JSEMTS搜尋引擎
 

Platone Alcibiade Maggiore 2.1. Impreparazione di Alcibiade come consigliere dell'Assemblea S. - Vediamo: tu sei intenzionato, come affermavo, a presentarti fra poco agli Ateniesi, per dar loro consigli. Se, dunque, mentre stai salendo sulla tribuna, ti raggiungessi chiedendoti: "O Alcibiade, dal momento che ti levi per dare consiglio: su che cosa gli Ateniesi intendono deliberare? Forse su oggetti che tu conosci meglio di loro?", che cosa mi risponderesti? [D] A. - Senz'altro risponderei: "Su argomenti che conosco meglio di loro". S. - Dunque, su cidi cui ti trovi a conoscenza sei un buon consigliere. A. - E come no? S. - Forse, tu conosci soltanto quello che hai imparato da altri, o ciche hai trovato tu stesso? A. - E che cos'altro dovrei sapere? S. - E possibile che tu abbia appreso da altri o abbia scoperto qualcosa senza volerlo imparare nricercare da te? A. - Non possibile. S. - E allora? Non hai mai desiderato cercare o imparare quello che credevi di sapere? A. - Certamente no. [E] S. - Perci vi stato un tempo in cui non sapevi le cose che ti trovi a conoscere adesso? A. - Necessariamente. S. - Ma quello che hai appreso lo conosco press'a poco anch'io: comunque, se mi sfuggito qualcosa, dimmelo. Tu, infatti, hai imparato, per quel che ricordo, a leggere e scrivere, a suonare la cetra e a lottare, mentre non hai voluto apprendere a suonare il flauto5. Questo ciche sai, a meno che tu non abbia imparato qualcosa che mi sia sfuggito. Ma avresti dovuto farlo, penso, senza uscire di casa ne di notte ndi giorno. A. - Non ho frequentato altri che questi. [107 A] S. - Forse, dunque, quando gli Ateniesi delibereranno su come si debbano scrivere correttamente le lettere dell'alfabeto, ti alzerai a dar loro consiglio? A. - Per Zeus, certamente no. S. - E, invece quando delibereranno sull'arte della lira? A. - Per nulla affatto. S. - E non sono nemmeno soliti deliberare sulla lotta nell'Assemblea. A. - No, in effetti. S. - Ma allora, quando deliberano, di che cosa si tratta? Sicuramente non di costruzioni. A. - No di certo. S. - Difatti, un architetto darsu questo consigli migliori dei tuoi. [B] A. - S S. - E non deliberano nemmeno sulla mantica? A. - No. S. - Perchun indovino riuscirmeglio di te. A. - S S. - Sia pure piccolo o grande, bello o brutto, nobile o di oscuri natali. A. - E come no? S. - Penso, infatti, che il consigliare spetti a chi conosce e non a chi ricco. A. - Come potrebbe essere altrimenti? S. - Ma che il consigliere sia povero o ricco non interesserper nulla agli Ateniesi, quando delibereranno [C] intorno alla salute pubblica: vorranno, invece, che sia un medico. A. - E a buon diritto. S. - Pertanto, di che cosa si dovranno occupare, perchtu ti levi a dare consiglio con cognizione di causa? A. - Dovranno deliberare sui propri affari, o Socrate. S. - Ti riferisci alle costruzioni navali, quando si decide quali navi debbano essere fabbricate? A. - Certamente no, Socrate. S. - Penso che dipenda dal fatto che non sai costruire navi. questa la causa, oppure un'altra? A. - No, proprio questa. [D] S. - Ma, allora quali sono gli affari sui quali essi deliberano, cui tu fai riferimento? A. - Si tratta della guerra o Socrate, o della pace, o di qualche altra questione pubblica. 2.2. Il meglio come oggetto della deliberazione dell'Assemblea S. - Intendi dire, probabilmente, quando decidono con chi si debba fare la pace e contro chi combattere e in che modo? A. - S S. - E non si deve, forse, farla con quelli con cui questo meglio? A. - S [E] S. - E quando meglio? A. - Senz'altro. S. - E nel tempo migliore? A. - S S. - Se, dunque, gli Ateniesi deliberassero con chi si debba fare la lotta e con chi il pugilato e in che modo, chi darebbe consigli migliori: tu, oppure il maestro di ginnastica? A. - Senz'altro, il maestro di ginnastica. S. - Mi puoi dunque dire a che cosa mirerebbe il maestro di ginnastica nel consigliare con chi si debba fare la lotta e con chi no, e quando e in che modo? Mi riferisco a questo si deve o no lottare con quelli con cui meglio farlo? A. - S [108 A] S. - E tanto a lungo quanto meglio? A. - Senz'altro. S. - Forse, anche quando meglio? A. - S S. - Ma anche colui che canta non deve forse accordare la cetra e il passo con il canto? A. - Lo deve fare senz'altro. S. - E, probabilmente, quando meglio? A. - S S. - E per tanto, quanto meglio? A. - Lo affermo. S. - Ebbene, poichhai attribuito il termine meglio [B] sia all'accordare la cetra col canto, sia al fare la lotta: che cosa intendi per "meglio" nel suonare la cetra? Mentre io nel caso del fare la lotta intendo come meglio il lottare "ginnicamente", tu come denomini l'altro caso? A. - Non capisco. S. - Cerca almeno di imitarmi. Io, infatti, ho risposto, all'incirca, che il meglio ciche del tutto corretto, ed tale ciche viene prodotto secondo l'arte. Oppure no? A. - S S. - E l'arte a cui ci riferivamo non era la ginnastica? A. - Come no? [C] S. - Sostenevo che il meglio nel fare la lotta ciche ginnico. A. - Dicevi proprio questo. S. - E non era forse esatto? A. - Mi sembra di s S. - Allora, dato che sarebbe opportuno anche per te saper discutere in modo conveniente, dimmi, prima di tutto, qual l'arte da cui dipendono il suonare la cetra, il cantare e il muovere il passo correttamente? Come viene chiamata nel suo insieme? Non sai ancora rispondere? A. - No di certo. S. - Prova, invece, in questo modo: quali sono le dee protettrici di quest'arte? A. - Intendi dire le Muse, Socrate? [D] S. - Appunto. Fa' attenzione: quale nome riceve da esse l'arte? A. - Mi sembra che tu parli della musica. S. - Giusto. Che cos' dunque, corretto secondo la musica? Prima ti ho descritto ciche corretto secondo l'arte della ginnastica, ora vorrei sapere che cosa affermi a proposito di quest'altra arte: come dovressere? A. - Musicale, penso. S. - Dici bene. Continua, dunque: come definisci il meglio nel combattere e nel fare la pace? [E] Come sopra per ciascun'arte hai determinato ciche meglio, perchpimusicale e, nel secondo caso, perchpiginnico, prova anche adesso a dire che cosa sia il meglio. A. - Non ne sono davvero capace. S. - Ma proprio una vergogna! Se qualcuno, mentre parli e dai consigli sul vettovagliamento, mostrando che questo tipo meglio di quello e adesso e in questa misura, ti chiedesse: "Che cosa intendi per meglio, Alcibiade?", tu, riguardo a questo, sapresti dire che si tratta di ciche pisalutare, anche se non pretendi di essere un medico. Invece, se venissi interrogato riguardo a quello [109 A] che presumi di sapere e su cui pretendi di alzarti a dar consiglio, come uno che lo conosca bene, non ti vergogneresti di non saper rispondere? O non ti sembra vergognoso? A. - Lo ammetto. S. - Allora fa attenzione e cerca di dirmi a che cosa miri il meglio nel fare la pace e nel combattere con quelli con cui si deve. A. - Per quanto ci rifletta, non riesco a trovarlo. S. - Non sai, quando facciamo la guerra, di che cosa ci accusiamo a vicenda nel metterci a combattere e come denominiamo questo? [B] A. - Certo. Diciamo di essere ingannati o di subire violenza o di essere defraudati. S. - Vediamo: come diciamo di subire ciascuna di queste cose? Cerca di spiegare quale differenza vi sia tra l'una e l'altra. A. - Forse, ti riferisci, Socrate, al fatto che siano in modo giusto oppure ingiusto? S. - Proprio cos A. - Ma questa una differenza in tutto e per tutto. S. - E allora? Agli Ateniesi, tu contro chi consiglierai di combattere? Contro chi commette ingiustizie o contro chi opera secondo giustizia? [C] A. - Mi rivolgi una domanda insidiosa: infatti, se anche uno pensasse che si debba combattere contro chi agisce secondo giustizia, non lo ammetterebbe di certo. S. - Perchquesto, come sembra, non conforme alle leggi. A. - No di certo: e non mi sembra neppure bello. S. - Pertanto, nei tuoi discorsi anche tu avrai presente ciche giusto ? A. - necessario. S. - Ma, allora, il meglio su cui ti interrogavo poco fa riguardo al combattere o no, e con chi lo si debba fare e con chi no, e quando sia opportuno o meno, sarquello che pigiusto? Oppure no? A. - Sembra cos [D] 3. Discussione sulla giustizia 3.1. Ignoranza di Alcibiade e del popolo riguardo alla giustizia S. - Ma, allora, caro Alcibiade, come stanno le cose? Forse non ti accorgi della tua ignoranza su questo, oppure mi sfuggito che lo hai imparato frequentando un maestro, che ti ha insegnato a distinguere quello che pigiusto da quello che piingiusto? E chi costui? Dillo anche a me, perch presentato a lui, anch'io diventi suo discepolo. A. - Tu ti prendi gioco di me, Socrate. S. - No, per Zeus, che presiede alla nostra amicizia, per cui non vorrei assolutamente spergiurare. Per se hai un tale maestro, dimmi chi [E] A. - E se non lo avessi? Non pensi che possa aver appreso in altro modo che cosa sia giusto e che cosa ingiusto? S. - Senz'altro, se lo avessi trovato tu. A. - E non pensi che abbia potuto trovarlo? S. - Certamente, se lo avessi cercato. A. - E non credi che lo abbia cercato? S. - Sicuramente, se avessi creduto di non saperlo. A. - E non ci fu un tempo in cui mi sono trovato in tale condizione? S. - Dici bene. Mi puoi, allora, indicare quale fu il tempo [110 A] in cui non ritenevi di sapere che cosa sia il giusto e l'ingiusto? Ebbene: l'anno scorso lo cercavi e credevi di non conoscerlo? O lo pensavi? Rispondimi secondo verit perchil nostro dialogo non sia vano. A. - Pensavo proprio di saperlo. S. - E tre anni fa, e quattro e cinque non era cos A. - Senz'altro. S. - Ma prima di allora tu eri un fanciullo, non vero? A. - S S. - So bene che, allora, credevi di conoscerlo. A. - Tu come fai a saperlo? [B] S. - Perchspesso ti ho udito, quando eri fanciullo a scuola o altrove, e giocavi a dadi o a qualcos'altro. Tu non avevi nessun dubbio riguardo a ciche giusto e ingiusto, ma dicevi ad alta voce e con sicurezza riguardo a chiunque tra i tuoi compagni che era cattivo e ingiusto e ti faceva torto. Non dico la verit A. - Ma che cosa avrei dovuto fare, Socrate, quando mi si faceva un'ingiustizia? S. - Mi domandi che cosa avresti dovuto fare quando ignoravi se tu stessi subendo ingiustizia o meno? [C] A. - Per Zeus, non lo ignoravo affatto, ma sapevo bene di subire ingiustizia. S. - Pertanto, anche da fanciullo pensavi di sapere, come sembra, che cosa sia giusto e che cosa sia ingiusto. A. - Senz'altro; e lo sapevo per davvero. S. - Quando l'hai scoperto? Certamente, non quando credevi di saperlo gi A. - No davvero. S. - Allora, quando credevi di ignorarlo? Pensaci: questo tempo, non lo troverai affatto. A. - Per Zeus, o Socrate non so davvero che cosa dire. [D] S. - Dunque, non conosci questo per averlo trovato. A. - Non mi sembra proprio. S. - Eppure, poco