'uovo, lumache, - nel gusto della
Bauernhochzeit, la parodia nobiliare dei costumi contadini.
Il collezionismo si avverte in particolare nel Bibliotecario,
caricatura dello storiografo imperiale Wolfgang Lazio (1514-65),
raccoglitore di tomi e di in folio e numismatico. Tutto un commesso
di libri: un libro aperto per capelli, un naso-libro, di libri la
testa, nastri segnalibro per orecchi, il busto di libri rilegati e
digesti voluminosi. Il modello il Narrenschiff (La nave dei pazzi)
di Sebastian Brant (1494) Viene in mente, guardando quella 剌igura
la descrizione della biblioteca nel Labirinto di Comenio:
biblioteca-apoteca, dove si conservano medicine contro i mali del
pensiero, con scatole chiamate libri, scatole-libri, apoteca con
scatole e dotti che si ingozzano di libri (3) Il Bibliotecario
arcimboldesco ha una cubicitscatolosa, che rimanda alle parvenze
geometriche, ai robot cubici di altri campioni del manierismo, Luca
Cambiaso, il Bracelli. Ma non dimenticheremo che, tra i personaggi
incontrati da 襒ejk al manicomio, 勇l pifurioso era un signore, il
quale si spacciava per il sedicesimo volume dell'Enciclopedia
scientifica Otto e pregava ciascuno di aprirlo e di trovarvi la voce
青ucitoio di quinterni altrimenti sarebbe andato in rovina. Si
calmava soltanto quando gli mettevano la camicia di forza. E allora
era tutto contento di esser finito in un torchio da rilegatore e
pregava che gli facessero una rifilatura moderna(4)
La passione per le 剃uriosit鉬 si accompagna nell'Arcimboldo a quel
senso delle minuzie, che fu proprio di molti pittori della corte di
Rodolfo, come Bartholom酳s Spranger, Pieter Stevens, Roelant Savery,
i quali, nei loro paesaggi, serragli e 匍anuali della natura
curavano ogni peluzzo, ogni ramo, ogni stelo, ogni sasso. Nel
Labirinto di Comenio uno dei due trabanti che assistono la regina del
mondo Marnost (Vanit, quello che incarna la olisnost (Untuosit,
indossa, invece di corazza, una pelliccia di volpe rovesciata e tiene
una coda di volpe per alabarda (5) Come in Comenio, nell'Arcimboldo
gli animali sono allegorie di difetti, passioni e scomponimenti
dell'animo. Gli animali diversi che formano la testa dell'Uomo hanno
tutti una significazione allegorica, che il canonico mantovano
Gregorio Comanini, nel dialogo Il Figino ovvero Del fine della
pittura (1591), ha spiegato (6)
Difficile raccapezzarsi in quel fitto fastello, in quella tarsia di
bestie sovrapposte, in quell'intreccio di orecchie, di code, di
zampe, di corna, che fanno dell'Uomo una sorta di arca di No un
conglomerato ferino, simile ai paesaggi ancestrali di Roelant Savery,
afose accozzaglie di gallinacei, babbuini, palmipedi, cervi,
volatili, belve. Dalla nuca all'occipite sino alla fronte si
affollano scimmia, stambecco, cavallo, cinghiale, orso, mulo, cervo,
daino, leopardo, gazzella, cane, cammello, leone. La volpe, 冠nimale
astutissimo la fronte, e con la coda fa il sopracciglio.
L'orecchio e la guancia hanno aspetto di vergognoso liofante,
appoggiato ad un asino. La lepre, che ha odorato eccellente ma
imprudenza, forma con la sua schiena il rotondo naso. Un lupo con la
bocca aperta costituisce l'occhio. Gatto vorace la bocca. Il mento
una testa di tigre sottesa dalla tromba del liofante. Un bue
ravvoltolato con accanto un capriolo rassembra il collo.

NOTE:
(1) Cfr' Gustav RenHoche, Die Welt als Labyrinth, Hamburg 1957,
pp' 45-46 e 144-49.
(2) Gregorio Comanini, Il Figino cit', p' 266.
(3) Jan Amos Komensk Labyrint sv皻a a r毄 srdce cit', p' 40.
(4) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, pp' 34-35.
(5) Jan Amos Komensk Labyrint sv皻a a r毄 srdce cit', p' 98.
(6) Gregorio Comanini, Il Figino cit', pp' 266-67.

38
Kokoschka sbaglia nell'affermare che l'arte dell'Arcimboldo
冠ntimagicae franca di ogni superstizione (1) Lo stesso Comanini
ne aveva messo in risalto la sostanza onirica, l'冠rtificio il
meraviglioso. Nel Figino, parlando dei tre 匍inistri del Sonno
Morfeo, Icelone e Fantaso, uno degli interlocutori, il Guazzo,
asserisce: 俟e queste non fosser favole, io direi che tutti e tre
questi ministri del Sonno molto son famigliari dell'Arcimboldo,
poichegli sa fare l'arti e le trasformazioni che eglino fanno.
Anzi, fa di vantaggio picose che non fanno essi, trasformando egli
animali et uccelli e serpenti e bronchi e fiori e frutti e pesci et
erbe e foglie e spiche e paglie et uve in uomini et in vestimenti
d'uomini, in donne et in ornamenti di donneE un altro
interlocutore rincara, osservando 勁a virtfantastica前ssere
gagliardissima nell'Arcimboldo, poichegli, componendo insieme
l'imagini delle sensibili cose da lui vedute, ne forma strani
capricci et idoli non pida forza di fantasia inventati, quello che
pare impossibile a congiungersi accozzando con molta destrezza e
facendone risultar ciche vuole(2)
Anche se imitati con la maggior diligenza, in stesure precise e
realistiche, gli oggetti dell'Arcimboldo hanno la vitalitspiritata
e spaventosa dei fantasmi, delle morte reliquie: morti guazzabugli di
pesci, castelli di frutta troppo matura e gisfatta. Qualcosa di
amorfo, di molliccio, di ripugnante nel volto-serraglio dell'Uomo,
questo incubo di cacciatore, torvo affastellamento ferino. L'Acqua
(1566), mostruosa testa di pesci occhiuti e di polipi e di lucertole
e di menomi animaluzzi marini e nicchi di conchiglie e gusci di
chiocciole, il trionfo del viscido. Cosmi immagino l'orrida testa
di piovra del dio marino Cthulhu di Lovecraft.
Un immenso squallore emana dall'Inverno (1563), orrido mascherone
di vecchio irsuto e pungente, carico d'anni sino alla decrepit
conglobato di acumi spinosi. Un tronco d'albero noderoso forma la
testa, con rami contorti e piccole foglie per capelli, un tronco da
cui sporge fuori un groppo scortecciato per naso. Spuntoni di rami
fanno da ciglia e barbetta. Le turgide labbra sono agarici bianchi,
cosparsi di muschio. Da una stuoia vien fuori il collo grinzoso,
assieme a un ramo con un limone e un'arancia.
E che dire dell'orridezza spettrale del Fuoco (1566), questa
espressione di antico furor militare, questo idolo pronto a
imprendere arsioni e gualdane, - ricordo della campagna di
Massimiliano II contro i Turchi? (3) La figura ha capelli di fiamme
turbate e svolazzanti, di matasse di micce la fronte e la bocca,
nell'occhio un mozzicone di cera, naso e orecchia di impugnature di
spade, una sorta di portacandele e una torcia appicciata per collo,
un collare di borchie alternate a smeraldi, e bombarde e archibugi
nel busto.
La minuzia del reale non esclude mai l'ambiguit come ci hanno
insegnato i pittori del Surrealismo. Basta guardare il Guerriero,
testa reversibile di alcuni pezzi di arrosto tra due vassoi, che
danno un elmo o il colletto di metallo di una corazza, secondo che il
quadro si gira di 180E' chiaro, nella tangibilitdegli arrosti,
dei frutti, della selvaggina, in questa realtche per troppa minuzia
imitativa diventa fantastica, si potrebbe trovare qualche rapporto
con la cool imagery Pop, coi cibi, coi vegetables, coi bright
pastries, coi sandwiches di un Oldenburg (4) Ma il pennello
ghiribizzante dell'Arcimboldo giunge a diversi effetti di demonia.
L'accostamento di pezzi nomenclativi, anche se attinti alla stessa
serie, crea una sorta di magia del fortuito, di ibriditdiavolesca.
E forse per questo si avverte in quelle parvenze come un continuo
rimando alla dimensione dei primitivi, ai tatuaggi dei Marchesiani,
alle deformazioni craniche dei Mangebetou del Congo belga. L'ittico
impasto dell'Acqua ci ricorda che la Melanesia concepisce i suoi dei
come squali e l'Estate, caleidoscopio di frutti, non lontana dal
volto istoriato di un polinesiano (5)

NOTE:
(1) Cfr' Oskar Kokoschka, Schriften 1907-55, Mchen 1956, p' 593.
(2) Gregorio Comanini, Il Figino cit', pp' 269-70.
(3) Cfr' Pavel Preiss, Giuseppe Arcimboldo, Praha 1967, p' 17.
(4) Cfr' Lucy R' Lippard, Pop Art, London 1966, p' 110.
(5) Cfr' Marcel Mauss, Manuel d'ethnographie, Paris 1967, pp' 60,
95, 97.

39
Un volto istoriato, un volto di pezzi diversi un oggetto, un
oggetto adorno. L'uomo diventa inventario e addizione dei propri
strumenti abituali, un fantoccio composto degli arnesi del suo
mestiere. Del corpo non v'sentore nelle immagini dell'Arcimboldo,
ma si presume rigido e marionettesco. Tutto l'umore viene riassunto
dal capo che un rompicapo, un puzzle di oggetti incastrati l'uno
nell'altro, di vegetali che allignano insieme in un'apparente
concordia, come le viti con gli olmi e le ulive con le mortelle, di
bestie riunite per mansuetudine.
Alla vita si sostituisce il rappezzo inerte, l'insieme di molti
congegni: tendono anch'esse ai robot di 螮pek le visioni morfiche
dell'Arcimboldo. Aspirano a una serialit hanno la vocazione di
riprodursi in sequele, nel limbo dei duplicati. La fantoccesca
ricucitura di attrezzi e di volatili e di frutti indica il
decadimento della bellezza del Volto, che, rinunziando ad esser
sembianza di Dio, si fa laido e morchioso, e si riduce a compendio e
dispensa di oggetti, perchl'uomo schiavo degli arnesi che si
illude di manovrare e che lo divorano invece, sino ad invadere le sue
fattezze.
La serialitdi queste facce composite contiene due opposti
aspetti: da un lato esse suggeriscono un'ammiccante vuotaggine, un
Menetekel di orrore, un lugubre senso di disfacimento e di morte,
dall'altro hanno qualcosa di ironico e di farsesco, una l踄herliche
Anatomie da baraccone, gli attributi di un mondo carnevalesco e
scurrile, un mondo da Celionati. Quei volti simili a molli pasticci
di frutta apritive, per farne emulsioni contro l'ipocondria; il
ghigno idiota e gaudente della paflagonica Estate dalle guance
rigonfie e con un carciofo sul petto; e persino la faccia della
Primavera che, sebbene mosaico di fiori, a ben guardare, si rivela
arrappata, come se l'amido degli anni atteggiasse i fiori in rigide
crespe da lattochiglia: tutto questo ha sapore di carnevale.
Ma il comico e lo stupidamente giocondo danno spesso nel
diavolesco, come nei volti mostruosi dagli occhi grossi del Cuoco o
del Cantiniere, o nel 咬itratto di vari arrosti(1566), simulacro di
un certo Dottore e Leggista, ossia il vicecancelliere imperiale
Johann Ulribl Zasio (1521-70), 冠 cui tutto il volto era guasto dal
mal francese e pochi peluzzi erano al mento rimasti(1), - mostaccio
fatto di rane e di cosce ossute di uccelli, cossconcio che sembra
il priore dei diavoli e dalla cui bocca rospesca par emanare lezzo di
assafetida.

NOTE:
(1) Gregorio Comanini, Il Figino cit', p' 269.

40
Ma le parti di quei ritratti sono fuse davvero in un'unica
orologeria, o piuttosto ogni pezzo vive di vita autonoma, in una
specie di scomposizione anatomica, come gli elementi del viso nei
racconti di Gogol E, come per certi selvaggi, per l'Arcimboldo non
hanno le diverse frazioni del volto ciascuna un'anima? (1)
Sono inquietanti i nasacci bitorzoluti, che quasi con operazione di
rinoplastica egli ha appiccato alle facce rigonfie. Se lo stuzzico di
un pruritante ingrediente facesse loro sparare starnuti sonori, si
staccherebbero forse quei nasoni proboscidali. E se d'improvviso un
naso-popone dovesse andarsene in giro per Praga? In fatto di nasi, le
arcimboldesche parvenze si affiancano a un'altra figura della
demonologia praghese, l'astrologo Tycho Brahe, che sfoggiava un naso
d'oro posticcio.
Qualcosa inoltre accomuna questi mostacci compositi, soprattutto
quelli delle Stagioni, alle maschere agresti del teatro barocco
boemo: alle Lucky dal lungo becco mostruoso, ai fantasmi di irchi e
cavalle dagli occhiacci sgranati, che han nome Br蠼a, Perchta,
Klibna, alla Smrtka, la Morte, manichino di paglia ravvolto in una
catena di gusci d'uovo (2) La materia stessa degli indumenti e delle
ornature avvicina i soggetti di questi dipinti ai personaggi
folclorici, che si vestivano appunto di gusci d'uovo, di paglia, di
tela di sacco, di pelle d'orso. L'Estate ha una rustica giubba di
paglia asserrata alla gola, dal cui bavero escono fasciolini di
spighe. L'Autunno incamiciato di grosse doghe di botte. Figure per
le suites popolari di un regista come Emil Franti蟌k Burian.
Anche se nel 1648 furono in massima parte trafugati dagli Svedesi,
sembra ancora di scorgerli in carnevalesche brigate per le vie di una
Praga-Bamberga, mossi da Celionati-Arcimboldo, questi feticci. Del
resto varie testimonianze attribuiscono all'Arcimboldo
l'orchestrazione di mascherate e di feste con luminarie, di caroselli
e tornei e cortei mitologici (per le nozze, ad esempio, dell'arciduca
Carlo di Stiria, fratello di Massimiliano II, con Maria di Baviera a
Vienna nell'agosto 1571), in cui sfilarono ibridi analoghi alle sue
teste composite (3)
Sembra di scorgere nella nebbia di Praga l'Autunno dal piglio di
lanzichenecco, tutto intessuto di pomi, poponi, tralci di vite e
grappoli d'uva, campione rozzissimo di una brutale vendemmia, privo
di quel malinconico vitreo, di quella 咨esklivina di cui fatto
l'Autunno nei versi di Halas. E l'Aria, fastello di becchi e capini
ed occhietti inquieti di uccelli, la quale ha per busto una coda di
pavone con altri occhietti. E la Primavera, il cui viso ed il bianco
armacollo dello scuro vestito spagnuolo sono un fitto ricamo di
fiori. E Flora, tutta spampanata, merlettatura di stami e vilucchi e
zagarelle di petali, arcana creatura botanica, pertroppo corposa,
per confrontarla alla minuscola pupattola floreale D顤tje Elverdink,
che dorme nel calice di un tulipano in Meister Floh di Hoffmann.
Aggregandoci agli innumeri imitatori dell'Arcimboldo, potremmo, con
quella 咨raslazione metaforicache la sua strategia (4), imbastire
altre teste composite, e anzitutto un Alchimista, un insieme di
matracci, cucurbite, storte, lambicchi. E pensare Praga come
un'侵nventio Arcimboldi come una cittantropomorfica, che abbia
gli alberi di Petwin per capelli, Hrad螮ny per fronte, i palazzi di
MalStrana per occhi, il Ponte Carlo per naso, Piazza della Citt
Vecchia per bocca.
Ma chi il 厚rincipaledi questi spettri che scendono gidalle
gallerie del Castello? Lo stesso Rodolfo II, anche lui intarsio di
pezzi, Rodolfo-Vertumnus, come lo raffigurl'Arcimboldo,
lussureggiante conglomerato di frutti: un popone la fronte, una
melappia e una pesca le guance, un occhio ciliegia e l'altro gelsa
vermiglia, una pera per naso, tralci e grappoli e spighe i capelli,
due nocciole sul labbro, una spinosa castagna la barba (5) Da quel
capo pigrosso di una cocozza d'India, da quelle gote pasciute e
scoppianti, da quel trionfo di drupe e di polpe traspira una
pagliaccesca stoliditsoddisfatta, un ghigno schizoide.

NOTE:
(1) Cfr' Marcel Mauss, Manuel d'ethnographie cit', p' 249.
(2) Cfr' 蟌n瘯 Zibrt, Veselchvile v eivotlidu 蟌sk逸o
(1909-11), Praha 1950; Petr Bogatyrev, Lidovdivadlo 蟌ska
slovensk Praha 1940; D疀iny 蟌sk逸o divadla cit', I, pp' 285-87.
(3) Cfr' Jan Port, Divadelnv蓨varnici starPrahy, in Kniha o
Praze, III, a cura di ArtuRektorys, Praha 1932, pp' 75-78; Pavel
Preiss, Giuseppe Arcimboldo cit', p' 10; D疀iny 蟌sk逸o divadla cit',
I, p' 140.
(4) Cfr' Ivo Pond瘭斁ek, Fantasknum瘽 Praha 1964, pp' 99-102.
(5) Gregorio Comanini, Il Figino cit', pp' 258-64.

41
Il fascino dell'Arcimboldo non si esaurito. I manichini di cera
da vetrina di barbieria prediletti dai surrealisti praghesi sono
parenti di quelle teste composite. C'un intenso rapporto fra il
Panoptikum dell'Arcimboldo e la creazione di Jindwibl 褾yrsk che
amava ammucchiare 剃uriosit鉬 d'ogni sorta. Nezval ricorda come
褾yrskgli confessasse di aver costruito alcune figure artificiali:
una dal corpo di asparago su una scarpina donnesca antiquata, una dal
corpo di vetusta ottomana e con la testa reclame di un prodotto per
la crescita del seno (1) Qualcosa di arcimboldesco nei collages di
Teige, attuazione del tema nezvaliano 勁a donna al plurale nudi
femminili dalle membra staccate e ricomposte ad arbitrio (mammelle
per guance, occhi su gambe), intrecciati con specchi, colonne,
amaniti, ovoli.
Ma la tecnica dell'Arcimboldo rivive soprattutto in alcune figure
verbali della raccolta Absolutnhrobaw (Il becchino assoluto, 1937)
di Nezval. Nella prima di queste parvenze, l'Uomo che compone di
oggetti il proprio ritratto (Mukterskl歍z pwedm皻svou
podobiznu), alla staticitdelle misture arcimboldesche Nezval
sostituisce una sorta di trasformismo (2) Nella costruzione del
ritratto gli oggetti si avvicendano secondo il tempo e l'umore,
sicchla figura si cambia e si ricompone continuamente, passando per
una sequela di 剌antasmagorie corporalio piuttosto esercizi da
illusionista. Quell'Uomo ora indossa un 剃appello a foggia di piccola
bara trovato in una vetrina di rigattiere, ora ha una 咨esta
cactus coperta dalle 哀pine di laceranti pensieri ora, nel
gabinetto di un dentista, scopre nella propria bocca due macine che
tritano 勁'occhio di vetro delle sue bramosie di cannibalee si
accorge che la sua lingua ha 剌orma di talpaIn quel torno il suo
collo 哎n mazzetto di sigari Avana legati da un aderente colletto
alto, e la cravatta 哎na rondine addomesticataNei giorni in cui
l'Uomo si sente pivecchio, i suoi capelli assumono aspetto di
剎ianchi trucioli Ma la picuriosa di queste figure quella del titolo, il becchino
assoluto. Se i vespiglioni di El Lisichij, nella cartella di figurine
per lo spettacolo elettromeccanico Sieg er die Sonne, sono danzanti
casse da morto con in cima un cilindro, feretri da music-hall che la
sostanza geometrica rende simili a 厚rouny(3), - questo di Nezval
uno spauracchio che fa stomaco, una larva muffita di carniprivio.
Gargantuesca parvenza, intenta a digerire 哎no dei suoi putridi
pranzi quotidianiin una fatiscente taverna, il becchino assoluto
riunisce una sozza gastrimargia ad un funerario disfacimento.
L'occhio sinistro, 哀imile a un uovo sotto spirito si affisa 哀u
una mappa catastale formata da un ragno su un salame patinoso di
muffa mentre dal destro, 哀maltato di larve di mosche 哀vola ogni
tanto una mosca carnaria grande quanto un bottoneNel suo molle
palato, 剃operto di una membrana di saliva e di polvere racchiuso
哎n cimitero in miniatura mutato in un fritto mistoPersino gli
冠llegri becchini(哉eselhrobawi della tenebrosa creazione di
Halas impallidiscono appetto a questo orsaccio nefando, tutto croste
e materia viscosa e slumacature e licheni, sebbene anche in Halas vi
siano volti costruiti di elementi tombali, come quello la cui bocca
哎n obitorio di voci strozzate(4)
Con un diretto rimando alle immagini dell'Arcimboldo, Nezval
insiste sulle madornali dimensioni del naso: 哀imile ad una pinna di
cicloni oceanici 剃operto di urtiche e di isolette caseiformi
grandi come semolino 哉entilatore protetto da narici Secession
剃hiocciola dello sfacelo sotto cui intesse il nido una rondine.
Questo 匍etafisico rimestatore delle crusche di una fogna assoluta
questo golem imbastito con rappezzi funebri a meraviglia si addice
alla sostanza di una cittche trae gran parte della sua stregheria
da un cimitero inquietante: il cimitero ebraico.
Gli espedienti dell'Arcimboldo riappaiono in alcune 厚odoby
(visages), le caricature di Adolf Hoffmeister. Ogni 厚odoba
racchiude una sintesi del mondo del personaggio raffigurato, della
sua vocazione, dei simboli di cui si circonda. cos
Chesterton-pallone, con un'antenna di croce sul naso, si libra come
una mongolfiera. Max Ernst, dal corpo di decrepita villa britannica,
si aggira fra le colonne e i fantasmi e le piante dei suoi collages.
Teige si fa parte integrante delle sue geometrie tipografiche. Sergej
Tret槍akov un lungo rettangolo dalle scritte cinesi, e Shaw un
affilato cactus in un vaso. In questi ritratti burleschi, come nelle
fantasiose vignette di libri (il Fix di Verne ha occhiali composti di
due orologi, la Regina Gatta di Carroll ha sul cappello e sui seni e
sul grembo grifi di gattonacci che sembrano teste d'allocco) e nelle
剃artes drolatiquesdell'Europa per il Teatro Liberato, Hoffmeister
traspone lo scurrile arcimboldesco in un'allegra spensieratezza, in
una clownerie, proprie della stagione poetistica (5)

NOTE:
(1) Vit瞛slav Nezval, Wet瞛 褾瘰t Praha 1936, pp' 35 e 42.
(2) Vit瞛slav Nezval, Absolutnhrobaw, Praha 1937, pp' 9-20. Cfr'
Jan Mukawovsk Semantickrozbor b滻nick逸o dila: Nezval驠
隹bsolutnhrobaw(1938), in Kapitoly z 蟌skpoetiky, II, Praha
1948, pp' 269-89.
(3) El Lissitzky, Sieg er die Sonne (1923), K闤n 1958.
(4) Franti蟌k Halas, U hrobu (Presso una tomba) e Ticho (Il
silenzio), in Sepie (1927) Cfr' Imagena, a cura di A'M' Ripellino,
Torino 1971, pp' 50-51 e 58-59.
(5) Cfr' Kresl魾 Adolf Hoffmeister, PRaha 1948; Miroslav Lama
V蓨varndilo Adolfa Hoffmeistera, Praha 1966.

42
e nella calma delle rosee sere@ tintinna il fogliame di vetro,@
che le dita degli alchimisti sfiorano@ come il vento.@
Jaroslav Seifert, Praha (1)
Quando Rodolfo II trasfera Praga la sede imperiale (1583), - la
cittvitavina divenne teatro e liceo di arte ermetica. Come moscini
al vin dolce, vi accorsero alchimisti da ogni parte d'Europa. Nella
speranza di poter rinsanguare con l'oro alchimico le finanze stremate
dagli acquisti di rarite di ottenere un elettuario che gli
allungasse la vita, Rodolfo amcircondarsi di uno stuolo di
stravaganti distillatori, che magnificava e colmava di doni, per poi
ripudiarli e rinchiuderli in un arto carcere, se lo deludevano (2)
I vasi lutati, i matracci, gli androgini, le perturbazioni, gli
sposalizi, le copule degli elementi, la catabasi nelle contrade
infernali, il coito del re solforoso e della regina mercuriale, che
genera l'oro filosofico, l'identitfra la tortura dei metalli negli
alambicchi e la passione di Nostro Signore, l'uovo, le sfere di
vetro, gli alberi cavi, simbolo dell'athanor: tutto il meraviglioso
dell'alchimia infervorava sino al delirio la sua fantasia,
distogliendolo dalle cure di stato.
Si tramanda che fosse lui stesso un adepto della doctrina di Ermete
e che portasse sempre, appeso al collo in uno scrignetto d'argento
avvolto nel velluto nero, un inutile elisirvite. Quando egli si
spense, il ciambellano Ka螲ar Zruckz Rudz rubquello scrigno,
assieme a tesori e tinture, ma finin prigione, si impiccad un
cordino di seta, venne squartato, perchsi aggirava come fantasma,
le sue ceneri furono sparse nella vitava (3)
L'alchimia si innesta mirabilmente nel mondo rodolfino, che
predilesse i capricci del manierismo, gli ibridi, le bizzarrie, le
esperienze sinistre, il composito, gli androidi d'argilla. Del resto
la stessa malinconia saturnina di Rodolfo II, quella sua morbosa
mestizia, in cui sembra di cogliere gile premesse della lugubrit
del Barocco e di M歊ha, corrisponde al nero della putrefazione, alla
nigredine, durante la quale la materia della Grande Opera assume un
colore di morte, - la malinconia dell'adepto che attende
infinitamente l'esito delle sue mistioni e cozioni (4)
Gli agenti sguinzagliati da Rodolfo nei paesi stranieri in cerca di
oggetti d'arte avevano anche il mandato di scovare alchimisti e con
regali e promesse attirarli a corte (5) Per i ciarlatani, che
percorrevano allora in lungo e in largo l'Europa come gli Englische
Kom鐰ianten e pitardi i guitti della commedia improvvisa, la Boemia
fu una sorta di California della scienza spargirica. Un'incisione
emblematica avrebbe potuto raffigurare cosla cittvitavina in
quegli anni: nell'aria viziata da vapori di zolfo, sotto un torbido
sole androcefalo, che ha l'effigie di Rodolfo, Trismegisto Secondo,
nei giardini imperiali fioriscono alberi di metallo con neri corvi
sui rami e, spaventando gabbiani e anatroccoli, una flottiglia di
strampalati vascelli-athanor naviga per la vitava, mentre, bardata di
ferro, la stomacosa megera di Bruegel corre gidal Castello verso
l'inferno.
Alla prova si conoscono i meloni, e perciRodolfo, prima di
assumere un alchimista al suo servizio, lo faceva esaminare dal
protomedico Taddeo Hagecio (Tade碭 H毄ek z H毄ku) (6) Ma molti
arcadori riuscivan lo stesso con gherminelle a uccellare come
pippioni lui e il protomedico. Usavan crogiuoli con falsi fondi
d'argilla o di cera, sotto cui era nascosta polvere d'oro. O
rimescolavano il contenuto del caldo crogiuolo con una bacchetta cava
che racchiudeva qualche oncia d'oro sotto uno strato di cera. O nel
crogiuolo mettevano carboncini con dentro limatura del superbo
metallo occultata da cera nera, che al fuoco si sarebbe dissolta (7)
Rodolfo si inebrispesso di imbroglioni, che menavano il can per
l'aia, senza che mai nel Castello dalla continuata coniunctio di
zolfo e mercurio, di fissi e volatili, nascesse l'oro. Ma ugual cosa
accadeva ai patrizi e ai ricchi borghesi di Boemia, che andavano in
cimbalis per i coagoli e le sublimazioni e, divorati dalla passione
di 咨ingerecome il sovrano, depauperando le proprie sostanze,
tenevano fornaci alchimiche nei loro palazzi e manieri. Abbindolati
dalle inintelligibili algarabie e dai prestigi di falsi distillatori,
che li rendevano vedovi delle loro borse, speravano di fabbricare il
giallo metallo e di raggiungere una giovinezza perenne, come i grulli
delle fiabe aspettano le cacarelle d'oro e le dissenterie di rubini
degli asini degli orchi. Come un feticcio malefico li attraeva il
Lapis philosophorum.
Frotte di truffatori e frapponi disutili e barri, di dulcamara e
unguentari invasero Praga, abbagliando col loro parlare catacumbaro,
coi loro balsami e magici specchi la gente. Vantando maestria nel far
volare il mercurio e lampeggiare lo zolfo, parecchi avventurieri si
empirono il sacco nella cittrodolfina, per poi dileguarsi come il
corvo dell'arca, se la mala sorte non li scaglinel 厚rofondo
Caucasodella Torre Bianca o non li appese a una forca dorata,
vestiti di pagliuzze d'oro, a dondolare nel vento. Del resto, se
nella parvenza del clown il ghigno burlesco trapassa sovente nella
smorfia di sofferenza di un reietto esposto al ludibrio, nella
maschera dell'alchimista la sicumera sguaiata da cerretano-pagliaccio
ha un risvolto di acerba tristezza e di lutto.

NOTE:
(1) In Po褾ovnholub (Il piccione viaggiatore, 1929)
(2) Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', II, p' 43; Karel Pejml,
Alchymie v 蟌ch槆l pwed Bilou Horou, in Co daly na蟌 zemEvropa
lidstvu, a cura di Vil鄉 Mathesius, PRaha 1940, pp' 149-53; V'H'
Matula, Alchymie v 蟌sk蓫l zemich, in Hled滱kamene mudrc Praha
1948, pp' 69-97; Alois M骿a, Alchymista 螮rlat滱i v Rudolfinsk
Praze, in Kniha o Praze, a cura di Josef Jan碭ek, Praha 1965, pp'
282-96.
(3) Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', p' 59; Karel Pejml, D疀iny
蟌skalchymie cit', pp' 44 e 50.
(4) Cfr' J' van Lennep, Art et Alchimie, Bruxelles 1966, pp' 201-2.
(5) Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 60-61; Karel Pejml,
D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 65.
(6) Cfr' Karel Pejml, D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 43.
(7) Cfr' Zden瘯 Kobza, Alchymie, Praha 1916, p' 28; Karel Pejml,
D疀iny 蟌skalchymie cit', pp' 19 e 43.

43
La tradizione vuole che, al tempo di Rodolfo II, gli alchimisti
abitassero nelle minuscole casette della Viuzza d'Oro (ZlatUli螶a,
Alchimisteng魠chen, Goldmacherg魠chen), una lillipuziana stradina
onirica alla periferia del sontuoso Castello. Meyrink che, a detta di
Max Brod, cercava anche lui la Pietra Filosofale (1), cosla
descrive: 俗na stretta, tortuosa viuzza con balestriere, una traccia
di lumaca, di una larghezza appena bastevole a lasciar passare le
spalle - ed ecco mi ritrovai dinanzi a una fila di casette, nessuna
delle quali pialta di me. Stendendo il braccio, potevo toccarne i
tetti. Ero capitato nella Via degli Alchimisti, dove nel Medioevo gli
adepti avevano arroventato la Pietra Filosofale e avvelenato i raggi
lunari(2) E Oskar Wiener: 亟' una strada davvero molto allegra e
come costruita coi pezzi di una scatola di giocattoli. Le variopinte
casette di bambola, di cui la pigrande misura appena quattro passi
al quadrato, sono appiccate al muro di cinta del Fossato dei Cervi.
Nel meraviglioso vicolo cieco abita ancora povera gente, ma le
minuscole stanzette, ognuna delle quali costituisce tutta una casa,
sono tenute scrupolosamente pulite, e alle finestre, mai pidi due,
fioriscono pelargoni e garofani(3)
La leggenda racconta che il sospettoso Rodolfo custodiva con aspra
sorveglianza i suoi capelluti alchimisti nella Viuzza d'Oro. Ciascuno
aveva per dimora e per laboratorio un Puppenhaus e, chiuso ldentro,
doveva senza concedersi tregua attendere alle trasmutazioni. Un
lanzichenecco con alabarda andava su e gi giorno e notte, per la
stradina. Una volta, inebriandosi del sole d'oro che splendeva nel
cielo e del canto dei primi uccelli di primavera che intrecciavano
nidi nelle mura, alcuni di questi ciarlatani chiesero a gran voce di
uscire a passeggio nel Fossato dei Cervi. Ma nel Fossato cacciavano i
nobili amici dell'imperatore e non si poteva permettere che i rozzi
alchimisti si frammischiassero a coseletta brigata. Per protesta
contro il rifiuto, i Wunderm鄚ner si strapparono le barbe assire,
fracassarono storte e matracci e soffietti, buttando tutto ginel
Fossato sui cacciatori, e si misero in sciopero: non piun chicco
d'oro alla corte. E allora Rodolfo decise di accontentarli a suo
modo: li fece condurre nel Fossato e comanddi schiaffarli dentro
gabbie di ferro appese agli abeti, dove essi morirono miseramente di
fame. E questo perchun alchimista non deve lasciare la sua fumicosa
cucina, per uscir spensierato sotto lo sferico manto, a godersi
l'azzurro della primavera (4) Il supercilioso Rodolfo maltratta
dunque e sopprime gli alchimisti del suo 哀erraglio coscome
Saturno divora la propria prole e l'antimonio, lupus metallorum,
corrode i metalli (5) Meyrink afferma addirittura che nel Fossato
dei Cervi gli orsi di Rodolfo 哉ivono di carne di adepti(6)
La leggenda secondo cui gli alchimisti risiedevano nella Viuzza
d'Oro risale, come quella golemica, al periodo del tardo
romanticismo. Il Castello, cittnella citt non era soggetto alle
leggi vigenti nel resto di Praga: e per questo nel XVI secolo una
ciurma di bottegai, di artigiani non registrati, di rivenduglioli, di
gente fregiata di mal nome piglialloggio nella cornice delle sue
mura. Col muto consenso delle autoritnacque sopra il Fossato dei
Cervi una spalliera di case-giocattolo aggrappate come un'aggiunta
parassitica al complesso organismo del Castello. In quelle casette
abitarono anche battilori, da cui la Viuzza derivl'iniziale
appellativo di Zlatnick(degli orafi), e arcieri, che facevan le
guardie al Castello e i custodi delle sue prigioni. Gli artigiani, i
mercanti e persino gli arcieri traevano sostanziale guadagno dalla
vendita di vettovaglie, bevande, oggetti utili ai prigionieri delle
due torri che delimitano la Viuzza: la Torre Bianca, dove erano
spesso gettati anche gli alchimisti, e la Daliborka (7)
Quest'ultima prese nome dal cavaliere Dalibor z Kozojed, che vi fu
rinchiuso alla fine del XV secolo, per aver appoggiato i contadini
della regione di Litom瞝ice nella rivolta contro un possidente
crudele. Temendo di impazzire nella buia segreta per la solitudine e
l'eterno silenzio, senza mai scorgere uno straccio di cielo, Dalibor
si fece comprare un violino, e con assiduo esercizio raggiunse una
tale maestria, che da tutta Praga i curiosi venivano ad ascoltare
sotto la torre le sue sonate. A primavera i mesti gorgheggi dello
strumento del prigioniero gareggiavano col cinguettio degli uccelli
nel Fossato dei Cervi. Il violinesco singhiozzo cesssolo quando
Dalibor cadde (1498) sotto la scure del manigoldo. Ma ogni favola
esige una ragione: e dunque la lamentevole musica altro non era che
l'urlo straziante di Dalibor torturato sul cavalletto, che in gergo
boiesco si addimanda 哉iolinoCinon toglie perche nelle notti
lunari egli suoni ancora dentro la torre stregata (8)
La convinzione che nella Viuzza d'Oro avessero dimora gli
alchimisti scaturforse dal fatto che v'erano anche orafi tra gli
inquilini delle sue casette. La spiegazione storica non tuttavia
meno avvincente della leggenda, perchci offre l'immagine kafkiana
di un mondo parassitico ai margini di un misterioso Castello. Non a
caso Kafka abitper qualche tempo (1916) al n' 22 di quella stradina
(9) E non a caso, piche un castello, il Castello nel suo romanzo
(1922) un'冠ccozzaglia di casupolefatiscenti, serrate l'una
sull'altra (10) Ma chiaro, nessuno potrcancellare il favoloso
legame tra gli alchimisti e la stretta stradina. Con Nezval diremo:
Nella viuzza d'Oro a Hrad螮ny@ sembra quasi che il tempo non passi@
Se vuoi vivere cinquecento anni@ lascia tutto e consacrati
all'alchimia@@ Quando avverrquel semplice miracolo@ i nostri fiumi
non avranno pioro@ Addio addio ciarlatano saluta@ da parte nostra
il secolo futuro@ (11)
Nelle pittoresche casette di bambola, nelle anguste cucine, dietro
le finestrine minuscole la fantasia scorge ancora adepti e famuli
ansiosi di ritrovare, come afferma Cencio nel Candelaio, 勁'oro
purissimo e probatissimo al fondo della vitrea cucurbita, risaldata
luto sapientiae(atto I, scena XI) Li immaginiamo tappati in quelle
casucce, come in vasi lutati, intenti a eseguire innumere
distillazioni, a ripetere per settimane e per mesi, cotti dal fumo,
arsi dal fuoco, tinti di pece, cascanti dal sonno, lo stesso processo
con una pazienza che ben si accorda con l'infinita, proterva pazienza
di Praga. Ci sembra di sentirli brontolare, come nel Labirinto
comenico (12), chi per il disfavore degli astri, chi per l'intrusione
di terra fangosa nel mercurio, chi per lo scoppio delle cucurbite a
causa del fuoco irruente, chi invece per la cattiva cozione a causa
del fuoco lento e morticcio, chi per il fumo che gli impedisce di
seguire la calcinazione, chi per lo svaporar dell'azoto. Con Seifert
diremo:
Alchimisti, bollite i vostri veleni,@ borbottate una formula
oscura,@ scrivete i segni di un occulto alfabeto,@ e vi obbediscano i
diavoli@ (13)
Nella Viuzza d'Oro una sceneria da fiera e da cantambanchi,
un'esiguitarchitettonica, che par provocata dalla bacchetta di un
mago, fa dunque da sfondo al prodigio drammatico della trasmutazione.
Gran parte della demonia della cittvitavina emana appunto da quelle
casette. Nel dramma di Kar滻ek Kr滎 Rudolf Arthur Dee confessa a
Rumpf: amo questa meravigliosa Praga, che singolare e
incantevole come il suo malinconico re. Questa tetra citt credimi,
infonde una vampata di follia nel cervello di quelli che la fanno
propria. Nella Viuzza d'Oro, dove Rodolfo ha collocato le fucine dei
suoi alchimisti, tutta l'anima della citt Tanto vigore, tanto
magnetismo di forze occulte sono in essa addensati, che vi riescono
tentativi che fallirebbero altrove(14)
Ma il quadro non sarebbe completo, se non ricordassimo che lo
scrittore polacco Stanis獪w Przybyszewski, idolo dei decadenti boemi,
vagheggiinvano di stabilirsi nella Viuzza d'Oro (15), e che in una
di quelle casette, al n' 4, prima della seconda guerra mondiale,
albergava una celebre chiromante praghese, madame de Thebes (16) Tre
carte consunte, tre carte sulla spessa coperta del tavolo, e molte
foto ingiallite sulle pareti, e una magnifica vista sul Fossato dei
Cervi. Come nelle spelonche delle indovine di Josefov, un gattonaccio
rotondo dal ventre a tamburo, un grosso miagolatore, passeggiava per
la piccola stanza, quando non se ne stava accucciato, come il black
cat di Beardsley, sulla chioma-canestro della chiromante.

NOTE:
(1) Max Brod, Vita battagliera cit', p' 229.
(2) Gustav Meyrink, Der Golem, Mchen 1955, cap' Weib. Cfr' anche
Johannes Urzidil, Prager Triptychon, Mchen 1963: in italiano
Trittico di Praga, Milano 1967, p' 18.
(3) Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten cit', p' 67.
(4) Cfr' Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten cit', pp' 67-68.
(5) Cfr' J' van Lennep, Art et Alchimie cit', pp' 86-87.
(6) Gustav Meyrink, Der Engel vom Westlichen Fenster, Bremen 1927,
p' 249.
(7) Cfr' Emanuel Poche, Zlatuli螶a na Praesk鄉 hrad Praha 1969.
(8) Cfr' Josef Sv漮ek, K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in Obrazy
z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', II, p' 160; Alois Jir滻ek, Star
pov瘰ti 蟌sk(1894), Praha 1949, pp' 190-96; Jan Dolensk Praha ve
svsl潎i utrpencit', p' 100; Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten
cit', p' 66; Adolf Wenig, Starpov瘰ti praesk Praha 1931, pp'
289-91.
(9) Cfr' Max Brod, Franz Kafka cit', pp' 176-77; Emanuel Frynta -
Jan Lukas, Franz Kafka lebte in Prag cit', p' 108; Klaus Wagenbach,
Kafka cit', p' 111; Emanuel Poche, Zlatuli螶a na Praesk鄉 hrad
cit', p' 40.
(10) Franz Kafka, Il Castello cit', pp' 39-40.
(11) Vit瞛slav Nezval, U alchymist in Zp漮e螽listek cit', p'
25.
(12) Jan Amos Komensk Labyrint sv皻a a r毄 srdce cit', cap' XII,
p' 54.
(13) Jaroslav Seifert, Sv皻lem od瘽cit', p' 22.
(14) JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf cit', atto I, p' 11.
(15) Cfr' Stanis獪w Helszty盭ki, Przybyszewski, Krak闚 1958, pp'
167-76 e 449; Otakar 褾orch-Marien, Sladko je 鋱t, Praha 1966, pp'
178-82; Emanuel Poche, Zlatuli螶a na Praesk鄉 hradcit', p' 40.
(16) Cfr' Otakar 褾orch-Marien, Sladko je 鋱t cit', pp' 130-31;
Emanuel Poche, Zlatuli螶a na Praesk鄉 hradcit', pp' 48-49.

44
Nell'agosto 1584 due maghi inglesi giunsero al Castello: John Dee
ed Eduard Kelley. Venivano dalla Polonia.
John Dee soleva conversare con gli spiriti, evocandoli in un magic
mirror, un globo di quarzo affumicato, dono dell'angelo Uriel (1)
Negli incontri coi messaggeri celesti assisteva John Dee il
negromante Eduard Kelley. Piene di enigmi, di misteriose
interferenze, di oscurit di miracoli sono le biografie degli
alchimisti. Ma se di John Dee (Jan Devus), astrologo nato a Londra
nel 1527 e caro alla regina Elisabetta, alcune cronache parlano come
di un arcisapiente, - di Kelley le fonti tutte asseriscono
unanimemente che egli era un Jahrmarktsdoktor, un cerretano avido di
guadagni, con l'animo vuoto del prezioso balsamo dell'onest un
avventuriere parabolano, al quale, secondo Sv漮ek, "appartiene un
posto nel Pitaval boemo e non in un Panteon dei dotti dell'et
rodolfina(2)
Il fatto poi che egli avesse il naso beccuto, gli occhi topeschi e
le orecchie mozze (gliele aveva mozzate nel 1580 il boia di Lancaster
per falsificazione di documenti notarili) (3) accresceva la sua
ambiguit il suo alone di diavolo. Meyrink lo definisce: 勇l
ciarlatano dalle orecchie recise, l'istigatore, il medium(4) In
realtsi chiamava Talbot ed era nato nel 1555 a Worcester. Storpiato
dal manigoldo, si fece crescere lunghi capelli, per dissimulare la
mancanza di orecchie, mutil nome in Kelley e fuggda Lancaster,
vagando per l'Inghilterra. Durante questi vagabondaggi, in una
locanda del Galles mise le mani su un arcano manoscritto, trovato
nella tomba di un monaco-stregone assieme a due ampolle d'avorio, una
con polvere rossa, una con polvere bianca. Il vecchio scartabello era
scritto in un linguaggio impenetrabile. Convinto che contenesse la
formula per ottenere la Pietra Filosofale, Kelley corse (22 novembre
1582) a Mortlake, dove il dottor Dee risiedeva, sperando che,
scongiurati dal magico specchio, gli spiriti fornissero la chiave per
decifrarla (5)
Sebbene sbornione e lestofante, Kelley ispirgrande fiducia
all'astrologo della regina e divenne suo aiuto nei colloqui con gli
angeli e nelle trasmutazioni. I loro esorcismi, la loro angelogia, i
loro prestigi attirarono molti curiosi e, sembra, la stessa
Elisabetta nella 剃appelladi Mortlake. Quando, nel giugno 1583, il
palatino di Sieradz, Olbracht 獪ski, il 厚rencipe Alasco polacco
(6), fu in Inghilterra, non mancdi far visita al laboratorio di
Dee. Il 26 giugno uno spirito, interpellato mediante lo specchio, gli
precantche, alla morte del re Stefan Batory, egli sarebbe asceso al
trono degli Jagielloni (7) 獪ski, che ambiva a quel posto, tutto in
solluchero, inviti due stregoni in Polonia. Dopo un fortunoso
viaggio John Dee, assieme alla moglie Fromonda, al figlio Arthur ed
al vendifrottole Kelley, giunse a Cracovia: e anche qui continuarono
le apparizioni chagalliane, le antiveggenze che inebriavano 獪ski
(8) Stefan Batory, che era molto intendente di oroscopi e di
astrologia, non volle esser da meno, e i messi celesti comparvero
anche per lui, nella sua residenza (9)
Nell'agosto 1584 due maghi inglesi giunsero al Castello: John Dee
ed Eduard Kelley. Venivano dalla Polonia. John Dee, che capiva il
linguaggio degli uccelli e sapeva parlare l'idioma del protoplasto
Adamo, si ingrazil'ipocondriaco sovrano, trasmutando mercurio in
oro e animando tutto un teatrino di spiriti nel suo cristallo (10)
Del resto quale attrezzo poteva essere piadatto di uno specchio
incantato ai ghiribizzi di Rodolfo e a quella boutique merveilles
che la cittvitavina? Uno specchio parlante, una voragine di
angeli, un oggetto folle, da porre, nell'arsenale dell'illusionismo
praghese, accanto ai cilindri dei giocolieri di Tich al triangolo
che conduce indietro nel tempo a velocitdi baleno nel 咬omaneto
Nevvton驠 mozek (Il cervello di Newton) di Jakub Arbes.
Benchaccolti alla corte con tutti gli onori, i due maghi tenevano
il piede in due staffe. Promettendo anche a lui, con l'ausilio della
provvida sfera, il trono polacco, si abusarono del favore di un altro
fanatico dell'alchimia e gran credulone, Vil鄉 z Roemberka, signore
di Krumlov e margravio del regno boemo. Nei laboratori di Roemberk a
Krumlov e a Tweboconvenivano in frotta taumaturghi, indovini,
distillatori, masnade di amputatori di borse e imbroglioni, che
impoverirono con mille aggiramenti e malizie il casato della Rosa
Pentifoglia. Un adepto di Meissen si fece dare da lui ottanta fiorini
e li seminnel giardino del castello di Krumlov, innaffiandoli poi
con tintura alchimica. E mentre Roemberk aspettava che germogliassero
oro, il truffatore, una notte, li disseppell dileguando col
gruzzolo (11) Questo aneddoto adombra a mo di parabola la tendenza
spargirica a considerare i metalli organismi che possono crescere,
maturare, moltiplicarsi come il frumento, se seminati nella buona
terra (12), ed insieme la furfanteria dell'alchimista-seminatore che
beffa il suo mecenate (perchil beneficio semenza di
ingratitudine)
Come 獪ski, anche Roemberk partecipava alacremente alle sedute con
gli spiriti. Mise a disposizione di Dee la fucina di Krumlov, perch
ricercasse soltanto per lui la Pietra Filosofale, e lo nascose nel
castello di Twebo quando Rodolfo II, sobillato dalla parte
cattolica e dal nunzio papale, che accusavano il mago inglese di
negromanzia e di commercio con Satana, lo sbanddalle terre boeme
(13) Quando poi, spentosi Batory (1586), al trono polacco salil
principe svedese Zygmunt III Waza, nipote dell'ultimo degli
Jagielloni, e Roemberk e 獪ski rimasero con un palmo di naso, Dee
preferritornarsene in Inghilterra, sebbene la plebe di Mortlake gli
avesse bruciato la casa e la biblioteca ricchissima. Continuava
frattanto, anche se ormai senza Kelley, a tener protocolli dei suoi
appuntamenti con gli angeli. Scomparsa perElisabetta (1603), il
successore, re Giacomo I, non gli fu favorevole. Ed egli, consigliato
dai serafini, si accinse a ripartire, ma ammalpoco prima di
prendere imbarco, e la morte lo colse a Mortlake nel settembre 1607.
Nella letteratura praghese John Dee appare spesso come uno
scroccone e raggiratore anche lui, sebbene non grossolano, non
improntaccio come Kelley. Nel dramma Kr滎 Rudolf di JiwKar滻ek il
gabbamondo John Dee e suo figlio Arthur, fingendo di lambiccare
l'aurum potabile, approntano una micidiale miscela per avvelenare
Rodolfo, ma, scoperti, finiscono nella Torre Bianca, sepoltura di
vivi. Ed la figlia dell'alchimista Gelchossa a denunziare il padre
e il fratello al sovrano, che si invaghito di lei: Gelchossa, che
vuole scacciare la malinconia, sedia di spiriti maligni, dall'anima
di Rodolfo e sostituire col proprio affetto i libri ventosi, gli
inganni della turlupinesca magia siderale e spargirica, consolandolo
nella sua inerme solitudine.
Nel romanzo di Meyrink Der Engel vom westlichen Fenster John Dee si
rincarna ai giorni nostri nel protagonista, il quale rivive il
viaggio del mago inglese nella cittvitavina, la sua visita al tetro
Rodolfo II, ed inoltre si incontra col raggrinzito e quasi mummia
Rabbi L饖, per disputare con lui sull'alchimia e sugli angeli. Vi
sono dei nessi tra il dottor Dee e il Maharal della leggenda? Adamo
veniva chiamato il magistero degli alchimisti, perchla materia
delle trasmutazioni era la quintessenza dell'universo, - e il Golem
copia di Adamo, perchconglobato di argilla (14) La creazione
golemica e la ricerca della Pietra Filosofale convergono. Lo specchio
di Dee antivede il futuro, come gli alcioni le tempeste, il cinema
del Maharal risuscita le ombre dell'antico passato, i patriarchi.
Ma possibile che tutto lo spiritismo di John Dee fosse soltanto
ciarlataneria, escamotage, Gaukelei da mercato? Se vi erano inganni
nelle sue evocazioni degli esseri sovratterreni, nessuno si accorse
mai che, col suo compare, egli ciaramellava gli ingenui? E' possibile
che tante esaltate fantasie si lasciassero cosfacilmente trappolare
dalle gherminelle della kryszta瘳wa tarcza ovvero magickzrcadlo? Ed
Elisabetta, che lo teneva in gran pregio, non ebbe mai alcun sentore
dei suoi tours d'adresse, delle sue frodi? D'altronde, se egli era
davvero un pronosticante e un veggente e un esperto alchimista,
perchmai consentiva, Elisabetta, che un simil uomo di vaglia,
anzichstare alla sua corte, cercasse fortuna presso sovrani e
magnati stranieri?
Qualcuno insinua, e il sospetto non da scartare, che Dee e Kelley
fossero agenti segreti della regina di Albione, la quale voleva col
loro aiuto impedire che gli Absburgo si impadronissero della corona
polacca oppure ottenere appoggi contro Filippo II di Spagna. Questa
tesi verrebbe suffragata da una certa freddezza di Rodolfo verso John
Dee e dalla continua spola dei due stregoni tra Boemia e Polonia. In
tal caso il ciarlatanismo, con tutto il suo inventario di specchi, di
presagi, di arcangeli, sarebbe servito soltanto di copertura ai
maneggi politici, e il diario in cui Dee registri suoi colloqui coi
messi celesti sarebbe finzione, o crittografia.

NOTE:
(1) Cfr' Alexandr Kraushar, Czary na dworze Batorego (Karta z
dziej甖 mistycyzmu w XVI wieku, jako przyczynek do charakterystyki
krola Stefana), Krak闚 1888, pp' 129-30. La mia immagine di John Dee
leggendaria e tracciata da un'angolazione boema. Una raffigurazione
veridica di questo alchimista-Prospero si trova nel bellissimo saggio
di Furio Jesi, John Dee e il suo sapere, in 青omunit鉬, 1972, 166,
pp' 272-303.
(2) Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in Obrazy z
kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', I, p' 136. Cfr' anche C'A' Burland,
The Arts of the Alchemists, London 1967, pp' 91-93.
(3) Cfr' Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 136-37; Karel Pejml,
D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 54.
(4) Gustav Meyrink, Der Engel vom Westlichen Fenster cit', p' 206.
(5) Cfr' Alexandr Kraushar, Czary na dworze Batorego cit', pp'
132-33; Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in Obrazy
z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 137-38.
(6) Giordano Bruno, La Cena delle Ceneri, Dialogo Quarto.
(7) Cfr' Alexandr Kraushar, Czary na dworze Batorego cit', p' 136;
Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in Obrazy z
kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 138-39.
(8) Cfr' Alexandr Kraushar, Czary na dworze Batorego cit', p' 159.
(9) Cfr' ibid', pp' 182-83 e 200.
(10) Cfr' ibid', pp' 165-66 e 167-68; Karel Pejml, D疀iny 蟌sk
alchymie cit', p' 52.
(11) Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', II, pp' 64-65; Karel Pejml,
D疀iny 蟌skalchymie cit', pp' 38-40.
(12) Cfr' J' van Lennep, Art et Alchimie cit', pp' 236-41.
(13) Cfr' Alexandr Kraushar, Czary na dworze Batorego cit', pp'
215, 217; Karel Pejml, D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 53.
(14) Cfr' J' van Lennep, Art et Alchimie cit', p' 69.

45
Una simile ipotesi percontrariata dal successivo destino di
Kelley, detto Engelender. Anche lui godette la stima di Vil鄉 z
Roemberka e distillnei laboratori di Krumlov e di Twebo
contribuendo ad assottigliare le sostanze di quel margravio invasato
dalla passione spargirica. Quando nel 1586 Dee fu sbandito da Praga,
Rodolfo II chiamal Castello il dulcamara dai lunghi capelli,
sebbene Vil鄉 non volesse mollarlo.
Kelley diede al sovrano un reubarbaro contro l'ipocondria e con una
goccia di rossa tintura mutin sua presenza il mercurio in oro.
Rodolfo, persuaso di aver trovato una perla di adepto, un lume di
sole tra fiaccole, lo rimeritcon regali ed onori, lo nomin
consigliere imperiale e, poichKelley asscriva di derivare da un
gentilizio lignaggio di Irlanda, lo elevnel 1588 a cavaliere boemo
(ryt魾 z Imany) (1) Kelley divenne tronfio di vento, si affibbila
giornea, si diede a principeggiare come un barbassoro che avesse
smidollato l'essenza dell'universo.
Ogni tanto faceva una gita a Twebo dove, protetto dal Roemberk,
era nascosto John Dee. Col suo vecchio socio girava i dintorni,
andava a caccia nelle foreste e a pesca negli stagni, in quella
regione cosnumerosi. Un autunno, per colpa di un cocchiere ubriaco,
precipitarono con la carrozza in un botro, e a fatica i pescatori li
trassero in salvo (2) Frattanto sia l'imperatore che il Roemberk
aspettavano invano da Kelley la Pietra Filosofale. Se Rodolfo lo
aveva promosso al grado di cavaliere, il Roemberk gli donnel 1590
due feudi nei pressi di Jilov Libewice e NovLibe ciascuno coi
villaggi contigui (3)
Coi propri guadagni e con la dote della moglie Johanna, una
facoltosa boema, Kelley compra Jilovun birrificio, un mulino,
alcune case, e pian piano si arrogil monopolio dei viveri in quel
circondario, rincarando i prezzi a capriccio, e non valsero a nulla
le proteste dei cittadini, perchl'alchimista era ormai tra i pi
alti maggiorenti del regno. Il fratello minore giunse anche lui nella
terra promessa: spacciandosi per cavaliere irlandese, prese in moglie
una ricca nobile, e con la dote acquistdue poderi dal
Senza-orecchie (4)
A Praga, dove passava il suo tempo in crapule e dissolutezze,
Engelender comprdue case nella CittNuova: in una di esse, a
Dobyt鍎 trh (Mercato del bestiame), prima di Kelley, secondo la
tradizione romantica, aveva abitato il dottor Johann Faust (5) Tra i
cerretani della cittrodolfina Faust non poteva mancare: nei
Faustbher, il piantico dei quali del 1587, l'incantatore,
girando l'Europa in groppa a Mephostophiles, mutato in un cavallo che
ha le ali 剃ome un dromedario sorvola anche Praga (6) E la casa di
Faust (Faust驠 d籯) non poteva trovarsi in un luogo pistreghesco e
spettrale di quel Dobyt鍎 trh, del quale diremo in seguito, - un
luogo, nel cui sottosuolo la fantasia popolare collocprigioni,
supplizi, congiure, sepolti vivi, - un ambiente ideale, con le sue
forche e mandragore, per i negromanti (7)
Secondo una leggenda, che faceva gonfiare d'orgoglio i romantici,
Faust era un ceco, esperto nelle arti negre, ossia nella negromanzia
e nella stampa. Si chiamava 褾'astn ossia Felice, ossia Faustus.
Durante la rivolta husitica sarebbe emigrato in Germania, prendendo
l'appellativo di Faust e di Kuttenberg, dal paese natio (in ceco
KutnHora) Insomma costui non era altri che il Guttembergo,
l'inventore della tipografia (8) Nel poema Labyrint sl潎y (Il
labirinto della gloria, 1846) di Jan Erazim Vocel il baccelliere
boemo Jan Kutensk dopo la sconfitta del t槆oriti di Prokop Hola
Lipany (1434), disperato, si dedica all'arte spargirica, avendo per
famulo il diavolo Duchamor, al quale ha venduto l'anima. Dopo che il
sacrificio dell'innamorata Ludmila lo libera dalle grinfie sataniche,
egli si stabilisce a Magonza, e qui inventa la stampa, ad eterna
gloria del popolo slavo. Ma nelle commedie dei marionettisti
folclorici, nel teatro dei 厚imprlata(9), Faust sempre quello,
piattraente, dei Faustbher, anche se nella capitale del
Portugalo, dove evoca a corte 隹lessandro il Grande col manto di duca
ceco e la bella Helenoria vestita da turca si ritrova accanto al
burlesco fantoccio boemo Ka螲漷ek, che scambia i diavoli per allocchi
(10)
Le fortune e la celebritdi Kelley crebbero nel giro di pochi
anni. Ma non sempre ride la moglie del ladro. L'albero di cuccagna
porta in cima una maschera mortuaria. Nell'aprile 1591 egli uccise in
duello il cortigiano JiwHunkler (11) Quel giorno fu gettato il
dado della sua totale rovina. Acceso di sdegno, l'imperatore, che si
era stancato di attendere invano la Pietra Filosofale, emise un
mandato di cattura contro Kelley. L'alchimista cercdi raggiungere
Twebo per trovare rifugio nell'Eldorado dei Roemberk, ma gli sbirri
lo presero in una locanda di Sob瘰lav, mentre aspettava il cambio dei
cavalli. Snudla spada, ma fu sopraffatto e rinchiuso nella torre
Chuderka a Kwivokl漮 (12)
Nella prigione Kelley infuriava come una belva: gli passavano il
cibo per un angusto forame. Poi comincia digiunare e ammaldi
inedia. Temendo che l'alchimista morisse senza svelare la formula,
Rodolfo speduno dei mediconi di corte a guarirlo. Ma poichil
prigioniero non volle palesare i segreti dei suoi lambicchi a due
consiglieri da lui inviati, l'imperatore gli rese piduro il
carcere. Intrattabile e alpestre, rincarla dose, quando il Roemberk
intercedette per il suo protetto. Il castellano della torre Chuderka
ebbe l'ordine di estirpargli a ogni costo, anche con la tortura,
l'arcana ricetta, ma Kelley: acqua in bocca (13) Frattanto la
famiglia languiva nelle strettezze, perch nell'autunno 1591,
Rodolfo aveva posto il sequestro sulle proprietdell'inglese,
affidandole a due commissari imperiali, che vi fecero man bassa. La
moglie si indebitsino al collo per alleviargli la prigionia.
Kelley rimase pidi due anni e mezzo a Kwivokl漮. Perduta ormai
ogni speranza nella grazia o in un regolare processo, deliberdi
fuggire e, corrotta una guardia, si caluna notte da una finestra
della torre. Ma la corda si spezze Kelley cadde nel fosso. Lo
trovarono privo di sensi al mattino, e con una gamba fracassata.
Rodolfo si impietose permise che la famiglia lo portasse a Praga.
Ma il chirurgo dovette amputargli la gamba e sostituirla con un arto
di legno.
cosla storpia parvenza di Kelley, il Gamba-di-legno, il
Senza-orecchie, si affianca a quella di Tycho dal naso-protesi, ai
mostacci compositi che dipinse l'Arcimboldo, alle schiere di
pellegrini zoppi. A corte, dove altri arcadori splendevano per il suo
discoloramento, Kelley non venne piammesso. Le possessioni gli
furono restituite, ma i commissari le avevano ridotte a cosmal
partito che, per rimetterle in sesto, la moglie dovette vendere i
gioielli (14) L'alchimia non fruttava pinulla. Vil鄉 z Roemberka
era morto nel 1592, e il fratello Petr Vok preferiva tenere a Twebo
un harem di bellezze esotiche anzichdissipare il denaro in
distillazioni. La vicenda di Kelley comprova la giustezza del detto
che la borsa degli alchimisti era fatta di pelle di Camaleonte,
perchnon d'altro si empiva che di aria e di vento. Nemmeno
privandosi delle sue molte case e proprietdi campagna, Kelley
riusca rabbonire la turba dei creditori, e Rodolfo, col pretesto
dei debiti, nel novembre 1596, lo fece scaraventare nel carcere del
castello di Most. Per stargli vicino, la moglie, ricusando di
ritirarsi in un chiostro, si trasfercoi due figli in quella
cittadina.
Dal carcere Kelley invia Rodolfo il proprio trattato De lapide
philosophorum con una lettera in cui si proclamava innocente,
affermando che sarsempre costume degli uomini affrancare i Barabba
e crocifiggere Cristo. Per tutta risposta gli fu resa piacerba la
detenzione. Ed ecco che un ciarlatano diventa un inerme guitto
martoriato, assumendo sembianza di Cristo. Signori, invece dello
sfarzoso spettacolo dei vasi lutati, degli alberi cavi, delle diafane
sfere in cui si consuma lo sposalizio degli elementi, - vedremo ora
il tracollo di uno spocchioso alchimista precipitato, non come un
Icaro in un breugeliano mare dalla foschia opalescente, ma come
l'ultimo dei ribaldi nel freddo inferno di un carcere boemo. Se lo
spasimo del metallo torturato ripete la sofferenza di Cristo, non
meno del metallo soffre nell'alambicco della prigione il ciarlatano
privo di orecchie, e per di pi se nell'athanor le sostanze
conoscono solo una morte provvisoria, perchcome Cristo
risorgeranno, sublimate, - per il Senza-orecchie non c'gloriosa
risurrezione, ma morte senza ritorno.
Nell'estate 1597 la moglie di Kelley chiese udienza all'imperatore,
ma un ciambellano minaccidi arrestarla come complice e di segregare
i suoi figli in convento. L'alchimista decise allora di ritentare la
fuga. Il fratello, venuto da Praga, lo avrebbe aspettato con una
carrozza sotto il castello di Most. Sorte fottuta! Anche stavolta la
corda si spezz e Kelley cadde nel fosso, rompendosi l'altra gamba.
Riportato in carcere, si tolse la vita, bevendo un violento veleno,
che di soppiatto gli aveva passato la fedelissima moglie: era il 1o
novembre 1597.

NOTE:
(1) Cfr' Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 142-43; Karel Pejml,
D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 55.
(2) Cfr' Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', p' 144.
(3) Cfr' ibid', p' 143.
(4) Cfr' ibid', pp' 145-46; Karel Pejml, D疀iny 蟌skalchymie
cit', pp' 55-56.
(5) Cfr' Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 146-47.
(6) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 170-72.
(7) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', p' 154.
(8) Cfr' Carl August Schimmer (1845), in M瘰to vidim velik
cit', p' 356; Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp'
172-73.
(9) Plurale di 厚imprle marionetta, dal tedesco 促umpernichel (10) Cfr' Richard Andree (1872), in M瘰to vidim velikcit', pp'
414-15.
(11) Cfr' Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 147-48.
(12) Cfr' ibid', pp' 149-50.
(13) Cfr' Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 150-51; Karel Pejml,
D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 57.
(14) Cfr' Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 152-53.

46
Travagliata esistenza ebbe anche un altro alchimista, il cui nome
connesso con la stregheria della cittvitavina: il polacco Michael
Sendivogius (1) cosdisparate vicissitudini gli occorsero, che la
sua biografia sembra un collage di parecchie vite.
Dopo aver carrozzato per la Germania, nel 1590 fece alto a Praga,
ma Kelley che, allora in auge, temeva la concorrenza, lo tenne
lontano dalla corte, ospitandolo in una sua casa a Jilov(2) Non fu
difficile per Sendivogius, che si spacciava per nobile e aveva
spiriti signorili, trovar protettori nella capitale boema. Riuscin
breve tempo a uccellare il medico Mikul碭 L饖 z L饖ensteinu e poi il
dovizioso patrizio Ludv骿 Kor滎ek z T膰ina. Quest'ultimo era un
patito dell'arte spargirica, come Cencio, il protagonista del
Candelaio di Giordano Bruno: la consorte, bisbetica e insofferente
delle girelle alchimistiche del marito merlotto, avrebbe potuto
ripetere le corrucciate parole di Marta, la moglie di Cencio: 亟cco
costui, per essergli ficcato nel cervello la speranza di far la
pietra filosofale, dovenuto a tale, che il suo fastidio il
mangiare, la sua inquietitudine il trovarsi a letto, la notte
sempre gli par lunga come a putti che hanno qualche abito nuovo da
vestirsi. Ogni cosa gli dnoia, ogni altro tempo gli amaro, e solo
il suo paradiso la fornace(atto I, scena XIII)
Per abbagliare Kor滎ek, Sendivogius immerse in un liquido un chiodo
e un rampino da appendervi panni e li sollevsu tizzoni roventi,
cambiandoli in puro argento. Poi gli promise di prolungargli la vita
sino ad anni duecento. Kor滎ek perse la testa e, bisticciando con la
consorte, elarga Sendivogius denaro e regali. Quando costui lo
guardall'idropisia e gli guardal vaiolo la figlia, Kor滎ek si
infervordell'alchimista a tal punto da assegnargli una casa nella
CittNuova e da mandargli le suppellettili, due letti con
biancheria, un carro di carbone per gli esperimenti, un cappello con
bianca piuma. Quando poi a Sendivogius nacque un bambino, il patrizio
invialla puerpera lenzuola e piumini, due botti di vino, burro
delle proprie campagne (3)
Avendo con una sua panacea risanato anche il figlio di L饖 z
L饖ensteinu gravemente infermo, Sendivogius era ormai in concetto di
taumaturgo (4) Eppure lui stesso non doveva credere molto nel
proprio farmaco, se, nel 1594, scoppiata a Praga la peste, fuggin
Sassonia e, nonostante gli appelli del suo protettore, tornsolo
quando l'epidemia fu cessata. E subito bussa quattrini, per
acquistare una delle case di Jilov che la moglie di Kelley nelle
strettezze vendeva. Per soddisfarlo, Kor滎ek, la cui borsa si era
afflosciata, contrasse un debito col ricco ebreo Maisl, irritando
talmente la moglie, che ella scappdalla madre. Poco dopo il
patrizio gocciolone, che univa il dado dell'alchimia al vizio del
bere, ricadde malato, e Sendivogius non seppe stavolta, ncon grogo
del sole ncon sale della luna ncon tintura di antimonio
diaforetico, salvarlo. Kor滎ek mor riconciliato con la sua
santippe, nel 1599, gridando: 信ic est ille Lapis tuus
philosophicus!all'alchimista polacco (5)
La signora Kor滎kovaccusSendivogius di averle avvelenato il
marito coi suoi elettuari e gli ingiunse di restituire le somme che
la buon'anima gli aveva prestato. Gli zaffi lo arrestarono a Jilov
ma egli potdimostrare che le emulsioni e misture somministrate a
Kor滎ek non erano tossiche e che Kor滎ek era morto per vinolenza.
Paguna parte del debito e fu scarcerato. Scoppiata di nuovo la
peste, si eclissnel generale scompiglio.
E qui entra in ballo la misteriosa figura di Alexandre Seton, detto
Cosmopolita, un alchimista girovago, che faceva prodigi con la sua
polvere rossa. Appariva come una meteora in diversi punti d'Europa,
per compiervi un'abbagliante trasmutazione e subito dopo
squagliarsela. Finchnon incappnelle reti del principe elettore di
Sassonia Cristiano II, il quale, nella vana speranza che egli
svelasse la formula delle sue distillazioni, lo fece rinchiudere e
torturare nella casamatta di K霵igstein. L'ombra di Seton (Setonius)
si intrufola nel destino di alcuni alchimisti, che passarono per il
Castello di Praga. In quello, ad esempio, dell'orafo di Strasburgo
Filip Jakub Gtenh饘er. Avendo appreso che costui possedeva
un'ampolla di tintura purpurea, donatagli in una delle sue fugaci
comparse da Seton, Rodolfo II spedsubito in quella cittun
ciambellano, perchconvincesse l'orefice a recarsi a Praga.
Gtenh饘er accettdi malavoglia, ed il viaggio gli fu infatti
fatale, perchl'ampolla, che non era la bouteille inepuisable di
Robert-Houdin, si esaurpresto, e l'imperatore, sospettando un
raggiro, lascirovinare l'orefice nella Torre Bianca (6)
Mentre Seton languiva, fiaccato dalle torture e dai ferri, nel buio
paludoso della cella di K霵igstein, giunse a Dresda Michael
Sendivogius. Egli aveva conosciuto Setonius nelle giovanili
peregrinazioni per la Germania. Accolto ora a corte, con le sue
levigate maniere e coi suoi prestigi (tra l'altro mutava una trota
viva in cristallo e il cristallo in trota), Sendivogius si cattivla
benevolenza di Cristiano II e, affermando che avrebbe convinto
l'alchimista scozzese a rivelare la formula, ottenne il permesso di
far visita a Seton e di passeggiare con lui nel perimetro della
fortezza (7) Non gli fu malagevole quindi prezzolare le guardie e
fuggire con Seton verso Cracovia. Too late! Stremato dagli inusitati
supplizi e dall'evasione, Seton si spense qualche mese dopo, senza
svelare la formula nemmeno a lui, ma lasciandogli in cambio i suoi
dotti scartabelli e la polvere rossa, nascosta al momento della
cattura e ricuperata durante la fuga.
Con la setoniana tintura Sendivogius ritorna Praga e rese felice
Rodolfo, lasciando che eseguisse lui stesso una trasmutazione.
Secondo Meyrink, per evitare che sovrani e magnati gli chiedessero un
segreto che non conosceva, l'alchimista polacco fingeva di cascar
dalle nuvole nel vedere il mirabile effetto della sua tintura,
asserendo che non si aspettava una tal meraviglia da una vilissima
polvere comprata da un Marktschreier a Cracovia per pochi baiocchi.
Ma Rodolfo: gli si avvental cuore tanta allegrezza, che dispose di
incidere su una lastra di marmo la scritta: 亭aciat hoc quispiam
alius, - quod fecit Sendivogius Polonus Salalle stelle la gloria di Sendivogius, ma insieme si accrebbero
le insidie. Durante un viaggio da Praga a Cracovia fu assalito dai
bravi del nobile moravo Ka螲ar Mac毾 z Ottenburku e gettato in una
prigione, da dove evase aggrappandosi a una corda di sbrendoli del
proprio vestito. In piacerbo pericolo incorse, quando anda
trasmutare a Stoccarda, al palazzo del duca Federico. Con la sua
artificiosa squisitezza polacca riusca conquistarsi il favore anche
di questo sovrano, ma il suo successo destle gelosie
dell'alchimista di corte Mler von Mlenfels.
Barbiere svevo che aveva appreso gli stratagemmi della giocoleria
da Quacksalber di fiera, Mler, nei suoi peregrinamenti attraverso
l'Europa, si era fermato anche lui al Castello di Praga. Eseguendo
una finta trasmutazione di un crogiuolo a sorpresa e facendosi
sparare addosso una pallottola di amalgama, che si dissolse
nell'aria, il barbiere suscitl'entusiasmo del ghiribizzoso Rodolfo,
il quale per premio gli diede patenti di nobilt
Mediocre e rozzo alchimista o piuttosto istrionico giocolatore, si
capisce che fosse geloso di Sendivogius, cavaliere di belle creanze,
polaccuccio aggraziato, che era venuto a guastargli le uova nel
paniere, mettendo in bilico la sua posizione alla corte di Stoccarda.
Comincida un lato a insufflare nel duca che Sendivogius mentiva di
aver comprato per caso la rosso-sangue tintura da un cerretano, e
dall'altro, con consigli da Achitofelle, a esortare il polacco a
svignarsela, prima che il duca, per carpirgli il segreto, lo facesse
impiccare. Memore della sorte di Seton, Sendivogius battin
ritirata. Ma con palandrani e barbe posticce e buffe sul viso gli
sgherri del grossolano barbiere lo assaltarono mentre fuggiva, gli
sottrassero la prodigiosa tintura e lo diruparono nella profonda
prigione di una torraccia. Mler potmenar vanto di aver trovato
anche lui, attraverso una serie di esperimenti, la mistura per
trasmutare, ma il duca esultante gli prese l'ampolla e con gabelliera
inquisizione prova interrogarlo sulla formula. Era come premere
olio dal sughero e vino dalla pomice.
Sendivogius, che riusciva sempre come un Houdini dell'alchimia ad
evadere dalle piintricate prigioni, era scappato frattanto dalla
torraccia. Meyrink ha romanzato questa evasione, attribuendone il
merito alla leggiadra Fia[m]etta, una giovane zingara, degna di un
racconto di M歊ha. L'alchimista, infiammandosi, vorrebbe portar seco
Fia[m]etta a Strasburgo, ma quella: 侵 figli d'Egitto - gli dice -
non tradiscono il proprio sangue(8) e si separa da lui in un
congedo romantico. Quando il duca Federico venne a conoscenza delle
trufferie del suo benaffetto distillatore, lo affidal carnefice, e
l'ex barbiere, in un abito di pagliuzze d'oro, pendette come un
fantoccio da una forca dorata.
Sendivogius non tornpiin possesso della rossa polvere (9) E
senza la polvere era un uomo finito. Si mise a girar la Polonia,
vendendo lattovari e sciroppi di acetosella e di agresto e spillando
conquibus ad ingenui magnati polacchi. Meyrink favoleggia che, dopo
tante avventure, l'alchimista si ritircon la sua bella zingara in
un fatiscente casale sull'inaccessibile punta di un monte nel folto
della Selva Nera, lontano dal chiasso del mondo, a studiar scienze
ermetiche. Morottantenne nel 1646.
Nella letteratura praghese anche Sendivogius ha lo stampo
dell'intrigante malefico e del giuntatore. Nella bolsa tragedia
romantica Magel霵a di Josef JiwKol漷, tutta infrascata di turgide
frasi, di latinorum, di termini alchimici, di traboccanti
corbellerie, Sendivogius, astrologo, 剌abbricante d'oroe indovino,
associatosi al pazzo don C鈕ar, illegittimo figlio di Rodolfo II,
architetta spavalde trappole, trafugamenti, piani infernali e
finisce, degno batacchio di tal campana, sulla forca. Ma il pi
curioso di questa tragedia che don C鈕ar, il quale circuisce la
nobildonna spagnuola Magel霵a Trebizonda, sarebbe frutto di un
peccaminoso amore tra Rodolfo e la moglie di Sendivogius.

NOTE:
(1) Ricordato anche come MichaSziw爊, Sendivoj, Sendeivoj ze
Skorsky na Lukavici a Lygot Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l
za doby Rudolfa II, in Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', p' 54;
Karel Pejml, D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 59.
(2) Cfr' Josef Sv漮ek, Anglickalchymista Kelley v 蟌ch歊h, in
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', p' 146.
(3) Cfr' Zikmund Winter, K滵en filosofsk(1893), in Pane螽ice a
jinpraeskobr漘ky, Praha 1949, pp' 83-111.
(4) Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', p' 59; Karel Pejml, D疀iny
蟌skalchymie cit', p' 60.
(5) Cfr' Zikmund Winter, K滵en filosofsk in Pane螽ice a jin
praeskobr漘ky cit', p' 104.
(6) Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 37-75; Karel Pejml,
D疀iny 蟌skalchymie cit', pp' 64-65.
(7) Cfr' Gustav Meyrink, Die Abenteuer des Polen Sendivogius, in
Goldmachergeschichten, Berlin 1925, pp' 197-261.
(8) Gustav Meyrink, Die Abenteuer des Polen Sendivogius, in
Goldmachergeschichten cit', p' 256.
(9) Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 51-52; Karel Pejml,
D疀iny 蟌skalchymie cit', pp' 61-63.

47
Praga era dunque, ai tempi di Rodolfo II, albergo di ciarlatani e
di traforelli, di vendifrottole gravidi di vento, insomma di
esploratori delle borse. Il nostro novellino non putralasciare il
greco Mamugna di Famagosta, che giunse nella cittvitavina con due
neri mastini, ossia neri diavoli. Cosimmaginiamo che arrivi a Praga
il Paganini satanico dei quadri di Tich in una nera sciancata
carrozza, tutto nero, con uno squamoso cilindro. Mamugna si gabellava
per figlio del veneziano Marco Antonio Bragadin, catturato e scoiato
dai turchi nella presa di Famagosta. Si faceva chiamare 剃onte
serenissimoe con l'oro spillato ai suoi mecenati praghesi dava
sfarzosi festini. Non ebbe perun eccessivo successo a causa
dell'avversione di Kelley e anda Monaco, dove, nel 1591, fin in
abito d'oro, su una forca dorata e quindi in una fossa comune con le
carogne dei suoi mastini-luciferi (1)
Ma il campione degli avventurieri fu, sotto Rodolfo II, l'italiano
Geronimo (o Alessandro o Giovanni) Scotta (o Scota o Scotti o Scoto),
astrologo e distillatore, ma soprattutto paltoniere e ruffiano (2)
Nelle memorie di Da蟊ck all'anno 1591, si legge: 哎n certo italiano
abitante a Praga, abbindolando e ingannando la gente, con stregonesca
arte diabolica eseguiva le sue gherminelle: Scota lo chiamavano(3)
Sembra che fosse nativo di Parma. Aveva percorso anche lui la
Germania, commettendo una selva di ribalderie, intrigando in faccende
matrimoniali, infinocchiando i babbioni con la sua dottrina imparata
sotto il noce di Benevento. Giunse a Praga il 14 agosto 1590 con tre
carrozze tirate da quaranta cavalli e con un fitto corteo di
servitori in arcione. In una delle carrozze, rivestita di rosso
velluto, c'era lui, abbigliato con lustro peregrino: con due
mustacchini affilati, col braccio curvo a foggia d'arco sul fianco,
con un cappello la cui ala alzata gli faceva da vela sul capo. Prese
alloggio in un pomposo appartamento in una locanda della Citt
Vecchia.
Si insinupresto al Castello, dove sulle prime fu tolto per un
corsiero di molta stima, ma Kelley, il quale, al vedere ogni altro
alchimista, contraeva un gran contracuore, gli permise soltanto di
astrologare le stelle. La fortuna di Scotta non dura lungo: ginel
1593 lo troviamo in una baracca di legno a Piazza della Citt
Vecchia, a vendere unguenti e gelatine di corno di cervo e vetriolo
di Marte e polpa di cassia e a esibirsi in giuochi di bussolotti.
Nella letteratura praghese Scotta compare come un sanguisuga e uno
scomunicato: come un artefice di iniquite di malizie, abilissimo
nel buscherare la folta confraternita dei pecoroni e dei gonzi. Sulla
sua figura si impernia il supremo Kitsch dell'orrore praghese, il
romanzo gotico Pekla zplozenci (Progenie d'inferno, 1862), dove Josef
JiwKol漷 rifrigge e sciorina reboanti empietsu patiboli, crimini,
alchimia, mandragore, strigi, riti occultistici, congregazioni
notturne, e dove gli stereotipi dell'efferatezza sono cossbracati
da suscitare allegria. In quelle pagine Giovanni Scota,
alchimista-cerusico, 剋ran negromante ed alabardiere del serenissimo
principe signor Satanasso sembra fuggito dalla notomia: 哀ulla
groppa convessa del suo naso aquilino spiccava un segno demonico,
ossia una bruna verruca dall'aspetto di ragno crociato, avente la
strana proprietdi arrossarsi in una tinta di fuoco, appena nelle
profonditdella sua anima si destava una selvaggia concupiscenza o
una passione furiosa Scota risiede in un'orrida casa affumicata e annerita, tutta
bernoccoli e storte sporgenze, - una catapecchia con una decrepita
torretta di legno sul tetto ogivale e un giardino, dove dimorano
gazze, cornacchie e, in gabbie di ferro, lupi, dei quali egli
utilizza, quando hanno accessi di rabbia, la schiuma. Nel suo
laboratorio fanno bellissima vista un'Athenora d'oro e cristallo ed
alcuni scrigni, in cui conserva un'accolta di oggetti folli: le
radici dell'erba Sidrikma, l'erba delle sette erbe, che il
combustibile dell'Athenora, una capsula colma di veleno di rospi
massacrati al bagliore del pianeta Giove ed una di aculei di api
regine, una verde bombola con schiuma di lupi idrofobi, un piccolo
astuccio con la pietra Anachytis per captare i raggi della
costellazione delle Pleiadi, - pietra che un giorno ha rubata tra le
rovine di Menfi ai sacerdoti custodi del toro Apis nel tempio di
Iside e Osiride.
Strabiliante pasticcio. In casa Scota accudisce alle faccende
domestiche una serva grinzosa e assecchita, una vieta befana, che il
negromante chiama con uno zufolo: 俟trana bestia era questa Abigaila!
- Piccola figura scrignuta in un abito di broccato scuro, con
l'oblungo viso paonazzo come le mummie e una cuffia dai lunghi nastri
che si aggraticciavano dai lati verso l'alto, somigliava non poco a
un vampiro (a un Phyllostoma Spectrum, per dirla coi naturalisti), di
quelli che nella notte agguatano gli uomini e gli animali dormienti,
per succhiarne il sangue con la lingua aguzza pitardi vien fuori che questo canchero, 匍iracolosissimo oggetto
di pneumatologia occulta ha sposato Scota in seconde nozze,
partorendogli la figlia Lukrecie, alias Bella Diavolina. Dal
precedente connubio con l'adesso defunto alchimista Jakub Bartoz
Kurcinha avuto i gemelli Vil鄉 e Jo褾, che un perfido ciambellano
di Rodolfo II, il solito Lang (qui J歊hym Lang) perseguita per
annientarli. Accusandolo di aver ucciso il fratello (e invece lui
che ha tentato di farlo uccidere), Lang manda Vil鄉 al patibolo, ma
Vil鄉, la notte del 25 maggio 1593, durante una fragorosa tempesta,
udite udite, si libera dal cappio da cui pendeva e trova rifugio
nella casa di Scota, quando ormai tutti lo credono cadavere profanato
dal boia e sezionato dagli 冠natom歊i ovvero dai dissettori. Vil鄉
diviene seguace della dottrina di Scota, di quella 剌amigerata
pneumatologia occulta et vera che, nell'etdi Rodolfo, molti spiriti
acuti fece insanire e mennei pantani dei fuochi fatuiAssieme a
Scota e allo stesso Rodolfo ritorna al patibolo da cui era caduto,
per cercar la mandragora che, com'noto, cresce sotto le forche. E
la vezzeggia come una bambola, la lava nel vino rosso, le mette una
camiciola, la tiene in un cofanetto di ebano foderato di morbido
velluto rosso.
Scota vorrebbe rendere immortale Vil鄉, per poi congiungerlo
all'arcana Sempiterna. E' il problema praghese del prolungamento
dell'esistenza, che anche Crawford affrontnel romanzo The Witch of
Prague, dove il sozzo e scontorto negromante Kyjork Arabian, assieme
a madama la strega onorna, progetta di allungare la vita di un
matusalemme, trasfondendo nelle sue vene il sangue del giovane Israel
Kafka gravemente ammalato. Scota sostiene che l'uomo raggiunge
l'immortalitsolamente se viene squartato e se i suoi sparsi
brandelli sono deposti nell'Athenora, che li ricompone in una nuova
compagine imperitura. L'insistenza sull'冠natom歊e ovvero sulla
dissezione, in rapporto col fatto che a Praga, nel 1600, il dottor
Jan Jessenius esegula prima pubblica autopsia: 隹 Praga - si legge
nelle memorie di Da蟊ck- un certo dottore, medicus forestiero,
volendo conoscere a perfezione la natura dell'uomo, chiese alle
autoritdella legge un delinquente sentenziato a morte e, uccisolo
col veleno, ne taglie aprtutte le membra e osservciche stava
nel corpo, specialmente le vene. La qual arte i medici "anatom歊e
chiamano(4)
Quando Vil鄉 gisulla tavola operatoria sotto il coltello da
beccaio di Scota, Abigaila accorre a salvarlo, invasata come la Dulle
Griet bruegeliana, con una frusta di serpi avvolticchiate nella
destra, nella sinistra la mandragora. Scota le scaglia addosso 咨utta
una turba di gatte bianche come la neve 咨utta una caterva di
grandi, schifosi, fetidi batraci e rospi 哎n'innumera moltitudine
di vipistrelli che sbattono agilmente le aliRabbuffata, rabbiosa,
Abigaila si difende con la mandragora, mentre Scota, per
rinvigorirsi, trangugia un serpente. PoichAbigaila resiste, egli
strappa come un sipario il manto scarlatto che le ricopre la parte
inferiore del corpo: una gamba di luccicante metallo ed un'altra
asinina, a conferma che la stomacosa Abigaila appartiene alla stirpe
delle strigi. Questo Gran Putiferio di rospi, di botte, di gatte, di
nottole ricalca la rissa tra l'archivista Lindhorst e la laida e
sdentata stregaccia Lisa nel Vaso d'oro di Hoffmann. La megera
hoffmanniana va in corso anche lei con vipistrelli ed allocchi e con
un gatto nero, e allo studente Anselmo rinchiuso in una bottiglia di
cristallo si mostra nuda, aborrevole.
Nella commedia Golem (1931) Voskovec e Weribl hanno parodiato il
linguaggio chimerico, gli ambienti ambigui, le truci parvenze, la
falsa rodolfinit insomma le castronerie di questo ridicolo
thrilling. L'alchimista di corte Jeron蔂 Scotta, 南egromante e
ministro di Satana che nel romanzo era avversario di Lang, nelle
scene di questa commedia tiene invece bordone all'abietto
ciambellano. Vecchiaccio decrepito, al quale, malgrado l'asma e la
sclerosi, dona energia il quotidiano uso di un elisirvite, Scotta
trama tranelli dietro le quinte, ruba lo schem in sinagoga, strangola
con la sua barba bianca (una lunga barba da comica slapstick)
l'astrologo Bwen瘯 e lo appende a una forca, - ma quello, spezzatosi
il cappio, come il Vil鄉 di Pekla zplozenci, ne precipita vivo (5)
Nel romanzo Astrolog (1890-91) di Josef Sv漮ek l'alchimista di
corte (Alessandro Geronimo) Scotta meno diabolico, ma pi
cagliostresco: untuoso, dolciastro, volpino, addottrinato nelle
scaltritezze mondane, manovratore di intrighi in combutta con
cortigiani malevoli, sputa miele ma col palato piamaro della
coloquintide e con perniciosi raggiri avviluppa gli ingenui. Sv漮ek
lo associa al patrizio Kor滎ek z T膰ina, che invece fu il protettore
di Sendivogius, e trasferisce alla sua biografia alcuni dati della
vita di Kelley e John Dee, generando un guazzabuglio senza uguali.
Lo Scotta di Sv漮ek maneggia uno specchio magico, trovato cent'anni
prima nella tomba di un vescovo gallese, intenditore di alchimia: la
匍iracolosa sfera di vetroche 咬ivela le cose lontanevenne un
giorno in possesso dell'alchimista tedesco (!) Setonius, il quale
l'ha data a Scotta. Poichla figlia del dabben uomo Kor滎ek,
Zuzanka, si strugge per il fidanzato Oldwibl Rab褾ejnskz 鍎hanova,
recatosi in Spagna per conto di Rodolfo II, il ciurmadore di Parma,
che vorrebbe diventar lui genero del facoltoso patrizio, per
sgraffignare la dote, le fa apparire in quello specchio di
catoptromante l'amato, mentre stringe una madrilena angiolella tra le
proprie braccia, scalzandolo cosdal suo cuore.
Ma com'svilito in Sv漮ek l'attrezzo suscitatore di pronosticanti
ectoplasmi: squallido globo cristallico, in cui una lente ingrandisce
un'anemica immagine impiastricciata dallo stesso Scotta. Ad
accrescere la furfantaggine del suo personaggio, Sv漮ek narra anche
di un'altra giunteria da lui ordita d'accordo con l'antiquario Jakub
de Strada. Scotta nasconde nei boschi di Brand蓧 sull'Elba una bara
con la mummia di un faraone e poi la disseppellisce dinanzi a Rodolfo
Il, per comprovare che nell'antica Boemia esisteva una necropoli
egizia. Ma dalla mummia cade la cedola di spedizione dell'agente che
l'ha venduta alle raccolte imperiali, e l'imbroglione finisce nella
Torre Bianca. Scarcerato dopo tre anni, si mette a far l'unguentario,
spacciando in una baracca di legno sughi d'herbe, borraggine,
lenitivi elettuari.
Si potrebbe affermare che nella letteratura praghese, dove cos
spesso ricorre, l'infetto di criminosi vizi personaggio di Scotta
unisca le pratiche dei negromanti alla sfrontata destrezza di quei
grassatori e banditi che corseggiavano la Boemia rodolfina. Scotta
diventato il prototipo dei lestofanti italiani incagliatisi nella
cittsulla vitava. Sv漮ek non perde occasione per definirlo
勇taliano malfido 剎riccone italiano 勇taliano fatuo
冠vventuriere italianoe per porre in risalto la sua 削iavolesca
furbizia italianaA questo proposito ricorderemo che, nell'etdi
Rodolfo, Praga ricettuno stuolo di facinorosi italiani, che
uccidevano su commissione, usando pistole dette 剎ambitkyo
厚anditky dalla parola 剎anditiPer metter fine ai saccheggi e
agli scempi, Rodolfo fece innalzare tre forche di legno, tre horridi
palchi della giustizia, da cui numerosi ribaldi pendettero (6)
Scotta servdi modello ad alcuni impostori della letteratura
praghese. Nel citato poema di Vocel il diavolo afferma di appartenere
al casato italiano del Duca del'amor, crucciandosi di esser finito
unguentario (al pari di Scotta) col nome di Duchamor (Pestilenza
dello Spirito) E dinanzi a un consesso di luminari si nomina
匍aestro italianoe smargiassa di aver insegnato 南el glorioso
ateneo di Bologna(7) A Scotta potremmo ricollegare anche il furbo
Vocilka della fiaba teatrale di Tyl Strakonickdud毾 (Lo zampognaro
di Strakonice, 1847), studente fallito e giramondo e scroccone e
farfarello e ruffiano.
Alla fine rimane fitto nella memoria qualcosa di ibrido e di
inquietante, assieme alla Viuzza d'Oro con le sue casupole affette da
nanismo. Gli innumeri adepti ed imbonitori che giunsero sulla vitava
sembrano sovrapporsi, per la similaritdelle sorti, in un unico
enorme fantoccio composito di ciarlatano-alchimista che ballonzola su
Praga, come distorto per anamorfosi e col mariolesco sguardo in
sberleffo. O cecit o stolidezza, o deliri di uomini ingordi! Tutto
questo tramenio, questa febbre truffaldina, questi dannati
avvolgimenti si sono perduti nel nulla, lasciando solo piombo e fumo,
e malinconia saturnale. Nessun elisire ha allungato la vita. E se un
poco d'oro c'stato, quello della forca.

NOTE:
(1) Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 48-49; Karel Pejml,
D疀iny 蟌skalchymie cit', p' 64.
(2) Cfr' Josef Sv漮ek, Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 49-51; Karel Pejml,
D疀iny 蟌skalchymie cit', pp' 63-64.
(3) Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', p' 175.
(4) Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', p' 198. Cfr' anche
Josef Poli蟌nsk Jan JesenskJessenius, Praha 1965, pp' 29 e
97-122.
(5) JiwVoskovec - Jan Werich, Golem, in Hry Osvobozen逸o divadla
cit', pp' 91-184.
(6) Cfr' Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', pp' 195 (1599) e
201 (1601), e Josef Sv漮ek, K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in
Obrazy z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', II, pp' 195-96.
(7) Cfr' Jan Erazim Vocel, Labyrint sl潎y, Praha 1846, pp' 13-14,
49, 55.

