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James Joyce.
GENTE DI DUBLINO.







INDICE.

Le sorelle: pagina 3.
Un incontro: pagina 17.
Arabia: pagina 31.
Eveline: pagina 41.
Dopo la corsa: pagina 49.
Due galanti: pagina 59.
Pensione di famiglia: pagina 76.
Una piccola nube: pagina 88.
Rivalsa: pagina 111.
Polvere: pagina 129.
Un caso pietoso: pagina 140.
Il giorno dell'edera nell'ufficio elettorale: pagina 156.
Una madre: pagina 182.
La grazia: pagina 203.
I morti: pagina 240.





LE SORELLE.

Questa volta per lui non c'era speranza: era il terzo attacco. Una
sera dopo l'altra ero passato davanti alla casa (eravamo in vacanza),
avevo studiato il riquadro illuminato della finestra e lo avevo sempre
visto illuminato nella stessa maniera, debolmente e uniformemente. Se
fosse morto, pensavo, vedrei il riflesso delle candele sulla persiana
abbassata, perché sapevo che si devono mettere due ceri al capezzale
di un morto. Mi aveva detto spesso: "Non ne ho per molto in questo
mondo", e io, che avevo pensato che le sue parole fossero soltanto
oziose, ora sapevo quanto fossero vere. Ogni sera, alzando gli occhi
alla finestra, mi ripetevo sottovoce la parola "paralisi". Era sempre
suonata strana alle mie orecchie, come la parola "gnomone" in Euclide
e la parola "simonìa" nel catechismo. Ma adesso mi sembrava come il
nome di un essere malefico e peccaminoso, che mi riempiva di paura, ma
che nello stesso tempo avrei voluto seguire da vicino per essere
spettatore della sua opera mortale.
Il vecchio Cotter fumava, seduto vicino al fuoco, quando scesi per la
cena e, mentre la zia mi metteva la minestra nel piatto, disse, come
ritornando su una sua precedente osservazione:
"No, non direi che fosse proprio... ma c'era qualcosa di strano...
qualcosa di misterioso in lui. Vi dir• la mia opinione..."
E cominci• a tirare boccate dalla pipa, senza dubbio rimuginando la
sua opinione tra s‚ e s‚. Vecchio sciocco noioso! All'inizio quando lo
avevamo conosciuto, aveva suscitato in noi un certo interesse parlando
di scarti di distillazione e di alambicchi, ma ben presto mi ero
stancato di lui e delle sue storie senza fine sulle distillerie.
"Ho una mia teoria al riguardo," riprese. "Penso sia stato uno di
quei... particolari casi. Ma Š difficile dire..."
Ricominci• a fumare la pipa senza dirci la sua teoria. Lo zio si
accorse del mio sguardo fisso e mi disse:
"Be', cos il tuo vecchio amico se ne Š andato; ti dispiacer…."
"Chi?" chiesi.
"Padre Flynn."
"E' morto?"
"Il signor Cotter me l'ha appena detto. E' passato di l…."
Sapevo di essere osservato, cos continuai a mangiare come se la
notizia non avesse suscitato in me nessun interesse. Lo zio spieg• al
vecchio Cotter:
"Lui e il ragazzo erano grandi amici. Il vecchio gli insegnava tante
cose, sapete. Sembra che lo avesse in gran simpatia."
"Dio accolga la sua anima," fece la zia, pietosa.
Il vecchio Cotter mi osservava. Sentivo su di me lo guardo acuto di
quegli occhietti scuri e pungenti, ma non gli diedi la soddisfazione
di alzare i miei dal piatto. Torn• alla sua pipa e infine sput• con
disprezzo nel fuoco, dichiarando:
"Non mi piacerebbe che i miei ragazzi avessero troppo a che fare con
un tipo simile."
"Che cosa volete dire, Cotter?" chiese la zia.
"Voglio dire," precis• il vecchio Cotter, "che sarebbe un male per
loro. Sono dell'idea che un giovane deve andare a spasso e giocare con
quelli della sua et… e non diventare... Ho ragione, Jack?"
"Condivido il tuo principio," convenne lo zio.
"Che impari a cavarsela. Glielo ripeto sempre a questo Rosacroce: fa'
del movimento. Quando ero ragazzo, tutti i santi giorni facevo un
bagno freddo, inverno ed estate. E Š per questo che sono ancora in
gamba. L'istruzione sar… una bella cosa, ma... Forse il signor Cotter
ne prenderebbe volentieri un pezzetto, di quel cosciotto di montone,"
aggiunse, rivolto alla zia.
"No, no, non per me," si scherm il vecchio Cotter.
La zia prese il piatto di portata dalla credenza e lo mise in tavola.
"Ma perch‚ pensate che non sarebbe bene per i ragazzi, signor Cotter?"
chiese.
"E' un male per loro," disse il vecchio Cotter, "perch‚ hanno delle
menti molto impressionabili. Il vedere cose di questo tipo, voi mi
capite, ha sui ragazzi un effetto..."
Mi riempii la bocca di minestra per paura di dare sfogo alla mia
collera. Vecchio imbecille noioso dal naso rosso!
Era tardi quando mi addormentai. Nonostante ce l'avessi con il vecchio
Cotter per avermi trattato da bambino, mi scervellai per per riuscire
a capire quelle sue frasi lasciate a met…. Nel buio della mia stanza
immaginai di rivedere il viso pesante e grigiastro del paralitico. Mi
tirai le coperte sulla testa e provai a pensare a Natale. Ma il volto
grigio mi seguiva ancora bisbigliando, e capii che voleva confessare
qualcosa. Sentii la mia anima rifugiarsi in una contrada piacevole e
viziosa e l… ritrovavo la sua faccia ad aspettarmi. Cominci• a
confessarsi a me sussurrando e, mentre parlava, mi chiedevo perch‚
sorridesse continuamente e perch‚ le sue labbra fossero umide di
saliva. Ma poi mi ricordai che era morto di paralisi e mi accorsi che
anch'io stavo sorridendo impercettibilmente, come per assolvere il
simoniaco dal suo peccato.
La mattina seguente, dopo colazione, andai a dare un'occhiata alla
casetta, in Great Britain Street. Era un negozio senza pretese,
registrato sotto la vaga denominazione di "Merceria". Le merci erano
soprattutto calzature per bambini e ombrelli, e in genere in vetrina
era appeso un cartello su cui era scritto: "Si ricoprono ombrelli". Ma
ora non si vedeva nessun avviso perch‚ le imposte erano chiuse. Un
mazzolino di fiori guarnito di crespo era legato al battacchio della
porta con un nastro. Due donnette e un fattorino del telegrafo stavano
leggendo il biglietto appuntato sul crespo. Mi avvicinai anch'io e
lessi:
"Primo Luglio 1895, Reverendo James Flynn (gi… della chiesa di Santa
Caterina in Meath Street), di anni 65. R.I.P.".
La lettura del biglietto mi convinse che era morto, e mi sentii
turbato per averlo constatato io stesso. Se non fosse morto avrei
potuto andare nella cameretta buia nel retrobottega e lo avrei trovato
seduto nella sua poltrona vicino al fuoco, quasi soffocato nella
pesante palandrana. Forse la zia mi avrebbe dato un pacchetto di "High
Toast" per lui, e questo omaggio lo avrebbe smosso dal suo torpore.
Ero sempre io a vuotargli il pacchetto nella tabacchiera nera, perch‚
le mani gli tremavano troppo per permettergli di farlo da s‚ senza
spargere una met… del tabacco sul pavimento. Anche quando avvicinava
al naso la grossa mano tremante, nuvolette di polvere gli scivolavano
tra le dita sul davanti della tonaca. Probabilmente erano proprio
stati questi regolari spruzzi di tabacco a conferire ai suoi vecchi
abiti sacerdotali quell'aspetto verdognolo sbiadito, dato che il
fazzoletto rosso col quale provava a spazzolarsi via i grani caduti,
pieno com'era sempre delle macchie di tabacco di un'intera settimana,
era totalmente inefficace.
Sentivo il desiderio di entrare e di guardarlo, ma non avevo il
coraggio di bussare. Perci• mi allontanai lentamente dalla parte
assolata, leggendo, mentre passavo, gli avvisi teatrali nelle vetrine
dei negozi. Pensavo che era strano che n‚ io n‚ la giornata
sembrassimo in lutto, e ero perfino infastidito scoprendo in me un
senso di liberazione, come se la sua morte mi avesse liberato da
qualcosa. Questo mi stupiva perch‚, come aveva detto lo zio la sera
prima, avevo imparato molte cose da lui. Aveva studiato presso il
collegio irlandese a Roma e mi aveva insegnato a pronunciare il latino
con propriet…. Mi aveva raccontato episodi sulle catacombe e su
Napoleone Bonaparte, e mi aveva spiegato il significato dei diversi
momenti della Messa, e anche dei diversi paramenti indossati dal
sacerdote. A volte si divertiva a farmi delle domande difficili,
chiedendomi che cosa si dovesse fare in certe particolari circostanze
e se questo o quel peccato erano mortali, veniali o solo delle
imperfezioni. Le sue domande mi dimostravano quanto complesse e
misteriose fossero certe istituzioni della Chiesa che avevo sempre
creduto che fossero dei semplici gesti. I doveri del sacerdote verso
l'Eucarestia e verso il segreto della confessione mi parevano tanto
gravi da meravigliarmi di come qualcuno avesse mai potuto trovare il
coraggio di portarne il peso; e non rimasi sorpreso quando mi raccont•
che i Padri della Chiesa avevano scritto volumi della mole
dell'Annuario delle Poste, stampati poi a caratteri cos piccoli
quanto il notiziario legale sui giornali, per chiarire queste
complicate questioni. Spesso, pensandoci, non riuscivo a trovare
risposta o ne trovavo una molto sciocca e incerta, della quale lui
sorrideva scuotendo la testa due o tre volte. Oppure mi faceva
ripetere le risposte della Messa, che mi aveva fatto imparare a
memoria; e, mentre le biascicavo meccanicamente, abbozzava un
sorrisetto pensoso e faceva cenni con la testa, fiutando ogni tanto
delle grandi prese di tabacco ora dall'una ora dall'altra narice. Nel
sorridere mostrava una fila di grossi denti giallastri e lasciava
pendere la lingua sul labbro inferiore, un'abitudine che mi aveva
fatto sentire a disagio nei nostri primi incontri, quando non lo
conoscevo ancora bene.
Mentre camminavo sotto il sole mi tornarono alla mente le parole del
vecchio Cotter e mi sforzai di ricordare che cosa era accaduto dopo
nel sogno. Rammentavo di aver notato delle lunghe cortine di velluto e
una lampada di stile antico che oscillava. Sentivo di essere stato
molto lontano, in un paese dalle strane abitudini, in Persia,
pensai... Ma non mi veniva in mente la fine del sogno.
Quella sera la zia mi port• con s‚ per una visita alla casa del
defunto. Era dopo il tramonto, ma i vetri delle finestre che davano
verso ponente riflettevano l'oro bruno di un grande banco di nuvole.
Nannie ci ricevette in anticamera e, poich‚ sarebbe stato sconveniente
parlare forte, la zia si limit• a darle una calorosa stretta di mano.
La vecchia indic• con sguardo interrogativo il piano superiore e, a un
cenno della zia, cominci• a salire faticosamente la stretta scala
davanti a noi, con la testa china che superava a malapena il
corrimano. Sul primo pianerottolo si ferm• e ci fece un gesto come per
incoraggiarci ad avanzare verso la porta aperta della camera ardente.
La zia entr• e la vecchia, vedendomi esitare, riprese a farmi ripetuti
gesti con la mano.
Entrai in punta di piedi. Attraverso l'orlo di pizzo della tendina si
era diffusa per la stanza una cupa luce dorata in cui le candele
sembravano pallide fiammelle. Era stato posto nella cassa. Nannie
diede l'esempio, e tutti e tre ci inginocchiammo ai piedi del letto.
Facevo finta di pregare, ma non riuscivo a concentrarmi perch‚ il
borbottio della vecchia mi distraeva. Notai come era agganciata male
la sua gonna sulla schiena e come i tacchi delle sue pantofole erano
tutti consumati da una parte. Ebbi l'impressione assurda che il
vecchio prete sorridesse, mentre giaceva l…, nella bara.
Ma no. Quando ci alzammo e ci avvicinammo al capezzale vidi che non
sorrideva. Giaceva l…, solenne e imponente, vestito come se stesse per
andare all'altare, tenendo mollemente un calice tra le grosse mani. La
sua faccia sembrava arcigna, grigia e massiccia, con le narici nere e
cavernose cerchiate di una rada peluria bianca. C'era un odore pesante
nella stanza: i fiori.
Ci facemmo il segno della croce e venimmo via. Nella stanzetta al
piano di sotto trovammo Eliza seduta nella poltrona del vecchio prete
con aria solenne. Cercai a tentoni di dirigermi verso la mia solita
sedia nell'angolo, mentre Nannie si avvicinava alla credenza e ne
toglieva una bottiglia di "sherry" e alcuni calici, che mise sulla
tavola invitandoci a prendere un bicchierino. Poi, su suggerimento
della sorella, vers• lo "sherry" nei bicchieri e ce li porse.
Insistette perch‚ io prendessi anche un po' di biscottini alla crema,
ma dissi di no pensando che avrei fatto troppo rumore nel mangiarli.
Parve restare un po' delusa dal mio rifiuto e raggiunse
silenziosamente il divano, dove sedette dietro la sorella. Nessuno
parlava: tutti guardavamo fisso il focolare spento.
La zia aspett• che Eliza sospirasse e poi disse:
"Be', se ne Š andato in un mondo migliore."
Eliza sospir• ancora e chin• la testa in segno di assenso. La zia
giocherell• col bicchiere prima di sorseggiare un po' di "sherry".
"E Š... serenamente?" chiese.
"Oh, proprio serenamente, signora," disse Eliza. "Non ci siamo nemmeno
accorte di quando ha esalato l'ultimo respiro. Ha fatto una bella
morte, ringraziando Dio."
"E quanto ai..."
"Padre O' Rourke Š venuto marted a dargli l'Estrema Unzione e a
prepararlo."
"Dunque sapeva?"
"Era completamente rassegnato."
"Infatti, si vede," convenne la zia.
"Lo ha detto anche la donna che Š venuta a lavarlo. Secondo lei
sembrava che stesse dormendo, tanto pareva tranquillo e rassegnato.
Nessuno avrebbe pensato che da morto avrebbe assunto un aspetto cosi
composto."
"Gi…, Š vero," disse la zia.
Bevve un altro sorso e aggiunse:
"Be', signorina Flynn, comunque deve essere un gran conforto per voi
sapere che avete fatto tutto quello che potevate. Siete state entrambe
tanto care verso di lui, bisogna riconoscerlo."
Eliza si lisci• il vestito sopra le ginocchia.
"Ah, povero James!" esclam•, "Dio sa che abbiamo fatto il possibile,
povere come siamo; non avremmo voluto che gli mancasse niente mentre
era in vita."
Nannie aveva appoggiato la testa sul cuscino del divano e sembrava sul
punto di addormentarsi.
"C'Š la povera Nannie," disse Eliza guardandola, "che Š esaurita.
Tutto il lavoro che abbiamo avuto, lei e io, per trovare la donna che
venisse a lavarlo, e poi vestirlo, la bara, e infine far dire la Messa
in cappella. Se non ci fosse stato Padre O' Rourke non so proprio come
avremmo fatto. E' stato lui a portarci tutti quei fiori e quei due
candelieri dalla cappella, a scrivere l'annuncio per il "Freeman's
General" e a prendersi cura di tutte le formalit… per il cimitero e
per la riscossione dell'assicurazione del povero James."
"Come Š stato buono!" comment• la zia.
Eliza chiuse gli occhi e scosse lentamente la testa.
"Non c'Š niente come i vecchi amici" dichiar•; "se non fosse per loro,
nel momento del bisogno non troveresti nessuno di cui fidarti."
"Proprio cos," disse la zia. "E sono certa che ora che Š andato a
ricevere l'eterna ricompensa non si dimenticher… n‚ di voi n‚ delle
vostre premure."
"Ah, povero James!" fece Eliza. "Non ci dava gran disturbo. Non lo
avreste sentito nella casa pi— di quanto non lo sentiate adesso.
Tuttavia so che se ne Š andato e che tutto..."
"Quando tutto sar… finito, allora s che sentirete la sua mancanza,"
disse la zia.
"Lo so," ammise Eliza. "Non gli porter• pi— il brodo nella sua tazza
n‚ voi, signora, gli manderete il tabacco. Povero James!"
Si interruppe, come se stesse parlando con il defunto, e poi aggiunse
con aria accorta:
"Sapete, avevo notato che stava capitandogli qualcosa, ultimamente.
Ogni volta che gli portavo la zuppa, lo trovavo riverso sulla sedia
con la bocca aperta e il breviario per terra."
Si mise un dito sul naso e corrug• le sopracciglia; poi continu•:
"Nonostante questo, continuava a ripetere che prima che fosse finita
l'estate sarebbe uscito in una bella giornata per fare una passeggiata
in carrozza. Voleva rivedere la vecchia casa di Irishtown dove siamo
nati tutti noi, e diceva che avrebbe portato con s‚ me e Nannie. Se
avessimo solo potuto trovare qui di fronte, da John Rush, una di
quelle nuove vetture imbottite che non fanno rumore, di cui Padre O'
Rourke gli aveva parlato, quelle con le ruote gommate, da noleggiare
per un giorno, avremmo potuto andarci tutti e tre una domenica sera.
Era proprio una fissazione... Povero James!"
"Dio abbia misericordia della sua anima!" comment• la zia.
Eliza tir• fuori il fazzoletto e si asciug• gli occhi. Poi lo rimise
in tasca e fiss• il fuoco spento per qualche istante senza parlare.
"E' sempre stato troppo scrupoloso," riprese. "I doveri del sacerdozio
erano troppo pesanti per lui. E poi la sua vita fu, come dire,
contrastata."
"S," confermo la zia. "Era un uomo deluso. Lo si vedeva."
Un silenzio cadde nella stanzetta e, approfittandone, mi avvicinai
alla tavola per assaggiare il mio "sherry"; poi ritornai
tranquillamente alla mia sedia nell'angolo. Eliza sembrava assorta in
un profondo fantasticare. Aspettammo rispettosamente che fosse lei a
rompere il silenzio: infatti, dopo una lunga pausa, disse lentamente:
"Fu per quel calice che ruppe... Tutto inizi• da l. In effetti
dissero che era una cosa senza conseguenze, che il calice non
conteneva niente, voglio dire. Eppure... Diedero la colpa al
chierichetto. Ma il povero James era cos nervoso, Dio abbia piet… di
lui!"
"E dipese da ci•?" domand• la zia. "Avevo sentito dire qualcosa..."
Eliza fece un cenno affermativo col capo.
"Divent• un'idea fissa per lui," aggiunse. "Da allora inizi• a
chiudersi in se stesso, a non parlare con nessuno e ad andare in giro
da solo. Finch‚ una sera vennero a cercarlo per una chiamata e non
riuscirono a trovarlo in nessun posto. Guardarono da tutte le parti,
ma non ne trovarono traccia. Poi il sagrestano sugger di provare
nella cappella e lui, Padre O' Rourke e un altro prete che si trovava
l portarono una lampada per cercarlo. E dove pensate che fosse, se
non l…, solo nel buio del confessionale, perfettamente sveglio e
ridacchiando tra s‚ e s‚?"
Si ferm• improvvisamente come per ascoltare. Ascoltai anch'io, ma
nessun suono si sentiva nella casa. E sapevo che il vecchio prete
giaceva ancora l… nella sua bara nella posizione in cui lo avevamo
visto noi, solenne e arcigno nella morte, con un inerte calice posato
sul petto.
Eliza riprese:
"Perfettamente sveglio e ridacchiando da solo. E allora, logicamente,
quando videro questo, loro capirono che c'era qualcosa in lui che non
andava..."
















UN INCONTRO.

Fu Joe Dillon a farci conoscere il Wild West. Aveva una piccola
biblioteca con dei vecchi numeri dell'"Union Jack", del "Pluck" e del
"Halfpenny Marvel". Ogni sera, dopo la scuola, ci riunivamo nel suo
giardino dietro la casa e organizzavamo battaglie di indiani. Lui e
quel ciccione del suo fratello minore, Leo, l'indolente, occupavano il
fienile della stalla, e noi cercavamo di prenderlo d'assalto dal
basso; oppure combattevamo una vera e propria battaglia campale sul
prato. Ma, bench‚ ce la mettessimo tutta, non riuscivamo mai a vincere
n‚ un assedio n‚ una battaglia, e le nostre lotte finivano
immancabilmente con la danza di vittoria di Joe Dillon. I suoi
genitori andavano tutti i giorni alla Messa delle otto in Gardiner
Street, e soprattutto in anticamera, aleggiava sempre il lieve profumo
della signora Dillon. Lui per•, per noi che eravamo pi— piccoli e pi—
timidi, era troppo impetuoso nel gioco. Pareva proprio un indiano
quando saltellava per il giardino con un vecchio copriteiera in testa,
battendo su una latta con il pugno e urlando:
"I…, iaca, iaca, i…!"
Restammo tutti increduli quando si diffuse la voce che aveva la
vocazione religiosa. Ma era proprio vero.
Di conseguenza uno spirito di ribellione si diffuse tra di noi e,
sotto la sua influenza, non facemmo pi— caso a diversit… di cultura e
di costituzione fisica. Ci unimmo in una banda, alcuni per baldanza,
altri per scherzo e qualcuno quasi per paura: tra questi ultimi, gli
indiani riluttanti che avevano paura di essere giudicati sgobboni o
gracili, c'ero anch'io. Le avventure raccontate dalla letteratura del
Wild West erano lontane dalla mia natura, ma per lo meno aprivano le
porte all'evasione. Preferivo certi racconti polizieschi, nei quali
ogni tanto facevano delle rapide apparizioni belle ragazze fiere e
scarmigliate. E bench‚ non ci fosse niente di sconveniente in questo
genere di racconti, che a volte avevano anzi una certa pretesa
letteraria, pure a scuola circolavano di nascosto. Un giorno, mentre
Padre Butler stava interrogando sulle solite quattro pagine di storia
romana, quello sciocco di Leo Dillon fu scoperto con una copia
dell'"Halfpenny Marvel".
"Che pagina, questa o quella? Questa? Su Dillon, alzati! 'Il giorno
era appena...'. Avanti! Quale giorno? 'Il giorno era appena
spuntato...' Ma hai studiato? Che cosa hai l in tasca?"
Ci sentimmo tutti battere il cuore, mentre Leo Dillon consegnava il
giornale e prendemmo un'aria innocente. Padre Butler si mise a
sfogliare le pagine, corrugando le sopracciglia.
"Che razza di roba Š questa?" disse. 'Il capo degli Apache!' Ah! Ecco
cosa leggete invece di studiare la storia romana! Che non trovi mai
pi— robaccia simile in classe! Chi l'ha scritta doveva proprio essere
uno di quei poveri disgraziati, che scribacchiano per guadagnarsi quel
tanto che basta per andare all'osteria. Mi meraviglia che dei ragazzi
beneducati come voi leggano di queste cose. Potrei anche capirlo se
frequentaste... la scuola pubblica. In quanto a te, Dillon, ti avverto
una volta per tutte: applicati seriamente al tuo lavoro o..."
Questa ramanzina, durante le serie ore di scuola, spense buona parte
della gloria del Wild West ai miei occhi, e l'imbarazzo della
rubiconda faccia di Leo Dillon risvegli• in me la voce della
coscienza. Ma lontano dall'influenza moderatrice della scuola, mi
riprendeva la smania di sensazioni selvagge, per l'evasione che solo
queste cronache di disordine sembravano offrirmi. A lungo andare il
finto combattimento della sera divent• per me noioso quanto la
giornaliera routine della scuola, perch‚ volevo vivere delle avventure
vere. Ma nella realt… le avventure non capitano a chi se ne sta a
casa: bisogna andarsele a cercare fuori.
Le vacanze estive erano ormai vicine, quando decisi di evadere dalla
monotonia della vita scolastica almeno per una volta. Con Leo Dillon e
un ragazzo di nome Mahony ci mettemmo d'accordo per marinare la scuola
per un giorno. Ognuno di noi mise da parte sei pence. Ci saremmo
incontrati alle dieci del mattino sul Canal Bridge. La sorella pi—
grande di Mahony gli avrebbe scritto una giustificazione, e Leo Dillon
avrebbe fatto dire da suo fratello che era ammalato. Avevamo stabilito
di seguire la Wharf Road fino alle barche e l… traghettare in
"ferryboat" per andare a vedere la Pigeon House. Leo Dillon temeva che
avremmo potuto incontrare Padre Butler o qualcun altro della scuola;
ma Mahony chiese, con molto buon senso, che cosa avrebbe mai dovuto
andarci a fare Padre Butler alla Pigeon House. Questa osservazione ci
rassicur•, e io portai a termine la prima fase del complotto
raccogliendo i sei pence degli altri due e facendo veder loro nello
stesso tempo che anch'io mettevo la mia quota. La sera, mentre
prendevamo gli ultimi accordi, eravamo tutti un po' eccitati. Ci
stringemmo la mano, ridendo, e Mahony disse:
"A domani, camerati!"
Quella notte dormii male. La mattina arrivai per primo al ponte,
perch‚ ero quello che abitava pi— vicino. Nascosi i libri nell'erba
folta vicino all'immondezzaio, in fondo al giardino, dove non veniva
mai nessuno, e mi affrettai lungo l'argine del canale. Si era nella
prima settimana di giugno, e il mattino era mite e soleggiato. Mi
sedetti sul parapetto del ponte, guardandomi con compiacimento le
leggere scarpette di tela, che avevo diligentemente pulito la sera
prima col bianchetto, e osservando i docili cavalli che trascinavano
su per la collina un omnibus carico di gente indaffarata. I rami degli
alti alberi, che fiancheggiavano il viale, davano un tocco di gaiezza
con le loro foglioline verde brillante, attraverso le quali i raggi
del sole battevano obliquamente sull'acqua. Il granito del ponte
cominciava a diventare caldo, e cominciai a battervi sopra con le mani
al ritmo di un motivo che mi era venuto in mente. Ero al massimo della
felicit….
Dopo cinque o dieci minuti che me ne stavo seduto l, vidi a distanza
il vestito grigio di Mahony. Saliva per la collina, sorridendo, e,
raggiuntomi, si arrampic• sul parapetto vicino a me. Mentre
aspettavamo, tir• fuori la fionda che gli sporgeva dalla tasca
interna, e mi spiego alcuni miglioramenti che vi aveva apportato. Gli
chiesi perch‚ l'avesse presa con s‚, e mi rispose che lo aveva fatto
per divertirsi a tirare agli uccelli. Mahony usava frequentemente
espressioni di gergo e parlava di Padre Butler come del "vecchio
spilungone". Aspettammo ancora per un altro quarto d'ora, ma Leo
Dillon non appariva all'orizzonte. Mahony, infine, salt• gi— e disse:
"Vieni via! Sapevo che il ciccione avrebbe avuto fifa."
"E i suoi sei pence..." incominciai.
"E' la multa," dichiar• Mahony. "E tanto meglio per noi. Uno scellino
e mezzo invece di uno scellino."
Ci incamminammo per la North Strand Road fino all'altezza dei Vitriol
Works e poi girammo a destra lungo la Wharf Road. Mahony si mise a
fare l'indiano non appena fummo fuori vista. Insegu un gruppo di
ragazze cenciose, agitando la fionda scarica e, quando due ragazzi
sbrindellati, spinti da un senso di cavalleria, cominciarono a
prenderci a sassate, propose che li caricassimo. Obiettai che i
ragazzi erano troppo piccoli e cos ce ne andammo, mentre la banda di
straccioni ci gridava dietro: "Swaddlers! Swaddlers!", pensando che
fossimo dei protestanti, perch‚ Mahony, che era di carnagione scura,
portava sul berretto il distintivo d'argento di un'associazione di
cricket. Arrivati a Smoothing Iron, organizzammo un assalto che si
dimostr• un fallimento, perch‚ bisognava essere almeno in tre. Ci
vendicammo su Leo Dillon dandogli del fifone e immaginando quante
gliene avrebbe dette il signor Ryan alla lezione delle tre.
E finalmente arrivammo al fiume. Passammo molto tempo a camminare per
le strade rumorose, fiancheggiate da alti muri di pietra; osservavamo
il lavoro delle gru e delle macchine, attirandoci spesso i rimproveri
dei conducenti di carri cigolanti per quel nostro restare l… impalati.
Era mezzogiorno quando arrivammo alla banchina e, dato che sembrava
che tutti i manovali se ne fossero andati a fare colazione, comprammo
due grosse ciambelle con l'uvetta e ci sedemmo a mangiarle su dei tubi
di metallo vicino al fiume. Ci divertimmo a osservare lo spettacolo
del traffico di Dublino: le imbarcazioni segnalate da lontano dai loro
pennacchi di fumo denso, le scure barche da pesca oltre il Ringsend,
il grande veliero bianco che stava scaricando sulla banchina di
fronte. Mahony disse che sarebbe stato molto bello potersene andare
per i mari su quei grossi battelli e anch'io, guardando quegli alberi,
vedevo, o meglio immaginavo di vedere, quella geografia, che mi era
stata propinata in dosi tanto scarse a scuola, prendere gradualmente
sostanza sotto i miei occhi. Scuola e casa parvero allontanarsi da
noi, e la loro influenza sembr• svanire.
Attraversammo il Liffey in "ferryboat", pagando il pedaggio per essere
trasportati in compagnia di due operai e di un piccolo ebreo con un
sacco. Eravamo tanto seri da sembrare solenni, ma una volta, durante
il breve viaggio, i nostri occhi si incontrarono, e scoppiammo a
ridere. Arrivati a terra, osservammo scaricare il bel tre alberi che
avevamo notato dall'altra riva. Uno dei presenti disse che si trattava
di una nave norvegese. Mi avvicinai alla poppa per cercare di leggerne
il nome, ma, non essendoci riuscito, tornai indietro ad esaminare i
marinai stranieri per vedere se qualcuno tra di loro aveva gli occhi
verdi, perch‚ avevo delle nozioni confuse... Ma li avevano azzurri,
grigi, e addirittura neri. Il solo marinaio, i cui occhi potevano
dirsi verdi, era un uomo alto, che divertiva la gente raggruppata
sulla banchina, gridando allegramente ogni volta che le assi cadevano:
"Bene! bene!"
Quando fummo stanchi di questo spettacolo, ci avviammo piano piano
verso il Ringsend. La giornata era diventata afosa e, nelle vetrine
delle drogherie, i biscotti ammuffiti si stavano scolorendo. Comprammo
un po' di biscotti e di cioccolato, che continuammo a mangiare
lentamente per tutto il tempo che girammo per le squallide strade dove
vivevano le famiglie dei pescatori. Non riuscimmo a trovare una
latteria, e quindi entrammo nel chiosco di un venditore ambulante e
comprammo una bottiglia di sciroppo di lampone a testa. Rinfrancato
dalla bibita dissetante, Mahony prese a inseguire una gatta lungo un
sentiero, ma la gatta fugg in un campo. Ci sentivamo tutti e due
piuttosto stanchi e, quando arrivammo al campo, ci dirigemmo subito
verso una scarpata, dall'alto della quale potevamo vedere il Dodder.
Era troppo tardi ed eravamo troppo stanchi per dare seguito al
progetto di visitare la Pigeon House. Dovevamo essere a casa prima
delle quattro, altrimenti la nostra avventura avrebbe rischiato di
essere scoperta. Mahony guardava con rimpianto la fionda, e dovetti
proporgli di tornare a casa in treno perch‚ riacquistasse un po' di
allegria. Il sole spar dietro le nuvole, lasciandoci ai nostri tristi
pensieri e alle briciole delle nostre provviste.
Non c'era nessun altro oltre a noi nel campo. Eravamo l sdraiati da
un po' senza parlare, quando vidi un uomo avvicinarsi dall'estremit…
del campo. Lo guardavo pigramente e intanto masticavo uno di quei
verdi steli sui quali le ragazze predicono la fortuna. Veniva avanti
lentamente lungo la scarpata. Aveva una mano sul fianco e nell'altra
stringeva un bastone col quale batteva leggermente sull'erba. Era
vestito poveramente con un abito nero-verdastro e portava un cappello
a cupola alta, un po' logorato. Doveva essere piuttosto vecchio,
perch‚ aveva i baffi grigio cenere. Passandoci davanti, ci lanci•
un'occhiata di sfuggita e poi tir• dritto per la sua strada. Lo
seguimmo con lo sguardo e lo vedemmo, dopo aver fatto forse cinquanta
passi, girarsi e ritornare indietro. Avanzava verso di noi molto
piano, sempre picchiettando il terreno col bastone, cos piano da
darmi l'impressione che stesse cercando qualcosa nell'erba.
Si ferm• vicino a noi e ci augur• il buongiorno. Ricambiammo il
saluto, e lui si sedette accanto a noi sulla scarpata, lentamente e
con grande cautela. Cominci• a parlare del tempo: avremmo avuto una
estate molto calda, e aggiunse che le stagioni erano cambiate
parecchio da quando era ragazzo lui, tanto tempo fa. Disse che gli
anni pi— belli della nostra vita sono senza dubbio quelli della scuola
e che avrebbe dato qualsiasi cosa per essere giovane ancora. Mentre
esprimeva questi sentimenti, che ci annoiavano un po', restammo zitti.
Poi cominci• a parlare di scuola e di libri. Ci chiese se avessimo
letto le poesie di Thomas Moore o le opere di Walter Scott e di Lord
Lytton. Gli feci credere di aver letto tutti i libri da lui citati, e
cos alla fine disse:
"Ah, vedo che sei un topo di biblioteca come me. Il tuo amico,"
aggiunse indicando Mahony che ci stava guardando a bocca aperta,
"invece Š diverso. A lui piace giocare."
Disse che aveva a casa tutte le opere di Walter Scott e di Lord
Lytton, e che non si stancava mai di leggerle.
"Naturalmente," osserv•, "ci sono alcuni libri di Lord Lytton che i
ragazzi non possono leggere." Mahony chiese perch‚ i ragazzi non
potevano leggerli, domanda che mi turb• e mi mise in imbarazzo per il
timore che l'uomo potesse giudicarmi stupido quanto Mahony. Ma l'uomo
si limit• a sorridere e, mentre sorrideva, notai parecchi spazi vuoti
tra i suoi denti giallastri. Poi ci chiese chi di noi due avesse pi—
innamorate. Mahony, senza starci tanto a pensare, disse di averne tre.
Mi chiese allora quante ne avessi io, e gli risposi che non ne avevo
nessuna. Non mi credette: era sicuro che una dovevo avercela. Restai
zitto.
"Be', sentiamo un po'," chiese Mahony con impertinenza, "quante ne
avete voi?"
L'uomo sorrise come prima e rispose che quando aveva la nostra et… ne
aveva caterve.
"Non c'Š ragazzo," afferm•, "che non abbia la sua innamorata."
Il suo modo di pensare su questo punto mi colp perch‚ stranamente
spregiudicato in un uomo della sua et…. In cuor mio pensavo che era
giusto quello che diceva sui ragazzi e sulle innamorate, ma non mi
piacevano quelle parole in bocca a lui e mi meravigliai vedendolo
rabbrividire una o due volte come se avesse paura di qualcosa o gli
fosse venuto freddo all'improvviso. Mentre riprendeva il discorso,
notai che aveva un buon accento. Cominci• a parlarci delle ragazze,
descrivendoci che bei capelli soffici e che morbide mani avessero;
diceva anche che non erano cos buone come sembravano a prima vista,
se solo se ne approfondiva un po' la conoscenza. Non c'era niente che
gli piacesse tanto quanto guardare una ragazza giovane e carina, le
sue bianche mani e i suoi splendidi capelli soffici. Mi dava
l'impressione che stesse ripetendo qualcosa imparato a memoria o che,
magnetizzato da certe parole del suo stesso discorso, il pensiero
continuasse a girargli lentamente intorno ad una stessa orbita. In
certi momenti parlava come se stesse semplicemente alludendo a fatti
conosciuti a tutti, mentre in altri momenti abbassava la voce e
parlava con aria di mistero, come se stesse dicendoci qualcosa di
segreto, che non voleva che gli altri sentissero. Ripeteva e ripeteva
le sue frasi, cambiandole e rigirandole con voce monotona. Continuai a
tenere gli occhi fissi sul fondo della scarpata, mentre lo ascoltavo.
Dopo un bel po' interruppe il monologo. Si alz• lentamente, dicendo
che doveva lasciarci per un minuto o poco pi—, e, senza cambiare la
direzione del mio sguardo, lo vidi allontanarsi piano piano verso il
fondo del campo. Restammo in silenzio, quando se ne fu andato. Passato
qualche minuto, sentii Mahony esclamare:
"Ma tu... Guarda che sta facendo!"
E poich‚ non rispondevo n‚ alzavo gli occhi, disse ancora:
"Che strano tipo!"
"Se ci chiede i nostri nomi," suggerii, "ricordati che tu ti chiami
Murphy e io Smith."
Non ci dicemmo nient'altro. Stavo ancora pensando se andarmene o no,
quando l'uomo torn• e si sedette di nuovo vicino a noi. Si era appena
seduto quando Mahony, scorgendo improvvisamente la gatta che gli era
scappata, salt• in piedi e cominci• a inseguirla per il campo. L'uomo
e io osservammo la caccia. La gatta scapp• ancora una volta, e Mahony
prese a lanciare sassi contro il muro che l'animale aveva scavalcato;
ma fin col rinunciarvi e si mise a gironzolare verso il fondo del
campo senza scopo.
Dopo una pausa l'uomo mi parl•. Disse che il mio amico era un ragazzo
maleducato e mi chiese se lo frustavano spesso a scuola. Mi sentii sul
punto di replicare indignato che non eravamo ragazzi della scuola
pubblica per essere frustati, ma restai zitto. Ricominci• a parlare
dei diversi modi di punire i ragazzi. Il suo pensiero, come
ipnotizzato dal nuovo discorso, cominci• a girare lentamente in un
circolo vizioso intorno al nuovo centro. Ragazzi di quel tipo, disse,
dovevano essere frustati per bene; ai maleducati e agli indisciplinati
niente poteva servire di pi— di una buona frustata. Colpi sulle mani e
scappellotti non sarebbero serviti: una buona e bruciante staffilata,
ecco cosa ci voleva. Mi sorpresero questi sentimenti, e
involontariamente lo guardai in faccia. Cos facendo incontrai lo
sguardo di un paio di occhi verde bottiglia, che mi scrutavano da
sotto alla fronte contratta e distolsi i miei.
L'uomo continu• il suo monologo. Sembrava aver dimenticato il suo
liberalismo di poco prima. Disse che se mai avesse trovato un ragazzo
a parlare con una ragazza o uno che avesse l'innamorata, lo avrebbe
frustato a sangue: cos avrebbe imparato a lasciar stare le ragazze. E
se, pur avendo l'innamorata, lo avesse nascosto, gliene avrebbe date
tante come nessuno al mondo ne aveva mai prese. Niente gli sarebbe
piaciuto di pi—. Mi descrisse come avrebbe frustato un ragazzo simile,
come se stesse spiegando un complicato mistero. Gli sarebbe piaciuto
enormemente, disse, pi— di qualsiasi altra cosa al mondo, e la sua
voce, mentre mi guidava monotonamente attraverso il mistero, divent•
quasi appassionata e sembr• implorarmi di capirlo.
Aspettai un'altra pausa del suo monologo. Poi mi alzai di scatto. Nel
timore di tradire la mia agitazione aspettai qualche minuto fingendo
di allacciarmi meglio una scarpa e poi, prendendo la scusa che dovevo
andare, gli augurai il buongiorno. Risalii pian piano la scarpata, ma
il cuore mi batteva forte per la paura che potesse prendermi per le
caviglie. Quando arrivai in cima mi girai e, senza guardarlo, chiamai
ad alta voce verso il campo:
"Murphy!"
La mia voce aveva un tono di forzata spavalderia e mi vergognai di
quello stratagemma meschino. Dovetti chiamare ancora una volta prima
che Mahony mi vedesse e mi rispondesse con un richiamo. Come mi
batteva il cuore, mentre correva verso di me per il campo! Correva
come per portarmi aiuto. E provai rimorso, perch‚ in fondo al mio
cuore lo avevo sempre disprezzato un pochino.













ARABIA.

Dato che era un vicolo cieco, la North Richmond Street era tranquilla,
eccetto che nell'ora in cui i Fratelli delle Scuole Cristiane, finite
le lezioni, lasciavano uscire i ragazzi. Una casa disabitata a due
piani occupava il fondo cieco ed era separata dalle abitazioni vicine
da un quadrato di terreno. Le altre case, consapevoli della vita
dignitosa che si viveva al loro interno, si guardavano l'un l'altra
con facce scure e imperturbabili.
Il precedente inquilino della nostra casa, un prete, era morto nel
salotto sul retro. Un odore di muffa impregnava tutte le stanze,
rimaste chiuse per tanto tempo, e sul pavimento del ripostiglio dietro
la cucina erano sparpagliate vecchie carte inutili. Tra queste avevo
trovato alcuni libri: "L'abate" di Walter Scott, "Il comunicante
devoto" e "Le memorie di Vidocq". Quest'ultimo in particolare mi
attirava perch‚ aveva i fogli ingialliti. Al centro del giardino
incolto, posto dietro la casa, c'era un melo, e qua e l… dei cespugli
isolati, sotto uno dei quali trovai la pompa della bicicletta
dell'ultimo inquilino, tutta arrugginita. Era stato un prete molto
caritatevole: nel testamento aveva lasciato tutto il suo denaro a
istituzioni pie e i mobili alla sorella.
Nelle brevi giornate invernali faceva buio prima che avessimo finito
di cenare, e, quando ci ritrovavamo nella strada, le case erano gi… in
ombra. Lo squarcio di cielo sopra di noi era di un colore violetto
cangiante, e verso di esso i lampioni alzavano le loro deboli
lanterne. L'aria fredda ci pungeva, eppure continuavamo a giocare
finch‚ ci sentivamo tutto il corpo in fiamme. Le nostre grida
echeggiavano nella strada silenziosa, e spesso i nostri giochi ci
portavano per vicoli bui e fangosi dietro le case, dove ci scontravamo
con la banda dei monellacci che abitavano nei villini, fino alle porte
posteriori dei giardini scuri e pieni di umidit… da cui emanava il
lezzo degli immondezzai o alle scure stalle odorose, dove un cocchiere
lisciava e spazzolava il suo cavallo o ne faceva tintinnare con dolce
suono le fibbie dei finimenti. Quando tornavamo nella strada, le
finestre delle cucine illuminate avevano gi… inondato di luce i
cortili. Se vedevamo mio zio girare l'angolo, ci nascondevamo
nell'ombra finche non eravamo sicuri che fosse entrato in casa; o se
la sorella di Mangan si affacciava alla porta per chiamare il fratello
per il tŠ, la osservavamo dal nostro nascondiglio guardare su e gi—
per la strada. Stavamo a vedere se restava o se rientrava, e se
rimaneva ci decidevamo a venir fuori e ci incamminavamo su per i
gradini della casa di Mangan con aria rassegnata. Lei ci aspettava, la
figura in risalto sullo sfondo di luce che filtrava dalla porta
semiaperta. Suo fratello le faceva sempre i dispetti prima di
obbedire, mentre io, appoggiato al cancello, la stavo a guardare. Il
suo abito ondeggiava a ogni movimento, e la morbida treccia dei
capelli le oscillava da una parte e dall'altra.
Ogni mattina mi sdraiavo sul pavimento del salotto d'ingresso e tenevo
d'occhio la porta di casa sua. Lasciavo le persiane abbassate fino a
pochi centimetri dal davanzale, in modo che non mi si potesse vedere,
e quando appariva sulla soglia il mio cuore faceva un salto. Correvo
in anticamera, prendevo i libri e la seguivo. Non perdevo mai di vista
la sua figuretta bruna e, quando ci avvicinavamo al punto in cui le
nostre strade si dividevano, acceleravo il passo e la sorpassavo.
Questo succedeva regolarmente tutti i giorni. Non le avevo mai
parlato, se non per rivolgerle poche banali parole, eppure il suo nome
era un richiamo per il mio sangue bollente.
La sua immagine mi accompagnava anche nei posti pi— negati al
romanticismo. Il sabato sera, quando la zia andava al mercato, dovevo
andarci anch'io per aiutarla a portare un po' di pacchetti.
Camminavamo per le strade illuminate tra gli spintoni di uomini
ubriachi e di donne che contrattavano, tra le bestemmie dei manovali,
le stridule cantilene dei garzoni di guardia ai barili di carne di
maiale in salamoia, la voce nasale dei cantastorie che intonavano inni
su O'Donovan Rossa e ballate sui moti patriottici. Ma tutti questi
rumori convergevano in un'unica sensazione di vita per me: immaginavo
di portare il mio calice in salvo attraverso una schiera di nemici. Il
suo nome, a volte, mi saliva alle labbra in strane preghiere e lodi
che non capivo; avevo spesso gli occhi pieni di lacrime (senza sapere
perch‚) e a volte l'ondata tumultuosa che si sprigionava dal mio cuore
sembrava che mi si riversasse in petto. Pensavo poco al futuro. Non
sapevo se avrei mai trovato il coraggio di rivolgerle la parola e, nel
caso lo avessi fatto, come avrei potuto esprimerle la mia confusa
adorazione. Ma il mio corpo era come un'arpa e i gesti di lei come le
dita che scorrono sulle corde.
Una sera andai nel salotto sul retro, dov'era morto il prete. Era una
sera buia e piovosa, e il silenzio nella casa era assoluto. Attraverso
un vetro rotto sentivo la pioggia battere sul terreno: sottili,
incessanti aghi di pioggia che si susseguivano, quasi giocando, sulle
aiuole impregnate d'acqua. La luce di un lampione lontano o di una
finestra illuminata brillava sotto di me; ero contento che ci si
potesse vedere tanto poco. Tutti i miei sensi parevano desiderare di
nascondersi, e, sentendomi sul punto di svenire, premetti le palme
delle mani una contro l'altra finch‚ tremarono, mormorando pi— volte:
"Amore! Amore!".
Finalmente mi parl•. Quando mi rivolse le prime parole, mi sentii cosi
confuso da non sapere cosa rispondere. Mi aveva chiesto se sarei
andato all'Arabia. Non ricordo se risposi s o no. Era uno splendido
bazar; le sarebbe piaciuto andarci, disse.
"E perch‚ non ci vai?" chiesi.
Mentre parlava si rigirava un braccialetto d'argento intorno al polso.
Non poteva andarci, rispose, perch‚ ci sarebbe stato un ritiro nel suo
convento, quella settimana. Suo fratello e due altri ragazzi stavano
cercando di portarsi via i berretti, e io ero solo vicino al cancello.
Teneva con una mano una delle sbarre, mentre chinava la testa verso di
me. La luce del lampione di fronte si posava sulla candida curva del
suo collo, le illuminava i capelli che le ricadevano immobili sulla
nuca e, pi— in basso, cadeva sulla mano posata sulla sbarra. Battendo
di lato sul vestito, colpiva l'orlo bianco della sottana che la posa
trascurata lasciava intravvedere.
"Beato te che puoi andarci!" disse.
"Be', se ci vado, ti porter• qualcosa" risposi.
Quali innumerevoli follie mi turbarono la mente da quella sera in poi,
sia da sveglio che dormendo! Avrei voluto cancellare quegli
interminabili giorni intermedi. Trascurai lo studio. Di notte nella
mia camera da letto e di giorno in classe, la sua immagine si
frapponeva tra me e la pagina che mi sforzavo di leggere, e le sillabe
della parola "Arabia" mi echeggiavano nel silenzio in cui la mia anima
si deliziava di rifugiarsi e gettavano su di me un incantesimo
orientale. Alla fine chiesi il permesso di andare al bazar il sabato
sera. La zia fu sorpresa e si augur• che non si trattasse di qualche
faccenda di frammassoni. Risposi male in classe, quando fui
interrogato. Vidi il volto dell'insegnante da amabile farsi severo:
sperava che non diventassi negligente. Ma non ce la facevo a collegare
i miei pensieri erranti. Riuscivo appena, con uno sforzo enorme, ad
applicarmi al serio lavoro della vita che, ora che si interponeva tra
me e il mio desiderio, mi sembrava un gioco da ragazzi, un brutto e
monotono gioco da ragazzi.
Il sabato mattina ricordai allo zio che quella sera volevo andare al
bazar. Stava frugando vicino alla mensola in cerca della spazzola del
cappello e mi rispose laconico:
"S, s, ragazzo mio, lo so."
Poich‚ c'era lui in anticamera, non potevo andare nel salotto
d'ingresso e guardare fuori dalla finestra. Sentii che a casa tirava
una brutta aria e perci• mi avviai lentamente verso la scuola. Il
vento mi sferzava senza piet…, e il mio cuore era gi… pieno di tristi
presagi.
Quando tornai a casa per pranzo, lo zio non era ancora arrivato. Era
troppo presto. Mi sedetti e mi misi a fissare l'orologio per un po' e,
quando il suo tictac cominci• a irritarmi, lasciai la stanza.
Salii le scale e raggiunsi il piano superiore. Le alte, fredde, vuote,
tetre stanze mi fecero passare il malumore, e me ne andai dall'una
all'altra cantando. Dalla finestra sul davanti vedevo i miei compagni
giocare gi— nella strada. Le loro grida mi arrivavano affievolite e
indistinte, e, con la fronte appoggiata al vetro freddo, guardavo la
casa buia dove viveva lei. Penso di essere rimasto l… per un'ora,
senza vedere nient'altro che la figuretta vestita di scuro rievocata
dalla mia immaginazione, con la luce del lampione che batteva con
discrezione sul collo sinuoso, sulla mano appoggiata alla sbarra e
sull'orlo della sottana.
Ritornando dabbasso trovai la signora Mercer seduta accanto al fuoco.
Era una vecchia petulante, vedova di uno strozzino, e raccoglieva
francobolli usati per beneficienza. Durante il tŠ dovetti sopportare i
soliti pettegolezzi. Il pasto continu• per oltre un'ora, e ancora lo
zio non ritornava. La signora Mercer si alz• per andarsene: era
spiacente di non poter aspettare di pi—, ma erano le otto passate, e
non voleva trovarsi fuori tanto tardi perch‚ l'aria della sera le
faceva male. Quando se ne fu andata, mi misi a camminare su e gi— per
la stanza, stringendo i pugni. La zia mi disse:
"Temo che dovrai rinunciare al bazar per questa sera."
Alle nove sentii la chiave dello zio girare nella serratura. Lo sentii
parlare da solo e avvertii l'oscillazione dell'attaccapanni sotto il
peso del suo soprabito: tutti segni chiari per me. Quando fu a met…
della sua cena, gli chiesi i soldi per andare al bazar. Se ne era
dimenticato.
"A quest'ora la gente dorme, e del primo sonno," dichiar•.
Non sorrisi e la zia intervenne energica:
"Non puoi darglieli questi soldi e lasciarlo andare? Lo hai gi…
trattenuto abbastanza, tardi com'Š!"
Lo zio si disse dispiaciuto della dimenticanza. Credeva nel vecchio
proverbio secondo il quale a passar la vita a lavorare e basta ci si
fossilizza; un po' di svago ci vuole! Mi chiese dove avessi intenzione
di andare e, quando glielo ripetei una seconda volta, mi chiese se
conoscevo "L'addio dell'arabo al suo destriero". Quando lasciai la
cucina stava recitando i primi versi alla zia.
Tenendo stretto un fiorino nella mano, mi incamminai a grandi passi
per Buckingham Street verso la stazione.
La vista delle strade, affollate di compratori e illuminate dai
lampioni a gas, mi fece tornare in mente lo scopo del mio viaggio.
Presi posto in un vagone di terza classe, in un treno deserto. Dopo
un'intollerabile attesa il treno si mosse lentamente dalla stazione.
Avanzava strisciando tra case in rovina e sopra il fiume scintillante.
A Westland Row una folla premette contro le portiere, ma i facchini la
respinsero indietro dicendo che era un treno speciale per il bazar.
Rimasi solo nello scompartimento vuoto. Pochi minuti dopo il treno si
accostava a una piattaforma di legno improvvisata. Uscendo sulla
strada, vidi sul quadrante luminoso di un orologio che mancavano dieci
minuti alle dieci. Di fronte a me si ergeva un grande edificio che
mostrava il magico nome.
Non riuscii a trovare l'ingresso da sei pence e, temendo che stessero
per chiudere, mi infilai velocemente in un'entrata girevole e diedi
uno scellino a un uomo dall'aria stanca. Mi trovai in un salone
circondato a met… altezza da una galleria. Quasi tutti i padiglioni
erano chiusi, e buona parte del salone era immersa nell'oscurit….
C'era lo stesso silenzio, notai, che riempie una chiesa dopo la Messa.
Avanzai verso il centro del bazar timidamente. Poche persone erano
raccolte attorno ai padiglioni ancora aperti. Davanti a una tenda,
sulla quale erano scritte con lampadine colorate le parole "CafŠ
Chantant", due uomini stavano contando del denaro su un vassoio.
Ascoltai il suono delle monete che cadevano.
Ricordando a fatica perch‚ ero venuto, mi avvicinai a uno dei banchi e
mi misi a guardare dei vasi di porcellana e dei servizi da tŠ a fiori.
Sulla soglia del padiglione una ragazza chiacchierava e rideva con due
giovanotti. Mi colp il loro accento inglese, e ascoltai
distrattamente la conversazione.
"Non ho mai detto una cosa del genere!"
"Ma s che lo avete detto."
"Non Š vero!"
"Non l'ha detto forse?"
"S. L'ho sentito io."
"Macch‚! E' una bugia."
Scorgendomi la signorina venne verso di me e mi chiese se desideravo
comprare qualcosa. Il tono della sua voce non era incoraggiante:
sembrava che mi avesse rivolto la parola solo per un senso di dovere.
Guardai umilmente i grandi vasi sistemati come guardie orientali ai
due lati dell'entrata buia e mormorai:
"No, grazie."
La signorina cambi• di posto a un vasetto e ritorn• ai due giovanotti.
Ripresero lo stesso argomento. Una volta o due la ragazza mi diede
un'occhiata da sopra la spalla.
Indugiai davanti al suo banco, perfettamente consapevole che era
inutile rimanere l, ma volevo far sembrare pi— reale il mio interesse
per gli oggetti esposti. Poi mi girai e mi incamminai verso il centro
del salone. Feci scivolare in tasca le due monetine da un penny vicino
a quella da sei pence. Sentii una voce dal fondo della galleria
gridare che non c'era pi— luce. La parte superiore della sala era ora
completamente al buio.
Alzando lo sguardo nell'oscurit…, mi vidi come una creatura trascinata
e derisa dalla vanit…, e gli occhi mi bruciarono di angoscia e d'ira.