fa hai detto di saperlo senza averlo imparato. Se, tuttavia, non l'hai nscoperto nimparato, come fai a saperlo e da dove l'hai saputo? A. - Per forse, non ti ho risposto correttamente, dicendoti di saperlo per averlo trovato da me stesso. S. - Com'andata, invece? A. - L'ho imparato anch'io come gli altri. S. - Siamo tornati di nuovo allo stesso punto. Da chi? Dillo anche a me! [E] A. - Dalla maggior parte della gente. S. - Non ti rifugi certo presso maestri seri, riferendoti ai pi A. - E perch Non sono capaci di insegnare? S. - Nemmeno le mosse per vincere o no nel gioco del tavoliere; eppure, questo mi sembra meno importante di ciche giusto. O no? Tu non sei dello stesso parere? A. - S S. - Se, allora, non sono in grado di insegnare le cose meno importanti, come faranno con quelle piserie? A. - Lo penso anch'io. Per sono capaci di insegnare cose piimportanti del gioco del tavoliere. S. - E quali sono? [111 A] A. - Da questi, per esempio, ho imparato a parlar greco, ma non saprei dire chi fosse mio maestro senza fare riferimento proprio a quelli che tu dici non essere maestri seri. S. - Mio caro, di questo certamente, i pisono ottimi maestri e se ne potrebbe giustamente lodare l'insegnamento. A. - Perchmai? S. - Perch in questo campo, sono in possesso di tutto ciche necessario ad un bravo maestro. A. - Che cosa intendi dire? S. - Non sai che chi vuole insegnare qualcosa [B] deve conoscerlo per primo? Oppure no? A. - Come no? S. - E quelli che sanno devono essere d'accordo fra loro senza alcun dissenso? A. - S S. - E dirai che sanno cisu cui sono in disaccordo? A. - Per nulla affatto. S. - Potrebbero, dunque, insegnare quello? A. - Assolutamente no. S. - Allora, ti sembra che i pisiano in disaccordo nel distinguere una pietra da un legno? Se li interrogassi, non risponderebbero concordi, allo stesso modo [C] e, volendo prendere una pietra o un legno, non si rivolgerebbero allo stesso oggetto? Ed cosanche per tutti gli oggetti dello stesso tipo: mi pare, infatti, di capire che tu con parlare in greco ti riferisca a questo. Oppure no? A. - S S. - Dunque, su ci come s'detto, i singoli in privato sono tutti d'accordo tra di loro. Invece, in pubblico le Cittnon sono in contrasto tra loro, intendendo le une una cosa, le altre un'altra? A. - No di certo. S. - Pertanto, naturale che essi siano dei buoni maestri di questo [D] A. - S S. - Allora, se volessimo aiutare qualcuno ad impararlo, faremmo bene a mandarlo alla scuola dei pi A. - Certamente. S. -Tuttavia, se volessimo sapere non soltanto quali siano uomini e quali cavalli, ma anche quali tra essi siano adatti alla corsa e quali no sarebbero ancora i piquelli capaci di insegnarlo? A. - Senz'altro no. S. - Ma vederli in disaccordo non proverebbe per te in modo sufficiente [E] che sono cattivi maestri a questo riguardo? A. - Penso di s S. - E allora, sugli uomini e sugli atti giusti e ingiusti, [112 A] ti sembra che i pisiano d'accordo con se tra loro? A. - Senza dubbio no, per Zeus, o Socrate. S. - E che, anzi, siano in disaccordo soprattutto su questo? A. - Esattamente. S. - Perci credo che tu non abbia mai visto nudito che gli uomini siano talmente in disaccordo su ciche salutare o no, da combattersi per questo e uccidersi a vicenda. A. - Senz'altro no. S. - Di dispute riguardo a ciche giusto e ingiusto [B] so che, anche se non ne hai viste, certo hai sentito parlare sia da molti altri, sia da Omero, dato che hai udito l'Odissea e l'Iliade. A. - Sicuramente, Socrate. S. - E questi poemi non trattano di un disaccordo su ciche giusto e ingiusto? A. - S S. - E da questo contrasto trassero origine i combattimenti e le morti sia per gli Achei sia per i Troiani loro nemici, come anche per i pretendenti di Penelope e Ulisse? [C] A. - Dici la verit S. - Penso che sia cosanche per gli Ateniesi e gli Spartani e i Beoti morti a Tanagra, come pitardi per quelli di Cheronea, fra i quali cadde tuo padre Clinia. Il disaccordo che provocquelle morti e quei combattimenti non riguardava nient'altro che il giusto e l'ingiusto. Non cos A. - S vero. S. - Allora potremmo dire che essi conoscano cisu cui sono cosin disaccordo da procurarsi, combattendosi [D] a vicenda, i peggiori danni? A. - Non mi sembra proprio. S. - Pertanto, ti riferisci a maestri tali che, come ammetti, non sanno? A. - Sembra. S. - Com' dunque, possibile che tu conosca ciche giusto e ciche ingiusto, se sei cosincerto a questo proposito, e non sembra nemmeno che tu lo abbia imparato da nessuno nche tu stesso lo abbia trovato? A. - Da quello che dici non sembra possibile. [E] 3.2. Osservazioni sul metodo dialogico S. - Non vedi, o Alcibiade, che anche questa volta hai detto male? A. - A che proposito? S. - Perchaffermi che sia io a parlare di questo. A. - E come? Non sei tu ad affermare che io non so nulla del giusto e dell'ingiusto? S. - Per nulla affatto. A. - Allora, sono io? S. - S A. - Ma come? S. - Lo saprai in questo modo: se ti domandassi quale sia il numero maggiore fra l'uno e il due tu non diresti che il due? A. - Certamente. S. - Di quanto? A. - Di un'unit S. - Ma allora, chi di noi due afferma che il due maggiore del l'uno? A. - Io. S. - Forse io ero l'interrogante, [113 A] tu quello che rispondeva? A. - S S. - Su questo, allora, chi risulta essere colui che afferma? Io che interrogo o tu che rispondi? A. - Io. S. -E se ti chiedessi da quali lettere costituito il nome di Socrate e tu rispondessi, chi sarebbe colui che afferma? A. - Io. S. - Ebbene, dimmi in una parola: quando vi siano una domanda ed una risposta, chi colui che afferma, chi interroga, oppure chi risponde? A. - Mi sembra, Socrate che sia chi risponde. [B] S. - Allora, poco fa non so no stato sempre io ad interrogare? A. - S S. - E tu invece eri colui che rispondeva? A. - Senz'altro. S. - Ma allora, chi di noi due ha affermato ciche stato detto? A. - chiaro, Socrate, da quanto abbiamo convenuto, che sono stato io. S. - Dunque, riguardo al giusto e all'ingiusto si detto che il bell'Alcibiade, figlio di Clinia, non sapeva nulla, benchcredesse di conoscerlo ed intendesse presentarsi all'assemblea per consigliare gli Ateniesi su ciche ignorava? Non era forse cos [C] A. - Pare di s S. - In questo caso, Alcibiade, appropriato ciche afferma Euripide: pu darsi che tu abbia udito questo da te e non da me, e che non sia io a dirlo, benstu, che mi accusi a torto. Tuttavia, fai bene ad affermarlo, perchhai in mente, carissimo, di intraprendere un'impresa folle, ossia di insegnare quello che non sai, pur avendo trascurato di impararlo. [D] 4. Discussione sull'utile 4.1. Ignoranza di Alcibiade riguardo all'utile A. - Tuttavia, Socrate, penso che gli Ateniesi e gli altri Greci deliberino raramente su ciche pigiusto o piingiusto. Essi ritengono, infatti, che tali questioni siano chiare: percile trascurano e considerano che cosa sia pi utile fare. Non credo davvero che il giusto e l'utile siano la stessa cosa, anzi, mentre a molti stato utile commettere grandi ingiustizie, per altri, mi pare, aver compiuto azioni giuste non stato giovevole. S. - Ma come, se il giusto e l'utile sono cosradicalmente diversi [E] tu pensi di sapere che cosa sia utile agli uomini e perch A. - E che cosa me l'impedisce, Socrate? A meno che tu non mi chieda di nuovo da chi lo abbia imparato o come l'abbia trovato da me. S. - Ecco come ti comporti. Se affermi qualcosa di inesatto ed possibile dimostrarlo con lo stesso ragionamento di poco prima, allora pensi di dover ascoltare qualcosa di nuovo e altre argomentazioni, come se le precedenti fossero simili ad abiti consunti, che tu non voglia piindossare, a meno che non ti si presenti un'argomentazione pulita [114 A] e senza macchia. Ma io, messi da parte i tuoi tentativi di discussione, nondimeno ti chiederdi nuovo donde tu abbia imparato a conoscere l'utile e chi sia il tuo maestro: con una sola domanda, ti chiedo tutto cisu cui ti avevo interrogato prima. Tuttavia, chiaro che tornerai allo stesso punto e non giungerai a dimostrare di conoscere l'utile nper averlo trovato tu, nper averlo imparato Poich invece, fai lo sdegnoso e non vuoi pigustare volentieri lo stesso ragionamento, rinuncerad esaminare la tua conoscenza o meno di ciche utile agli Ateniesi. [B] Ma, perchnon hai dimostrato se il giusto e l'utile sono identici, oppure no? Se vuoi, interrogami, come io faccio con te altrimenti, procedi pure nel ragionamento a modo tuo. A. - Tuttavia, non so se sarei capace, Socrate, di svilupparlo davanti a te. S. - Mio caro amico immagina che io sia l'Assemblea e il popolo: anche ltu dovrai persuadere ciascuno. Non cos A. - S S. - La stessa persona non sarcapace di persuadere, su ciche conosce, uno solo e molti, [C] come il grammatico, quando si tratta di lettere, persuade sia uno sia molti? A. - S S. - E anche riguardo ai numeri, la stessa persona persuadersia uno sia molti? A. - S S. - E sarcolui che li conosce, ossia il matematico? A. - Certamente. S. - Di conseguenza anche tu, su quello di cui sei capace di persuadere molti, sei pure in grado di persuadere uno solo? A. - Sembra. S. - Si tratta, chiaramente di ciche sai. A. - S S. - E che differenza vi sarfra colui che parla in mezzo al popolo e colui che discorre in una conversazione come la nostra, se non che l'uno persuade molti insieme [D] dello stesso tema di cui l'altro persuade ciascuno singolarmente? A. - Pare. S. - Ebbene, poichsembra proprio della stessa persona persuadere sia molti sia uno solo, esercitati con me e cerca di mostrarmi che, talvolta, il giusto non utile. A. - Sei prepotente, Socrate! S. - E adesso, con la prepotenza, intendo convincerti del contrario di quello su cui tu non vuoi persuadermi. A. - Allora, parla! S. -Devi soltanto rispondere alle domande. [E] A. - Per nulla affatto: devi parlare tu. S. - Come? Non vuoi essere del tutto convinto? A. - Senz'altro. S. - Ebbene, se tu stesso arrivassi ad affermare che le cose stanno cos saresti del tutto convinto? A. - Mi sembra proprio. S. - Allora, rispondi; e se tu non sentirai te stesso affermare che ciche giusto anche utile, non credere ad un altro che te lo dica. A. - No di certo. Per devo rispondere: comunque, non penso di esser danneggiato da questo. [115 A] 4.2. Identitdi giusto e utile sulla base della identitdi giusto, bello, buono e utile S. - Sei proprio un indovino. E dimmi: delle cose giuste, tu affermi che alcune sono utili, mentre altre no? A. - S S. - E inoltre, tu pensi che alcune di esse siano belle, mentre le altre no? A. - Che cosa intendi dire con questa domanda? S. - Non ti mai sembrato che qualcuno compisse azioni brutte, ma giuste? A. - Non mi pare. S. - Invece, tutto ciche giusto anche bello? A. - S S. - E allora, le cose belle sono forse