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Pasquale Festa Campanile
PER AMORE, SOLO PER AMORE !

La corporazione dei
falegnami di Galilea mi ha invitato a scrivere una memoria sul defunto socio
Giuseppe, autore di una piccola ma utilissima invenzione, perchrimanga
traccia in futuro della sua vita e della sua opera. Mi rendono adatto a questo
compito alcune circostanze, la prima delle quali che so leggere e scrivere.
La seconda questa: sono stato vicino a Giuseppe, come servo e oso dire come
amico, per la maggior parte della sua vita. Non avrmolto da raccontare
perchla vita di Giuseppe stata delle picomuni: ha imparato un mestiere,
si sposato, ha avuto un figlio. Ha anche viaggiato, stato in Egitto, ma
per ragioni indipendente dalla sua volont appena possibile, tornato al
suo paese. Per quanto io non sia abile con la penna come con la parola, mi
accingo volentieri a scrivere perchapprovo il proposito della corporazione.
Credo che a molti piacerebbe, come a me, che ci fosse stato tramandato il nome
di chi ha costruito per primo il fuso per filare o la carrucola per calare il
secchio nel pozzo: che uomini erano, come gli venne l'idea. C'alcunchdi
meraviglioso nell'inventare, simile all'atto della creazione: una cosa che
ancora non c'incomincia a esserci e da quel momento in poi come se ci fosse
stata sempre. Quando lo conobbi, Giuseppe aveva diciott'anni e io una decina
di pi In seguito ad alcune disavventure che non racconter ero capitato a
Betlemme in Giudea, con la sola tunica che avevo addosso, ciosenza un soldo.
Per di pii soldati di Erode mi cercavano, perchassomigliavo tanto a un noto
rubagalline, ladro da stalla e da fattoria, che mi si poteva scambiare per
lui. Trovai un rifugio nella bottega di Ibrahim, un vecchio falegname, in
qualitdi lavoratore dipendente. Cinon significa che egli mi pagasse, ma
solo che dipendevo da lui quanto a liberte sicurezza: egli era arabo e mi
faceva passare per suo cugino. In realtio non sono arabo, ngiudeo e
nemmeno galileo. Mi si crede greco perchil mio nome Socrates, ma mi
sarebbe difficile dimostrare sia che lo sono sia che non lo sono: non ho mai
conosciuto nmio padre nmia madre. Veniva nella bottega di Ibrahim tutti i
pomeriggi un giovane beneducato, di bell'aspetto, che era appunto Giuseppe.
Sembrava il tipo del dilettante, di quelli che vogliono imparare l'arte senza
fatica; e invece lavorava sul serio e imparava rapidamente, spinto da
un'autentica passione per il mestiere. Non passmolto tempo che venni a sapere
tutto di lui: era il figlio minore di un agiato agricoltore dei dintorni, il
venerabile Giacobbe, detto Lacrima d'Oro, perchsi lamentava sempre, del
tempo, della cattiva stagione, dei prezzi alti della semente; e la sua
fattoria sembrava che prosperasse quanto piegli piangeva. Invece di sudare
sui campi l'intera giornata come i suoi fratelli, Giuseppe aveva trovato un
modo onorevole per trascorrere i pomeriggi all'ombra. Quello del contadino non
era mestiere per lui. Dopo che incominciammo a intenderci, cosa che avvenne
quasi subito, mi descriveva con ribrezzo il lavoro dei campi, la fatica, la
monotonia. "Il sudore della fronte, " diceva, "trabocca dalle sopracciglia e
pizzica gli occhi, la polvere s'insinua sotto la tunica. Uno si sente
spossessato del suo corpo, da cui lo separa una patina di acqua salata e di
terra. " Diceva che anche lo spirito abbandona a un certo punto le membra
abbrutite: resta la sensazione della luce sulle palpebre, un barbaglio
incessante, il sole. Sfuggendo al sole, che calcina d'estate i campi e le
strade, Giuseppe provava un senso di liberazione. Inoltre gli piaceva il
legno: guardarlo, toccarlo, aspirare il profumo delle tavole appena tagliate.
Si assopiva qualche volta sulla segatura, e l'odore gli suggeriva sogni
peccaminosi. Quanto sono diversi i gusti degli uomini. A me piace la strada,
che disegna la terra e ci presenta un paesaggio diverso a ogni svolta. Il
vecchio Ibrahim detto Numero Uno, non perchsia un uomo straordinario ma
perchstato il primo (e l'unico) arabo a stabilirsi in citt affermava che
nel nostro lavoro di falegnami c'era soprattutto il piacere di trasformare il
legno inerte, di dargli una forma e quasi una vita. Secondo Giacobbe niente
supera la gioia di affondare un seme nella terra e vederne nascere una piantina.
Giuseppe non era d'accordo: diceva che la natura fa tutto da sola e al contadino
tocca soltanto servirla. Percigli piaceva, come a Ibrahim, costruire un
oggetto qualunque, inseguendo il sogno d'inventarne uno completamente nuovo.
Quando ne aveva voglia: la sua principale occupazione non era infatti quella
d'imparare il mestiere di falegname. Perdeva molto tempo a causa delle ragazze:
s'incantava con la pialla in mano e si capiva dal suo sorriso che andava
pensando a Rut o a Rebecca. Cito queste due percha quel tempo erano per
generale consenso le pibelle della citt ma ce n'erano parecchie altre.
Giuseppe sognava di amare tutte quelle che pensavano a lui. Erano tante, belle
e brutte: anche donne sposate, pronte ad affrontare il rischio di essere
lapidate "con pietre ntroppo grandi ntroppo piccole", ciche la pena
corrente per le adultere. Giuseppe era bello: pieno di riccioli scuri, chiaro

di pelle e con gli occhi marrone, mi ricordava le statue nude di adolescenti
che avevo visto in Grecia e in altri paesi. In Giudea, dove era proibito
dipingere o scolpire immagini a causa della gelosia di Dio, le donne non
potevano certo riferirsi a modelli simili che giustificassero la loro
ammirazione per Giuseppe. Era come se il giovanotto combaciasse con un
personaggio sognato e mai incontrato, con un'idea della bellezza e dell'amore:
ispirava una tenerez za appassionata e gelosa, un sentimento da amante e
damadre. Ho udito io stesso una persona seria, la vedova dell'esattore delle
imposte, donna giin lcon gli anni e non facile a commuoversi, dire a
un'amica al mercato: "Sarei pronta a fare con lui qualunque cosa, sicura che
non peccato. " Dette da una giudea devota e madre di quattro figli, queste
parole sembravano alludere a una particolare innocenza o inevitabilit dell'amore per Giuseppe. La stessa idea venne espressa con altrettanta forza di
sintesi dalla giovane Ester, figlia di Labano, il conciatore di pelli, che
parlando del suo desiderio di baciare Giuseppe disse: "Vorrei baciare un angelo,
almeno una volta. "Ad altre il bel Giuseppe suggeriva immagini meno spirituali,
ma ugualmente inaspettate e candide. Una ragazza al lavatoio, Anna figlia di
Seth, lo vide passare e disse alle amiche: "Com'carino. . . tenero tenero.
me lo mangerei spalmato sul pane. " Da quel giorno l'apprendista
falegname venne chiamato Buono sul Pane; le ragazze di Betlemme pensavano a lui
quando stendevano un velo di miele sul pane la mattina e mangiavano pidi
gusto. Verso sera, quando Ibrahim si disponeva a chiuder bottega, Giuseppe e
io ci si lavava al pozzo in cortile. Lui si metteva una tunica fresca, che si
era portato da casa, i calzari buoni, si legava una piccola fascia di seta
attorno alla testa, e usciva a spasso. Qualche volta mi chiedeva di fargli
compagnia. Forse per la vicinanza di Gerusalemme, cittgrande, sacra e
corrotta, a Betlemme i costumi non sono rigidi come in altri luoghi d'Israele.
Una ragazza e un giovanotto non possono camminare insieme per la strada, ma si
tollera che s'incontrino un attimo alla fontana della piazza, dove lei stata
ad attingere acqua e lui a berne un sorso. Basta che tutto appaia casuale, non
premeditato. Giuseppe non mancava mai di girellare qualche minuto intorno alla
fonte. Rispondeva con un sorriso a tutte quelle che lo guardavano, anche alle
vecchie e alle brutte, imparzialmente; ma ognuna restava con l'impressione di
aver attratto il suo sguardo pidelle altre, di essere stata avvolta da un
saluto picaldo e gioioso. Uscito dalla bottega di Ibrahim, Giuseppe gira
all'angolo. La prima tappa sotto il balcone della casa di Rut o per la
precisione dalla parte opposta della strada, dove c'un piccolo belvedere e si
pupresumere che uno sosti per guardare il panorama. La ragazza glin
attesa, dietro le tende. La brezza solleva la tela allargando lo spiraglio: si
vede la treccia bruna che, fuori dcasa, Rut nasconde sotto il fazzoletto.