48
Nel Labirinto del mondo e paradiso del cuore di Jan Amos Komensk
si legge: 侶uella cosa che muta i metalli in oro possiede altre virt
straordinarie: come, ad esempio, di conservare la salute umana
integra sino alla morte e di non lasciar passare la morte (se non
dopo due o trecento anni) Anzi, chi la sapesse usare potrebbe
rendersi immortale. Questo lapis non certamente nient'altro che
seme di vita, gheriglio e quintessenza dell'intero universo, da cui
gli animali, le piante, i metalli e gli stessi elementi traggono
sostanza(XII)
Nella commedia Alchymista (1932) di Vladislav Van襁ra l'imperatore
Rodolfo II, dinanzi a un consesso di vari astrologhi e distillatori
(John Dee, Sendivogius, Kelley, Bragadino, Keplero, H毄ek, Tycho de
Brahe ed altri), supplica con trafelate parole l'alchimista
Alessandro del Morone (variante forse del ciurmadore italiano
Alessandro Scota) di fermare la sua decrepitudine, di sottrarlo
all'abisso melmoso, di restituirgli la giovinezza. L'alchimia, che
fiora Praga nei tempi di Rodolfo II, e la pietra filosofale, che
allunga la vita, fornirono lo spunto alla commedia di Karel 螮pek V璚
Makropulos (L'affare Makropulos, 1922) (1)
Hieronymos Makropulos, uno dei tanti dulcamara e distillatori che
affollavano la corte rodolfina, un barbassoro della stirpe degli
avventurieri Scota e Mamugna, appronta per il sovrano un elisirvite
capace di mantenerlo immortale e giovane per trecento anni. Ma
Rodolfo, temendo il veleno, vuole che sia la sedicenne figlia
dell'alchimista a provare per prima l'冠urum potabileCosun altro
motivo praghese, l'arte spargirica, entra accanto a quello golemico
nell'inventario di 螮pek.
Si chiama Elena Marty ed una famosa cantante la longeva figlia
dell'alchimista al momento della commedia. pidi trecento anni
vissuta, e con nomi diversi (Elina Makropulos, Ellian Mac Gregor,
Eugenia Montez, Ekaterina My螶ina, Elsa Mler) 螮pek insiste sulla
sua bellezza. S bella: 剎ella da impazzirne Ma 剌redda come il
ghiaccio 剌redda come un coltello come uscita da una tomba. Emana
da lei una malia, un magnetismo perverso, che invischiano e infatuano
gli uomini in cui si abbatte.
La sua perenne giovinezza assomiglia pera una vecchiaia
mascherata, che a mala pena nasconde il fastidio delle memorie, la
saziet il cinismo dell'esperienza. Basta forse una grinza, un
involontario moto del volto, perchella appaia nel suo vero aspetto
di vecchia ringiovanita: tutta cascante per vezzi, sguaiatamente
imbottita di belletto, le labbra di cera purpureggiante, le rughe
stirate dall'artifizio, i capelli ingialliti di forfora, forse un
occhio di vetro - e su tutto questo un cappellino alla moda degli
anni Venti (2)
C'nella cantante qualcosa di metafisico e di streghesco, una
torva stregheria che acquista pigrande risalto per il contrasto col
secco ambiente curiale in cui si svolge la commedia. La formula
dell'immortalit che Elena Marty porta appesa al petto, rimanda allo
哀chemdel Golem. Fa gola a molti, ingombra di desiderio molti animi
la formula Makropulos. Ma Elena Marty stracca e sfinita
dell'immortalitche sovverte i valori morali e inaridisce i
sentimenti. La gioia di vivere nasce dalla coscienza della brevit
della vita. Una vita troppo lunga ingenera tedio e disgusto. 俠'uomo
non puamare per trecento anni. Nsperare, ncreare, nosservare
per trecento anni. Non ce la fa. Tutto viene a noia. Sia l'esser
buoni che l'esser cattivi. Cielo e terra vengono a noia. E poi ci si
accorge che in realtnon c'nulla. Nulla. Nil peccato nil
dolore nla terra, assolutamente nulla Gil'automa parlante, protagonista del 咬omanetoNevvton驠 mozek
(Il cervello di Newton, 1877) di Jakub Arbes, aveva affermato dinanzi
a un'assemblea di dotti che in futuro la vita, prolungata dal
perfezionarsi della medicina, diverrper troppa lunghezza un
marasma. Dunque la longevituna condanna. Non sono degni di
invidia gli 俟truldbrugdel Gulliver di Swift.
LeoJan碭ek, nell'opera V璚 Makropulos (L'affare Makropulos,
1925), derivata dalla commedia 螮pkiana, accrebbe la spettralit
della cantante, che il troppo vivere ha reso proterva, aggressiva,
dispotica, vuota (3) 俟apete, - egli scrisse - questa cosa
terribile, il sentimento dell'uomo di non avere mai fine. Pura
infelicit Non vuol nulla, non aspetta nulla(4). 俗na bellezza
vecchia trecento anni - ed eternamente giovane - ma coi sentimenti
bruciati! Brrr! Fredda come ghiaccio...(5).
Come Helena Glory in R'U'R', anche qui una donna, Kristina, a
distruggere nel fuoco la formula. Emilia Marty finircome un Golem,
cui sia tolto per sempre lo 哀chemSe in R'U'R' lo sfacelo
dell'umanittrucidata dai robot suscita in 螮pek un canto di lode
alla vita, in V璚 Makropulos l'estenuazione di un'interminabile vita
gli ispira invece un'apologia della morte. Ma la morale la stessa:
non bisogna turbare l'ordine dell'esistenza. Nel grande dilemma
ontologico che lacera il mondo necessaria la morte perchla vita
sia bella.

NOTE:
(1) Rappresentata il 21 novembre 1922 con regia dello stesso 螮pek
e scene di J' Wenig al Vinohradskdivadlo di Praga, di cui lo
scrittore fu Dramaturg dal 1921 al 1923.
(2) Karel 螲ek inventla parte di EmiliMarty per l'attrice
Leopolda Dostalov Cfr' Otakar 褾orch-Marien, Sladko je 鋱t cit', p'
177.
(3) Cfr' Jaroslav 蟌da, LeoJan碭ek, Praha 1961, pp' 322-23. Cfr'
anche Jaroslav Vogel, LeoJan碭ek dramatik, Praha 1948, pp' 87-92.
(4) Cfr' Bohumir 褾璠ro Jan碭ek ve vzpomink槆l a dopisech, Praha
1946, p' 233.
(5) Cfr' Jaroslav 蟌da, LeoJan碭ek cit', p' 309.

49
Punto magico di Praga era la Cittebraica (亟'idovskm瘰to,
chiamata anche Josefov, dall'imperatore Giuseppe II, che per primo
attenu alla fine del Settecento, le discriminazioni religiose e
razziali, e pitardi, nel XIX secolo, Quinto Quartiere (促漮
褾vrt Contrada misteriosa, della quale ben poco rimasto: alcune
sinagoghe, principalmente la Staro-nov(Vecchio-Nuova), e il
cimitero, e il municipio, con l'orologio dalle lancette che vanno a
ritroso, ricordato da Apollinaire (勁es aiguilles de l'horloge du
quartier juif vont rebours (1) e da Cendrars (前t le monde, comme
l'horloge du quartier juif de Prague, tourne 廧erdument rebours
(2) Contrada dove si avverte ancor oggi l'eterna presenza del Golem,
perchnel suo territorio, come afferma Nezval, lo 哀chemdi Rabbi
L饖 怨 inserito sotto la lingua di tutte le cose, persino sotto la
lingua del marciapiedi, anche se esso del medesimo tipo di pietra
che copre l'intera Praga(3) Fantasticando sopra l'architettura
pencolante del ghetto, vien fatto davvero di credere che le storte
case si muovano e si affastellino per l'impulso di 哀ch逶mess
ficcati nelle fauci dei loro inquietanti portoni ogivali.
La tradizione ebraica fa risalire l'origine del ghetto praghese ad
epoche immemorabili, precedenti persino la fondazione della citt
sulla vitava. Alcune leggende tramandano che gli ebrei giunsero a
Praga subito dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme, altre
fissano la loro venuta all'VIII o al IX secolo. Nei romanzi romantici
addirittura Libu蟌 ne predice l'arrivo, ma anche le cronache hanno
costume di imbrogliare le carte. V歊lav H毄ek z Libo螮n, nella sua
cronaca boema (1541), e dietro a lui l'annalista ebraico David Gans,
in Zemach David (La discendenza di Davide, 1592), affermano che gli
ebrei ottennero nel 995-97 il permesso di stabilirsi nella citt
vitavina, per aver aiutato i cristiani a respingere gli infedeli (4)
Ma certo che ginel X secolo carovane di mercanti ebraici, nei
lunghi itinerari da Oriente a Occidente, si fermavano a Praga,
fondandovi fondachi, e che da quei nuclei, da quelle stazioni ebbe
origine, tra il XII e il XIII secolo, la colonia ebraica praghese.
Sin dai tempi del gotico, la Cittebraica fu un plesso di case
assiepate, recinto da mura con porte (5), - mura dentro le mura, che
si spostavano, quando riusciva ad estendersi un poco, acquistando
dimore ai suoi margini (dopo la Montagna Bianca, ad esempio,
incorporalcune case, abbandonate dagli evangelici) (6) Nel XIX
secolo, a dispetto di rabbini fanatici che preferivano l'isolamento,
quelle mura vennero abbattute e per qualche tempo sostituite da
恃錩rye 削r漮y ossia da corde e fili di ferro.
L'attaccamento alla consuetudine fece sche, nonostante gli
incendi e i diluvi e gli assalti della marmaglia cristiana e
nonostante le aggiunte barocche di sporti e torrette e loggiati e
altane sui tetti, il ghetto conservasse intatte sin quasi alla met
dell'Ottocento la topografia originaria e la sembianza medievale.
Malgrado i divieti, sino al XIX secolo, furono pinumerose le case
di legno che quelle di pietra (7) Ad ogni distruzione (come dopo il
terribile incendio del 1689) veniva subito, in fretta, febbrilmente
ricostruito nell'aspetto di prima (8) E mentre Praga mutava gli
stili, allargandosi, il ghetto restsempre lo stesso avaro fastello
di medievali casupole, con poche sovrastrutture barocche (9)
Confitto in un'area esigua, tra la CittVecchia ed il fiume, a
ridosso del 剋allimordium l'antico bordello (10), questo
sovraffollato quartiere, con una crescente densitdi abitanti (11),
con scassoni di case e tane da sorci che si accatastavano l'una
sull'altra, era il pipiccolo di tutti i quartieri praghesi:
novantatremila metri quadrati, ossia un nono di tutta la Citt
Vecchia, ingombra di chiese, mercati, conventi, un tredicesimo di
MalStrana, in gran parte coperta dagli orti che circondavano i
palazzi della nobilt(12) Non vi rameggiavano altri alberi che
quelli dipinti sui muri. Vi era un solo giardino: il giardino dei
morti. Eppure, malgrado questa asfissiante strettezza, il ghetto
aveva una sinagoga ogni dieci case (13)
Il pittoresco del ghetto (come ci appare nelle foto ingiallite e
nei dipinti di Jan Minaw骿, Antonin Slav斁ek ed altri pittori
dell'inizio del Novecento) nasceva dall'architettura
contorsionistica, dal fitto incastro e dall'imbricazione di
catapecchie sbilenche, smattonate, umide, infette, covaccioli per re
Rosecone e la sua plebe di topi. Era un bizzarro labirinto di viuzze
sudicie e non lastricate, strette come i cunicoli di una miniera e
dove il pagliaminuta del sole penetrava di rado a spazzare le
immondizie delle ombre. Brutte viuzze malate, che attraversavano la
pancia di una casaccia, scartando poi all'improvviso da un lato, per
sbattere infine come pipistrelli su un muro cieco. Viuzze come
fessure percorse da zaffate di tanfo e di muffa. Viuzze a zigzag, con
lanterne agli angoli, cloacose pozzanghere e portoni di legno
dall'arcata ogivale. Budelli, cui le sporgenze ed i gomiti davano un
che di ubriaco, di barcollante, di onirico.
Il ghetto aveva gran copia di cortili e di ballatoi, ballatoi
dentro i cortili, con scalette esterne scontorte, dai vecchi gradini
svitati, e un tettuccio sulle scalette. Se non era possibile porre il
ballatoio sul cortile, le catapecchie del ghetto tranquillamente lo
appiccavano sulla facciata (14)
Quel mucchio di fatiscenti casupole scoppiava di abitanti assiepati
sovente a quattro a quattro ogni stanza, un pagliericcio in ogni
angolo, e tuttavia questo nauseante ammasso di corpi non impediva di
stipare in ogni casupola merci e di mettervi stie per le colombe e le
oche (15) cosgli abituri della Cittebraica si apparentano per la
strettezza alle case da bambola della Viuzza degli Alchimisti. La
strettezza era sempre accompagnata dall'incubo che il gipiccolo
spazio venisse ridotto. Perciquesta febbre di accatastarsi, di
vivere a strati come alici dentro un barile.
Mi sembra di esser vissuto in antichi tempi in quel ghetto, mi
rivedo ebreo chagallesco a 俟uk飆(促od Zelenou, con in mano un
前tr鐷 un giallo cedro, e a 青hanukk熐, intento ad accendere con
una candelina-哀ch滵essi ceri su una 匍enor熐 ad otto bracci,
oppure come uno degli 哀cham飉simdelle tante sinagoghe, o in una
stantia bottega di rigattiere, mi aggiro nel buio pestilento e
gespenstisch delle sue straduzze.
Siamo abituati a vedere il ghetto praghese coi filtri
dell'espressionismo e soprattutto attraverso le descrizioni di
Meyrink che, nel romanzo Der Golem, rese, a detta di Kafka,
匍eravigliosamente勁'atmosfera dell'antico quartiere ebraico di
Praga(16) Meyrink fa del ghetto praghese lo 俟chauplatzdi una
demonica 俚wischenwelt un terreno da incubo, una contrada
immiserita e larvale, la cui spettralitsembra estendersi a
significare l'estenuazione, la macilenza dell'Europa all'inizio del
secolo.
Dalle carte di Meyrink conosciamo la perfidia delle catapecchie del
ghetto, perfidia che cresce di notte, quando le porte si spalancano
come gole urlanti. Nel film Der Golem (1920) di Paul Wegener quelle
casupole oblique e angolose, articolate ritmicamente, hanno pinnacoli
gotici ricoperti di stoppa, quasi a riscontro con gli alti cappelli
conici e con le barbe da capra dei loro inquilini (17)
L'espressionismo calca la mano sulla medievalittenebrosa e
unheimlich, sulla putredine del Quinto Quartiere, sulla turbolenza
degli spettri che vi abitano. Con le sue viuzze tortuose, con le sue
case sbilenche e rattratte, con le sue sghembe finestre, con le sue
chiazze d'ombra, la cittdel Dottor Caligari arieggia forse il
ghetto praghese. Sembra del resto che Carl Mayer e Hans Janowitz
volessero affidare le scene del film ad Alfred Kubin (18), boemo di
Litom瞝ice, disegnatore di incubi e di stregonerie e di mostruosi
grotteschi, - Kubin, nel cui romanzo Die andere Seite le case muffite
e decrepite della cittdi Perla ricordano anch'esse le stamberghe
del Quinto Quartiere.
Il ghetto praghese conobbe la sua etmigliore negli anni di
Rodolfo II, quando vi ebbero grido Rabbi Jehuda L饖 (Liwa) ben
Becalel, miniera d'oro di salutevoli ammaestramenti, e il mecenate e
finanziere Mordechaj Maisl (Meysl o Mayzl), entrambi personaggi di
varie leggende. Quest'ultimo (1528-1611), le cui ricchezze erano
attribuite alla fatagione di due coboldi (咨rpaslici, fu
咬ojsch-hak闤della Cittebraica e vi fece costruire tre sinagoghe,
una delle quali porta il suo nome, e bagni pubblici, e il municipio,
e un ospedale, e diede incremento al 剎et hamidrasch l'alta scuola
talmudica, fondata da Rabbi L饖. Benefattore e limosiniere
nominatissimo, vestiva i poveri, donava il corredo alle spose
mendiche, e prestdenaro allo stesso Rodolfo per le sue raccolte e
le guerre contro i Turchi (19)
Ma la storia della Cittebraica di Praga, come quella di tutti i
ghetti, in primo luogo la storia del piccolo uomo braccato: sequela
di persecuzioni, di esosi balzelli, di pogrom, di ripieghi, di
sotterfugi. Non solo di usura e di compravendita di cianfrusaglie
perviveva il ghetto. Vi si incontravano artigiani di ogni mestiere
ed un'inclita consorteria di macellai, che fornivano carne anche ai
cristiani. Vi fu un tempo un beccaio, che ogni sabato si pesava
assieme alla moglie, per poi distribuire alla poveraglia tocchi e
quarti di carne in misura corrispondente al suo peso e a quello della
consorte (20) Ed curioso che gli ebrei, eccellenti pompieri,
accorressero a spegner gli incendi nei rioni contigui, trampolino
delle scorrerie che mettevano le loro case in desolazione e
sconquasso (21)
Fra le catapecchie cadenti del ghetto gli ebrei camminavano
barbipiombati, con l'alto cappello giallo, dalla punta adornata
spesso di un bizzarro boccino, e con un tondino di panno giallo
cucito sul caffettano (22) Con trepide mani va accarezzato ciche
pittoresco, specie quando ha un risvolto di amara miseria e di
umiliazioni. Uscendo dal ghetto nella CittVecchia, gli ebrei erano,
come fantocci di un 勉eu de massacre assaliti dalla ciurmaglia con
pietre e palle di neve. Rotolava per terra il cappello puntuto, nei
tempi nuovi il cilindro.

NOTE:
(1) Guillaume Apollinaire, Zone (1913), in 飀vres Po彋iques, Paris
1956, p' 43.
(2) Blaise Cendrars, Prose du Transsiberien et de la petite Jeanne
de France (1913), in Du monde entier au c飀r du monde, Paris 1957, p'
48.
(3) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 324.
(4) Cfr' Hana Volavkov Zmizelpraeskghetto, Praha 1961, p' 4.
(5) Cfr' Alois Jir滻ek, Syn ohnivc驠, seconda parte del romanzo
Mezi proudy (1888)
(6) Cfr' Hana Volavkov ZmizelPraha: E'idovskm瘰to praesk
Praha 1947, p' 32.
(7) Cfr' ibid', p' 15.
(8) Cfr' ibid', pp' 34 e 37.
(9) Cfr' ibid', p' 42.
(10) Cfr' ibid', pp' 18-19.
(11) Cfr' ibid', p' 31.
(12) Cfr' id', E'idovskm瘰to praesk Praha 1959, p' 3.
(13) Cfr' Hana Volavkov E'idovskm瘰to praeskcit', p' 3.
(14) Cfr' id', ZmizelPraha cit', p' 61.
(15) Cfr' ibid', pp' 59-60.
(16) Gustav Janouch, Colloqui con Kafka cit', p' 33.
(17) Cfr' Herbert Jhering, Der Schauspieler im Film (1920), in Von
Reinhardt bis Brecht, I, Berlin 1958, pp' 380-82; Lotte H' Eisner,
L'嶰ran demoniaque, Paris 1965, pp' 48-49.
(18) Cfr' Lotte H' Eisner, L'嶰ran demoniaque cit', pp' 24-25, e
Ado Kyrou, Le Surrealisme au cinema, Paris 1953, p' 80.
(19) Cfr' Hana Volavkov ZmizelPraha cit', pp' 28-30; id',
E'idovskm瘰to praeskcit', pp' 24-25; id', Zmizelpraeskghetto
cit', pp' 30-34; JiwWeil, Sou螮snici o Mordechajovi Mayzlovi, in
E'idovskro蟌nka (5718), Praha 1957-58, pp' 77-85. Cfr' anche Alois
Jir滻ek, Ze eidovsk逸o m瘰ta, in Starpov瘰ti 蟌sk(1894), Praha
1949, pp' 200-6.
(20) Cfr' Zikmund Winter, 鍒st kulturnhistorick in Praesk
Ghetto, a cura di Ign漮 Herrmann, Josef Teige, Zikmund Winter, Praha
1902, p' 12.
(21) Cfr' ibid', p' 70.
(22) Cfr' ibid', p' 68.

50
Ma col voltare dei secoli non rotolcome un cappello il triangolo
dentato, la cuspide della Sinagoga Vecchio-Nuova, tetro e annerito
quadrilatero oblungo, armadio di angelogia, che risale alla fine del
Duecento (1)
L'eroe del romanzo Gotickdu蟌 (Un'anima gotica, 1921) di Jiw
Kar滻ek, vagando una sera per le sudicie stradine del ghetto, capita
in questa sinagoga, 匍orta, come infossata nella muffa delle tombe,
in cui dalle strette finestre gotiche cade un livido raggio di luce
come un fioco barlume del presente俏el tanfo soffocante delle
lampade ad olio, nel buio, un cantore cantava nell'冠lmem顤",
strascicando la voce, e quel canto era come un gemito su un morto
passato e su un popolo inane: i credenti, chinata la testa, gemevano
tenebrosamente sulla distruzione di Gerusalemme侮'era qualcosa di
cosdisperato e di coslugubre, che dovette uscire, perchla
mestizia non lo soffocasse...(2). Ma pibanalmente un altro
visitatore, Andersen, ricorda (1866): 侵l soffitto, le finestre e le
pareti erano sporchi di fumo, v'era un costerribile puzzo di
cipolla che dovetti uscire all'aperto(3)
Oggi la sinagoga ha la spenta patina dei musei, ma ancora
nell'Ottocento, sommersa nel pigia pigia delle addossate casupole,
suscitava inquietudine con la sua architettura ogivale, con la debole
luce in gramaglie filtrata dalle sue esigue finestre, con la gotica
grata che cinge il suo 冠lmem顤 con la sua polverosa soffitta in
cui si diceva giacessero, mamma mia, i resti del Golem, con le sue
pareti fuligginose e coperte di macchie come murene o lamprede e
schizzate del sangue degli ebrei trucidati nell'eccidio del 1389, sul
quale il rabbi Avigdor Karcompose un famoso lamento (4)
俊ausend Jahre z鄣lt der Tempel schon in Pragha scritto Else
Lasker-Scher in una lirica (5) Si diceva che fosse piantica di
San Vito e di tutte le chiese praghesi. Sulla sua origine esistono
varie leggende: a) fu costruita con pietre del distrutto Tempio di
Gerusalemme, che portarono a Praga gli ebrei provenienti dalla
Palestina; b) gli anziani della comunitscavarono in un punto
indicato da un vecchio veggente, trovando sotto un rialzo di terra la
sinagoga gipronta; c) gli angeli trasferirono a Praga (come da
Nazareth a Loreto la casa della Vergine) i frantumi del Tempio di
Gerusalemme e li ricomposero, con l'ingiunzione di non mutarvi mai
nulla. Chi tentdi cambiare qualcosa in quella buia cella a doppia
navata fu colpito da sventura e da morte. Durante un incendio della
Cittebraica gli angeli, creature di fiamma essi stessi secondo il
Talmud (6), apparvero in forma di bianche colombe sulla cuspide, sul
cappello a punta della sinagoga, salvandola con la loro presenza dal
fuoco (7)

NOTE:
(1) Cfr' Hana Volavkov ZmizelPraha cit', p' 23; id', E'idovsk
m瘰to praeskcit', pp' 15-16; id', Zmizelpraeskghetto cit', pp'
10-14; Vojtebl Volavka, Pout' Prahou: D疀iny a um瘽 Praha 1967, p'
59.
(2) JiwKar滻ek ze Lvovic, Gotickdu蟌 (1900), Praha 1921, cap'
XXI, p' 91.
(3) H'C' Andersen, N歍hernseskupen in M瘰to vidim velik
cit', p' 411.
(4) Cfr' Alois Jir滻ek, Ze eidovsk逸o m瘰ta, in Starpov瘰ti 蟌sk
cit', pp' 199-200; Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', p'
177.
(5) Else Lasker-Scher, Der alte Tempel in Prag (1920), in
Dichtungen und Dokumente, Mchen 1951, p' 38.
(6) Cfr' Henri serouya, La Kabbale, Paris 1947, p' 98.
(7) Cfr' Adolf Wenig, O Staronovsynagoze, in Starpov瘰ti
praeskcit', pp' 309-14; Karel H歍ek, Pov瘰ti o Staronov螶ole, in
褾eno starPraze, Praha 1948, pp' 27-31.

51
Per le straduzze del ghetto incede una schiera di signori barbuti
di colore ulivigno con nere palandrane dalle bianche lattughe e con
neri cappellacci schiacciati. Sembra una visita di spiriti. Sono i
soci della Confraternita funebre (促ohwebnbratrstvoovvero 青hevra
kadi螮, che si occupava delle opere pie, del conforto ai malati,
dell'assistenza ai morenti, delle pompe esequiali, della custodia dei
cimiteri. Era un grande onore far parte di questa venerabile
congregazione. Al banchetto annuale per la nomina del primicerio gli
affiliati bevevano da brocche di vetro, sulle cui guance erano
dipinte scenette di funerali (1) La loro compunzione declinante alla
malinconia, il loro incesso gravigrado contrastavano con le
mattaccinate dei 剎adch霵im i pagliacci del 促orimEccoli dunque,
mentre, con pettini d'argento per carminare le chiome dei morti, con
spazzolini d'argento per nettarne le unghie, con mucchietti di terra
da mettere sotto le teste esanimi, si dirigono, maschere arcigne,
verso l'antico cimitero ebraico.
Le leggende, fondandosi sull'errata lettura di alcune lapidi,
collocarono in etimmemorabili l'origine di questa necropoli. In
realtla pivecchia pietra tombale, quella del poeta sinagogale e
rabbino Avigdor Kar del 23 aprile 1439. Nel suo lamento per il
pogrom del 1398 Karafferma che nemmeno gli avelli sfuggirono alla
furia della ciurmaglia cristiana, ma egli si riferisce di certo ad un
altro piantico luogo di seppellimento. L'ultimo cippo risale al 17
maggio 1787. Quell'anno, per evitare il contagio della peste,
trovandosi il cimitero frammezzo alle case abitate, vi si cessarono
le inumazioni, su ordine di Giuseppe II (2)
Compressa in un'area esigua tra le sinagoghe Klaus, Pinkas e
Vecchio-Nuova, - dalla parte del fiume la necropoli ebraica confinava
in antico con bordelli e baracche di boia, di reietti, di
accalappiacani e fogne di nitro e capanne di salnitrari (3) Viluppo
di tombe sovrapposte e stipate, quel defuntoro palesa la stessa
smania di assiepamento che riscontriamo nelle catapecchie e nelle
cataste di oggetti dei rigattieri del ghetto.
Per penuria di spazio nuova argilla veniva gettata sui vecchi
sepolcri, sicchin certi punti vi sono fin dodici strati di tombe
l'una sull'altra, e cispiega l'inegualitdel terreno (4) Da
quegli strati sporgono fitte agglomerazioni di lapidi cionche,
cascanti, inclinate come i ciechi di Breugel, sprofondate sino alla
punta, inghiottite dal suolo umido e nero.
I signori della confraternita si fanno strada a fatica tra gli
stretti sentieri, e i loro gesti sbilenchi somigliano alle posture
malferme delle stele tombali. Pietre scontorte come denti sradicati,
rugose tiare di pietra confitte nel fango, lastre che strisciano come
剃uls-de-jattesu inestricabili grovigli di cippi, stele scalzate
dalle contorsioni dei morti, dalle escrescenze della terra compongono
un misterioso balletto. Il nipote di Rabbi L饖, Samuel, che si spense
nel 1655, voleva esser sepolto vicino alla tomba del nonno. Ma tutto
lo spazio contiguo era ingombro, ed allora, tuffete di qua e tiffete
di l l'arca del Rabbi si mosse per fargli posto (5)
Come stracci di crespo tele di ragno si tendono fra le urne. Sulle
urne i visitatori, i discendenti, i devoti, come un tempo gli ebrei
nel deserto in mancanza di fiori, hanno lasciato mucchietti di
sassolini in segno di ossequio per i trapassati. Nelle straduzze del
ghetto non rameggiavano altri alberi che quelli dipinti sui muri. Ma
nel giardino dei morti, tra le lapidi erose, si intrecciano scarni e
aggrinziti e ricurvi frutici di sambuco, quasi mimando l'inclinazione
delle lapidi. In primavera un subisso di piccoli bianchi sambuchi in
corimbi pervade l'aria di un odore pungente, e la popolosa famiglia
di lastre rachitiche e storpie sembra trarre sollievo da quelle
bianche infiorescenze.
Holunderble (Sambuco) si intitola una novella (1863) di Wilhelm
Raabe, storia di uno scioperato studente che, giunto a Praga da
Vienna, conosce nel ghetto una ragazza ebraica, nipote del custode
del cimitero e discendente di Rabbi L饖, la quale, "come la figlia di
Giobbe ha nome Jemima. Con lei lo studente passeggia tutta
un'estate tra le lapidi e i frutici di sambuco, ascoltando leggende
sui trapassati. Come il fascino della morente Marinka, figlia di un
violinista mendico, nell'omonimo racconto di M歊ha (1834), la
bellezza di Jemima stona con la miseria e col sudiciume streghesco
dell'ambiente in cui vive (6) Anche Jemima sa di esser vicina alla
fine, perchsoffre di cuore, come la gracile ballerina Mahalath, che
si spense nel fiore degli anni, l'ultima (secondo Raabe) creatura
inumata, nel 1780, in quel camposanto.
俊u mi dimenticherai come si dimentica un sognodice Jemima al suo
innamorato, ed aggiunge: 俘icordati del sambuco!Nel maggio
dell'anno dopo (1820), tornando, quando i sambuchi fioriscono, nella
citt che 前ssa stessa simile a un sogno mentre Praga, adornata
di ghirlande e tappeti e stendardi, si prepara alla festa di San
Giovanni Nepomuceno, - lo studente, nel ghetto, in cui regna a
contrasto un silenzio lugubre, apprende che Jemima morta. Col
lusinghevole aroma dei suoi sambuchi, con la sua secolare putredine,
con l'obliquitdelle sue lapidi che hanno il cipiglio di maligni
feticci, il cimitero contagia una malinconia perniciosa, micidiali
fuliggini. 亟 dire - prorompe Raabe - che essi chiamano questo luogo
Beth-Chaim, la Casa della Vita!
In quel teatro litologico sembra di udire la Preghiera della pietra
di Vladimir Holan, nei cui versi un masso, non importa se della
famiglia dei 匍enhiro dei 削olmeno delle 匍ass軸飆o delle stele
praghesi, si esprime con un suo oscuro linguaggio catacumbaro:
Paleostom bezjazy,@ maden泉n at kraun at tath柑u at sa@ luharam
amu-amu dahr!@ Ma yana zinsizi?@ Gamchabatmy! Darsk 柑d殃n darsk
bameuz.@ Voskresajet at maimo 螮rgiz-duz,@ chisoh ver gend ver
sabur-sabur@ Theglathfalasar@ bezjazy munay! Dana! Gamchabatmy!@
(7). La preghiera holaniana potrebbe intendersi come l'eulogia di un
defunto, attribuendo alla parola 哉oskresajet(che poi il russo
咬isorge 咬isuscita un valore simile a quello che ha
l'espressione 恃滎闣(pace) negli antichi epitaffi greco-ebraici di
Palestina (8) Lo stesso Holan, nel diario Lemuria, chiama
冠ktinolitla pietra tombale, ossia 厚ietra-luce(dal greco akt鮢:
luce, splendore) (9)
I signori della confraternita vagano tra l'immenso gregge annerito
dei cippi. Immenso in un recinto cosangusto, che si penetra a
stento fra il pigia pigia dei sepolcri. Undicimila cippi vi sono, da
quelli pisemplici e rozzi di arenaria, quadrati o bislunghi, con la
cima piatta o a mezzaluna o cuspidale, alle stele del XVI secolo, pi
raffinate e piappariscenti, in marmo rosso di Slivenec o pietra
calcare, sino ai sarcofaghi del Seicento, come quello di Rabbi L饖,
in forma di tabernacolo, di arca (卻hel volgarmente 則酳slech
casetta), in cui si riflette l'influsso dell'architettura barocca
(10)

NOTE:
(1) Cfr' Hana Volavkov Walter Sojka e JiwWeil, Pr驠odce po
St漮nim eidovsk鄉 museu v Praze, II, Praha 1956, pp' 15-16; Hana
Volavkov Pwib璡 eidovsk逸o musea v Praze, Praha 1966.
(2) Cfr' Hana Volavkov E'idovskm瘰to praeskcit', pp' 19-20;
id', Zmizelpraeskghetto cit', pp' 22-24; Stareidovskhwbitov v
Praze, Praha 1958, p' 7.
(3) Cfr' id', Okolo star逸o eidovsk逸o hwbitova v Praze, in
E'idovskro蟌nka (5717), Praha 1956-57, pp' 75-84.
(4) Cfr' Stareidovskhwbitov v Praze cit', p' 8.
(5) Cfr' Stareidovskhwbitov v Praze cit', p' 19; Karel Krej鍎,
Stareidovskhwbitov praeskv pov瘰ti a legend in StaletPraha,
III, Praha 1967, p' 41.
(6) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 192-93.
(7) Vladimir Holan, Modlitba kamene, in Na postupu (1943-48), Praha
1964, p' 12.
(8) Cfr' Otto Muneles - Milada Vilimkov Stareidovskhwbitov v
Praze, Praha 1955, p' 55.
(9) Vladimir Holan, Lemuria cit', p' 147.
(10) Cfr' Stareidovskhwbitov v Praze cit', p' 10; Hana
Volavkov E'idovskm瘰to praeskcit', p' 20; id', Zmizelpraesk
ghetto cit', pp' 23 e 28.

52
Le lapidi sfoggiano una doviziosa simbologia. Le mani benedicenti
sono il segno dei 勃鐬滱im i sacerdoti; la brocca e la bacinella il
segno dei loro coadiutori, i 勁鈞駧mForbici indicano la tomba di
un sarto, pinzette quella di un medico, un mortaio con pestello parla
di uno speziale, un'arpa di un liutaio, un libro di uno stampatore,
un 前tr鐷di un venditore di cedri per la festa di Suk飆 (Pod
Zelenou) Un grappolo rappresenta saggezza e fertilit una scenetta
in paradiso vuol dire che in quel sepolcro riposa una donna di nome
Chava (Eva), e una rosa una Rosa, e le immagini di animali, un
intero bestiario (cervo, orso, lupo, leone, volpe, gallo, colomba,
carpa, oca), designano cognomi ferini (1)
Di un avello, sul quale erano raffigurati Adamo ed Eva, si
favoleggiava che vi giacessero due giovani sposi stroncati il di
delle nozze dall'angelo della morte. E di uno, sul quale due galline
da lati opposti puntavano il becco contro una testa femminile, che vi
dormisse un'adultera, cui per castigo le galline avevano beccato gli
occhi. Si narrava anche che Rabbi L饖 avesse fatto inumare in un
angolo del cimitero la carogna di un cane gettata per spregio dal
muro (2)
Oltre al nome del morto e al suo titolo e alla sua professione e
alla data del transito e delle esequie (partendo dalla creazione del
mondo), le lapidi racchiudono epiteti, frasi stereotipe di elogio e
di augurio per la vita eterna in versetti o prosa rimata, elenchi
delle benemerenze, formule di rimpianto attinte alla Bibbia e alla
letteratura rabbinica (3)
Ti sembra, in quel funerario balletto, che anche le lettere delle
lapidi debbano a un tratto animarsi, come le parole del libro Ibbur,
che uno sconosciuto dagli occhi obliqui consegna ad Athanasius
Pernath nel romanzo di Meyrink. I quadrati caratteri ebraici (forse
analoghi a quelli delle antiche stamperie del ghetto) compongono,
assieme ai simboli, pittografie alfabetiche, poemi ottici,
paragonabili alle insegne di vecchie botteghe praghesi, che Josef
螮pek celebrnel volume Nejskromn疀鍎 um瘽(Le arti pimodeste,
1920) Non a caso Hoffmeister ha effigiato il cimitero ebraico in
collages quasi lettristici, dove gli stessi sambuchi ricalcano le
forme delle lettere impresse sulle affastellate pietre tombali (4)
Diresti che in quella necropoli i cippi e gli avelli e gli arbusti e
i signori della confraternita si tramutino tutti in lettere danzanti,
combinandosi insieme con permutazioni fantastiche, come in un folle
esercizio talmudico di acrologia.
Questi 剎izzarri geroglifici come Raabe li chiama, hanno
ammaliato parecchi scrittori. Josef K', in un breve racconto di
Kafka, compie in sogno una visita a un cimitero, che certo il
cimitero del Quinto Quartiere, e vi incontra un artista dal berretto
di velluto (forse un collega di Titorelli), il quale con una comune
matita scrive a lettere d'oro con grandi svolazzi: 侶ui giacesu una
pietra tombale (la pietra, sotto cui Josef K' scivolerpoco dopo):
保gni lettera appariva nitida e bella, incisa profondamente, e tutta
d'oro(5)
Nel romanzo Ganymedes (1925) di JiwKar滻ek l'inglese Adrian
Morris, enigmatico come il Pellegrino di Crawford, 哎omo-sfinge si
aggira per il cimitero ebraico, cercando il sarcofago di Rabbi L饖 e
interpretando le scritte e gli emblemi che adornano i cippi (6) In
Hobby (1969) di JiwFried il narratore, nella malinconia del
tramonto, si reca con un copista maniaco, givecchio, a contemplare
le lapidi di un sepolcreto, che forse quello del ghetto, - gli
epitaffi in ebraico, che il suo personaggio trascrive come formule
arcane, pur senza capirle.
Dov'il matematico Josef 螮lomo ben Elijahu Delmedigo de Candia?
Dov'l'annalista ed astronomo David Gans? Dov'il macellaio David
Koref? Dove sono i rabbini Zeeb Auerbach e David Oppenheim? Dov'
Rabbi Jehuda L饖 ben Becalel? Dov'Mordechaj Maisl? E Frumeta, la
sua seconda moglie? E Hendel, la sposa dello 信ofjudeJakub Ba蟌vi
di Treuenberk, nella cui tomba dicevano fosse riposta una regina
polacca? (7) Dove sono i signori della confraternita, che erano qui
poco prima, neri e di cosstrutta apparenza da sembrare rigogoli in
larghi cappelli a focaccia? Involti alla melma, schiacciati sotto
faglie di pietre, poltiglia, licheni, ombre della memoria.
俏el buio entra l'ombra e l'uomo nell'argillasussurra, nel poema
Sv皻lem od瘽(Vestita di luce), Jaroslav Seifert, nella sua
passeggiata per Praga appressandosi in punta di piedi, sommesso, sul
far della sera, ai muri del cimitero del ghetto, da cui si propaga
l'umore pestilenzioso, il malocchio del Golem (8) E non solo di quel
fantoccio di creta. Perchla necropoli brulica di fantasmi. Sotto
una lapide, che raffigura una donna in mezzo a due galli, giace un
prete cattolico, transfuga dell'ebraismo, il quale volle esser
sepolto accanto all'ebrea amata nella giovinezza. E ogni notte uno
scheletro lo traghetta attraverso la vitava, perch nella cattedrale
di San Vito, egli possa sonare all'organo salmi di penitenza (9)

NOTE:
(1) Cfr' Stareidovskhwbitov v Praze cit', pp' 10-11; Hana
Volavkov Zmizelpraeskghetto cit', p' 28.
(2) Cfr' Karel Krej鍎, Stareidovskhwbitov praeskv pov瘰ti a
legend in StaletPraha cit', III, pp' 44-45.
(3) Cfr' Otto Muneles - Milada Vilimkov Stareidovskhwbitov v
Praze cit', pp' 61-93.
(4) Cfr' Miroslav Lama V蓨varndilo Adolfa Hoffmeistera cit'
(5) Franz Kafka, Un sogno (1914-15), in Racconti cit', pp' 263-65.
(6) JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes, Praha 1925, cap' XII, pp' 42
e 43.
(7) Cfr' Karel Krej鍎, Stareidovskhwbitov praeskv pov瘰ti a
legend in StaletPraha cit', III, pp' 45-46.
(8) Jaroslav Seifert, Sv皻lem od瘽cit', p' 30.
(9) Cfr' Karel Krej鍎, Stareidovskhwbitov praeskv pov瘰ti a
legend in StaletPraha cit', III. cfr' anche Stareidovsk
hwbitov v Praze cit', pp' 17-18.

53
Il cimitero ebraico ha incantato la fantasia di molti pittori cechi
(Antonin M滱es, Jaroslav 蟌rm毾, Vojt瑿l Hynais, Jindwibl 褾yrsk
Adolf Hoffmeister) e di alcuni scrittori stranieri, come Andersen e
Liliencron (1) Nei soggiorni praghesi il polacco Przybyszewski vi
andava a passeggiare con JiwKar滻ek (2), esperto di leggende
golemiche e maestro di attrezzeria sepolcrale, come puvedersi anche
dal 咬omanetoZastwenobraz (Il quadro velato, 1923), in cui si
profila un altro camposanto della cittvitavina, quello in sfacelo
di MalStrana (a Ko鍎we), con malinconici frassini, croci di ferro
arrugginite, angeli di stile impero (3)
Colpivano i visitatori la secolare mestizia di quel recinto,
l'accatastarsi in un piccolo spazio dei morti di molte generazioni,
sommersi, per dirla con Raabe, 剃ome in un vorace pantano senza
fondo la torva vitalitdella plebe di pietre sciancate, il loro
mistero che cresce nella stracca luce invernale, quando sporgono di
sotto la neve ed il gelido vento scrolla gli striminziti rami. Rudolf
Lothar, nel racconto Der Golem (1904), ha espresso la desolazione del
cimitero del ghetto nei giorni in cui il turbinio della neve mette
bianchi berretti alle stele, ermellino ai sarcofaghi e adagia un
luccicante tappeto sugli angusti viottoli. Nell'opaca illuminazione
di un pomeriggio d'inverno i cippi sembrano a Crawford le schiere di
un grande esercito sbaragliato e i tisici arbusti uno stuolo di
scheletri che tendano le braccia ossute. Ricordati del sambuco!
La spettralitdi quella necropoli spiega perchRaabe, Kar滻ek,
Crawford vi abbiano ambientato scene arcane. Kar滻ek, in Ganymedes,
ne fa il luogo d'incontro dell'eccentrico inglese Adrian Morris e
dello scultore ebraico danese J顤n Moller, un occultista che cerca di
estrarre dall'epitaffio scolpito sull'arca di Rabbi L饖 il segreto
della fabbricazione del Golem, - un negromante malato dal naso
咬icurvo come il becco di un rapacee coi perfidi occhi iniettati di
sangue, 剃ome stillanti un rossastro cupo succo di more(4) In quel
fragoroso carrozzone, che il romanzo di Crawford The Witch of
Prague, al cimitero del Quinto Quartiere la strega onorna ipnotizza
il giovane ebreo esaltato Israel Kafka e in catalessi gli fa rivivere
tutti i tormenti sofferti dal ragazzo 蟊mon Abeles, il quale, secondo
la leggenda, fu martoriato ed ucciso dal padre, perchaveva abiurato
la fede ebraica.
Questa leggenda, prosperata dalla propaganda della Controriforma,
destrumore nell'etbarocca. Bramoso di convertirsi alla religione
cattolica, nel settembre 1693 il dodicenne 蟊mon Abeles fuggdal
ghetto nel collegio gesuitico Clementinum, per farsi battezzare. Ma i
genitori se lo ripresero indietro, ed il padre, con l'aiuto di un
certo L鐽l Kurtzhandl, lo sottopose a torture e, il 21 febbraio 1694,
lo uccise. Il delitto venne scoperto, e Lazar Abeles, arrestato, si
impiccai filatteri nella prigione del Municipio della Citt
Vecchia. Il boia strascinil suo cadavere fuori le mura, lo squart
gli cavil cuore, spiaccicandolo sopra la bocca. Kurtzhandl,
condannato a morte il 19 aprile 1694, fu messo alla ruota e poich
vinto dalle sofferenze, accettdi cambiar fede, gli fu concesso il
vantaggio di esser finito dal re dei capestri con un solo fendente.
Egon Erwin Kisch, esaminando gli atti del processo inquisitorio, si
convinse che il caso Abeles fu una mostruosa montatura del politbjur
dei gesuiti (5) La salma del ragazzo, esumata dal cimitero ebraico,
venne esposta per un mese intero al municipio della CittVecchia, e
le folle la visitavano, intingendo il fazzoletto nelle fontane di
vivo sangue sgorganti dalle ferite. Da uno sfarzoso corteo esequiale
infine, nel marzo 1694, 蟊mon Abeles fu accompagnato nella chiesa di
T蓽, dove trovsepoltura vicino alla tomba di Tycho Brahe. Il clero,
le scolaresche, la nobiltin apparenza di duolo, le campane di tutte
le chiese salutarono il martire, il nuovo campione dei repertori
agiografici. Ma spaventoso era il silenzio nel ghetto (6).
A detta di Raabe, non v'in tutto il mondo alcun camposanto in cui
il cielo, squassato dalla tempesta, diventi cosnero come sulla
necropoli del ghetto praghese. I vecchi sambuchi 剃ome creature
viventi sospirano e gemono in grande tribolazione青on un sinistro
gorgoglio il terreno sorseggia i torrenti d'acqua che colano in basso
dai cippi ammonticchiati l'uno sull'altroPrima che il temporale
tinga di inchiostro la faccia del cielo, usciamo, signori della
confraternita funebre, da questo recinto che non mi dnell'umore.
Percha ogni cosa riparo fuor che alla morte.

NOTE:
(1) Cfr' M瘰to vidim velikcit', pp' 412 e 460-61.
(2) Cfr' Stanis獪w Helszty盭ki, Przybyszewski cit', p' 451.
(3) Cfr' Otakar 褾orch-Marien, Sladko je 鋱t cit', pp' 104-6 e 212.
(4) JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes cit', cap' XII, p' 44.
(5) Cfr' Egon Erwin Kisch, Aus Glaubenhass, in Prager Pitaval
(1931), Berlin 1953, pp' 85-98; in ceco col titolo Ex odio fidei...,
in PraeskPitaval, Praha 1968, pp' 103-11.
(6) Cfr' Zikmund Winter, 鍒st kulturnhistorick in Praesk
Ghetto cit', p' 52; Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', p'
178.

54
Quando, all'inizio dell'Ottocento, furono abbattute le mura e le
porte, a segnare i confini tra il ghetto e la CittVecchia rimasero
solo matasse di filo metallico, ossia 削r漮yo 恃錩ryA mano a
mano gli ebrei danarosi evasero dallo sporco e sovraffollato Josefov,
trasferendosi in case moderne e accrescendo la propria ricchezza con
speculazioni e commerci (1) All'alba del Novecento lo spazio intorno
ai giardini Vrchiick ovvero lo Stadtpark praghese, e la zona
residenziale di Bubeneerano un plesso di superbe fabbriche e ville
di ebrei milionari (2) Ma anche la piccola borghesia di contabili,
impiegati d'ordine, commessi viaggiatori, che amava la dignitdel
solino inamidato, abbandonl'奎jrew il recinto del Quinto
Quartiere.
Nel ghetto rimasero i poveri in canna e gli ortodossi fanatici. E
in cambio nelle umide tane cominciad affluire la poveraglia
cristiana: branchi di marranchini e frapponi, accattoni, truffieri,
bagasce, bastasi, gente sospetta e perduta. La Cittebraica, detta
俚a dr漮em(Oltre il filo di ferro), per il filo che ancora negli
anni Settanta penzolava ormai floscio in alcuni punti del suo
perimetro (3), divenne ridotto di malviventi e di naufraghi,
pozzanghera di cantoniere, terra promessa di ladri e di vagabondi,
covacciolo della libidine.
青ome se qui avesse fine la giurisdizione del resto del mondo e il
solitario viandante fosse qui abbandonato all'arbitrio di altre
potenze invisibili, occulte - e maligne(4) Aggirandosi in quel
territorio, l'inglese Adrian Morris, nel romanzo Ganymedes di
Kar滻ek, 哀entiva l'umiliazione dell'antico ghetto oggi ormai
demolito, l'impurited il lerciume dei suoi edifici sbreccati, delle
sue tortuose strade e straduzze, piene del brulichio di abitanti che
erano usciti dalle loro afose e laide spelonche...(5).
Ripugnanti rifiuti ingombravano il putrido selciato, tutto gore
cloacose e rivoli d'acqua fetente. Migliaia di ratti avevano
domicilio in quei vicoli. E, mancando il quartiere di destri e di
fogne, vi si respiravano infette zaffate di miasmi. Sulla soglia
delle catapecchie, dai muri macchiati come lamprede e murene, donne
discinte facevano i loro bisogni alla vista del prossimo e, nei
giorni torridi, quando nelle spelonche si soffocava, si mettevano in
strada a spidocchiare i bambini (come una volta in remoti villaggi
della mia Sicilia: ho ancora nella memoria lo schiocco dei pidocchi
schiacciati tra le unghie dei pollici) Nelle calde sere, seduti su
panche dinanzi ai neri portoni, gli inquilini delle maleolenti
casupole ciarlavano coi loro dirimpettai, e non v'era segreto di
famiglia che non corresse di finestra in finestra, di porta in porta,
da sporti a cortili (6)
Nella lirica Z ghetta (Scene del ghetto) Jaroslav Vrchiick
raffigura una donna, che in un ardente pomeriggio d'estate va
barcollando per questa 咬ete sinuosa di case sbilenche - e luride
per questo 匍iscuglio di spazzatura e macerie - una donna gialla
nel viso, malmessa, con piume nei capelli arruffati, col 厚eso della
maternitsotto il velo di logori stracci inseguita e derisa dalla
marmaglia (7)
Ma diamo uno sguardo all'interno di quelle fredde e muffite
stamberghe, sentine di fetore, buche di ogni sporchezza. Corde o
linee tracciate col gesso sul pavimento dividevano in molti scomparti
stanzette di pochi metri quadrati, e in cospiccolo spazio vivevano
promiscuamente persone di varia ete di sesso diverso, conosciutesi
in una taverna o in galera, mariuoli incalliti e proprietari falliti,
che un tempo avevano posseduto in altri rioni di Praga appartamenti
ovattati da morbide tappezzerie. Era dunque ogni stanza una sorta di
Pertusocupo, un dominio di sorci, un accampamento di stramazzi
imporriti e giacigli di tavole, in cui, fra spettrali frontiere di
gesso, si ammucchiavano vecchi malati e giovani sposi in amore e
meretrici e bambini, e in cui le donne partorivano sotto gli occhi di
estranei, un Pertusocupo, in cui la sera l'affollamento cresceva per
l'arrivo di quelli che, dopo aver mendicato l'intero giorno, verso il
tramonto si riconducevano a casa. Il pigia pigia di fantesche e di
aiutanti nella camera surriscaldata di K' all'Osteria del Ponte nel
Castello kafkiano sembra riflettere l'accatastarsi di molti inquilini
in un vaso esiguo nei vili pertugi di Josefov.
Il provento maggiore della poveraglia confluita nel ghetto e degli
ebrei ivi rimasti era costituito dalla baratteria di ogni specie di
ciarpe. Su bancarelle e all'imbocco di scure botteghe rivenduglioli
buffi, omini in bombetta esponevano le loro Tr鐰elwaren, adescando
con viso astuto i bighelloni ed i cacapensieri che andavano al ghetto
per curiosare. Ne Le Passant de Prague Apollinaire racconta: 俏ous
travers滵es le quartier juif aux 彋alages de vieux habits, de
ferrailles et d'autres choses sans nom(8) A ogni passo, ad ogni
angolo, da bugigattoli e cave stormi di rigattieri garrivano per
spacciare le cianfrusaglie racimolate in cittdagli 則andrlata ::::::::::
(8) Guillaume Apollinaire, 飀vres completes, a cura di Michel
decaudin, I, Paris 1965, p' 109.

NOTE:
(1) Cfr' Hana Volavkov ZmizelPraha cit', p' 50; id', E'idovsk
m瘰to praeskcit', pp' 29, 32; Karel Krej鍎, Praha legend a
skute螽osti cit', p' 381.
(2) Cfr' Pavel Eisner, Franz Kafka a Praha, in 便ritickm瘰斁n骿
1948, 3-4.
(3) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety, I, Praha 1926, pp'
207-8.
(4) Ibid', IV, Praha 1938, pp' 120-21.
(5) JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes cit', cap' XII, p' 42.
(6) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', IV, pp' 122-23.
(7) Jaroslav Vrchiick Z ghetta, nel ciclo Praeskobr漘ky della
raccolta Mvlast (1903)

55

Robivecchi ambulanti, gli 則andrlata(1) con un sacco in spalla
giravano di casa in casa a comprare stracci e rottami. Figure
costanti delle strade di Praga, come i 削r漮enici(sprangai) e gli
卻p滱k漙i(sandalai) slovacchi dai larghi cappelli rotondi (2)
Erano vecchi, vecchissimi, e ormai quasi diafani, come di paglia,
connestabili di Matusalemme, amostanti della Befana. Avvolti in
sordidi e lunghi cappotti neri, simili ai caffettani degli ebrei
polacchi, piegandosi sotto il peso del sacco, entravano in tutti i
cortili, con voce strascicata e lamentosa gracchiando:
信滱drle-h滱dele v(3) Un codazzo di ragazzacci li canzonava:
信滱drle-h滱dele v e invano, per spaventarli, essi agitavano il
sacco.
Se dalle finestre o dai ballatoi si sporgeva una testa curiosa, lo
則andrle questo dieu-clochard, ammiccando con aria volpina, urlava
come per scherzo: 俏yx cu handln, nyx cu 螮chrn?(4) Dal primo
piano gli fa segno la signora Hlochov ha ammonticchiato per lui
nella stretta cucina la roba smessa del marito: scarpe scalcagnate,
panciotti consunti, cilindri ammaccati che arricciano il pelo. Lo
則andrleacquista tutto, ma stiracchia disperatamente sul prezzo,
bisogna chiedergli il triplo, per poi calare man mano. Se gli si
offrono scarpe, vuole vestiario, se abiti, vorrebbe scarpe. E bench
in ugual modo bramoso di abiti e scarpe, afferma che quella merce non
lo interessa e che la prende soltanto per 南on aver fatto le scale
invano Raggiunto l'accordo, domanda: 俏ient'altro, signora?La signora
Hlochovestrae da una cassapanca un'intera flottiglia di bianchi
colletti duri, e guanti e bombette ed un parapioggia. Lo 則andrle
acquista tutto, non c'bazzecola che egli rifiuti: rasoi, pettini,
lampade, forbicine dalle punte spezzate, speroni, blonde, albi, toppe
sprovviste di chiavi, ciocche recise da capigliature prodigiosamente
cresciute per merito della lozione di Anna Csillag. Soltanto una cosa
non gli va a sangue: i cappellini di donna.
La signora Hlochovne tira fuori uno antiquato, lucente di
naftalina, da un grand'armadione: lo 則andrlesobbalza, stringe le
palpebre, come se avesse adocchiato un 匍滻ik un demone, esclama
con sdegno: 俏on sono una modista, signora mia!Ma poi sul
cappellino scorge una nera piuma di struzzo: 俟 quella piuma la
prendo, ma il cappello se lo putenereIl tiremmolla continua per
ore. pivolte l'omicciolo sparuto si getta il sacco in spalla,
spalanca la porta e finge di andarsene, ma poco dopo allunga la
testa, come un burattino, dalla tenda che copre la porta, dicendo
亭acciamo un ducato e ottanta, signora, Dio lo sa, pidi tanto non
posso...(5).
Tutto ciche gli 則andrlatacompravano nei loro pellegrinaggi per
i cortili praghesi finiva, assieme alla merce rubata, nella congerie
di bagattelle e rottami al 咨andlmarke nelle viuzze del Quinto
Quartiere. Negli antri profondi dei fondachi e in gerle e su
bancarelle per strada si affastellavano mortai acciaccati, grattuge
scontorte, mazze, martelli, scalpelli, strumenti scassati,
irriconoscibili pezzi di macchine, trappole. Fangosi ferri di cavallo
spaiati, ramaiuoli e padelle e catene da fuoco, fucili privi del
calcio, verduchi, spadini con impugnature di madreperla, orologi
senza quadrante, 俟chwarzwaldsenza soneria, manichi di coltello
senza codolo, forchette senza rebbi, durlindane senza elsa, colini
sfondati, schioppi senza grilletto, bilance senza aghi (6) E inoltre
un 勃udlmudldi libri vecchi (7), in cui rovistare con gioia,
scarpe-barcacce, urnette di pipe, ombrelli, abiti incincignati, che
puzzavano di sudore.
cos nelle strade del ghetto, con minuzie da cleptomania e con
sbrendoli racimolati per tutta Praga, si innalzava una sorta di
Merzbau, una babelica darsena di rifiuti. Come se vi si fossero dati
convegno tutti i cocci e i detriti, le scorie, i fracassati strumenti
della creazione. Se nella 恃ackomoradi Rodolfo II primeggiava
l'argento, nei rigiri del Quinto Quartiere era il ferro arrugginito a
predominare. A tutti gli ammassamenti praghesi di oggetti, siano
preziositda parata o vili reliquie del quotidiano diluvio, sembra
presiedere l'apotropaica potenza, l'antimalia dei metalli.
Vecchie fotografie ci conservano l'immagine delle buie botteghe dei
rigattieri del ghetto, stipate di merce sino al soffitto. La merce
trabocca dalle grandi porte di legno spalancate, accatastandosi su
trespoli e sul suolo. Omini in bombetta, con brache cadenti da clown,
i rigattieri si fanno fotografare, solenni come 勃int羃 georgiani,
sotto l'insegna del proprio negozio, dinanzi a orologi, gabbiette per
uccellini, mestole, lumi a petrolio. Meyrink ricorda nel Golem i
dozzinali arnesi ammucchiati in una di queste botteghe: 勁a tromba di
latta storta senza le chiavi, il quadro ingiallito dipinto su carta,
coi soldati cosstranamente aggruppati. Poi una ghirlanda di
arrugginiti speroni appesi a una cinghia di cuoio ammuffita ed altro
ciarpame mezzo marcito. E sul davanti per terra, fittamente pigiate
l'una sull'altra, cosche nessuno puvarcare la soglia della
bottega, una serie di piastre rotonde di ferro per fornelli Al Quinto Quartiere le cose mozze e sciancate si rimettevano in
piedi. I quadranti ritrovavano le perdute lancette, i fucili il
grilletto, le lame il manico. E qualsiasi 厚i褾unt滎(8), qualsiasi
quisquilia diventava una meraviglia da fiera. La domenica in specie
questo microcosmo della compravendita formicolava di folla. Venditori
e clienti mercanteggiavano con urli e spergiuri e stiracchiamenti e
dissensi, menando le mani come sonatori di pifferi. Vi si animava un
teatrino, un battibuglio di figurette che avrebbe potuto ispirare un
Bruegel boemo (9)

NOTE:
(1) Dal tedesco 則andeln commerciare.
(2) Cfr' Karel H歍ek, 褾eno starPraze cit', pp' 265-66.
(3) 侶ualcosa da commerciare? (4) 恃achrn corruzione del tedesco 哀chachern trafficare al
minuto (come facevano appunto i mercanti girovaghi ebraici) In ceco,
con valore dispregiativo, 恃achrovati (5) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', I, pp' 202-9.
(6) Cfr' ibid', IV, pp' 123-24.
(7) 勃udlmudl c籯ulo di polverosi volumi. Cfr' Otakar
褾orch-Marien, Sladko je 鋱t cit', p' 107.
(8) Corruzione del tedesco 雨estandteil(pezzo, parte, elemento)
(9) Cfr' Zikmund Winter, 鍒st kulturnhistorick in Praesk
ghetto cit', p' 61.

56
La notte convenivano al ghetto i pifieri beoni e sbordellatori di
Praga. 侮ous allez voir: - dice Isaac Laquedem ad Apollinaire - pour
la nuit, chaque maison s'est transform嶪 en lupanar(1) Le
straduzze del Quinto Quartiere erano fertili di taverne e postriboli
e di ogni sorta di panie. Taverne affumicate, puzzanti di muffa e
decrepitezza, con gli avventori assiepati in un piccolo spazio sotto
una lampada a olio che gettava un giallastro barlume sui loro
corpacci gonfi (2) Bordelli che, per decreto del 1862, inalberavano
dinanzi alla porta, su una lunga asta di ferro, una lanterna con luce
rossa (3), - rossa come le luci degli 則onky-tonkse dei 哀aloon
nel quartiere di Storyville a New Orleans, agli inizi del jazz (4)
Chi fosse andato, ombra ambigua, per i meandri del ghetto la notte,
nella torbida fiamma dei rari lampioni a gas, avrebbe incontrato
nugoli di uccellatrici: 剌lundry 剌uchtle 剎ludi螶y(5) che, con
movimenti della bocca sguaiatamente truccata, gesti di mani, girate
d'occhi ed alzando la gonna, per mostrare le calze 哇eisiggr
adescavano i passanti (6) In certe strade quasi ogni casa era
albergo di prostituzione (7), dalle cui porte e finestre ammiccavano
vecchie ruffiane, baldracche in disarmo dalle poppacce grinze
pendenti ormai sino ai cubiti. 隹 chaque porte se tenait, debout ou
assise, t皻e couverte d'un ch滎e, une matrone marmonnant l'appel
l'amour nocturne(8)
Le calze verde-lucherino, le bieche lanterne, ampolle di rosso
liquido medicinale, nella notte viziosa del ghetto. In molti bordelli
sonavano arpiste cieche. V'erano anche lussuosi 哀aloni(come il
Sal霵 Aaron descritto da Paul Leppin), con pianoforte e con stanze
intonacate di lucidi specchi, dove sfatte e opulente puttane, degne
dei quadri di Pascin, le 勉epti螶y le 匍onache come sono chiamate
in alcune canzoni praghesi (9), trascinavano pigre lo strascico stile
Secese su spessi tappeti. I provinciali capitati nel Quinto Quartiere
in cerca di svaghi rischiavano di risvegliarsi amputati del
portafoglio e senza orologio nanelli (10) Nelle taverne nebbiose e
nei luoghi di malaffare venivano spesso delinquenti e guidoni e
professori dell'arte di Michelasso a nascondersi e gendarmi dal
cappello di cacciatore con piume di gallo a scovarli (11)
Ma curioso che sino all'ultimo, accanto alle case del
traviamento, sopravvivessero nel Quinto Quartiere le case di austeri
ebrei ortodossi, che santificavano al vecchio modo le feste. Accadeva
perciche al fragore delle Tanztavernen, all'urlo dei beoni per
strada, al suono delle arpe, alle squacquerate di risa delle bagasce
si mescolasse il monotono salmodiare delle preghiere del sabato, che
usciva dalle sinagoghe (12)
Sullo scorcio dell'Ottocento personaggi bislacchi accrebbero
l'ambiguit l'ibridezza, la stramberia di Josefov. Nelle sue viuzze,
attorniati da una frotta di strepitanti ragazzi, passeggiavano il
minuscolo, ben vestito e ben raso, signor Wehle, detto 俐ehle mit dem
Parapl(Wehle col parapioggia), perchsempre munito di un
ombrello e di un parasole, uno aperto sul capo e l'altro chiuso sotto
l'ascella, secondo il tempo, e il malinconico Chaim Paff, detto 促aff
mit der ledernen Flinte(Paff dal fucile di cuoio), che fuggiva
sbraitando dalla paura, se a bruciapelo qualcuno lo assaliva col
verso "piff paff(13)
Servette infelici in amore, dame fruscianti di seta, persone
smaniose di antivedere la sorte accorrevano da ogni parte di Praga,
per consultare le chiromanti e le streghe, numerose nel Quinto
Quartiere. Abitavano, quelle indovine, in smattonati bugigattoli, cui
si accedeva passando per un ghirigoro di ballatoi, corridoi ed altre
stanze, ingombre di abitatori che scrutavano gli intrusi con sguardi
guerci e avidi. Nei bugigattoli, angusti come tagliuole, le
chiromanti maneggiavano mazzi di carte rigonfie, gessetti, bottiglie
di limacciosi liquidi, libri di geomanzia. Accanto a parecchie di
quelle megere ronfava un nero gattaccio infernale dalla testa di
allocco (14)

NOTE:
(1) Guillaume Apollinaire, Le Passant de Prague, in 飀vres
completes cit', pp' 111-12.
(2) Cfr' Jan Neruda, Obr漘ky policejn(1868), II.
(3) Cfr' Karel H歍ek, 褾eno starPraze cit', pp' 262-63.
(4) Cfr' Barry Ulanov, Storia del jazz in America, Torino 1965, pp'
36-37.
(5) Zoccole, troie, fiammelle vaganti. La parola 剎ludi螶a(fuoco
fatuo) piaceva a Kafka: 青ome devono essere poveri, abbandonati e
intirizziti coloro che pretendono di scaldarsi alla fiamma di questi
miasmi, di questi gas di palude(Gustav Janouch, Colloqui con Kafka
cit', p' 90)
(6) Cfr' Paul Leppin, Das Gespenst der Judenstadt, in Deutscher
Dichter aus Prag, a cura di Oskar Wiener, Wien-Leipzig 1919, pp'
197-98.
(7) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', IV, pp' 131-32.
(8) Guillaume Apollinaire, Le Passant de Prague, in 飀vres
completes cit', pp' 111-12.
(9) Cfr' Pisnlidu praesk逸o, a cura di V歊lav Pletka e Vladimir
Karbusick Praha 1966, p' 93.
(10) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', IV, p' 137.
(11) Cfr' ibid', p' 135.
(12) Cfr' ibid', p' 133.
(13) Cfr' Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten cit', pp' 115-16.
(14) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', IV, pp' 129-31.

57
Il lezzo, l'umidit la sporcizia nauseante, la decrepitudine delle
casupole sovraffollate, causa di contagi e di alta mortalit la
carenza di servizi igienici e di acqua potabile, l'angustia delle
straduzze malconce e senz'aria e senza un filo di sole, la miseria e
la prostituzione e la malavita che vi si annidavano: tutto ci
indusse gli amministratori di Praga a distruggere il ghetto (1) In
seguito all'冠sana螽z毾on(legge sul risanamento) dell'11 febbraio
1893, la Cittebraica, ad eccezione di alcune sinagoghe e del
municipio e del camposanto, fu interamente rasa al suolo e cassata.
Sparirono le storte catapecchie, e le balere, i bordelli, le
mescite, i saloni, le bettole: 俠ojz斁ek 俠uskovic 侯ener滎 俠a
vecchia signora(俟tarpan儢), 俠a stella diana(非enice, 俠e
tre carpe(俊wi kapwi, 俗 Li螶欞, 隹lla bestia astuta(俗
chytr逸o zvirete: rovinnella polvere la Babilonia, in cui si
infognava la melma di ciurmadori, lenoni e relitti (2) Anche se
erano valide le ragioni del diroccamento, si demoltuttavia con
soverchia implacabilite leggerezza un complesso cospittoresco. Se
non sapessimo che in questa impresa di smantellamento ebbe gran parte
la speculazione edilizia, potremmo quasi supporre che il desiderio di
cancellare l'umiliazione del ghetto aumentasse la furia sterminatrice
dei demolitori. Le viuzze si trasformarono in larghi boulevards di
tipo parigino, alle infami spelonche si vennero sostituendo lussuosi
palazzi di stile Secese, che appagavano l'ansia di fasto della grossa
borghesia (3)
Del resto la legge sul risanamento non si riferiva soltanto al
quartiere ebraico. Molte zone di Praga, che non rispondevano alle
esigenze igieniche di una cittmoderna, come ad esempio Na
Franti螶u, crollarono sotto il piccone. La spietata devastazione
suscitlo sdegno di molti uomini di cultura. Per iniziativa di Vil鄉
Mr褾骿, l'autore del romanzo Santa Lucia (1893), alcuni scrittori
promulgarono, il 5 aprile 1896, il manifesto 恃esk鄉u lidu(Al
popolo ceco) in difesa delle antichitminacciate.
Lo stesso Mr褾骿 pubblicnel 1897 l'opuscolo Bestia Triumphans,
ardente panfletto contro coloro che in nome di un ipotetico
risanamento sconciavano il sembiante di Praga, sventrando e
agguagliando al suolo prestigiose e bizzarre fabbriche, per
surrogarle con squallide 俐ohnmaschinenInsipienza,
mentecattaggine, antitesi dell'umanismo, la Bestia Triumphans, figura
ricavata da Aurora di Nietzsche, accieca e abbrutisce i suoi
accoliti, spingendoli a deturpare con atti vandalici la citt
vitavina. 促olitica del belletto, circo di maschere farisaiche cos
Mr褾骿 definisce l'irresponsabile azione del 剃onsiglio municipale
asservito alla Bestia Triumphans (4)
Nella devastazione della vecchia Praga, di questo 厚aradiso del
cuore Mr褾骿, proveniente dall'ancora intatta provincia morava,
intravede una conseguenza del decadimento della cultura nazionale
che, per smania di modernismo, rinnega le tradizioni, il folclore, le
patriarcali costumanze (5) Altri scrittori riprendono il tema di
Mr褾骿. Per Jir滱ek anche il taglio dello 哀plendido ramo di un
secolare castagno in via Letensk熐, l'abbattimento di un platano, la
lottizzazione di un vetusto giardino testimoniano della feroce
invadenza della Bestia Triumphans (6) E Vrchiick nella lirica
StarPraha (Vecchia Praga), cantando 勁a cittguastata dall'epoca
nuova si rammarica dello sparire dei 哉ecchi cantucci dei 哉ecchi
templi delle 哀trette viuzze tortuose del 剋hetto mistico dei
哉ecchi lungofiumi(7)
pivolte i poeti espressero malinconia di quel mondo perduto. Paul
Leppin, nel racconto Das Gespenst der Judenstadt, narra della bella e
malata prostituta Johanna, che scappa una notte dall'ospedale, per
tornare nel 哀alonein cui lavorava, ma non trova pil'edificio,
che il risanamento ha spianato (8) E Vrchiick piangendo la
scomparsa del ghetto, esalta le affumicate e crollanti sinagoghe
superstiti: 青ome vedove siete, voi grigie sinagoghe,@ la veste a
brandelli e sulla testa cenere,@ ma quando la notte col nero t滎ess
scende in terra,@ vedo le vostre finestre brillare di fiamma e di
porpora@(9)
Sebbene lo zelo del risanamento abbia dissolto questo palcoscenico
di sortilegi, tuttavia il tanfo e la malsania e il mistero del Quinto
Quartiere sono ancora presenti nell'aere grasso di Praga. 非entro di
noi - disse Kafka a Janoubl - vivono ancora gli angoli bui, i
passaggi misteriosi, le finestre cieche, i sudici cortili, le bettole
rumorose e le locande chiuse. Oggi passeggiamo per le ampie vie della
cittricostruita, ma i nostri passi e gli sguardi sono incerti.
Dentro tremiamo ancora come nelle vecchie strade della miseria. Il
nostro cuore non sa ancora nulla del risanamento effettuato. Il
vecchio malsano quartiere ebraico dentro di noi pireale della
nuova cittigienica intorno a noi. Svegli, camminiamo in un sogno:
fantasmi noi stessi di tempi passati(10)
A volte, in certe ore magiche, il sentore del ghetto diroccato
sembra diffondersi in ogni cantuccio di Praga, come l'afrore della
birra, come la muffa del fiume. GiNezval notche di tanto in
tanto, 哀pecie nei giorni in cui i cieli si aggrondano per la
tempesta ma la tempesta non viene l'incantesimo della Cittebraica
si espande a tutti i quartieri, 剃ome un'ala troppo a lungo tesa al
volo in uno dei vecchi musei(11) Lo stesso Nezval rammemora una
passeggiata notturna con Jindwibl Honzl nello stralunato distretto
dell'antico Josefov che, ormai con vedute a suo dire dechirichiane,
gli fornisce la chiave per una diversa concezione emotiva di Praga
(12) Il fitto assieparsi di febbrili stamberghe si dunque mutato
nella nostalgica rarefazione di un circondario da Pittura Metafisica.

NOTE:
(1) Cfr' Hana Volavkov ZmizelPraha cit', pp' 66-79.
(2) Cfr' Karel L' Kukla, E'blu螄 (Obr漘ek eivota v no螽kr螸, in
Ze v蟌bl koutPrahy, Praha 1894, p' 165.
(3) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', p' 274.
(4) Vil鄉 Mr褾骿, Bestia Triumphans, Praha 1897, p' 12.
(5) Ibid', p' 14.
(6) MiloJir滱ek, O kr滻nPraze, in Dojmy a potulky (1901-908),
ora in Dojmy a potulky a jinprice cit', p' 45.
(7) Jaroslav Vrchiick StarPraha, nel ciclo Praeskobr漘ky
della raccolta Mvlast cit'
(8) Paul Leppin, Das Gespenst der Judenstadt, in Deutsche Dichter
aus Prag cit', pp' 197-202.
(9) Jaroslav Vrchiick Starsynagogy, nel ciclo Novhebrejsk
melodie della raccolta Z漥ady, 1907.
(10) Gustav Janouch, Colloqui con Kafka cit', p' 34.
(11) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 324.
(12) Id', Wet瞛 褾瘰tcit', p' 118.

58
Che cos'un Golem? Un uomo artificiale, d'argilla. Come
l'attendente 襒ejk, il servo Golem un personaggio-chiave di Praga
magica. Il vocabolo ebraico 剋olem(in jiddisbl 剋鎩lem, che si
incontra nel Salmo 139, indica un rudimento, un germoglio, un
embrione o piuttosto, come Ceronetti traduce, un 剋rumo informe
Non ti era il mio corpo nascosto@ nel chiuso dove mi hai fatto@ gi
nella terra dove mi hai tessuto@ un grumo informe i tuoi occhi mi
videro@ (15-16) (1). L'accenno alla terra invoglia a supporre che gi
nella Bibbia 剋olemdesigni un ammasso di creta (2)
Il concetto di 剋olemimplica dunque qualcosa di incompiuto, di
ruvido, di embrionale. Nel Talmud una donna che non abbia ancora
concepito, una brocca che abbia bisogno di levigatura si addimandano
剋olem(3) Dal significato di 勇mperfettoe di 剋rossolano
breve il passo a quello di omaccio balordo e goffissimo.
La creazione del Golem, questo spasso rabbinico, ricalca il mito di
Adamo, l'unico uomo che non uscda ventre materno, ma fu impastato
con la polvere dallo stesso Elohim (Genesi 2, 7) (4) Si potrebbe
dire che l'antico protoplasto fosse anche lui una massa informe di
terra (terra vergine), un golem, finchJahve Elohim non soffinelle
sue narici, facendone un paradisiaco hortolano. E viceversa che il
Golem sia un adamo rimasto incompiuta parvenza d'argilla, senza uno
spirito vitale. La sua afasia dimostra che sprovvisto dell'anima,
anche se alcuni mistici affermano che, sebbene privo della Nescham
(la Luce di Dio), avrebbe invece la Ruabl e la Nefesbl o almeno, come
le bestie, quest'ultima, l'anima vegetativa (5)
Le numerose varianti della Golemlegende presentano tutte il muto
fantoccio di mota come un servitore torvo e tardissimo, come un
plumbeo zanni. Ha statura ben confacevole a un gigante, atti da
babbuino, due froge che paiono due chiaviche, una bocca grande quanto
un palmento. Nella tavolozza sgargiante delle varianti tre motivi
ricorrono con piinsistenza: la condizione servile (Knechtmotiv), la
collera che esplode in rivolta, il ritorno alla terra, materia
costitutiva.
Come si fabbrica un Golem? Bisogna anzitutto purificarsi. La pi
antica ricetta contenuta nel commento del fantasioso Eleasar di
Worms (1176-1238) allo Sefer Jezira, il Libro della Creazione, un
testo che occorre conoscere bene, prima di accingersi all'opera (6)
Impastare un pupazzo con terra vergine, e poi girargli intorno pi
volte, recitando, in molteplici permutazioni, le lettere del
tetragramma. Girare quattrocentosessantadue volte, propone una delle
varianti (7) Poi, per metterlo in moto, gli si incide il vocabolo
Emet (Verit sulla fronte oppure gli si introduce in bocca lo schem
(schem hameforasch), il foglietto col nome impronunziabile di Dio.
Poichi segni alfabetici hanno avuto una parte essenziale, assieme
ai numeri e alle sefirot, nella creazione dell'universo, anche il
modellamento dell'uomo fittizio, imitazione della fattura divina, si
vale del contributo possente della parola. E' la virtmagica
dell'alfabeto, e in specie del tetragramma, a infondere istinti e
impulsi di locomozione nella misera argilla.
Come si distrugge un Golem? Girare in senso contrario, recitando
per maleficio l'alfabeto all'inversa, ma fare attenzione al numero
degli avvolgimenti, alle combinazioni delle lettere, alla maniera di
incedere. Perchnon si finisca come quegli scolari di un mistico
che, girando all'indietro con andatura sbagliata e mormorando le
lettere in un ordine falso, sprofondarono sino all'ombelico nel fango
e sarebbero morti, se il rabbi non fosse intervenuto a correggerli
(8) Ma vi sono mezzi pisemplici per fiaccare e dissolvere un
Golem, che sia divenuto, Dio ce ne scampi, arrogante.
Gli si toglie di bocca lo schem oppure, se ha sulla fronte il
vocabolo Emet, si cancella la prima lettera, in modo che resti
soltanto Met (ossia: morte), e il fantoccio si affloscia e ritorna
ammasso di molle belletta. Ma anche qui si faccia attenzione, perch
non accada come al rabbino polacco Elijahu di Che瘱, detto Bal-Schem,
illustre gaon e taumaturgo del XVI secolo, il quale persuase con
un'astuzia il fantoccio a chinarsi, per abradergli dalla fronte la
prima lettera di Emet, ma la madornale congerie d'argilla gli croll
addosso, schiacciandolo (9)

NOTE:
(1) I Salmi, a cura di Guido Ceronetti, Torino 1967, pp' 266-67.
(2) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage und ihre Verwertung in der
deutschen Literatur, Breslau 1934, pp' 1-2.
(3) Cfr' ibid', p' 2.
(4) Cfr' ibid', pp' 3-4.
(5) Cfr' Chajim Bloch, Der Prager Golem (von seiner 亮eburtbis zu
seinem 俊od, mit einem Geleitwort von Hans Ludwig Held, Berlin
1920, p' 177: trad' franc' Le Golem (legendes du Ghetto de Prague), a
cura di Fran蔞is Ritter, Strasbourg 1928, p' 167. Cfr' anche Henri
S鈔ouya, La Kabbale cit', pp' 355-60.
(6) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', p' 10.
(7) Cfr' ibid', p' 11.
(8) Cfr' ibid'
(9) Cfr' Chajim Bloch, Der Prager Golem cit', p' 196, e Le Golem
cit', pp' 8-9; Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', pp' 20-21.

59
Non c'era un tempo cittaduzza della Slavia centro-orientale che non
avesse una sua Golemlegende. Non c'era rabbino che non vagheggiasse
di foggiare androidi e automi con l'aiuto dello Sefer Jezira. Fra
tutti i nomi di manipolatori di argilla emergono quelli del gi
ricordato Rabbi Elijahu di Che瘱 e di Rabbi Jehuda L饖 ben Becalel,
che fabbricil suo Golem nel ghetto di Praga.
L饖 (o L饖e o Liwa) nacque a Worms o a Poznatra il 1512 e il
1520, fu rabbino a Mikulov in Moravia, poi a Poznae infine, dal
1573, a Praga, dove si spense nel 1609 (1) Intendentissimo di
matematica e fisica e astronomia, molto internato nell'intelligenza
della Agadah e capitale nemico degli arzigogoli della talmudiana
casistica, il Maharal (2) era in concetto di uno dei piprofondi
pozzi di erudizione dell'epoca (3) 俠a sua fama - si legge nel
racconto Der Golem (1904) di Rudolf Lothar - dilaga per tutta la
terra. Di lui parlano imperatori e sovrani, e tutti i luminari sono
suoi amici. Ciche scrive prezioso come oro e gioielli, e ciche
dice gli posto in bocca da Dio(4)
Ma come si spiega che la leggenda golemica si sia cossaldamente
appiccata a un sapiente estraneo alla cabala, la cui biografia non
fornisce appigli al mito della creazione del pestifero mostro? (5)
Si spiega forse con l'atmosfera demoniaca di Praga, seminario di
androidi e patrocinio di larve, - Praga dell'etdi Rodolfo II, della
quale egli fu un personaggio cospicuo. La leggenda trasforma Rabbi
L饖 in un cabalista e in un mago addottorato nelle scienze del
diavolo: cionel tipico campione di un'epoca in cui torme di
cerretani da fiera e di mangiaguadagni degni di sprofondare negli
ultimi tufi dell'inferno tenevano il campo accanto ai cattedranti e
alle arche di sapienza, ed era grande la fede nelle potenze
soprannaturali.
Dotato di straordinarie virttaumaturgiche, nella leggenda Rabbi
L饖 si fa illusionista ed ombromane, Totenbeschw顤er, maestro di
goezia e distillatore. Non a caso nella commedia Rabinskmoudrost'
(La saggezza rabbinica, 1886) di Jaroslav Vrchiicke nel racconto
Der Golem di Rudolf Lothar e nel film Der Golem (1920) di Wegener il
suo gabinetto una vera fucina alchimistica, con athenor, segni
astrali, libri occulti, lambicchi ed altri strumenti per sublimare.

NOTE:
(1) Cfr' Chajim Bloch, Le Golem cit', pp' 213-14; Beate Rosenfeld,
Die Golemsage cit', p' 26.
(2) Maharal (Mhrl): abbreviazione di 匍orenu harab Rabbi L饖Cfr'
Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', p' 22.
(3) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', p' 26.
(4) Rudolf Lothar, Der Golem (Phantasien und Historien),
Mchen-Leipzig 1904, pp' 4-5.
(5) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', p' 25.

60
L'avvenimento principale della vita di L饖 l'udienza che il 16
febbraio 1592 gli accordRodolfo II (1) Qualche storico afferma che
essi parlarono dei problemi della comunitebraica. Ma la leggenda
vuole che Rodolfo II, bramoso di penetrare i segreti dell'universo,
interrogasse il mago sulla cabala e su cose mistiche e arcane. Questo
colloquio colple fantasie, perchrimase avviluppato nel mistero e
perchun ebreo (di alta condizione, ma pur sempre ebreo) era stato
ammesso a discorrere con l'imperatore.
Le leggende e la letteratura hanno aggrandito il legame di Rabbi
L饖 con la corte e coi dotti e con gli astronomi di corte e
specialmente con Rodolfo II, - legame che avrebbe assicurato la
protezione imperiale agli ebrei praghesi. Nella commedia di Vrchiick
Rabinskmoudrost' il perfido ministro Lang, fogna di biasimatissime
indegnit si lamenta che, per l'appoggio di Tycho e del 剃iarlatano
Keplero, il Maharal goda il sommo favore di Rodolfo II (2) Max Brod
immagina che Tycho Brahe e il rabbino, ieratici onniscienti, si
incontrino nell'anticamera dell'imperatore: e che Tycho scorga
un'analogia con la propria vita randagia nel destino del popolo
ebraico braccato, ma abbarbicato alla fede.
Nell'avvicinarlo all'ambiente di Rodolfo II, le leggende dilatano
la stregheria del rabbino, facendone quasi una sorta di Faust giudeo.
Non si conoscevano ancora, quando L饖, per implorare la revoca del
decreto di espulsione degli israeliti da Praga, andincontro
all'imperatore sul Ponte di Pietra, tagliando la strada alla superba
carrozza tirata da quattro cavalli, che incontanente si arrestarono,
come per murmurazione di incanti. La plebe prese a scagliargli
addosso fanghiglia e sassi, ma sassi e fango si mutarono in fiori.
Cosparso di fiori, il rabbino cadde in ginocchio: Rodolfo gli
concesse la grazia per la gente del ghetto ed inoltre lo invita
corte (3)
Al Castello, in una saletta remota, dopo essersi fatto promettere
che nessuno lo avrebbe interrotto con chiacchiere e risa, L饖
acconsentad evocare alla presenza dell'imperatore e dei cortigiani
le ombre dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe e dei dodici figli
di questo. Nel buio, da un braciere di rame carboni roventi
sprizzavano lunghe matasse di fumo. Su una parete, chiamate dai
vocaboli magici del rabbino, comparvero ad una ad una dal fumo le
madornali figure della Genesi. Ma quando Neftali, uno dei dodici
figli di Giacobbe, rossiccio e lentigginoso e scrignuto, si libr
sbilicando con salti zanneschi su uno scenario di spighe e di steli
di lino, Rodolfo e con lui i cortigiani maleficiati proruppero a
ridere sgangheratamente. La visione spar e con uno schianto il
soffitto cominciad abbassarsi sui dignitari atterriti e li avrebbe
schiacciati, se L饖 non lo avesse fermato, recitando formule della
cabala (4)
Nel Balladenfilm Der Golem di Wegener invece Assuero che provoca
il riso, e il soffitto crollante vien puntellato dal fantoccio
d'argilla, dopo che l'imperatore spaurito ha promesso clemenza agli
ebrei che voleva sbandire. Meyrink asserisce che L饖 evocnella
rocca di Rodolfo II 勁e larve dei morti servendosi di una 俠anterna
magica e anche Kar滻ek, in Ganymedes, discorre dei 厚rodigi della
lanterna magicadel rabbi (5) Saremmo tentati anche noi di inserire
L饖 nel novero dei precursori del cinema, accanto al gesuita
Athanasius Kircher, che per primo descrisse (1654) la lanterna magica
(6), se non ricordassimo che giJohann Faust, in un Volksbuch del
1587, richiama dal regno delle ombre dinanzi all'imperatore Carlo V,
a Innsbruck, i gentili fantasmi di Alessandro Magno e della consorte
(7) D'altronde, fra i cabalisti, ve ne furono alcuni, e basta citare
Isaac Luria (1534-72), che con mormorio di scongiuri attiravano gli
spiriti dall'oltretomba e tenevan commercio coi patriarchi biblici
(8)
Rodolfo II decise un giorno di recarsi col seguito in casa di L饖
(9), e per l'occasione il rabbino, sulle orme di Faust, che
d'improvviso fa sorgere sopra un'altura un portentoso castello per il
conte di Anhalt, mutla sua vecchia casa in una magione sfarzosa,
tutta parata con marmi e damaschi e tappeti e pitture da trasecolare,
come il castello di Marnost, la Vanit la regina del mondo, nel
Labirinto comenico. cosuna meschina dimora incassata tra le
fatiscenti catapecchie del ghetto divenne per fatagione no palazzo de
sfuorgio, dal cui salone centrale (m漘hoz) si scorgevano infilate di
splendide stanze con specchiere e con lustri di cristallo e con
tavole sfavillanti di coppe d'oro e vasellame prezioso e geli bianchi
e canditi e chiaretti e lecconerie. Che masticatorio e che festa si
fecero. Un banchetto da disgradare quello imbandito da Faust
nell'immaginario maniero.
Alcuni glossatori dei farfalloni della leggenda opinano che L饖
avesse ottenuto la metamorfosi edilizia, proiettando nel proprio
gabinetto l'intero castello di Hrad螮ny con gli inganni ottici della
剃amera obscura(10) Questa 剃amera obscura nella commedia di
Vrchiick diventa un 剎izzarro giocattolo una cassa girevole, nel
cui intimo, diviso in quattro scomparti intercambiabili, L饖,
剌attucchiero e stregone come vien definito dal pittore
Arcimb[a]ldo, nasconde, destando la gelosia della moglie Perl, le
ragazze insidiate dal solito Philipp Lang z Langenfelsu, briccone e
vaso di ogni malizia. Quell'ordigno o baule non dunque soltanto un
recondito laboratorio per 哀tudi sulla luceo per la ricerca
dell'aurum potabile, ma anche un rifugio di perseguitati e un
attrezzo da illusionista (11) 俠a mia camera - proclama L饖 -
proprio la pancia della balena di Giona 勁dentro (il mio servo)
Jechiel ha preparato in segreto diversi balocchi, v'un leone di
ferro che cammina, e sino a poco tempo addietro v'era un fantoccio
metallico chiamato Golem che, messo in moto da un interno meccanismo,
apriva la bocca, imitando il linguaggio umano(12) Si noti: al
manichino d'argilla Vrchiicksostituisce un automa metallico.
Il Wundermann Jehuda L饖, con le sue virtcabalistiche, tenne a
lungo lontana la Morte. Una notte, durante la peste, girando per il
cimitero, si abbattin una smunta, cachettica donna velata, che
stringeva un foglietto. Le prese il foglio di mano e lo lacersenza
indugi: era la lista dei morituri, e conteneva anche il suo nome,
vergato con inchiostro rosso. Con varie astuzie riuscmolte volte a
sfuggirle. Ma un giorno, per il compleanno, la nipotina gli regal
una magnifica rosa. Affatturato, si mise a odorarla, e cadde riverso:
la Morte si era nascosta nel calice (13) La Morte in una rosa. Ahi,
la Morte in una rosa. Per Nezval, guardata attraverso il filtro delle
leggende, la parvenza di Rabbi L饖 si immedesima con la poesia:
Cercavi poesia e trovi leggenda@ servono dunque a qualcosa gli
aneddoti su Rabbi L饖@ la tua storia poesia@ la tua storia come
non riconoscerti@ mi porgi la mano da lontanissimi secoli@ sei stata
tu a venir fuori sul Ponte di Pietra@ per ottenere l'udienza
dall'imperatore@ la plebaglia ti accoglie con sassi sul tuo vestito@
cadono invece di fango fiori@ la tua casa diversa dalle altre
dimore@ sei leone ed inoltre grappolo d'uva@ ravvivi le cose
d'argilla e le cambi in creature caparbie@ metti in bocca a ciascuna
lo schem@ la sua virtdura un secolo oppure una settimana@ occorre
ogni venerdrinnovarla@ eppure poesia perchhai ucciso il Golem@
terribile abradere dalla propria fronte l'arcana scritta@ esser
portati in solaio e dissolversi in polvere@ gelosamente tu agguati la
morte e le prendi di mano le lettere@ dov'il tuo nome nell'indice
dei predestinati a morire@ quella volta le sei sfuggita ma infine
anche tu troverai poesia@ la morte nascosta in una rosa@ (14)

NOTE:
(1) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', p' 27.
(2) Jaroslav Vrchiick Rabinskmoudrost' cit', p' 18.
(3) Cfr' Alois Jir滻ek, Starpov瘰ti 蟌skcit', pp' 207-8; Adolf
Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', p' 318; Eduard Peti螶a, Golem a
jineidovskpov瘰ti a poh歍ky ze starPrahy, Praha 1968, pp'
44-45.
(4) Cfr' Alois Jir滻ek, Starpov瘰ti 蟌skcit', pp' 208-9; Adolf
Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', pp' 319-20; Beate Rosenfeld, Die
Golemsage cit', p' 28; Eduard Peti螶a, Golem cit', pp' 48-50.
(5) JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes cit', cap' XII, p' 43.
(6) Cfr' Georges Sadoul, Histoire generale du cinema, I
(L'invention du cinema), Paris 1946, pp' 99-100.
(7) Il Faust goethiano fa comparire dinanzi all'imperatore e alla
corte Paride e Elena dal fumo di un tripode (II, 1) Nella commedia
ceca per marionette Jan doktor Faust, derivata dal testo di Marlowe
che recitarono in Boemia gli Englische Kom鐰ianten, Faust chiama
dall'Erebo, per desiderio del re del Portukal (o scipersiano), il
minuscolo David e il gigantesco Golia. Cfr' Loutk漙skhry 蟌sk逸o
obrozen a cura di Jaroslav Barto Praha 1952, pp' 26-27, e Komedie
a hry 蟌sk蓫l lidov蓫l loutk漙 a cura dello stesso, Praha 1959, pp'
54-55.
(8) Cfr' Henri serouya, La Kabbale cit', pp' 416-17.
(9) Cfr' Alois Jir滻ek, Starpov瘰ti 蟌skcit', pp' 209-10;
Chajim Bloch, Le Golem cit', pp' 182-86; Adolf Wenig, Starpov瘰ti
praeskcit', p' 319; Eduard Peti螶a, Golem cit', pp' 51-53.
(10) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', pp' 28-29.
(11) Jaroslav Vrchiick Rabinskmoudrost' cit', pp' 108, 31, 102.
(12) Ibid', pp' 105 e 108-9.
(13) Cfr' Chajim Bloch, Le Golem cit', pp' 195-99; JiwKar滻ek ze
Lvovic, Ganymedes cit', cap' XII, p' 43; Beate Rosenfeld, Die
Golemsage cit', p' 29; Adolf Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', pp'
326-27; Eduard Peti螶a, Golem cit', pp' 89-91.
(14) Vit瞛slav Nezval, Rabi L饖, in Praha s prsty de褾(1936)
俠eonee 剋rappolo d'uvasono gli emblemi di Jehuda L饖.