tutte buone, oppure alcune s altre no? A. - Secondo me, Socrate alcune delle cose belle sono cattive. S. - E vi sono anche delle cose brutte, ma buone? A. - S [B] S. - Probabilmente, ti riferisci ad esempi di questo tipo: molti, in guerra, avendo dato aiuto ad un compagno o ad un parente, hanno riportato ferite e sono morti, mentre quelli che non hanno prestato soccorso, pur dovendolo fare, ne sono usciti sani e salvi? A. - Esattamente. S. - Allora, tu affermi che un tale aiuto bello, come tentativo di salvare quelli che si dovevano soccorrere, e che questo coraggio. Oppure no? A. - S S. - Poi, per lo consideri un male in riferimento ai morti e ai feriti,. Non pensi cos A. - S [C] S. - Ma allora, altro il coraggio, altro la morte, o no? A. - Certamente. S. - Pertanto, il soccorrere gli amici non bello e brutto a partire dallo stesso punto di vista? A. - Sembra proprio di no. S. - Considera, allora, se un'azione bella sia anche buona, come in questo caso. In riferimento al coraggio, ammetti che il prestare aiuto sia bello? Esamina, ora, il coraggio in se stesso: buono o cattivo? Procedi nell'osservazione in questo modo: che cosa preferiresti avere, beni o mali? A. - Beni. [D] S. - E i pigrandi di tutti: non e cosi? A. - S S. - E vorresti esserne privato il meno possibile? A. - Come no? S. - Che cosa dici del coraggio? A quale prezzo accetteresti di esserne privato? A. - Non accetterei nemmeno di vivere, se dovessi essere vile. S. - Pertanto, la viltti sembra essere il male estremo? A. - Per me, s S. - Come il morire, a quanto pare. A. - Lo affermo. S. - Dunque, vita e coraggio sono il contrario della morte e della vilt A. - S [E] S. - E tu vorresti assolutamente avere le prime, ma non le seconde? A. - S S. - Forse, perchconsideri le une i maggiori beni, le altre i maggiori mali? A. - Esattamente. S. - E fra le cose ottime annoveri il coraggio, fra le pessime la morte? A. - Penso di s S. - Allora, il prestar aiuto in guerra agli amici, per il fatto che bello, in quanto un'azione di bene, ossia il coraggio, lo hai definito bello? A. - Mi sembra. S. - Ma invece cattivo, in quanto un atto di male, ossia produce morte? A. - S S. - Allora giusto definire ogni azione cos se la dici cattiva in quanto produce un male, [116 A] la devi chiamare buona in quanto realizza un bene? A. - Mi pare che sia cos S. - Dunque, in quanto buona bella, mentre in quanto cattiva brutta? A. - S S. - Pertanto, mentre affermi che l'aiuto dato in guerra agli amici bello, ma cattivo, non fai nulla di diverso dal dire che buono, ma cattivo. A. - Mi sembra che quello che dici sia vero, o Socrate. S. - Nessuna, dunque, delle azioni belle, in quanto bella, cattiva mentre nessuna di quelle brutte, in quanto tale, buona. [B] A. - Non sembra. S. - Esamina ancora il problema da questo punto di vista: chi compie un'azione bella, non vive anche bene? A. - S S. - E coloro che vivono bene non sono felici? A. - Come dubitarne? S. - E non sono felici per il possesso del bene? A. - Perfettamente. S. - E lo possiedono per il loro vivere buono e bello? A. - S S. - Allora, il vivere bene buono? A. - Come no? S. - E una buona vita bella? A. - S [C] S. - Di nuovo, dunque, bello e buono ci appaiono identici. A. - Evidentemente. S. - Pertanto quello che troviamo bello lo scopriremo anche buono, secondo questo ragionamento. A. - Necessariamente. S. - Come? Ciche buono utile, o no? A. - utile. S. - Riguardo al giusto, ti ricordi come eravamo rimasti d'accordo? A. - Avevamo convenuto, credo, che chi compie delle azioni giuste realizza necessariamente delle azioni belle. S. - E che chi compie azioni belle, fa anche azioni buone? A. - S [D] S. - E che le azioni buone sono utili? A. - S S. - Le azioni giuste, quindi, o Alcibiade, sono utili. A. - Sembra. S. - Ebbene, questo non sei tu ad affermarlo, mentre io ti interrogo? A. - Sono io, come sembra. S. - Se, dunque, uno si alzerper dar consigli agli Ateniesi o ai Peparetii, pensando di conoscere il giusto e l'ingiusto, ma dichiarerche ciche giusto talvolta male, che cos'altro potrai fare se non ridere di lui, dato che anche tu affermi [E] l'identitdi giusto e utile? 4.3. La peggiore ignoranza credere di sapere quello che non si conosce, soprattutto se si tratta della giustizia A. - Ma per gli d鋱, Socrate, non so neppure io quel che dico e, addirittura, mi sento in uno stato strano: quando mi interroghi, mi sembra che le cose stiano ora in un modo, ora in un altro. S. - E ignori, caro Alcibiade, che cosa sia questo stato? A. - Nel modo piassoluto. S. - Se, per qualcuno ti chiedesse se hai due o tre occhi, e due o quattro mani o qualche cosa di simile, credi che gli daresti ora una risposta, ora un'altra, oppure sempre la stessa? [117A] A. - Oramai incomincio a diffidare di me stesso, ma penso che risponderei nello stesso modo. S. - Forse, perchlo sai? Non questo il motivo? A. - Penso di s S. - Allora, cisu cui, senza volerlo, dai risposte contraddittorie, chiaro che non lo conosci. A. - probabile. S. - Ebbene tu affermi anche riguardo al giusto e all'ingiusto, al bello e al brutto, al buono e al cattivo, all'utile e al suo contrario, di essere confuso nel rispondere? Non chiaro che ti smarrisci proprio perchnon li conosci? [B] A. - Mi sembra di s S. - Non forse cos quando non si conosce qualcosa, l'anima cade necessariamente in errore riguardo ad essa? A. - Come no? S. - Ebbene: sai come salire in cielo? A. - Per Zeus, no di certo. S. - E su cila tua opinione erra? A. - Per nulla affatto. S. - Ne conosci il motivo, o te lo devo dire io? A. - Dimmelo. S. - Perch o caro, ignorandolo, non credi di conoscerlo. [C] A. - Che cosa intendi affermare con ci S. - Considera anche tu questo con me. Su quello che non conosci, ma sai di non sapere, cadi forse in errore? Per esempio, sul modo di cucinare i cibi, tu sai con sicurezza di non sapere? A. - Senz'altro. S. - In tal caso pretendi di avere una tua opinione su come si debba cucinare e cadi in errore riguardo a questo, oppure ti rivolgi a chi lo sa? A. - Faccio cos S. - E se fossi su una nave, pretenderesti di decidere tu se [D] si debba muovere il timone in dentro o in fuori e, ignorandolo, cadresti in errore, oppure ti affideresti tranquillamente al pilota? A. - Mi affiderei al pilota. S. - Pertanto, non cadi in errore su ciche non conosci, purchtu sappia di non saperlo? A. - Non mi sembra. S. - Non comprendi che anche gli errori nell'agire dipendono da questa ignoranza, ossia dal fatto che, non sapendo, si crede di sapere? A. - E con questo, che cosa intendi dire? S. - Non intraprendiamo un'azione quando pensiamo di sapere che cosa fare? A. - S [E] S. - E chi non crede di sapere non si affida agli altri? A. - Come no? S. - Pertanto, tra coloro che non sanno, solo questi vivono senza commettere errori, dato che si affidano ad altri su ciche ignorano? A. - S S. - Chi sono, dunque, quelli che sbagliano? Non sono sicuramente quelli che sanno. A. - Senz'altro no. S. - Allora, poichnon sono nquelli che sanno n tra gli ignoranti, quelli [118 A] che sanno di non sapere, quali altri potranno rimanere se non coloro che non sanno, ma credono di sapere? A. - Non altri, ma questi. S. - Pertanto, questa ignoranza causa di mali ed una biasimevole insipienza? A. - S S. - E, forse, quando riguarda i valori pialti ancor pidannosa e turpe? A. - Lo proprio. S. - Pertanto, mi puoi presentare qualcosa pigrande del giusto, del bello, del bene e dell'utile? A. - Senz'altro no. S. - Ma non riguardo a questo che tu affermi di cadere in errore? A. - S S. - E se cadi in errore, non chiaro da quello che si appena detto che [B] non solo ignori ciche piimportante, ma anche che credi di conoscerlo, mentre non lo conosci? A. - Temo che sia cos 5. Intermezzo. Necessitdella "cura di se stessi" per essere veri uomini politici 5.1. Ignoranza di Pericle S. - Ahim Alcibiade, in quale condizione ti trovi! Non ho il coraggio di definirla, ma comunque, dato che siamo soli, ne dobbiamo parlare. Tu vivi, mio caro, nella massima ignoranza, come dimostrano il nostro ragionamento e tu stesso, e per questo ti getti nella vita politica prima di esserti preparato ad essa. D'altra parte, in questa condizione non ti trovi soltanto tu, ma anche la maggior parte di coloro che si occupano [C] della Citt tranne pochi, fra cui, forse, il tuo tutore, Pericle. A. - Si dice, Socrate, senza dubbio, che egli non sia divenuto sapiente da s bensper aver vissuto con molti uomini saggi, come Pitoclide e Anassagora. Anche ora, pur essendo cosavanzato in et sta in rapporto con Damone proprio per questo. S. - Ebbene: hai mai visto un uomo esperto in qualsiasi cosa, incapace di rendere tale anche un altro? Per esempio, colui che ti ha insegnato a leggere e scrivere non era anch'egli esperto in questo e non ha reso tali te e chiunque altro abbia voluto? Non cos A. - S [D] S. - Per questo anche tu avendo imparato da lui, sarai in grado di insegnare ad un altro? A. - S S. - E cosanche il suonatore di cetra e il maestro di ginnastica? A. - Senz'altro. S. - davvero una bella prova della effettiva conoscenza di qualcosa l'essere in grado di farla imparare ad un altro. A. - Mi sembra di s S. - Allora, mi puoi dire chi sia stato reso saggio da Pericle, a partire dai suoi figli? [E] A. - Che cosa ti devo rispondere, Socrate, se i figli di Pericle sono due sciocchi? S. - E invece Clinia, tuo fratello? A. - Perchparlare di Clinia, che un pazzo? S. - Dal momento che Clinia un pazzo ed i figli di Pericle sono due sciocchi, per quale motivo ti trascura, mentre ti trovi in tale condizione? [119 A] A. - Penso che faccia cosperchnon gli presto attenzione. S. - Ma tra gli altri Ateniesi o gli stranieri, fammi il nome di uno, schiavo o libero, che debba al rapporto con Pericle l'essere diventato pisaggio, come io ti potrei citare Pitodoro, figlio di Isoloco e Callia, figlio di Calliade, ciascuno dei quali, pagate cento mine a Zenone, divenuto sapiente e famoso. A. - Per Zeus, non saprei chi nominare. 