Dalla strada al balcone corrono sorrisi. Una funicella cala lungo il muro: Rut,
figlia di Geremia, non sa scrivere e manda al suo innamorato la figura di un
cuore ricamata su un pezzo di tela. La tela bianca, il cuore rosso.
Giuseppe bacia il cuore di Rut e lo nasconde nelle pieghe della veste. La
brezza rinforza e alza la tenda, Rut si allunga per afferrarne un lembo e
tirarselo davanti, e nel gesto la tunica le sale sul polpaccio. Una voce che
si ode da dentro mette fine all'incontro; la finestra si chiude. Rut resta con
l'immagine di Giuseppe negli occhi e un senso di gioia che le trasforma il viso.
Si consegnata simbolicamente all'amato, e lui l'ha accettata. Giuseppe non
dal gesto di Rut lo stesso significato; per lui quel cuore di pezza un
messaggio d'amore, non un impegno o una promessa. ha raccolto perchun
giovane galante, lusingato che sia stata lei la prima a dichiararsi. Adesso si
affretta a scendere verso la piazzetta della fontana, dove sicuro che c' Giuditta ad aspettarlo. Giuditta, ~figlia di Nicodemo, molto diversa dalla
dolce Rut. E scomposta, con i capelli in burrasca. Parla poco, con voce un
po' rauca. I suoi movimenti sono bruschi, non si colora le guance. Porta
vesti pulitissime ma trasandata. Poco o tanto tutti i giovani di Betlemme,
benchrespinti dalla sua fierezza, hanno ceduto al fascino guerriero della
ragazza e hanno cercato il suo amore. Giuditta li ha umiliati, ad alta voce,
davanti alle donne della fontana. "Cos " ha gridato, "tu mi porteresti la
brocca fino a casa e tu baceresti dove cammino? Vi accontento subito. Qua la
brocca: mettitela sulla testa e corri a casa mia. E tu: ecco la pietra su cui
ho camminato. Venite qui tutte e guardate Simeone che s'inginocchia e la bacia.
Simeone e il suo amico Giuda si ricordavano di avere affari urgenti dalla parte
opposta della citte si allontanavano di buon passo. Anzi, chi c'era afferma
che si sono messi a correre. Giuseppe da quel giorno si era ripromesso che
Giuditta, a lui, avrebbe sorriso. Era cosbella, la pugnace, la selvatica,
che gli sembrava un peccato non farla innamorare. Aveva proceduto secondo un
metodo antico e sicuro, cercando d'ingelosirla. Aveva dedicato gentilezze e
sorrisi a Rebecca, figlia di Osea, ragazza pigiovane questa, saltellante,
ridente, che s'illanguidiva alle sue occhiate: Giuseppe, desiderato da tutte e
considerato il giovane senza confronti bellissimo, le rivolgeva lo sguardo e la
parola, e cila riempiva di soddisfazione. Dove tutte avevano sospirato
invano, lei insperatamente riusciva. Almeno cossembrava. Sembranche a
Giuditta, che aspettGiuseppe dietro l'angolo della piazza e, senza togliersi
la brocca dalla testa: "Lasciala stare, " gli ordincon la sua voce roca, che
metteva i brividi alla schiena dei ragazzi affamati d'amore, "lasciala stare, troppo giovane. ""Di chi parli? ""Non fare l'idiota. Di Rebecca, quella

piccola disgraziata, " e Giuditta, dimenticando la brocca, mosse le spalle e
la testa per indicare verso la fontana. Ed ecco che la brocca cade per terra e
si rompe. Giuseppe si china a raccogliere i cocci. Giuditta, esasperata, gli
misura un calcio sul sedere, ma lui le afferra la caviglia e la trascina gi
Rotolano per terra, avvinghiati l'uno all'altra, ruggiscono, sembra che si
mordano, ma si baciano. Sono appena in temps) a districarsi e a ricomporsi
quando compare al cantone la prima ragazza che ha udito lo scroscio della brocca
e viene per notizie. Da allora Giuditta non aveva avuto altro pensiero in mente
che baciare Giuseppe o, come diceva lei, mangiarlo di baci. Si erano baciati
di notte, lui arrampicato sul muro, attraverso le sbarre della finestra,
tanto strette che dovevano sporgere le labbra tra l'una e l'altra e scontrarsi
col naso; si erano nascosti in un fienile abbandonato, in un deposo di
legna, fiutati e inseguiti dai cani; erano saliti sulla grande quercia alla
porta sud ma si erano dovuti ritirare perchproprio a quell'ora, il tramonto,
gli uccelli notturni che vi avevano fatto il nido uscivano di casa e dei gufi e
delle civette la fiera Giuditta aveva paura. E Rebecca? Rebecca continuava ad
essere felice, perchGiuseppe non aveva smesso di sorriderle. L'aveva capito
subito anche l'altra, Giuditta: tutti dovevano credere che niente fosse
cambiato, dovevano vedere i sorrisi alla piccola e ignorare i baci che Giuseppe
dava a lei di nascosto. Lui dunque passa anche stasera alla fontana, saluta le
ragazze, sorride a Rebecca, le riempie la brocca e prosegue, prendendo la
stradina di sotto. Non resta molto delle antiche fortificazioni: una torre,
pietre diroccate tra gli orti. In un solo tratto le mura sono ancora solide e
integre, quello che dsul burrone. Una gabbia di ferro arrugginito appesa
dalla parte esterna, scoperchiata, inutile. Ldentro si rifugiano Giuseppe e
Giuditta. Sospesi nel vuoto, abbrancati l'uno all'altra, mentre la catena
scricchiola e la gabbia sembra che si possa staccare da un momento all'altro, i
due si baciano. Non fanno altro; il timore di Dio e la paura degli uomini li
trattengono, le mani non s'infilano sotto le vesti, le gambe quasi non si
toccano. Ma come sono squisiti i baci nella gabbia, segreti, pericolosi.
Giuditta chiude gli occhi e si vede condannata col suo amato a morire ldentro,
perchnon ha voluto cedere al nemico e tradire i suoi, e affonda la bocca in
quella di Giuseppe con impeto disperato. Giuseppe non insegue fantasie eroiche,
si concentra nelle sensazioni. Restano lpoco: il tempo per una decina di
baci, calcola Giuditta, baci che persi allungano, si fondono l'uno
all'altro, separati solo dalla necessitdi riprender fiato. Poi escono,
tornano al di qua delle mura: Giuditta va alla fontana e Giuseppe segue la
strada che porta fuori citte alla sua casa nei campi. Non ha ancora chiuso la
giornata. Il sole sta per tramontare dietro le basse colline a occidente, gli
alberi e la terra cambiano colore. Le pecore tornano verso i recinti, dopo
essere state a pascolare lontano, guidate dai cani e dai ragazzi. E l'ora in
cui rientra col suo gregge la piccola Marta, figlia di Eliseo. Di lei Giuseppe
ama la figuretta sottile, i grandi occhi, le labbra imbronciate, ma
soprattutto il pudore selvatico, quella sua irsuta riservatezza che tiene
lontani i pretendenti. "Non ha buon carattere, " dicono di lei le vecchie,
che conoscono le armi con cui una donna si fa strada nel cuore di un uomo. E
invece a Giuseppe piace: pensa che baciarla sia come addentare un frutto
spinoso, che cela all'interno la sua dolcezza. Le compare a fianco dopo averla
aspettata dietro un albero su un sentiero laterale. Camminano, seguiti e
circondati dalle pecore. Giuseppe l'ha salutata col sorriso, col suo garbo da
signorino. "Vattene, " gli ha risposto lei in un soffio, spaventata. Avere
un uomo vicino le sembra una promiscuitinsopportabile. "La strada di tutti,
" replica Giuseppe. "Vuoi forse dirmi che non ho il diritto di usarla? ""Ma tu
cammini vicino a me. ""E con questo? Se ti dispiace tanto, sappi che io sono
in compagnia delle tue pecore. Te, non ti vedo nemme 'Vattene. Se no ti aizzo
contro il cane. ""Non sarai cosinospitale. ""Inospitale? ""S Mettiamo
che il tratto di strada su cui cammini siatuo. Non prenderesti su anche me,
fuori dall'erba e dagli sterpi, non mi permetteresti di usare il tuo bel
viottolo di terra battuta? "Marta non sa che cosa replicare, tace, arrossisce:
l'ospitalitsacra e non si nega a nessuno. Sogguarda Giuseppe, che sembra
divertirsi del suo imbarazzo. "Vattene, " ricomincia con voce implorante,
"non voglio che mi vedano con te. Me, non mi hanno mai visto con nessuno.