EVELINE.

Stava seduta alla finestra osservando la sera che scendeva sul viale,
con la testa appoggiata alle tendine e nelle narici l'odore del
"cr‚tonne" polveroso; si sentiva stanca.
C'era poca gente per la strada. L'uomo che abitava nell'ultima casa
pass• rincasando; ne sent i passi che risuonavano sul cemento del
marciapiede e poi scricchiolavano pi— in l… sul sentiero, davanti alle
nuove case rosse. Una volta in quel punto c'era un terreno, sul quale
loro andavano a giocare con i bambini del quartiere. Poi arriv• un
tale da Belfast, che compr• il terreno e ci costrui delle case; non
come le loro case piccole e scure: luminose case di mattoni con i
tetti scintillanti. I ragazzi del viale erano soliti giocare insieme
su quel terreno: i Devine, i Water, i Dunn, Keogh lo zoppetto, lei e i
suoi fratelli e sorelle. Ernest per• non giocava mai: era troppo
grande. Spesso suo padre li scacciava di l col bastone di pruno; ma
in genere il piccolo Keogh restava a fare il palo, dando l'allarme non
appena lo vedeva arrivare. Tuttavia, ripensandoci, le sembrava che, a
quei tempi, erano stati abbastanza felici; il padre non era ancora
cos cattivo, e poi la mamma era viva. Ma tutto questo apparteneva ad
un tempo molto lontano; lei, i suoi fratelli e le sue sorelle erano
cresciuti, e la mamma era morta. Tizzie Dunn era morto pure lui, e i
Water erano ritornati in Inghilterra. Tutto cambia; e lei ora stava
per andarsene come gli altri, stava per lasciare la casa.
La casa! Si guard• intorno per la stanza, passando in rivista tutti
quegli oggetti familiari che per tanti anni aveva spolverato una volta
la settimana, chiedendosi da dove mai venisse tutta quella polvere.
Forse non le avrebbe pi— riviste quelle cose, dalle quali non avrebbe
mai immaginato di doversi separare. In tutti quegli anni non aveva
ancora scoperto il nome del prete la cui fotografia ingiallita era
appesa alla parete sopra l'armonium scordato, vicino alla stampa a
colori che raffigurava le promesse fatte a santa Maria Margherita
Alacoque. Era stato compagno di scuola di suo padre che, ogni volta
che ne mostrava la fotografia a un visitatore, era solito accennarvi
con una parola buttata l…:
"E' a Melbourne adesso".
Lei aveva acconsentito ad andarsene, a lasciare la sua casa. Era
saggio quello che faceva? Cercava di esaminare la questione da ogni
lato. Dopotutto a casa sua aveva un tetto e di che nutrirsi; era
circondata da quelli con i quali aveva vissuto fin dalla nascita.
Certo doveva lavorare sodo, sia a casa che in negozio. Che cosa
avrebbero detto di lei ai Magazzini una volta scoperto che se ne era
scappata via con uno sconosciuto? Probabilmente che era impazzita e al
suo posto avrebbero assunto qualcun altro tramite un'inserzione. La
signorina Gavan ne sarebbe stata contenta; era sempre stata aspra
verso di lei, soprattutto in presenza di gente.
"Signorina Hill, non vedete che le signore aspettano?"
"Per favore, signorina Hill, un po' di vivacit…!"
Non avrebbe versato molte lacrime nel lasciare i Magazzini. Nella sua
nuova casa, in un posto lontano e sconosciuto, non sarebbe stato cos.
Allora sarebbe stata sposata, lei, Eveline, e la gente l'avrebbe
trattata con rispetto. Non si sarebbe lasciata sopraffare come sua
madre. Perfino ora, anche se aveva diciannove anni compiuti, qualche
volta si sentiva in bala della violenza di suo padre. Per questo le
erano venute le palpitazioni, lo sapeva. Negli anni della loro
infanzia suo padre non le aveva mai messo le mani addosso, come faceva
con Harry ed Ernest, perch‚ lei era una ragazza; ma pi— tardi aveva
cominciato a minacciarla, dicendole che poteva ringraziare la memoria
di sua madre, se lui si tratteneva. E ora non c'era pi— nessuno a
proteggerla. Ernest era morto e Harry, che si occupava di decorazioni
di chiese, era quasi sempre lontano da casa. Per di pi— la vivace
discussione per i soldi, che si ripeteva immutabilmente ogni sabato
sera, aveva incominciato a indebolirla oltre ogni dire. Lei dava
sempre tutto il suo salario, sette scellini, e Harry contribuiva per
quanto poteva, ma il difficile consisteva nel tirar fuori denaro al
padre. Lui sosteneva che lei scialacquava il denaro, che non le
avrebbe dato quello che guadagnava col sudore della fronte perch‚ lo
buttasse dalla finestra, le diceva anche di peggio perch‚ il sabato
sera in genere era particolarmente intrattabile. Finiva per• col
darglielo e le chiedeva se aveva o no intenzione di comprare qualcosa
per il pranzo della domenica. E lei doveva precipitarsi fuori in
fretta e furia per la spesa, tenendo ben stretta in mano la borsa di
cuoio nero, mentre si faceva strada a gomitate tra la folla e
rientrava sul tardi carica di provviste. Era un duro lavoro per lei
quello di badare alla casa e di stare attenta che i due fratellini che
erano stati affidati alle sue cure andassero a scuola regolarmente e
avessero di che mangiare. Era un duro lavoro, una vita dura, ma ora
che stava per lasciarla non le pareva poi del tutto insopportabile.
Stava per sperimentare una nuova vita con Frank. Frank era molto
gentile, risoluto, di animo aperto. Stava per scappare con lui col
vapore della sera per diventare sua moglie e vivere con lui a Buenos
Aires, dove una casa tutta per lei l'aspettava. Con quanta chiarezza
ricordava la prima volta che lo aveva visto! Lui abitava nella via
principale, in una casa che lei era solita frequentare. Sembrava che
fossero passate poche settimane da allora. Lui era vicino al cancello,
il berretto a visiera cacciato indietro sulla testa e i capelli
scomposti che scendevano in avanti sul viso abbronzato. La aspettava
ogni sera davanti ai Magazzini e l'accompagnava a casa. L'aveva
portata a vedere "La ragazza di Boemia", e lei si era sentita fiera di
essere seduta vicino a lui a teatro, in posti che non le erano
abituali. Lui amava molto la musica e cantava anche un po'. Tutti li
sapevano innamorati, e ogni volta che lui cantava la canzone della
ragazza che ama un marinaio, lei sentiva un piacevole imbarazzo.
Frank, per gioco, la chiamava Papavero. All'inizio l'avere un
corteggiatore le aveva dato un senso di eccitazione, poi aveva
cominciato a volergli bene sul serio. Parlava di paesi lontani; aveva
cominciato come mozzo per una sterlina al mese su una nave della Allan
Lines che faceva servizio con il Canad…. Le elenc• i nomi di tutte le
navi sulle quali era stato imbarcato e i diversi compiti ai quali era
stato adibito. Aveva passato lo stretto di Magellano e le raccont•
delle leggende sui terribili Patagoni. Aveva trovato la sua fortuna a
Buenos Aires ed era tornato alla vecchia terra nata solo per una
vacanza. Naturalmente il padre aveva scoperto tutto e le aveva
proibito di avere a che fare con lui.
"Li conosco, questi marinai!"
Un giorno era arrivato al punto di litigare con Frank, e da allora lei
aveva dovuto incontrare il suo innamorato di nascosto.
Si era fatto pi— buio sul viale, e il bianco delle due lettere che
teneva in grembo diventava sempre pi— indistinto; una era per Harry,
l'altra per suo padre. Ernest era stato il suo beniamino, ma voleva
bene anche a Harry. Negli ultimi tempi suo padre aveva cominciato a
invecchiare, lei se ne rendeva conto; avrebbe sentito la sua mancanza.
Anche lui qualche volta riusciva a essere gentile. Non molto tempo
prima, un giorno che era indisposta, le aveva letto una storia di
spettri e aveva abbrustolito del pane per lei. Un'altra volta, quando
c'era ancora la mamma, erano andati tutti insieme alla collina di
Howth per un picnic, e ricordava che suo padre si era messo in testa
il cappellino della mamma per far ridere loro ragazzi.
Il tempo passava velocemente, ma lei restava l seduta accanto alla
finestra con la testa appoggiata alle tendine, respirando l'odore del
"cr‚tonne" polveroso. Le arrivava all'orecchio il suono di un
organetto ambulante che suonava lontano sul viale. Conosceva quel
motivo. Strano che fosse capitato proprio quella sera a ricordarle la
promessa fatta alla mamma di tenere la casa unita il pi— a lungo
possibile. Ricordava l'ultima notte della malattia della mamma; si
rivide ancora nella stanza buia e chiusa dall'altra parte
dell'anticamera, mentre da fuori le arrivava il suono di una
melanconica aria italiana. Al suonatore dell'organetto erano stati
dati sei pence ed era stato ordinato di allontanarsi. Risentiva suo
padre, che rientrando nella camera dell'ammalata, imprecava:
"Maledetti italiani! Arrivano fin qui!".
Mentre rifletteva, la pietosa visione della vita di sua madre, di
quella vita di continui piccoli sacrifici quotidiani, spentasi in un
ultimo vaneggiare, raggiunse l'intimo del suo essere. Tremava, e le
sembrava ancora di riascoltare la voce della mamma ripetere
continuamente e con insistenza maniaca:
"Derevaum Seraun! Derevaum Seraun!"
Balz• in piedi presa da un improvviso impulso di terrore. Fuggire!
Doveva fuggire. Frank l'avrebbe salvata, le avrebbe dato la vita,
forse anche l'amore. Soprattutto voleva vivere. Perch‚ avrebbe dovuto
essere infelice? Aveva pur diritto alla felicit…, e Frank l'avrebbe
presa, stretta tra le braccia, l'avrebbe salvata.
Era in piedi tra la folla ondeggiante alla stazione di North Wall. Lui
le teneva la mano, e lei sapeva che le stava parlando, ripetendole di
continuo qualcosa sulla prossima traversata. La stazione brulicava di
soldati coi loro scuri bagagli. Improvvisamente, attraverso le porte
aperte delle tettoie, le apparve a tratti la massa immobile e nera
della nave accostata alla banchina, con gli obl• illuminati. Non
rispose; si sentiva le guance pallide e fredde e, in un'angosciosa
incertezza, pregava Dio che la guidasse, che le indicasse qual era il
suo dovere. La nave lanci• un lungo, lugubre sibilo nella nebbia. Se
se ne fosse andata, domani si sarebbe trovata in mare aperto con
Frank, diretta a Buenos Aires. I loro posti erano gi… stati prenotati.
Poteva ancora tirarsi indietro dopo tutto quello che lui aveva fatto
per lei? L'angoscia le dava un senso di nausea, e le sue labbra si
muovevano in una silenziosa e fervida preghiera.
Il suo cuore fu colpito dal suono di un campanello. Sent che lui le
prendeva la mano.
"Vieni!"
Tutte le acque del mondo le precipitarono sul cuore. Lui la tirava
verso quei marosi; l'avrebbe annegata. Si aggrapp• con tutte e due le
mani al parapetto di ferro.
"Vieni!"
No! no! no! Era impossibile. Le sue mani stringevano spasmodicamente
il parapetto. Tra le onde lanci• un grido di angoscia.
"Eveline! Evvy!"
Lui fu sospinto al di l… dei cancelli e le grid• di seguirlo. Gli
urlarono di andare avanti, ma Frank continuava a chiamarla. Lei
rivolse verso di lui il suo volto impallidito, passivo, come quello di
un animale smarrito. I suoi occhi non diedero un segno, n‚ di amore n‚
di addio; non sembravano nemmeno riconoscerlo.





DOPO LA CORSA.

Le automobili si dirigevano a tutta velocit… verso Dublino, una dopo
l'altra, rapide come proiettili, nel solco della Naas Road. Dalla
cresta della collina gruppi di spettatori le osservavano correre verso
casa, e, attraverso questo canale di povert… e di inerzia, il
continente introduceva la sua ricchezza e la sua industria. Ogni tanto
saliva un applauso dalla folla, l'applauso dell'oppresso riconoscente.
Le simpatie, per•, andavano alle vetture azzurre, le vetture dei loro
amici: i francesi.
I francesi, d'altra parte, erano virtualmente vincitori. La loro
squadra si era piazzata molto bene: avevano ottenuto il secondo e il
terzo posto, e il guidatore della macchina tedesca arrivata prima si
diceva che fosse un belga. Ogni vettura azzurra, perci•, veniva
salutata con una doppia dose di applausi quando arrivava in cima alla
collina, e ogni evviva veniva accolto con sorrisi e cenni del capo da
parte di quelli che erano in macchina. In una di queste vetture c'era
un gruppetto di quattro giovanotti, il cui buonumore in
quell'occasione superava di molto quello solito dei francesi quando
vincono, infatti erano quasi esultanti. Si trattava di Charles
S‚gouin, il proprietario della macchina; Andr‚ RiviŠre, un giovane
elettrotecnico di origine canadese; un gigantesco ungherese di nome
Villona e un giovanotto ben vestito che si chiamava Doyle. S‚gouin era
di buonumore perch‚ aveva inaspettatamente ricevuto alcune ordinazioni
in anticipo (stava per avviare una fabbrica di automobili a Parigi), e
RiviŠre lo era perch‚ sarebbe diventato il direttore di questo
stabilimento; inoltre per tutti e due (erano cugini) il successo delle
vetture francesi era un altro buon motivo per essere allegri. Villona
era soddisfatto perch‚ aveva mangiato bene e poi era un ottimista di
natura. Da parte sua il quarto membro della compagnia era troppo
eccitato per poter essere schiettamente felice.
Aveva all'incirca ventisei anni, baffi morbidi castano chiaro e occhi
grigi, dallo sguardo piuttosto innocente. Suo padre, da giovane, era
stato un nazionalista spinto, ma non aveva tardato a modificare il suo
modo di vedere. I soldi li aveva fatti come macellaio a Kingstown e
poi, aprendo negozi a Dublino e sobborghi, aveva addirittura
moltiplicato il suo capitale. Aveva anche avuto la fortuna di
assicurarsi certi contratti vantaggiosi e infine era diventato ricco
abbastanza perch‚ i giornali di Dublino parlassero di lui come di un
re del commercio. Aveva mandato il figlio in Inghilterra, perch‚ fosse
educato in un grande collegio cattolico, e poi all'Universit… di
Dublino a studiare legge. Jimmy non aveva preso lo studio molto sul
serio e, per un certo tempo, aveva anche seguito una cattiva strada.
Aveva denaro e godeva di popolarit…; il suo tempo lo divideva
curiosamente tra i circoli musicali e automobilistici. Poi era stato
mandato per un trimestre a Cambridge perch‚ si rendesse un po' conto
di cosa volesse dire vivere, e infine suo padre, arrabbiato, ma sotto
sotto orgoglioso di questi eccessi, gli aveva pagato i conti e lo
aveva riportato a casa. Era stato appunto a Cambridge che aveva
incontrato S‚gouin. Non erano ancora molto pi— che delle semplici
conoscenze, ma Jimmy gi… sentiva un gran piacere a stare in compagnia
di uno che aveva girato tanto il mondo e che godeva fama di possedere
alcuni tra i pi— grandi alberghi di Francia. Una persona simile (era
d'accordo anche suo padre) valeva ben la pena di conoscerla, anche se
non si fosse trattato di quell'affascinante compagno che era. Villona
era anche lui simpatico, un brillante pianista, ma sfortunatamente
molto povero.
La macchina avanzava allegramente col suo carico di giovent—
spensierata. I due cugini occupavano i sedili anteriori; Jimmy e
l'amico ungherese sedevano dietro. Decisamente Villona era d'umore
eccellente: per miglia e miglia non aveva fatto che canticchiare una
melodia, col suo tono profondo di basso. I francesi ridevano e
lanciavano frizzi da sopra le spalle, e Jimmy doveva chinarsi in
avanti, se voleva afferrare l'intera frase, cosa tutt'altro che
piacevole per lui, dato che, quasi sempre, doveva tirare a indovinare
e ribattere pronto una risposta a tono contro vento. Inoltre, il
canticchiare di Villona avrebbe confuso chiunque, e per di pi— c'era
il rumore della macchina.
La velocit… d… sempre un senso di ebbrezza, cos la notoriet… e il
possesso del denaro: tre buone ragioni per giustificare l'eccitazione
di Jimmy. Molti suoi amici lo avevano visto quel giorno insieme ai
continentali. Al posto di controllo S‚gouin lo aveva presentato a uno
dei francesi partecipanti alla gara e, in risposta ai suoi convenevoli
confusi, il viso bruno del corridore aveva dischiuso una fila di denti
candidi e smaglianti. Era stato piacevole, dopo questo onore,
ritornare uno dei tanti spettatori, tra colpetti di gomito e
strizzatine d'occhi. A proposito del denaro poi, disponeva
effettivamente di una bella somma. Forse S‚gouin non l'avrebbe
considerata tale, ma Jimmy, che, nonostante i passeggeri errori, era
in fondo l'erede di solidi istinti, sapeva bene quanto si era sudato a
metterla insieme. Questa consapevolezza aveva in passato mantenuto le
sue spese entro i limiti di un moderato sperpero, e se era stato cos
consapevole della fatica che si nascondeva dietro il denaro quando si
trattava solo di qualche capriccio da raffinato, tanto pi— lo sarebbe
stato adesso, che stava per mettere in gioco la maggior parte della
sua sostanza. Era una cosa seria per lui!
Certo l'investimento era buono, e S‚gouin aveva lasciato chiaramente
capire che era solo per un favore d'amicizia, che quei quattro soldi
irlandesi sarebbero stati compresi nel capitale della societ…. Jimmy
teneva molto in considerazione la perspicacia del padre in fatto di
affari, e, in questo caso, era proprio stato suo padre a consigliargli
per primo l'investimento; c'era da far soldi nell'industria
automobilistica, un mare di soldi. Inoltre, tutto in S‚gouin indicava
inequivocabilmente ricchezza. Jimmy si mise a convertire in termini di
lavoro quotidiano quella lussuosa vettura sulla quale sedeva. Come
correva fluida! E con che stile si erano lanciati a tutta velocit… per
le strade! Il viaggio poggiava un magico dito sul genuino polso della
vita, e coraggiosamente il meccanismo dei nervi umani cercava di star
dietro agli irruenti balzi del veloce animale azzurro.
Girarono in Dame Street. La strada era animata da un insolito traffico
e dal frastuono per lo strombazzare degli automobilisti e per lo
scampanello degli impazienti guidatori di tram. S‚gouin ferm• vicino
alla banca, e Jimmy e l'amico ungherese scesero. Un capannello di
gente si era radunato sul marciapiede, per rendere omaggio al motore
sbuffante. I quattro amici dovevano pranzare tutti insieme, quella
sera, nell'albergo di S‚gouin e, nel frattempo, Jimmy e Villona, che
era suo ospite, dovevano andare a casa a vestirsi. L'auto si avvi•
lentamente per Grafton Street, mentre i due giovanotti si facevano
largo attraverso il gruppo di curiosi. Camminavano verso nord,
sentendo una strana sensazione di delusione nel camminare, mentre la
citt… sospendeva sopra di loro i suoi pallidi globi di luce nella
foschia della sera estiva.
In casa di Jimmy questo pranzo era stato definito una vera e propria
occasione. Un certo orgoglio si mischiava alla trepidazione dei suoi
genitori, e anche un certo desiderio di gettare polvere negli occhi;
merito questo, se non altro, dei nomi delle grandi citt… straniere.
Jimmy, del resto, vestito che fu, faceva un'ottima figura e mentre, in
anticamera, dava un ultimo tocco alla cravatta a farfalla, suo padre
avrebbe potuto sentirsi soddisfatto, anche da un punto di vista
commerciale, per aver assicurato al figlio delle qualit… spesso
inacquistabili. Per questo il padre si sentiva insolitamente affabile
verso Villona, e il suo comportamento esprimeva un autentico rispetto
per la cultura straniera; ma tanta delicatezza da parte del padrone di
casa era probabilmente sprecata nei confronti dell'ungherese, che
cominciava a sentire sempre pi— acuto lo stimolo della fame.
La cena fu eccellente, squisita. S‚gouin, Jimmy decise, aveva un gusto
raffinatissimo. Alla compagnia si era unito un giovanotto inglese di
nome Routh, che Jimmy aveva visto con S‚gouin a Cambridge. Vennero
serviti in una comoda stanzetta illuminata da lampade elettriche e
parlarono del pi— e del meno senza tante riserve. Jimmy, la cui
fantasia si era fatta fervida, si immagin• la giovinezza piena di vita
dei francesi fusa elegantemente con la solida cornice del contegno
inglese. Una immagine piena di grazia e appropriata, pens•. Ammirava
l'abilit… con la quale l'ospite dirigeva la conversazione. I cinque
giovani avevano gusti diversi, e a tutti si era sciolta la lingua.
Villona, con immenso rispetto, prese a rivelare a Routh, un po'
sorpreso, le bellezze del madrigale inglese, deplorando l'abbandono
dei vecchi strumenti, e RiviŠre, non del tutto ingenuamente, svel• a
Jimmy i successi riportati dai meccanici francesi. La voce tonante
dell'ungherese stava per avere il sopravvento nel prendersi gioco dei
falsi liuti dei pittori romantici, quando S‚gouin avvi• i commensali
verso temi politici. Questo era un terreno sul quale tutti si
trovavano a proprio agio. Jimmy, sotto nobili influenze, sent il
sepolto zelo del padre risvegliarsi in lui e riusc perfino a scuotere
il pigro Routh. Il calore della stanza era raddoppiato e il compito di
S‚gouin si faceva sempre pi— arduo: c'era perfino pericolo di liti
personali. Ma l'ospite stava sul chi vive e, alla prima occasione,
alz• il bicchiere alla salute di tutta l'umanit… e, concluso il
brindisi, apr significativamente una finestra.
Quella notte la citt… aveva preso l'aspetto di una capitale. I cinque
giovanotti se ne venivano pian pianino lungo lo Stephen's Green,
avvolti in una leggera nuvola di fumo aromatico. Parlavano forte e con
tono allegro, i mantelli penzoloni sulle spalle, e la gente cedeva
loro il passo. All'angolo di Grafton Street un ometto grasso stava
aiutando due belle signore a salire su un'automobile, dove le
aspettava un altro ciccione. La macchina si allontan• e l'ometto
grasso not• il gruppetto.
"Andr‚."
"E' Farley!"
Segu un fiume di parole. Farley era americano. Nessuno sapeva bene di
cosa si stesse parlando. Villona e RiviŠre erano i pi— rumorosi, ma
erano eccitati anche gli altri. Salirono tutti su una macchina,
pigiandosi, tra continui scoppi di risa, e si diressero in mezzo alla
folla, trasformata ora in un insieme di tenui colori, al suono di
allegre campane. Presero il treno a Westland Row e, in pochi secondi,
come sembr• a Jimmy, raggiunsero la stazione di Kingstown. Il
controllore salut• Jimmy: era un vecchio:
"Felice sera, signore!".
Era una calma sera d'estate; il porto giaceva come uno specchio scuro
ai loro piedi. Vi si diressero sottobraccio cantando in coro "Cadet
Roussel", e battendo i piedi ad ogni: "Ho! Ho! Hol‚, vraiment!".
Salirono su una barca a remi ancorata al molo e presero il largo verso
lo yacht dell'americano. Ci sarebbe stata una cenetta, musica e carte.
Villona esclam• convinto:
"Delizioso!".
Nella cabina c'era un pianoforte. Villona suon• un valzer per Farley e
RiviŠre: Farley faceva da cavaliere e RiviŠre da dama. Poi una
quadriglia improvvisata e tutti si misero a comporre figure originali.
Che divertimento! Jimmy sosteneva la sua parte con impegno: questa era
vita! Poi Farley si sent mancare il respiro e grido: "Alt!". Un
cameriere serv un leggero spuntino pro forma e i giovani si sedettero
a tavola per pura cortesia. In compenso bevvero: era vino di Boemia.
Brindarono all'Irlanda, all'Inghilterra, alla Francia, all'Ungheria e
agli Stati Uniti d'America. Jimmy fece un discorso, un lungo discorso,
e Villona se ne usciva con un "Bravo! Bravo!", ogni volta che c'era
una pausa. Ci fu un grande applauso quando torn• a sedersi. Doveva
essere stato un bel discorso. Farley gli diede una manata sulla spalla
e rise forte. Che giovialoni! Che allegra brigata!
Carte! Carte! La tavola fu sparecchiata e Villona, tornatosene
tranquillamente al piano, cominci• a improvvisare. Gli altri
giocavano, una mano dopo l'altra, lanciandosi coraggiosamente
nell'avventura. Bevvero alla salute della donna di cuori e di quella
di quadri. Jimmy sent oscuramente la mancanza di un uditorio: il buon
umore stava sparendo. La posta del gioco era alta e la lista dei conti
cresceva. Jimmy non sapeva esattamente chi stava vincendo, ma sapeva
che stava perdendo. Tutta colpa sua, per•, perch‚ spesso sbagliava le
carte, e toccava agli altri calcolare la sua perdita. Erano diavoli di
compagni, ma avrebbe voluto che smettessero: si stava facendo tardi.
Qualcuno brind• allo yacht, "La bella di Newport", e qualcun altro
propose di fare la bella.
Il piano aveva smesso: Villona doveva essere salito in coperta. Fu una
partita tremenda. Si fermarono un po' prima della fine per brindare
alla fortuna. Jimmy capiva che la lotta era tra Routh e S‚gouin. Che
tensione! Anche Jimmy era eccitato; lui avrebbe perso, naturalmente.
Quanto aveva firmato? Si alzarono in piedi per giocare l'ultima mano,
gridando e gesticolando. Vinse Routh. La cabina trem• sotto gli
applausi, e le carte furono raccolte in un solo mazzo. Poi si tirarono
le somme: Farley e Jimmy erano quelli che perdevano pi— forte.
Sapeva che il giorno dopo ne avrebbe provato rammarico, ma per il
momento era contento di rilassarsi, contento del profondo stupore che
avrebbe annegato la sua follia. Appoggi• i gomiti sulla tavola
tenendosi le tempie fra le mani. La porta della cabina si apr, ed
egli vide l'ungherese in piedi, in un fascio di luce grigia:
"Albeggia, signori!".






DUE GALANTI.

La grigia e calda sera di agosto era scesa sulla citt…, e un'aria
dolce e mite, un ricordo dell'estate, si avvertiva per le vie. Per le
strade, ai cui lati le saracinesche dei negozi erano abbassate per il
riposo domenicale, brulicava un'allegra folla variopinta. Come perle
luminose, le lampade, dall'alto dei loro pali, facevano brillare la
trama vivente che si stendeva di sotto e che, cambiando continuamente
forma e colore, diffondeva nella calda e grigia aria della sera un
uniforme continuo brusio.
Due giovanotti scendevano la collina di Rutland Square. Uno di essi
stava proprio terminando un lungo monologo; l'altro, che camminava sul
ciglio del marciapiede e che a volte era costretto a scendere dal
gradino a causa del gesticolare del compagno, ascoltava col viso
intento e divertito. Era tarchiato e colorito, portava un berretto da
marinaio all'indietro sulla nuca, mentre il suo viso, nell'ascoltare
quello che gli veniva raccontato, si solcava in continuazione di
rughe, dovute al cambiamento di espressione, che gli partivano dagli
angoli del naso, degli occhi e della bocca. Piccoli scoppi di risa
convulse prorompevano uno dopo l'altro dal suo corpo contratto, e gli
occhi, ammiccando con aria furba e divertita, osservavano
continuamente il viso dell'amico. Una volta o due si era riassestato
il leggero impermeabile che portava gettato su una spalla alla maniera
dei toreador. I suoi pantaloni, le scarpe bianche di gomma e
l'impermeabile allegramente buttato sulla spalla esprimevano
giovinezza. Ma il suo corpo intorno alla vita cominciava ad
arrotondarsi, i suoi capelli erano radi e grigi, e il viso, quando si
ricomponeva, aveva un aspetto disfatto.
Quando fu ben sicuro che il racconto era finito, rise silenziosamente
per un buon mezzo minuto; poi disse:
"Ah, questa poi! E' il colmo!".
La voce gli suon• priva di forza, e per rinvigorire il tono delle
parole aggiunse con brio:
"E' proprio il colmo dei colmi!".
Detto ci•, si fece serio e silenzioso. Si sentiva la gola secca perch‚
aveva parlato tutto il pomeriggio in un'osteria di Dorset Street. La
maggior parte della gente considerava Lenehan un parassita, ma
nonostante questa reputazione la sua abilit… ed eloquenza avevano
sempre impedito ai suoi amici di far lega contro di lui. Aveva un modo
spavaldo di abbordare un gruppo di loro in un bar, tenendosi abilmente
ai margini della compagnia, finch‚ veniva incluso nel mezzo. Era un
vagabondo procacciatore di spassi, armato di una scorta di storielle,
filastrocche e indovinelli e perfettamente insensibile a qualsiasi
forma di scortesia. Nessuno sapeva come si procurasse i mezzi per
vivere, ma il suo nome era vagamente associato a corse di cavalli e
scommesse.
"E dove l'hai pescata, Corley?" domand•.
Corley fece scorrere rapidamente la lingua sul labbro superiore.
"Caro mio," rispose, "una sera stavo percorrendo la Dame Street quando
adocchiai sotto l'orologio della Waterhouse una bella topina e le
augurai la buonasera, tu mi capisci... Poi ci mettemmo a passeggiare
lungo il canale; faceva la donna di servizio in una casa di Baggot
Street, mi disse. Le passai un braccio intorno alla vita e per quella
sera non andai oltre qualche stretta. Le diedi un appuntamento per la
domenica seguente, e questa volta andammo a Donnybrook dove la portai
in un campo. Mi disse di avere una relazione con un lattaio... Ne
valeva la pena, te lo garantisco. Tutte le sere mi porta sigarette e
mi paga il biglietto del tram di andata e ritorno. Una volta mi ha
portato due sigari proprio di lusso e della stessa marca, sai, di
quelli che fumava l'altro... Avevo paura che restasse incinta, ma
conosce il trucco."
"Forse penser… che tu la voglia sposare," osserv• Lenehan.
"Le ho detto di essere disoccupato," rispose Corley. "Le ho dato a
intendere che abito da Pim. Non sa il mio nome; non sono stato cos
sciocco da dirglielo. Eppure Š convinta che io sia un signore."
Lenehan rise di nuovo, senza rumore.
"Questa Š buona!" esclam•. "E' decisamente la migliore che abbia mai
sentito."
Il modo di camminare di Corley lasci• capire che non era rimasto
indifferente al complimento. L'ondeggiare del suo corpo massiccio
costrinse l'amico a eseguire alcuni agili balzi dal marciapiede alla
strada e viceversa. Corley era figlio di un ispettore di polizia e del
padre aveva ereditato sia la figura che l'andatura. Camminava con le
braccia penzoloni, il portamento eretto, ciondolando la testa di qua e
di l…. Aveva un testone a palla e unto, che sudava con qualsiasi
tempo, e il cappello largo e rotondo, che portava sulle ventitr‚,
sembrava un bulbo sbocciato da un altro. Guardava sempre fisso davanti
a s‚ come se dovessero passarlo in rivista e, quando voleva girarsi a
guardare qualcuno, doveva far ruotare tutto il busto. Al momento era a
spasso. Ogni volta che c'era un posto in vista, si trovava sempre un
amico pronto a metterci una cattiva parola. Lo si vedeva spesso in
giro con agenti in borghese, tutto infervorato nel discorso. Conosceva
il lato oscuro di qualsiasi faccenda e ci teneva a dare giudizi
definitivi. Parlava senza ascoltare quello che dicevano gli altri; la
sua conversazione era soprattutto incentrata su se stesso: che cosa
aveva detto a una certa persona, che cosa questa gli aveva risposto, e
che cosa lui aveva poi detto per mettere a posto le cose. Quando
riferiva questi dialoghi aspirava la prima lettera del suo nome come
fanno i fiorentini.
Lenehan gli offr una sigaretta. Mentre camminavano tra la folla
Corley ogni tanto si girava e faceva dei sorrisi a delle ragazze che
passavano, ma Lenehan teneva lo sguardo fisso sulla grande pallida
luna, circondata da un doppio alone, e osservava serio la grigia trama
del crepuscolo passarle sul volto. Dopo un certo tempo disse:
"Be'... dimmi, Corley, penso che saprai tirarti fuori dagli impicci
benissimo, no?".
Per tutta risposta Corley gli strizz• l'occhio ammiccando.
"Sei sicuro che lei ci stia?" chiese Lenehan dubbioso. "Le donne non
si conoscono mai abbastanza".
"Direi proprio di s," ribatt‚ Corley. "So come prenderla, sta'
tranquillo. Le ho fatto girare la testa."
"Sei proprio quello che si dice un allegro Lotario," osserv• Lenehan.
"Anzi, il prototipo del Lotario."
Un'ombra di ironia mitig• la servilit… dei suoi modi. Per salvarsi era
abituato a lasciare la possibilit… di prendere la sua adulazione per
una battuta di spirito. Ma Corley non aveva una mente acuta.
"Basta un niente per far colpo su una donna di servizio," dichiar•.
"tienila da conto, questa confidenza."
"Per chi le ha gi… provate tutte," aggiunse Lenehan.
"Prima andavo a spasso anch'io con delle ragazze perbene," riprese
Corley confidenzialmente, "ragazze del South Circular, tu lo sai. Le
portavo fuori, in qualche posto, col tram e pagavo io, oppure andavamo
a sentire suonare la banda o a teatro, oppure compravo loro
cioccolatini e dolci o qualcosa del genere. In poche parole, spendevo
il giusto," aggiunse in tono convincente, come se fosse conscio di non
essere creduto.
Ma Lenehan poteva credergli benissimo; egli annu gravemente.
"Conosco il gioco." disse, "Š un gioco da sciocchi."
"Che mi prenda un accidente se ci ho mai guadagnato qualcosa," riprese
Corley.
"Idem per me," disse Lenehan.
"Soltanto una volta," precis• Corley.
Si inumid il labbro superiore facendogli scorrere sopra la lingua. Il
ricordo gli faceva brillare gli occhi. Anche lui guard• il pallido
disco della luna, ora quasi velato, e parve riflettere.
"Era... un tipetto che andava proprio bene," osserv• con rimpianto.
Divenne nuovamente silenzioso, poi aggiunse:
"Adesso Š sul marciapiede. L'ho vista in macchina con due tizi una
sera, in Earl Street."
"Immagino sia colpa tua," disse Lenehan.
"Ce n'erano stati degli altri nella sua vita prima di me," rispose
Corley con filosofia.
Questa volta Lenehan era portato a non credergli. Scosse la testa e
sorrise, poi disse:
"Non raccontare storie. Lo sai che con me non attacca".
"Te lo giuro!" replic• Corley. "Non me l'ha forse detto lei stessa?"
Lenehan fece un gesto drammatico.
"Vile traditore!" dichiar•.
Mentre passavano lungo la cancellata del Trinity College, Lenehan con
un salto si port• nella strada e guard• su all'orologio.
"Venti minuti di ritardo!" esclam•.
"Abbiamo tempo," disse Corley, "lei sar… gi… arrivata. La faccio
sempre aspettare un po'."
Lenehan rise piano.
"Accipicchia, Corley, sai come prenderle," disse.
"Conosco tutti i loro trucchetti," confess• Corley.
"Ma dimmi," riprese Lenehan, "sei sicuro di riuscirci? E' una faccenda
delicata. Le donne sono terribilmente riservate su quel punto. Eh...
cosa?"
I suoi occhietti lucidi cercarono il viso del compagno per essere
rassicurati. Corley mosse la testa avanti e indietro come se stesse
scacciando un insetto molesto, e le sue sopracciglia si aggrottarono.
"Mi arranger•," disse. "Lascia fare a me."
Lenehan non ribatt‚. Non voleva scatenare il malumore del compagno,
farsi mandare al diavolo e sentirsi dire che il suo consiglio non era
stato richiesto. Un po' di tatto ci voleva. Ma la fronte di Corley si
spian• quasi subito. I suoi pensieri gi… seguivano un altro corso.
"E' proprio una bella topina," osserv• da intenditore. "Te lo posso
assicurare."
Percorsero la Nassau Street e poi girarono in Kildare Street. Poco
lontano dai portici del club, in mezzo alla strada, un arpista suonava
circondato da un gruppetto di ascoltatori. Pizzicava distrattamente le
corde, dando di tanto in tanto una sbirciatina al viso di ogni nuovo
venuto e volgendo, con la stessa aria stanca, gli occhi al cielo.
Perfino l'arpa sembrava non curarsi della custodia che le era
scivolata sulle ginocchia e appariva stanca pure essa sia degli
sguardi di quegli estranei che delle mani del suo padrone. Una mano
eseguiva in tono di basso una melodia di Silent, "O Moyle", mentre
l'altra scorreva rapida sulle tonalit… pi— alte, dopo ogni accordo. Le
note del motivo risuonavano profonde e piene.
I due giovani continuarono la loro strada senza parlare, seguiti dalla
triste musica. All'altezza dello Stephen's Green attraversarono. Qui
il rumore dei tram, le luci e la folla, li liberarono dal silenzio.
"Eccola!" disse Corley.
All'angolo di Hume Street c'era una ragazza che indossava un vestito
azzurro e un berretto bianco alla marinara. Era in piedi sul bordo del
marciapiede e, mentre se ne stava l… ferma, faceva oscillare un
ombrellino con la mano. Lenehan si anim•.
"Diamole un'occhiata, Corley."
Corley lo guard• di traverso e una smorfia sgradevole gli si dipinse
sul viso.
"Stai cercando di soffiarmela?" chiese.
"Maledizione!" esclam• Lenehan con baldanza. "Non ti dico mica di
presentarmela. Voglio solo darle una guardatina. Non te la mangio,
no?"
"Ah... solo una guardatina?" disse Corley pi— gentilmente. "Sta bene:
ti dir• io come... Io andr• avanti, e, mentre noi parleremo, tu
passerai vicino."
"D'accordo!" approv• Lenehan.
Corley aveva gi… buttato una gamba al di l… delle catene, quando
Lenehan gli url•:
"E dopo? Dove ci incontreremo?"
"Alle dieci e mezzo," rispose Corley, scavalcando con l'altra gamba.
"Dove?"
"All'angolo di Merrion Street. Passeremo di l… al ritorno."
"Datti da fare, mi raccomando," disse Lenehan come saluto.
Corley non rispose. Attravers• pian pianino la strada dondolando la
testa di qua e di l…. La sua mole, il suo passo fermo e il sordo suono
degli stivali gli davano l'aria del conquistatore. Si avvicin• alla
ragazza e, senza salutarla, attacc• subito discorso. Lei dondolava
l'ombrellino pi— in fretta e contemporaneamente faceva dei mezzi giri
sui tacchi. Una o due volte, mentre lui le parlava molto vicino al
viso, rise e chin• la testa.
Lenehan li osserv• per qualche minuto. Poi, sfiorando le catene, si
port• rapidamente un po' pi— in l… e attravers• la strada in
diagonale. Mentre si avvicinava all'angolo di Hume Street sent
nell'aria un profumo intenso, e i suoi occhi fecero un rapido e
ansioso esame della ragazza. Aveva indossato i vestiti della domenica.
La gonna di alpaca azzurro era stretta in vita da una cintura di pelle
nera, e la grande fibbia d'argento sembrava comprimerle il centro del
corpo, stringendo la leggera stoffa della blusa bianca come una morsa.
Sopra portava una corta giacchettina nera con bottoni di madreperla e
un boa, pure nero, spelacchiato. I bordi del collettino di tulle erano
volutamente in disordine, e sul petto aveva appuntato un vistoso mazzo
di fiori rossi coi gambi all'ins—. Gli occhi di Lenehan notarono
compiaciuti il suo corpicino tarchiato e muscoloso. Una franca e rude
salute le traspariva dal viso, dalle guance rosse e paffute e dagli
occhi azzurri privi di timidezza. I suoi tratti avevano un qualcosa di
ordinario: le narici erano larghe, la bocca grande e passionale,
aperta in una espressione di sensualit… soddisfatta, e i due denti
davanti sporgenti. Passando, Lenehan si tolse il berretto e, dopo
circa dieci secondi, Corley ricambi• distrattamente con un saluto a
vuoto, gesto che fece meccanicamente portando la mano al cappello e
cambiandogli, assorto, il grado di inclinazione.
Lenehan prosegu fino allo Shelbourne Hotel, dove si ferm• ad
aspettare. Dopo un po' li vide venire verso di s‚, e quando girarono a
destra li segu camminando agilmente con le scarpe di gomma lungo un
lato della Merriot Square. Mentre camminava piano, adeguando il suo
passo al loro, osservava la testa di Corley girarsi in continuazione
verso il viso della giovane come una grossa palla che ruotasse su un
perno. Tenne d'occhio la coppia finch‚ li vide salire sul predellino
del tram di Donnybrook; poi si volt• e rifece il cammino a ritroso.
Adesso che era solo, il suo viso sembrava pi— vecchio. L'allegria
pareva averlo abbandonato, e, mentre avanzava lungo la cancellata del
Duke's Lawn, lasci• che la sua mano scorresse sull'inferriata. L'aria
che l'arpista aveva suonato cominci• a guidare i suoi movimenti. I
piedi inguainati nelle leggere scarpe di gomma battevano il tempo,
mentre le dita eseguivano pigramente una scala di variazioni sulle
sbarre dopo ogni accordo.
Vagabond• senza meta attorno allo Stephen's Green e poi per la Grafton
Street. I suoi occhi, pur notando materialmente molti particolari
della folla tra la quale passava, lo facevano con indifferenza e senza
interesse. Trovava volgare tutto ci• che doveva allettarlo e non
rispondeva agli sguardi che lo invitavano a farsi audace. Sapeva che
avrebbe dovuto parlare parecchio, inventare e divertire e aveva il
cervello e la gola troppo inariditi per un compito come quello. Il
problema di come passare le ore fino al momento di ritrovare Corley lo
preoccupava un po', e non gli veniva in mente nessun altro modo di
passarle se non continuando a camminare. Gir• a sinistra quando arrivo
all'angolo della Rutland Square e si sent pi— a suo agio in quella
strada buia e tranquilla, il cui aspetto cupo si intonava al suo stato
d'animo. Infine si ferm• davanti alla vetrina di un negozio dall'aria
modesta, sulla quale erano stampate in lettere bianche le parole: "Bar
Ristorante". Sul vetro si notavano due iscrizioni volanti: "Ginger
Beer" e "Ginger Ale". Un prosciutto cominciato era esposto sopra un
grande piatto azzurro, e accanto su un altro piatto c'era una fetta di
torta di prugne. Tenne gli occhi fissi sul cibo per un po', con aria
avida e poi, dopo aver guardato cautamente su e gi— per la strada, si
infil• svelto svelto nel locale.
Aveva fame perch‚, eccetto qualche biscotto che due garzoni brontoloni
gli avevano servito scortesemente, non aveva messo altro sotto i denti
dopo la colazione del mattino. Si sedette ad un tavolo di legno senza
tovaglia di fronte a due operaie e a un meccanico. Una ragazza
trasandata aspettava di servirlo.
"Quanto costa un piatto di piselli?" le chiese.
"Un penny e mezzo, signore," rispose la ragazza.
"Portatemene un piatto," disse, "e una bottiglia di birra."
Parlava in tono volgare per mascherare la sua aria da signore, perch‚
il suo ingresso era stato seguito da una pausa della conversazione. Si
sentiva il viso in fiamme. Per sembrare naturale spinse indietro il
berretto sulla nuca e piant• i gomiti sul tavolo. Il meccanico e le
ragazze lo squadrarono da capo a piedi prima di riprendere a parlare a
voce pi— bassa. La cameriera gli port• un piatto di piselli caldi,
conditi con pepe e aceto, una forchetta e la birra. Mangi• il cibo
avidamente e lo trov• tanto buono da prendere mentalmente nota del
locale. Finiti i piselli, sorseggi• la birra e rimase seduto per un
po' di tempo ripensando all'avventura di Corley. Con la fantasia
contemplava la coppia di innamorati camminare lungo una strada buia,
sentiva la voce di Corley, profonda ed energica, dire frasi galanti e
rivedeva l'espressione della bocca della ragazza. Questa immagine gli
fece sentire pi— forte la sua povert… sia materiale che spirituale.
Era stanco di bussare a tutte le porte, di vivere di espedienti e di
intrighi. In novembre avrebbe compiuto trentun anni. Non avrebbe mai
avuto un lavoro come si deve? Non avrebbe mai avuto una casa sua?
Pens• a quanto avrebbe dovuto essere piacevole avere un fuoco acceso e
un buon pranzo davanti al quale sedersi. Ne aveva fatta di strada con
amici e ragazze. Sapeva quanto valessero quegli amici e conosceva
anche le ragazze. L'esperienza gli aveva inasprito il cuore contro il
mondo, eppure la speranza non lo aveva abbandonato del tutto. Si sent
meglio dopo aver mangiato di quanto non stesse prima, meno stanco
della vita, meno vinto nello spirito. Avrebbe ancora potuto sistemarsi
in qualche angolino e vivere felice, se avesse soltanto avuto la
fortuna di imbattersi in una buona ragazza di animo semplice e con un
po' di soldi.
Pag• due pence e mezzo alla ragazza dall'aspetto trasandato e usc
dalla bottega per riprendere il suo gironzolare. Si incammin• per
Capel Street dirigendosi verso la City Hall; poi gir• in Dame Street.
All'angolo di George Street incontr• due amici e si ferm• a
chiacchierare con loro. Era contento di potersi riposare dopo tutto
quel vagabondare. Gli amici gli chiesero se avesse visto Corley e
quali fossero le ultime novit…. Rispose di aver passato la giornata
con lui. I suoi amici parlavano poco, guardavano distrattamente alcuni
dei passanti e ogni tanto se ne uscivano con un commento. Uno disse di
aver visto Mac un'ora prima in Westmoreland Street, al che Lenehan
aggiunse di essere stato con Mac la sera prima, da Egan. Il giovanotto
che aveva visto Mac in Westmoreland Street chiese se era vero che Mac
aveva vinto un bel po' al bigliardo. Lenehan non lo sapeva: disse che
Holohan aveva offerto da bere a tutti, da Egan.
Lasci• gli amici alle dieci meno un quarto e risal la George Street;
al City Market gir• a sinistra e imbocc• la Grafton Street. La folla
di ragazze e giovanotti si era fatta pi— rada e, cammin facendo, sent
parecchi gruppi e coppie augurarsi la buona notte. Arriv• fino
all'orologio del College of Surgeons: suonavano le dieci. Si incammin•
velocemente sul lato nord del Green, affrettandosi nel timore che
Corley potesse essere in anticipo sul previsto. Raggiunto l'angolo di
Merrion Street si mise all'ombra di un lampione, tir• fuori una delle
sigarette che teneva di riserva e l'accese. Si appoggi• al lampione e
tenne lo sguardo fisso nella direzione dalla quale pensava di veder
ritornare Corley e la ragazza.
La sua mente riprese a lavorare. Si domandava se Corley fosse riuscito
a cavarsela, se glielo avesse gi… chiesto o se avesse aspettato
l'ultimo momento. Soffriva tutte le pene e le ansie della situazione
dell'amico e della propria. Ma il ricordo della lenta rotazione della
testa di Corley lo calm• in un certo senso: era sicuro che Corley si
sarebbe tirato fuori dagli impicci benissimo. All'improvviso gli venne
il dubbio che forse Corley avesse accompagnato a casa la ragazza per
un'altra strada e che potesse essergli sfuggito. I suoi occhi
scrutarono la via: non c'era traccia di loro. Eppure era passata di
certo mezz'ora da quando aveva guardato l'orologio di College of
Surgeons. Sarebbe stato capace di fare una cosa simile, Corley? Accese
la sua ultima sigaretta e cominci• a fumarla nervosamente. Aguzzava lo
sguardo a ogni tram che si fermava all'angolo lontano della piazza.
Dovevano proprio essere andati a casa per un'altra strada. La carta
della sigaretta si ruppe, ed egli la butt• via con un'imprecazione.
Di colpo se li vide venire incontro. Sussult• di piacere e, tenendosi
accostato al lampione, cerc• di capire com'era andata dal loro modo di
camminare. Procedevano in fretta, la ragazza a passetti brevi e
rapidi, mentre Corley le teneva dietro con la solita andatura a passi
lunghi. Non sembrava che stessero parlando. Il presentimento lo punse
come la punta di uno strumento tagliente. Cap che Corley aveva
fallito, che tutto era stato inutile.
Girarono per Baggot Street, e lui li segu immediatamente, restando
sull'altro marciapiede. Quando si fermarono si ferm• anche lui.
Rimasero l a parlare per qualche istante, e poi la ragazza scese i
gradini che portavano in un cortile. Corley rimase in piedi sul bordo
del marciapiede, poco distante. Passarono pochi minuti: poi la porta
di ingresso si apr adagio e con cautela. Una donna scese correndo i
gradini e toss. Corley si gir• e and• verso di lei. La sua figura
massiccia nascose alla vista quella di lei per qualche secondo, poi la
donna riapparve mentre correva su per gli scalini. La porta si chiuse
dietro di lei, e Corley si incammin• rapido verso lo Stephen's Green.
Lenehan si affrett• nella stessa direzione. Cominciava a piovigginare.
Lo prese come un avvertimento e, dando un'occhiata indietro verso la
casa nella quale la donna era entrata per accertarsi di non essere
osservato, attravers• correndo la strada. L'ansia e la rapida corsa lo
facevano ansimare. Chiam•:
"Ehi, Corley!".
Corley gir• la testa per vedere chi lo chiamava e poi riprese a
camminare. Lenehan lo rincorse, aggiustandosi l'impermeabile sulle
spalle con una mano.
"Ehi, Corley!" grid• di nuovo.
Raggiunse l'amico e lo guard• fisso in viso. Non vi lesse niente.
"Be'," chiese, "te la sei cavata?"
Erano arrivati all'angolo di Ely Place. Sempre senza rispondere Corley
gir• a sinistra e si avvi• per la via laterale. I suoi tratti erano
composti in una calma austera. Lenehan si tenne al passo con l'amico
respirando faticosamente. Si sentiva tradito, e una nota di minaccia
vibrava nella sua voce, mentre domandava:
"Non mi dici niente? Hai tentato?".
Corley si ferm• sotto il primo lampione e guard• torvo davanti a s‚.
Poi con gesto grave tese una mano verso la luce e, sorridendo, l'apr
lentamente offrendola allo sguardo del discepolo. Una monetina d'oro
gli scintillava nel palmo.

PENSIONE DI FAMIGLIA.

La signora Mooney era figlia di un macellaio. Sapeva tenere per s‚ i
fatti suoi: era quella che si dice una donna energica. Aveva sposato
il garzone di suo padre e aveva aperto un negozio di macelleria vicino
agli Spring Gardens. Ma subito dopo la morte del suocero il signor
Mooney cominci• a prendere delle brutte abitudini: beveva, prelevava
continuamente denaro dal cassetto e affondava nei debiti fino al
collo. Era inutile fargli fare delle promesse: era sicuro di ricaderci
dopo un paio di giorni. Facendo continue scenate alla moglie in
presenza dei clienti e comprando carne scadente, fin con l'andare in
rovina. Una notte cerc• perfino di colpire la moglie con la mannaia, e
lei dovette andare a dormire in casa di un vicino.
Dopo questo fatto si divisero. Lei and• dal prete, ottenne la
separazione e la tutela dei figli. Non volle dargli n‚ denaro, n‚
cibo, n‚ alloggio, e cos lui fu costretto ad arruolarsi come
poliziotto. Era un misero ubriacone, curvo e striminzito, con il viso
e i baffi bianchi e con le sopracciglia pure bianche, segnate come un
tratto di penna su quegli occhietti acquosi e venati di sangue; tutto
il santo giorno se ne stava seduto al posto di polizia in attesa di
qualcosa da fare. La signora Mooney, che, col denaro rimastole dalla
vendita della macelleria e dalla liquidazione dei debiti, aveva aperto
una pensione in Hardwicke Street, era una donna grossa e robusta.
Aveva una clientela di passaggio, costituita da turisti provenienti da
Liverpool e dall'Isola di Man e, occasionalmente, da "artisti" di
caffŠ-concerto; e una clientela fissa, costituita da impiegati della
citt…. Dirigeva la pensione con abilit… e con fermezza: sapeva quando
far credito, quando essere rigida e quando lasciar correre. Tutti i
giovanotti della pensione parlavano di lei come di "madama".
Pagavano quindici scellini alla settimana per vitto e alloggio (birra
o "stout" a tavola esclusi), avevano in comune i gusti e le
occupazioni, e dunque erano molto affiatati, e discutevano insieme le
possibilit… di quelli che erano favoriti e di quelli che non lo erano.
Jack Mooney, il figlio di "madama", impiegato presso un rappresentante
in Fleet Street, aveva la fama di essere un tipaccio. Si compiaceva di
usare un linguaggio da caserma e aveva l'abitudine di tornare a casa
alle ore piccole. Quando incontrava gli amici ne aveva sempre una da
raccontare ed era sempre sicuro di aver scoperto qualcosa di buono,
cioŠ un buon cavallo o una graziosa ballerinetta. Col pugilato ci
sapeva fare e cantava canzonette. La domenica sera c'erano spesso
delle festicciole nel salotto della signora Mooney, di fronte
all'ingresso. Gli artisti del caffŠ-concerto si prestavano
gentilmente, e Sheridan suonava valzer e polche e improvvisava
accompagnamenti. Polly Mooney, la figlia di "madama", cantava anche
lei. Cantava:

"Sono una... cattiva ragazza
non c'e bisogno di nasconderlo
sai bene che lo sono."