61
State ora in orecchi, che sentirete come L饖 plasmil Golem. Nel
5340 (1580), una notte, dopo aver fatto il bagno rituale nella m骿we
e recitato il tortuoso salmo centodiciannove e letto brani del Sefer
Jezira, il rabbino (l'aria), il genero Jizchak ben Simson (il fuoco)
e il discepolo levita Jakob ben Chajim Sasson (l'acqua), avviluppati
in un bianco capperone, si recarono alla luce di torce sulla sponda
della vitava, dov'erano cave di salnitro e molto fango (1) Col fango
(la terra) modellarono il Golem. Quindi Jizchak da destra e Jakob da
sinistra compirono sette giri ciascuno intorno al fantoccio,
borbottando combinazioni di lettere (zirufim) e trasfondendo nel
corpo d'argilla, l'uno il rossore del fuoco l'altro l'umidezza
dell'acqua. Il rabbino gli pose in bocca lo schem, il foglietto di
pergamena col nome di Dio, gli ordindi levarsi sulle gambe e di
obbedire come un servo, ciecamente. All'alba i tre tornarono in
ghetto assieme a Jossile Golem e, per evitare importune domande, L饖
racconta Perl, la sua petulante consorte, di aver raccolto in
strada per compassione quel povero straniero mutolo (2)
Qual'era l'aspetto dell'androide di L饖? La leggenda lo veste da
sch滵ess. Ma difficile ormai immaginarlo diverso da come lo
raffigurWegener nel film Der Golem. Alto e gonfio, i capelli a mo
di elmo compatto, scarpe-coturni, una giubba come un ghiazzerino di
cartapecora pressata o piuttosto come una di quelle armature di
cotone imbottito, indurite da un bagno nel sale, che indossavano i
guerrieri aztechi. Nel film perla fabbricazione del manichino
avviene in laboratorio come atto di schwarze Kunst, con l'ausilio
delle congiunzioni degli astri e delle scienze chimeriche. L饖
traccia un cerchio di fiamma, evocando Astarte, dea dei Cananei, e
tra vampe e vapori di zolfo compare una bieca maschera, un Totenkopf,
come di gelatina fosforescente. L'orrido ceffo fornisce al rabbino il
vocabolo magico, che egli registra su una striscia di pergamena, per
poi celare la striscia, assieme alla stella ebraica, nel petto del
Golem (3)
Il fantoccio di creta sedeva assorto in un angolo, con lo sguardo
ebete e fisso, aspettando gli ordini del Maharal. Docile e pecorone,
eseguiva ogni suo volere. Con divertente incongruenza Meyrink
asserisce che il rabbi aveva costruito l'omuncolo, 厚erchlo
aiutasse a sonare le campane della sinagogaSecondo Vrchiick
invece l'omuncolo assisteva il rabbi nella sua 剃ucina cabalistica
(4) Poichil sabato Jossile Golem doveva astenersi da qualsiasi
lavoro, ogni venerdal tramonto del sole L饖 gli toglieva di bocca
(o dalla fronte o dal petto) lo schem, rendendolo inerte.
Ma una volta se ne dimentic Era ginella Sinagoga Vecchio-Nuova
per la consueta cerimonia serale del venerd quando il Golem d'un
tratto si mise a schiumare e a smaniare, invasato dai demoni. Dopo
aver fracassato suppellettili e arredi e squarciato stramazzi di
piume, si precipitsulla strada, strangolando galline e gatti,
spianando dattorno ogni impaccio di case. Mamma mia, quant'era
brutto. La rabbia lo aveva fatto abbottare come un rospo enorme. La
gente, scappando a fiaccacollo, strillava: 侯ossile Golem
impazzito!Spruzzando fiamme dagli occhi sanguigni e dibattendo la
testa con violentissime concussioni, l'informe corpaccio incedeva
pesante attraverso il ghetto aggrinzito dallo spavento.
Avvertirono L饖, e il rabbino interruppe subito il canto del salmo
novantadue. Se avesse tardato, l'intero universo rischiava di esser
distrutto. Se il sabato fosse iniziato, egli non avrebbe potuto
fermare l'insano fantoccio. Con faccia annuvolita andincontro al
Golem e svelto gli sottrasse di bocca il foglietto. Il servo furioso,
tutto imbrattato di sangue e di sterro e di piume, ruzzol
tramortito. In sinagoga ripresero a salmeggiare. In alcune varianti
la dimenticanza del rabbi spiegata col fatto che egli era in pena
per la figlia Esther malata (5) Nel film di Wegener il Golem,
placatosi il parossismo, esce dal ghetto su un prato inondato di
sole, nel quale giuocano bambini ignari con ghirlandette di fiori sul
capo. Spauriti, i bambini fuggono, ma poi, rincorato, uno di loro gli
salta in braccio e gli ruba per scherzo la stella. Lo spropositato
famiglio si affloscia e crolla di schianto. E' l'innocenza puerile a
salvare il genere umano dalla stizza belluina dell'orco (6)
Ma quando il fantoccio fu reso inerme, che fece il rabbi? Coi due
aiutanti, cui si era aggiunto lo sch滵ess Abraham Chajim, compsette
giri al contrario intorno all'androide, pronunziando le formule della
cabala in ordine inverso. Jossile Golem torngrumo d'argilla e fu
abbandonato nel solaio della Sinagoga Vecchio-Nuova, sotto una
ciurmaglia di logori libri e di vecchi tal逶ssim e gilguarniti di
ziziss (7) Requie, scarpe e zoccoli. Eppure quei resti terrosi
furono a lungo incentivo di orrore e feconda materia di nocumenti. Si
diceva che L饖 avesse posto il divieto di recarsi in solaio. Un
rabbino e gaon tuttavia, avvolto in un t滎iss-kotn e con le t'filin,
volle esplorarlo, ma subito ne ridiscese sbianchito, tremante come
una verga (8) Egon Erwin Kisch invece, salito spavaldamente in
quella soffitta, non vi rinvenne nient'altro che cassapanche tarlate,
candelieri incrostati di sego e un bric-brac ammuffito sotto strati
di sudiciume e tele di ragno (9)
Un'altra leggenda racconta che lo sch滵ess Abraham Chajim, il quale
aveva aiutato il Maharal a distruggere il Golem, deliber
trasgredendo i precetti del rabbi, di rianimarlo. E una notte,
assieme al cognato Abraham Sacharjach, sch滵ess anche lui, si intruse
a foggia di ladroncello nel solaio della sinagoga e trasferil
mucchio di creta a via Cik滱sk nella cantina del genero Ascher
Balbierer, che era intendente di cabala. Mentre essi armeggiavano per
ridar vita al fantoccio, scoppila peste, e il castigo divino con
calamitosa sventura colpnei suoi affetti il ricettatore della
dannatissima argilla: due dei cinque bambini di Balbierer morirono.
Per cui con scompigliata fretta gli scham鈕sim misero dentro una bara
il tetro aborto di terra e corsero a seppellirlo fuori le mura su una
collina detta Calvario, vicino alla porta della CittVecchia (10)

NOTE:
(1) Cfr' Chajim Bloch, Der Prager Golem cit', pp' 47-52; Eduard
Peti螶a, Golem cit', pp' 61-64; Pavel Grym, Tnoci povstal Golem,
Praha 1971, pp' 11-63.
(2) Cfr' Chajim Bloch, Le Golem cit', pp' 40-42; JiwKar滻ek ze
Lvovic, Ganymedes cit', cap' XVI, pp' 57-58.
(3) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', p' 148; Lotte H'
Eisner, L'嶰ran demoniaque cit', pp' 47-48.
(4) Jaroslav Vrchiick Rabinskmoudrost' cit', p' 32.
(5) Cfr' Alois Jir滻ek, Starpov瘰ti 蟌skcit', pp' 210-11; Jiw
Kar滻ek ze Lvovic, Ganymedes cit', cap' XVI, p' 60; Beate Rosenfeld,
Die Golemsage cit', pp' 31-32; Adolf Wenig, Starpov瘰ti praesk
cit', pp' 320-23; Karel H歍ek, 褾eno starPraze cit', pp' 30-31;
Eduard Peti螶a, Golem cit', pp' 84-88.
(6) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', p' 146.
(7) Cfr' Chajim Bloch, Le Golem cit', pp' 160-62; JiwKar滻ek ze
Lvovic, Ganymedes cit', cap' XVI, p' 61.
(8) Cfr' Chajim Bloch, Le Golem cit', pp' 208-10; Beate Rosenfeld,
Die Golemsage cit', pp' 32-33.
(9) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 186-87.
(10) Cfr' Chajim Bloch, Le Golem cit', pp' 163-65; JiwKar滻ek ze
Lvovic, Ganymedes cit', cap' XXVIII, pp' 93-94.

62
Chi avrpazienza di leggere tutto questo volume, sicuramente una
cosa piacevolissima vi trover la parola Fine. Ma quali caratteri
contraddistinguono il Golem praghese? Le leggende legittimano la sua
creazione con la necessitdi difendere i contumacissimi ebrei dai
pogrom che i cristiani scatenavano contro di loro, accusandoli di
omicidio rituale. Il piaccanito nemico della gente del ghetto di
Praga in quelle leggende un certo Taddeo, un fanatico frate,
architetto di calunnie e macchinazioni, un furfante che sarebbe stato
danno alle forche l'impiccarlo.
Il Golem del Maharal si rivela un soccorritore del tante volte
malmenato rione ebraico, alle corte un paladino d'argilla.
Soprattutto nel periodo tra il Porim e il P逶ssabl va in giro di
notte per le sue viuzze sghimbesce, fugando ogni ombra sospetta,
vigilando che qualche paltoniere non occulti nelle case ebraiche
cadaveri di bambini cristiani. Una notte ha sorpreso il fatticcio
beccaio cattolico Havl斁ek, mentre introduceva nella dimora del ricco
Mordechaj Maisl, suo creditore, la salma dissepolta di un bimbo,
nascosta nell'epa di un porco sgozzato (1)
Ecco perchJossile Golem dotato di forza superumana.
Invulnerabile, sventa tutte le trappole, assaggia le costole dei
farabutti con le sue manacce, sbaraglia la plebe malevola. Per di pi
egli reso invisibile da un amuleto di pelle di daino, cosparsa di
cabalistiche formule, - un talismano di quelli di cui discorre
Eleazar di Worms (2)
Foggiato dunque per compiti protettivi, il Golem praghese vien
manovrato dal rabbi come un cieco palladio, un ariete sterminatore. E
perci nella sua sconfinata sommissione di servo, non ha bisogno di
intelligenza: un maccherone, un allocco, uno zucconaccio da
sementa. Una sentenza attribuita a Jehuda L饖 asserisce che i
movimenti di questo Tolpatsbl o pachiderma 冠ssomigliano a quelli di
un automa obbediente all'impulso di chi lo ha costruito(3) Ma per
il fatto che esegue i comandi alla lettera, incappando spessissimo in
situazioni ridicole, il grossolano fantoccio tiene anche dei furbi
tonti che ricorrono nelle favole (4)
Inviato a comprar mele al mercato, der dumme Hans alias Golem si
tira dietro per le strade di Praga la venditrice con tutta la
bancarella e le ceste di frutta (5), come quel servo che, avendogli
detto il padrone: 促ortami un arancio schiantun albero intero di
arance e, levatoselo in collo, glielo recimmantinente. Se va a
prender acqua, Jossile allaga il cortile (6) Se Perl, cossimile
alle svampite mogli di rebbi delle novellette chassidiche, lo manda a
comprare pesci, Jossile, inviperendosi contro una carpa che lo ha
colpito con la coda sul viso, getta i pesci nel fiume e ritorna a
mani vuote (7) Del resto meglio non assegnarlo a lavori domestici:
non tagliato per fare lo sparecchiatavole, il nettacucine.
Per l'onniveggenza, i prodigi, la strategia con cui muove il suo
servo, il suo paladino, L饖 si tramuta in una sorta di z歍ik e
Wunderrabbi, della stirpe dei bislacchi santoni che affollano i
racconti chassidici. Non a caso quel fiele del frate
Taddeo-sanguisuga, il quale non cessa un istante di macchinare
tranelli contro gli ebrei, inebetito per le gesta del Golem, che
mandano in fumo tutti i suoi intrighi, va affermando che L饖 un
negromante. Grazie a Jossile, il rabbi sfugge anche al veleno che il
maledetto Taddeo, pifastidioso di una zecca cavallina, ha fatto
impastare nel pane azzimo (8)
Mentre la Golemsage polacca, imperniata su rabbi Elijahu di Che瘱,
gisi incontra nel XVII e XVIII secolo, quella praghese risale
soltanto alla stagione romantica. Essa narrata per la prima volta
nello zibaldone di miti, curiosit aneddoti di vita giudaica, che
l'editore ebreo boemo Wolf Pascheles pubblicin tedesco col titolo
Sippurim tra il 1847 e il 1864. Prima di quelle date nessun documento
(nla cronaca di David Gans del 1592 nla biografia di Rabbi L饖
del 1718) accenna ad un Golem plasmato dal Maharal. Prima di quelle
date ogni discorso sui g鐱lemess si riferisce di solito ai pupazzi
d'argilla dei rabbini galiziani. Alla miscellanea Sippurim,
articolata in cinque volumi, attinsero tutti i successivi
raccontatori della leggenda, da Vrchiicka Kar滻ek, da Jir滻ek a
Meyrink. Sono da considerarsi mistificazioni la lettera di Rabbi L饖
sulla fattura del Golem, datata 1583 ma non anteriore al 1888, e il
Volksbuch del 1909 Wunder des Rabbi L饖 (Niflaoth Mhrl), falsamente
attribuito a un contemporaneo del grande gaon. Compendio e
manipolazione di queste fonti il libro di Chajim Bloch Der Prager
Golem (1920) (9)
cosla saga di Rabbi L饖 si ingigantita sino a mettere in ombra
e a scalzare quella di Che瘱, e Praga diventata il precipuo
Schauplatz delle leggende golemiche. Queste leggende innestano nella
biografia del Maharal reminiscenze delle imprese di Faust, del Faust
dei Volksbher e delle commedie ceche per marionette, - ma
soprattutto avvicinano la sua figura all'area del chassidismo. La
magia elementare che le pervade, la presenza di macchiette da
aneddoto, una certa mattezza da m'schoge del rabbi e lo stesso
interrompimento della preghiera e il ritardo della cerimonia: tutto
cirisente della tradizione e delle trovate chassidiche. E non
importa se il clima tetro di Praga e l'indole torva del pan毾 di
fango escludono quell'ambigua gaiezza che fu una costante dei
chassidim. C'pur sempre un abisso tra L饖, incarnazione della
gravitdel sapere, esperto (a giudizio della leggenda) nelle
cabalistiche scaltritezze, e Israel Bal-Schem-Tov, taumaturgo della
Podolia, rozzo esorcista e venditore di talismani e di semplici,
alieno dai cavilli anagogici e dalla talmudiana casistica.
Il ciclo praghese dilata il motivo dell'improvvisa demenza del
corpo di creta, che sull'orlo del sabato minaccia sfacelo, non solo
per la comunitdegli ebrei, ma anche per Praga e l'intero universo.
Lo schem hameforasch, fomento di animazione e suscitatore di collera
devastatrice, in questo ciclo diventa un attrezzo magico, un
attrezzo-personaggio, come l'arcolaio d'oro di una ballata di Erben,
e insieme un lasciapassare per il meraviglioso, un laccio del
diavolo, un'esca di demonia.
Ma la Golemlegende di Praga accenna diagonalmente anche il tema
della rivolta del manichino contro il proprio creatore: rivolta della
forza bruta contro l'ingegno o del servo contro il padrone. E infine,
osservando lo stretto nesso tra L饖 e il suo androide, si potrebbe
anche insinuare che il Golem sia un fosco alterego, un terribile
Doppelg鄚ger del rabbi. Con questo non voglio asserire che L饖 avesse
la faccia laida e morchiosa del Jekyll di mota, ma certo che a
tratti anche lui, al pari del suo paflagonico Knecht, sembra in
quelle leggende il messaggero di una contrada di spettri, di una
Lemuria.

NOTE:
(1) Cfr' Chajim Bloch, Le Golem cit', pp' 50-53.
(2) Cfr' Henri serouya, La Kabbale cit', pp' 176-77.
(3) Cfr' Chajim Bloch, Der Prager Golem cit', p' 177.
(4) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', p' 34.
(5) Cfr' Chajim Bloch, Le Golem cit', pp' 109-10.
(6) Cfr' ibid', pp' 43-44.
(7) Cfr' ibid', p' 108.
(8) Cfr' ibid', pp' 65-75.
(9) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', pp' 22-24; Karel
Krej鍎, Stareidovskhwbitov praeskv pov瘰ti a legend in
StaletPraha cit', III, p' 36; id', Praha legend a skute螽osti cit',
pp' 179-80.

63
Nella letteratura golemica si alternano il motivo polacco (dello
Emet) e quello praghese (dello schem) Sarebbe lungo elencare gli
scrittori cechi e tedeschi che hanno narrato in drammi e ballate le
imprese del feticcio d'argilla. Nelle loro pagine il Golem di
solito ottusa fanghiglia che odia il suo plasmatore, impasto di
belluine passioni, lacchgradasso ed agente di Barsabucco,
incendiario avido di vendetta. La ribellione del gaglioffo non di
rado coincide coi trucchi e con le mellonaggini della
Schauerromantik.
A volte il santone si fa presuntuoso e si aderge in un empio
a-tu-per-tu con Dio, vagheggiando l'ideale del Superuomo
nietzscheano, - ma il castigo divino non tarda a travolgerlo, a
infrangere il suo titanismo di princisbecco. A volte, nella schiumosa
grandigia, egli appare soltanto un Menschiein, un omiciattolo, che
non conosce i propri limiti.
Nella ballata Golem di Vrchiickla fabbricazione del mostro
d'argilla un atto d'orgoglio del rabbi, il quale, sebbene 哀emplice
gnomo(厚ouze trpasl骿, vuole agguagliarsi al Signore. Ma il
manichino si gonfia sformatamente, smania come un diavolone dagli
occhi di fuoco, flagizioso aborrisce i suoi vani esorcismi. Senza
l'aiuto di Jahve, che con un lampo converte il fantoccio in un
mucchio di polvere, il rabbino sarebbe perduto. cosDomineddio fa
provare all'arrogante bambolaio e baccelliere il tormento da lui
sofferto per la sedizione dei suoi figli demoni, scaraventati poi gi
nell'inferno (1)
Ma giLiliencron, nella ballata Der Golem (1898), aveva descritto
la danza grottesca del rabbi, per imbrigliare lo scatenato pupazzo,
che scalcia e si impenna e corseggia come un cavallo: 信opsa, hopsa,
che razza di salti!Il ridicolo Golem di Liliencron non di creta,
bens"di legno intagliato servitore instancabile, ecco i suoi
compiti: 哀pazzare, far da cucina, - cullare bambini, pulire
finestre, - lustrare stivali e cosviaE quando gli viene la
senapa al naso, non solo 哀radica alberi dalla terra, - scaglia case
nelle nuvole, - scaraventa uomini in aria ma addirittura 哀i calca
lo Hradschin in testacome una parrucca. Tuttavia piridevole del
Golem-cavallo (cavallo di legno) ci sembra il rabbino che, sebbene
versato 南ella nera, - nell'ardua cabala quanto dovrfaticare, e
che corse, che affanni, per strappargli il foglietto. E il poeta
conclude: 青iche troppo saggio troppo sciocco talvolta(2)
Dalla ballata comica di Liliencron poco spazio separa la commedia
dadaistica Golem (1931) dei clowns Voskovec e Werich. Qui un
cantambanco girovago snocciola una Pisestra螿ivo Golemovi
(Canzone tremenda sul Golem), tessuta con l'ingenuite la malizia
delle 勃ram漙skpisn篕, le canzoni da fiera. Pigliandosi spasso
della pecoraggine del padrone e del servo, il rapsodo racconta che,
incollerito contro la zia, la quale gli ha sgraffignato la
vecchio-nuova trombetta, L饖 modella un 剎oia un fantoccio, per
incuterle paura e spiarne le mosse. Il Golem persi innamora della
piacente e vogliosa zia del rabbino e, sorpresala tra le braccia di
un uffizialetto di infanteria, tr麡ida il seduttore. La furiosa
bertuccia d'argilla compie altri delitti, ma infine, assediata per
nove mesi e nove settimane da un reggimento in un vecchio mulino, si
toglie la vita, gettandosi in acqua (3) cosla saga golemica si
cambia in mattaccinata, e il mago saccente e il suo gonzo servitore
si affiliano alla consorteria dei pagliacci.
Tra i presunti pensieri di L饖 troviamo anche questo: 侵l Golem
dovette esser creato senza istinto sessuale: se lo avesse avuto,
nessuna donna sarebbe stata sicura dinanzi a lui(4) Eppure la
storia dell'androide d'argilla come poteva difettare di supplementi
erotici? In una moraleggiante e snervatella ballata del poeta
praghese Hugo Salus la figlia del rabbi, la frivola Rifke, 哀cempia
come un'oca si invaghisce del torpido 信ans di creta fabbricato
dal padre. Per cacciarle di dosso l'infatuazione, L饖 ingiunge al
fantoccio di stringerla fra le sue braccia, e quello la preme con
tanto vigore che le ossa le scricchiano, e manca poco che non resti
stritolata (5)
Ma le cose si fanno funeste, quando il Golem, l'argilla
imbecille, ad imbertonirsi. Odor di cunno risveglia anche il limo,
dentro le brache dell'orco si accende la mostruosa candela. E che
tetraggine gufesca, che sentore di apocalisse in questa libidine. Si
chiami Esther o Golde o Mirjam o Abigail, la figlia civetta del rabbi
desta le voglie del grosso mandrone di luto. E' conseguenza delle sue
brame lascive l'ansia che lo bistratta, di uscire dalla condizione di
automa, di avere un'anima umana.
Nel dramma Der Golem (1908) di Arthur Holitscher il plumbeo Golem
Amina, incapricciatosi di Abigail, si cruccia di non essere un uomo,
e la figlia del rabbi lo consola con melate parole. Ma l'assurditdi
una tale passione induce Abigail a zompare dalla finestra e il
fantoccio a strapparsi dal collo la polizza di animazione, per
ridivenire lugubre grumo (6) Ma come si arrovella l'androide, se lo
assale la gelosia. Nel film Der Golem di Wegener, geloso di Mirjam
che gli preferisce il biondo Junker Florian, damerino strigliato e
spirante languidezza vezzosa, il rozzo fantoccio dalla faccia coperta
di morviglioni brucia i tuguri del ghetto, sbalza per terra i
passanti, trascina svenuta la figlia del rabbi, getta gida un
terrazzo il carminato e lisciato zerbinotto, sua antitesi.
Rudolf Lothar, l'autore del Maskenspiel K霵ig Harlekin, nel
racconto Der Golem (1899) ha intricato ancor pila vicenda. Esther,
la figlia di L饖, respinge il brutto Elasar, che il padre le ha
scelto a marito. E allora con esorcismi il rabbi fa trasmigrare nel
Golem l'anima di Elasar dormiente. Il manichino si infiamma di amore,
ed Esther gli corrisponde. Tornando dalla cerimonia serale del
venerd L饖 rabbrividisce a vedere che il Golem stringe Esther fra
le proprie braccia. Alza un martello su Jossile. Ed ecco, fra lo
strepito di un'improvvisa burrasca, il fantoccio s'invola, come se
avesse le ali, e precipita nel cimitero ebraico, disgregandosi. Nel
ridestarsi, Elasar riprende possesso dell'anima, ed Esther si accorge
di sentire ora per lui lo stesso affetto provato per l'androide (7)
Lothar immette nella saga golemica qualcosa di insolito: la
temporanea trasmigrazione dell'anima, una sorta di gilgl provvisorio,
da un vivo immerso nel sonno ad un pupazzo d'argilla. L'operazione
ricorda le ipnosi dei fachiri e degli sciamani, il cui spirito
passeggia il cosmo, mentre essi giacciono in un letargo simile a
morte. L'anima pura del deforme Elasar acquista nuovo splendore,
racchiusa nel frale di creta. Dette per bocca del Golem, le sue
paroline soavi convincono la renitente fanciulla, la quale dimentica
per incantamento come Elasar sia schifo all'aspetto e piccolo e
storto e scrignuto, 叛uasi un nano con una testa sproporzionata, da
cui ardevano due grandi occhi neri(8) Il Golem diventa dunque
incentivo d'amore e mezzano. E non basta: come dimostra il suo
terminale decollo nella bufera, dove lo attendono 冠late legioni il
puerile androide di Lothar assunto fra le schiere angeliche.

NOTE:
(1) Jaroslav Vrchiick Jnechal sv皻 jit kolem (1901-902), Praha
1902, pp' 151-54.
(2) Detlev von Liliencron, Bunte Beute, in S鄝tliche Werke, vol' X,
Berlin-Leipzig s'd', pp' 25-27.
(3) JiwVoskovec - Jan Werich, Hry Osvobozen逸o divadla cit', II,
pp' 122-26.
(4) Cfr' Chajim Bloch, Der Prager Golem cit', p' 178.
(5) Hugo Salus, Von hohen Rabbi L饖, in Ernte, Mchen 1903, pp'
91-92.
(6) Arthur Holitscher, Der Golem (Ghettolegende in drei Aufzen),
Berlin 1908. Cfr' anche Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', pp'
138-45.
(7) Rudolf Lothar, Der Golem cit' Cfr' Beate Rosenfeld, Die
Golemsage cit', pp' 135-38.
(8) Rudolf Lothar, Der Golem cit', p' 22.

64
Non sempre dunque il Golem disavvenente. Del suo angelo-golem,
campione di giovanile leggiadria e di vigore fisico, a contrasto con
la desolante deformitdello sposo promesso, Lothar afferma che il
rabbi, nel fabbricarlo, si certo ispirato a una 剋reca statuetta
marmorea di Apollo(1) Un'antica bellezza traspare anche dal Golem
plasmato dallo scultore danese J顤n Moller nelle pagine del Ganymedes
(1925) di JiwKar滻ek (2)
Conviene indugiare un momento su questo romanzo, che trasporta la
saga golemica nell'area del decadentismo. Kar滻ek affronta il motivo
con la solennitsussiegosa di quei decadenti che amavano celebrare
la vita, come von Stuck, il quale persino durante il lavoro al
cavalletto indossava un abito di societ fiero di esser chiamato
俑aler im Gehrock(3) Lo scultore ebreo danese J顤n Moller dunque,
famoso quanto Thorwaldsen, ha abbandonato l'arte, perchessa non
riesce ad animare le statue. Egli si fitto in mente di dar vita ad
un Golem che, a differenza di quello di L饖, abbia il dono della
parola.
Trasferitosi a Praga per ritrovare la ricetta magica che permise al
rabbino di muovere il suo famiglio d'argilla, - dopo cinque anni di
assidue ricerche nel cimitero ebraico, J顤n Moller, attraverso
complessi calcoli di g'm漮rije, scopre che la formula suscitatrice
contenuta a guisa di crittogramma nell'epitaffio che il Maharal
compose per la propria lastra tombale. Una presunta sentenza di L饖
infatti asserisce che, per infondere vita in un Golem, bisogna
estrarre dalle lettere dell'alfabeto i raggi in esse nascosti: ma
questo pufarlo soltanto un sapiente, che sia anche un giusto, uno
z歍ik (4)
Moller che, per la bruttezza, non stato mai amato da alcuno, si
accinge a plasmare, non un rozzo e balordo servitore dalla
bernoccoluta facciaccia, ma un bel ragazzo che tenga delle antiche
statue, un Ganimede suo amico e signore, del quale appagare ogni
desiderio. cosanche l'appiglio dell'omosessualitviene aggiunto
alle circostanze della materia golemica. E qui sia ricordato di fuga
che in letteratura si incontrano anche g鐱lemess-donne, come il
fantoccio foggiato per Carlo V dentro una baracca di fiera da un
ebreo polacco a sembianza della zigana Isabella in un racconto di
Arnim, che infervori surrealisti, - racconto in cui, accanto a
Bella-Golem, compare anche un omino-radice, un Alraun (5)
Se gia L饖 riuscarduo placare il suo sguattero, come potr
Moller, malato di tisi e vicino a morire, ridurre alla ragione un
pupazzo del quale, anzichpadrone, vuol essere docile strumento? Ma
Moller sicuro che la reciproca passione tra l'uomo e l'androide
sarpiforte delle potenze maligne, e del resto egli esclude il
pensiero di riconvertire Ganimede in argilla, anche se quello dar
nelle furie.
Moller modella il suo Golem, specchiandosi sull'effigie di Radovan,
un molle e languido diciottenne dal corpo di adolescente, la cui
deliquiosa effeminatezza rammemora le figurette di Beardsley. Costui,
studiosissimo di poeti francesi e in specie di Mallarme poeta lui
stesso, di madre lesbica e padre misogino, si incipria e dipinge gli
occhi per invaghire il bislacco inglese Adrian Morris, che lo trae
fuori di senno. Sebbene potrebbe usare la cera, che 咬inomata come
assorbente del fluido nel rituale della magia nera(6), Moller si
serve anche lui dell'argilla, impastandola con acqua pura, mentre
L饖, secondo Kar滻ek, la intrise di sangue di bestie, come
dimostrerebbe il furore ferino che assalse l'androide, quando
entrarono in giuoco malefiche potenze astrali.
Il motivo della perfetta identittra fantoccio e modello deriva
forse da L'E've future di Villiers de l'Isle-Adam, dove Edison
fabbrica con l'幨ectro-magnetisme e la Matiere radiante l'Andreide
Miss Hadaly, un manichino, 剃reature nouvelle, 幨ectro-humaine che
riproduce a puntino i tratti, la pelle, la luce degli occhi, i gesti
dell'inafferrabile e gelida Alicia Clary per Lord Ewald, che ne
innamorato.
Fuori Praga, in una vecchia casa deserta fra i campi, Moller plasma
il suo Ganimede, inebriandosi del nudo modello, del morbido corpo del
giovane, dalle cui snelle membra traspira 勁'eccitante voluttdel
languore e della morte(7) A mano a mano perche il Golem cresce,
J顤n Moller, sempre pipreso dal manichino, si disinteressa di
Radovan, che gli appare squallido e spento a confronto del suo
Ganimede. Non solo: ma a mano a mano che la statua si affina, Moller
va perdendo le forze: 侶uanto piGanimede si anima, tanto pimi
avvicino alla soglia della morte. Sento che nell'istante in cui si
animerdel tutto, io morir ed questa la tragedia del mio
tentativo, che non giungera rimirare le vive pupille del mio
Ganimede e a udirne la voce e che, nel creargli la vita, creo la mia
morte...(8).
Dopo innumere prove, riesce infine ad infondere impulsi cinetici
nel suo vaghissimo Golem. Ma la sfibrante fatica lo riduce allo
stremo. Contrariamente agli iniziali propositi, in punto di morte
supplica Morris di annientare il fantoccio, che giace su un soffice
letto sposereccio in una camera velata di bianche stoffe e olezzante
di mirra, e di inumarlo di notte nella sua stessa tomba. Ma Morris
non ha il coraggio di dissolvere in polvere coi sette cerchi
cerimoniali l'androide e risolve di portarselo via.
Penetrando di notte per un abbaino nella casa di Morris, che odora
di ceri bruciati e corone funebri, Radovan scorge se stesso, ossia
Ganimede, sul letto dell'aristocratico inglese. Atterrito dalla
somiglianza, sfiora senza volerlo lo schem sulle labbra del damerino
di creta, e quello apre gli occhi, discende dal talamo, avanza, lo
abbraccia, lo stringe, sino a soffocarlo. cosla rivolta del Golem
diventa rivolta del simulacro contro il proprio modello, - per non
dire della iettatura che quel canchero di Ganimede esercita
sull'invasato scultore. Adrian trova per terra Radovan morto e sopra
di lui l'androide in frantumi. Anche se ingentilito, se sdilinquito,
se efebo, se odoroso e frisato come una pupattola da parrucchiere, il
lutoso fantoccio sempre un flagello, un fomite di perdizione.

NOTE:
(1) Rudolf Lothar, Der Golem cit', p' 16.
(2) Assieme a Rom滱 Manfreda Macmillena (Romanzo di Manfred
Macmillen, 1924) e Scarabaeus (1925), Ganymedes costituisce la
trilogia dei Rom滱y twMag(Romanzi dei Tre Maghi)
(3) Cfr' Anton Sailer, Franz von Stuck: Ein Lebensm酺chen, Mchen
1969, p' 30.
(4) Cfr' Chajim Bloch, Der Prager Golem cit', pp' 179-80.
(5) Achim von Arnim, Isabella von 輍ypten, Kaiser Karls V. erste
Jugendliebe (1812) Cfr' l'introduzione di AndrBreton a Achim
d'Arnim, Contes Bizarres, Paris 1953.
(6) JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes cit', cap' XIX, p' 68.
(7) Ibid', cap' XVII, pp' 64-65.
(8) JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes cit', cap' XXV, p' 82.

65
Il Golem di Gustav Meyrink (1915) ha in fondo ben poco in comune
con lo smisurato spauracchio di Rabbi L饖. Non un manichino
d'argilla, ma una sembianza sfuggente, nebbiosa, enigmatica, uno
Spuk, uno spettro, che ricompare ogni trentatranni nelle viuzze del
ghetto praghese, suscitando scompiglio. Il fantasma si annida fra gli
abitanti della Judenstadt, senza che essi lo percepiscano, e di tanto
in tanto, per influsso di astrali pneumi, di congiunzioni sideree,
preceduto da segni premonitori, assume apparenza sensibile (1)
Questo Golem dunque l'indizio di un'epidemia spirituale, che si
propaga a periodi fulminea, l'incarnazione di torbidi umori, che in
eterno fermentano nella soffocante strettura del ghetto,
prorompendone a volte, per spargere una malia tremendissima,
un'oscura psicosi. In altre parole, sono le paure e le angosce del
piccolo ebreo perseguitato a dar corpo al Golem. Prolungamento
dell'atmosfera lugubre e intossicata del Quinto Quartiere, delle sue
fatiscenti casupole che digrignano i denti, delle sue pietre unte
come pezzi di grasso, - lo spettro attraversa ogni trentatranni i
sordidi vicoli immersi in un ambiguo Zwielicht, prendendo l'aspetto
di uno sconosciuto dal viso giallo e dai tratti mongolici, vestito di
uno stinto abito altmodisch, dall'andatura cespicante, 剃ome se a
ogni attimo volesse cadere in avanti La mongolicitdel fantasma (anche nel film di Paul Wegener il
Golem ha gli occhi obliqui, gli zigomi aguzzi, il naso camuso) (2)
testimonia della presenza di bieche forze orientali fra i muri di
Praga. Quanti sghembi occhi asiatici fosforeggiano nel tenebroso
tessuto dei racconti di Meyrink: a MalStrana, in un edificio
spettrale che si appoggia 剃ome un morto custodealle erbose Scale
del Castello, ha il suo macabro laboratorio il Dr' Mohammed
Darasche-Koh, preparatore e 哀atanasso persiano(3) Ne avvengono di
meraviglie a MalStrana: c'in via Thunova una casa ugualmente
spettrale: tisica, angusta, maligna, in cui il misterioso egittologo
Dr' Cinderella coltiva nepenti, drossere ed altre piante carnivore,
cosparse di turgide vene e di innumeri bulbi oculari (4) Parlando di
Meyrink, Max Brod ricorda come lo affascinassero gli arcani universi
della Cabala e del Buddismo, situati dal narratore tra le siluette
degli antichi palazzi praghesi (5)
Nel Golem, tra le altre imperscrutabili fanfaluche, si legge anche
quella di un immenso tesoro sepolto dall'Ordine dei Fratelli
Asiatici, 勇 presunti fondatori di Praga sotto una grigia pietra
nella Viuzza d'Oro, sul precipizio del Fossato dei Cervi, - una
pietra vegliata da Matusalemme, perchSatana non la fecondi. Tra gli
orientali intanati nelle pieghe della cittvitavina, portinai
dell'inferno, sentine di scelleraggini, spicca l'imbalsamatore Kyjork
Arabian del romanzo The Witch of Prague di Crawford, un nano dal viso
di basilisco e dal cranio deforme, del quale diremo tra poco.
In Die andere Seite (L'altra parte, 1907), un romanzo per tanti
versi vicino a Der Golem, Kubin si spinto pioltre: anzich
trasferire gli asiatici a Praga, ha spostato Praga, ribattezzandola
Perla, nel cuore dell'Asia, di lda Samarcanda. Ed curioso che il
proteiforme, molliccio, viscido, evanescente satrapo che signoreggia
ed opprime la capitale decrepita del Regno del Sogno abbia il nome
praghese Patera, lo stesso nome del popolare cameriere del caff
Union, amico di letterati e di artisti (6)
Nel romanzo di Meyrink sembra a tratti che il Golem si identifichi
con l'Eterno Ebreo, che giApollinaire, all'inizio del secolo, aveva
incontrato nella cittvitavina. Nel ritorno periodico di questo Spuk
si puravvisare una reminiscenza del mito di Ahasvero, mentre lo
spazio di trentatranni, che intervalla le sue apparizioni, rimanda
all'etdi Cristo (7) Oltre ad essere dunque un'emanazione
dell'anima delle moltitudini ebraiche e del 剃limapestilenziale del
ghetto, il Golem diviene emblema del giudaismo, con supplementi di
cristologia.
Per la sostanza larvale e notturna, per gli sgargianti ceroni dei
personaggi, figure da gabinetto di cere, per il brulichio di
alterego, per la stregheria e la scrittura-delirio, il romanzo di
Meyrink partecipa dell'espressionismo. Vari elementi cospirano a
dilatarne l'arcanit influssi delle teorie yoga e in genere del
pensiero indiano, riferimenti al Talmud, dottrine occultistiche,
bizzarrie della Cabala e ogni sorta di negri prestigi. Si noti per
che Meyrink, studioso di teosofia e di fenomeni metapsichici, ascrive
impropriamente alla Cabala tutto ciche ha sapore esoterico: ad
esempio l'origine magica dei tarocchi e il libro Ibbur, inesistente
come il Necronomicon di cui discorre Lovecraft, benchil suo titolo
riprenda un vocabolo con cui la mistica ebraica denota la
剌econdazione dell'anima(俟eelenschw鄚gerung, ovvero l'aggiunta
di una seconda anima (8)
L'idea che il Golem sia un fantasma, il quale gironzola nei luoghi
in cui sorgevano un tempo le catapecchie del ghetto, riaffiora nel
Ganymedes di JiwKar滻ek. Lo scultore J顤n Moller, 剌arnetico
naufrago nelle profonditdel Passato(9), sostiene che si pu
incontrare il simulacro d'argilla (ma non un mostro, s'intende,
bensun aggraziato giovane d'alta statura) nelle strade tracciate
dopo il 咬isanamento nei cantucci ove palpita ancora lo spirito
della scomparsa Cittebraica. Del resto c'una leggenda, secondo
cui il santo rabbi risorgere con le formule dello Sefer Jezira dar
nuova vita al fantoccio di creta, che giace frattanto in letargo
dentro una tomba (10)

NOTE:
(1) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', pp' 158-68.
(2) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', pp' 146-47.
(3) Gustav Meyrink, Das Pr鄡arat.
(4) Id', Die Pflanzen des Dr' Cinderella.
(5) Max Brod, Vita battagliera cit', p' 220.
(6) Cfr' Kav漷na Union (sborn骿 vzpominek pam皻n骿, Praha 1958.
(7) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', p' 162.
(8) Cfr' ibid', pp' 163-64.
(9) JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes cit', cap' XV, p' 51.
(10) Cfr' Hans Ludwig Held, prefazione a Chajim Bloch, Der Prager
Golem cit', p' 11.

66
Le lettere e la cultura praghesi abbondano di manichini, di
g鐱lemess, di marionette, di statue di cera, di figurine da
panoptikum, di pupazzi imbottiti, di automi.
Nel romanzo Pekla zplozenci (Progenie d'inferno, 1862) di Josef
JiwKol漷, peschiera di bagattelle e di satanismi da grand opera, il
negromante italiano Scota, benaffetto di Rodolfo II, vuol notomizzare
il giovane Vil鄉, per poi ricomporne le membra dentro il forno
Athenora e ldentro ammogliarlo con l'immortale Sempiterna.
Approfittando, ahi ahi, dell'assenza del presuntuoso metafisicastro,
Vil鄉 si introduce nell'Athenora, dove su un canapgiace immobile la
sposa promessa, e si accorge che Sempiterna ha un calvo cranio di
legno nascosto dalla parrucca e allunga le braccia e si muove, 冠nima
orologesca solo se le si dla carica. Infuriato, mette a soqquadro
il tartareo laboratorio del truffaldino Scota, che voleva
affibbiargli un 削wev瘽tajtrl骿 una guitta di legno, e si
allontana verso la Casa di Faust, seguito da Sempiterna che, tutta
suste e rotelle, cigola in ogni giuntura, 剃ome un cadavere strappato
al patibolo(1)
Non men giallo l'orpimento del croco. E non meno orrido di
Scota il nano Kyjork Arabian del romanzo di Crawford. Imbalsamatore
convinto che il corpo umano possa resistere alla corrosione del tempo
quanto il granito delle egizie piramidi, allinea nel suo gabinetto
praghese una folla di uomini e di animali impagliati, di teschi, di
mummie d'ogni parte del mondo in mezzo a cataste di armi e armature
barbariche, maschere di selvaggi africani, idoli, tamburi sacri e
altra merce da Esposizione Coloniale. Simile all'animatore Herbert
West di un racconto di Lovecraft, - con elisiri, con strampalati
congegni, con cuori di vetro e con scariche elettriche cerca di
eccitare le cellule morte, di ridestare nelle mummie la vita, ma non
ottiene dagli imbalsamati nient'altro che un'effimera smorfia, un
perfido ghigno.
Che innumerabile turba di mummie e di scontraffatte sembianze di
cera anche in Meyrink. Nel Golem il mostruoso rigattiere Aaron
Wassertrum, dai 咬otondi occhi di pescee dal labbro leporino,
conserva nella sua bottega, tra una ciurmaglia di oggetti sbreccati,
哎na figura di cera a grandezza naturale vendutagli dal
proprietario di un baraccone. Ai teraphim cabalistici, teste umane
salate e condite con spezie, con una lamina sotto la lingua (2),
assomiglia la testa bionda di Axel, impagliato dal bieco persiano
Mohamed Darasche-Koh, un demonio che torna pivolte nei racconti di
Meyrink. La testa dagli occhi sgranati confitta per il cocuzzolo
dentro una sbarra di rame pendente dal soffitto, e sotto il suo collo
avviluppato in una sciarpa di seta vibrano allo scoperto rossicci
lobi polmonari ed un cuore dai fili d'oro collegati ad un piccolo
apparecchio elettrico (3)
Tra le mummie animate di cui Praga fu fertile non ci lasceremo
sfuggire l'eroe del 咬omanetodi Jakub Arbes Newton驠 mozek (Il
cervello di Newton, 1877) Prestigiatore caduto nella battaglia di
Kr滎ovHradec, costui, dopo la morte, riappare a Praga una notte,
per dare spettacolo di illusionismo dinanzi a una schiera di dotti,
di nobili, di maggiorenti. Sulle prime cadavere imbalsamato in divisa
di ufficiale, l'eroe a grado a grado si avviva come un automa pervaso
di corrente elettrica, scende gidalla bara posta su un catafalco e,
dopo un attimo di oscurit si ripresenta nel suo vecchio abito nero
da giocatore di bussolotti. Si toglie come un berretto la parte
superiore del cranio, spaccato da un fendente prussiano, e la tiene
in mano, comunicando agli attoniti barbassori di aver surrogato il
proprio cervello con quello di Newton rubato in un museo inglese.
Non si finirebbe mai ad elencare tutti i fantocci inquietanti di
Praga, le mummie dei suoi panottici, i simulacri sornioni che
ornavano le sue vetrine. Tra questi ultimi ebbe il primato la grande
tigre impagliata del negozio 隹lla tigredel pellicciaio Proch漘ka
nella Ferdinandova twida. Il felino imbottito divenne alla fine del
secolo scorso parte integrante della cittvitavina. Il poeta tedesco
Friedrich Adler gli dedicuna poesia, se ne trova memoria anche in
Leppin. Avviluppata in pellicce, la belva teneva nelle fauci aperte
un manicotto alla moda e sul capo un berretto smargiasso di lontra o
castoro. Il signor Proch漘ka affittava sovente la tigre agli
organizzatori di balli in maschera e di 蟊bwinky, che la collocavano
a far leggiadra comparsa tra giunchi e palme e rovine di templi
indiani, in un Oriente di paccottiglia (4)
Alla stirpe degli automi praghesi appartiene Odradek, il rocchetto
da refe a forma di stella, che sta in piedi e va in giro nel racconto
kafkiano Il cruccio del padre di famiglia. La sua pragheitvien
rafforzata dal nome, che non un astratto Klangmaterial, come,
poniamo, Ango Laina di Blner, ma un vocabolo ceco contiguo al verbo
卻draditi dissuadere. Tutta una r瞚erie si potrebbe impostare su
questo groviglio di filo agglobato, metfantoccio metoggetto
ambiguo, che emette un suono 哀imile al frusciar di foglie cadute
dibattere se sia un'Alruna meccanica, della natura di quelle che
fabbrica, nel Gatto Murr, Mastro Abramo, o un rottame comprato al
tandlmark, che obbedisca a un segreto impulso di animazione, come le
due buffe palline di celluloide bianca addogata d'azzurro, che
saltellano alla zannesca nella stanza di Blumfeld, scapolo non pi
giovane.
Nel museo ideale della Manichinia praghese metteranche il Bambino
di Praga, lo Jezul漮ko, fantoccino di cera, che nelle diverse
stagioni muta mantelli e finissimi drappi di seta e d'oro broccato.
La statuetta fu portata nella cittvitavina dalla Spagna negli anni
di Rodolfo II, in un tempo di intensi rapporti tra la nobiltboema e
quella spagnuola. Se l'ingombro massiccio del Golem, benchdissolto
in argilla, fu sempre foriero di malefici e sconcerti, lo Jezul漮ko
invece, venusto bamboccio, campionario di delicatissimi tessili,
esposto nella chiesa carmelitana barocca di Santa Maria delle
Vittorie, divenne dispensatore di salutevoli balsami, fomento da
ravvivare gli spiriti nel cuore degli sconfidati, protomedico del
corpo e dell'anima. E non importa se il principal donatore di quel
tetro tempio, nelle cui cripte pompeggiano in bare aperte le mummie
dei protettori dell'ordine dei carmelitani, era stato il crudele
generale spagnuolo Baltazar de Marradas, colui che, nella leggenda
Inultus (1895) di Julius Zeyer, commette alla scultrice Flavia
Santini l'immagine del Cristo in agonia (5)
Nel racconto N鄝lich (Infatti, 1915) del narratore tedesco praghese
Paul Adler il protagonista, un demente con la fantasia di un na髽,
riferendosi allo Jezul漮ko, asserisce: 侵o pure amo molto il bambino
Ges Ma di sua madre ho un poco paura, perchdi vecchia
porcellana. Le guance sono rosse, e le mani tengono una bacchetta. Al
bambino Gespiace giocare con una grande sfera levigata. Spesso il
bambino fa con me il giuoco del cavallo a dondolo. Io sono sempre il
cavallo, e il bambino di Dio cavalca sul mio dorso(6)
Ho posto qui come un talismano la statuetta dello Jezul漮ko, perch
mi difenda e mi salvi dalla malia tremendissima dei troppi g鐱lemess
e manichini di cera, che ho incautamente evocato.

NOTE:
(1) Josef JiwKol漷, Pekla zplozenci cit', pp' 77-78.
(2) Cfr' Beate Rosenfeld, Die Golemsage cit', pp' 66-67.
(3) Gustav Meyrink, Das Pr鄡arat cit'
(4) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', I, pp' 78-79 e
91-98. Cfr' anche Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis cit',
p' 25. 蟊bwinka: veglione, festa da ballo: dal tedesco Schnabernack:
burla, celia.
(5) Cfr' Karel H歍ek, 褾eno starPraze cit', pp' 50-54; Karel
Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 220-21; Vojt瑿l Volavka,
Pout' Prahou cit', p' 230.
(6) Paul Adler, N鄝lich, in Das leere Haus cit', p' 193.

67
L'anatra d'ottone e il sonatore di flauto di Vaucanson, il turco
scacchista del barone von Kempelen (1), tutti gli idoli orologeschi,
gli automi farciti di rulli e ingranaggi, le teste parlanti, i
manichini di cera animati dei 匍ecaniciens d'autrefois(2) non sono
che dilettosi e intarlati pupazzi da fiera, piacevolezze da
cantambanchi a confronto coi truci robot escogitati dallo scrittore
boemo Karel 螮pek nel dramma R'U'R' (Rossum's Universal Robots, 1920)
(3) 俘obot androide, operaio artificiale, vocabolo ceco, che
螮pek derivda 咬obota ossia 剃orv嶪 sfacchinata (4)
Questi automi appartengono alla stessa famiglia del Golem e, bench
fabbricati in un'isola lontana, hanno radici nell'humus, nel
maleficio di Praga. Il Golem parvenza d'argilla avvivata dallo
哀chem il foglietto col nome di Dio. In modo simile i robot non
sono viluppi di molle e stantuffi, come gli automi da baraccone, ma
impasti di una sostanza chimica che si comporta come il protoplasma,
di un 剋lutine organicoa detta di Josef 螮pek (5), - sostanza
scoperta dallo scienziato-filosofo Rossum (咬ozum ragione), un
哉ecchio stravagante un 厚azzo fantasticodella stirpe dei folli
sapienti prosperati dall'espressionismo.
Come il Golem, il robot ha natura di 便necht di 前wed(in
jiddisch) e forse di 勃nouk per usare una parola di Bechett, ossia
di servo obbediente ma torvo e sornione, che cova vendetta contro le
avanie dei padroni. Del resto giin slavo antico 咬obsignifica
哀chiavoQuesta plebe di meccanismi compiuti, che ignorano la
sofferenza e gli affetti e la paura della morte, mano d'opera ideale
per la resistenza, la gagliardia, il basso costo, sostituisce
mirabilmente l'imperfetta macchina umana, carcame con grandi
ambizioni ma forze di grillo.
Nel termine 咬obotla fantasia crede persino di scorgere
un'immaginaria assonanza con 咬abbiMa diversamente dal tetro
sganarello di Rabbi L饖, i robot, sebbene anch'essi senz'anima, hanno
una 哀traordinaria intelligenza razionalee una 匍emoria
straordinariaLa robustezza di questi 冠w鐰iminsensibili ai
guasti e agli infortuni ci fa inoltre pensare che alla concezione e
allo stesso nome del robot abbia concorso il ricordo di un
personaggio di Verne, Robur-le-Conquerant, il quale sfoggia 哎ne
constitution de fer, une santtoute 廧reuve, une remarquable force
musculairee somiglia, con la sua 剃arrure geometrique a un
trapezio su cui sia innestata un'enorme testa sferoide.
Con parole di Mehring, R'U'R' pudunque definirsi una
亮olems-Marionetten-Kom鐰ie(6) A 螮pek sembrava tuttavia, come
disse nel 1927 a Jules Romains, che la lotta col Golem fosse molto
pisemplice: per domare l'insorta materia bruta, bastava estrarre lo
哀chemdalla bocca del gaglioffo d'argilla. Ma coi robot (7). Alle
corte, il Golem solo uno e, se gli monta la stizza, un atto rituale
lo ricondurralla ragione, mentre i robot costituiscono una compatta
e caparbia moltitudine che, miserandissima cosa, nessuno riuscirad
imbrigliare. Non c'paragone tra la fulminea demenza di un orso di
creta, che schiuma e diruggina i denti, e l'orchestrato rancore
implacabile di questa spropositata masnada di g鐱lemess. Quasi il
pupazzo rabbinico si moltiplicasse in una serie infinita di identici
simulacri. Il Dottor Gall asserisce: 冠bbiamo dato ai robot volti
troppo uguali. Centomila facce uguali puntate verso di noi. Centomila
bolle senza espressione. E' come un sogno terribile
Bolle senza espressione. Lo stesso pudirsi delle scomunicate
salamandre del romanzo 螮pkiano V滎ka s mloky (La guerra con le
salamandre, 1936) Ibride parvenze anfibie, mezzo foche mezzo
ramarri, con manine infantili, questi viscidi diavoli acquatili,
degni della sommersa cittdi R'iyeh in cui dimora (nei racconti di
Lovecraft) il Grande Cthulhu, si riproducono infrenabilmente e si
propagano con incontrollabile crescita, enorme massa omogenea e
indistinta, mucillaggine orrenda, flagello che scalza e disgrega il
genere umano. Come i robot, le salamandre 勇n complesso non hanno
bisogno di nulla di ciin cui suole cercare sollievo e conforto il
metafisico orrore, l'angoscia esistenziale dell'uomo; fanno a meno
della filosofia, della vita dell'oltretomba e dell'arte; non sanno
che siano fantasia, umore, mistica, giuoco o sogno(8) Ancor pi
spettrali dei robot rendono questi 勁izardso 咨apaboys 剃osa
molliccia che avanza, il 咨'ap-t'apcon cui vengono fuori la notte a
guazzo a guazzo dal liquido limo e il 咨s ts tscon cui chiamano gli
uomini. Che palpiti, che sudor freddo: ho nell'orecchio quei suoni
d'apocalisse, come il 剎uch buch buchdei vampiri nelle ballate
romantiche.
Oltre al tema precipuo del servo meccanico, parecchie altre
invenzioni di R'U'R' si ricollegano alla 亮olemlegende e in primo
luogo il motivo dell'improvvisa pazzia, del mal caduco, della
convulsione che a volte, per un guasto dell'organismo, assale e
inabilita i robot, riducendoli a carcasse da macero. Dal cerchio di
quella leggenda deriva anche l'idea, espressa con raccapriccio dalla
balia, che sia demonia e sacrilegio imitare la creazione divina,
foggiando dannati omuncoli. Il motivo dell'insurrezione dei robot
contro gli uomini che li hanno costruiti connesso in particolare
con quelle varianti della saga golemica, in cui l'infuriare del
manichino d'argilla viene spiegato col suo odio per il rabbino
inventore e sapientone barbuto. Solo che la rivolta degli
indifferenziati colloidi di 螮pek rispecchia, secondo i dettami del
dramma di masse allora di moda, anche l'insofferenza sociale, la
sorda collera degli oppressi.
E' questa collera senza mitigazioni e scissure, questo rancore
corale di cuori-macigno, la stupida gravitche campeggia sulle
bieche bolle dei volti ciche soprattutto fa spiritare. Diversamente
da Fritz Lang, che in Metropolis (1926) disporrle folle di schiavi
e di uomini-macchina in gruppi decorativi che tengono della geometria
espressionistica (9), 螮pek non trae pretesti di stilizzazione dai
movimenti sincronici della genia robotica. Ma in cambio la sobriet
la secchezza del suo ordito verbale ingrandiscono l'attivitdel
ribrezzo. Lui stesso era sgomento dei fantasmi che aveva scatenato:
俑entre scrivevo, mi prese una terribile paura, volevo mettere in
guardia contro la produzione della massa e degli slogans disumanati e
a un tratto mi strinse l'angoscia che un giorno sarcos forse
presto, che ormai non servira nulla il mio avvertimento, che al
modo in cui io-autore ho condotto le forze di questi ottusi congegni
ldove volevo, un giorno qualcuno condurrlo sciocco uomo-massa
contro il mondo e contro Dio(10)
Come nella commedia gemella V璚 Makropulos (L'affare Makropulos),
anche in R'U'R' la donna a distruggere le presuntuose formule
architettate dalla smodata ambizione degli uomini. Ma la distruzione
della Formula, compiuta da Helena Glory, personaggio alquanto
stopposo col suo umanitarismo da suffragetta o piuttosto da delegata
dell'Esercito della Salvezza, risulta in fondo un atto diabolico,
perchtoglie ai superstiti l'ultima possibilitdi salvarsi,
barattando il segreto della fabbricazione dei robot in cambio della
propria vita. Nel barbaglio del fuoco che brucia il mistero della
scoperta, la donna diventa improvvisamente ancella del diavolo.
Non passa molto, e gli automi si accorgono che anche la loro
progenie finircon l'estinguersi, se non vi sono piuomini a
costruirli, se Alquist, l'unico sopravvissuto allo scempio, non
rammenta la Formula. Ma 螮pek corre ai ripari, e sulle rovine
dell'apocalisse innalza di nuovo l'albero della vita. 俟tavo male,
Olga, - egli scrisse alla moglie - e perciverso la fine ho cercato
in modo quasi spasmodico una soluzione di amore e accomodamento,
pensate che ci si possa credere, cara?(11) Reciproco amore umano,
con supplemento di gelosia e vanite dedizione, si apprende a due
androidi del tipo pirifinito, Helena e Primus. E cosanche il
finale rielabora un tema dell'area golemica: il risveglio sessuale
dei g鐱lemess, il loro sogno di mutarsi in uomini.
Come nei romanzi Tov漷na na Absolutno (La Fabbrica dell'Assoluto,
1922) e Krakatit (La cracatite, 1924), in questa commedia che si
potrebbe chiamare con Mehring 前ine Science-Nonfiction-Horror-Story
(12), 螮pek si appiglia a una mirabolante scoperta scientifica, per
imbastire immagini di catastrofe. Si tratti di robot o di cracatite o
di carburatore dell'Assoluto, la scoperta, la macchina sfugge di mano
all'uomo e si ammutina, provocando cataclismi e sterminio. D'altronde
la colpa ricade sugli uomini che, fuggifatiche e dappochi, hanno
favoreggiato gli automi e, armandoli e usandoli in guerre interumane
e moltiplicandoli, si sono scavati la fossa da soli: 俏essun Gengis
Khan si mai costruito un cosenorme tumulo di ossa umaneLo
stesso avverrcon le salamandre: ammaestrate e sfruttate dagli
uomini, che se ne servono come di mano d'opera rozza e strumento di
guerra, torme di salamandre con infrenabile riproduzione vanno
scalzando a grado a grado e trucidando il genere umano. L'Uomo stesso
剌inanzia questa Fine del Mondo, tutto questo Nuovo Diluvio(13)
R'U'R' vuol essere dunque un ammonimento alla societtecnologica,
perchsi avveda in tempo del baratro in cui sta precipitando. Non si
pudire perche il gruppetto di uomini dell'isola dello scienziato
Rossum guadagni molto dal confronto con l'impronta brutaglia dei
robot. Mi irrita la loro freddezza, la loro flemma calcolatrice, il
loro civettare con Helena durante l'assalto degli automi. Ma
soprattutto mi lascia perplesso il fatto che in tanta ingegneria
avveniristica gli uomini siano muniti di sole pistole e di qualche
matassa di fili ad alta tensione e non posseggano nemmeno un piccolo
aereo su cui scappare (14)
O tutto ciserve a porre in risalto la dabbenaggine di questi
inventori, inabili a sbarazzarsi dei mostri che han fabbricato? Se
cos come appare ridicola la grandigia d'archetipo dei loro nomi
parlanti: Domin (Dominus), Busman (Businessman), Alquist
(Aliquis+Alchymista), Fabry (Faber), Gall (Galenus) (15) Del resto,
allargando le significazioni, negli stessi robot puscorgersi un
simbolo del genere umano ridotto a una turba servile e oneraria.
Un'affinittrasparente avvicina gli uomini meccanizzati di Noi di
Zamj漮in, che indossano 哎nifazzurrognole col numero su placche
d'oro, ai colloidi 螮pkiani, infagottati in casacche di tela e con un
numero d'ottone sul petto.
Nelle scene di R'U'R' Karel 螮pek trasfonde la sua avversione per
la retorica del collettivismo, per l'odio di classe, per le ideologie
totalitarie, per le rivolte che disgregano il mondo in nome di
un'illusoria trasformazione. Se il ripugnante dilagare delle
salamandre riflette l'espandersi della piovra nazistica, - nel
sommovimento robotico facile scorgere diagonali rimandi alla
rivoluzione russa. Se le feroci caricature di personaggi della
monarchia absburgica nello 襒ejk (1921-23) di Ha蟌k risentono del
deformante grottesco dei manifesti sovietici, i proclami aggressivi
degli androidi 螮pkiani ricalcano i motti di propaganda e gli editti
del bolscevismo.
Della rivolta proletaria i 螮pek avevano gitoccato nel racconto
Syst鄉 del 1908 (16) Qui un tronfio capitalista e proprietario di
piantagioni, John Andrew Ripraton, mena vanto dell'infallibile
哀istemacoattivo con cui tiene a bada ed isterilisce le masse
lavoratrici della sua casermesca Hubertstown: 俠'operaio deve
diventare una macchina che giri e nient'altro. Ogni pensiero una
trasgressione della disciplina - ma le maestranze asservite si
svegliano e insorgono, distruggendogli le fabbriche e la famiglia.
螮pek, ovvio, vedeva con malumore l'egoismo, l'avidit
l'arroganza dei boss, dei pescicani, dei risaliti, le sproporzioni
stridenti della societcapitalistica, la grettezza del benessere. Ne
fa testimonianza la 匍oralit鉬 entomologica Ze eivota hmyyzu (Scene
della vita degli insetti, 1921), in cui, col fratello Josef,
satireggii vizi degli uomini di quel dopoguerra, attribuendoli a
farfalle, a formiche, a coleotteri. Ma nello stesso tempo egli non
aveva fiducia nelle altere riforme che promettono soleggiati futuri.
Convinto che gli oggidiani e i riformatori fanatici ripeteranno
domani ingigantiti gli errori delle classi che avranno sbandito, non
si faceva illusioni nei cambiamenti, non condivise l'ebbrezza
dell'avanguardia, che nel calpestio della sommossa sentiva il segnale
della palingenesi. Secondo 螮pek, gli slogan, le rivolte, le
prodigiose scoperte, anzichmigliorare la condizione dell'uomo,
conducono l'umanitallo sfacelo.
Di qui la sua propensione al buon senso, all'equilibrio, alla
giusta misura, - propensione che potrebbe apparire irritante, se
troppe esperienze, troppe ubbie progressive, troppe falcate di
superuomini non ci avessero ormai resi canuti e disposti, pur col
rammarico di smettere gli attraenti tabarri romantici, a dargli in
fondo ragione. Alquist, quasi alterego di 螮pek, asserisce: 促enso
che sia pigiusto collocare un solo mattone che tracciar piani
troppo grandiNel finale di Krakatit Dio, un vecchietto bianco che
porta sotto il tendone di un carro il mondo, cassetta di immagini
illuminate da una lampada ad olio, dice all'inventore Prokop: 侮olevi
far cose troppo grandi, e farai invece cose piccole. E' bene che sia
cos儢 Un altro personaggio di R'U'R', il Console Busman, afferma che
non sono i grandi sogni, ma i minuti bisogni dei piccoli uomini a
fare la storia. Il guaio che la negazione dell'eroismo spocchioso e
dei ciechi tumulti e dei castelli in aria si converte sovente in una
facile contentatura, in un compiaciuto minimalismo, in una
provincialitsoddisfatta e domenicale, come nel conclusivo festino
di Tov漷na na Absolutno, in cui figurette mediocri, compari di
campagna, discorrono all'osteria di fiducia tra gli uomini e di
tolleranza, masticando frattanto salsicce e crauti.
Di fronte alla truculenza degli squallidi automi 螮pkiani,
truculenza che esclude ogni giocoleria da baraccone, ogni allegra
ambiguitmanichinica, - si pensa con nostalgia ai colorati pupazzi
dei musei delle cere. E' vero, 螮pek tratta anche l'apocalisse con
distacco raziocinante, senza mai calcare sull'orrido. Eppure, a ben
guardare, i suoi androidi sbocciati dal maleficio di Praga sono
potenze demoniche come gli arlecchini, sebbene una netta antitesi
contrapponga queste due 俗rgestalten(17)
Anche se principale di una masnada di trapassati e parvenza ctonia
in commercio con l'俗nterwelt arlecchino pur sempre un funambolo,
un bagattelliere, un superbajazzo, una vela di rombi multicolori.
Mentre i robot, cupi come un Dies irae, feticci dell'aggrondata
civilttecnologica, sono seccume manageriale, superciliose figure di
Quadragesima, campioni di un macchinismo che spegne l'umore e la
fantasia. Dircon l'Ariosto: "che ben fu il picrudele e il pidi
quanti - mai furo al mondo ingegni empii e maligni, - ch'imagins
abominosi ordigni(XI, 27)

NOTE:
(1) Cfr' Rolf Strehl, I robot sono tra noi, Milano 1954, pp' 106-8,
117-32.
(2) L'espressione di Villiers de l'Isle-Adam ne L'E've future,
livre deuxieme, IV.
(3) Rappresentato al N漷odndivadlo di Praga il 25 gennaio 1921,
con regia di Vojta Nov毾, scene di Bedwich Feuerstein, costumi di
Josef 螮pek.
(4) 俘obot(al femminile 咬obotka rimanda anche al russo
咬abotat獄 (lavorare), da cui 咬abotjaga(lavoratore instancabile,
il 削w斁ceco) Nel gergo dei Lager sovietici 咬abotjagadesigna il
condannato addetto ai lavori pigravosi e piingrati. In origine
螮pek voleva chiamare i suoi automi 勁abowi(da 勁abor il russo
咬abota, ma la parola gli parve troppo libresca. Fu il fratello
Josef a suggerirgli il termine 咬obotCfr' Karel 螮pek, in 俠idov
Noviny del 24 dicembre 1933, ora in R'U'R', montaggio di materiali
a cura di Miroslav Hal骿, Praha 1966, p' 105. La parola coi suoi
derivati entrnelle lingue occidentali dopo il successo londinese di
R'U'R' (1923) Cfr' Otakar Vo螮dlo, 蟌skLiteratura na sv皻ov鄉
foru: Oblast anglosask in Co daly na蟌 zemEvropa lidstvu, a
cura di Vil鄉 Mathesius, Praha 1940, p' 406.
(5) Josef 螮pek, Um瘭螿ov瘯, in R'U'R', montaggio di materiali
cit', p' 160.
(6) Walter Mehring, Die verlorene Bibliothek, Iching-Mchen 1964,
p' 240.
(7) Cfr' Otakar 褾orch-Marien, Oh螉stroj, Praha 1969, pp' 110-11.
(8) Karel 螮pek, V滎ka s mloky, Praha 1965, III, 5, p' 209. Cfr'
Stanis獪w Lem, Fantastyka i futurologia, Krak闚 1970, vol' I, pp'
90-92.
(9) Cfr' Lotte H' Eisner, L'嶰ran demoniaque cit', pp' 153-58.
(10) Karel 螮pek, frammento di una lettera a Olga Scheinpflugov
in R'U'R', montaggio di materiali cit', p' 106.
(11) Karel 螮pek, frammento di una lettera a Olga Scheinpflugov
cit'
(12) Walter Mehring, Die verlorene Bibliothek cit', p' 240.
(13) Karel 螮pek, V滎ka s mloky cit', p' 247.
(14) Cfr' Ivan Klima, Modernm蓨us, in R'U'R', montaggio di
materiali cit', p' 193.
(15) Cfr' ibid', p' 196.
(16) In Krakono蟞va zahrada (1918)
(17) Cfr' Curt Sechel, Ma腠t踀e der Kunst im 20. Jarhundert,
Dseldorf-Wien 1967, pp' 39-48.

68
Ti scrivo dalla cittche adori, per comunicarti che Praga, in
questo sediziosissimo tempo, pullula di g鐱lemess. Non c'piun
castagno nun cortile nun tetto nun ponte che non portino
l'impronta di manacce argillose. MalStrana, Loreta, il tuo angolo a
Kampa, Petwin, il Belvedere, il cimitero di Ol螮ny. Masnade di 剋rumi
informisi ammucchiano in questa barca di pazzi, che ha la prua a
Hrad螮ny e la poppa sulla Letn
La citttutta si giace in tenebre e orrori. I glutinosi imbratti
di creta ricorrono spesso a camuffamenti, mutandosi in microfoni
occulti, in bisce, in furetti, in orecchi ciclopici, in fastellacci
di incartamenti, in insetti kafkoidi. Asseriscono che loro
proposito ristorarci coi vezzi e coi proteggimenti, i dispensieri di
aiuto fraterno, - ma in realtsono pronti a straziarci con le
unghie, a scatenare su noi enormi rospi di latta, che hanno cingoli
invece di zampe.
Dappertutto c'lezzo di golem: ossia di terriccio muffito, di
servit di sudore caprino. E' ormai troppo tardi per rinforzare le
deboli mura, incastellare le porte, steccare i fossi a difesa. Questa
salsa del diavolo traboccata a tal punto, che quel tuo amico poeta,
quel Folle di Pampeluna, potrebbe comporre una lugubre golemiade.
Sono ormai penetrati nelle nostre case: in qualsiasi dimora si
incontrano manichini di creta, che hircum redolent, intenti a
grattarsi la rogna, a ridere sganasciatamente, a crapulare, a
trincare, a pulirsi la sconquassata dentiera.
Gli uomini stessi, i piinnocui, i pifededegni, per aver troppo
pattuito il vassallaggio col diavolo, si vanno pian piano cambiando
in orribili g鐱lemess. I venditori di salsicce nei baracchini, i
deviatori dei tram, i birrai, i camerieri del caffSlavia, gli
avventori che escono all'alba dal night Barbora hanno giparvenza
golemica. E i piluridi barri della confraternita, ostentando la
propria golemeria, come si allacciano alta la giornea e con qual
seminario di indegnite di soprusi e di prevaricazioni avviluppano i
tremuli, gli spaventati. E molte femmine copulano coi g鐱lemess,
senza paura di restar poi come bambole, dal cui ventre squarciato
escano filamenti di sterro, trucioli di attaccaticcia fanghiglia.
Nel secolo scorso le nostre case erano alveari di vari congegni e
ammennicoli musicali. Tabacchiere, scatole per gioielli o per sigari
o per arnesi da cucito, appena veniva alzato il coperchio, si
mettevano a tintinnare. Sotto il fondo di brocche di birra e di
peccheri e di lumi da tavolo, sulle sedie e negli albi di
dagherrotipi si nascondevano meccanismi sonori. Mulini a vento,
dipinti in quadretti, se si tirava un cordino, movevano le ali,
emettendo la gracile musichetta di un valzer, sovente il valzer di
Massimiliano (1) Ma oggi non c'oggetto nel cui intimo non si
nasconda un tagliente frantume, una faccetta di golem. Qualunque
parola tu dica, un bisbiglio, un ricordo, una tenerezza, essi
registrano tutto su piccoli rulli invisibili: ogni tua frase servir
loro a montare contro di te immonde macchine di calunnie e di
perdizione.
E percinelle case regna il silenzio, e si sente solo il raspare
dei topi che hanno fiutato il galestro. Ma a volte deflagrano
irruenti conflitti, che i g鐱lemess non mancano di registrare: i
figli si scagliano contro i padri, accusandoli di aver ignobilmente
ceduta la nostra terra. Stretti nella morsa golemica, lasciamo andare
ogni cosa in rovina, senza piprenderne pena e curando soltanto di
non irritarli. Guai se danno nelle pazzie. 青he sardomani? - si
chiese un tempo profeticamente il tuo poeta. - I muri avranno
orecchie...(2).
L'unica nostra consolazione vedere al mattino nei bidoni della
spazzatura i resti di g鐱lemess, che durante la notte si sono
disgregati in marciume d'argilla. Ma un magro conforto: per un
golem che si dissolve, cento altri ne spuntano, mentre purtroppo si
vanno spegnendo di crepacuore o tapinano per il mondo i migliori di
noi. Eppure deve esserci una redenzione. Nulla si tiene quaggiche
non sdruccioli e cada. Ma quando?

NOTE:
(1) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety, II, Praha 1925, pp'
88-89 e 94-95.
(2) Vladimir Holan, Lemuria (1934-38), in Babyloniaca, vol' IX di
Sebranspisy, Praha 1968, p' 269.

Parte seconda

69
Il 18 giugno 1621 il boia praghese Jan Mydl漙 ricevette l'ordine di
erigere un palco da supplizi per l'esecuzione di ventisette signori
cechi (nobili, cavalieri, borghesi), condannati a morte per aver
guidato la rivolta contro gli Absburgo (1) Al bagliore delle torce
la stessa notte i garzoni del boia si misero all'opera, costruendo
sulla Piazza della CittVecchia un palco alto quattro gomiti, lungo
e largo ventidue passi e recinto da una ringhiera di legno. Questo
theatrum fu unito con un ponticello a un balcone del municipio, che
faceva da sfondo, e ricoperto sino a terra di panno nero.
Alle cinque del 21 giugno, orribilissimo giorno nella storia boema,
i cannoni del Castello diedero il segnale d'inizio del nefando
spettacolo. Nella gocciolosa luce dell'alba dal buio morente
affiorava il theatrum, attorniato da due cornette di cavalleggeri e
tre compagnie di fanteria, che tenevano a distanza la folla. Avvolto
in un lugubre cappuccio, un garzone aveva piantato un alto crocifisso
dinanzi al ceppo, accanto al quale stava in attesa sua signoria
esecrabile il boia Mydl漙, con la spada snudata e la faccia dura come
una cotogna gelata. Nel vuoto spazio sotto l'impalcatura giin
precedenza, come in una cripta, erano state allineate le bare.
Sussiegosi, in abito nero, maggiorenti e scabini sedevano al balcone
del municipio: e tre di loro andavano su e gidal palco
all'edificio, per chiamare ad uno ad uno i condannati.
Per tutto il tempo dell'esecuzione rullarono fragorosamente i
tamburi e le trombe squillarono, perchla marmaglia non udisse i
gemiti e le ultime parole dei giustiziati, le cui teste spiccate dal
busto continuavano ancora per un attimo a palpitare sul tavolato
cosparso di sabbia. Sei ministri del boia, ovvero sei servi di scena,
gli holomci, in assise di panno nero, con nere maschere e nero
mantello, portavano giper la scala sotto l'impalcatura i cadaveri
tronchi, sicchil boia non toccnessuno degli infelici che con la
spada-mannaia toglieva dal mondo. 俊erribile teatro esclama
Da蟊ck nero palco, neri abiti, macabre maschere: la piazza, come
Machar afferma in una poesia, aveva un aspetto da VenerdSanto (2)
L'esecuzione durquattro ore, e il carnefice usquattro spade,
decollando, senza mai far cilecca, ventiquattro signori: a mo di
intermezzo, e come a concedersi un po di respiro, impicci
rimanenti: uno su una giustizia innalzata in mezzo alla piazza, due a
una trave sporgente da una finestra del municipio. Nella citata
poesia di Machar il manigoldo, la sera del 21 giugno, estenuato e con
le fauci secche, aspettando che la servetta gli porti una brocca di
birra dall'osteria 俠a rana verde racconta alla moglie i
particolari dell'esecuzione e si vanta cinicamente di aver troncato
le gole d'un solo colpo. Josef Sv漮ek invece discorre della
commozione, del rammarico, dei rimorsi di Jan Mydl漙 e sostiene che,
afflitto di dover trucidare patrioti cechi, egli indossnere spoglie
di lutto in cambio del consueto capperone di fuoco e si adoperad
attenuarne le sofferenze, decapitandoli con un solo fendente (3)
Sv漮ek intendeva di fare del manigoldo praghese una leggendaria
parvenza, simile a quella del boia parigino Charles Sanson, che
Pu毗kin defin哀virepyj figljar feroce pagliaccio (4)
Sull'esempio delle presunte memorie della famiglia Sanson che
abbracciano parecchie generazioni, egli inventtutta una dinastia di
Mydl漙i e ne scrisse (1886-89) i fittizi ricordi, imperniati
precipuamente sui crimini, sui processi, sui supplizi dell'etdi
Rodolfo II e della guerra dei Trent'Anni (5) L'idea generatrice di
questo tipo di rimembranze boiesche scaturisce dal fatto che i boia
potevano solo sposare figlie di boia e i figli di boia erano
costretti a seguire la sanguinaria professione del padre e le
famiglie di boia (咬ody katovsk飩) in Boemia, come in altri paesi,
formavano una singolare, compatta casta (6) Nelle memorie della
stirpe dei Mydl漙i, infarcite degli ingredienti di un vieto
romanticismo, le cruente vicende diventano lacrimosi pretesti di melo
filisteo e i carnefici appaiono teneri, sentimentali, reietti, e
quindi infelici.
Ma ancor prima di Sv漮ek, Josef JiwKol漷, nelle scene drammatiche
di Praeskeid (L'ebreo di Praga, 1872), si era spinto pioltre,
fantasticando che Jan Mydl漙 ricusaddirittura di giustiziare i
ventisette signori e che sul palco fu sostituito da un altro boia,
irriconoscibile sotto il rosso cappuccio (7) In questa tragedia,
folta di orrori, di iperboli, di forzature patetiche, di
maccheronismi da cavalocchi, Mastro Mydl漙 fugge da Praga con Rabbi
Falu-Eliab e con Verena, figlia del conte Thurn, il capo dello
sconfitto esercito ceco, che ha liberati dal carcere, e alla
frontiera slesiana impicca ad un albero il malefico persecutore
Pwib骿 Jen斁ek, ex unguentario, il quale ha avuto gran parte
nell'eccidio.
In realtJan Mydl漙, non solo effettule decollazioni e strinse i
nodi scorsoi, ma arricchil suo meticoloso lavoro di alcune
raffinatezze, prima del colpo finale mozzando a Ondwej 螿ik, a
Bohuslav z Michalovic, a Jiw骿 Hauen蟊ld e a Leander Rypl la mano
destra e al dottor Johannes Jessenius, rettore dell'universit
praghese, la lingua. Nella poesia Jessenius di Vrchiickciche pi
turba il dottore, giamico di Tycho Brahe e campione della galleria
di sognatori e bislacchi dell'etrodolfina, appunto questa
咨remenda amputazione(8): come asserisce Machar, 厚enosa era a
vedersi - la bocca insanguinata, in cui la lingua cionca - anelava di
parlare... Il cadavere acefalo di Jessenius non fu calato sotto l'impalcatura,
ma trasferito sullo spiazzo dinanzi a Horskbr滱a (la Porta per
KutnHora), dove il boia beccaio lo squartsotto il patibolo,
infilzandone i pezzi su pali. Prima di mezzogiorno Mydl漙 torn
all'infausto theatrum e raccolse in bigonci di ferro le teste di
dodici dei suppliziati, che portcoi garzoni sul ponte di pietra,
per esporle al ludibrio come larve ghignanti sul cornicione della
Torre della CittVecchia, sei di fronte a MalStrana, sei
dirimpetto alla chiesa cattolica del San Salvatore. Sulla testa del
conte 螿ik e del dottor Hauen蟊ld pose la mano destra recisa, sulla
testa di Jessenius la lingua.
Tranne quello del conte 螿ik, che nel maggio 1622 fu restituito
alla famiglia (9), gli altri teschi rimasero per un decennio sospesi
nei bigonci di ferro. Gli emigrati cechi, rientrati a Praga nel 1631
coi Sassoni protestanti, tolsero dalla torre i crani corrosi dalle
intemperie e con solennissime esequie li seppellirono nella chiesa di
T蓽 (10) Nel 1766, in quel tempio, venne alla luce una bara con
undici teschi, ma la gente diceva che, prima della ritirata dei
Sassoni (1632), quelle povere teste erano state inumate in un luogo
segreto nella chiesa evangelica del San Salvatore. E che ogni anno,
nella ricorrenza dell'esecuzione, sorgendo dal loro avello,
visitavano la Piazza della CittVecchia, per osservare l'orologio
astrologico di Mastro Hanu crucciati se, indizio di incombenti
sciagure, erano ferme le sue lancette (11)
cos il 21 giugno 1621, al centro di Praga, su un
theatrum-patibolo, fu recitata una delle piacerbe tragedie della
storia boema. Il manigoldo Jan Mydl漙, strumento della vendetta e del
perfido bigottismo di Ferdinando II, con le sue infallibili spade
suggellla disfatta e la sudditanza di questo popolo di ribelli e di
eretici. E percistrano che, nella nebbia degli anni, egli sia
divenuto, per distorsione romantica, un flebile eroe, un desolato,
costretto a compiere di malavoglia la strage. Ma io, contro tutti i
Mydl漙i che hanno infuriato e che infuriano ancora su Praga, non mi
stancherdi gridare: in ignem aeternum, in ignem aeternum!

NOTE:
(1) Cfr' Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, pp' 272-73;
Josef Sv漮ek, K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in Obrazy z
kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', II, pp' 202-4.
(2) Josef Svatopluk Machar, Ve蟌r Jana Mydl漙e v pond瘭21. 蟌rvna
1621, in Apo褾olov(1911)
(3) Josef Sv漮ek, Pam皻i katovskrodiny Mydl漙v Praze (1886-89),
Il, Praha 1924, pp' 201-248.
(4) Aleksandr Pu毗kin, O Zapiskabl Samsona (1830), in Polnoe
sobranie so柚inenij, VII, Moskva-Leningrad 1949, pp' 104-6.
(5) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 310-11;
id', Symbol kata a odsouzence v dile Karla Hynka M歊hy, in Realita
slova M歊hova, a cura di R' Greben斁kove O' Kr滎骿, Praha 1967, pp'
230-36.
(6) Cfr' Josef Sv漮ek, K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in Obrazy
z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', p' 142.
(7) Leggiamo Praeskeid nell'adattamento di Vladislav Van襁ra
(Praha 1959, con una nota di Franti蟌k G飆z), senza trascurare per
quello di AlePodhorsk(Praha 1947) Cfr' Ljuba Klosov Josef Jiw
Kol漷, Praha 1962.
(8) Jaroslav Vrchiick Jessenius, in Jnechal sv皻 jit kolem
cit'
(9) Cfr' Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, p' 279.
(10) Cfr' Josef Jan碭ek, Mald疀iny Prahy, Praha 1968, pp' 208-9.
(11) Cfr' Adolf Wenig, Starpov瘰ti 蟌skcit', pp' 15-16; Karel
Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 131-32.

70
Salito al trono imperiale nel 1612, Maty碭, che l'anno prima aveva
costretto il fratello Rodolfo II ad abdicare alla corona boema,
trasfera Vienna la sede dell'impero. A Praga frattanto cresceva la
tensione fra i protestanti e i cattolici. Per diversi indizi di
intolleranza temendo che venisse meno la libertreligiosa concessa
da Rodolfo II con la Bolla del 9 luglio 1609, i capi degli
evangelici, infervorati dal conte Thurn, deliberarono di passare
all'azione contro gli Absburgo. Il 23 maggio 1618 un piccolo gruppo
dei piradicali si reca chiedere udienza al Castello. Dopo scambi
di contumelie e di oltraggi, i protestanti gettarono a capofitto da
una finestra i due luogotenenti Jaroslav Bowita z Martinic e Vil鄉
Slavata col loro segretario Filip Fabricius. Nonostante l'altezza, i
tre rimasero vivi. Ormai non era pigiuoco di armeggeria, ma totale
rivolta (1)
Si formun direttorio di trenta membri, e il conte Thurn mise in
piedi un esercito di sedicimila mercenari, che sulle prime sconfisse
in leggere fazioni presso Pelhwimov e tra Vesele Lomnice le truppe
dell'imperatore, guidate dai generali Dampierre e Buquoy, e poi si
spinse sino ai sobborghi di Vienna. Ma l'indecisione e lo scarso
sostegno impedirono ai cechi di sfruttare il momento. E frattanto
inacetiva la birra dell'odio, si alzavano macchine di rissa e di
risentimento. Morto nel 1619 il malaticcio e irrisoluto Maty碭, gli
succedette il giovane arciduca di Stiria Ferdinando II, spigolistro e
inflessibile alunno di scuole gesuitiche, persuaso che fosse
un'offesa a Domineddio lo scendere a patti coi protestanti. Il 19
agosto la dieta di Praga privFerdinando della corona ceca, che pur
gli aveva elargita con leggerezza qualche anno prima, e acclamre di
Boemia il ventitreenne Federico, elettore del Palatinato, genero del
sovrano inglese Giacomo I e capo dell'Unione dei principi protestanti
tedeschi. Federico, che per la sua calvinistica fede era molto vicino
ai Fratelli Boemi, giunse a Praga alla fine di ottobre con la moglie
e la corte, e il 4 novembre fu incoronato re ceco.
Ferdinando II comincia fare apparecchiamenti grandi, per
sbarazzarsi di un pericoloso agli Absburgo regno evangelico proprio
nel cuore d'Europa. La Lega dei principi cattolici gli avrebbe
mandato un cospicuo esercito sotto la guida del bavarese duca
Massimiliano, indurato con lungo esercizio nel mestier della guerra,
il re di Polonia un reggimento cosacco. La Spagna, la Francia,
l'intera Europa cattolica, e persino il luterano elettore di
Sassonia, bramoso di annettersi la Lusazia, parteggiavano per
l'imperatore contro il re calvinista di Boemia. I protestanti
tedeschi, il sovrano inglese, l'Olanda, che pur caldeggiavano la
causa ceca, non avevano voglia di impegnarsi. Solo dall'avventuroso
principe di Transilvania Bethlen Gabor i cechi ottennero
accrescimento di truppe. Le trattative coi turchi non andarono in
porto.
L'equilibrio degli eserciti, che stavano a riscontro l'uno
dell'altro, fu dissestato, quando alle forze imperiali di Buquoy si
aggiunsero nel giugno 1620 i trentamila uomini della Lega cattolica,
condotti da Massimiliano e dal generale Tilly. Il conclusivo
combattimento tra i cattolici e i cechi, dei quali aveva il comando
Kristi滱 z Anhaltu, si svolse l'8 novembre 1620 su una collina
signoreggiante la capitale boema, alla Montagna Bianca (BilHora),
coschiamata per la marna gessosa che se ne cavava (2) Questa
battaglia, militarmente di scarso momento, fu per il resto d'Europa
un marginale episodio, ma per la Boemia una ingente catastrofe, il
crollo dell'antica gloria, l'inizio di una lunghissima declinazione
(3)
Poco dopo mezzogiorno, era una domenica, gli imperiali, esortati
dal fanatico frate carmelitano Dominicus a Jesu, attaccarono l'ala
sinistra dell'esercito ceco, gli squadroni di cavalleggeri del conte
Thurn. Sulle prime gli 前reticicontennero l'urto nemico, ma ben
presto, ricevuti rinforzi, gli imperiali li costrinsero a dar volta
indietro. In un battibaleno lo scompiglio della cavalleria che
arretrava si trasmise a tutti i reparti, e fu vana la carica del
giovane figlio di Anhalt, che per un istante riusca penetrare coi
suoi drappelli tra le file imperiali. Un reggimento dopo l'altro,
l'esercito ceco comincia disgregarsi sotto il maglio dell'armata
cattolica, inanimita dai primi successi. Non fu ritirata, ma fuga
sciolta, con abbandono delle armi e intralciamenti e pigia pigia.
Anche la cavalleria ungherese nettil campo in gran fretta dinanzi
ai cosacchi polacchi, che cavalcavano con le briglie tra i denti.
Solo una compagnia di fanti moravi resistette sino allo stremo e fu
sterminata. Alle due del pomeriggio la battaglia era spenta.
Il principe Anhalt, quando si avvide che non sortivano effetto i
suoi tentativi di ridurre sotto le insegne le genti sbandate ed
intimorite, torna Praga con un plotone di cavalleria. Fattosi
strada a fatica tra i carriaggi ammucchiati dinanzi alla Porta di
Strahov, galoppverso il Castello, abbattendosi in re Federico che,
assieme ai cavalleggeri della sua guardia, correva alla zona dei
combattimenti. Trattenuto a Hrad螮ny da un lunch in onore
dell'ambasciatore britannico, non fece in tempo ad entrare nel teatro
della battaglia. Praga brulicava di armati e si sarebbe potuta
difendere. Ma all'alba del 9 il 咬e d'invernopartper la Slesia
col seguito e con la famiglia, e gia mezzogiorno i protestanti si
arresero a discrezione a Buquoy e a Massimiliano.
Mentre a Vienna si celebravano messe solenni di ringraziamento e i
pulpiti scagliavano fuoco contro gli 前retici a Praga un tribunale
speciale, presieduto da Karel z Lichtensteina, condanna morte i
ventisette signori che, confidando nella clemenza, non erano fuggiti
all'estero. Per rimunerare i capitani che lo avevan servito,
Ferdinando II confisci beni dei ribelli fuggiaschi o caduti, dei
suppliziati e, dopo il farsesco 厚erdono generale quelli di
chiunque avesse favoreggiato il 咬e d'invernoCosun gruppo di
avidi speculatori e carrieristi e malefikanti (4) di varie contrade,
tra i quali Buquoy, Lichtenstein, Wallenstein, Marradas, concentr
nelle proprie mani patrimoni immensi. Nell'intento di riconvertire
con minacce e capestri l'intero paese al cattolicismo, Ferdinando II
perseguitluterani, utraquisti, evangelici, privandoli di ogni
diritto e scacciando dalle terre ceche i loro preti e predicatori, e
affidai gesuiti le scuole, l'universit la censura dei libri.
Migliaia di borghesi, di nobili, di artigiani, di intellettuali (e
tra gli altri Comenio) emigrarono, continuando ancora per qualche
decennio a lottare dall'estero col pensiero, con la congiura, con le
armi, arruolandosi nelle file dei sassoni, degli svedesi, di tutti
gli eserciti che guerreggiavano contro gli Absburgo. Fra le truppe di
Gustavo Adolfo, nel quale tante speranze riposero, v'erano interi
reparti di esuli cechi. E mentre la nobiltcattolica rimasta in
patria si germanizzava, attirata dalla corte di Vienna, il popolo
delle campagne, immiserito ed oppresso, rimase fedele alle tradizioni
evangeliche ancora per molti anni. Nei villaggi parecchi
persistettero nell'前resia alimentando la fede con la lettura di
vecchi libri di devozione, che nascondevano agli occhi dei missionari
gesuiti.
Dopo la Montagna Bianca e sino alla fine della guerra dei
Trent'Anni (1648) le terre ceche vennero taglieggiate da diversi
eserciti, che le imbrattarono coi loro stupri. Soldataglia venuta da
varie contrade corseggile campagne morave e boeme, uccidendo e
predando. Da蟊ckesclama: 俏on c'era nient'altro in Boemia che date
e prendiamo(5) Esasperati dalle scorrerie e dai saccheggi, i
contadini impiccavano agli alberi i soldati grassatori: e nelle
campagne annerite da incendi, tra le fumanti rovine, mercenari
pendevano dai rami come fantocci.
E' curioso che Praga, che dopo la Montagna Bianca non aveva
rintuzzato le truppe imperiali, nel 1648 tenesse testa agli svedesi
di K霵igsmark (6) Ma cisi spiega forse col fatto che gli svedesi,
anzichrecitare la parte dei liberatori, si abbandonarono anch'essi
ai saccomanni e ai soprusi. La pace di Vestfalia segnla fine delle
speranze nella rinascita del regno boemo, che tempeste di
moschettate, fulmini di artiglierie, depredamenti, soqquadri e
spaurita abulia avevano ormai convertito in diserta provincia. Praga
perdette l'antico splendore di residenza dei sovrani cechi: un triste
silenzio ingombrle sue strade di morte. Il Castello dei re boemi
restvuoto e muto, come reliquia di glorie preterite. Ebbe inizio
quel provvisorio, che continua ancor oggi.

NOTE:
(1) Oltre a Kamil Krofta, BilHora (1913) e Josef Pekaw, Bil
Hora, jejpw斁iny a n滻ledky (1921), cfr' Doba b瘭ohorska Albrecht
z Vald褾ejna, a cura di Jaroslav Proke Praha 1934; Josef
Poli蟌nsk Twicetiletv滎ka a 蟌skn漷od, Praha 1960. E anche
Kamil Krofta, D疀iny 蟌skoslovensk Praha 1946, pp' 389-407; Zden瘯
Kalista, Stru螽d疀iny 蟌skoslovensk Praha 1947, pp' 141-48; Josef
Jan碭ek, Mald疀iny Prahy cit', pp' 197-212.
(2) Cfr' Jan Dolensk Praha ve svsl潎i utrpencit', p' 559.
(3) Cfr' Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, p' 267.
(4) L'espressione si legge in Praeskeid di Josef JiwKol漷.
(5) Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, p' 294 (1623)
(6) Cfr' Jan Norbert Zato蟊l z Levenburku, Kronika obl逸滱Prahy
od 襒辜(1685), Praha 1914.