""Non ora che incominci? Non puoi vivere sola per sempre; il padre e la
madre non ti basteranno pi . . "Procedono per un po' in silenzio, tra le
schiene lanose. Le pecore sentono che si avvicinano a casa, allungano il
passo. Un grido di richiamo, lontano, tra i campi; vicino, le bestie
belano, impazienti di essere munte. L'odore dolciastro del gregge non piace a
Giuseppe. Gli piace l'ora e il luogo: . il sole alle sue spalle tramonta in un
oceano di nuvole rosse, ma davanti egli vede colori tenui, rosa e violetti;
la campagna si distende gidalle colline, piana e aperta; le grandi querce e i
terebinti non sono piverdi, ma bluastri, alberi ginotturni. Egli profondamente consapevole della persona che gli cammina accanto; sente il
tumulto del suo animo; la lotta di Marta per non separarsi dall'innocenza lo
intenerisce. Lei sussurra: "Giuseppe, perchmi tormenti? " ed un lamento
sincero, senza polemica: "Giuseppe, perchmi spingi a essere una donna, non
sai che ho paura? "Lui le tocca la guancia con la punta delle dita, una carezza
rapida, protettiva, e se ne va senza salutarla. La chiama da lontano: "Marta"
e, come lei si volta, aggiunge: "Non vuoi che sia io a tormentarti? " e

sottintende che potrebbe essere un altro, uno qualunque dei giovani contadini
dei dintorni, un iniziatore impacciato e aggressivo, a sollecitarla verso la
giovinezza. Marta china la testa e non risponde. Giuseppe, andandosene,
sente che il momento arrivato, che la ragazza sta per perdere le spine:
domani, la settimana prossima, ora non c'pifretta. Cerca di rientrare
nella casa di suo padre quand'il momento di mettersi a tavola; i suoi
fratelli, Manasse e Zebulon, hanno tanta fame dopo la giornata di lavoro che
si buttano sul cibo senza dire una parola. Sono due zoticoni grandi e grossi,
dai tratti volgari. Manasse ha i capelli rossi che gli cominciano a crescere a
un dito dalle sopracciglia; Zebulon pibasso, scuro, ma largo quan io un
armadio, con i capelli crespi e il mento diviso in due. Certo non assomigliano
a Giuseppe. Si mormora in casa, tra i servi, che il pigiovane tra i
fratelli sia figlio di una schiava fenicia, che il vecchio Giacobbe ha molto
amato: cispiegherebbe sia la predilezione che il padre ha per lui, sia la
nessuna somiglianza tra Giuseppe e i fratelli. Anche il vecchio, detta la
preghiera, non pronuncia parola. Avverte chiaramente la tensione che avvelena i
rapporti tra i giovani seduti davanti a lui. Manasse (e con lui anche Zebulon,
che si accoda sempre al fratello maggiore) considera un affronto che Giuseppe
venga a tavola pulito e fresco, con la tunica di lino e i calzari da passeggio,
ben pettinato, con la gioia di vivere che spumeggia, compressa, sotto
l'atteggiamento grave e i modi compiti. Per tacita protesta lui non si lava
prima di mangiare, e cosfa Zebulon, ciche desta l'ira nel cuore di
Giacobbe. Uno di questi giorni Lacrima d'Oro li caccerdalla sua vista:
puzzano e non si accostano al cibo dopo aver pregato ed essersi purificati,
come dovrebbero. Manasse guarda con odio Giuseppe perchil fratello pi giovane lavora sui campi il meno possibile e il padre lo lascia fare, perchha
successo con le ragazze, perchbello e gentile. Ha anche altri motivi di
prendersela con lui ma fino a questo momento li ignora; Giuseppe non sa di
fargli torto, perchManasse ha incominciato solo da qualche giorno ad avanzare
proposte alla vedova Tamar e lei non l'ha detto a nessuno. CosGiuseppe dopo
mangiato finge di ritirarsi nel suo cubicolo, ma invece salta la finestra e
torna in citt Si avvia furtivo sulla via del mulino verso la casa di Tamar,
guardandosi intorno. Non lo fa per timore di Manasse, poichignora le sue
profferte alla donna: immagina chissquali pericoli per aumentare il piacere
dell'avventura. A quest'ora di notte non c'mai nessuno per le strade, ma lui
si messo i sandali con la suola di scorza di palma per non far rumore
camminando sul lastricato. La casa di Tamar una costruzione piuttosto grande
con la facciata sulla strada. Giuseppe entra per un cancelletto che trova
accostato e percorre un piccolo viale pavimentato di pietra. Alla sua sinistra
ha un fianco della casa, alla destra le ombre dell'orto. Per quanto ci sia la
luna, camminando lungo il muro e coperto dai rami degli alberi, Giuseppe ben
nascosto. Arriva sotto una nota finestra che sembra chiusa ma aperta, si
tira su afferrandosi al davanzale; per un attimo si scorge la macchia bianca
della sua tunica, poi egli volteggia ed gidi l nel buio e nel profumo.
Si dice nelle Scritture venerate dai figli d'Israele che Ester fu impregnata di
profumi per un anno intero prima di essere presentata al re: nardo, cinnamomo,
onice, mirra. Tamar si cospargeva la pelle di essenze odorose da almeno dieci
anni, ammesso che avesse incominciato ad aver cura della sua persona a
quindici. Grande, bianca, pigra, la vedova passava quasi tutto il suo tempo
sdraiata e aveva tendenza ad ingrassare; la sua cura contro la pinguedine
consisteva in una raffica di purghe che durava alcuni giorni, durante i quali
Tamar non voleva vedere nessuno. Comoda, liscia, profumatissima, Tamar era
piuttosto stupida, cosa che Giuseppe considerava adatta a lei e graziosa. Si
era accorta di Giuseppe un mese prima. L'aveva attirato in casa con un
pretesto, come il giovane aveva benissimo capito, chiamandolo da dietro la
porta. "Vieni, " gli aveva detto, "mi entrata in casa una volpe e non mi
riesce di mandarla via. " La volpe fu trovata subito, impagliata, in una
delle stanze a terreno che davano sulla corte centrale, ma la seduzione di
Giuseppe fu compiuta nella camera alta, costruita sul tetto a terrazza, dove
maggiore era il fresco della notte e dove si vedeva la luna attraverso le tende
leggere tirate da un angolo all'altro. E quassche sale Giuseppe ogni notte da
quella notte. Arriva sul tetto, si avvicina con un sorriso di pregustazione
alle tende chiuse. Giuseppe andava allegramente a letto con Tamar ma non si
sarebbe approfittato di nessuna delle altre ragazze che gli giravano intorno.
Sapeva che, scoperte in peccato, avrebbero subito terribili conseguenze,
mentre Tamar, vedova, ricca, priva di parenti e di legami, non correva alcun
rischio. Con Rut, con Giuditta e le altre non gli sembrava di far niente di
male; era un gioco che giocavano insieme, inoltrandosi nella giovinezza.
L'idea che una di loro o tutte si innamorassero di lui al punto di soffrire
quando le avesse lasciate un giorno, gli sfiorava appena la mente. Era cos bello sentirsele vicine, vederle, baciarle; e Giuseppe non andava oltre.
Tuttavia badava che l'una non sapesse dell'altra; ma anche questa non era
cattiveria, faceva parte del gioco. Non gliene bastava una sola, le voleva
tutte e non c'era altro modo. Gli sembrava una crudeltnon rispondere a
un'occhiata con un sorriso, non accettare l'offerta silenziosa che questa o
quella ragazza gli faceva dei suoi sospiri; poi, una volta che la cosa fosse
andata avanti, sarebbe stato un delitto contristare la fanciulla facendole
sapere come stavano le cose. Cosegli perfezionava le sue intese con cinque o

sei ragazze, nessuna delle quali sospettava di avere una rivale. E, secondo
Giuseppe, tutte vivevano felici. Egli stesso, appagato dagli abbracci di
Tamar, sapeva trattarle con gentilezza e allegria, senza la tristezza che
provoca il desiderio frustrato. Ho riferito atti e parole di Giuseppe che
appartengono a momenti in cui egli era in compagnia di una ragazza e l'ho fatto
con sicurezza e precisione, come se anch'io fossi stato presente. Poichmi
accadrpidi una volta di procedere nella mia narrazione allo stesso modo,
voglio avvertire che non invento niente. Poche cose rimangono nascoste al
curioso. Ho seguito Buono sul Pane giorno dopo giorno, ho scoperto tutte le
sue tresche; sul tetto di Tamar, appiattato nell'ombra sotto il muretto che
cinge la terrazza, c'ero spesso anch'io. Alcuni particolari mi sono stati
riferiti da persone degne di fede; sfoghi e pianti di ragazze tradite si sono
riversati su di me; lo stesso Giuseppe mi ha a volte confessato pensieri e
intenzioni che non confidava a nessuno. Dove le mie informazioni lasciavano un
vuoto ho proceduto per deduzione, ma ce n'stato bisogno raramente. Perchho
voluto sapere sempre tutto di Giuseppe presto detto. Come ho giavvertito,
sono curioso per natura, di quei curiosi invadenti e pieni di prurito che non
si quietano se prima non hanno indagato a fondo ciche li interessa. In questo
caso la mia smania fu sollecitata dal fatto che avevo eletto Giuseppe a mio
padrone. Lui non era d'accordo; non solo perchnon aveva di che pagarmi, ma
perchnon gli andava di comandare. Quanto alla paga, gli dicevo di non
preoccuparsi: mi bastava che mi desse quanto mi dava Ibrahim, cionien te.