Era una ragazzina esile di diciannove anni, dai capelli biondi e
vaporosi, dalla bocca piccola e piena. I suoi occhi, grigi con
riflessi verdi, avevano un modo di guardare all'ins— quando parlava
con qualcuno, che la facevano sembrare una madonnina perversa. La
signora Mooney le aveva prima trovato un posto come dattilografa
presso un grossista di cereali, ma, da quando un poliziotto di pessima
reputazione aveva cominciato ad andare sistematicamente all'ufficio un
giorno s e uno no chiedendo il permesso di dire una parola a sua
figlia, se l'era ripresa in casa e le faceva sbrigare le faccende
domestiche. Dato che Polly era molto vivace, l'intenzione della madre
era di creare l'occasione di farle incontrare dei giovanotti; d'altra
parte ai giovanotti non dispiaceva sentire che c'era una ragazza per
casa. Polly, naturalmente, civettava un po' con tutti, ma la signora
Mooney, che era un giudice sagace, sapeva che per i giovanotti non era
altro che un passatempo: nessuno aveva delle intenzioni serie... Le
cose andarono avanti cos per un pezzo, e la signora Mooney cominciava
gi… a pensare di rimandare Polly a fare la dattilografa, quando si
accorse che c'era qualcosa tra lei e uno dei giovanotti. Sorvegli• la
coppia e tenne per s‚ il segreto.
Polly sapeva di essere osservata, ma il perdurante silenzio di sua
madre non poteva essere frainteso. Non c'era stata un'aperta
complicit… n‚ una chiara intesa tra madre e figlia, ma, sebbene nella
pensione tutti cominciassero a parlare della cosa, la signora Mooney
ancora non interveniva. Polly era diventata strana nei modi, e il
giovanotto sembrava evidentemente turbato. Infine, quando pens• che
fosse il momento giusto, la signora Mooney intervenne. Trattava i
problemi morali come carne da tagliare con una mannaia e, in questo
caso, aveva deciso.
Era una radiosa mattina di domenica, di inizio estate, che si
preannunciava calda, ma ventilata. Tutte le finestre della pensione
erano aperte e le tendine di pizzo si gonfiavano leggermente verso la
strada, al disotto delle imposte alzate. Le campane della chiesa di
San Giorgio suonavano senza sosta e i fedeli, soli o in gruppo,
attraversavano il sagrato, mostrando le loro intenzioni, sia col
comportamento, sia a causa dei libretti che stringevano nelle mani
guantate. Nella pensione avevano ormai fatto tutti la prima colazione,
e la tavola della sala da pranzo era piena di piatti sui quali
restavano rimasugli di uova, pezzi di grasso e pelle di pancetta. La
signora Mooney sedeva nella poltrona di vimini e sorvegliava Maria, la
cameriera, mentre sparecchiava. Le fece riunire tutte le croste e i
pezzi di pane rotto, che dovevano servire per il budino del marted, e
quando la tavola fu sparecchiata, i pezzetti di pane raccolti, lo
zucchero e il burro in salvo sotto chiave e lucchetto, riand•
mentalmente al colloquio che aveva avuto la sera prima con Polly. Le
cose stavano come aveva sospettato: lei era stata franca nelle domande
e Polly lo era stata nelle risposte. Naturalmente si erano sentite un
po' imbarazzate, tutt'e due: lei nel non voler assumere un
atteggiamento troppo indifferente di fronte alla notizia o dare
l'impressione di aver lasciato fare, e Polly, non soltanto perch‚
allusioni di quel tipo le davano sempre un senso di disagio, ma anche
perch‚ non desiderava che si pensasse che, nella sua abile innocenza,
aveva indovinato le intenzioni che si nascondevano nella tolleranza
della madre.
La signora Mooney diede istintivamente un'occhiata alla piccola
pendola dorata sulla mensola del camino, non appena si rese conto,
uscendo dal suo fantasticare, che le campane della chiesa di San
Giorgio avevano smesso di suonare. Erano le undici e diciassette:
avrebbe avuto tutto il tempo che voleva per sbrigare la faccenda col
signor Doran e arrivare in tempo a prendere la Messa delle dodici in
Marlborough Street. Era certa di vincere. Tanto per cominciare, lei
aveva tutto il peso dell'opinione pubblica dalla sua: era una madre
oltraggiata. Gli aveva concesso di vivere sotto il suo tetto, pensando
che fosse un uomo d'onore, e lui aveva semplicemente abusato della sua
ospitalit…. Aveva trentaquattro o trentacinque anni, per cui non
poteva accampare la giovane et… come scusa, n‚ l'inesperienza: del
mondo ne sapeva qualcosa, lui! Aveva approfittato della giovinezza e
dell'inesperienza di Polly: era evidente. Il punto era: in che modo
doveva riparare.
Perch‚ una riparazione ci doveva essere in un caso come quello. Per
l'uomo va tutto bene: dopo aver avuto il suo momento di piacere pu•
andarsene per i fatti suoi, come se niente fosse successo, ma la
ragazza deve sopportare le conseguenze. Certe madri sarebbero state
contente di aggiustare le cose accettando del denaro: sapeva di casi
del genere. Ma per lei solo una riparazione poteva compensare la
perdita dell'onore della figlia: il matrimonio.
Ripens• di nuovo tutte le sue carte, prima di far salire Maria dal
signor Doran per dirgli che intendeva parlargli. Sentiva con sicurezza
che avrebbe vinto. Era un giovane serio, non sregolato o chiassoso
come gli altri. Se si fosse trattato del signor Sheridan o del signor
Meade o di Bantam Lyons, il suo compito sarebbe stato pi— duro. Ma
pensava che lui non avrebbe voluto rendere la cosa di dominio
pubblico. Tutti gli ospiti della pensione ne sapevano qualcosa; da
alcuni erano stati inventati i particolari. Inoltre, da tredici anni
era impiegato presso una grande ditta cattolica di commercianti di
vino, e la pubblicit… avrebbe, forse, significato per lui la perdita
del posto; mentre, se fosse stato d'accordo, tutto si sarebbe
aggiustato. Sapeva che aveva un buon stipendio e sospettava che avesse
qualche cosetta da parte.
Quasi la mezza! Si alz• in piedi e si osserv• nella specchiera. Fu
soddisfatta dell'espressione decisa del suo faccione florido, e pens•
a certe madri di sua conoscenza, che non riuscivano a sistemare le
figlie.
Il signor Doran era proprio molto agitato quella domenica mattina.
Aveva fatto due tentativi di radersi, ma la sua mano era cos
malferma, che era stato costretto a rinunciare. Una barba rossastra,
di tre giorni, gli contornava le guance, e ogni due o tre minuti gli
occhiali gli si appannavano, tanto che doveva toglierli e pulirli col
fazzoletto del taschino. Il ricordo della confessione della sera
precedente gli causava un forte disagio: il prete lo aveva costretto a
raccontare ogni ridicolo particolare della faccenda e infine aveva
ingigantito la sua colpa tanto che si era sentito quasi grato che gli
venisse offerta una possibilit… di riparare. Il male era fatto. Che
cosa gli restava da fare se non sposarla o svignarsela? Non poteva
comportarsi con tanta spudoratezza fino alla fine. Ci sarebbero state
delle chiacchiere, poteva esserne sicuro, e il suo principale ne
sarebbe di certo venuto a conoscenza. Dublino Š una citt… cos
piccola: tutti sanno gli affari degli altri. Si sent balzare il cuore
in gola, mentre, nella sua immaginazione eccitata, gli sembrava di
udire il vecchio Leonard gridare con la sua voce rauca: "Dite al
signor Doran di venire qui, per favore!".
Tutti quei lunghi anni di lavoro sprecati! Tutta la sua applicazione e
diligenza buttate via! Da giovane aveva corso la cavallina,
naturalmente; si era vantato di essere un libero pensatore e aveva
negato l'esistenza di Dio con i compagni nelle osterie. Ma tutto
questo era passato e non lo riguardava pi—... da vicino. Comprava
ancora una copia del "Reynold's" ogni settimana, ma rispettava i suoi
doveri religiosi e, per nove decimi dell'anno, conduceva una vita
regolare. Aveva abbastanza denaro per mettere la testa a posto col
matrimonio: non era questione di questo. Ma la famiglia si sarebbe
vergognata di lei. Prima di tutto c'era la pessima reputazione del
padre, e poi la pensione della madre cominciava ad acquistare una
certa fama... Aveva l'impressione di essere caduto in un tranello.
Immaginava gli amici parlare della cosa e ridere. Lei era un tantino
volgare: qualche volta parlava in modo sgrammaticato. Ma che cosa
importava la grammatica se le voleva veramente bene? Non riusciva a
capire se gli piaceva o se la disprezzava per quello che aveva fatto.
Certo lo aveva fatto anche lui. Il suo istinto gli suggeriva di
rimanere libero, di non sposarsi. Una volta sposato sei finito, si usa
dire.
Mentre sedeva, smarrito, sull'orlo del letto in maniche di camicia,
lei buss• piano alla porta ed entr•. Gli disse tutto: che si era tolta
il peso dallo stomaco con sua madre e che la mamma gli avrebbe parlato
quella mattina. Pianse e gli butt• le braccia al collo dicendo:
"O Bob! O Bob! Che devo fare? Dimmi tu che cosa devo fare!".
Avrebbe messo fine ai suoi giorni, gli disse.
La confort• debolmente, dicendole di non piangere, che era tutto a
posto, di non aver paura. Sent contro la camicia il palpitare del suo
seno.
Del resto non era tutta sua la colpa di quello che era successo.
Ricordava bene, con la curiosa e paziente memoria dei celibi, le prime
casuali carezze che il vestito, il respiro, le dita di lei gli avevano
dato. Poi una sera tardi, mentre stava svestendosi per andare a letto,
lei aveva bussato alla porta, timidamente. Voleva riaccendere la
candela con la sua, perch‚ le si era spenta per un colpo di vento. Era
la sera in cui di solito faceva il bagno. Indossava una vestaglia
aperta di flanella stampata; il collo del piede splendeva bianco
nell'apertura delle pantofole di pelo, e il sangue scorreva caldo
sotto la sua pelle profumata. Anche dalle sue mani e dai polsi, mentre
accendeva e teneva ferma la candela, si spandeva attorno un languido
profumo.
Di sera, quando rientrava tardi, era lei che gli scaldava la cena. Si
rendeva appena conto di quello che stava mangiando sentendosela
vicino, sola, di notte, nella casa addormentata. Quante premure! Se la
notte era fredda, umida o ventosa si poteva essere certi che c'era un
bicchierone di ponce pronto per lui. Forse avrebbero potuto essere
felici insieme...
Salivano insieme le scale, in punta di piedi, ognuno con la sua
candela e sul pianerottolo del terzo piano si scambiavano una
riluttante buonanotte. Si baciavano. Ricordava bene gli occhi, il
tocco della mano di lei e il suo turbamento...
Ma il delirio passa. Ripet‚ la frase che lei aveva detto, applicandola
a se stesso: "Che devo fare?". L'istinto del celibe lo ammoniva a
tirarsi indietro. Ma c'era il peccato; perfino il suo senso d'onore
gli diceva che doveva riparare una tale colpa.
Mentre se ne stava seduto con lei sull'orlo del letto, Maria buss•
alla porta e lo avvert che la signora voleva parlargli nello studio.
Si alz• di scatto per infilare giacca e gilet, pi— smarrito che mai.
Quando fu vestito, si avvicin• a Polly per confortarla. Tutto si
sarebbe sistemato, nessuna paura. La lasci• che piangeva sul letto e
sospirava: "O mio Dio!".
Mentre scendeva le scale, gli occhiali gli si appannarono tanto per
l'umidit… che dovette toglierli e pulirli. Avrebbe avuto voglia di
andarsene dal tetto e volarsene via in un altro paese, dove non
avrebbe pi— sentito parlare di questi guai, e invece una forza ignota
lo spingeva gi—, gradino dopo gradino. Gli implacabili volti del
principale e di "madama" osservavano la sua sconfitta. Nell'ultima
rampa di scale oltrepass• Jack Mooney, che stava salendo dalla
dispensa, tenendo strette due bottiglie di Bass. Si salutarono
freddamente; e gli occhi dell'amante si fermarono per un secondo o due
su un faccione da bulldog e un paio di braccia corte e grosse. Quando
fu in fondo alla scala, guard• su e vide Jack che lo stava fissando
dalla porta del ripostiglio.
D'improvviso gli ritorn• in mente la sera in cui uno degli artisti del
caffŠ-concerto, un biondino di Londra, aveva fatto un'allusione un po'
libera a Polly. La serata era quasi stata rovinata dalla violenza di
Jack. Tutti si sforzavano di calmarlo, e il biondino, un po' pi—
pallido del solito, continuava a sorridere e a sostenere che non aveva
voluto dire niente di male, ma Jack continu• a gridargli in faccia
che, a chiunque si fosse azzardato a scherzare in quel modo con sua
sorella, avrebbe fatto sputar sangue, ricacciandogli tutti i denti in
gola: ecco cosa gli avrebbe fatto.
Polly rimase seduta per un po' sul bordo del letto, piangendo. Poi si
asciug• gli occhi e and• a guardarsi allo specchio. Immerse l'orlo
della salvietta nella brocca e si rinfresc• gli occhi con l'acqua
fredda. Si guard• di profilo e si riaggiust• una forcina sopra
all'orecchio. Poi torn• indietro e si sedette ai piedi del letto.
Guard• a lungo i guanciali e la loro vista le risvegli• nella mente
segreti, piacevoli ricordi. Pos• la nuca contro il ferro freddo del
letto e cominci• a fantasticare. Non c'era pi— segno di turbamento sul
suo viso.
Aspettava con pazienza, quasi allegramente, senza orgasmo, e i
ricordi, piano piano, lasciavano il posto alle speranze e alle
prospettive per il futuro. Le sue speranze e i suoi progetti erano
cos complicati che non vedeva nemmeno pi— i bianchi guanciali, su cui
era fisso il suo sguardo, n‚ ricordava che stava aspettando qualcosa.
Infine sent sua madre che la chiamava. Scatt• in piedi e corse alla
ringhiera delle scale.
"Polly! Polly!"
"S, mamma."
"Vieni gi—, cara. Il signor Doran desidera parlarti."
Allora ricord• che cosa era rimasta ad aspettare.



UNA PICCOLA NUBE.

Otto anni prima aveva accompagnato l'amico alla North Wall e gli aveva
augurato buona fortuna. Gallaher aveva fatto strada. Lo si notava
subito dalla sua aria vissuta, dall'ottimo taglio del suo vestito di
"tweed" e dal suo accento sicuro. Pochi avevano il suo talento, e meno
ancora erano quelli che non si sarebbero lasciati corrompere da un
simile successo. In fondo Gallaher era un bravo ragazzo e aveva
meritato il successo. Era qualcosa avere un amico come lui.
I pensieri del piccolo Chandler, fin dall'ora di colazione, erano
sempre rimasti fissi sul suo incontro con Gallaher, sull'invito che
questi gli aveva fatto e su Londra, la grande metropoli in cui
Gallaher viveva. Lo chiamavano il piccolo Chandler perch‚, nonostante
la sua statura fosse soltanto leggermente al di sotto della media,
dava l'impressione di essere un omino. Aveva le mani piccole e
bianche, la struttura fragile, la voce tranquilla e i modi raffinati.
Il taglio delle sue unghie a mezzaluna era perfetto, e, quando
sorrideva, si intravvedeva una fila di denti bianchi e infantili.
Mentre sedeva alla scrivania nella King's Inn, pensava ai tanti
mutamenti che quegli otto anni avevano portato. L'amico, che aveva
conosciuto sotto un aspetto logoro e bisognoso, era diventato uno dei
pi— brillanti nomi della London Press. Si girava spesso, interrompendo
il suo noioso scribacchiare, per guardare fuori dalla finestra. La
luce calda di un tramonto di tardo autunno si stendeva sui prati e sui
vialetti; ricopriva con una pioggia di pulviscolo dorato le scialbe
bambinaie e i vecchi decrepiti che sonnecchiavano sulle panchine;
batteva su tutte le figure in movimento, sui bambini che correvano
vociando per i vialetti di ghiaia e su tutti quelli che attraversavano
i giardini. Osserv• la scena, riflett‚ sulla vita e (come sempre gli
capitava quando pensava alla vita) divent• triste. Una dolce
malinconia si impadron di lui. Sent quanto fosse inutile lottare
contro la sorte: questo era il bagaglio di saggezza che i secoli gli
avevano trasmesso.
Ricord• i libri di poesie sugli scaffali, a casa. Li aveva comprati
quando era ancora scapolo e pi— di una sera, mentre sedeva nella
stanzetta che dava in anticamera, era stato tentato di toglierne uno
dalla libreria e di leggere qualcosa alla moglie. Ma la timidezza lo
aveva sempre trattenuto, e cos i libri erano sempre rimasti l…, negli
scaffali.
A volte ripeteva dei brani da solo, e questo lo consolava.
Finito il suo orario di lavoro, si alz• e prese congedo dalla
scrivania e dai colleghi, accuratamente. Sbuc• da sotto l'arco feudale
della King's Inn, pulita e modesta figura, e si incammin• veloce per
Henriette Street. Il tramonto dorato stava sparendo, e l'aria si era
fatta pi— pungente. Un'orda di ragazzini sporchi riempiva la strada.
In parte se ne stavano in mezzo alla via, altri l'attraversavano
correndo o si arrampicavano sui gradini davanti alle porte spalancate,
e altri ancora se ne stavano accoccolati come topi sulle soglie. Il
piccolo Chandler non badava a loro. Continuava svelto per la sua
strada in mezzo a quella vita minuta simile al brulicho di insetti,
all'ombra degli squallidi spettrali palazzi, nei quali la vecchia
nobilt… di Dublino aveva condotto vita fastosa. Nessun ricordo del
passato lo sfiorava; la sua mente era piena della gioia presente.
Non era mai stato da Corless, ma lo conosceva di fama. Sapeva che la
gente ci andava dopo il teatro per mangiare ostriche e bere liquori, e
aveva anche sentito dire che i camerieri parlavano francese e tedesco.
Passandoci frettolosamente vicino di notte aveva visto una fila di
carrozze davanti alla porta e delle signore, sfarzosamente vestite e
scortate da cavalieri, che scendevano ed entravano svelte svelte.
Indossavano abiti fruscianti e mantelli, avevano i visi incipriati e
sollevavano i vestiti, quando toccavano terra, come Atalante
preoccupate. Era sempre passato senza girarsi mai a guardare. Era sua
abitudine camminare in fretta, perfino di giorno, e, quando gli
capitava di trovarsi in centro a tarda notte, si affrettava per la sua
strada, preoccupato ed eccitato. Qualche volta invece cercava di
stabilire le cause della sua paura. Sceglieva le strade pi— buie e
strette e, mentre avanzava coraggiosamente, il silenzio che circondava
il rumore dei suoi passi lo turbava, anche i silenziosi passanti lo
turbavano, e a volte il suono di una risatina fugace era sufficiente a
farlo tremare come una foglia.
Gir• a destra dirigendosi verso la Capel Street. Ignatius Gallaher
alla London Press! Chi l'avrebbe detto otto anni prima? Eppure,
riandando ora al passato, il piccolo Chandler ricordava nell'amico
molti segni della futura grandezza. La gente considerava Ignatius
Gallaher un dissoluto. Certo, allora frequentava cattive compagnie,
beveva esageratamente e si faceva prestare denaro da tutti. Alla fine
si era trovato invischiato in un losco affare, qualche faccenda di
denaro: almeno questa fu una delle versioni sulla sua fuga. Ma nessuno
negava il suo talento. C'era sempre un certo... un certo non so che in
Ignatius Gallaher, che colpiva, nonostante tutto. Anche quando era al
verde e col morale a terra per l'impellente necessit… di denaro,
conservava la sua faccia tosta. Il piccolo Chandler ricordava (e il
ricordo gli diffuse sulle guance un leggero rossore di orgoglio) uno
dei detti di Ignatius Gallaher quando si trovava nelle situazioni
difficili:
"Calma ora, ragazzi," diceva di solito a cuor leggero, "dove ho la
testa?".
Ecco chi era Ignatius Gallaher, e, perdinci, non si poteva che
ammirarlo per questo.
Il piccolo Chandler acceler• il passo. Per la prima volta in vita sua
si sentiva superiore alla gente che sorpassava; per la prima volta il
suo intimo si rivoltava contro la scialba ineleganza di Capel Street.
Non c'era dubbio su questo: se si voleva aver successo, bisognava
andarsene. Non si poteva fare niente a Dublino. Mentre attraversava il
Grattan Bridge pos• lo sguardo, un tantino sprezzante, sul fiume verso
le banchine e prov• piet… per quelle povere catapecchie. Gli
sembravano un insieme di vagabondi, ammucchiati lungo gli argini del
fiume, con le logore giacche coperte di polvere e fuliggine, stupiti
del panorama del tramonto e in attesa del primo freddo della notte che
ordinasse loro di alzarsi, riscuotersi e andare via. Si chiedeva se
avrebbe saputo scrivere una poesia per rendere l'idea. Forse Gallaher
avrebbe potuto fargliela pubblicare su un giornale di Londra. Sarebbe
stato capace di scrivere qualcosa di originale? Non sapeva esattamente
quale idea volesse esprimere, ma pensava di essere toccato dal soffio
poetico, che aveva preso vita in lui come una speranza fanciullesca.
Prosegu spavaldamente.
Ogni passo lo avvicinava a Londra e lo allontanava dalla sua vita
scialba e prosaica. Una luce tremolante si fece strada nella sua
mente. Non era poi tanto vecchio: aveva trentadue anni. Il suo
temperamento poteva giusto considerarsi arrivato alla maturit….
C'erano cos tanti stati d'animo e impressioni che avrebbe voluto
esprimere in versi. Li sentiva dentro di s‚. Cerc• di soppesare la sua
anima per stabilire se era l'anima di un poeta. La malinconia era la
nota dominante del suo carattere, pens•, ma era una malinconia
temperata da ritorni di fede, di rassegnazione e di semplice gioia. Se
avesse saputo esprimerla in un libro di poesie, forse gli uomini
l'avrebbero ascoltata. Non sarebbe mai diventato popolare: lo sapeva.
Non poteva far presa sulla massa, ma poteva appellarsi a un circolo
ristretto di menti vicine alla sua. I critici inglesi, forse,
avrebbero potuto riconoscerlo come un appartenente alla scuola
celtica, per via del tono malinconico delle sue poesie; inoltre, la
sua penna non avrebbe mancato di accentuare questa impronta. Cominci•
a immaginare critiche e commenti sul suo libro. "Il signor Chandler ha
il dono di esprimersi con versi facili e gentili... Una melanconica
tristezza pervade queste poesie... La nota celtica...". Peccato non
avere un nome tipicamente irlandese! Forse sarebbe stato meglio far
precedere il cognome della madre al proprio: Thomas Malone Chandler; o
meglio ancora: T. Malone Chandler. Ne avrebbe parlato a Gallaher.
Era cos perso dietro le sue fantasticherie, che super• il punto in
cui avrebbe dovuto fermarsi e fu costretto a tornare indietro. Mentre
si avvicinava a Corless, lo riprese l'agitazione di prima, e si ferm•
indeciso davanti alla porta. Infine l'apr ed entr•.
La luce e il rumore del bar lo fecero rimanere fermo sulla soglia per
alcuni istanti. Si guard• attorno, ma la sua vista era offuscata dal
brillare di tutti quei calici rossi e verdi. Il locale gli sembr•
molto affollato, e sent che tutta quella gente lo stava osservando
con curiosit…. Diede una rapida occhiata a destra e a sinistra
(corrugando leggermente la fronte per darsi un tono), ma, quando la
sua vista cominci• a distinguere un po', vide che nessuno si era
girato a guardarlo: e l…, in carne e ossa, se ne stava Ignatius
Gallaher a gambe larghe e girando le spalle al banco.
"Salve, Tommy, vecchio mio, eccoti qua! Che facciamo? Che cosa prendi?
Io un whisky. E' migliore di quello che ci mandano per mare. Soda?
Niente acqua minerale? Niente anche per me. Altera il gusto... per
favore, gar‡on, due mezzi di whisky, su da bravo!... Be', e come te la
sei cavata da quando ti ho visto l'ultima volta? Buon Dio, come
diventiamo vecchi! Noti qualche segno di invecchiamento in me? Eh,
cosa? Un po' pi— grigio e un po' pi— spelacchiato, eh?"
Ignatius Gallaher si tolse il cappello e mise a nudo una testa grossa,
coi capelli tagliati corti corti. Aveva un faccione pallido e ben
rasato. I suoi occhi, di un azzurro ardesia, mitigavano il suo pallore
malsano e brillavano piatti sulla sgargiante cravatta arancione. Su
questa fisionomia piena di contrasti le labbra sembravano lunghissime,
informi e incolori. Chin• la testa e si tocc• con due dita pietose i
capelli radi sul cocuzzolo. Il piccolo Chandler scosse la testa in
segno di diniego, e Ignatius Gallaher si rimise il cappello.
"Ti butta gi— la vita del giornale," disse. "Sempre di fretta e di
corsa a caccia di notizie e qualche volta senza riuscire a trovarle; e
poi dover sempre inserire qualcosa di nuovo nel tuo articolo. Sai che
ti dico? Che vadano alla malora, bozze e tipografi, per qualche
giorno. Sono maledettamente contento, te l'assicuro, di essere
ritornato alla vecchia patria. Un povero diavolo ha pur diritto a un
po' di vacanza. Mi sento molto meglio da quando ho rimesso piede nella
cara, sporca Dublino... Qui ci sei tu, Tommy. Acqua? Dimmi quando
basta."
Il piccolo Chandler lasci• che il suo whisky venisse molto diluito.
"Non sai quel che ci vuole, ragazzo mio," disse Ignatius Gallaher. "Il
mio lo bevo liscio."
"Sono abituato a bere pochissimo," rispose il piccolo Chandler con
modestia. "Un mezzo bicchierino o poco pi— quando incontro uno dei
vecchi amici: questo Š tutto."
"Ah, be'," fece Ignatius Gallaher allegramente, "alla nostra salute,
ai vecchi tempi e alle vecchie amicizie!"
Toccarono i bicchieri e bevvero.
"Ho incontrato qualcuno della vecchia guardia, oggi," disse Ignatius
Gallaher. "O'Hara sembra su una cattiva strada. Che cosa fa?"
"Niente," precis• il piccolo Chandler. "Si Š rovinato."
"Ma Hogan ha un buon posto, no?"
"Si, Š nella commissione territoriale."
"L'ho incontrato una sera a Londra, e mi Š sembrato piuttosto in
grana... Povero O'Hara! Il bere, no?"
"Anche altre cose," tagli• corto il piccolo Chandler.
Ignatius Gallaher rise.
"Tommy," disse, "vedo che non sei cambiato per niente. Sei sempre la
solita personcina ammodo, che mi faceva la predica la domenica mattina
quando avevo il mal di testa e la bocca impastata. Dovresti sentire il
bisogno di girare un po' il mondo. Non ti sei mai allontanato da qui,
anche solo per una gita?"
"Sono stato all'isola di Man," fu la risposta. Ignatius Gallaher si
mise a ridere.
"All'isola di Man!" esclam•. "Ma vai a Londra o a Parigi: potendo
scegliere, meglio Parigi. Ti farebbe bene."
"Tu l'hai vista Parigi?"
"Caspita, se l'ho vista! Ci ho bazzicato un bel po'."
"E Š davvero cos bella come dicono?" chiese il piccolo Chandler.
Poi sorseggi• un po' del suo liquore, mentre Ignatius Gallaher vuotava
il bicchiere con disinvoltura.
"Bella?" disse Ignatius Gallaher, soffermandosi sulla parola e sul
sapore del suo whisky. "Ti dir•, non Š poi cos bella... Bella lo Š,
naturalmente... Ma Š la vita di Parigi: questo Š quello che conta. Ah,
non c'Š citt… che le stia alla pari per allegria, movimento,
eccitazione..."
Il piccolo Chandler fin il suo whisky e, con un po' di fatica, riusc
ad attirare l'attenzione del barista. Ripet‚ l'ordine di prima.
"Sono stato al Moulin Rouge," continu• Ignatius Gallaher, quando il
barista ebbe portato via i bicchieri, "e in tutti i caffŠ di
Montmartre. Che eccitazione! Non Š posto per un ragazzo perbene come
te, Tommy!"
Il piccolo Chandler non disse niente finch‚ il barista non ritorn• con
due bicchieri; poi, con un tocco leggero al bicchiere dell'amico,
ricambi• il brindisi. Cominciava a sentire un po' di disillusione.
L'accento di Gallaher e il suo modo di esprimersi non gli piacevano.
C'era qualcosa di volgare in lui, che a tutta prima gli era sfuggito.
Ma forse era solo la conseguenza del vivere a Londra, tra il trambusto
e la concorrenza del giornale. L'antico fascino personale restava
ancora, sotto questo nuovo atteggiamento gaudente. E, dopotutto,
Gallaher aveva vissuto, aveva visto il mondo. Il piccolo Chandler
guard• l'amico con invidia.
"Tutto a Parigi Š allegro," continu• Ignatius Gallaher. "Credono nella
gioia della vita, e non pensi che abbiano ragione? Se vuoi spassartela
nel vero senso della parola, vai a Parigi. E ricorda che hanno molta
simpatia per gli irlandesi. Quando hanno saputo che sono nato in
Irlanda, quasi mi ammazzavano per l'entusiasmo."
Il piccolo Chandler bevve quattro o cinque sorsi dal bicchiere. Poi
chiese:
"Dimmi, Š vero che Parigi Š cos... immorale come dicono?".
Ignatius Gallaher fece un ampio gesto con la mano destra.
"Qualsiasi posto Š immorale," osserv•. "Certo che a Parigi trovi dei
bocconcini piccanti. Vai a un ballo di studenti, per esempio. Che
divertimento, sempre che sia di tuo gusto, quando le 'cocottes'
cominciano a lasciarsi andare. Sai chi sono, no?"
"Ne ho sentito parlare," disse il piccolo Chandler.
Ignatius Gallaher bevve tutto d'un fiato il suo whisky e scosse la
testa.
"Ah!" continu•, "puoi dire quello che vuoi, ma non c'Š donna come la
parigina, per stile ed eleganza."
"Allora Š una citt… immorale," riprese il piccolo Chandler con timida
insistenza. "Intendo dire, se confrontata con Londra o Dublino."
"Londra!" fece Ignatius Gallaher. "Se non Š zuppa Š pan bagnato.
Chiedilo un po' a Hogan, ragazzo mio. Gliel'ho fatta girare ben bene
Londra, quando Š capitato l…. Lui s che ti aprirebbe gli occhi... Ma
senti, Tom, non trasformare quel povero whisky in un ponce: bevilo
puro!"
"No, davvero..."
"Su, avanti! Un altro non ti far… male di certo. Cosa vuoi? Ancora lo
stesso, eh?"
"E va bene, d'accordo."
"Fran‡ois, ancora lo stesso... Un sigaro, Tommy?"
Ignatius Gallaher tir• fuori il portasigari. I due amici accesero e si
misero a fumare in silenzio, finch‚ venne loro servito da bere.
"Ti dir• la mia opinione," riprese Ignatius Gallaher, emergendo pochi
minuti dopo dalla nuvola di fumo in cui si era rifugiato. "E' ben
strano questo mondo. Parlare di immoralit…! Ho sentito di casi... ma
che dico? Ho visto coi miei occhi certi casi: casi di...
immoralit…..."
Ignatius Gallaher prese a tirar boccate con aria assorta e poi, col
tono calmo di un cronista, continu• abbozzando all'amico alcuni quadri
della corruzione che dilagava all'estero. Riassunse i vizi di molte
capitali e sembr• propenso ad assegnare la palma a Berlino. Di certe
cose non poteva esserne sicuro al cento per cento (gli erano state
riferite da un amico), ma di altre aveva fatto un'esperienza
personale. Non risparmi• n‚ rango n‚ casta. Rivel• molti segreti dei
monasteri sul continente, descrisse alcune delle pratiche abituali
presso l'alta societ… e fin col raccontare, nei dettagli, una storia
su una duchessa inglese, storia che sapeva che era vera. Il piccolo
Chandler era stupefatto.
"Ma qui," disse Ignatius Gallaher, "ci troviamo nel vecchio tran tran
di Dublino, dove non si sa niente di cose del genere."
"Come ti sembrer… insignificante," osserv• il piccolo Chandler, "dopo
tutti quei posti che hai visto."
"Be'," rispose Ignatius Gallaher, "ci si riposa a venire qui, sai. E,
dopotutto, Š la vecchia terra nata, come si suol dire, no? Non puoi
fare a meno di sentire un certo attaccamento; cosi Š fatta la natura
umana... Ma dimmi qualcosa di te. Hogan mi ha detto che hai... gustato
le gioie della felicit… coniugale. Ti sei sposato due anni fa, vero?"
Il piccolo Chandler arross e sorrise.
"S, mi sono sposato," conferm•. "E' stato un anno lo scorso maggio."
"Spero non sia troppo tardi per farti i miei migliori auguri," disse
Ignatius Gallaher. "Non sapevo il tuo indirizzo, se no ti avrei
scritto a suo tempo."
Tese la mano, che il piccolo Chandler strinse.
"Be', Tommy," continu•, "auguro a te e a tua moglie ogni gioia nella
vita, un sacco di soldi e che tu abbia vita finch‚ non sia io a
spararti. Questo Š l'augurio di un amico sincero, di un vecchio amico.
Lo sai, vero?"
"S, lo so," rispose il piccolo Chandler.
"Hai bambini?" chiese di nuovo Ignatius Gallaher.
"Ne abbiamo uno."
"Maschio o femmina?"
"Un maschietto."
Ignatius Gallaher gli diede una manata sulla schiena, esclamando:
"Bravo, non ne dubitavo, Tommy!".
Il piccolo Chandler sorrise, abbass• confuso lo sguardo sul bicchiere
e si morse il labbro inferiore con i tre denti davanti, bianchi e
infantili.
"Spero che passerai una sera con noi," disse, "prima di andartene. Mia
moglie sar… molto felice di conoscerti. Suoneremo qualcosa e..."
"Ti ringrazio moltissimo, vecchio mio," rispose Ignatius Gallaher.
"Peccato, proprio peccato, che non ci siamo incontrati prima. Ma devo
partire domani sera."
"Forse allora stasera..."
"Mi dispiace moltissimo, caro. Sono venuto con un altro amico, anche
lui un ragazzo intelligente, e abbiamo combinato di fare una partita a
carte. Solo per questo..."
"Oh, quand'Š cos..."
"Ma chi lo sa?" riprese Ignatius Gallaher, con tatto. "L'anno prossimo
far• ancora una capatina qui, adesso che ho rotto il ghiaccio. E'
soltanto un piacere rimandato."
"Benissimo," disse il piccolo Chandler. "La prossima volta che verrai
passeremo una sera insieme. Siamo d'accordo fin da adesso, no?"
"S, d'accordo," conferm• Ignatius Gallaher. "L'anno prossimoo, se
verr•; 'parole d'honneur'."
"E per stringere il patto," propose il piccolo Chandler, "che ne
diresti di un altro bicchierino?"
Ignatius Gallaher tir• fuori un grosso orologio d'oro e lo guard•.
"Proprio l'ultimo?" osserv•. "Perch‚, lo sai, ho un appuntamento."
"Senz'altro."
"Benissimo, allora," dichiar• Ignatius Gallaher. "Beviamoci il cos
detto bicchiere della staffa."
Il piccolo Chandler ordin• da bere. Il rossore, che gli era salito al
viso pochi istanti prima, vi si era fissato. Una sciocchezza lo faceva
arrossire ogni minuto, e adesso sentiva caldo ed era eccitato. Tre
miseri whisky gli avevano dato alla testa e il forte sigaro di
Gallaher gli aveva confuso le idee: era delicatino e cos sobrio, lui!
L'avventura di incontrare Gallaher dopo otto anni, di trovarsi con lui
da Corless, circondati da luci e rumore, di ascoltare i suoi racconti
e di partecipare, per un breve intermezzo, alla vita vagabonda e
trionfante dell'amico, aveva turbato l'equilibrio della sua natura
sensibile. Sent acutamente il contrasto tra la sua vita e quella di
Gallaher, e gli sembr• ingiusto. Questi gli era inferiore per nascita
e per educazione. Era sicuro che avrebbe potuto fare qualcosa di
meglio di quanto non avesse mai fatto o avrebbe potuto fare l'amico,
qualcosa di pi— alto di un'attivit… giornalistica fatta solo di
apparenza, se soltanto ne avesse avuto l'occasione. Che cosa gli
intralciava la strada? La sua disgraziata timidezza! Voleva prendersi
in qualche modo la rivincita, provare la sua virilit…. Vide quello che
si nascondeva dietro il rifiuto del suo invito da parte di Gallaher.
Gallaher stava solo degnandolo della sua benevola protezione, proprio
come si proponeva di proteggere l'Irlanda con la sua presenza.
Il barista port• da bere. Il piccolo Chandler spinse uno dei bicchieri
verso l'amico e prese l'altro con baldanza.
"Chi lo sa?" disse, mentre alzavano i bicchieri. "Quando verrai l'anno
venturo, pu• darsi che io abbia il piacere di augurare lunga vita e
felicit… al signore e alla signora Gallaher."
Ignatius Gallaher, nell'atto di bere, gli ammicc• intenzionalmente, al
di sopra dell'orlo del bicchiere. Una volta bevuto, fece schioccare le
labbra con decisione, mise gi— il bicchiere e disse:
"Nessuna sciocca paura del genere, ragazzo mio. Ho intenzione di
divertirmi e di vedere un po' di vita e di mondo, prima di mettere la
testa nel sacco, se mai lo far•".
"Una volta o l'altra lo farai," dichiar• il piccolo Chandler con
calma.
Ignatius Gallaher gir• completamente la cravatta arancione e gli occhi
azzurro ardesia sull'amico.
"Lo credi?" chiese.
"Metterai la testa nel sacco," ripet‚ il piccolo Chandler con
fermezza, "come chiunque altro, se troverai la ragazza adatta."
Aveva usato un tono leggermente enfatico e si era accorto di essersi
tradito; ma, sebbene il colore si fosse fatto pi— acceso sulle sue
guance, sostenne lo sguardo dell'amico. Ignatius Gallaher lo osserv•
per un po' e poi disse:
"Se mai succeder…, puoi scommettere il tuo ultimo dollaro che non ci
saranno passeggiatine sentimentali e svenevolezze. Voglio fare un
matrimonio di convenienza. Lei dovr… avere un conto ben fornito in
banca o non far… per me."
Il piccolo Chandler scosse la testa.
"Perch‚," disse Ignatius Gallaher con veemenza, "non sai com'Š? Non ho
che da dire una parola e domani posso avere sia la donna che i soldi.
Non lo credi? Bene, lo so. Ci sono centinaia, ma che dico, migliaia di
ricche tedesche e di ebree, corrotte dal denaro, che sarebbero anche
troppo contente... Aspetta un po', ragazzo mio. Vedrai, se non gioco
bene le mie carte. Quando mi occupo di una cosa voglio che sia un
affare, te lo dico io. Vedrai se non gioco bene le mie carte. Quando
mi occupo di una cosa voglio che sia un affare, te lo dico io. Sta' a
vedere."
Port• il bicchiere alla bocca, fin il liquore e rise forte. Poi
guard• pensierosamente davanti a s‚ e disse in un tono pi— calmo:
"Ma non ho fretta. Possono aspettare. Non mi vedo legato a una donna,
sai".
Atteggi• la bocca come se stesse assaggiando qualcosa e fece una
smorfia.
"E' meglio che stagioni ancora un po', secondo me," disse.

Il piccolo Chandler sedeva nella stanza che dava in anticamera, con il
bambino in braccio. Per risparmiare non avevano la donna di servizio,
ma la sorella minore di Annie, Monica, veniva per circa un'ora al
mattino e un'ora alla sera per aiutare. Ma Monica se ne era andata a
casa gi… da un pezzo. Mancava un quarto alle nove. Il piccolo Chandler
era rincasato tardi per il tŠ e, inoltre, aveva dimenticato di portare
a casa ad Annie il pacchetto che doveva passare a prendere da Bewley,
il droghiere. Naturalmente, lei era di cattivo umore e gli dava delle
risposte laconiche. Disse che avrebbe fatto a meno del tŠ, ma quando
si avvicin• l'ora in cui il negozio all'angolo stava per chiudere,
decise di andare lei stessa a comprare un quarto di libbra di tŠ e due
libbre di zucchero. Gli mise in braccio il bambino addormentato, con
naturalezza, e gli raccomand•:
"Tieni. Non svegliarlo."
Una piccola lampada con un paralume di seta bianca era collocata sopra
la tavola, e la sua luce cadeva sopra una fotografia racchiusa in una
cornice di corno rugoso. Era una fotografia di Annie. Il piccolo
Chandler la guard•, indugiando con lo sguardo sulle labbra fini e
sottili. Indossava la camicetta estiva azzurro pallido, che le aveva
portato a casa come regalo un sabato. L'aveva pagata dieci scellini e
undici pence, ma quale carica di nervosismo gli era costata! Come
aveva sofferto quel giorno: aspettando davanti alla porta che il
negozio fosse vuoto; poi, in piedi vicino al banco, cercando di darsi
un contegno e osservando la commessa ammucchiare camicette da donna
davanti a lui; mentre pagava alla cassa, dove aveva dimenticato di
prendere il misero penny che gli veniva di resto, cosicch‚ il cassiere
aveva dovuto richiamarlo; e, infine, mentre si sforzava di nascondere
il suo rossore, al momento di uscire dal negozio facendo finta di
controllare il pacco per vedere se era legato bene. Quando aveva
portato a casa la camicetta, Annie lo aveva baciato e aveva dichiarato
che era molto graziosa ed elegante; ma, non appena sentito il prezzo,
aveva gettato la camicetta sul tavolo affermando che era una vera
truffa farla pagare cos cara. Prima avrebbe voluto portarla indietro,
ma quando se l'era provata ne era rimasta entusiasta, soprattutto per
la fattura delle maniche, lo aveva baciato e gli aveva detto che era
stato molto buono a pensare a lei.
Hm!...
Guard• freddamente gli occhi della fotografia, che a loro volta gli
risposero freddamente. Certo erano belli e pure il viso era carino. Ma
ci trov• qualcosa di volgare. Perch‚ quell'aria sostenuta e raffinata?
La compostezza degli occhi lo irrit•. Lo respingevano e lo
disprezzavano: non c'era in essi n‚ passione n‚ entusiasmo. Pens• a
quello che Gallaher aveva detto delle ricche ebree. Quegli occhi scuri
orientali, pens•, quanto sono pieni di passione, di voluttuoso
desiderio!... Perch‚ aveva sposato gli occhi della fotografia?
Si concentr• sul problema e si guard• nervosamente intorno nella
stanza. Trov• qualcosa di volgare anche nel grazioso mobilio che aveva
comprato a rate per la sua casa. Lo aveva scelto Annie, e appunto a
lei faceva pensare: cos carino e lezioso. Un sordo risentimento
contro la sua vita si risvegli• in lui. Non poteva fuggire da questa
piccola casa? Era troppo tardi, per lui, cercare di vivere
coraggiosamente come Gallaher? Avrebbe potuto andarsene a Londra?
C'era il mobilio ancora da pagare. Se soltanto avesse potuto scrivere
un libro e farlo pubblicare, questo avrebbe potuto aprirgli la strada.
Un volume di poesie di Byron giaceva davanti a lui, sul tavolo. Lo
apr piano piano, con la mano sinistra, per paura di svegliare il
bambino, e cominci• a leggere la prima:

"Non spirano venti e la sera Š ancora immersa nell'oscurit…,
neppure uno zeffiro aleggia attraverso il boschetto,
mentre ritorno a guardare la tomba della mia Margaret
e a spargere fiori sulle ceneri amate."

Fece una pausa. Sentiva il ritmo del verso intorno a s‚ nella stanza.
Com'era malinconico! Avrebbe anche lui potuto scrivere nello stesso
modo, esprimere in versi la malinconia della sua anima? C'erano tante
cose che voleva descrivere: la sensazione che aveva provato poche ore
prima sul Grattan Bridge, per esempio. Se avesse potuto ritrovarsi
ancora in quello stato d'animo...
Il bambino si svegli• e cominci• a piangere. Lui distolse gli occhi
dalla pagina e cerc• di farlo star zitto: ma non voleva calmarsi.
Cominci• a cullarlo tra le braccia, ma il pianto lamentoso del bambino
divent• pi— acuto. Lo ninn• pi— energicamente, mentre i suoi occhi
cominciavano a scorrere la seconda stanza:

"Entro questa stretta cella giace il suo corpo,
quel corpo che una volta..."

Era inutile, non poteva leggere; non poteva fare niente. Il pianto del
bambino gli bucava i timpani. Era inutile, inutile! Era prigioniero,
per sempre. Le sue braccia tremarono di rabbia, e d'improvviso,
chinandosi sul viso del bambino, grid•:
"Basta!".
Il bambino smise per un attimo, ebbe una contrazione di paura e
ricominci• a strillare. Il piccolo Chandler si alz• di scatto dalla
sedia e cominci• a passeggiare su e gi— per la stanza con il bambino
in braccio. Questi cominci• a singhiozzare pietosamente, trattenendo
il respiro per quattro o cinque secondi e poi esplodendo di nuovo. Le
sottili pareti della stanza ne rimandavano l'eco. Cerc• di
accarezzarlo, ma il bambino singhiozz• ancora pi— convulsamente. Gli
guard• il faccino contratto e tremante e cominci• a sentirsi
spaventato. Cont• sette singhiozzi senza un respiro in mezzo e strinse
al petto il bambino per la paura. Se fosse morto...
La porta si apr bruscamente, e una giovane si precipit• dentro,
ansimante.
"Cos'Š successo? Cos'Š successo?" grid•.
Il bambino, sentendo la voce di sua madre, scoppi• in un parossismo di
singhiozzi.
"Non Š niente, Annie... Non Š niente... Aveva cominciato a
piangere..."
Lei butt• i pacchetti sul pavimento e gli strapp• il bambino.
"Che cosa gli hai fatto?" grid•, fulminandolo con un'occhiata.
Il piccolo Chandler sostenne per un momento lo sguardo degli occhi
della moglie, che ne riflettevano i sentimenti del cuore, e vi lesse
odio. Cominci• a balbettare:
"Non Š niente... Ma il bambino... il bambino... ha cominciato a
piangere... Non riuscivo... non ho fatto niente. Che cosa?"
Senza badargli lei cominci• a camminare, su e gi— per la stanza,
stringendo tra le braccia il bambino e mormorando:
"Ometto mio! Ometto mio! Ti sei spaventato, amore? Su da bravo!
Agnellino bello della mamma! Su adesso!"
Il piccolo Chandler si sent salire alle guance vampate di vergogna e
si tir• indietro, fuori dal cerchio luminoso del paralume. Ascolt•
l'accesso dei singhiozzi del bambino che diventava pian piano pi—
debole e lacrime di rimorso gli salirono agli occhi.








RIVALSA.

Il campanello suon• furiosamente, e, quando la signorina Parker stacc•
il ricevitore, una voce infuriata grid• con spiccato accento
settentrionale: "Mandatemi Farrington!".
La signorina Parker ritorn• alla sua macchina da scrivere dicendo a un
uomo che, seduto a una scrivania, stava scrivendo: "Il signor Alleyne
vi vuole".
L'uomo borbott• "accidenti!" tra s‚ e s‚ e spinse indietro la sedia
per alzarsi. In piedi sembrava alto e di corporatura robusta. Aveva un
viso flaccido, color vino scuro, sopracciglia e baffi biondi; gli
occhi erano leggermente sporgenti e la sclerotica di un bianco sporco.
Sollev• il piano ribaltabile del bancone e, passando accanto ai
clienti, usc dall'ufficio con passo pesante.
Sal grevemente le scale finch‚ raggiunse il secondo piano, dove su
una porta c'era una targa d'ottone con l'iscrizione: "Signor Alleyne".
Qui si ferm•, ansimando per la fatica e per la noia, e buss•. Una
vocetta acuta strill•: "Avanti!".
L'uomo entr• nell'ufficio del signor Alleyne, e contemporaneamente la
testa del signor Alleyne, un ometto che aveva degli occhiali con la
montatura d'oro su un viso sbarbato di fresco, spunt• da dietro una
pila di carte. Era una testa tanto rosea e completamente calva da far
pensare a un grosso uovo, adagiato tra le carte. Alleyne non perse un
istante.
"Farrington, che significa tutto questo? Perch‚ devo sempre lamentarmi
di voi? Posso chiedervi come mai non avete fatto una copia di quel
contratto tra Bodley e Kirwan? E s che ve l'avevo detto che doveva
essere pronta non oltre le quattro!"
"Ma il signor Shelly ha detto..."
"'Il signor Shelly ha detto...' Fatemi il favore di ascoltare quello
che dico io e non quello che 'il signor Shelly dice.' Avete sempre
pronta una scusa o l'altra per evitare il lavoro. Permettetemi di
dirvi che, se il contratto non sar… copiato prima di questa sera, io
riferir• la cosa al signor Crosbie... Mi sentite bene?"
"Sissignore."
"Mi sentite bene? E poi un'altra cosetta ancora. Parlare con voi Š
come parlare al muro. Cercate di capire, una volta per tutte, che per
fare colazione avete a disposizione mezz'ora e non un'ora e mezzo. Di
quante portate avete bisogno? Vorrei proprio saperlo. Mi avete capito
adesso?"
"Sissignore."
Il signor Alleyne chin• di nuovo la testa su un mucchio di carte.
L'uomo se ne rest• l…, a fissare il lucido cranio che dirigeva gli
affari della Crosbie e Alleyne, calcolandone la fragilit…. Un accesso
di rabbia lo strinse alla gola per qualche momento e poi pass•,
lasciandogli dentro un acuto senso di arsura. L'uomo riconobbe la
sensazione e sent che quella sera avrebbe avuto bisogno di una buona
bevuta. La met… del mese era passata, e, se ce l'avesse fatta a
terminare la copia in tempo, il signor Alleyne avrebbe potuto fargli
dare un anticipo dal cassiere. Continuava a restarsene immobile,
sempre fissando la testa sopra la pila di carte, quando, tutt'a un
tratto, il signor Alleyne cominci• a rigirare i fogli in cerca di
qualcosa. Poi, come se non si fosse accorto fino a quel momento delle
presenza dell'uomo, alz• un'altra volta la testa dicendo:
"BŠ, avete intenzione di starvene l tutto il giorno? Sulla mia
parola, Farrington, ve la prendete comoda!"
"Aspettavo di vedere se..."
"Benissimo, non c'Š bisogno che aspettiate di vedere. Andate gi— e
mettetevi al lavoro."
L'uomo si incammin• pesantemente verso la porta e, mentre usciva dalla
stanza, sent il signor Alleyne gridargli dietro che, se il contratto
non fosse stato copiato per quella sera, avrebbe informato della cosa
il signor Crosbie.
Ritorn• alla sua scrivania nell'ufficio in basso e cont• i fogli che
gli restavano da copiare. Prese la penna e la intinse nell'inchiostro,
ma continu• a fissare stupidamente le ultime parole che aveva scritto:
"In nessun caso il suddetto Bernard Bodley beneficer…...". Stava
scendendo la sera, e a minuti avrebbero acceso il gas: allora avrebbe
potuto scrivere. Sent che doveva spegnere la sete che gli bruciava la
gola. Si alz• dalla scrivania e, sollevando il piano ribaltabile del
bancone come prima, usc dall'ufficio. Mentre si avviava alla porta,
il capufficio lo guard• con aria interrogativa.
"Tutto bene, tutto bene, signor Shelly," disse, puntando il dito allo
scopo di indicare l'obbiettivo della sua passeggiata.
Il capufficio guard• l'attaccapanni ma, vedendo la fila completa, non
fece obiezioni. Non appena sul pianerottolo tir• fuori di tasca un
berretto scozzese, da pastore, se lo ficc• in testa e si precipit• gi—
per le scale traballanti. Usc dalla porta che dava sulla strada e si
incammin• furtivamente sul lato interno del marciapiede verso
l'angolo, poi, senza esitazione, si infil• in un portone. Adesso s
che era al sicuro, nell'oscurit… confortevole della bottega di O'
Neill e, riempendo tutta la finestrina che dava nel bar con la faccia
accesa, dello stesso colore del vino o della carne scura, grid•:
"Su, da bravo, Pat, portami un cicchetto."
Il garzone gli port• un bicchiere di semplice birra. L'uomo la bevve
tutta d'un fiato e chiese che gli portassero un ponce, a base di semi
del carvi. Mise il suo penny sul banco e, lasciando il garzone a
cercarlo a tastoni nel buio, usc da quel locale confortevole,
altrettanto furtivamente di come vi era entrato.
L'oscurit…, accompagnata da una fitta nebbia, stava avendo la meglio
sul crepuscolo di febbraio, e i lampioni in Eustace Street erano gi…
stati accesi. L'uomo cammin• a ridosso delle case, finch‚ raggiunse la
porta dell'ufficio, chiedendosi se avrebbe potuto finire la copiatura
in tempo. Per le scale gli sal al naso l'umida e acuta essenza di un
profumo: evidentemente la signorina Delacour era venuta, mentre era
fuori da O' Neill. Rificc• il berretto in tasca e rientr• in ufficio,
assumendo un'aria assente.
"Il signor Alleyne vi ha chiamato," gli disse il capufficio
severamente. "Dove eravate?"
L'uomo lanci• un'occhiata ai due clienti, che se ne stavano in piedi
presso il banco, come per far capire che la loro presenza gli impediva
di rispondere. Trattandosi di due uomini, il capufficio si permise una
risata.
"Conosco il trucco," osserv•. "Cinque volte al giorno Š un po'... BŠ,
sbrigatevi a tirar fuori una copia della nostra corrispondenza sul
caso Delacour per il signor Alleyne."
Queste parole rivoltegli in presenza di estranei, la corsa per le
scale, e la birra che aveva ingoiato in fretta e furia lo confusero.
Mentre si sedeva alla scrivania per eseguire quello che gli era stato
richiesto, Farrington si rese conto di come fosse senza speranza
l'idea di finire la copia del contratto prima delle cinque e mezzo. Si
stava gi… facendo sera, una sera buia e umida, e lui sentiva un forte
desiderio di passarla al bar, bevendo con gli amici, tra il bagliore
del gas e l'incessante tintinnio dei bicchieri. Tir• fuori la
corrispondenza Delacour e usc dall'ufficio. Sperava che il signor
Alleyne non si accorgesse che le ultime due lettere mancavano.
Per tutto il tratto di strada, fino all'ufficio del signor Alleyne, si
sentiva nell'aria l'acuto e umido profumo. La signorina Delacour era
una donna di mezza et…, dall'aspetto di ebrea. Si diceva che il signor
Alleyne avesse del tenero per lei o per il suo denaro. Veniva spesso
in ufficio e vi restava a lungo tutte le volte. Adesso era seduta
vicino alla scrivania, in una fragranza di profumi: accarezzava il
manico dell'ombrellino e scuoteva le grandi piume nere del cappello.
Il signor Alleyne aveva fatto girare la sua poltrona, in modo da
starle di fronte, e teneva il piede destro accavallato, con
disinvoltura, sul ginocchio sinistro. Farrington mise la
corrispondenza sulla scrivania e fece un rispettoso inchino; ma n‚ il
signor Alleyne n‚ la signorina Delacour lo notarono. Il signor Alleyne
diede un colpetto col dito al gruppo delle lettere e poi lo sventol•
verso di lui, come per dire: "Va bene, va bene, potete andare".
L'uomo ritorn• nell'ufficio e si risedette alla scrivania. Fiss•
attentamente la frase incompleta: "In nessun caso il suddetto Bernard
Bodley beneficer…...", e pens• quanto fosse strano che le ultime tre
parole cominciassero con la stessa lettera. Il capufficio cominci• a
far pressione alla signorina Parker, dicendole che non sarebbe
riuscita a dattilografare le lettere in tempo per la posta. L'uomo
ascolt• il ticchetto della macchina per alcuni minuti e poi si mise
al lavoro, per finire la sua copiatura. Ma la sua testa non era lucida
e la sua mente vagava altrove, verso il bagliore e il rumore
dell'osteria. Era sera da ponci caldi. Si affann• con la copiatura,
ma, quando l'orologio batt‚ le cinque, aveva ancora quattordici pagine
da scrivere. Maledizione! Non poteva finire in tempo. Aveva voglia di
bestemmiare ad alta voce, di battere i pugni sul tavolo. Era cosi
fuori di s‚ che scrisse "Bernard Bernard", invece di "Bernard Bodley"
e dovette ricominciare su una pagina nuova.
Si sentiva abbastanza forte da far piazza pulita dell'intero ufficio
con una mano sola. Il suo corpo fremeva, tanto aveva bisogno di fare
qualcosa, di precipitarsi fuori e di darsi ai bagordi. Tutte le
ingiustizie subite nella vita lo rendevano furioso. E se avesse
avvicinato il cassiere in privato e gli avesse chiesto un anticipo?
No, decisamente no, non andava: il cassiere non glielo avrebbe dato.
Sapeva dove avrebbe incontrato i ragazzi: Leonard, O' Halloran e Nosey
Flynn. Il barometro della sua natura emotiva segnava baldoria.
Quel fantasticare lo aveva tanto estraniato, che il suo nome dovette
essere ripetuto due volte prima che rispondesse. Il signor Alleyne e
la signorina Delacour se ne stavano di l… del banco, e tutti gli
impiegati si erano girati in attesa di qualcosa. L'uomo si alz• dalla
scrivania, mentre il signor Alleyne attacc• una sequela di improperi
sul disordine, dicendo che mancavano due lettere. L'uomo rispose che
non ne sapeva niente, lui aveva fatto copia di tutte. La filippica
continu•: era cosi amara e violenta che l'uomo riusciva a malapena a
trattenere il pugno dal piombare sulla testa dell'omino che gli stava
di fronte.
"Non so niente di queste due altre lettere," afferm• stupidamente.
"'Non ne sapete niente,' ma naturale, non ne sapete niente!" ripet‚ il
signor Alleyne. "Ditemi," aggiunse poi, dopo aver lanciato un'occhiata
alla signora che gli stava accanto per chiederne l'approvazione, "mi
prendete per stupido? Per uno stupido completo?"
L'uomo gir• gli occhi dal viso della signora alla piccola testa a
forma d'uovo e viceversa; e, quasi prima di essersene accorto, la sua
lingua aveva trovato un momento felice:
"Non credo sia una domanda da farsi," disse.
Gli impiegati trattennero il fiato. Tutti erano stupefatti (l'autore
del frizzo non meno di quelli che lo circondavano) e la signorina
Delacour, che era un tipo robusto e persona amabile, cominci• a
dispensare ampi sorrisi. Il signor Alleyne arross, fino a raggiungere
il colore di una rosa selvatica, e la sua bocca si contorse in una
smorfia di collera impotente. Agit• il pugno sotto la faccia
dell'uomo, fino a farlo vibrare come la manopola di un apparecchio
elettrico.
"Ruffiano impertinente! Ruffiano impertinente! Vi aggiuster• io! State
un po' a vedere. Chiedetemi subito scusa per la vostra impertinenza o
lascerete immediatamente l'ufficio! Lo lascerete immediatamente, ve lo
dico io, o mi farete le vostre scuse!"