71
A molti visitatori stranieri la cittvitavina apparsa accigliata
e dolente, plesso di strade morte, occhio spento di una contrada
prostrata e assopita dal giorno della Montagna Bianca. Come se una
fittissima bruma indissipabile fosse calata sul suo corpo dopo quella
sconfitta.
In una fredda notte del 1822 Caroline de la Motte-Fouque, sotto la
bianca ostia della luna, arriva alla Montagna Bianca e si sente
gelare alla vista del luogo, in cui fu suggellato il destino del
popolo ceco, e il fragile velo di nebbia che avvolge il paesaggio le
sembra un soffiare di spiriti (1) Hanno sempre colpito i pellegrini
stranieri la fatiscenza di questa cittsenza gioia, imbronciata in
eterno, la sua desolata ed inerme passivitche stringe la gola, la
sua vedovile maestdi sovrana deposta, ed insieme il quattriduano
pallore, la rassegnata cupezza dei suoi passanti nelle strozzate
straduzze, letamaio di antichissime glorie (2) D'altronde gli stessi
scrittori di Praga, cechi o tedeschi, portano nel proprio sangue
fuligginoso l'angoscia di quella disfatta, la maledizione della
Montagna Bianca, il merore della Finis Bohemiae.
促raga! Praga! Tu cuore di pietra della mia patria! 咨erra
infelice, madre infelice!prorompe Karel Hynek M歊ha in una prosa
del 1834, esprimendo il malessere, il deperimento, l'oscuro sconforto
del popolo boemo, che non riesce a scrollarsi di dosso il maleficio
della disastrosa battaglia (3) 俟alite sulla Montagna Bianca - dir
Kar滻ek - e sentirete di non esser mai stati pivicini alla morte.
Di lontano vedrete la cittmorente, la tragica regina, Praga.
Perisce per esaurimento, e l'agonia che la estenua gida tre secoli
una ferita che non potrmai guarire. Quando qui, sulla Montagna
Bianca, malinconicamente ed a lungo sanguina il tramonto scarlatto e
laggi nell'azzurra conca che imbrunisce, Praga risuona di tutte le
sue campane, come se foste presenti a un grandioso requiem(4)
Come si attaglia a cosafflitto sfondo la definizione che Kafka
forndi se stesso a Gustav Janouch: 侵o sono una cornacchia, una
kavka 俟ono grigio come la cenere: una cornacchia che non vede
l'ora di scomparire fra i sassi(5) Ma anche 襒ejk partecipa di
quella tetraggine col suo umor nero, col suo ossessivo
chiacchiericcio da bettola, con le sue apocalissi, coi suoi manicomi.
Il collerico malumore di Rodolfo II, l'ipocondria degli alchimisti,
l'assenza di mare, il supplizio dei ventisette signori, la macabrit
del Barocco, la truculenza delle favole ebraiche: alle corte le
componenti generatrici del lugubre sottofondo di Praga sono col tempo
confluite nell'unico simbolo della Montagna Bianca. I fili della
mestizia della cittvitavina tutti si sono avvolti al rocchetto di
quella calamitlacrimevole.
Quanto all'assenza di mare, sentita dai cechi come strettoia ed
incentivo di struggimento, la Boemia ha un suo pelago solo nel
Racconto d'inverno di Shakespeare: il gentiluomo Antigono, venendo
dalla Sicilia per nave, approda a una plaga deserta della Boemia
(atto II, scena III) C'un personaggio di Jan Neruda, in uno dei
Racconti di MalStrana, il quale continuamente si cruccia che la sua
terra non sia bagnata dal mare. Anziano uditore in pensione, il
signor Ryb漙 (Pescatore) ha il codino ed indossa un cilindro
panciuto, un panciotto bianco, le scarpe di cuoio screpolato come il
tetto di un fiacre, candide calze fermate con borchie d'argento, nere
brache sino alle ginocchia, ed un verde frac dai bottoni d'oro, con
lunghe falde che battono sugli smagriti polpacci. Per la verde
marsina che lo agguaglia ai demoni acquatili del folclore boemo, per
il suo nome, per il suo assillante desiderio di mare la gente del
vecchio quartiere praghese chiama hastrman, omino delle acque, questo
podivin, questo bislacco. Quando egli apprende che le pietre raccolte
per tutta la vita non hanno alcun pregio, la sua delusione di piccolo
omino senza orizzonti coincide col disperato rammarico che Praga non
sorga su sponde marittime, trampolini di fuga e allargamento
dell'anima (6)
All'esercito ceco messo in fracasso sull'iniqua collina il Barocco
sostituirun altro esercito, una coorte di santi, di statue
esagitate che, nelle chiese fastose e sulle spallette del ponte,
fanno moresche e delirano, ansiose di cielo. Dalla convergenza tra il
lutto della Montagna Bianca e la drammaticitdel Barocco nasce il
particolare clima grottesco e febbrile della letteratura praghese,
ridotto di personaggi esaltati e chimerici, di fuori sesto, di omini
con tic, che diresti talvolta appendici alle carte di uno stralunato
tarocco.
Il depressivo ricordo della Montagna Bianca intride dunque le
pagine di molti scrittori praghesi, e cispiega perchin tanti
libri Praga appaia soprattutto notturna o intonacata di livida biacca
lunare. Quante volte Jakub Arbes, nei suoi 咬omaneta descrive le
buie, vuote strade di MalStrana, imbrodolate di pioggia, - le
straducole, in cui l'opaca luce dei lampioni a gas vacillati dal
vento suscita arcane siluette, che mettono i brividi. Ma specialmente
gli autori tedeschi ed ebraico-tedeschi inclinano a cogliere della
cittvitavina l'atmosfera accasciata, il deliquio, la putridezza,
ciche di essa scompare per il risanamento. La loro apprensiva
insularitdi creature attorniate da un mare slavo li spinge a
effigiare la capitale boema come uno spiritico e torvo scenario, ad
accrescerne l'ambiguitmistagogica, la sostanza spettrale. Penso al
romanzo Severins Gang in die Finsternis di Paul Leppin, dal quale
balugina una Praga aggricciata, sgomenta, con nebbie e agonia di
lampioni, e al racconto Beschreibung eines Kampfes (Descrizione di
una battaglia, 1904-905), in cui Kafka tratteggia la capitale boema
come una cittacherontea, come un'invernale Bruges vitavina: la
Moldava e i quartieri dell'altra riva erano avvolti nello stesso
buio. Alcuni lumi vi ardevano e luccicavano come occhi veggenti(7).
La vitava tiene bordone ai sortilegi di Prr-aga: come Meyrink
afferma, a un bietolone straniero pusulle prime sembrare possente
come il Mississippi, ma in realt怨 profonda soltanto quattro
millimetri e piena di sanguisughe(8)
Nel ritmo di Praga la lentezza di un'infinita masticazione
(quella di Gregorio Samsa che, nella kafkiana Metamorfosi, rumina per
ore intere un boccone tra le mascelle) (9), una sorta di nausea
secolare, di catatonia, risvegliata talvolta da sobbalzi e da impulsi
immediatamente stroncati. I visitatori hanno tutti notato questa
flemma infelice, la sorda costernazione, in cui essa invischia anche
gli estranei. Nel saggio La mort dans l'滵e Albert Camus ha reso con
vitrea luciditl'inquietudine, lo sconforto che infonde la citt rodolfina: 侯e me perdais dans les somptueuses 嶲lises baroques,
essayant d'y retrouver une patrie, mais sortant plus vide et plus
desesperde ce t皻e-t皻e decevant avec moi-m瘱e. J'errais le long
de l'vitava coup嶪 de barrages bouillonnants. Je passais des heures
demesur嶪s dans l'immense quartier du Hradschin, desert et
silencieux(10) Gide, nel Journal, con cadenza di antiche fanfare,
definisce Praga: 哉ille glorieuse, douloureuse et tragique(11)
Nelle contorte viuzze ammuffite, nelle chiese fastose, nei vecchi
palazzi ristagna ancor oggi il cordoglio della Finis Bohemiae,
l'amaro rancore di una civiltassiduamente interrotta dalle
ingerenze brutali di tracotanti vicini. I rari furori di Praga sono i
trasalimenti febbrili di una sonnolenza sorniona, fiammate di
effimera ebbrezza, cui seguono giorni e giorni di cenere, pesantezza
di luppolo, cancheri e crepacuori. Soffi di questa mestizia giungono
sino all'Ostbahnhof di Vienna, si sentono nell'acquoso squallore dei
vagoni spenti che aspettano di partire la notte per la perduta
Boemia, in certe scritte di quella stazione che, come messaggi di
barbagianni e civette, ripetono: 非er billige Verkauf geht weiter
俠a svendita continua
NOTE:
(1) Caroline de la Motte-Fouque, Erinnerungen (1823), cit' in M瘰to
vidim velikcit', pp' 203-4.
(2) Cfr' F' Gustav Kne (1857) e William Ritter (1895), cit' in
M瘰to vidim velikcit', pp' 384 e 454.
(3) Karel Hynek M歊ha, N潎rat, in Dilo cit', II, pp' 177 e 181.
(4) JiwKar滻ek ze Lvovic, Rom滱 Manfreda Macmillena, Praha 1907,
p' 133. Cfr' dello stesso il sonetto BilHora (1904), nel ciclo
Pasiflora, in Hovory se smrt Praha 1922, p' 32.
(5) Gustav Janouch, Colloqui con Kafka cit', p' 15.
(6) Jan Neruda, Hastrman (1876), in Povidky malostransk(1877)
(7) Franz Kafka, Descrizione di una battaglia, in Racconti cit', p'
11.
(8) Gustav Meyrink, Praha, in 蟌rnkoule, Praha 1967, p' 31.
(9) Cfr' Gaston Bachelard, Lautreamont (1939), Paris 1965, pp'
17-18: 俠a metamorphose de Kafka appara褾 nettement comme un 彋range
ralentissement de la vie et des actions (10) Albert Camus, La mort dans l'滵e (1937), in L'envers et
l'endroit, Paris 1958, p' 86.
(11) AndrGide, Journal 1889-1939: 5 ao 1934, Paris 1951, p'
1214.

72

(Scritto a Bruges)
L'incantesimo della Montagna Bianca ha fermato la cittvitavina
nel tempo, mutandola in arca e dispensa di antichi splendori, di
cimeli, di statue, di monumenti, ma anche di rognosi detriti, di ex
voto, di candelabri incrostati, di molle di arrugginiti orologi,
insomma in cittreliquiario. Praga dorme accucciata come una bestia
restia nel suo sfarzoso passato: pesanti cavalli da birrai vanno
indietro nei secoli verso un unico punto: la Montagna Bianca. E ahim
la sontuositdelle fabbriche non smorza il lutto: la bellezza delle
bende non balsamo delle piaghe.
Il protagonista del romanzo Gotickdu蟌 (Un'anima gotica, 1900) di
Kar滻ek si sente esausto ed inerme come la civiltboema, immedesima
la sua spiritata esistenza col funebrismo della cittvitavina, nido
di rancide glorie, albergo di un popolo che anneghittisce, stroncato
dalla malasorte. Al tramonto, ascoltando da Petwin i rintocchi di
chiese di etdiverse, gli sembra che il tempellare di tante campane
risusciti gli svariamenti e i disastri dell'infelice storia di Praga.
Quei colpi tetri e metallici, sonorizzando 剋li 幦brici dei tetti,
gli inclinati camini, le putride cornici delle finestre, le accecate
lastre di vetro, gli anneriti comignoli, gli sbriciolati cornicioni
risvegliano nell'aria immota del crepuscolo il musicale fragore degli
accadimenti passati (1)
Tutti i luoghi di Praga - afferma Kar滻ek nel Rom滱 Manfreda
Macmillena (Romanzo di Manfred Macmillen, 1907) - 哀ono impregnati di
passato. Si erge dinanzi a voi da ogni parte. Soffia su voi
dall'ombra verdognola di profondi giardini con alberi frondosi. Vi
avviluppa da un buio portale, dal fondo dell'andito di un palazzo. Vi
trovate in una vetusta cittche conserva l'anima dei suoi antichi
abitanti, la soffocante vicinanza tombale di coloro che vissero qui
in altri secoli(2) 俏on so nulla - dice Francis a Manfred nel
citato romanzo - del presente di questa citt Tutto ciche vi cerco
il passato. Se voglio avere da vivo le impressioni che avrebbero i
morti adagiati in cristallici armadi, se voglio guardare la vita come
attraverso il vetro della mia bara, vado a Praga: la sua atmosfera
oppressiva e pesante per la tragicitdi tutto ciche vi avvenuto.
Vedo Hrad螮ny, MalStrana, Piazza della CittVecchia e sento che
solo il Passato presente a Praga 隹 Praga tutto concluso e
compiuto: indifferente chi vi abiti adesso, com'indifferente chi
risieda in un vecchio palazzo in rovina, i cui proprietari si siano
estinti. Mi piace andare per Praga di notte: quasi a cogliere ogni
sospiro della sua anima. In rari istanti di repentina chiarezza mi
pare come se la gloriosa cittmorta si destasse, per tuffarsi di
nuovo nel triste, buio specchio della propria vanitesiziale(3)
In Ganymedes (1925), ldove J顤n Moller si reca a casa di Morris a
MalStrana, Kar滻ek annota: 侶ui nel profondo della vecchia citt
gli sembrche essi fossero gli unici esseri vivi, mentre le antiche
vie intorno a loro erano deserte. Qui il ricordo del mondo, del
presente era morto. Qui viveva soltanto il sentore del Passato e dei
suoi ridestati misteri(4)
Le passeggiate praghesi dei personaggi di questi romanzi offrono il
destro a Kar滻ek per adombrare l'effigie afflittiva della snervata
citt i cui superbi palagi incupiscono sotto i neri crespi dei
secoli (5), cittchimerica, trappola di arcani incontri, teatro
ferale, dove rullano ancora, velati di nero, i tamburi che
assordarono l'esecuzione dei ventisette signori. Manfred racconta:
erravamo per le vie nel crepuscolo e a notte, quando
nell'ingannevole luce lunare le dimensioni di tutte le cose crescono
in grandiosit Dai lungofiume e guardavamo la vitava, che scorre per
la cittcon un mesto, funerario sussiego, e la tetra siluetta del
Castello, dal quale soffiava malinconia come da un rudere. Il vuoto,
lungo edificio, buio come un carcere, aveva su noi un effetto
deprimente: vi era simboleggiata tutta la vanitdi questa terra
sopravvissuta alla propria gloria(6) Nel dramma Kr滎 Rudolf (1916)
dello stesso autore il sovrano, sporgendosi a lume di luna da una
finestra del Castello, invoca Praga: 哀arcofago... immerso nella
penombra... avviluppato nel mistero...(7). Il mito della Montagna
Bianca, nelle pagine di questo scrittore, si fonde con la propensione
tipica dei decadenti, dei dandies alle cittfantomatiche, morte.
Ma giprima di Kar滻ek, in The Witch of Prague (1891), Crawford
aveva messo in risalto la sepolcrale cupezza di Praga, viluppo di
viscose foschie e di fumea di carbone, dove regna un costante
pomeriggio cinereo, con rare vampate di stracco sole che stenta a
forare le nebbie dense come olio. Raggricchiata nel torvo torpore di
un interminabile inverno, catalessi di tomba, che ne fa quasi una
b鐼kliniana isola della morte, la metropoli ceca assume nel suo
romanzo un aspetto cimiteriale. 侶uesta citt- brontola Kyjork
Arabian - si addice ai vecchi. E' mestissima. Le fondamenta delle sue
case riposano su strati silurici(8) Nelle contorte viuzze sia
Crawford che Kar滻ek si abbattono in schiere di trafelati passanti,
che avanzano in abito di dolore, con andatura di automi, scambiandosi
solo sommessi bisbigli, in affannosi viavai di figure allungate dai
lunghi pastrani, con rigidi volti di salme, pifantasme fumose che
corpi reali. A questi passanti potremmo aggregare quelle larve che
vivono dopo la morte, quei revenants che fanno visita al poeta nei
versi holaniani. 俑a l'intera cittsi estende estinta, - come un
vuoto sepolcro giace Praga aveva cantato Karel Hynek M歊ha nella
stagione romantica. In M歊ha la luna stessa intrisa del lutto della
Montagna Bianca, e a questa fonte di desertitudine e desolazione
rimandano nelle sue carte parecchi motivi, tra i quali,
ostinatissimo, quello dell'冠rpa senza corde - appesa nella cripta
degli scomparsi padri 冠rpa di tempi antichi, - culla di dolci
suoni arpa dal 剋rembo cavo(9)
Il passato governa MalStrana. Nel racconto K霵ig Bohusch di Rilke
si legge: 雨ohusch continu - Io conosco la mia mammina Praga sin
dentro al cuore: sin dentro al cuore, - ripet come se qualcuno
avesse posto in dubbio la sua affermazione, - perchproprio questo
il suo cuore, MalStrana col Hradschin. Sta sempre nel cuore ciche
vi di pisegreto e, vede, vi tanto di segreto in queste vecchie
case(10) L'esotico Adrian Morris di Kar滻ek, passando per Mal
Strana, intuisce che potrebbero avverarsi 剃ose straordinarie nel
fondo di queste vecchie casee potrebbe venire alla luce ciche
sinora vi rimasto nascosto (11) La MalStrana dei racconti di
Neruda, ambientati nella metdel secolo scorso, coi suoi nobiliari
palazzi attorniati da orti, con le ampie chiese, con le strette
straduzze in salita verso il Castello, con le gialle lanterne
riflesse nelle pozzanghere, era un dormiglioso cantuccio di
provincia. E ancor oggi, del resto, guardate dal verde di Petwin e
dal Castello l'ammaliante conglomerato di 幦brici e altane e abbaini
e camini e comignoli e torri: sembra immerso il quartiere in un
altissimo sonno e come estraneo al brulichio della vita. Quelle case
sono ancor oggi, per dirla con Arno褾 Proch漘ka, 咬ifugi per anime
solitarie e scrigni per cuori abbandonati(12)
Nei giorni descritti da Neruda grossi miagolatori, rubicondi
gattacci si affacciavano tra i pelargoni dei davanzali, fili d'erba
spuntavano nelle straducole, panni disabitati e federe a righe e
fiorami, che il vento gonfiava, pendevano dalle finestre, piccoli
omini, per lo pipensionati, ingannavano il tempo a fumare la pipa e
a narrarsi storielle alle osterie o dinanzi ai portoni. Piccoli omini
bislacchi, figurette all'antica, partecipi della pensosit
dell'accidia dello spento quartiere. 俟embra che in nessun luogo -
afferma Oskar Wiener - vi siano tanti vegliardi come a MalStrana e,
poichi vecchi ripongono volentieri le mani nel grembo e rifuggono
la fretta smodata, una dolce contemplazione distingue l'intero
quartiere e sono particolarmente tranquille le sue strade(13) Qui
il melodioso fruscio del fogliame e le pietre e le araldiche insegne
sulle facciate: tutto rammemora un'esistenza remota e svanita. La
soavissima insegna dei Tre violini in via Nerudova (14) potrebbe fare
da emblema alla musicalitdepressiva di MalStrana. Con la musica
del suo silenzio, con la sua quiete, questo quartiere dilata ed
esaspera l'insicurezza, la ciclotimia della cittvitavina.
Perla, la capitale del Regno del Sogno (Traumreich) in Die andere
Seite (L'altra parte, 1909) di Kubin, cittfradicia, stigia, tinta
in berrettino e come avvolta di funebre crespo e pivecchia della
sibilla, un facsimile di MalStrana. 侵l cielo che vi si stendeva
sopra era eternamente fosco; il sole non splendeva mai, mai si
vedevano, di notte, la luna o le stelle(15) La nebbia solcata da
gialli guizzi di deboli fiammelle a gas, l'aria torbida e smorta, il
fiume Negro, sul quale essa sorge, scuro come l'inchiostro, i
fastellacci di case decrepite e l'epidemia di sonnolenza che assale
senza pieti suoi abitanti avvicinano questa opaca metropoli di
letarghiti, misto di fiochi riverberi senza alcun primo lume, alla
Praga luttuosa del Dopo-Montagna-Bianca.
青e qui me reste de Prague - afferma Albert Camus - c'est cette
odeur de concombres trempes dans le vinaigre, quon vend tous les
coins de rues pour manger sur le pouce, et dont le parfum aigre et
piquant reveillait mon angoisse...(16). Qui, a Bruges, ti ho
pensata, Praga. Lungo i canali putridi e sonnolenti, sui prati in cui
si assiepano stormi di cigni bianchi con una B sul becco, dinanzi
alle immagini di Memlinc, nella quiete del beguinage, nel Markt che
rammenta la dissipata albagia delle Fiandre, dinanzi alle
maisons-Dieu, in via dell'Asino cieco, sul Quai du Miroir, nelle
botteghe che ammucchiano candelabri e merletti e quisquilie di rame,
ti ho pensata, Praga, coi tuoi splendori di pietra e con le tue
cassapanche gremite di rugginosi rottami, coi tuoi cetriuoli in
aceto, il cui acre sentore provoca angoscia. Il marciume delle acque
lezzose di Bruges ha un'assai stretta parentela con la muffa di certe
tue viuzze nell'isoletta di Kampa, dove abita il gran pifferaio di
ombre e di larve Vladimir Holan.
Smarrito, spinoso come un cardo violaceo di Tich ho gettato una
corda funambola dalla Spagna fiamminga alla Spagna boema. Nei giorni
impregnati di malta attaccaticcia, quando l'umido verde dei polder
intorno stilla mestizia, quando le gotiche case di Bruges (che Hanu
Schwaiger riportnei suoi quadri) sono inquietanti come la
misteriosa Sibylla Sambetha dipinta da Memlinc, ho pensato ai tuoi
parchi, Praga, ai tuoi palazzi stregati, alle tue bettole, dove si fa
gran guasto di birra. Ho pensato alle sere in cui dai muretti di
Kampa guardavo la vitava, che con rabbiose spalmate di onde batteva
le rive, spaurendo i grossi ratti acquatili, uguali al sorcio di
chiavica che in una lirica di Holan rode e lacera Ofelia. Ho pensato
al gocciolio delle sere in cui, bambola sciocca di stoppa, la luna
giocava a rimpiattino coi castagni, cavalli dalla criniera di nebbia,
col verderame della cupola di San Nicola, con le torri del ponte.
Qui, a Bruges, come nelle tue strade sbilenche, io signor Rodenbabl y
Kar滻ek, ho sentito la malinconia di un orgoglio sepolto, di un
prestigioso passato, di una tramontata grandezza. Voi siete simili
nella vostra agonia, nell'umore feccioso, nella luce da Venerd
Santo, voi fradicie, voi detestabili, voi cittofelizzate. Di
lontano ho sentito il fischiettio con cui tu raccogli,
Praga-Josefine, il tuo avvilito popolo di topi.

NOTE:
(1) JiwKar滻ek ze Lvovic, Gotickdu蟌 cit', cap' X, p' 48.
(2) Id', Rom滱 Manfreda Macmillena cit', pp' 39-40.
(3) JiwKar滻ek ze Lvovic, Rom滱 Manfreda Macmillena cit', pp'
20-21.
(4) Id', Ganymedes cit', cap' XIV, p' 50.
(5) Cfr' ibid', p' 59.
(6) Id', Rom滱 Manfreda Macmillena cit', p' 111.
(7) Id', Kr滎 Rudolf cit', atto II, p' 39.
(8) Francis Marion Crawford, The Witch of Prague, trad' ceca cit',
pp' 34-35.
(9) Karel Hynek M歊ha, Dilo cit', I, pp' 125, 160, 168, 185.
(10) Rainer Maria Rilke, S鄝tliche Werke, IV, Frankfurt am Main
1961, p' 107.
(11) JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes cit', cap' XIX, p' 49.
(12) Arno褾 Proch漘ka, Kouzlo Prahy (1913), in Rozhovory s knihami,
obrazy i lidmi, Praha 1916, p' 97.
(13) Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten cit', pp' 91-92.
(14) Cfr' N' MelnikovPapou螶ov Domovnznaky a v蓯瘰n褾ity
praesk in Kniha o Praze, III, a cura di ArtuRektorys, Praha 1932,
pp' 128-45.
(15) Alfred Kubin, L'altra parte cit', p' 51.
(16) Albert Camus, La mort dans l'滵e, in L'envers et l'endroit
cit', p' 89.

73
Lo scrignuto Kyjork Arabian afferma che la metropoli ceca ha le
stesse sinuosite giravolte del cervello umano (1) In quelle
giravolte si acquattano case maligne, ricetto di spettri, macchiate
di pustole nere, carcasse di cartilagini. A MalStrana, al Castello,
nei ghirigori della CittVecchia resina liquefatta di ombre
appiccicose sgocciola lungo i muri decrepiti. Nella nerissima cera
delle nebbie si imprimono fatiscenti casacce dai grandi occhi
stralunati, dalla gola malata come Kafka. Non c'viaggiatore che non
abbia osservato la perfidia sorniona, la malsania delle case di
Praga.
Case spilorce che intisichiscono, rimbambite casacce dalla vista
babbuina, - e dentro le case viluppi di gallerie con ingorghi di
correnti d'aria, come nella tana kafkiana. Stanze in penombra su
viuzze strettissime, stanze intabarrate in pesanti tendaggi Secese
con frange, stanze linfatiche, mal pettinate, e coi pettini
abbandonati su tavole imbandite di tovaglie soffritte in brodo
lardiero. Stanze con specchi appannati, come se vi si fosse riflessa
una donna mestruata, con ritratti ovali di antenati in divisa
austro-ungarica, con cassapanche abbondanti di bombette e solini
duri, con trappole per i topi, topaie con abitanti lunatici, che nel
buio hanno capelli di stoppa fosforescente come pagliacci dei quadri
di Tich Corridoi guerci, soffitte ingombre di scarabattole, di
ventagli, di albi, di lumi a petrolio, ballatoi, cacatoi sui
ballatoi, serpentine e rompicolli di scale, ringhiere dalla gravit
oracolare.
Il poeta praghese Leo Heller ha cantato:
In meiner Heimat gibt es dunkle Gassen,@ die irr und eng sind und
wie traumverloren,@ und H酳ser gibt es, alt und l酺mverlassen,@ mit
blinden Fenstern und mit morschen Toren@ (2)
Ricordi, lettore, le catapecchie del ghetto nel Golem di Meyrink?
俘annicchiate l'una accanto all'altra come vecchi animali
neghittosi 冠ccatastate senza ponderazione剃ome erbaccia che
spunti dal suolo 剃on volti perfidi pieni di una malvagitsenza
nomeDi queste casupole Meyrink descrive la 哉ita perfida, ostile
la 匍imica appena percettibile gli 冠foni, misteriosi conciliaboli
notturni, i rumori che, scivolando giper i tetti, cadono nelle
grondaie, i portoni, 南ere fauci spalancateche, sebbene ormai prive
di lingua, sanno emettere gridi coslaceranti e coscolmi di odio
da infondere paura, i vetri delle finestre che, sotto la pioggia,
sembrano farsi 匍ollicci, opachi e bitorzoluti come colla di pesce
(3) Non meno insidiose di quelle del ghetto sono in Meyrink le case
di MalStrana tuffate in una raccapricciante Totenstille. 青'
un'aria sinistra in questo quartiere come in nessun altro posto al
mondo. Non mai chiaro e non mai compiuta notte. Un torbido, fioco
bagliore trapela da qualche parte, come una fosforescente caligine
cola gida Hrad螮ny sui tetti. Svolti in una straduzza e vedi solo
una morta oscurit ed ecco che dalla fessura di una finestra uno
spettrale raggio di luce ti punge come un ago maligno le pupille.
Dalla foschia affiora una casa con le spalle tronche e la fronte
rientrante e fissa priva di sensi dai vuoti abbaini il cielo notturno
come una bestia crepata(4) Meyrink ama paragonare le case praghesi
a torvi animali in agguato.
Allo stesso modo ci raccapricciano i nidi di sorci, le scorticate e
sbilenche e smaltate di zacchere case, che Kubin effiginel romanzo
Die andere Seite. Guai a costeggiarle di notte: dalle finestre
inferriate e dalle cantine filtrano gemiti soffocati, come se
nell'interno avvenissero strangolamenti e delitti. 侵 portoni si
spalancavano sul passante frettoloso come se volessero inghiottirlo
(5) Quando, alla fine, fra schianti di apocalisse, il Regno del
Sogno si va scommettendo, le case, arrampicandosi in un ubriaco
ammonzicchiamento che travaglia l'occhio, urlano tremendamente in un
loro linguaggio 卻scuro e incomprensibile(6) Da queste vedute di
linee pericolanti, da questi dislocamenti del vecchiume in rivolta,
da questa teratologia architettonica derivarono forse le sghembe
case, le oblique finestre dalle cornici distorte, le porte cuneiformi
del Caligari (7)
GiCrawford aveva adombrato la misteriositdelle fabbriche della
metropoli ceca, allogando la strega onorna nel palazzo 隹l pozzo
d'oro(俗 zlatstudn篕) in via Karlova e il bieco Kyjork Arabian
nell'edificio 隹lla nera Madre di Dio(俗 蟌rnMatky bo鳻 in via
Celetn Il ghiribizzoso palazzo 隹l pozzo d'oro adorno sulla
facciata di neri santi di stucco, protettori dalla pestilenza, fu un
tempo cittadella di spettri. Popelka Bilianov(1862-1941), fertile
manipolatrice di lacrimosi romanzi, sentine di Kitsch, scrisse che in
quella casa la scala tortile, avvolta da un alto muro, era cos
stretta che un uomo grasso l'avrebbe riempita tutta, senza lasciare
nemmeno uno spazio per un topo. Se ti si parava davanti un fantasma,
non saresti potuto sgusciare. E chisscome portavano in alto le
suppellettili e le cassapanche. I defunti li calavano gidalla
finestra. C'era un pozzo in cantina, la cui acqua, il VenerdSanto,
brillava di gialle pagliuzze. Nel suo fondo trovarono infatti
nascosto un gruzzolo d'oro. Accanto al pozzo vegliava, in forma di
bianco gomitolo bagnato, una serva che vi era annegata, attratta dal
luccichio del metallo abbindolatore (8)
Nulla traspira al di fuori di ciche accade dentro agli
scontraffatti palagi. Che accade nella tetra casa del 哀atana
persianoDr' Mohammed Darasche-Koh a MalStrana? 侵n una vasca di
vetro su un tavolino laterale nuotava in un azzurrognolo liquido una
pancia umana 勁a maniglia interna della porta era una mano umana,
ornata di anelli. - La mano del morto: le bianche dita aggranfiavano
il vuoto(9) In quella dell'egittologo Dr' Cinderella, anch'essa a
MalStrana, lussureggia una mostruosa vegetazione di piante
carnivore, disseminate di vene pulsanti e di 勇nnumeri bulbi oculari
con ripugnanti protuberanze in aspetto di more di rovo 俗rtai
contro ciotole piene di biancastri bocconi di grasso, da cui
crescevano amaniti muscarie, ricoperte di pelle vitrea. Funghi dalla
carne rossa che, ad ogni tocco, tutti insieme scattavano(10)
Agli interni di Meyrink assomigliano lo stambugio del vecchio
maestro in Ethiopsklilie (Il giglio etiopico, 1886) di Arbes,
gremito di scheletri, erbari, animali impagliati, preparati anatomici
(11), e il gabinetto di Kyjork Arabian, museo di salme mummificate.
In Ganymedes il laboratorio di Moller, medievale fucina stipata di
cianfrusaglie da solaio, pergamene cosparse di segni di cabala, libri
di devozione, misteriosi elettuari, ha sede in una 哀pelonca da
fattucchiere oltre Ko鍎we, presso il torrente Motol, dove L饖
avrebbe trovato l'argilla per il suo Golem (12) Nello stesso romanzo
Adrian Morris invece soggiorna a via Thunova, a MalStrana, alle
pendici del Castello, in una dimora un tempo abitata da un'amata di
Rodolfo II (13)
La letteratura praghese ci estenua con un florilegio di nere
casacce streghesche, sorgenti di maleficio. Leppin dice del suo
Severin che, quando guardava attraverso le palpebre socchiuse, le
case di Praga prendevano parvenze fantastiche: 亟ra colpa di questa
cittcon le sue buie facciate, col silenzio delle sue grandi piazze,
col suo morto ardore? Gli pareva sempre che lo sfiorassero invisibili
mani(14) Il pazzo eroe del romaneto di Arbes SvatXaverius (San
Saverio, 1878) dove poteva abitare se non in un'angusta bicocca di
MalStrana, in Umrl鍎 ulice (Via dei Cadaveri)? (15) E nel romanzo
Zvone螶ovkr滎ovna (La regina dei campanellini, 1872) di Karolina
Sv皻lche orrenda veduta le case e le chiese del lugubre Dobyt鍎 trh
(Mercato del Bestiame) che, nella notte 南era come terriccio tombale,
pesante come il coperchio di un feretro 哀embravano tumuli amorfi e
senza contorni precisi, confusamente ammucchiati l'uno sull'altro
勇n una sola mescolanza balzanaTra le altre case quella chiamata
俗 p皻i zvone螶欞 (Ai cinque campanellini), dal cui balcone
illuminato si stacca nel fittissimo buio un rosso solco, come una
traccia di sangue da un rosso sudario (16) A passarci vicino
nell'ora dei gufi, le gambe ti avrebbero fatto, o lettore, nicola
nicola. Non minore ribrezzo ci incutono nel romanzo Tajnosti praesk
(I misteri di Praga, 1868) di Josef Sv漮ek il Palazzo Bonneval a Mal
Strana, dalle finestre sempre serrate, avvolto da un folto giardino
che ne preclude la vista, percorso la notte da uno scheletro che si
lamenta, e il Palazzo Pachta a via Celetn arca di spettri e di
spiriti, con stretti rivolgimenti di buie scale lumache, immensi
spazi deserti e lunghissimi corridoi, di cui non si scorge la fine.
Che tane di sorci, che topica. In questa edilizia del malaugurio
hanno buon giuoco i vieti congegni, i banali orrori del tardo
romanticismo.
La decrepitezza ingigantisce il sortilegio delle case praghesi. Ne
fa fede la cupa Perla di Kubin, garbuglio di arcaiche casacce in
compassionevole stato, che il tiranno Claus Patera ha comprato in
Europa. Il Regno del Sogno un 亟ldorado per i collezionisti(17),
una congerie di ciarpame da tandlmark: 俟oltanto la roba usata pu
oltrepassare la porta(18), e anche gli abiti dei suoi abitanti sono
ridicolmente antiquati. Se la Innsmouth di Lovecraft esala sentore di
pesci e viscida alga e belletta, il tanfo di un 哀ottile miscuglio di
farina e di stoccafisso secco(19) si propaga per le strade di
Perla. piche una metropoli asiatica, Perla, coi cortili ammuffiti e
coi neri camini, con le mansarde recondite, e le scale a chiocciola,
e i tetti di legno o di tegole, e la moltitudine di bizzarri
comignoli, un cittadone da Mitteleuropa (20) Durante il flagello
della sonnolenza, quando una 匍alattia della materia inanimata
(前ine Krankheit der leblosen Materie (21) copre di crepe e di
ruggine le case e le cose e i muri vanno tombolando a pezzi a pezzi,
anche nello sfacelo del vecchiume si avverte un riferimento
specificamente praghese.
Dell'architettura inquietante della cittvitavina sono illustri
esempi le afose e malconce casacce del Processo kafkiano. Tipica
barabizna praghese, collusione tra un sordido casamento operaio e una
catapecchia del ghetto, intrico di scale buie, corridoi soffocanti,
ballatoi, sgabuzzini, il tribunale a cui Josef K' vien chiamato il
mattino di una domenica. Il quartiere in cui sorge quel palazzaccio,
insieme fondaco e ufficio e lavanderia, con le botteguzze sotto il
livello delle strade, le finestre piene di materassi e gli inquilini
che si parlano dai davanzali, tiene del proletario quartiere di
E'i鋘ov e a un tempo della Cittebraica. Altrettanto praghese, con
le sue strette scale senza spiragli e sulle scale una frotta di
ragazzine petulanti, il casamento, il 蟊n魤k, di sporco sobborgo,
nella cui soffitta risiede l'imbrattatele Titorelli. E qui si
potrebbe discorrere a lungo della stantia pragheitdella stanza a
pigione abitata da Josef K' Ma anche l'America kafkiana rimanda a
Praga: pensiamo al casamento con innumere rampe di scale e
pianerottoli e scale e balconi e anditi e scale, in cui vive, in una
camera ingombra di armadi e di roba vecchia, su un canap in veste
rossa e grosse calze di lana bianca, l'ambigua cantante Brunelda.
Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, Franz Kafka torna a via
Celetn(Zeltnergasse) a casa sua, con bombetta, vestito di nero. Le
case stesse, in cui Kafka abitcon la propria famiglia attorno alla
Piazza della CittVecchia, avevano tutte sostanza arcana: in specie
la casa 俚u den Heiligen Drei K霵igenin via Celetnn' 3, dove egli
visse dieci anni dal 1897, vetusta costruzione addossata alla chiesa
di T蓽, dalla quale, per un finestrone a trafori, si spandono nel
quadrato cortile, buio pozzo con ballatoi, suoni d'organo e cori e
odore di incenso (22) Ancor oggi, la notte, Jaroslav Ha蟌k, in
qualche taverna, proclama ironicamente ai compagni di baldoria che
ogni radicalismo dannoso e che il sano progresso puesser
raggiunto soltanto nell'obbedienza. Anche su Ha蟌k ebbero influsso le
case praghesi. La sua bisognosa famiglia si trasferiva continuamente
di tugurio in tugurio: egli trascorse l'infanzia e l'adolescenza in
umide, fosche come febbri quartane stamberghe, assordate dagli urli
dei ragazzini in cortile e dalle instancabili ciarle delle comari sui
ballatoi. Fu forse lo strazio di quelle strettoie giovanili,
l'oppressione di quelle miserabili stanze a destare in lui una
smodata brama di vagabondaggio (23)
Dunque: case lebbrose, stamberghe dall'aria pesante, pietre lisce
come pezzi di grasso (24), palazzi che portano impresso un lutto che
non si purisarcire con le lacrime, case che strusciano anche da
lungi, come oggetti di insonnia, il muso contro le nostre mani. E
percicitt dove si ha assidua coscienza dei muri che imprigionano
e che non lasciano spiragli, sebbene, come dice Paul Adler, vi siano
匍uri tra i quali abbastanza spazio per l'ignoto剃ase tra le cui
fronti spazio per carrozzelle e cortei di pazzi(25) Una nera,
sconfinata muraglia recinge il Regno del Sogno, la cui porta 哎n
enorme buco nero(26) Kafka ha descritto la costruzione saltuaria e
incoerente della muraglia cinese, movendo forse da quel sentimento di
angustia e di reclusione che frequente negli scrittori praghesi. I
muri come orrende lavagne sbreccate della fatiscenza, come enigma,
come 匍alinconia di brecce nel prodigioso(27), come incubo
ricorrono nei poeti e pittori del Gruppo 42, nella creazione di Orten
e in quella di Holan.

NOTE:
(1) Francis Marion Crawford, The Witch of Prague, trad' ceca cit',
p' 38.
(2) Leo Heller, Prag, in Deutsche Dichter aus Prag, a cura di Oskar
Wiener, Wien-Leipzig 1919, p' 137: 俏ella mia patria strade scure
sono,@ strambe e strette e come trasognate,@ cieche finestre e
fracidi portoni,@ hanno le vecchie case abbandonate@ (3) Gustav Meyrink, Der Golem cit', cap' Prag.
(4) Gustav Meyrink, Die Pflanzen des Dr' Cinderella cit'
(5) Alfred Kubin, L'altra parte cit', p' 92.
(6) Ibid', p' 272.
(7) Cfr' Lotte H' Eisner, L'嶰ran demoniaque cit', pp' 24-30.
(8) Popelka Bilianov U 俚latstudn篕 (1904-905), in Podivuhodn
pwib璡y ze starPrahy, a cura di Karel Krej鍎, Praha 1971, pp'
200-4.
(9) Gustav Meyrink, Das Pr鄡arat cit'
(10) Id', Die Pflanzen des Dr' Cinderella cit'
(11) Jakub Arbes, Ethiopsklilie (1886), Praha 1940, pp' 132-35.
(12) Cfr' JiwKar滻ek ze Lvovic, Ganymedes cit', cap' XIX, pp'
66-68.
(13) Cfr' ibid', capp' VI, p' 21, e XI, p' 40.
(14) Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis cit', pp' 8-9.
(15) Jakub Arbes, SvatXaverius (1878), Praha 1963, p' 25.
(16) Karolina Sv皻l Zvone螶ovkr滎ovna (1872), Praha 1950, pp'
7-8.
(17) Alfred Kubin, L'altra parte cit', p' 76.
(18) Ibid', p' 40.
(19) Ibid', p' 74.
(20) Cfr' ibid', p' 147.
(21) Ibid', p' 198.
(22) Cfr' Emanuel Frynta, Franz Kafka lebte in Prag cit', p' 80.
(23) Cfr' Radko Pytl骿, Toulavhouse (Zpr潎a o Jaroslavu Ha螶ovi),
Praha 1971, pp' 55-56.
(24) Gustav Meyrink, Der Golem cit', capp' Frei e Schiuss.
(25) Paul Adler, N鄝lich, in Das leere Haus cit', p' 174.
(26) Alfred Kubin, L'altra parte cit', p' 44.
(27) Vladimir Holan, Zed', in Na postupu cit', p' 69.

74
Chi frequenta la letteratura praghese, avrl'impressione che i
suoi personaggi siano gregari delle architetture, supplemento
dell'edilizia (1) e come lunatiche larve si stacchino dai muri dei
palazzi e delle casupole, dalle navate di pingui chiese barocche,
dalle 勁arghe pagine dei tetti(2) Le chiese assumono un madornale
risalto nel Logos della cittvitavina. 俟i dice che vi siano qui
tante chiese quanti sono i giorni dell'anno. Per questo aspetto Praga
puquasi rivaleggiare con la stessa Roma(3)
Di quegli edifici, seguendo l'esempio dei decadenti, che tanto
hanno concorso a comporre l'immagine magica della metropoli boema,
osserveremo, non tanto la grandiositarchitettonica, quanto la
lugubre attrezzeria, l'umida oscurit la muffita antichezza. Kar滻ek
tramuta ogni chiesa in un mesto panoptikum: indugia sulla putrescenza
dei fiori dinanzi agli altari, sul deliquioso languore delle statue
di cera, circoscritte da lucide vesti di seta gualcite, sul legame
tra la penombra malata dei santuari praghesi e il corrotto della
Montagna Bianca. Nello scenario di quelle chiese esaltando la
corruzione del corpo, i chiaroscuri, lo spasimo della santit la
voluttdel martirio, i decadenti non fanno del resto che dilatare le
predilezioni del Barocco, categoria costante di Praga. Se le balza il
capriccio di esser bizzarra, la cittvitavina non si risparmia nelle
trovate barocche: inventa il convento delle barnabite a Hrad螮ny, con
la chiesa di San Benedikt, dove le monache adorano la mummia annerita
della beata Elekta, scolpisce a Loreta la statua di Santa Starosta in
croce, con vesti sfarzose ma con barba d'uomo (4), e nella chiesa di
San Jiw a Hrad螮ny, se le balza il capriccio, l'atroce statua di
Santa Brigitka, putrido frale di rospi, cencri, lucertole (5)
Della funebrit del malanimo, della demenza, che Kar滻ek avverte
nei templi praghesi ci forniranno lo specchio due brani del Rom滱
Manfreda Macmillena. A San Jindwibl le statue d'oro di un altare
冠vevano l'aria di fantasmi catalettici, usciti da tombe e stregati
in pesanti, materiali parvenze. Presi a tremare, colpito dalla loro
agghiacciante, grottesca spettralit La percezione del morbido
orrore attizznel mio intimo arcani rapporti con gli esseri che
erano qui marciti, sotto il pavimento del tempio e all'intorno, nel
camposanto da tempo abolito(6) A San Jakub: 俊utti questi
malinconici oggetti, che ho sinora guardato col diletto di un
antiquario, hanno una smorfia beffarda. Cristo mi guarda fisso
dall'armadio invetriato. Alcune cadaveriche effigi si avvivano nelle
cornici dei reliquiari, alcune ossa e tibie mi minacciano, come se mi
volessero attanagliare e strozzare. Tutto ora crudele e grottesco.
Tutto sembra stravolto e concepito da un pazzo...(7).
Con ancor picupezza Kar滻ek ha espresso la misteriositdei
santuari della metropoli boema nel romanzo Gotickdu蟌 (Un'anima
gotica, 1921) L'eroe, estremo rampollo di un'antica famiglia di
nobili, molti dei quali son finiti pazzi, un ipocondrico, ossia un
rodolfino: ha paura di impazzire anche lui (e impazzirdavvero,
morendo in un manicomio) Arroccato nella sua solitudine, crede che
occhi malvagi lo bracchino, considera ogni uomo un nemico. Non c'
cosa pigoliosa al mondo per quest'冠nima goticache sentire aroma
di incenso, tanfo di fiori sfatti, e vedere 剎are di vetro sopra gli
altari con dentro imbalsamati cadaveri(8)
Soprattutto lo attira il convento delle barnabite (le carmelitane
scalze), che vivono come ottusissime talpe nel buio della mistica
reclusione. Questo chiostro funereo a Hrad螮ny era avviluppato in
leggende di farnetica immaginazione (9) Si narrava che ogni novizia,
prima di prendere i voti, dovesse sfilare a mezzanotte l'anello dalla
mano grinzosa dell'orrida mummia della beata Elekta. Nelle cerimonie
si udivano, come dai gorghi di un baratro, le salmodianti voci delle
sepolte vive. E ai fedeli pareva di scorgere sfarfallio di occhi
inquieti dietro le rugginose inferriate. 亮li altari si levavano come
informi catafalchi sepolcrali(10) 俟olo l'altare maggiore, coperto
di ceri appicciati sotto l'effigie di Santa Teresa, esausta ma
fervida di devozione dinanzi a Cristo, splendeva come una grande
piramide di luci liquefatte nel mercurio d'oro. Raggiava come un
immenso castrum doloris(11) Quella chiesa scombuia Anima Gotica,
lo toglie di senno. L'ormai smidollato motivo delle basiliche morte e
inquietanti acquista nuovo sapore dalla connessione col mito di Praga
spenta e tombale.
Sul tema delle barnabite si impernia anche una lambiccata novella
di Julius Zeyer: Tereza Manfredi (1884) La principessa Manfredi, che
il pittore Benedikt ha respinta, si ritira in quel chiostro, e la
notte, nella verdognola luce lunare, incede sonnambula per le creste
tortuose dei tetti verso lo studio di lui, che fiancheggia il
convento. Benedikt ora avvampa d'amore, ma troppo tardi: Tereza
morirsotto il velo durante la monacazione. Anche queste di Zeyer
sono parvenze generate dall'architettura praghese, larve che emanano
da quel 勁abirinto di tetti anneriti, superbe torri e maestose
cupole(12)
Nel romaneto SvatXaverius Arbes racconta del pernicioso potere di
un quadro di Franti蟌k Xaver Balko nella chiesa di San Nicola a Mal
Strana, - quadro che raffigura san Francesco Saverio morente su rozza
stuoia in nero saio, in riva al mare. Chiuso dentro la chiesa
deserta, di notte, un giovane esaltato a nome Xaverius, anche lui
della stirpe dei rodolfini, dal viso identico a quello del santo,
come se fosse servito di modello al pittore, indaga disperatamente
l'enigma nascosto nella tela. E dopo lunghe ricerche e maceranti
misurazioni, scopre nel quadro una trama di punti che, rapportata
sulla pianta di Praga, indica l'itinerario dalla casa in cui visse
Balko alle vigne di Malvazinka, oltre Smichov, dove dovrebbe trovarsi
occultato un tesoro. Una notte Xaverius vi si reca a scavare assieme
al narratore. Ma uno zolfanello, cadendo nell'erba, incendia pezzi di
realg漷, e nella gialla luce sinistra che si sprigiona credendo di
scorgere l'accigliato fantasma del santo, Xaverius fugge atterrito.
La scatola di latta, che riuscito ad abbrancare, contiene soltanto
minerali di nessun pregio. Qui il maleficio della pittura barocca e
dei crittogrammi dei quadri si amalgama col tema del diavolismo
gesuitico, fortissimo nella letteratura di Praga, e con la stregheria
della chiesa notturna, granaio di fantasime.
Le chiese attraggono imperiosamente i personaggi morbosi della
narrativa praghese. Del suo Severin dice Leppin: ..qualcosa lo
spingeva sempre a indugiare nel buio degli altari laterali, dove le
statue stavano austere dentro la nicchia e dove la luce perenne
ardeva in un rosso bicchiere(13) E non da passare senza un
accenno il rilievo che il duomo di San Vito ha nel Golem di Meyrink,
il cui eroe, avendo scambiato nella cattedrale praghese il proprio
cappello con quello di uno sconosciuto, percorre come in un sogno la
vita di Athanasius Pernath, 勇l pifine intagliatore di gemme che vi
sia oggi(14) In un romanzo, nel quale i pigran ghiribizzi del
mondo sono messi in opera, non poteva mancare il numero magico e
insieme clownesco dello scambio di cappelli, e per giunta nello
spazio di una cattedrale. Del resto Meyrink osserva San Vito col
morbido lume, col flou consueto alle descrizioni di chiese nella
letteratura di Praga. 俠'altare d'oro splendeva nell'immobile quiete
attraverso lo sfavillio verde e blu della luce morente, che dalle
finestre a colori cadeva sugli inginocchiatoi. Scintille sprizzavano
da rosse lampade di vetro. Odore avvizzito di cera e di incenso
(15)
Nella chiesa madre della diocesi boema si svolge il racconto di
Neruda Svatov歊lavskm蟌 (La messa di San Venceslao, 1876) L'autore
vi rievoca la notte che, sagrestano di nove anni, infreddolito,
spaurito, tremante, nel dormiveglia, trascorse nella cattedrale, per
assistere a un'immaginaria funzione officiata da san Venceslao. Con
sbattimenti e con ombre contornate e taglienti sono da Neruda
risuscitate l'orriditdella chiesa notturna, la malia dei suoi
arredi e delle sue statue nel buio: sulle colonne e sugli altari
come se fossero appesi gli azzurri drappi del VenerdSanto, con le
loro lunghissime strisce avvolgendo ogni cosa in un'unica tinta o
piuttosto in una stinta monotonia(16) E qui mi cade ottimamente in
acconcio il ricordare la grande sequenza del Processo kafkiano nella
sceneria di San Vito, - sequenza, in cui la glabra scrittura,
invetriata di un sottilissimo lustro causidico, sembra riflettere la
sostanza cristallica della cattedrale.
Il tempo pessimo (un giorno umido, freddo, nebbioso, che quasi
notte), il buio del duomo impresso soltanto del luccichio di un
剋rande triangolo di candelesull'altare maggiore, la vuota vastit
soffocante, il pulpito angusto come una nicchia: tutto questo
raccorda il brano kafkiano alle precedenti descrizioni di chiese
suscitatrici di angoscia nella letteratura praghese. Vi sono in
realtsorprendenti analogie con quelle scene del romaneto arbesiano
SvatXaverius, che avvengono nel chiaroscuro della basilica di San
Nicola (17) Ad accrescere l'arcanit nel Processo interviene la
parabola del guardiano della legge e dell'uomo di campagna, narrata
dal prete a Josef K' Ma qualcosa di simile si trovava anche in
Arbes: nella fosca chiesa, allucinato, Xaverius intravede un
mostruoso omuncolo dalla testa grossa, che ha il volto del pittore
Balko: costui, arrampicatosi sopra un altare, arringa con frasi
sconclusionate due donne in gramaglie: la nonna e la madre di
Xaverius. Ma si tratta soltanto di vaghe corrispondenze dovute al
comune humus di Praga. D'altronde il guardiano della parabola, 南ella
sua pelliccia, con quel gran naso a punta e la lunga barba nera alla
tartara(18), sembra tratto dall'arsenale di Meyrink.
Dopo tanti esercizi di spiritismo, che smania di Tanztavernen, - ma
mi resta ancora da aggiungere qualcosa al tema delle cattedrali,
sebbene il sostare nei freddi templi, in questi umidi giorni,
peggioreril mio raffreddore. Oppressiva ricorre negli scrittori
praghesi l'immagine spagnoleggiante del crocifisso, tetro viluppo di
trafitture e di membra stracciate, fontana di vivo sangue, parvenza
medianica e insieme sorgente di raccapriccio. Due esempi da Kar滻ek.
Nella chiesa di San Jindwich: appena il mio sguardo si affis
sulla croce appesa al muro, di colpo sentii alle mie spalle la
presenza di un essere vivo. L'orrore mi invase - perchora anche la
croce che stavo guardando assunse aspetto spettrale: non pendeva dal
muro, ma era sospesa nel buio(19) Nel chiostro delle barnabite:
侵l grande Cristo coperto di piaghe sanguinanti, che splendevano
nelle tenebre come incandescenti segnali mistici, scese ora dai
bracci della croce e si avvilentamente all'altare(20)
Sopra il letto della bacchettona Nepovoln nel citato romanzo di
Karolina Sv皻l pende un enorme crocifisso di rozza fattura, con una
corona di spine d'oro sul capo e grossi granati incastrati nelle
cinque piaghe (21) Nel romaneto Sivookd鄉on (Il demone dagli occhi
cenere, 1873) Arbes tratteggia un terrifico crocifisso annidato come
un cattivo feticcio in un palazzo di MalStrana: un Cristo riottoso,
inselvatichito, scontorto come uno storpio, con grumi di sangue nero
come carbone e come ulcerato dalle pustole della peste (22) Il
capriccio di un dipintore non avrebbe saputo fingerlo pi
spaventevole. Il sacro attrezzo su cui fu spento Nostro Signore
diventa motivo precipuo in un altro granguignolesco e negricante
romaneto arbesiano: Ukwieovan(La crocifissa, 1878) La mente del
giovane protagonista di questo ordito di orrori, compagno di scuola
del narratore, stravolta dalle iterate apparizioni di un
crocifisso, che ha un sembiante muliebre deturpato da una foltissima
barba nera. Quel sembiante corrisponde all'effigie di una fanciulla
ebrea di Tarn饖 crocifissa dai contadini polacchi in rivolta e alla
barbuta santa Starosta in croce che si ammira in Loreta. Demone
suscitatore di questi deliri il deforme e di ceffo babbuino
catechista Schneider, che coi suoi allucinanti ricordi ha ottenebrato
l'animo del ragazzo. Torbidiccio pastone, in cui si frammischiano
golgota e tricofilia e zolfo di ignee visioni e lividori di carni
trafitte e demenza.
Il tema della croce governa le Twi legendy o krucifixu (Tre
leggende sul crocifisso, 1895), e in specie quella praghese dal
titolo Inultus, di Julius Zeyer. Vent'anni dopo la Montagna Bianca.
Sul ponte si affollano mendicanti, straccioni, malati, simbolo della
sofferenza e della miseria boema. Tra gli altri Inultus, un giovane
poeta dai capelli alla nazzarena. Afflitto per la decadenza della
patria oppressa, egli non riesce pia scrivere: 南ell'agonia di
questa terra si era ammutolito il suo genio, e ogni individuo vivente
in quel periodo era torpido, inebetito, impietrito come lei stessa
(23) L'altezzosa e impassibile scultrice Flavia Santini di Milano,
passando una sera sul ponte, si accorge di Inultus e lo invita nel
suo palazzo a Hrad螮ny. Sta lavorando ad un grande Cristo d'argilla e
vuol dare al volto l'autentico spasimo di un uomo che lotti con la
morte. Sceglie Inultus a modello, legandolo nudo alla croce. Per
giorni e giorni il poeta pende, assetato, affamato, dall'orrido
legno. La crudelissima Flavia gli tagliuzza la faccia, gli attorce
attorno ferocemente le corde, gli conficca sul capo una corona di
spine, e alla fine gli immerge un pugnale nel cuore. Solo ora,
vedendo le estreme contrazioni del suo modello, il terminale
tormento, puimprimere l'ultimo tocco al sacro fantoccio. Poi,
impazzita, si impicca.
Zeyer allude diagonalmente in questa leggenda alla spasmodica
drammaticitdelle statue barocche, al fulgore dell'arte barocca
nella Boemia morente e, traendo spunti messianici dal paragone tra la
Passione di Nostro Signore e il calvario del popolo ceco, collega
l'orrore della crocifissione con lo sfacelo della Montagna Bianca.
Inultus, l'Invendicato, si illude di riscattare la terra natia
martoriata e lutosa di sangue, salendo la croce, provando i patimenti
di Cristo, come se per ontologia qualsiasi crocifisso dovesse mutarsi
in un redentore. All'atrocissima storia fa da sottofondo la musica
lugubre della vitava, 剋rande, tragico pianto di Praga, che giace ai
piedi del tetro Castello come un'incatenata sovrana(24)

NOTE:
(1) Cfr' Vojt瑿l Jir漮, Hlas Prahy c 蟌sk鄉 pisemnictv in
便ritickm瘰斁n骿 1941, 2.
(2) Vladimir Holan, Mladost, in Triumf smrti (1930), ora in Jeskyn
slov (Sebranspisy, I), Praha 1965, p' 14.
(3) Ingvald Undset (1810), in M瘰to vidim velikcit', p' 175.
(4) Cfr' Arne Nov毾, Praha barokn(1915), Praha 1947, p' 33.
(5) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', p' 300.
(6) JiwKar滻ek ze Lvovic, Rom滱 Manfreda Macmillena cit', p' 124.
(7) Ibid', p' 30.
(8) Id', Gotickdu蟌 cit', cap' I, p' 13.
(9) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', p' 205.
(10) JiwKar滻ek ze Lvovic, Gotickdu蟌 cit', cap' VI, p' 35.
(11) Ibid', p' 31.
(12) Julius Zeyer, Tereza Manfredi (1884), in Novely, Praha 1947,
p' 291.
(13) Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis cit', p' 100.
(14) Gustav Meyrink, Der Golem cit', cap' Weib.
(15) Ibid', cap' Schnee.
(16) Jan Neruda, Povidky malostranskcit', p' 187.
(17) Cfr' Karel Krej鍎, Franz Kafka a Jakub Arbes, in 促lamen
1965, 2.
(18) Franz Kafka, Il Processo cit', pp' 327-28.
(19) JiwKar滻ek ze Lvovic, Rom滱 Manfreda Macmillena cit', p'
125.
(20) Id', Gotickdu蟌 cit', cap' XXIII, p' 97. Cfr' anche cap' VI,
pp' 31 e 35.
(21) Cfr' Karolina Sv皻l Zvone螶ovkr滎ovna cit', p' 25.
(22) Cfr' Jakub Arbes, Sivookd鄉on (1873), in Romaneta, I, Praha
1924, p' 7.
(23) Julius Zeyer, Inultus, in Legendy, Praha 1949, p' 294.
(24) Julius Zeyer, Inultus, in Legendy cit', p' 299.

75
Cala di demonia, ricettacolo di neri e tossici spiriti era il
Mercato del Bestiame (Dobyt鍎 trh), oggi Piazza Carlo: solitudine
immensa, sottesa da labirinti di catacombe, nella quale davano la
mala Pasqua baracche di ciarlatani, sozze e cascanti cas躦ole, la
casa di Faust, la cappella del Corpus Domini, la chiesa gesuitica di
Sant'Ignazio, e al centro un misterioso macigno con una croce (1) Su
quel masso avvenivano esecuzioni abusive (2): il boia troncava le
teste appoggiate alla pietra, e le salme cadevano per una botola gi
nell'intrico di anditi arcani, celle per i supplizi, covi di
cospiratori, cubicoli in cui si muravano vivi i condannat dai
tribunali segreti.
Nel romanzo Tajnosti praesk(I misteri di Praga, 1868) di Josef
Sv漮ek gli affiliati alla societcarbonara 俑lad蟌chie(La
giovane Cechia) si riuniscono in quei sotterranei meandri, ingombri
di scheletri, e uno di essi, il medico Ludv骿, vi trova addirittura
le ossa della propria madre, che vi fu incarcerata da sgherri in
maschera (3) Le storie praghesi sono sovente tuffate nel buio di
ipogei: e perciin un burlesco romanzo di Svatopluk 蟌bl il birroso
filisteo signor Brou蟌k vaneggia di averne attraversati parecchi
sotto l'osteria Na Vik漷ce durante il suo chimerico viaggio nel XV
secolo (4) Karel Chalupa racconta di un bottaio che aveva bottega
nell'ex convento dei crociferi: recatosi nella cantina in cerca di
cerchi, costui si smarrin una rete di oscure cripte, stipate di
bare putride, da cui traboccavano ossa (5) Ripeteremo con Holan:
剃iche sarebbe nocchio in una bara, - quando sulla cittla luna
indura...(6). Rigurgiti di infezioni romantiche, recidive di
funebrit falegnameria di assi di feretri: un'armata di bare
congregata nella letteratura praghese.
Diversi edifici di Praga si spartivano il vanto di aver ospitato il
Dottor Faust nel suo soggiorno vitavino. La casa Teyfl (Teufel?) in
via Sirkov(via Sulforea), cosdetta perchil negromante,
svanendo, si sarebbe lasciato dietro un lezzo d'inferno; la casa Sixt
a via Celetn non lungi dalla magione del mecenate di distillatori
Kor滎ek z T膰ina; una malconcia bicocca al Mercato del Carbone; e
soprattutto la casa di Faust (Faust驠 d籯) al Mercato del Bestiame,
particolarmente indicata per il luogo, l'architettura bizzarra ed il
fatto che vi aveva tenuto la sua cucina alchimistica Kelley (7)
Vocel, nel poema Labyrint sl潎y (Il labirinto della gloria, 1846), fa
di quest'ultima uno sfarzoso palazzo molto vago a vedere, con alte
colonne, con paramenti di taffett con finestre dalle cornici d'oro,
con soffitti di cedro liscio e lustrante (8) E Kol漷, nel romanzo
Pekla zplozenci (Progenie d'inferno, 1862), la circonda di un orto
con pellegrine piante e miracoli d'acqua e gabbie di iene,
basilischi, lupi, leopardi (9) La leggenda ci vuol persuadere che
quella casa fu l'estrema stazione del Dottor Faust, la scena del suo
ultimo incontro col diavolo, e che da quella casa, disabitata e
schivata da tutti, dopo la sparizione di Faust, il diavolo si port
vivo vivo per un buco del nero soffitto anche uno studente povero in
canna (lo studente di Praga), il quale, armatosi di straordinario
coraggio, vi aveva preso dimora (10)
Fucina di superstizioni fu in questo torvo mercato la cappella del
Corpus Domini, riserva gesuitica. Chi fosse passato di notte vicino
ai ruderi della cappella, specie se il vento gli scopava la faccia e
mostarda di pioggia gli baciava le mani, avrebbe udito tinnir di
catene e gemebondi richiami e veduto nella caligine figure in bianchi
lenzuoli, fantasmi in arnese da prete, boia intabarrati nel rosso
mantello e certamente gridato accorruomo. Qualcuno giurava che i
gesuiti giustiziassero sotto quell'oratorio i loro avversari. Nel
folclore e nell'inventiva del romanticismo boemo i gesuiti hanno
infatti sostanza di diavoli. E non meraviglia: a detta del
viaggiatore francese Charles Patin, che visitPraga nel 1695, se
Londra era illustrata da mille e trecento speziali, la cittvitavina
sguazzava nella beatitudine per essere albergo di duemila gesuiti
(11)
Un'antigesuitica foga pervade il romanzo Zvone螶ovkr滎ovna (La
regina dei campanellini, 1872) della Sv皻l che appunto si svolge
nella sceneria dell'allucinante mercato. Nella casa 俗 p皻i zvone螶欞
(Ai cinque campanellini), coschiamata per le campanelle d'argento
che cingono la testa di San Giovanni Nepomuceno dipinta sulla
facciata, campanelle vibranti con ghigno diabolico, risiede la fosca
vedova baciapile Nepovolnassieme a Xavera (Xavera da Xaverius),
figlia di una sua figlia morta demente.
Succuba dei gesuiti e in specie del malacoda e achitofellista Padre
Innocenzo, la Nepovoln sotto colore di attendere alle pie collette,
alle processioni, all'addobbo delle chiese di Praga, si dedica alle
segrete manovre (siamo alla fine del Settecento) contro i frammassoni
e gli illuministi e coloro che simpatizzano con la rivoluzione
francese. La bellissima Xavera, regina dei campanellini, educata al
religiosismo e alla doppiezza gesuitica, si innamora di Klement
Natterer, un giovane cospiratore, capo di una societclandestina, e
lo avverte dei pericoli che lo minacciano. Ma poichKlement,
diffidando di lei, ne rifiuta i consigli, Xavera, signoreggiata da
infrenabile collera, lo denuncia alla nonna ed al confessore come
ribelle ed eretico. Il giovane vien suppliziato proprio sotto i suoi
occhi vicino alla maledetta cappella, e Xavera impazzisce: vestita di
stracci, nei geli e nelle tempeste, trascorre i suoi giorni
all'aperto, ldove Klement salal patibolo.
Che giulio di commedia, che gioia per cornacchie, che insanguinata
immondizia romantica questo mercato, questo pubblico banco di
gesuiti, di spettri, di spigolistre, di cospiratori, di negromanti,
di scheletri, di manigoldi, questo teatro tartareo con apparato di
stragi.

NOTE:
(1) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 313-14.
(2) Cfr' Josef Sv漮ek, Tajnosti praesk(1868), Praha 1912, I, pp'
76-77.
(3) Cfr' ibid', pp' 83-90.
(4) Svatopluk 蟌ch, Novepoch滎nv蔮et pana Brou螶a tentokr漮 do
patn歊t逸o stolet(1889)
(5) Karel Chalupa, Hr鱵nou cestou, in Karel Krej鍎, Podivuhodn
pwib璡y ze starPrahy cit', pp' 227-31.
(6) Vladimir Holan, Sen (1939)
(7) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 154 e
173-76. Cfr' anche Friedrich Heinse (1834), in M瘰to vidim velik..
cit', p' 259, e Pavel Grym, Tnoci povstal Golem cit', pp' 109-71.
(8) Jan Erazim Vocel, Labyrint sl潎y cit', I, 8, p' 45.
(9) Josef JiwKol漷, Pekla zplozenci cit', pp' 8-9.
(10) Cfr' Adolf Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', pp' 165-73.
(11) Charles Patin (1695), in M瘰to vidim velikcit', p' 45.

76
Cittfuneraria, dove si mangiano dolci che hanno parvenza e nome
di piccole bare (rakvi螶y) e dove le bare slittano dai carri lugubri
e il dottor Kazisv皻 (Guastafeste) risuscita il consigliere Schepeler
durante le esequie (1) Cittdi elisiri alchimistici, dove la
scialba e grinzosa giovane Ismena, prendendo l'arsenico, diventa
leggiadra come una Madonna murillica, sebbene per poco, perchil
veleno la uccide (2) Cittstregonesca, dove un gioiello di opale
annuncia sventura, perdendo il suo luccichio (3) Cittdi prodigi,
dove un fiore improbabile, un etiopico giglio, dall'erbario in cui
disseccato si insinua nella sorte degli uomini (4) E percicitt
in cui gli spettri corseggiano senza riposo e si propagano a guisa
della mal'herba.
俟cheletri e spaventacchi dal teschio Keep Smiling, cavalieri
acefali e bianche signore piangenti, monache diafane e conventuali
assecchiti, gente scampata alla forca e vittime del patibolo,
spilorci stregati e nennelli morti senza battesimo, ribaldi ululanti
e perverse feudatarie altezzose(5) Anime in pena, involucri
avvolti di fiamme, sanguinanti carcasse col pugnale nel petto, salme
decapitate ed inoltre strigi e babau e barsabucchi in vari
camuffamenti, lemuri dell'apocalisse, morbi incarnati, castighi
divini su gambe, spiriti araldici, araldi della Peste vagano
irrequietamente la notte nelle strade caliginose di Praga (6), nelle
straduzze tortuose che si diramano da Janskvr蟌k sul pendio di
Hrad螮ny, nei corridoi dei palazzi dagli indecifrabili stemmi (7),
nelle cripte e nei cimiteri distrutti, nei vecchi monasteri ormai
dissacrati (specie in quelli domenicani), nelle case di foggia
bislacca come 俗 zlatstudn篕, negli immani edifici deserti come il
palazzo 蟌rnin, nei cui pressi la principessa Drahomira sprofondcon
gran tanfo di zolfo all'inferno. Dinanzi a queste proiezioni malsane
della demonoplessia della cittvitavina non c'matamoros che non si
senta tremare le viscere.
Come i grilli e le rane sui prati nelle sere d'estate, gli spettri
di Praga tutti insieme garriscono agli orli delle mie pagine. Per
evitare seccaggine, tirerin ballo soltanto pochi gregari di questa
compagnia pestilente, prosperata da innumere fanfaluche e leggende.
Nell'ex monastero dei domenicani in via Karmelitsk che per un certo
tempo fu trasformato in teatro, si aggira l'attrice Laura l'Acefala,
la quale amoreggiava con un ricchissimo e spocchioso conte. Quando si
accorse del tradimento, il marito, un umile guitto, le troncla
testa graziosa, spedendola in un pacco al nobile. Laura prese ad
errare per i corridoi del convento in una veste frusciante di seta
rosa a fiorami, tutta bindelli, con braccialetti sui polsi e con
vezzi di perle al collo decapitato (8)
Nella chiesa di San Jan Na Pr歍le a MalStrana, che fu ospedale
dei poveri e lavanderia, abitun certo tempo una vedova gretta e
taccagna, che aveva nascosto il suo gruzzolo in un avello. Ogni notte
lo spettro di un monaco nero, per alcuni di un insanguinato prevosto,
la supplicava di dargli un tallero, perchaveva rubato nella casa di
Dio e voleva lenire i rimorsi. La vedova resistette a lungo, con
acqua santa tracciando circoli intorno al proprio giaciglio: infine,
turbata da troppe insonnie, gli gettun tallero, come si fa a quelli
che cantano in banco. Il monaco balzsu una nera carrozza trascinata
da due capri neri e, infilando le porte che si spalancarono con
intollerabil fracasso, fuggvia. Ma la moneta era falsa, e la notte
seguente il monaco si ripresent per strozzare la pidocchiosa. Ogni
notte, a San Jan Na Pr歍le, di sotto terra prorompe una fiammeggiante
carrozza tirata da irchi infernali, con dentro un insanguinato
prevosto o un monaco nero e, tra schianti, fragore di ruote,
schiocchi di frusta, belati, rotola per i dintorni. Spettri producono
spettri, l'avara vaga anche lei come spirito per quella chiesa, col
marchio del falso tallero impresso in fronte (9)
In via Liliov nella CittVecchia, presso il chiostro di San
Lorenzo, ogni venerddopo la mezzanotte, su un bianco cavallo che
schizza vampe dalle narici, compare, col bianco mantello solcato da
una rossa croce, un templare acefalo, tenendo in una mano le briglie
e nell'altra il proprio teschio (10) Ogni notte da un monastero di
benedettini a via Hybernskesce un Nero Spagnuolo, guercio di un
occhio, su un ronzinante a tre zampe: ha la goliglia, il sombrero
tirato sul mostaccio, una punta di barba come la coda di un sorco,
spesso capello gli inonda la parte deretana del capo intorno alla
collottola (11) Dalla chiesa di San Jakub invece la mezzanotte trae
fuori la muta ombra di un pallido spadaccino lettone con un rosso
sfregio in mezzo alla fronte e il cappello rosso, rabbuffato nel
viso, lo sguardo in sberleffo (12) A JanskVr蟌k, ogni notte, uno
scheletro acefalo passeggia in un carro di fuoco (13)
Premonstratensi privi di testa galoppano; monache varcano il muro,
dietro il quale trascorsero l'intera vita, sepolte; mugnai
cacastecchi attraversano la cittcon un tiro a quattro (14):
mercanzia stomacosa per una fiera di larve. Sarcauto
nell'avvicinare questa torbida turba di fantaccini gregari del
folclore di Praga.
A Kozn滵瘰t(Piazza delle Capre) raminga con un gran mazzo di
chiavi una grassa signora dalla turgida gonna inamidata. Da viva si
diletta tormentare sartine e fantesche, perchi suoi guardinfanti
fossero rotondeggianti a guisa di ampie campane. E ora soffia su
tutti i passanti, gonfiandoli come palloni (15) Un'ebrea procace dai
capelli corvini e dagli occhi negrissimi spunta nel buio dal bordello
隹lle dieci verginia Ozerov e, arcando e vibrando il corpo con
positure lascive, solluchera e adesca i nottambuli: e, facendo con
loro mulinello di baci, li trascina nel turbine di pazzissime danze,
sino a tramortirli (16) Un tempo un'altra adescatrice, una bella
tutta languori, ogni venerda mezzanotte, scendendo da una carrozza
d'argento, girellava per il cimitero annesso alla chiesa di San
Martin ve zdi, canticchiando triste. Da una finestra di fronte una
volta un giovane volle accompagnarla sulla chitarra. Guardandolo con
occhi grati e pieni di lesine, la signorina gli fece pertugio nel
cuore e lo convinse a montare in carrozza con lei, per rubarlo senza
ritorno (17) Una damigella di quelle che tendono i panioni e il
vischio giunse a Praga nel Settanta del secolo scorso, tutta collane
di vetro e gioie contraffatte, col volto coperto da un velo nero e
con un nero vestito di lucida seta stridente. Prese alloggio nella
locanda 隹l cavallo neroa Pw骿opy. Offriva una cena e cinquantamila
fiorini, l'ambigua dama che aveva girato il mondo, a ogni giovane
pronto a passare con lei una sola, deliziosissima notte. Molti
gradassi e vagheggini, saliti nella sua stanza, fuggirono con la
febbre fredda e la lingua annodata per lo spavento, vedendo che sul
collo della nera straniera era infisso un orribile teschio (18)
Degna di nota l'incidenza che occorse nel giricordato palazzo
俗 zlatstudn篕 (Al pozzo d'oro) A un pasticciere, che aveva
bottega in questo edificio, venne in talento a Natale di impastar con
dragante le figurine di due fantasmi spagnuoli decapitati, un
cavaliere e la sua consorte, che a notte girandolavano dentro
l'oscura casaccia. I due derelitti gli apparvero con la testa sul
collo, pregandolo di aggiungere in fretta l'autentico loro sembiante
alle zuccherose bambole che aveva plasmato e di esumarli dalla
cantina, dove il loro uccisore li aveva scaraventati. Il pasticciere
obbedsenza sgomento, diede loro dicevole sepoltura e ne ebbe in
cambio un mucchietto di denaro, i loro risparmi nascosti nel
calcinaccio (19) Nella casa 隹l gatto neroa via Pansk quando la
peste si portvia il proprietario e la moglie, un servo malvagio ne
trucidle tre bambine, per arraffare gli averi della famiglia. Ma un
gran micio nero dalle unghie ritorte, ossia parasacco, giorno e notte
gli stava sul petto, graffiandolo con le zampacce rampinose. Invano
correva il servo impazzito per le vie, supplicando la gente di
levargli dal petto quell'impaccio d'inferno: il gatto era invisibile
(20) Ma chi quel vecchione dal cappello piumoso che, stivalato e
speronato, vien fuori dalla chiesa gesuitica di San Bartolomeo,
difendendosi con un pugnale dagli assalti di un mastino furioso? E'
il conte Deym, che non ha pace, perchda vivo mutun uomo in cane.
E quel cane non avrcalma esequiale, se non sarrestituito alla
sagoma d'uomo. Solo che il conte, in quanto cadavere, non pufar pi
prestigi (21)
Al chiostro di Emauzy va in giro la notte un furfantissimo monaco
acefalo, che scialacquava elemosine in donne e ubriachezza. Accecato
da mazzamauriello, giunse persino a sottrarre le ostie dal
tabernacolo, e per punizione gli fu mozzata la testa (22) Capperoni
unti e bisunti, tonache color taneto, tronchi privi di effigie si
avventano su noi, implorando sepoltura e riscatto. Vi fu un tempo in
cui l'apparizione di spettri antiveniva flagelli. Nel 1713, una notte
di marzo, sotto una tormenta di neve, la Grande Peste arriva Praga
in tenuta di cavaliere su un nero bucefalo da barella, scendendo in
una locanda della CittVecchia. Aveva il viso di gialla cera, le
labbra asciutte e violacee, e sul cappello un grandissimo pennacchio
nero, pendente da un groppo di cordoncini dorati. Ma sotto il tabarro
il suo corpo era scheletro. La prima vittima della pestilenza, che in
breve avrebbe ammorbato tutto il paese, fu la vezzosa cameriera della
locanda, che egli strinse al petto e bacicon la boccaccia fetida,
mentre ella gli apparecchiava la stanza (23)
Ma di certi spettri non si venne mai a capo. Nel dicembre 1874, nel
quartiere di Podskal nella casa del signor Proch漘ka, che un tempo
era forse appartenuta ai gesuiti, cominciun insistente strombettio,
accompagnato da sussulti del suolo e da fragore di ruzzolanti
stoviglie e da gemiti. Ci volle un intero drappello di polizia per
tenere a bada i curiosi. Qualcuno asscriva di aver visto volare il
cappello di un gesuita. Altri erano certi che vi imperversasse lo
spirito dello sterminatore di una famiglia. Le vecchine appicciavano
ceri, spargevano profusamente acqua santa, giocavano i numeri al
lotto. Come un sol cane che latri desta tutti gli abbai dei vicini,
cosquegli squilli svegliavano intorno uno stizzito fracasso. Dopo
tre settimane di strepiti, il fantasma dalla trombetta, che intanto
aveva ispirato una canzone da fiera e una polca ed era entrato nel
repertorio dei caffconcerto e nei balli, cessdi rumoreggiare
(24) In quel torno di tempo tutta Praga accorreva al teatro di
spiriti Bergheer, un padiglione di legno, sul cui palcoscenico, per
ripercotimento scambievole di grandi specchi tra loro, dentro una
fitta nebbia frignando a spron battuti, guizzavano lemuri, scheletri,
m漮ohy, larve, che un servo di scena cercava invano di decapitare e
di abbattere con marrovescie sciabolate (25)
Le canzoni da fiera (kram漙skpisn, i pitavaly (26), le
lacrimevoli frottole di Popelka Bilianov i sensa螽krv毾y (romanzi
sensazionali), i corrieri illustrati alimentarono a dismisura la
stirpe degli spettri praghesi. Nella cittvitavina i vivai di
fantasmi e le storie nere conobbero nuovo incremento coi surrealisti,
che si infervoravano per la letteratura dello spavento. Specialmente
Nezval ebbe un debole per le dozzinali narrazioni di orrori e
fattacci, per i 匍isteri di Praga fascicoli dalla scrittura
fecciosa, sentine di scelleratezze, pubblicati da vari editori di
bassa lega, e soprattutto da Alois Hynek, per lettori che bevevano
grosso, alla fine dell'Ottocento (27) 隹nche se queste opere sono
ormai in molti punti - Nezval afferma - illeggibili, nella loro
decrepitezza si cela molta poesia autentica, autentico amore per
Praga 促raga ha i propri misteri. Son certo che verrun tempo in
cui il suo nascosto chiaroscuro romantico saril piardente
collaboratore dei poeti(28): 剃ol crescere dell'interesse per i
romanzi neri Praga mi apparsa di giorno in giorno in una luce
sempre piaffascinante, la vecchia parte di Praga, quella che meno
appartiene a questo secolo(29)
Cittdi panottici e statue di cera, cittdi guerce vicende,
zodiaco di spettri, cittdove superbe e imparruccate contesse, mal
sopportando le scarpe comuni, si facevano modellare dai cuochi
scarpine di pasta di pane, scarpine frolle, e davano lauti banchetti,
disordinando in magnificenza, finchil diavolo con una folgore non
diroccava la loro magione, risucchiandole vive all'inferno (30)
Anche durante l'ultima guerra, nell'insipido buio dell'occupazione
tedesca, la diceria popolare ha prodotto a Praga un fantasma, Per毾,
un omino su molle, uno sparutello di poca apparenza, un odradek che,
grazie alla sua agilit sventava i tranelli dei nazi e sfuggiva alle
loro persecuzioni.
Benchparecchi si siano eclissati, trovando riscatto, e parecchi
se ne stiano in disparte, abbiosciati ed inermi come pulcini nel
capecchio, i fantasmi della metropoli boema sono ancora cos
numerosi, che varrebbe la pena, secondo il consiglio di Bass, di
sfruttarli per scopi turistici, lanciando slogans come questi da lui
coniati: 侮ecchia Praga, prediletto ritrovo di spiriti di tutti i
generi 保gni mezzanotte tregenda di spaventacchi di prima
categoria(31) Allo scompiglio di una tal mascherata di mostri
ossia infernaliana potremmo aggregare le ombre che sciamano attorno
al Ponte delle Legioni nel poemetto Edison di Nezval e gli angeli
morti di Holan. Ed io vorrei aggiungere il fantasma di una mia
conoscente che, in una decrepita stamberga in via Ostrovn tra
montagne di pacchi di scoloriti giornali legati con spago, suona il
pianoforte ogni notte, come faceva da viva, la magra e streghesca
signora Hu螶ov cui il matrimonio con un impiegato di banca imped
di diventare una concertista.

NOTE:
(1) Jan Neruda, Doktor Kazisv皻 (1876), in Povidky malostransk
cit'
(2) Jakub Arbes, Z漘ra螽madona (1884)
(3) Id', Odumirajicdrahokam (1889)
(4) Jakub Arbes, Ethiopsklilie cit'
(5) Eduard Bass, Praeskstarosti duchovn(1937), in Pod kohoutkem
svatovitsk蔂, Brno 1942, p' 221.
(6) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp'
299-300; id', Podivuhodnpwib璡y ze starPrahy cit', pp' 183-84.
(7) Cfr' N' MelnikovPapou螶ov Domovnznaky a v蓯瘰n褾ity
praesk in Kniha o Praze cit', III, pp' 140-41.
(8) Cfr' Eduard Bass, Praeskstarosti duchovn in Pod kohoutkem
svatovitsk蔂 cit', pp' 217-218; Popelka Bilianov V b蓯al鄉 kl碭tewe
u Sv' M漙Magdal郾y, in Karel Krej鍎, Podivuhodnpwib璡y ze star
Prahy cit', pp' 192-93.
(9) Cfr' Eduard Bass, Praeskstarosti duchovn in Pod kohoutkem
svatovitsk蔂 cit', p' 216; Popelka Bilianov V b蓯al鄉 kl碭tewe, in
Karel Krej鍎, Podivuhodnpwib璡y ze starPrahy cit', pp' 194-98.
(10) Cfr' Adolf Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', pp' 90-93.
(11) Cfr' Eduard Bass, Praeskstarosti duchovn in Pod kohoutkem
svatovitsk蔂 cit', pp' 211-12.
(12) Cfr' ibid', pp' 212-13.
(13) Cfr' Adolf Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', pp' 232-33.
(14) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', p' 299.
(15) Cfr' Popelka Bilianov Tlustdom歊 in Karel Krej鍎,
Podivuhodnpwib璡y ze starPrahy cit', pp' 218-21.
(16) Cfr' Popelka Bilianov Tancujiceidovka, in Karel Krej鍎,
Podivuhodnpwib璡y ze starPrahy cit', pp' 224-27.
(17) Cfr' Eduard Bass, Praeskstarosti duchovn in Pod kohoutkem
svatovitsk蔂 cit', p' 222.
(18) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', III, pp' 26-27.
(19) Cfr' Popelka Bilianov U 俚latstudn篕, in Karel Krej鍎,
Podivuhodnpwib璡y ze starPrahy cit', pp' 201-3. Cfr' anche Eduard
Bass, Praeskstarosti duchovn in Pod kohoutkem svatovitsk蔂 cit',
p' 222.
(20) Cfr' Karel Chalupa, U 恃ern逸o kocoura in Karel Krej鍎,
Podivuhodnpwib璡y ze starPrahy cit', pp' 190-92.
(21) Cfr' Popelka Bilianov HrabDeym v chudobinci, in Karel
Krej鍎, Podivuhodnpwib璡y ze starPrahy cit', pp' 204-5.
(22) Cfr' Eduard Bass, Praeskstarosti duchovn in Pod kohoutkem
svatovitsk蔂 cit', pp' 218-19.
(23) Cfr' Karel Chalupa, U 俟mrti in Karel Krej鍎, Podivuhodn
pwib璡y ze starPrahy cit', pp' 187-89.
(24) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', II, pp' 174-88.
(25) Cfr' ibid', III, pp' 10-11.
(26) 厚itaval racconto o reportage poliziesco, dal nome
dell'avvocato francese Fran蔞is Gayot de Pitaval, autore di una
raccolta di cause celebri [1745-51] Egon Erwin Kisch scrisse un suo
Prager Pitaval [1931]
(27) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp'
319-21, 337.
(28) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 278.
(29) Id', Wet瞛 褾瘰tcit', p' 76.
(30) Cfr' Eduard Herold, Lichtensteinskpal歊, in Karel Krej鍎,
Podivuhodnpwib璡y ze starPrahy cit', pp' 146-47. Cfr' anche Adolf
Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', pp' 303-5.
(31) Eduard Bass, Praeskstarosti duchovn in Pod kohoutkem
svatovitsk蔂 cit', pp' 220-21.

77
Il boia, il padrone dei lacci, dunque un personaggio essenziale
della metropoli boema. Nezval considerava Jan Mydl漙, colui che mise
a morte i ventisette signori, 哎omo degnodei suoi 剌uturi romanzi
neri(1) Avviluppato in un nero mantello dal rovescio scarlatto
come le piaghe panotticali della peste, con rosso corpetto di pelle e
brachesse nere, bassi stivali di cuoio molle e spadino al fianco (2),
si aggrega alla grande parata di alchimisti, g鐱lemess, 襒ejk,
pellegrini, fantocci di luppolo, arcimboldesche cocuzze, incantatori
meravigliosi, che percorre da secoli la cittvitavina. A Praga, come
in altre contrade, il signore della Forca non soltanto torturatore
e cerimoniere ed interprete di uno spettacolo macabro che attira
immenso concorso di popolo, ma anche stregone e unguentario, ed
esperto in ortopedia: se sa stroppiare gli arti, sapranche curarne
le fratture.
I carnefici ebbero in Boemia tempi di grascia nell'etrodolfina e
in specie durante la guerra dei Trent'anni, quando tutto il paese
divenne, per usare una frase di Aloysius Bertrand, 哎n gibet suspendu
qui demande aux passants l'aum獼e comme un manchot(3) Villani
vengono decapitati per aver reciso a un ribaldo appiccato pezzi di
stoffa, sbrendoli di camicia, e i genitali e le mani, con cui
preparare beveraggi d'amore e decotti contro il sudore delle
giumente. Ubriaconi si aggirano con botti sfondate appese al collo
come casacche di legno. Soldatacci marrani, gettatisi al mestiere dei
disperati, pendono da rami di alberi. I garzoni del boia raccolgono
in conche di lucente oricalco la bava e il sangue dei giustiziati,
rimedio contro il mal caduco. Show di capestri quest'epoca: e show
appariscente, se il laccio d'oro e se l'impiccato un "ufficial
militare in una magnifica uniforme costosa con speroni indorati(4)
I boia arrotondano il loro guadagno, vendendo brincelli di corda
come amuleti, ossa di bestie, pollici dei suppliziati, fornendo
cadaveri ai notomisti, catturando cani rabbiosi, sgombrando le strade
dalle carogne, pulendo i destri e le fogne. Epoca grassa per gli
annodacapestri. Ne fanno testimonianza i 勁ibri peciosi ossia neri
ossia i protocolli di confessioni estorte sul cavalletto in quegli
anni. Questi 勁ibri peciosi(勃nihy smoln飩) contengono storie di
streghe manipolatrici di filtri e pozioni, di ragazze sedotte che
danno in pasto ai maiali i figli illegittimi, di patrigni che
seducono le figliastre, di dementi che stuprano capre: e quindi
storie di raccapriccianti supplizi con ruote e fuoco e tenaglie, e di
impiccagioni e decollazioni e seppellimenti di vivi: storie che
Hrabal agguaglia ai moryt漮y, 叛uelle canzoni da fiera che dovevano
suscitare negli ascoltatori orrore e spavento per un delitto(5)
Sotto Rodolfo II la piclamorosa esecuzione fu quella del
maresciallo imperiale Hewman Kry褾of Rosswurm (ovvero Christian
Herrmann Freiherr von Ru腛urm), uomo d'arme e gran donnaiuolo che, il
25 (o 29) luglio 1605, a MalStrana, istigato dal malandrino
milanese Giacomo Furlani, aveva attaccato duello col conte Francesco
Barbiano di Belgiojoso. Intervennero i servi dei due contendenti, e
nella mischia che ne seguBelgiojoso perdette la vita. Rosswurm fu
arrestato, cercdi scolparsi, ma il perfido ciambellano Philipp Lang
z Langenfelsu (il solito Lang) lacertutte le suppliche e convinse
Rodolfo che il maresciallo congiurava contro di lui con l'appoggio
dei Turchi. E cos all'alba del 20 (o 29) novembre, nel municipio,
alla luce di esequiali doppieri, disteso sulla nuda terra in un saio
monacale, Rosswurm fu decapitato. Trattenuta dal canchero Lang, la
grazia sovrana giunse un'ora pitardi (6) Tempi d'oro per i
carnefici. Quando nel 1612 il ciambellano Ka螲ar Ruckz Rudz,
alchimista e arcadore, imprigionato per aver sottratto tesori al
defunto Rodolfo, si impiccin una cella della Torre Bianca, il boia
trasfercon un carro il cadavere alla Porta di Strahov, gli tronc
il capo, segle braccia e le gambe, ne svelse il cuore,
schiacciandolo come flaccido cibo da gatti contro la bocca, squart
ciche restava del torso e scaraventtutti i pezzi disgiunti di
questa carcassa in una fossa ricolma di calce viva, ma poichlo
spettro del ciambellano, non privo di un certo umor nero, vagava per
Praga su un carro di fuoco, dovette esumare la salma e darla alle
fiamme e gettarne le ceneri nella vitava (7)
La connessione di Rodolfo II con la lugubre sceneria delle forche
mostrata da un'ordinanza del 9 febbraio 1608, in cui la cancelleria
del sovrano chiede agli scabini di KutnHora 哎n po di quel musco
che cresce nei patiboli sulle ossa degli uomini usciti da questo
mondo per i loro misfatti 哀pecie di quello che cresce sui teschi
umani(8) E perciKol漷 non esagera quando, nel suo ampolloso
romanzo, immagina che Rodolfo II vada di notte, al barlume di una
fuligginosa lucerna, camuffato da garzone di boia, a cercar la
mandragora col dottor Scota e col cane nero Damnausta e con Vil鄉
sotto la forca, dal cui cappio quest'ultimo incolume si era spiccato.
侶ui - dice Scota - nell'inclita e meravigliosa Praga, in questa
sedia dell'arte occulta e di tutto lo scibile umano怨 sbocciato il
fiore dell'unica, autentica, viva mandragora(9) Con sussiego da
gabelliere pignolo Kol漷 descrive il cervellotico rito del
ritrovamento della pelosa radice di Alraune, che egli chiama anche
蟊beni螽斁ek, ossia Patibolina, da 蟊benice (patibolo)
Tutta la metafisica boiesca praghese rivive nel gran finale del
Processo di Kafka, dove, al chiaro di luna delle esecuzioni
romantiche, due manigoldi, due guitti 勁ucidi e grassi due
redingotes, due cilindri conducono Josef K' nella 厚iccola cava
abbandonata e tristedi Strahov (10) Arbes, nel romaneto D'槆el na
skwipci (Il diavolo sul cavalletto, 1865), aveva narrato
dell'uccisione di un cane 南ella vuota cava di pietra dietro la Porta
di Strahov(11) 俐ie ein Hund! 青ome un cane! sono le ultime
parole di Josef K', mentre uno dei guitti gli immerge il coltello nel
cuore (12)

NOTE:
(1) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 318.
(2) Cfr' Josef Sv漮ek, K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in Obrazy
z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', II, p' 182.
(3) Aloysius Bertrand, Le Cheval mort, in Gaspard de la Nuit
(1842)
(4) Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, p' 292 (1623)
(5) Bohumil Hrabal, introduzione a Knihy Smoln a cura di Zden瘯
Bi鍎k, Hradec Kr滎ov1969, p' 5. Questi 勁ibritraggono il nome di
哀moln飩 (peciosi) dalla 哀molnice(torcia di stoppa intrisa di
pece), con la quale i carnefici strinavano i condannati. Cfr' Josef
Sv漮ek, K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in Obrazy z kulturnibl
d疀in 蟌sk蓫l cit', p' 192.
(6) Cfr' Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, pp' 209 e 211
(1605); Josef Sv漮ek, Pam皻i katovskrodiny Mydl漙cit', II, pp'
87-122; id', K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in Obrazy z
kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 198-99; Egon Erwin Kisch, Zwei
Edelleute, in Prager Pitaval cit', pp' 37-53.
(7) Cfr' Josef Sv漮ek, Pam皻i katovskrodiny Mydl漙cit', II, pp'
132-54; id', K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in Obrazy z
kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 170-71.
(8) Cfr' id', Alchymie v 蟌ch槆l za doby Rudolfa II, in Obrazy z
kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', II, p' 41.
(9) Josef JiwKol漷, Pekla zplozenci cit', p' 26.
(10) Franz Kafka, Il Processo cit', p' 347.
(11) Jakub Arbes, D'槆el na skwipci (1865), in Romaneta, IV, Praha
1926, p' 34.
(12) Cfr' Karel Krej鍎, Franz Kafka a Jakub Arbes cit'

78
Che un'idea di spettacolo governi le cerimonie del boia cosciente
anche Kafka. Josef K' sospetta che i due neri signori, i quali devono
accompagnarlo al supplizio, siano 哉ecchi attori di infimo ordinee
chiede di quale teatro ed infine dal loro doppio mento deduce: 亭orse
sono tenori(1)
Se nelle miniature verbali di Aloysius Bertrand la parola 厚endu
ricorre dieci volte, quante volte ricorrono forca e impiccato in
questa mia pragheria? Ma come potrei trascurare Piperger, il
penultimo manigoldo ufficiale della cittvitavina? Abitava in una
grigia casaccia di via Platn鈍sk e sulla sua porta ghignava la
targa:
Jan Kwtitel Piperger
maestro carnefice
del regno boemoEra un tranquillo artigiano, tappezziere o ebanista,
corto e grosso della persona, storpiato dalla gotta, il quale, al
momento opportuno, sapeva trasformarsi in un demoniaco virtuoso dei
lacci. E percidinanzi a quella casaccia, contigua a una lercia
taverna, una commediante vestita di un nero frac, con bombetta e
garofano bianco all'occhiello, la Morte, veniva spesso a sonare il
violino, adescando i passanti.
Il giornalista Kukla ha descritto l'angoscia granguignolesca che lo
assalquando, nel gennaio 1888, fece visita a maestro Piperger nella
sua stamberga, qualche giorno prima che questi si recasse a Kutn
Hora, per giustiziare due malviventi, August e Karel Pwenosil, che
avevano trucidato in una foresta il giovane appuntato della
gendarmeria Ka螲ar Melichar (2) Piperger era nato nel 1838 da un
manigoldo di Steyr, che fu tra i primi a desistere dalle decollazioni
con spada, per dedicarsi esclusivamente ai capestri. I suoi sedici
fratelli esercitavano tutti il mestiere di 匍aestro carneficein
varie contrade dell'impero absburgico. Nel suo oscuro stambugio
Piperger teneva dentro un armadio nero una sacca ricolma di ganci e
di aggrovigliate corde di canapa e dentro una nera cassapanca la
spada, con cui il padre, buon'anima, aveva eseguita l'estrema
decapitazione: le spade per i vecchi boia possedevano virt
talismaniche (3)
Quando Kukla lo anda trovare, vincendo la paura dei
corridoi-catacombe, in cui rintronava il tip-tap dei suoi passi,
Piperger era agli sgoccioli: malato di cuore, tremava di freddo e
parlava con voce rantolosa, agitando le mani di cosscarna carne
coperte, da trasparire nel rosso balenio del crepuscolo. Discorrendo
con Kukla, Piperger, larva da libro di Meyrink, espresse il
presentimento che l'esecuzione imminente di KutnHora avrebbe
segnato il tracollo della sua vita, - e la sua faccia livida, gialla,
assecchita, dagli occhi incavati, prese l'aspetto di un teschio.
Burla agghiacciante: infilsogghignando il cappio al collo di Kukla
atterrito, e poi si fece aiutare a indossare la nera redingote da
carnefice.
Secondo Kisch, nel declino dei giorni, Piperger era gidi umore,
perchla diceria lo accusava di aver avvelenato nel 1872 Jana
Wohlschi輍rov una vedova da lui sposata in Croazia dieci anni
prima. Chi avrebbe creduto all'innocenza di un boia, tanto piche ai
boia erano proprie le erbe magiche e le incantazioni? Tuttavia Kukla
attribuisce a Piperger intenerimenti e pallori e tremori, che fanno
di lui una parvenza patetica, un demone afflitto. Narra, ad esempio,
che scolore batti denti e si disfece in pianto, quando, il 21
giugno 1866, gli toccdi impiccare sulla piana di E'i鋘ov a un
altissimo palo il suo amico V歊lav Fiala, cantiniere della taverna
侮e sklipku(La cantinuccia) e vagheggino di molte servette, che
aveva ucciso l'amante Kl漷a E'emli螶ov
Fu Piperger ad affogar nella canapa su una piazza di Plzelo
zingaro Josef Jane蟌k, grassatore e furfante, che 襒ejk ricorda l
dove, al tribunale di divisione, conforta l'avvilito maestro-soldato:
南on deve perdere la speranza, come diceva lo zingaro Jane蟌k a
Plze che tutto puancora volgere al meglio, quando nel 1879 gli
misero il capestro al collo a causa di quel duplice omicidio per
rapina(4) Il patibolo, al quale Jane蟌k venne condotto fra un
assordante tempellio di campane, era attorniato dal trentacinquesimo
reggimento di fanteria: nella piazza cosimmensa folla premeva, che
per la calca molti furono infranti. Si bisbigliava che un branco di
zingari sarebbe piombato sulla cittper bruciarla e sottrarre il
briccone al castigo. La salma spenzolsino alla notte seguente, e la
plebe non accennava a disperdersi.
All'esecuzione di KutnHora (12 gennaio 1888 per Kukla, 11 giugno
dello stesso anno per Kisch) Piperger partecipdi malavoglia,
molestato da febbre, oppresso da premonizioni. E infatti, appena i
due delinquenti pendettero dal suo nodo scorsoio, si affloscitra le
braccia del figliastro che, sin dal tempo dell'impiccagione di
Jane蟌k, gli dava una mano. Il figliastro, Leopold Wohlschi輍er, lo
riportin treno a Praga, e qui il cagionevole boia si spense quattro
giorni dopo. Una canzone da fiera insinua che, quando Domineddio
chiamin cielo Piperger, il manigoldo esitava, temendo di ritrovarsi
all'inferno con quelli che aveva appiccato (5) Ancora a lungo la
commediante col fiore all'occhiello si ferma sonare il violino
dinanzi alla casa decrepita in cui era vissuto.
Di ogni provvista di mistero fu privo peril suo successore, il
figliastro, nominato Scharfrichter f das K霵igreich B鐬men il 24
giugno 1888. Se a Piperger piaceva almeno bazzicare le bettole e in
specie 恃ernpivovar(La birreria nera), dove spauriva i clienti
con storie patibolari, Wohlschi輍er invece, tra un'esecuzione e
l'altra, menuna vita appartata, in pantofole, dedito al lavoro di
orafo e alla famiglia. Con lui persino il trovarobato boiesco, che
era caro a Piperger, l'insieme di cappi e di ganci smorfiosi e di
serpi di corde, venne perdendo la sua stregheria. Wohlschi輍er, di
cui 襒ejk afferma che impiccava per quattro fiorini (6), aveva una
sola ambizione: diventare carnefice a Vienna. Ma quando, invitato
nella metropoli austriaca per prova, strangoluna donnaccia che
aveva scannato la propria figlia, i lacci gli si imbrogliarono e la
condannata si dimenalcuni istanti, sbattendo come un polipo. Di
quel posto nemmeno a parlarne. Era colpa, si lamentava Wohlschi輍er,
della scadente qualitdelle corde che a Vienna si usavano.