5.2. Errore di Alcibiade, che crede di avere come rivali degli Ateniesi S. - Va bene. Allora, per quello che ti riguarda, che cosa pensi di fare? Intendi rimanere come sei, oppure applicarti in qualche modo? [B] A. - Vediamolo insieme, Socrate. Per il resto, comprendo ciche dici e sono d'accordo. Anche a me sembra che quelli che si occupano della Citt tranne pochi, siano senza educazione. S. - E questo che cosa significa? A. - Se fossero in qualche modo educati, occorrerebbe che chi si accinge ad affrontarli fosse preparato ed esercitato come gli atleti. Ora, invece, poich anche questi sono entrati nella vita politica senza nessuna preparazione, che bisogno c'di esercizio e formazione? [C] So bene che li supererdi gran lunga con le mie doti naturali. S. - Ahim caro, che cosa hai detto! Com'indegno della tua bellezza e delle altre tue doti! A. - Perche riguardo a che cosa dici questo? S. - Sono dispiaciuto per te e per il mio amore. A. - Ma perch [D] S. -Tu pensi di dover lottare con gli uomini della Citt A. - E con chi, allora? S. - degno di un uomo che crede di essere di animo grande domandare questo? A. - Come dici? Non con questi che dovrlottare? S. - Anche se ti proponessi di guidare una trireme che sta per combattere, ti basterebbe essere il migliore dei tuoi compagni come pilota, oppure penseresti che questo sia, certo, indispensabile, ma che occorra, piuttosto, badare ai tuoi veri avversari e non ai tuoi compagni? Su costoro, infatti, devi risultare tanto superiore, [E] che non credano di potersi misurare con te, bens coscienti della propria inferiorit diventino tuoi alleati contro i nemici, se veramente hai l'intenzione di compiere qualche bella impresa, degna di te e della Citt A. - E proprio quello che ho in mente. 5.3. I veri rivali di Alcibiade sono i re degli Spartani e dei Persiani S. - Allora, proprio degno di te accontentarti di essere migliore dei tuoi soldati e non badare, piuttosto, ai comandanti dei nemici, per riuscire ad essi superiore osservandoli ed esercitando i tuoi sforzi nei loro confronti? [120 A] A. - A chi ti riferisci, o Socrate? S. - Non sai che la nostra Cittsempre in guerra, sia con gli Spartani, sia con il Gran Re? A. - Hai ragione. S. - Pertanto, se hai in mente di essere il comandante di questa Citt sar bene che tu pensi di doverti misurare con il re degli Spartani e dei Persiani? A. - Pudarsi che tu dica il vero. S. - No, mio caro, ma devi badare a Midia, l'allevatore di quaglie [B] e agli altri della stessa specie, che si buttano nell'attivitpolitica, pur avendo ancora nell'animo, come direbbero le donne, capelli da schiavo, per la loro rozzezza, senza essersene liberati. Essi, senza sapere nemmeno il greco, sono venuti per adulare la Citt non per governarla. A questi che ti segnalo devi badare, trascurando te stesso, senza imparare quello che si deve apprendere per affrontare una tale lotta, senza esercitarti in quello che richiede allenamento, [C] senza preparare tutto ciche occorre: cosdevi affrontare il governo della Citt A. - Comunque, Socrate, anche se mi sembra che tu dica la veritcredo, tuttavia, che i generali degli Spartani e il re dei Persiani non siano per nulla diversi dagli altri. S. - Mio ottimo amico, esamina, invece, il valore di questa tua opinione. A. - In riferimento a che cosa? S. - Innanzi tutto, ritieni che ti prenderesti maggiormente cura di te stesso [D] se li temessi pensando che siano terribili, oppure no? A. - chiaro che ciavverrebbe maggiormente se li considerassi terribili. S. - Ma pensi forse di essere danneggiato in qualche modo dal prenderti cura di te stesso? A. - Assolutamente no, anzi penso di trarne grande giovamento. S. - Allora, per prima cosa, in questa tua opinione vi un grave difetto. A. - Dici il vero. S. - In secondo luogo, poi, che questa sia un'opinione falsa, si vede in riferimento al verosimile. A. - Come? S. - Non verosimile che le nature migliori si trovino [E] nelle stirpi pi nobili? Non cos A. - chiaro che si trovano nelle stirpi pinobili. S. - Pertanto, le nature buone, se vengono anche educate bene non diverranno forse perfette quanto a virt A. - Necessariamente. 5.4. Nobilted educazione, doti e ricchezze dei re degli Spartani e dei Persiani S. - Vediamo se, paragonandoci con loro, i re degli Spartani e dei Persiani non ci sembrino innanzi tutto essere di stirpe inferiore. Oppure non sappiamo che gli uni sono discendenti di Eracle, gli altri di Achemene e che la stirpe di Eracle e quella di Achemene risalgono a Perseo, figlio di Zeus? A. - Ma anche la nostra Socrate, risale ad Eurisace, [121 A] e quella di Eurisace a Zeus. S. - E la nostra, nobile Alcibiade, risale a Dedalo, mentre Dedalo discende da Efesto, figlio di Zeus. Tuttavia quelli sono re, discendenti da re, a partire da loro stessi fino a Zeus, gli uni come re di Argo e di Sparta, gli altri sempre come re di Persia, spesso anche dell'Asia, come ora, mentre noi e i nostri padri siamo dei privati cittadini. E se tu dovessi far valere i tuoi antenati e la patria di Eurisace, [B] Salamina, o quella del suo antenato Aiace, Egina, a confronto con Artaserse, figlio di Serse, non pensi a quante risate ti esporresti? Bada, piuttosto, che non risultiamo ad essi inferiori, oltre che per la grandezza della stirpe, anche per l'educazione. Non ti sei accorto dei grandi mezzi dei re spartani, le cui mogli sono per legge sotto la custodia degli efori, perch nei limiti del possibile, il re non nasca clandestinamente da altri che [C] da Eraclidi? Ma il re di Persia supera in tal misura tutti, che nessuno sospetta che il suo erede nasca da altri che da lui: per questo la moglie del re non custodita che dalla paura. Quando poi, nasce il figlio primogenito, cui spetta il regno, prima fa festa tutto il popolo del re mentre, in seguito, al ricorrere di questo giorno, tutta l'Asia celebra con sacrifici e feste il compleanno del re. [D] Invece, quando nasciamo noi, come dice il poeta comico, non se ne accorgono affatto nemmeno i vicini, o Alcibiade. Successivamente, il bambino viene allevato non da una nutrice di poco conto, bensda eunuchi, scelti tra i migliori intorno al re. Essi hanno il compito, sia di prendersi cura di tutto quello che riguarda il neonato, sia di adoperarsi affinchdiventi il pibello possibile, plasmando e raddrizzando le membra del bambino: poichfanno questo, [E] vengono grandemente stimati. A sette anni questi fanciulli vanno a cavallo, frequentano maestri d'equitazione e incominciano a cacciare. A quattordici anni il ragazzo viene affidato ai cosiddetti pedagoghi reali: essi vengono scelti tra i quattro Persiani, nel fiore dell'et considerati migliori, per sapienza, giustizia, temperanza, [122 A] coraggio. Di questi, il primo gli insegna la magia di Zoroastro, figlio di Oromasdo (ossia il culto degli d鋱) e l'arte del regnare; il pigiusto lo educa a dir la veritper tutta la vita; il pi temperante a non farsi dominare da nessun piacere, perchs'abitui a essere libero e veramente re, governando i propri impulsi e non essendone schiavo; il picoraggioso lo prepara a essere impavido e ardito, perch se avrpaura, diverrschiavo. A te invece, o Alcibiade, [B] Pericle ha posto vicino come pedagogo il piinutile dei suoi servi a causa della vecchiaia, Zopiro di Tracia. Potrei anche presentarti gli altri tipi di cura ed educazione dei tuoi avversari, se questo non fosse troppo lungo e, insieme, non bastasse a chiarire tutto ciche ne consegue. Invece, della tua nascita crescita ed educazione, o Alcibiade, (o di qualsiasi altro Ateniese), per essere sinceri, non si cura nessuno, a meno che [C] non sia un tuo amante. Se volessi, infine considerare le ricchezze, il lusso, le vesti, gli strascichi degli abiti, gli unguenti odorosi, il gran seguito di servi, e ogni altra raffinatezza dei Persiani, dovresti vergognarti di te stesso, vedendo quanto sei loro inferiore. Se vorrai, invece, esaminare la temperanza l'ordine, la destrezza, la cordialit la grandezza d'animo, la disciplina, il coraggio, la fermezza, la laboriosit la brama di vittoria e di gloria degli Spartani, ti sentirai proprio un bambino [D] in tutto questo. Anche se ti riferissi alla ricchezza e pensassi di valere qualcosa riguardo a ci non dovremmo tacere nemmeno su tale argomento, purchtu comprenda la tua condizione. Se, infatti, intendi esaminare le ricchezze degli Spartani, capirai che le nostre sono di molto inferiori alle loro. Riguardo al territorio che possiedono, nella loro regione e in Messenia, nessuno potrebbe paragonarsi ad essi nper la quantit nper la qualit n per il possesso di schiavi (tra gli altri vi sono anche gli iloti), nper il numero di cavalli, nper tutti i tipi di bestiame [E] che vengono allevati in Messenia. Comunque, anche mettendo da parte questo, presso tutti i Greci nel loro insieme non vi tanto oro e argento quanto se ne trova in Laconia presso i privati. Esso, infatti, da molte generazioni vi affluisce da tutti i Greci e spesso anche dai barbari, mentre non ne esce affatto; [123 A] anzi, proprio come nella favola di Esopo la volpe disse al leone, si puaffermare che in Sparta sono chiare le orme del denaro che entra, mentre non si vedono quelle nella direzione opposta. Pertanto, si deve proprio riconoscere che, quanto all'oro e all'argento quelli lsono i piricchi tra i Greci e pidi tutti, lo il re perchdi tali entrate le parti piabbondanti e di maggior valore toccano ai re, mentre non piccolo anche il tributo regale che gli Spartani pagano [B] ad essi. E le ricchezze degli Spartani, come sono grandi rispetto a quelle dei Greci, cosnon sono nulla se paragonate con quelle dei Persiani e del loro re. Una volta udii un uomo degno di fede, tra quelli che erano stati alla corte del Re, il quale disse di aver percorso in quasi una giornata di cammino una regione molto ampia e fertile, che gli abitanti del paese chiamano "cintura della sposa del re"; ve n'era anche un'altra che si chiamava [C] "velo" e molti altri luoghi belli e ricchi erano riferiti agli ornamenti della regina: ciascuno prende il nome da una parte del suo abbigliamento. Pertanto, credo che, se qualcuno dicesse ad Amestride, madre del re, moglie di Serse: "Con tuo figlio ha intenzione di competere il figlio di Dinomache, la quale forse ha un corredo del valore di cinquanta mine al massimo, mentre suo figlio non ha nemmeno trecento pletri di terra ad Erchia", ella chiederebbe stupita in che cosa confidi [D] questo Alcibiade che si oppone ad Artaserse. Penso inoltre, che direbbe: "Quest'uomo per la sua impresa non puconfidare in nient'altro che nello studio e nella sapienza: solo essi sono degni di considerazione per i Greci". Ma se venisse a sapere che questo Alcibiade intraprende tale impresa, prima di tutto senza avere ancora compiuto vent'anni, poi assolutamente senza educazione e che, inoltre, mentre il suo amante gli suggerisce, per prima cosa, di imparare, perfezionarsi [E] ed esercitarsi, per poi mettersi a combattere col re, egli non lo ascolta, anzi afferma d'essere all'altezza anche coscom' penso che ella si stupirebbe e domanderebbe: "In che cosa, allora, il giovinetto ripone la sua fiducia?". Se le rispondessimo che confida nella sua bellezza, grandezza, nobilt ricchezza, nelle sue qualitnaturali penserebbe, Alcibiade, che siamo folli, paragonando tutto cicon quello che si trova presso di loro. Credo che anche Lampido, [124 A] figlia di Leotichida, moglie di Archidamo madre di Agide (i quali furono