Dal portone di una casa di fronte all'ufficio aspettava per vedere se
il cassiere fosse uscito solo. Passarono tutti gli impiegati, e infine
il cassiere usc insieme al capufficio, ragion per cui era inutile
cercare di parlargli. La sua posizione era gi… compromessa abbastanza,
se ne rendeva conto. Si era dovuto umiliare a fare le scuse al signor
Alleyne per la sua frase irrispettosa, ma sapeva quale vespaio sarebbe
stato per lui l'ufficio da adesso in poi. Ricordava il modo in cui il
signor Alleyne aveva cacciato via dall'ufficio il piccolo Peake, per
dare il posto al proprio nipote. Si sentiva violento, assetato e
vendicativo, malcontento di s‚ e degli altri. Il signor Alleyne non
gli avrebbe mai concesso un'ora di tregua: la vita sarebbe stata un
inferno per lui. Era stato proprio un insensato, questa volta. Non
avrebbe potuto tenere la lingua tra i denti? Ma non erano mai andati
d'accordo fin dall'inizio, lui e il signor Alleyne, fin da quella
volta che il signor Alleyne, per caso, lo aveva sentito imitare il suo
accento settentrionale per far divertire Higgins e la signorina
Parker; tutto era cominciato da l. Avrebbe potuto provare a chiedere
i soldi a Higgins, ma Higgins non ne aveva mai, neanche per s‚. Un
uomo con due famiglie da mantenere, non poteva certo...
Il suo corpo fu preso di nuovo da un senso di malessere, tanto
desiderava il conforto dell'osteria. La nebbia cominci• a farlo
rabbrividire, e si chiese se non avrebbe potuto fare un tentativo con
Pat, da O' Neill. Non avrebbe potuto cavargli che uno scellino, ma per
uno scellino non valeva la pena. Eppure doveva trovarlo, il denaro, in
un modo o nell'altro: aveva speso il suo ultimo penny per i cicchetti
di prima, e tra poco sarebbe stato troppo tardi per ottenere un
qualsiasi prestito. All'improvviso, mentre giocherellava con le dita
sulla catena dell'orologio, si ricord• del monte dei pegni di Terry
Kelly in Fleet Street. Quella era la carta giusta! Come mai non ci
aveva pensato prima?
Attravers• in fretta lo stretto vicolo del Temple Bar, borbottando tra
s‚ e s‚ che potevano andarsene tutti all'inferno, perch‚ lui se la
sarebbe goduta, quella sera. Da Terry Kelly il commesso disse: "Una
corona!", ma il cassiere non si mosse da sei scellini e, alla fine, fu
proprio questa la cifra che gli venne versata. Usc allegro dal monte
dei pegni, stringendo tra il pollice e l'indice il rotolino di monete.
In Westmoreland Street i marciapiedi erano affollati di giovanotti e
ragazze che tornavano dal lavoro, mentre alcuni monelli sbrindellati
correvano di qua e di l… strillando i titoli delle edizioni della
sera. L'uomo pass• tra la folla osservando lo spettacolo d'insieme con
orgogliosa soddisfazione e soffermando lo sguardo, con aria di
dominatore, sulle signorine d'ufficio. Lo scampanello dei tram e lo
stridere dei "trolley" gli rimbombavano nella testa, mentre le sue
narici gi… aspiravano le zaffate di fumo del ponce. Camminando pensava
al modo in cui avrebbe raccontato l'incidente agli amici.
"Prima ho guardato lui, freddamente sapete, e poi lei. A questo punto
di nuovo lui, senza fretta. 'Non credo sia una domanda da farsi,' ho
detto infine."
Nosey Flynn era seduto nel suo solito angolo da Dave Byrne e, alla
fine del racconto, gli offr un mezzo bicchierino, dichiarando che era
la miglior battuta che avesse mai sentito. Allora Farrington, a sua
volta, pag• da bere. Poco dopo entrarono O' Halloran e Paddy Leonard,
ai quali venne ripetuta la storia. O' Halloran offri ponce caldi al
malto per tutti e rifer la risposta da lui data al capufficio, quando
era alle dipendenze di Callan, in Fownes Street; ma, trattandosi di
una risposta sul tipo delle egloghe dei pastori liberali, lui stesso
dovette riconoscere che non era all'altezza di quella di Farrington.
Al che Farrington invit• gli amici a vuotare i bicchieri, per tornarli
a riempire subito.
Proprio mentre stavano ordinando i loro beveraggi, chi ti va a
capitare? Higgins! Naturalmente dovette unirsi alla combriccola. Gli
chiesero la sua versione dei fatti, che egli diede con grande vivacit…
perch‚ la vista di cinque bicchierini di whisky caldo lo rendeva di
buon umore. Scoppiarono tutti a ridere, quando assunse la posa del
signor Alleyne nell'atto di scuotere il pugno in faccia a Farrington.
Poi imit• Farrington dicendo: "E lui l compassato, come niente
fosse", mentre l'interessato guardava gli amici con i suoi occhi
pesanti e sporchi, sorridendo e succhiando di tanto in tanto le gocce
di liquore, che gli si erano fermate tra i baffi, con l'aiuto del
labbro inferiore.
Finito il giro, ci fu una pausa. O' Halloran aveva soldi, ma nessuno
degli altri due sembrava averne, perci•, un po' a malincuore, il
gruppetto lasci• il locale. All'angolo di Duke Street Higgins e Nosey
Flynn girarono a sinistra, mentre gli altri tre ritornarono sui loro
passi, dirigendosi verso il centro. Sulle strade fredde cadeva una
pioggerellina sottile, e Farrington, quando furono all'altezza del
Ballast Office, propose una puntatina alla Scotch House. Il bar era
pieno di gente e sovraccarico per il rumore delle voci e dei
bicchieri. I tre uomini entrarono, dando spintoni ai queruli venditori
di fiammiferi che se ne stavano sulla porta, e formarono un gruppetto
a s‚ in un angolo del banco. Cominciarono a raccontarsi delle
storielle, e Leonard li present• a un giovanotto, di nome Weathers,
che lavorava al "Tivoli" come acrobata e come attore comico.
Farrington offr da bere a tutti. Weathers disse che avrebbe preso un
whisky piccolo di marca irlandese e un Apollinaris, e Farrington, che
aveva cognizioni chiare sul modo di comportarsi, chiese agli altri se
volessero anche loro un Apollinaris, ma gli altri dissero a Tim di
preparare i soliti whisky caldi. La conversazione si indirizz• sul
teatro. O' Halloran e poi Farrington offrirono ancora da bere, mentre
Weathers protestava, ritenendo troppo irlandese tanta ospitalit….
Promise di portarli dietro le quinte e di presentarli ad alcune
ragazze carine. O' Halloran disse che lui e Leonard ci sarebbero
andati, ma che Farrington non avrebbe potuto, perch‚ sposato, al che
gli occhi grevi e sporchi di Farrington diedero una sbirciatina ai
compagni, per far vedere che aveva capito lo scherzo. Weathers fece
giusto bagnare le labbra di liquore a proprie spese e promise di
ritrovarli, pi— tardi, da Mulligan in Poolbeg Street.
Quando la Scotch House chiuse, si incamminarono verso Mulligan. Qui si
sedettero nella saletta sul retro, e O'Halloran ordin• dei whisky
caldi e speciali per tutti. Cominciavano a sentirsi un po' brilli.
Farrington si accingeva a offrire un altro giro quando entr• Weathers
che, per•, con gran sollievo di Farrington, questa volta prese solo un
amaro. I fondi cominciavano ad assottigliarsi, ma ne avevano ancora
abbastanza per tirare avanti. Poco dopo entrarono due giovani donne
con dei larghi cappelli, accompagnate da un giovanotto che indossava
un vestito a quadretti, e si sedettero a un tavolo vicino. Weathers li
salut• e spieg• agli altri che anche loro lavoravano al "Tivoli". Gli
occhi di Farrington si giravano continuamente in direzione di una
delle due giovani: c'era qualcosa che colpiva in lei. Un'enorme
sciarpa di mussolina color azzurro pavone le guarniva tutt'attorno il
cappello ed era annodata con un grande fiocco sotto il mento; i suoi
guanti giallo brillante arrivavano fino al gomito. Farrington
osservava, ammirato, il braccio tornito che si muoveva quasi in
continuazione e con grazia, e, quando dopo un po' lei ricambi• il suo
sguardo, ancora di pi— ammir• quei grandi occhi scuri, che lo
fissavano di sbieco con un'espressione che lo affascinava. La donna
gli lanci• un'occhiatina o due e, quando si alz• per andarsene con gli
altri, urt• nel passare la sua sedia e disse: "O pardon!" con accento
londinese. La segu con lo sguardo mentre si dirigeva verso l'uscita,
nella speranza che si girasse a guardarlo, ma rest• deluso. Maled
allora la mancanza di denaro e tutti i brindisi che aveva pagato,
specialmente i whisky e gli Apollinaris che aveva offerto a Weathers.
Se c'era una cosa che non poteva soffrire erano gli scrocconi. Era
cos arrabbiato che perse il filo della conversazione degli amici.
Quando Paddy Leonard gli si rivolse direttamente, si accorse che
stavano parlando di prove di forza. Weathers mostrava i bicipiti alla
compagnia e se ne vantava tanto che gli altri due chiesero a
Farrington di sostenere il prestigio nazionale. Farrington si rimbocc•
le maniche e mostr• i suoi. Le due braccia furono esaminate e
confrontate, e infine si decise di metterli alla prova. La tavola fu
sgombrata, e i due uomini vi appoggiarono i gomiti prendendosi per la
mano. Quando Paddy Leonard avesse detto: "Via!", ognuno dei due
avrebbe dovuto cercare di piegare la mano dell'altro. La prova
cominci•. Dopo circa trenta secondi Weathers pieg• la mano
dell'avversario sulla tavola, lentamente. Il viso color vino scuro di
Farrington divent• ancora pi— cupo, per la rabbia e per lo smacco di
essere stato battuto da uno sbarbatello.
"Non dovete metterci il peso di tutto il corpo. Giocate lealmente,"
disse.
"E chi non Š leale?" ribatt‚ l'altro.
"Ricominciamo. Due mani su tre."
La prova riprese di nuovo. Le vene si gonfiavano sulla fronte di
Farrington, e il pallore della carnagione di Weathers si era
trasformato in un rosa peonia. Mani e braccia tremavano sotto lo
sforzo. Dopo una lunga lotta Weathers abbass• di nuovo, lentamente, il
braccio dell'avversario. Ci fu un mormorio di ammirazione tra gli
spettatori. Il garzone, che era in piedi vicino al tavolo, fece un
cenno con la testa rossa al vincitore e disse con sciocca familiarit…:
"Perdinci! Questa si chiama abilit…!"
"Per tutti i diavoli, che cosa ne sai tu?" gli si rivolt• contro
Farrington inferocito. "Perch‚ ci metti il becco?"
"Ss... ss..." intervenne O'Halloran, notando la espressione furibonda
del viso di Farrington. "Smettetela, ragazzi! Ci sta giusto ancora un
bicchierino, e poi a casa."

Un uomo dall'aria torva era fermo all'angolo del O'Connel Bridge,
aspettando il tram di Sandymount che lo avrebbe riportato a casa. Era
in preda a un'ira sorda e a un desiderio di vendetta. Si sentiva
umiliato e scontento; non era neanche ubriaco e aveva in tasca solo
due pence. Che andasse tutto al diavolo! Si era rovinata la posizione
in ufficio, aveva impegnato l'orologio, speso tutto il denaro e senza
nemmeno riuscire a prendere la sbornia. Ricominciava a sentire sete e
a desiderare di ritornare nell'osteria calda e fumosa. Aveva perso la
sua reputazione di uomo forte, essendosi lasciato battere, per ben due
volte, da un ragazzino. Il cuore gli si gonfiava di rabbia e, quando
ripens• alla donna con il grande cappello che lo aveva urtato e gli
aveva detto "pardon", la collera quasi lo soffoc•.
Scese dal tram alla fermata della Shelbourne Road e spinse il suo
corpo massiccio lungo l'ombra del muro delle caserme. Non sopportava
l'idea di dover ritornare a casa. Entrando dalla porta laterale, trov•
la cucina vuota e il fuoco spento. Grid•:
"Ada! Ada!"
Sua moglie era una donnetta dal viso affilato, che tiranneggiava il
marito quando era sobrio e che veniva bistrattata da lui quando era
ubriaco. Aveva cinque figli. Un ragazzino scese correndo le scale.
"Chi sei?" chiese l'uomo aguzzando lo sguardo nel buio.
"Sono io, pa'."
"Chi sei? Charlie?"
"No, pa'. Sono Tom."
"Dov'Š la mamma?"
"E' andata in chiesa."
"Ma benone, benone! E... non ha pensato a lasciarmi qualcosa per
cena?"
"Si, pa'... Io..."
"Accendi la luce. Perch‚ lasci tutto al buio? Sono a letto gli altri?"
L'uomo si lasci• cadere di peso su una sedia, mentre il ragazzino
accendeva la lampada. Si mise a imitare l'accento infantile del
figlio, ripetendo, per met… a se stesso: "In chiesa, in chiesa,
eh...". Quando la lampada fu accesa batt‚ il pugno sul tavolo e url•:
"Che cosa c'Š per cena?"
"Te la... preparo subito, pa'," disse il bambino. L'uomo scatt• in
piedi infuriato e indic• il fuoco.
"Su quel fuoco! L'hai lasciato spegnere! Ti insegner• io a farlo
un'altra volta!"
Fece un passo verso la porta dietro alla quale c'era un bastone che
afferr•.
"Ti insegner• io a lasciar spegnere il fuoco!" esclam•, rimboccandosi
la manica per avere il braccio pi— libero.
Il bambino grid•: "Oh, pa'" e si mise a correre intorno al tavolo
singhiozzando, ma l'uomo lo insegu e lo afferr• per la giacca. Il
ragazzino si guard• attorno spaurito ma, non vedendo via di scampo, si
butt• in ginocchio.
"Lascerai spegnere il fuoco un'altra volta?" fece l'uomo, battendolo
energicamente col bastone. "Prendi questa, animale!"
Il bambino lanci• un urlo di dolore, mentre il bastone gli sferzava le
gambe. Lev• le mani giunte verso l'alto e, con voce tremante di paura,
disse piangendo:
"Oh, pa'! Non picchiarmi, pa'! Dir•... dir• un'avemaria per te... Dir•
un'avemaria per te, pa', se non mi picchi... Dir• un'avemaria..."


POLVERE.

La direttrice le aveva dato il permesso di uscire, non appena le donne
avessero preso il tŠ, e Maria pregustava la sua serata di libert…. La
cucina era tirata a lucido: la cuoca sosteneva che nei pentoloni di
rame ci si poteva specchiare. Il fuoco scoppiettava allegro e vivace,
e su una delle tavole laterali c'erano quattro grosse focacce, che
sembrava non fossero ancora state tagliate. Ma, guardandole da vicino,
ci si accorgeva che erano state divise in fette lunghe, grosse e
uguali e che erano pronte per essere servite con il tŠ. Le aveva
tagliate Maria stessa.
Maria era proprio una donnina piccola piccola, ma aveva il naso molto
lungo, e altrettanto poteva dirsi per il mento. Parlava con voce un
po' nasale e sempre con calma: "S, cara" e "No, cara". La mandavano a
chiamare tutte le volte che le donne litigavano per i mastelli, e lei
riusciva sempre a metter pace. Un giorno la direttrice le aveva detto:
"Maria, siete una paciera nata!"
E la vicedirettrice e due patronesse avevano sentito il complimento.
Da parte sua Ginger Mooney diceva sempre che chiss… cosa non avrebbe
fatto alla muta addetta ai ferri, se non fosse stato per Maria. Tutti
le volevano bene.
Le donne dovevano prendere il tŠ alle sei, e prima delle sette lei
avrebbe potuto andarsene. Da Ballsbridge alla Colonna venti minuti,
dalla Colonna a Drumcondra altri venti minuti, e ancora venti minuti
per fare gli acquisti. Sarebbe stata l prima delle otto. Tir• fuori
la borsetta con la cerniera d'argento e rilesse l'iscrizione: "Ricordo
di Belfast". Era affezionata a quella borsetta, perch‚ gliela aveva
portata Joe, cinque anni prima, quando con Alphy era andato in gita a
Belfast, il luned di Pentecoste. Dentro c'erano due mezze corone e un
po' di spiccioli: una volta pagato il tram, le sarebbero rimasti
cinque scellini tondi tondi. Che piacevole serata avrebbero passato, e
i bambini avrebbero cantato tutti insieme! Si augurava soltanto che
Joe non tornasse a casa ubriaco: era cos diverso quando aveva bevuto
un po'!
Le aveva spesso proposto di andare a stare con loro, ma si sarebbe
sentita di peso (bench‚ la moglie di Joe fosse sempre stata tanto
gentile verso di lei) e per di pi— si era abituata alla vita della
lavanderia. Era un buon diavolo Joe. Li aveva cresciuti tutti e due,
Joe e Alphy, e Joe diceva spesso:
"La madre Š la madre, ma Maria Š la mia vera mamma."
In seguito ai dissesti finanziari della famiglia, i ragazzi le avevano
trovato quel posto presso la lavanderia "Dublin by Lamplight", e lei
ci si era trovata bene. Fino ad allora aveva sempre avuto una brutta
opinione dei protestanti, ma ora si era ricreduta: erano persone
perbene, un po' tranquille e serie forse, ma, comunque, gente come si
deve per viverci insieme. Aveva anche delle piantine tutte sue nella
serra e le piaceva prendersene cura: possedeva belle felci e begonie
e, quando qualcuno le faceva visita, gli regalava un rametto o due da
piantare. C'era una sola cosa che non le piaceva, e cioŠ tutti quei
cartelloni lungo i viali; ma la direttrice era una persona cos
affabile, cos fine!
Quando la cuoca l'avvert che era tutto pronto, and• nella camera
delle lavoranti e prese a suonare la campana. In pochi minuti le donne
cominciarono ad entrare a due o tre per volta, asciugandosi le mani
fumanti nelle sottane e tirandosi gi— le maniche delle camicette sulle
braccia rosse e fumanti. Si sedettero ai loro posti, davanti alle
grandi ciotole che la cuoca e la muta riempirono di tŠ caldo, gi…
mescolato con latte e zucchero negli enormi bricchi di latta. Maria
sorvegli• la distribuzione delle focacce e si assicur• che ogni donna
avesse le sue quattro fette. Ci fu un gran ridere e scherzare durante
il pasto. Lizzie Fleming disse che Maria avrebbe ricevuto l'anello, e,
bench‚ la Fleming lo avesse ripetuto tanto spesso la vigilia di
Ognissanti, Maria fu costretta a ridere dichiarando che non voleva n‚
l'anello n‚ un marito; mentre rideva gli occhi grigio-verdi le
brillavano di timidezza delusa, e la punta del naso quasi si
congiungeva a quella del mento. Poi Ginger Mooney alz• la scodella e
propose un brindisi alla salute di Maria, mentre le altre battevano le
loro, in cadenza, sul tavolo, e disse che le dispiaceva di non poterci
bere su un goccio di birra. Maria riprese a ridere, finch‚ la punta
del naso e quella del mento quasi si toccarono, e la sua figura minuta
parve sul punto di spezzarsi in due, perch‚ sapeva che le intenzioni
della Mooney erano buone, pur nella sua mentalit… da donnetta.
Ma quale piacere prov• quando le donne ebbero finito di prendere il
tŠ, e la cuoca e la muta incominciarono a sparecchiare! Entr• nella
sua cameretta e, ricordandosi che il giorno dopo sarebbe stato giorno
di Messa, spost• la sveglia dalle sette alle sei. Poi si tolse la
sottana e le scarpe da casa; prepar• sul letto la gonna migliore e ai
piedi del letto le scarpette buone. Si cambi• anche la camicetta e,
guardandosi nello specchio, ripens• al modo in cui, da ragazza, si
abbigliava per la Messa della domenica mattina e guard• con
particolare tenerezza quel corpicino minuto che aveva tanto spesso
ornato. Trov• che, nonostante gli anni, la sua figuretta si era
mantenuta graziosa e linda.
Uscendo, vide che le strade erano lucide di pioggia e fu contenta di
aver preso con s‚ il vecchio impermeabile marrone. Il tram era
affollato, e dovette sedersi sul seggiolino in fondo alla vettura, di
fronte agli altri, mentre con la punta dei piedi toccava terra appena
appena. Riordin• nella mente tutto quello che doveva fare, e pens•
quanto fosse meglio essere indipendente e poter disporre di un po' di
quattrini. Sperava che avrebbero passato una piacevole serata. Di
sicuro sarebbe stato cos, ma non pot‚ fare a meno di pensare che era
proprio un peccato che Alphy e Joe non si parlassero pi—. Erano sempre
in lite adesso, e pensare che da ragazzi erano uniti per la pelle! Ma
cos Š la vita.
Scese dal tram alla Colonna e si apr frettolosamente un varco tra la
folla. Entr• nella pasticceria di Downes, ma era cos piena di gente,
che dovette aspettare un bel po' prima di essere servita. Compr• una
dozzina di paste assortite e finalmente usc dal negozio con un
voluminoso pacco. Poi pens• che cosa ancora comprare: voleva che fosse
qualcosa di speciale. Di mele e di noci ne avrebbero sicuramente avuto
in quantit…. Ma per quanto si scervellasse non riusc a pensare a
niente di pi— originale della solita torta. Si decise per un
"plumcake", ma, dato che quello di Downes non aveva abbastanza
mandorle, si orient• su un altro negozio nella Henry Street. Qui rest•
per un po' di tempo imbarazzata nella scelta, e l'elegante commessa,
che stava al banco e che evidentemente cominciava a seccarsi un po',
le chiese se per caso non voleva una torta nuziale. Maria arross e
sorrise alla signorina, che aveva l'aria di aver parlato sul serio.
Infine la commessa tagli• una grossa fetta di "plumcake", l'avvolse
nella carta e disse:
"Due scellini e quattro pence, prego."
Era convinta che avrebbe dovuto stare in piedi sul tram di Drumcondra,
perch‚ nessuno dei giovanotti presenti sembrava essersi accorto di
lei, ma un signore anziano le cedette il posto. Era un tipo robusto e
portava una bombetta marrone, aveva una faccia quadrata e rossa e
baffi grigiastri. Maria pens• che era un signore dall'aria di
colonnello e non pot‚ fare a meno di pensare a quanto era stato pi—
gentile di tutti quei giovanotti che erano rimasti l… immobili a
guardare dritto davanti a s‚. Quel signore cominci• a parlare con lei
della vigilia di Ognissanti e del cattivo tempo. Pensava che la borsa
di Maria contenesse dolciumi per i bambini e disse che era giusto,
perch‚ i bambini devono essere felici, finch‚ sono piccoli. Maria
condivideva il suo punto di vista e gli concesse timidi cenni e
mormorii di assenso. Era cos cortese, e, arrivata alla fermata del
Canal Bridge, lo ringrazi• e gli fece un inchino; lui si inchin• a sua
volta e si tolse il cappello sorridendo affabile. Mentre si
incamminava lungo il marciapiede, chinando la testa sotto la pioggia,
Maria pensava a quanto sia facile distinguere un vero signore, anche
quando ne ha bevuto un goccio di troppo.
Tutti esclamarono: "Ecco Maria!", non appena entr• in casa di Joe.
Anche Joe era gi… ritornato dal lavoro, e i bambini indossavano i
vestiti della festa. C'erano anche due ragazze pi— grandi, figlie di
un vicino, e tutti stavano giocando. Maria diede il pacchetto delle
paste al maggiore dei ragazzi, Alphy, perch‚ le distribuisse. La
signora Donnelly protest• che si era disturbata troppo a portare tutti
quei dolci e fece dire dai bambini:
"Grazie, Maria!"
Ma Maria disse che aveva portato qualcosa di speciale anche per il
pap… e la mamma, qualcosa che, ne era sicura, avrebbero gradito, e si
mise a cercare il "plumcake". Guard• nel pacchetto di Downes e poi
nelle tasche dell'impermeabile, infine sull'attaccapanni, ma senza
riuscire a trovarlo. Domand• ai ragazzi se qualcuno di loro l'avesse
mangiato, per sbaglio naturalmente, ma i ragazzi dissero di no e
presero l'aria di quelli che non amano mangiare le torte, per essere
poi accusati di averle rubate. Ognuno dava una spiegazione del
mistero, e la signora Donnelly disse che evidentemente Maria lo aveva
dimenticato in tram. Maria, al ricordo di come si era sentita
imbarazzata di fronte al signore dai baffi grigi, arross di vergogna
e sent un senso di cruccio e di delusione. Al pensiero della
sorpresina sfumata e dei due scellini e quattro pence che aveva
buttato via per niente, quasi scoppi• a piangere.
Ma Joe disse che non aveva importanza e la fece sedere vicino al
fuoco. Fu cos affettuoso con lei! Le raccont• del suo ufficio,
ripetendole una risposta spiritosa che aveva dato al suo principale.
Maria non capiva perch‚ Joe ci trovasse tanto da ridere in quella
battuta, ma disse che il principale doveva essere un despota e perci•
difficile da trattare. Joe ribatt‚ che in fondo non era cos cattivo a
saperlo prendere per il suo verso, era come tutti gli altri, se si
evitava di contrariarlo. La signora Donnelly suon• il piano per i
ragazzi, che ballarono e cantarono. Poi le figlie del vicino porsero
un vassoio di noci. Non si riusc a trovare lo schiaccianoci, e Joe
quasi si infuri•, domandando come si sarebbero aspettati che Maria
schiacciasse le noci senza lo schiaccianoci. Ma Maria disse che le
noci non le piacevano e che non si disturbassero per lei. Poi Joe le
chiese se avrebbe bevuto volentieri una bottiglia di birra, e la
signora Donnelly aggiunse che c'era in casa anche del Porto, se
preferiva. Maria rispose che preferiva non prendere niente, ma Joe
insistette.
Cos Maria fin col lasciarlo fare. Si sedettero vicino al fuoco,
ricordando i vecchi tempi, e Maria pens• che fosse il momento giusto
per mettere una buona parola per Alphy. Ma Joe grid• che Dio lo
fulminasse sul colpo, se mai avesse rivolto di nuovo la parola a suo
fratello, e Maria si disse dispiaciuta di aver toccato l'argomento. La
signora Donnelly intervenne, dicendo al marito che era una vergogna
parlare cos della propria carne e del proprio sangue, ma Joe ribatt‚
che Alphy non era pi— niente per lui. La faccenda stava quasi per
degenerare in una scenata; ma Joe disse che non voleva farsi cattivo
sangue proprio quella sera e invit• la moglie a stappare altre
bottiglie di birra. Le figlie del vicino avevano organizzato alcuni
giochi, adatti alla circostanza, e ben presto torn• l'allegria. Maria
era raggiante nel vedere i bambini cos allegri e Joe e sua moglie
tanto di buon umore. Le figlie del vicino avevano messo dei piattini
sul tavolo e vi diressero i bambini, dopo aver loro bendato gli occhi.
A uno tocc• il libro da messa, agli altri tre dell'acqua; e, quando
una delle figlie del vicino ebbe in sorte l'anello, la signora
Donnelly minacci• scherzosamente col dito la fanciulla, che era
arrossita per l'imbarazzo, come a dire: "Oh, io so tutto!". Poi tutti
insistettero perch‚ Maria si lasciasse bendare e portare al tavolo,
per vedere che cosa le sarebbe toccato; e, mentre la bendavano, Maria
rideva e rideva tanto che la punta del naso e del mento quasi si
toccavano.
La guidarono verso il tavolo tra risate e scherzi, e lei stese la mano
nell'aria, come le avevano detto di fare. Dopo aver mosso la mano un
po' qua e l…, l'abbass• su uno dei piattini. Senti sotto le dita
qualcosa di molle e di umido e si stup che nessuno parlasse e le
togliesse la benda. Per qualche secondo ci fu silenzio, un silenzio
cui segu un gran trambusto e mormoro. Qualcuno accenn• al giardino,
e infine la signora Donnelly si rivolse in tono secco a una delle
figlie del vicino ordinandole di buttar via subito quella roba: non
rientrava nel gioco. Maria cap che quel giro non valeva e che doveva
rifare daccapo: questa volta vinse il libro di preghiere.
Dopo questo, la signora Donnelly suon• per i ragazzi il "Reel" di Miss
McCloud, e Joe offr a Maria un bicchiere di vino. Ben presto furono
di nuovo tutti allegri, e la signora Donnelly disse a Maria che
sarebbe entrata in convento prima della fine dell'anno, perch‚ aveva
vinto il libro di preghiere. Mai Joe era stato cos premuroso verso di
lei come quella sera, cos piacevole nel conversare e cos caro nel
ricordare i vecchi tempi. Erano tutti cos buoni con lei, disse Maria.
Alla fine i bambini cominciarono a sentirsi stanchi e ad avere sonno;
Joe chiese a Maria di cantare qualcosa prima di andarsene, uno dei
vecchi canti. La signora Donnelly insistette: "Vi prego, Maria!", cos
Maria si alz• e si mise in piedi vicino al piano. La signora Donnelly
impose ai bambini di stare buoni e di ascoltare il canto di Maria. Poi
suon• il preludio e disse: "Via, Maria!", e Maria, arrossendo
violentemente, cominci• a cantare con un filo di voce tremolante.
Cant•: "Sognavo di vivere" e, quando arriv• alla seconda strofa,
ripet‚ daccapo:

"Sognavo di vivere in sale di marmo
contornata di vassalli e servit—,
e di tutti coloro che abitavano in queste sale
io ero la speranza e l'orgoglio.
Avevo troppe ricchezze per poterle calcolare,
potevo vantarmi di un illustre casato,
ma sognavo anche, e soprattutto,
che tu mi amassi ancora lo stesso."

Ma nessuno fece notare il suo sbaglio, e, quando fin di cantare, Joe
era molto commosso. Disse che non c'erano tempi come quelli passati e
musica come quella del povero vecchio Balfe, qualsiasi cosa ne
dicessero gli altri; e gli occhi gli si riempirono tanto di lacrime
che non riusc a trovare quello che stava cercando, e alla fine
dovette chiedere a sua moglie di dirgli dove era il cavatappi!









UN CASO PIETOSO.

James Duffy abitava a Chapelizod, perch‚ voleva vivere il pi— lontano
possibile dalla citt… di cui faceva parte e perch‚ trovava gli altri
sobborghi di Dublino volgari, moderni e pretenziosi. Viveva in una
casa vecchia e cupa, dalle cui finestre poteva spingere lo sguardo
all'interno della distilleria abbandonata e, ancora pi— in l…, lungo
il fiume povero d'acqua su cui sorge Dublino. Le alte pareti della sua
stanza, senza tappeti, erano prive di quadri. Lui stesso aveva
acquistato ogni pezzo del mobilio: una lettiera di ferro nero, un
lavabo, sempre di ferro, quattro sedie impagliate, una gruccia per
abiti, un secchio per il carbone, un parafuoco con palette e
attizzatoi e un tavolo quadrato con un doppio scrittoio. Da una
nicchia nel muro era stato ricavato un posto per i libri con assi di
legno chiaro. Le coperte erano bianche, e lo scendiletto nero e
scarlatto. Uno specchietto a mano era appeso sopra al lavabo, e,
durante il giorno, una lampada con il paralume bianco costituiva il
solo ornamento della mensola del camino. I libri sugli scaffali di
legno chiaro erano disposti dal basso verso l'alto secondo il formato.
Un Wordsworth completo era sistemato a una estremit… dello scaffale
pi— basso, e una copia del "Maynooth Catechism", ricucito nella
copertina di tela di una agenda, era posto ad un'estremit… di quello
pi— alto. Sullo scrittoio c'era sempre il necessario per scrivere, e
nel cassetto interno c'era una traduzione manoscritta del "Michael
Kramer", con indicazioni per la scena scritte in inchiostro rosso
violaceo, e un fascicolo di fogli, tenuti insieme da un fermaglio di
ottone. Su questi fogli, ogni tanto, veniva fermato un pensiero, e, in
un momento di ironia, sul primo foglio, era stata incollata
l'iscrizione pubblicitaria di certe pillole per il fegato. Alzando il
ripiano dello scrittoio, ne usciva una delicata fragranza, fragranza
di matite nuove di cedro, di una bottiglietta di colla, o di una mela
troppo matura, forse lasciata l e dimenticata.
Duffy detestava qualsiasi cosa che potesse far pensare a un disordine
fisico o mentale. Un dottore medioevale lo avrebbe definito un
saturnino. Il suo viso, su cui era impressa l'intera storia della sua
vita, aveva il colore scuro delle strade di Dublino. Sulla testa lunga
e piuttosto grande gli crescevano i capelli neri e aridi, e i baffetti
rossicci non riuscivano a coprire completamente la bocca, tutt'altro
che attraente. Anche gli zigomi sporgenti contribuivano a dare al suo
viso quell'aspetto duro, ma non c'era durezza nei suoi occhi che,
guardando il mondo da sotto le sopracciglia rossicce, davano
l'impressione di un uomo sempre sul chi vive per scovare negli altri
un istinto di redenzione, ma quasi sempre deluso in questo suo scopo.
Viveva a una certa distanza dal suo corpo, lanciando alle sue stesse
azioni dubbiose occhiate di traverso. Aveva una strana consuetudine
autobiografica, che lo spingeva a volte a comporre mentalmente una
breve frase su se stesso col soggetto in terza persona e il verbo al
passato. Non faceva mai l'elemosina ai poveri e camminava impettito
col suo solido bastone di nocciolo.
Da parecchi anni era cassiere di una banca privata in Baggot Street.
Ogni mattina ci andava da Chapelizod col tram. A mezzogiorno andava da
Dan Burke per il suo spuntino: una bottiglia di birra tedesca e un
vassoietto di biscotti di fecola. Alle quattro era libero. Pranzava in
una trattoria di George Street, dove si sentiva al sicuro dalla
presenza della giovent— dorata di Dublino, e dove la lista delle
vivande dimostrava una certa genuinit… alla buona. Passava le sere al
pianoforte della padrona di casa o gironzolando nei sobborghi della
citt…. La passione per la musica di Mozart lo spingeva a volte
all'opera o a un concerto: queste erano le sole trasgressioni della
sua vita.
Non aveva n‚ compagni ne amici, n‚ chiesa n‚ credo. Viveva la sua vita
spirituale senza nessuna comunione con gli altri, limitandosi a far
visita ai parenti a Natale e ad accompagnarli al cimitero quando
morivano. Compiva questi due doveri sociali per un innato senso di
dignit…, ma era tutto quello che concedeva alle convenzioni che
regolano la vita civica. Si permetteva di pensare che in particolari
circostanze avrebbe anche osato sottrarre dei soldi alla sua banca,
ma, dato che queste condizioni non si presentavano mai, la sua vita
scorreva uniformemente, una storia senza avventure.
Una sera alla "Rotunda" si trov• seduto vicino a due signore. La sala,
semivuota e silenziosa, era un desolante presagio di fiasco. La
signora a fianco a lui gir• lo sguardo per la sala deserta una volta o
due e poi disse:
"Peccato che ci sia cos poca gente, stasera! E' tanto brutto per gli
artisti cantare davanti a delle poltrone vuote."
Lui prese il commento come un invito ad attaccar discorso, e fu
sorpreso che la signora sembrasse tanto disinvolta. Mentre parlavano,
cercava di fissarsi ben bene l'immagine di lei nella memoria. Quando
seppe che la ragazzina che le stava vicino era sua figlia, giudic• che
dovesse avere all'incirca un anno meno di lui. Il viso, che doveva
essere stato bello, conservava un aspetto intelligente. Era ovale, con
tratti ben marcati. Gli occhi erano di un azzurro molto cupo e decisi.
Il loro sguardo prima prese un'aria di sfida, ma poi la sicurezza
vacill•, sotto quello che sembrava un cauto, fugace dilatarsi della
pupilla nell'iride, rivelando per un attimo un temperamento di grande
sensibilit…. La pupilla per• si ridimension• velocemente, facendo
ripiombare nel regno della prudenza questa natura semiaffiorata, e la
sua giacca di astrakan, modellando un seno di una certa pienezza, fece
risaltare pi— decisamente la nota di sfida.
La incontr• di nuovo alcune settimane dopo, a un concerto alla
Earlsfort Terrace, e colse l'attimo nel quale l'attenzione della
figlia era diretta altrove per parlarle con una certa intimit…. La
signora alluse una volta o due al marito, ma il tono non era tale da
fare dell'allusione un avvertimento. Si chiamava Sinico. Il trisavolo
del marito era oriundo di Livorno. Il marito era capitano di un
mercantile che faceva la spola tra Dublino e l'Olanda, e avevano
quella sola figlia.
Incontratala una terza volta per caso, trov• il coraggio di fissarle
un appuntamento. Lei ci and•. Fu questo il primo di parecchi incontri:
si incontravano sempre di sera e sceglievano i quartieri pi—
tranquilli per le loro passeggiate insieme. A Duffy per• i sotterfugi
non andavano, e, poich‚ in quel modo sarebbero stati costretti a
vedersi sempre di nascosto, la spinse a chiedergli di andare a casa
sua. Lo stesso capitano Sinico incoraggi• le sue visite, ritenendolo
un possibile partito per la figlia: tanto sinceramente la moglie era
esclusa dal quadro dei suoi piaceri che non sospettava nemmeno che
qualcun altro potesse avere dell'interesse per lei. Dato che il marito
era spesso assente e che la figlia era fuori per dare lezioni di
musica, Duffy ebbe molte occasioni di godere della compagnia della
signora. Ne l'uno n‚ l'altra avevano mai avuto avventure del genere
prima e nemmeno ci trovavano qualcosa di sconveniente. A poco a poco
fondeva i suoi pensieri con quelli di lei; le prestava libri, le dava
delle idee, in poche parole divideva la sua vita intellettuale con
lei. E la signora pendeva dalle sue labbra.
A volte, in cambio delle sue teorie, lei raccontava episodi della sua
stessa vita. Con sollecitudine quasi materna lo spronava a lasciare
libero sfogo alla sua natura; era per lui come il confessore. Le disse
anche di aver partecipato per un certo tempo alle riunioni di un
partito socialista irlandese dove, in una soffitta illuminata da una
lampada ad olio inefficiente, si sentiva isolato in mezzo a una
ventina di operai moderati. Quando il partito si divise in tre
sezioni, ognuna col proprio capo e la propria soffitta, dirad• le sue
presenze. Le discussioni degli operai, disse, erano troppo timorose, e
l'interesse che dimostravano sulla questione delle paghe era
eccessivo. Pensava che avevano l'aria di vecchi realisti e che mal
sopportavano l'esattezza del suo ragionamento, che altro non era se
non il prodotto di un agio al di l… della loro portata. Probabilmente
nessuna rivoluzione sociale, osserv•, avrebbe colpito Dublino per
qualche secolo.
Lei gli chiedeva perch‚ non mettesse per iscritto le sue idee. E
perch‚? ribatteva con voluto disprezzo. Per competere con quei
venditori di parole, incapaci di pensare per sessanta secondi di
seguito? Per sottoporsi alle critiche di una classe media ottusa, che
affidava la sua morale ai poliziotti e le sue belle arti agli
impresari?
Le faceva spesso visita nella sua villetta fuori Dublino; quasi sempre
passavano la sera da soli. A poco a poco, man mano che i loro pensieri
si fondevano, cominciarono a toccare argomenti meno lontani. La
compagnia della signora era per lui come la terra calda per una pianta
esotica. Spesso lei lasciava che l'oscurit… li avvolgesse, senza
accendere la lampada. La stanza buia e discreta, l'isolamento, la
musica che ancora vibrava nelle loro orecchie, li univano. Questa
unione lo esaltava, smussava gli spigoli vivi del suo carattere,
eccitava la sua vita interiore. Qualche volta si sorprendeva ad
ascoltare il suono della sua stessa voce. Pensava di aver raggiunto,
agli occhi di lei, una sfera angelica; e, mentre legava a s‚ sempre
pi— strettamente la fervida natura della compagna, sentiva la strana e
impersonale voce, che riconosceva per sua, insistere sull'incurabile
solitudine dell'anima. Non possiamo darci ad altri, gli diceva: ci
apparteniamo sempre. La conclusione di questi discorsi fu che una
sera, nel corso della quale lei aveva mostrato tutti i segni di
un'eccitazione insolita, la signora Sinico gli afferr• una mano
appassionatamente e se la premette contro la guancia.
Duffy ne fu molto sorpreso. L'interpretazione da lei data alle sue
parole lo disilluse. Si astenne dal farle visita per una settimana;
poi le scrisse, chiedendole di vederla. Poich‚ non voleva che l'ultimo
colloquio fosse turbato dall'influenza del loro sacrario distrutto,
fece in modo che si incontrassero in una piccola pasticceria vicino ai
cancelli del parco. Era una rigida giornata autunnale, ma, nonostante
il freddo, passeggiarono su e gi— per le strade del parco per quasi
tre ore. Di comune accordo decisero di rompere i loro rapporti; ogni
legame, lui sostenne, Š sempre un legame di dolore. Quando uscirono
dal parco si avviarono in silenzio al tram, ma qui la signora cominci•
a essere presa da tremiti tanto violenti che, temendo le venisse un
altro collasso, la salut• in fretta e furia e la lasci•. Alcuni giorni
dopo ricevette un pacco contenente i suoi libri e la musica.
Passarono quattro anni. Duffy aveva ripreso il suo solito sistema di
vita. La stanza continuava a rispecchiare l'ordine della sua mente:
due nuovi brani musicali occupavano il leggo, e sugli scaffali erano
stati aggiunti due libri di Nietzsche: "Cos parl• Zarathustra" e "La
gaia scienza". Scriveva raramente ormai sui fogli di carta, che erano
nello scrittoio. Una delle frasi, scritta due mesi dopo il suo ultimo
colloquio con la signora Sinico, diceva: "L'amore tra uomo e uomo Š
impossibile, perch‚ non ci pu• essere rapporto sessuale, e l'amicizia
tra uomo e donna Š impossibile per la necessit… di un rapporto
sessuale". Evit• di andare ai concerti per paura di incontrarla. Gli
mor il padre; il socio pi— giovane della banca si ritir•. Eppure lui
continuava ad andare in citt… ogni mattina col tram e a ritornarsene a
casa a piedi la sera, dopo aver pranzato frugalmente in George Street
e aver letto il giornale della sera per "dessert".
Una sera, mentre stava per portare alla bocca un forchettata di carne
di bue in scatola e di cavolo, la mano gli si ferm• a mezz'aria. I
suoi occhi rimasero inchiodati sul trafiletto del giornale che aveva
appoggiato alla caraffa dell'acqua. Lasci• ricadere il boccone nel
piatto e lesse il paragrafo con attenzione. Poi bevve un bicchiere
d'acqua, spinse il piatto da parte, pieg• in due il giornale, se lo
mise davanti, tra i gomiti, e rilesse la notizia parecchie volte. Il
cavolo cominciava a depositare un grasso freddo e biancastro sul
piatto, tanto che la cameriera gli si avvicin• per chiedergli se il
pranzo non era cucinato a dovere. Rispose che era ottimo e a fatica
mand• gi— ancora alcuni bocconi. Poi pag• il conto e usc.
Si incammin• rapido nel crepuscolo di novembre. Il suono del suo
bastone risuonava a intervalli regolari sul selciato, e dalla tasca
laterale dello stretto soprabito a doppio petto, gli sporgeva l'orlo
del giornale. Sulla strada solitaria, che unisce i cancelli del parco
a Chapelizod, rallent• il passo. Il bastone batteva ora per terra con
minor energia, e il fiato, che gli usciva irregolarmente quasi simile
a un sospiro, si condensava nella fredda aria invernale. Quando arriv•
a casa, and• immediatamente in camera da letto e, toltosi il giornale
di tasca, rilesse ancora il trafiletto alla debole luce della
finestra. Non lo lesse ad alta voce, ma, muovendo le labbra, come fa
il sacerdote durante la Messa, quando recita le parti "secreto".
Questo era il testo:

MORTE DI UNA SIGNORA A SYDNEY PARADE.
UN CASO PIETOSO.
"Oggi, all'ospedale Citt… di Dublino, il "Coroner" aggiunto (in
assenza del dottor Leverett) ha aperto un'inchiesta sulla persona
della signora Emily Sinico, di anni quarantatr‚, rimasta uccisa ieri
sera alla stazione di Sydney Parade. Dall'indagine Š risultato che la
defunta, mentre stava attraversando i binari, Š stata investita dalla
locomotiva dell'accelerato delle dieci proveniente da Kingstown,
riportando di conseguenza ferite alla testa e al fianco destro, che ne
hanno causato la morte.
"Il macchinista, James Lennon, ha dichiarato di trovarsi al servizio
della compagnia ferroviaria da quindici anni. Sentendo il fischio del
guardalinee aveva messo in moto il treno e un secondo o due pi— tardi,
sentendo delle urla strazianti, aveva frenato. Il treno procedeva ad
andatura moderata.
"Il facchino, P. Dunne, ha dichiarato di aver visto, proprio mentre il
treno stava per muoversi, una donna che tentava di attraversare i
binari. Si era diretto, correndo, verso di lei e aveva gridato, ma,
prima che potesse raggiungerla, i respingenti della locomotiva
l'avevano afferrata e gettata a terra.
"UN GIURATO: Avete visto la signora cadere?
"TESTE: S.
"Croly, il sergente di polizia, ha deposto che al suo arrivo la donna
giaceva sulla piattaforma, apparentemente gi… morta, e di aver fatto
trasportare il corpo esanime nella sala d'aspetto in attesa
dell'ambulanza.
"L'agente 57 ha confermato la deposizione.
"Il dottor Halpin, assistente chirurgo dell'ospedale Citt… di Dublino,
ha dichiarato che la defunta ha riportato la frattura di due costole
inferiori e parecchie gravi contusioni alla spalla destra. Sul
parietale destro le ferite erano dovute alla caduta. Le ferite non
erano, di per se stesse, sufficienti a causare la morte, in una
persona normale. La morte, secondo lui, era probabilmente stata
provocata dallo shock e dall'improvviso cedimento cardiaco.
"Il signor H.B. Patterson Finlay, a nome della compagnia ferroviaria,
ha espresso il suo profondo rammarico per l'incidente. La compagnia ha
sempre preso ogni precauzione per evitare che i passeggeri
attraversassero i binari, se non servendosi dei sottopassaggi, sia per
mezzo di avvisi in ogni stazione, sia ricorrendo a sbarre automatiche
brevettate nei passaggi a livello. La defunta aveva preso l'abitudine
di attraversare i binari a tarda notte e, tenuto conto di certe altre
circostanze del caso, non riteneva che il personale dovesse essere
criticato.
"Ha deposto anche il capitano Sinico di Leoville, Sydney Parade,
marito della signora, dichiarando che la defunta era sua moglie. Non
era a Dublino al momento dell'incidente, dato che era arrivato solo la
mattina da Rotterdam. Erano sposati da ventidue anni e avevano vissuto
felici fino a due anni prima, quando la signora aveva preso
l'abitudine di bere.
"La signorina Sinico ha confermato che ultimamente la madre era solita
uscire di sera per comprare bevande alcooliche. Lei aveva spesso
cercato di farla ragionare e le aveva suggerito di farsi socia di una
lega antialcoolica. Non era tornata a casa che un'ora dopo
l'incidente.
"La giuria ha emesso il verdetto in conformit… alla deposizione del
medico e ha assolto Lennon da qualsiasi responsabilit….
"Il 'Coroner' aggiunto ha concluso dichiarando trattarsi di un caso
pietoso e ha espresso le pi— sentite condoglianze al capitano Sinico e
a sua figlia. Ha inoltre fatto pressione sulla compagnia ferroviaria,
perch‚ prenda serie misure per prevenire la possibilit… di simili
incidenti in futuro. Nessuno Š ritenuto responsabile".

Duffy alz• gli occhi dal giornale e guard• fuori dalla finestra il
triste paesaggio della sera. Il fiume si stendeva tranquillo vicino
alla distilleria abbandonata, e, ogni tanto, si accendeva una luce in
qualche casa della Lucan Road. Che fine! L'intero racconto della sua
morte lo disgustava, e ancora di pi— lo disgustava il pensare di aver
parlato con una donna simile delle cose che pi— gli erano sacre. Le
frasi trite, le vuote espressioni di simpatia, le misurate parole di
un giornalista, pagato per tacere i dettagli di una morte avvilente e
volgare, lo rivoltavano. Non solo si era degradata, ma aveva degradato
anche lui! Poteva immaginare quello squallido periodo della sua vita,
posseduta da quel vizio miserabile e maleodorante. La compagna della
sua anima! E pens• a quei disgraziati che aveva visto entrare
barcollando nelle osterie, per farsi riempire fiaschi e bottiglie.
Santo cielo, che fine! Evidentemente era incapace di vivere, senza un
incentivo di sorta, facile preda alle abitudini, uno dei relitti sui
quali si fonda la moderna civilt…. Ma cadere cos in basso! Era
possibile che si fosse ingannato sul suo conto fino a questo punto?
Ricord• lo sfogo che lei aveva avuto quella sera e lo interpreto pi—
rigidamente di quanto non avesse mai fatto. Non gli era difficile ora
approvare la linea di condotta seguita.
E poich‚ la luce si indeboliva e la sua memoria cominciava a perdersi
nel passato, immagin• che la mano della morta sfiorasse la sua. Lo
shock, che prima lo aveva preso allo stomaco, ora gli influiva sui
nervi. Si mise in fretta soprabito e cappello e usc. Un'aria fredda
lo invest sulla soglia, gli si infil• su per le maniche. Arrivato
all'osteria di Chapelizod Bridge entr• e ordin• un ponce caldo.
Il proprietario lo serv premurosamente, ma non os• attaccare
discorso. Nel locale c'erano cinque o sei operai, che discutevano sul
valore della propriet… di un possidente della Contea di Kildare. A
intervalli bevevano dagli enormi boccali della capacit… di una pinta e
fumavano, sputando spesso sul pavimento e, qualche volta, ricoprendo
di segatura gli sputi con gli stivali. Duffy sedeva sul suo sgabello,
con lo sguardo fisso su di loro, senza vederli e senza sentire quello
che stavano dicendo. Dopo un po' quelli se ne andarono, e lui ordin•
un altro ponce, sul quale indugi• per un bel pezzo. Il proprietario
leggeva l'"Herald", semisdraiato sul banco, e sbadigliava. Ogni tanto
arrivava da fuori il rumore di un tram sulla strada solitaria.
Mentre sedeva l…, rivivendo le ore che avevano passato insieme ed
evocando ora l'una ora l'altra delle due immagini che si era fatto
della donna, si rese conto che era morta, che aveva cessato di essere,
che era diventata un ricordo. Cominci• a sentirsi a disagio. Si chiese
che cos'altro avrebbe potuto fare. Non certo continuare con lei una
commedia di inganni, n‚ vivere con lei apertamente. Aveva fatto ci•
che gli era sembrato la cosa migliore. Come si poteva biasimarlo? Ora
che se ne era andata, capiva quanto solitaria doveva essere stata la
sua vita, sera per sera, sempre sola in quella stanza. Anche lui aveva
la stessa prospettiva di solitudine, finch‚ anche lui sarebbe morto,
avrebbe smesso di esistere, sarebbe diventato un ricordo, ammesso che
ci fosse qualcuno a ricordarlo.
Erano le nove passate, quando lasci• il locale. La notte era fredda e
buia. Entr• nel parco dal primo cancello e si incammin• tra gli alberi
spogli. Percorse i viali deserti, per i quali erano passati insieme
quattro anni prima. Sembrava che gli fosse vicina nell'oscurit…. In
certi momenti gli sembrava di sentirne la voce all'orecchio, di
avvertirne il tocco della mano sulla sua. Si ferm• ad ascoltare.
Perch‚ le aveva negato la vita? Perch‚ l'aveva spinta a cercare la
morte? Sent la sua natura morale andare in frantumi.
In cima alla Magazine Hill si ferm• e guard• lungo il fiume verso
Dublino, le cui luci splendevano, rosse e invitanti, nella notte
fredda. Abbass• gli occhi sul pendo e, ai piedi della discesa,
nell'ombra del muro del parco, vide delle figure umane sdraiate.
Quegli amori venali e furtivi lo riempirono di disperazione. Inve
contro la rettitudine della sua vita; sentiva di essere stato escluso
dal banchetto della vita. Un solo essere umano pareva che lo avesse
amato, e lui gli aveva negato vita e felicita: l'aveva condannato
all'ignominia, a una morte vergognosa. Sapeva che le figure distese a
ridosso del muro lo stavano osservando, desiderose che se ne andasse.
Nessuno lo voleva: era escluso dal banchetto della vita. Gir• gli
occhi verso il grigio fiume scintillante, che serpeggiava verso
Dublino. Pi— in l…, oltre il fiume, vide un treno merci uscire dalla
stazione di Kingsbridge e tagliare l'oscurit… con la testa di fuoco,
ostinato e laborioso. Lentamente scomparve; ma si sentiva ancora nelle
orecchie, il continuo, cadenzato rumore della macchina ripetere le
sillabe del nome di lei.
Ritorn• sui suoi passi, mentre il ritmo della locomotiva gli
rimbombava nelle orecchie. Cominciava a mettere in dubbio la realt… di
quello che la memoria gli raccontava. Si ferm• sotto un albero e
lasci• che quel ritmo si spegnesse. Non la sentiva pi— vicino
nell'oscurit…, n‚ la sua voce gli sfiorava l'orecchio. Rimase in
ascolto per qualche minuto. Non sentiva niente, adesso, la notte era
immersa nel silenzio. Ascolt• ancora: silenzio assoluto. Sent di
essere solo.