L'obbedienza poi non gliela garantivo: c'erano molti casi in cui mi piaceva
comportarmi a modo mio. Gli proponevo in realtun sodalizio, una piccola
societche stava tra l'amicizia e il mutuo soccorso e in cui io avrei tenuto il
ruolo di servo in modo approssimativo, come Giuseppe avrebbe interpretato
press'a poco quello di padrone. Ammiravo in lui molte qualitche io avevo
perduto: la buona volont la buona fede, la disposizione a credere negli
altri e ad amarli. Giuseppe non mi voleva vicino, ma avrebbe coperto una
giornata di cammino per procurarmi una medicina. Una serie di avvenimenti
accomunarono alla fine la mia sorte alla sua: divenni il suo servo e socio, ed
egli mi accettperchnon avrebbe potuto respingermi. Una trama complicata
come quella che intesseva Giuseppe con le ragazze sempre sul punto di
sfaldarsi. Basta che un filo ceda in qualche punto e la tela si disfa. Buono
sul Pane aveva continuato a portare sotto la tunica il cuore rosso che Rut aveva
ricamato per lui. Gli teneva caldo, lo rassicurava. Una sera si tolse la
cintura per baciare Giuditta con picomodo nella gabbia di ferro e il pezzetto
di tela gli scivolai piedi, oscillun attimo su una sbarra e poi cal volteggiando in fondo al burrone. Giuseppe lo vide, ma pensche Giuditta non
se ne fosse accorta e che in ogni caso non sarebbe andata a cercarlo laggi
tra le ortiche e le immondezze. Giuditta non disse niente; il giorno dopo and a razzolare in fondo al precipizio e lo trov capimmediatamente che cosa il
cuore significasse e si mise a gridare e a digrignare i denti in modo da poter
risalire, dopo essersi sfogata, con lo stesso umore di sempre, battagliero ma
sereno. Si trattava ora di scoprire la rivale. Giuditta comple indagini in
una maniera tutta sua: tirava fuori d'improvviso la pezzuola col cuore davanti
all'una o all'altra delle sue amiche e stava a vedere come reagivano. Rut
arrosse poi impallid Davanti a Giuditta che la sovrastava con le mani sui
fianchi, ammise subito che Giuseppe era l'uomo che amava: "Mi ama anche lui,
che c'di male? " "Ti ha mai baciata? " domandGiuditta. "No, non glielo
avrei permesso. " "Ma ha almeno tentato di baciarti? "Anche a questa domanda
Rut fu costretta a rispondere di no. L'altra non si sentiva affatto consolata:
questo amore senza baci le sembrava pericoloso. A quanto sosteneva Rut, lei e
Giuseppe non si erano mai visti da soli; lui le aveva parlato qualche volta,
non piche un saluto, alla fontana, in presenza di tutti. "E allora,
stupida, come puoi dire che ti ama? "Rut cercdentro di si motivi della
propria sicurezza e disse candidamente: "Per come mi sorride. Nessuno sorride
cosa una ragazza se non l'ama. E poi perchha preso il cuore che io gli
gettavo e se l'messo sotto la tunica, sul cuore suo. E adesso parla tu,
perchgliel'hai rubato? Invidiosa, gelosa, accattabrighe. "Giuditta, che
aveva quel giorno sopportato anche troppo, le lasciandare uno schiaffo. Si
picchiarono ldove si trovavano, all'angolo della strada. E poichRut
gridava all'altra di lasciar stare Giuseppe, trovarono subito una terza ragazza
che protestperchsi credeva anche lei l'unica, l'amata di Buono sul Pane,
che le parlava nascosto tra i rami di un carrubo, sottla sua finestra.
Invece di unirsi al litigio, Zora, figlia di Gaber, ragazza che ragionava
rapidamente, invitle altre due a casa sua per tener consiglio e deliberare.
"In che modo ce lo dividiamo? " disse, bruscamente secondo il suo solito, la
rissosa Giuditta. Nonostante che avesse scoperto come i baci di Giuseppe
fossero riservati solo a lei e forse proprio per questo, si sentiva la pi tradita. Zora le pose davanti un bicchierone di acqua e anice, che si
rinfrescasse. "Prima di tutto, " disse saggiamente, "vediamo in quante
bisogna dividere. 'L'idea, cioil sospetto, si affacciava alla mente delle
altre due per la prima volta. Stabilirono un piano d'azio ne. Ammesso che
Giuseppe tenesse dietro a pidi una ragazza, le sue conquiste andavano cercate
tra le giovani e le belle. Ne stesero una lista. Ognuna per conto suo avrebbe
incominciato a portare il discorso su Giuseppe ogni qualvolta si fosse trovata
vicino a una dell'elenco. Lo fecero e il nome di Giuseppe, tirato fuori

d'improvviso tra le chiacchiere, destreazioni rivelatrici. Si scoprcos che Rebecca era nel numero, ne furono trovate una o due ancora. Le tradite si
spinsero fino in campagna e aggiunsero al loro gruppo anche la povera Marta,
che aveva appena incominciato a dar retta a Buono sul Pane, la sera quando se
ne tornava col gregge. Si radunarono nel giardino di Zora e studiarono la
vendetta. La tenera Rebecca esitava, lo difendeva: "In fondo non ha fatto
niente di male. Tu, Giuditta, dici che ci ha tradite tutte ma non cos Ci
ha sorriso, te ti ha anche baciata, ma non ha promesso niente a nessuna di
noi. Non ha nemmeno detto che ci ama. A me almeno, " concluse arrossendo,
"non l'ha detto. ""Si vede che non si ancora deciso, che si riserva di
scegliere, aggiungeva Rut e pensava a Giuseppe sotto la sua finestra, Giuseppe
con la fascia di seta tra i capelli, annodata da un lato, con i muscoli che
tendevano la tunica sulle spalle e sul petto, col suo sorriso incantatore:
fermo a guardare in su con gli occhi carezzevoli, con la testa un po' inclinata
da un lato. Tutto il suo atteggiamento non era forse una dichiarazione e una
promessa? La ragazza ebbe un brivido, guardle altre lintorno, quelle a
cui Giuseppe aveva rivolto le stesse attenzioni, che aveva adescate per
prendersi gioco di loro, per vantarsene magari con gli amici. Votanche lei
per la vendetta. Si separarono, con l'intesa che ognuna avrebbe elaborato un
piano per conto suo. Idearono modi assai ingegnosi di punire Giuseppe. Una
proponeva di sorprenderlo al bagno pubblico con la complicitdegli inservienti,
di cospargerlo di pece e poi di piume d'oca; un'altra, piferoce, voleva che
fosse frustato. Giuditta suggeriva che lo catturassero tutte insieme, gli
strappassero di dosso la tunica e lo vestissero da donna. costringendolo poi ad
attraversare la piazza in un giorno di mercato: lo avrebbero coscoperto di
tale vergogna, che egli avrebbe dovuto lasciare per sempre la citt Rebecca
parlper ultima: "Non sapete ancora niente. Indovinate da chi va Giuseppe di
notte? non a chiacchierare, ma a far l'amore come si fa tra marito e moglie?