tutti re), si meraviglierebbe, considerando i beni che si trovano presso di loro, se tu avessi in mente di competere con suo figlio mentre sei cos inferiore. Ma allora non ti sembra vergognoso che le mogli dei nemici valutino meglio di noi stessi come dobbiamo essere per poter competere con loro? Ors mio caro, da' retta a me e all'iscrizione di Delfi, "conosci [B] te stesso": sono questi i nostri avversari, non quelli che credi tu; su di essi non potremo avere il sopravvento, se non con lo studio ed il sapere. In mancanza di essi, verrmeno anche la tua gloria sia tra i Greci, sia tra i barbari, mentre mi sembra che tu ne sia desideroso come nessun altro mai lo fu. 6. Indagine sui compiti dell'uomo politico 6.1. Ricerca di ciche rende migliori e picapaci di comandare nella CittA. - Qual allora, Socrate, lo studio a cui ci si deve applicare? Me lo puoi indicare? Mi sembra proprio che tu abbia detto la verit S. - S Perdobbiamo cercare insieme il modo in cui [C] si diventa migliori il pipossibile. Ciche affermo sulla necessitdell'educazione, infatti, non si applica soltanto a te e non a me: tra noi due non c'che una sola differenza. A. - Quale? S. - Il mio tutore migliore e pisapiente del tuo, Pericle. A. - E chi il tuo tutore, Socrate? S. - Il dio, Alcibiade, che non mi ha permesso di discutere con te prima di questo giorno, confidando in lui, affermo che la rivelazione di chi tu sia non potravvenire che attraverso di me. [D] A. - Tu scherzi, Socrate. S. - Forse. Per dico la verit affermando che abbiamo bisogno di studio, o meglio, ne hanno bisogno tutti gli uomini, ma noi due in modo speciale. A. - Che ne abbia bisogno io, non certo falso. S. - E nemmeno che sia necessario a me. A. - E allora, che cosa dobbiamo fare? S. - Non bisogna desistere, ncedere alla debolezza, mio caro amico. A. - Non sarebbe affatto conveniente, o Socrate. S. - No davvero, ma bisogna ricercare insieme. E dimmi: [E] sosteniamo di voler diventare migliori quanto pipossibile. Non cos A. - S S. - In quale virt A. - E chiaro che si tratta di quella degli uomini di valore. S. - Ma in che cosa? A. - Come evidente, negli affari. S. - Quali? Forse quelli riguardanti l'ippica? A. - Per nulla affatto. S. - Perch in questo caso, ci rivolgeremmo ai maestri d'equitazione? A. - S S. - Ma allora, ti riferisci a ciche riguarda la navigazione? A. - No. S. - Perch in questo caso, ci rivolgeremmo ai marinai? A. - S S. - Ma di quali affari si tratta? E chi se ne occupa? A. - Di cidi cui si occupano i migliori Ateniesi. [125 A] S. - Consideri migliori i saggi o gli stolti? A. - I saggi. S. - E ciascuno, dove saggio anche di valore? A. - S S. - Mentre dove e stolto, cattivo? A. - Come potrebbe essere altrimenti? S. - Allora, il calzolaio saggio nel confezionare scarpe? A. - Certamente. S. - E, dunque, di valore in questo? A. - S S. - Ma nella confezione di abiti il calzolaio non stolto? A. - S S. - E, pertanto, in cicattivo? [B] A. - S S. - La stessa persona, dunque, in base a questo ragionamento, sia cattivo, sia di valore. A. - Pare di s S. - Forse affermi che gli uomini capaci sono anche incapaci? A. - Per nulla affatto. S. - Ma allora, chi sono quelli che tu consideri di valore? A. - Quelli che sono in grado di comandare nella Citt S. - Certo non intendi: comandare i cavalli? A. - Senz'altro no. S. - Ti riferisci, invece, agli uomini? A. - S S. - A uomini ammalati? A. - No. S. - A naviganti? A. - No. S. - Allora, a mietitori? A. - Neppure. [C] S. - Sono, per uomini che non fanno nulla, oppure che agiscono? A. - Parlo di persone che agiscono. S. - Di che cosa si tratta? Cerca di farlo comprendere anche a me. A. - Ebbene, si tratta di uomini che hanno relazioni e affari tra loro, come noi che viviamo tra concittadini. S. - Parli del comandare a uomini che si servono di altri? A. - S S. - Ti riferisci ai capi dei rematori? A. - Per nulla affatto. S. - Perchquesta arte compete al nocchiero? A. - S S. - Oppure ti riferisci al comandare agli auleti, [D] che dirigono il canto e si servono di coreuti? A. - Assolutamente no. S. - Perch di nuovo, questa arte compete al maestro del coro? A. - Appunto. S. - Ma allora, che cosa intendi con essere in grado di comandare a uomini che si servono di altri? A. - Parlo di uomini che hanno una vita comune nello Stato e sono in rapporto tra loro: a questi si deve comandare nella Citt S. - Di quale arte si tratta? E come se ti chiedessi di nuovo cisu cui ti ho interrogato poco fa: qual l'arte che rende capaci di comandare a quelli che compiono una navigazione in comune? A. - L'arte del nocchiero. [E] S. - E quale scienza permette di comandare, come si detto poco fa, a quelli che cantano insieme? A. - Quella a cui ti riferivi or ora, l'arte del maestro del coro. S. - Ebbene, come chiami la scienza che permette di comandare a quelli che hanno una vita comune nello Stato? A. - Per me, Socrate, si chiama scienza del consigliare bene. S. - Ma allora, quella dei nocchieri ti sembra priva del consigliare bene? A. - Assolutamente no. S. - Ed invece, un consigliare bene? [126 A] A. - Mi sembra che sia un consigliare bene per la salvezza di chi naviga. S. - Dici bene. E allora, la scienza del consigliare bene di cui tu parli a che scopo mira? A. - A governare meglio la Citte assicurarle la salvezza. 6.2. La Cittviene governata e salvata dall'amicizia e dalla concordia, che si basano su giustizia e conoscenza S. - Ma che cosa, con la sua presenza o assenza, permette che la Cittsia governata meglio e salvata? E come se tu mi chiedessi: "Che cosa con la sua presenza o assenza, fa sche il corpo sia governato meglio e conservato?" ed io ti rispondessi che deve essere presente la salute, assente la malattia. Non pensi anche tu cos [B] A. - S S. - E se tu di nuovo mi chiedessi: "Che cosa deve essere presente, per giovare agli occhi?", allo stesso modo ti direi che deve essere presente la vista, assente la cecit Riguardo agli orecchi, poi, quando assente la sordited invece presente l'udito, funzionano meglio e si trovano in una condizione migliore. A. - Esattamente. S. - E allora, in una Cittche cosa deve essere presente e che cosa assente, perchdiventi migliore e venga meglio curata e governata? [C] A. - Mi sembra, Socrate, che ciavvenga quando vi sia tra i cittadini un'amicizia reciproca, e siano assenti l'odio e la contesa. S. - E per amicizia intendi la concordia o la discordia? A. - La concordia. S. - Attraverso quale arte le Cittsono concordi sui numeri? A. - Attraverso l'aritmetica. S. - E i singoli non lo divengono grazie alla stessa arte? A. - S S. - Pertanto, ciascuno viene ad essere d'accordo con se stesso? A. - S S. - Ma attraverso quale arte ciascuno [D] d'accordo con se stesso nello stabilire quale misura sia pigrande tra la spanna ed il cubito? Non si tratta della metretica? A. - Senz'altro. S. - E, di conseguenza, grazie ad essa sono in accordo anche i singoli e le Citt A. - S S. - Ma allora, riguardo al peso non accade lo stesso? A. - Lo ammetto. S. - La concordia di cui tu parli, in che cosa consiste, a quale scopo mira e quale arte la produce? E l'arte che realizza la concordia nella Cittla stessa che la produce anche nei singoli, in se medesimi e in rapporto ad altri? A. - probabile. S. - E qual allora? Non stancarti di rispondermi, ma [E] abbi il coraggio di parlare. A. - Secondo me, si tratta di quell'amicizia e concordia, per cui il padre e la madre che amano il proprio figlio vanno d'accordo con lui, e il fratello con il fratello e la moglie col marito. S. - Tu, Alcibiade, pensi, dunque, che il marito possa essere d'accordo con la moglie sull'arte del lavorare la lana, senza conoscere ciche ella sa? A. - No di certo. S. - Non nemmeno necessario, dato che si tratta di una conoscenza riguardante le donne. A. - S [127 A] S. - Ma allora, la donna potrebbe essere d'accordo con il marito sull'arte dell'oplita senza conoscerla? A. - No davvero. S. - Mi potresti dire, forse, che si tratta di una conoscenza da uomini. A. - Certamente. S. - Dunque, stando alle tue parole vi sono delle conoscenze da donne altre da uomini A. - E come no? S. - In queste, allora, non vi concordia fra moglie e marito. A. - No. S. - Pertanto, non vi nemmeno amicizia, se l'amicizia concordia. A. - Pare di no. S. - Dunque, se le donne si occupano di ciche loro proprio, non sono amate dai mariti. [B] A. - Non sembra. S. - E nemmeno i mariti dalle mogli, nella misura in cui attendono a ciche loro proprio. A. - No. S. -Nemmeno le Citt allora, vengono ben governate, quando ciascuno attende a ciche gli peculiare? A. - Penso di s Socrate. S. - Come dici? Quando assente l'amicizia che, come affermammo, con la sua presenza fa sche le Cittsiano ben governate, mentre, nel caso contrario, esse non lo sono? A. - Invece, a me sembra che vi sia amicizia tra di essi perchciascuno attende a ciche gli peculiare. [C] S. - Poco fa non ti sembrava cos ora, invece, che cosa sostieni? Se non vi concordia, vi puessere amicizia? O possibile che vi sia concordia intorno a cose che gli uni conoscono, gli altri no? A. - impossibile. S. - Quando ciascuno si occupa di ciche gli peculiare, agisce in modo giusto o ingiusto? A. - In modo giusto: come no? S. - Perci quando i membri di una Cittagiscono in modo giusto, non vi amicizia reciproca? A. - Mi sembra necessario, Socrate. [D] S. - Qual' allora, questa amicizia e concordia di cui parli, in riferimento alla quale dobbiamo essere sapienti e consigliare bene, per essere uomini valenti? Non riesco davvero a comprendere nquale sia nin chi si trovi. Dalle tue parole, talvolta sembra essere presente tra le stesse persone, altre volte no. 7. L'uomo la sua anima 7.1. Chiarificazione del significato del "prendersi cura di s A. - Per gli d鋱, o Socrate, non so neppure io quello che dico, e vi il rischio che gida tempo, senza accorgermene, mi trovi in una situazione vergognosa. S. - Devi farti coraggio. Se, infatti, ti fossi accorto di questo [E] a cinquant'anni, ti sarebbe riuscito difficile prenderti cura di te stesso: ora invece, la tua etquella in cui ci si deve rendere conto di ci A. - Che cosa deve fare pertanto, Socrate, chi si accorge di questo? S. - Rispondere alle domande, Alcibiade. Nel fare questo, al dio piacendo, se si deve credere almeno un po' ai miei presagi, tu e io ci troveremo in una migliore condizione. A. - Ciaccadr se dipende dal fatto che io risponda. S. - Ebbene, che cosa significa prendersi cura di s perchspesso, [128 A] senza accorgercene, non ci succeda di trascurare noi stessi, pur credendo di farlo? E quando un uomo si prende cura di se stesso? Forse, quando si prende cura di ciche suo, allora si occupa anche di s A. - Mi sembra proprio che sia cos S. - Ma un uomo si prende