IL GIORNO DELL'EDERA NELL'UFFICIO ELETTORALE.

Il vecchio Jack raccolse la cenere con un pezzo di cartone e la
sparpagli• giudiziosamente sul cumulo di carboni che stava sbiancando.
Quando ebbe ricoperto il mucchio di uno strato sottile, il suo viso
rest• immerso nell'oscurit…, ma, mentre cominciava di nuovo a
sventolare il fuoco col cartone, la sua ombra curva emerse sulla
parete opposta e la faccia lentamente ritorn• in luce. Era il viso di
un vecchio, molto ossuto e peloso. Gli occhi, umidi e azzurri,
ammiccavano al fuoco e la bocca umida ogni tanto si apriva e, nel
richiudersi, faceva meccanicamente, una volta o due, l'atto di
masticare. Quando la brace ebbe preso fuoco, pos• il pezzo di cartone
contro il muro e sospirando disse:
"Adesso va meglio, signor O'Connor."
O'Connor, un giovanotto coi capelli grigi, il cui volto era ridotto a
una maschera, tanto era ricoperto di pustole e foruncoli, aveva appena
finito di arrotolare il tabacco per una sigaretta nell'apposita
cartina, ma a quelle parole disfece con aria pensierosa il suo lavoro;
poi riprese ad arrotolare il tabacco, sempre pensieroso, e, dopo
averci pensato un momento, si decise a leccare la cartina.
"Il signor Tierney non ha lasciato detto quando sar… di ritorno?"
chiese in tono asciutto e con voce in falsetto.
"Non l'ha detto."
O'Connor si mise in bocca la sigaretta e prese a frugarsi nelle
tasche. Ne tir• fuori un pacchetto di cartoncini sottili.
"Vado a prendervi un fiammifero," disse il vecchio.
"Non importa, mi arrangio benissimo anche con questo," rispose
O'Connor.
Scelse uno dei cartoncini e lesse quello che vi era stampato sopra:

ELEZIONI MUNICIPALI.
QUARTIERE DELLA BORSA.
"Il signor Richard J. Tierney, P.L.G., rispettosamente sollecita il
vostro voto e il vostro appoggio, alle prossime elezioni del Quartiere
della Borsa."

O'Connor era stato assunto dall'agente di Tierney per fare propaganda
in una zona del quartiere, ma, dato che il tempo era brutto e che le
sue scarpe lasciavano filtrare l'acqua, passava quasi tutto il giorno
accanto al fuoco nell'ufficio elettorale, in Wicklow Street, con Jack,
il custode. Se ne stavano l…, seduti, da quando era cominciato a fare
buio. Era il sei di ottobre: fuori era freddo e scuro.
O'Connor strapp• una striscia dal cartoncino, le diede fuoco e se ne
servi per accendere la sigaretta. Mentre faceva questi movimenti, la
fiamma illumin• una foglia d'edera scura e lucida sul risvolto della
sua giacca. Il vecchio lo osserv• attentamente e poi, raccogliendo di
nuovo il pezzo di cartone, ricominci• a sventolare sul fuoco, piano
piano, mentre il compagno fumava.
"Eh, s," disse continuando, "Š difficile saper educare i figli. Chi
avrebbe potuto prevedere una tale riuscita! L'ho mandato dai Fratelli
delle Scuole Cristiane e ho fatto tutto quello che potevo per lui, e,
come risultato, va in giro a ubriacarsi. Ho cercato di farne una
persona perbene..."
Rimise a posto il cartone stancamente.
"Se non fossi cos vecchio, gli farei cambiare sistema. Prenderei il
bastone e gliele darei di santa ragione finch‚ ne avessi la forza,
come ho fatto pi— d'una volta in passato. Ma la madre, sapete come
sono le mamme, ha sempre cercato di risparmiargliele..."
"E' proprio quello che rovina i ragazzi," osserv• O'Connor.
"Certo che Š cos!" conferm• il vecchio. "E, come misero
ringraziamento, che cosa ne ricevete? Solo ingratitudine. Dovreste
vedere come mi prende la mano, non appena si accorge che ne ho bevuto
un sorso di troppo. Mi domando dove andr… a finire il mondo, se i
figli si rivoltano cos ai padri!"
"Quanti anni ha?" domand• O'Connor.
"Diciannove," rispose il vecchio.
"Perch‚ non lo mettete a lavorare?"
"Certo, e che altro ho fatto con quell'ubriacone, fin da quando ha
lasciato la scuola? 'Non intendo mantenerti,' gli ho detto. 'Devi
lavorare per bastare a te stesso.' Ma vi assicuro che, quando ha soldi
in tasca, Š peggio che mai; se li beve tutti."
O'Connor scosse la testa con simpatia mentre il vecchio, diventato
silenzioso, fissava il fuoco. Qualcuno apr la porta e disse a voce
alta:
"Ehi! E' forse una riunione di frammassoni?"
"Chi Š?" domand• il vecchio.
"Che cosa fate al buio?" ribatt‚ la voce.
"Sei tu, Hynes?" chiese O'Connor.
"S, sono io. Che cosa fate al buio?" ripet‚ Hynes, avanzando alla
luce del fuoco.
Era un giovanotto alto e smilzo, coni baffi castano chiaro.
Goccioline di pioggia gli colavano dalla falda del cappello, e il
bavero della sua giacca era rialzato.
"BŠ, Mat," disse a O'Connor, "come va?"
O'Connor scosse la testa. Il vecchio si allontan• dal camino e, dopo
aver brancolato un po' per la stanza, torn• con due candelieri che
accese al fuoco, uno dopo l'altro, mettendoli poi sulla tavola. Venne
illuminata una stanza squallida e il fuoco perse il suo tono allegro;
le pareti erano nude, ad eccezione della copia di un manifesto
elettorale. Al centro c'era un tavolino su cui erano ammucchiate delle
carte. Hynes si appoggi• alla mensola del camino e chiese:
"Non vi ha ancora pagato?"
"Non ancora," rispose O'Connor. "Speriamo che non ci lasci nei guai."
Hynes rise.
"Oh, vi pagher…, niente paura," disse.
"Spero si sbrighi a farlo, se vuole agire da uomo d'affari," comment•
O'Connor.
"Che ne pensate, Jack?" Hynes chiese al vecchio con l'aria di
prenderlo in giro.
Questi ritorn• al proprio posto vicino al fuoco e disse: "Se non
altro, soldi ne ha. Non Š mica come quell'altro straccione."
"Quale altro straccione?" disse O'Connor.
"Colgan," replic• il vecchio con disprezzo.
"Dite cosi soltanto perch‚ Colgan Š un operaio. Che differenza c'Š tra
un bravo e onesto muratore e un appaltatore, eh? Non ha forse un
operaio gli stessi diritti che hanno tutti gli altri di far parte
della Corporazione? Anzi pi— diritto di quei leccapiedi, sempre pronti
a togliersi il cappello di fronte a chiunque abbia un titolo davanti
al nome. Dico bene, Mat?"
"Per me hai ragione," disse O'Connor.
"E' un uomo onesto e semplice, di quelli che non cercano di
raggirarti. Vuole semplicemente rappresentare la classe operaia. Il
tipo per il quale lavorate voi, invece, si preoccupa solo di
accaparrarsi una carica qualsiasi."
"E' giusto che anche la classe operaia sia rappresentata," convenne il
vecchio.
"L'operaio," riprese Hynes, "viene bistrattato da tutti e non ci
guadagna mai niente. Eppure, tutto viene prodotto con la sua fatica.
L'operaio non traffica per assicurare impieghi vantaggiosi ai propri
figli, nipoti e cugini. Lui non vuole trascinare nel fango l'onore di
Dublino per entrare nelle grazie di un re tedesco."
"Cosa volete dire?" disse il vecchio.
"Non sapete che vogliono presentare un messaggio di benvenuto a re
Edoardo, se verr… qui l'anno prossimo? Che cosa ci aspettiamo, facendo
tanti salamelecchi a un re straniero?"
"Il nostro non voter… a favore del messaggio," osserv• O'Connor. "E'
nazionalista."
"Non lo far…?" fece Hynes. "State un po' a vedere se lo far… o no. Lo
conosco io. Non lo chiamano Dick Tierney, il voltafaccia?"
"Santo cielo! Forse hai ragione, Joe," disse O'Connor. "Ad ogni modo
io voglio solo che venga con i baiocchi."
I tre uomini tacquero. Il vecchio cominci• ad ammucchiare cenere.
Hynes si tolse il cappello, lo scosse e poi riabbass• il bavero della
giacca, mettendo in mostra, nel compiere questi movimenti, una foglia
d'edera appuntata sul risvolto.
"Se lui fosse ancora vivo," disse indicando la foglia, "non saremmo
qui a parlare di un messaggio di benvenuto. "
"E' vero," conferm• O'Connor.
"Che bei tempi!" esclam• il vecchio. "Quella s che era vita!"
La stanza divent• di nuovo silenziosa. Poi, un ometto arzillo, con le
orecchie intirizzite e che tirava su dal naso, spinse la porta. Si
diresse in fretta verso il fuoco, fregandosi le mani, come se
intendesse farne scaturire scintille.
"Niente soldi, ragazzi," dichiar•.
"Sedetevi qui, signor Henchy," gli disse il vecchio, offrendogli la
sua sedia.
"State comodo, Jack, state comodo," ribatt‚ Henchy.
Fece appena un cenno col capo a Hynes e si sedette sulla sedia che il
vecchio aveva lasciata libera.
"Hai gi… fatto la Aungier Street?" chiese a O'Connor.
"S," rispose O'Connor, cominciando a frugarsi in tasca, in cerca
degli appunti.
"Sei stato da Grimes?"
"S."
"Bene. Come la pensa?"
"Non ha voluto fare promesse. Mi ha detto: 'Non dir• a nessuno per chi
voter•.' Ma penso che sar… dalla nostra."
"Su che cosa ti basi?"
"Mi ha chiesto chi erano gli scrutatori, e io glieli ho nominati. Ho
anche fatto il nome di Padre Burke. Secondo me, Š dalla nostra."
Henchy si mise a tirar su col naso e a fregarsi le mani davanti al
fuoco ad una velocit… impressionante. Poi disse: "Per l'amor del
cielo, Jack, portate dell'altro carbone. Ne deve pur essere rimasto un
po'."
Il vecchio lasci• la stanza.
"E' andata buca," rispose Henchy scuotendo la testa "Glieli ho
chiesti, a quel miserabile, ma mi ha risposto: 'BŠ, signor Henchy,
quando il lavoro sar… ben avviato, non mi dimenticher• di voi, state
tranquillo.' Ignobile pezzente! Ma che altro ci si potrebbe aspettare,
da un tipo simile?"
"Che ti avevo detto, Mat?" fece rimarcare Hynes "Dick Tierney il
voltafaccia."
"Voltafaccia certo, e che razza di voltafaccia!" rincar• Henchy. "Non
per niente ha quegli occhietti da maiale. Che vada all'inferno! Non
poteva pagarmi come fanno tutti, invece di dirmi: 'Oh, signor Henchy,
dovr• parlarne al signor Fanning... Ho gi… avuto tante spese.'
Meschino maledetto! Si Š dimenticato di quando quel vecchietto di suo
padre aveva la bottega di rigattiere in Mary Lane."
"Ma Š vero?" domand• O'Connor.
"Diamine, se Š vero!" continu• Henchy. "Non ne hai mai sentito
parlare? La gente ci andava la domenica mattina, prima che aprissero
le osterie, per comprarsi un panciotto o un paio di pantaloni, sicuro!
E quel vecchietto del padre di 'Dick il voltafaccia' aveva sempre una
misteriosa bottiglia nera in un angolo. Te ne ricordi, adesso? E'
proprio cos. Ed Š l che il nostro amico ha visto la luce."
Il vecchio ritorn• con alcuni pezzi di carbone che dispose qua e l…
sul fuoco.
"E' un bel guaio," disse O'Connor. "Come pu• pensare che continuiamo a
lavorare per lui, se non molla i quattrini?"
"Per quanto mi riguarda, non ci posso fare niente," ribatt‚ Henchy.
"Mi aspetto di trovare gli uscieri in anticamera tornando a casa."
Hynes rise e, allontandosi dal camino con un colpo di spalle, si
accinse ad andarsene.
"Tutto si aggiuster… quando verr… Re Eddie," disse. "BŠ, ragazzi,
esco. Ci vediamo pi— tardi. Arrivederci."
Usc lentamente dalla stanza. Ne Henchy n‚ il vecchio aprirono bocca,
ma, non appena la porta si fu richiusa, O'Connor, che se ne era
rimasto a fissare il fuoco corrucciato, improvvisamente grid•:
"Ciao, Joe!"
Henchy lasci• passare qualche minuto e poi fece un cenno in direzione
della porta.
"Dimmi," chiese attraverso il fuoco, "che cosa ci viene a fare qui il
tuo amico? Che cosa vuole?"
"Povero Joe," rispose O'Connor buttando il mozzicone della sigaretta
nel fuoco. "E' al verde anche lui, come tutti noi."
Henchy tir• su col naso con tanta energia e sput• cos copiosamente
quasi da spegnere il fuoco, che alz• un frigolo di protesta.
"Vuoi che ti dica la mia opinione chiara e tonda?" disse. "Penso che
sia dell'altro partito. Una spia di Colgan, se vuoi saperlo, assunta
con lo scopo di andare in giro e cercare di scoprire come vanno le
cose. Nessuno sospetta di lui. Ci hai pensato?"
"Ma no, povero Joe, e una pasta d'uomo," reag O'Connor.
"Suo padre era una persona come si deve e rispettabile," ammise
Henchy. "Povero caro Larry Hynes! Ne ha fatto del bene ai suoi tempi!
Ma ho seri dubbi che il nostro amico sia a diciannove carati.
Maledizione! Capisco trovarsi finanziariamente in cattive acque, ma
prestarsi a un lavoro simile... Gli sar… pur rimasto un briciolo di
dignit…!"
"Non lo accolgo certo calorosamente, quando viene," disse il vecchio.
"Che lui lavori per il suo partito e non venga a spiare tra le nostre
cose!"
"Non so," intervenne O'Connor dubbioso, mentre tirava fuori cartine e
tabacco. "Penso che Joe Hynes sia un uomo retto. Se la cava bene anche
con la penna. Ricordate quel suo scritto...?"
"Sono anche troppo intelligenti alcuni di questi feniani, se proprio
lo volete sapere," osserv• Henchy. "Volete che vi dica sinceramente
cosa ne penso di qualcuno di questi burattini? Credo che una buona
met… di loro sia sovvenzionata dal governo."
"Non si pu• sapere," obbiett• il vecchio.
"Oh, sono sicuro di quello che dico," continu• Henchy. "Sono
marionette del governo... Non dico di Hynes... Accidenti, non credo si
sia ridotto a questo punto... Ma c'Š una specie di nobile dall'occhio
strabico... sapete, vero, chi Š il patriota cui mi riferisco?"
O'Connor fece cenno di s.
"E' un discendente in linea diretta del Maggiore Sirr, se ci tenete a
saperlo. E che razza di patriota! E' un tipo che venderebbe il suo
paese per quattro soldi e ringrazierebbe Dio in ginocchio di averne
uno da vendere."
Si sent bussare alla porta.
"Avanti!" disse Henchy.
Un individuo, con l'aria di un prete povero o di un povero attore,
apparve sulla soglia. Gli abiti neri, abbottonati stretti, gli
avvolgevano completamente il corpo basso, ed era impossibile decidere
se portava un colletto da prete o da laico, visto che il bavero della
finanziera frusta, i cui bottoni non ricoperti riflettevano la luce
delle candele, era rialzato fino al collo. Portava un cappello
rotondo, di un rigido feltro nero, e il suo viso lucido di goccioline
di pioggia, riccordava un formaggio umido e giallo, eccetto nel punto
in cui due chiazze rosse indicavano gli zigomi. Apr subito la bocca
enorme per esprimere delusione e, contemporaneamente, spalanc• gli
occhi, brillanti e azzurri, in segno di piacere e sorpresa.
"Oh, Padre Keon!" esclamo Henchy scattando in piedi.
"Siete voi? Avanti, avanti!"
"Oh no, no!" si affrett• a dire Padre Keon, atteggiando le labbra come
se parlasse a un bambino.
"Non volete entrare e sedervi un istante?"
"No, no," ripete Padre Keon con una vocina discreta, indulgente e
morbida. "Per carit… non disturbatevi! Vengo soltanto a cercare il
signor Fanning..."
"E' fuori alla Black Eagle," rispose Henchy. "Ma davvero non volete
accomodarvi un minuto?"
"No, no, grazie. Ero venuto per una faccenduola," riprese Padre Keon.
"Grazie ancora."
Indietreggi• dalla soglia e Henchy, preso uno dei due candelieri, si
avvi• verso la porta per fargli luce sulle scale.
"Non disturbatevi, vi prego!"
"Nessun disturbo. Solo le scale sono cos buie..."
"No, no, riesco a vederci... Grazie mille."
"Va bene adesso?"
"Benissimo, grazie... Grazie ancora."
Henchy ritorno col candeliere e lo pos• sul tavolo. Si risedette
vicino al fuoco. Per un po' regn• un silenzio assoluto.
"Dimmi, John," fece poi O'Connor, accendendo una sigaretta con
un'altra striscia di carta.
"Hm?"
"Ma chi Š esattamente quel tipo?"
"Fammi una domanda pi— facile," rispose Henchy.
"Fanning e lui sembrano molti intimi. Si vedono spesso insieme da
Kavanagh. Ma Š davvero un prete?"
"Ma, credo di s... Penso sia quella che si dice una pecora nera. Non
ce ne sono molte, grazie al cielo! Ma quelle poche... E' un povero
disgraziato..."
"E come vive?"
"E' un altro mistero."
"Dipende da qualche cappella, chiesa o istituzione?"
"No," rispose Henchy, "penso che faccia un'attivit… per conto suo...
Dio mi perdoni," aggiunse, "lo avevo scambiato per quello che porta la
birra."
"A proposito, c'Š speranza di bere?" chiese O'Connor.
"Anch'io ho la gola secca," aggiunse il vecchio.
"Gliel'ho detto tre volte, a quel misero pezzente," dichiaro Henchy,
"di mandar su una dozzina di bottiglie di birra. Ho tentato di
ripeterglielo anche adesso, ma se ne stava l…, appoggiato al banco, in
maniche di camicia, intento a discutere con l'assessore Cowley."
"Perch‚ non glielo hai ricordato?" domand• O'Connor.
"BŠ, mi seccava avvicinarmi, mentre stava parlando con l'assessore
Cowley. Ho aspettato che i nostri sguardi si incontrassero, e poi gli
ho detto: 'Per quella cosetta di cui ti ho parlato...'. 'Bene, bene,
signor Henchy,' ha risposto. Ma scommetterei che quel soldo di cacio
se n'Š dimenticato."
"Bolle qualcosa in pentola, da quelle parti," disse O'Connor
pensierosamente. "Ne ho visti tre confabulare ieri, all'angolo di
Suffolk Street."
"Credo di conoscere il loro gioco," osserv• Henchy. "Al giorno d'oggi
bisogna allentare i cordoni della borsa con i preti, se ci si tiene a
diventare sindaco. In questo caso la tua elezione Š certa. Accidenti,
sto pensando seriamente di farmi prete anch'io. Che ne dici? Mi ci
vedi?"
O'Connor rise.
"Finch‚ hai denaro..."
"Uscirmene dalla Mansion House," riprese Henchy, "con tanto di
ermellino e Jack dietro con una parrucca incipriata, eh?"
"E io potrei farti da segretario privato, vero John?"
"Sicuro. E Padre Keon da cappellano privato. Tutto in famiglia."
"In fede mia, signor Henchy," intervenne il vecchio, "sapreste
cavarvela meglio di molti di loro. Ne parlavo giorni fa con il vecchio
Keegan, il portiere. 'Che ne pensi del nuovo padrone, Pat?' gli dico.
'Trattenimenti non se ne danno molti a quanto pare.' 'Trattenimenti?',
mi rispose lui. 'Se potesse vivrebbe d'aria.' E sapete che cosa mi ha
raccontato? In fede mia, non credevo ai miei orecchi!"
"Cosa?" dissero in coro Henchy e O'Connor.
"Mi ha detto testualmente: 'Che ne penseresti di un sindaco di Dublino
che per pranzo ti manda a comprare una libbra di braciole? Che alto
tenore di vita, eh!' 'Inaudito!', esclamo io. 'Una libbra di
braciole,' ripete lui, 'per la Mansion House.' 'Inaudito!', faccio io.
'Che razza di gente va al potere, oggi!'."
A questo punto si sent bussare alla porta, e un ragazzo fece
capolino.
"Che c'Š?" chiese il vecchio.
"Dalla Black Eagle," rispose il ragazzo venendo avanti di traverso e
depositando un cesto sul pavimento con un gran tintinnio di bottiglie
scosse.
Il vecchio lo aiut• a trasferire le bottiglie dal cesto sulla tavola e
cont• che ci fossero tutte. Sistemate le bottiglie, il ragazzo si mise
il cesto sul braccio e domand•:
"E i vuoti?"
"Quali vuoti?" fece il vecchio.
"Ci lascerai bere prima, no?" disse Henchy.
"Mi Š stato ordinato di riportare i vuoti."
"Torna domani," ribatt‚ il vecchio.
"Ehi, ragazzo!" lo chiam• Henchy. "Per favore, fai una corsa gi— da
O'Farrell e chiedigli di prestarci il cavatappi, per il signor Henchy,
digli. Di' anche che glielo restituiamo subito. Lascia pure qua il
cesto."
Il ragazzo usc, e Henchy prese a fregarsi allegramente le mani,
osservando:
"La residenza del sindaco, al centro di Dublino, in Dawson Street.
"BŠ, dopotutto, Š meno peggio di quel che credevo. Perlomeno Š stato
di parola."
"Mancano i bicchieri," not• il vecchio.
"Oh, non preoccupatevi per questo, Jack," replic• Henchy. "Molte
persone prima d'ora hanno bevuto a garganella."
"Comunque Š sempre meglio di niente," fece O'Connor.
"Non sarebbe poi cos cattivo," riprese Henchy, "se non fosse per quel
Fanning che lo tiene in pugno. A modo suo avrebbe delle buone
intenzioni, sai com'Š..."
Il ragazzo ritorn• col cavatappi. Il vecchio apr tre bottiglie e
stava gi… restituendo il cavatappi, quando Henchy si rivolse al
ragazzo:
"Vorresti bere, ragazzo?"
"Volentieri, signore," questi rispose.
Il vecchio stur• a malincuore un'altra bottiglia e la porse al
ragazzo.
"Quanti anni hai?" gli chiese.
"Diciassette," rispose il ragazzo.
Poich‚ il vecchio non aggiungeva altro, il ragazzo prese la bottiglia
dicendo: "I miei rispetti, signor Henchy". Finito di bere, la rimise
sul tavolo, asciugandosi la bocca con una manica. Poi prese il
cavatappi, usc di traverso dalla porta, borbottando un saluto.
"Cos si comincia," fece il vecchio.
"Tutto sta a rompere il ghiaccio," aggiunse Henchy.
Il vecchio distribu le tre bottiglie che aveva aperto, e tutti
insieme le portarono alle labbra. Una volta bevuto, ognuno appoggi• la
propria bottiglia sul camino, a portata di mano, e tir• un lungo
sospiro di soddisfazione.
"Bene, ho fatto un buon lavoro oggi," disse Henchy, dopo una pausa.
"Davvero, John?"
"S. Gli abbiamo assicurato uno o due voti in Dawson Street, Crofton e
io. Che resti tra noi, conoscete Crofton (un ottimo ragazzo, niente da
dire), ma non Š tagliato per fare il propagandista. Non sa dire due
parole in croce, se ne sta l impalato a fissare la gente, mentre io
mi sfiato."
In quel momento entrarono due uomini. Uno era molto grasso, dalla
figura cascante, e portava un vestito di lanetta blu che gli scivolava
di dosso. Il suo faccione, quanto a espressione, faceva pensare a un
vitello, gli occhi erano fissi e azzurri, e i baffi brizzolati.
L'altro, molto pi— giovane e snello, aveva un viso distinto e rasato
di fresco. Portava un colletto altissimo e una lobbia in testa.
"Salve, Crofton!" disse Henchy al grassone. "Lupus in fabula..."
"Da dove piove tanta manna?" chiese il giovane. "La vacca ha
partorito?"
"Naturalmente la prima cosa che Lyons adocchia Š la bottiglia!"
osserv• O'Connor ridendo.
"E' questo il vostro modo di fare propaganda, colleghi," chiese di
rimando Lyons, "mentre Crofton e io sfidiamo il freddo e la pioggia
per guadagnare voti?"
"Ma che vai bestemmiando?" ribatt‚ Henchy. "Mi assicuro pi— voti io in
cinque minuti, che voi due in una settimana!"
"Aprite due altre bottiglie di birra, Jack," disse O'Connor.
"Come faccio?" chiese il vecchio. "Non c'Š pi— il cavatappi."
"Un momento, un momento," fece Henchy saltando in piedi. "Non
conoscete questo trucchetto?"
Prese due bottiglie dalla tavola e, dirigendosi verso il fuoco, le
appoggi• sulla pietra del camino. Poi ritorn• al suo posto e bevve un
altro sorso dalla bottiglia. Lyons si sedette sull'orlo del tavolo,
spinse indietro il cappello sulla nuca e si mise a dondolare le gambe.
"Qual Š la mia bottiglia?" chiese.
"Questa, ragazzo," gli indico Henchy.
Crofton si sedette su una cassetta, lo sguardo fisso all'altra
bottiglia. Taceva per due ragioni. La prima, di per se stessa
sufficiente, perch‚ non aveva niente da dire; la seconda perch‚
considerava i compagni suoi inferiori. Aveva lavorato come agente per
Wilkins, il conservatore, poi, quando i conservatori avevano ritirato
il loro candidato, e, scegliendo tra i due mali il minore, avevano
dato appoggio ai nazionalisti, era passato a lavorare per Tierney.
Pochi momenti dopo si sent un timido "poc!" e il turacciolo della
bottiglia di Lyons part. Lyons fece un salto, si diresse al fuoco,
prese la bottiglia e se la port• sul tavolo.
"Stavo giusto dicendo loro, Crofton," disse Henchy, "che ho ottenuto
alcuni voti importanti oggi."
"Sentiamo un po' quali!" fece Lyons.
"BŠ, Parkes, e uno, Atkinson, e due, e poi Ward in Dawson Street. Un
caro vecchio quello, che persona distinta, un vecchio conservatore!
'Ma il vostro candidato non Š un nazionalista?', mi ha domandato. E
io: 'E' una persona rispettabile. Si batte per il bene del paese. E'
un grosso contribuente,' ho continuato, 'che possiede immobili in
citt… e ben tre aziende. Non vi sembra sia quindi suo interesse
cercare di non far aumentare le tasse? E' un cittadino in vista e
stimato,' ho insistito, 'che si preoccupa di tutelare le leggi a
favore dei poveri e che non appartiene a nessun partito, n‚ di destra,
n‚ di sinistra, n‚ di centro.' Questi sono gli argomenti che fanno
presa su tipi del genere."
"E riguardo al messaggio per il re?" chiese Lyons, dopo aver bevuto e
fatto schioccare le labbra.
"Statemi a sentire," riprese Henchy, "quello di cui il nostro paese ha
bisogno Š il capitale, come dicevo appunto al vecchio Ward. La venuta
del re provocher… un afflusso di denaro nel paese. I cittadini di
Dublino ne avranno vantaggio. Pensate a tutte quelle fabbriche, gi—
alle banchine, che sono ferme. Pensate a tutta la ricchezza che
offrirebbe il paese, se solo facessimo lavorare le vecchie industrie,
i mulini. i cantieri, le officine. E' del capitale che abbiamo
bisogno."
"Ma senti, John," disse O'Connor. "Perch‚ dovremmo dare il benvenuto
al re d'Inghilterra? Lo stesso Parnell non diceva forse..."
"Parnell," lo interruppe Henchy, "Š morto. Ora, ecco il mio punto di
vista. Siamo di fronte a un re, salito al trono, dopo che quella cara
vecchia di sua madre ve lo ha tenuto lontano, finch‚ gli sono venuti i
capelli grigi. E' un uomo di mondo e ben disposto verso di noi. E' un
mattacchione e molto perbene, se ci tenete a saperlo, e senza grilli
per la testa. Si Š detto: 'La vecchia non Š mai andata a vedere quei
selvaggi di irlandesi. BŠ, ci andr• io a vedere come sono.' E noi
dovremmo insultarlo, mentre viene qui, in visita amichevole? Non sei
del mio parere, Crofton?"
"Ma dopotutto," intervenne Lyons polemizzando, "la vita di Re Edoardo,
come sapete, non Š proprio..."
"Il passato Š passato," riprese Henchy. "Personalmente come uomo lo
ammiro. E' anche lui un buontempone, come te e me. Apprezza il suo
bicchiere di grog, batte un po' la cavallina, forse, e Š un buon
sportivo. Maledizione! Non possiamo noi irlandesi fare un gioco
leale?"
"Tutte belle cose," replic• Lyons. "Ma prendi il caso di Parnell."
"Ma, santo cielo," fece Henchy, "che analogia c'Š fra i due casi?"
"Quello che voglio dire," ricominci• Lyons, "Š che noi abbiamo i
nostri ideali. Perch‚, adesso, dovremmo dare il benvenuto a un uomo
simile? Crediamo ancora, dopo quello che ha fatto, che Parnell fosse
l'uomo adatto a governarci? E perch‚ allora, dovremmo riconoscere come
capo Edoardo Settimo?"
"Oggi Š l'anniversario di Parnell," disse O'Connor, "e non facciamoci
cattivo sangue. Tutti lo rispettiamo, ora che Š morto, perfino i
conservatori," aggiunse, girandosi verso Crofton.
"Poc!" Il riluttante tappo della bottiglia di Crofton salt• via.
Questi si alz• dalla sua cassetta e si avvicin• al fuoco, poi, mentre
ritornava al suo posto con la preda, disse con voce profonda:
"Il nostro partito lo rispetta, perch‚ era un galantuomo."
"Hai ragione, Crofton!" esclam• Henchy con ardore. "Era il solo uomo
capace di tenere a freno questo branco di lupi. A cuccia cani! Gi—
bastardi! Questo era il suo modo di trattarli. Avanti Joe! Avanti!"
disse, scorgendo Hynes sulla soglia.
Hynes venne avanti lentamente.
"Un'altra bottiglia di birra, Jack!" ordin• Henchy. "Gi…, dimenticavo,
non c'Š il cavatappi. Passatemene qui una e la metter• vicino al
fuoco."
Il vecchio gli diede un'altra bottiglia, e lui la colloc• sulla pietra
del camino.
"Siediti, Joe," disse O'Connor. "Stavamo giusto parlando del capo."
"Sicuro, sicuro," fece Henchy.
Hynes si sedette sul tavolo vicino a Lyons, ma non disse niente.
"C'Š per• uno," riprese Henchy, "che non l'ha rinnegato. Santo cielo,
alludo a te, Joe! No, perdinci, tu gli sei rimasto fedele da vero
uomo."
"Oh, Joe," disse improvvisamente O'Connor, "leggici quei versi che hai
scritto... Ricordi? Li hai portati con te?"
"S, s," aggiunse Henchy "leggili. Li hai mai sentiti, Crofton?
Ascoltali ora: sono splendidi."
"Avanti!" insistette O'Connor. "Su, coraggio!"
Hynes non sembr• ricordare subito il pezzo al quale si riferivano, ma,
dopo averci pensato un momento, osserv•:
"Ah, quella... Š roba vecchia."
"Su comincia, Joe!" ripet‚ di nuovo O'Connor.
"Sh, sh," fece Henchy. "Via, Joe!"
Hynes esit• ancora un po'. Poi, tra il silenzio generale, si tolse il
cappello, lo appoggi• sul tavolo e si alz• in piedi. Sembrava che
stesse ripassando il pezzo tra s‚ e s‚, poi, dopo una pausa alquanto
lunga, annunci•:


LA MORTE Dl PARNELL.
6 ottobre 1891.

E' morto. Il nostro re senza corona Š morto.
Oh, Irlanda, piangi per tanto dolore e sventura
perch‚ giace morto colui che la crudele
schiera dei moderni ipocriti abbatt‚.

Giace ucciso dalla codarda gente,
che lui aveva innalzato alla gloria dal fango;
e le speranze d'Irlanda, d'Irlanda i sogni
periscono sul rogo del suo sovrano.

In palazzo, capanna, o tana,
dovunque palpiti, il cuore degli irlandesi
Š prostrato dal dolore, perch‚ ci ha lasciati
colui che ne avrebbe forgiato il destino.

Colui che avrebbe reso la sua Irlanda famosa,
che ne avrebbe fatto sventolare la verde bandiera,
e innalzato gli uomini di stato, i bardi e i guerrieri.

Sognava (ahimŠ, non fu che un sogno)
la libert…, ma, mentre si sforzava
di afferrare quella chimera, il tradimento
lo divise da ci• che amava.

Infamia ai codardi, alle miserabili mani
che colpirono il loro signore e che con un bacio
lo tradirono, consegnandolo alla turba ostile
dei preti adulatori, che non gli erano amici.

Cadde come cadono i potenti,
nobilmente, intrepido fino alla fine,
e la morte lo ha ora congiunto
agli eroi irlandesi del passato.

Nessun suono di lotta turbi il suo sonno!
Riposi egli in pace: nessuna umana pena
o alta ambizione lo sproni ora
a raggiungere le cime della gloria.

Hanno ottenuto il loro scopo: l'hanno abbattuto.
Ma tu, Irlanda, ascolta, il suo spirito
potr… risorgere, come fenice dalle fiamme,
quando spunter… l'alba del giorno,

del giorno che ci porter… il trionfo della Libert….
E in quel giorno possa l'Irlanda ben
racchiudere nella coppa che innalzer… alla gloria
un solo dolore: il rimpianto di Parnell.

Hynes si sedette di nuovo sul tavolo. Finita la sua recitazione, ci fu
dapprima silenzio, e poi uno scoppio di applausi: anche Lyons
applaudiva. L'applauso continu• per un po' e quando smise, tutti gli
ascoltatori bevvero dalle loro bottiglie in silenzio.
"Poc!" Il tappo salt• dalla bottiglia di Hynes, ma Hynes rimase seduto
sul tavolo, il viso in fiamme e a testa nuda. Sembrava non essersi
accorto dell'invito.
"Bravo, Joe!" esclam• O'Connor, tirando fuori le cartine e la
tabacchiera per meglio nascondere l'emozione.
"Che te ne pare, Crofton?" chiese Henchy ad alta voce. Non Š bello?
Eh?"
Crofton disse che era uno splendido scritto.


UNA MADRE.

Il signor Holohan, segretario aggiunto della societ… Eire Abu, girava
in lungo e in largo Dublino da quasi un mese con le mani e le tasche
piene di cartacce bisunte, per organizzare una serie di concerti. Era
zoppo, e per questo i suoi amici lo chiamavano Hoppy Holohan. Girava e
girava con tenacia, si fermava agli angoli delle strade per delle ore
a discutere la faccenda e a prendere appunti; ma, in definitiva, fu la
signora Kearney a organizzare tutto.
La signorina Devlin era diventata la signora Kearney per puntiglio.
Era stata educata in un collegio di alta classe, dove aveva studiato
francese e musica. Essendo per natura scialba e rigida di modi, non si
era fatta molte amiche a scuola. Quando fu in et… da marito,
cominciarono a farle frequentare diverse case, dove le sue abilit… di
pianista e i suoi atteggiamenti di torre eburnea suscitarono molta
ammirazione. Sedeva rigida nella fredda cerchia delle sue virt—, in
attesa che un pretendente audace osasse superarla per offrirle una
vita brillante. Ma i giovanotti che aveva occasione di avvicinare
erano gente comune, e lei non dava loro nessun segno di
incoraggiamento, cercando di consolare le sue velleit… romantiche
mangiando in abbondanza e di nascosto dolciumi turchi. Purtuttavia,
quando si sent prossima al limite in cui una donna viene considerata
zitella, e gi… le amiche cominciavano a fare pettegolezzi sul suo
conto, le fece tacere sposando il signor Kearney, che aveva un negozio
di calzature sull'Ormond Quay.
Era molto pi— anziano di lei e faceva, con una voce che sembrava
scaturire a intervalli dalla folta barba bruna, dei discorsi molto
saggi. Dopo il primo anno di vita coniugale la signora Kearney si rese
conto che un uomo simile faceva pi— al caso suo di qualsiasi principe
azzurro, ma non abbandon• mai le sue idee romantiche. Era sobrio,
parco e pio; ogni primo venerd del mese faceva la Comunione, qualche
volta con la moglie, la maggior parte delle volte solo. Ma, non per
questo, i sentimenti religiosi si indebolirono in lei, e fu per lui
una buona compagna. Ai ricevimenti in casa d'altri, non appena lei
sollevava il sopracciglio, anche impercettibilmente, lui si alzava per
prendere commiato, e, quando il marito era tormentato dalla tosse, lei
gli metteva la trapunta sui piedi e gli preparava un bel ponce al rum.
Da parte sua, lui era un padre modello. Versando una piccola quota
ogni settimana a una societ…, aveva assicurato a ognuna delle due
figlie una dote di cento sterline per quando avessero raggiunto i
ventiquattro anni. Aveva mandato la maggiore, Kathleen, in un buon
collegio a imparare francese e musica e pi— tardi le aveva pagato le
tasse al Conservatorio. Ogni anno nel mese di luglio la signora
Kearney trovava modo di dire a qualche amica:
"Quel caro uomo di mio marito ci manda per qualche settimana a
Skerries", o se non era Skerries, era Howth o Greystones.
Quando il movimento di rinascita nazionale cominci• a prendere piede,
la signora Kearney decise di sfruttare il nome della figlia e si prese
in casa un'istitutrice irlandese. Kathleen e la sorella presero a
spedire alle amiche cartoline illustrate con soggetti irlandesi. Certe
domeniche poi, quando il signor Kearney andava in parrocchia con la
famiglia, dopo la Messa si riuniva con un gruppetto di gente
all'angolo di Cathedral Street. Erano tutti amici dei Kearney,
appassionati di musica e nazionalisti, e dopo le solite quattro
chiacchiere si stringevano la mano, gesto che facevano tutti
contemporaneamente e ridendo per la confusione creata da
quell'intersecarsi di mani, e finivano col salutarsi in irlandese. Ben
presto il nome della signorina Kathleen Kearney cominci• a passare di
bocca in bocca. La gente la reputava un'ottima musicista, una ragazza
carina, e, per di pi—, una sostenitrice del movimento di rinascita
linguistica. La signora Kearney era molto felice di questo. Non fu
quindi sorpresa quando un giorno il signor Holohan venne da lei per
proporle che sua figlia accompagnasse al piano una serie di quattro
grandi concerti, che la societ… avrebbe dato nelle sale dell'Antient
Concert. Lo port• in salotto, lo fece accomodare e tir• fuori la
caraffa e la scatola d'argento dei biscotti. Entr• anima e corpo nel
vivo della questione, consigli• e dissuase; e alla fine fu stilato un
contratto, secondo il quale Kathleen avrebbe ricevuto otto ghinee per
la sua prestazione di pianista ai quattro grandi concerti.
Poich‚ Holohan era un novellino nel delicato compito di redigere il
testo e di disporre i numeri del programma, la signora Kearney lo
aiut•. Era una donna di tatto, lei! Sapeva per quali artisti scrivere
il nome in grassetto e quali indicare in caratteri minori. Sapeva che
il primo tenore non avrebbe certo gradito che il suo nome venisse dopo
quello del signor Meade, il macchiettista. Per tenere sempre viva
l'attenzione del pubblico, aveva inserito i pezzi di dubbio successo
tra quelli notissimi, di sicuro effetto. Il signor Holohan passava da
lei ogni giorno, per chiederle consiglio su qualcosa. Lei era
invariabilmente affabile e buona consigliera, in poche parole, una
persona ospitale; gli spingeva davanti la caraffa dicendo:
"Servitevi, servitevi, signor Holohan!"
E, mentre questi si serviva, aggiungeva:
"Senza complimenti, senza complimenti!"
Tutto andava a gonfie vele. La signora Kearney compr• del
graziosissimo raso rosa per guarnire il davanti del vestito di
Kathleen. Era caro, ma in certe occasioni anche un po' di spese sono
giustificate. Acquist• anche una dozzina di biglietti da due scellini
per il concerto finale e li sped a quegli amici, sulla cui venuta non
avrebbe, altrimenti, potuto fare affidamento. Non dimentic• niente, e,
grazie a lei, tutto quello che doveva essere fatto, fu fatto.
I concerti dovevano aver luogo il mercoled, il gioved, il venerd e
il sabato. Quando la signora Kearney arriv• con la figlia all'Antient
Concert il mercoled sera, non le piacque l'aria che tirava. Alcuni
giovanotti, con distintivi di un azzurro brillante sulla giacca,
giravano oziosi per il vestibolo; non uno di loro indossava l'abito da
sera. Pass• oltre con la figlia e una sbirciatina alla sala dalla
porta aperta le chiar la causa del bighellonare del personale.
All'inizio si chiese se non avesse sbagliato l'ora. No, mancavano
venti minuti alle otto.
Nello spogliatoio dietro le quinte fu presentata al segretario della
societ…, il signor Fitzpatrick. Gli sorrise e gli strinse la mano. Era
un ometto pallido e inespressivo; not• che portava il cappello
floscio, marrone, sulle ventitr‚ con trascuratezza e che aveva un
accento volgare. Teneva in mano un programma e, mentre le parlava, ne
masticava un angolo riducendolo in poltiglia. Sembrava un tipo da
sopportare a cuor leggero le contrariet…. Il signor Holohan si
precipitava nello spogliatoio ogni minuto, portando notizie dal
botteghino. Gli artisti chiacchieravano tra loro nervosamente, di
tanto in tanto si davano un'occhiata allo specchio e arrotolavano e
srotolavano la loro musica. Quando furono quasi le otto e mezzo, lo
scarso pubblico presente in sala cominci• a mostrare il desiderio che
si iniziasse. Il signor Fitzpatrick entr• e, con un fatuo sorriso,
disse:
"Be', signore e signori, penso sia meglio aprire il ballo."
In risposta a questa sua sciocca parola finale, la signora Kearney gli
lanci• una rapida occhiata di disprezzo e poi, rivolta alla figlia,
disse in tono di incoraggiamento:
"Sei pronta, cara?"
Non appena le si present• l'occasione, prese da parte il signor
Holohan e gli chiese che cosa significasse tutto quello. Il signor
Holohan non lo sapeva, osserv• che il comitato aveva commesso un
errore organizzando quattro concerti. Quattro erano davvero troppi.
"E gli artisti!" continu• la signora Kearney. "Naturalmente fanno del
loro meglio, ma non si pu• certo dire che valgano gran che."
Holohan ammise che gli artisti non erano buoni, ma il comitato,
osserv•, aveva deciso di lasciare correre per i primi tre concerti e
riservare le pedine migliori per il sabato sera. La signora Kearney
non sollev• obiezioni, ma, visto che i pezzi mediocri si susseguivano
l'uno dopo l'altro alla ribalta e che lo scarso pubblico andava sempre
pi— diminuendo, cominci• a rimpiangere di essersi lasciata andare a
fare delle spese per un tale concerto. C'era qualcosa che non le
andava in tutta la faccenda, e il sorriso fatuo del signor Fitzpatrick
la irritava oltre ogni dire. Comunque non disse niente e aspett• di
vedere come fosse andata a finire. Il concerto termin• poco prima
delle dieci, e ognuno si affrett• ad andarsene.
Il concerto del gioved richiam• pi— gente, ma la signora Kearney si
accorse subito che, per la maggior parte, si trattava di biglietti di
favore. Il pubblico si comportava in modo indecoroso, come se anzich‚
a un concerto si fosse stati a una sfilata di modelli di poca pretesa.
Il signor Fitzpatrick aveva l'aria di godersela, ignaro che la signora
Kearney invelenita stava mentalmente prendendo nota del suo
comportamento. Stava in piedi a un'estremit… del sipario e, di tanto
in tanto, metteva fuori la testa per scambiare una risata con due
amici che sedevano in un angolo della galleria. Nel corso della serata
la signora Kearney venne a sapere che il concerto del venerd sarebbe
stato sospeso, e che il comitato avrebbe messo in moto cielo e terra,
pur di assicurare un pienone per il sabato sera. Non appena saputo
ci•, part alla caccia del signor Holohan. Lo blocc• mentre quello,
zoppicando, cercava di guadagnare rapidamente la porta con un
bicchiere di limonata per una signorina, e gli chiese se era vero. S,
era vero.
"Ma naturalmente questo non altera il contratto," dichiar• la signora.
"Il contratto prevede quattro concerti."
Il signor Holohan sembrava aver molta fretta; le consigli• di parlarne
al signor Fitzpatrick. La signora Kearney cominciava a sentirsi
allarmata. Obblig• Fitzpatrick a lasciare il suo posticino e gli
spieg• che la figlia aveva firmato per quattro concerti; quindi,
logicamente, in conformit… ai termini del contratto, doveva ricevere
la somma originariamente pattuita, sia che la societ… desse i quattro
concerti o no. Fitzpatrick, che non aveva afferrato subito il punto
controverso, sembr• incapace di risolvere la difficolt… e disse che
avrebbe sottoposto la cosa al comitato. La signora Kearney si sent
tremare le guance di collera e dovette mordersi la lingua per
trattenersi dal chiedere:
"E da chi Š costituito questo 'comitato,' di grazia?"
Ma si rese conto che non sarebbe stato distinto e tacque.
Il venerd mattina di buon'ora furono mandati in giro per le strade di
Dublino dei ragazzi con pacchi di manifestini. Speciali trafiletti di
elogio apparvero su tutti i giornali della sera, per ricordare agli
appassionati di musica l'eccezionale intrattenimento che era stato
organizzato per loro la sera seguente. Questo serv a rassicurare un
po' la signora Kearney, che per• ritenne opportuno mettere a parte il
marito dei suoi sospetti. Questi ascolt• attentamente e poi sugger
che, forse, sarebbe stato meglio che ci andasse anche lui al concerto
il sabato sera, e lei fu d'accordo. Rispettava il marito allo stesso
modo dell'Ufficio Centrale delle Poste, come qualcosa di vasto, sicuro
e stabile; e, pur conoscendo gli scarsi numeri del marito in fatto di
talento, ne apprezzava il valore astratto di maschio. Era lieta che si
fosse offerto di accompagnarla e si concentr• sui suoi piani.
Arriv• la sera del gran concerto; la signora Kearney, col marito e la
figlia, arriv• all'Antient Concert con tre quarti d'ora d'anticipo.
Sfortunatamente pioveva. La signora affid• gli abiti della figlia e la
musica al marito e gir• tutto l'edificio, in cerca del signor Holohan
o del signor Fitzpatrick, ma non riusc a trovare n‚ l'uno n‚ l'altro.
Chiese agli inservienti se ci fosse qualcuno del comitato in sala e,
dopo essersi affannato un bel po', uno di essi torn• con una donnetta,
la signorina Beirne, alla quale la signora Kearney spieg• che
desiderava parlare con uno dei segretari. La signorina Beirne li
aspettava da un minuto all'altro e le chiese se, intanto, poteva
esserle utile. La signora Kearney scrut• con aria penetrante quel viso
avvizzito, che si sforzava di esprimere fiducia ed entusiasmo, e
rispose:
"No, grazie!"
La donnetta sperava che sarebbe venuta molta gente. Guardava fuori la
pioggia, finch‚ la malinconia delle strade bagnate cancell• tutta la
fiducia e l'entusiasmo dai suoi lineamenti grinzosi. Poi tir• un
leggero sospiro e disse:
"Pazienza! Dio sa se abbiamo fatto del nostro meglio."
La signora dovette tornare nello spogliatoio. Gli artisti cominciavano
ad arrivare. Il basso e il secondo tenore erano gi… l. Il basso,
signor Duggan, era un giovanotto smilzo, con i baffetti neri e radi.
Era figlio di un portiere di un ufficio della citt… e, da ragazzo,
aveva cantato delle prolungate note di basso nell'atrio risonante; da
questa umile condizione si era innalzato, fino a diventare un artista
di primo rango. Aveva anche cantato nel melodramma. Una sera,
essendosi ammalato uno degli interpreti, aveva sostenuto il ruolo del
re nell'opera "Maritana" al Queen's Theatre. Aveva cantato con molto
sentimento e buon volume di voce; il loggione lo aveva calorosamente
applaudito, ma, disgraziatamente, aveva sciupato la buona impressione
pulendosi il naso una volta o due, soprappensiero, con la mano
guantata. Era di poche pretese e parlava poco. I suoi "voi" li
pronunciava con tanto garbo da farli passare inosservati e non beveva
niente di pi— forte del latte per mantenersi la voce. Il signor Bell,
il secondo tenore, era un ometto biondo che concorreva ogni anno ai
premi della Feis Ceoil. Al suo quarto tentativo gli era stata
aggiudicata una medaglia di bronzo. Terribilmente nervoso e geloso
degli altri tenori, mascherava la sua nervosa gelosia sotto una
cordialit… traboccante. Considerava spiritoso far sapere a tutti quale
impresa fosse per lui un concerto. Perci•, non appena vide il signor
Duggan, gli si avvicin• e gli chiese:
"Ci siete dentro anche voi?"
"S," rispose il signor Duggan.
Il signor Bell sorrise al compagno di sventura, e gli tese la mano,
esclamando:
"Qua la mano!"
La signora Kearney pass• loro accanto e si accost• al bordo del
sipario per dare un'occhiata in sala. I posti si andavano riempiendo
rapidamente, e un piacevole bruso circolava tra il pubblico. Torn•
indietro e si mise a parlare, a tu per tu, col marito. Evidentemente
la conversazione era su Kathleen, perch‚ entrambi le lanciavano spesso
delle occhiate, mentre la ragazza chiacchierava con una amica
nazionalista, la signorina Healy, il contralto. Una sconosciuta sola e
pallida attravers• la stanza. Le donne seguirono con sguardo critico
l'abito blu stinto che fasciava quel corpo magro. Qualcuno disse che
si trattava di Madam Glynn, il soprano.
"Mi domando dove siano andati a pescarla," disse Kathleen alla
signorina Healy. "Sono sicura di non averla mai sentita nominare."
La signorina Healy dovette sorridere. Il signor Holohan entr•
zoppicando nello spogliatoio, e le due ragazze gli chiesero chi fosse
la sconosciuta. Era Madam Glynn di Londra, le inform• Holohan. Madam
Glynn prese posto in un angolo della stanza, tenendosi un rotolo di
musica ben piantato davanti e cambiando di tanto in tanto la direzione
dello sguardo spaurito. L'ombra, compiacente, si stese sull'abito
stinto, ma cadde, vendicativa, sull'incavo della clavicola. Il brusio
in sala aumentava di intensit…. Il primo tenore e il baritono
arrivarono insieme e, cos ben vestiti, robusti e compiacenti,
com'erano tutti e due, portarono un soffio di opulenza nella
compagnia.
La signora Kearney li avvicin• con la figlia e cominci• a conversare
amabilmente. Ci teneva a essere in buoni rapporti con loro, ma, mentre
faceva di tutto per essere gentile, i suoi occhi non si staccavano dal
signor Holohan e dai suoi zoppicanti e contorti movimenti. Appena le
fu possibile, si scus• e si diresse verso di lui.
"Signor Holohan, vorrei parlarvi un attimo," gli disse.
Si ritirarono in un angolo appartato del corridoio. La signora gli
chiese quando sarebbe stata pagata la figlia. Holohan rispose che
della cosa se ne occupava il signor Fitzpatrick. Al che la signora
ribatt‚ che non ne sapeva niente, circa questo signor Fitzpatrick: sua
figlia aveva firmato un contratto per otto ghinee e doveva essere
pagata. Holohan disse che non era affare suo.
"Come non Š affare vostro?" insistette la signora. "Non le avete
portato il contratto, proprio voi in persona? In ogni modo, se non Š
affare vostro, Š per• affare mio e me ne interesser•."
"E' meglio che ne parliate al signor Fitzpatrick," replic•
esplicitamente il signor Holohan.
"Non so niente di questo signor Fitzpatrick," ripet‚ la signora
Kearney. "Ho il mio contratto e voglio che venga rispettato."
Quando ritorn• nello spogliatoio, le sue guance erano soffuse di un
leggero rossore. C'era animazione in sala. Due uomini in soprabito si
erano impossessati del caminetto e chiacchieravano familiarmente con
la signorina Healy e col baritono: erano il cronista del "Freeman" e
il signor O'Madden Burke. Il cronista era venuto a dire che non poteva
aspettare il concerto, perch‚ doveva assistere e riferire sulla
conferenza che un prete americano avrebbe tenuto alla Mansion House.
Potevano lasciargli il resoconto alla redazione del "Freeman", e
avrebbe fatto in modo di farlo pubblicare. Era un uomo dai capelli
grigi, la voce suadente e i modi cauti. Aveva in mano un sigaro
spento, e intorno a lui aleggiava odore di fumo. Non aveva intenzione
di fermarsi nemmeno per un momento, perch‚ concerti e artisti lo
infastidivano parecchio, ma restava l… appoggiato al camino. La
signorina Healy gli stava di fronte, chiacchierando e ridendo. Era
abbastanza vecchio per sospettare che non si trattasse di una
gentilezza disinteressata, ma abbastanza giovane di spirito per
sfruttare la situazione. Il calore, la fragranza e il colore del corpo
della donna gli risvegliavano i sensi. Era piacevolmente consapevole
che il seno che si alzava e abbassava lentamente sotto i suoi occhi,
in quel momento si alzava e abbassava per lui, che le risate, il
profumo e le occhiatine maliziose erano in suo omaggio. Quando non
pot‚ attardarsi oltre, si accomiat• da lei a malincuore.
"O'Madden Burke scriver… l'articolo," spieg• al signor Holohan, "e io
vedr• di farlo passare."
"Molte grazie, signor Hendrick," rispose Holohan. "Sono certo che lo
farete approvare. Prima di andarvene non gradireste qualcosa?"
"Volentieri!"
I due uomini, attraverso corridoi tortuosi e salita una scaletta buia,
raggiunsero una stanza isolata dove un cameriere stava sturando delle
bottiglie per alcuni signori, di cui uno era il signor O'Madden Burke
che aveva scovato il locale per istinto. Era un tipo affabile, un po'
in l… con gli anni, che, da fermo, bilanciava la sua figura imponente
su un ombrello di seta. La magniloquenza del suo nome occidentale
costituiva l'ombrello morale su cui bilanciava il delicato problema
delle sue finanze. Era molto rispettato.
Mentre Holohan intratteneva il cronista del "Freeman", la signora
Kearney parlava a suo marito cos animatamente, che questi fu
costretto a pregarla di abbassare la voce. La conversazione degli
altri, nello spogliatoio, si era fatta forzata. Il signor Bell, il
primo numero, era pronto con la musica in mano, ma l'accompagnatrice
non si muoveva. Evidentemente qualcosa non andava. Il signor Kearney
guardava dritto davanti a s‚, accarezzandosi la barba, mentre la
signora Kearney parlava all'orecchio di Kathleen con enfasi
controllata. Dalla sala arrivavano segni di impazienza, battimani e
pestar di piedi. Il primo tenore, il baritono e la signorina Healy
erano insieme e aspettavano tranquillamente, ma i nervi del signor
Bell erano molto scossi per il timore che il pubblico potesse pensare
che fosse lui in ritardo.
Holohan e O'Madden Burke entrarono nella stanza. Bast• un momento
perch‚ il signor Holohan notasse il silenzio. And• dalla signora
Kearney e cominci• a parlarle concitatamente, mentre il rumoreggiare
del pubblico si faceva pi— forte. Il signor Holohan divent• paonazzo
ed eccitato. Parlava in continuazione, ma la signora Kearney si
limitava a rispondergli a intervalli, in tono laconico:
"Non si muover…. Deve prima avere le sue otto ghinee."
Holohan indic• disperatamente la sala, dove il pubblico stava
applaudendo e battendo i piedi; fece appello al signor Kearney e a
Kathleen. Ma Kearney continuava a lisciarsi la barba, e Kathleen a
tenere lo sguardo basso, mentre muoveva la punta della scarpetta
nuova: non era colpa sua. La signora Kearney ripeteva:
"Non si muover…, se non avr… prima il denaro."
Dopo un rapido battibecco, il signor Holohan si precipit• fuori
zoppicando. Nella stanza si era fatto silenzio. Quando la tensione
divent•, per cos dire, penosa, la signorina Healy disse al baritono:
"Avete visto la signora Pat Campbell questa settimana?"
Il baritono non l'aveva vista, ma gli avevano detto che era stata
bravissima. La conversazione non and• oltre. Il primo tenore pieg• la
testa e cominci• a contare le maglie della catena d'oro che gli
attraversava il panciotto, sorridendo e canticchiando delle note a
casaccio, per studiarne l'effetto sul sinus frontale. A turno, gli
sguardi di tutti si posavano sulla signora Kearney.
Il bruso in sala si era trasformato in clamore. Fitzpatrick irruppe
nella stanza, seguito dall'ansante Holohan. I battimani e il pestar di
piedi erano sottolineati da fischi. Fitzpatrick aveva alcune banconote
in mano, ne cont• quattro alla signora Kearney e le disse che avrebbe
avuto il resto nell'intervallo. La signora Kearney osserv•:
"Mancano quattro scellini."
Ma Kathleen si raccolse la gonna e, rivolta al secondo tenore che
tremava come una foglia, disse: "Sono pronta, signor Bell". Cantante e
accompagnatrice fecero il loro ingresso sul palcoscenico insieme. Il
bruso in sala a poco a poco si interruppe. Vi fu una pausa di pochi
secondi, poi il piano attacc•.
La prima parte del concerto fu un vero successo, ad eccezione del
numero di Madam Glynn. La poveretta cant• Killarney con una voce
impersonale e strozzata, aggiungendo, per di pi—, tutti quei
manierismi di intonazione e pronuncia di gusto sorpassato che, secondo
lei, avrebbero dovuto dare eleganza al canto. Sembrava che fosse stata
riesumata da qualche vecchio guardaroba teatrale, e la parte del
pubblico pi— grossolana prendeva a ridere le sue note acute e
lamentose. Il primo tenore e il contralto, ad ogni modo, riportarono
uno strepitoso successo. Kathleen suon• una serie di arie irlandesi,
che fu generosamente applaudita. La prima parte del concerto si chiuse
con la recita di un brano, profondamente patriottico, da parte di una
signorina che era solita organizzare spettacoli di dilettanti. Anche
lei ebbe la meritata dose di applausi e, quando il sipario si chiuse,
gli uomini, soddisfatti, uscirono per l'intervallo.
Per tutto questo tempo lo spogliatoio sembr• un alveare in agitazione.
In un angolo erano riuniti Holohan, Fitzpatrick, la signorina Beirne,
due inservienti, il baritono, il basso e O'Madden Burke. Questi disse
che non gli era mai capitato di assistere a uno scandalo cos e che,
dopo un fatto del genere, la carriera musicale di Kathleen Kearney
poteva dirsi finita a Dublino. Chiesero anche al baritono quale fosse
la sua opinione sul comportamento della signora Kearney, ma
l'interessato non volle pronunciarsi. Era stato pagato, lui, e voleva
restare in pace con tutti. Tuttavia, ammise, la signora avrebbe potuto
consultarsi con gli artisti. Gli inservienti e i segretari avevano
discusso con fervore su quello che sarebbe stato opportuno fare, non
appena ci fosse stato l'intervallo.
"Sono d'accordo con la signorina Beirne," osserv• O'Madden Burke. "Non
datele altro."
In un angolo della stanza c'erano invece la signora Kearney, suo
marito, il signor Bell, la signorina Healy e la signorina che aveva
recitato il passo patriottico. La signora Kearney diceva di essere
stata trattata in modo scandaloso dal comitato; non aveva risparmiato
n‚ fatica n‚ denaro, e questa era la moneta con la quale la
ripagavano. Credevano di avere a che fare con una ragazzina e di
potersene quindi approfittare, ma avrebbe fatto vedere lei che si
sbagliavano! Non avrebbero osato trattarla cos, se fosse stata un
uomo. Ma avrebbe fatto in modo che i diritti della figlia fossero
rispettati; non si sarebbe lasciata prendere in giro. Se non
l'avessero pagata fino all'ultimo centesimo, avrebbe messo a soqquadro
tutta Dublino. Naturalmente le dispiaceva per gli artisti. Ma che
altro poteva fare? Si rivolse al secondo tenore, che ammise che non
l'avevano trattata bene. Poi interpell• la signorina Healy, che, a
dire il vero, avrebbe voluto unirsi all'altro gruppo, ma non si
sentiva di farlo, per via della stretta amicizia che la legava a
Kathleen, e poi i Kearney l'avevano invitata spesso a casa loro.
Non appena fin la prima parte, Fitzpatrick e Holohan si avvicinarono
alla signora Kearney e le comunicarono che le altre quattro ghinee le
sarebbero state pagate dopo la riunione del comitato, che avrebbe
avuto luogo il marted seguente, e che, nel caso la figlia si fosse
rifiutata di suonare nella seconda parte, il comitato avrebbe
considerato rotto il contratto e non avrebbe versato niente.
"Non conosco nessun comitato," ribatt‚ la signora incollerita. "Mia
figlia ha il suo contratto. Deve avere immediatamente in contanti le
quattro sterline e gli otto scellini che le spettano o non metter… pi—
piede su quel palcoscenico."
"Mi meraviglio di voi, signora Kearney," osserv• Holohan. "Non avrei
mai pensato che ci avreste trattato cosi!"
"E come mi avete trattato voi, allora?" chiese di rimando la signora.
Aveva il viso in fiamme per la rabbia e sembrava sul punto di
scagliarsi contro qualcuno.
"Sto solo facendo valere i miei diritti, io!" disse.
"Potreste avere un po' pi— di educazione," ribatt‚ Holohan.
"Davvero, eh? Sono io che dovrei essere un po' pi—... Per•, quando
chiedo se mia figlia verr… pagata o no, non riesco a tirarvi fuori una
risposta come si deve."
Scosse la testa e prese un tono altezzoso:
"Rivolgetevi al segretario; non Š affar mio... eccetera, eccetera..."
"E io che vi credevo una signora," disse Holohan, allontanandosi
bruscamente da lei.
Dopo di che la condotta della signora Kearney fu condannata
all'unanimit…: tutti approvarono quello che il comitato aveva fatto.
La signora Kearney si ferm• sulla porta, livida di rabbia, a discutere
e gesticolare con il marito e la figlia. Aspett• fino all'inizio della
seconda parte, nella speranza che i segretari l'avvicinassero. Ma la
signorina Healy aveva, gentilmente, acconsentito ad accompagnare al
piano un pezzo o due. La signora Kearney dovette spostarsi per lasciar
raggiungere il palcoscenico al baritono e alla sua accompagnatrice.
Rest• li immobile ancora un istante, come l'immagine di pietra
dell'ira e, quando il suo orecchio sent le prime note del motivo,
prese il mantello della figlia e disse al marito:
"Chiama una carrozza!"
Questi obbed subito. La signora avvolse il mantello intorno alle
spalle della figlia e lo segu. Sulla soglia si ferm• e piant• gli
occhi in faccia al signor Holohan.
"Dovrete ancora fare i conti con me," gli disse.
"Ma io con voi li ho gi… fatti," ribatt‚ quello.
Kathleen segu la madre, remissiva. Il signor Holohan si mise a
passeggiare su e gi— per la stanza, per farsi sbollire la rabbia,
perch‚ si sentiva avvampare.
"E quella sarebbe una signora!" borbott•. "Che razza di signora!"
"Le avete detto il fatto suo, Holohan," dichiar• O'Madden Burke,
appoggiandosi all'ombrello in segno di approvazione.





