NOTE:
(1) Franz Kafka, Il Processo cit', pp' 343-44.
(2) Cfr' Karel L' Kukla, U kata pwed popravou (Z ovzdu鍎
popravi褾, in Ze v蟌bl koutPrahy cit', pp' 167-86. Cfr' anche
Egon Erwin Kisch, Wohlschi輍er, in PraeskPitaval cit', pp' 20-31.
(3) Cfr' Josef Sv漮ek, Pam皻i katovskrodiny Mydl漙cit', II, pp'
116-17.
(4) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, p' 344.
(5) Piseo katu Pipergrovi, in Pisnlidu praesk逸o, a cura di
V歊lav Pletka e Vladimir Karbusick Praha 1966, pp' 47-48.
(6) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', III-IV, p' 95.

79
E qui vorrei che il lettore avesse una breve contezza del frammento
di M歊ha Kwivoklad (1830), tutto barbagli e riverberi e lingue di
fiamma, - frammento che doveva far parte di un ampio romanzo dal
titolo Kat (Il boia), progettato in quattro 哀tazioni ciascuna col
nome di un gotico castello boemo. Il testo di M歊ha, che per la
sostanza drammatica e la ricchezza di dialoghi invogliBurian a
metterlo in scena (1), si impernia sul legame che avvinse V歊lav IV
al suo boia. Gli antichi annalisti abominarono questo sovrano,
l'unico re da cui Nezval asscriva di sentirsi attratto (2): nelle
cronache infatti egli frequenta le taverne praghesi in compagnia del
suo manigoldo, che chiama 剃ompare si affratella con la marmaglia,
affoga i preti, decapita i nobili, frigge i cattivi cuochi allo
spiedo, fa mordere a morte la moglie da una cagna selvatica (3)
Ugual detrazione lo aspetta nel racconto machiano: 隹l mattino re
V歊lav ovvero, come i praghesi lo domandano, V歊lav il pigro condanna
chiunque gli sembri colpevole, a mezzogiorno il compare toglie costui
con la spada dal mondo, e la sera dinanzi a un bicchiere di vino
piangono entrambi, si dice, l'ucciso e continuano a rammaricarsi,
finchnon si inceppa loro la lingua e non li portano a letto
ubriachi fradici(4)
Poichil poeta indugia con minuzia ossessiva sullo sguardo
afflitto, sulle fiammeggianti pupille, sulle smorfie, sul ghigno,
sulle trasformazioni del volto del manigoldo, l'intero racconto
potrebbe considerarsi un saggio di metoposcopia o chiaroscuro
facciale. Compenetrandosi l'uno con l'altro in un giuoco di
contrapposti colori, il re (in bianco guarnito d'argento) e il boia
(in nero con mantello rosso) sembrano fondersi in un'unica stralunata
figura a due facce: un'uguale tristezza sonnambula, un'uguale
inquietudine consumano i due personaggi. Solo che il re si vergogna
della propria maested anela di scendere in mezzo alla feccia,
mentre il boia smania di evadere dal vilissimo stato, che gli procura
continuo tormento. In effetti, come risulta alla fine, il boia il
nipote bastardo di V歊lav III, l'ultimo dei Pwemyslidi, e ha scelto
questo nefario mestiere per scherno dell'umanite per ansia di
umiliazione. Nel boia, che si affisa nella lontananza infinita,
travagliato, sognante e quasi pierrot, nel boia, che nasconde con
scoppi di risa sguaiate e sogghigni il suo lutto, M歊ha ha trasfuso
se stesso, la propria disperazione, la propria ipocondria di poeta
romantico (5)
La discendenza regale e il malumore del boia; l'amore di una
ragazza (Mil歍a) per il boia, che le ha giustiziato il padre; le
tristi canzoni intonate da Mil歍a sull'arpa; il deperimento e la
morte della ragazza; ed inoltre l'arpa, i castelli, la gattabuia, il
catafalco, su cui giace alla fine Mil歍a in bianco, con la spada
boiesca sul cuore: gli scenari, gli attrezzi, i motivi di questo
racconto provengono tutti dall'arsenale del romanticismo.
Attrezzo-chiave, la spada vi ricorre insistentemente: se il boia
rappresenta il tralignamento dell'orgoglio regale e il declino
dell'antica gloria, la spada, simbolo di regalit rinvilita a
strumento boiesco (6) 俟pada! Mio simulacro!esclameril manigoldo
alla fine, ritrovandola sulla morta Mil歍a (7)
La metamorfosi di un dinasta in un boia, ossia in un reietto, si
aggancia al tema della boemitvulnerata, del Dopo-Montagna-Bianca,
della prostrazione e dello sconforto del popolo ceco. La musica di
questo sconforto espressa dal Leitmotiv 保 re! Buona notte!
lacerante segnale di spegnimento e stanchezza, zaklinadlo
(incantesimo) e insieme sospiroso saluto, che compendia la sorte del
boia, del re, di Mil歍a, significando la fugacitdella vita, la
precarietdel potere, la Finis Bohemiae (8) O re! Buona notte! Il
romanticismo si ingegna di sublimare l'immagine del manigoldo. Nel
dramma Praeskeid (L'ebreo di Praga), annodando le vicende di Rabbi
Falu-Eliab con quelle di Jan Mydl漙 dopo la Montagna Bianca, Kol漷
attribuisce all'ebreo e al boia un'identica condizione di
perseguitati ed abietti. Nell'intento di annobilire il carnefice, ne
fa un salvatore: bramoso di redenzione, Mydl漙, boia-patriota, ricusa
di trucidare i ventisette signori e conduce in salvo il rabbino e
Verena, accusati di stregoneria e ribellione contro gli Absburgo.
O re! Buona notte! Sul filo dell'Alta Scuola romantica i
bozzettisti praghesi, in novellette tramate di tenerume e di ogni
sorta di caccabaldole, tramuteranno questa scure animata, questo
fantoccio castigatore, questa lutosa canaglia, questo fratello
primogenito del diavolo in un povero paria, in un infimo, tenuto in
eterna quarantena dal consorzio umano, che pronuncia sentenze
capitali, ma non stima pidi un radicchio e rifugge come
un'infezione l'esecutore dei suoi verdetti. Il boia, spregiato e
sbandito dalla societ viene ascritto senza dubitazione nel novero
dei derelitti, dei commiserevoli.
Lacrimose storie, sentine di melo, si crucciano della mala sorte
del boia. E in veritc'da commuoversi. Perchil boia, poveretto,
vive a guisa di fiera selvaggia, sequestrato dal commercio degli
uomini, come se il fiato suo pestilente ammorbasse l'aria. Ingolfato
in intrichi di corde e di ganci e di rampiconi per afferrar le
carogne, intriso di sangue e di umori giallicci e biliosi, trascorre
insonni le notti a tu per tu coi fantasmi di quelli che, con uno
shrack della fune o una pesante trinciata, ha spedito agli alberi
pizzuti. Entra in cittper uno speciale passaggio scavato in un
punto remoto della cerchia di mura. Nella chiesa di San Valentino gli
riservato un cantuccio in disparte. Alla taverna ha un suo tavolo e
un suo sporco bicchiere abortito nelle fornaci e, se prende a ballare
con la moglie sua serenissima, pagando lui i sonatori, che
accompagneranno ogni nota con visacci e sberleffi, dopo il ballo
l'ostessa spazza ed annaffia in gran fretta il suolo, benchil
proverbio ammonisca: Chi scopa le ordure si infarda. Chi va alle
esequie di un boia, e nemmeno i becchini lo fanno di buona gana,
precede sempre la bara, perchil seguirla sarebbe ignominia. Durante
le esecuzioni i signori non vogliono che egli li sfiori con le sue
fetide mani (9) Un boia commendato se fa bene il groppo o recide
netta la testa. Ma guai se manca il colpo: la plebe eccitata non
perdona ai manigoldi maldestri e li caccia via spennacchiati. Da蟊ck
racconta che a Praga nel 1588 due carnefici vennero soppressi a
sassate dalla bordaglia furente, perchnon erano riusciti a
decollare la vittima nemmeno al terzo fendente (10)
O re! Buona notte! Cavalca ancora da Kwivoklad verso Praga il boia
machiano, ed il rosso mantello nel raggio afoso dell'ultimo sole
dietro di lui si solleva come un incendio (11) Quinta pittorica,
immagine dell'ingordo museo del pittoresco, interprete di una cruenta
pagliacceria, e ormai spettro: ormai spettro. Ma in cambio altri
carnefici invisibili hanno imperversato in anni recenti nella
caligine oleosa di Praga con martiri di fuoco, con calce viva di luci
accecanti, con acque gelate e punture di scopolamina. Ed ora, dopo
una troppo breve tregua inebriante, dai pantani dell'odio stanno
ripullulando tutti gli sgherri, che emanavano ferali sentenze nei
tempi del culto, quando, come Kol漙 ha scritto, 冠nche la corda si
vergognava del cappio(12)
La cittvitavina oggi immersa di nuovo nell'oblivione del sonno,
sotto un torbido cielo non salutevole alla vita. E per le sue fogne,
per le sue intercapedini, per le sue cripte strisciano occulti
Mydl漙i. CittKiebitz, che pusolo guardare passivamente il giuoco
a carte degli altri sulla sua carne. Immenso emporio di corde e di
canapi. Cittdove, in ogni taverna, l'ombra sugnosa di un delatore,
di un Bretschneider, tende l'udito al chiacchierio degli ubriachi,
dei disperati. Cittstrega con maschera disciplinare dalle orecchie
asinesche e col giogo sul collo. Cittin cui basta un bagliore di
pensiero ribelle negli occhi, per essere scaraventati in sozze e
spaventevoli carceri, in immonde catorbie, con pane ed acqua di
tribolazione.
Eppure spesso, nel terminale abbandonamento di ogni umano conforto,
il manigoldo nelle segrete di Praga diventa l'unico amico e sostegno
dell'innocente recluso. Con minacce e percosse e droghe e molestie e
continue svegliate notturne e interrogatori estenuanti egli lo
convince della veritdelle accuse, lo porta a confessare chimeriche
colpe. E cosne accelera la condanna a morte, affrancandolo dagli
infernali supplizi, dalle vessazioni, dalla pazzia, dal delirio,
dall'infame segregamento (13) E allora che resta al pellegrino di
Praga, al colpevole privo di colpa? Come scrisse JiwOrten nei
giorni del Protettorato: 剃ompatire i carnefici, andare dritto al
patibolo - e cantare, cantare fino all'estremo!(14)

NOTE:
(1) Al D 36 di Praga il 22 giugno 1936. Cfr' E'F' Burian, M歊hovo
divadlo, in Ani labut' ani L蠼a, Praha 1936, pp' 63-68.
(2) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 318.
(3) Cfr' Karel Krej鍎, Symbol kata a odsouzence v dile Karla Hynka
M歊hy, in Realita slova M歊hova cit', pp' 236-37; id', Praha legend a
skute螽osti cit', pp' 84-87.
(4) Karel Hynek M歊ha, Kwivoklad, in Dilo cit', II, p' 12.
(5) Cfr' F'V' Krej鍎, Karel Hynek M歊ha, Praha 1916, pp' 28-29;
Albert Pra魤k, Karel Hynek M歊ha, Praha 1936, pp' 113-14.
(6) Cfr' Karel Krej鍎, Symbol kata a odsouzence v dile Karla Hynka
M歊hy, in Realita slova M歊hova cit', p' 253.
(7) Karel Hynek M歊ha, Kwivoklad cit', p' 50.
(8) Cfr' Bohumil Nov毾, 蟌tba a z歋itek jako prameny b滻n骿ovy
tvorby, in V膰nM歊ha (Pam漮n骿 蟌sk逸o b滻n骿a), Praha 1940, pp'
132-33.
(9) Cfr' Josef Sv漮ek, K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in Obrazy
z kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 141-42, 183, 185-86.
(10) Mikul碭 Da蟊ckz Heslova, Pam皻i cit', I, p' 163. Cfr' anche
Josef Sv漮ek, K d疀in滵 kata poprav v 蟌ch歊h, in Obrazy z
kulturnibl d疀in 蟌sk蓫l cit', pp' 186-87.
(11) Karel Hynek M歊ha, Kwivoklad cit', p' 51.
(12) JiwKol漙, Rada slouh籯, in 俠iter漷nListy 1968, 10.
(13) Cfr' Ivo Pond瘭斁ek, Jak zabit lidskou osobnost, in 俠iter漷n
Listy 1968, 20. Cfr' anche Artur London, L'aveu, Paris 1968 [La
Confessione, Milano 1969]
(14) JiwOrten, Zcest(22-IV-1941), in Dilo, Praha 1947, p' 227.

80
Il Barocco penetra Praga nella prima metdel XVII secolo,
durante la guerra dei Trent'Anni (1) La sua apparizione coincide con
vicende esiziali per le terre ceche, ovvero con la vittoria di
Ferdinando II nella battaglia della Montagna Bianca (1620) e con la
pace di Westfalia (1648) Col tempo in cui, fracassata la 咬ibellione
abominevole(卻havnrebelie, la Controriforma si prodiga tutto
spiano per sbarbare le radici dell'eretica pianta, per sbandire gli
inganni di Anticristo, le pompe del demonio.
Con sterminato potere gli Absburgo costrinsero i nobili e gli
intellettuali avversi al cattolicismo a rifugiarsi in paesi stranieri
e ne confiscarono i beni, per distribuirli a un pugno di generali e
di accoliti, i quali, per aver sposata la causa del vincitore, si
arricchirono fulmineamente. Mentre la cultura ceca veniva estirpata
come zizzania, tagliacantoni e sparvieri speculatori, ottenendo feudi
sativi e fecondi, si fecero grassi come turchi. Consumato da inopia e
ormai al lumicino per i saccheggi e le arsioni e le scorrerie degli
eserciti oltremontani, il volgo delle campagne dovette moltiplicare
il lavoro per la magnificenza dei nuovi padroni. Si aggravla
robota, la schiavitrusticale. I balzelli delle interminabili guerre
succhiarono l'uomo boemo. Gli occhi dei vinti divennero
abbondantissimi fiumi di lacrimazione. E frattanto, come un diluviare
di ceneri, promettendo tormenti, sul soggiogato paese calavano sciami
di carmelitani, gesuiti, serviti, barnabiti, crociferi, Fratelli
della Misericordia, benedettini spagnuoli.
All'inizio dunque il Barocco si intruse da estraneo nella vita del
popolo ceco, come arte di ammansimento e di propaganda, aggressivo
segnacolo della Controriforma, pungolo di sudditanza agli Absburgo, e
quasi scherno ostentato dalla Chiesa trionfante sull'agonia
dell'indocile nazione sconfitta. Ed il popolo sulle prime guardcon
rancore le sue opere, come narcisi nati da una fetida e vile cipolla.
Grama esistenza dei vinti: chi non udiva messe era in odore di
paterino, e le pile dell'acqua santa crescevano al cielo, e uffizi e
prediche e perdonanze opprimevano l'anima. I sacri edifici mutarono
volto. La chiesa della Santa Trinita MalStrana, appartenente ai
luterani tedeschi, fu assegnata nel 1624 ai carmelitani scalzi di
provenienza spagnuola, i quali la trasformarono (1636-44) con
travestimento barocco, consacrandola a Santa Maria delle Vittorie,
che aveva protetto gli Absburgo nello scontro della Montagna Bianca.
Un'ispanitcorrugata e santocchia si insinua nella sostanza
praghese, trovando a simboli, non solo il Bambino di Praga, lo
Jezul漮ko, che in quella chiesa ebbe asilo, ma anche don Baltazar de
Marradas, maresciallo di campo dell'imperatore e comandante della
guarnigione, che forni mezzi per riedificarla.
L'ansia di imporsi e ostentare grandigia suscitnegli usurpatori,
che avevano malandrinato le proprietdi fuggiaschi e degli
impiccati, una straordinaria passione edilizia. I condottieri fedeli
all'imperatore e le congreghe monastiche, diroccando con brutale
veemenza interi quartieri, si fecero erigere fabbriche schiaccianti e
massicce, edifici-balene, maestosissimi troni di vanagloria.
Il generalissimo Albrecht V歊lav Eusebius Vald褾ejn (Wallenstein),
fantasioso machiavellista, non esita demolire ventisei case, tre
orti e una mattonaia, per innalzare (1623-30) nel cuore di Mal
Strana il suo sfoggiato palazzo a due piani con cinque cortili e
giardino, pesante mole, mastodontica macchina, che allinea nella
facciata un'estenuante sequela di finestre simmetriche e nel tetto
aggrondate occhiaie di abbaini. Vald褾ejn, 冠mmiraglio del mare
Atlantico e di quello Baltico non sopportava i fragori, e lo
turbava persino il pigolare di un passero. Sebbene avvezzo agli
schianti delle battaglie, egli pretendeva, nel vuoto del madornale
palazzo, un cosrigoroso silenzio, che gli ufficiali del seguito non
ardivano aprir bocca o parlavano tanto sommessi da sembrare, come
asserisce il Brusoni, 厚enitenti che si confessassero(2) Dinanzi
alle sue stanze uno stuolo di paggi e trabanti teneva a bada il
Rumore, ossia la Vita stessa.
Trentadue case, tre chiese, due orti e un convento di domenicani
rasero al suolo i gesuiti, per elevare (1653-79) il collegio
Klementinum, enorme blocco incastrato tra le stamberghe della Citt
Vecchia, arce arcigna, bugnato baluardo, provocante e spocchioso,
specchio di preponderanza e di duro indottrinamento. Alla monotonia
delle fasce verticali, che sulla facciata congiungono da un piano
all'altro le finestre, alternandosi con possenti pilastri squadrati,
corrisponde come un kubinesco incubo l'interno ordito di corridoi
interminabili. Di smoderate dimensioni fa pompa anche il Palazzo del
conte Humprecht Jan 蟌rnin z Chudenic a Hrad螮ny (1669-92), che
sembra sfidare con la sua caparbia arroganza il Castello. Palazzo
imbronciato, impettito, da cui non si cava fervore: tutto di
ghiaccio, con un'immane facciata, che alle finestre frammezza una
fila di trenta spropositate semicolonne palladiane, sorrette da
altissimi zoccoli a bugne.
Il Barocco iniziale di Praga, nella sua tendenza alle iperboli e
alle iterazioni ossessive e nel suo gigantismo, palesa la satraperia
ed il sussiego di committenti, che si consideravano vasi di elezione.
La stessa orizzontalitdella materia cubica, articolata da
monumentali colonne e pilastri, testimonia dell'implacabile brama dei
nuovi padroni di prender possesso di vasti spazi, di abbarbicarsi in
larghezza, di dominare. piche palazzi, queste severe dimore, aliene
da ogni parvenza di giuoco, sembrano fortificazioni, ridotti campali
in una terra nemica.
Ma tra la fine del Seicento e il principio del XVIII secolo le
condizioni cambiano. I nobili, signoreggiando nei loro sfarzosi
palazzi e castelli, allentano i vincoli con la corte di Vienna. Il
clero ceco ravviva le costumanze locali e alimenta con luminarie,
tridui, pellegrinaggi il culto del Nepomuceno. Le feste solenni per
la sua inscrizione nel canone dei beati (1721) e dei santi (1729)
accrescono il significato della provincia boema nell'orbe cattolico.
All'inizio del Settecento i patrizi ed i religiosi competono in una
sorta di acceso certame edile, commettendo ad artisti di ogni parte
d'Europa chiese, certose, santuari, palazzi, giardini, statue,
cappelle, colonne mariane e colonne in memoria delle scampate
pestilenze. Per la sontuositdelle fabbriche Praga in quel tempo era
tutta miracoli. Si dice che lacrime e sangue siano commisti alla
malta delle chiese barocche nella cittvitavina. La fatica del
popolo ceco perversato dalle privazioni e ricurvo sotto la soma di
tanto fasto sembra adombrata dai robustissimi atlanti di Braun che,
nel portale del Palazzo Clam-Gallas (1713-25), sorreggono sulle
spalle il balcone.
A mano a mano il Barocco, sciogliendosi dalla compatta austerit
imperialesca, si amalgama con la cultura boema. Ciche era agli
inizi un dispotico apporto straniero, un proverbiale, un memento di
soggezione, diverril sangue stesso, il genio, il tessuto
costitutivo della nazione ricattolicizzata. Grazie al tardo Barocco,
la Boemia, sebbene sprovvista di autonoma vita politica, ritrova il
suo estro, come nei giorni del Gotico, e si reinserisce nel contesto
europeo, arricchendolo con le sue risorse e varianti. I palazzi di
MalStrana, le tele e gli affreschi di Karel 螶r鈣a, Petr Brandl,
V歊lav Vavwinec Reiner, il viale di statue sul Ponte Carlo, le
sculture di Braun a Kuks, le chiese di Giovanni Santini-Aichi e di
Kilian Ignac Dienzenhofer testimoniano del prodigioso fervore con cui
l'ambiente ceco, destatosi dall'umiliazione, assimilgli espedienti
barocchi.
Il tardo Barocco esplose in Boemia nei due primi decenni del XVIII
secolo con un rigoglio e una foga incoercibili, come se il paese
volesse, nonostante le angustie e il ripetersi delle pestilenze,
ricuperare il tempo perduto. E in breve costitula componente
essenziale, la dominante del panorama di Praga, la sua chiave
stilistica, il suo basso continuo. Vi sono cantucci nella citt
vitavina, in cui si respira ancor oggi, senza il diaframma dei
secoli, un'atmosfera barocca. Bramoso di teatralismo e di effetti
ottici, il tardo Barocco mutil paesaggio praghese, accordando le
fabbriche alla vegetazione e modulando il terreno ineguale con rampe
di scale ed altane orlate da schiere di statue. Allo staccato delle
case gotiche sostituuna fuga continuata di superbi palagi, le cui
facciate si fondono in un'unica quinta dagli stucchi pittorici e
morbidi. Dagli obliqui spazi incassati della cittmedievale ricav
suggestive piazzette, conchiglie di raccoglimento.
Specialmente il paesaggio della riva sinistra, elevato dalla natura
a guisa di anfiteatro visibile con un sol colpo d'occhio dal Ponte
Carlo, offrstraordinari pretesti all'architettura risorta. Se sul
Fossato dei Cervi conservil suo carattere di Medioevo, il suo odore
di alchimia, dal lato di MalStrana e del verde pendio di Petwin fu
convertito in una sorta di bo褾e perspective, di bo褾e d'optique,
in cui ogni parte ha una proporzione meravigliosa con le altre e in
cui alle splendide fabbriche sono appuntellati giardini a terrazze,
aerei giardini, come quello dei Fstenberk e quello dei Vrtba, di
dove la nobiltsi affacciava su Praga come da palchi di teatro e
dove imbastiva ristori di pastorali. Nel grembo di questo digradante
prospetto, in questa declivitstralunata si innesta un edificio che
un punto nodale del panorama praghese, un magnifico oggetto, la
smisurata massa plastica di San Nicola, con la sua fiammeggiante
cupola verderame, costruita dal Dienzenhofer (1750-52) Qui tornano
acconce le parole di Kafka a proposito di una veduta di Praga dipinta
da Kokoschka, 剃on nel mezzo la cupola verde della chiesa di San
Nicola 侵 tetti volano via. Le cupole sono ombrelli al vento, tutta
la cittsta per levarsi a volo(3)
La musica dell'architettura barocca della cittvitavina un
inesausto discanto di forme convesse e concave. In Giordano Bruno si
legge: 勇l sferico non posa nel sferico, perchsi toccano in punto,
ma il concavo si quieta nel convesso(4) Nel San Giovanni Sulla
Roccia (Sv' Jan Na Skalce, 1730-39) del Dienzenhofer alla convessa
balaustra della scalinata si contrappone in un unico Ovale la concava
materia della facciata, una concavitapprofondita dalla sghemba
postura delle due torri dalle alte lanterne. Una labilit
ondulatoria, che ci rimanda agli stratagemmi del Borromini, sommuove
parecchie facciate di chiese praghesi: quelle, ad esempio, di
Sant'Orsola (Sv' Vor蟊la, 1702-704) e di San Nicola a MalStrana
(Sv' Mikul碭, 1703-11) In quest'ultima le ali si incurvano
concavamente, mentre al centro la pietra accenna un moto convesso,
che subito si ritrae spaurito in tre secondarie onde concave. La
consistenza della materia si infrange in un fluttuare ostinato di
sporgenze e risucchi, di risalti e di scavi, trappole per la luce. Al
contrasto tra la timidezza del concavo e l'albagia del convesso sulle
facciate dei sacri edifici e nelle statue praghesi corrispondono i
bisticci e gli ossimori della poesia barocca di un Bridel e di quella
baroccheggiante di un Holan.
Nei primi decenni del Settecento si stempera dunque nelle
costruzioni praghesi la scorrucciata rigiditda quaresima,
l'autocrate orizzontalismo, che aduggiava la vita della citt
vitavina dal giorno della Montagna Bianca. Le chiese del tardo
Barocco boemo, suscitatrici di immagini di trascendenza, esche di una
咬瞚erieinesauribile, con la gravitazione celeste delle loro
cupole, col loro estatico verticalismo, con la mobilitdelle loro
superfici ondeggianti, coi loro sottinsda vertigine, non
appartengono infatti a quei collitorti e chietini che affiggono il
viso in terra, aspettando un asperges di acqua santa, ma ai
sognatori, agli innamorati, ai poeti. Perch come Holan afferma,
哀enza uno schietto trascendentalismo - nessun palazzo si potr
innalzare(5)
Del resto il Barocco in Boemia cercintensamente, piche in altri
paesi, le proprie connessioni col Gotico, come un Oggi che cerchi con
ansia il suo Ieri. Molti ordini monastici, e in specie i
premonstratensi, i cistercensi, i benedettini, proponendosi di
rinnovellare la tradizione religiosa del Medioevo boemo, prosperarono
la promiscuitdei due stili, l'architettura more gotico. Fosse il
desiderio di aprirsi una strada nel cuore del popolo o la smania di
svicolare dalle imposizioni di Vienna o l'ansia di mitigare i
rammarichi degli oggidiani, mostrando che il cattolicismo non era un
intruso nelle terre ceche, fatto che congreghe di frati
vivificarono i moduli e i motivi e le consuetudini dell'etgotica.
Questo richiamo al Medioevo si avverte soprattutto nell'edilizia
votiva. Se molte chiese costruite tra il XIII e il XV secolo
conservarono intatta nel travestimento barocco l'essenza gotica, un
impasto di Gotico e di Barocco pudirsi la morfologia di molte altre
fabbricate nel Settecento. Splendide variazioni sui temi del Gotico,
sulle verticali della Hallenkirche, balleria di pinnacoli, forme
acutangole, volte reticolari dalle nervature guizzanti, in cui la
materia sembra perdere peso, sono le chiese conventuali innalzate da
Giovanni Santini-Aichi in provincia (Sedlec, Kladruby, E'eliv),
soprattutto la cistercense di ZelenHora presso E'd'漷 sulla S漘ava
(1719-22)
Questo accanito storicismo che scavalca la stagione husitica,
questa combinazione fantastica della ridondante spiritualitdel
Barocco col ritmo ascensionale del Gotico non un privilegio
soltanto dell'architettura, ma pervade altresle leggende, la
poesia, l'omiletica, i panegirici, la liturgia della Boemia del
Sei-Settecento. Giun personaggio di un dialogo di MiloMarten
parla del 咬innovato gotico della Controriforma(6) Per volontdi
vari studiosi (Vil鄉 Bitnar, Josef Va蟊ca, e in specie Zden瘯
Kalista) oggi invalsa l'espressione 恃eskbarokngotika ossia
亮otico del Barocco boemo cosla commessura e il raccordo di due stili distanti nel tempo
ricostituisce l'interrotta continuitdi una terra, che guerre e
saccheggi avevano desolata. Che importa se i Dienzenhofer, i Brokof,
i Braun, i Santini-Aichi erano stranieri o di famiglia straniera?
L'incantagione di Praga e della Boemia derivsempre dalla mescolanza
di eterogenei elementi. Del resto gli artisti forestieri, convenuti
in gran folla come nell'etdi Rodolfo II, si insignorirono in breve
della tradizione boema. E, intabaccandosi della cittvitavina, ne
trasfusero la fantasia, i trasognamenti, gli umori nelle loro
invenzioni.

NOTE:
(1) Cfr' Karel B' M歍l, Sochy na Karlovmostv Praze, Praha 1921;
Vil鄉 Bitnar, O 蟌sk鄉 baroku slovesn鄉, Praha 1932; Oldwibl Stefan,
Pozadpraesk逸o baroku, in Kniha o Praze, III, Praha 1932, pp'
54-66; Bohdan Chudoba, Po鍒tky baroknmy螿enky; Zden瘯 Kalista, 驠od
do politickideologie 蟌sk逸o baroka; Josef Va蟊ca, O 蟌skbarokn
poesii; Jan Racek, Slohova ideovprvky baroknhudby; Albert
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1970; R鱵 kterousmrt zavwela, a cura di Zde螄a Tich Praha 1970;
Zden瘯 Kalista, 蟌skbarokngotika a jejed'漷skohnisko, Brno
1970; Oldwibl J' Bla鳻蟌k, Um瘽Baroku v 蟌ch歊h, Praha 1971.
(2) Cfr' Girolamo Brusoni, Il carrozzino alla moda, in Trattatisti
e narratori del Seicento cit', p' 878. Cfr' anche Carl August
Schimmer (1845) e Baronessa Blaze de Bury (1850), in M瘰to vidim
velikcit', pp' 356, 366. Su Vald褾ejn si confrontino inoltre:
Hellmut Diwald, Wallenstein, Mchen-Esslingen 1969, e Golo Mann,
Wallenstein, Frankfurt am Main 1971.
(3) Cfr' Gustav Janouch, Colloqui con Kafka cit', pp' 37-38.
(4) Giordano Bruno, Spaccio de la Bestia Trionfante, Dialogo Primo,
in Opere, a cura di Augusto Guzzo, Milano-Napoli 1956, p' 474.
(5) Vladimir Holan, PrvnTestament cit', p' 89.
(6) MiloMarten, Nad m瘰tem (1917) cit', p' 24.

81
Eserciti immensi di statue barocche ingombrano i campi di Praga.
Nel Sei-Settecento su attici, logge, facciate di chiese e di chiostri
comparvero, pinumerose dei distillatori nell'etdi Rodolfo, figure
ansiose di gloria celeste, rapite in estasi. I pulpiti si tramutarono
in traboccanti vegetazioni scultoree. Statue convulse, statue in
cimbalis ornarono i confessionali, gli altari, le balaustre, le
cantorie, le cappelle, i balconi degli organi. Si raccolsero in
gruppi teatrali, adombrando le scene della Passione. Si annidarono
sulle terrazze e sui ponti, sulle colonne mariane, sulle scalinate,
sugli orli dei viali, nei parterres dei giardini e, dentro nicchie e
su mensole, dinanzi ai palazzi sfarzosi. Famiglie di segretari
celesti e baroni angelici, di cherubini volanti, di patroni boemi, di
gesuiti, di diavoli, di piangolose madonne, di evangelisti, di
iurisperiti, di santi legislatori. E oltre a queste figure della Lega
del Caeli Caelorum, tutta una turba di atlanti e giganti e parvenze
mitiche, di aquile, di schiavi mori.
Nel primo quarto del XVIII secolo, nella cittvitavina, pidi
venti botteghe di maestri scultori lavorarono a gara e con un fervore
creativo che sembra esser trasfuso nella febbrilitdelle statue. In
questo clima di emulazione maturarono due artisti, complementari
l'uno dell'altro e, benchforestieri, impregnati dell'humus e della
luce di Praga: Ferdinand Maxmili滱 Brokof (1688-1731) e Maty碭
Bernard Braun (1684-1738)
Brokof: una maestosit una compattezza monumentale, una logica:
alle corte una concentrazione espressiva, che raffrena gli impulsi
drammatici. La ponderatezza e la solidit la ricerca di puri
equilibri plastici prevalgono nelle sue sculture sull'esasperazione
consueta allo stile barocco. Maty碭 Bernard Braun al contrario
imprime nei suoi personaggi un malessere, un'eccitazione smodata,
cogliendoli in attimi di turbamento e di parossismo. Egli incline
alle iperboli, agli uragani dei sensi, alle distorsioni patetiche.
Con un mulinello di svolazzanti drappi increspati dalle punte
taglienti, con pieghe rabbiose di drappi rattorti come calappi egli
accresce l'irrequietezza, l'affanno delle sue labili larve ghermite
in un movimento impetuoso. Questo dinamismo flogistico, di berniniana
ascendenza, sembra avere un risvolto di fredda desolazione. Quasi
l'esuberanza gestuale volesse coprire l'acre sentore del nulla. Braun
assimilinteramente la materia drammatica e l'insofferenza di Praga.
亟ra nato in Tirolo - ha scritto Oskar Kokoschka - e nella sua patria
sarebbe senza alcun dubbio divenuto solo uno degli innumerevoli
intagliatori, dei quali i viandanti ammirano i crocifissi nelle Alpi
austriache(1)
Le statue barocche sono accenti spaziali, segnali ritmici nel
panorama della cittvitavina. Il passante di Praga coinvolto nei
loro mercati e nei loro cicalamenti. E se ad una di loro venisse il
gricciolo di levarsi a volo? 俏on aspetto altro - Holan afferma - che
l'ultima e cara illusione, quando, rimosso il piedistallo, statua,
resterai per un attimo in aria!(2) E quando, nei giorni di aprile,
si incapricciano anche le pietre, il passante di Praga si illude che
un primaverile calore le esagiti e le loro labbra bisbiglino sospiri
amanteschi, come nella barocca 冠lam鐰ovpoezie(poesia alla moda)
(3) 亟' amore! - sono ancora parole di Holan - Anche le statue
farebbero il primo passo(4)
Una folla di simulacri scultorei si annicchia nella moderna lirica
boema. Halas discorre dell'勇mmobile angoscia delle statue(5).
Seifert afferma: 勁e statue si sono fuse col buio, sventolando - il
peso dei paludamenti...(6). E Holan: 勇narrestabile era il platano
a Kampa, - i secoli ancora incompiuti e la statua su Opy- sin dalla
fine non era mai stata relegata tra i gessi...(7). E Kol漙: 勁e
statue civettavano l'una con l'altra(8) E Kainar: una siffatta
- terribile immobilit- solamente la prova - di una suprema
ubriachezza(9)
Esiste un intenso rapporto tra i contorcimenti delle statue di
Braun e gli spasimi dei versi di un Halas, di un Zahradn斁ek, di un
Holan. Perchil Barocco la linfa della poesia di Boemia, e non
solo della poesia. 隹ncora - assevera 螮lda - non supponiamo nemmeno
sino a che punto il Barocco si sia mescolato con l'indole nazionale
boema e quale funzionale importanza abbia assunto nell'anima creativa
del nostro popolo(10) Per l'atletismo delle metafore, l'ottica e
la ridondanza teatrale, l'abuso di paradossi, di iperboli, di
agghindamenti, di emblemi, le accumulazioni asindetiche, l'estasi, il
senso dello sfacelo, il continuo assillo del nulla, che tutte le
lustre converte in cenere morta, gran parte dei moderni lirici boemi
si ricongiunge, attraverso l'esempio di M歊ha, alla poesia e alla
statuaria della Praga barocca (11) 青onoscete l'eterna brama, - dice
Holan. - E' il nulla che abbiamo bramato. Perchl'uomo non ha
proprio nulla. Nemmeno la Morte(12). E ancora Holan: 雨ellezza, sei
cespo di rose, che tiene un teschio fra le sue radici, bellezza
immortale!(13) Il teschio ghignante di M歊ha, cantore dell'前terno
nulla(14) e delle girandole della natura fantasima e
dell'implacabile fuga delle cose terrene (15), si colloca accanto
alle teste nocchiute delle statue di santi barocche.
Come i pupazzi compositi dell'Arcimboldo, le statue barocche di
Praga formano un trebbio ben affiatato, un perenne conclave. E nei
giorni grigi della cittla loro ansia di volo, la loro trascendenza,
come anche del resto la curva levitdelle cupole, alterca col passo
pesante degli abitanti incupiti che, chiusi in uggiosi cappotti,
camminano catalone catalone lungo traiettorie abituali, impugnando
borsacce rigonfie. Ho confidenza con molte di loro. Incanta la mia
fantasia il Sant'Uberto col cervo miracoloso, che Brokof scolp
(1726) sulla facciata del 青ervo d'oro una casa di MalStrana. Non
si cancella dalla memoria il signor Chronos, modellato da Brokof
(1716) sulla tomba di Jan V歊lav Vratislav z Mitrovic nella chiesa di
S' Jakub: vecchiaccio nerboruto e ancor pieno di voglie, come l'Ebreo
errante di Apollinaire: vecchiaccio arcigno ed inesorabile, ah
quantum currit. Ritornano sempre alla mente il Giorno e la Notte di
Brokof (1714), due busti che adornano la facciata del Palazzo dei
Morzin a MalStrana. Il Giorno, bel civettino ricciuto col sole,
bersaglio da tirassegno, sul petto e un mantello infiorato di
girasoli. La Notte, ragazza dalla boccuccia soave, malinconica,
immersa nei gorghi del sonno, con un manto ingioiellato di stelle e
sul manto una falce di luna posata come una barchetta. Passando
dinanzi a quei busti, intrisi di trasognato lirismo, ripetevamo,
ricordi, i versi di Nezval:
Le nostre vite sono come la notte e il giorno@ arrivederci stelle
uccelli labbra delle donne@ arrivederci morte sotto il prunalbo in
fiore@ arrivederci addio arrivederci addio@ arrivederci buona notte e
buon giorno@ buona notte@ dolce sonno@ (16)

NOTE:
(1) Oskar Kokoschka, Boehmisches Barock, in Stimmen aus B鐬men
cit', p' 16.
(2) Vladimir Holan, Kolury cit', p' 31.
(3) Cfr' Smutnkavalewi o l滻ce: z 蟌skmilostnpoezie 17.
stolet a cura di Zde螄a Tiche Josef Hrab毾, Praha 1968.
(4) Vladimir Holan, Lemuria cit', p' 70.
(5) Franti蟌k Halas, Za Jiwim Ortenem, in Lad瘽(1942), Praha
1947, p' 102.
(6) Jaroslav Seifert, Sv皻lem od瘽cit', p' 74.
(7) Vladimir Holan, Tosk滱a (1956-63), in Pwib璡y, Praha 1963, p'
192.
(8) JiwKol漙, Pwespolnd瘭n骿, in Kwestnlist, Praha 1941, p'
13.
(9) Josef Kainar, Sochy, in Osudy (1940-43), Praha 1947, p' 28.
(10) F'X' 螮lda, O liter漷nim baroku cizim i dom歊im, in 螮ld驠
z漥isn骿 cit', VIII, p' 245.
(11) Cfr' Zden瘯 Kalista, Baroknprvek v na鍎 novpoezii, in
隹rch(蟌skBud疀ovice), 1969, 4, e A'M' Ripellino, introduzione a
Franti蟌k Halas, Imagena cit'
(12) Vladimir Holan, Kolury cit', p' 40.
(13) Ibid', p' 9.
(14) Karel Hynek M歊ha, T膱komyslnost, in Dilo cit', I, p' 117.
(15) Cfr' D' 覭鋀v螶yj, K M歊hovu sv皻ov鄉u n漘oru, in Torso a
tajemstvM歊hova dila, a cura di Jan Mukawovsk Praha 1938, pp'
111-80.
(16) Vit瞛slav Nezval, Edison (1927), in B滻nnoci (1930), Praha
1959, p' 116.

82
(Moldava stellis lustratur)
Scendevamo gidal Castello, la sera. Imbronciati, ci guardavano i
due atlanti mori di Brokof dalla facciata del Palazzo dei Morzin a
MalStrana. Nella vitava guizzava il barbaglio dei vetri illuminati
dei tram. 俟opra il Palazzo Vald褾ejn si vedevano - come dice Holan -
macchie maschili sul lenzuolo della luna(1) Ricordi la verde luce
dei lampioni sul Ponte Carlo? Per questo viale chimerico, orlato di
statue di arenaria, passavano ancora ai nostri anni carrozze
sciancate dai fanali giallo rosolio. Accanto alle schiere di santi
istrioni dal portamento reinesco montavano in banco sul palco del
ponte gli ubriachi, aggrappandosi al parapetto, per parlare col
fiume, con le stelle riflesse nell'acqua nera.
Cinque stelle, cinque piccole fiamme blu come il ponce brillarono
sull'acqua vitavina, quando Jan Nepomuck(Nepomuceno), scagliato dal
ponte, spartra le onde. Ma la leggenda si gonfia: ignes et flammae,
innumera et miri candoris lumina, flammae pulcherrimae, luminaria
caelestia. Era il 16 maggio 1383. Tutta la vitava luccicdi un
哉erdognolo scintillio(2) 隹vresti visto un innumero numero di
chiarissime luci, come se il fuoco con l'acqua si fosse rappattumato,
scorrendo per essa(3)
Ogni anno, il 16 maggio, ciurme di donne bisodie, nuvoli di
pellegrini si recavano da ogni villaggio di Boemia e Moravia a
rendere omaggio a quel punto del ponte, da cui il canonico del
capitolo metropolitano e decano di Tutti-i-Santi Johannes di Pomuk (o
Nepomuk) era stato, secondo la cantafavola, gettato in acqua dagli
sbricchi del crudelaccio re V歊lav IV, per non aver voluto rivelare i
segreti confessionali della regina (4) Non ci perderemo in
disquisizioni su questo controverso argomento agiografico: gli
antijohannisti ritennero che il Nepomuceno non era esistito e dovesse
identificarsi con un suo omonimo, dottore di diritto ecclesiastico e
vicario dell'arcivescovo praghese, annegato anche lui dieci anni
dopo, per aver confermato l'abate del chiostro di Kladruby contro il
volere di V歊lav IV, che tutte le cronache infamano come un erode, un
nerone (5)
La simbologia delle stelle nepomucene ispirmolte opere nell'arte
ceca. A questo quintetto stellare sgorgato dall'acqua rimanda la
pianta e l'intera struttura pentagonale della soave chiesetta di
ZelenHora nei pressi di E'd'漷, compatta e puntuta come una drusa
cristallica. Il motivo riappare persino, sebbene per burla, nel
romanzo di Ha蟌k: riportato a casa da 襒ejk con la forza, l'alticcio
cappellano Otto Katz 匍anifestava bramosia di martirio, chiedendo che
gli spiccasse la testa e la gettasse in un sacco nella vitava: 俠e
stelline intorno alla testa mi starebbero bene, - diceva con
entusiasmo - me ne occorrerebbero dieci遙 (6)
Con giaculatorie, con tridui, con feste, con parlari
predicatoreschi i gesuiti aggrandirono il culto del riottoso
canonico. Sorgiva dai cinque zampilli, manna celeste, altissimo cedro
innestato sulla vetta del Libano, thesaurus sine defectione, novello
Eliseo, muro saldo e incrollabile nei patimenti, il martire
nepomuceno, suscitando pietper la violenza subita, obliterava il
ricordo dell'eretico Hus e perci senza arcani ricorsi n
strologamenti dogmatici, giovava come un'immagine cartellonesca alla
loro polemica contro le 哀torturehusitiche. E non si diedero pace,
finchnon riuscirono a metterlo in cielo, nello stormo dei santi.
Il 15 aprile 1719 fu aperta la presunta tomba del Nepomuceno in San
Vito. E, dinanzi a decrepiti baccellieroni, giuristi, patrizi e
prelati, un collegio di cerusici, presieduto dal protomedico
Franti蟌k L饖 z Erlsfeldu, barbassoro sommerso in un'enorme parrucca
di riccioli, compla ricognizione dello scheletro, traendolo dalla
bara di quercia imporrita, in cui giaceva tra sbrendoli di stoffa. Lo
scheletro, sentenziarono i medici, era intatto, sebbene, urtando
nella caduta contro un pilastro del ponte, in piparti si fosse
incrinato. Con ogni cautela scrostarono dalla scatola cranica ciuffi
di muffa e grumi di argilla, ed ecco nel cavo della bocca farcita di
terra comparve la lingua vermiglia, ancora intrisa di fresca,
vivissima linfa (7)
Il miracolo accrebbe la gloria del martire e ne acceler
l'assunzione ai palchi dei beati. Il giorno della beatificazione (4
luglio 1721) lo scheletro privo di lingua, ripicchiato in un abito
canonicale con nicchio e rocchetto, venne deposto in una bara di
vetro. Appoggiava il teschio su un guanciale di seta a ricami, nella
destra tenendo una croce e una spiga d'argento, nella sinistra un
ramoscello di palma di cannutiglia. Fra il tara tantara dei trombetti
la bara fu portata in corteo sullo spiazzo dinanzi a Hrad螮ny. Dietro
la diafana bara, posando le rosse pianelluzze con circospezione, come
se le ponesse sulla bambagia, il vecchio arcivescovo reggeva in un
reliquiario cilindrico argenteo la Sacra Lingua, segregata ormai
dallo Scheletro. La sera Praga fu tutta arabescata dai guizzi di una
luminaria. Torcioni ardevano ai lati dell'arco di trionfo innalzato
davanti al Palazzo Schwarzenberg. Birra e vino scorrevano dalle
fontane dell'arcivescovo (8)
Ma tutto il paese aspettava con inquietudine che il canonico fosse
santificato. Continui pellegrinaggi affluivano a Praga dalla
campagna. Le paroline in composta dei panegirici e i fuochi e la
musica navale eseguita sotto le arcate del ponte preparavano gli
animi al solennissimo evento. Qualche capocchio insinuava che il
diavolo ritardasse coi suoi trabocchetti e cavilli il santificetur. A
Roma la congregazione dei riti volle saperne di pisulla magica
Lingua. Ed ecco, al cospetto dell'arcivescovo e dei dignitari, di
nuovo (1725) L饖 z Erlsfeldu piegil suo imparruccato testone sulla
reliquia. E la Lingua, che di primo acchito era sembrata secca e
grigiastra, in mano ai cerusici prese a gonfiarsi e a mutare colore,
come per un afflusso di sangue facendosi cremisi, porpora. 非ella tua
lingua il rovente rubino - dal giaciglio dei vermi sollevato - fermo
fiammeggia dal gorgo divino, - dalla violenta polvere inviolato
cosha scritto Jan Zahradn斁ek in un inno al Nepomuceno (9)
Nella mitologia della cittvitavina la Lingua del penitenziere si
affianca al naso posticcio di Tycho Brahe, allo Jezul漮ko, alle cere
panotticali, ai fantocci dell'Arcimboldo, al cavallo impagliato del
Palazzo Vald褾ejn, il cavallo sul quale il silenzioso generalissimo
galoppnella battaglia di Lzen. 亟ra altrettanto muta quella
bestia, quando squillava la tromba bellica, come era muto il suo
signore, quando lo visitava la gloria? Deve esserci una ragione per
cui fra tutti gli altri fu proprio questo corsiero ad esser chiamato
agli onori dell'immortalit si direbbe che forse non emise mai alcun
nitrito(10) Si impagliano i prodi cavalli, non gli eroi caduti,
osservLiliencron dinanzi al destriero del duca di Fridlandia, ormai
manichino, ormai pieno di tarme (11)
La lingua nepomucena, che non aveva voluto tradire il segreto della
confessione, divenne simbolo di pertinace silenzio scontato col sonno
eterno, un silenzio che disputa con l'affannosa loquacitaltrettanto
praghese di quei capi sventati che taverneggiano. La Lingua,
splendente come una gemma di una cappella del duomo, si incontra con
altre lingue patinose di birra, e queste le chiedono con uno
sberleffo: 促azza, come hai potuto tacere?Un cianciume di
arciribalde storielle da bettola gira le strade di Praga, pigliando a
gabbo il Silenzio, identitdella morte.
Venne infine l'annunzio della santificazione, trascinandosi dietro
otto giorni di feste (9-16 ottobre 1729) Che solluchero per i
bacchettoni: nella sola cattedrale di San Vito in quel torno di tempo
si celebrarono trentaduemila messe e furono impartite
centoottantaseimila comunioni (12) Archi trionfali e lunette e
trasparenti con l'effigie ingrandita del santo, fiammeggianti
piramidi, fiaccole, impalcature allegoriche, quintetti di stelle
inorpellarono la cittvitavina. All'alba del 9 ottobre, sotto nubi
di incenso e di fumo di torce e di ceri, una processione sgargiante
con gonfaloni e vessilli di broccato d'oro mosse verso il Castello.
Intervallate da varie fanfare, sfilarono torme di cappuccini,
gesuiti, crociferi, barnabiti, ibernesi, domenicani, trinitari,
carmelitani, serviti, premonstratensi: bianca, bigia, corvina parata,
brulichio di cocolle, di tonache, di cordigli, di scapolari. Sei
preti portavano la policroma statua del santo, attorniati da frotte
di chi廨ici, diaconi, parroci in rossi piviali. Sfilarono le facolt
con enormi bandiere, i signori dei tre municipi praghesi, i
coadiutori, i vicari, i canonici capitolari, ciascuno con una croce
tempestata di gemme e cristalli di rocca sul petto, l'arcivescovo col
reliquiario in cui sfolgorava la Lingua del Santo, gli 哀taticon
tricorni coperti di piume multicolori. Dietro a loro ondeggiava un
gran pelago di campagnuoli in costume folclorico, che tra un canto e
l'altro infilzavano avemarie e paternostri (13)
La cattedrale era stata addobbata sfoggiatamente con rossi tendami
e dipinti sui prodigi del nuovo patrono e festoni e damaschi e
stendardi e lustranti attrezzi liturgici e innumeri ceri in
candelabri d'argento. Tanta magnificenza escludeva almeno per quegli
otto giorni ogni pensiero di pena, ogni bando in ignem aeternum.
Sull'altare maggiore troneggiava un'argentea statua del Nepomuceno
sotto un baldacchino di velluto purpureo a ricami d'argento, tenuto
alle punte da quattro messaggeri celesti. Su un altro altare, vicino
al vitreo sepolcro, in cui riposava lo scheletro del penitenziere,
brillavano sciami di lampade, riverberandosi in un preziosissimo
ostensorio d'oro. Sul suo dossale si accatastava una serqua di ex
voto, ossia calici, cuori, lingue, crani, statuette, lapislazzuli,
diaspri, medaglie e molte altre galanterie e bagattelle da
gioiellieri. Salutate dal festevol rimbombo dell'artiglieria,
prediche e messe si susseguirono, non solo all'interno della
cattedrale, ma altressul sagrato, gremito di strabocchevole folla.
Cadde un breve acquazzone. Poi tornarono limpidi i cortinaggi dei
cieli. La sera: tutti a vedere i bengala, le splendide fughe e
cascate di fuoco (14)
L'immagine e il mito del Nepomuceno divennero insegna e ossessione
delle terre ceche e morave nella stagione barocca. Poesie, chiese,
cappelle, quadri, musica, affreschi, sculture, archi di trionfo
variarono con accanimento il tema del suo martirio. Assidue pompe
liturgiche, assidui spettacoli di processioni esaltarono usque ad
sidera e tennero viva la memoria del santo. La sua fama si propag
per l'intero orbe cattolico, sino in finibus terrae.
Il Ponte Carlo albergava in principio soltanto un crocifisso e un
calvario. Per la trecentesima ricorrenza del suo annegamento (1683),
nel punto da cui gli sgherri lo avevano precipitato fu posta la
statua del taciturno penitenziere, la prima del corteo barocco del
ponte. Nel bronzo di Maty碭 Rauchmler il canonico con la barbetta
indossa il rocchetto e la berretta a tre spicchi, stringe tra le
lunghe dita un ramoscello di palma ed un crocifisso: ormai sparita
l'aureola di cinque stelline che gli cingeva la testa. Nella sua
morte per acqua, nel sorgere del suo culto, nel cominciamento della
galleria di statue sul ponte la vitava ebbe una singolarissima parte.
Jan Zahradn斁ek ha scritto:
Intercedi per noi, Santo Giovanni,@ gettato ai pesci nel brago
fluviale!@ Le sciacquature che incalzano nella corrente,@ tutti i
naufraghi che essa ha trascinato,@ gli stracci insanguinati dallo
scempio,@ tutti i panni che il vizio ha imbrattato,@ tutto il
marciume che in essa si strizza:@ tutto trova in te il suo
confessore@ (15). Come se le ombre malsane del poema Edison di Nezval,
ombre di ubriachi, di donne perdute, di suicidi, di giocatori
d'azzardo, andando in deriva, confluissero per la vitava dal Ponte
delle Legioni al Ponte Carlo.
Quella scultura servdi archetipo alle innumere statue del
canonico santo, che la devozione barocca collocsui crocicchi, sui
ponti, sotto il rezzo dei tigli nelle piazzette dei villaggi boemi e
moravi (16) All'inizio del Settecento, seguendo l'esempio del
cittadino, che vi aveva fatto innalzare il simulacro del Nepomuceno,
borghesi, nobili, facolt monasteri vollero che figurasse sul ponte
anche il loro patrono (non in bronzo, ma in pietra arenaria) E cos
nacque questa mirabile, unica al mondo glittoteca che, ondulando con
le verticali plastiche delle sculture la sua lunghissima orizzontale,
la groppa pesante delle sue spallette, trasformil ponte in una
sorta di maestoso centauro a piteste.

NOTE:
(1) Vladimir Holan, Tosk滱a, in Pwib璡y cit', p' 196.
(2) Jan Zahradn斁ek, SvatJan Nepomuck in Korouhve, Praha 1940,
p' 69.
(3) Bohuslav Balbin, E'ivot svat逸o Jana Nepomuck逸o (1968), in
Zden瘯 Kalista, 蟌skbaroko cit', p' 157.
(4) Cfr' Johann Georg Keyssler (1732) e Ingvald Undset (1810), in
M瘰to vidim velikcit', pp' 62-63 e 175.
(5) Cfr' Karel H歍ek, Blahowe蟌nJana Nepomuck逸o, in 褾eno
starPraze cit', pp' 194-201, e Karel Krej鍎, Praha legend a
skute螽osti cit', pp' 222-36.
(6) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, p' 107.
(7) Cfr' Antonin Novotn Praha 俊emnacit', pp' 252-56.
(8) Cfr' ibid', pp' 260-61, e Karel H歍ek, 褾eno starPraze
cit', pp' 196-98.
(9) Jan Zahradn斁ek, SvatJan Nepomuck in Korouhve cit', p' 71.
(10) Baronessa Blaze de Bury (1850), in M瘰to vidim velikcit',
p' 366.
(11) Cfr' Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten cit', p' 50.
(12) Cfr' Antonin Novotn Kolem 俊emna in Staropraesksensace,
Praha 1937, p' 48.
(13) Cfr' Antonin Novotn Kolem 俊emna in Staropraesksensace
cit', pp' 40-41.
(14) Cfr' ibid', pp' 42-43.
(15) Jan Zahradn斁ek, SvatJan Nepomuck in Korouhve cit', p' 73.
(16) Cfr' Rainer Maria Rilke, Heilige, in Larenopfer (1895): ora in
S鄝tliche Werke, Erster Band, Wiesbaden 1955, pp' 31-32.

83
Ricordi i primi sentori della primavera, quando i gabbiani
tornavano sulla vitava dal lago M歊ha e la signora Hlochovtraeva
dalle cassapanche pizzi di Fiandra per vesti leggere? L'inverno si
rincantucciava nelle latterie dai freddi banchi di zinco, sui
comignoli sparsi di croste di neve, nelle straduzze in penombra di
MalStrana. Baluginava, fi憝ole ancora, come dai vetri di un'urna il
sole di paglia, ma presto sulla collina di Petwin sarebbe esploso un
rigoglio di gialle Forsythia, di lilla, di gelsomini. Un rigoglio
febbrile, demente, che accendeva il malessere, riempiva il volto di
sfogo, mozzava il respiro. A contrattempo con quel dissennato fiorire
fugace, cosinverosimile nella consueta cupezza della citt
vitavina, la mente rimugina queste parole di Kafka: 青he squallore,
un granaio in primavera, un tisico in primavera(1)
Aprile: la domenica all'alba scendevamo gidal Castello.
Sull'isoletta di Kampa c'era allora un mercato di pentole. In Seifert
si legge: 侵 pentolai stanno vicino al banco, - battono con un dito
sulle brocche, - hanno le mani ricolme di fiori(2) Un filo di
vento sollevava sul fiume trottole d'acqua. Le anatre, che nei geli
invernali si scaldano agli infocati zampilli sgorganti dalle Terme
Caroline, tronfie nuotavano verso la barriera di travi che protegge
le arcate del Ponte Carlo. 促azzi tranquilli i pescatori in
barchetta, fumando la pipa, impassibili come i demoni acquatili nei
quadri di Lada, tenevano immersa la lenza nella vitava. Bastava un
fioco barbaglio di sole, perchle statue dei santi sul ponte si
illuminassero, uscendo dall'involucro dell'invernale fuliggine. Ancor
oggi vi torno con la memoria, correndo gidal Castello, come
l'assolo di una 匍olesta(南eodbytn熐) linea di Kupka, una linea che
si attorciglia e si incurva per quelle straduzze, bramosa d'amore.
Al ponte che unisce MalStrana alla CittVecchia si comincia
lavorare nel luglio 1357, ossia negli anni di Carlo IV (3) Ne
inventle strutture l'architetto svevo Petr Parl鈍, che era giunto a
Praga nel 1353, per continuare la fabbrica della cattedrale di San
Vito, intrapresa da Maty碭 di Arras. Il precedente ponte, innalzato
nel 1157-72 forse da scalpellini italiani per volere della regina
Judita, consorte di re Vladislav II, era crollato sotto la furia
delle acque nel febbraio 1342. Per il nuovo ponte, invece
dell'abituale marna, fu usata la pidurevole pietra arenaria di
Nehvizdy: si favoleggia che, per rafforzarla, i cittadini di Velvary
mandassero sporte e canestre di uova sode e quelli di Unho褾'
formaggi e giuncata per impastare la malta (4) Nei secoli i
viaggiatori ammirarono la sua lunga traiettoria, che dalla parte di
MalStrana fa gomito, le sue sedici arcate, le sue terminali gotiche
torri, questi mirabili prismi compatti con porte ogivali e tetti a
guglia e statue su mensole e stemmi e merlature e pinnacoli.
Si chiamava in principio Ponte di Pietra o Ponte di Praga: solo dal
1870 ebbe il nome del suo fondatore. La leggenda racconta che in un
pilastro nascosta la miracolosa spada del mitico principe Bruncv骿,
che san Venceslao brandirper sconfiggere le soldatesche nemiche,
quando la Boemia sarin pericolo (5) Chimere, giardini in aria. Ma
una profezia truculenta sentenzia che un giorno sul ponte i cechi
saranno pirari dei cervi dalle corna d'oro. I denti del tempo, le
sparatorie, l'insofferenza dell'acqua hanno pivolte provata la
solidezza delle sue impalcature. Non minor patimento dell'incendio,
che aveva bruciato nel 1881 il N漷odndivadlo (Teatro Nazionale) di
Praga, arrecal popolo ceco l'inondazione del 1890, che travolse un
tratto del ponte, inghiottendo alcuni gruppi scultorei, poi
ripescati.
Questo viale sospeso, sempre in baruffa coi capricci dei ghiacci e
dei flutti, fu in altri tempi un'arteria centrale della citt un
passaggio frequentatissimo: e percidi ogni luogo molto animato la
fantasia popolare diceva: 怨 come il Ponte di PragaUna canzoncina
affermava: 俟ul Ponte di Praga@ cresce il rosmarino@(6) Per
attraversarlo, le merci pagavano il dazio e una speciale gabella, il
m軼hess, dovevano sborsare gli ebrei.
Vi si accampavano, specie nell'etbarocca, turbe di sfacondati e
di mendicanti. Mendicanti avidi e fastidiosi, come quello che stende
la mano verso san Martino nel gruppo scolpito da Konr歍 Max Ssner
(1690) nella vicina chiesa di San Francesco dei Crociferi. E bricconi
che, per ottener l'elemosina, facevan sembiante di avere un cancaro
in una gamba o il mal di san Lazzaro o il fuoco di sant'Antonio,
ostentando piaghe, fistole, bolle, composte ad arte con vischio,
mestruo, farina. Il gesuita Albrecht Chanovsk il quale non si
vergognava di assidersi su carri di fango e di stabbio, come se
fossero carri di trionfo, e di accompagnarsi a reietti e pitocchi,
era solito andare 剃on la bisaccia sulle spalle come un accattone per
le piaffollate vie cittadine e persino attraverso il Ponte di
Praga(7) Penso che vi apparisse sovente il pittore barocco Petr
Jan Brandl (1668-1735), fallimbello ubriacone e pieno di debiti. E la
leggenda vuole che, dopo la Montagna Bianca, quasi a simboleggiare il
tracollo e l'umiliazione del popolo ceco, vi mendicasse il poeta
蟊mon Lomnickdi Bude l'eroe del racconto Inultus di Zeyer:
leggenda ispirata forse dal fatto che il poeta, il quale in realt era un voltagabbana, si firmava anche Ptocheus (8)

NOTE:
(1) Franz Kafka, Gli otto quaderni in ottavo: Secondo Quaderno,
1916-18, in Confessioni e diari, a cura di Ervino Pocar, Milano 1972,
p' 703.
(2) Jaroslav Seifert, Kamennmost (1944), in Kamennmost, Brno
1947, p' 21.
(3) Cfr' Jan Dolensk Karl驠 most, in Praha ve svsl潎i utrpen
cit', pp' 260-72; Kamil Novotn- Emanuel Poche, Karl驠 most cit';
Karel Krej鍎, Nesrozumitelnsvat in Praha legend a skute螽osti
cit', pp' 213-50.
(4) Cfr' Adolf Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', p' 102.
(5) Cfr' Adolf Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', pp' 101-4.
(6) 俏a tom Praesk蔂 most澢 rozmarinka roste@Cfr' Karel Jaromir
Erben, Proston漷odn蟌skpisna w骿adla (1863), Praha 1939, p' 232
(n漥瞚 442)
(7) Cfr' Jan Tanner, Pokora P漮era Albrechta Chanovsk逸o (1680), in
Zden瘯 Kalista, 蟌skbaroko cit', pp' 159-61.
(8) Cfr' Adolf Wenig, Starpov瘰ti praeskcit', p' 110; Karel
Krej鍎, Nesrozumitelnsvat in Praha legend a skute螽osti cit', pp'
132-34.

84

All'inizio del Settecento il Ponte Carlo si popoldunque di
statue, che adombrano la vittoria della Controriforma in Boemia, la
Chiesa trionfante ad un secolo dalla Montagna Bianca, l'espansione
del cattolicismo in contrade lontane. Nel giro di otto anni (1706-14)
sulle orizzontali lunghissime delle spallette, sui possenti pilastri
infissi profondamente nel fiume, venne sorgendo uno stuolo di gruppi
scultorei a distanze ritmate come i nomi di una litania. Se lsotto,
nell'isoletta di Kampa, il poeta si cruccia della soffocante
strettura dei muri, che spesso portano in cima 勁a ben nutrita dal
Barocco - statua della morte(1), nel viale, che prende origine dal
Ponte Sant'Angelo, i santi in cymbalis bene sonantibus, impasto di
visionario fervore e di aneliti di trascendenza, hanno intorno aria,
acqua, nuvole, immensi baldacchini di cieli, e un brulichio di
gabbiani che cadono a vite tra le onde. Facolt chiostri, collegi,
famiglie gentilizie e borghesi commisero quei manichini di pietra
arenaria a diversi scultori, fra i quali emergono Mat疀 V歊lav
J踄hel, Jan Oldwibl Mayer, Ferdinand Maxmili滱 Brokof, Maty碭 Bernard
Braun. Polverose processioni con fiori di campo giungevano dalla
provincia morava e boema a masticare paternostri dinanzi a questa
vetrina di baroni celesti.
Ma non si puintendere la magia del Ponte Carlo, senza includervi
le architetture contigue che, a detta di MiloMarten, esprimono
concordemente 咨utto il dramma dello spirito latino(2) Dal lato
della CittVecchia l'intima e soave piazzetta dei Crociferi, arca di
gioielli barocchi, 咬idente aiuola(3), ai cui lembi si affacciano
le chiese del San Salvatore e di San Francesco, oltre al Klementinum.
Dal lato di MalStrana la cattedrale di San Nicola, sulla quale 哎n
capriccio incantevole ha posto la capovolta coppa smeralda di una
cupola di verderame, come un faro di luce trionfale(4) Nella
siluetta della CittVecchia la chiesa di San Francesco dei
Crociferi, con l'elastica curva della sua pura e leggera cupola, fa
riscontro alle guglie della torre del ponte, costituendo una duplice
consonanza, uno sposalizio di Gotico e di Barocco. E a questo
accordo, dall'altro lato del ponte, corrisponde il perfetto
equilibrio tra la torre gotica dell'ingresso di MalStrana e la
cupola di malachite di San Nicola, 前norme rosa verde(5), che si
armonizza a sua volta con quella di San Francesco dei Crociferi.
Sul loggiato e sul tetto del San Salvatore, nelle nicchie della
facciata e sull'attico di San Francesco hanno nido parecchie statue
di evangelisti, gesuiti, teologi, vescovi, angeli con gli strumenti
del martirio di Cristo. Di qui, da questo vivaio ed emporio di santi,
dal caldo portico del San Salvatore, muove il corteo di arenaria che
ingombra i parapetti del ponte. Il corteo muove, solenne come le
apoteosi della pittura boema barocca, verso la cattedrale di San
Nicola, la cui verde cupola, in questa giocoleria di semisfere e di
triangoli, sembra gonfiarsi man mano che ci si avvicina dalla
glittoteca fluviale.
Seifert discorre delle api che a primavera, intirizzite come se
fossero nate nel tritume del ghiaccio, svolano dalle sottane dei
santi dottori e soldati di Cristo allineati sul Ponte Carlo (6)
Questa sfilata di pietra arenaria, che a un viaggiatore straniero
parve una duplice fila di moschettieri (7), anche una prestigiosa
rassegna di paramenti: dalmatiche, infule, berrette a spicchi,
pastorali, pianete, piviali, drapperie svolazzanti, cascate di
crespe, tonache simili a flutti infuriati. Al repertorio
vestimentario si aggiunga un arsenale di oggetti: croci, vangeli,
catene, rosari, aureole attaccate all'occipite con uno stecco da
zucchero filato, e i libri e il calamo di san Tommaso, i vasi di
sant'Antonino di Padova, il codice di sant'Ivo, la clava di san Giuda
Taddeo, i bossoletti di unguenti dei medici Cosma e Damiano.
Quei baroni celesti hanno anche un loro zoo, ma il viale sul fiume
principalmente uno scialo di cherubini. Un angelo porta una cesta
di pane, uno vuol travasare il mare con una conchiglia, uno tiene un
alveare, altri reggono stemmi, cartigli e attributi dei vari patroni.
Chi si aggrappa alle rocce, chi vortica in aria come un fiore alato.
Nel gruppo di san Gaetano testine di angeli sono sospese, assieme a
ciuffi di nubi di sasso, ad un obelisco che culmina in un grosso
cuore. Anche se ricco di glorie locali, questo circo di santi
testimonia dell'esotismo caro al Barocco (8) Penso al turco e
all'ebreo sul rovesciato tronco di cono del basamento di San Vincenzo
Ferreri e di San Procopio (l'ebreo barbuto che, avvolto in un t滎ess
e con le mani rugose, sembra star qui come un console del favoloso
circondario di Rabbi L饖), al turco guardiano dei prigionieri
cristiani nel piedistallo di San Felice di Valois e San Giovanni di
Matha, al principe indiano e ai due paggi inginocchiati dinanzi a San
Francesco Saverio che alza la croce, e al negro, al tartaro, al
giapponese, all'indiano modellati sul dado dello stesso gruppo,
all'Asia dalle sfarzose vesti di maga sul plinto di Sant'Ignazio.
Alcune sculture del conclave vitavino si imprimono con prepotenza
nella memoria. Soprattutto ci affascina il gruppo di Santa Luitgarda.
Rivolgendosi a Cristo, il poeta e organista barocco Adam Michna z
Otradovic aveva scritto: 俟anta Luthgardys, costante@ tua amata
vergine amante,@ trovnel tuo cuore convito@ e dolce idromele
squisito@(9) La ballata di pietra scolpita da Braun rende
mirabilmente lo spasimo della cistercense fiamminga intabaccata di
Cristo. Vivificum latus exugit cor mutuans corde. Luitgarda,
languente per il calore dei sensi come una rosa estivale, afferra in
ginocchio le ginocchia di Cristo che, inchiodato con la sinistra alla
croce, posa la destra sull'omero della sua mistica concubina. Questa
scena di quasi venereo ardore e di indomita trasognatezza, cui
assistono angelici putti e fiocchi di nuvole, questo tu-per-tu
terra-cielo, il cui impulso drammatico dilatato dalla giacitura
asimmetrica dell'intero gruppo, si svolge su un greppo pesante,
tempestosamente ondulato come i maniconi ampi e cascanti della
smaniosa tonaca della cistercense. Per la foga trascendentale, per
l'irrequietezza le sculture di Braun sono tutte della stessa buccia:
ma un turbine ancor pifurioso sommuove e rimesta i drappi tesi e
sferzanti che si attorcono attorno al corpo scavato da un diluvio di
rughe e di stroppiature di un'altra sua statua, non di questo
areopago, non di arenaria ma di legno di tiglio, il grifagno
vegliardo san Giuda Taddeo.
La piinquietante sembianza della glittoteca sul fiume il Turco
di un gruppo di Brokof, il cosiddetto Turek na most il Turco del
Ponte, che fra le stranezze di Praga pufar comunella col Golem e
con la barbuta fantasima di santa Starosta (Heilige Kmernis) a
Loreta. La scultorea compagine rappresenta san Felice di Valois e san
Giovanni di Matha, fondatori dell'ordine dei trinitari, che si
proponeva di riscattare i cristiani dal giogo degli infedeli, ed
inoltre, chissperchassieme a loro, come un intruso, Ivan, santo
slavo. I tre patroni campeggiano sopra una prigione di roccia, dalla
cui finestra inferriata, torcendosi, tre disperati cattolici invocano
aiuto. Appoggiato alla rupe, rabbuffando le ciglia, sonnecchiante,
solenne, impassibile, vigila quella spelonca, quel caucaso un
beglierbei, un panciuto giannizzero con lunghi mustacchi spioventi,
un giubbone tutto alamari, scimitarra e turbante turchesco. Il suo
cagnaccio rabbioso sta quasi sul parapetto, come per annusare i
passanti. Il cervo di san Giovanni di Matha si tende dalle balze
rocciose, come se udisse il lamento dei tre infelici. L'impostazione
di tutto l'insieme rammenta gli aggruppamenti delle figurine nei
presepi barocchi e le scenette minerarie scolpite dagli artigiani
delle Kru螽Hory (10)
Racconta Oskar Wiener che Liliencron, nella sua fl滱erie innamorata
per le strade di Praga, rise di cuore dell'arcigno mostaccio del
Turco e ficcun'arancia, un'arancia nelle fauci aperte del cerbero
(11) Le orme pagane erano ancora stampate per le campagne del
Mitteleuropa, quando Brokof plasmquella statua (1714) Simulacri di
turchi, riverbero delle scorrerie che li portarono nel 1683 sino a
Vienna, troviamo in tutta l'arte barocca boema: e non solo nelle
apoteosi pittoriche e nelle sculture, ma anche nei canti da fiera,
nei presepi, nelle commedie folcloriche, nelle mascherate di San
Nicola e di Carnevale (12) Il mustafdel Ponte Carlo non peruna
cariatide, un vinto, uno schiavo, come in altre opere di stesura
barocca (13), ma una parvenza spettrale, un aguzzino che incute la
tremaruola, quasi un personaggio dell'infernaliana di Meyrink.
In un suo racconto Egon Erwin Kisch narra di un ricco e maturo
mercante di tappeti persiani, l'armeno Zadriades Patkanian che,
trasferitosi a Praga, sposMilu螶a, la giovane figlia di uno sbricio
sellaio. Giorno e notte costui portava al fianco la sciabola, con cui
aveva ucciso a Erzurum la prima moglie. Nella fantasia di Milu螶a
spaurita il truculento armeno prese a immedesimarsi col malefico
Turco del Ponte. Mentre quell'affumato babbione ciondolava nelle
taverne, la puella correva dal proprio coetaneo Ton骿, un cacaspezie,
per giocare con lui a spaccafico. Una sera, tornando tardi dal
congiungimento, Milu螶a per scaramanzia scagliun sasso contro la
scimitarra del musulmano di pietra: e l'arme, staccatasi
dall'impugnatura, cadde a terra in frantumi. L'armeno, che aspettava
gida qualche ora col cervello fumante di gelosia paladinesca e con
un ghigno impiccatoio, consorte disavventurato, nell'estrarre la
sciabola per decapitare Milu螶a, si trovfra le mani soltanto l'elsa
(14)
Sia che ostentino assorto sussiego, fissando le calcinose pupille
nel vuoto dei cieli, sia che si abbandonino al furioso dell'estasi,
sia che rassembrino conversioni e miracoli, le statue di questo
cammino della perfezione hanno tutte sostanza teatrale nei gesti, nel
pathos, nello sventolio delle tonache. L'orgoglio, la spocchia, una
certa spacconeria si mescono in esse con l'ansia di vincere la
pesantezza che le avvince alla terra. Penso all'enfasi dei santi
Cosma e Damiano, che come due cerretani sbandierano i loro farmachi,
all'enfasi alquanto melliflua di sant'Ivo, il patrono dei legulei,
all'enfasi di san Vincenzo Ferreri, che risuscita un morto dal
feretro, e di san Procopio, il gran domatore di diavoli, sotto il
quale si rotola un satanasso.
Nessuno di questi santi appare inerte e appagato e, a differenza di
Praga stessa, nessuno soffre di catatonia: sulle scoscese come dirupi
ribalte dei piedistalli danno simultaneamente spettacolo con
esagitate o solenni movenze da istrioni celesti e con abilit
equilibristica, a ogni mossa rischiando di scivolare dai
disagiosissimi greppi. Per implicare nel giuoco i passanti, alcune
comparse si sporgono sino a sfiorarli: il cane del Turco, ad esempio,
o quell'angelo di san Francesco Borgia, che spenzola liberamente le
gambe dall'orlo del plinto. Nemmeno dopo il tramonto le statue
cessano di recitare. Un tempo la diceria sosteneva che a mezzanotte
discutessero con disertissimi termini e capziositteologale, e nelle
taverne gli ubriachi ne riferivano i dialoghi immaginari.

NOTE:
(1) Vladimir Holan, Zed' III, in Askl酥iovi kohouta, Praha 1970, p'
164.
(2) MiloMarten, Nad m瘰tem cit', p' 24.
(3) Ibid'
(4) Ibid', p' 25.
(5) MiloMarten, Nad m瘰tem cit', pp' 24-25.
(6) Jaroslav Seifert, Kamennmost cit', p' 18.
(7) D' Moores (1779), in M瘰to vidim velikcit', p' 101.
(8) Cfr' Germain Bazin, Destins du Baroque, Paris 1968, pp' 212-20.
(9) Adam Michna z Otradovic, 蟌skmari滱skmuzika (1647), in
Re, kterousmrt zavwela, a cura di Zde螄a Tich Praha 1970, p'
91.
(10) Cfr' Jaromir Neumann, 蟌skbarok cit', p' 131.
(11) Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten cit', p' 42.
(12) Cfr' Jan Kopeck 蟌skbarokndivadlo lidov in D疀iny
蟌sk逸o divadla, I, Praha 1968, p' 326.
(13) Cfr' Germain Bazin, Destins du Baroque cit', pp' 212-17.
(14) Egon Erwin Kisch, Wie der Tke auf der Karlsbrhe um seinen
S踀el kam, in Prager Pitaval cit', pp' 230-39.

85
Nezval afferma: Chi non ha visto in che modo la notte, in certi
giorni non segnati nel calendario, queste statue abbandonano i
piedistalli suicidi, per mescolarsi ai passanti notturni, per
osservare i dodici ponti praghesi (di qui non si riesce a vederli
tutti), non capirmai la mia poesia...(1).
Leggendo le nezvaliane parole, mi sorto in pensiero di imbastire
un matto spettacolo su quel ponte, su quella ornatissima nave
incastellata di statue. Percimi rivolgo a lei, signor Krej螮,
regista capo del Teatro Alla Porta (Za Branou), a lei, copiosissimo
armadio di invenzioni sceniche, perchvoglia assumerne la regia,
chiamando a recitare, non solo i fantocci di pietra arenaria, ma
anche l'acqua del fiume e i verdi teloni di Petwin e il sottopalco di
Kampa, e le torri e i telai delle nuvole e i fondali di MalStrana e
il Castello. Si lasci imbarcare dalla fantasia, metta in opera tutta
una schiera di ingegni e di macchine suscitatrici di mutazioni a
sorpresa, diavolosi fracassi, girandole, magici apparimenti.
Cominceremo con una luminaria che replichi quella inscenata la sera
del 9 ottobre 1729 in onore del Nepomuceno. E' il tramonto. Come in
un quadro di Petr Brandl (2), il soffocato barlume dell'ultimo sole
nascosto dietro una nuvola, la fredda luce svogliata del giorno
morente si scontra con un caldo fluido luminoso, con una luce
sacrale, che sembra emanare da una colomba smarrita, l'ormai
spennacchiata colomba dello Spirito Santo. Rimbomba una triplice
salva di pidi venti spingarde, spaurendo i gabbiani scavezzacollo e
le campane che cantilenavano. Acrobatiche fiaccole, nidiate di lumi
si appicciano sulle finestre dei nobiliari palazzi, sulle siluette
dei chiostri, sui contorni a zigzag del Castello. Le facciate dei
templi traboccano di emblemi, di trasparenti, di addobbi allegorici.
Come file di quinte in successione prospettica divampano le rampicose
straduzze di MalStrana.
Il bagliore dei fuochi policromi accesi sulle torri del ponte,
cadendo nel fiume, si fonde col balenio di vermiglie stelle ornative
e di un crocifisso di fiamma issato sopra la cupola di San Francesco.
Come lucciole guizzano per la vitava barchette agghindate di aghi di
pino e di tremolanti come conigli lucerne (3) Quasi sudditi di un
regno del Sottins bramosi di trompe-l'鑀l, i fedeli, assiepati sul
lungofiume, sulla piazzetta dei Crociferi, a Kampa, scrutano il
cielo, dalla cui soffitta una frotta di cherubini precipita, come
nelle apoteosi della pittura barocca.
Trecento musici dentro due navi con trombe e timballi attaccano un
concerto fluviale sotto l'arcata del ponte che sottende la statua del
Nepomuceno. Ed ecco una pioggia di bengala diluvia per il firmamento,
spirali e soli giranti compongono labili allegorie sul taciturno
patrono. Sotto il ponte l'acqua eccitata, cambiando continuamente
colore, diventa ora verde come l'oliveto di Getsemani, ora fecciosa
come la brodaglia in cui Ponzio Pilato intinse le mani, ora
gialliccia come vino con fiele, ora nera come il buio del Calvario
nell'ora sesta, ora scarlatta come il sangue di Nostro Signore, ora
livida come il suo corpo inchiodato alla croce, ora violacea come i
sepolcrali drappi della Passione, ora cenere come il pianto di Praga,
come Praga che esanime aspetta che qualcuno le porga una spugna
imbevuta di aceto.
A mezzanotte si spegne la luminaria. Si disperde la folla. Ma per
il ponte passano ancora alla spicciolata perdigiorni ubriacatisi alle
fontane che sprizzavano vino dinanzi al palazzo dell'Arcivescovo.
Alcuni, cantando con voce alticcia, portano lunghissimi ceri, come
quelli che Brandl dipinse nel quadro Smrt svat逸o Vint魾e (La morte
di san Vint魾, 1718), nella chiesa di Santa Mark鈣a a Praga-Bwevnov.
Passano tre musicanti vestiti di nero, in frac e bombetta, gli occhi
arrossati sul ceffo bianco di gesso e di biacca, l'oboe sotto
l'ascella. Cinque angeli aitanti, tenendo in mano un giglio, un ramo
di palma, una fiaccola, una corona, una croce (attributi del
Nepomuceno), saltando e ballando a imitazione di Davide dinanzi
all'arca, tornano nella chiesa delle orsoline a Hrad螮ny, a
ricollocarsi dentro l'affresco di V歊lav Vavwinec Reiner (1727), da
cui erano scesi per prendere parte alla festa. Passano ancora
confidenti-arlicchini e caifassi e iscarioti e malefici scribi e,
diguazzando la spada, qualche arrogante Episciov o Reichsprotektor o
don Marradas, qualche coviello venduto, qualche mangiapagnotte che va
a riferire, qualche don Isquacquera, che se la fa sotto ad ogni
ingiunzione straniera. Voglio infratarmi perse quei tre che
arrancano adesso, gridando: "Illalla, illalla, Maumeth,
russoillalla non sono i tre schiavi cristiani che il Turco teneva
in prigione.
D'improvviso si sente un rimbombo, un cosintollerabil fracasso,
che sembra di essere al noce di Benevento. Quasi avessero dieci
spiriti in corpo, le statue sobbalzano furiosamente, agitandosi come
fantocci che pendano dalle dita di occulti bagattellieri. Alcune si
spiccano addirittura dal plinto, scendendone. Le scritte latine sui
piedistalli si arruffano in incongrui garbugli e orditure
lettristiche, simili ai 匍attogrammidi JiwKol漙. Presi da paura,
gli ultimi sparuti passanti si mettono a correre alla pazzesca.
Ma dura poco. Ben presto i santi ritornano immobili, a guisa di
ornamenti tombali. 非al vuoto le statue - racconta Mr褾骿 -
affioravano ai lati del ponte come neri cadaveri(4) Ora sembrano
tutte carcasse di cenere, senza nemmeno un granello del pathos che
solitamente le muove, feticci agghindati e ghignanti, spaventacchi
sacrali. La ridondanza ecclesiastica, la trionfalit l'alterigia dei
paramenti rivelano il loro rovescio, un miscuglio di vanitas, di
lutto, di ebbrezza del niente, un acre sentore di morte. Tra le
statue compaiono alcune delle orribili mummie che si conservano in
feretri aperti nelle ampie cripte della vicina chiesa spagnoleggiante
di Santa Maria delle Vittorie (5) Dalla sommitdel Castello un
attore (forse Radovan Lukavsk in un madornale megafono recita il
poema Co B齻? 螿ov瘯? (Che Dio? Che l'Uomo?, 1658) del gesuita
Bedwibl Bridel, - poema che contrappone alla verminosa nullezza dei
nostri poveri frali di creta, alla sparutezza quaresimale di noi
saccardelli l'immensa possanza e aseitdel Signore.
E a questo punto si leva un violentissimo nodo di vento, un vento
d'oceano piche di fiume, di quelli che mettono le onde alle stelle
e le caracche, i gran legni delle Compagnie delle Indie mandavano in
fondo. Durante questa tempesta, che imiterle procelle con tanta
frequenza descritte dalla letteratura barocca boema (6), la turba di
statue farun repulisti me domine, i santi di pietra arenaria
scompariranno, lasciando il ponte deserto e spettrale come una Badia
a Spazzavento.
All'alba le statue, riapparse sui plinti, riprendono i loro
recitamenti e sermoni, gli esercizi di acrobazia e trascendenza,
mentre i passanti attraversano il corridoio vitavino con borse
enormi, distratti, aggrondati, senza nemmeno curarsi di quel cabaret
litologico. Di dietro le nubi trapela una larva di sole: e mentre i
gabbiani si impennano, per poi cadere in candela, il sole, per dirla
con Holan, 厚iomba frattanto i denti delle statue(7) 促azzi
tranquilli i pescatori nei loro gusci fluviali tengono immersa la
lenza nell'acqua (8) 勁agginel fiume - si legge nei diari di Kafka
- c'erano alcune barche, i pescatori avevano buttato l'amo, era una
giornata coperta. Al parapetto del lungofiume alcuni giovanotti
stavano appoggiati con le gambe incrociate(9) Le rive
brulicheranno di questi 襁milov fannulloni praghesi che passano il
tempo a guardare, di questi pellegrini immoti che aspettano. Su e gi
per il viale uno strano tipo in un cilindro altmodisbl vender
piccoli libri, gridando: Alle belle istorie! Alle belle istorie! Il
Turco del Ponte. L'estasi di santa Luitgarda.

NOTE:
(1) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 347.
(2) Mi riferisco alla tela Kwest Krist驠 (Il battesimo di Cristo,
1715-16), che si ammira nella chiesa di S' Jan Kwtitel (San Giovanni
Battista) a Man皻in.
(3) Cfr' Antonin Novotn Kolem 俊emna in Staropraesksensace
cit', pp' 43-44.
(4) Vil鄉 Mr褾骿, Santa Lucia (1893), Praha 1948, p' 76.
(5) Cfr' Vojt瑿l Volavka, Pout' Prahou cit', p' 230.
(6) Cfr' Zrozenbarokov逸o b滻n骿a, a cura di Vil鄉 Bitnar, Praha
1940, pp' 110-11, 167-69, 203-4, 257-59, 331-34, 459-60.
(7) Vladimir Holan, PrvnTestament cit', p' 9.
(8) Cfr' Eduard Bass, Ryb漙i pod mostem, in Kuk漮ko, Praha 1970,
pp' 191-95.
(9) Franz Kafka, Confessioni e diari cit', 20 luglio 1913, p' 387.