cura dei propri piedi quando si occupa anche di ci che riguarda i piedi? A. - Non capisco. S. - Vi qualcosa che secondo te riguarda la mano? Per esempio, di un anello diresti che riguardi un'altra parte dell'uomo, al di fuori del dito? A. - Senz'altro no. S. - Ebbene, allo stesso modo, anche la scarpa riguarda il piede? A. - S S. - E, in modo simile, i mantelli e le coperte riguardano le altre parti del corpo? [B] A. - S S. - Perci quando ci prendiamo cura delle scarpe, facciamo altrettanto dei piedi? A. - Non riesco a capire bene, Socrate. S. - Ma allora, Alcibiade, non affermi che vi un modo di prendersi cura correttamente di qualsiasi oggetto? A. - Lo affermo. S. - Dunque, quando uno lo rende migliore, secondo te se ne prende cura in modo corretto? A. - S S. - Ma quale arte rende migliori le scarpe? A. - Quella del calzolaio. S. - Perci con l'arte del calzolaio ci prendiamo cura delle scarpe? [C] A. - S S. - E con l'arte del calzolaio ci curiamo anche del piede, oppure lo facciamo tramite quella con cui rendiamo migliori i piedi? A. - Con quella. S. - Ma non si rendono migliori i piedi con l'arte con cui si fa migliorare anche il resto del corpo? A. - Mi sembra che sia cos S. - E non si tratta della ginnastica? A. - Proprio. S. - Con la ginnastica, allora, ci prendiamo cura del piede, mentre con l'arte del calzolaio ci occupiamo di ciche riguarda il piede? A. - Certamente. S. - E con la ginnastica ci curiamo delle mani, mentre con l'arte dell'orefice di ciche riguarda la mano? A. - S S. - Sempre con la ginnastica ci prendiamo cura del corpo, mentre con la tessitura e le altre arti [D] ci occupiamo di ciche riguarda il corpo? A. - proprio cos S. - Pertanto, con un'arte ci si prende cura di un oggetto qualsiasi, con un'altra di ciche lo riguarda. A. - chiaro. S. - Allora, quando ti prendi cura di ciche ti riguarda, non ti occupi di te stesso. A. - Assolutamente no. S. - Perchnon la stessa arte, come sembra, quella con cui ci si prende cura di se quella con cui a si occupa di ciche proprio. A. - Senz'altro no. 7.2. La "cura di s la conoscenza di se stessi S. - Ebbene, con quale arte possiamo prenderci cura di noi stessi? A. - Non lo so. [E] S. - Ma su questo siamo d'accordo: non si tratta dell'arte con cui potremmo migliorare qualsiasi cosa che ci riguardi, bensdi quella con cui rendiamo migliori noi stessi. A. - vero. S. - Allora, avremmo potuto sapere quale arte renda migliori le scarpe, senza conoscere queste ultime? A. - impossibile. S. - E nemmeno quale arte renda migliori gli anelli, senza conoscere questi ultimi A. - vero. S. - Ebbene, potremmo mai sapere quale arte renda migliore se stessi, mentre ignoriamo chi siamo noi stessi? [129 A] A. - impossibile. S. - Ma forse facile conoscere se stessi ed era un buono a nulla colui che ha posto quell'iscrizione sul tempio di Delfi, oppure si tratta di una cosa difficile e non alla portata di tutti? A. - Molte volte, Socrate, mi sembrata una cosa alla portata di tutti, molte volte, invece, assai difficile. S. - Tuttavia, Alcibiade, che sia facile oppure no, per noi la questione si pone cos conoscendo noi stessi potremo sapere come dobbiamo prenderci cura di noi, mentre, se lo ignoriamo, non lo potremo proprio sapere. A. - cos [B] S. - Ebbene, in quale modo si potrebbe trovare questo se stesso? Cos infatti, scopriremo chi siamo, mentre, finchlo ignoreremo, cisarimpossibile. A. - Dici bene. 7.3. L'essenza dell'uomo l'anima, il corpo il suo strumento S. - Fermati, per Zeus! Con chi stai parlando ora? Non stai parlando con me? A. - S S. - E anch'io con te? A. - S S. - Socrate, allora, colui che parla? A. - Proprio. S. - Mentre Alcibiade colui che ascolta? A. - S S. - Ma Socrate non discute forse con parole? [C] A. - ovvio. S. - Il discutere ed il servirsi di parole per te coincidono? A. - Senz'altro. S. - Ma chi si serve e cidi cui ci si serve non sono differenti? A. - Come dici? S. - Per esempio, il calzolaio taglia con il trincetto, la lesina, e altri strumenti. A. - S S. - Pertanto, chi taglia e si serve di qualcosa diverso da ciche, tagliando, usa? A. - Come no? S. - E cosanche gli strumenti di cui si serve il suonatore di cetra sono diversi dal citarista stesso? A. - S [D] S. - Poco fa chiedevo proprio questo: non ti sembra che siano sempre diversi colui che utilizza uno strumento e ciche viene utilizzato? A. - Mi sembra di s S. - E che cosa dobbiamo dire del calzolaio? Taglia soltanto con gli strumenti, o anche con le mani? A. - Anche con le mani. S. - Si serve, dunque, anche di queste? A. - S S. - E non si serve anche degli occhi nel tagliare il cuoio? A. - S S. - Ma abbiamo convenuto che sono diversi colui che si serve di qualcosa e ci di cui si serve? A. - S S. - Dunque, calzolaio e citarista sono diversi dalle mani e [E] dagli occhi di cui si servono? A. - chiaro. S. - E l'uomo non si serve di tutto il corpo? A. - Senz'altro. S. - Ma non ci risultava diverso chi si serve di qualcosa da cidi cui si serve? A. - S S. - Pertanto, l'uomo diverso dal suo corpo? A. - Sembra di s S. - Che cos' allora, l'uomo? A. - Non so che cosa rispondere. S. - Per sai che ciche si serve del corpo. A. - S [130 A] S. - Vi forse qualcos'altro che se ne serve, al di fuori dell'anima? A. - Nient'altro. S. - E se ne serve comandandogli? A. - S S. - Penso che anche su tale altra questione nessuno possa avere un parere diverso. A. - Quale? S. - Che l'uomo sia almeno una di queste tre cose. A. - Quali? S. - O anima, oppure corpo, oppure entrambi insieme, come un tutto unico. A. - Senz'altro. S. - Ma non avevamo ammesso che l'uomo ciche comanda al corpo? [B] A. - Esattamente. S. - Forse il corpo comanda a se stesso? A. - Assolutamente no. S. - Difatti, abbiamo detto che viene comandato. A. - S S. - Allora, questo non potrebbe essere ciche cerchiamo. A. - Non sembra. S. - Ma forse, sono entrambi insieme a comandare al corpo, e questo l'uomo? A. - probabile. S. - Per nulla affatto: se una delle due parti non partecipa al governo, impossibile che il loro insieme comandi. A. - Esatto. [C] S. - Se, allora, non uomo nil corpo, nl'insieme di corpo e anima, resta, credo, da concludere o che l'uomo non sia nulla, oppure che, se qualcosa, non sia altro che anima. A. - Perfetto. S. - Ed necessario dimostrarti ancora pichiaramente che l'anima l'uomo? A. - Per Zeus, mi sembra abbastanza dimostrato. S. - Anche se non una dimostrazione rigorosa, benssoddisfacente, ci pu bastare: avremo una conoscenza rigorosa quando troveremo ciche ora [D] abbiamo trascurato, trattandosi di una lunga ricerca. A. - A che cosa ti riferisci? S. - A ciche dicemmo poco fa, ossia che, innanzi tutto bisogna ricercare che cosa sia questo se stesso. Adesso, invece, al posto del se stesso abbiamo cercato che cosa sia in sogni singolo. Forse baster perchnon si potrebbe dire che vi sia qualcosa di pialto dell'anima. A. - No di certo. S. - Pertanto, giusto credere che, quando tu ed io conversiamo insieme, servendoci di parole, la mia anima si rivolga alla tua? [E] A. - Esattamente. S. - proprio quello che stavamo dicendo anche poco fa: quando Socrate dialoga con Alcibiade, servendosi di parole, non le rivolge al suo viso, come sembrerebbe, bensad Alcibiade stesso, ossia alla sua anima. A. - Sembra anche a me. S. - L'anima, dunque, ci ordina di conoscere colui che comanda di conoscere se stessi. [131 A] A. - Sembra. 7.4. Modi errati di "curarsi di se stessi" S. - Chi, allora, conosce una parte del proprio corpo, conosce ciche gli appartiene, ma non conosce se stesso. A. - cos S. - Di conseguenza, nessun medico e nessun maestro di ginnastica, in quanto tale, conosce se stesso. A. - Non mi sembra. S. - Pertanto, i contadini e gli altri artigiani sono ancora pilontani dal conoscere se stessi. Anzi, questi non sembrano neppure conoscere ciche loro proprio, bensqualcosa di ancora pidistante, secondo [B] le diverse arti da essi esercitate, dato che conoscono, di quello che riguarda il corpo, ciche ad esso giova. A. - vero. S. - Se, dunque, temperanza il conoscere se stessi, nessuno di questi temperante grazie alla propria arte. A. - Non mi sembra. S. - Proprio per questo motivo si ritiene che tali arti siano ignobili e non siano conoscenze degne di un uomo di valore. A. - Senz'altro. S. - Ancora una volta, dunque, chi si prende cura del corpo, si cura di ciche gli proprio, ma non di se stesso? A. Pudarsi che sia cos S. - Chi poi si prende cura delle ricchezze non si prende cura ndi se stesso, n[C] di ciche gli appartiene, ma di qualcosa ancora pidistante? A. - Mi sembra. S. - Chi, dunque, accumula ricchezze non si occupa di ciche gli proprio. A. - Esattamente. 7.5. Amare un uomo amare la sua anima, non il suo corpo S. - Allora, se uno ama il corpo di Alcibiade, non ama Alcibiade, bensuna delle cose che gli appartengono. A. - Dici il vero. S. - Invece ti ama, solo chi ama la tua anima. A. - Questo deriva necessariamente dal ragionamento fatto. S. - Ma chi ama il tuo corpo non ti abbandona forse quando sfiorisce? A. - Mi sembra. [D] S. - Invece, chi ama l'anima non se ne va, finchessa procede sulla via del meglio? A. - Naturalmente. S. - Ecco, io sono colui che non ti abbandona, ma rimane quando il tuo corpo sfiorisce, mentre gli altri si sono allontanati. A. - E fai veramente bene Socrate! Non mi abbandonare! S. - Cerca, allora, di essere bello quanto pipossibile. A. - Cerchersenz'altro. [E] S. - La situazione questa: Alcibiade, figlio di Clinia, non ha avuto, nha, come sembra, nessun amante, tranne uno solo, e degno di essere amato, Socrate, figlio di Sofronisco e di Fenarete. A. - vero. S. - Ma non mi avevi detto che ti avevo preceduto di poco, perchtu per primo avevi l'intenzione di avvicinarti a me, volendo sapere perchmai io soltanto non ti abbandoni? A. - Era proprio cos S. - La causa questa: soltanto io ero innamorato di te, mentre gli altri lo erano di quello che ti appartiene. Ma ciche tuo comincia a perdere la floridezza giovanile, mentre tu incominci a fiorire. [132 A] E ora, se non ti lascerai corrompere dal popolo di Atene e non diverrai peggiore, non ti abbandoner Proprio questo ciche soprattutto temo, che tu ti faccia corrompere diventando amante del popolo; a molti Ateniesi di valore, infatti, gicapitata una simile sorte, perch"il popolo del magnanimo Eretteo" ha un bell'aspetto, ma bisogna osservarlo quando si tolto la maschera. Prendi, allora, le precauzioni che ti suggerisco. A. - Quali? [B] S. - Innanzi tutto, mio caro, esercitati e impara ciche si deve conoscere per entrare nella vita politica. Tuttavia, non farlo prima in modo da introdurti quando possiedi l'antidoto, senza patire nulla di pericoloso. A. - Mi sembra che tu dica bene, Socrate; cerca, per di spiegarmi in quale