LA GRAZIA.

Due signori, che in quel momento si trovavano nella toilette,
cercarono di rialzarlo; ma era un peso morto. Se ne stava
raggomitolato ai piedi delle scale dalle quali era caduto. Riuscirono
a girarlo; il cappello gli era rotolato qualche metro pi— in l…, e i
suoi abiti erano inzaccherati di sporco e di fanghiglia del pavimento
sul quale era rimasto a faccia in gi—. Aveva gli occhi chiusi ed
emetteva un respiro simile a un grugnito. Un sottile filo di sangue
gli colava dall'angolo della bocca.
I due signori e uno degli addetti ai servizi lo portarono su per le
scale e lo adagiarono sul pavimento del bar. In due minuti si cre• un
capannello di gente. Il direttore del locale chiese chi fosse e con
chi stesse. Nessuno lo sapeva, ma un cameriere disse di avergli
servito un bicchierino di rum.
"Era solo?" chiese il direttore.
"Nossignore. Era con altri due signori."
"E dove sono?"
Nessuno lo sapeva. Una voce disse:
"Fategli prendere un po' d'aria. E' svenuto."
La cerchia degli spettatori si allarg• e si richiuse di nuovo come un
elastico. Una scura chiazza di sangue si era formata intorno alla
testa dello sconosciuto, sul pavimento a mosaico. Il direttore,
allarmato per il pallore grigiastro di quel viso, mand• a chiamare un
poliziotto.
Gli slacciarono il colletto e gli sciolsero il nodo della cravatta.
Per un attimo apr gli occhi, sospir• e li richiuse. Uno dei signori
che lo avevano trasportato di sopra aveva in mano un cilindro
acciaccato. Il direttore chiese ripetutamente se qualcuno conosceva il
ferito e dove si erano cacciati i suoi amici. Poco dopo la porta del
bar si apr, e avanz• un agente grande e grosso. La folla, che lo
aveva seguito lungo il vicolo, faceva ressa fuori dalla porta, e tutti
spingevano per guardare dentro attraverso i vetri.
Il direttore si affrett• a riferire quello che sapeva. Il poliziotto,
un giovane inespressivo e dai tratti grossolani, ascoltava; muoveva
lentamente la testa da destra a sinistra e dal direttore all'uomo
disteso per terra, come se avesse paura di essere vittima di un
inganno. Poi si sfil• il guanto, si tolse un taccuino dal panciotto,
lecc• la punta della matita e si prepar• a scrivere. Con sospettoso
accento provinciale chiese:
"Chi Š? Come si chiama e dove abita?"
Un giovane vestito da ciclista si fece strada tra la cerchia dei
presenti, si inginocchi•, pronto, vicino al ferito e chiese
dell'acqua. L'agente fece lo stesso con l'intento di aiutare. Il
giovanotto lav• la bocca del ferito ripulendola del sangue e poi disse
di portare dell'acquavite. Il poliziotto ripet‚ l'ordine in tono
autoritario, finch‚ un cameriere arriv• di corsa con un bicchiere in
mano. Glielo fecero ingoiare a forza, il liquore, e nel giro di pochi
secondi l'uomo, aperti gli occhi, cominci• a guardarsi intorno.
Osserv• i volti che lo circondavano e poi, prendendo coscienza, prov•
a tirarsi su.
"Va meglio adesso?" chiese il giovanotto vestito da ciclista.
"S... s, non Š niente," dichiar• il ferito, tentando di alzarsi.
Lo aiutarono a mettersi in piedi. Il direttore accenn• a un ospedale,
e qualcuno si affrett• a dare consigli. Gli misero in testa il
cilindro ammaccato, poi il poliziotto chiese:
"Dove abitate?"
Senza rispondere l'uomo cominci• a tormentarsi la punta dei baffi.
Dava poca importanza a ci• che gli era capitato. Non era niente,
disse, solo un piccolo incidente. Faceva fatica a parlare.
"Dove abitate?" ripet‚ l'agente.
L'uomo disse che gli chiamassero una carrozza. Mentre discutevano, un
signore alto e snello, di carnagione chiara, che indossava un lungo
impermeabile giallino, si fece avanti dall'altra estremit… del bar.
Vista la scena, grid•:
"Ehi, Tom, vecchio mio! Che ti succede?"
"Non Š niente..." gli rispose il ferito.
Il nuovo venuto fece un rapido esame della deplorevole figura che gli
stava davanti e poi, rivolto al poliziotto, disse:
"Potete andare, agente. Lo porter• a casa io."
"Va bene, signor Power."
"Su, vieni, Tom!" disse Power, prendendo l'amico per un braccio.
"Niente di rotto? Che c'Š? Puoi camminare?"
Il giovanotto vestito da ciclista prese l'uomo per l'altro braccio, e
la folla fece largo.
"Come hai fatto a ridurti in questo stato?" chiese Power
"Il signore Š caduto dalle scale," intervenne il giovanotto.
"Vi sono molto... grato, signore," gli disse il ferito.
"Non Š il caso."
"E se ci bev...essimo un bicchierino?"
"Non ora, non ora."
I tre uomini lasciarono il bar, e la folla si rivers• nel vicolo. Il
direttore accompagn• l'agente sulle scale per ispezionare il posto
dell'incidente. Si trovarono d'accordo nel ritenere che il signore
doveva aver messo un piede in fallo. I clienti ritornarono al banco, e
un inserviente si mise a lavare il pavimento per toglierne le macchie
di sangue.
Una volta raggiunta la Grafton Street, Power con un fischio chiam• una
carrozza. Il ferito ripet‚ ancora, nel modo pi— chiaro che gli fu
possibile:
"Vi so... no mol...to grato, signore. Spero ci incontr...eremo ancora.
Mi chiamo Kernan."
Lo shock e l'incipiente dolore gli avevano in parte schiarito le idee.
"Non c'Š di che," rispose il giovanotto.
Si strinsero la mano. Kernan fu sistemato in carrozza e, mentre Power
dava l'indirizzo al vetturino, espresse la sua gratitudine al giovane
e si disse dispiaciuto di non aver potuto bere un goccio insieme.
"Un'altra volta," promise il giovane.
La vettura si diresse verso Westmoreland Street. Nel momento in cui
passarono davanti al Ballast Office, l'orologio segnava le nove e
mezzo. Un violento vento di levante, che arrivava dalla foce del
fiume, li sferzava. Kernan se ne stava tutto rannicchiato per il
freddo. L'amico gli chiese di raccontargli come era successo
l'incidente.
"Non pos...so, non pos...so," rispose. "Mi fa mal...e la lin...gua."
"Fa vedere!"
Si pieg• e guard• in bocca all'amico, ma senza riuscire a vedere
niente. Accese un fiammifero e, proteggendolo col palmo della mano,
guard• di nuovo nella bocca che Kernan apr senza farsi pregare. Il
movimento oscillante della carrozza faceva tremolare di qua e di l… il
fiammifero davanti alla bocca aperta. I denti inferiori e le gengive
erano ricoperti di sangue coagulato, e un pezzettino di lingua pareva
essersi staccato. Il fiammifero si spense.
"Brutta faccenda!" comment• Power.
"Non Š nien...te," disse Kernan, chiudendo la bocca e rialzando il
bavero della giacca sporca.
Kernan era un viaggiatore di commercio della vecchia scuola, che
credeva nella dignit… della professione. Non lo si era mai visto in
citt… senza un cilindro di un certo decoro e un paio di ghette. Grazie
a questi due capi di vestiario, diceva di solito, un uomo pu• sentirsi
a posto in ogni circostanza. Continuava la tradizione del suo
Napoleone, il grande Blackwhite, di cui evocava a volte la memoria con
aneddoti e imitazioni. Ma adesso i moderni metodi d'affari gli
permettevano di avere soltanto un piccolo ufficio in Crowe Street,
sulla cui vetrina era scritto il nome e l'indirizzo della sua ditta:
"London e Company". Sul camino di questo ufficio era allineata una
vera e propria schiera di scatolette di latta, e sul tavolo davanti
alla finestra c'erano quattro o cinque scodelle di porcellana, piene
per met… di un liquido nero. Da queste scodelle Kernan faceva
l'assaggio del tŠ: ne prendeva un sorso, si sciacquava la bocca, se ne
saturava il palato e infine lo sputava nella grata del camino. Poi
formulava il suo giudizio.
Power, molto pi— giovane di lui, faceva parte della reale gendarmeria
irlandese, dipartimento di Dublino. La parabola della sua ascesa
sociale incrociava quella discendente dell'amico, ma il declino di
Kernan era limitato dal fatto che una parte degli amici, che lo
avevano conosciuto al culmine del successo, avevano ancora molta stima
di lui. Power era uno di loro. I suoi inspiegabili debiti erano
diventati proverbiali nel giro delle sue conoscenze; era un giovane
affabile.
La vettura si ferm• davanti a una casetta nella Glasnevin Road, e
Kernan venne aiutato a entrare. Sua moglie lo mise a letto, mentre
Power, rimasto gi— in cucina, chiedeva ai ragazzi dove andassero a
scuola e che libri di testo usassero. Questi, due femmine e un
maschio, consapevoli dell'impotenza del padre e dell'assenza della
madre, lo costrinsero a fare da cavalluccio. Power si meravigli• dei
loro modi, di come parlavano e aggrott• la fronte con aria pensierosa.
Poco dopo la signora Kernan entr• in cucina esclamando:
"Che spettacolo edificante! Una volta o l'altra si roviner… del tutto,
e sar… l'ultima. E' da venerd che non fa che bere."
Power si premur• di spiegarle che lui non c'entrava, che ci si era
trovato per puro caso. La signora Kernan, ricordandosi dei buoni
uffici di Power durante le loro liti domestiche e dei suoi modesti, ma
quanto mai opportuni, prestiti, disse:
"Oh, non c'Š bisogno che me lo diciate, signor Power. So benissimo che
siete un vero amico per lui, non come quegli altri coi quali va in
giro. Fanno di tutto, finch‚ ha soldi in tasca, per tenerlo lontano
dalla moglie e dalla famiglia. Begli amici! Con chi era poi stasera?
Mi piacerebbe saperlo."
Power scosse la testa, ma non disse niente.
"Mi spiace," lei continu•, "di non avere niente in casa da offrirvi.
Ma se aspettate un minuto, mando da Fogarty, all'angolo."
Power si alz•.
"Aspettavamo che venisse a casa con i soldi. Sembra che non si ricordi
di avere una casa."
"Be', d'ora in poi, signora Kernan," la confort• Power, "gli faremo
cambiar vita. Ne parler• con Martin. E' proprio la persona che fa al
caso nostro. Verremo qui una di queste sere e ne discuteremo."
La signora lo accompagn• alla porta. Il vetturino stava camminando su
e gi— per il marciapiede, battendo i piedi e agitando le braccia per
scaldarsi.
"Siete stato molto gentile a riportarlo a casa," disse la signora
Kernan.
"Non c'Š di che," rispose Power.
Poi sal in carrozza e, mentre questa si metteva in moto, fece ancora
un scappellata allegramente.
"Ne faremo un uomo nuovo," la rassicur•. "Buona notte, signora
Kernan."

La signora Kernan segu la carrozza con uno sguardo perplesso, finch‚
scomparve alla vista. Poi distolse gli occhi, rientr• in casa e vuot•
le tasche al marito.
Era una donna di mezza et…, attiva e pratica. Non molto tempo prima
aveva celebrato le nozze d'argento e rinnovato l'intimit… col marito
ballando un valzer con lui, su accompagnamento al pianoforte di Power.
Al tempo in cui le faceva la corte, Kernan non le era certo sembrato
privo di galanteria, e lei si affrettava ancora verso la porta della
chiesa ogni volta che veniva informata che si stava celebrando un
matrimonio. La vista della coppia di sposi, le faceva ricordare con
vivo piacere il giorno in cui era uscita dalla chiesa della Stella
Maris di Sandymount, appoggiandosi al braccio di un uomo gioviale e
florido, in marsina, pantaloni color lavanda e la tuba graziosamente
in equilibrio sull'altro braccio. Dopo tre settimane trovava
fastidiosa la vita di moglie e, quando cominci• a trovarla
insopportabile, si accorse di aspettare un bambino. La parte di mamma
non aveva presentato per lei difficolt… invincibili, e per venticinque
anni aveva diretto la casa con avvedutezza. I due figli maggiori erano
ormai avviati: uno lavorava in un negozio di stoffe a Glasgow, e
l'altro come impiegato presso un commerciante di tŠ a Belfast. Erano
bravi ragazzi, scrivevano regolarmente e qualche volta mandavano anche
del denaro a casa. Gli altri figli andavano ancora a scuola.
Il giorno dopo Kernan mand• una lettera in ufficio e se ne rimase a
letto. La moglie gli prepar• un brodo e gli fece una bella lavata di
testa. Sopportava le sue frequenti trasgressioni come conseguenza del
clima, lo curava premurosamente quando era ammalato e cercava sempre
di esortarlo a far la colazione del mattino. C'erano mariti peggiori
del suo. Non si era mai abbandonato a violenze di nessun tipo da
quando i figli erano cresciuti, e lei sapeva che era capace di
percorrere a piedi tutta la Thomas Street, andata e ritorno, pur di
assicurarsi un'ordinazione, anche di poco conto.
Due sere dopo gli amici vennero a trovarlo. La signora Kernan li
accompagn• nella camera da letto del marito, che era impregnata del
suo odore, e li fece sistemare vicino al fuoco. La lingua di Kernan,
che con le sue fitte acutissime lo aveva tormentato per tutto il
giorno, si era fatta pi— sopportabile. Era seduto sul letto, sostenuto
dai guanciali, e quel po' di colore diffuso sulle guance piene le
faceva somigliare a braci accese. Si scus• con gli amici per il
disordine della stanza, ma nello stesso tempo li guard• con una punta
di orgoglio, l'orgoglio del veterano.
Era completamente ignaro di essere vittima di un complotto di cui i
suoi amici, Cunningham, M'Coy e Power avevano messo al corrente la
moglie in salotto. L'idea era stata di Power, ma l'attuazione era
stata affidata a Cunningham. Kernan proveniva da un ceppo protestante
e, bench‚ si fosse convertito al cattolicesimo fin dal tempo del suo
matrimonio, da vent'anni almeno non era pi— in seno alla Madre Chiesa.
Non solo, ma ci provava gusto a dare delle frecciatine al
cattolicesimo.
Cunningham era proprio l'uomo che ci voleva in un caso come quello.
Era pi— anziano e collega di Power. Non aveva una vita familiare molto
felice. Tutti avevano una gran simpatia per lui: era risaputo che
aveva sposato una donna di cattiva fama, un'ubriacona incorreggibile.
Per ben sei volte le aveva messo su casa, e tutte le volte lei gli
aveva impegnato il mobilio.
Tutti avevano rispetto per il povero Martin Cunningham. Era un uomo di
buon senso, influente e con una acuta intelligenza. In lui la
conoscenza profonda della natura umana e l'astuzia istintiva
costituivano una lama resa ancora pi— affilata dalla lunga
frequentazione con casi giudiziari e temperata da rapidi tuffi nelle
acque di una filosofia generale. Era sempre ben informato; gli amici
si inchinavano alle sue opinioni e pensavano che il suo viso
somigliasse a quello di Shakespeare.
Quando le avevano rivelato il complotto, la signora Kernan aveva
detto:
"Mi rimetto a voi, signor Cunningham."
Dopo un quarto di secolo di vita coniugale, non le erano restate che
pochissime illusioni. La religione era ormai per lei un'abitudine e
temeva che un uomo dell'et… del marito non potesse pi— cambiare
radicalmente prima della morte. Era tentata di vederci la mano della
Provvidenza in quell'incidente e, se non fosse stato per il fatto che
non voleva passare per sanguinaria, avrebbe detto a quei signori che
la lingua del marito non ne avrebbe sofferto gran che, anche se
restava un po' pi— corta. D'altra parte Cunningham era uomo capace, e
la religione Š pur sempre la religione. Il progetto poteva anche
riuscire e, in tutti i casi, non avrebbe portato danno. La sua fede
non era spinta fino al fanatismo. Credeva fermamente nel Sacro Cuore
come la pi— utile, secondo la maggior parte della gente, di tutte le
forme cattoliche di devozione e approvava i Sacramenti. La sua fede
era limitata dalla sua cucina, ma se serviva, avrebbe anche potuto
credere negli spiriti maligni e nello Spirito Santo.
Gli uomini si misero a parlare dell'incidente. Cunningham disse di
aver gi… sentito di un caso simile. Un uomo di settant'anni si era
morsicato la lingua con tanta forza da staccarne un pezzetto durante
un attacco epilettico, e la lingua era ricresciuta, tanto che non si
notava pi— nessuna traccia del morso.
"Io non ho settant'anni," osserv• il malato.
"Per l'amor di Dio!" fece Cunningham.
"Non ti fa male adesso?" chiese M'Coy.
Un tempo M'Coy era stato un tenore abbastanza conosciuto. Sua moglie,
un ex-soprano, dava ancora lezioni di piano ad alcuni ragazzi a prezzi
modici. Non si poteva dire che il grafico della sua vita costituisse
una linea retta e, per brevi periodi, era stato costretto a vivere di
espedienti. Era stato impiegato presso la Compagnia Ferroviaria del
Midland, agente di pubblicit… per lo "Irish Times" e per il "Freeman's
Journal", viaggiatore di commercio a provvigione per conto di una
ditta di carbone, investigatore privato, impiegato nell'ufficio del
vice-sceriffo, e di recente era diventato segretario del "Coroner". La
sua nuova occupazione lo faceva interessato al caso di Kernan anche da
un punto di vista professionale.
"Male? Non molto," rispose Kernan, "ma mi viene nausea. Mi sento
voglia di vomitare."
"E' la sbornia," disse con fermezza Cunningham.
"No," ribatt‚ Kernan. "Penso di aver preso freddo in carrozza. Ho
qualcosa in gola che mi viene su, catarro o..."
"Muco," complet• M'Coy.
"E' qualcosa che mi sale in gola dal basso, qualcosa di nauseante."
"S, s," fece M'Coy. "Viene tutto dai bronchi."
Guard• Cunningham e Power contemporaneamente con aria di sfida.
Cunningham fece un impercettibile cenno con la testa, e Power disse:
"Be', Š tutto bene ci• che finisce bene."
"Ti sono molto obbligato, vecchio mio," dichiar• il malato.
Power fece un cenno di protesta con la mano.
"Quegli altri due con cui ero..."
"Con chi eri?" chiese Cunningham.
"Un tizio, non ricordo il suo nome. Per tutti i diavoli, come si
chiamava? Un biondino..."
"E l'altro?"
"Harford."
"Hm," fece Cunningham.
Di fronte a un tale commento di Cunningham, la gente si faceva
silenziosa. Era risaputo che aveva segrete fonti di informazione, e in
questo caso il monosillabo aveva un significato morale. Harford faceva
a volte parte di una combriccola che, nelle prime ore della domenica
pomeriggio, lasciava la citt… con l'obiettivo di raggiungere al pi—
presto qualche osteria nei dintorni, dove i degni soci si presentavano
come onesti viaggiatori. Ma questi compagni della domenica non gli
perdonavano la sua origine. Aveva iniziato come oscuro finanziere
prestando denaro agli operai a un tasso di usura; pi— tardi era
diventato socio di un certo Goldberg, un signore molto grasso e di
bassa statura, della Liffey Loan Bank. Nonosatante non avesse mai
abbracciato altro codice etico che quello ebraico, i suoi amici
cattolici, ogni volta che si sentivano colpiti di persona o da vicino
dalle sue estorsioni, parlavano di lui con asprezza come di un ebreo
irlandese e di un ignorante, vedendo nel figlio idiota i chiari segni
della disapprovazione divina al mestiere di strozzino. Altre volte
invece ne ricordavano i lati buoni.
"Mi sto chiedendo dove si sar… cacciato," disse Kernan.
Voleva che i particolari dell'incidente rimanessero vaghi, che i suoi
amici credessero che c'era stato un equivoco e che lui e Harford non
si erano incontrati. Gli amici per•, che sapevano benissimo come si
comportava Harford quando aveva bevuto, stavano zitti. Power ripet‚:
"E' tutto bene ci• che finisce bene."
Kernan si affrett• a cambiar discorso.
"Che persona per bene quel dottorino," disse. "Se non ci fosse stato
lui..."
"Se non ci fosse stato lui," concluse Power, "non te la saresti cavata
con meno di sette giorni in guardina e senza alternativa di multa."
"Gi… gi…," disse Kernan cercando di rinfrescarsi la memoria. "Ora
ricordo che c'era un poliziotto. Un buon diavolo, mi Š sembrato. Ma
esattamente che Š successo?"
"Eri ubriaco fradicio, Tom," gli rispose gravemente Cunningham.
"E' vero," ammise Kernan, altrettanto solennemente.
"Penso che sei stato tu, Jack, a sistemare tutto col poliziotto,"
osservo M'Coy.
A Power non piacque di essere stato chiamato per nome. Non che fosse
un tipo austero, ma non poteva dimenticare tutto il recente armeggiare
di M'Coy alla ricerca di valige e valigette per mettere in grado la
signora M'Coy di accettare immaginari inviti in campagna. Pi— che per
esserci caduto, era rimasto male per la meschinit… del trucchetto.
Rispose, perci•, alla domanda come se gli fosse stata rivolta da
Kernan. Questi si indign• al racconto. Era perfettamente consapevole
del suo ruolo di cittadino, voleva mantenere con la sua citt… un
rapporto di reciproca stima e si sentiva offeso da ogni affronto che
potesse essergli fatto da quelli che lui chiamava bifolchi.
"E' per questo che paghiamo le tasse?" chiese.
"Per mantenere questo branco di zoticoni che non sono altro?"
Cunningham rise. Si sentiva ufficiale di polizia solo nelle ore di
ufficio.
"Che altro potrebbero essere, Tom?" chiese.
Assunse un accento spiccatamente provinciale e disse in tono di
comando:
"Sessantacinque, prendi il cavolo!"
Risero tutti. M'Coy, che voleva intrufolarsi nella conversazione a
tutti i costi, finse di non conoscere la storiella. Cunningham gliela
raccont•:
"Il fatto accade in caserma, almeno cos dicono, durante l'istruzione
alle reclute di campagna. Il sergente li mette in fila contro il muro,
ognuno con la gavetta in mano," illustrava man mano il racconto con
gesti grotteschi. "E' l'ora del rancio. Davanti a s‚ ha un enorme
pentolone pieno di cavoli e un gran mestolo che maneggia a mo' di
pala. Prende su una mestolata di roba e la butta a casaccio per la
stanza, mentre quei poveri diavoli devono cercare di prenderla al volo
nella gavetta. Sessantacinque, prendi il cavolo!"
Tutti si misero a ridere di nuovo, ma Kernan era ancora un po'
indignato. Parlava di scrivere una lettere di protesta ai giornali.
"Questi 'yahoo' quando arrivano qui," osserv•, "credono di potersi
mettere a comandare? Non Š il caso che dica proprio a te, Martin, che
razza di gente sono!"
Cunningham assent con aria competente. Poi aggiunse:
"E' come per qualsiasi altra cosa di questo mondo. Ce ne sono di
cattivi e di buoni."
"Oh, certo se ne trovano anche di buoni, lo ammetto," replic• Kernan
soddisfatto.
"E' meglio non aver niente a che fare con loro, secondo me," aggiunse
M'Coy.
La signora Kernan entr• nella stanza e, posando un vassoio sul tavolo,
disse: "Servitevi, servitevi!"
Power si alz• per occuparsi della distribuzione delle bibite e le
offr la sua sedia. Ma la signora rifiut• dicendo che stava stirando
dabbasso e, dopo aver scambiato un cenno con Cunningham da dietro le
spalle di Power, si accinse a lasciare la stanza. Il marito le grid•:
"Non hai niente per me, tesoro?"
"Uno schiaffone per te!" lei ribatt‚ seccamente.
Ma lui, insistendo, le piagnucol• dietro:
"Proprio niente per il tuo povero maritino?"
E prese un'espressione e un tono di voce cos comici che venne fatto
fare il giro alle bottiglie di birra tra l'ilarit… generale.
Dopo che gli uomini ebbero bevuto e posato di nuovo i bicchieri sul
tavolo, ci fu un momento di pausa. Poi Cunningham si gir• verso Power
e disse come per caso:
"Hai detto gioved sera, vero Jack?"
"S, gioved," rispose Power.
"Benone," fece Cunningham con prontezza.
"Potremmo incontrarci da M'Auley," osserv• M'Coy. "Dovrebbe essere il
posto pi— adatto."
"S, ma non dobbiamo arrivare tardi," fece notare Power serio. "Di
certo ci sar… tanta di quella gente!"
"Facciamo alle sette e mezzo," propose M'Coy.
"D'accordo," disse Cunningham.
"Alle sette e mezzo da M'Auley, intesi." Ci fu un breve silenzio.
Kernan aspettava di vedere se i suoi amici lo avrebbero messo al
corrente delle loro confidenze. Poi chiese:
"Cosa c'Š nell'aria?"
"Oh, niente," rispose Cunningham. "Solo una faccenduola che stiamo
organizzando per gioved."
"L'opera, ho indovinato?" fece Kernan.
"No, no," replic• Cunningham in tono evasivo. "E' una faccenduola...
d'ordine spirituale."
"Ah," comment• Kernan.
Si fece di nuovo silenzio; poi Power dichiar• di punto in bianco:
"A dire il vero, Tom, abbiamo intenzione di fare un ritiro
spirituale."
"Gi…, proprio cos," fece Cunningham. "Jack, io e M'Coy andiamo tutti
e tre a fare un repulisti generale."
Pronunci• la metafora con una certa energia bonaria e, incoraggiato
dal tono della sua stessa voce, continu•:
"Vedi, possiamo tranquillamente ammettere che siamo una bella
combriccola di furfanti, sia presi uno per uno, sia tutti insieme.
Proprio cosi: sia singolarmente, sia tutti insieme," aggiunse con
rozza indulgenza; poi rivolgendosi a Power:
"Suvvia ammettilo!"
"Lo ammetto," disse Power.
"Anch'io!" fece eco M'Coy.
"Cos abbiamo deciso di andare ad alleggerirci la coscienza tutti
insieme," continu• Cunningham.
Un pensiero sembr• attraversargli la mente: si gir• improvvisamente
verso il malato e gli disse:
"Sai che idea mi Š venuta proprio adesso, Tom? Anche tu potresti
unirti a noi, e cos formeremmo un bel quartetto."
"Buona idea," conferm• Power. "Tutti e quattro insieme "
Kernan taceva. La proposta non gli diceva gran che, ma, intuendo che
fattori spirituali stavano per intervenire a suo favore, pens• che,
per un senso di dignit… verso se stesso, doveva mostrarsi un osso
duro. Per un bel pezzo non partecip• alla conversazione, ma, con aria
di fredda ostilit…, ascolt• gli amici parlare dei Gesuiti.
"Non ho poi nemmeno io una cattiva opinione dei Gesuiti," intervenne
alla fine. "E' un ordine molto serio, e penso anche che i loro
propositi siano buoni."
"Costituiscono il pi— importante ordine della Chiesa, Tom," dichiar•
Cunningham con entusiasmo. "Il padre Generale dei Gesuiti viene
gerarchicamente subito dopo il Papa."
"E poi non c'Š dubbio," disse M'Coy, "e se si vuole una cosa ben fatta
e senza troppi intralci, bisogna ricorrere a loro. E' gente
influentissima. Vorrei giusto raccontarvi di un caso..."
"Un insieme di elementi scelti i Gesuiti," disse Power.
"C'Š un fatto curioso," osserv• Cunningham, "a proposito dei Gesuiti.
Tutti gli altri ordini prima o poi hanno dovuto subire delle riforme,
solo nel loro caso non ce n'Š mai stata neanche una. E' un ordine,
quello, che non Š mai caduto!"
"Davvero?" chiese M'Coy.
"Altro che! E' un fatto storico," rispose Cunningham.
"E guardate che chiese!" aggiunse Power. "Che congregazioni!"
"Si occupano soprattutto delle classi abbienti," fece notare M'Coy.
"Certo," conferm• Power.
"Gi…," disse Kernan, "Š proprio per questo che ho un debole per loro.
Non come quei preti ignoranti e presuntuosi..."
"Sono tutti brava gente," dichiar• Cunningham. "Ognuno a modo suo. Non
per niente il clero irlandese Š onorato in tutto il mondo."
"Proprio," assent Power.
"Non come certe altre organizzazioni clericali del continente,"
aggiunse M'Coy. "Indegne del nome."
"Forse avete ragione," disse Kernan arrendevole.
"Certo che ho ragione," riprese Cunningham. "A che mi servirebbe
essere al mondo da tanto tempo e averne viste di tutti i colori, se
non mi fossi fatto un'idea degli uomini?"
Bevvero di nuovo, ognuno seguendo l'esempio dell'altro. Pareva che
Kernan stesse valutando qualcosa tra s‚ e s‚. Era rimasto colpito.
Aveva un grande rispetto per Cunningham, per la sua abilit… nel
giudicare i caratteri e nel leggere in faccia alla gente. Volle sapere
altri particolari.
"E' solo un ritiro spirituale, come ti dicevo," disse Cunningham,
"tenuto da Padre Purdon. Per gli uomini di affari sai!"
"Non sar… troppo severo con noi, Tom!" intervenne Power in tono
suadente.
"Padre Purdon? Padre Purdon?" ripet‚ il malato.
"Dovresti conoscerlo, Tom!" riprese Cunningham con vigore. "Un
giovialone! Uomo di mondo, come noi."
"Ah... s. Credo di conoscerlo. Un tipo dalla faccia un po' rossa,
alto."
"Proprio lui."
"E dimmi, Martin, Š un buon predicatore?"
"Be' ti diro... non si tratta proprio di una predica, ma piuttosto di
una conversazione amichevole, cos per dire, alla buona."
Mentre Kernan rifletteva, M'Coy esclam•:
"Padre Tom Burke, ecco chi ci voleva!"
"Padre Burke," disse Cunningham, "quello s che era un oratore nato.
L'hai mai sentito predicare, Tom?"
"Se l'ho sentito?" fece il malato indispettito. "Perdiana! L'ho
sentito..."
"Eppure gira la voce che non fosse un gran teologo," continu•
Cunningham.
"E' vero?"
"Naturalmente niente di sbagliato, si capiscee. Solo si dice che
qualche volta le sue prediche non fossero completamente ortodosse."
"Ah! Che uomo splendido!" disse M'Coy.
"L'ho sentito una volta," riprese Kernan. "Non ricordo su che
argomento. Crofton e io eravamo in fondo al... vano, sai, al..."
"Alla navata," gli venne in aiuto Cunningham.
"S, in fondo, vicino alla porta. Mi sfugge ora di che cosa stesse...
Oh, s, parlava del Papa, il Papa morto. Lo ricordo bene. Parola mia,
era magnifico, lo stile di un oratore! E che voce! Buon Dio, non
sembrava neppure una voce di questo mondo! Il prigioniero del
Vaticano, lo chiamava. Ricordo che uscendo Crofton mi disse..."
"Ma Crofton non Š orangista?" interruppe Power.
"S," rispose Kernan, "e di quelli convinti. Andammo da Butler in
Moore Street, mi sentivo sinceramente commosso, Š la sacrosanta
verit…. Ricordo bene le sue parole: 'Kernan', mi disse, 'noi ci
inginocchiamo ad altari diversi, ma la nostra fede Š la stessa.' Mi
colpirono perch‚ molto appropriate."
"C'Š del vero in questo," osserv• Power. "Ce n'erano sempre di
protestanti in chiesa, quando predicava Padre Tom."
"Non c'Š grande differenza tra noi," intervenne M'Coy. "Tanto noi che
loro crediamo nel..."
Esit• un momento.
"... nel Redentore. Solo che loro non credono nel Papa e nella
Madonna."
"Per•," disse Cunningham calmo e con fermezza, "la nostra religione Š
la religione; l'antica, l'originale fede."
"Senza dubbio," aggiunse Kernan con calore.
In quel momento la signora Kernan apparve sulla porta e annunci•:
"C'Š una visita!"
"Chi?"
"Il signor Fogarty."
"Avanti, avanti!"
Un viso pallido e ovale avanz• nella luce. La curva del suoi baffi
biondi e spioventi si ripeteva nelle sopracciglia, pure bionde, che
facevano arco sopra gli occhi gradevolmente sorpresi. Fogarty era un
modesto droghiere. Gli erano andati male gli affari con una bettola
che aveva aperto in citt…, perch‚ le sue condizioni finanziarie lo
avevano costretto a legarsi a distillatori e birrai di secondo ordine.
Aveva perci• aperto un negozietto nella Glasnevin Road, dove si
lusingava di potersi ingraziare con le belle maniere le massaie del
rione. Si comportava con un certo garbo, faceva complimenti ai
bambinetti e aveva una pronuncia chiara. Non era un uomo privo di
cultura.
Fogarty aveva portato come omaggio una mezza pinta di whisky speciale.
Si inform• cortesemente della salute di Kernan, pos• il dono sul
tavolo e si mise a sedere con gli altri da pari a pari. Kernan
apprezz• l'omaggio, tanto pi— che sapeva bene che c'era un conticino
per acquisti ancora da regolare con Fogarty. Perci• gli disse:
"Non dubitavo di te, vecchio mio. Jack, per favore, vuoi aprirla?"
Power si alz• di nuovo per provvedere alla distribuzione. I bicchieri
furono risciacquati e riempiti un'altra volta con cinque piccole dosi
di whisky. Sotto la nuova influenza la conversazione si anim•.
Fogarty, seduto sull'orlo della sedia, era particolarmente
interessato.
"Papa Leone Tredicesimo," stava dicendo Cunningham, "fu uno dei
luminari del suo tempo. La sua grande idea, come saprete, era l'unione
della chiesa latina con quella greca. Questa fu lo scopo di tutta la
sua vita."
"Ho spesso sentito dire che fu uno degli uomini pi— intelligenti
d'Europa," osservo Power. "Indipendentemente dal fatto di essere Papa,
intendo."
"Proprio cos," continu• Cunningham, "se non addirittura il pi—
intellettuale. Il suo motto, come Papa, era 'Lux su Lux', cioŠ 'Luce
su Luce.'"
"No, no," intervenne Fogarty con ardore. "Penso che su questo punto vi
sbagliate. Mi pare fosse 'Lux in tenebris'. 'Luce nelle tenebre.'"
"Gi…, gi…," disse M'Coy. "'Tenebrae.'"
"Permettete," rispose Cunningham con fermezza, "il motto era proprio
'Lux su Lux' mentre quello del suo predecessore, Pio Nono, era 'Crux
su Crux', cioŠ 'Croce su Croce.' Tutto questo per dimostrare la
differenza tra i due pontificati."
La spiegazione venne accettata e Cunningham continu•.
"Papa Leone era un gran letterato e poeta, sapete."
"E che viso energico!" aggiunse Power.
"S," disse Cunningham. "Scriveva poesie in latino."
M'Coy assaggi• il suo whisky, soddisfatto, e scosse la testa con una
doppia intenzione, mentre diceva:
"E non Š uno scherzo, ve lo posso assicurare."
"Queste cose a noi non le insegnavano, eh Tom!" disse Power seguendo
l'esempio di M'Coy, "alla nostra scuoletta da quattro soldi."
"Eppure parecchie brave persone hanno frequentato quella scuoletta da
quattro soldi con il loro bravo scaldino sotto il braccio," sentenzi•
Kernan. "Il vecchio sistema era il migliore: una semplice e onesta
educazione, senza tutte queste moderne futilit…..."
"Hai proprio ragione," assent Power.
"Niente di superfluo," interloqu Fogarty.
Pronunciata la frase, bevve con gravit….
"Ricordo di aver letto," riprese Cunningham, "che uno dei poemi di
Papa Leone riguardava l'invenzione della fotografia; scritto in
latino, naturalmente."
"La fotografia!" esclamo Kernan.
"S," disse Cunningham.
E anche lui si port• il bicchiere alle labbra.
"Be'," osserv• M'Coy, "la fotografia non Š qualcosa di meraviglioso a
pensarci bene?"
"Certo," convenne Power. "i grandi ingegni sanno andare a fondo delle
cose."
"Come dice il poeta: 'I grandi ingegni sono molto vicini alla
pazzia,'" intervenne Fogarty.
Kernan sembrava turbato. Fece uno sforzo per farsi venire in mente
qualche punto scabroso della teologia protestante e infine si rivolse
a Cunningham.
"Dimmi, Martin," gli chiese, "non ci furono dei papi, ben inteso non
l'attuale o il suo predecessore, ma alcuni vecchi papi non proprio...
tu mi capisci... non proprio all'altezza del loro compito?"
"Naturalmente s, ci sono stati dei cattivi papi... Ma la cosa che pi—
stupisce Š questa: non uno di loro, nemmeno il pi— ubriacone, n‚ la
peggior specie di ruffiano, nessuno ha mai predicato 'ex cathedra' una
parola di falsa dottrina. C'Š di che restarne meravigliati, no?"
"Sicuramente," fece Kernan.
"Gi…, perch‚ quando il Papa parla 'ex cathedra,'" spiego Fogarty, "Š
infallibile."
"S," ribad Cunningham.
"So dell'infallibilit… del Papa. Ricordo che ero giovane allora... O
era che..."
"II dogma fu promulgato da un Concilio Vaticano sotto Pio Nono."
Fogarty si interruppe. Prese la bottiglia e invit• gli altri a berne
ancora un sorso. M'Coy, vedendo che non ce n'era abbastanza per tutti,
si scherm dicendo che ne aveva ancora nel bicchiere. Gli altri
accettarono, dopo essersi fatti pregare un pochino. La leggera musica
del whisky che cadeva nei bicchieri fu un gradevole interludio.
"Che cosa stavi dicendo, Tom?" chiese M'Coy.
"L'infallibilit… del Papa," continu• Cunningham, "Š il fenomeno pi—
straordinario di tutta la storia della Chiesa."
"Di che si tratta, Martin?" chiese Power.
Cunningham alz• due dita grassocce.
"Come saprete, nel Sacro Collegio dei cardinali, arcivescovi e vescovi
ce n'erano due di parere contrario, mentre gli altri erano tutti
d'accordo. L'intero conclave, eccetto questi due, era unanime. Niente
da fare! Non ne volevano sapere."
"Ah!" comment• M'Coy.
"Uno era un cardinale tedesco, un certo Dolling... o Dowling..."
"Dowling non Š un nome tedesco di certo," osserv• Power ridendo.
"Be', uno era questo gran cardinale tedesco, comunque si chiamasse, e
l'altro era John MacHale."
"Cosa?" grid• Kernan. "John of Tuam?"
"Ma ne siete proprio sicuro?" chiese Fogarty dubbioso. "Pensavo si
trattasse di un italiano o di un americano."
"John of Tuam," ripet‚ Cunningham. "Proprio lui."
Bevve e gli altri seguirono il suo esempio. Poi riprese:
"Dunque c'erano cardinali, vescovi e arcivescovi convenuti da tutte le
parti del mondo, e questi due che cocciutamente si opponevano, finch‚
a un certo punto il Papa stesso si alz• e dichiar• l'infallibilit… del
dogma della Chiesa "ex cathedra". In quello stesso istante John
MacHale, che fino ad allora non aveva fatto che battersi contro, si
alz• e proruppe, con voce simile a un ruggito, in un 'Credo!'."
"Io credo!" disse Fogarty.
"'Credo!'," ripet‚ Cunningham. "Che attestazione di fede! Quella
sottomissione nell'attimo preciso in cui il Papa aveva parlato!"
"E Dowling?" chiese M'Coy.
"Il cardinale tedesco non si sottomise e usc dal seno della Chiesa."
Le parole di Cunningham avevano richiamato alla mente degli
ascoltatori l'immagine grandiosa della Chiesa. La sua voce profonda e
roca, mentre pronunciava quella parola di fede e di sottomissione, li
aveva scossi fin nel profondo del loro essere. Quando la signora
Kernan entr•, asciugandosi le mani, li trov• tutti assorti con aria
solenne. Non volle turbare quel silenzio e si appoggi• alla spalliera
ai piedi del letto.
"Ho visto una volta John MacHale," disse Kernan, "e non lo
dimenticher• finch‚ vivo."
Si gir• alla moglie per conferma.
"Te l'ho detto tante volte, vero?"
Lei annu.
"Fu il giorno in cui venne scoperta la statua di Sir John Gray. Stava
parlando Edmund Dwyer Gray, infilando una sciocchezza dietro l'altra.
e il vecchio era l… con aria stizzita che lo fissava da sotto le
sopracciglia cespugliose."
Kernan corrug• la fronte e, abbassando la testa come un toro
infuriato, fiss• la moglie.
"Santo cielo!" esclam• riacquistando la sua espressione normale. "Non
ho mai visto un uomo con occhi simili. Era come se dicessero: 'Ti
tengo in pugno, caro mio!'. Aveva lo sguardo di un falco."
"Non uno di quei Gray valeva qualcosa," disse Power.
Ci fu di nuovo una pausa. Poi Power si gir• verso la signora Kernan e
le disse con improvvisa giovialit…:
"Be', signora Kernan, faremo di vostro marito un santo, cattolico
romano, timorato di Dio."
Fece un ampio gesto circolare che includeva tutta la compagnia.
"Faremo tutti insieme un ritiro spirituale e confesseremo i nostri
peccati. Dio sa se ne abbiamo bisogno!"
"Non me ne importa," dichiar• Kernan, sorridendo un po' nervosamente.
La signora Kernan ritenne pi— saggio nascondere la sua soddisfazione.
Perci• si limit• a dire:
"Compiango il povero prete che dovr… ascoltare la tua confessione"
Il viso di Kernan cambi• espressione.
"Se non gli va di starmi a sentire," disse brusco, "pu• anche
andarsene al... Non ho che da fargli il raccontino dei miei guai. Non
sono poi cos cattivo."
Cunningham intervenne con prontezza.
"Rinunceremo tutti insieme al demonio," dichiar•, "senza dimenticarne
n‚ le opere n‚ le pompe."
"VADE RETRO, SATANA!," disse Fogarty ridendo e guardando gli altri.
Solo Power taceva. Sentiva di aver perso la sua autorit…, ma
un'espressione compiaciuta aleggiava sul suo viso.
"Non dobbiamo fare altro che starcene in piedi con in mano i ceri
accesi e rinnovare i voti battesimali," riprese Cunningham.
"Non dimenticarti la candela, Tom," sugger M'Coy. "Qualsiasi cosa tu
faccia."
"Cosa?" fece Kernan. "Devo avere un cero?"
"Certo," rispose Cunningham.
"No, maledizione!" sbott• Kernan con suscettibilit…. "Punto e basta.
Mi sembra gi… sufficiente tutto il resto. D'accordo sul ritiro
spirituale, la confessione, eccetera. Ma... niente ceri! No, perdinci,
di moccoli non ne voglio sapere!"
Scosse la testa con comica gravit….
"Ma sentitelo!" fece sua moglie.
"Nel modo pi— assoluto, niente moccoli!" riprese Kernan, consapevole
di aver creato un certo effetto sul suo uditorio e continuando a
scuotere la testa di qua e di l…. "Per ci• che riguarda la luminaria
la proposta Š bocciata."
Risero tutti di cuore.
"Eccovi un bel tipo di cattolico!" osserv• la signora Kernan.
"Niente moccoli!" ripet‚ ancora Kernan ostinato. "La proposta Š
respinta!"