86
Praga magica: ricettacolo e armadio di rottami e di oggetti
stantii, di vecchi arnesi inquietanti, assemblage di detriti, immenso
tandlmark, mercato di ciarpe e cianfrusaglie. Non a caso, sin dal
Seicento, il tandlmark (o t漷mark) brulicava nel cuore stesso della
capitale boema, nel mezzo della CittVecchia, fuori del ghetto. Da
un groviglio di baracche rivenduglioli e arcadori urlavano a gara,
offrendo all'udienza scarpacce, monete d'oro e d'argento, orologi,
cappelli, pugnali, pappagalli, gabbie di canarini, utensili
domestici, antiche bibbie, incunaboli, libri, pellicce e palandrane.
Qui, nel XVII secolo, il pittore Norbert Grund smerciava i suoi
quadretti per un ducato (1) Vivandiere vendevano frittelle, carne di
porco, piselli unti di grasso, traendo la dozzinale cibaria da
caldaie su rotelle. Una gran folla curiosa fiottava per le stradine e
piazzette formate dagli assiepamenti delle consunte trabacche di
legno. Paltonieri e bagasse e fottiventi si tramezzavano in quella
calca.
Benchpochi segni ne siano rimasti, nella sostanza di Praga
perdura il brulichio, il sortilegio del vecchio tandlmark. Ancor
oggi, a dire di Hrabal, nei residui di quel mercato 冠lle venditrici
di nastri scorrono nastri a colori dal naso quando li misurano col
gomito, alle erbivendole spunta ogni giorno un ombrellino dal
cocuzzolo 勁e fioraie tengono in tasche da canguro tulipani di
tutte le tinte 厚appagalletti svolazzano in gabbie, come metafore
poetiche e vecchiette, che 則anno il viso solcato dai segni dello
zodiaco e, al posto degli occhi, due pezzetti di pelle di
gattopardo 厚ortano alla luce quisquilie pazzesche 哎na vende
rose verdi di piume, una spada da ammiraglio e bottoni per
fisarmonica, l'altra offre mutandine militari da ginnastica e secchi
di tela e una scimmia impagliataAncor oggi 剃'puzza di neonati,
di pagliericci fradici, di aceto e di canapa(2)
All'inizio del secolo il tandlmark lussureggiava soprattutto a
Natale. Sulla Piazza della CittVecchia sorgeva in una notte una
cittaduzza di tremolanti baracche. Alle giallognole luci dei lampioni
a gas rispondeva dalle baracche un baluginio di candele infisse in
sfere di vetro, di lumini avvivati con olio di colza (3) In quella
contrada fiabesca incontravo impostori con diavoletti cart[u]siani,
indovini con pappagalli che estraevano a colpi di becco il pianeta
della fortuna, dalmati con le canestre ricolme di specchi, gillette,
preservativi. 亮elio, Gelio: Tutti Fruttiera il grido dei gelatai.
Si udivano strambi richiami: 亭ichi, fichi d'America. Bretelle della
bellissima regina MandaCome ha scritto Paul Leppin, 咨ra cavalieri
di panpepato, gialle trombette e infantili tamburi a colori faceva
ressa la gente, e tra la calca si aprivano a due a due le ragazze la
strada. Svolazzando nel vento, le fiamme vacillavano sopra gli
esposti dolciumi ed illuminavano il rosso turbante di quelli che
offrivano in vendita il miele turco(4)
Nei tirassegni, vegliati da torpide donne accucciate come botoli ad
una finestra, si sparava su pipe di gesso. Ka螲漷ek recitava la sua
burletta in malfermi castelli di burattinai. Cantafavole sciorinavano
storie d'amore e di crimini, indicando con una bacchetta le scene
dipinte su un telone cerato. Ad accrescere la pittoresca farragine
concorrevano i teatri meccanici, con le scenette del lavoro in
miniera, i panorami, i musei, i gabinetti delle figure di cera, con
la testa di cera parlante, la dama decapitata, la ninfa marina,
miscuglio di scimmia impagliata e di carpa squamosa (5)
Il bulgaro Duko Petkovi柚 vendeva su襁k e miele turco, duro come
granito, e rahat lokum, costellato di mandorle amare, e croccante,
che tagliava da un blocco con una piccola scure o, come Kisch
ricorda, con una ghigliottina (6) Nelle baracche di Praga-tandlmark
si ammucchiava ogni sorta di leccornie: peprmint, panforte, 勁egno
dolce 厚ane di San Giovanni e pendrek (B酺endreck: cacca d'orso)
ossia liquirizia, e cukrkandl (zucchero candito), e mejdl斁ko
(saponetta), prisma variopinto dal sapor di sapone, e cornetti di
neve, e palline multicolori di semi di zettovario, che cacciavano i
vermi, e incannate di berlingozi, e cialde, e amaretti, e confetti
spumosi, e 螲al骿, piccolo ceppo di zucchero in forma cilindrica,
attraversato da un fiore, e acoro inzuccherato, e altre innumere
stirpi di chicche e di fanfrelicchi e di biancomangiari. Si
aggiungano le figurette di neri spazzacamini, che comparivano nelle
vetrine per San Nicola, accanto alle noci spruzzate d'oro:
spazzacamini di prugne secche e grinzose, infilate su lunghe
assicelle, con un bianco berretto di carta e una scaletta in spalla
(7)
A simboleggiare la Praga dei rivenduglioli sceglieremo il signor
Mar漮, un robivecchi che, alla fine del secolo scorso, sedette per
vent'anni, come il personaggio di un pittore domenicale, a un suo
misero banco sotto un'arcata del basso loggiato dinanzi al caffU
褾urm al Mercato del Carbone, ossia nel folto del tandlmark (8)
Dopo aver fatto il granatiere in quattro guerre, povero in canna, si
era messo la vendere agli straccioni stracci e rimasugli raccattati
in fastelli di rifiuti. Pioggia o neve, il robivecchi dal volto
arrappato, pittura di rughe, se ne stava immobile sullo sfondo di
quel casamento decrepito, di quella haluzna dai muri grigi e
scrostati.
Sul banco tarlato e in due gerle piene di buchi teneva brandelli
morchiosi, pentole rotte, stoviglie, lampade, lerce cravatte,
bocciuoli e urnette di pipe senza cannello, logore borchie, scarpe
senza calcagno nsuola, spazzole prive di setole, maglie di
catenelle, una raccolta di ombrelli, cui mancavano la copertura e le
stecche, colletti sporchi, frantumi di rasoi, di coltelli, di
occhiali, forchette spezzate, fascicoli malconci di romanzi neri:
alle corte una ciurmaglia di vili festuche, racimolate nei piremoti
mondezzai e cacaturi di Praga. Davanti a questa babele di impolverate
minuzie sedeva maestoso in una poltrona di legno il signor Mar漮, con
un burnos rappezzato e un bisunto chepmilitare.
Praga non consiste soltanto nelle fastositdel Barocco, nelle
verticali del Gotico, ma anche in questo Merz di ciarpame, di cose
finite sul lastrico o chiuse nelle cassapanche, di ready-mades per
incuria o risparmio, di detriti e vecchiume da rigattiere, di
fatiscenti reliquie, che crescono come granelli di senapa nell'orto
della fantasia (9) La presenza ebraica, la parsimonia dei cechi, il
loro affetto per gli oggetti, 剃ompagni silenziosi(10), e in specie
per i frantumi da rabberciare in mancanza di nuovi: tutto ci
prospera la mia concezione di Praga come mercato. Ancora in tempi
recenti, in vecchie case borghesi, si affollavano nelle cassapanche
stinti solini e cilindri, che un qualche signor Hloch, consigliere
absburgico, aveva indossato a Vienna, e soprammobili rotti e
stivaletti sformati e cartoline a colori e frastagli di cose ormai
vane, conservate sino all'estrema decrepit come i vestiti antiquati
nei sovraccarichi armadi dell'ostessa all'Albergo dei Signori (11)
Al metafisico tandlmark della cittvitavina appartengono anche le
inezie delle serate danzanti dell'Ottocento, la chincaglieria
malinconica dei balli a E'ofin e in altre sale, organizzati da
associazioni dai nomi floreali: 俊uberosa 亮ardenie 促etunie i
cotillons, che le ragazze celavano sino alla morte nel fondo di
scrigni. Cotillons di cartone, di seta, di velluto, di pelle, in
forma di quadrifogli, di foglie di tiglio, di faretre con frecce, di
piccoli album dagli orli dorati, di manicotti con un cilindretto
girevole che conteneva l'elenco dei balli. Tutte le inezie delle
fuggevoli feste, e i programmi stampati in oro, in cinabro, in
argento, su glaz酥apir, con a fianco una matitina, perchogni dama
potesse segnarsi il nome del partner (12)
Ma c'era un altro tandlmark, quello che si spostava di osteria in
osteria, trasformando l'intera Praga in una fiera ambulante. Nel
romanzo Santa Lucia Vil鄉 Mr褾骿 ha descritto l'andirivieni di
rivenduglioli nella birreria U Flekalla fine dell'Ottocento:
una scugnizza dalla testa arruffata, che correva di tavolo in
tavolo a offrire scatole di zolfanelli, mercanti di Ko蟌vje con gerle
appese al collo, infarinati scultori con calchi di statue di gesso,
umili vecchiette con accatastate piramidi di arance e meluzze di
Meissen, venditori di quadri con insanguinati volti di Cristo e con
nude ninfe dalle seducenti gambe incrociate e dal corpo di ballerine,
valacchi con noci, venditori di mandorlati e merciaiuoli da fiera con
uccelli che estraevano pianeti...(13).
Nell'elenco si mettano inoltre i molteplici rivenditori di frutti
canditi, di barometri, di palloncini, di biglietti delle lotterie, di
rotolini di aringhe, di macchinette, di mandorle abbrustolite, di
cetriuoli annegati in un lurido liquido scuro. Un inesauribile nastro
di merci scorreva di taverna in taverna. E non siano obliate le
厚iccole locomotive dei caldarrostai che la notte 哀tavano con
occhi rossi sull'orlo della carreggiata(14), e le notturne teiere a
rotelle, i samovar semoventi, che avevano il loro prototipo in una
minuscola vaporiera tirata da un cane, detta 隹mbulanza delle bevande
caldeo 青affCandelabro perchil mescitore soleva appoggiarsi a
un lampione (15)
Questo teatro di rivenduglioli e di rigattieri, di attrezzi
spezzati e spenti rivive nei surrealisti praghesi che, come quelli
parigini, idoleggiano i rancidi feticci dei march廥 aux puces. Vecchi
Automaten con figurette danzanti, sfere di vetro, tavole da
tirassegno, teloni da fiera, tabelle da chiromanti con la parabola
della vita umana, maschere, specchi offuscati, statuine infrante,
rottami, piccole bare con dozzinali arabeschi, putti da stele
tombali: l'assortimento ammuffito del tandlmark si frammischia con
l'attrezzeria surrealistica nelle foto del ciclo Na jehl槆l t璚hto
dn(Sulle punte di questi giorni, 1935) del pittore Jindwibl 褾yrsk
(16) Un angelo appeso con le ali spiegate al frontone di una
drogheria regge il cartiglio 俑aterialistaIn una vetrina da
parrucchiere civettano manichini muliebri dalla capelliera ondulata,
tra flaconi e reclames di Odol e Birkenwasser. Un sentore morboso di
ortopedia si propaga dalle bambole rotte, dai torsi di celluloide di
褾yrsk Rovesciando la formula, pudirsi che, in virtdel loro
amore per le bambole a pezzi (rozbitpanenky), i tirassegni, i
panottici, i fantocci delle barbierie, le statuette di legno dei
caroselli, gli affissi dei baracconi, gli oggetti slabbrati, i
surrealisti di Praga sono gli eredi del tandlmark (17)

NOTE:
(1) Cfr' Karel H歍ek, O tandlmarku, in 褾eno starPraze cit', p'
21.
(2) Bohumil Hrabal, Kafkeria, in Inserzione per una casa in cui non
voglio piabitare cit', pp' 22-23.
(3) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', II, p' 74;
Johannes Urzidil, Trittico di Praga cit', pp' 20-22.
(4) Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis cit', pp' 50-51.
(5) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', II, pp' 72-74.
(6) Cfr' Egon Erwin Kisch, Praeskdobrodruestv Praha 1968, pp'
52-54.
(7) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', II, pp' 70-71.
(8) Cfr' Karel L' Kukla, Pan Mar漮 od 褾urm(Obr漘ek z praesk逸o
podloub, in Ze v蟌bl koutPrahy cit', pp' 102-3.
(9) Cfr' Bohumil Hrabal - Miroslav Peterka, Toto m瘰to je ve
spole螽p塗i obyvatel, Praha 1967.
(10) JiwWolker, V璚i, in B滻n Praha 1950, p' 75.
(11) Franz Kafka, Il Castello cit', p' 340.
(12) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', I, pp' 121-24.
(13) Vil鄉 Mr褾骿, Santa Lucia cit', p' 205.
(14) Paul Leppin, Severins Gang in die Finsternis cit', p' 25.
(15) Cfr' ibid', pp' 137, 139, 140, e Egon Erwin Kisch, Caf
Kandelabr, in Die Abenteuer in Prag cit', pp' 353-56.
(16) Jindwibl 褾yrsk Na jehl槆l t璚hto dn(1935), Praha 1945.
(17) Per surrealisti intendo, non solo Nezval, Biebl, 褾yrsk la
Toyen, ma anche i poeti e pittori della Skupina 42 e Holan e Hrabal e
i fotografi Miroslav H毾 e JiwSever. Cfr' Toyen, Stwelnice
(1939-40), Praha 1946; Miroslav H毾, O蟊ma sv皻 kolem n滻, Praha
1947; Ludv骿 Sou蟌k, JiwSever, Praha 1968.

87
Praga magica: conglomerato di osterie e birrerie di ogni sorta,
plesso di fumosi locali, mondo di ubriacature solenni e di imbrogli
di tavernari, cui presiedeva il protettore dei beoni, il genio
dell'allegra miseria Lumpacivagabundus. Chi non ricorda le molte
gargotte del romanzo di Ha蟌k? Chi non ricorda 俗 Kalicha(Al
Calice), terra promessa di 襒ejk e di Vodi螶a, e il 便ukl骿 dove
哀uonano il violino e la fisarmonicae 哉anno battone e varia altra
societcostumata, che non ammessa alla Casa di Rappresentanza
(1)
Nel secondo Ottocento la Cittebraica pullulava di innumere
bettole, cacarella della borsa e rovina del fegato. Ebbe il grido fra
le altre l'equivoca 俗 Dejl欞, benevento e ricovero della marmaglia.
Questa spelonca, fondata dal caduto in miseria Mamert Dejl, ex
proprietario di una 剃asa giallaa MalStrana e del Caff俟tar
Slavia era insieme una bisca, una mescita ed un riparo di slendre.
Ma nel sottosuolo, in un'afosa cantina, chiamata 亟'blu螄(con
parola che imita il tonfo di un corpo dentro una gora), su fradici
stramazzi, si accampavano ciurme di miserabili e gente da fogna,
sbricchi, ladri e falsari.
In quel sottosuolo spettrale, nell'umido, al barlume di fuligginose
lucerne a petrolio, gli 前blu螄awi cui era vietato l'accesso alla
bettola, sonavano su pettini avvolti in carta velina, giocavano a
carte, imbastivano recite, senza che quelli di sopra, gli eletti, se
ne accorgessero. Di tanto in tanto gli sbirri dal pennacchio di piume
di gallo irrompevano nelle catacombe. L'oste riusciva a tenere in
briglia i ribaldi intanati nei sotterranei, ma quando, nel 1893, egli
si tolse la vita, impiccandosi a un albero, la polizia chiuse la
bettola 俗 Dejl欞 e il suo ipogeo di randagi (2)

NOTE:
(1) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, p' 97.
(2) Cfr' Karel L' Kukla, E'blu螄 (Obr漘ek ze eivota v no螽kr螸,
in Ze v蟌bl koutPrahy cit', pp' 157-60.

88
Lo stesso giorno fu chiusa un'altra spelonca, 雨atali霵 della
quale discorre, nel Golem di Meyrink, il marionettista Zwakh,
raccontando le vicissitudini del dottor Hulbert. Non Hulbert (n
Ungr), ma Uher si chiamava lo strano personaggio, di cui verremo ora
a dare una sufficiente contezza. Nato nel 1830, laureatosi in legge,
Franti蟌k Uher era divenuto un illustre giurista, oltre che un
deputato alla dieta boema. Secondo Zwakh, egli 冠veva la faccia tutta
verruche e le gambe storte come un bassottoe abitava, come un
mendicante, in una soffitta (1) La bellissima donna che aveva
sposata, pigiovane di lui di venti anni, lo tradcol suo amico pi
caro, il tenente Hojer, fuggendo oltremare, dopo avergli sottratto
ogni sostanza (2) A detta di Meyrink, la frivola moglie, di nobile
origine ma sprovveduta di ricchezze dotali, scappinvece con uno
studente povero, che Hulbert, privo di figli, aveva beneficato, senza
che mai alcun sospetto gli si insinuasse nell'animo.
Ed ora entra in scena, melo. Nell'apprendere dell'infedelto nel
sorprenderli, Uher crollcome una quercia schiantata. Ah, rinnegata
donnaccia, la tua canitudine! Tornato in s diede segni di
forsenneria, tentdue volte il suicidio e, dimesso dall'ospedale,
cercnell'alcool sollievo. Secondo Meyrink, il marito sorprese
l'adultera, mentre per il compleanno le portava un mazzetto di rose:
俟i dice che le azzurre miosotidi possano perder per sempre il
proprio colore, se improvvisamente la smorta, sulfurea fiamma di un
lampo foriero di una grandinata si abbatte su loro: certo che
l'anima del vecchio divenne cieca per sempre il giorno che la sua
fortuna andin frantumi(3)
Lasciata la calda casa, si ridusse a dormire in stalle e cantine su
mucchi di rifiuti, come un oggetto stantio di Praga-tandlmark. In
sudici stracci, senza piun vedovo soldo, comincia debilitarsi e a
smagrire. Simile a un'ombra, a una febbre quartana, a una mummia
appiccata, chiedeva in strada in un latinorum curiale, come un
Pedante, elemosina ai suoi colleghi avvocati ed ai minutanti, per
poter bere con altri reietti.
Ign漮 Herrmann ricorda di averlo incontrato per la prima volta nel
1869: 侵 piedi sguazzavano in scarpacce scollate, che tenevano
insieme a malapena, rendendo alquanto blesi e striscianti i suoi
piccoli passi precipitosi. Il giacomo giacomo delle ginocchia
rafforzava questa impressione. Le sue brache erano in basso
sfrangiate e piene di vecchio fango ormai secco. Copriva il corpo un
lungo, stretto soprabito di un color ruggine fortemente sbiadito,
serrato al mento. Era chiaro che non aveva camicia, forse nemmeno
mutande, dacchle brache gli ciondolavano addosso come nel vento. Il
gonfio e quasi tumido volto, sotto il mento e alle orecchie, era
fasciato da un sordido fazzoletto screziato. Un'ammaccata bombetta
copriva sul cocuzzolo il nodo del fazzolettoIl fratello di
Herrmann, dottore in legge, diede a Uher una monetina d'argento, e
quello: 剃on che aviditacchiappla moneta e com'erano sporche le
sue mani. Sporche come il bastone scheggiato, senza pimetallo alla
punta. Com'erano tumefatte le guance. Aveva le borse sotto gli occhi,
e gli occhi torbidi, acquosi, allagati, i mustacchi come intrisi di
broda, e il resto del volto coperto da uno sterpaio setoloso, come un
ergastolano(4)

NOTE:
(1) Gustav Meyrink, Der Golem cit', p' 52.
(2) Cfr' Max B' St蓳ho, 蟌skn漷odnzp瞚毾, vlastenec, humorista
a spisovatel Fr' Leopold 螸id: jeho eivot, dilo a kritickliter漷n
studie, Praha 1923, pp' 16-17.
(3) Gustav Meyrink, Der Golem cit', p' 54.
(4) Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', II, pp' 195-96.

89
Meyrink racconta che Hulbert, la stessa sera del giorno in cui
sorprese la moglie col cascamorto, tramortito dall'acquavite giaceva
nel 俟alon Loisitschek che poi divenne suo assiduo rifugio. Egli
confonde peril 俠oisitschekcol 雨atali霵Il particolare del
cucchiaio di stagno legato al tavolo da una catenella, cucchiaio con
cui Zwakh batte il tempo (1), rimanda a questa seconda bettola: anzi,
nella commedia di 螸id Batali霵, i cucchiai sono assicurati con fili
di ferro, non ai tavoli, ma a pentolini.
Il 俠oisitschekdi Meyrink, gremito di prostitute spettrali e di
folli parvenze diaboliche, pitturate con pingui colori, diverge, non
solo dal 雨atali霵 ma anche dal vero 俠oisitschekSpelacchiata
spelonca di Dlouhtwida, tra il Municipio ebraico e la Sinagoga
Vecchio-Nuova, la taverna 俗 Lojz斁kasopravvisse pia lungo delle
altre del Quinto Quartiere. Si animava dopo la mezzanotte: e nella
musica di un pianoforte scordato, su cui strimpellava un anziano
pianista, chiamato 俟ignor Maestro cantavano roco e facevano
approcci bagasce con marranchini e beoni, per poi ritirarsi in
disparte a giocare alla sciancata, a spaccafico, a quattro spinte, a
quattro botte. Il padrone Alois Florian, vulgo Lojza o Lojz斁ek,
piccolo omino paffuto con una lunga testa a foggia di pigna tra le
spalle incavate, finsuicida anche lui, come Dejl (2)
Erano tutte d'una minestra queste grotte e gargotte, queste caverne
di lupe, queste vetrine di fronti sudate e di teste pendenti per la
stoppositdella birra. Ma Gustav Meyrink trasforma il volgare
俠ojz斁ekin un ritrovo che unisce i sapori della Secession con una
demonia di ascendenza hoffmanniana, in un Tingeltangel insieme
scurrile ed onirico, in uno speco di maschere magiche e fantasime
ambigue, di mattaccini dal bistro pesante, sfregiati dall'angelo
della perdizione.

NOTE:
(1) Cfr' Gustav Meyrink, Der Golem cit', p' 51.
(2) Cfr' Karel L' Kukla, Praesktah (Obr漘ek z lotern駩o
weditelstv, in Ze v蟌bl koutPrahy cit', p' 191; Ign漮 Herrmann,
Praeskghetto (1902), in Pwed pades漮i lety cit', IV, 1938, pp'
137-38.

90
Nella ripugnante bettola ebrea 雨atali霵 all'angolo tra via
Platn鈍ske via Mikul碭sk di fronte alla trattoria 隹lla rana
verde(俗 zelen魤by, si inselvava un'accolta di esistenze
sciupate, di derelitti. Questa fossa era asilo notturno e quartier
generale di Hulbert-Uher (1) Un fascio di luce violenta avrebbe
scoperto in quel basso ed angusto seminterrato, nella spilorcia
penombra, intrisa di fumo e di velenosi vapori, un formicolio di
figure sospette, di ceffi fuggiti dalla notomia, di guance smorte,
come incrostate del liscio della cerussa, di ubriachi truffieri, che
canticchiavano con voce arrochita, di lerce cantoniere, che
prorompevano in risa squaccherate, di straccioni dagli occhi torbidi,
che esalavano l'anima in rutti, di lenoni, di bari, di malandrini.
Tutto l'arredo di questa tana dai muri smattonati e grommosi
consisteva in alcune panche e tavole, a cui con catenine di ferro
erano avvinti arrugginiti cucchiai, in un frantume di specchio
incastonato vicino alla porta, in una piccola stufa, in una catasta
di botti con rum e varie acquaviti, tra le quali il ginepro ed il
persiko, che gli avventori sorbivano assieme a un'agliata comprata
nella trattoria dirimpetto, e in un bancone stracarico di caraffelle
e di brocche e di bicchieri cresimati, - un bancone, dietro cui
troneggiavano l'oste, un ex vivandiere tozzo e scrignuto, e sua
moglie, un tempo guardiana di carceri e percidetta 厚rofossa 雨atali霵si denominava da quando, una notte d'inverno, un ubriaco
aveva vergato quella parola col gesso sulle decrepite porte. Hulbert
si assunse l'incarico di presidente della bizzarra combriccola di
勁eoni della bisboccia che vi avevano sede, di quel sodalizio di
reietti, che erano amici per la pelle e disposti a battersi l'uno per
l'altro. Il 剎attaglione il coro di questa 剎allata di stracci
(2), obbediva al giurista: egli guidava le scorrerie dei suoi
哀udditi amministrava il denaro, che i mariuoli portavano dalle
rapine o dai giri di accattonaggio, custodiva l'冠rchivioe il
guardaroba comune, ossia due 冠bbigli di rappresentanza uno di gala
per le occasioni solenni (questua dai pezzi grossi, chiamate alla
polizia, musiche e nozze), nel quale ogni pitocco appariva stralunato
ed improprio, come un asino in porpora, e l'altro 削a commercio un
insieme di cenci lebbrosi, cossquarciato, che i poliziotti non
potevano non impacchettare colui che lo indossava. Ed era questo
appunto il proposito del 剎atalionistaprescelto: farsi arrestare,
per ottenere in prigione un vestito pidegno, da rivendere ad un
rigattiere, versando quindi l'importo nella cassa della congrega.
Il giureconsulto beveva disperatamente, sino a rotolar sotto i
tavoli, addormentandosi come scannato. E quando (ritorna, melo!),
rannicchiato in un angolo, con gli occhi pisciarelli, raccontava ai
compagni il passato, l'amore infelice, aprendo loro il suo fondaco di
affanni, la sua dogana di angosce, il suo magazzino di crucci, -
brusio, urli, risate cessavano come per incanto, e gli straccioni si
levavano il berretto, abbassando la testa. E non era raro, a detta di
Meyrink, che una sgualdrina commossa gli mettesse in mano un fiore
mezzo appassito (3)
Gli amici tentarono di svellere Uher da quella spelonca, ma lui
ritornava sempre al suo 雨atali霵 al suo persiko e, salutato con
gioia dai ribaldi, si riavvolgeva in brandelli. E quando gli vennero
a noia i premurosi, ingiunse ai compagni di scacciare ogni intruso
soccorritore. Secondo Meyrink, lo trovarono assiderato su una
panchina del lungofiume. Ma sembra invece che fosse raccolto
malconcio dietro un portone su un mucchio di scarti e portato
all'ospedale della Misericordia, dove si spense l'11 settembre 1871.
Era consuetudine che ai funerali di ogni dottore dell'Universit
Carlo assistessero il preside ed il bidello della sua Facoltcon le
insegne. Dietro il carro mortuario a due cavalli, che recava le
spoglie di Hulbert-Uher dall'obitorio al cimitero di Ol螮ny,
incedevano in toga i rappresentanti della Facoltdi Giurisprudenza e
il bidello in un manto di velluto scarlatto dagli orli di ermellino,
tenendo una catena d'oro su un guanciale di broccato, e i monaci
della Misericordia e, a qualche distanza, l'intero 剎attaglione
piangente, una folla di sbrendoli, e in mezzo agli altri, a detta di
Meyrink, persino un pezzente vestito di fogli di giornali legati con
spago.
Meyrink racconta che, per testamento di Hulbert, ogni
剎atalionistariceveva gratis ogni giorno, al 俠oisitschek una
minestra dentro una conca scavata come scodella nei tavoli. In
realt con la morte di Uher, il 雨atali霵si disperse, e i suoi
accoliti resero l'anima a Dio per inopia o per etilismo. La taverna
pitardi scomparve sotto il maglio del 咬isanamento come sotto la
spada di un angelo sterminatore.

NOTE:
(1) Cfr' Karel L' Kukla, Batali霵 (Obraz z ovzdu鍎 alkoholu), in Ze
v蟌bl koutPrahy cit', pp' 19-38.
(2) L'espressione 剎allata di stracciil titolo di una commedia
(1935) di Voskovec e Werich. Cfr' JiwVoskovec - Jan Werich, Balada
z hadr in Hry Osvobozen逸o divadla, I, Praha 1954, pp' 145-254.
(3) Cfr' Gustav Meyrink, Der Golem cit', p' 55.

91
Hulbert-Uher divenne un'immagine-chiave della mitologia praghese.
La leggenda moltiplica mille doppi la desolazione della sua storia.
Fu soprattutto l'attore e cantante folk Franti蟌k Leopold 螸id a
diffonderne il mito nel suo atto unico Batali霵, in cui interpretava
il dottor Ungr (ossia Uher), 咬e dei vagabondi(1)
螸id (1848-1915) fondil primo cafchantant praghese nella
locanda 俗 billabut篕 (Al cigno bianco), modello di una fungaia di
cabarets e teatrini di bettola, tra i quali rimane nella memoria,
perchlegato ad Apollinaire, 俗 Rozvawil欞 Egli interpretava
macchiette del popolo, figurine della vecchia Praga, 厚erdigiorni
bonari e in specie pepici, ossia bulli, con un berretto sghimbescio
e tra le labbra un virginia. Le sue commediole animavano una popolosa
famiglia di ladruncoli, fisarmonicisti, 剌ilosofidei bassifondi,
prostitute, eroi da taverna: e cispiega il suo caldo interesse per
le vicende di Uher.
Il Batali霵 di 螸id, 叛uadretto di ambiente alcoolico descrive
con flebile pathos quel 剃ovile di infamia movendo dalla certezza
che la vita della malavita pipura dei giorni inorpellati dei
probi. Invano i colleghi tentano di tirarlo fuori dalla cloacosa
pozzanghera: nauseato della multiforme impostura della gente perbene,
Ungr torna sempre a infognarsi nel sozzo regno della poveraglia,
crucciata della sua assenza.
螸id trasfuse nella straziante delusione del giurista caduto
qualcosa della propria amarezza di piccolo guitto impigliato nelle
piccole scene delle osterie. La sua commediola contiene tutte le
lacrimose risorse degli orfanili bozzetti dell'Ottocento: non manca
l'incontro di una donna di strada col figlio tisico. Seduto su una
botte, gli occhi fissi nel vuoto, Ungr-螸id gettava gli ahi pi
dolenti che possano uscire di cuore ad un disperato e cantava col
tremolo di un ubriaco al quale si doppino le lucerne una canzone
mestissima, che mosse il pianto di molte esistenze infrante e di
molte anime negricate:
Ahi, tutto ormai nel fango,@ dura stata la prova,@ come un
bambino io piango,@ ma questo a che mi giova?@@ Il sole ormai si
spento,@ l'amore mio cessato,@ Iddio ti dia il tormento,@ perchmi
hai abbandonato@ (2)
In un'altra mediocre commediola in un atto, V黵ce 雨atali霵u(Il
comandante del 雨atali霵 di Josef Hais-T蓽eck(1885-1964), Uher,
finito all'ospizio 俏a Karlov篕, suona all'organo questa canzone,
alternandola a motivi sacri. Qui il giurista, vincendo la nostalgia
della bettola, anela di riscattarsi e ricominciare una vita
assestata, nella speranza che torni colei che lo tradper le
spalline di un ufficiale. Ma la donna respinge l'offerta di
riconciliazione e Uher, scoppiando in una folle risata, strappandosi
cravatta e colletto, maledice la societcostumata, col suo
勇mpeccabile involucro con la sua 勇ndoratura morale(3)
La leggenda ci ha tramandati anche i nomi dei derelitti che
attorniavano Uher nella spelonca. Ricordiamo qualcuno dei personaggi
di questa radunanza di palafrenieri della notte e dell'inferno. Lo
Snasato (Beznoska, alias Steinfelder), uno spilungone dal naso piatto
come una pantofola, vendeva forbici e, come un preparatore di pezzi
anatomici, 咬ifaceva la natura ossia verniciava uccelli vivi,
perchavessero pilucentezza, e ricuciva una bestia nella pelle di
un'altra, mutando i passeri in gialli canarini e in talpe e
scoiattoli i topi, per poi spacciarli al tandlmark come 厚ortenti
e, precorrendo Ha蟌k-襒ejk, accalappiava per strada cani bastardi,
per i quali inventava una genealogia, rivendendoli ai bietoloni al
mercato. Vondra, spalluto omaccio di piombo, col naso rosso e coi
mustacchi marziali incerati a coda di tarantola, narrava con enfasi
delle sue gesta di mercenario nelle truppe del papa. Sergente
maggiore del 促rimo Bataliono Ka螮tore Estery si era battuto cos
eroicamente contro il P[i]monte, da meritarsi un 匍etallod'argento,
che aveva poi speso in bicchieri di persiko.
A incompreso titano drammatico si atteggiava l'istrione Vojta
Mu蟌k. Rabbuffando le chiome che gli fluivano sulla collottola,
declamava brani di Shakespeare, crucciandosi di dar perle ai porci,
alla villana marmaglia. Abbandonata la compagnia con cui recitava,
era giunto dalla provincia nel nido di Uher, d'inverno, in un costume
teatrale, che il 剎attaglionesvendette al tandlmark. L'ex studente
tisico BohouNov毾, avanzo di riformatori e galere, spacciava
vignette e stornellava salaci couplets in ritrovi eleganti, versando
il guadagno nella cassa 剎attaglionescaIn costume turco era giunto
alla bettola il chimico 襒arc, il quale, scacciato per ubriachezza
dal birrificio in cui lavorava, aveva percorso i Balcani,
associandosi a zingari, a cavallari, a cacciatori di cinghiali, a
banditi, a commedianti. In crapule aveva dissolto i beni della sua
ricca famiglia lo studente 襒estka, fanatico della chitarra. In
questa kermesse di reietti non poteva mancare un poeta, un poeta
tragico e disperato: V歊lav 蟞lc (1838-71), l'autore della raccolta
Prvosenky (Primule, 1868)

NOTE:
(1) Cfr' F'i' 螸ida v蓧tupy, kuplety, dvojzp瞚y, komicksc郾y,
Praha 1904; Max B' St蓳ho, 蟌skn漷odnzp瞚毾, vlastenec, humorista
a spisovatel Fr' Leopold 螸id cit'; Karel H歍ek, Zp瞚碭kov in 褾en
o starPraze cit', pp' 178-79.
(2) Cfr' Eduard Bass, Pisnlidu praesk逸o (1925), in Pod kohoutkem
svatovitsk蔂 cit', p' 122; Pisnlidu praesk逸o cit', pp' 29-30;
Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 360-61.
(3) Josef Hais-T蓽eck V黵ce 雨atali霵u(Obraz ze eivota Dr' Fr'
Uhra o jednom d疀stv, Praha s'd' [ma 1922?], p' 16.

92
Il mito di Uher ricalca le traiettorie cadenti di molte
ottocentesche figure traviate, che finivano la loro esistenza nella
melma delle taverne. Ign漮 Herrmann si ingegndi sfatare la patetica
storia, togliendo al giurista ubriacone l'aureola che 螸id gli aveva
dato. Inutile impresa: come sloggiare l'alchimia dalla Viuzza d'Oro.
Con meticolose ricerche Herrmann appurche Franti蟌k Uher, nato a
Bystr(Waltersdorf, distretto di Lan螶roun) il 23 gennaio 1825,
aveva studiato diritto a Olomouc e a Praga, laureandosi nel 1856. Nel
1861 fu eletto deputato alla dieta boema, ma il mandato gli venne
sospeso il 26 aprile 1864 per le continue assenze o per
l'ubriachezza. Herrmann dimostra che Uher sposnel 1861 una ragazza
di provincia, la sedicenne figlia di un saponaio benestante, Anita
X', nata nel 1845, e percidi venti anni pigiovane. La mucciaccia
amava un garzoncello, un mercante del paese, ma il titolo e la
posizione di Uher abbagliarono la madre della fanciulla, e del resto
il giurista aveva bisogno di quella dote, per saldare i suoi debiti.
Dopo le nozze, Uher trascurla sposina, dileguandosi per
settimane, ed in breve ne consumil patrimonio, vendendo persino
gran parte dei mobili. Qualcuno della famiglia, la madre o il
patrigno, andallora a Praga a riprenderla assieme alle masserizie
superstiti. A detta di Herrmann dunque, la sdrusolina non sgraffign
le sostanze di Uher e non fuggoltremare col piintimo amico di
lui, ma soltanto tornal paese natio, nella Boemia orientale. E,
tornata al paese, per dimenticare, si diede agli spassi, alle danze,
ai trastulli delle civette e, destando mulini di chiacchiere, ebbe
faccenda con un mulinaio, che spos quando Uher fu morto. Ma il
mulinaio pure lui prese a cioncare, si rinvolse nei debiti, tirle
cuoia. Aninka anda vivere a Vienna con un ferroviere (1).
cos nell'intento di costruire un Uher-Hulbert diverso da quello
del mito, un Uher beone giprima di esser tradito, rubandogli la
delusione d'amore, Herrmann imbastun altro ordito di avvenimenti
non meno impregnati di Kitsch, un altro melo, ma sprovvisto di
chiaroscuro e di sortilegio, senza lo spazio della notte, senza
discesa all'inferno.
E' chiaro, il 削ottoratodi Uher non rassomiglia alle scienze
magiche degli archivisti e dei dottori di Hoffmann. Eppure chi
volesse rivivere questa figura, dovrebbe sottrarla alle mani tenere
del bozzetto, accrescere in lui quel granello di pazzia e di rivolta
e di desolazione che la leggenda gli ha regalato. Fare della fetida
fossa, di cui Uher principe, non un rifugio gottoso di piccoli
omini da commiserare, ma un teatro maligno, un Panoptikum.
Ma c'chi pensa che il 雨atali霵 coi suoi ubriachi e con le sue
donne avariate, coi suoi tisici e coi suoi ciurmatori, e persino con
un attore che recita brani di Amleto e dispregia gli altri che non lo
comprendono, sia soltanto un gor榭iano albergo dei poveri. Un albergo
comunque, da cui sono esclusi ogni Satin, che esprima speranza
nell'alto destino dell'uomo, ogni Luk ogni mendico, che si impanchi
ad apostolo. La demonia della crapula li ha infognati per sempre
nella spelonca, e non c'insetticida per i loro stracci, non c'
bevanda che spenga la sete dell'anima, non c'salvazione, perch
tutto zero, come Hamm e Clov asseriscono. Pudarsi soltanto che,
uscendo da queste pagine, il guitto Vojta Mu蟌k vada a impiccarsi,
come del resto l'attore del dramma di Gor榭ij.

NOTE:
(1) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', II, pp' 200-29.

93
Nei caff nelle bettole, nelle strade di Praga vegetava un gran
numero di strampalati, di podivini, di burloni, di Lustigmacher, di
cacapensieri, di m'schug鑀m, che concorrevano ad accrescere la sua
bislaccheria (1)
Ritratti di eccentrici del principio del secolo scorso si trovano
nelle pagine del romanziere ed attore drammatico Josef JiwKol漷. Il
viso impiastrato di gesso bianco e rosa, le sopracciglia e le chiome
dipinte con nerofumo, si aggirava per Praga in nera coda di rondine,
gila fiorellini, brache bianche di cuoio, il barone Bonjour,
maestro di ballo. La sua frivola amata Sidonie era fuggita con un
cavallerizzo. E il barone, di natural melanconico, si aggirava a
piccoli passi di minuetto, mormorando nella rossa cravatta a fiocco:
俟idonie! Sidonie!e tenendo nella sinistra inguantata di giallo
sporco un mazzetto di fiori avvizzito, come l'ufficiale del Sogno di
Strindberg (2)
Rosina-Rosalia, signorina del botolo (sle螽a mopslov, venivano
chiamate due gemelle-zitelle, identiche nelle fattezze, nei gesti,
nella voce rauca, abitanti col loro panciuto botolo in una topaia in
Via dei Cadaveri (Umrl鍎 ulice) a MalStrana (3) Magre, grinzose,
accigliate, con becco da astore e bigi occhi di gatte maligne,
indossavano uguali vestine sbiadite con logoro strascico, nere
velette e, come dame-demoni, ammaccati cappelli violacei, sulla cui
cupola tentennava uno sbricio ciuffetto di piume di fagiani
morsicchiate dai sorci (4)
Sullo scorcio del secolo scorso le famiglie borghesi di Praga
tenevano album paffuti di dagherrotipi interi e di mezzibusti in un
cassetto del secretaire o in un ripiano del ve螶ostn, lo stipo della
biancheria (5), questo scrigno di ricordi e reliquie, o in salotto,
su un tavolo ovale, di dove ammiccava alle sazie poltrone foderate di
percalle e alla porcellana, alle stolte statuette, all'argenteria di
un armadio con vetri. In casa Hloch a via Karolina Sv皻lho trovato
un ghiotto album di vecchie fotografie che ritraggono su lastre di
rame argentato indovini del lotto con smorfie bisunte e lunari egizi
(6), pronosticanti del tempo, patetici declamatori di bettola,
venditori di arcani, attrici un po spelacchiate, ma soprattutto
baggiani e bislacchi della fine del secolo scorso e dell'inizio del
nostro.
Tra i Lustigmacher praghesi dell'estremo Ottocento emergeva
Karl斁ek Bumm, un povero diavolo uscito di senno per un amore non
corrisposto o, secondo altri, per aver perduto ogni bene durante un
incendio (7) Sedeva lugubre come un oracolo sui gradini della
stazione di via Hybernsk vendendo bandierine di carta a colori. La
marmaglia attorniava Karl斁ek, beffandolo come J霵a l'Idiota di un
冠rabescodi Neruda (8) Ma la sua mitezza scoppiava in selvaggia
collera, in grandine di imprecazioni, se un impertinente gli urlava
contro la frase 勃apsa how儢 (la tasca brucia) Su Karl斁ek correva
persino una canzoncina ceco-tedesca dalle rime infantili, degna delle
filastrocche di Wilhelm Busch.
Con la sua grinta funebre faceva contrasto la faccia giuliva del
Signor Dottore (Pan Doktor), uno scemo che ciondolava per MalStrana
con gli occhiali di corno sprovvisti di lenti, salutando benevolmente
e, come un falso curiale, sfoggiando un suo latinorum. Un altro
matto, chiamato 青haloupko, tancuj!(青haloupka, danza!, imitava
di notte nelle taverne, per il gaudio dei beoni e per qualche soldo,
le goffe moine ed il ballo degli orsi (9) Nel buio percorreva la
CittVecchia der schiafende Honz斁ek (Honz斁ek il dormiente), con
sulle spalle una gerla piena di ciambelle, a cui i bighelloni
attingevano, senza destare il fittizio sonnambulo (10) Con passo
precipitoso camminava in mezzo alla carreggiata, appeso al suo enorme
naso, Jakob Weiss, detto Haschile, la cima dei mendicanti, l'oracolo
degli accattoni, il quale beccava elemosine nelle taverne, non
accettando mai dai clienti meno di dieci crazie (11)
Che limbo, che Bedlam di strampalati. Nessuno persopravanza in
fantasticheria l'Uomo-Tabacco (Tab毾ovMu, che corvettper le
strade di Praga nel Settanta del secolo scorso. Spilungone dal naso
aquilino, indossava un vestito marrone, una camicia di cotonina
stampata a disegni marrone, un fiscisvolazzante di seta marrone, un
cappello marrone, scarpe di stoffa marrone, guanti marrone,
stringendo sempre fra le dita un virginia, come il barone Victor van
Dirsztay in un quadro di Kokoschka. Anche i capelli aveva marrone, e
di capelli marrone il lungo cordino dell'orologio. Solo gli occhiali
erano di vetro bianco, ma di tanto in tanto li strofinava con una
pezzuola marrone. costutto orchestrato in avana, e inoltre bruno di
pelle e con tenebrosi mustacchi, sembrava uno sperticato sigaro, un
idolo di nicotina, - e non a caso la gente lo domandava Virginius.
Fanatico del tabacco, come il Manilov delle Anime morte, Virginius
(ossia lo scrittore ceco-tedesco Eduard Maria Schranka) aveva
raccolto in un grande armadio a vetri ogni sorta di arnesi da fumo:
pipe di schiuma ferrate d'argento e bocchini di tutte le forme, pipe
di radica, d'ambra, di terracotta, di creta, narghile 蟊buky alla
turca, avvolti in seta e broccato, adorni di cannutiglia e di perle,
pipe da oppio, fiammiferi, vecchi acciarini, piattini d'agata e vetro
con pizzichi di rap di scaglietta, di macubino. Di fronte al
mastodontico armadio, in uno stipo pipiccolo, si accatastavano
libri di ogni epoca sulla coltivazione e sugli usi di questa pianta
delle solanacee.
La stanza-museo di Virginius ostentava parati marrone con verdi
arabeschi di foglie di Nicotiana Tabacum, e sui parati una serie di
quadretti di genere sulle consuetudini dei fumatori. Il pavimento, il
tramezzo, il tappeto ed il letto (dalle federe dei guanciali ai
piumini e alla coltre) erano anch'essi marrone. Marrone le pantofole
sotto il letto. Su vari tavoli in mostra Virginius teneva piramidi e
scatole di luccicante tabacco in corda o trinciato, pacchetti di
maryland, raschini per sfruconare le urnette delle pipe, toscani e
trabuchi, candelieri di legno per accendervi i sigari a mezzo di
rotolini di carta chiamati 剌idibuse cent'altre bagattelle per
fumatori. Oltre a storie dei guanti, della birra, della minestra,
costui aveva scritto, s'intende, un 勁ibro bruno(雨raunbuch,
ossia un centone di aneddoti intorno al tabacco (12)

NOTE:
(1) Cfr' Hans Tramer, Die Dreiv闤kerstadt Prag, in Robert Weltsch
zum 70. Geburtstag cit', pp' 187-88.
(2) Josef JiwKol漷, Bl漘ni (1888), in Karel Krej鍎, Podivuhodn
pwib璡y ze starPrahy cit', pp' 246-49.
(3) Via dei Cadaveri, oggi Bwetislavova (giTruhl漙sk, cos
detta per la dovizia di fabbricanti di bare che vi avevano bottega.
(4) Josef JiwKol漷, Bl漘ni, in Karel Krej鍎, Podivuhodnpwib璡y
ze starPrahy cit', pp' 257-58.
(5) 哉e螶ostn in buon ceco 厚r歍eln骿 dal tedesco
俐酲chekasten (6) I cosiddetti 勁utrist飩 Cfr' Karel L' Kukla, Praesktah, in
Ze v蟌bl koutPrahy cit', pp' 190-94.
(7) Cfr' Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten cit', pp' 114-16. Cfr'
anche Egon Erwin Kisch, Typen der Strasse, in Die Abenteuer in Prag
cit', p' 341.
(8) Jan Neruda, BlbJ霵a, in Arabesky (1864-80)
(9) Cfr' Egon Erwin Kisch, Typen der Strasse, in Die Abenteuer in
Prag cit', pp' 339-40.
(10) Cfr' ibid', p' 343.
(11) Cfr' ibid', pp' 338-39.
(12) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i l鈣y cit', III, pp' 218-19,
221-23, 224-36.

94
In un racconto di Bohumil Hrabal (1) un vecchio ciarlone, della
stessa risma delle macchiette di Ha蟌k, macina un suo lungo monologo
ininterrotto, un esilarante discorso a vanvera, ordito di
reminiscenze dei tempi della monarchia, di paroloni a sproposito, di
sballati rimandi a parabole sacre e a libri di sogni, di aneddoti
erotici, di sentenze smargiasse, di storie da ballatoio, - un
discorso, che continuamente trascorre da una volpina trappoleria a
una sfoggiata balordaggine domenicale. E' difficile, in questi
bislacchi praghesi, discernere il limite tra il sussiego citrullo da
na髽 e la furberia di tre cotte, sicchsarpigiusto asserire che
essi sono sornioni e doppi come cipolle.
Di tale ambiguitfu campione, ad esempio, il vagabondo israelitico
Weissenstein Karel, che bazzicava l'ambiente dei letterati
ebraico-tedeschi del CafArco. Idrocefalo dal corpo mingherlino,
costui, sempre vestito di abiti ridicolosi, si esprimeva in un
maccheronico impasto di ceco, tedesco e jiddisch. Lo chiamavano solo
cos anteponendo il cognome al nome. I suoi biografi (Haas, Werfel,
Urzidil) hanno stilizzato gli andari della sua vita quasi come la
parodia di un motivo dell'espressionismo: la rivolta del figlio
contro il tirannico padre (2) Il padre di Weissenstein Karel
possedeva una lurida mescita di acquavite e di slivovice in un
villaggio moravo. Ma il figlio che, sin da bambino, aveva divorato
libercoli contro l'alcoolismo, una domenica sera, mentre la bettola
rigurgitava di ubriachi, salito su un tavolo, comincia minacciare
castighi divini, intollerabili doglie agli scialacquatori ed al
padre, che spacciava per Kmel vinacce intrise di giallo e per vino
una sordida minestra mora. Il padre, infuriato, lo caccidi casa.
Un moralismo fittizio da Esercito della Salute, una caricatura del
compatimento fraterno propugnato da Werfel nella raccolta Der
Weltfreund, un'untuosa sollecitudine da lima sorda ispiravano i gesti
di Weissenstein Karel, il quale, espulso dalla famiglia, girper le
fiere con un mercante di aggeggi mirabolanti e fece il garzone in una
macelleria. Poichil beccaio sempre sbronzo picchiava la moglie,
egli le consiglidi fuggire, ma questa, che era una frasca ma se lo
toccava col guanto, snocciolil premuroso consiglio al marito, e
Weissenstein Karel dovette cacciarsi la via tra le gambe. Scappando,
final CafArco e, fattosi amico degli scrittori che lo
frequentavano, visse da allora alle loro spalle, come un perdigiorno
servile, allietandoli coi suoi semiseri sermoni contro l'alcoolismo,
l'adulterio, la dissolutezza. Benchpivolte cercassero di
sbarazzarsene, mettendolo in qualche lavoro, - imperturbabile, egli
tornava, sia pure pedestremente, dalla lontananza, non patendogli il
cuore di abbandonarli.
I bislacchi praghesi sono invasati da un'infrenabile brama di
confabulare, di sfogarsi in ciarle, di stordire gli interlocutori con
chiacchiere. Hrabal li denomina 厚槆itel飩, con un vocabolo che
significa insieme parabolano e gradasso (3) Si tratta in genere di
piccoli omini, travolti dalla locomotiva degli avvenimenti, di
哀colorite esistenze per dirla con Neruda (4), di 厚erline sul
fondo per dirla con Hrabal (5), che trovano consolazione nelle
stravaganze e nella sonoritdelle ciance, in una logorrea, di cui
襒ejk ci ha offerto magnifici esempi. Ho conosciuto una volta uno di
questi giorneoni smaniosi di addottorarti con la loro facondia: pan
Topol, uno spiantato biondiccio e slavato, assai servizievole, che
aveva fatto diversi mestieri, dal carbonaio al trovarobe di teatro:
un finto ingenuo dagli occhietti azzurri, che anelava alla birra come
i nerogialli rigogoli anelano alle pere e alle prugne, bevendoci
sopra succo di cavoli che attutisce il vapore del luppolo. Se lo
chiamavi, accorreva con aria sorpresa, ballando di punta e di tacco,
come un Fred Astaire di provincia, e rovesciandoti addosso un diluvio
di arguzie e di aneddoti, in massima parte salaci, sui suoi
fottimenti con guitte naticute e polpute, con priore di San Fregonio.
Nella vecchia Praga non c'era poi grande distanza tra questi
bislacchi linguacciuti e gli scapigliati, specie quelli che
gravitavano intorno a Jaroslav Ha蟌k. Caratteristico esempio il
pittore-attore Emil Artur Pittermann Longen, ricordato da Kafka nei
diari per i suoi 哀cherzi mimici per un 剎el salto da clown oltre
una seggiola nel vuoto delle quinte(6) Longen, boh幦ien
scanzonato, 咬aritumanae 匍iscuglio bastardo di un abitante della
citte un pellerossa come egli si definisce nello sconclusionato
romanzo Here螶a (L'attrice) (7), scrisse parecchie commedie e farse
da cabaret, ambientate nel mondo austro-ungarico, in cui agiscono gli
stessi figuri delle narrazioni di Kisch e di Ha蟌k e la materia la
stessa: soldatesca, simulatoria, fecale (8) Ma ciche qui voglio
porre in risalto la sua strampalatezza, la sua propensione alla
chiacchiera, il suo estro di taroccare. Non a caso Kubi褾a, in una
lettera del 1910 ad un altro pittore, Vincenc Bene si cruccia:
促ittermann addirittura ci terrorizza con la parlantina e coi
continui litigi(9)
Non si dimentichi di me, signor Ripellino. Mi sta chiamando uno dei
pibalzani Lustigmacher di Praga: Ferda Mestek de Podskal,
impresario di baraccone, rivendugliolo, Hanswurst, ammaestratore di
pulci, - e Hochstapler. Omino minuscolo dall'enorme naso puntuto
(10), questo cerretano ben si inserisce nella Praga baracconesca
degli ultimi decenni della monarchia. La Praga, in cui si esibirono
Donna Hypolita dalle tettazze come fiasconi, semisfere capaci di
reggere una trave con due signori sopra (11), il gigante moravo Josef
Drasal, il quale poteva storpiare una mucca con un sol pugno ed
accendersi, come in una comica slapstick, il sigaro dai lampioni
(12), e la marchesa di Pompadour, lillipuziana dalle vestine rococ
con la sua aggraziata compagnia di nanerottoli (13)
Dal quartiere praghese di Podskal in cui era nato, Ferda Mestek
aveva aggiunto al proprio cognome, con la spocchia dei bulli che vi
abitavano, il titolo gentilizio 削e PodskalLo si incontrava in
tutte le fiere del territorio austro-ungarico, intento a imbonire la
folla esitante dinanzi a piccoli circhi e trabacche di legno. Secondo
Bass, 冠veva compiuto tourn嶪s col pialto soldato dell'esercito
bulgaro, col circo delle pulci, con cinque nani, con tre ciclopici
fratelli russi, con una dama sprovvista di gambe, con un vitello
bicefalo, con Ilona, una dama che si librava nell'aria, con un
gabinetto delle figure di cera, con una dama tatuata, con una dama
barbuta, con una dama serpente, con una dama che scompariva, con la
principessa Ygarta, con la donna-ragno(14) Ma pispesso vendeva
nelle fiere frascherie di ogni sorta: 勁imonata fredda in bottiglie
come rimedio contro il colera, scatoline di chiodo di garofano come
preventivo contro i figli illegittimi, un sapone infallibile contro
la podagra e confetti contro la caduta dei capelli(15) Problema
cruciale nell'impero absburgico, questo della calvizie, come ci
testimoniano lo sproloquio di 襒ejk sui capelli nel treno al cospetto
del maggiorgenerale von Schwarzburg (16) e la reclame di Anna
Csillag, fanciulla calva cui un balsamo miracoloso di sua produzione
aveva donato fluentissime chiome (17)
Jaroslav Ha蟌k narra in un suo racconto (18) di un viaggio nella
provincia boema, intrapreso col 削omatore di serpentiFerda Mestek e
con un tal 襒estka, proprietario di un otto volante, di una giostra,
di un tirassegno, per presentare uno squalo, 咨errore dei mari del
Nord che avevano comprato a Praga, un mattino, uscendo
dall'osteria, in una rivendita di pesci marini. Il pubblico affluisce
curioso, 剃ome quando si baciano le reliquie dei santiMa
l'avventura finisce pessimamente e il terzetto in gattabuia, perch
il pescecane si decompone e, malgrado le loro aspersioni di essenze,
emana zaffate pestilenziali, che fanno tramortire gli spettatori.
La sfortuna perseguitava Ferda, e non c'era mestiere in cui egli
durasse a lungo. 俟e tu avessi un negozio di pompe funebri, - gli
diceva la moglie - ti giuro che non morirebbe pinessuno. E se
tuttavia ti venisse commissionata una bara, il giorno dopo il defunto
te la restituirebbe, annunziandoti di aver chiuso gli occhi soltanto
per celia(19) Nelle giornate pimisere Ferda se ne stava avvilito
nelle taverne, e il suo naso, l'enorme escrescenza, 厚endeva sopra il
bicchiere vuoto sentimentalmente come un cetriuolo amaro dalla punta
morsicchiataMa se sentiva nell'aria odor di pecunia, il naso
哀altava su come un clown pronto a far l'esercizio(20)
Nell'aneddotica praghese il nome di Mestek restersoprattutto
legato al teatro delle pulci. Questo genere, molto diffuso in quei
tempi nel Mitteleuropa (21), consisteva di solito in una parata di
pulci, che trascinavano altre pulci in un carrozzino. Ma gli
spettacoli del nostro Ferda erano piappariscenti, perch come un
Barnum, egli possedeva un vastissimo assortimento di questi insetti,
una vera scuderia: pulci acrobate, pulci da stanga, aggiogate a
carrozze, omnibus e affusti di cannoncini, pulci ballerine dalla
gonnella di carta satinata, pulci duellanti con sciabolette di carta,
un'orchestra di pulci (22) Nelle sue grossolane memorie,
abborracciate per desiderio di Kisch, egli si vanta di aver sempre
comprato per il suo teatrino soltanto le 厚ulci umane di buona
famiglia escludendo quelle conservate in bottiglie di alcoolici,
perchnon tollerava le pulci ubriache, o in scatoline di sale di
Seidlitz, perchafflitte da flussi di ventre (23) La picaresca
esistenza, la fecalitdelle storie imperniate sulla sua figura, le
fanfaronate avvicinano il 南obileFerda Mestek de Podskal, il cui
stemma rappresentava 咨re schiaffi in campo azzurro(24), a Josef
襒ejk, e in specie all'inventore di 襒ejk, suo amico e compagno di
bettola.

NOTE:
(1) Tane螽hodiny pro star鍎 a pokro蟊l(Lezioni di ballo per
anziani e progrediti, 1964)
(2) Franz Werfel, Weissenstein, der Weltverbesserer, in Erz鄣lungen
aus zwei Welten, Frankfurt am Main 1952, III, pp' 59-66; Willy Haas,
Die literarische Welt, Mchen 1960, pp' 58-65; Johannes Urzidil,
Trittico di Praga cit', pp' 63-152.
(3) Cfr' Pwemysl Bla鳻蟌k, Hrabalovy konfrontace, in Pwib璡y pod
mikroskopem, a cura di Radko Pytl骿, Praha 1966, pp' 9-27; Radko
Pytl骿, P槆iteljazyka, in Struktura a smysl liter漷n駩o dila, a
cura di Milan Jankovi- Zden瘯 Pe螮t - Felix Vodi螶a, Praha 1966,
pp' 198-214; JiwOpel骿, Rozkoz povid滱 in Nen潎id瘽wemeslo,
Praha 1969, pp' 125-26.
(4) Cfr' Jan Neruda, O襁m瘭existence, in Obr漘ky ze eivota
praesk逸o, Praha 1947, pp' 247-55.
(5) Cfr' Bohumil Hrabal, Perli螶a na dn Praha 1963.
(6) Cfr' Franz Kafka, Confessioni e diari cit', p' 177 (29
settembre 1911)
(7) Emil Artur Longen, Here螶a, Praha 1929, p' 22.
(8) C' a k' marodka (L'imperialregia infermeria militare), C' k'
polnmar鍒lek (L'imperialregio maresciallo di campo), Osud tr蠼u
Habsbursk逸o (Il destino del trono absburgico), ecc'
(9) Bohumil Kubi褾a, Korespondence a ovahy, a cura di F' 蟌wovske
F' Kubi褾a, Praha 1960, p' 125.
(10) Cfr' Eduard Bass, Ferda Mestek de Podskal, in Kuk漮ko cit', p'
188.
(11) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', II, p' 23.
(12) Cfr' ibid', III, pp' 28-29, 31.
(13) Cfr' ibid', p' 25.
(14) Eduard Bass, Ferda Mestek de Podskal, in Kuk漮ko cit', p' 189.
(15) Egon Erwin Kisch, Memo漷y neboet骿a Ferdy Mestka de Podskal,
weditele a majitele ble鍎ho divadla, in Praeskdobrodruestv Praha
1968, pp' 226-27, e Dramaturgie des Flohtheaters e Typen der Strasse,
in Die Abenteuer in Prag cit', pp' 318-36 e 343.
(16) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky cit', I-II, pp' 199-204.
(17) Cfr' Karel Konr歍, J Anna Czilagov.., in Robinson歍a
(1926), ora in Robinson歍a, Rinaldino, Dinah, Praha 1966, p' 49, e
Zden瘯 Mat疀 Kud疀, Dobrodruencestov滱 Praha 1959, p' 304. Cfr'
anche Andrzej Banach, Podr蠊e po szufladzie, Krak甖 1960, p' 125, e
Bruno Schulz, Le botteghe color cannella, Torino 1970, pp' 92-93.
(18) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Twi muei se eralokem (Tre uomini con uno
squalo, 1921), in Moje zpov璠', Praha 1968, pp' 76-81.
(19) Egon Erwin Kisch, Memo漷y neboet骿a Ferdy Mestka de Podskal,
in Praeskdobrodruestvcit', pp' 227-28.
(20) Eduard Bass, Ferda Mestek de Podskal, in Kuk漮ko cit', p' 188.
(21) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', III, p' 6.
(22) Cfr' Egon Erwin Kisch, Memo漷y neboet骿a Ferdy Mestka de
Podskal, in Praeskdobrodruestvcit', pp' 233-34 e 244.
(23) Cfr' ibid', pp' 228-29.
(24) Cfr' ibid', p' 244.

95
La biografia del clown Jaroslav Ha蟌k (nato a Praga il 30 aprile
1883) si articola in una serie di comiche, nel gusto di quelle del
muto: Ha蟌k-droghiere, Ha蟌k-redattore di una rivista zoologica,
Ha蟌k-marito, Ha蟌k-mercante di cani, Ha蟌k-leader politico,
Ha蟌k-commissario bolscevico, ma soprattutto Ha蟌k-arlotto e ribaldo
di bettola. Una biografia costellata di aneddoti, nella quale riesce
difficile ormai discernere il vero dalle bugie e baggianate che, in
memorie confuse e saltuarie, inventarono i suoi compagni di
bisboccia: il pittore Josef Lada, Emil Artur Longen, Franti蟌k
Langer, l'istrione V歊lav Menger, l'attore di cabaret e narratore
Eduard Bass, lo scrittore girovago Zden瘯 Mat疀 Kud疀, Franta Sauer,
agente di assicurazioni, contrabbandiere di saccarina, libraio
ambulante, guitto e Spassmacher (1), eroi a loro volta di altre
burlette e altre storie, che insieme formano un buffonesco
arcipelago, una saga birrosa.
Come Ensor ad Ostenda, tra i ninnoli della paterna bottega di
chincaglierie (2), come Charlot dietro il banco, intento a sventrare
e smontare una sveglia, nella bottega dell'usuraio (3), - lo troviamo
all'inizio commesso della drogheria 隹lle tre sfere d'oro(俗 tw
zlat蓫l koul儢) del puntiglioso e bigotto signor Ferdinand Koko螶a,
detto Radix, all'angolo di Na Per褾蓽con via Martinsk - sulla cui
insegna, come dinanzi a tutti i negozi di materialisti, ossia di
droghieri, nella vecchia Praga, un angelo policromo dalle ali
spiegate spenzolava (4) Nella penombra di quel bugigattolo, simile a
un'officina alchimistica e odoroso di lacca, di cinnamomo, di gocce
di canfora, di topicidi, di trementina, di crema da scarpe, di
colofonia, di elleboro fetido, di infuso di tiglio, Ha蟌k manipolava
miracolosi decotti ed intrugli e prendeva a gabbo invidiosi garzoni,
versando nella loro birra polveri purgative.
La comica della drogheria cossi conclude: il signor Koko螶a amava
dipingere quadretti su vetro, e Ha蟌k lo fece dar nelle furie,
aggiungendo la barba e l'occhialino a molla a una mucca da lui
dipinta, - una mucca alpestre che, con quelle aggiunte, rassomigliava
all'austero rivenditore di generi coloniali. 隹nch'io - dir襒ejk -
sono stato apprendista droghiere da un certo signor Koko螶a Na
Per褾蓽 a Praga. Era davvero un bislacco, e quando una volta per
sbaglio nello scantinato appiccai il fuoco ad un fusto di benzina, mi
caccivia, ed il consorzio non volle piaccogliermi, sicch a
causa di quello stupido fusto, non potei compiere l'apprendistato
(5)

Nella speranza di farsi una posizione, per poter sposare l'amata,
Ha蟌k si assunse, nell'autunno 1908, l'incarico di direttore della
rivista divulgativa per allevatori e zoofili 俟v皻 zv魾at(Il mondo
degli animali) (6) Con un mastino del canile annesso alla redazione
faceva, come un J廨獽e Savary con le sue 剎estie tristi giri di
propaganda per Praga. Regina di quel canile la signorina Giulia, una
scimmia ammaestrata, ma traforella e turbolenta, che proveniva dal
circo Hagenbeck di Amburgo e con la quale Ha蟌k era in confidenza
(7)
Lo scrittore diede un'impronta inusitata alla rivista, mutandola in
una sorta di cervellotico Brahm, in un inventario di inesistenti
animali, degni di figurare in un Grand Magic Circus o piuttosto nel
gabinetto di mostri del Dr' Katzenberger di Jean Paul: il
tirannosauro, i cacatua-pipistrelli, l'orso Asvail, lo squalo cerulo,
la pulce paleozoica (Paleopsylla khuniana), la balena dal ventre
sulfureo (8) Della balena 厚rovvista di una vescica ricolma di acido
formicoe della 厚ulce dell'ingegner Khon parassita di
preistoriche talpe, parla anche, nello 襒ejk, il volontario con ferma
annuale Marek, alterego di Ha蟌k, narrando di avere altres
escogitato, quando era redattore di 俟v皻 zv魾at 勇l felicione
furbesco, mammifero della famiglia dei canguri, il bue edule,
prototipo della vacca, l'infusorio seppiale 俟apevano Brehm e i
suoi seguaci del mio pipistrello dell'isola di Islanda, il
厚ipistrello remoto del mio gatto domestico della cima del monte
Kilimangiaro dall'appellativo di pasciocervo irascibile?(9)
Firmando spesso gli articoli col nome del suo amico Lada e
suscitando polemiche tra gli scienziati, Ha蟌k discettava con seriet
da prontuario scolastico dell'alcoolismo tra gli animali e delle loro
reazioni alla musica e sparava sensazionali notizie: che i topi
muschiati, allevati nel castello di Dobw斁, avevano invaso la vitava
e che presto i lupi mannari sarebbero stati venduti come cani
normali. Bench nello 襒ejk, il volontario Marek affermi di aver
ridotto con le sue balzane trovate alla disperazione e alla morte il
signor V歊lav Fuchs, proprietario della rivista (10), in realtanche
la comica del 匍ondo degli animalifincon la cacciata del
flemmatico mistificatore.
Un'ammiccante malizia traluce da queste 匍eraviglieda baraccone.
Non a caso poco dopo 襒ejk racconta di un 剃erto Mestekche, in un
panorama a via Havl斁kova, mostrava da un buco un 冠nimale
inventato una 哀irena marina ossia una comune baldracca di
E'i鋘ov, la quale 冠veva le gambe avviluppate in un velo verde che
doveva rappresentare la coda, i capelli verniciati di verde e le mani
ravvolte in guanti, sui quali erano state attaccate pinne di cartone
ugualmente verdi, e sul dorso un timone assicurato con uno spago
(11)

Il signor Josef Mayer, stuccatore di molto credito e proprietario
di un edificio a tre piani, non poteva certo esser propenso a
concedere la propria figlia a uno spiantato, a un anarchico, a un
beone, come Ha蟌k. La figlia del signor Mayer, Jarmila, sebbene in
fondo anelasse a una solida Gemlichkeit borghese, ammirava per le
sue bravate il suo Gr賧a (diminutivo di Riccardo Cuor di Leone) e
prese ancor piad ammirarlo, quando, il 1o maggio 1907, fu messo
dentro per oltraggio ad un poliziotto (12)
Le lettere di Ha蟌k a Jarmila sono incredibili scrigni di banalit
di bambagia, di tenerume, di arre nuziali, di Kitsch zuccherino, di
candore infantile. Egli vi ostenta un continuo proponimento di
diventare migliore, di smetter di bere, di non trasandare il
vestiario, di desistere dalla scapigliatura. Il florealismo leccato
di quelle missive, come del resto il fittizio ritorno alle fede
cattolica e il simulato abbandono dell'anarchia, non sono che le
ambiguitdi una comica, di un ludus coniugale, in cui il clown
assume la maschera del tranquillo borghese.
Solo cosegli ottenne, dopo tanti contrasti, il consenso del
signor Mayer. Dopo il matrimonio (celebrato il 15 maggio 1910 nella
chiesa di Santa Ludmila a Praga-Vinohrady) si atteggia benpensante
grullo e accigliato, come la figurina di una torta nuziale: ricusando
le libagioni, asscriva che, dopo un anno di prova, il suocero avrebbe
premiato con una somma cospicua la sua astinenza. Ma le abitudini di
vagabondo prevalsero, le scappate mandarono a monte i buoni
propositi. L'ubriacone spariva per intere giornate, lasciando Jarmila
nella disperazione. La nascita del figlio Richard (R斁a), nell'aprile
1912, non lo distolse dalle stravaganze. Un aneddoto dice che Ha蟌k
dimenticil bambino in un'osteria, dove lo aveva portato per
mostrarlo agli amici, un altro che si gioca carte il denaro per la
carrozzina, un terzo che sparcome il corvo col pretesto di andar
per la birra, quando vennero i Mayer a visitare la puerpera (13) La
veritche Jarmila si rifugicol neonato in casa dei genitori.
In Russia, durante la guerra civile, Ha蟌k sposun'orfanella,
襁ra, ossia Alexandra Gavrilovna Lv榣va, che conobbe a Ufa nei giorni
in cui era commissario politico della quinta armata (14) Sebbene la
ragazza russa lo seguisse poi docile in Cecoslovacchia, - tornato a
Praga, con nuovo travestimento Ha蟌k cercdi riavvicinarsi a
Jarmila, scrivendole angeliche lettere gonfie di pentimento, in cui
prosperava con acconce lodi le sue ambizioni di autrice di racconti
donneschi, chiedeva perdono per il vizioso passato, giurava che il
matrimonio con 襁ra era stato uno sbaglio e che i bolscevichi lo
avevano perseguitato. Non riusca ricommettere i rottami del
connubio distrutto: si videro tuttavia di nascosto, e Jarmila lo
presental figlio di nove anni come 勇l signor redattoreHa蟌k,
che in Russia aveva sempre portato al collo un medaglione con
l'effigie del figlio, lo accarezzsui capelli, gli diede del voi.
R斁a sapeva che il padre era caduto in Siberia, come legionario (15)

Alla fine del 1911 Ha蟌k aprnel rione di Ko鍎we un Istituto
Cinologico (Kynologickostav), ossia un negozio di cani. Con un
assistente tristerello, il signor 鍎鋀k, si mise ad accalappiare
cagnacci randagi, che poi spacciava per esemplari di razza,
inventandone la discendenza (16)
La comica si interruppe alla svelta, perchi clienti ben presto si
accorsero dell'impostura. Ma Ha蟌k trasmise la propria esperienza
襒ejk, che appunto 哉iveva della vendita di cani, brutti mostri
bastardi, cui falsificava la genealogia(17) Col confidente della
polizia Bretschneider il bravo soldato conversa da compiuto cinofilo
(18), e al tenente Luk碭 spiega con competenza il modo di tingere
cani stantii per ringiovanirli e di fingerne l'albero genealogico
(19) 襒ejk ricalca la destrezza di accalappiacani del suo autore l
dove, suscitando scompigli, cattura il grifone da stalla dell'ebete
colonnello Bedwich Kraus von Zillergut (20)
I cani, e in genere gli animali del bestiario di Ha蟌k, sono laidi
e grifagni. Da un lato porremo le bestie mansuete e sognanti di Franz
Marc, dall'altro i teratologici cani, i 匍ostri orrendi che 襒ejk
rifila a Bretschneider: 侵l San Bernardo era un incrocio tra un
impuro barbone e un cagnaccio di strada, il fox-terrier aveva
orecchie da bassotto e grandezza di cane da macellaio con le gambe
storte, come se fosse stato malato di rachitismo. La testa del
Leonberger ricordava il muso peloso di un grifone da stalla, aveva la
coda mozza, l'altezza di un bassotto e il tafanario nudo come i
famosi cagnolini tosati americani(21) Mostri da baraccone, degni
di stare in ditta con gli anaconda e le pulci di Ferda Mestek.

Nella primavera del 1911, avvicinandosi le elezioni alla dieta
regionale boema, Ha蟌k fondcon alcuni accoliti il 促artito del
progresso moderato nei limiti della legge(俟trana mirn逸o pokroku v
mezibl z毾ona (22) Partito fumistico e mistificatore, espressione
della boheme bettoliera, il quale ebbe sede nella taverna 俗
Zv瞝in欞, detta anche Kravin, e in altre mescite, perch勁'alcool
il latte della politica(23) Partito, il cui succo agrodolce, il
cui principio sornione era questo: ogni radicalismo dannoso e
l'incremento della societva promosso gradatamente e senza scossoni.
Partito, che rispecchiava, nei suoi programmi da burla, la fittizia
obbedienza, il furbesco lemme lemme di Ha蟌k.
I comizi di questa bislacca chiesuola divennero un'attrazione per
gli intellettuali e gli artisti praghesi. Cominciavano alle otto di
sera: dopo il canto corale di un inno, composto dal poeta Josef Mach,
Jaroslav Ha蟌k, 勇l pigrande scrittore ceco(24), attaccava a
parlare come una gazza per ore ed ore, con buffonesco sussiego, dei
danni dell'alcoolismo, della riabilitazione degli animali, dei santi,
delle suffragette, dei missionari, dei cibi sofisticati. Un fiotto di
chiacchiere a vanvera, di citazioni fasulle, di iperboli, di
strabilianti promesse, di frasi ampollose, di parodie degli slogans e
degli idoli di altri partiti. Senza riscuotersi ai fischi e alle
beccate degli avventori, il candidato loquace, alternando le ciarle a
grandi sorsi di birra, insisteva sulla necessitdi abolire il
pagamento nelle latrine pubbliche e l'obolo per l'apertura notturna
ai portieri, coi quali ebbe perpetua inimicizia (25)
La comica, il cabaret linguacciuto del mettiscandali in maschera di
conservatore, di ligio cittadino absburgico si conclude col fiasco
del ridicoloso partito che, nelle elezioni, ottenne se no una
ventina di voti.

Come quaresimalista politico, Ha蟌k riveldoti di improvvisatore e
di guitto. Del resto, al pari di altri campioni della scapigliatura
praghese (Bass, Mach, Longen, Langer), anche lui si esibin
commediole satiriche, in sketch, in parodie letterarie: al
Montmartre, alla Kopmanka e, col gruppo dei "Fratelli Maccabei
nella taverna 俗 Zv瞝in欞 (26) Intorno al 1912 parecchie bettole a
Praga allestivano fragorose serate di cabaret con l'ausilio di
scatenati della risma di Ha蟌k. Ma Ha蟌k, sebbene spiegasse vela come
un galeone, come attore era in fondo un burchiello di scarso peso: un
frittata trasandatissimo, a umori, un bisbetico bagattelliere.
Nella parte seconda della sua vita, al ritorno dall'Unione
Sovietica, recital cabaret 恃ervensedma(Il sette di cuori),
barellando come uno strummolo per l'ubriachezza, sudicio, con le
scarpe infangate. Barbugliava castronerie senza senso, ricantava il
racconto Come incontrai l'autore del mio necrologio, una pasquinata
contro il poeta Jaroslav Kolman-Cassius che, in un articolo malvagio
dal titolo Zr歍ce (Il traditore, 1919), lo aveva dato per morto nel
vortice della rivoluzione, definendolo 剌arabutto e commediante
(27) Nel gennaio 1921 pronunzialla 恃ervensedmauno sproloquio
哀ugli usi e sui costumi cinesi e mongolici fingendo di cercare
vocaboli in un dizionario, che era invece l'orario delle ferrovie,
asscriva con serietbaccelliera che in mongolo 恃ovuol dire
剃avallo un paio di cavalli 恃o蟞 e 恃o蟞蟞蟞蟞蟞tutto un
branco (28) Siamo in pieno dadaismo. Nel settembre dello stesso anno
Kurt Schwitters e Raoul Hausmann tennero a Praga una serata 俑erz und
Antidada(29)

Quando, nel 1915, fu chiamato alle armi, Ha蟌k assunse un semiserio
contegno di patriota absburgico e di soldato zelante. Prima di
trasferirsi a 蟌skBud疀ovice, dove aveva stanza il 91o fanteria cui
era stato assegnato, canticchiava la sera nelle taverne con la sua
stonatissima voce couplets militari, trattando con spregio e con
spocchia la gente in borghese, come genia di imboscati (30) Sulle
sue traversie casermesche si sparsero molte leggende. Si disse che
fosse stato arrestato per diserzione o che lo avessero espulso dal
corso degli allievi ufficiali o che riuscisse a simularsi epilettico
(31) Certo che dovette dar del filo da torcere ai suoi superiori.
Ben presto nelle mescite della cittvitavina comincia
serpeggiare una serqua loquace di notizie contraddittorie sulla sua
atroce morte. Si sussurrava che un tribunale di guerra lo aveva
condannato al capestro per indisciplina, che era annegato nel Dnestr
o caduto sul campo in Galizia, che a Odessa, in una gargotta del
porto, durante una zuffa, marinai avvinazzati avevano fatto strazio
di lui o che era perito per mano di legionari cecoslovacchi infuriati
dal suo tradimento (32) cos勁a tendenza boema a inventare ballate
- afferma Franti蟌k Langer - attribuiva al pigrande umorista
praghese i pitristi destini(33) 俏ei cinque o sei anni del
soggiorno in Russia - scriverHa蟌k pitardi - sono stato parecchie
volte ucciso e ammazzato da varie organizzazioni e da singoli.
Tornato in patria, ho scoperto di essere stato tre volte impiccato,
fucilato due volte e una volta squartato da selvaggi kirghisi presso
il piccolo lago di Kale-Y蟌l. Infine di essere stato definitivamente
trafitto in una rissa selvaggia con marinai ubriachi in una taverna
di Odessa. Questa versione mi sembra la piprobabile(34).
In realt con un viaggio tortuoso, raggiunse il fronte sul Bug, a
Sokal', in Galizia, dove la sua compagnia, nel luglio 1915, sub
forti perdite. Il panico nelle file austriache era tale che, quando
Ha蟌k impassibile tornnelle retrovie con trecento russi da lui
catturati, il comando si diede alla fuga, credendo che si trattasse
di un nuovo attacco avversario (35) Poco dopo, il 24 settembre,
durante la battaglia di Chorupany, Ha蟌k, che aspettava l'occasione
propizia, fu lui a passare al nemico, assieme a Franti蟌k Stra螿ipka,
un mattonaio di Hostivice che, con la sua indole cicaliera e
smargiassa, influsull'immagine del soldato 襒ejk (36)

Nel campo di prigionia di Tock presso Samara, dove infierivano il
tifo e la dissenteria e la nag跱ka dei cosacchi, lo scapestrato, il
taverniere divenne un banditore della resistenza antiaustriaca.
Quando i russi, che guardavano con diffidenza gli indocili sudditi
dell'impero absburgico, permisero la formazione di unit
cecoslovacche (1916), egli non esitad arruolarsi. E sulla rivista
型cechoslovandi Kiev prese a tacciare di austrofilia e di vilt
filistea i renitenti, esaltando le tendenze slavofile e
filozaristiche del gruppo kieviano, che era in dissidio con quello
occidentalistico di Pietrogrado.
Ha蟌k propugnin quei giorni l'unione della Boemia alla Russia dei
Romanov, l'incoronazione dello zar russo a re di Boemia con un ardore
e con una demenza che ingenerano perplessit risvegliando il ricordo
dei tempi in cui vaneggiava per il 促artito del progresso moderato
nei limiti della leggeFu persino arrestato per un violento libello
contro i componenti della sezione pietrogradese del Consiglio
nazionale cecoslovacco, ma si trovin prima linea, quando le brigate
di Masaryk, durante la vana offensiva di K鈔enskij, sconfissero a
Zborov (luglio 1917) forti reparti austriaci e tedeschi.
Scoppiata la rivoluzione d'Ottobre, in un primo momento avversi
bolscevichi: fantasticava che le legioni attaccassero l'Austria,
passando per il Caucaso, la Persia, la Romania. Ma appena Masaryk le
incorpornelle forze armate francesi, ordinandone il trasferimento
in Occidente attraverso la Siberia, egli aderal bolscevismo e
comincia predicare, perchsi unissero all'Armata Rossa. Era il
modo migliore per attrarsi un mandato di cattura da parte del comando
cecoslovacco. Per sfuggire al controllo dei legionari, a Samara, nel
giugno 1918, si finse 剌iglio scemo sin dalla nascita di un colono
tedesco del TurkestanNuove ambiguit nuova maschera: pagliaccio
tonto, bertoldo smarrito tra i tartari.
Nel settembre 1918, a Simbirsk, sono i rossi ad imprigionarlo,
scambiandolo per un emissario nemico. Poi nuovo colpo di scena: alla
fine dell'anno a Bugul榦 nello stato maggiore della 26a divisione
sovietica. Risucchiato nel gorgo della guerra civile, Jaroslav
Romanovi柚 Ga毗ek si prodiga senza risparmio, spostandosi da Ufa ad
Omsk, da Novosibirsk a Krasnojarsk. Redige riviste e giornali in
russo, in serbo, in magiaro, in tedesco, persino in burjato-mongolo.
Organizza i reparti stranieri della Quinta Armata e una sezione
segreta contro le spie legionarie. Diventa un temuto commissario
politico e per un certo periodo governa, come un kubinesco satrapo
Patera, un territorio asiatico pigrande della Cecoslovacchia (37)
Si favoleggia che in tutti questi anni avesse smesso di bere (38)

Dalle diverse maschere trapela sempre l'autentica sostanza di
Ha蟌k, la sua natura randagia, riottosa, disordinata, il suo estro di
saltimbanco ambulante. Sin dalla prima giovinezza gli piacque
girovagare, sudicio e sciamannato, avverando quel mito del vagabondo
(tul毾), che fu proprio della sua generazione.
Si era appena impiegato, nel 1902, alla banca Slavie, che scapp
dall'ufficio, prima in Slovacchia e poi nei Balcani, dov'era esplosa
la rivolta antiturca (39) Sarebbe lungo elencare le sue scorribande:
Zden瘯 Mat疀 Kud疀 ha descritto gli strampalati zigzag per la Boemia
centrale, che nelle estati del '13 e del '14 compirono insieme (40)
Con l'insofferenza si spiega l'adesione di Ha蟌k al gruppo dei poeti
anarchici, dei quali fu il piturbolento (41) Anche il suo scrivere
risentiva della sua irrequietudine: scriveva con troppa agevolezza,
in un fiat, persino nel chiasso delle Osterie. E portava in fretta
nelle redazioni i racconti e i bozzetti appena composti, per ottenere
immediatamente il compenso, che scialacquava in bevute o spartiva coi
poveri (42)
Come le edere ficcan le barbe dentro le scorze delle querce, cos
Ha蟌k era impaniato nel luppolo delle taverne praghesi. Furono pidi
cento le bettole da lui frequentate: da questo diluvio di alcool
emergono i nomi T籯ovka, Hlavovka, Montmartre, Deminka, U Flek U
Kalicha (Al Calice), U Zlat逸o litru (Al litro d'oro) (43) Solo
nell'ebbrezza notturna, in tane e spelonche annerite e cosparse di
sputi, in mezzo ad ubriachi sbilenchi e aggrondati e con cappellucci
clowneschi, come quelli dipinti da Josef 螮pek, solo nell'acre
sentore di birra orinata e ammoniaca che esala dalle latrine delle
gargotte, solo in quelle sguaiate spelonche si infervora la sua
fantasia. Per lui la taverna diventa, non solo un hortus deliciarum,
ma anche un metaforico modellino del mondo: un mondo intravisto con
occhi catarrali per il troppo fumo, col torbido delle sbornie.
Spesso, rientrando con aria compunta dalle sue scappate, Ha蟌k dava
ad intendere di esser pentito e bramoso di emendarsi, ma il giorno
dopo pigliava di nuovo il volo. Pessimi risultati conseguqualche
uomo di garbo che si ingegndi trasviarlo da cosfortunosa
esistenza. L'esploratore A'V' Fri ad esempio, lo ospitnella
propria villa a Ko鍎we, dove, tra ciarpe e scarabattole esotiche,
teneva anche un indiano della tribdei Cherokee. PoichHa蟌k ogni
notte tagliava la corda, Frilo rinchiuse con vettovaglie e con una
risma di carta da scrivere. Ma lo scapestrato riusclo stesso ad
evadere, lasciando la cantina vuota e la risma di fogli bianchi
mutata in una flottiglia di navicelle (44)
Ha蟌k non si rimase mai di far lega con malandrini e lenoni e
cantoniere e reietti dei bassifondi praghesi e con ogni sorta di
eccentrici e di svitati. Se si chiamassero dall'ombra i suoi amici,
in primis accorrerebbero il direttore di circo Jakl, lo sbricio
commediante girovago V歊lav 蟊mera con la funambola Esmeralda, il
lottatore Karlas, la chiromante Cleo de Merod[o], ex concubina del re
del Belgio, e soprattutto Ferda Mestek de Podskal, per il cui
teatrino di pulci si improvvisimbonitore, e il ladro buono Oldwibl
Zounek, detto Hanu螶a, da lui conosciuto in prigione (45) Per queste
amicizie con cattivi soggetti e con gente dei baracconi, per le
maschere assunte nel corso degli anni, per l'incapacitdi condurre
un'esistenza assestata, per la facilitdi scrittura, Ha蟌k
assomiglia al narratore russo Kuprin, allegro compare di zingari, di
beoni, di rubacavalli, di biscazzieri, di artisti dello chapiteau
come il clown 津akomino, di sollevatori di pesi come il mustacchiuto
e atticciato Ivan Poddubnyj, - a Kuprin, che fece l'arbitro nei
campionati di lotta francese sotto il tendone dei circhi, il
pescatore, il pompiere e molti altri mestieri, - a Kuprin, che
scriveva di getto ai tavoli delle osterie (46)
Ha蟌k cambiava continuamente dimora, dormendo nell'angolo di una
taverna o in casa di amici, ai quali, con le sue stravaganze, dava
sovente disgusti e fastidi. Gli bastava poco: un canap per coperta
il cappotto, lo scendiletto arrotolato a mo di cuscino. Il suo
assillo era sempre: sparire, sparire. Come se il troppo indugiarsi in
un posto potesse svegliare la curiositdella morte. pia lungo,
sebbene anche qui con latitanze e improvvisi ritorni da figliuol
prodigo, abitin casa del pittore Lada: nei brevi intervalli in cui
vi abitava, affiggeva sull'uscio una nera targhetta dagli orli
d'argento, come un annunzio mortuario, con la dicitura: 侯aroslav
Ha蟌k, imperialregio scrittore, padre dei poveri di spirito e
patentato chiaroveggente parigino(47)

Come se fosse saltato fuori da una novella di un Sercambi o un
Sacchetti boemo, Ha蟌k aveva un gusto dannato della beffa,
dell'irrisione. Se gli cadeva in fantasia il gricciolo della burla,
non conosceva remore nmisura. Le testimonianze dei compagni di
mescita abbondano delle sue pazziuole, delle sue bambocciate. Ci
restringeremo a riferirne due solamente.
Una notte del febbraio 1911, scavalcando la spalletta del Ponte
Carlo, ldove sorge la statua del Nepomuceno, fece vista di gettarsi
nel fiume. Un parrucchiere di teatro, che era ldi passaggio, lo
afferre chiese aiuto. Agli accorsi gendarmi, sguizzando come
un'anguilla, Ha蟌k prese a strappare dal cappello le piume di gallo.
Al commissariato con nuovo travestimento sostenne la parte del
mentecatto. E percifinin manicomio, di dove, come 襒ejk pi
tardi, non voleva piuscire (48) Anche se abituati al suo vezzo di
mistificare, tuttavia ci si chiede: fu in effetti uno scherzo, uno
Schabernack, una finzione grottesca, una bravata da beone? Oppure ci
sfugge la disperazione che pervadeva le sue immani corbellature degli
altri e di se stesso?
Quando, alla fine del 1914, l'esercito russo sfondin Galizia e i
praghesi dicevano: 隹 N歊hod giparlano russo Ha蟌k andad
abitare nella locanda U Val霘 in via Karolina Sv皻l segnandosi sul
registro degli ospiti come Ivan Fiodorovi柚 Kuznecov o, secondo
altri, Lev Nikolaevi柚 Turgenev, o Ivan Ivanovi柚 Ledrpales骿,
commerciante di Kiev proveniente da Mosca. Scopo del viaggio:
俘evisione dello stato maggiore austriacoIl portiere allibito,
credendo di trovarsi di fronte a una sfrontatissima spia, si
precipita chiamare i gendarmi. Al commissario, buscandosi cinque
giorni di carcere, Ha蟌k dichiar col suo viso paffuto di uomo
grosso di pasta, che voleva soltanto appurare se fossero pienamente
osservate le norme di polizia per la registrazione dei cittadini
stranieri in tempo di guerra (49)
Una mistura di caparbiet di perfidia ubriachesca, di stizza
infantile deflagra in questo 冠lticcio, barcollante ed estatico
Villon in questo 匍edievale fantasma uscito da una tela di Bruegel
o Schwaiger, dipinta con sudici gialli e rossicci colori(50) Zanni
dal fondo zotico e scaltro di villano slavo inurbato ed insieme
intriso di tutto l'odore di pignatta grassa di Praga, con la sua
faccia molliccia come una pagnotta, gli occhietti vispi, i capelli
arruffati come un nido di passeri, il 剋eniale idiota(51), lo
scavezzacollo, che cambia le maschere come i pagliacci la bombetta,
diventa la maschera pisignificante della cittvitavina.
Attaccabrighe spavaldo, 哀carruffato, pingue beone, il cui ventre
rigogliosamente trabocca dalla cintola dei calzoni(52), egli
provoca climi di rissa, sottosopra ed equivoci, barbagli di
apocalissi, che subito dopo dirada con un bambinesco sorriso (53)
Egli vive la vita come un carnevale di bettola, perchsolo la
bettola (al pari del manicomio) gli consente di vivere
nell'infrazione, nel bilico dell'impunit nel rifiuto dadaistico, in
barba a regolamenti e interdetti.