"Tra la costernazione di tutte raccontla tresca con Tamar, che lei stessa
aveva scoperto, spiando di notte nell'orto della vedova: da casa sua si vedeva
tutto benissimo, quando c'era la luna. Rebecca non dormiva pensando a Giuseppe
che l'aveva tradita, saliva sul tetto a prendere il fresco ed ecco che una
notte gli par di vederlo che entra in casa di Tamar come un ladro, scavalcando
una finestra; lui, non lui; eccolo che emerge sul tetto ed Giuseppe,
non c'dubbio. Tamar lo aspetta nella stanza aerea, dalle tende bianche;
ridono. Rebecca non puvedere granch distante com'la sua casa da quella
vicina quanto un tiro d'arco, con l'orto in mezzo. Riconosce perbenissimo le
sagome che si disegnano dietro le tende, e non ci mette molto a indovinare che
cosa combinano quei due. "Hai guardato tutto? " domanda arrossendo la rustica
Marta. L'altra rispose di s ma in realtridiscesa subito in camera sua,
turbata e vergognosa. La nuova rivelazione ha curiosamente stornato parte del
risentimento che le ragazze provavano dalla testa di Giuseppe a quella di Tamar.
E lei la seduttrice, la spudorata, lei la vera rivale. Giuseppe cerca l'amore
delle ragazze per sottrarsi all'incantesimo della vedova, per aver la forza di
lasciarla. Questa interpretazione dei fatti le trova concordi. Bisogna prima
di tutto liberare Buono sul Pane, aiutarlo a ritrovare se stesso, e poi si
vedr Merita anche lui una punizione ma l'altra certo la maggiore
responsabile e occorre vendicarsi su di lei piche su di lui. Per Tamar le
dolci ragazze propongono castighi efferati, che compensino quelli risparmiati a
Giuseppe: sognano di raparla, di sfigurarla, di versarle addosso una pentola
di acqua bollente. Si sfogano, aggiungendo crudelta crudelt Poi, placate
in parte ma sempre crucciate e dolorose, pensano a gesti di vendetta moderati e
possibili. Uscendo la sera dalla bottega di Ibrahim dico a Giuseppe che ho
bisogno di parlargli e invece che verso la piazza lo conduco fuori in campagna.
Lui ascolta compunto la notizia che gli d le ragazze sanno tutto, hanno
deciso di vendicarsi. Purtroppo c'una seconda notizia, che dovrei dare a
Giuseppe, ma non gli dico niente perchnon la so. Riguarda i suoi fratelli.
Sanno dell'avventura con Tamar; Manasse, che la vedova prudente tiene in
sospeso non rispondendo nsnno alle sue proposte, si sente offeso che gli
sia stato preferito Giuseppe ed furioso. Manasse, detto Incudine perchda
piccolo gli hanno battuto incidentalmente un martello in testa, stenta a
trovare un'idea e il pidelle volte, quando ha di fronte un avversario,
risolve tutto a pugni. Suggerisco a Giuseppe di star lontano dalla casa di
Tamar, almeno per qualche tempo. "Stasera ci devo andare, ' sostiene, "se
non altro per avvertirla. ~"Posso ~ndarci io. . . "Giuseppe mi guarda con un
sorriso, che basta a scoraggiarmi: io sono uno a cui Tamar non darmai retta,
uno straniero infido. Giuseppe riposa, supino, sul letto di Tamar; tiene una
mano sulla schiena della vedova che si addormentata accanto a lui. Fuori c' un gran silenzio, i cani abbaiano ogni tanto dai cortili, galline irrequiete
si svegliano per ragioni misteriose, contagiano con la loro irrequietezza le
compagne e tutte insieme borbottano e si stirano le ali per qualche istante.
Poi di nuovo il silenzio: un passo che battesse sulla strada si udrebbe da
grande distanza. . . a meno che qualcuno non si avvicini a piedi nudi o
calpestando i bordi, che sono pieni d'erba. Il profumo dei mirti e dei
gelsomini sale fin lassdall'orto e si unisce agli altri aromi, che esalano
nella camera dell'amore. Giuseppe esce dal cancelletto prima dell'alba e,
varcata la soglia, cade in una notte pibuia e soffocante. Gli hanno legato
un mantello in testa e lo trasportano lontano, per pestarlo con comodo, che le

sue grida non sveglino nessuno: risalgono un viottolo che porta fuori citt
verso la collina. Sono in due e non parlano per non farsi riconoscere, ma
Giuseppe li indovina all'odore di stalla e di sudore. Non sa trattenersi e li
chiama per nome: "Zebulon, Manasse, mettetemi gi ~Quelli lo mettono gima
lo colpiscono a calci e a pugni finchGiuseppe non ha pila forza di muoversi;
quando si riprende e si agita sotto il mantello, ricominciano a percuoterlo; e
cosper tre volte; alla fine lo scaricano nella siepe irta di spine.
Rotolarsi fuori, quando i due se ne sono andati, ancora pistraziante. Per
fortuna la casa della vedova non lontana e Giuseppe vi si trascina prima che
la cittsi svegli. Tamar lo soccorre, gli toglie con mano leggera una spina
dopo l'altra, baciandolo e piangendo; s'interrompe < per scendere un momento
in piazza a comprare dell'aloe che, mescolato al vino, un unguento molto
efficace. In piazza, la sua agitazione fu presa per scompostezza peccaminosa;
il suo disordine nel vestire (la tunica le si apriva fino a metdella coscia),
che era da imputare alla fretta, fu interpretato come una provocazione dalle
ragazze alla fontana. Ce n'erano quattro su sette, ma decisero d'impulso anche
per le loro compagne. A che scopo aspettare, architettando vendette
complicate? Si scambiarono uno sguardo, un cenno di assenso, presero la
stupefatta Tamar e la gettarono nell'acqua cosrapi damente, che fecero in
tempo ad allontanarsi prima chela gente si rendesse conto di ciche era
accaduto. Tamar schiamazze pianse, in una crisi isterica, riuscendo a
suscitare proprio ciche non voleva: uno scandalo. Mentre usciva finalmente
dall'acqua, con la tunica incollata al corpo, oggetto di curiosit(e di
desiderio da parte degli uomini presenti), serpeggiava tra la gente un mormorio
inquisitivo: ci si domandava chi fosse stato a trattare Tamar a quel modo e
perch Le donne si accorsero che la vedova voleva tornarsene a casa da sola e
protestava che la lasciassero andare: cossi fecero un dovere di accompagnarla.
Giuseppe scese alla porta cercando di uscire prima che il piccolo corteo lo
sorprendesse in casa, ma si era mosso troppo tardi. Apparve sulla soglia a
piedi nudi, coperto da un lenzuolo, ancora sanguinante. Non era piuno
scandalo, era l'avvenimento dell'anro, tanto pisuggestivo, quanto pi misterioso. In tutta Betlemme non si parld'altro. Giuseppe non pupi tornare a casa. Non vuole vendicarsi, desidera soltanto non vedere pii suoi
fratelli, cancellarli anche dalla memoria. Si trasferisce alla locanda,
deciso a non muoversi per qualche tempo, nemmeno di giorno. Quanto alla
vedova, non uscirebbe di casa per un talento d'oro. Giuseppe stato costretto
a confessarle che teneva in ballo sette ragazze contemporaneamente, baciandone
solo una con regolarite un'altra, Zora, di tanto in tanto. Di questo fatto
Tamar in altre circostanze si sarebbe molto divertita, come sarebbe stata
orgogliosa di godersi, unica fra tutte, quel giovanotto tanto desiderato.
Adesso l'affronto che ha subito, con tutte le chiacchiere che ne sono seguite,
le cuoce troppo. Cos ha acconsentito volentieri a che Giuseppe si
trasferlsca in luogo neutro e sicuro. "E se partissi? " mi dice Buono sul Pane,
quando vado a fargli visita. Alla locanda si annoia o piuttosto gli mancano gli
aspetti consueti della vita, le strade polverose, la campagna, la bottega di
Ibrahim, il legno, il mestiere. "Dove andiamo? " Mi aggrego automaticamente:
se parte, non riuscira lasciarmi qui. La locanda scomoda; Giuseppe
mangiava e dormiva molto meglio a casa sua. Il giovanotto pigro, ma l'ozio
forzato lo deprime. Siede per ore sotto i portici, dove si ammassa il fieno e
si strigliano asini e muli. Il grande cortile rettangolare circondato da
stalle e portici da due lati; sul terzo si allineano alcune basse costruzioni
dove sono ospitati i viaggiatori; l'ultimo sgombro, con anelli di ferro
fissati al muro, e vi si attaccano le cavalcature e le bestie da soma. Nello
spazio aperto carretti, barili, sacchi e ceste sotto una tettoia; al centro
un pozzo. Giuseppe, dopo aver cenato, uscito nel cortile. Sediamo in un
angolo buio, ascoltiamo le parole dei cammellieri e dei servi. "Socrates, "
mi dice, "secondo te bello viaggiare? "Io non ho mai camminato da un luogo
all'altro per capriccio, gli spiego, ma per necessit viaggiare un'arte,
faticosa e difficile come le altre. Le strade sono piene di pericoli: tempeste,
fiumi vorticosi, ma soprattutto briganti, ladri, assassini, mercenari e
schiavi fuggiaschi, nomadi razziatori, mendicanti feroci o anche pacifici
contadini che si nascondono nei cespugli e tagliano la gola al viandante
isolato. Giuseppe incomincia a levigare un pezzo di legno, cosa che si pu fare anche al buio. Gli ho portato una serie di arnesi, su sua richiesta: dice
che ha bisogno di far fatica se no non gli viene fame. Per la veritnon ha
lavorato molto, non ha fabbricato una sedia o uno sgabello; ha solo segato il
fusto di un giovane cipresso per farne dei dischi, da usare come sottocoppe,
ma li ha tagliati di spessore uguale e li ha levigati e limati in modo da
renderli perfettamente circolari: ama il mestiere, gli piace far bene anche le
minime cose. Rimaniamo nel nostro angolo, seduti per terra, in silenzio.