modo potremo prenderci cura di noi stessi. S. - Ebbene, un primo passo in avanti l'abbiamo fatto: su quello che siamo, infatti, abbiamo raggiunto un accordo conveniente, mentre temevamo, caduti in errore su questo, di prenderci cura, senza accorgercene, di qualcosa di diverso, ma non di noi stessi. A. - cos [C] S. - E poi, abbiamo convenuto che ci si deve curare dell'anima e mirare a questo. A. - chiaro. S. - Invece, la cura del corpo e delle ricchezze deve essere lasciata ad altri. A. - Come no? 7.6. Per conoscere noi stessi dobbiamo guardare al divino che in noi S. - In che modo, dunque, si potrebbe cogliere questa veritil pichiaramente possibile? Perchmi sembra che, comprendendola, conosceremo anche noi stessi. Forse, tuttavia, per gli d鋱, non comprendiamo bene il giusto precetto di Delfi, appena ricordato? A. - Che cosa intendi con queste parole, o Socrate? [D] S. - Ti esporrle mie supposizioni su quello che tale precetto ci vuole dire e consigliare. infatti, probabile che di questo non si trovino altri esempi, se non nella vista. A. - Che cosa intendi dire? S. - Rifletti anche tu. Se, essa, nel consigliare il nostro occhio come se fosse un uomo, dicesse: "guarda te stesso", come dovremmo intendere tale esortazione? Non sarebbe nel senso di mirare a ciin cui l'occhio, guardando, vedrebbe se stesso? A. - chiaro. S. - Ebbene, consideriamo quale sia l'oggetto, volgendoci al quale [E] possiamo vedere insieme sia lui, sia noi stessi. A. - chiaro, Socrate, che si tratta degli specchi e di oggetti di tale specie. S. - Dici il vero. Ma forse, anche nell'occhio con cui vediamo, non vi qualcosa di simile? A. - Senz'altro. S. - Non hai notato, allora, che il volto di chi guarda [133 A] nell'occhio appare riflesso, come in uno specchio, nella parte dell'occhio di chi si trova di fronte, che chiamiamo anche pupilla, dato che un'immagine di colui che osserva? A. - Ciche dici vero. S. - Pertanto, se un occhio ne contempla un altro e guarda dentro la sua parte migliore, con cui anche vede, puosservare se stesso? A. - Mi sembra di s S. - Se, invece, osserva un'altra parte dell'uomo o degli esseri, fatta eccezione per quella che gli simile, non vedrse stesso. [B] A. - vero. S. - Se, dunque, l'occhio vuole vedere se stesso deve guardare nell'occhio e in quella parte in cui nasce la forza visiva, che la vista? A. - cos S. - Ma allora, caro Alcibiade, anche l'anima, se vuole conoscere se stessa, deve guardare nell'anima e soprattutto in quella parte in cui sorge la virt dell'anima, la sapienza, e in altro a cui questa assomigli? A. - Mi sembra di s Socrate. [C] S. - Possiamo, perci dire che vi sia una parte dell'anima pidivina di quella in cui hanno sede il conoscere e il pensare? A. - Non possibile. S. - Ebbene, questa parte simile al dio, e chi la contempla e conosce tutto ciche divino, dio ed il pensiero, giunge a conoscere anche se stesso il pi possibile. A. - Sembra. S. - Ma allora, come gli specchi sono pichiari di quello che si trova nel nostro occhio e pipuri e luminosi, cosanche il dio pipuro e luminoso della parte migliore della nostra anima? A. - naturale, Socrate. S. - Perci guardando al dio e, tra le cose umane, alla virtdell'anima ci serviremo dello specchio pibello, e cospotremo vedere e conoscere noi stessi il pipossibile. A. - S 7.7. Solo chi conosce se stesso giusto e temperante e pugovernare la CittS. - Ma non abbiamo convenuto che il conoscere se stessi temperanza? A. - Senz'altro. S. - Ebbene, senza conoscere noi stessi, nessere temperanti, potremmo forse sapere che cosa vi sia in noi, sia di cattivo, sia di buono? A. - E come potrebbe accadere, Socrate? [D] S. - Ti sembrerugualmente impossibile che, senza conoscere Alcibiade, si possa sapere se ciche riguarda Alcibiade sia suo. A. - Davvero impossibile, per Zeus. S. - Non potremmo nemmeno sapere che ciche nostro tale, senza conoscere noi stessi? A. - E come? S. - Ma se non conosciamo ciche nostro, non conosceremo neppure ciche vi connesso? A. - Non mi sembra. S. - Pertanto, poco fa abbiamo sbagliato nel convenire che vi sono alcuni che non conoscono se stessi, ma ciche loro proprio, e altri che conoscono ci che ne dipende. Sembra, infatti, che spetti [E] a una sola persona e arte il considerare s ciche proprio, ciche vi si collega. A. - probabile. S. - Ma allora, chi non conosce ciche gli proprio, ignoreranche ciche appartiene agli altri, per ragioni analoghe. A. - E come potrebbe essere diverso? S. - Se non conosce ciche appartiene agli altri, ignoreranche ciche proprio della Citt A. - necessario. S. - Perci non potrebbe essere un uomo politico. A. - Senz'altro no. S. - E nemmeno un amministratore di affari domestici. [134 A] A. - No di certo. S. - E non saprnemmeno che cosa fa. A. - Proprio no. S. - Tuttavia, se non sa, non sbaglier A. - Certamente. S. - E se sbaglia non si trovermale, sia nella vita privata, sia in quella pubblica? A. - Come no? S. - Ma trovandosi male, non sarinfelice? A. - Proprio. S. - E coloro di cui egli si occupa? A. - Anche questi. S. - Pertanto, non possibile, se non si temperanti e buoni, essere felici. [B] A. - Non possibile. S. - Perci gli uomini cattivi sono infelici. A. - Sono molto infelici. S. - Dunque, all'infelicitnon sfugge chi diventa ricco, benschi diventa temperante. A. - chiaro. S. - Allora, Alcibiade, le Cittnon hanno bisogno ndi mura ndi triremi, n di cantieri, per essere felici, ndi popolazione numerosa ndi grandezza, senza virt A. - Senz'altro no. S. - Se hai intenzione di occuparti della Cittin modo retto e [C] bene, devi rendere partecipi i cittadini della virt A. - Come no? S. - Per uno potrebbe rendere partecipi altri di ciche non ha? A. - E come? S. - Perci tu devi, innanzi tutto, acquistare la virt e questo deve fare chiunque voglia governare e curarsi, non solo di se di ciche gli peculiare57, ma anche della Citte delle funzioni pubbliche. A. - Dici il vero. S. - Non devi, allora, procurare a te stesso e alla Cittnla libertnil potere di fare ciche ti pare, bensgiustizia e temperanza. A. - Mi sembra. [D] S. - Difatti, comportandovi secondo giustizia e temperanza, tu e la Citt agirete in modo gradito al dio. A. - giusto. S. - E, come si diceva prima, nell'agire guarderete a ciche divino e luminoso. A. - Mi pare. S. - Ma, rivolgendo lo sguardo l vedrete e conoscerete anche voi stessi e il vostro bene. A. - S S. - E, allora, agirete secondo rettitudine e bene? A. - S [E] S. - Desidero anche garantirvi che, agendo in tal maniera, sarete felici. A. - Sei davvero un garante sicuro! S. - Se, invece, vi comporterete ingiustamente, mirando a ciche empio ed oscuro, come ovvio, agirete in modo simile, ignorando voi stessi. A. - naturale. S. - Perch caro Alcibiade, a chi abbia il potere di fare quello che gli pare, ma non abbia intelligenza, che cosa capiter probabilmente, sia come privato, sia come Citt Ad esempio, a un malato, che abbia il potere di fare [135 A] ci che vuole, privo di conoscenze mediche, e che spadroneggi senza essere rimproverato, che cosa accadr Non succeder forse, com'naturale, che rovini il proprio corpo? A. - vero. S. - E in una nave, se uno che abbia il potere di fare quello che gli pare, fosse privo di intelligenza ed incapace di pilotare, non vedi che cosa capiterebbe a lui ed ai suoi compagni? A. - chiaro: morirebbero tutti. S. - Ebbene, allo stesso modo, in una Citte in tutti i tipi di governo e [B] di potere, privi di virt si avranno come conseguenza delle disgrazie? A. - necessario. 8. Conclusioni S. - Perci carissimo Alcibiade, non devi cercare, per te e per la Citt il potere tirannico, se desiderate essere felici bensla virt A. - vero. S. - Prima di aver raggiunto la virt conviene essere comandati da chi migliore, piuttosto che comandare, non solo da fanciulli, ma anche quando si uomini fatti. A. - Mi sembra. S. - Ciche migliore anche pibello? A. - S S. - Ma ciche pibello piconveniente? [C] A. - E come no? S. - Pertanto, all'uomo cattivo conviene servire: per lui, infatti, meglio. A. - S S. - La cattiveria, allora, uno stato servile. A. - Mi sembra di s S. - La virt invece, una condizione da liberi. A. - S S. - Perci amico mio, bisogna fuggire lo stato servile? A. - Nel modo piassoluto, Socrate. S. - Ma allora, ti rendi conto della condizione in cui sei? da uomini liberi, oppure no? A. - Mi sembra di rendermene conto fin troppo. S. - E sai come sfuggire a questa tua condizione attuale, che non intendo definire, di fronte ad un uomo cosbello? [D] A. - Lo so. S. - Come? A. - Se lo vuoi tu, Socrate. S. - Non rispondi bene, Alcibiade. A. - Ma come si deve rispondere? S. - Se il dio lo vuole. A. - Dircos Inoltre, aggiungo che corriamo il rischio di scambiarci le parti, Socrate, io la tua, e tu la mia. Non infatti, possibile che, da oggi in poi, io non segua ovunque te, e tu me. [E] S. - Nobile giovane! Il mio amore non sarper nulla diverso da quello di una cicogna; dopo aver fatto schiudere in te un amore alato, verra sua volta curato da esso. A. - proprio cos e voglio incominciare da ora ad occuparmi della giustizia. S. - Vorrei che tu perseverassi, ma ho paura, non per mancanza di fiducia nella tua natura, bensnel vedere la forza della Citt che essa prenda il sopravvento su di me e su di te. Note 1-Il daimonon era un "segno", una "voce" divina, che vietava o suggeriva a Socrate delle azioni. 2-Pericle (499-429 a.C.), figlio di Santippo, vincitore della battaglia di Micale (479 a.C.) contro i Persiani, e di Agaristo, nipote di Clistene, fu uno dei picelebri uomini politici ateniesi. 3-Si tratta di due celebri imperatori persiani, della stirpe degli Achemenidi; regnarono rispettivamente nel 559-529 a.C. e nel 486_465 a.C. circa. Cfr. 120 E-124 B, l'ampia descrizione dello splendore e dei pregi della civiltpersiana. 4-Socrate oppone, al lungo "discorso di parata" dei Sofisti, che un vuoto sfoggio di bravura, il proprio metodo dialogico, fondato sul rapporto fra anima e anima, procedendo per domanda e risposta. 5-Plutarco, Vita di Alcibiade, 2, attesta l'odio di Alcibiade per il flauto, di cui Aristotele, Politica, VIII 6, presenta il motivo. 6-Cfr. Platone, Eutifrone, 3 B-C; Leggi, 759 D. 7-Cfr. Cratilo, nota 7. 8-Cfr. Omero, Iliade, XXIII 85-88; Platone, Liside, 206 E; Teeteto, 154 C. Far torto, nelle gare e nei giochi, consiste nel violame le leggi (cfr. Aristofane, Nuvole, 25). 9-Cfr. Carmide, 174 B; Gorgia, 450 D; Repubblica, I 333 B, II 374 C. 10-Battaglia che ebbe luogo nel 457 a.C. fra Ateniesi da una parte e Spartani e Beoti dall'altra. 11-A Cheronea, Filippo, re di Macedonia, vinse gli Ateniesi nel 338 a.C. 12-Il metodo dialogico di Socrate consisteva nel limitarsi a porre domande, mentre l'onere delle risposte e delle affermazioni ricadeva sull'interlocutore. 