Il 19 dicembre 1920 il signor Staidl, ossia Jaroslav Ha蟌k,
imbacuccato in un lungo pastrano scuro, con stivali di feltro
grigiastro e berretto caucasico, scende, assieme a 襁ra, dal treno
alla stazione di Praga (54) Dalla stazione si reca in carrozza al
caffUnion, dove, accolto trionfalmente, presenta agli amici la
seconda moglie come la principessa L漓ova, nipote del capo del primo
governo provvisorio russo, narrando di averla sottratta alla furia
dei bolscevichi.
Il ritorno del commissario politico mise a rumore le bettole. Fior
una sequela di aneddoti sulla sua efferatezza. Si diceva che avesse
sterminato l'intera famiglia di 襁ra, mutando l'orfanella in sua
schiava, che avesse come un Erode mandato a morte migliaia di
cecoslovacchi. La stampa di destra gonfiava queste fandonie, i
legionari lo minacciavano, ma la sinistra anch'essa nutriva sospetti
nei suoi riguardi (55)
Stucco e ristucco della gravitcommissaria, Ha蟌k smise ruba螶a e
stivali, si rituffnel bitume, nel lago tartareo delle taverne e,
lasciando sola in albergo la povera 襁ra, riprese a sparire per
interi giorni. Fra capannelli di ubriachi spacciava notizie su
fantastici orrori commessi dai bolscevichi. Alla scrittrice Olga
Fastrov ansiosa di sensazioni, confermche i bolscevichi
mangiavano carne di cinesi rapiti (56) Ma le sue crapule non avevano
pila protervia di prima. Fitte di insicurezza, di crepuscolare
sgomento incrinavano la sua giulleria.
Non potendo pagare l'albergo, traslocassieme a 襁ra in casa del
compagno di birreria Franta Sauer, nel rione di E'i鋘ov (57) In quel
periodo tentdi riavvicinarsi alla 哇ietta a Jarmila: ma in fondo,
piche di Jarmila, aveva bisogno di 襁ra. La paziente e sommessa
orfana tartara, il cui unico appoggio era lui in quel paese
straniero, non gli rinfacciava le stravaganze di ubriaco, non si
proponeva di rieducarlo, capiva le sue debolezze.
Tra una birra e l'altra Ha蟌k comincia scrivere il romanzo Osudy
dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky (Le vicissitudini del bravo
soldato 襒ejk durante la guerra mondiale) che, nei suoi intenti e in
quelli di Franta Sauer, l'editore, doveva concorrere con le storie
popolari di Nat Pinkerton e di Nick Carter, riscoperte in quegli anni
dall'avanguardia del Dev褾sil. Affissi nerogialli annunziarono la
pubblicazione del libro in fascicoli settimanali, che Ha蟌k e Sauer
vendevano nelle taverne di E'i鋘ov (58)
Non fu impresa facile costringere Ha蟌k a portare avanti il
romanzo. Accompagnata dal giovane poeta Ivan Suk, segretario e
contabile della casa editrice, 襁ra lo andava braccando nelle
osterie. L'ubriacone la riceveva con brutto cipiglio, insultandola,
poi ordinava da bere per la 厚rincipessa perchse ne stesse zitta
in un angolo, e continuava a cioncare, senza guardarla. 襁ra
sorrideva umilmente alle sue ciarle sconnesse, aspettando l'istante
in cui si sarebbe deciso a tornare a casa.
Convinto dal pittore Jaroslav Panu螶a, anche lui della
congregazione del Luppolo e della Beffa (59), Ha蟌k si trasfer
nell'agosto 1921, nel villaggio di Lipnice sulla S漘ava (Boemia
sud-orientale) Qui, nella locanda-mescita U Invalid continula
stesura del libro: dettava ad uno scrivano ventenne, figlio di un
poliziotto, con interruzioni continue, chiacchierando frattanto o
altercando con gli avventori. Spediva subito all'editore (non pi
Sauer, ma Synek) i capitoli pronti, lasciandosi solo l'ultimo foglio
dettato (60)
襒ejk, quell'autunno, comparve sulla ribalta della Revolu螽sc郾a
di Longen nell'interpretazione di Karel Noll, che ne fece una
fatticcia e panciuta parvenza popolaresca (61) Nella locanda-mescita
di Lipnice il suo autore non mutle abitudini: trincava al modo
consueto, ospitava gli amici, pagando a tutti da bere, festeggiava le
ricorrenze con libagioni e discorsi, narrava aneddoti per notti
intere, preparava un suo grog marinaro, metteva il naso in cucina in
cerca di intingoli. Coi primi proventi del libro compra Lipnice una
fatiscente casupola strampalata, con quattro ingressi, rivolta da un
fianco verso un quartiere di poveri, detto 俑iz鈔ieLa fine di un
vagabondo. Ma, benchmalandato, asmatico, tumido, in questa botte
grommosa, in questo terminale canile raggiunto dopo una volubile
trafila di bettole, sino all'estremo non si astenne dal bere (62)
Quando si spense, il 3 gennaio 1923, nessuno prese sul serio la
funeraria notizia: troppo spesso era stato annunziato il suo transito
(63) A Praga i vecchi compagni di baldoria si dissero che Ha蟌k
aveva ordito una nuova finzione. Alle esequie arrivarono dalla
capitale soltanto Kud疀, Panu螶a, il fratello, il figlio, col quale
si era incontrato pochissime volte (64)

NOTE:
(1) Cfr' Gustav Janouch, Prager Begegnungen, Leipzig 1959, pp'
243-44.
(2) Cfr' Michel Ragon, L'Expressionnisme, Paris 1966, p' 63.
(3) The Pawnshop (1916) Cfr' Georgij Avenarius, Charles Spencer
Chaplin: O柚erk rannego perioda tvor柚estva, Moskva 1939, pp' 121-22.
(4) Cfr' V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma, Praha 1935, pp' 38-49;
Zdena An鍎k, O eivotJaroslava Ha螶a, Praha 1953, p' 14; Radko
Pytl骿, Toulavhouse (Zpr潎a o Jaroslavu Ha螶ovi), Praha 1971, p'
61.
(5) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, p' 365. Cfr' anche: id', Z drogerie (1904) e Ze star
drogerie (1909-10), in Zr歍ce n漷oda v Chot瑿owi, Praha 1962, pp'
15-17 e 116-45.
(6) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Sv皻 zv魾at, in D疀iny strany mirn逸o
pokroku v mezibl z毾ona (1912), Praha 1963, pp' 44-46; V歊lav Menger,
Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp' 234-36; Josef Lada, Kronika m逸o
eivota, Praha 1947, pp' 312-14; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp'
159-65.
(7) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, MdrahpwitelkynJul螮, in Dekameron
humoru a satiry, Praha 1968, pp' 195-211.
(8) Cfr' id', Malzoologickzahrada, Praha s'd', pp' 166-75.
(9) Id', Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky cit', I-II,
pp' 291-92.
(10) Cfr' ibid', p' 295.
(11) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, p' 296.
(12) Cfr' V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp' 110-11,
120-27, 141-43, 151-88, 192-208, 227-30; Zdena An鍎k, O eivot
Jaroslava Ha螶a cit', pp' 25-61; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit',
pp' 137-54.
(13) Cfr' V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', p' 234; Radko
Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 194-95.
(14) Cfr' Nikolaj Elanskij, Jaroslav Ga毗ek v revoljucionnoj Rossii
(1915-20), Moskva 1960, p' 162; Stanislav Antonov, Jaroslav Ga毗ek v
Ba毗kirii, Ufa 1960, pp' 28-30; Aleksandr Dunaevskij, Idu za
Ga毗ekom, Moskva 1963, pp' 73-77; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit',
pp' 220-21.
(15) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k (1928), Praha 1947, pp'
172-73; Zdena An鍎k, O eivotJaroslava Ha螶a cit', pp' 87-90; Radko
Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 344-45.
(16) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, M齹 obchod se psy, in Malzoologick
zahrada cit', pp' 105-15.
(17) Id', Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky cit', I-II,
p' 11.
(18) Ibid', pp' 49-50.
(19) Cfr' ibid', pp' 160-62.
(20) Cfr' ibid', pp' 176-83.
(21) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, pp' 53-54.
(22) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', pp' 10-31; V歊lav
Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp' 74-75 e 244-47; Franti蟌k
Langer, Vzpomin滱na Jaroslava Ha螶a, in Byli a bylo, Praha 1963,
pp' 34-44; Zdena An鍎k, O eivotJaroslava Ha螶a cit', pp' 64-65;
Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 205-15.
(23) Jaroslav Ha蟌k, D疀iny strany mirn逸o pokroku v mezibl z毾ona
cit', p' 48.
(24) Ibid', p' 136.
(25) Cfr' V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp' 136-38. Cfr'
inoltre Jaroslav Ha蟌k, Boje s domovn骿y (1908), in D璠ictvpo panu
螮fr滱kovi, Praha 1961, pp' 113-22.
(26) Cfr' Franti蟌k Langer, Vzpomin滱na Jaroslava Ha螶a, in Byli
a bylo cit', pp' 44-50; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 216-23.
(27) Jaroslav Ha蟌k, Jak jsem se setkal s autorem sv逸o nekrologu
(1921), in Moje zpov璠' cit', pp' 14-17. Cfr' anche Du蟊螶a Jaroslava
Ha螶a vypravuje (1920), in ibid', pp' 333-37.
(28) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', pp' 143-44; Jiw
蟌rven 蟌rvensedma, Praha 1959, pp' 255-57; Radko Pytl骿, Toulav
house cit', pp' 341-44.
(29) Cfr' Raoul Hausmann, Courrier Dada, Paris 1958, pp' 112-14; Am
Anfang war Dada, a cura di Karl Riha e Gter K鄝pf,
Steinbach-Giessen 1972, pp' 64-66.
(30) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', pp' 130-31; Josef
Lada, Kronika m逸o eivota cit', pp' 334-35.
(31) Cfr' Zdena An鍎k, O eivotJaroslava Ha螶a cit', p' 74; Radko
Pytl骿, Toulavhouse cit', p' 255.
(32) Cfr' Ivan Olbracht, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky (1921), in O um瘽a spole螽osti, Praha 1958, p' 180; Emil
Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', p' 42; Zdena An鍎k, O eivot
Jaroslava Ha螶a cit', p' 82.
(33) Franti蟌k Langer, Vzpomin滱na Jaroslava Ha螶a, in Byli a
bylo cit', p' 64.
(34) Jaroslav Ha蟌k, Jak jsem se setkal s autorem sv逸o nekrologu,
in Moje zpov璠' cit', p' 14.
(35) Cfr' Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 262-63.
(36) Cfr' Zdena An鍎k, O eivotJaroslava Ha螶a cit', p' 70.
(37) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Velitelem m瘰ta Bugulmy (1919-21), Praha
1966; Nikolaj Elanskij, Jaroslav Ga毗ek cit'; Stanislav Antonov,
Jaroslav Ga毗ek cit'; Aleksandr Dunaevskij, Idu za Ga毗ekom cit';
Franti蟌k Langer, Vzpomin滱na Jaroslava Ha螶a, in Byli a bylo cit',
pp' 65-79; Zdena An鍎k, O eivotJaroslava Ha螶a cit', pp' 74-85;
Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 266-93 e 300-35.
(38) Cfr' Ivan Olbracht, Deset let od Ha螶ovy smrti (1933), in O
um瘽a spole螽osti cit', p' 182; Zdena An鍎k, O eivotJaroslava
Ha螶a cit', p' 81; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', p' 319.
(39) Cfr' V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp' 64-71; Radko
Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 75-85.
(40) Cfr' Zden瘯 Mat疀 Kud疀, Ve dvou so to l酥e t殠ne (1923-24),
Ve dvou so to l酥e t殠ne, ve twebl h鱴e (1927), e Radko Pytl骿,
Toulavhouse cit', pp' 234-35. Su Kud疀 cfr' Gustav Janouch, Prager
Begegnungen cit', pp' 5-32.
(41) Cfr' V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp' 114-19;
Zdena An鍎k, O eivotJaroslava Ha螶a cit', p' 21.
(42) Cfr' V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp' 148-49 e
212-18; Josef Lada, Kronika m逸o eivota cit', p' 318.
(43) Cfr' Franti蟌k Langer, Vzpomin滱na Jaroslava Ha螶a, in Byli
a bylo cit', p' 63; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 176-81.
(44) Cfr' V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp' 255-56 e
261; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 225-26.
(45) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, M齹 pwitel Hanu螶a, in Dekameron humoru a
satiry cit', pp' 353-56; Zden瘯 Mat疀 Kud疀, Ve dvou se to l酥e t殠ne
(1923-24), Praha 1971, pp' 95-128; V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma
cit', pp' 107, 242, 252-56; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp'
237-47.
(46) Cfr' Kornej 柚ukovskij, Kuprin, in Sovremenniki, Moskva 1962,
pp' 256-91.
(47) Cfr' Josef Lada, Kronika m逸o eivota cit', pp' 307-10 e 315.
(48) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Psychiatrickz殠ada (1911), in D璠ictv
po panu 螮fr滱kovi cit', pp' 226-30; Emil Artur Longen, Jaroslav
Ha蟌k cit', pp' 32-36; V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp'
230-34; Zdena An鍎k, O eivotJaroslava Ha螶a cit', p' 64; Radko
Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 186-90.
(49) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', pp' 38-42; V歊lav
Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', pp' 263-64; Jiw蟌rven 蟌rven
sedma cit', p' 86; Zdena An鍎k, O eivotJaroslava Ha螶a cit', p' 66;
Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', p' 250.
(50) Franti蟌k Langer, Vzpomin滱na Jaroslava Ha螶a, in Byli a
bylo cit', p' 63.
(51) Ivan Olbracht, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky,
in O um瘽a spole螽osti cit', p' 180.
(52) Franti蟌k Langer, Vzpomin滱na Jaroslava Ha螶a, in Byli a
bylo cit', p' 63.
(53) Cfr' Josef Lada, Kronika m逸o eivota cit', p' 326.
(54) Cfr' Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 337-38.
(55) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', pp' 132-37;
Gustav Janouch, Prager Begegnungen cit', pp' 259-64; Radko Pytl骿,
Toulavhouse cit', pp' 338-39.
(56) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Za Olgou Fastrovou (1922), in Moje
zpov璠' cit', pp' 260-62.
(57) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', p' 145; Radko
Pytl骿, Toulavhouse cit', p' 346.
(58) Cfr' Franta Sauer, Franta Hab滱 ze E'i鋘ova, Praha 1923; Emil
Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', p' 146; Gustav Janouch, Prager
Begegnungen cit', pp' 246-49; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp'
348-55.
(59) Cfr' Josef Lada, Kronika m逸o eivota cit', pp' 345-53.
(60) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', pp' 147 e 171-72;
Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 25-26, 362-65, 368-70.
(61) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', pp' 147-48 e
214-15; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 31-32. Lo 襒ejk di Max
Pallenberg ha obliterato quello tipicamente praghese di Karel Noll,
il quale interpretil personaggio di Ha蟌k anche in alcune
pellicole.
(62) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', pp' 213-15; Radko
Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 38-39 e 360-61.
(63) Cfr' Ivan Olbracht, Deset let od Ha螶ovy smrti (1933), in O
um瘽a spole螽osti cit', p' 182.
(64) Cfr' Franti蟌k Langer, Vzpomin滱na Jaroslava Ha螶a, in Byli
a bylo cit', pp' 87-88; Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', p' 18.

96
Quando lo misero in manicomio, la sera che voleva gettarsi dal
ponte, Ha蟌k affermava di essere Ferdinando il Buono (1) In una
rassegna degli strampalati di Praga non pumancare la calva e
mingherlina figura di questo sovrano (1793-1875) che, il 2 dicembre
1848, aveva rinunziato al trono in favore del nipote Francesco
Giuseppe, ritirandosi nel Castello di Praga. Ferdinando V, detto il
Buono (Dobrotiv era stato l'ultimo degli imperatori austriaci a
cingersi della corona di re boemo (1836) (2)
Nelle foto del mio album appare givecchio e assecchito, con magre
manine di bambola. Una barba bianca incornicia il suo insipido volto.
Sprofonda sparuto in una poltrona, sporgendo dalla spalliera la
boccia enorme della testa pelata. Passava i giorni, giocando al
biliardo col maggiordomo e coltivando bellissimi fiori, che
ottenevano premi nelle esposizioni botaniche. Appassionato della
musica, aveva sonato lui stesso, da giovane, canzoni e danze
viennesi. Bedwich Smetana si recava, sebbene malvolentieri, due volte
la settimana al Castello, a eseguire per lui al pianoforte valzer e
marce trionfali (3)
Vestiva in borghese, tranne che per il compleanno, quando, estratta
dalla naftalina l'uniforme antiquata di generale, assisteva da una
finestra alla sfilata della guarnigione praghese. Nella citt
vitavina si sentiva meglio che a Vienna: il clima di Praga, a suo
dire, lo aveva guarito dal mal caduco. Se la turba crudele dei
maggiorenti viennesi lo considerava con spregio, per la Boemia era
almeno un prezioso cimelio, una curiosit
Qualunque fosse la guardatura del cielo, usciva ogni giorno con un
cortigiano e col medico in una carrozza tirata da due candidi
lipizzani. Benchguarnito con liste d'oro e con stemmi sugli
sportelli, questo equipaggio non reggeva il confronto con la
sfolgorata vettura di Federico Guglielmo I, nominato Hessenkassel
(1802-75) L'ex elettore d'Assia, che si era schierato con l'Austria
nella guerra del 1866, viveva a Praga con sfarzo regale nel palazzo
Windischgr酹z. Tre coppie di cavalli dal manto colore isabella
trascinavano la sua fragorosa carrozza, traballante su ruote massicce
dai raggi dorati. Su un cavallo della prima coppia galoppava in
costume di jochey uno staffiere, agitando un frustino bianco (4)
La carrozza di Ferdinando veniva gidal Castello per via Ostruhov
(Nerudova) e, attraversato il Ponte Carlo, rotolava per il
lungofiume. I passanti si fermavano, levandosi con rispetto il
cappello. E Ferdinando, raggruzzato in un angolo, col labbro
inferiore pendente e con le gambucce sospese, rispondeva al saluto,
togliendosi continuamente il cilindro, che gli tentennava sul testone
enorme. Se c'era beltempo, talvolta scendeva dalla vettura e
percorreva a piccoli passi via Ferdinandova e via Na Pw骿opsino
alla Porta delle Polveri. La carrozza ed il maggiordomo in tricorno e
livrea, con un plaid sul braccio, gli venivano dietro.
Il cilindro non aveva requie. Ferdinando si scappellava come un
automa. Parrebbe un giuoco da circo. Ma i praghesi non dimenticavano
che su quell'omino idrocefalo era stata posata per l'ultima volta la
corona di San Venceslao. Del resto bastava che fosse tenuto in
dispetto da Vienna, perchi cechi lo avessero in simpatia. E cos
anche se babbeo, Ferdinando a passeggio, nell'inventiva praghese,
servdi contraltare al Proch漘ka, ossia a Francesco Giuseppe che
scarrozzava per le vie di Vienna, anche se la sua passeggiata alla
buona, casalinga, da pensionato, era priva del fasto di quelle
dell'imperatore.
Cinon vuol dire perche la cittvitavina, col suo umore da
forca, non si divertisse alle spalle di questo svigorito sovrano che,
per la sua indole bambinesca e citrulla, era chiamato Ferd碭ek. Nel
racconto di Werfel La casa di lutto il pianista Nejedl in un
bordello, si vanta di aver sonato una volta per Ferdinando come
勇mperialregio Fanciullo Prodigioe discorre delle sue stravaganze e
del suo stolido vezzo di appioppare ceffoni, che costringeva
l'aiutante, durante le passeggiate in carrozza, a tenergli le mani
ferme (5)
Praga si rallegrava di annoverare tra i propri 厚ortentiquel
tritolo di re rimbambito e quando, per la cadente sanit egli non fu
piin grado di uscire, i curiosi si ingegnarono di penetrare dentro
il Castello sotto le spoglie di giardinieri, per vederlo negli orti
su una sedia a rotelle. Una zingara aveva predetto al sovrano che
sarebbe vissuto sino alla tarda vecchiezza, e ogni giorno tra
Ferdinando ed il maggiordomo si svolgeva il seguente dialogo:
Ferdinando: Quanti anni potrvivere ancora?
Maggiordomo: Sua Maestpucampare novanta, cento anni.
F': Cento anni? Cento anni? E poi?
M': Chiss centoventi.
F': Centoventi. Ma poi?
M': Poi Sua Maestsi degnerdi morire.
F': Morire. Ma poi?
M': Ci sarun funerale magnifico e tutti faranno bum bum.
F': Bum bum? Faranno bum bum?
cos nel museo dei bislacchi praghesi, Ferd碭ek collima con
Karl斁ek Bumm.

NOTE:
(1) Cfr' V歊lav Menger, Jaroslav Ha蟌k doma cit', p' 233.
(2) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', I, pp' 212-16;
Bilder aus B鐬men (Leipzig 1876), in M瘰to vidim velikcit', pp'
420-22; Eduard Bass, Kwieovatka u Pra螽br滱y, Praha 1947, p' 199;
Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 96-97.
(3) Cfr' Josef Teichman, Bedwich Smetana, Praha 1946, pp' 84 e 158;
Rok Bedwicha Smetany, a cura di Mirko O螮dl骿, Praha 1950, p' 127.
(4) Cfr' Ign漮 Herrmann, Pwed pades漮i lety cit', I, p' 217.
(5) Cfr' Franz Werfel, Nel crepuscolo di un mondo cit', pp' 523-24.

97
Due neri signori, due guitti lucidi e grassi in redingote e
cilindro una notte, a lume di luna, accompagnano per il Ponte Carlo
su verso la casa di Strahov Josef K' al supplizio. E in senso
contrario, un mattino, per lo stesso percorso due zoppicanti soldati
con la baionetta in canna, uno spilungone e uno piccolo e pingue,
conducono Josef 襒ejk, nella sua goffa uniforme rigonfia come una
cipolla, dal carcere presidiario del Castello, lungo via Nerudova e
il Ponte Carlo, a Karlin, dal cappellano militare (1) All'inizio del
1921 alle finestre delle osterie e sugli angoli del quartiere
proletario di E'i鋘ov un manifesto giallo-nero sgargiante annunziava
con enfasi fanfaronesca l'uscita a fascicoli del romanzo Le
vicissitudini del bravo soldato 襒ejk durante la guerra mondiale (2)
Jaroslav Ha蟌k compose questo suo libro picaresco, che voleva
competere con le novelle avventurose e le storie popolari a puntate,
tra una bettola e l'altra di Praga e poi in una locanda a Lipnice,
dove si spense il 3 gennaio 1923. E in un primo momento ne fu editore
lui stesso assieme al compagno di bisboccia Franta Sauer e con Sauer
lo diffuse fra i clienti delle osterie, che erano il suo rifugio e il
suo porto e il suo santuario.
Il romanzo di Ha蟌k anzitutto un'apologia del pucflek o bur
ovvero dell'attendente. L'autore in una solenne tirata esalta i pregi
ed i privilegi di questa 匍aschera crucciandosi che l'antichissima
storia degli attendenti non sia stata scritta. I superiori ritengono
che il pucflek sia 哀oltanto un oggetto, in molti casi un fantoccio
che prende gli schiaffi, uno schiavo, una serva factotum(3): un
alterego del proprio ufficiale, del quale ricalca vizi e bestemmie e
improperi (4) Ma in realtegli un alterego maligno, un fantoccio
ambiguo, un oggetto sornione, - insomma discende dalla progenie dei
servi scaltri che hanno provviste di stratagemmi e mezzucci per
uccellare il padrone.
Dal pucflek-sganarello al clown il passo breve. E 襒ejk un
clown praghese: linguacciuto, birroso, maldestro, con un'infrenabile
parlantina da bettola. Anche il suo vestimento clownesco. Al
carcere presidiario gli danno 哎na vecchia uniforme militare che era
appartenuta a un pancione pigrande di lui di una testa. Nei suoi
calzoni sarebbero potuti entrare altri tre 襒ejk. Le infinite falde
dei calzoni che gli arrivavano dai piedi sin sopra il petto
suscitavano senza volerlo l'ammirazione di chi lo guardava. Un'enorme
giubba rattoppata nei gomiti, unta e bisunta, sbatteva su 襒ejk come
un cappotto su uno spaventapasseri. I calzoni gli spenzolavano
addosso come il costume su un clown al circo. Il berretto militare,
che pure gli avevano sostituito al presidio, gli scendeva sino alle
orecchie(5)
In queste spoglie di mammalucco, gonfio come i fichi troppo maturi
e simile a un Grock, a uno Zavatta in sventolanti panni
austroungarici, 襒ejk scende gidal Castello, mentre Josef K' vi
sale, vestito di nero, chaplinoidale, agguagliabile alle sussiegose
figure in bombetta e pardessus ben stirato che pitardi appariranno
nei quadri di Magritte. Sembra che Ha蟌k, chiamato alle armi, si
presentasse in caserma a 蟌skBud疀ovice con un vacillante cilindro
sul capo (6)
In 襒ejk la condizione clownesca si associa alla finta idiozia,
recitata con meravigliosa coerenza e sino all'estremo limite. Per il
servo-pagliaccio, che intende di berteggiare i padroni, la grulleria
una bruegeliana cuccagna, un espediente di grandissimo momento. Il
principale studio di 襒ejk si indirizza appunto a convincere gli
altri della propria insipienza. Egli orgoglioso che i superiori lo
aspreggino con l'etichetta di grullo e, se qualcuno ha dei dubbi,
eccolo a ribadire con aria trionfale la sua notoria idiozia, il suo
poco cervello, a riaffermare che stata una commissione di medici a
ritenerlo imbecille. "Io sono uno scemo ufficiale(7), 勇o sono un
idiota autentico(8) Il vocabolo 剎lb grullo assume dimensioni
iperboliche, si gonfia come una bolla di Bosch. 襒ejk non cessa di
spippolare superbe dichiaratorie di perfetta minchioneria. La
panotticale idiozia, tanto pighignante in quanto fittizia, e la
fierezza per la comprovata qualitdi imbecille e di pecorone (9) si
mutano in 襒ejk in una sorta di vaneggiante narcisismo della
scemenza. Invano Luk碭 lo insulta: 亮uardatevi allo specchio. Non vi
sentite male dinanzi alla vostra espressione di scimunito? Siete il
pistupido scherzo della natura che io abbia mai visto(10); 哀iete
l'uomo piscemo che vi sia al mondo(11); 匍i viene nausea a
chiamarvi scemo. Per la vostra scemenza non vi sono parole. A dirvi
scemo si pecca di gentilezza(12) Sotto questa gragnuola di
oltraggi 襒ejk non rimane scorbacchiato e perplesso, al contrario si
riempie di beatitudine.
Ha蟌k insiste sulla faccia di luna piena, sugli occhi buoni, sul
morbido sguardo di agnello del suo personaggio (13) La cretineria,
che trapela dal volto paffuto di 襒ejk nei piintricosi frangenti e
nei putiferi da lui suscitati, equivale a una perfetta innocenza, ad
un'冠ssoluta tranquillited ignoranza di qualsiasi colpa(14) Ai
furori di Luk碭, irritato dalle sue stolte prodezze: 剋esummaria,
himmelherrgott, vi faccio fucilare, voi bestia, voi bufalo, voi
bovino, voi pezzo di cesso. Siete cosimbecille?(15), 襒ejk oppone
l'incolume sorriso degli occhi bonari che irradiano sempre tenerezza
e candore e persino un 厚erfetto equilibrio spirituale(16), come se
nulla fosse accaduto, - un sorriso che disarma la collera altrui e
disinnesca la miccia di incombenti tempeste.
Ha蟌k procura perche il lettore non si distolga sino alla fine
dal dubbio se il personaggio sia veramente un idiota marchiano o
piuttosto uno scaltro di sette cotte, pimalizioso di parasacco, 哎n
raffinato furfante oppure un tanghero ed un citrullo maldestro(17)
Ad accrescere la dismisura della scemenza concorrono la sostanza
bamboccia di 襒ejk e l'infantilismo delle sue bravate e delle sue
ciance, i suoi posticci attacchi di commozione, e in specie
l'incommensurabile flemma, che gli consente di affrontare le
situazioni incresciose senza il menomissimo sconcerto del volto e
dell'anima. Capitale risorsa del finto idiota, la flemma, questo
ammiccante torpore, questo non-batter-ciglio produce ridicolose
macchine di incongruite di non senso, salutari trambusti,
scombugli. Col suo mostaccio impassibile, con le sue cicalate, col
suo operare da capra sciocca, il clown 襒ejk fa perder le staffe ai
padroni, li esaspera, ne sconvolge i propositi, li sbeffeggia, li
manda in malam crucem.

NOTE:
(1) Franz Kafka, Il Processo cit', pp' 342-50; Jaroslav Ha蟌k,
Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky cit', I-II, pp' 95-102.
Cfr' Karel Kos骿, Ha蟌k a Kafka neboli grotesknsv皻, in 促lamen
1963, 6.
(2) Cfr' Emil Artur Longen, Jaroslav Ha蟌k cit', pp' 145-46; Radko
Pytl骿, Toulavhouse cit', p' 349.
(3) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, p' 150.
(4) Cfr' ibid', III-IV, pp' 134-35.
(5) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, p' 95.
(6) Cfr' Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', p' 252.
(7) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, p' 24. Cfr' anche p' 33.
(8) Ibid', p' 37.
(9) Cfr' ibid', pp' 145 e 155.
(10) Ibid', p' 193.
(11) Ibid', p' 200.
(12) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', III-IV, p' 35.
(13) Cfr' ibid', I-II, p' 18.
(14) Ibid', p' 277.
(15) Ibid', p' 191.
(16) Ibid'
(17) Ibid'

98
Per uscir salvo dagli ingranaggi della macchineria militare, il
pucflek, l'idiota, il sacco di tela grossa, il pagliaccio ricorre
alla calcitrosa finzione della perfetta obbedienza, della docilita
tutta prova. Il suo motto servire l'imperatore 哀ino a rompersi le
ossa(letteralmente: sino allo strazio del corpo: 削o roztrh滱
t瘭a (1) Anche se riformato per citrullaggine e afflitto da
reumatismi, 襒ejk si mostra ardentissimo di esporsi ad ogni pericolo
per l'accrescimento e l'esaltazione del nome dell'Austria.
Egli ottempera agli ordini con un ossequio e uno zelo cos
smoderati da risultare imbarazzosi agli stessi angeli custodi e ai
bagarozzi e ai dottori e alle ottuse gerarchie militari. Alla
direzione di polizia egli accetta con gioia tutti i capi di accusa
che gli elenca una belva dai tratti degni della criminologia di
Lombroso: 侵o ammetto tutto, rigore ci vuole, senza rigore non si
giungerebbe mai a nulla(2): 俟e desidera, eccellenza, che io
confessi, allora confesser non mi punuocere. Ma se dir 襒ejk,
non confessate nulla, cercherscappatoie a non finire, sino a
rompermi le ossa(3) Tornando in cella, felice, dopo aver firmato
la confessione, dichiara ai compagni di carcere: 信o ammesso or ora
che forse sono stato io ad uccidere l'arciduca Ferdinando(4) E al
tribunale penale, al magistrato che vuole sapere se alla polizia gli
hanno fatto pressioni: 俑acch eccellenza. Ho chiesto loro io stesso
se dovevo firmare e, quando mi han detto di firmare, ho obbedito. Non
stara litigare per la mia firma. Non mi gioverebbe di certo. Ordine
ci vuole(5)
Il tema della falsa e insondabile colpevolezza, connessa con la
sostanza stessa di Praga, avvicina il personaggio di Ha蟌k a Josef
K' Solo che 襒ejk invalida e bagattellizza la colpa col sotterfugio
di una turlupinesca sommissione. 襒ejk si infervora a esprimere
gratitudine ai poliziotti, l'unico ad entusiasmarsi della
dichiarazione di guerra e a osannare all'imperatore, l'unico ad aver
fede nella vittoria, l'unico che si rallegri della chiamata alle
armi, - e il suo entusiasmo cosinnaturale che molti lo ritengono
pazzo. Giall'inizio viene additato sui giornali come 勁uminosissimo
esempio di fedelte devozione al trono del vecchietto monarca(6),
quando, col berretto militare e col mazzolino variopinto delle
reclute, si fa condurre in caserma, agitando le grucce e gridando 隹
Belgrado, a Belgrado! nel carrozzino in cui il pasticciere
dell'angolo 厚ortava un tempo il suo zoppo nonnino cattivo a prendere
aria(7)
Se gli affidano un compito, egli lo esegue a dispetto di tutto e
con tanta premura, da suscitare marchiani malintesi e carnevaleschi
subbugli, piccole apocalissi, che dissipa, atteggiando l'obesa O
della faccia a un sorriso ebete. Impancandosi a propugnatore
dell'ordine e della disciplina, il volpone va chimerizzando che il
soldato non deve pensare, perchpensano i superiori per lui. E
pregusta persino la gioia della morte in battaglia: 俟ono anch'io del
parere che molto bello farsi trafiggere da una baionetta - disse
襒ejk - e che non male buscarsi una palla in pancia e ancor meglio
se una granata ti falcia e tu vedi le gambe e la pancia lontane da te
e ti sembra strano morire prima che qualcuno possa dartene una
spiegazione(8) Quando Luk碭 gli annuncia che dovranno partire con
un battaglione di linea: 亭accio rispettosamente notare, signor
tenente che non sto piin me dalla gioia, - rispose il bravo soldato
襒ejk - sarqualcosa di splendido quando cadremo entrambi per
l'imperatore e la sua famiglia...(9).
Anche in una scena di cacaiuola, come quella di cui presenzial
testimonio il grullo maggiorgenerale polacco, 襒ejk si distingue per
attaccamento al dovere e per presenza di spirito, e vorrei dire: per
spirito di corpo. Mentre, coi calzoni calati e con la cinghia al
collo, come se stessero per impiccarsi, i soldati defecano sulle
fosse aperte, entra il babbeo fiutastronzi in pompa magna a
ispezionar le latrine: 襒ejk, intuendo la gravitdel momento, salta
su, si pulisce con un frammento di carta strappato da un romanzo di
Rena Jesensk dl'attenti e saluta. 非ue squadre coi calzoni
abbassati e con le cinghie al collo si alzarono sulla latrina. Il
maggiorgenerale sorrise amabilmente e disse: 俘uht, weiter machen遙
(10) Questo quadretto da Simplicissimus fa parte di una delle
sequenze picomiche e burattinesche, malevolo impasto di fecalite
cretineria militare.
Con la babbuina obbedienza, col rispetto smaccato per i superiori,
con l'osservanza caparbia del regolamento 襒ejk intralcia e rallenta
l'azione. Ma la strategia del romanzo dispone di un mezzo ancor pi
efficace di ritardamento, gli aneddoti, che si frammettono
continuamente a interrompere il ductus del racconto, la fluidit
itinerale. Supplemento di incongruitnell'incongruo, le folte
arborescenze di barzellette a sproposito costituiscono un secondo
tracciato, uno zigzag digressivo, un novellino all'interno della
narrazione: birroso, sballato, patibolare, vaneggiante.
襒ejk rifila trafile di aneddoti, in cui si riflette un'atavica
ironia prosperata da secoli di servit - aneddoti nati nel clima
opaco e fumoso delle leggendarie taverne di Praga, che sono tutte
Grenzschenken, osterie di frontiera, dove ombre di torbidi zaffi, di
provocatori e Bretschneider stanno perennemente in ascolto. Il
quietismo sornione dell'Homo Bohemicus infatti si sfoga in una
loquacitirrefrenabile, che inventa mirabolanti fanfaronate,
picaresche vicende da squarciabucchi, castelli in aria. Nelle
barzellette da bettola, sfornate a getto continuo da 襒ejk, giostra
in spoglie farsesche il rancore di un popolo oppresso, gavazza
l'umore da forca, imperversano il desiderio funesto e la crudelt
degli asserviti. Queste ballate scurrili di tavernicoli, questi rutti
da sbornia, queste beffarde fiammate di ciarle concorrono
splendidamente all'intento che 襒ejk si prefigge: svuotare la marcia
prosopopea del sistema e insieme mettere in luce, come il pellegrino
del labirinto comenico, la scombinatezza del mondo.
Molte delle frascherie di cui sparso il romanzo hanno per
argomento l'errore giudiziario, la condanna per sbaglio. Al tribunale
di divisione, consolando il maestro-soldato, che languisce in
prigione per aver composta una strofetta sul 哉ecchio pidocchione
austriaco 襒ejk proclama: non deve perdere la speranza, come
diceva lo zingaro Jane蟌k a Plze che tutto puancora volgere al
meglio, quando nel 1879 gli misero il capestro al collo a causa di
quel duplice omicidio per rapina. E infatti ci indovin perch
all'ultimo istante lo portarono via dalla forca, perchnon potevano
impiccarlo a causa del genetliaco dell'imperatore, che cadeva proprio
nel giorno in cui doveva penzolare. E coslo impiccarono solo il
giorno seguente, quando il genetliaco fu passato, e il briccone ebbe
per di piuna tale fortuna, che il terzo giorno ottenne la grazia e
si dovette rifare il processo, perchtutto indicava che in sostanza
il colpevole era un altro Jane蟌k. coslo dovettero disseppellire
dal cimitero criminale e riabilitare nel cimitero cattolico di Plze
e poi ci si accorse che era evangelico e allora fu trasferito in
quello evangelico e poi...(11). In realtil motivo dell'immotivata
colpevolezza, anche se trasportato al burlesco, assilla 襒ejk,
riapparendo in parecchie delle sue barzellette: 俘icordo che una
volta una donna fu condannata per aver strangolato i suoi due gemelli
nati da poco. Sebbene giurasse che non avrebbe potuto strangolar due
gemelli, essendole nata soltanto una bimba, che era riuscita a
strangolare senza farla soffrire, fu tuttavia condannata per duplice
infanticidio(12)
Questo arsenale di facezie e di aneddoti a incastri e di sperticate
panzane rispecchia dunque la condizione costante del piccolo uomo
boemo che, escluso dall'attivitdella storia, si svelenisce in
storielle, la cui grulleria non di rado avventa strali di sarcasmo
demolitore. La logorrea, l'affannoso avviluppamento di chiacchiere
matte lavorano in sinergia con la falsa obbedienza e la maschera del
finto tonto.
::::::::::
(12) Ibid', pp' 22-23.

NOTE:
(1) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, pp' 18 e 59.
(2) Ibid', p' 25.
(3) Ibid', p' 27.
(4) Ibid'
(5) Ibid', p' 29.
(6) Ibid', p' 58.
(7) Ibid', p' 57.
(8) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, p' 143.
(9) Ibid', p' 195.
(10) Ibid', III-IV, p' 90.
(11) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, p' 344.

99

Incantesimo della parola 剎lb(scemo), di questo groppo di labiali
che stringono come due guitti una povera liquida, di questo
剎ilboquetdi assiepate consonanti, di questa esplosiva
denominazione che consente a 襒ejk di uscire indenne dal diavolio
della guerra. Fra tanto scompiglio non v'nulla di piassennato che
perdere il senno. Fingersi idiota, lasciarsi scivolare nella corrente
e ingoffare cosi prepotenti, sotto l'involucro della sommissione
salvando la propria irriducibile sostanza biologica. La carcassa
umana val pidelle regole e degli ordinamenti. 襒ejk, viluppo di
panni spropositati, bricconesca cipolla, rinvolto di aneddoti
incartocciati l'uno nell'altro, con la proclamata scemenza la spunta
sugli ingranaggi del gigantesco ed assurdo meccanismo
austro-ungarico, sui connestabili e sui naturali coglioni che lo
governano.
Il romanzo di Ha蟌k di solito considerato un libro comico, un
seguito di fanfaluche e scenette che fanno ridere squarciatamente. In
effetti esso abbonda di buffonerie, di clownades, di risorse
burliere, di lepidezze a rompicollo. A un numero clownesco, degno del
medievale Masti螶漙 (L'Unguentario), assomiglia la messa che il
cappellano Otto Katz celebra alticcio con la pianeta a rovescio e con
gemebondi grugniti e con gesti a vanvera (1) Ancor pifarsesca la
scena in cui Katz, che ha bevuto il diluvio, sbilicando dal pulpito
col rischio di precipitare, tiene una predica incongrua e reboante ai
soldati del carcere presidiario, fra i quali spicca 襒ejk col gruppo
degli angeli in lerce mutande bianche, - 襒ejk che, unico peccatore
pentito, scoppia in singhiozzi (2) Per la ricchezza gestuale, queste
pagine fanno pensare a quel film in cui, nel tempio dei puritani,
Charlot, galeotto fuggiasco che ha indossato l'assisa di un ministro
del culto, invece di pronunziare un sermone, esegue una matta
pantomima sul tema: Davide e Golia (3)
Del resto parecchie allusioni rivelano che lo stesso Ha蟌k concep
come uno spettacolo le capestrerie di Otto Katz. Al carcere
presidiario il capo camerata informa 襒ejk: 非omani abbiamo teatro.
Ci porteranno in cappella alla predica. Tutti noi in mutande staremo
proprio sotto il pulpito. Vedrai che spasso!(4). Il cappellano
rimbrotta i soldati: 俏on sapete pregare e vi sembra che il recarsi
in cappella sia una specie di spasso, che qui vi troviate in un
teatro o in un cinema(5) Mentre egli dice, avvinazzato, la messa,
i soldati si sentono 剃ome a teatro, quando non conosciamo il
contenuto della commedia, l'azione si intreccia e con ansia ne
aspettiamo lo svolgimento(6) Guitteria esilarante, la sequenza in
cui 襒ejk riporta a casa in carrozza il cappellano sborniato fradicio
(7); gran circo, la scena in cui, saltellando da un lato all'altro,
quasi eseguisse 哎na danza indiana attorno a una pietra votiva
serve la messa da campo ufficiata da Katz (8)
Molte mattaccinate del cappellano e del suo zanni ricordano le
manovre dei clowns con gli attrezzi, di Charlot con la sveglia: non
avendo telefono, il barellante curato parla allo stelo di un paralume
(9); tornando in tram dalla messa castrense con l'altare pieghevole,
il prete alticcio e il suo pucflek smarriscono il tabernacolo (10)
Tutto il finale della seconda parte impostato sul giuoco di 襒ejk
col telefono, arnese generatore di clownerie, oggetto folle che
smaschera la baraonda militare e il bisbetico contraddirsi degli
ordini.
Eppure le fitte facezie e le burle e le molte risorse ridicolose
non bastano a fare del libro di Ha蟌k un'opera comica. Le idilliche e
amene caricature di Lada, sapide di boemitvillereccia (11), ci
hanno abituati a uno 襒ejk pacioccone e bonario come uno zio di
campagna, una sorta di lepido figlio di Bertoldino, pingue sgorbio
guazzante nella gualcita uniforme, con naso-turacciolo e barba di
setole. E invece di giorno in giorno appar sempre pichiaro che la
stolta effigie di 襒ejk (e Grosz colse nel segno) si contorce sovente
in un ghigno grottesco, in una smorfia malefica. Nonostante lo
smoderato umorismo e la vena beffarda che ne ricerca le pagine, il
romanzo di Ha蟌k ha un risvolto di orrore agghiacciante e in qualche
punto risulta contiguo al Processo di Kafka, la cui arcanitnon di
rado del resto trapassa in una sinistra buffoneria.
Terribile come un gabelliere, inventariando nella sua allucinante
mummiografia dell'impero le magagne di un mondo che scricchiola ormai
come una mal commessa nave pigra di vela, Ha蟌k mette a nudo la
balordaggine dei regolamenti, l'esiziale empietdelle imprese che si
proclamano sacre e solenni, la podagra, la friabile argillositdelle
istituzioni ufficiali. Ma soprattutto egli insulta la guerra, questa
ingluvie di sangue, questo macabro sabba, che si tramuta alla fine in
sfilata di grucce e di manichini spettrali. Sulle sue descrizioni
della crudeltdel conflitto incombe una verminosa luce di
apocalisse, che lo avvicina agli scrittori e ai pittori tedeschi
dell'espressionismo.
Alla stazione di T槆or, nel ristorante di terza classe, 襒ejk
incontra 哀oldati di vari reggimenti e svariate nazionalite
formazioni, che la tormenta della guerra aveva scaraventato nei
lazzaretti di T槆or e che adesso di nuovo si recavano al fronte verso
nuove ferite, mutilazioni e dolori, per guadagnarsi sopra la tomba
una semplice croce di legno, sulla quale ancora molti anni dopo nelle
tristi pianure della Galizia orientale avrebbe ondeggiato nel vento e
nella pioggia uno stinto berretto militare austriaco col 剌rant骿" (12)
arrugginito, sul quale di tanto in tanto si sarebbe posato un triste
corvo givecchio, ricordando i pingui festini degli anni passati,
quando qui c'era per lui una tavola immensa imbandita di gustosi
cadaveri di uomini e carogne equine, quando qui appunto, sotto un
berretto come quello sul quale si era posato, si trovava il boccone
pighiotto - gli occhi umani(13) Il cantambanco da bettola si
erge a rapsodo di lutti e flagelli, con fredda acribia condensando le
剋ioie della guerrain filari di croci che reggono vuoti berretti,
in atroci banchetti di corvi:
侵l treno avanzava lento per terrapieni costruiti da poco, cosche
l'intero battaglione poteva osservare ed assaporare minuziosamente le
gioie della guerra e, guardando i cimiteri militari con le bianche
croci che biancheggiavano sulle pianure e sul declivio di colli
devastati, prepararsi lentamente ma con certezza ai campi della
gloria, che si sarebbero conclusi con un berretto austriaco
inzaccherato, ondeggiante su una bianca croce(14)
Neri stormi di corvi, una biancheggiante plebe di croci, sbiaditi
berretti di spaventacchi, calcinosi cumuli di ossa: 侶ui dopo la
guerra ci sarun buon raccolto, - disse 襒ejk dopo una pausa - non
dovranno comprare farina di ossa, per i contadini di grande
vantaggio che nei loro campi marcisca tutto un reggimento: insomma
una rendita. Una sola cosa mi preoccupa, che i contadini non si
lascino abbindolare e rivendano le ossa dei soldati senza trarne
vantaggio come cenere decolorante alle raffinerie dello zucchero
(15)
In questi inserti il truffaldino sarcasmo di Ha蟌k assume
l'asprezza deformatrice dei quadri di un Dix, di un Grosz, di un
Beckmann. Per feconditvisionaria nelle lettere ceche pustargli
vicino soltanto il Van襁ra del romanzo Pole orna v滎e螽(Campi di
messi e di guerra, 1925), che, sforzando la voce a guisa di
banditore, con un linguaggio specchiato sui versetti biblici e
sotteso di un continuo menetekel, rievoca l'orriditdel conflitto
sulle galiziane pianure incendiate, tutte 剃isterne di sanguee
哀pelonche di tuoni(16) Che Van襁ra avesse presente il libro di
Ha蟌k si vede da quel passaggio in cui dice che i carri delle
munizioni sono 剋uidati da un bravo 襒ejk(17)
Quando non si contorce nelle scappatoie degli aneddoti e affronta
allo scoperto il tema del militare calvario, la 襒ejkiada diventa
graffiante e truce, perchHa蟌k sa come pochi, per dirla con Holan,
勇nfilare il termometro nel retto della guerra(18) Con
un'acrimonia che sembra il ricalco dell'ira dei primi cartelloni
sovietici bolla le inutili stragi, la collusione tra i preti e gli
eserciti, la guercia ottusitdei comandi, l'impostura dei florilegi
patriottici e degli apologhi sulla gioia di morire per l'imperatore e
dei santini donati ai soldati dalle zitelle. Un'orribile, tragica
lugubritstravena dai turgori dell'umorismo. Del resto - sono ancora
parole di Holan - 勁'ironia non muore per amor di tragedia(19)
Spingendo all'estremo l'anfibologia che il sostrato del suo
personaggio, Ha蟌k ama immettere nella scurrilite nel banale
momenti profetici, stentorei ricorsi alla Bibbia e alla storia,
insomma una certa grandiositmolto ambigua, un sussiego da
Doganiere. Alla direzione di polizia, 哀alendo le scale che lo
conducevano alla III sezione all'interrogatorio, 襒ejk portava la sua
croce verso la cima del Golgota, senza rendersi conto del proprio
martirio(20) Al tribunale: 哀i ripeteva la storia gloriosa della
dominazione romana a Gerusalemme. Gli arrestati venivan condotti al
cospetto dei Pilati dell'anno 1914 gial pianterreno. E i giudici
istruttori, Pilati della nuova epoca, invece di lavarsi onestamente
le mani, ordinavano paprica e birra di Plzeda Teissig...(21). Al
commissariato: 勁'ispettore di polizia Braun inscenl'incontro con
襒ejk con la ferocia degli sgherri romani del tempo del
simpaticissimo imperatore Nerone(22) Nella baracca dei simulatori:
南emmeno Socrate tracannla sua coppa di cicuta con la serenitcon
cui 襒ejk il chinino(23) Movendo a piedi da T槆or di notte
nell'冠nabasi di Bud疀ovice 襒ejk 冠ndava per la strada nevosa, nel
gelo, imbacuccato nel suo pastrano militare, come l'ultimo della
guardia di Napoleone al ritorno dalla spedizione su Mosca
俟enofonte, antico uomo d'arme, attraverstutta l'Asia Minore e fu
Dio sa in quanti posti senza carta geografica. I vecchi Goti anche
loro corseggiavano senza conoscere la topografia. Marciar sempre
avanti, questo si chiama anabasi(24)
Si potrebbero riportare decine di simili esempi da manualetto
scolastico, in cui, gatta cheta, il burlesco si paluda di austerit
E qui va detto qualcosa delle sconclusionate letture di Ha蟌k. Egli
prediligeva i compendi divulgativi di storia, di chiromanzia, di
occultismo, la Bibbia, il Dizionario scientifico Otto (le cui voci
fornirono spesso argomento alle sue facezie e umoresche), la Scienza
dei matti e degli svitati del neurologo ceco Antonin Heveroch, le
ricette di gastronomia, il catechismo, gli abbecedari, i romanzi
femministici e moraleggianti di Olga Fastrov(Yvonna) e di Pavla
Moudr le riviste specializzate di ciabattini, birrai, conciatori,
la Vita degli animali di Brehm, la 便ronenzeitungcoi particolari di
Casa Absburgo, e in specie le inserzioni e le lettere al direttore
del giornale 俏漷odnPolitika(25) Della sua pretenziosa
infarinatura scientifica, della sua sapienza da na髽, testimoniano le
tirate teosofiche del cuoco occultista Jurajda o quei passaggi in cui
襒ejk, intenditore di cani come il Nozdr褱 delle Anime morte,
discorre con semiseria dottrina di cinologia.
Un romanzo cosirreligioso, coslutulento e sfacciato, macchina
che sgonfia miti, romanzo che si fa gabbo di tutto, tuttavia non
rinunzia a una sua storta metafisica, a un suo ridicolo
soprannaturale. Penso al buffo oltretomba da calendario immaginato da
Katz ed al sogno del cadetto Biegler prima di Budapest. L'inferno per
il cappellano sbornione consiste in una dispensa di pentoloni e
caldaie e graticole elettriche, dove i peccatori si friggono nella
margarina, e il paradiso una contrada idilliaca, dove innumeri
nebulizzatori spruzzano acqua di Colonia, e la Filarmonica suona
Brahms cosa lungo, da farti preferire l'inferno, e gli angeli, per
non stancarsi col moto delle ali, portano un'elica nel tafanario
(26) Lo zelante cadetto Biegler, nel sogno, passa in rassegna le
truppe col grado di generale e percorre illeso le linee sotto il
fuoco degli obici, finchuno scoppio non lo solleva con la sua
automobile a volo per la Via Lattea, 削ensa come la pannaAlla
porta del cielo si affolla una turba di invalidi, che conservano
dentro lo zaino i pezzi troncati del proprio corpo. Pronunciata la
parola d'ordine 亭 Gott und Kaiser il general Biegler entra in
auto in un paradiso tutto caserme, dove reclute-angeli imparano a
urlare 隹lleluiaAnche il Quartier Generale di Dio una caserma:
due angeli con l'uniforme della polizia militare lo prendono per il
colletto, spingendolo in una stanza addobbata di ritratti dei
principi absburgici e dei comandanti imperiali. Dio non altri che
il capitano Sagner dell'undicesima Marschkumpanie, il quale, fuori di
sperchBiegler si appropriato del titolo di generale, lo fa
gettare da due angeli nella puzzolente latrina (27) Questo sogno
cattivo, questa gran ciurmeria, questo impasto di beffa e di
metafisica ha qualcosa in comune coi sogni dei films chapliniani, con
le comiche slapstick, con le piconcitate, con le picrudeli.

NOTE:
(1) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky cit', I-II, pp' 86-87.
(2) Cfr' ibid', pp' 81-84.
(3) The Pilgrim (1923)
(4) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, p' 78.
(5) Ibid', p' 83.
(6) Ibid', p' 86.
(7) Cfr' ibid', pp' 102-9.
(8) Ibid', pp' 122-24.
(9) Cfr' ibid', p' 102.
(10) Cfr' ibid', p' 126.
(11) Cfr' Josef Lada, M齹 pwitel 襒ejk, Praha 1968.
(12) 剌rant骿 diminutivo di Franti蟌k: il tondino di ottone con
le iniziali Fji (Franz Joseph I) sul berretto militare austriaco.
(13) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, p' 209.
(14) Ibid', III-IV, p' 136.
(15) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', III-IV, p' 202.
(16) Vladislav Van襁ra, Pole orna v滎e螽(1925), Praha 1947, p'
21.
(17) Ibid', p' 152.
(18) Vladimir Holan, Noc s Hamletem (1964): in italiano: Una notte
con Amleto, a cura di A'M' Ripellino, Torino 1966, p' 103.
(19) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, p' 24.
(20) Ibid', p' 28.
(21) Ibid'
(22) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, p' 38.
(23) Ibid', p' 68.
(24) Ibid', p' 217.
(25) Cfr' Radko Pytl骿, Toulavhouse cit', pp' 228-29.
(26) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky cit', I-II, pp' 128-29.
(27) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky cit', III-IV, pp' 50-55.

100
A proposito di corvi: c'una ballata nella commedia Die letzten
Tage der Menschheit (1915-19) di Karl Kraus, in cui i corvi, die
Raben, si vantano di non soffrire la fame grazie a coloro che sono
caduti sul campo (1)
In un certo senso il romanzo di Ha蟌k appartiene alla letteratura
absburgica. Anche se con acredine e con rancore e senza un filo di
rimpianto, esso esprime l'agonia di un impero, la Finis Austriae, il
tramonto della Cacania, ossia di quella - come dice Musil - 南azione
incompresa e ormai scomparsa che in tante cose fu un modello non
abbastanza apprezzato(2)
Ma lo 襒ejk agli antipodi del Radetzkymarsch di Joseph Roth: al
contrario di Roth e di molti altri scrittori austriaci, Ha蟌k non
sente un briciolo di malinconia per lo sfacelo di quel mondo: anzi si
avventa con satira feroce sull'Austria e sulla monarchia, riducendole
come un Simplicissimus a una buazza fecale, a una lurida stroscia.
Il Latrinengeneral, la cui regola suona: 俗m halb neune Alarm,
Latrinenscheissen, dann schiafen gehen 冠ttribuiva una tale
importanza alle latrine che da esse pareva dovesse dipendere la
vittoria della monarchia 勁a vittoria dell'Austria strisciava fuori
dalla latrina(3) Nella baracca, dove ai simulatori inondano le
budella con lavativi di acqua saponata e di glicerina, 襒ejk esorta
lo sgherro preposto ad annegare nei serviziali le viscere dei
malcapitati: 隹nche se qui giacessero tuo padre o tuo fratello, fa
loro il clistere senza batter ciglio. Sappi che su tali clisteri si
regge l'Austria, e che la vittoria nostra(4)
Kafka ricorda nei Diari (1911) che Kubin gli ha raccomandato come
purgante la regulina, 哎n'alga pestata che nell'intestino si gonfia e
lo scuote(5) I personaggi di Ha蟌k non abbisognano di lassativi,
perchhanno tutti natura cacazzara. Pufar da emblema all'intera
masnada il tronfio cadetto Biegler, il quale, per l'ingestione di
troppi cannoli alla crema, si busca una sciolta cosmarchiana, che
lo abbandonano all'ospedale di Budapest tra i colerosi, troncando i
suoi sogni di gloria: 侵 suoi calzoni cacati si perdettero nel
vortice della guerra mondiale(6) 俟tink awer d' Kerl wie a
Stockfischdice di lui l'attendente del capitano Sagner: 匍u
d'Hosen voll han 俟tink wie a Haizlputza...(7).
Quasi a simboleggiare ciche Van襁ra chiama 勁a dolorosa ed
immonda morte sui cessi(8), la dissenteria, il romanzo si chiude
con un'infrenabile gara di defecazione tra Biegler che, ormai
lucignolo, corre da una ritirata all'altra, e Dub, assalito anche lui
da una feroce diarrea (9) Altro che larve di gloria: la guerra per
Ha蟌k un farsela sotto, un servizio corporale, un brago di
squacquerate. Egli ha scritto terribili pagine sulla poltiglia di
sterco e di sangue che lorda le trincee durante i combattimenti (10)
Tuffato nella scurrilitdella guerra, l'impero absburgico appare
all'inventore di 襒ejk un Dreckkatafalk, un'entitlatrinesca, una
maleolente contrada di enteroclismi, di brache smerdate, di lavande,
di suppositori: insomma una Cacania-Culabria.
Questa fecalitsi apprende anche all'effigie di Francesco
Giuseppe. I viennesi prosperavano il mito dell'autocrata buono,
palladio di un antico splendore, ma gli abitanti di Praga chiamavano
l'ormai annoso sovrano signor Proch漘ka, ossia signor Passeggiata:
哎n nome che aveva - come asserisce Max Brod - un sapore
piccoloborghese, filisteo, che faceva pensare a un vecchio invalido o
a un portinaio: pian piano, un passetto dopo l'altro(11) Se nelle
pagine di due ebrei galiziani, Bruno Schulz e Joseph Roth, un mesto
alone di favola avviluppa l'effigie dell'imperatore, emblema di un
mondo perduto (12), per il praghese Jaroslav Ha蟌k egli soltanto un
babbione, un fantoccio da sbeffeggiare. Della severitdi Francesco
Giuseppe, del suo rigorismo, del suo lustro glaciale, della sua
dedizione di funzionario tetragono, incupito dalle sventure, non si
trova traccia nella storia di 襒ejk. Solo una volta, all'inizio, in
un falso empito di commozione struggendosi per le sciagure della
famiglia imperiale, 襒ejk sembra alludere al Lebensmotto
dell'imperatore 俑ir bleibt doch nichts ersparrt(13), che Kraus gli
fa cantare nella sua farragginosa commedia, gran cabaret, mammut e
finimondo (14)
Leon Bloy gratificava Francesco Giuseppe di rispettosi attributi
come 哉ieil imbecilee 匍alodorant cacogenaire(15): allo stesso
modo Ha蟌k considera l'imperatore un 剋hignante idiota notorio(16),
un rimbambito, scombuiato dalla cacarella. 垂Sua Maestl'imperatore
dev'esser diventato scemo a causa di quel che succede, - proclam
襒ejk; - furbo non stato mai, ma questa guerra gli darcerto il
colpo di grazia" 亟' scemo, - confermil piantone della caserma, -
scemo come un ciocco. Forse non sa nemmeno che c'la guerra. Pu
darsi che si siano vergognati di dirglielo. Se c'la sua firma sul
manifesto ai suoi popoli, non che una truffa. L'hanno fatto
stampare a sua insaputa, lui ormai non pupensare pia nulla亟'
bell'e finito, - aggiunse 襒ejk con aria di intenditore, - se la fa
sotto e devono imboccarlo come un bambino. Poco tempo addietro un
signore raccontava all'osteria che Sua Maestha due balie ed allatta
tre volte al giorno遙 (17) Persino un guardiano della legge come il
brigadiere dei gendarmi Flanderka nell'ubriachezza barbuglia alla
fantesca Pejzlerka: 俟i ricordi, vecchia, che ogni sovrano, ogni
imperatore pensa solo alla propria tasca e percifa la guerra, anche
se stolido ormai come il decrepito Proch漘ka, che non possono pi
far uscire dal cesso, perchimbratterebbe loro l'intera Sch霵brunn
(18) Nel libro di Ha蟌k la monarchia danubiana cosaborrita e
cosdeprezzata che a 襒ejk, alla visita medica, basta gridare:
亟vviva, signori, l'imperatore Francesco Giuseppe il per esser
dichiarato 哀cemo notorio(19) Se Schulz vezzeggia con nostalgia
l'effigie dell'imperatore dalle canute fedine, riprodotta 哀opra ogni
bollo, sopra ogni moneta e ogni timbro(20), - lo scrittore boemo
ripete con fangosa insistenza che sul ritratto del vecchio monarca
hanno cacato le mosche (21)
Radicato nell'humus di Praga, Ha蟌k ignora lo spumeggiante sfarzo
di Vienna, la Vienna degli ufficialetti gaudenti e delle vedove
allegre, l'esterioritdi parata, la sdolcinata cuccagna dei valzer e
dell'operetta, l'edonismo, l'oblio, la beata spensieratezza
dell'Austria felix. Un tempo nella cittvitavina erano di
guarnigione i pieleganti soldati dell'esercito austriaco, i
sontuosi dragoni del reggimento del principe Eugenio: bianche giubbe
a coda dalla pistagna scarlatta, lungo pastrano con fodera rossa e
due file di bottoni d'oro, nero tricorno con la coccarda, alti
stivali con sproni, carabina, paloscio, pistole (22) Confrontateli
coi soldati in lerce mutande della cella sedici o con la spenzolante
uniforme, organetto di falde, coi braconi di 襒ejk.
Parodia del tramonto di un impero sclerotico e ingombro di mummie,
il romanzo di Ha蟌k riflette l'animosited il malanimo di una gente
asservita, costretta nei secoli a fingere. Non a caso il medico
Bautze asserisce: 非as ganze tschechische Volk ist eine
Simulantenbande(23) Ha蟌k non si rimane un istante dall'additare
il marciume che si cela sotto una burocrazia contegnosa, il rovescio
della pedante puntualite del decoro, le dissensioni e discordie che
squassano questo agglomerato di varie nazioni o, come dice Urzidil,
mosaico 則internazionale(24) Ha蟌k insacca di plurilinguismo
scurrile, di maccheronici impasti la sua bambocciata, per meglio
mostrare l'arruffio, la babele dell'imperialregia compagine. Ma il
rancore antiaustriaco non toglie che il libro tenga di quella
letteratura del Mitteleuropa che affresca lo sfacelo della civilt
absburgica. La mancanza di affetto per il 匍ondo di ieri il totale
rifiuto dei valori della monarchia e una spietatezza molto boema
permettono a Ha蟌k di mettere a nudo il madornale scompiglio e la
corruzione del rugginoso sistema, il suo capillare apparato di spie e
di sbirraglia, l'inefficienza della macchina bellica, la coglioneria
e crudeltdei comandi, - insomma di guardar l'Austria senza
rammarico, non come un frivolo Traumland da operetta, ma come uno
squallido plesso di commissariati, prigioni, arrancanti tradotte,
bordelli, caserme, lazzaretti, latrine.
Per aggrandire il ridicolo e la ripugnanza, lo scrittore praghese
raffigura gli scampoli del potere austro-ungarico (ufficiali,
gendarmi, maggiorgenerali, commissari, impiegati di polizia,
cappellani, dame di carite zitelle santocchie) come maschere
strulle e parvenze grifagne da museo delle cere. Giustamente
Piscator, nella sua messinscena del libro di Ha蟌k, agguaglia
marionette (25) questi 咬apaci zebrati di giallo e nero(26) Una
galleria copiosissima: ne ricorderemo qualcuno, dei pibuffoneschi,
iniziando da quelli di pisussiego.
Ed ecco il vecchio signore dalla zucca pelata, ossia il terribile
maggiorgenerale von Schwarzburg, il quale, sul treno Praga-蟌sk
Bud疀ovice, ispira a 襒ejk un disastroso discorso sulla calvizie
(27), che sembra cuculiare le reclames con l'effigie della capelluta
Anna Csillag diffuse nei paesi absburgici; l'ebete generale polacco,
剌antasma della quarta dimensione il cui assillo mandare la sera
i soldati in latrina nelle stazioni, perchdi notte non venga
imbrattata la linea (28); il 剋enerale balogio
(剋eneral-chcip碭ek, dall'勇nfantilismo senile che ispeziona le
truppe alla stazione di Budapest: 非i generali siffatti l'Austria ne
aveva un bel mucchio(29)
Scendendo i gradini della gerarchia, ci si imbatte nel colonnello
Kraus von Zillergut, 咬ispettabile gonzo 剃ossfolgoratamente
scemo che gli ufficiali lo schivavano gida lontano tronfio di
匍isticismo caporalescoe fanatico del saluto militare (30), e nel
baggiano sottotenente Dub, campione di ottuso lealismo,
arrabbiatissimo propugnatore della disciplina, rigorista pignolo, cui
Ha蟌k appioppa, cavandone tutta una disquisizione, il nomignolo di
厚oloprd'och(mezza scorreggia) (31) Una lotta di paladini si
svolge tra 襒ejk e questo gran seccatore, 哀cimunito come la merda
secondo il parere del suo attendente (32) Su Dub, che lo attedia con
rimbrotti e cicchetti, il finto tonto, il messer Dolcibene si piglia
le sue rivincite: costretto da lui a tracannare d'un fiato una
bottiglia di cognac, gli fa bere a sua volta un'acqua che sa di scolo
di concio e di urina equina (33); dopo che Dub ha tuonato contro i
bordelli, minacciando di schiaffar dentro i soldati che vi si
rechino, lo sorprende sborniato, in mutande, 勇n un paradiso pieno di
cimici fra le braccia della signorina Ella (34)
I cappellani, tutti in uguale misura vinolenti e amatori di donnine
allegre, costituiscono un esilarante gruppetto: da Otto Katz, ebreo
di origine, detto 哀anto padre giocatore d'azzardo ed assiduo di
case chiuse (35), a padre Lacina dalla nera bombetta, insaziabile
lurco e sgocciaboccali, che smaltisce le crapule in grandi dormite
con accompagnamento di peti e di rutti (36); da padre Ibl, che alle
truppe partenti sciorina stolte storielle di sacrificio patriottico
(37), al minchione padre Martinec che, brillo, visita 襒ejk nella
pidocchiosa prigione di Przemy闤, ondeggiando 勁ieve come una piuma
剃ome una ballerina sul palcoscenico(38)
In tutti questi citrulli da teatrino grottesco, in queste funeree
macchiette sghimbesce qualcosa di repellente e di oscuro che
rimanda ai coboldi, ai trolli, agli ambigui mostacci dei disegni di
Kubin. Ma la caricatura di Ha蟌k non risparmia nemmeno i soldati, i
lazzari, coloro che soffrono per l'arroganza di quei pecoroni. Con
quanta beffa, ad esempio, egli tratteggia il pucflek Baloun, mulinaio
dei dintorni di Krumlov, 剋rosso fante coperto di barba come
Krakono蹍 (39), leccapentole, pappaknedl骿y, canna di chiavica,
sempre bramoso di cibaria. Baloun ha la lupa, il diluvio, sfondato,
ruba le vettovaglie degli altri, non fa che sognare cervellate,
salsicce di fegato, sanguinaccio, fette di coppa, rammenta con
malinconia le madornali mangiate dei giorni in cui al villaggio si
ammazza il maiale (40) L'iperbolica gastrimargia, la cannarona
pinguedine si associano in questo bamboccio a una fecalit
primordiale (41) Accade cosche la truppa, ripetendone la babbeit
la natura melensa, i garbugli di stomaco, alleghi compiutamente coi
suoi stolti ufficiali.

NOTE:
(1) Atto V, scena 55.
(2) Robert Musil, L'uomo senza qualitcit', I, p' 36.
(3) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', III-IV, pp' 87-88.
(4) Ibid', I-II, p' 67.
(5) Franz Kafka, Confessioni e diari cit', pp' 175 e 178-79.
(6) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', III-IV, p' 59.
(7) Ibid', p' 55.
(8) Vladislav Van襁ra, Pole orna v滎e螽cit', p' 157.
(9) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky cit', III-IV, pp' 270-76.
(10) Cfr' ibid', I-II, pp' 312-13.
(11) Max Brod, Vita battagliera cit', p' 96.
(12) Cfr' Angelo Maria Ripellino, introduzione a Bruno Schulz, Le
botteghe color cannella cit', pp' XX-XXII. cfr' anche Claudio Magris,
Il mito absburgico nella letteratura austriaca moderna, Torino 1963,
pp' 277-86, e Lontano da dove? Joseph Roth e la traduzione
ebraico-orientale, Torino 1971.
(13) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky cit', I-II, pp' 17-18.
(14) Karl Kraus, Die letzten Tage der Menschheit, atto IV, scena
31.
(15) Leon Bloy, Au seuil de l'Apocalypse, Paris 1916, p' 69.
(16) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, p' 185.
(17) Ibid', pp' 189-90.
(18) Ibid', p' 241.
(19) Ibid', pp' 32-33.
(20) Bruno Schulz, Le botteghe color cannella cit', p' 118.
(21) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky cit', I-II, pp' 14, 19, 24.
(22) Cfr' Karel H歍ek, E'ivot vojenskeivot vesel in 褾eno
starPraze cit', p' 164.
(23) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, p' 59.
(24) Johannes Urzidil, Trittico di Praga cit', p' 19.
(25) Cfr' Erwin Piscator, Il teatro politico cit', p' 196.
(26) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, p' 45.
(27) Cfr' ibid', pp' 199-204.
(28) Cfr' ibid', III-IV, pp' 84-85.
(29) Ibid', p' 74.
(30) Ibid', I-II, pp' 184-89.
(31) Ibid', III-IV, pp' 147-48.
(32) Ibid', p' 134.
(33) Cfr' ibid', pp' 121-23.
(34) Ibid', pp' 161-67.
(35) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky cit', I-II, pp' 80-81.
(36) Cfr' ibid', pp' 281-82.
(37) Cfr' ibid', III-IV, pp' 10-11.
(38) Ibid', p' 233.
(39) Ibid', I-II, p' 356.
(40) Cfr' ibid', p' 382.
(41) Cfr' ibid', III-IV, pp' 180-81.

101
C'poco amore nelle pagine di Ha蟌k, l'amore si restringe alle
fugaci avventure degli ufficiali con donne malmaritate e alle
ubriache estasi dei bordelli. Ma anche la prosa di Kafka scarseggia
di profondo amore. Come afferma Bataille: 俠'廨otisme dans Le Proces
ou Le Ch漮eau est un 廨otisme sans amour, sans desir et sans force,
un 廨otisme de desert(1) In cambio nell'uno e nell'altro sono
montagne di burocrazia, sulle cui cime un inafferrabile Klamm con la
sua coorte di segretari e implacabili branchi di zebrati 咬apaci
troneggiano, come il baffuto e sornione gatto sacro di Klee sulla
propria montagna (2)
Con la scure della satira Ha蟌k fa a pezzi i marci alberi
dell'intricata boscaglia erariale. Nello 襒ejk la monarchia danubiana
si dirama e si sfiocca in un perfido ginepraio di paragrafi e commi,
di istruzioni segrete, di sconnesse cartelle, di questionari, di
contraddittorie sentenze, di 哀trettamente confidenziale(3) Al
tribunale penale 南ella maggioranza dei casi spariva ogni forma di
logica e prevaleva il strangolava il folleggiava il sbavava
il rideva il minacciava il ammazzava il e non perdonava.
Vi erano qui giocolieri delle leggi, ierofanti aggrappati alla
lettera dei codici, divoratori di imputati, tigri della giungla
austriaca, che misuravano il loro balzo sulla vittima secondo il
numero dei paragrafi(4) La direzione di polizia 前ra costituita da
una bellissima ciurma di burocratici rapaci che, per difendere quei
contorti paragrafi, non avevano altri pensieri che la prigione e la
forca(5) Il brigadiere Flanderka cossconvolto dal brulichio
delle cifre delle circolari, che la notte si sente al collo il
capestro, per averne confusa qualcuna (6)
Collima con Kafka l'autore di 襒ejk nella sua detrazione di una
sfuggente burocrazia disumana, che sotterra gli inermi sotto fastelli
di pratiche e pentateuchi di leggi, impigliandoli in cavilli
procedurali, affibbiando le colpe a casaccio. L'auditore inquirente
Bernis 厚erdeva il materiale di accusa ed era costretto a
inventarselo di sana pianta. Imbrogliava i nomi, perdeva i fili del
processo e ne accannellava di nuovi a vanvera. Giudicava i disertori
per furto e i ladri per diserzione. Imbastiva anche processi politici
campati in aria. Ricorreva ai pistravaganti artifizi, per
convincere gli accusati di delitti che non si erano mai nemmeno
sognati. Inventava reati di lesa maeste attribuiva sempre le frasi
incriminate di sua invenzione a qualcuno, i cui atti di accusa o la
cui denuncia si erano smarriti in quell'ininterrotto caos di
incartamenti e di prescrizioni ufficiali(7)
Di questo caos amministrativo si trovano molteplici esempi nei
libri di Kafka, specialmente nel Castello. Basterricordare la
congerie di pratiche e di formulari e di carte legate come fascine
che ingombra la casa del sindaco (8), le cataste di pacchi di
documenti che gli inservienti, portandoli su carrettini,
distribuiscono porta per porta ai segretari, all'隹lbergo dei
Signori(9) Stipate di fascicoli sino al soffitto sono le squallide
stanze dell'Archivio di Perla, cui soprintende una misteriosa
Eccellenza, tutta ordini cavallereschi e ricami d'oro, il ciambellano
dell'inaccessibile, camaleontico Patera in Die andere Seite di Kubin
(10) Non divergono molto in sostanza dai freddi e letargici
funzionari kafkiani i tronfi 咬apacie gli ebeti sgherri di Ha蟌k:
allo stesso modo avviliscono la persona umana con tortuosite con
intralci e con ciurmerie e con rimandi e rimandi e con torpide
interdizioni. Solo che i funzionari incontrati da 襒ejk hanno
mostacci sgargianti da cabaret derisorio, mentre quelli di Kafka
balenano come nebulose parvenze dai volti intercambiabili.
In alcuni passaggi del libro di Ha蟌k l'idea lancinante del sopruso
erariale si annoda a quella del sacrificio e del distruggimento degli
inermi, degli innocenti. 非al presidio di Hrad螮ny la strada portava
anche attraverso Bwevnov alla piazza d'armi di Motol. In testa, tra
le baionette, marciava un uomo ammanettato e dietro di lui un carro
con una bara. E sulla piazza d'armi di Motol un comando secco: "An!
Feuer!E in tutti i reggimenti e i battaglioni veniva poi letto un
ordine del giorno, secondo il quale un altro uomo era stato fucilato
per ribellione...(11). Quando, al carcere presidiario, il finto
tonto non torna piin cella, perchKatz lo ha scelto come
attendente: 哎n soldato lentigginoso della milizia territoriale,
provvisto di una fantasia straordinaria, diffuse la voce che 襒ejk
aveva sparato sul suo capitano e che lo avevano portato alla piazza
d'armi di Motol per l'esecuzione(12) Due soldati con la baionetta
inastata, uno spilungone e uno piccolo e grasso, lo accompagnano da
Otto Katz: 勇n via Karlova il piccolo e grasso rivolse di nuovo la
parola a 襒ejk: "Non sai perchti stiamo portando dal cappellano?
"Perchio mi confessi, - disse 襒ejk alla leggera, - domani mi
impiccheranno. Si fa sempre cose cisi chiama conforto
spirituale亟 perchmai ti dovranno insomma...- chiese
cautamente lo spilungone, mentre il grasso guardava 襒ejk con
compassione. Erano entrambi artigiani di campagna, padri di famiglia.
俏on lo so, - rispose 襒ejk con un sorriso bonario, - non so nulla.
Saril destino遙 (13)
Non difficile accorgersi che questi passaggi, sebbene intrisi di
umorismo da forca e per autodifesa atteggiati a un noncurante
burlesco, combaciano col desolato finale del Processo di Kafka. La
piazza d'armi di Motol non lontana da Strahov. La cosa, la bara,
che rappresenta la maestdell'impalcatura erariale, avanza
spocchiosa su un carro, ma il misero condannato va a piedi (14)
Molti innocenti pendono dal proliferante albero dei paragrafi.
L'esprit comique, come mostra Magritte in un suo quadro, tutto
tagliuzzato da scissure e da squarci e da spacchi.

NOTE:
(1) Georges Bataille, Kafka, in La litterature et le mal, Paris
1957, p' 186.
(2) Der Berg der heiligen Katze (1923)
(3) Cfr' Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ov
v滎ky cit', I-II, pp' 231-33.
(4) Ibid', p' 28.
(5) Ibid', p' 45.
(6) Cfr' ibid', pp' 234-35.
(7) Ibid', p' 87.
(8) Franz Kafka, Il Castello cit', cap' V, p' 91.
(9) Franz Kafka, Il Castello cit', cap' XIX, pp' 300-5.
(10) Alfred Kubin, L'altra parte cit', p' 68.
(11) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, pp' 76-77.
(12) Ibid', p' 94.
(13) Ibid', p' 96.
(14) Cfr' Karel Kos骿, Ha蟌k a Kafka neboli grotesknsv皻 cit'

102
Nei meandri di questa trappola amministrativa, nelle strettoie di
questo apparato decrepito 襒ejk si muove come in un labirinto.
Disponibile sempre, lesto, sollecito, egli ignora l'estenuazione,
l'affaticamento dei personaggi kafkiani, esseri di bambagia che
spesso recitano la loro parte sprofondati nel molliccio di un letto.
Con supplemento di allegoria si puaffermare che il labirinto
austro-ungarico, in cui 襒ejk-pellegrino si aggira flemmaticamente,
indossando una lorica di indifferenza, equivale al comenico
勁abirinto del mondo vetrina di spropositate tare e magagne. Nel
digressivo viaggio che porta il pucflek al fronte quel labirinto
diventa a tratti via crucis, calvario.
All'ordito labirintesco nello 襒ejk corrisponde un forte impulso
cinetico. A ragione Piscator notche, nel romanzo, nonostante la
passivitdel protagonista, 咨utto in continuo movimentoe, per
meglio rendere l'勇rrequieto incalzare degli avvenimentiche vi sono
narrati, adopernella sua messinscena il tapis roulant, il nastro
continuo (1) Se poi volessimo sottilizzare, diremmo che sono tre i
labirinti: l'intrico di commissariati, caserme, baracche, manicomi,
ospedali, prigioni, in cui 襒ejk si trova ingolfato all'inizio; lo
zigzag itinerale, l'inestricabile viluppo di giravolte, che il
pucflek esegue (volutamente) durante l'冠nabasi di Bud疀ovice e lo
scombinato dedalo della Cacania, per cui la pigra tradotta, questa
caracca di folli su ruote, arranca con infinite manovre, ghirigori,
fermate, ritardi, sviamenti.
In cosfrastornato viaggio, fra tanti cambiamenti di scena, il
luogo piidillico il manicomio, mansione paradisiaca, giardino di
beatitudine, dove l'uomo rinviene nella propria mattia la libert
conculcata. 俏on riesco davvero - 襒ejk asserisce - a capire perchi
pazzi si indispettiscano a stare rinchiusi. Ldentro si pu
strisciar nudi per il pavimento, ululare come sciacalli, infuriare e
mordere. Se uno facesse qualcosa di simile sulla passeggiata, la
gente si stupirebbe: e invece ldentro una cosa assolutamente
normale俑i ci trovai molto bene - egli aggiunge - e i pochi giorni
trascorsi nel manicomio sono tra i pibei momenti della mia vita
青iascuno poteva dire ldentro ciche voleva e che in quell'istante
la saliva gli portava alla lingua, come se fosse in un parlamento
(2)
Uno dei folli incontrati da 襒ejk in quel felice soggiorno sembra
specchiarsi su una figura composita dell'Arcimboldo, il
Bibliotecario: 侵l pifurioso era un signore, il quale si spacciava
per il sedicesimo volume dell'Enciclopedia scientifica Otto e pregava
ciascuno di aprirlo e di trovarvi la voce 青ucitoio di quinterni
altrimenti sarebbe andato in rovina. Si calmava soltanto quando gli
mettevano la camicia di forza. E allora era tutto contento di esser
finito in un torchio da rilegatore e pregava che gli facessero una
rifilatura moderna(3) cosnei cantari folclorici e nelle fiabe: X
si immagina di esser tizzone ed implora i vicini di soffiargli
addosso per avvivarlo; Z, credendosi un granello di senape, si tuffa
al mercato in una giara di gialla mostarda, perchla mostarda senza
senape non sa di nulla.

NOTE:
(1) Erwin Piscator, Il teatro politico cit', pp' 187-88.
(2) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, pp' 34-35.
(3) Ibid', p' 34.

103
Mettiamo che 襒ejk sia Praga stessa, il suo popolo sempre costretto
a subire. Che la finzione del pucflek rispecchi il sotterraneo
rifiuto caparbio della gente boema, una gente venuta, in questi
esercizi di scaltra sottomissione, a tanta eccellenza da non avere
chi la pareggi. Che conseguenze derivano da una siffatta sin troppo
vera identificazione? E' presto detto: il teorema della falsa
obbedienza comporta un corollario avvilente: la propensione a curvare
la schiena, il servilismo beffardo, la rinunzia a ogni slancio, ad
ogni impennata.
O forse un pretendere troppo. Lasciamo che 襒ejk, il cui
mostaccio paffuto di finto idiota appartiene alla moderna mitologia
come il frigido volto di cera di Keaton o il faccione rotondo dagli
occhi lippi del Senecio di Klee, si destreggi, con la giubba
sgualcita e gli enormi panni di gamba, fra gli euripi e le sirti di
un oppressivo sistema. Non torcia da fiammeggiare, e del resto a
che servono i gesti? La sua principale faccenda di sopravvivere. A
questo omaccino dall'aria furbesca si addice il vocabolo 恃lobrda
con cui si designa un mediocre piccolo ometto birroso, assai scaltro
nel barcamenarsi, ciarliero come i barbieri e le gazze.
Kafka non ha ragione ldove afferma: 俠a grande epoca dei buffoni
dovrebbe essere passata e non ritornermai pi欞 (1) Finchvi
saranno tiranni, vi saranno buffoni. Come cornacchie da campanili
assuefatte allo strepito delle campane, gli 襒ejk fanno orecchi di
mercante al frastuono delle prescrizioni e dei bandi e si arrischiano
di promulgare veritimpronunziabili, appunto perchai buffoni si
permette tutto (2) E percilasciate che le mosche cachino sui sacri
ritratti delle autorit che i vessilli esposti nelle vie di Praga
per le vittorie degli altri, scolorendo, diventino, come osserva Max
Brod, 咨risti fantasmi bagnati 勁enzuoli funebri(3)
Secondo la diceria l'orco Golem ritorna a spalleggiare gli ebrei
nei frangenti funesti. Capita, per analogia, di pensare che nei
giorni oscuri (che si protraggono infinitamente) uno spirito del
camuffamento, uno 襒ejk, un demonio dell'ossequio fittizio,
dell'artificiosa umiltpecorile possieda ed ispiri gli abitanti di
Praga nella loro resistenza passiva ai soprusi e all'arbitrio degli
oltremontani. Ed curioso che, quando 襒ejk va a finire tra i
prigionieri russi per aver indossata l'uniforme di uno di loro, un
sergente austriaco lo prenda per ebreo: 俏on devi negarlo, - continu
con aria sicura il sergente-interprete, - ogni prigioniero che
conosca il tedesco un ebreo, e basta. Come ti chiami? 襒ejch? Vedi
dunque, a che scopo lo neghi dal momento che hai un nome del tutto
ebraico?Non solo, ma scambia per una storiella chassidica
l'aneddoto che il bravo soldato senza indugi gli narra (4)
L'umore praghese, il ricordo della cittvitavina accompagnano
sempre come un basso continuo, come una filigrana l'azione di questo
romanzo. In certi brani dal ruvido, dallo scurrile trapela un'intensa
nostalgia di Praga e in specie delle sue taverne. Che cosa di pi
malinconico del congedo di 襒ejk e Vodi螶a che, uscendo a Kiralyhid
di prigione, ritornano ai propri reparti?
disse 襒ejk: - Quando sarfinita la guerra, vieni a farmi
visita. Mi troverai ogni sera dalle sei in poi alla bettola "Al
Calicea via Na Boji褾i.
Certo che verr - rispose Vodi螶a, - ci sarbaldoria?
Ogni giorno vi si scatena qualcosa, - promise 襒ejk, - e se ci
fosse troppa calma, ci penseremo noi a far chiasso.
俟i separarono e, quando furono ormai distanti di parecchi passi
l'uno dall'altro, il vecchio zappatore Vodi螶a grida 襒ejk: -
Allora cerca davvero di metter su qualche spasso, quando verr
亟 襒ejk a sua volta: - Vieni persul serio, quando sarfinita
questa guerra.
促oi si allontanarono e di nuovo si ud dopo una lunga pausa, di
dietro l'angolo della seconda fila di baracche, la voce di Vodi螶a: -
襒ejk, 襒ejk, che birra hanno al 青alice"?
亟 come un'eco risonla risposta di 襒ejk:
Di VelkPopovice.
Pensavo che avessero quella di Smichov, - urlda lontano lo
zappatore Vodi螶a.
Ci sono anche donnine, - grid襒ejk.
Allora a dopo la guerra, alle sei di sera, - gridVodi螶a dal
basso.
Meglio se vieni alle sei e mezzo, per il caso che io dovessi
tardare, - rispose 襒ejk.
促oi echeggiancora, ormai da grande distanza, Vodi螶a: - Alle sei
non puoi venire?
Va bene, verralle sei, - fu la risposta del camerata che si
allontanava...(5).
Un lacerante sconforto, l'irrimediabile dei distacchi che muovono
il pianto serpeggia in questo canone a due, in questo graduale
dileguamento, che copre con assurde battute il brulichio desolato
delle lontananze, l'angoscia per l'impenetrabile attivitdel
destino.
Ed ecco, la guerra finita. Baloun tornato al villaggio a
diluviare schidioni di starne e salsicce di fegato. 襒ejk nella
bettola 隹l Caliceaspetta Vodi螶a ma, invece dello zappatore,
riappare il confidente della polizia Bretschneider. Dunque non lo
hanno dilaniato i sette orridi cani bastardi vendutigli da Josef
襒ejk? (6) Dunque bisogna ricominciare daccapo con la finteria, le
imposture, le gherminelle, infilarsi di nuovo sino alla nausea la
maschera di malizioso citrullo? Eppure non deve perdere la
speranza, come diceva lo zingaro Jane蟌k a Plze..(7).

NOTE:
(1) Franz Kafka, Confessioni e diari cit', p' 572 (29 luglio 1917)
(2) Cfr' Jan Grossmann, Kapitoly o Jaroslavu Ha螶ovy, in 俠isty
1948, I.
(3) Max Brod, Vita battagliera cit', p' 105.
(4) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', III-IV, pp' 211-12.
(5) Jaroslav Ha蟌k, Osudy dobr逸o voj毾a 襒ejka za sv皻ovv滎ky
cit', I-II, pp' 355-56.
(6) Cfr' ibid', p' 54.
(7) Ibid', p' 344.

104
亟n mars 1902, je fus Prague. J'arrivais de Dresde cos
Apollinaire incomincia il racconto Le Passant de Prague (1) Questa
puntata in Boemia, che il poeta francese insernel suo 咨our
d'Allemagne ebbe un profondo significato per la cultura ceca. E non
sarinutile qui rammentare che nell'estate dello stesso anno, in
occasione di una sua mostra, visitPraga anche Rodin, accompagnato
dal pittore Alfons Mucha, che viveva a Parigi (2)
Soffermiamoci un poco su questo racconto, che sull'esatta
topografia della cittvitavina fa scorrere invenzioni chimeriche e
sembra tenere di quel filone di diavolesche praghesi, che fu
coltivato da Arbes, da Meyrink, da Kar滻ek. Il viaggiatore incantato
chiede in tedesco a diversi passanti di indicargli un alloggio, ma
quelli tirano dritto senza rispondere, finchun sesto, dopo avergli
spiegato in francese con quanta acredine i cechi detestino ciche
tedesco, gli addita 哎n h矌el situdans une rue dont le nom est
orthographide telle sorte quon le prononce Porjitz Apollinaire si fermdunque a Na Pow斁 una strada della Citt
Nuova, che non scarseggiava di bettole, chiassi, birrerie,
Tanztavernen, caffconcerto: 隹l bue verde "Al fagiano d'oro 侵l
gallo nero 侵l cigno bianco(3) 侵l rez-de-chauss嶪
dell'hotel, che mi era stato indicato, era occupato da un caf
chantant. Al primo piano trovai una vecchia che, dopo aver pattuito
il prezzo, mi condusse in una camera angusta a due letti. Precisai
che intendevo abitare da solo. La donna sorrise e mi disse di fare a
mio piacimento: in ogni caso avrei facilmente trovato una compagna al
cafchantant del rez-de-chauss嶪 Varie congetture sono state avanzate sul nome di quella locanda.
Nezval, assieme ai poeti della sua generazione, era certo che
Apollinaire fosse sceso al fatiscente albergo Bavaria, nel cui
edificio era ubicato il cabaret U Rozvawil 俑i caro il viadotto
di Karlin; mi cara la vista del misterioso hotel Bavaria...
l'hotel in sfacelo, che mi sembra una delle pipoetiche case di
questo quartiere e al quale mi reco sempre una volta all'anno, come
se avessi dinanzi al suo ingresso un appuntamento col mio destino,
che assume l'aspetto di un essere arcano, di un'illustrazione che mi
abbia affascinato ma che non ricordo, o di un'immaginaria ruffiana
che si sia messa in mente di farmi sparire dal mondo: confondo certi
edifici ammalianti, come confondo le carte da giuoco ed alcuni
omonimi(4)
Ed ecco Wilhelm de Kostrowitzky esce dall'ambiguo albergo, per
compiere la sua traversata di Praga. Incontra Isaac Laquedem,
l'彋ernel Juif, che si rincarnato in diverse epoche e diversi
luoghi. Con questo nome fiammingo, attinto a una complainte
medievale, Ahasvero era stato gimentovato da Tristan Corbiere nella
raccolta Les amours jaunes (5)
Avviluppato in un lungo mantello marrone dal collo di lontra,
strettissime brache di drappo nero, una piccola benda di seta nera
sulla fronte, sul capo un cappellaccio di feltro nero, 削i quelli che
spesso portano i professori tedeschi Isaac Laquedem ha tutti i
numeri per figurare nel museo dei fantasmi di Praga. 侵l viso quasi
spariva nel folto della barba, dei baffi e dei capelli lunghi
oltremisura ma pettinati accuratamente, candidi come ermellino.
Tuttavia si vedevano le labbra spesse e violette. Il naso era
prominente, villoso e adunco Sembianza in bianco e nero, con aggiunta di viola, Laquedem narra
al poeta delle proprie rincarnazioni nei secoli, della propria 哉ita
senza fine e senza riposo che stata e sarun camminare, un
camminare perenne sino al Giudizio Finale. 亮esmi ordindi
camminare sino al suo ritorno 匍a io non percorro una via crucis,
le mie strade sono feliciL'Ebreo Errante di Apollinaire non
rassomiglia a quello effigiato da HanuSchwaiger, vagabondo cencioso
e decrepito, carcame diafano, quasi straccio di nebbia, della stirpe
inquietante di acchiappatopi, spauracchi e coboldi, che questo
pittore boemo di fine Ottocento amtratteggiare (6) Nonostante la
zavorra degli anni, Laquedem ancora verde, il suo umore non
freddo e tardissimo come nei vecchi, non lo bistratta l'ipocondria:
carnalaccio e mangione, la longevitsecolare non gli impedisce di
alzare il gomito nelle taverne, di prendersi mille spassi e di
fottere.
Dal pomeriggio alla profondissima notte Laquedem accompagna il
poeta nell'itinerario per la cittvitavina. pitardi Yvan Goll
osserverche, dovunque Apollinaire-Kostrowitzky si aggiri, sempre
剋li taglia la strada l'oscura ombra dell'Eterno Ebreo(7) Dinanzi
ai loro occhi si profilano come in un diorama la Piazza della Citt
Vecchia, la chiesa di T蓽 col sepolcro di Tycho Brahe, l'orologio di
Mistr Hanucon le sue statuette animate, il Quinto Quartiere con la
sinagoga Vecchio-Nuova e l'orologio del Municipio ebraico, le cui
勁ancette vanno all'indietro il Ponte Carlo, adorno di sacre
statue, dal quale 哀i gode il magnifico spettacolo della vitava e di
tutta la cittdi Praga con le sue chiese e coi suoi conventi
Discorrendo del destino del popolo ebraico, Laquedem e il poeta
salgono verso Hrad螮ny, per visitare la cattedrale di San Vito, 削ove
sono le tombe reali e il reliquiario d'argento di San NepomucenoE
qui, nella cappella 削ove si incoronavano i re di Boemia e il santo
re Venceslao subil martirio cappella dai muri incrostati di
agate, diaspri, crisopazi, corniole e altre gemme, Laquedem addita al
poeta, che prestava fede ai pentacoli, ai talismani e a ogni sorta di
candarie (8), un'ametista, le cui venature disegnano 哎na faccia
dagli occhi fiammeggianti e folli la maschera di Napoleone. E'
il mio viso, gridai, coi miei occhi scuri e gelosi! - Ed vero. E'
l il mio ritratto dolente, vicino alla porta di bronzo, dove pende
l'anello che teneva san Venceslao, quando fu massacrato. Dovemmo
uscire. Ero pallido e infelice di essermi visto folle, io che ho
tanta paura di diventarlo(9)
Nezval racconter 俏on ho trascurato di chiedere a uno di quelli
che mi sono vicini nella concezione della poesia, a Tristan Tzara, se
abbia visto sulle pareti della cappella di San Venceslao a San Vito
le agate a cui due passaggi dell'opera di Guillaume Apollinaire
assicurano una seconda immortalit un'immortalitdi nuovo genere
(10) Nel suo soggiorno praghese, nel 1928, Jules Romains volle
recarsi nella cappella, per 咨rovare l'effigie di Apollinaire in una
delle sue pietre dure(11)
Il tema delle agate dai tratti umani, delle gemme figurate riappare
nel dramma praghese Kr滎 Rudolf di JiwKar滻ek. Tornando da un
viaggio, l'impostore Arthur Dee porta al sovrano un gamah una di
quelle pietre cosparse di geroglifici, che incanteranno Breton (12)
亟' il pimisterioso - egli dice - talismano che la magia conosca.
La natura stessa in rari attimi imprime nelle pietre, nei metalli e
nei minerali immagini arcaneQuesto gamah rinvenuto a Venezia tra
le cianfrusaglie di uno stregone orientale, spentosi a trecento anni,
avrebbe il potere di prolungare la vita. Ma con orrore Rodolfo vi
scorge un emblema di morte, uno scheletro (13) Delle impronte
spettrali dei visi umani negli oggetti Apollinaire fa parola in un
altro racconto, La serviette des poetes (1907), storia di quattro
poeti che si contagiano l'un l'altro la tisi, asciugandosi tutti la
bocca nello stesso tovagliolo, dai cui luridi grumi, dopo la loro
dipartita, traspariranno quattro volti, come da una quadruplice
veronica (14)
Ma riprendiamo l'itinerario praghese con Apollinaire e Laquedem, i
quali, scesa la notte, riattraversano il fiume 哀u un ponte pi
modernoDopo aver cenato e ballato in un'auberge al fragore
diabolico di un'orchestrina di tre musicanti, vanno di nuovo nella
Cittebraica. E in una delle sue taverne-postriboli bevono vino
d'Ungheria e l'arzillo Laquedem, sfoderando il suo lungo bordone, il
suo 咨ronco nocchioso come un fallo arborescente da emblema
alchimistico, si intrattiene con 哎na ungherese popputa e naticuta
All'uscita l'Eterno Ebreo si allontana nella gelida notte, e il poeta
segue con gli occhi i giuochi della sua ombra, che il baluginio dei
riflessi moltiplica. D'improvviso, con urlo di bestia ferita, si
accascia al suolo. Il tempo per lui venuto di lasciar Praga.
Risusciterin altri luoghi, con altre sembianze.

NOTE:
(1) Il racconto uscdapprima su 俠a Revue Blanchedel 1o giugno
1902 e poi nella raccolta L'H廨esiarque et C'ie. Ora in Guillaume
Apollinaire, 飀vres completes cit' Cfr' Pierre-Marcel Adema,
Guillaume Apollinaire, Paris 1968, p' 74.
(2) Cfr' JiwMucha, Kank滱 se svatoz漙 E'ivot a dilo Alfonse
Muchy, Praha 1969, pp' 209-12.
(3) Cfr' Eduard Bass, Kuk漮ko cit', pp' 211-12.
(4) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', pp' 358, 361, 373. Cfr'
anche Z m逸o eivota cit', p' 168.
(5) Cfr' Charles Cros - Tristan Corbiere, 飀vres completes, Paris
1970, pp' 749, 760.
(6) Cfr' Miroslav Lama HanuSchwaiger, Praha 1957, p' 27.
(7) Yvan Goll, Brief an den verstorbenen Dichter Apollinaire
(1918), ora in Dichtungen (Lyrik-Prosa-Drama), Darmstadt 1960, p' 43.
(8) Cfr' Pascal Pia, Apollinaire par lui-m瘱e, Paris 1958, pp'
148-50.
(9) Cfr' Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp'
197-200.
(10) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 373.
(11) Cfr' Otakar 褾orch-Marien, Oh螉stroj cit', p' 110.
(12) Cfr' AndrBreton, Langue des pierres (1957), in Perspective
cavaliere, Paris 1970, pp' 149-51.
(13) JiwKar滻ek ze Lvovic, Kr滎 Rudolf cit', atto I, pp' 26-27.
(14) Guillaume Apollinaire, La serviette des poetes, in
L'H廨esiarque et C'ie, ora in 飀vres completes cit', I, pp' 200-2.