Ciostiamo zitti ma intorno a noi si ode il brusio che continua, finchla
notte non calata del tutto, in un luogo molto abitato: le chiacchiere della
gente che beve in una delle stanze a terreno, le grida soffocate di quelli che
giocano ai dadi, i richiami sommessi dei servi, e gli animali che si muovono
nelle stalle, urtando nelle mangiatoie e nei pilastrini di legno. "Perch invece non ne sposi una? " gli propongo. "Tra sette c'da scegliere. Mi dici
chi vuoi, mando da suo padre il sensale di matrimoni, e tutto si sistema. I
tuoi fratelli ti lasciano in pace, le ragazze si placano. Torni a vivere a

casa tua, metti la testa a posto. O tuo padre ti dquanto basta per mettere
su una bottega di falegname. "Giuseppe mi risponde: "Quando ne hai preso una,
hai perso tutte le altre. Col matrimonio non la giovinezza che finisce: a me
sembra che finisca la vita. Come si purinunciare a tutte le belle che ci
girano intorno? Per quale ragione dovrei domani proibirmi di sorridere a Rut e a
Rebecca, perchsono sposato con Marta? Quando una di loro mi guarda in un
certo modo, " continua a voce pibassa, "sento caldo ai polsi, la mente mi
si rischiara, ho voglia di ridere e desidero che lei rida con me e mi dica che
la vita bella. Le ragazze sono l'allegria del mondo. "Mentre chiacchieriamo
ci siamo avvicinati alla parte illuminata del cortile, dove riverberano le luci
dagli interni e una lanterna appesa a un pilastro; Giuseppe dmano alla sega
e taglia il suo ramo a fettine circolari. Una bambina di sette, otto anni, uscita dalle stanze interne tutta sola, sfuggendo alla sorveglianza dei suoi, e
viene a curiosare. Guarda Giuseppe con ammirazione, come se vedesse uno di
quei principi di cui si parla nelle favole. Gli tira un lembo della tunica: "Ho
sete, ~ dice. Buono sul Pane gentile con qualunque persona che appartenga al
sesso femminile, dalle bambine alle vecchie, e persino con le brutte. Mette
gila sega, tira la corda del pozzo, attinge con un bicchiere dal secchio e
le dda bere. Si soliti attaccare discorso con i bambini, domandando loro
il nome. Lei lo previene: "Come ti chiami? ""Giuseppe. " Un sorriso, un
piccolo inchino: il mio padrone inguaribile, mette in azione il suo fascino
quasi senza accorgersene. Poi presenta anche me, del tutto superfluamente:
"Questo Socrates. " Un'occhiata appena e poi iO sono lasciato da parte, come
soggetto indegno di interesse. Non mi va che la gente mi ignori; la
interpello: "E tu come ti chiami? ""Maria. " E aggiunge per rimettermi al mio
posto: "Tu non mi piaci. ~Non mi dilungherei a raccontare questo incontro, un
incidente minimo e comune, se la bambina non fosse destinata a prendere un
certo posto nella vita di Giuseppe e anche nella mia. Per il momento non nessuno, anche se Giuseppe si dimostra sensibile alla sua ammirazione: le fa
domande e carezze, si china su di lei, si accuccia per avere la testa
all'altezza della sua. Maria risponde poche parole, poi si scioglie man mano
dalla timidezza e chiacchiera anche lei. La sua voce esile; si direbbe che
pigola: emette un richiamo pungente e desolato, da pulcino, alzando la testa e
tirando su contemporaneamente col naso. E buffa. "Che fai qui sola? ""Non sono
sola. Sono venuta da Nazareth con gli zii. Andiamo a visitare la cugina
Elisabetta, vicino a Gerusalemme. Suo marito sacerdote. "Parlando si interrotta ogni tanto per emettere il suo gemito da uccellino, con piccoli
sussulti. Conosco cospoco i bambini che me ne rendo conto soltanto ora: Maria
ha il singhiozzo. E scura di pelle e di capelli, un po' spettinata. Magra,
con le scapole che sporgono. Ostinata; seria piche non comporti la sua et
Si proposta di escludermi, e infatti domanda a sua volta a Giuseppe: "E tu,
che cosa fai qui solo? ""Aspetto. ""Che cosa? ""Non lo so. "Maria lo guarda
quasi con compatimento; evidente che il giovanotto ha bisogno di qualcuno che
prenda delle decisioni per lui: come pupassare le giornate ad aspettare,
senza sapere che cosa? Mi pare di poter interpretare cosle sue associazioni
di idee, perchgli domanda: "Sei sposato? " Secondo me propone mentalmente se
stessa come persona capace di assisterlo e guidarlo. Giuseppe dice di no e lei
approfondisce la sua inchiesta: "Sei fidanzato? " Giuseppe dice ancora di no.
La piccola finalmente sorride: finora lo ha guardato intensamente, con la
fronte corrugata. Ora, sollevata, smette di comportarsi da adulta. Gioca con
Giuseppe. Ha preso in mano i dischi di cipresso che lui ha segato: "Che cosa
sono? ""Sono quello che vuoi: ruote, per esempio. ~ Buono sul Pane ne fa
rotolare uno, a dimostrazione, sulla terra compatta del cortile. Subito Maria
grida: "Fa' provare anche me. ~ Il suo disco si rovescia dopo un paio di
cubiti. Lei non si arrende e ricomincia. L'ho detto: testarda. Il disco
perde l'equilibrio un'altra volta. "Perchnon sta in piedi? " protesta la
piccola. "Vuoi proprio che la ruota resti dritta? Allora ce ne vogliono
quattro. ~Maria guarda con ammirazione le mani di Giuseppe che segano e
trivellano, che infilano le piccole ruote su due perni di ferro e fissano i
perni a un piano di legno, che costruiscono insomma un carrettino, non pi alto di tre dita da terra. Una cordicella legata alle due estremitdell'asse
anteriore permette di guidarlo. In una zona del grande cortile Giuseppe trova
una pendenza adatta e mostra alla bambina come scendere veloci, seduti con le
ginocchia piegate. "Adesso provo io. "Giuseppe non le propone di accucciarsi
tra le sue gambe, non esprime apprensione, non la esorta alla prudenza. E
Maria, con un grido di delizia, guida il suo umile cocchio giper la discesa.
Lo riporta su e ricomincia da capo. Non ha mai avuto un gioco come questo, un
gioco da maschio. Si dibatte di gioia in una febbre di eccitazione, incantata,
orgogliosa di s E una bella ragazzina: alta, svelta. Dietro l'aspetto
timido e tenero ha un animo coraggioso e una grande forza di volont La
chiamano dall'interno della locanda e Maria, molto a malincuore, interrompe il
gioco. Si avvicina a Giuseppe, trascinando il carrettino, gli porge la
cordicella. "Tienilo, tuo, " dice lui. Maria quasi non ci crede, che quel
meraviglioso veicolo suo da ora in poi; gonfia di riconoscenza. Va verso
la porta, agitando una mano in segno di saluto, mentre tira il carrettino con
l'altra; poi torna indietro e mette qualche cosa in mano a Giuseppe. Prima ha
esitato, come se il gesto le costasse, ~ poi si decisa e ha consegnato il
dono con un sorriso. E un sassolino levigato, roseo, con delicate venature

gialle. Giuseppe lo tiene in mano a lungo prima di riporlo nella saccoccia. Mi
ero trasferito anch'io alla locanda e dormivo davanti alla porta di Giuseppe,
sul pavimento. Tanto per essere sicuro che non se ne andasse senza di me.
Esortavo il mio padrone a muoversi, a prendere qualche iniziativa. "Non ce n' bisogno, " rispondeva. "Qualche cosa succedere mi comporterdi conseguenza.