L'ingresso della chiesa dei Gesuiti in Gardiner Street era quasi
pieno; anche dalla porta laterale continuavano ad affluire uomini che,
guidati da un fratello laico, procedevano in punta di piedi lungo le
navate finch‚ trovavano un posto a sedere. Erano tutti ben vestiti e
tirati a pomice. La luce delle lampade della chiesa cadeva su un
insieme di vestiti neri e colletti bianchi, attenuato qua e l… da
qualche vestito di "tweed", sullo sfondo delle scure colonne di marmo
verde screziato e di lugubri panneggi. Sedevano nei banchi, con i
calzoni leggermente rialzati al ginocchio e con i cappelli appoggiati
di fianco, al sicuro, con le spalle ben spinte indietro e lo sguardo
fisso sulla macchiolina distante della luce rossa, che era sospesa
sopra l'altare maggiore.
In uno dei banchi vicino al pulpito sedevano Cunningham e Kernan;
dietro sedeva da solo M'Coy e nel banco ancora dietro sedevano Power e
Fogarty. M'Coy aveva cercato inutilmente di trovare posto nel banco
con gli altri, e, quando la compagnia si era sistemata a forma di
"quinconce", aveva cercato senza successo di trarne motivo di
comicit…. Visto per• che le sue battute di spirito non attaccavano, ci
aveva rinunciato. Pure lui era sensibile a quell'atmosfera di decoro e
cominciava a rispondere allo stimolo religioso. Cunningham si chin•
all'orecchio di Kernan per attirarne l'attenzione su Harford,
l'usuraio, seduto poco lontano e sul signor Fanning, agente elettorale
dei candidati a sindaco della citt…, che sedeva subito sotto il
pulpito, vicino a uno dei consiglieri comunali da poco eletti. A
destra c'erano il vecchio Michael Grimes, proprietario di tre agenzie
di pegno, e il nipote di Dan Hogan, candidato al posto di segretario
comunale. Un po' pi— in l…, di fronte, sedevano Hendrick, capo
cronista del "Freeman's Journal" e il povero O'Carrol, vecchio amico
di Kernan, che un tempo era stato una figura importante nel campo del
commercio. Gradualmente, man mano che riconosceva volti che gli erano
familiari, Kernan si sentiva pi— a suo agio. Il cappello, che la
moglie gli aveva rimesso a nuovo, era appoggiato sulle sue ginocchia.
Una volta o due si tir• gi— i polsini con una mano, mentre con l'altra
teneva la tesa del cappello, delicatamente, ma con fermezza.
All'improvviso si vide una figura imponente, avvolta fino a met… busto
in una cotta bianca, aprirsi un varco verso il pulpito. Nello stesso
tempo si sent un certo movimento tra i fedeli, parecchi si tolsero di
tasca il fazzoletto e ci si inginocchiarono sopra con cura. Kernan
segu l'esempio degli altri. La sagoma del sacerdote si ergeva ora
dritta sul pulpito, e dalla balaustra sporgevano due terzi del busto,
coronato da un faccione massiccio e rosso.
Padre Purdon si inginocchi•, si gir• verso la macchiolina di luce
rossa e, coprendosi il viso con le mani, si raccolse in preghiera.
Poco dopo si scopr il viso e si alz•. Anche i fedeli si alzarono e
tornarono a sedersi nei banchi. Kernan rimise il cappello nella
posizione originale sul ginocchio e rivolse un volto attento al
predicatore. Questi si rimbocc• le ampie maniche della cotta, con un
gesto largo e studiato. Lentamente pass• in esame quell'insieme di
facce, poi disse:
"'Poich‚ i figli di questo mondo sono pi— saggi nella loro generazione
dei figli della luce. Perci• vi dico: fatevi degli amici tra voi con
le vostre inique ricchezze, cosicch‚ da morti possiate venire accolti
nella dimora eterna.'"
Padre Purdon svilupp• il tema con rimbombante sicurezza. Era uno dei
brani pi— difficili della Sacra Scrittura da interpretare esattamente,
egli disse. Era un testo che a un osservatore superficiale poteva
sembrare in contrasto con l'alta moralit… predicata altrove da Ges—
Cristo, ma che gli era sembrato, disse ai suoi ascoltatori,
particolarmente adatto per coloro la cui sorte era di vivere nel
mondo, e che tuttavia non volevano condurre una vita da gente mondana.
Era un passo per gli uomini di affari e i professionisti. Ges— Cristo,
con la sua divina comprensione delle debolezze della natura umana,
cap che non tutti gli uomini erano chiamati a una vita religiosa,
anzi la stragrande maggioranza era costretta a vivere nel mondo e,
entro certi limiti, per il mondo; con questo brano Egli si proponeva
di dare loro una parola di consiglio, ponendo loro di fronte, come
esempio di vita religiosa, proprio quegli stessi adoratori di Mammona,
che tra tutti gli uomini sono i meno zelanti in materia religiosa.
Disse ai suoi ascoltatori di non trovarsi l quella sera per
terrorizzarli e per stupirli, ma come uomo di mondo per parlar loro da
pari a pari. Era venuto a parlare con uomini di affari e avrebbe usato
un linguaggio d'affari. Se gli era permesso servirsi della metafora,
continu•, lui era il loro contabile spirituale e invitava ognuno di
loro ad aprire i suoi libri, i registri della sua vita spirituale, per
controllare se corrispondevano in tutto e per tutto alle loro
coscienze.
Ges— Cristo non era un padrone troppo esigente. Capiva le nostre
piccole colpe, la debolezza della nostra povera natura decaduta, le
tentazioni di questa vita. Potevamo avere avuto tutti le nostre
tentazioni, ogni tanto: potevamo avere, tutti ne avevamo, le nostre
debolezze. Ma una cosa sola, disse, avrebbe chiesto ai suoi
ascoltatori: di essere sinceri e leali con Dio. Se i loro conti erano
giusti in ogni loro parte dicessero:
"Ebbene, ho verificato i miei conti e Š tutto in regola".
Ma se, come poteva capitare, ci fossero state delle divergenze, che
ammettessero la verit…, fossero sinceri e dicessero da veri uomini:
"Ebbene ho verificato i miei conti. Ho trovato questo e quest'altro
errore; ma con la tua grazia, o Signore, rettificher• ogni sbaglio e
rimetter• in sesto la mia contabilit…".



















I MORTI.

Lily, la figlia del custode, non si sentiva pi— le gambe per il gran
correre. Non faceva in tempo ad accompagnare un invitato nello
sgabuzzino dietro la dispensa, a pianterreno, e ad aiutarlo a
togliersi il soprabito, che l'asmatico campanello d'ingresso
riprendeva a suonare, e lei doveva galoppare lungo il corridoio
spoglio per introdurre un altro ospite.
Buon per lei che non doveva occuparsi anche delle signore. A quello
avevano pensato la signorina Kate e la signorina Julia, che avevano
trasformato il bagno del piano di sopra in uno spogliatoio per
signore. Erano appunto l… le signorine: chiacchieravano, ridevano, si
davano un gran daffare e, a turno, comparivano in cima alle scale,
affacciandosi alla ringhiera per domandare a Lily chi fosse venuto.
Era sempre un grande evento il ballo annuale delle signorine Morkan.
Vi partecipavano tutte le loro conoscenze: parenti, vecchi amici di
famiglia, le coriste di Julia, tutte le scolare di Kate in et… di
parteciparvi, e perfino qualche allieva di Mary Jane. Mai una volta
che non fosse venuta fuori una festa allegra: per anni e anni era
sempre andato tutto splendidamente, per quanto almeno si poteva
ricordare, da quando cioŠ Kate e Julia, dopo la morte del fratello
Pat, avevano lasciato l'abitazione in Stoney Batter e con l'unica
nipote, Mary Jane, erano andate a stare nella buia e squallida casa di
Usher Island, della quale avevano preso in affitto il piano superiore
dal signor Fulham, il commerciante di granaglie all'ingrosso del
pianterreno. Erano passati almeno trent'anni da allora, e sembrava un
giorno. Mary Jane, che allora era una bimbetta dai vestitini corti,
era ora il principale sostegno della famiglia, perch‚ era lei che
suonava l'organo di Haddington Road. Aveva studiato al Conservatorio,
e ogni anno, dava un saggio nella sala superiore dell'Antient Concert.
Molte delle sue allieve appartenevano alla migliore societ… di
Kingstown e di Dalkey. Da parte loro, anziane com'erano, le zie
facevano la loro parte. Julia, bench‚ completamente grigia era ancora
il primo soprano nell'"Adamo ed Eva", e Kate, essendo troppo delicata
di salute per andare molto in giro, dava lezioni di musica ai
principianti sul vecchio e solido piano verticale nella stanza in
fondo. Lily, la figlia del custode, faceva loro da cameriera. Pur
facendo una vita modesta, davano importanza alla buona cucina, sempre
cibi della miglior qualit…: filetti di vitello, tŠ da tre scellini e
birra della migliore marca. Era difficile che Lily sbagliasse, e
perci• andava tutto bene con le sue tre padrone; erano soltanto un po'
nervose, nient'altro, e l'unica cosa che non sopportavano era di
sentirsi rispondere.
Naturalmente avevano ben ragione di essere agitate in una serata
simile, tanto pi— che erano gi… passate le dieci, e Gabriel e sua
moglie non si erano ancora fatti vedere. Inoltre avevano una gran
paura che Freddy Malins arrivasse ubriaco. Per tutto l'oro del mondo
non avrebbero voluto che qualcuna delle allieve di Mary Jane lo
vedesse in preda ai fumi dell'alcool, e, purtroppo, quando era in
quello stato, era difficile fargli intender ragione. Freddy Malins
aveva l'abitudine di venire tardi, ma si chiedevano che cosa mai
avesse potuto trattenere Gabriel; per questo non facevano che correre
ogni due minuti alla ringhiera delle scale per chiedere a Lily se
l'uno o l'altro fosse arrivato.
"Oh, signor Conroy," disse Lily a Gabriel aprendogli la porta. "La
signorina Kate e la signorina Julia cominciavano a temere che non
sareste venuto. Buona sera, signor Conroy."
"Non stento a crederlo!" rispose Gabriel. "Ma dimenticano che a mia
moglie, per vestirsi, servono tre ore buone!"
In piedi, sul tappeto, si scuoteva la neve dalle soprascarpe, mentre
Lily accompagnava sua moglie ai piedi delle scale, mettendosi a
gridare:
"Signorina Kate, c'Š la signora Conroy!"
Kate e Julia scesero subito trotterellando per la scala buia. Tutte e
due abbracciarono la moglie di Gabriel, le chiesero se non era morta
di freddo e se il marito fosse con lei.
"Eccomi qua, preciso come un orologio! Andate pure su, io vengo
subito."
Continu• a strofinarsi i piedi, mentre le tre donne, ridendo, salivano
verso lo spogliatoio delle signore. Una leggera frangia di neve gli si
era adagiata come una mantellina sulle spalle e come una mascherina
sulla punta delle soprascarpe; e mentre i bottoni del soprabito
scricchiolavano nel passare attraverso le asole irrigidite, una fredda
e fragrante aria esterna si sprigionava dalle pieghe e dalle aperture
del cappotto.
"Ha ripreso a nevicare, signor Conroy?" chiese Lily.
Lo aveva preceduto nello sgabuzzino per aiutarlo a togliersi il
soprabito. Gabriel sorrise per il modo in cui aveva sillabato il suo
nome e la guard•. Era una ragazza esile, nell'et… della crescita, di
carnagione pallida e dai capelli color fieno. L'illuminazione a gas
dello sgabuzzino la faceva sembrare ancora pi— pallida. Gabriel
l'aveva conosciuta bambina, quando era solita sedersi sul gradino pi—
basso della scala cullando una bambola di pezza.
"S, Lily," le rispose, "e penso che ne avremo per tutta la notte."
Alz• gli occhi al soffitto, che tremava sotto i colpi dei passi di
danza e delle giravolte al piano di sopra, ascolt• per un momento il
pianoforte e poi pos• l'occhio sulla ragazza che stava piegando con
cura il suo soprabito in fondo allo scaffale.
"Dimmi, Lily," disse in tono amichevole, "vai ancora a scuola?"
"Oh no, signore," lei rispose. "Quest'anno ho lasciato la scuola
definitivamente."
"Be', allora," riprese Gabriel gaiamente, "vorr… dire che uno di
questi giorni saremo invitati a nozze, e ti vedremo sposa al fianco
del tuo ragazzo."
La fanciulla gli diede un'occhiata da sopra la spalla e poi disse in
un tono profondamente amaro:
"Gli uomini del giorno d'oggi non sono altro che degli adulatori e
cercano solo di approfittarsi delle ragazze."
Gabriel arross, come se avesse la sensazione di aver commesso uno
sbaglio; senza guardarla, si sfil• le soprascarpe e, con grande cura,
prese a spazzolarsi le scarpe di vernice, servendosi del fazzoletto.
Era un uomo robusto e piuttosto alto. Il colore acceso delle sue
guance si estendeva fin sulla fronte, dove si scindeva in alcune
chiazze informi di un rosso pi— tenue, sparpagliate qua e l…, mentre
sul viso liscio correva il guizzo scintillante delle lenti e della
montatura dorata degli occhiali che proteggevano uno sguardo inquieto
e delicato. I suoi capelli lucidi e neri erano divisi a met… e
spazzolati all'indietro in modo da formare una lunga curva; appena al
di sotto del solco lasciato dal cappello erano leggermente ondulati.
Lucidate ben bene le scarpe, si rialz• e si aggiust• il panciotto sul
corpo massiccio. Poi con un gesto rapido si tolse di tasca una moneta
e, mettendogliela in mano, le disse:
"Lily, manca poco a Natale, ti pare? Eccoti... giusto per un..."
Si incammin• svelto verso la porta.
"No grazie, signore," si scherm la ragazza seguendolo. "Veramente,
non posso accettare."
"E' Natale! E' Natale!" ripet‚ Gabriel, quasi correndo verso le scale
e facendo con la mano un gesto di scusa.
La ragazza, vedendo che aveva raggiunto le scale, gli grid• dietro:
"Tante grazie, allora, signore!"
Aspett• fuori dalla sala che il valzer finisse, tendendo l'orecchio al
fruscio delle gonne contro l'uscio e al rumore dei piedi che
scivolavano sul pavimento. Era ancora turbato per la reazione amara e
imprevista della ragazza. Gli aveva messo addosso un senso di
malinconia, che cercava di scacciare aggiustandosi i polsini e il nodo
della cravatta. Poi si tolse dalla tasca del panciotto un foglietto e
diede un'occhiata agli appunti che si era fatto per il discorso. Era
indeciso sui versi di Robert Browning, perch‚ pensava che fosser•
oltre la portata dei suoi ascoltatori. Sarebbe andata meglio qualche
citazione che avessero potuto riconoscere, qualcosa di Shakespeare o
delle "Melodie". Il modo, completamente privo di riguardo, in cui gli
uomini battevano i tacchi e strisciavano i piedi, gli ricord• quanto
il loro grado di cultura fosse diverso dal suo. Non avrebbe fatto
altro che rendersi ridicolo citando dei versi che non avessero capito.
Avrebbero pensato che voleva sfoggiare la sua superiore erudizione.
Avrebbe fallito con loro come aveva fallito con la ragazza nello
sgabuzzino. Aveva sbagliato tono, e tutto il discorso era uno sbaglio
dall'inizio alla fine, un fiasco completo.
Proprio in quel momento le zie e la moglie uscirono dallo spogliatoio
delle signore. Le zie erano due vecchiette piccoline, vestite con
semplicit…. Delle due, zia Julia era di circa un centimetro la pi—
alta. I suoi capelli, che pettinava bassi sulle orecchie, erano grigi,
e pure grigio, con ombre pi— scure, era il suo viso flaccido. Anche se
era forte d'ossatura ed eretta nel portamento, lo sguardo instupidito
e le labbra socchiuse le davano l'aria di una donna che non sa dove si
trovi, o dove stia andando. Zia Kate era pi— vivace. Il suo viso, pi—
sano di quello della sorella, era tutto rughe e grinze, come una rossa
mela avvizzita, e i suoi capelli, anch'essi pettinati all'antica, non
avevano perso il loro colore di nocciola matura.
Tutt'e due baciarono Gabriel con trasporto. Era il loro nipote
preferito, il figlio di Ellen, la sorella maggiore morta, che aveva
sposato T. J. Conroy, funzionario del porto e dei docks.
"Gretta mi stava dicendo che non tornerete a Monkstown in carrozza,
stanotte," disse zia Kate.
"Proprio cos," rispose Gabriel, rivolgendosi alla moglie. "Ne abbiamo
avuto abbastanza l'anno scorso, vero? Non ti ricordi, zia Kate, che
raffreddore si prese Gretta? I vetri della vettura per tutto il
tragitto non fecero che sbattere, e, passato Merrion, ci si mise anche
il vento di levante a soffiare dentro. Che divertimento! Gretta si
busc• un bel malanno..."
Zia Kate corrugava gravemente le sopracciglia e annuiva con la testa a
ogni parola.
"Giusto, Gabriel, giustissimo," disse. "Non si Š mai abbastanza
prudenti."
"Ma Gretta," riprese Gabriel, "sarebbe capacissima di tornarsene a
casa a piedi in mezzo alla neve, se la lasciassi fare."
La signora Conroy rise.
"Non badargli, zia Kate," si difese. "Lui s che Š un terribile
seccatore, con la visiera verde per gli occhi di Tom la sera, con gli
esercizi coi manubri e col forzare Eva a mangiare la pappa d'avena.
Povera bambina! Lei che non la pu• soffrire!... Oh, ma non vi
immaginate che cosa mi costringe a portare ora!"
Esplose in uno scoppio di risa e guard• il marito, i cui occhi pieni
di ammirazione e di felicit… non avevano fatto che spostarsi dal
vestito al viso e ai capelli di lei. Anche le zie risero di cuore,
perch‚ la sollecitudine di Gabriel era per loro continua fonte di
divertimento.
"Soprascarpe," continu• la signora Conroy. "Questa Š l'ultima. Ogni
volta che c'Š bagnato per terra devo mettermi le soprascarpe. Anche
stasera avrebbe voluto che lo facessi, ma mi sono rifiutata. Il primo
regalo che mi far…, sar… uno scafandro da palombaro."
Gabriel rise nervosamente e si diede un'aggiustatina alla cravatta per
darsi un contegno, mentre zia Kate si piegava quasi in due dal gran
ridere, tanto trovava buffa la cosa. Il sorriso si spense invece
presto sul viso di zia Julia, e i suoi occhi scialbi cercarono quelli
del nipote; poi, dopo una pausa, domand•:
"Ma cosa sono le soprascarpe, Gabriel?"
"Ma Julia!" esclam• sua sorella. "Buon dio, non sai cosa sono? Si
mettono sopra... sopra le altre scarpe, vero Gretta?"
"S," conferm• la moglie di Gabriel. "Roba di gomma. Noi ne abbiamo un
paio per uno. Gabriel dice che tutti le portano nel continente."
"Gi…, gi…, nel continente," mormor• zia Julia, annuendo lentamente con
la testa.
Gabriel aggrott• le sopracciglia e disse, come se fosse leggermente
seccato:
"Non sono niente di straordinario, ma Gretta ci trova tanto da ridere;
dice che il nome le ricorda certi menestrelli."
"Ma dimmi, Gabriel," fece zia Kate cambiando abilmente discorso, "vi
sarete certo preoccupati di trovare una stanza per stanotte. Gretta
stava giusto dicendo..."
"Per la camera Š tutto a posto," rispose Gabriel. "Ne ho prenotata una
al Gresham."
"Sicuro," osserv• zia Kate, "Š la miglior cosa che potevate fare. E
per i bambini, Gretta, sei in pensiero?"
"Be', per una notte..." rispose la signora Conroy. "E poi c'Š Bessie
con loro."
"Sicuro," ripet‚ ancora zia Kate. "Che tranquillit… avere una ragazza
di quel tipo, una su cui poter contare! Prendete per esempio Lily, non
so proprio cosa le sia capitato da un po' di tempo a questa parte, ma
non Š pi— la stessa."
Gabriel stava per fare qualche domanda alla zia sull'argomento, ma
questa si interruppe improvvisamente per seguire con lo sguardo la
sorella che, sporgendo il collo dalla ringhiera, si era avviata gi—
per le scale.
"Me lo sai dire, tu," disse quasi con stizza, "dove sta andando Julia?
Julia! Julia! Dove vai?"
Julia, che si trovava a met… tra un piano e l'altro, torn• indietro e
annunci• blanda:
"Ecco Freddy."
In quel momento un battimani e un virtuosismo finale del pianista
annunciarono la fine del valzer. La porta della sala si apr
dall'interno, e uscirono alcune coppie. Svelta svelta, zia Kate tir•
Gabriel in disparte e gli sussurr• all'orecchio:
"Va gi— un momento, Gabriel, da bravo, e vedi un po' in che stato Š.
Non lasciarlo salire, se Š ubriaco. Lo sar… certamente, me lo sento."
Gabriel si diresse verso le scale e si mise in ascolto alla ringhiera.
Gli giungevano le voci di due persone che parlavano nello sgabuzzino.
Poi riconobbe il modo di ridere di Freddy Malins. Scese le scale,
rumorosamente.
"E' un tale sollievo," confid• zia Kate alla signora Conroy, "avere
qui Gabriel. Mi sento sempre pi— tranquilla quando c'Š lui... Julia,
la signorina Daly e la signorina Power forse prenderebbero volentieri
qualcosa... Grazie per il bellissimo valzer, signorina Daly. Un ritmo
magnifico."
Un uomo alto con la faccia grinzosa, baffi duri e brizzolati, di
carnagione bruna, che stava uscendo in quel momento con la sua dama,
disse:
"C'e qualcosa anche per noi, signorina Morkan?"
"Julia," rispose zia Kate laconicamente, "ci sono anche il signor
Browne e la signorina Furlong. Accompagna di l… anche loro, insieme
alla signorina Daly e alla signorina Power."
"Far• da cavaliere alle signore," disse il signor Browne, increspando
le labbra fino ad arricciare i baffi e sorridendo in tutte le sue
rughe. "Sapete, signorina Morkan, per quale motivo le donne vanno
pazze per me..."
Non fin la frase, ma, vedendo che zia Kate non gli dava ascolto,
port• senz'altro le tre signorine nella stanza in fondo. Qui, al
centro, erano stati sistemati due tavoli quadrati uno contro l'altro;
su di essi zia Julia e il portiere stavano stendendo e lisciando ben
bene una grande tovaglia. Su una credenza erano allineati vassoi,
piatti, bicchieri e mazzi di posate. Il coperchio del pianoforte,
abbassato, serviva per appoggiarvi dolci e tartine; vicino a una
credenza pi— piccola, in un angolo, due giovanotti in piedi bevevano
birra.
Il signor Browne diresse l… le sue tre dame e, per scherzo, le invit•
tutte a prendere un ponce per signore: caldo, forte e dolce. Avendo
per• queste dichiarato di non avere l'abitudine di bere bevande
alcooliche, apr per loro tre bottiglie di limonata. Poi chiese a uno
dei giovanotti di spostarsi per favore e, impugnando saldamente la
caraffa, si vers• una generosa dose di whisky. Con sguardo di
deferente ammirazione i due giovanotti lo osservarono, mentre
trangugiava un sorso come assaggio.
"Che Dio mi assista," disse sorridendo. "Ma me l'ha ordinato il
dottore."
Un sorriso ancora pi— ampio gli illumin• la faccia rugosa, e le tre
signorine risero per lo scherzo, facendogli un'eco musicale e
dondolandosi di qua e di l…, mentre le loro spalle erano scosse da
sussulti nervosi. La pi— audace delle tre azzard•:
"Be', be', signor Browne, sono sicura che il dottore non vi ha
prescritto niente del genere."
Browne prese un altro sorso del suo whisky e, con una mossa
caricaturale, prosegu:
"Sapete, sono come la famosa signora Cassidy, nota per aver detto:
'Ora, Mary Grimes, se non lo prendo, fatemelo prendere, perch‚ sento
di averne bisogno.'"
Aveva piegato il viso in avanti un po' troppo confidenzialmente e
preso un forte accento dublinese, tanto che tutt'e tre le signorine,
neppure si fossero messe d'accordo, istintivamente accolsero la frase
in silenzio. La signorina Furlong, una delle allieve di Mary Jane,
chiese alla signorina Daly il titolo del brioso valzer che aveva
eseguito. Il signor Browne, vedendosi ignorato, si rivolse prontamente
ai due giovanotti che sembravano pi— favorevoli ad apprezzarlo.
Una giovane rossa in viso, vestita di viola, si precipit• nella
stanza, battendo le mani eccitata e gridando: "La quadriglia! La
quadriglia!"
Zia Kate le stava alle calcagna, gridando anche lei:
"Due cavalieri e tre dame, Mary Jane!"
"Ecco qua il signor Bergin e il signor Kerrigan," disse Mary Jane.
"Signor Kerrigan volete per dama la signorina Power? Signorina Furlong
posso darvi per cavaliere il signor Bergin? Cos va bene."
"Tre dame, Mary Jane," insistette zia Kate.
I due giovanotti chiesero alle rispettive damigelle se potevano avere
l'onore, e Mary Jane si rivolse alla signorina Daly.
"Signorina Daly, siete stata davvero tanto cara ad accompagnare questi
due ultimi balli. Ma siamo cos a corto di dame stasera..."
"Ma per carit…, signorina Morkan, non Š il caso."
"Ho per• un simpatico cavaliere per voi, il signor Bartell D'Arcy, il
tenore. Pi— tardi gli chieder• di cantare. Tutta Dublino delira per
lui."
"Una splendida voce, veramente splendida!" interloqu zia Kate.
Poich‚ il piano aveva gi… attaccato due volte le prime note di
accompagnamento, Mary Jane spinse le sue reclute fuori dalla stanza in
fretta. Se ne erano appena andate, che zia Julia entr• piano piano,
guardandosi di tanto in tanto alle spalle.
"Cosa c'Š, Julia?" fece zia Kate ansiosa. "Chi c'Š?"
Julia, che reggeva sulle braccia una pila di tovaglioli, si rivolse
alla sorella e rispose, semplicemente, come se la domanda l'avesse
sorpresa:
"Soltanto Freddy, Kate, insieme con Gabriel."
Infatti, proprio dietro a lei si vedeva Gabriel che pilotava Freddy
Malins attraverso il pianerottolo. Questi, un uomo sulla quarantina,
era della stessa altezza e corporatura di Gabriel; le sue spalle erano
tonde. Aveva il viso carnoso e pallido, toccato appena da una nota di
colore intorno ai lobi delle orecchie, grossi e pendenti, e alle
estremit… narici; lineamenti grossolani, il naso schiacciato, la
fronte convessa e sfuggente, le labbra tumide e sporgenti. Gli occhi
dalle palpebre grevi e il disordine dei suoi pochi capelli gli davano
un'aria assonnata. Stava ridendo forte e di cuore a proposito di una
storiella che aveva appena finito di raccontare a Gabriel sulle scale
e, nello stesso tempo, si stropicciava l'occhio sinistro con le nocche
del pugno.
"Buonasera, Freddy," disse zia Julia.
Freddy Malins augur• la buona sera alle signorine Morkan in un modo
che, per via del suo singhiozzo cronico, poteva anche sembrare
incurante; poi, vedendo che il signor Browne, gli ammiccava da vicino
alla credenza, attravers• la stanza sulle gambe piuttosto malferme e
si mise a ripetergli, in un tono pi— basso, la storiella che aveva
appena raccontato a Gabriel.
"Non Š poi ridotto tanto male," osserv• zia Kate, rivolta a Gabriel.
Gabriel aveva la fronte corrugata, ma subito la spian• e rispose: "Ma
certo, si nota appena."
"Che tipaccio!" riprese la zia. "E pensare che quella buona donna di
sua madre glielo aveva fatto promettere la sera di Capodanno. Ma
avanti, Gabriel, vieni in sala."
Prima di lasciare la stanza con Gabriel, richiam• l'attenzione del
signor Browne aggrottando le sopracciglia e scuotendo l'indice in
segno di avvertimento. Il signor Browne fece un cenno con la testa in
risposta e, quando se ne fu andata, disse a Freddy Malins:
"Su, Freddy, ti verser• un buon bicchiere di limonata, quello che ci
vuole per rimetterti in sesto."
Freddy Malins, che si stava avvicinando al punto culminante del
racconto, rifiut• l'offerta con un gesto di impazienza, ma il signor
Browne, dopo aver richiamato la sua attenzione sul vestito in
disordine, riemp un bicchiere di limonata fino all'orlo e glielo
porse. La mano sinistra di Freddy Malins accett• meccanicamente il
bicchiere, mentre la destra, con gesto altrettanto meccanico, era
intenta al riordino del vestito. Il signor Browne, al quale l'allegria
accentuava ancora di pi— le rughe del viso, si vers• un bicchiere di
whisky, mentre Freddy Malins esplodeva, prima di aver raggiunto il
culmine della storiella, in una risata rauca e acuta e, posato il
bicchiere intatto e traboccante sulla credenza, ricominciava a
strofinarsi l'occhio sinistro con le nocche del pugno, ripetendo le
parole dell'ultima frase, per quanto il riso convulso glielo
permetteva.

Gabriel non riusciva a stare attento, mentre Mary Jane eseguiva il suo
pezzo da concerto, pieno di scale e di passaggi difficili, di fronte a
un pubblico silenzioso. Amava la musica, ma quel pezzo mancava di
melodia per lui, e dubitava che ne avesse anche per gli altri, anche
se avevano tanto pregata Mary Jane di suonare qualcosa. Quattro
giovanotti che, richiamati dalla musica, avevano lasciato la sala da
rinfresco e si erano avvicinati fermandosi sulla porta, se ne erano
andati via di soppiatto, due alla volta, dopo pochi minuti. Le sole
persone che sembravano seguire la musica erano Mary Jane, le cui mani
scorrevano sulla tastiera o si alzavano nelle pause come quelle di una
sacerdotessa in una momentanea invocazione, e zia Kate che le stava al
fianco per girare le pagine.
Gli occhi di Gabriel, abbagliati dal riflesso del pesante lampadario
sul pavimento lucidato a cera, vagavano sulla parete sopra il piano,
dove era appeso un quadro raffigurante la scena del balcone della
"Giulietta e Romeo". Vicino a questo quadro ce n'era un altro,
ricamato da zia Julia con lane rosse, blu e marroni quando era
ragazza, che rappresentava i due giovani uccisi nella Torre.
Probabilmente nella scuola che avevano frequentato da giovinette quel
lavoro era il frutto di un anno di insegnamento. Anche sua madre gli
aveva fatto, come dono per un compleanno, un panciotto di moerro viola
lavorato a piccole teste di volpe con profili di seta marrone e
bottoni rotondi a forma di more. Era strano che sua madre non avesse
avuto nessun talento musicale, sebbene zia Kate la considerasse il
cervello della famiglia Morkan. Tanto lei che Julia si erano sempre
dimostrate molto orgogliose di quella sorella seria e matronale. C'era
la sua fotografia davanti alla specchiera: aveva un libro aperto sulle
ginocchia e indicava qualcosa a Costantine che, vestito alla marinara,
era accovacciato ai suoi piedi. Era stata lei a scegliere i nomi dei
figli, perch‚ era molto sensibile alla dignit… della vita familiare.
Grazie a lei, Costantine era ora curato a Balbriggan, e Gabriel aveva
preso la sua brava laurea all'universit…. Un'ombra gli pass• sul viso
ricordando la testarda opposizione della madre al suo matrimonio.
Frasi di disprezzo da lei pronunciate gli erano ancora impresse nella
memoria: una volta aveva parlato di Gretta come di una contadina
furba, e questo non era per niente vero. E pensare che era stata
proprio Gretta ad assisterla durante la sua ultima lunga malattia,
nella casa di Monkstown.
Si rese conto che Mary Jane doveva essere vicina a finire perch‚
ripeteva la melodia iniziale con volate di scale dopo ogni battuta, e,
mentre aspettava che la musica terminasse, il risentimento gli si
spense in cuore. Il brano si chiuse con un trillo di ottave negli
acuti e una forte ottava finale nel basso. Uno scroscio di applausi
salut• Mary Jane, mentre, arrossendo e arrotolando nervosamente la
musica, scappava via dalla stanza. Il battimani pi— fragoroso fu
quello dei quattro giovanotti che si erano allontanati verso la sala
da rinfresco ai primi accordi e che erano ricomparsi sulla soglia non
appena il piano aveva smesso di suonare.
Si combinarono i lancieri. Gabriel capit• in coppia con la signorina
Ivors: una ragazza franca, loquace, con il viso lentigginoso e con gli
occhi scuri e sporgenti. Indossava un corpetto accollato: sul davanti
aveva appuntata una grossa spilla su cui erano incisi un emblema e un
motto irlandesi.
Una volta sistemati ai loro posti, la ragazza disse improvvisamente:
"Mi dovete una spiegazione."
"Io?" fece Gabriel.
Lei annu con gravit….
"Di che si tratta?" chiese Gabriel, sorridendo di quell'aria solenne.
"Chi Š G.C.?" domand• di rimando la signorina Ivors, piantandogli gli
occhi addosso.
Gabriel arross e stava per aggrottare la fronte, come se non avesse
capito, quando lei disse brusca:
"Non fate l'ingenuo! Ho scoperto che scrivete per il 'Daily Express'.
Non vi vergognate?"
"Perch‚ dovrei vergognarmi?" chiese Gabriel, battendo le palpebre e
cercando di sorridere.
"Allora mi vergogner• io per voi," continu• la signorina Ivors con
franchezza. "Pensare che scrivete per un giornale simile. Non credevo
che foste un anglofilo."
Il viso di Gabriel prese un'aria perplessa. Era vero che ogni
mercoled scriveva per il "Daily Express" una colonna di critica
letteraria, che gli veniva pagata quindici scellini; ma questo non era
certo sufficiente a fare di lui un anglofilo. I libri, per i quali
doveva fare la recensione, lo interessavano molto di pi— di quel
misero assegno: amava sentirsi sotto le dita le copertine e sfogliare
le pagine dei libri appena finiti di stampare. Quasi ogni giorno,
terminate le lezioni al collegio, se ne andava a vagabondare sul
lungofiume nelle botteghe di libri usati: da Hickey sulla Bachelor
Walk, da Webb o da Massey sull'Alston Quay, o da O'Clohissey nel
vicolo vicino. Non sapeva come comportarsi di fronte all'accusa della
ragazza. Era tentato di dirle che la letteratura era al di sopra della
politica. Ma erano amici di vecchia data, e anche nella vita le loro
strade erano sempre state parallele, prima all'universit… e poi come
insegnanti: non poteva arrischiare una frase troppo d'effetto con lei.
Continu• perci• a sbattere le palpebre, a cercare di sorridere e a
mormorare debolmente che non ci vedeva nessuna relazione con la
politica, nella recensione di libri.
Quando venne il loro turno di attraversare, era ancora perplesso e
distratto. La signorina Ivors, pronta, lo afferr• per la mano con una
stretta calda e gli sussurr• in tono tenero e amichevole:
"Naturalmente stavo solo scherzando. Venite, tocca a noi portarci
dall'altra parte."
Quando si trovarono di nuovo insieme, la signorina Ivors prese a
parlare sul problema dell'universit…, e Gabriel si sent pi— a suo
agio. Un'amica le aveva mostrato la sua recensione sulle poesie di
Browning. Cosi aveva scoperto il segreto; ma l'articolo le era
piaciuto. Molto. Poi improvvisamente disse:
"Oh, signor Conroy, perch‚ non venite anche voi alle isole Aran
quest'estate? Ci fermeremo l… un mese. Sar… meraviglioso, laggi—
sull'Atlantico; dovete venire. Ci vengono anche il signor Clancy, il
signor Kilkelly e Kathleen Kearney. Sara splendido anche per Gretta,
se ci verr…. E' di Connacht, no?"
"La sua famiglia, s," rispose Gabriel laconicamente.
"Ma ci verrete, vero?" disse con trasporto la signorina Ivors
posandogli sul braccio la mano calda.
"Il fatto Š," cominci• a dire Gabriel, "che ho gi… combinato di
andare..."
"Dove?" chiese la signorina Ivors.
"Vi dir•... ogni anno combiniamo un giro in bicicletta, siamo un
gruppetto di amici e cos..."
"Ma dove?" insistette la ragazza.
"Di solito andiamo in Francia, nel Belgio o magari in Germania,"
precis• Gabriel goffamente.
"E perch‚ andate in Francia o nel Belgio," chiese la signorina Ivors,
"invece di visitare il vostro paese?"
"Da una parte," fece Gabriel, "per rimanere in esercizio con le lingue
e dall'altra tanto per cambiare."
"Non avete la vostra lingua con la quale fare esercizio: l'irlandese?"
chiese la signorina Ivors.
"Se ci tenete tanto a saperlo," rispose Gabriel, "l'irlandese non Š la
mia lingua."
Le coppie vicine si erano girate ad ascoltare il battibecco: Gabriel
guardava a destra e a sinistra nervosamente e cercava di mantenersi di
buon umore nonostante la prova che lo faceva arrossire fino alla
radice dei capelli.
"E non avete il vostro paese da visitare," continu• la signorina
Ivors, "di cui non sapete niente, la vostra gente e la vostra terra?"
"A dire la verit…," le rispose per le rime Gabriel, "sono stufo del
mio paese, ne ho fin sopra i capelli!"
"Perch‚?" insistette la signorina Ivors.
Gabriel non ribatt‚, perch‚ l'improvviso sfogo gli aveva fatto salire
il sangue alla testa.
"Perch‚?" fece di nuovo la signorina Ivors.
Nella danza si era arrivati alla figura delle visite, e, poich‚ non le
aveva risposto, la ragazza scatt• vivacemente:
"Naturale, non sapete che cosa rispondere."
Gabriel cerc• di mascherare l'agitazione, buttandosi anima e corpo
nella danza. Evitava lo sguardo di lei, perch‚ le aveva notato in viso
una espressione di contrariet…. Ma quando si ritrovarono nella catena
fu sorpreso di sentirsi stringere forte la mano. La signorina Ivors lo
guard• per un istante da sotto in su con aria beffarda, finch‚ lui le
sorrise. Poi, proprio nel momento in cui la catena stava per
riprendere, si alz• in punta di piedi e gli bisbigli• all'orecchio:
"Anglofilo!"
Terminata la danza, Gabriel si allontan• verso un angolo appartato
della stanza dove sedeva la madre di Freddy Malins, una donnona
anziana e malandata con i capelli bianchi, nella cui voce, come in
quella del figlio, si sentiiva una specie di singhiozzo; inoltre
balbettava un po'. Era gi… stata informata dell'arrivo di Freddy e che
era quasi in perfetta efficienza. Gabriel le chiese se aveva fatto una
buona traversata: viveva a Glasgow con la figlia sposata e veniva a
Dublino una volta all'anno. Rispose placida che la traversata era
stata ottima e che il capitano si era preso molta cura di lei. Parl•
anche della bella casa della figlia a Glasgow e di tutti gli amici che
avevano l…. Mentre la signora Malins continuava il suo balbetto,
Gabriel provava a cacciare dalla mente ogni ricordo dello spiacevole
incidente con la signorina Ivors. Naturalmente la ragazza, o donna o
che altro fosse, era una fanatica, ma ogni cosa a suo tempo. Forse da
parte sua non avrebbe dovuto risponderle in quel modo. Ma lei aveva il
diritto di chiamarlo anglofilo davanti alla gente, sia pure per gioco?
Aveva cercato di renderlo ridicolo davanti a tutti, facendogli delle
domande imbarazzanti e fissandolo con quegli occhi da coniglio.
Vide sua moglie farsi strada tra le coppie di ballerini e venire verso
di lui. Dopo averlo raggiunto, gli sussurr•:
"Gabriel, zia Kate vuole sapere se taglierai tu l'oca, come al solito.
La signorina Daly taglier… il prosciutto e io il 'pudding'."
"Va bene," disse Gabriel.
"Mander… avanti nella sala da rinfresco i giovani, non appena finito
questo valzer, cos avremo tutto il tavolo per noi."
"Stavi ballando?" le chiese Gabriel.
"Certo. Non mi hai visto? Che battibecco hai avuto con Molly Ivors?"
"Nessun battibecco. Perch‚? Te lo ha detto lei?"
"Qualcosa del genere. Sto cercando di convincere quel signor D'Arcy a
cantare; ma mi sembra tanto pieno di s‚."
"Non c'Š stato nessun battibecco," continu• Gabriel. "Voleva soltanto
che partecipassi a una vacanza nell'Irlanda occidentale, e le ho
risposto che non ne avevo voglia."
Sua moglie batt‚ le mani eccitata e fece un saltino.
"Andiamoci, Gabriel!" disse forte. "Ci terrei tanto a rivedere
Galway."
"E vacci, se vuoi!" ribatt‚ Gabriel freddo.
Gretta lo guard• per un attimo, poi rivolta alla signora Malins
comment•:
"Che maritino gentile, eh, signora Malins?"
Mentre si allontanava di nuovo attraverso la stanza, la signora
Malins, senza rendersi conto dell'interruzione, continu• imperterrita
a raccontare a Gabriel quali posti magnifici e splendidi paesaggi
c'erano in Scozia. Suo genero le portava ogni anno sui laghi, dove
andavano a pesca. Era un pescatore nato, suo genero. Una volta aveva
preso un pesce eccezionale, e il cuoco dell'albergo l'aveva cucinato
per pranzo.
Gabriel ascoltava appena quello che stava dicendo. Adesso che si
avvicinava l'ora di cena, ricominciava a pensare al suo discorso e
alle citazioni. Quando vide Freddy Malins attraversare la stanza in
direzione della madre, Gabriel gli lasci• libera la sedia e si ritir•
nel vano della finestra. La sala era gi… stata sgombrata, e dalla
stanza in fondo arrivava un rumore di piatti e di posate. Quelli che
erano rimasti l in sala avevano l'aria di essere stanchi di ballare.
Chiacchieravano tranquillamente in gruppetti. Le dita calde e tremanti
di Gabriel tamburellavano sul freddo vetro della finestra. Che freddo
doveva esserci fuori! Come sarebbe stato piacevole camminare solo
solo, prima in riva al fiume e poi attraverso il parco! La neve doveva
essersi posata sui rami degli alberi e aver formato un cappuccio
splendente in cima al monumento di Wellington. Quanto pi— piacevole
sarebbe stato trovarsi l… che non al tavolo della cena!
Ripass• mentalmente il discorso per grandi capi: l'ospitalit…
irlandese, i tristi ricordi, le tre Grazie, Paride, la citazione del
Browning. Si ripet‚ una frase che aveva scritto nell'articolo: "Si ha
la sensazione di ascoltare una musica tormentata di pensiero". La
signorina Ivors ne aveva fatto le lodi. Era sincera? Aveva
effettivamente una vita propria dietro tutto quello zelo di
propaganda? Non c'erano mai stati malintesi tra loro fino a quella
sera: lo rendeva nervoso l'idea che sarebbe stata l… a tavola a
fissarlo, mentre parlava, con quegli occhi critici e ironici. Forse
non le sarebbe dispiaciuto vederlo far fiasco. Gli venne un'idea che
gli diede coraggio. Avrebbe detto, alludendo alle zie: "Signore e
Signori! La generazione che si avvia al declino pu• aver avuto i suoi
torti, ma secondo me aveva certe doti di ospitalit…, spirito e
umanit…, che mi sembra manchino alla nuova, serissima e supereducata
generazione che ci vediamo crescere sotto gli occhi". Benissimo: una
frecciatina per la signorina Ivors. Che cosa gliene importava se le
sue zie erano soltanto due vecchie ignoranti?
Un mormorio in sala attir• la sua attenzione. Dalla soglia veniva
avanti il signor Browne scortando galantemente zia Julia, che,
appoggiata al suo braccio, sorrideva e chinava il capo. Una salva di
applausi la scort• fino al pianoforte e poi gradualmente cess•, mentre
Mary Jane si sedeva sullo sgabello, e zia Julia, senza pi— sorridere,
faceva una semirotazione col busto per dare modo alla sua voce di
espandersi uniformemente per il locale. Gabriel riconobbe il preludio,
era quello di una vecchia canzone di zia Julia: "Ornata per le nozze".
La sua voce, forte e chiara di tono, attacc• con grande brio i
gorgheggi che ne abbellivano l'aria e, pur cantando molto rapidamente,
non dimentic• nessuna, neanche la pi— piccola, fioritura. Ad ascoltare
quella voce, senza guardare il viso della cantante, si aveva la
sensazione di condividere l'ebbrezza di un volo rapido e sicuro.
Gabriel applaud forte con gli altri alla fine del pezzo, e un
caloroso applauso part anche dalla tavolata, nascosta alla vista,
nella stanza di fondo. Sembrava cos spontaneo, che un po' di colore
si diffuse sul volto di zia Julia, mentre si chinava a riporre nello
scaffale il vecchio libro di canzoni rilegato in cuoio, sulla cui
copertina erano impresse le sue iniziali. Freddy Malins, che aveva
ascoltato con la testa piegata da un lato per sentire meglio,
continuava ad applaudire, quando tutti gli altri avevano gi… smesso, e
a parlare animatamente con sua madre, che assentiva con la testa
lentamente e con gravit…. Alla fine, quando fu stanco di battere le
mani, si alz• di scatto, attravers• rapidamente la stanza dirigendosi
verso zia Julia, le afferr• una mano e la tenne tra le sue
scuotendola, come faceva quando gli mancavano le parole, o quando il
singhiozzo lo metteva a dura prova.
"Stavo giusto dicendo a mia madre," disse, "che non vi ho mai sentito
cantare cos bene, proprio mai. Davvero, la vostra voce non mi Š mai
sembrata cos bella come stasera. Vi prego di credermi, Š la verit….
Sulla mia parola d'onore, proprio la verit…. La vostra voce non Š mai
suonata al mio orecchio cos fresca e cos... limpida e fresca,
mai..."
Zia Julia fece un largo sorriso e mormor• qualcosa a proposito dei
complimenti, mentre svincolava la mano dalla sua stretta. Il signor
Browne tese la mano aperta verso di lei e disse a coloro che gli
stavano vicinoo, come fa un imbonitore che presenta un prodigio al
pubblico:
"La signorina Julia Morkan, la mia ultima scoperta!"
Stava ridendo di cuore di questa sua battuta, quando Freddy Malins si
gir• verso di lui e gli disse:
"Be', Browne, a parte gli scherzi, poteva davvero andarvi peggio come
scoperta. Quello che io posso dire Š che non l'ho mai sentita cantare
cos bene da quando vengo qui; stasera Š di gran lunga al di sopra
delle sue migliori tradizioni. E' la pura e semplice verit…."
"Neanch'io l'ho mai sentita cantare tanto bene," fece il signor
Browne. "Per me la sua voce Š migliorata molto."
Zia Julia alz• le spalle e disse con timido orgoglio:
"Trent'anni fa non era poi cos male la mia voce."
"Ho detto spesso a Julia," intervenne con enfasi zia Kate, "che era
semplicemente sprecata in quel coro. Ma lei non mi ha mai voluto dare
ascolto."
Si gir• come per far appello al buonsenso degli altri di fronte a una
bambina capricciosa, mentre zia Julia guardava dritto davanti a s‚: un
vago sorriso di ricordi le aleggiava sul viso.
"No," continuo zia Kate. "non volle sentir consigli o lasciarsi
guidare da nessuno, continuando a lavorare come una schiava in quel
coro, giorno e notte, notte e giorno. Anche il giorno di Natale
sveglia alle sei! E tutto questo a che scopo?"
"Be', a maggior gloria di Dio, ti pare, zia Kate?" disse Mary Jane,
rigirandosi sullo sgabello del piano e sorridendo.
Zia Kate si gir• inferocita verso la nipote e ribatt‚:
"So benissimo anch'io quel che riguarda la gloria di Dio, Mary Jane,
ma penso che non sia bello da parte del Papa cacciare via le donne dai
cori, dopo che ci hanno sudato tutta la vita, e dare il loro posto a
dei ragazzini di poco conto. Lo far… di sicuro per il bene della
Chiesa, ma non Š giusto, Mary Jane, non Š giusto."
Si era molto infervorata e avrebbe continuato in difesa della sorella,
perch‚ era un argomento scottante per lei, ma Mary Jane, notando che
tutti i ballerini erano ritornati, le si rivolse in tono conciliante.
"Via, zia Kate, stai dando scandalo al signor Browne che propende
dall'altra parte."
Zia Kate si gir• verso il signor Browne, che si era messo a
sogghignare a questa allusione alla sua religione, e disse in fretta:
"Non mi permetto certo di giudicare l'operato del Papa. Non sono altro
che una vecchietta ignorante e non voglio avere la presunzione di fare
una cosa simile; ma non c'Š cosa pi— grande della gentilezza e della
gratitudine nella vita di tutti i giorni. Se fossi in Julia glielo
direi chiaro e tondo a quel Padre Healey."
"D'altra parte, zia Kate," osserv• Mary Jane, "abbiamo tutti fame, e
si sa che quando si ha fame si Š pi— irascibili."
"E anche quando si ha sete," aggiunse il signor Browne.
"Be', allora faremmo meglio a metterci a tavola," concluse Mary Jane,
"e a finire dopo la discussione."
Sul pianerottolo, davanti alla sala da ricevimento, Gabriel trov• sua
moglie e Mary Jane che tentavano di convincere la signorina Ivors a
rimanere a cena. Ma la signorina Ivors, che si era gi… messa il
cappello e si stava abbottonando il soprabito, non voleva restare. Non
sentiva affatto appetito e aveva gi… fatto pi— tardi del previsto.
"Ma Š questione di dieci minuti, Molly," osserv• la signora Conroy.
"Non saranno proprio questi a farti far tardi."
"Giusto il tempo di prendere un boccone," intervenne Mary Jane, "con
tutto il ballare che hai fatto!"
"Davvero non posso," rispose la signorina Ivors.
"Temo che tu non ti sia divertita affatto," dichiar• Mary Jane con
aria sconsolata.
"Al contrario, non mi sono mai divertita tanto," insistette la
signorina Ivors. "Ma adesso dovete proprio lasciarmi scappare."
"Ma come fai ad andare a casa?" chiese la signora Conroy.
"Sono soltanto due passi da qui al lungofiume." Gabriel esit• un
momento, poi disse:
"Se permette, signorina Ivors, vi accompagner• a casa, se proprio
dovete andarvene."
Ma la signorina Ivors si era gi… allontanata da loro con mossa rapida.
"Non ne parlate nemmeno," grid•. "Per l'amor di Dio, cenate in santa
pace e lasciatemi perdere. So badare benissimo a me stessa."
"Sei un tipo ben strano, Molly!" osserv• la signora Conroy con
franchezza.
"Beannacht libh!" grid• la signorina Ivors con una risata correndo gi—
per le scale.
Mary Jane la segu con lo sguardo e con una espressione tra seccata e
imbarazzata dipinta sul viso, mentre la signora Conroy si sporgeva
dalla ringhiera per ascoltare richiudersi la porta d'ingresso. Gabriel
si chiese se non fosse lui la causa di quella brusca partenza. Ma non
sembrava di cattivo umore, se ne era andata ridendo. Guard• gi— per le
scale distrattamente.
In quel momentozia Kate usc barcollando dalla sala da pranzo, quasi
torcendosi le mani dalla disperazione.
"Dov'Š Gabriel?" grid•. "Dove diamine si Š cacciato Gabriel? Sono l…
tutti che aspettano di cominciare, e non c'Š nessuno che tagli l'oca."
"Sono qui, zia Kate!" strill• Gabriel di rimando con improvvisa
animazione. "Pronto a tagliarne un esercito, se necessario."
Un'oca grassa e dorata era stata sistemata a un'estremit… della
tavola, mentre all'altro capo, su uno strato di carta crespata e
rametti di prezzemolo, giaceva un grosso prosciutto gi… privo di
cotenna e cosparso di pane grattugiato, ornato di una bella carta che
ne avvolgeva l'osso, e, vicino al prosciutto, c'era un grosso pezzo di
manzo alle spezie. Tra questi due estremi correvano file parallele di
piatti di contorno; due cupole di gelatina, rossa e gialla; un piatto
basso pieno di blocchi di bianco mangiare e di marmellata rossa; un
vassoio verde a forma di foglia con un manico a stelo, su cui erano
posati grappoli di uva purpurea e mandorle sgusciate; e un altro
uguale, su cui erano collocati, in un solido rettangolo, fichi di
Smirne; un piatto di torta di crema su cui era stata grattugiata della
noce moscata; una coppa ripiena di cioccolatini e altri dolci avvolti
in carta stagnola d'oro e d'argento; infine un vaso di vetro
contenente alcuni lunghi gambi di sedano. Al centro della tavola erano
state sistemate, come sentinelle davanti a un'alzata che sosteneva una
piramide di arance e di mele americane, due panciute caraffe antiche,
di cristallo: una contenente porto e l'altra sherry scuro. Sul
pianoforte chiuso stava aspettando un "pudding" su un enorme piatto
giallo, e dietro erano allineati tre gruppi di bottiglie di birra e di
acqua minerale, disposti secondo il colore della loro etichetta; i
primi due gruppi neri con etichette marroni e rosse; il terzo, pi—
piccolo, bianco a strisce verdi trasversali.
Gabriel si sedette con baldanza a capotavola e, esaminata la lama del
coltello, piant• con mano ferma la forchetta nell'oca. Si sentiva
completamente a suo agio, ora, perch‚ sapeva di essere un esperto
nell'arte di tagliare l'oca, e perch‚ non c'era niente che gli
piacesse di pi— che trovarsi a capo d'una tavola ben imbandita.
"Signorina Furlong, che cosa volete?" chiese. "Un'ala o un po' di
petto?"
"Un pochino di petto, per favore."
"E voi, signorina Higgins?"
"Per me fa lo stesso, signor Conroy."
Mentre Gabriel e la signorina Daly si scambiavano i piatti con l'oca,
il prosciutto e l'arrosto, Lily faceva il giro degli invitati con un
vassoio di patate calde e infarinate, avvolto in un tovagliolo bianco.
L'idea era partita da Mary Jane, ed era stata ancora lei a suggerire
la composta di mele da servirsi con l'oca, ma zia Kate aveva detto che
secondo lei la semplice oca arrosto senza salsa era anche troppo, e si
augurava di non essere mai costretta a mangiar peggio. Mary Jane si
occupava delle sue allieve e aveva cura che prendessero i bocconi
migliori, e zia Kate e zia Julia stappavano e trasferivano dal piano
alla tavola bottiglie di birra chiara e scura per gli uomini e di
acqua minerale per le signore. Se ne faceva di confusione, di risate,
di fracasso con ordini e contrordini, coltelli e forchette, tappi di
sughero e di vetro. Finito il primo giro, Gabriel, senza nemmeno
servirsi, riprese a tagliare altre porzioni, ma si alz• un tale coro
di proteste che dovette scendere a un compromesso e bere un buon sorso
di birra, perch‚ aveva fatto una bella fatica. Mary Jane si era messa
a sedere tranquilla davanti al suo piatto, ma zia Kate e zia Julia
stavano ancora trotterellando intorno alla tavola pestandosi i piedi,
intralciandosi il passo e dandosi reciprocamente degli ordini che
venivano ignorati dall'altra. Il signor Browne le invit• a sedersi e a
mangiare in santa pace; altrettanto fece Gabriel, ma loro dissero che
di tempo ce n'era, e cos alla fine Freddy Malins si alz• e, afferrata
zia Kate, la costrinse a sedersi tra l'ilarit… generale.
Quando tutti ebbero avuto la loro parte, Gabriel disse sorridendo:
"Ora, se qualcuno desidera rimpinzarsi, come volgarmente si dice, si
faccia avanti".
Un coro di voci lo invit• a mettersi a mangiare anche lui mentre Lily
veniva verso di lui con tre patate che gli avevano messo da parte.
"Benissimo," fece Gabriel amabilmente, mentre prendeva, come
aperitivo, un altro sorso di birra. "Signori e signore, per piacere,
per qualche minuto dimenticatevi di me."
Si chin• sul piatto e non prese parte alla conversazione con la quale
i commensali coprivano il rumore che Lily faceva nel rimuovere i
piatti. Il discorso puntava sulla compagnia lirica che stava allora
recitando al Royal Theatre. Il signor Bartell D'Arcy, il tenore, un
giovanotto di carnagione bruna, dai baffetti appuntiti, apprezzava
moltissimo il primo contralto, ma la signorina Furlong trovava che
aveva un gioco scenico volgare. Freddy Malins disse che c'era un capo
trib— negro, che cantava nella seconda parte del balletto, che aveva
una delle pi— belle voci tenorili che avesse mai sentito.
"L'avete sentito?" chiese al signor Bartell D'Arcy, che era dall'altro
lato della tavola.
"No," rispose questi con tono noncurante.
"Perch‚," spieg• Freddy Malins, "sarei proprio curioso di sentire la
vostra opinione su di lui, penso abbia una voce magnifica."
"Ci vuole proprio il nostro Teddy per scovare quello che
effettivamente vale," osserv• familiarmente il Browne, rivolgendosi a
tutta la tavolata.
"E perch‚ non dovrebbe avere una buona voce?" chiese Freddy Malins in
tono acido. "Soltanto perch‚ Š un negro? "
Nessuno rispose, e Mary Jane riport• la conversazione sull'opera in
generale. Una delle sue allieve le aveva dato un biglietto per la
"Mignon". Naturalmente era bellissima, disse, ma le ricordava la
povera Georgina Burns. Il signor Browne poteva risalire ancora pi— in
l…, alle vecchie compagnie italiane che erano solite venire a Dublino,
Tietjens, Ilma de Murzka, Campanini, il grande Trebelli, Giuglini,
Ravelli, Aramburo. Quelli s che erano tempi, osserv•, quando a
Dublino si poteva sentir cantare in un modo simile. Raccont• anche di
come era gremito ogni sera il loggione del vecchio Royal, di come un
tenore italiano fosse stato bissato e avesse dovuto ripetere ben
cinque volte l'aria "Lasciatemi cader come un soldato" salendo ogni
volta al do di petto, e di come a volte i giovani nel loro entusiasmo
avessero staccato i cavalli dalla carrozza di qualche famosa prima
donna e l'avessero portata in trionfo per le strade fino al suo
albergo.
"Perch‚ non si danno pi— le grandi opere di una volta?" chiese.
"'Dinorah' e la 'Lucrezia Borgia'? Perch‚ non ci sono pi— voci che le
sappiano cantare, ecco perch‚."
"Quanto a questo," osserv• il signor Bartell D'Arcy, "penso che ci
siano anche al giorno d'oggi dei cantanti altrettanto bravi."
"E dove sono? " chiese il signor Browne in tono di sfida.
"A Londra, Parigi, Milano," ribatt‚ Bartell D'Arcy con calore. "A mio
parere, per esempio, Caruso Š perlomeno sul piano, se non su uno
superiore, di tutti quelli che avete nominato voi."
"Pu• darsi," disse Browne, "ma permettetemi di avere dei forti dubbi."
"Ah, darei qualsiasi cosa per sentire cantare Caruso!" dichiar• Mary
Jane.
"Per me," intervenne zia Kate che aveva appena finito di rosicchiare
un osso. "Non c'era che un tenore, che mi piacesse, intendo, ma ho
paura che nessuno di voi l'abbia mai sentito nominare."
"Che nome ha, signorina Morkan?" chiese cortesemente il signor Bartell
D'Arcy.
"Si chiamava Parkinson," rispose zia Kate. "Quando lo ascoltai era nel
suo momento migliore, e penso che avesse la pi— pura voce di tenore
che mai uomo abbia avuto."
"Strano," fece Bartell D'Arcy. "Il suo nome mi giunge nuovo. "
"S, s, la signorina Morkan ha ragione," disse Browne. "Ricordo di
aver sentito nominare anch'io il vecchio Parkinson, ma si risale a
tempi un po' troppo lontani per me."
"Un bel tenore inglese, puro, una voce dolce e melodiosa," disse zia
Kate con entusiasmo.
Dato che Gabriel aveva finito, l'enorme "pudding" venne portato in
tavola, e il tintinnio di forchette e cucchiai ricominci•. La moglie
di Gabriel versava delle cucchiaiate di "pudding" e passava i piatti
lungo la tavola. A met… strada Mary Jane li tratteneva per riempirli
di gelatina di lamponi e d'arancia, di bianco mangiare o di
marmellata. Era stata zia Julia a fare il "pudding" e ne fu lodata
all'unanimit…. Secondo lei non era venuto abbastanza brunito.
"Be', spero, signorina Morkan," disse Browne, "di essere abbastanza
bruno per voi, perch‚, come sapete, lo sono di nome e di fatto."
Tutti gli uomini, eccetto Gabriel, mangiarono un po' di "pudding" per
riguardo a zia Julia. Siccome Gabriel non mangiava mai dolci, gli
avevano lasciato del sedano. Anche Freddy Malins prese un gambo di
sedano e lo mangi• col pudding. Gli avevano detto che era portentoso
per il sangue, e lui era proprio in cura dal medico. La signora
Malins, che era rimasta silenziosa per tutta la cena, disse che il
figlio sarebbe andato a Mount Melleray di l a una settimana o poco
pi—. Allora tutti presero a parlare di Mount Melleray, dell'aria pura
che c'era e dei monaci che non chiedevano mai un centesimo per la loro
ospitalit….
"Non vorrete darmi a intendere," disse Browne incredulo, "che si pu•
andare l… e installarsi come all'albergo, mangiare, bere e dormire, e
poi venirsene via senza sborsare un soldo!"
"La maggior parte della gente, venendo via, fa un'offerta per il
monastero," precis• Mary Jane.
"Vorrei che anche nella nostra Chiesa ci fosse un'istituzione del
genere," dichiar• il signor Browne candidamente.
Rimase stupito del fatto che i monaci non parlassero, si alzassero
alle due del mattino e dormissero in una bara: domand• il perch‚ di un
simile comportamento.
"E' la regola," rispose zia Kate con fermezza.
"S, ma perch‚?" insistette Browne.
Zia Kate ripet‚ che era la regola, ecco tutto; e, dato che il signor
Browne non sembrava aver afferrato bene il concetto, Freddy Malins gli
spieg•, come meglio poteva, che a quel modo i monaci intendevano far
penitenza per le colpe di tutti i peccatori del mondo. La spiegazione
non fu molto chiara, perch‚ il signor Browne fece una risatina ironica
e disse:
"L'idea mi va molto a genio, ma un letto confortevole e molleggiato
non farebbe altrettanto al caso loro della bara?"
"La bara," precis• Mary Jane, "ha lo scopo di ricordare loro
l'inevitabile fine."
Il discorso si faceva lugubre e perci• venne lasciato cadere nel
silenzio generale, durante il quale si sent la signora Malins
bisbigliare al suo vicino, sottovoce e in tono indistinto:
"Brava gente, i monaci, molto religiosi!"
Venivano ora serviti uva passa, mandorle, fichi, mele, arance, oltre a
cioccolatini e dolci, e zia Julia invitava gli ospiti a prendere un
bicchierino di porto o di sherry. All'inizio il signor Bartell D'Arcy
rifiut• sia l'uno che l'altro, ma il suo vicino gli diede un colpetto
col gomito e gli sussurr• qualcosa all'orecchio, dopo di che si lasci•
riempire il bicchiere senza protestare. Gradualmente, mentre gli
ultimi bicchieri venivano riempiti, la conversazione cess•. Segu una
pausa, rotta solo dal gorgogliare del vino e dal rumore di sedie
smosse. Le signorine Morkan, tutt'e tre, tenevano gli occhi bassi
sulla tovaglia. Qualcuno toss una volta o due, e poi alcuni uomini
batterono leggermente e con garbo sulla tavola, a mo' di segnale,
perch‚ si facesse silenzio. Ottenuto il silenzio, Gabriel spinse
indietro la sedia e si alz•.
I colpetti sulla tovaglia aumentarono di intensit… in segno di
incoraggiamento e poi di colpo smisero. Gabriel appoggi• dieci dita
tremanti sulla tovaglia e sorrise con un po' di nervosismo alla
compagnia. Incontrando una fila di facce alzate verso di lui, punt•
gli occhi in alto al lampadario. Il piano stava suonando un tempo di
valzer, e gli arrivava all'orecchio il fruscio delle gonne contro la
porta della sala. Fuori, forse, sulla neve del lungofiume, la gente
guardava le finestre illuminate e ascoltava la musica. Era pura
l'aria, l… fuori. A distanza si stendeva il parco con gli alberi
carichi di neve, e, sul monumento di Wellington, era posato uno
scintillante cappuccio di neve che luccicava verso ovest, sulla bianca
pianura dei Fifteen Acres.
Cominci•:
"Signore e signori, mi Š toccato in sorte stasera, come in anni
passati, un piacevolissimo compito, per il quale per• temo che le mie
scarse doti di oratore siano del tutto inadeguate."
"No, no," lo interruppe Browne.
"Ma, comunque sia, non posso far altro che chiedervi di apprezzare la
buona intenzione e di prestarmi ascolto per qualche minuto, mentre
tenter• di esprimervi con le parole quello che sento dentro di me in
questo momento.
Signore e signori, non Š la prima volta che ci riuniamo sotto questo
tetto ospitale e attorno a questa ospitale tavola, n‚ Š la prima volta
che siamo l'oggetto, o forse sarebbe meglio dire le vittime,
dell'ospitalit… di certe care signore di nostra conoscenza."
Fece un gesto circolare in aria con il braccio e si interruppe. Tutti
risero e sorrisero a zia Kate, zia Julia e Mary Jane, che si erano
fatte tutt'e tre di brace per il piacere, Gabriel prosegu pi— ardito:
"Sento sempre, pi— intensamente ogni anno che passa, che il nostro
paese non ha tradizione che lo onori, e che a sua volta debba
custodire cos gelosamente, come quella dell'ospitalit…. Tradizione
unica, per quanto almeno mi Š dato dire per mia esperienza personale
(e non sono pochi i paesi stranieri da me visitati), tra le nazioni
moderne. Qualcuno potrebbe forse dirmi che si tratta pi— di un difetto
che di qualcosa di cui vantarsi. Anche ammettendolo, Š pur sempre, a
mio avviso, un nobile difetto che mi auguro venga coltivato per molto
tempo ancora tra noi. Di una cosa almeno sono certo: fintanto che
sotto questo tetto abiteranno le care signore sunnominate, e mi auguro
con tutto il cuore che ci• sia per molti e molti anni ancora, la
tradizione della sincera, affabile e gentile ospitalit… irlandese, che
ci Š stata trasmessa dai nostri padri, e che a nostra volta
trasmetteremo ai nostri discendenti, rimarr… viva tra noi."
Un caloroso mormorio di consenso circol• per la tavola. Di colpo si
ricord• che la signorina Ivors non c'era, del modo scortese in cui si
era congedata e riprese, pieno di fiducia in se stesso:
"Signore e signori, una nuova generazione sta crescendo in mezzo a
noi, con nuove idee e nuovi principi. E' seria e entusiasta per queste
nuove idee, e il suo entusiasmo, anche quando Š mal diretto, credo che
sia quasi sempre sincero. Ma noi viviamo in un'epoca scettica e, se
posso usare l'espressione, tormentata; e qualche volta ho paura che
questa nuova generazione, educata o supereducata com'Š, sia priva di
quelle doti di umanit…, ospitalit… e di buon umore, caratteristiche
dei tempi andati. Ascoltando stasera i nomi di tutti quei grandi
cantanti del passato mi Š sembrato, lo confesso, di vivere oggi in
un'era di meno vasti orizzonti. Quei giorni potevano, senza
esagerazione, essere definiti spaziosi; e se sono passati senza
possibilit… di ritorno, auguriamoci almeno di parlarne ancora con
orgoglio e affetto in incontri come questo e manteniamo nel cuore il
culto di quei grandi scomparsi, la cui fama il mondo non lascer…
perire."
"Bene, bene!" esclam• forte il signor Browne.
"Ma," continu• Gabriel dando alla voce una inflessione pi— dolce,
"sempre, in riunioni come questa, i tristi ricordi affiorano alla
nostra mente: memorie del passato, della giovinezza, dei cambiamenti,
dei visi scomparsi di cui sentiamo stasera la mancanza. Il nostro
cammino sulla terra Š cosparso di molti tristi ricordi, e se dovessimo
indugiarvi sempre, non troveremmo il coraggio di continuare come si
deve la nostra opera tra i vivi. Abbiamo tutti dei doveri e degli
affetti terreni, che reclamano, e a ragione, i nostri pi— strenui
sforzi.
"Perci• non mi soffermer• sul passato e non lascer• che malinconiche
considerazioni moralistiche si insinuino tra noi stasera. Siamo qui
riuniti per un breve momento, lontano dal trambusto e dagli affanni
della vita quotidiana. Ci siamo incontrati da amici, nello spirito di
una sincera amicizia, da colleghi anche, in un certo senso, nel vero
spirito di cameratismo, e come ospiti delle, come potrei chiamarle?
delle tre Grazie del mondo musicale di Dublino."
A questa allusione, tutti scoppiarono a ridere e applaudirono.
Inutilmente zia Julia chiedeva a turno ai suoi vicini di ripetere
quello che Gabriel aveva detto.
"Dice che siamo le tre Grazie, zia Julia," le spiego Mary Jane.
Zia Julia non cap, ma alz• gli occhi, sorridendo, su Gabriel, che
continu• sullo stesso tono:
"Non prover• a recitare stasera la parte che sostenne Paride in altra
occasione; ne oser• scegliere tra loro. Sarebbe un compito troppo
arduo e superiore alle mie povere forze. Quando le guardo, sia che si
tratti della principale padrona di casa, il cui buon cuore, troppo
buono, Š diventato proverbiale fra tutti coloro che la conoscono, o di
sua sorella che sembra avere il dono dell'eterna giovinezza, e le cui
doti canore sono certamente state una sorpresa e una rivelazione per
tutti noi stasera; o ultima, ma non da meno, se considero la pi—
giovane ospite, intelligente, allegra, laboriosa e la migliore delle
nipoti, vi confesso, signore e signori, che non so proprio a chi dare
la palma."
Gabriel abbass• lo sguardo sulle zie e, scorgendo un largo sorriso sul
viso di zia Julia e delle lacrime negli occhi di zia Kate, si affrett•
a concludere. Alz• cavallerescamente il suo bicchiere di porto, mentre
tutti gli altri aspettavano col bicchiere in mano, e disse ad alta
voce:
"Brindiamo dunque a tutt'e tre insieme. Beviamo alla loro salute,
benessere, lunga vita, felicit…, prosperit… e affinch‚ per molti anni
ancora possano continuare a mantenere con orgoglio il posto
conquistato nella professione, oltre a quello di onore e di affetto
che tengono nei nostri cuori."
Tutti gli invitati si alzarono in piedi, il bicchiere in mano, e si
girarono verso le tre signore che erano rimaste sedute, cantando in
coro sotto la direzione del signor Browne:

"Poich‚ son bravi ragazzi
poich‚ son bravi ragazzi
poich‚ son bravi ragazzi
il che nessun potr… negar."

Zia Kate faceva apertamente uso del fazzoletto e anche zia Julia aveva
l'aria commossa. Freddy Malins batteva il tempo con la forchetta del
"pudding", e tutti si giravano l'uno verso l'altro, quasi in melodioso
conversare, mentre cantavano con enfasi:

"A meno ch'egli menta
a meno ch'egli menta."

Poi, volgendosi di nuovo verso le padrone di casa, ripresero il
ritornello:

"Poich‚ son bravi ragazzi
poich‚ son bravi ragazzi
poich‚ son bravi ragazzi
il che nessun potr… negar."

L'acclamazione che segu venne ripetuta, varie volte, dietro la porta
della sala da molti altri ospiti, mentre Freddy Malins continuava a
fare da direttore d'orchestra con la forchetta alzata.

L'aria pungente del mattino entrava nell'anticamera dove si erano
raggruppati, tanto che zia Kate disse:
"Qualcuno chiuda la porta, per piacere; altrimenti la signora Malins
si buscher… un malanno."
"C'Š Browne di fuori, zia Kate," fece notare Mary Jane.
"Quel Browne Š sempre dappertutto," comment• zia Kate, abbassando la
voce.
Mary Jane rise del suo tono.
"Certo," disse maliziosamente, "Š molto assiduo."
"Ti si appiccica alle costole e non c'Š modo di toglierselo di torno
finch‚ durano le feste," riprese zia Kate nello stesso tono.
Questa volta rise anche lei di buon umore e poi aggiunse in fretta:
"Be', ma digli di venire dentro, Mary Jane, e chiudi la porta.
Speriamo che non mi abbia sentito."
In quel momento la porta si spalanc•, e Browne rientr• ridendo a
crepapelle. Indossava un lungo pastrano verde con i risvolti dei polsi
e il collo di finto astrakan e aveva in testa un berretto ovale, pure
di pelo. Indic• il lungofiume, tutto coperto di neve, da dove arrivava
il suono di un acuto e prolungato fischio.
"Teddy richiamer… tutte le carrozze di Dublino," disse.
Gabriel venne avanti dallo sgabuzzino dietro la dispensa, infilandosi
a fatica il soprabito e, guardandosi intorno, chiese:
"Ma Gretta non Š ancora scesa?"
"Si sta preparando, Gabriel," rispose zia Kate.
"Chi Š che suona di sopra?" chiese Gabriel.
"Nessuno; se ne sono andati tutti."
"No, zia Kate," intervenne Mary Jane. "Bartell D'Arcy e la signorina
O'Callaghan non se ne sono ancora andati. "
"Comunque c'Š qualcuno che strimpella," ripet‚ Gabriel.
Mary Jane lanci• un'occhiata sia a Gabriel che al signor Browne e
disse rabbrividendo:
"Mi viene freddo a vedervi cos imbacuccati. Non mi piacerebbe essere
nei vostri panni e dover affrontare la strada per tornare a casa a
quest'ora."
"Niente mi piacerebbe di pi— in questo momento," interloqu Browne,
"che fare una bella passeggiata in campagna o una corsa veloce in
carrozza con un bel cavallino focoso tra le stanghe."
"A casa nostra avevamo un buon cavallo e una carrozza," disse zia
Julia tristemente.
"L'indimenticabile Johnny," precis• Mary Jane ridendo.
Anche zia Kate e Gabriel si misero a ridere.
"Che cosa aveva di speciale questo Johnny?" chiese il signor Browne.
"Il compianto Patrick Morkan, cioŠ nostro nonno," spiego Gabriel,
"comunemente noto negli ultimi anni della sua vita come il 'vecchio
signore,' era un fabbricante di colla."
"Ma veramente, Gabriel," interloqu zia Kate ridendo, "si trattava di
amido."
"Be', colla o amido che fosse," riprese Gabriel, "il vecchio signore
aveva un cavallo di nome Johnny; e Johnny lavorava al mulino, girando
intorno per farlo andare. Fin qui tutto bene, ma ora viene il dramma.
Un bel giorno il vecchio signore pens• che gli sarebbe piaciuto
uscirsene in carrozza da vero gentiluomo per assistere a una rivista
militare nel parco."
"Dio abbia misericordia della sua anima," comment• zia Kate
compassionevole.
"Amen," complet• Gabriel. "Cos il vecchio signore, come dicevo, bard•
Johnny, si mise il cilindro e il colletto duro migliori; poi usc in
pompa magna dalla magione avita che, se non sbaglio, era dalle parti
di Back Lane."
Tutti scoppiarono a ridere, perfino la signora Malins, del tono di
Gabriel, e zia Kate disse:
"Scusa sai, Gabriel, non abitava a Back Lane; c'era solo il mulino
l…."
"Lasciata dunque la casa dei suoi padri, se ne part con Johnny. Tutto
and• a meraviglia, finch‚ Johnny arriv• davanti alla statua di re
Billy e l…, o che si sia innamorato del cavallo sul quale stava in
sella re Billy, o che abbia creduto di essere ritornato al mulino, sta
di fatto che cominci• a girare attorno alla statua."
Gabriel con le sue soprascarpe descrisse, a passettini, un cerchio
attorno all'anticamera tra l'ilarit… degli altri.
"Continuava a girare in tondo," continu• Gabriel, "e il vecchio
gentiluomo, che ci teneva molto alla sua dignit…, era molto indignato.
'Va avanti! Che ti succede? Johnny! Johnny! Che comportamento
bizzarra! Non lo si conosce mai abbastanza il cavallo!'."
Lo scoppio di risa, che segu all'imitazione di Gabriel
dell'incidente, fu interrotto da un violento bussare alla porta di
ingresso. Mary Jane si precipito ad aprire e introdusse Freddy Malins
che, col cappello ben calzato sulla nuca e le spalle curve per il
freddo, sbuffava e ansimava per le fatiche fatte.
"Non sono riuscito a trovare che una carrozza," dichiar•.
"Be', noi ne troveremo un'altra sul lungofiume," disse Gabriel.
"S," intervenne zia Kate. "E' meglio non tenere qui la signora Malins
in mezzo alla corrente."
La signora Malins venne aiutata a scendere i gradini da suo figlio e
da Browne e, dopo molte manovre, fu issata in carrozza. Freddy Malins
sal su dopo di lei e perse moltissimo tempo a sistemarla, mentre il
signor Browne lo aiutava con dei consigli. Finalmente, quando la
signora fu ben sistemata, Freddy Malins invit• Browne a salire anche
lui. Tra complimenti e altro sprecarono un bel po' di tempo in
chiacchiere, finch‚ Browne sal a sua volta. Il vetturino si avvolse
la coperta attorno alle gambe e si chin• per chiedere l'indirizzo. Si
cre• ancora pi— confusione di prima, perch‚ Freddy Malins e Browne,
ciascuno dei quali aveva messo la testa fuori da un finestrino, davano
indicazioni diverse. La difficolt… era di stabilire in quale punto
della strada far scendere Browne, e zia Kate, zia Julia e Mary Jane
partecipavano alla discussione dalla soglia di casa, indicando vie
traverse, contraddicendo e facendosi un sacco di risate. Freddy Malins
non poteva nemmeno pi— parlare dal gran ridere: non faceva che ficcare
dentro e fuori la testa dal finestrino ogni minuto, con grave rischio
per il suo cappello, e riferire a sua madre gli sviluppi della
discussione. Finalmente Browne grid• al vetturino sbalordito,
dominando il frastuono delle risate:
"Sapete dov'e il Trinity College?"
"Sissignore," assent il cocchiere.
"Bene, andate senz'altro fino ai cancelli del Trinity College",
riprese Browne, "e l… vi diremo che direzione prendere. Chiaro?"
"Perfettamente, signore."
"Di carriera al Trinity College, dunque!"
"Bene, signore."
Il vetturino fece schioccare la frusta, e la carrozza si avvi• con
gran fracasso per il lungofiume tra un coro di risate e di saluti.
Gabriel non era uscito sulla porta con gli altri. Se ne stava in una
zona buia dell'anticamera, con gli occhi rivolti alle scale. C'era una
donna lass—, in cima alla prima rampa, in ombra anche lei. Non
riusciva a vederne il viso, ma vedeva le strisce verticali rosa
salmone e mattone, che l'ombra faceva sembrare bianche e nere. Era sua
moglie: si appoggiava alla balaustra e ascoltava qualcosa. Fu sorpreso
di quella immobilit… e a sua volta tese l'orecchio in ascolto. Ma pot‚
udire ben poco oltre il rumore delle risate e della discussione sulla
porta: alcuni accordi del pianoforte e poche note d'una voce d'uomo
che cantava.
Indugi• ancora nella penombra dell'anticamera, cercando di afferrare
il motivo della canzone e guardando sua moglie. C'era grazia e mistero
nel suo atteggiamento, come se fosse simbolo di qualcosa. Si chiese di
che cosa potesse mai essere simbolo una donna in piedi sulle scale
nell'ombra, in ascolto di una musica lontana. Se fosse stato un
pittore l'avrebbe ritratta in quell'atteggiamento: il cappello di
feltro turchino avrebbe dato risalto ai suoi capelli colore del bronzo
sullo sfondo buio, e le strisce scure della sua gonna avrebbero fatto
spiccare quelle chiare. "Musica lontana" avrebbe intitolato il quadro,
se fosse stato pittore.
La porta d'ingresso si chiuse, e zia Kate, zia Julia e Mary Jane
rientrarono, sempre ridendo.
"E' proprio tremendo quel Freddy," osserv• Mary Jane. "Davvero
tremendo!"
Gabriel non disse niente, ma indic• la scala verso il punto dove stava
la moglie. Ora che la porta era stata chiusa si potevano sentire pi—
distintamente sia la voce che il piano. Gabriel fece segno con la mano
alle zie e a Mary Jane di tacere. Sembrava una canzone di vecchio
stile irlandese, e il cantante non sembrava molto sicuro n‚ delle
parole n‚ della sua voce; una voce che, resa lamentosa dalla distanza
e dalla raucedine del cantante, illuminava debolmente il motivo con
espressioni di dolore:

"Oh, la pioggia cade sulla mia chioma greve
e la rugiada bagna il mio corpo,
il mio bambino giace freddo..."

"Oh," esclam• Mary Jane, "Š Bartell D'Arcy che canta; e pensare che
non ha voluto farlo tutta la sera. Gli far• cantare qualcosa prima che
se ne vada."
"S, s, chiediglielo, Mary Jane," fece zia Kate.
Mary Jane pass• davanti agli altri e corse verso le scale, ma, prima
che avesse potuto raggiungerle, il canto si interruppe, e si sent il
secco richiudersi del piano.
"Che peccato!" fece ad alta voce Mary Jane. "Sta scendendo, Gretta?"
Gabriel sent la risposta affermativa di sua moglie e la vide scendere
verso di loro. Pochi passi pi— indietro venivano D'Arcy e la signorina
O'Callaghan.
"Oh, signor D'Arcy," grid• Mary Jane, "Š stata proprio una cattiveria
quella di troncare cos bruscamente, mentre vi stavamo tutti ad
ascoltare in estasi."
"Ho insistito tutta la sera," intervenne la signorina O'Callaghan, "e
anche la signora Conroy, ma ci ha detto di avere un fortissimo
raffreddore e di non poter cantare."
"Signor D'Arcy," interloqu zia Kate, "ci avete proprio dato da bere
una grossa bugia."
"Ma non sentite che sono rauco come una cornacchia?" disse
sgarbatamente D'Arcy.
Si diresse in fretta verso lo sgabuzzino e si infil• il soprabito. Gli
altri, annichiliti di fronte a una reazione cosi scortese, non
riuscivano ad articolare parola. Zia Kate corrug• la fronte e fece
segno agli altri di lasciar stare. D'Arcy si stava avvolgendo
accuratamente una sciarpa intorno al collo e aveva un'aria torva.
"Dipende dal tempo," disse zia Julia dopo una pausa.
"Gi…, ce l'hanno tutti il raffreddore," aggiunse pronta zia Kate.
"Proprio tutti."
"Dicono," dichiar• Mary Jane, "che da trent'anni non si vedeva tanta
neve. Ho letto stamattina sul giornale che nevica in tutta l'lrlanda."
"Mi piace la neve," disse zia Julia con tristezza.
"Anche a me," disse la signorina O'Callaghan. "Natale non sembra
nemmeno Natale se non c'Š la neve."
"Forse il signor D'Arcy non la penser… come noi," comment• zia Kate
sorridendo.
D'Arcy, tutto imbacuccato e avvolto nel cappotto, in tono pentito
raccont• loro la storia del suo raffreddore. Gli diedero tutti il loro
consiglio, dissero che era un vero peccato e gli raccomandarono di
avere cura della sua gola e di riguardarsi dall'aria della notte.
Gabriel osservava la moglie, che non partecipava alla conversazione;
stava in piedi sotto il lucernario polveroso, e la fiamma del gas le
accendeva il ricco bronzo dei capelli, che le aveva visto far
asciugare al fuoco pochi giorni prima. Era nello stesso atteggiamento
e sembrava ignorare i discorsi che si facevano intorno a lei. Alla
fine si gir• verso di loro, e Gabriel vide che aveva le guance
arrossate, e che gli occhi le brillavano. Un improvviso balzo di gioia
gli si sprigion• al cuore.
"Signor D'Arcy," ella chiese, "qual Š il titolo della canzone che
cantavate?"
"'La ragazza di Aughrim'," rispose D'Arcy. "Ma non me lo ricordo
proprio esattamente. Perch‚? La conoscete?"
"'La ragazza di Aughrim'," lei ripet‚. "Non riuscivo a ricordarne il
nome."
"E un motivo molto grazioso," osserv• Mary Jane. "Peccato che non
eravate in forma con la voce questa sera."
"Su, Mary Jane," intervenne zia Kate, "non annoiare il signor D'Arcy.
Non vorrei proprio che si fosse annoiato."
Visto che tutti erano pronti ad andarsene, li diresse verso la porta
dove si scambiarono la buonanotte.
"Buonanotte, zia Kate, e grazie della bella serata."
"Buonanotte, Gabriel. Buonanotte, Gretta!"
"Buonanotte, zia Kate, e ancora grazie. Buonanotte, zia Julia."
"Buonanotte, Gretta, non ti avevo visto."
"Buonanotte, signor D'Arcy. Buonanotte, signorina O'Callaghan."
"Buonanotte, signorina Morkan."
"Buonanotte."
"Buonanotte a tutti e buon viaggio."
"Buonanotte, buonanotte."
Era ancora buio; una luce opaca e giallastra sostava sulle case e sul
fiume, il cielo sembrava incombere su di loro. La neve si scioglieva
sotto i piedi, e ne restavano solo delle chiazze e delle strisce sui
tetti, sui parapetti e sulle inferriate. Le lampade bruciavano ancora
rossastre nell'oscurit…, e, al di l… del fiume, il Palazzo di
Giustizia si alzava minaccioso contro il cielo plumbeo.
Gretta gli camminava davanti insieme a Bartell D'Arcy; portava sotto
il braccio le scarpette da ballo avvolte in un foglio di carta marrone
e con le mani teneva rialzata da terra la gonna perch‚ non si
infangasse. Non aveva pi— nessuna grazia nell'atteggiamento, ma gli
occhi di Gabriel brillavano ancora di felicit…. Il sangue gli scorreva
rapido nelle vene, e pensieri audaci, allegri, teneri e orgogliosi gli
si affacciavano alla mente.
Gli camminava davanti leggera e diritta, tanto che sentiva il
desiderio di correrle dietro senza far rumore, afferrarla per le
spalle e sussurrarle qualche sciocchezza affettuosa all'orecchio. Gli
sembrava cos fragile che avrebbe voluto difenderla, non sapeva
nemmeno lui da cosa, e poi restare solo con lei. Istanti della loro
vita segreta gli brillavano come stelle nella memoria. Una busta color
eliotropio era sistemata vicino alla tazzina della colazione, e lui
l'accarezzava con la mano; fuori gli uccelli cinguettavano in mezzo
all'edera, e la trama della tendina illuminata da un raggio di sole
rifletteva sul pavimento una luminosa striscia tremula; non riusciva a
mangiare tanto era felice. Stavano insieme sulla piattaforma
affollata, e lui le infilava il biglietto nel palmo caldo, sotto il
guanto. E ancora, erano insieme nel freddo e guardavano attraverso una
grata un uomo che soffiava delle bottiglie in una fornace ruggente;
era una giornata gelida, il viso di lei, fragrante nell'aria fredda,
era vicinissimo al suo, e ricordava di aver gridato di colpo all'uomo
della fornace:
"Ehi, Š caldo il fuoco?"
Ma quello non poteva sentire per via del rumore. Dopotutto era un
bene: avrebbe anche potuto rispondergli male.
Un'ondata di gioia ancora pi— tenera gli si sprigion• dal cuore e si
mise a scorrergli per le vene sotto forma di sangue caldo. Uguali alle
fiammelle delle stelle, momenti della loro vita comune, che nessuno
conosceva o avrebbe mai conosciuto, gli illuminarono la mente come
sprazzi di luce. Si struggeva dal desiderio di ricordarle quei
momenti, di farle dimenticare gli anni della vita piatta di tutti i
giorni e farle ricordare solo i momenti di estasi. Perch‚ gli anni, lo
sentiva, non avevano ucciso l'anima n‚ in lui n‚ in lei. I figli, il
suo lavoro al giornale, e per Gretta i problemi della casa, non
avevano spento il tenero fuoco delle loro anime. In una lettera che le
aveva scritto in quel tempo le aveva detto: "Perch‚ mai parole come
queste mi sembrano cos inefficaci e fredde? Forse perch‚ non c'Š nome
che suoni abbastanza dolce per essere il tuo?".
Come musica lontana queste parole che aveva scritto tanti anni prima
gli rinascevano dal passato. Voleva rimanere solo con lei. Quando gli
altri se ne fossero andati, quando fossero stati nella camera
dell'albergo, finalmente sarebbero stati soli, loro due insieme.
L'avrebbe chiamata piano:
"Gretta!"
Forse non lo avrebbe sentito subito, intenta a spogliarsi. Poi
qualcosa nel tono della sua voce l'avrebbe scossa, si sarebbe girata e
lo avrebbe guardato...
All'angolo di Winetavern Street trovarono una carrozza. Fu contento
del rumore che faceva perch‚ si sent libero dall'obbligo di
conversare. Lei guardava fuori dal finestrino e sembrava stanca. Anche
gli altri parlavano poco: solo poche parole per indicare qualche
edificio o una strada. Il cavallo trotterellava stanco sotto il cielo
buio del mattino, tirandosi dietro la sua vecchia carrozza, e Gabriel
di nuovo si ritrovava in carrozza con lei, col cavallo lanciato al
galoppo per arrivare in tempo al battello; al galoppo verso la loro
luna di miele.
Mentre la carrozza passava sull'O'Connell Bridge, la signorina
O'Callaghan disse:
"Sembra che non si possa attraversare questo ponte senza vedere un
cavallo bianco."
"Questa volta vedo un uomo bianco," disse Gabriel.
"Dove?" chiese Bartell D'Arcy.
Gabriel indic• la statua chiazzata di neve. Poi le fece familiarmente
un cenno con la testa e agit• la mano in segno di saluto.
"Buona notte, Dan," disse allegramente.
Quando la carrozza si ferm• davanti all'albergo, Gabriel salto gi— e,
nonostante le proteste di Bartell D'Arcy, pag• il vetturino,
lasciandogli uno scellino di mancia. Quello salut• e disse:
"Felice anno, signore!"
"Altrettanto a voi," ricambi• Gabriel cordialmente.
Lei gli si appoggi• un momento al braccio per scendere dalla vettura e
anche mentre, ferma sul marciapiede, augurava la buona notte agli
altri. Gli si appoggiava leggermente al braccio, come poche ore prima,
quando aveva ballato con lui. In quel momento si era sentito
orgoglioso e felice, felice che fosse sua, orgoglioso della sua grazia
e della sua femminilit…. Ma adesso, con tutti i ricordi che si erano
riaccesi in lui, il primo contatto col suo corpo armonioso, strano e
profumato, gli faceva provare un forte stimolo di lussuria. Protetto
dal silenzio di lei, le prese una mano stringendosela forte contro il
fianco e, quando si trovarono di fronte alla porta dell'albergo, sent
che erano fuggiti dalla vita e dai doveri quotidiani, fuggiti da casa
e dagli amici per correre insieme, con i cuori spensierati e
raggianti, verso una nuova avventura.
Un vecchio era appisolato su un'enorme poltrona nell'atrio. Accese una
candela in dispensa e fece loro strada su per le scale. Lo seguivano
in silenzio, il rumore dei passi attutito dai folti tappeti. Lei
saliva dietro al portiere, con la testa china, le esili spalle curve
come sotto un peso, e la gonna stretta intorno alle gambe. Avrebbe
potuto cingerle i fianchi con le braccia e stringerla ancora, perch‚
le sue braccia tremavano di desiderio e soltanto conficcandosi le
unghie nel palmo delle mani riusciva a controllare l'impeto selvaggio
del suo corpo. Il portiere si ferm• sulle scale per sistemare meglio
la candela che smoccolava, e anche loro si fermarono sui gradini
dietro a lui. Nel silenzio Gabriel poteva sentire le gocce di cera
cadere sul piattello e i battiti del cuore nel petto.
Il portiere li guid• lungo un corridoio e apr una porta. Poi appoggi•
la candela traballante sulla toletta e chiese a che ora desiderassero
essere svegliati.
"Alle otto," rispose Gabriel."
Il portiere indic• l'interruttore della luce elettrica e cominci• a
scusarsi balbettando qualcosa, ma Gabriel tagli• corto:
"Non ci serve nessuna luce. Ne arriva abbastanza dalla strada. Anzi,"
aggiunse puntando il dito sulla candela, "portatevi via quel
bell'arnese, su, da bravo."
Il portiere si riprese la candela, con gesto lento, perch‚ era rimasto
stupito da un'idea tanto strampalata. Poi, augur• borbottando la buona
notte e se ne and•. Gabriel fece scattare la serratura dall'interno.
La luce spettrale di un lampione dalla finestra si allungava in una
striscia fino alla porta. Gabriel gett• soprabito e cappello su un
divano e attravers• la stanza dirigendosi verso la finestra. Guardava
in strada per riprendersi un po' dall'emozione. Poi si gir• e si
appoggi• al cassettone, volgendo le spalle alla luce. Anche lei si era
tolta cappello e mantello e, in piedi davanti a una grande specchiera,
stava slacciandosi il corpetto. Gabriel rimase zitto per alcuni
istanti, osservandola, poi le disse:
"Gretta!"
Lentamente lei si allontan• dallo specchio e si diresse verso di lui
lungo la fascia di luce. Aveva un'aria cos seria e affaticata che
Gabriel non riusc a dire parola. No, non era ancora il momento.
"Hai l'aria stanca," le disse.
"Un po' lo sono," rispose lei.
"Ma non ti senti mica male, vero?"
"No, Š solo stanchezza; nient'altro."
Si avvicin• alla finestra e rimase l… a guardare fuori. Gabriel
aspett• ancora e poi, temendo che la timidezza lo sopraffacesse, disse
improvvisamente:
"A proposito, Gretta..."
"Che cosa?"
"Lo conosci quel poveraccio di Malins," disse in fretta.
"Be', che c'Š?"
"Poveraccio, Š un buon diavolo in fondo," continu• Gabriel con una
nota falsa nella voce. "Mi ha restituito quella sterlina che gli avevo
prestato, e, a dire la verit…, non me l'aspettavo. E' un vero peccato
che non sappia stare alla larga da quel Browne, perch‚ non Š davvero
cattivo."
Ora stava tremando per la tensione. Perch‚ lei aveva quell'aria cos
distratta? Non sapeva come cominciare. Forse anche lei era tormentata
da qualcosa? Se solo si fosse rivolta a lui e gli fosse venuta vicino
spontaneamente. Prenderla cos sarebbe stato brutale. No, doveva prima
vedere un po' di ardore nei suoi occhi. Voleva averla vinta su quel
suo strano umore.
"Quando gli hai prestato quella sterlina?" gli chiese lei, dopo una
pausa.
Gabriel fece uno sforzo su se stesso per trattenersi dall'esplodere in
una serie di parolacce contro quell'ubriacone di Malins e la sua
sterlina. Sentiva il bisogno di gridarle qualcosa dal profondo
dell'anima, di stringere al suo il corpo di lei, di dominarla. Invece
disse:
"Oh, a Natale, quando apr quel negozietto di cartoleria in Henry
Street."
Si sentiva la febbre addosso, una febbre di rabbia e di desiderio
tanto che non la sent avvicinarsi alla finestra. Se ne stette dritta
per un attimo davanti a lui, guardandolo stranamente. Poi,
d'improvviso, alzandosi sulla punta dei piedi e, appoggiandogli
delicatamente le mani sulle spalle, lo baci•.
"Sei molto generoso, Gabriel," gli disse.
Gabriel, tremante di gioia, per il suo improvviso bacio e per la
stranezza della frase, le pos• le mani sui capelli e comincio ad
accarezzarli all'indietro, toccandoli appena con le dita. L'averli
lavati da poco li aveva resi morbidi e lucenti. Il cuore gli
traboccava di felicit…. Proprio nel momento in cui pi— lo desiderava,
lei era venuta da lui spontaneamente. Forse i loro pensieri avevano
seguito lo stesso corso, forse lei aveva sentito il suo impetuoso
desiderio, e poi si era fatta arrendevole. Adesso che era venuta da
lui con tanta facilit…, si chiedeva perch‚ si fosse sentito cosi
sfiduciato. Rimase immobile tenendole la testa tra le mani. Poi,
passandole rapido un braccio intorno alla vita, l'attir• a s‚ e le
disse con tenerezza:
"Gretta, cara, a che cosa pensi?"
Non gli rispose n‚ si abbandon• completamente all'abbraccio. Le ripet‚
ancora dolcemente:
"Dimmi che c'Š, Gretta. Credo di indovinare di che cosa si tratta,
no?"
Non gli rispose subito. Poi, scoppiando in lacrime, disse:
"Sto pensando a quella canzone: 'La ragazza di Aughrim'." Si sciolse
dalla stretta, corse verso il letto e, gettando le braccia sulla
spalliera, nascose il viso. Gabriel, per lo stupore, rimase come
impietrito per un istante e poi la segu. Passando davanti alla
specchiera, vi sorprese la propria immagine riflessa per intero, il
davanti della sua ampia camicia ben steso sopra il petto, il viso, la
cui espressione lo metteva sempre in imbarazzo quando si guardava allo
specchio, e il luccicho degli occhiali dalla montatura dorata. Si
ferm• a pochi passi da lei e le disse:
"E che cosa c'Š in quella canzone? Perch‚ ti fa piangere?"
Sollev• la testa dalle braccia e si asciug• gli occhi col dorso della
mano come una bambina. La voce di Gabriel prese un tono pi— gentile di
quanto effettivamente fosse nelle sue intenzioni, mentre le chiedeva:
"Perch‚, Gretta?"
"Mi ricorda una persona che la cantava tanto tempo fa."
"E chi era quella persona?" chiese Gabriel sorridendo.
"Una persona che avevo conosciuto dalla nonna quando stavo a Galway,"
rispose.
Il sorriso spar dal viso di Gabriel. Una sorda collera cominci• ad
accumularsi di nuovo in fondo alla sua mente, e un sordo ardore di
lussuria riprese a bruciargli rabbioso nelle vene.
"Qualcuno di cui eri innamorata, naturalmente?" chiese ironico.
"Era un giovinetto quando lo conobbi," rispose lei, "si chiamava
Michael Furey. Cantava spesso quella canzone: 'La ragazza di Aughrim'.
Era molto delicato."
Gabriel taceva. Non voleva che lei pensasse che il ragazzo delicato lo
interessasse.
"Mi sembra ancora di vederlo," riprese Gretta dopo un momento. "Con
quegli occhi grandi, scuri! E che espressione avevano, che
espressione!"
"Ne sei proprio innamorata, eh?" disse Gabriel.
"Facevamo spesso delle passeggiate insieme," precis• lei, "quando ero
a Galway."
Un pensiero attravers• la mente di Gabriel.
"Forse Š per questo che volevi andare a Galway con quella Ivors?"
chiese freddamente.
Lo guard• con stupore.
"E perch‚?"
I suoi occhi gli diedero un senso di disagio. Si strinse nelle spalle.
"Che ne so io? Forse per vederlo."
Distolse gli occhi da lui e in silenzio li rivolse verso la finestra,
lungo la striscia luminosa.
"E' morto," disse dopo un bel po'. "E' morto a soli diciassette anni.
Non Š terribile morire cos giovani?"
"Che cosa faceva?" chiese Gabriel, ancora ironicamente.
"Era impiegato presso l'azienda del gas," rispose lei.
Gabriel si sent umiliato della cattiva riuscita della sua ironia e
per aver evocato lo spirito di quel ragazzo morto, un ragazzo
impiegato presso l'azienda del gas. Mentre lui era tutto preso dal
ricordo della loro vita intima, pieno di tenerezza, di gioia e di
desiderio, lei, nella sua mente, lo aveva paragonato a un altro. La
coscienza di ci• che lui era in realt… lo assal, e ne sent vergogna.
Si vide come un individuo ridicolo che faceva da galoppino alle zie,
un nervoso, ben intenzionato, sentimentale, che faceva discorsi alla
plebaglia e che idealizzava i propri bassi istinti, quell'essere fatuo
e miserevole, che aveva intravvisto nello specchio. Istintivamente
gir• ancora di pi— le spalle alla luce per paura che lei potesse
accorgersi della vergogna che gli bruciava la fronte.
Si sforz• di sostenere il suo tono di fredda interrogazione, ma la sua
voce, quando parl•, era umile e indifferente.
"Penso che ne fossi innamorata di questo Michael Furey, Gretta,"
disse.
"Stavamo molto insieme, allora," osserv• lei.
La sua voce era velata e triste. Gabriel, sentendo quanto inutile
sarebbe stato ormai cercare di portarla dove si era riproposto, le
accarezz• la mano e disse, anche lui con tristezza:
"E di che cosa Š morto cos giovane, Gretta? Tubercolosi?"
"Credo sia morto per me," rispose Gretta.
Un vago terrore prese Gabriel a questa risposta, come se, in quell'ora
nella quale aveva sperato di trionfare, un impalpabile e vendicativo
essere gli si csagliasse contro, raccogliendo forze sconosciute contro
di lui nel suo mondo non ben definito. Ma con uno sforzo se ne liber•
e continu• ad accarezzarle la mano. Non le chiese altro, perch‚
sentiva che lei stessa gli avrebbe detto tutto. La sua mano era calda
e umida; non rispondeva al suo tocco, pure continu• ad accarezzarla,
proprio come aveva accarezzato la prima lettera di lei quella mattina
di primavera.
"Era inverno," disse, "anzi il principio dell'inverno, e stavo per
lasciare la casa della nonna per venire qui in collegio. Lui si era
ammalato in quei giorni, l a Galway, e non poteva uscire, tanto che a
Oughterard i suoi genitori erano stati avvertiti. Era alla fine,
dicevano, o qualcosa del genere. Non l'ho mai saputo con precisione."
S'interruppe per un attimo e sospir•.
"Poverino," riprese. "Mi voleva tanto bene ed era un cos caro
ragazzo! Facevamo spesso delle passeggiate insieme, tu sai, Gabriel,
come si fa in campagna. Avrebbe studiato canto, se la scarsa salute
non glielo avesse impedito. Aveva veramente una bella voce, povero
Michael Furey."
"Be', e poi?" fece Gabriel.
"Poi, quando arriv• per me il momento di lasciare Galway per andare in
collegio, era molto peggiorato, tanto che non mi consentirono di
vederlo; allora gli scrissi una lettera dicendogli che andavo a
Dublino e che sarei tornata in estate; speravo allora di trovarlo
migliorato."
Si ferm• ancora un momento per dominare la voce, poi continu•:
"La notte prima che partissi ero in casa della nonna a Nuns Island e
stavo facendo le valige, quando sentii un rumore di sassolini contro
la finestra. Ma i vetri erano tanto bagnati che non mi fu possibile
vedere niente. Allora, cos com'ero, corsi gi— per le scale e dalla
porta posteriore sgattaiolai in giardino; proprio l…, in fondo, trovai
quel povero ragazzo, scosso dai brividi."
"E non gli dicesti di andarsene via?" chiese Gabriel.
"Lo scongiurai di tornarsene a casa subito e gli dissi che sarebbe
morto se fosse rimasto l sotto quella pioggia. Ma mi rispose che non
ci teneva a vivere. Me li rivedo ancora davanti i suoi occhi come
fosse adesso! Era in piedi in fondo al muro, vicino a un albero."
"E torn• a casa?" chiese Gabriel.
"S, se ne and•. Ma era passata appena una settimana da quando ero
entrata in collegio che mor e fu sepolto a Oughterard, il paese dei
suoi. Ah, il giorno che lo seppi, che seppi che era morto!"
S'interruppe, scossa dai singhiozzi, e, sopraffatta dall'emozione, si
butt• a faccia in gi— sul letto, mettendosi a singhiozzare sulla
coperta. Gabriel le tenne la mano un po' pi— a lungo, indeciso, e poi,
non volendo intromettersi nel suo dolore, la lasci• ricadere pian
piano e si diresse lentamente alla finestra.

Si era profondamente addormentata.
Gabriel, appoggiato sul gomito, la guard• per alcuni istanti, senza
rancore, i capelli scomposti e la bocca semiaperta, ascoltandone il
profondo respiro. Dunque c'era un romanzo nella sua vita: un uomo era
morto per lei. Sentiva un'acuta sensazione di pena ora, pensando alla
misera parte che lui, il marito, aveva avuto nella sua vita. La
osservava, mentre dormiva, come se non avessero mai vissuto insieme da
uomo e donna. I suoi occhi curiosi indugiarono a lungo sul suo viso e
sui suoi capelli e, mentre pensava a quella che doveva essere stata
allora, al tempo della sua bellezza di fanciulla, una strana, benevola
piet… per lei gli penetr• nell'anima. Non voleva ammettere neppure con
se stesso che il suo viso non era pi— bello, ma sapeva che non era il
viso per il quale Michael Furey aveva sfidato la morte.
Forse non gli aveva raccontato tutto. Pos• gli occhi sulla sedia su
cui lei aveva gettato alcuni indumenti. Un laccio della sottana
pendeva sul pavimento, uno stivaletto, la cui parte alta era
afflosciata, stava diritto e il compagno gli giaceva di fianco. Si
meravigli• della sua eccitazione di prima. Da dove era nata? Dalla
cena delle zie, dal suo sciocco discorso, dal vino e dal ballare, dal
festoso scambiarsi la buona notte nell'atrio e dal piacere della
passeggiata lungo il fiume sulla neve. Povera zia Julia! Anche lei,
presto, sarebbe stata un'ombra come Patrick Morkan e il suo cavallo.
Glielo aveva letto in faccia per un momento, quando cantava: "Ornata
per le nozze". Presto, forse, si sarebbe trovato seduto nello stesso
salotto, vestito di nero, col cilindro sulle ginocchia. Le imposte
sarebbero state socchiuse, e zia Kate, seduta vicino a lui, piangendo
e soffiandosi il naso, gli avrebbe raccontato come Julia era morta. Si
sarebbe spremuto le meningi per trovare qualche parola che potesse
consolarla e ne avrebbe trovato solo di banali e inutili. S, sarebbe
successo molto presto.
L'aria della stanza gli faceva sentire freddo alle spalle. Si lasci•
scivolare pian piano sotto il lenzuolo e si coric• vicino alla moglie.
A uno a uno sarebbero diventati tutti delle ombre. Meglio passare a
miglior vita baldanzosamente, nel pieno splendore di qualche passione,
piuttosto che appassire e spegnersi lentamente di vecchiaia. Pensava a
come colei che gli giaceva accanto avesse per tanti anni custodito
gelosamente nel cuore l'immagine degli occhi del suo innamorato,
quando le aveva detto che non desiderava vivere. Lacrime generose
riempirono gli occhi di Gabriel. Lui non lo aveva mai provato per
nessuna donna, ma sapeva che un sentimento simile doveva essere amore.
Le lacrime gli salirono pi— abbondanti agli occhi, e, nella
semioscurit…, immagin• di vedere la sagoma di un giovinetto in piedi
sotto un albero gocciolante. Altre figure gli erano vicino. La sua
anima si era avvicinata a quella regione dove abita l'immensa schiera
dei morti. Era consapevole della loro esistenza aerea e incorporea, ma
non poteva afferrarla. La sua stessa identit… svaniva in un grigio
mondo impalpabile: lo stesso solido mondo, in cui questi morti avevano
operato e vissuto, si dissolveva e svaniva.
Un leggero picchiare sui vetri lo fece girare verso la finestra. Aveva
ricominciato a nevicare. Osserv• assonnato i fiocchi, argentei e
scuri, cadere obliquamente contro il lampione. Era tempo per lui di
mettersi in viaggio verso occidente. S, i giornali avevano ragione:
nevicava in tutta l'Irlanda. La neve cadeva su ogni punto dell'oscura
pianura centrale, sulle colline senza alberi, cadeva lenta sulla
palude di Allen e, pi— a ovest, sulle onde scure e tumultuose dello
Shannon. Cadeva anche sopra ogni punto del solitario cimitero sulla
collina dove era sepolto Michael Furey. Si ammucchiava fitta sulle
croci contorte e sulle lapidi, sulle punte del cancelletto, sui roveti
spogli. La sua anima si dissolse lentamente nel sonno, mentre
ascoltava la neve cadere lieve su tutto l'universo, come la discesa
della loro ultima fine, su tutti i vivi e su tutti i morti.








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