105
Antichi manoscritti rappresentano le operazioni alchimiche con una
sequela di vasi abitati da simulacri e da simboli. Se volessimo
significare le magiche trasmutazioni della materia di Praga,
racchiudendo le sue figure emblematiche in crogiuoli lutati, - in uno
di essi si allogherebbe, arrogante e non meno praghese dei fantocci
di L饖 o di Ha蟌k, Isaac Laquedem, pellegrino ed illusionista che,
per il ciclismo delle sue periodiche riapparizioni, ha qualcosa in
comune col Golem di Meyrink. Del resto, con la sua longevitsenza
cancheri, come se avesse bevuto un elisirvite di Kelley o di
Sendivogius e pustare accanto all'Emilia Marty-Makropulos della
commedia di Karel 螮pek: 保gni novanta o cento anni un male terribile
mi colpisce. Ma io ne guarisco, e ritrovo le forze necessarie per un
altro secolo di vita Con grande intuizione (e qui forse entra in giuoco l'origine slava)
Apollinaire ha percepito alcuni elementi precipui della sostanza
streghesca di Praga. Egli ha colto la losca magia del Quinto
Quartiere, la sua tristezza, il suo impasto di talmudico e di
malfamato, il suo odore di puttanesimo. E tra i sortilegi della citt
vitavina ha immesso il maleficio dei volti che occhieggiano dalle
pietre dure. Le agate di San Vito, nella cui grana scorge sgomento il
proprio sembiante, le taverne, in cui ascolta canzoni ceche, le
lancette dell'orologio della Cittebraica: tutto questo ritorna in
celebri versi del poemetto Zone (1912), dove egli accenna anche a
un'arcana auberge dei dintorni:
Tu es dans le jardin d'une auberge aux environs de Prague@ tu te
sens tout heureux une rose est sur la table@ et tu observes au lieu
d'嶰rire ton conte en prose@ la cetoine qui dort dans le c飀r de la
rose@@ Epouvanttu te vois dessindans les agates de Saint-Vit@ tu
彋ais triste mourir le jour ou tu t'y vis@ tu ressembles au Lazare
affolpar le jour@ les aiguilles de l'horloge du quartier juif vont
rebours@ et tu recules aussi dans ta vie lentement@ en montant au
Hradchin et le soir en 嶰outant@ dans les tavernes chanter des
chansons tcheques.@
A proposito del 勉ardin d'une auberge il poeta Karel Toman
suppose che Apollinaire alludesse alla vecchia osteria 恃ipkapas la
cui terrazza si affacciava sulla valle di 鍒rka, - osteria
frequentata dagli studenti tedeschi. Ma un altro poeta, Konstantin
Biebl, era persuaso che il 勉ardinfosse l'altana di 俚latStudn篕
(Il pozzo d'oro), una pittoresca taverna di MalStrana, arrampicata
nel verde in cima a ripide scale, con una splendida vista sul
verderame della cupola di San Nicola e su tutto il panorama di Praga.
E non importa se MalStrana non era un sobborgo (1)
L'editore-scrittore Otakar 褾orch-Marien racconta di aver tentato
con Karel 螮pek di ravvisare nell'area intorno a Hrad螮ny l'auberge
alla quale si riferisce il poeta francese: 俘icordo benissimo il
pomeriggio d'estate in cui giungemmo sulla piazzetta che ha nome U
Daliborky e da dove si accede alla Viuzza d'Oro. Dirimpetto alle
caserme della guardia del Castello era una bettola d'angolo: non so
piquale fosse il suo nome, non ne rimasta la minima traccia. A
quella casa hanno appiccicato anni addietro una facciata da cartolina
e al posto dell'antico ingresso ora una finestra. Vi bazzicavano in
specie i soldati e vi si svagavano spesso con canti corali. Anche
quel giorno veniva dalla taverna una languida e mesta canzone a pi
voci, che infuse nell'animo nostro malinconia. Ci fermammo per
ascoltare. "In ugual modo da queste parti avrforse ascoltato anche
Apollinaire", disse Karel dopo un istante, appoggiandosi al bastone.
"Con Zone le taverne praghesi sono entrate nell'eternit鉬, aggiunse
con un fanciullesco sorriso, accendendosi una cicca. "Ma quale
osteria "agli orli di Praga" potressere stata quella di cui si
parla in Zone?osservai incuriosito, guardando gli azzurri e come
onniscienti occhi di Karel. "Difficile dirlo, - rispose, - del resto
non va presa alla lettera. E' chiaro che non era affatto agli orli di
Praga, ma forse a pochi passi da qui, a ZlatStudn(2) Lo stesso
褾orch-Marien rammenta come Giraudoux lodasse 勁'intimitdelle
praghesi taverne-giardino che Apollinaire aveva scoperto nel suo
ormai mitologico viaggio (3)
Con la traversata descritta dall'autore di Alcools e di
Calligrammes collima quella compiuta dal poeta tedesco Detlev von
Liliencron nel maggio 1898. Liliencron era stato fugacemente nella
capitale boema, giovane ufficialetto, durante la guerra
austro-prussiana del 1866. Ma fu il soggiorno del 98 a innamorarlo
della cittvitavina, dove sarebbe tornato pivolte col vano
desiderio di prendervi fissa dimora. 侶uando sarmorto, - egli preg
il poeta praghese Oskar Wiener, che lo accompagnava, - ritragga le
nostre scorribande per Praga. Racconti tutto, perchsi sappia come
io mi sia qui sentito felice(4)
Gambettando per strada come un capriuolo, ripeteva: 促rag ist
sch霵er wie meine Lieblingstadt Palermo!(Praga pibella della
mia prediletta cittdi Palermo!), ma a Palermo non era mai stato.
Correva dietro alle ragazze, gridando: 咨schippi tschappi come se
fossero parole ceche, e smargiassava contento: 俐ie schnell habe ich
b鐬misch erlernt(Come ho imparato presto il boemo) (5) Da Na
Pw骿opandarono a Piazza San Venceslao, che Liliencron defin勁a
pisuperba strada del mondo a Piazza della CittVecchia, dove
osservl'orologio di Mistr Hanu il punto in cui, il 21 giugno
1621, era stato eretto l'ignominioso patibolo per il supplizio dei
ventisette signori boemi, e la chiesa di T蓽 col sepolcro di Tycho
dalla lapide di marmo rosso. Di qui al Quinto Quartiere, dove, fra i
rimasugli delle unte casupole diroccate dal risanamento, ammirla
Sinagoga Vecchio-Nuova, l'orologio del Municipio con le lancette
retrograde, il cimitero ebraico con l'avello di L饖 ben Becalel.
Passato poi il Ponte Carlo, salirono a Petwin, per guardare la
luccicante vitava al tramonto. E' curioso che l'itinerario della
prima giornata praghese di Liliencron si concluda, come quello di
Apollinaire, in una Singspielhalle ebreo-ceca. E che in esso
l'elemento ebraico di Praga abbia lo stesso risalto che nel racconto
del poeta francese: 侶uando, dopo aver percorso in lungo e in largo
il vecchio cimitero ebraico, che era ingombro di narcotico odor di
sambuco, sostammo dinanzi alla tomba dell'alto Rabbi L饖, Liliencron
disse: "Lei deve darmi piampi ragguagli su questo popolo che non
puvivere e non pumorire"(6)
Questa passeggiata e ancor piquelle dei giorni seguenti e di sei
anni dopo e l'ultima, poco prima che Liliencron si spegnesse, offrono
a Wiener il destro per decantare le bellezze di Praga, per tessere un
minuzioso baedeker su bettole, chiese, palazzi, cappelle, giardini,
con annesse leggende. Ma l'itinerario, almeno all'inizio, somiglia
talmente al periplo di Apollinaire, da ingenerare il sospetto che
Wiener si sia ricordato delle giravolte del 厚assante di Praga
(1902) nel descrivere (1922) gli Streifze del suo viaggiatore
incantato.

NOTE:
(1) Cfr' Zden瘯 Kalista, Legenda o Apollinairovi, in 信ost do
domu 1968, 4.
(2) Otakar 褾orch- Marien, Sladko je 鋱t cit', p' 130.
(3) Id', Oh螉stroj cit', p' 69.
(4) Oskar Wiener, Alt-Prager Guckkasten cit', p' 100.
(5) Ibid', pp' 35 e 37.
(6) Ibid', p' 40.

106
促raga pibella della mia prediletta cittdi Palermoasser
Liliencron con un accostamento che mi ingombra l'anima di duplice
malinconia. Nel poema Sv皻lem od瘽(Vestita di luce, 1940),
carrellata sulla cittvitavina, Seifert prorompe: 促raga era pi
bella di RomaIn queste frasi mi sembra inscritto il vacillante
triangolo della mia vita.
Il cominciamento della fortuna di Apollinaire in Boemia risale al 6
febbraio 1919, quando Karel 螮pek pubblicsulla rivista 恃erven
(Giugno) la propria versione di Zone, con xilografie del fratello
Josef, - versione che poi (1920) avrebbe inserito nella preziosa
antologia di poeti francesi moderni, 厚rodigio dell'arte di tradurre
poesiaa detta di Nezval (1), specchio di ammaliamenti per i giovani
lirici boemi di quel dopoguerra. I tumultuosi affiliati
dell'associazione 非ev皻sil(Il Farfaraccio) (2), fondata a Praga il
5 ottobre 1920, sia nell'iniziale tendenza alle formule del
proletarismo che nella fase seguente, quella poetistica, fecero di
Apollinaire, 冠rlecchino di Parnasse e Montparnasse(3), 哀enza del
quale non vi sarebbe la poesia del ventesimo secolo(4), il proprio
nume e patrono, il capocaccia delle selve di Apollo, il ristoratore,
la fontaine de Jouvence delle lettere boeme.
Stava perennemente dinanzi ai loro occhi, vivissima nella sceneria
di Parigi, l'immagine del poeta col bianco rinvolto di bende sulla
testa ferita. JiwWolker, Zden瘯 Kalista, Konstantin Biebl, Jaroslav
Seifert, Vit瞛slav Nezval ed altri si imbragiarono a tal punto della
sua opera, che avrebbero potuto ripetere con Blaise Cendrars:
Apollinaire n'est pas mort@ vous avez suivi un corbillard vide@
Apollinaire est un mage@ (5)隹pollinaire - affermKarel Teige, il
prestigioso teorico del poetismo - per noi il simbolo di quello
Spirito Nuovo, per il cui trionfo lottiamo ancora nella sua ombra.
Apollinaire per noi l'asse di tutta la poesia moderna: la sua opera
la pietra miliare da cui datiamo la nuova era della moderna
creazione... 隹 Parigi e a Praga, cittche vivono nelle sue
liriche, nel fulgore di una comune primavera libera e creativa
dell'arte, dappertutto incontriamo il suo viso ed il suo sorriso...
(6)
Nei loro versi i poetisti ritrassero e ricordarono spesso l'autore
dei Calligrammes. 促arigi lo specchio d'Europa. Vi scorgo il Vostro
sorrisoscrisse Seifert nell'ede Guillaume Apollinaire, avvicinando
l'effigie del 匍orto timoniereall'Eiffel, 冠rpa d'Eolo(7) Nella
poesia Generace (Generazione) Biebl congettura che Apollinaire sieda
a ZlatStudne che al tavolo accanto i poetisti, 剋iovani poeti e
vecchi screanzati lo imitino nel bere vini francesi e nel fumare la
pipa: 促roveremo anche noi - a fare nuove nuvolette(8) pitardi
Nezval supplichercon rimpianto: 叛ualcuno mi reciti tutte les
fleurs du mal come karel teige - oppure i calligrammes di apollinaire
il cui nome ancor oggi mi fa piangere(9)
E' suggestivo pensare con Biebl che, tranquillamente pipando,
Apollinaire guardi dalla terrazza di ZlatStudnl'orografia
luccicante dei tetti di MalStrana, il conglomerato bizzarro di
torri, torrette, abbaini, comignoli, e la cupola di San Nicola, 勇l
pipuro smeraldo del mondo(10) I poetisti la notte trottavano,
come una compagnia di stregoni, per la cittvitavina, assaporandone
il fascino attraverso il ricordo dei versi di Zone. Nelle piazze, sui
ponti, nei lungofiume pareva loro di udire i passi e la voce del
poeta francese. Non sapevano raffigurarsi questo emporio di
meraviglie senza la sua cicaliera presenza.
俠'Eterno Ebreo del racconto di Apollinaire - ha scritto Zden瘯
Kalista - divenne addirittura una sorta di simbolo del nostro
girovagare tra le lanterne a gas e i cantucci remoti della citt Non
era possibile nella quiete notturna guizzare accanto al municipio
della CittVecchia, senza rivivere dinanzi all'orologio la scena che
conoscevamo dal Passante di Praga. Non era possibile sfiorare nel
buio i muri del vecchio cimitero ebraico, senza che il silenzio di
quel luogo non si allargasse per Nezval nel quadro della vecchia
Cittebraica dell'inizio del secolo, che ormai non esisteva. La
bettola all'angolo di via Josefsknella Praga V d'allora gli si era
mutata nell'osteria in cui Laquedem entra col poeta, e nella sua
fantasia una ragazza incontrata per strada era fuggita a 哎ne matrone
marmonnant l'appel l'amour nocturne" Dovevamo andare a Vinohrady,
dove si incontrano "des fillettes de quatorze quinze ans, que des
philopedes eux-m瘱es trouveraient de leur go", dovevamo andare al
noioso cabaret U Rozvawil perchera vicino all'hotel Bavorsk
dv鑴, dove Nezval riteneva, secondo la sua interpretazione del
Passante di Praga, che Apollinaire avesse abitato(11)
俏on riesco ad esprimere con sufficiente fervore - sono parole di
Nezval - come sia stato proprio lui, come siano stati i suoi occhi
chimericamente velati a insegnarmi a guardare altrimenti, in maniera
nuova, tutte le cose praghesi, che sino a poco tempo prima erano
esclusivo argomento dei romanzetti Vecchia Praga(12) Anche gli
amici stranieri, e in specie i francesi, i poetisti guidavano alla
scoperta della cittvitavina lungo il tracciato percorso dal loro
nume. Nezval ha narrato di una visita fatta nell'aprile del 35 con
Paul Eluard al Museo ebraico. L'accompagnatore, 哎n giovane ebreo
dalla fisionomia fantoccesca che essi avevano preso per un
sordomuto, dopo averli lasciati osservare, senza dir parola, quel
匍iracoloso ciarpame d'improvviso li apostrofad alta voce in
falsetto: 哀urrealistiAllibiti, pensarono che il giovane ebreo
dall'aspetto di marionetta fosse una nuova rincarnazione di Isaac
Laquedem (13)
L'influsso di Apollinaire sulle lettere boeme esigerebbe lunghezza
di trattato. Non vi fu poeta del primo dopoguerra che non venisse
cogliendo conchiglie, nicchi, pietruzze nel mare della sua opera.
Seifert tradusse il 削rame surrealisteLes mamelles de Tiresias, che
andin scena all'Osvobozendivadlo (Teatro Liberato) il 23 ottobre
1926. Nel 1928 la rivista 俘ed(Revue Dev皻sil) dedicun numero ad
Apollinaire per il decennale della scomparsa (9 novembre 1918) Dal
poeta francese, studiato a oncia a oncia, i poetisti impararono il
senso del proteiforme e del meraviglioso, la mobilitdei raccordi,
la tendenza alla perpetua trasformazione, al volubile, l'incanto
della frivolezza, un certo cattivo gusto, una certa faciloneria.
Tracce dei 剃alligrammessi ritrovano nella struttura tipografica
dei loro libri e nelle loro 厚oesie otticheAncor di recente a
quelle pittografie si ricollegato JiwKol漙 nei suoi tentativi di
厚oesia evidente in specie nella raccolta L'enseigne de Gersaint
(1966)
Zone, questo poema che, per Nezval, 南on ha l'uguale nel ventesimo
secolo(14), 剌ragorosa e languida insieme - a detta di Teige -
rapsodia di un globetrotter(15), si trasformin una sacra
scrittura, in un campionario di archetipi. Vi fu persino una rivista
a Brno, diretta dal critico Bedwibl V歊lavek, che ne prese il nome
(Zone: in ceco P滻mo) I giovani lirici cechi di quel dopoguerra
appaiono a tal punto maleficiati dai filtri di questa 剋aloppante
pellicola ubriaca(16), che si potrebbe affermare di loro assieme a
Cendrars: 侵ls parlent tous la langue d'Apollinaire(17) La
concezione della poesia come un flusso infrenabile di lirica lava,
l'agglomeramento simultaneo di temi difformi, l'abolizione
dell'interpunzione, l'abbandono del ductus logico in favore
dell'incongruo dell'analogia: tutto questo fu calamita possente per
ispirare una serie di poemetti, la cui matrice nei versi di Zone.
Mi riferisco a SvatKope蟌k (1921) di JiwWolker, a Panychida
(Requiem, 1927) di Vil鄉 Z潎ada, a NovIkaros (Il nuovo Icaro, 1929)
di Konstantin Biebl, e in specie a Edison (1927) di Vit瞛slav Nezval
(18)
Su quest'ultimo il poeta cubista, 厚ianeta creatore di destini
nell'oroscopo della moderna poesia come assevera Teige (19),
esercitun immenso influsso. Il poemetto Podivuhodnkouzeln骿
(L'incantatore meraviglioso, 1922) riprende motivi de L'enchanteur
pourrissant. La prosa-periplo Praeskchodec (Il passante di Praga,
1938) si riallaccia al racconto omonimo. La commedia Depe蟌 na
kole螶槆l (Il dispaccio a rotelle, 1924) risente della concezione del
teatro esposta dal Directeur de la troupe nel Prologo de Les mamelles
de Tiresias. Ma vestigia di apollinairismo sono stampate in tutta la
sterminata produzione nezvalica. Non paghi di attingere alla sua
poesia, i poetisti trassero spunti e predilezioni dalla biografia
dell'autore dei Calligrammes: l'invaghimento per il doganiere
Rousseau, la credenza nei talismani, la passione per le pipe, di cui
Apollinaire possedeva un'intera raccolta (20) Ma, propensi a
guardare l'appena cessato conflitto come apocalissi e catastrofe, al
modo degli espressionisti, non condivisero (unico forse divario) il
battaglieresco attivismo, l'entusiasmo militare, la propensione di
Apollinaire a convertire la guerra in una favola, in una luminaria.
Ciche picolpisce, in questo giuoco di rispecchiamenti e
ricalchi, la straordinaria somiglianza di Nezval ad Apollinaire nel
carattere e nell'aspetto. Nezval aveva infatti lo stesso umor
capriccioso, la stessa indole di bon vivant e fantaisiste,
addirittura la stessa corpulenza del poeta francese (21) Quella
corpulenza da cardinalone di pezza, da alto prelato delle lettere
boeme, che Hoffmeister satireggia nel ciclo di collages Nezvali歍a
(22) In essi, come in una sequenza di scenette clownesche proiettate
su sfondi di vecchie litografie, il rotondo caposcuola poetistico
nasce in una cesta da un enorme uovo, con uno svolazzante mantello
teatrale da obeso bardo romantico naviga dentro una barca verso
l'incognito continente della poesia, si muta in fatticcio D'Artagnan
dal cappello di piume, goffamente si regge come un Fatty a una
ghirlanda d'alloro tenuta da un'antica statua, come se si reggesse al
sostegno di un tram...

NOTE:
(1) Vit瞛slav Nezval, Z m逸o eivota cit', p' 65.
(2) Il termine 削ev皻sil(farfaraccio, petasites officinalis,
Pestwurz), che fu suggerito al gruppo dai fratelli 螮pek (cfr' Adolf
Hoffmeister, Ach, ml歍 in Pwedobrazy, Praha 1962, p' 34), viene
spesso confuso con 厚odb瘭 tussilago farfara, ossia farfaro,
farfugio, pid'asino, Huflattich. Nelle sue componenti 削ev皻e
哀il(nove forze) questo fonema botanico allude forse anche alle
nuove muse.
(3) Karel Teige, Guillaume Apollinaire a jeho doba (1928), in Sv皻
stavby a b滻n Praha 1966, p' 373.
(4) Vit瞛slav Nezval, Guillaume Apollinaire (1955), in Modern
poesie, Praha 1958, p' 25.
(5) Blaise Cendrars, Hommage Guillaume Apollinaire (1918), in Du
monde entier au c飀r du monde cit', p' 252.
(6) Karel Teige, Guillaume Apollinaire a jeho doba, in Sv皻 stavby
a b滻ncit', p' 403.
(7) Jaroslav Seifert, Na vln槆l T'S'F' (1925)
(8) Konstantin Biebl, Generace (1930), in Dilo, V, Praha 1954, p'
125.
(9) Vit瞛slav Nezval, Vyzv滱pw漮el籯, in Sklen瘽havelok, Praha
1932.
(10) MiloJir滱ek, O kr滻nPraze, in Dojmy a potulky cit', p' 43.
(11) Zden瘯 Kalista, Legenda o Apollinairovi cit' Cfr' Vit瞛slav
Nezval, Z m逸o eivota cit', p' 168.
(12) Vit瞛slav Nezval, Praeskchodec cit', p' 373.
(13) Ibid', pp' 325-26.
(14) Vit瞛slav Nezval, Z m逸o eivota cit', p' 65. Cfr' anche id',
Guillaume Apollinaire, in Modernpoesie cit', p' 28. Nel suo Brief
an den verstorbenen Dichter Apollinaire Yvan Goll, che fu caro ai
poetisti, aveva scritto: 非eine Dichtung Zone ist unsres Jahrunderts
erste Kundgebung und Quelle gewaltigerer Str闣e(Dichtungen cit', p'
43)
(15) Karel Teige, Guillaume Apollinaire a jeho doba, in Sv皻 stavby
a b滻ncit', p' 389.
(16) Ibid', p' 390.
(17) Blaise Cendrars, Hommage Guillaume Apollinaire, in Du monde
entier au c飀r du monde cit', p' 253.
(18) Cfr' Milan Kundera, Velikutopie modern駩o b滻nictv
introduzione a Guillaume Apollinaire, Alkoholy eivota, Praha 1965, p'
9.
(19) Karel Teige, Guillaume Apollinaire a jeho doba, in Sv皻 stavby
a b滻ncit', p' 344.
(20) Cfr' Pierre-Marcel Adema, Guillaume Apollinaire cit', p' 182.
(21) Cfr' Milan Kundera, Velikutopie modern駩o b滻nictvcit',
pp' 9-10.
(22) Cfr' Adolf Hoffmeister, 螮s se nevrac Praha 1965, e Miroslav
Lama V蓨varndilo Adolfa Hoffmeistera cit'

107
Viviane, la crudele Dame du Lac, creatura Art Nouveau, alloppia il
mago Merlino, che di lei si invaghito, e, felice di aver incantato
l'incantatore, lo inuma in un'arca nel folto della profonda foresta.
Ma sul far della notte da ogni parte convengono a compiangere il mago
in catalessi e a dialogare con la sua voce sepolta druidi, serpenti,
rospi, lucertole, pipistrelli, ranocchie, posticci santoni, un corvo,
un gregge di sfingi, un gufo, la fata Morgana, elfi calzati di
cristallo, Lilit, Angelica, Dalila, biscioni araldici, falsi Re Magi,
San Simone stilita, e innumere altre parvenze dei bestiari e delle
favole antiche. Stiamo parlando de L'enchanteur pourrissant (1), in
cui Apollinaire appalesa il suo amore per i romanzi della Table
Ronde, per la medievale letteratura cavalleresca (2) Tra i sei
venerabili vecchioni che la seconda notte si recano a visitare la
tomba custodita dalla Dame du Lac troviamo l'Ebreo Errante, ossia
Isaac Laq[u]dem, quello stesso che, col nome di Laq[ue]dem, si aggira
per le strade di Praga.
Il Merlino di Apollinaire diverril prototipo di molti maghi e
illusionisti della moderna letteratura boema, e in primo luogo
dell'勇ncantatore meraviglioso(厚odivuhodnkouzeln骿
dell'omonimo poemetto nezvalico. Lo stesso Nezval spiegche il suo
montimbanco, il suo trasformista era nato dall'incontro della magia
sprigionata dalle parole 前nchanteur pourrissantcon l'assioma che
la bellezza deve essere 厚ura e fredda come i ghiacciai(3) Dalle
pagine apollinairiane il poeta poetista trasfuse nelle pagine del
proprio poemetto il gusto della 剌antaisie magique(剌antaisie de
No螔 funeraire, la sembianza dell'incantatore, a tratti
impastandola con quella del funambolo nietzscheano, la Dama lacustre
(JezernD滵a) ad un certo florealismo Art Nouveau.
Nei versi di Podivuhodnkouzeln骿 giinfuriano quella gioia della
mutevolezza, quella giocoleria, quella caccia al miracolo, che
forniranno l'impulso essenziale alla scrittura di Nezval. Filza
incalzante di metamorfosi, il poema congiunge la demonia dei prestigi
con la dinamica del cinema. Il suo cagliostro chimerico riappare in
diverse rincarnazioni sullo sfondo di vari paesaggi esotici. Al
movimento di figurette irreali, che vanno in parata dall'immoto
Merlino, Nezval sostituisce il movimento del mobilissimo mago che,
destro pidi una lontra o di un Fairbanks, discorre, in molteplici
camuffamenti, da un luogo all'altro: dai ghiacciai di Groenlandia al
Rio delle Amazzoni, dall'India alle isole dei lebbrosi, da un arcano
geyser a una grotta di stalattiti, da una miniera carbonica a Mosca,
mutandosi in rivoluzionario (4)
La storia dell'incantatore poetistico ha insomma la stessa
volubilitscenografica dei versi di Zone. Ma non si dimentichi che
questo mago, nei suoi itinerari, si spicca da Praga notturna, sua
base, da un lungofiume 咨etro e fosforescente come fata morgana dal
勁atteo rosario di lampade ad arco che creano nella lontananza
un'immagine reticolare della citt鉬, - e percipersonaggio
praghese, della prosapia di ciurmadori e stregoni, di cui fu
feracissima Praga.
L'illusionista dunque, il kouzeln骿, il kejkl魾, ossia il
giocolatore, hanno un posto cospicuo nel baraccone poetistico.
Saltano subito alla memoria il kouzeln骿 Arno褾ek che, nel racconto
di Vladislav Van襁ra Rozmarnl鈣o (Una lunatica estate, 1926), mette
in subbuglio coi suoi diavoleschi esercizi il sonnolento paesino di
Krokovy Vary, e il funambolo-taumaturgo del poemetto Akrobat (1927)
di Nezval, dedicato a Van襁ra. Atteso da torme di infermi e infelici
che implorano la guarigione, il saltimbanco nezvalico, ipostasi del
poeta, una domenica inizia ad attraversare su una corda tesa
l'Europa, ma crolla gidalla corda (ricordo nietzscheano),
significando cosl'impotenza della poesia. L'infanzia, incarnata da
un marinaretto settenne privo di gambe, lo guida nella cittdegli
acrobati, dei sognatori, dei pazzi, che ha la filigrana notturna e le
luci di Praga, cittonirica, dove il poeta torner剃oi suoi sosia
in innumeri aspetti(5)
Ma il Gran Mago della generazione del Dev皻sil fu Edison, artefice
di miracoli elettrici: il suo nome ricorre nei versi di Seifert, di
Nezval, di Biebl. Nell'ardente poemetto nezvalico Edison (1928) i
motivi della biografia dell'inventore di Menlo Park, campione di
alacrite vitalismo, si avvicendano a contrappunto con l'umida e
mesta veduta di una Praga notturna, lazzaretto di ombre, impuntura di
ubriache luci che cadono dai lungofiume e dai ponti nello specchio
nero della vitava, nostro catrame, nostro Lete, ricettacolo di
lacrime, fomento del morbo della malenconia. Ed curioso che anche
qui, al quarto canto, reminiscenza di Apollinaire, si insinui il
ricordo dell'前breo errante che va in cerca della patria
NOTE:
(1) L'enchanteur pourrissant, scritto nel 1898, apparve nel 1904
sulla rivista 俠e Festin d'Esopee nel 1909 in volume, con
illustrazioni di AndrDerain, primo libro pubblicato da Apollinaire.
Cfr' Pierre-Marcel Adema, Guillaume Apollinaire cit', pp' 161-62.
(2) Cfr' Pierre-Marcel Adema, Guillaume Apollinaire cit', p' 45.
(3) Vit瞛slav Nezval, introduzione a Most, Praha 1937, pp' 22-23.
(4) Cfr' Milan Blahynka, Prom瘽y Podivuhodn逸o kouzeln骿a, in 俏ov
eivot 1959, I.
(5) Cfr' Antonin Jelinek, Vit瞛slav Nezval, Praha 1961, pp' 47-49.

108
Come disse Yvan Goll, i cafffurono negli anni Venti la
亮eistzentrale der Welt(1) La storia dell'avanguardia ceca
legata a diverse kav漷ny di Praga (Unionka, Deminka, T籯ovka,
Hlavovka, Belvederka), ma soprattutto alla N漷odn(Nazionale) e alla
Slavie (2) Logore sedie Thonet, canapzoppi con nere fodere
incerate, cosparse di screpolature, tavolini con lastre di marmo come
gusci di ortoceri, stecche con giornali appese ai muri: mitologici
arredi di inesauste sedute, di infervorate discussioni. Primavera del
1923: nei caff nelle bettole, nelle tane fumose dei night, nelle
passeggiate notturne i poeti, i pittori, gli attori, i registi del
Dev皻sil inventano la 厚oesia per tutti i sensi il poetismo.
隹tmosfera di miracoli - avrebbe poi scritto Nezval - che si pu
vivere chiaro solo una volta nella vita(3) Il primo manifesto
poetistico, l'articolo Poetismus di Karel Teige, uscnel 1924, e lo
stesso anno apparve la raccolta Pantomima di Nezval che, unendo
parecchi generi (cicli di piccole liriche, Podivuhodnkouzeln骿, un
libretto di pantomima, un balletto, un 厚oema fotogenico un saggio
sul mestiere poetico, calligrammi e viluppi di giuochi verbali),
costituiva una sorta di fiera campionaria di questa tendenza (4)
Professori del carnevale, volteggiatori sulla corda funambolesca,
artificieri di rutilanti girandole, i poetisti propugnavano un'arte
salterella, rallegrativa, spumosa, - un'arte tramata di clownerie, di
eccentrismo, che riflettesse con fughe di analogie e metamorfosi il
ritmo, la celerit la 哀alute nervosadel ventesimo secolo (5)
Ogni poeta poetista si atteggia ad alunno di Chaplin e dei
Fratellini, si fa baladin, manipolatore di immagini, professionista
di gags e di sommovimenti verbali. Profuse immagini saltano dalle
pieghe della scrittura nezvalica, come gli animali e gli attrezzi
dalle tasche e dai risvolti truccati del costume di prestigiatore,
che Harold Lloyd indossa per sbaglio nel film Movie crazy (6) E non
importa se i mascherevoli addobbi, lo stemperato amore delle
capriuole zannesche, i colori da cipria e pasticceria, la frivolezza
degli improvvisi avvicinano spesso le liriche di un Seifert, di un
Nezval, di un Biebl alla cosmetica, ai rosei croccanti, ai
lampioncini delle luminarie: l'assunto di smontare i feticci, di
infrangere la tradizione, il sussiego della vecchia arte con una
spensierata contrarte, sia pure infetta di Kitsch.
Karel Teige, instancabile Barnum degli accoliti del Dev皻sil e
direttore dei loro bengala, nel suo Manifesto, grancassa come i
Manifesti di tutta la progenie degli ismi, parla di 勁irico-plastica
emozione dinanzi allo spettacolo del mondo moderno 厚assione della
modernit modernolatria 匍oltiplicata fede ottimistica nella belt
della vita(7) La corrente da lui prosperata, questo brioso
continuo, si addimanda poetismo, perchla poesia vi ha il
sopravvento su tutte le arti, includendo nel circondario della poesia
anche il cinema, l'aviazione, la radio, lo sport, il music-hall, il
circo, la danza: 俠e barche a vela pure esse sono moderne poesie,
strumenti di gioia(8)

NOTE:
(1) Yvan Goll, Der Eiffelturm (1924), in Dichtungen cit', p' 138.
(2) Cfr' Karel Honz骿, Kav漷ny Dev皻silu, in Ze eivota avantgardy,
Praha 1963, pp' 54-63.
(3) Vit瞛slav Nezval, Vyzv滱pw漮el籯, in Sklen瘽havelok cit',
p' 154.
(4) Cfr' Angelo Maria Ripellino, Storia della poesia ceca
contemporanea, Roma 1950, e Poetismus, a cura di Kv皻oslav Chvat骿 e
Zden瘯 Pe螮t, Praha 1967.
(5) Vit瞛slav Nezval, Papou蟌k na motocyklu, in Pantomima (1924)
(6) Cfr' Roland Lacourbe, Harold Lloyd, Paris 1970, p' 66.
(7) Karel Teige, Poetismus (1924), in Sv皻 stavby a b滻ncit', pp'
123-24.
(8) Ibid', p' 126.

109
Il poetismo non si restringe alle dimensioni dell'arte, ma vuole
agire sull'esistenza degli uomini, convertirsi in un modusvivendi:
剌ar della vita un magnifico appalto di svaghi 哎n carnevale
eccentrico, un'arlecchinata di sentimenti e concetti, una pellicola
ubriaca, un miracoloso caleidoscopio(1) 亟picureismo
rammodernato il poetismo, come Teige asserisce nelle sue
勇struzioni(2), 勇ncentivo di comune felicitumana e di tempo
sereno, non pretensioso, pacifico 哀timolatore di vitache
削issipa le depressioni, le cure, il cattivo umore(3) La poesia
acquista una funzione terapeutica e consolatoria: coi gagliardi
mantici delle metafore e dei bisticci verbali eccitare fiamme di
felicitnel consorzio degli uomini. Poesia giocoliera e prosperit
si identificano. Non diverso intento aveva forse Evreinov ldove
attribuisce agli attori, al teatro virtguaritrici. Per la
riscoperta di 咨utte le bellezze del mondo(4), per la sua sostanza
danzante, per il suo contrapporre il rimedio di una lietezza svitata
e nemica dei metodi alla gravigrada severite al merore dei Libri
Praghesi, il poetismo potrebbe dirsi una sorta di chassidismo non
mistico delle lettere boeme.
Questa allegria programmatica palesa del resto l'ebbrezza, l'ansia
di vivere di una generazione cresciuta in un'epoca di madornali
massacri, un'epoca aperta dalle parole della signora Mlerova
襒ejk: 亟 cosci hanno ammazzato Ferdinandoe conclusa
dall'epidemia di spagnola. Usciti dalle macerie della Cacania, i
poetisti, variante boema del dadaismo, tolgono impresa di scatenare
la rivoluzione della gaiezza contro le spregevolissime favate della
Dignit dell'Autorit del Contegno, generatrici di morte. Ma nello
stesso tempo si impancano, ormeggiando i costruttivisti sovietici, a
costruttori della nuova vita, si ingegnano di formare lo stile della
societpostbellica, di fornire, non solo un'arte moderna, ma anche
un'insolita organizzazione del mondo: e qui entra in ballo la Grande
Illusione, il comunismo, che fu il loro credo, anche se, tempi
felici, non immisercon soggettacci obbligati e con slogans la loro
opera. Quanto alle idee costruttivistiche, se esse calzarono a Teige,
architetto, il quale intitolun proprio libro Stavba a b滻e
(Costruzione e poesia, 1927), non collimavano certo con le fragili
ariette, con la sottilissima mussola dei madrigali, con la lirica
dell'evanescente, coltivata da Nezval, da Seifert, da Biebl, col
flusso senza argini delle loro sgargianti metafore bagattelliere e
associazioni sfrenate, nemiche capitali dell'aridezza da scranna e da
regolo dei produttivisti di Mosca. Come conciliare l'ascetismo
costruttivistico con l'opulenta inventiva di Nezval, col suo
fertilissimo 剃abaret fantastico (5)
Coi poetisti il lirismo, espressione della farfallica effimerit
della vita, diventa principio della creazione e sorgente di energia e
di spirituale benessere. Sognando un mondo che rida, si studiano di
sbandeggiare le nuvole della tetraggine e ogni aggravio dell'anima
col nonsense, con l'analogia strampalata, con lo zolfo dell'umorismo.
Di questo anelito di scanzonata gaiezza fanno testimonianza le
filastrocche asemantiche, le cabalette burlesche, le pagine di
厚oesia ottica le composizioni tipografiche di Teige, dove le
lettere dell'alfabeto e le figure geometriche sembrano trovarobato da
circo, e in specie le commedie dadaiche dei clowns Voskovec e Werich.
Nel Logos di Praga, 剃ittdi miracoli creata per la poesia(6),
il poetismo rappresenta dunque il trionfo dell'arlecchinata e della
fumisteria mercuriale sull'orrore golemico, la linea Antimeyrink,
Antikafka, la fuga dalla Grelei, dall'ipocondria, dalla lugubrit
che sono il basso continuo della letteratura praghese. Fuga dal
microcosmo saturnico e infistolito di Rodolfo II, da quella sinistra
malinconia, che impiagava l'anima degli alchimisti nelle lunghe notti
di veglia dinanzi all'athanor, - malinconia da loro significata col
color nero indicante la putrefazione e con arsenali di emblemi di
crani, corvi, scheletri, bare. Alla catabasi ermetica nelle regioni
infernali, al pallore da finismundi, al sangue spettrale, agli
scompensi, al metabolismo alterato della letteratura di Praga, citt
cimmeria che non sorride, i poetisti oppongono il riso, fattore
chiarificante del sangue, e un'alchimia diversa, l'alchimia gioiosa
dell'associazione verbale, 冠lchimista pirapida della radio(7)
Eppure, come disse Banville, 勁e po褮e n'est pas toujours - en
train de r嶴ouir les oursNonostante la sua buffonaggine, 襒ejk si
svela in certi momenti paurosamente luttuoso, e anche il poetismo
assume a tratti un colore morello e un cordoglio del tutto praghesi.
Non penso ai cupissimi versi di Halas o Z潎ada, al languore dei
seifertiani 前mbarquements pour Cythere ma allo stesso Nezval, Gran
Visir del poetismo, il cui Edison intriso di nebbia praghese
pesante come bitume, di umidore fluviale e, coi suoi gesti di addio,
con le sue fuliggini e larve infelici, con la sua notturnalit si
riallaccia alla disperata creazione di M歊ha.

NOTE:
(1) Ibid', p' 124.
(2) Ibid', p' 125.
(3) Karel Teige, Poetismus, in Sv皻 stavby a b滻ncit', p' 126.
(4) Cfr' id', Um瘽dnes a zitra (1922), in Stavba a b滻e Praha
1927, p' 23, e Jaroslav Seifert, V蟌chy kr滻y sv皻a, in Saml滻ka,
Praha 1923, p' 59.
(5) Vit瞛slav Nezval, Sklen瘽havelok cit', p' 83.
(6) Vit瞛slav Nezval, Vyzv滱pw漮el籯, in Sklen瘽havelok cit',
p' 154.
(7) Id', Papou蟌k na motocyklu, in Pantomima cit', p' 73.

110
Ricordi il manifesto del circo Letn Un indiano in turbante fra
due coccodrilli. Salivamo le Vecchie Scale del Castello, abitate
dalla Muffa e dall'Ombra, parlando dei pagliacci e degli acrobati che
montano in banco nei teatrini dei versi poetistici. Nelle ripide vie
di Hrad螮ny la sera assumono un'aria spettrale i lampioni dalla luce
biancastra con punte nere come spini, frutici di una ghignante
vegetazione nordica, simili a teste mozzate sopra vassoi. Come sembra
straniera e impossibile la festositdei poetisti fra cos
malinconiche quinte, specie quando la pioggia scende gialla
gagliarda e Praga diventa un labirinto di corridoi di caligine.
Ma Nezval, poeta 彋oile del Dev皻sil, alla fine della commedia
Depe蟌 na kole螶槆l (Il dispaccio a rotelle), scrive: 隹ttraversa la
scena, correndo a testa in gisulle mani l'arte in aspetto di
bajazzo di circoOssia l'arte una capriuola, una trottola, uno
sfavillio di rappezzi policromi da truffaldino, uno sgargiante
pagliaccio, ben diverso da quei farsanti tartarei e mercenari di
satanasso, che ammiccano dai dipinti di Franti蟌k Tich Per generare
felicit la poesia si muti in allegro spettacolo, in equilibrismo
(1) 促iuttosto che i filosofi e i pedagoghi - afferma Teige - sono i
clowns, le ballerine, gli acrobati e i turisti i veri poeti moderni
(2) 俠a nostra arte - dirin seguito Nezval - era vicina ai
jongleurs, alle cavallerizze e ai trapezisti piuttosto che ai maghi
dei riti religiosi(3)
Invece delle uova degli alchimisti un saltellio di palline da
prestigiatore. I poetisti trasformano la cittvitavina in un Luna
Park, in un tendone (con luce di stelle che filtra dalle fessure), in
una stazione di carri da commedianti. Seifert vi fa lavorare il clown
Pom, John 匍angiafuoco famoso la piccola ballerina chioe, la
sognante trapezista Miss Gada-nigi; 褾yrsk in un quadro, il cirkus
Simoneta; la Toyen, in un altro, il cirque Conrado. Il clown di
Depe蟌 esegue esercizi al trapezio fisso. Nei libri di Nezval si
incontra ogni sorta di guitti e di giocolieri, un'intera 剌amiglia di
arlecchini tra i quali un 厚ierrot ciclista e si legge persino di
un impresario di circo, il cui carrozzone era 咨irato da cigniNel
balletto Abeceda (Alfabeto), dove le lettere suggeriscono figurazioni
gestuali e vignette da sillabario poetistico, Nezval rassembra la H
ad un clown che si tuffi dal trapezio volante e la I all'冠gile corpo
di una danzatriceDi ballerine-bambole abbonda la delicata
scrittura tutta merletti di Seifert. Il primo Halas, ancora fervente
poetista, vaneggia di un 剎alletto elettrico nel circo Mondee di un
clown, che ha smarrito il volto sotto la centesima maschera, senza
piritrovarlo (4)
俏el circo, nel variet nel music-hall - sono sempre parole di
Teige - nata la libertdella nuova arte. Vive in essi l'autentica
poesia moderna, spigliata, elettrica, aliena dal naturalismo(5) In
questa passione per gli equilibristi, gli amuseurs du tapis, gli
icariani, le cavallerizze, i funamboli, insomma per tutte le
attrazioni dello chapiteau, i poetisti ricalcano le infatuazioni
delle consorelle avanguardie. Yvan Goll, nel suo Welt-Variet poneva
il numero di Orfeo tra quello della Yankee-girl e quello dell'uomo
serpente (6) Cocteau magnificava i Fratellini, la foire, il
bastringue, il bal musette, Mistinguett, il circo Medrano, 勁es
orchestres americains de negres(7) Schiemmer annotava nel diario:
非adaismus, Zirkus, Variet Jazzband, Tempo, Kino, Amerika,
Flugzeug, Auto(8)
Un fascino immenso esercitsui poetisti, come sulle altre
avanguardie europee, il cinema, 雨etlemme, da cui verrla salvezza
per l'arte moderna(9) Pearl White, Harry Langdon, Buster Keaton,
Ben Turpin, Mary Pickford, Alla Nazimova, Harold Lloyd ne avvinsero
la fantasia. E anche i due grandi zanni della generazione, Voskovec e
Werich, nelle loro commedie e in specie nelle 哀cene dinanzi al
sipario attinsero alle loufoqueries delle comiche slapstick e agli
espedienti e alle burle del repertorio clownesco. Charlot, l'eroe del
poema Die Chapliniade (1920) di Yvan Goll e della poesia Kinopovetrie
(Cinecontagio, 1923) di Majakovskij, non poteva mancare, al fianco di
Douglas Fairbanks, in Podivuhodnkouzeln骿 (1922):
Fairbanks afferra al lazo@ ciche gli viene in pasto@ Apollinaire
Picasso@ ammalianti miei fantasti@@ Chaplin porta alla bella@ sul
motociclo un dono@ specchio caviale stella@ quello che c'di buono.@
Non meno del cinema attrasse i poetisti il Dixieland jazz, che
aveva scalzato le traballanti polche e le canzoni di birreria, il
jazz come sorgente di gioia:
E i poeti ora non chiedono@ una misera prebenda@ come negri si
allegrano@ al rugghio del jazzband.@Ma anche in questo caso accade
che la malinconia prevalga: nell'humus praghese vien trapiantato il
cafard, la desolatezza dei blues. Potremmo almanaccare a lungo sui
南egro bluesdella raccolta nezvalica Sklen瘽havelok (La
mantellina di vetro, 1932) o sui blues di Voskovec e Werich, musicati
da Jaroslav Je鋀k, in specie su Tmavomodrsv皻 (Il mondo
azzurrocupo, 1929) che, assommando l'angoscia del buio, della cecit
delle strettoie senza scampo, cava lacrime sino dalla radice del
cuore.
Futuristicamente protesi verso i 厚rodigidel progresso, i
poetisti, orecchiando le avveniristiche smargiassate del libro di
Erenburg A vs褮aki ona vertitsja (Eppur si muove, 1922), glorificano
anche le macchine, i transatlantici, l'aeroplano Goliath, i
grattacieli. Strombazza uno di loro, il prosatore Karel Schulz:
俠'antenna dell'apparecchio radiotelegrafico pibella del
Discobolo o dell'Apollo del Belvedere o della Venere di Milo(10)
Seifert denomina Na vln槆l T'S'F' (Sulle onde della Telegrafia Senza
Fili, 1925) una sua raccolta. In Depe蟌 di Nezval un lirico
radiotelegrafista esorta l'umanitalla gioia e alla risata. Ma ci
che pisalta agli occhi, nella creazione di quei capi sventati,
l'insistenza ossessiva sui temi esotici, la mobilitda globetrotter.
Diresti che con l'esotismo essi vogliano sottrarsi al cerchio
implacabile della pragheit che li avvolge come il serpente
ouroboros degli alchimisti, all'esorbitante mestizia, al sopruso
della cittvitavina.

NOTE:
(1) Cfr' Vit瞛slav Nezval, Papou蟌k na motocyklu, in Pantomima
cit'
(2) Karel Teige, Poetismus, in Sv皻 stavby a b滻ncit', p' 124.
(3) Vit瞛slav Nezval, Z m逸o eivota cit', p' 97.
(4) Cfr' Franti蟌k Halas, B滻nrukopisn in Kr滻nne褾瘰t
Praha 1968, pp' 348 e 340.
(5) Karel Teige, Foto kino film (1922), in Sv皻 stavby a b滻n
cit', p' 80.
(6) Yvan Goll, Der neue Orpheus (1925), in Dichtungen cit', p' 191.
(7) Jean Cocteau, Le coq et l'arlequin (1918)
(8) Oskar Schiemmer, Briefe und Tagebher, Mchen 1958, p' 191
(1925)
(9) Karel Teige, Um瘽dnes a zitra, in Stavba a b滻ecit', p' 10.
(10) Karel Schulz, in Poetismus cit', a cura di Kv皻oslav Chvat骿 e
Zden瘯 Pe螮t, p' 124.

111
Le avanguardie tutte nel Venti si infervorarono per le immagini
esotiche. Ma nessun gruppo vezzeggil'esotismo con lo stesso calore
dei cechi. Da Praga, dagli 哀tagni della Boemia verdi come un corale
di rane(1), i poetisti amavano evadere verso smaglianti contrade da
cartolina illustrata. L'ansia di mare e di vastit che fu sempre
presente nella cultura ceca dei secoli andati e nell'indole stessa
dell'Homo Bohemicus, per i seguaci del Dev皻sil si fa smania di
incognito e di avventure, esemplate sui romanzi di Karl May e di
Fenimore Cooper, sulle storie a puntate di Buffalo Bill e di Nick
Carter, sugli itinerari di Rimbaud a Giava e in Abissinia. Le
carovane, la giungla, il dondolio delle palme, gli indiani, gli
indigeni, i negri, le praterie, tutto il pittoresco delle pellicole
equatoriali e del western rivive nelle loro pagine: a volte vi
ritrovi persino il sapore e il decor di una certa letteratura
coloniale francese.
I poetisti condividevano la passione dei viaggi, considerando il
turismo un ramo della poesia. Nella raccolta Na vln槆l T'S'F',
ribattezzata nel 1938 Svatebncesta (Viaggio di nozze), Seifert
esalta il fascino dei Wagons lits, 哉agoni nuziali chiama 勁ibro
poeticol'orario delle ferrovie (2), allude allo scoramento delle
partenze marittime: 促iangevano le ragazze io piangevo con loro -
anch'io volevo sventolare il fazzoletto - sventolavano fazzoletti
insanguinati - dal colore rosso dei belletti(3) E Nezval intitola
Sbohem a 鍒te蟌k (Addio e fazzoletto, 1934) un volume di melodiose
liriche parigine.
La fuga verso lidi remoti un motivo precipuo della loro poetica.
Nezval afferma: 侶uando non ha pisenso stare a casa - svignarsela
dritto in Australia(4) oppure 俑i dileguerscappando in Africa -
mi condurril mio cavalluccio di legno(5) E Biebl: 青on la nave
che porta te caff- un giorno andrnella lontana Giava(6) Ma
pucapitare che piante e figure esotiche si spostino in Boemia e
Moravia: Nezval, in Abeceda, invita le palme a trasferire il proprio
equatore sopra la vitava e, in Panoptikum, fa congettura che i
commedianti del Texas giungano nella sua Tweb斁 (7) Oppure la Boemia
stessa diventa lo sconosciuto paesaggio di una cartolina, la veduta a
colori di uno stereoscopio. Nel suo viaggio a Giava, pensando alla
terra natia, Biebl osserva: 隹ll'altra parte del mondo la Boemia -
bella ed esotica terra - piena di profondi e arcani fiumi(8)
L'inventiva dei giocolieri del Dev皻sil non avrebbe escluso magari
che uno show boat navigasse tra gabbiani e anatroccoli nelle acque
della vitava.
Potremmo allegare moltissimi luoghi a illustrazione dell'esotismo,
di cui essi infrascano le proprie liriche, ma di vantaggio basteranno
i seguenti. Nel poemetto-balletto Abeceda la g rammemora a Nezval 勁a
destrezza del lazo di Fairbanks la I la canzone Indianola. La V
勇l riverbero di una piramide nella sabbia ardenteLa C, 勁una
sull'acqua gli ispira queste parole: 俠e romanze dei gondolieri
sono morte per sempre - e percivia capitano verso l'AmericaLa D,
冠rco che si tende da occidente gli richiama alla mente un Indiano
che abbia scorto una traccia. La R: 勇 commedianti del Dev皻sil -
hanno piantato le tende sulle rive del divino NiloLa S: 南elle
pianure dell'India Nera - viveva un domatore di serpenti a nome
JohnPer Seifert, nel 厚allottoliere dell'amore sono 削ue mele di
Australiai seni dell'amata (9) E le gru del porto, 剋rottesche
giraffe 厚alme di un ignoto continente(10) Biebl ingombra i suoi
versi di fonemi orientali (magistan, gamelang, rambutan) (11) e anche
Halas, all'inizio, profonde senza risparmio noci di cocco, gondole,
atolli, palme, burnos, narghiled ogni sorta di soprammobili
esotici, immaginando persino un 剃arnevale nell'azzurro Sahara(12)
Tutto questo magasin pittoresque ha radici, s'intende, nelle
rutilanti metafore del Bateau ivre di Rimbaud. Eppure il trastullo
degli esotismi diviene sovente vanerello e gratuito. Se Biebl dice:
保ggi il poeta dil proprio cuore per una banana - per una gialla
banana, tropicale bambola(13) oppure: 俠a Cina un paese povero e
triste, - popolato di canarini(14); se Seifert dice: 哀otto una
palma fittizia sorride un negro - con una maschera rosa di luci sul
volto(15) oppure: 勇l cinese si raddrizza gli occhi - nelle pieghe
del suo abito un drago mastica cioccolata(16); se Nezval dice: 哎n
moro giuoca al biliardo - con noci di cocco nel Sahara(17) oppure:
勁'Asia intrisa di odori ondeggiava come un giallo vessillo - con
intessuti ornamenti di giardini di loto(18), - lo scanzonato
burlesco rasenta una banalitda operetta. Molte di quelle vedute
assomigliano a dozzinali fondali di tela dipinta. In molti dei loro
vaneggiamenti esotici infuso lo stesso giulebbe delle canzonette
dal tema pseudo-orientale, dei calendari da parrucchieri. Del resto
la poesia dei poetisti vuol essere, gilo sappiamo, 剌abbrica di
cosmeticie il poeta 剃ommesso viaggiatore in profumi - ciprie
liriche - liquori magici(19)
L'esotismo di cartapesta vorrebbe far da triaca contro gli umori
malsani di Praga. Ma spesso peggio la triaca che non sia il veleno.
Ed strano veder sovrapporsi su MalStrana, su quei palazzi
araldici, un 南ero eden di palme con 厚appagalli, guardie notturne
del Sahara(20) Alle bestie ambigue e dolenti della metafisica
della cittvitavina Nezval sostituisce, traendolo da riserve
esotiche, il pappagallo. Questo animato smeraldo che favella col
rostro diviene l'emblema della sfavillante poesia del poetismo, la
poesia stessa 哎ccello miracoloso, pappagallo in motocicletta
勇nsieme di immagini, pappagalli dai nomi incantevoli(21) Crocida
e impazza la poesia-parrocchetto nelle mani di un
poeta-prestigiatore, Celionati, dal quale si esige 前leganza di
ciarlatano(22) Il pappagallo (papou蟌k) di Nezval dopo le coq di
Cocteau. Le coq est parisien, il parrocchetto poetistico, malgrado le
piume esotiche, si fa anch'esso personaggio di Praga, di questa citt
fantasista, propensa al manierismo, laboratorio di innumeri
arcimboldi.

NOTE:
(1) Vit瞛slav Nezval, Premier Plan, in Men鍎 r鼉ovzahrada (1926)
(2) Jaroslav Seifert, Svatebncesta, in Na vln槆l T'S'F' cit'
(3) Id', Odjezd lodi, in Na vln槆l T'S'F' cit'
(4) Vit瞛slav Nezval, Poetika, in Pantomima cit'
(5) Id', Na cestu, in Pantomima cit'
(6) Konstantin Biebl, S lod jedov睯螮j a k潎u (1927)
(7) Vit瞛slav Nezval, Panoptikum, in Pantomima cit'
(8) Konstantin Biebl, Protinoeci, in S lod jedov睯螮j a k潎u
cit'
(9) Jaroslav Seifert, Po蟊tadlo, in Na vln槆l T'S'F' cit'
(10) Id', Pwistav, in Na vln槆l T'S'F' cit'
(11) Konstantin Biebl, Na howe Merbabu, Amin, Tok in S lod je
dov睯螮j a k潎u cit'
(12) Franti蟌k Halas, Kr滻nne褾瘰tcit', p' 382.
(13) Konstantin Biebl, Zlat蔂i wet瞛y (1926)
(14) Id', Jaro, in Zlat蔂i wet瞛y cit'
(15) Jaroslav Seifert, Ve蟌r v kav漷n in Na vln槆l T'S'F' cit'
(16) Id', Parav滱, in Slav骿 zpiv螲atn(1926)
(17) Vit瞛slav Nezval, Slunce, in N漥isy na hroby (1926)
(18) Id', Premier Plan, in Men鍎 r鼉ovzahrada cit'
(19) Franti蟌k Halas, Kr滻nne褾瘰tcit', pp' 355-56.
(20) Vit瞛slav Nezval, Premier Plan, in Men鍎 r鼉ovzahrada cit'
(21) Vit瞛slav Nezval, Papou蟌k na motocyklu, in Pantomima cit'
(22) Id', Poetika, in Pantomima cit'

112
C'alla Galleria Nazionale di Praga un autoritratto, che potrebbe
servire da emblema alle invenzioni poetistiche. Vi grandeggia,
vestito di nero, con nera barba, pennello, tavolozza e berretto nero
da dipintore, il gabelliere (employd'octroi) Henri Rousseau,
foderato del suo imperturbabile, perpendicolare sussiego. Alle spalle
della madornale figura, che sembra su un palco di teatro, vediamo la
Senna, un ponte, un veliero con un pavese di bandierine di tutto il
mondo, la torre Eiffel, i tetti di Parigi, due minuscoli parigini a
passeggio e, in cielo, fra le nuvolette, una mongolfiera (1)
Il primitivismo dei poetisti trovalimento in quella gala di
bandierine, ma soprattutto nelle oniriche giungle e vedute tropicali,
nelle 厚eintures mexicaines nello scaltro candore domenicale, nei
匍itidel Doganiere. In difesa dei loro leccati paesaggi esotici e
chromos da rivista illustrata sia ricordato che questo 厚etit pere
non esitava a ispirarsi agli arbusti del Jardin des Plantes per la
sua vegetazione fantastica e all'album B皻es sauvages delle
Galeries-Lafayette per i suoi temi ferini (2) Parecchie liriche di
Nezval, di Seifert, di Biebl, parecchi quadri di pittori del Dev皻sil
(Mrkvi螶a, Muzika, 蟊ma, Hoffmeister, Piska ricalcarono le
rigogliose scenografie del suo Messico immaginario. I poetisti
adoravano l'opera del Doganiere, e anche in questa passione si pu
scorgere forse l'influsso di Apollinaire. Il sofisticato Hoffmeister
si impancava (certo con autoironia dadaistica) a novello Rousseau,
imitando, non solo i motivi del pittore di Yadwigha, ma anche la
grafia della firma (3) Persino Zrzav i cui quadri (specie gli
sfondi lunari con piramidi ed esili palme) sono, per Teige, "sogni
stregati in arcani cristalli(4), essi consideravano un Rousseau
boemo.
Dalle parvenze dipinte dal Doganiere e insieme dai cartelloni del
circo e dal balletto Parade (1917) di Cocteau-Satie-Picasso, che fu
molto lodato da Apollinaire, discendono le esotiche gaie figurine,
che ricompaiono con ritmo costante nei quadri e nelle poesie dei
poetisti: il clown, il marinaio, il negro, la ballerina, l'acrobata.
La schiera di figurette che vi si muove (il clown, il negro, il
marinaio, la venditrice di pesci, i commercianti, gli exotov
dimostra che il vaudeville nezvalico Depe蟌 na kole螶槆l tenne a
modello Parade, dove agivano analoghe 匍aschere gli acrobati, un
cinese di music-hall, una ragazza americana, i managers (5) E'
chiaro che gli exotovdi Nezval, 哀ei scatole da cui sporgono solo
la testa e le gambe scimmieggiano i managers, 則ommes-decor che
avevano addosso ingombranti impalcature cubistiche. Assieme agli
oggetti di quel folclore montmartrois, di cui furono vaghi i cubisti
(pipe Gambier, chitarre, bottiglie, ventagli, carte da giuoco,
pacchetti di tabacco), queste figurine simboliche degli interessi
della generazione (il negro dell'amore del jazz, il clown dell'amore
del circo, il marinaio dell'amore di terre lontane) costituiscono per
il Dev皻sil una sorta di ingenua araldica, gli elementari simulacri
di un abbecedario, di un orbis pictus poetistico.
Il geroglifico prediletto e il dada dei giocolieri praghesi degli
anni folli fu la torre Eiffel, attrezzo principe del magasin
d'accessoires di tutte le avanguardie europee. Yvan Goll scrisse che,
dalla prima piattaforma della propria torre, flauto che canta nel
vento, Monsieur Eiffel, 俑agier in Sportmze(mago in berretto
sportivo), aveva invitato a cena tutti i poeti d'Europa (6) I
poetisti si ripetevano spesso il celebre verso di Zone: 雨ergere
tour Eiffel le troupeau des ponts b瘭e ce matinLa Musa Tour
Eiffel, 剌eu d'artifice geant de l'Exposition Universelle 哀onde
celestesecondo Cendrars (7), 冠rpa d'Eolosecondo Seifert (8),
ricorre sovente nelle loro pagine. Alle 剌en皻resdi Delaunay, a
Paris qui dort, agli omaggi di Rousseau e di Chagall si aggiunga
dunque la calda eiffelogia del Dev皻sil. Nezval, in Abeceda, esorta
la Z: 剃remagliera su per la Eiffelka!e, in Depe蟌, invoca la
Eiffelka: 咨orre della gioia e dell'amore 咨orre dei poveri
amanti 咨orre dei primi baci attribuendo le soavi parole alla
figurina del radiotelegrafista, in armonia con la sentenza di Cocteau
che la torre 恍tait reine des machinese 匍aintenant elle est
demoiselle du telegraphe(9)
La Eiffel Parigi, e Parigi la Mecca dei poetisti: Parigi,
哀pecchio di Europa(10) (per Yvan Goll: 非iamant am Halse Europas
(11): di quell'Europa che ancora splendeva in quegli anni, sebbene la
grande guerra l'avesse ridotta, come dice Seifert, a 匍antello
d'arlecchinoe 哀conquassata scacchiera(12) Verranno poi tempi di
sdegno e di delusione, quando Praga sardalla Francia abbandonata
alle grinfie nazistiche. E allora Holan proromper 雨asta, Parigi!
Non un passo pinei tuoi parchi smanianti, - dove una volta
aspettavo che la notte mi facesse soffrire. - A non rivederci dunque,
voi l voi sonanti - giardini di Boboli! - aggiungendo: 俠e ore
frattanto implacabili battono - sulla torre Spasskaja(13)
Benchmolto bevessero gli sconsigliati poeti a smala tazza, non
si pudire che la torre Spasskaja abbia avuto nelle lettere ceche il
magico alone che avvolse la Eiffel. E' triste tuttavia pensare che le
due grandi, vertiginose passioni dell'avanguardia boema, la Parigi di
Apollinaire e l'勇nvisibile Mosca(14), abbiano entrambe tradito la
fiducia degli intellettuali boemi. E che a Praga, trascorsa da
inondazioni di oltremontani e votata all'oblio degli indifferenti,
siano solo rimasti gli occhi per piangere.

NOTE:
(1) Cfr' Vratislav Effenberger, Henri Rousseau, Praha 1964, p' 38.
Inoltre Oto Bihalji-Merin, Die naive Malerei, K闤n 1959, pp' 43-44.
(2) Cfr' RenPasseron, Histoire de la peinture surrealiste, Paris
1968, p' 43.
(3) Cfr' Miroslav Lama V蓨varndilo Adolfa Hoffmeistera cit'
(4) Karel Teige, Jan Zrzav Praha 1923, p' 6. Cfr' Vit瞛slav
Nezval, Z m逸o eivota cit', p' 98.
(5) Cfr' Antonina Vallentin, Storia di Picasso, Torino 1961, pp'
233-36; Roland Penrose, Pablo Picasso, Torino 1969, pp' 258-67.
Inoltre Parade, in Jean Cocteau, Entre Picasso et Radiguet, a cura di
AndrFermigier, Paris 1967, pp' 63-76.
(6) Yvan Goll, Der Eiffelturm, in Dichtungen cit', p' 139.
(7) Blaise Cendrars, Dix-Neuf poemes 幨astiques (1919), in Du monde
entier au c飀r du monde cit', pp' 81-82.
(8) Jaroslav Seifert, Guillaume Apollinaire, in Na vln槆l T'S'F'
cit'
(9) Jean Cocteau, Carte blanche (1920)
(10) Jaroslav Seifert, Guillaume Apollinaire, in Na vln槆l T'S'F'
cit'
(11) Yvan Goll, Der Eiffelturm, in Dichtungen cit'
(12) Jaroslav Seifert, Starboji褾 in Slav骿 zpiv螲atncit'
(13) Vladimir Holan, Odpov璠' Francii (1938)
(14) NeviditelnMoskva (1935) il titolo di un reportage di
Nezval.

113
Entrino infine nelle mie pagine i funamboli, i clowns, i domatori,
i cavallerizzi, i ventriloqui, gli uomini serpenti, i trapezisti, gli
acrobati, gli inghiottitori di spade, le esmeralde, i prestigiatori,
che gremiscono le tele e i disegni di Franti蟌k Tich L'arte di
questo pittore (1896-1961), scaturita dal 哀abbioso humus dei maneggi
dei circhi(1), vicina, per il gusto dello spettacolo e per
l'esotismo, alla creazione dei poeti poetistici. Non a caso Nezval
compose, nel 1944, col titolo K a tane螽ice (Il cavallo e la
ballerina) un ciclo di poesie che traspongono in quadretti verbali le
immagini della pittura tichiana (2) D'altronde essa ha infiammato la
fantasia di molti lirici cechi, da Holan a Seifert, da Halas a Kol漙
(3)
Questa pittura, non solo rassembra i personaggi del circo, ma ne
trasfonde nella propria sostanza la giocoleria, il virtuosismo
sospeso al filo del rischio, il duro drill, il pericolante mestiere,
la compiutezza tecnica, i trucchi. Ansioso di 勁iberare del peso le
cose pesanti(4), lo stesso segno si fa giocoliere, balletta come su
una corda. Quelle 哀emplici linee, a volte sottili come il filo di un
amo(5), ricalcano la calcolata labilitdi esercizi che non
consentono sviste, la guizzante prontezza, la rapiditdi meteora dei
numeri dello chapiteau. Nel barbaglio di polvere dei riflettori,
哀otto la luce fittizia di lune elettriche(6), gli artisti sono
fermati nel culmine del loro giuoco, nell'attimo in cui il direttore
哀congiura con le mani levate l'orchestra di tacere prima del grande
salto mortale(7), nell'attimo in cui l'esercizio sembra proiettarsi
nel vuoto stellare.
La variopinta vita sotto il tendone attrasse talmente l'inventiva
di Tich da far nascere la diceria che egli avesse lavorato al circo
Pinder a Marsiglia (8) Lui stesso prosperava leggende, narrando che
la madre era un'artista di circo ungherese, storpiata da una caduta,
e che a sedici anni era fuggito con una compagnia di commedianti
girovaghi (9) Del resto Alfons Mucha non passava per un 勉eune
peintre hongroisdi origine tartara, trovato da Sarah Bernhardt
nella puszta? (10) Egli fu amico di attori del maneggio e del
variet soprattutto di Alberto Fratellini, che ritrasse nel 1937 con
le enormi scarpacce e la parrucca rossiccia. Ammirava i jongleurs del
Medrano, coscome Mucha aveva ammirato a Place de l'Observatoire gli
ercoli e i lottatori dai baffi attorcigliati e dal costume da bagno
addogato sul corpo possente (11) Seguiva con attenzione l'arrivo dei
circhi nella cittvitavina. Con entusiasmo raccontava di Bosco, di
Grock, di Houdini, di un prodigioso giocoliere del Medrano, Clement
de Lyon, che nel suo numero pareva mutarsi in un essere irreale (12)
Tichcondivise coi poetisti il sogno delle lontananze. Il suo
esotismo divampspecialmente a Marsiglia, citt勇mpiastrata di
squame di pesci(13), dove diedero estro alle sue fantasie il circo
Pinder, il porto, l'arena delle corride, il colorito brulichio di
zuavi, marinai, pescivendoli (14), e, in anni di fame e di stenti
(1930-35), a Parigi, dove trasse linfa dai Musei Guimet, Galli廨a,
Carnavalet e dal Marchaux Puces (15)
Ma gli augusti e i funamboli dei Nachtsthe tichiani ignorano la
spigliatezza, il brio dei maghi di Nezval e degli altri poetisti.
Sono torvi e accigliati. Allampanati su gambe stecchite. Sottili come
lucignoli e di cosscarsa carne coperti che, accostandoli a un lume,
trasparirebbero. La loro magrezza si trasmette persino ai cavalli, i
quali hanno esilissime zampe. Ogni pinguedine esclusa da questa
contea di scorze senza midollo, di larve senza sostanza, che sembrano
tutte ripetere, per la macilenza, l'effigie di Valentin le desoss
Fanno raggricciare le carni i mangiaspade consunti, gli affilati come
coltelli cavallerizzi in cilindro, le gracili cavallerizze. Come dice
Kafka: 俟e un'acrobata a cavallo, fragile, tisica venisse spinta per
mesi interi senza interruzione in giro nel maneggio sopra un cavallo
vacillante...(16).
Gli artisti di questi 剃apriccihanno facce deformi, facce-funghi,
oblunghe, ammaccate, facce da scontraffatte chimere, da incubi, facce
dissolte in una perfida smorfia. Hanno teste gommose, impastabili, da
manipolare come pongo, teste a foggia di cocuzza schiacciata, da cui
a volte un berretto come un'escrescenza molliccia si allunga. E
spesso, invece del viso, ci mostrano maschere di calcina, ruvide
concrezioni geologiche o meglio, per dirla con Halas, l'勇ndurito
belletto di antichi eccentrici(17) Occhi lippi balenano, sporgono
nasi posticci dal cerone stratificato, dal gesso facciale, che non
rassomiglia alla festosa polvere di riso dei clowns poetistici
Voskovec e Werich, ma piuttosto un cinereo bianco di lutto, come
nella vecchia Cina. Derivano dalle statuette negre, che Tich
comprava al Marchaux Puces (18), i 南egri bianchio 南egri
negatividei suoi dipinti: bianchicci visi di cera dalle labbra e
dagli occhi purpureggianti, archetipi forse dei negri che vagano
senza speranza, 哉estiti di tossicolosi sudari per il Marchaux
Puces, in una lirica di Holan (19) Un ceffo grinzoso di malta
incrostata, con esigue fessure per occhi, il collo lungo, un cappello
dalle falde simili ad ali di nottola, ha il pagliaccio Bodl毾
(Cardo), che regge il gambo di un cardo tra i denti: pagliaccio, che
ci rammenta un personaggio di Maestro Pulce di Hoffmann: Giorgio
Pepusch, metamorfosi umana del malinconico cardo Zeherit.
Ho paura di quei mostacci rincagnati, di quei ghigni diabolici, di
quei cardi, di quelle parvenze ctonie, di quei cilindri da Music-Hall
e da Alta Scuola in bilico sulla testa di neri cavallerizzi e
ventriloqui. L'illusionismo possiede un rovescio infernale, un
trapunto di spettralit Torna sempre nei sogni a darmi
rincrescimento l'Uomo serpente (Hadmu, figura emblematica delle
astrologie di Franti蟌k Tich A guardarlo troppo, questo arabesco
corporeo, questo fantasma 勇n costume di arrotolato anaconda vi
sembrer剃he il viluppo di membra cominci a sciogliersi(20)
Le iperboli gestuali riflettono lo straordinario talento mimico
dello stesso pittore, che fu attore di cabaret (21) Ma chiaro: in
tutti questi scontorcimenti, che fanno di ogni bajazzo un folle da
Katewinky, una fantastica larva da ballo di manicomio, con la
malleveria di Daumier, in questa maledetta mistura di scurrile e
clownesco, in questa magrezza quaresimale si esprime l'indole arcana
e sghimbescia di Praga. Il cavallo dal viso di donna in cilindro, sul
quale un cavaliere dal viso equino galoppa, il maestro di bussolotti
con un alone di carte da giuoco che roteano sopra al cilindro, gli
arlecchini con maschere di catrame e nasacci proboscidali, i
ventriloqui dall'enorme cilindro floscio e dal naso di gomma-pane, i
gemelli in cilindro, che si guatano guerci e ghignanti, sono tutti
fantasime e strigi fomentate dall'atrabile della cittvitavina, dal
suo digiuno, messaggeri di morte viaggianti sulla linea diretta
Praga-Erebo.
E che dire del Paganini tichiano, Hollenfst segaligno, collosa
catasta di nere chiome, con le gambe-stecchi e le lunghissime mani
affusolate dalle dita contorte come convolvoli? Se il diavolo
magro, per credere a Chamisso, come la punta di un filo fuggito
dall'ago di un sarto (22), allora s il Paganini praghesco di questo
pittore ripete l'effigie del diavolo. GiJiwKar滻ek aveva
adombrato, secondo la ricetta romantica, l'identittra Paganini e il
demonio, per il rosso bagliore degli occhi e il tartassato violino
(23) Virtuosismo e diavoleria fanno lega nel Nacht-Musicus tichiano,
che sprizza tra sprazzi di fosforo dalle viscere di un'oscurit
primordiale. Se non sapessi che sono in rapporto di parentato coi
badch霵im del teatro folclorico jiddisbl ed insieme con gli austeri
vespilloni ebraici dai lunghi talari neri e dal cappello a focaccia,
dipinti sulle brocche votive morave della fine del XVIII secolo (24),
immaginerei come pagliacci spettrali dei distretti di Tichi due
cerimoniosi guitti boieschi, redingote e cilindro, che suppliziano
Josef K', e i due aiutanti che fanno mille molestie all'altro K',
bagattellieri balordi ed insieme persecutori, subalterni di un
occulto potere, spie metafisiche.
Sulla contiguitdella diavolesca di questo pittore con le
scritture di Meyrink, protocolli di anomalie ed epitomi di incubi,
non sussistono dubbi. I saltimbanchi tichiani assomigliano
all'acrobata Monsieur Muscarius del caffnotturno Amanita, lemure
rampollato da un'intossicazione fungaria, il quale ha la pelle del
collo aggrinzita come un tacchino, un maglione color carnicino in cui
sguazza perchtroppo smunto, un cappello da fungo falloide. Ad una
baldracca di quel night, Albine Veratrine, carcassa di luccicanti
corde priva di corpo, matassa di fosforescente foschia, rimanda la
trapezista, la losca ancroia pitturata da Tichnel '41, laida vamp
in calzamaglia di lutto, che diruggina i denti e si tiene con braccia
nodose come radici (25) Non va dimenticato del resto che Tich
illustralcuni degli sgomentevoli 咬omanetadi Jakub Arbes (26)
Alle corte la giocoleria trapassa in una macchina granguignolesca.
Di brividi questa mattaccinata che agguaglia ad un circo satanico
la tetra Praga, questa sepolcrale rassegna, in cui clowns e
ventriloqui sfoggiano ceffi da parasacco e ogni numero si trasforma
in un rito lugubre, in una visita di cortesia di beffardi, che ci
spediscono con un solo ammicco alla malora, alle eterne fornaci, in
ignem aeternum. Ma zitto e sufficit.

NOTE:
(1) Franti蟌k Halas, Sv皻 Franti螶a Tich逸o (1940), in Obrazy,
Praha 1968, p' 104.
(2) Vit瞛slav Nezval, K a tane螽ice, Praha 1962.
(3) Cfr' Jaroslav Seifert, Pwed obrazy Franti螶a Tich逸o, in Ruka a
plamen, Praha 1948, pp' 36-39; JiwKol漙, Franti蟌k Tich in Dny v
roce, Praha 1948, pp' 97 e 98, e B滻ena pw滱F'T', in Ilustrace
Franti螶a Tich逸o, a cura di Franti蟌k Dvow毾, Praha 1969, pp' 3-4;
Vladimir Holan, Vzpominka II (Franti螶u Tich鄉u), in Bolest, Praha
1966, pp' 83-84, ora in Lamento (Sebranspisy, III), Praha 1970, pp'
188-89.
(4) Vit瞛slav Nezval, Levitace, in K a tane螽ice cit', s'p'
(5) Karel Konr歍, Na visuthrazd(1944), in Nevzpominky, Praha
1963, p' 212.
(6) Franti蟌k Halas, Sv皻 Franti螶a Tich逸o cit', p' 105.
(7) Franz Kafka, In loggione, in Racconti cit', pp' 233-34.
(8) Cfr' V歊lav Nebesk L'art moderne tch嶰oslovaque (1905-33),
Paris 1937, p' 157.
(9) Cfr' Milo螮fr滱ek, Francouzskl鈣a Franti螶a Tich逸o, Praha
1965, p' 30.
(10) Cfr' 俠a Plume numero consacrAlphonse Mucha, n' 197,
Paris, l'er juillet 1897.
(11) Cfr' JiwMucha, Kank滱 se svatoz漙(E'ivot a dilo Alfonse
Muchy), Praha 1969, p' 73.
(12) Cfr' Franti蟌k Dvow毾, Cirkus a varietFranti螶a Tich逸o,
Praha 1967, pp' 25-26.
(13) Jaroslav Seifert, Sv皻lem od瘽cit', p' 66.
(14) Cfr' Milo螮fr滱ek, Francouzskl鈣a Franti螶a Tich逸o cit',
p' 21.
(15) Cfr' ibid', p' 74.
(16) Franz Kafka, In loggione, in Racconti cit', p' 233.
(17) Franti蟌k Halas, Klid, in Sepie: in italiano Quiete, in
Imagena cit', pp' 44-45.
(18) Cfr' Milo螮fr滱ek, Francouzskl鈣a Franti螶a Tich逸o cit',
pp' 17 e 68-69; Vojt瑿l Volavka, Franti蟌k Tich Kresby, Praha 1968,
pp' 9-10.
(19) Vladimir Holan, Na ble蟊m trhu v Pawiei, in Na postupu cit',
p' 29: in italiano: Al mercato delle pulci a Parigi, in Una notte con
Amleto cit', p' 64.
(20) Franti蟌k Halas, Sv皻 Franti螶a Tich逸o cit', p' 105.
(21) Cfr' Franti蟌k Dvow毾, Franti蟌k Tich Praha 1960, p' 11;
Milo螮fr滱ek, Francouzskl鈣a Franti螶a Tich逸o cit', p' 14;
Vojt瑿l Volavka, Franti蟌k Tich Kresby cit', p' 7.
(22) Adalbert von Chamisso, Peter Schiemihls wundersame Geschichte
(1814)
(23) JiwKar滻ek ze Lvovic, Paganini, in Endymion, Praha 1922, pp'
52-53.
(24) Cfr' Hana Volavkov Pwib璡 eidovsk逸o muzea v Praze, Praha
1966, pp' 75 e 106.
(25) Gustav Meyrink, Bal macabre, in Wachsfigurenkabinett, Mchen
1918, pp' 139-53.
(26) Cfr' Franti蟌k Dvow毾, Ilustrace Franti螶a Tich逸o cit'

114
E a questo punto 勇l frequentatore del loggione posa il viso sul
parapetto e, naufragando nella marcia finale come in un grave sogno,
piange senza saperlo(1)

NOTE:
(1) Franz Kafka, In loggione, in Racconti cit', p' 234.

115
Mi trovo ormai, la Dio merc al termine di questa lunga e
travagliosa fatica. Calcolavo ormai con bramosia quanti giorni ci
volessero ancora per arramacciare il finale, come il pittore barocco
Petr Brandl, nell'autoritratto, conta con ansietsulle dita. Dovrei
esser felice di sbrogliarmi da un tal ginepraio. Dovrei dirle: mi
sono stuccato di te, capitale boema. E invece le dico: voglio essere
ancora tuissimo, mio Schicksal, mia follia. Voglio che mi si proverbi
per matto di Praga. Ripeterle parole di Nezval: ..il tempo fugge
ed io vorrei dire ancor molto di te - Il tempo fugge e di te ho detto
poco sinora - Il tempo fugge come una rondine e accende le vecchie
stelle su Praga(1) Come nel racconto di Kafka Primo dolore,
l'acrobata non vuol scendere pidal trapezio.
E' curioso, sorella citt quanto pivogliono russificarti, tanto
piodori di muffa absburgica. A mezzogiorno, in via Karmelitsk da
ogni portone si effonde un afrore di crauti, knedl骿y, birra.
Continuate, orchestrine dei ristoranti, a sonare le polche e i valzer
di Fu鍎k. Bisogna di nuovo arrangiarsi, beffare i maestri di
catechismo, fingere, procrastinare o, come dicevano ai tempi
dell'imperatore, fortwursteln (tirare avanti alla meglio) (2) Jiw
Orten si cela ai nazisti, ma finirsotto un pesante autocarro
tedesco sul lungofiume. Paul Adler lascia Hellerau, per rifugiarsi
nella sua Praga natia, ma per un colpo apoplettico restersette
anni, sino alla morte, inchiodato ad un letto in un nascondiglio del
sobborgo di Zbraslav (3) Paul Kornfeld, al salire dei nazi, ripara a
Praga, ma cadrugualmente nelle loro grinfie, perendo in un Lager di
瘳d(4) Si gira in cerchio, si gira, ci si ritrova sempre allo
stesso punto. A Praga non c'scampo: Nenoniku, come dice il titolo
della seguente lirica di Holan:
Barcollando di notte per il Ponte Carlo,@ ti inginocchiavi dinanzi
a ogni statua,@ che portava alla Piazza di MalStrana.@ Ma accanto
alla Torre del Ponte passavi poi all'altro lato@ e ti inginocchiavi
dinanzi a ogni statua, che riportava ai Crociferi,@ finchti
trovasti di nuovo in quella taverna,@ da cui eri uscito un'ora
prima.@@ Anche in altra epoca non avresti potuto altrimenti...@ (5).
Gli amici erano ansiosi che io concludessi al pipresto questo mio
zibaldone, nella speranza che esso rinfocoli in altri il ricordo di
un paese tradito e senza speranza. Irina scriveva da Amsterdam: 青e
que j'attends avec impatience c'est ton livre sur PragueE V瘲a, da
Parigi: 俊膰im se na Va蟊 magickou PrahuIl cavallo che ho
cavalcato per tanti anni ha occhi di vetro gialliccio, impagliato e
corroso dai tarli, come il destriero di Wallenstein. E tutta la mia
rabbia per le macchinose menzogne e gli abusi che aduggiano quella
contrada vana come una rissa di bettola.
Non volevo scendere a Bran骿, a Chuchie, ma penetrare sino al
cuore, all'essenza della cittvitavina. Non mi appagavo, come un
giornalista loquace, dei rinneghi del trespolo degli automaty, del
l鐷r, sedimento di cicoria stracotta. Raspavo sino a ferirmi e a
bruciarmi la tela di sacco, la canapa ardente della lingua ceca. Ma
sono stanco. Se mi guardo allo specchio, mi accorgo di assomigliare
davvero al Brandl dell'autoritratto: assorto in amari pensieri,
smagrito, con gli occhi cerchiati e velati, accolgo con un acerbo
sorriso l'annunzio della vecchiezza. Ma tutto ciche ho narrato
accaduto davvero? O il circondario boemo soltanto la manifattura di
un sogno, un castello in aria per chi sa lasciarsi imbarcare dalle
chimere? Intonermalinconico la cantilena di Blok: 青iavvenne nei
cupi Carpazi, - avvenne nella Boemia lontana(6)
La foltissima schiera di amici morti di crepacuore in questi anni
mi dperla certezza che Praga esista davvero. Ora che nuovamente
vi regnano la dottrinaria arroganza e il poliziesco sopruso e la
tautologica noia, non potrpitornarvi. In Eine Prager Ballade
Franz Werfel racconta di un sogno fatto nel treno dal Missouri al
Texas, durante la guerra. Il defunto fiaccheraio V潎ra lo conduce a
Praga in carrozza. Ma il poeta spaurito trattiene il cocchiere: vi
sono i nazisti, non vi si puandare. E pan V潎ra, passando per i
villaggi di Zbraslav e di Jilov lo riporta oltremare (7) 侵ntendi
stabilirti a Tel Aviv? - chiedeva Werfel, malato, a Max Brod,
nell'ultima lettera. - O pensi, a volte, che sia ancora possibile
ritornare a Praga?(8) 俑anchmal hab ich Sehnsucht nach Prag
scriveva Else Lasker-Scher a Paul Leppin (9)
Ora che vi si acquattano i soldati di Mosca, la grande prostituta
con cui tutti i re della terra hanno fatto fornicazione (Apocalisse
17, 1-2), ora che alcuni zelanti lacchvi si danno alle crapule
mentre Cristo digiuna, non vi potrpitornare. Ora che Praga di
nuovo, come gridMarina Cvetaeva, 厚isquallida di una Pompei
(10), mi terranno lontano. E frattanto si tutto confuso nella mia
memoria di vecchio: alchimia e defenestrazione, salsicce e Montagna
Bianca, birra di Pilsen e Primavera Praghese. AsserKarl Kraus:
隹ustria: cella d'isolamento dove permesso gridare(11) Ah s
Tristium Vindobona (12) Ma oggi nemmeno un bisbiglio: troppi
microfoni, troppe orecchie puntate.
Di nuovo la cellulosa serve pialle denunzie, agli Acta Pilati
(13), alle lettere anonime, che alla produzione dei libri. L'odiato
蟌hona, archetipo del conservatore ligio alla monarchia (14), non era
peggiore degli staffieri della scuderia moscovita. Di nuovo piccoli
giudici fatui, ambiziosi, corrotti imbastiscono, appigliandosi a
cavilli ideologici, processi contro chi ardisca pensare. E invano,
accusato di colpe che non esistono, Josef K', firmatario anche lui
del 俑anifesto delle Duemila Parole si ingegna di convincere i
cavalocchi e i causidici della propria innocenza. Bohumil Hrabal
aveva intitolato Inserzione per una casa in cui non voglio pi
abitare un suo libro di racconti sulle assurdite sulle trappole del
periodo staliniano. Ma la casa di nuovo quella: angusta, afosa,
gremita di trabocchetti. Di nuovo, dirTitorelli, sui casi nei quali
il condannato fu assolto esistono solo leggende. Chi di scena oggi?
Soltanto aguzzini, pagliacci maligni, robot dello sfacelo, farisei,
negromanti, coadiutori del tribunale di Satana.

NOTE:
(1) Vit瞛slav Nezval, Praha s prsty de褾 in Praha s prsty de褾
(1936), ora in Matka Nad疀e, Dilo, VI, Praha 1953, p' 214.
(2) Cfr' Franz Werfel, Nel crepuscolo di un mondo cit', pp' 31 e
38.
(3) Cfr' Das leere Haus cit', p' 265.
(4) Cfr' Karl Ludwig Schneider, La theorie du drame expressionniste
et sa mise en 飀vre chez Paul Kornfeld, in L'expressionnisme dans le
th殪tre europ嶪n cit', p' 113.
(5) Vladimir Holan, Nenoniku, in Trialog (1964), ora in Lamento
cit', p' 65.
(6) 雨ylo to v t螜nybl Karpatach, - bylo v Bogemii dal槃ej...
Aleksandr Blok, O 柚螜 po褮 veter (1913), in Sobranie so柚inenij,
III, Leningrad 1932, p' 213.
(7) Franz Werfel, Eine Prager Ballade, in Kunde vom irdischen Leben
(1943)
(8) Cfr' Max Brod, Vita battagliera cit', p' 83.
(9) Else Lasker-Scher, Die Wolkenbrhe (Ausgew鄣lte Briefe), a
cura di Margarete Kupper, Mchen 1972, p' 53 (12 aprile 1913)
(10) Marina Cvetaeva, Stichi k 柚echii (1939), in Izbrannye
proizvedenija, Moskva-Leningrad 1965, p' 332.
(11) Karl Kraus, Detti e contraddetti, a cura di Roberto Calasso,
Milano 1972, p' 151.
(12) E' il titolo di una raccolta di versi (1893) di Josef
Svatopluk Machar.
(13) L'espressione di Vladimir Holan nel poema Cesta mraku, Praha
1945, p' 52.
(14) 蟌hona, personaggio del romanzo M齹 pwitel 蟌hona (1925) di
Viktor Dyk.

116
Popolo, tu non verrai cancellato!@ Da Dio sarai custodito!@ Per
cuore ti ha dato il granato,@ per petto ti ha dato il granito.@
Marina Cvetaeva (1)
Avrei voluto trascorrervi il mio Lebensabend. Ma il sogno si
dissipato, come quelli di Przybyszewski e di Liliencron. Non so pi
nulla di questa citt io che vi affondavo come un albero stento le
mie radici. Talvolta un amico mi manda di soppiatto un saluto.
Nessuna donna mi scrive, come Else Lasker-Scher e Max Brod: 俠ieber
Prinz von Prag(2) Aspetto lettere invano. Del resto, come afferma
Holan: 俗n terzo della vita l'ho passato aspettando il postino(3)
Che importa? Mi consoler sfogliando l'elenco telefonico di Vienna,
zeppo di cognomi cechi: di V潎ra, di Zajic, di Petw斁ek, di Fiala, di
Zakopal.
Eppure il mio pensiero non riesce a distogliersi dalle tue
continuate sterilit dalle tue piaghe, dai tuoi mancamenti. Ero a
Monaco il 10 giugno 1972, la sera in cui a Praga il Divadlo Za Branou
(Teatro Alla Porta) diede l'ultima rappresentazione. Proseguendo
nella meticolosa opera di annichilimento della civiltceca, le teste
farcite, le locuste, i marrani, che oggi governano la cittvitavina,
hanno chiuso questa splendida scena, diretta da Otomar Krej螮 e ormai
cara ai teatromani di tutto il mondo. Camminavo triste per la citt
bavarese la sera del 10 giugno, osservando le enormi vetrine
sfacciate dove, in mezzo a cataste di carabattole e merci stereotipe,
ammiccano, araldi del regno del Kitsch, allucinanti manichini dai
colori di pasticceria. Die M饖e zum Abschied. Quella sera a Praga il
Divadlo Za Branou interpretava il suo addio, il 柚echoviano Gabbiano,
la commedia con cui il Teatro d'Arte di Mosca aveva iniziato un'epoca
nuova nella storia dello spettacolo. Gli attori di Stanislavskij
avevano pianto di gioia: nello stesso lavoro gli attori di Krej螮
piangevano per disperazione e per rabbia. Il loro gabbiano stroncato
strillava un requiem per Praga e per tutta la cultura europea.
Torrenti di applausi squassarono per quasi un'ora il teatro. Gli
spettatori, struggendosi in lacrime anch'essi, lanciavano fiori,
gridavano: Na shledanou, Arrivederci. Ma Arrivederci un ipocrita,
un guitto, un buffone, un campione di gherminelle.
A questo punto mi sembra di avere scritto un libro lugubre, una
Totenrede, aggiungendo alla costante mestizia di Praga, mestizia
generata dalla disfatta della Montagna Bianca, il Menetekel di un
recente tramonto. Ma attorno a me c'era poco, se si escludono la
funestissima pagliacceria degli spettri e il gaio frufru orlato di
nero dei poeti poetisti, che fosse pretesto per uno spettacolo
allegro. Il vero Mozart praghese non lo spensierato burlone che
viene rinchiuso in una stanza della Bertramka, perchcomponga
l'ouverture del Don Giovanni, mentre gaie dame gli porgono da una
finestra del giardino cibi e bevande (4), ma il tetro holanesco che
剃apovolse come un ubriaco le Alpi,@ per collocare poi malferma una
bottiglia@ sullo scalino scricchiolante della paura della morte@
(5)
Da qualche anno si appresa alla mia fantasia la nezvaliana
metafora che rassomiglia Praga a una 剃upa naveattaccata da legni
corsari, che cannoneggiano le torri di Hrad螮ny 削a tutte le parti
d'Europa(6) Da qualche anno, nella lontananza, mi sembra che le
architetture della cittvitavina, come in certi collages di Jiw
Kol漙, incrinate da scossoni sismici, da gibbositdella terra,
vacillino, pronte a crollare. Mi sembra che corvi volteggino sopra
Hrad螮ny e la 剃arovana dei ponti(7) stia per fendersi e per
sprofondare. Di fronte alla minaccia nazistica Nezval espresse un
analogo presentimento di incombente rovina, di precipizio della
capitale boema. Il timore che un'invasione e una guerra ne
distruggessero le meraviglie lo induceva a sostare 削inanzi a Praga
come dinanzi a un violinoe a 咨occarne in sordina le corde, come
accordandole(8)
Da qualche anno, nella lontananza, la cittmagica mi appare in una
gessosa e abbagliante luce di cataclisma, come nelle catastrofiche
profezie del Barocco, scaturite dall'amarezza per il tracollo della
Montagna Bianca. Mi riaffiorano in mente i pronostici delle Sibille
che, nelle leggende boeme, antiveggono la trasformazione di Praga in
un desolato viluppo di fango, sterpaglia e macerie, brulicante di
rettili e di sozzissimi diavoli (9)
Ma tutto questo delirio, nebbia di un'inventiva malata, robaccia
da untori. Perch come il poeta Karel Toman afferma, 勁'unica legge
germogliare e crescere,@ crescere nella tempesta e nelle
intemperie@ a dispetto di tutto@(10) E dunque: alla malora gli
aruspici e le puttanesche sibille. Non avrfine la fascinazione, la
vita di Praga. Svaniranno in un baratro i persecutori, i monatti. Ed
io forse vi ritorner Certo che vi ritorner In una bettola di Mal
Strana, ombre della mia giovinezza, stappate una bottiglia di M瘭n骿.
Andra Praga, al cabaret Viola, a recitare i miei versi. Vi porter
i miei nipoti, i miei figli, le donne che ho amato, i miei amici, i
miei genitori risorti, tutti i miei morti. Praga, non ci daremo per
vinti. Fatti forza, resisti. Non ci resta altro che percorrere
insieme il lunghissimo, chapliniano cammino della speranza.
::::::::::
(10) Karel Toman, Duben, in M瘰ice (1918), ora in B滻n Dilo, I,
Praha 1956, p' 116.
Fine

NOTE:
(1) Marina Cvetaeva, Stichi k 柚echii, in Izbrannye proizvedenija
cit', p' 338.
(2) Else Lasker-Scher, Die Wolkenbrhe cit', p' 38.
(3) Vladimir Holan, Lemuria cit', p' 148.
(4) Cfr' Jaroslav Patera, Bertramka v Praze, Praha 1948, pp' 96-98.
(5) Vladimir Holan, Mozartiana, Praha 1963, p' 73.
(6) Vit瞛slav Nezval, Defenestrace, in Hra v kostky (1928), ora in
B滻nv蟌dn駩o dne, Dilo, XII, Praha 1962, p' 54.
(7) Id', Ve蟌rka, in Praha s prsty de褾 ora in Matka Nad疀e cit',
p' 121.
(8) Id', Praeskchodec cit', p' 244.
(9) Cfr' Alois Jir滻ek, Starpov瘰ti 蟌skcit', pp' 299-307;
Karel Krej鍎, Praha legend a skute螽osti cit', pp' 140-41.






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