~Qualche cosa alla fine successe: s. uo padre lo manda chiamare. Giuseppe,
vestito dei suoi panni migliori, anda casa in pieno giorno, anzi nell'ora in
cui la gente si ritira a mangiare. Io camminavo un passo dietro a lui, di
scorta. Nella vecchia casa, a parte le serve, non c'era nessuno: durante la
buona stagione gli uomini, compresi i fratelli di Giuseppe, rimanevano nei
campi, interrompendo il lavoro solo per il tempo necessario a mangiare un
boccone sotto un albero. Lacrima d'Oro si mise a tavola col figlio prediletto,
mentre io mi accomodavo in cucina. Il vecchio sospirava, gli correvano le
lacrime sulle guance. Giuseppe capche si trattava di un commiato e la paura
dell'avvenire e dell'ignoto gli strinse il cuore. "Parti, per evitare a te e
agli altri occasioni di peccato, ~ disse Giacobbe. "Dio sa se soffro a
lasciarti andare, privandomi di te, che sei la consolazione della mia
vecchiaia, ma credo fermamente di agire per il tuo bene. Non ci sarpace in
questa casa finchci resterai tu, ad aizzare l'invidia dei tuoi fratelli. So
che hai gisofferto per la loro violenza. ~'Si mise a piangere anche Giuseppe.
Per la prima volta, nei suoi diciotto anni di vita, avrebbe dovuto provvedere a
se stesso da solo. Giacobbe gli consegnuna borsa di denaro, la sua parte
dell'eredit Poi gli mise la mano sulla testa: "Che il Signore guidi i tuoi
passi e benedica le tue azioni, " disse, e la voce gli tremava. Doveva averci
pensato a lungo, prima di prendere quella decisione. Separarsi da Giuseppe gli
costava molto perchquello era l'unico figlio in cui si riconosceva, ma la
famiglia doveva continuare, la fattoria doveva produrre, i greggi e gli
armenti dovevano accrescersi. Giacobbe voleva evitare che i figli si
distruggessero tra loro o meglio che Giuseppe finisse per soccombere alla
brutalitdei suoi fratelli. Non voleva drammi; i drammi, nella vecchiaia,
sono un enorme disturbo. Tornammo in cittche il sole era ancora alto.
Giuseppe era affranto e dovetti pensare io a tutti i preparativi per la
partenza. Mi ricordai anche di andare a casa di Tamar dalla parte di dietro a
portare i saluti del mio padrone che se ne andava. Comprai un asino e preparai
due alti bastoni di corniolo, sostegno del viandante. Giuseppe mi preganche
di prendere una serie completa di arnesi da falegname. Un paio di fagotti e
qualche provvista completavano il nostro bagaglio. L'ingombro pigrande era
costituito dalla borsa dei soldi, relativamente piccola. Non sapevamo dove
metterla: mi sembrava che dovunque la nascondessimo fosse anche troppo evidente.
Secondo Giuseppe non ci si doveva preoccupare: la mattina dopo partiva un gruppo
di mercanti, diretto a Giaffa, sul mare, e ci saremmo aggregati. La comitiva
era protetta da una scorta di armati a cavallo: avremmo pagato la nostra quota
ai mercenari e saremmo stati al sicuro. Invece Giuseppe indugila sera a bere
per incoraggiarsi e il giorno dopo si alztardi, la carovana dei mercanti era
gipartita. Caricato l'asino, calzati i sandali da viaggio con la suola
chiodata, ci muovemmo nell'ora picalda. Poichdovevamo attraversare il
paese, il mio padrone preferiva il momento in cui la gente era a casa per la
siesta, cosnessuno ci avrebbe visto. Andava avanti l'asino, che io tenevo
per la cavezza; Giuseppe camminava discosto, da solo e a testa bassa. Pensava
certamente alle ragazze che aveva imbrogliato e che non avevano voluto
vendicarsi di lui. Sufficiente punizione era il fatto che non dovesse vederle
pi Giuditta dai baci roventi, Rut col suo cuore di pezza, la tenera
Rebecca, Marta tra le pecore, e le altre, anche loro carissime. Alzgli
occhi alla finestra di Rut: un velo bianco si agitava a salutarlo, fuori dalle
sbarre, tenuto da una piccola mano scura. Giuseppe sciolse la fascia che gli
teneva fermi i capelli e rispose allo stesso modo. Un fazzoletto rosso salutava
Giuseppe dalla finestra di Giuditta. Le ragazze avevano saputo che il loro
principe partiva. Non solo quelle che lui aveva illuso, ma anche le altre, le
troppo giovani e le vecchie, le sposate e le brutte, gli dedicavano un gesto
di commiato: veli, cinture e scialli di ogni colore sventolavano da quasi ogni
finestra. In quella giornata afosa, che non si muoveva un filo d'aria, era un
sorprendente spettacolo vedere tante bandiere femminili palpitare come ali, in
silenzio. Uscimmo dal paese e camminammo a lungo senza parlare; anch'io
lasciavo con dispiacere la cittche mi aveva dato asilo per mesi, anch'io
avevo salutato quella notte una ragazza, serva come me, straniera come me,
che lavava le pentole alla locanda, non meno degna di rimpianto di quelle che
lasciava Giuseppe. Prendemmo la strada di Gerusalemme. La sera prima Giuseppe
aveva insistito per lasciare la pesante borsa del denaro sull'asino col resto
dei bagagli: secondo lui ladri e predoni non l'avrebbero mai cercata tra gli
arnesi da falegname e la biancheria. Io soffrivo invece all'idea che il denaro
fosse separato da noi, esposto al capriccio di un animale, che poteva scappare
e infrascarsi su per le colline. "Allora lo porti tu, ~' aveva stabilito
Giuseppe, dandomi con questo una prova di fiducia e caricandomi di una grande
responsabilit Da principio avevo rifiutato; poichinsisteva, distribuii il
contenuto della borsa nelle tasche interne di una cintura di cuoio, che mi
cinsi alla vita. Verso sera, a un'ultima curva, ci trovammo davanti
Gerusalemme "simile a un cervo coricato sulle colline". La nostra strada
costeggiava la torre di Davide e il palazzo di Erode, che Giuseppe aveva gi
visto un'altra volta, quando era venuto al tempio per la Pasqua. Il mio
padrone non conosceva invece la cittbassa col suo intrico di strade e
stradine, che salgono e scendono, alcune a gradini; le case ammassate l'una
sull'altra; l'odore (di cibo, d'immondezza, di carne bruciata nei sacrifici) e
il rumore (degli araldi, dei soldati in marcia, dei fabbri, dei pellegrini,
dei venditori, delle bestie portate al tempio) che riempie l'aria. Non gli
piacque; ldentro provava un senso di soffocamento, rimpiangeva lo spazio e
l'aria pura del suo villaggio. Trovammo posto in una locanda, non lontano
dalla Fontana della Vergine, dopo aver attraversato tutta la citt Quella
sera, mentre cercavamo sollievo al caldo, seduti sul tetto a terrazza della
locanda, Giuseppe mi comunici suoi piani: avremmo puntato a nord verso la
Galilea, che la terra citata nell'Esodo, dove scorrono il latte e il miele,
la prima che toccarono i figli di Israele fuggiti dalla tirannia dei faraoni.
Da qualche parte della Galilea veni vano le spighe pesanti e i lunghi grappoli,
che riportarono a Mosi giovani guerrieri mandati in avanscoperta. "E in
Galilea, che cosa farai? ""Il falegname, " rispose Giuseppe. "E perch Il
denaro non ti manca. ""Sarun falegname ricco, ~ stabilridendo. Il suo
gusto per il mestiere era vivissimo, soprattutto perchci riusciva molto bene.