13-Cfr. Euripide, Ippolito, 352. 14-Le parole contenute in Alcibiade maggiore, 115 E, 5-7, non si trovano nei codici, ma sono state tramandate soltanto da Giovanni Stobeo. Si noti che Socrate, per dimostrare che il bello buono, fa leva sul coraggio: la prova valida solo se si ammette, come fa Alcibiade, che il coraggio buono. 15-La locuzione greca eu pr輆tein significa, sia "star bene", "comportarsi bene", sia "essere felici". Socrate si basa su questo doppio senso per dimostrare che cio che bello utile. 16-Sono gli abitanti dell'isola di Pepareto, oggi chiamata Skopelos, una delle Sporadi. 17-Il pitagorico Pitoclide di Ceo era un maestro di musica. Platone, Protagora, 316 A, ne ricorda anche le capacitpolitiche. 18-Per Anassagora di Clazomene filosofo presocratico pluralista. Per il rapporto fra Anassagora e Pericle, cfr. Fedro, 270A. 19-Damone, un celebre musico, viene ricordato in Lachete, 180D; Repubblica, III, 400 B; IV, 424 C. Plutarco, Vita di Pericle, 4, lo presenta anche come un uomo politico. 20-I figli di Pericle, Xantippo e Paralo, morirono di peste prima del padre. 21-Pitodoro, figlio di Isoloco, era un ammiratore di Zenone di Elea. 22-Callia, figlio di Calliade, non deve essere confuso con Callia, figlio di Ipponico, personaggio del Protagora. Era un generale ed un uomo politico di Atene. 23-Su Zenone di Elea, cfr. Fedro, 66. La mina era una moneta ateniese, del valore di 100 dracme (cfr. nota 46). 24-Tipica espressione platonica per designare i re dei Persiani. 25-Midia, che era un personaggio malfamato ed un demagogo, faceva l'allevatore di quaglie; Aristofane, Gli uccelli, 1297, lo denomina "quaglia". L'ironia di Socrate molto forte, dato che anche Alcibiade era un appassionato allevatore di quaglie, come molti giovani ateniesi, che se ne servivano per combattimenti e giochi simili a quelli dei galli. 26-Dato che gli schiavi avevano la testa rasata, quando venivano liberati, per un po' di tempo avevano una capigliatura che ricordava la loro condizione precedente. 27-Il picelebre eroe della mitologia classica, figlio di Zeus e di Alcmena, famoso soprattutto per le dodici Fatiche. 28-Mitico fondatore ed eponimo della stirpe reale persiana detta degli Achemenidi. Secondo Erodoto, Storie, VII, 11, era padre di Teispe, antenato di Ciro e Dario. 29-Eroe, figlio di Zeus e di Danae, antenato diretto di Eracle; fra le sue imprese picelebri si ricorda l'uccisione della Gorgone e la liberazione di Andromeda, che spos 30-Eurisace, figlio di Aiace (cfr. nota 39), dopo la fune della guerra di Troia torna Salamina d'Attica, patria del padre. Secondo una tradizione, consegn l'isola di Salamina agli Ateniesi, e questo gli fece ottenere diritto di cittadinanza. Cos la famiglia di Eurisace si stabilad Atene, dove ebbe, nella sua discendenza, Milziade, Cimone, Alcibiade e Tucidide. 31-Secondo il mito fu un Ateniese, della famiglia reale discesa da Cecrope, padre di Icaro. Gli stata attribuita l'invenzione di molti strumenti, quali il cuneo, la scure e la livella e di statue semoventi. A Creta costruper Minosse il Labirinto, dove fu rinchiuso per aver salvato Teseo, suggerendogli uno stratagemma. Dedalo fabbricallora delle ali di cera, grazie alle quali fugg con Icaro. Sofronisco, padre di Socrate, era scultore, e, pertanto, aveva come protettore Dedalo. Con questo, l'autore del dialogo non solo vuole contrapporre in modo ironico alla stirpe di Alcibiade la propria, ma anche paragonare la capacitdialettica di Socrate all'abilitdi Dedalo. 32-Cittdel Peloponneso, capitale dell'Argolide. 33-Isola del golfo Saronico, vicino ad Atene, presso la quale, nel 480 a.C., la flotta greca, guidata da Temistocle, sconfisse Serse I. 34-Aiace Telamonio, figlio del re di Salamina, Telamone. Partecipalla guerra di Troia. Omero, Illiade, III 226-229, lo presenta come un guerriero di statura tale da sopravanzare tutti della testa e delle spalle. Di grandissimo coraggio, guidava gli Achei all'attacco e ne copriva la ritirata. 35-Isola del golfo Saronico, vicino ad Atene. 36-Artaserse I, figlio di Serse I (cfr. nota 4), regnper quarant'anni, dal 464 al 424 a.C. 37-Si tratta di cinque magistrati di Sparta, che venivano eletti ogni anno dall'Assemblea popolare e godevano di ampi poteri. 38-Affermazione proverbiale, attribuita a Platone commediografo. 39-La nutrice di Alcibiade, originaria della Laconia, secondo una fonte si chiamava Lanica. 40-Zarathustra, capo religioso della Media, vissuto a quanto pare, nel VII-VI secolo a.C. Dopo le guerre persiane comincia diffondersi in Grecia la sua fama, accompagnata, per da notizie molto incerte, come questa dell'Alcibiade maggiore, che lo considera figlio di Ozmud. 41-Cfr. Plutarco, Vita di Licurgo, passim. 42-Regione sud-occidentale del Peloponneso, in cui si trovavano le cittdi Messene, Ira, Delo. 43-Regione sud-orientale del Peloponneso, avente per capitale Sparta. 44-Cfr. Esopo, Favole, 246 (edizione Halm). Aristotele, Politica, I 9, osserva che le ricchezze a Sparta erano distribuite male: alcuni cittadini erano estremamente poveri altri molto ricchi. 45-Amestride era moglie di Serse I e madre di Artaserse I. 46-La mina valeva cento dracme, e la dracma una lira d'oro. Il pletro attico corrisponde a 874 mq, Erchia era un demo (una circoscrizione) dell'Attica. 47-Leotichide, re di Sparta, aveva vinto i Persiani a Micale nel 479 a.C. Agide II, re di Sparta, combattcontro Atene durante la guerra del Peloponneso. Se davvero il dialogo ambientato nel 431, si tratterebbe di un anacronismo di Platone, dato che Agide salsul trono nel 427. 48-Fin dall'antichitsi ignorava l'autore della massima "conosci te stesso", scritta su una colonna del tempio di Delfi. La si attribuiva ad Apollo stesso, o alla Pizia Femonoe o Fanotea, oppure ai Sette Saggi (in particolare a Chilone, Talete, Solone, o Biante), oppure ad Omero. 49-Sul divieto del dio, cfr. il Prologo. A.Carlini (nella nota 1 a p.184 del volume Platone, Alcibiade, Alcibiade secondo, Ipparco, Rivali, Torino 1964), afferma che il termine presentato in 124 C 10, una manipolazione neoplatonica, da intendere come "manifestazione della divinit, ma in questa parte, come in 105 A, Socrate sta proprio svelando i veri intenti di Alcibiade. 50-Le righe contenute in 128 A 13 _ B 1 si trovano soltanto in Stobeo ed Olimpiodoro. 51-Cfr. R.E. Allen, Note on Alcibiades I, 129 B 1, "American Journal of Philology", 83 (1962), pp. 187-190. 52-Come noto, il padre di Socrate si chiamava Sofronisco e faceva lo scultore, mentre la madre, di nome Fenarete, era levatrice. 53-Omero, Iliade, II 457. 54-Questo "altro" simile alla sapienza, potrebbe consistere in massime di pensatori, oppure in oracoli. 55-Il passo di 133 C 8_17 sembra essere un'interpolazione di carattere neoplatonico. 56-Cfr., sopra, 131 B. In questo invito a curarsi autou te kai ton autou, viene adombrato un concetto cardine della politica platonica, il ta eautou prattein, svolgere la propria funzione, su cui si basa la distribuzione delle funzioni delle classi e la definizione della giustizia nella Repubblica. Cfr. W. Jager, Paideia. La formazione dell'uomo greco, vol. II, Firenze 1954 e 1978, p.158. 57-Carlini, Studi ..., alle pp. 172-174 considera 134 D 1 - E 7 un'interpolazione neoplatonica. Cfr. anche 133 C. 58-Come si vede, ad esempio, in Repubblica, IX 571 A - 547 B secondo Matone chi ha natura tirannica non sa comandare a se stesso. 59-Alcuni ritenevano che le cicogne nutrissero i propri genitori, una volta diventati vecchi.






搜尋引擎讓我們程式搜尋結果更加完美
  • 如果您覺得該文件有幫助到您,煩請按下我
  • 如果您覺得該文件是一個一無是處的文件,也煩請按下我

  • 搜尋引擎該文件您看起來是亂碼嗎?您可以切換編碼方式試試看!ISO-8859-1 | latin1 | euc-kr | euc-jp | CP936 | CP950 | UTF-8 | GB2312 | BIG5 |
    搜尋引擎本文件可能涉及色情、暴力,按我申請移除該文件

    搜尋引擎網址長?按我產生分享用短址

    ©2024 JSEMTS

    https://tw.search.yahoo.com/search;_ylt=A8tUwZJ2QE1YaVcAUmFr1gt.;_ylc=X1MDMjExNDcwNTAwMwRfcgMyBGZyA3lmcC10LTkwMC1zLXR3BGdwcmlkAwRuX3JzbHQDMARuX3N1Z2cDMARvcmlnaW4DdHcuc2VhcmNoLnlhaG9vLmNvbQRwb3MDMARwcXN0cgMEcHFzdHJsAwRxc3RybAM4NARxdWVyeQMlRTglQjYlODUlRTUlOEYlQUYlRTYlODQlOUIlRTclOUElODQlRTUlQUYlQjYlRTUlQUYlQjYlMjAlRTglODMlQTElRTUlQUUlODklRTUlQTglOUMEdF9zdG1wAzE0ODE0NTc3OTM-?p=%E8%B6%85%E5%8F%AF%E6%84%9B%E7%9A%84%E5%AF%B6%E5%AF%B6+%E8%83%A1%E5%AE%89%E5%A8%9C&fr2=sb-top-tw.search&fr=yfp-t-900-s-tw&rrjfid=9917805 https://tw.search.yahoo.com/search;_ylt=A8tUwYgkQU1YcXoAUE9r1gt.;_ylc=X1MDMjExNDcwNTAwMwRfcgMyBGZyA3lmcC10LTkwMC10dwRncHJpZAMxWU5tY2FYMVFGQ2ZvUXZGN1N0bzVBBG5fcnNsdAMwBG5fc3VnZwMwBG9yaWdpbgN0dy5zZWFyY2gueWFob28uY29tBHBvcwMwBHBxc3RyAwRwcXN0cmwDBHFzdHJsAzQ4BHF1ZXJ5AyVFNiVBRCVBMSVFNiVBRCU4QyUyMCVFNSVCMCU4OCVFNiU4MyU4NSVFNSU5QyU5OAR0X3N0bXADMTQ4MTQ1Nzk3Ng--?p=%E6%AD%A1%E6%AD%8C+%E5%B0%88%E6%83%85%E5%9C%98&fr2=sb-top-tw.search&fr=yfp-t-900-tw&rrjfid=4932996 https://tw.search.yahoo.com/search;_ylt=A8tUwYgkQU1YcXoAUE9r1gt.;_ylc=X1MDMjExNDcwNTAwMwRfcgMyBGZyA3lmcC10LTkwMC10dwRncHJpZAMxWU5tY2FYMVFGQ2ZvUXZGN1N0bzVBBG5fcnNsdAMwBG5fc3VnZwMwBG9yaWdpbgN0dy5zZWFyY2gueWFob28uY29tBHBvcwMwBHBxc3RyAwRwcXN0cmwDBHFzdHJsAzQ4BHF1ZXJ5AyVFNiVBRCVBMSVFNiVBRCU4QyUyMCVFNSVCMCU4OCVFNiU4MyU4NSVFNSU5QyU5OAR0X3N0bXADMTQ4MTQ1Nzk3Ng--?p=%E6%AD%A1%E6%AD%8C+%E5%B0%88%E6%83%85%E5%9C%98&fr2=sb-top-tw.search&fr=yfp-t-900-tw&rrjfid=5434298 https://tw.search.yahoo.com/search;_ylt=A8tUwYgkQU1YcXoAUE9r1gt.;_ylc=X1MDMjExNDcwNTAwMwRfcgMyBGZyA3lmcC10LTkwMC10dwRncHJpZAMxWU5tY2FYMVFGQ2ZvUXZGN1N0bzVBBG5fcnNsdAMwBG5fc3VnZwMwBG9yaWdpbgN0dy5zZWFyY2gueWFob28uY29tBHBvcwMwBHBxc3RyAwRwcXN0cmwDBHFzdHJsAzQ4BHF1ZXJ5AyVFNiVBRCVBMSVFNiVBRCU4QyUyMCVFNSVCMCU4OCVFNiU4MyU4NSVFNSU5QyU5OAR0X3N0bXADMTQ4MTQ1Nzk3Ng--?p=%E6%AD%A1%E6%AD%8C+%E5%B0%88%E6%83%85%E5%9C%98&fr2=sb-top-tw.search&fr=yfp-t-900-tw&rrjfid=9199490 https://tw.search.yahoo.com/search;_ylt=A8tUwZJ2QE1YaVcAUmFr1gt.;_ylc=X1MDMjExNDcwNTAwMwRfcgMyBGZyA3lmcC10LTkwMC1zLXR3BGdwcmlkAwRuX3JzbHQDMARuX3N1Z2cDMARvcmlnaW4DdHcuc2VhcmNoLnlhaG9vLmNvbQRwb3MDMARwcXN0cgMEcHFzdHJsAwRxc3RybAM4NARxdWVyeQMlRTglQjYlODUlRTUlOEYlQUYlRTYlODQlOUIlRTclOUElODQlRTUlQUYlQjYlRTUlQUYlQjYlMjAlRTglODMlQTElRTUlQUUlODklRTUlQTglOUMEdF9zdG1wAzE0ODE0NTc3OTM-?p=%E8%B6%85%E5%8F%AF%E6%84%9B%E7%9A%84%E5%AF%B6%E5%AF%B6+%E8%83%A1%E5%AE%89%E5%A8%9C&fr2=sb-top-tw.search&fr=yfp-t-900-s-tw&rrjfid=5117458 https://tw.search.yahoo.com/search;_ylt=A8tUwZJ2QE1YaVcAUmFr1gt.;_ylc=X1MDMjExNDcwNTAwMwRfcgMyBGZyA3lmcC10LTkwMC1zLXR3BGdwcmlkAwRuX3JzbHQDMARuX3N1Z2cDMARvcmlnaW4DdHcuc2VhcmNoLnlhaG9vLmNvbQRwb3MDMARwcXN0cgMEcHFzdHJsAwRxc3RybAM4NARxdWVyeQMlRTglQjYlODUlRTUlOEYlQUYlRTYlODQlOUIlRTclOUElODQlRTUlQUYlQjYlRTUlQUYlQjYlMjAlRTglODMlQTElRTUlQUUlODklRTUlQTglOUMEdF9zdG1wAzE0ODE0NTc3OTM-?p=%E8%B6%85%E5%8F%AF%E6%84%9B%E7%9A%84%E5%AF%B6%E5%AF%B6+%E8%83%A1%E5%AE%89%E5%A8%9C&fr2=sb-top-tw.search&fr=yfp-t-900-s-tw&rrjfid=8743760