Lavorare il legno era la sua vocazione; la soddisfazione con cui guardava un
lavoro uscito dalle sue mani, una panchetta, un tavolo, uno scrigno, che
poco tempo prima erano soltanto tavole e assi di legno, rivelava in lui il vero
artigiano. "E poi, " concluse Giuseppe, "i soldi oggi ci sono e domani non ci
sono, ma l'arte resta, non ti pare? "Scendemmo; lui si ritirin una stanza,
dove avrebbe dormito con altri due viaggiatori, e io mi avviai alle stalle a
dormire con l'asino. Mi svegliai che il sole non era ancora spuntato e mi
rigirai sulla paglia con un senso di leggerezza: ero di nuovo in viaggio, senza
preoccupazioni per il cibo e l'alloggio. C'era la salute e c'erano i soldi. I
soldi: cacciai un grido. Non avevo pila cintura di cuoio intorno ai fianchi
come al momento in cui mi ero coricato. Cercai affannosamente nella mia cuccia,
poi nella lettiera delle bestie. Trovai la cintura, ma vuota; l'avevano
tagliata con un coltello e me l'avevano sfilata di dosso mentre dormivo. Non
sapevo come dirlo a Giuseppe; tutti i suoi progetti e i miei precipitavano nel
nulla. Gli comparvi davanti, tenendo in mano la cintura tagliata, e gli
comunicai affannosamente la terribile notizia. Temevo tra l'altro che potesse
sospettare di me. Mi lasciaspettare a lungo una sua parola, poi disse: "Hai
cercato il ladro? ""No, " risposi, scrollando la testa; sapevo che il
colpevole era gilontano. "Cercalo, " m'impose Giuseppe, con una severit che non gli conoscevo. Mi lascivagare tutto il giorno tra le stalle e il
cortile, chiedendo notizie del mio oro a questo e a quello, poi mi chiamche
era gibuio. "Sanno gitutti quanti, " mi domandin tono di rimprovero,
"che avevamo molto denaro e che ti stato rubato fino all'ultima moneta? ""Non
potevo fare delle ricerche senza dire che cosa cercassi, ~ mi giustificai.
"Non ti rimprovero, Socrates, va bene cos Adesso nessuno penserpia
rapinarci. ~Non sapevo se ammirare di pila sua indifferenza filosofica
davanti alla perdita del denaro o la sua indulgenza verso di me. Ci rimettemmo
in viaggio la mattina dopo: Giuseppe soffrdavanti al locandiere perchnon
poteva pagare e dovette lasciargli un bel mantello nuovo. Quel giorno
intaccammo le poche provviste che avevamo portato con noi. Verso sera, passata
l'ora in cui i viaggiatori si tolgono dalle strade a causa dell'oscurit imminente e riparano in locande e osterie o si accampano in gruppi numerosi
davanti ai fuochi, fummo assaliti da quattro brutti ceffi armati di spade e
montati su cammelli da corsa. Mi preparavo a opporre una fiera resistenza,
usando il bastone da pellegrino, ma Giuseppe disse: "Non abbiamo denaro,
fratelli; siamo stati giderubati, a Gerusalemme. "Il capo dei quattro si
mise a ridere: "Sono quelli della locanda della Vergine: completamente ripuliti.
Non perdiamo tempo con questi miserabili. " Mi diede una botta sulla schiena
col piatto della spada e si allontancon i suoi, sempre ridendo. "Vedi? "
osservGiuseppe, con aria soddisfatta. "Si sparsa la voce. "Non capivo
perchne fosse compiaciuto e glielo chieSi. "Te lo dir " rispose, ma non
incomincia parlare senon quando avemmo acceso un fuoco in un boschetto di
ulivi e prendemmo a mangiare fichi secchi e galletta, che era quanto restava
delle nostre scorte. C'era una bella locanda a un tiro d'arco, ma non potevamo
permetterci nemmeno di entrare: chi non ha denaro viene trattato peggio dei
cani. "Lo so, ~ disse Giuseppe, come se riprendesse un discorso interrotto,
"che un brodo caldo e un bicchiere di vino rallegrerebbero questo pasto, che triste come un uomo senza denaro. . . Credi che ti darebbero l'uno e l'altro,
se tu andassi a chiederli alla locanda? " e indicava le finestre illuminate e il
fuoco che ardeva nel cortile. "Certamente, risposi, "se insieme alla mia
richiesta presentassi una moneta d'argento. "Credevo di averlo smontato e
invece Giuseppe sorrise: "Prova con questa, " e mi tese un darico d'oro. "Fa'
che la pesino attentamente e ti diano un resto equo, " aggiunse. Era una delle
monete che il vecchio Giacobbe aveva messo nella borsa con altre pirecenti
greche e romane e con monete coniate in questo paese che non portano immagini
umane e si possono usare per pagare l'obolo dovuto al Dio d'Israele. Rimasi
cosstupito che non osai domandargli spiegazioni; corsi alla locanda con una
pentola e una brocca, e tornai col brodo, col vino, e una quantitdi monete
d'argento e di rame, che avevo avuto di resto. "Sei sicuro che non ti ha
seguito nessuno? " mi domandGiuseppe, bevendo il brodo. La notte era

chiarissima ma nel boschetto di ulivi poteva nascondersi un ladro, che mi
avesse visto cambiare la moneta d'oro e volesse scoprire dove tenevo le altre.
Giuseppe si alze ci spostammo fuori dall'ombra degli alberi, in mezzo a un
grande prato spoglio. Leravamo visibili ma noi stessi avremmo visto da
lontano chiunque si fosse avvicinato. "Hai capito adesso perchnon avresti mai
trovato il ladro della borsa? " mi domandGiuseppe. Non avevo capito niente e
risposi con sincerit "No. ""Perchil ladro sono io, disse Giuseppe col tono
di chi si aspetta un applauso. Vedendo l'ira nei miei occhi si affrettad
aggiungere: "Non ti ho avvertito, altrimenti non avresti recitato con
convinzione la parte del derubato. Perdonami. Hai visto il risultato: si sparsa la voce e i ladri non si curano di noi. Lo avrei ammazzato. Dico sul
serio: in passato avevo fatto a pugni per molto meno; ma capivo l'eleganza del
trucco che aveva escogitato il mio padrone e ammiravo la freddezza con cui
l'aveva eseguito, nonostante la mia disperazione. Il denaro, dov'era? Dove
sarebbe dovuto stare fin dal principio, sul basto dell'asino. Il mio padrone
lo aveva cacciato in fondo alla cassetta dei chiodi, dove un ladro non lo
avrebbe trovato se non vuotandola. Ma perchmai un ladro avrebbe dovuto tirar
fuori i chiodi dalla cassetta? C'era un punto debole nel ragionamento di
Giuseppe sui soldi, i chiodi e la cassetta, ma dovette passare un po' di tempo
prima che egli se ne accorgesse. Eravamo arrivati con comode tappe, seguendo
la strada su e giper le colline, fino alla cittdi Sichem in Samaria.
Giuseppe, per l'educazione che aveva ricevuto, diffidava dei samaritani, che
si sono separati dal popolo di Dio e hanno costruito un loro tempio sul monte
Garizim, ma non restava indifferente ai sorrisi delle samaritane, nle
samaritane resistevano ai suoi. Ripartimmo una mattina all'alba e, dopo aver
camminato fino a metdel giorno, incominciammo a cercare un luogo dove
mangiare e riposare al fresco. Vedemmo un gruppo di case, un piccolo villaggio
sulla nostra sinistra, e ci dirigemmo da quella parte. "Che il Signore sia con
te, " disse Giuseppe a una donna che guardava in strada da sopra un muretto,
"c'in questo paese una locanda o un'osteria? ""Non ci sono osterie qui,
straniero, " rispose, "ma puoi legare il tuo asino ai ferri del cancello ed
entrare nel mio giardino col tuo servo a riposare. "La donna era bella, il
giardino fresco e ricco di acqua: entrammo. Non era del resto la prima volta
che accettavamo l'ospitalitofferta da una donna, incantata alla vista di
Giuseppe. Solo le vedove, che non avessero un cognato pronto a sposarle,
potevano comportarsi cosliberamente. Di solito erano donne di una certa et
che dimostravano per il mio padrone un accesso di amore tra peccaminoso e
materno, spesso brutte, un momento audaci, un momento dopo timide e confuse.
Giuseppe le trattava con galanteria e rispetto, lusingandole quel tanto che
bastava: lasciava, quando ce ne andavamo, una donna emozionata e compiaciuta
di se stessa, fiduciosa nel futuro. La bella dei dintorni di Sichem ci guida
una pergola vicino a un fico enorme. C'era una tavola, i servi portarono da
mangiare. La nostra ospite parlava poco e sorrideva molto, come si addice a
una donna beneducata; il suo cibo era buono e il vino anche migliore. Lei e il
mio padrone, alzatisi da tavola, andarono a passeggio nel giardino e a un
certo punto devono essersi coricati tra l'erba perchnon li vidi pi Mi
sdraiai sotto il fico e mi addormentai. Ce ne andammo che gil'aria
rinfrescava. Al cancello ci aspettava una sorpresa: ci avevano rubato l'asino.
Il mio primo pensiero fu "gli sta bene"; non mi riferivo all'asino, ma a
Giuseppe e ai suoi ragionamenti. Certo, nessuno ruba una cassetta di chiodi
(per quanto anche questo sia possibile), ma c'pidi un malandrino, pronto a
rubare l'asino su cui la cassetta caricata. Subito dopo ricaddi nella
disperazione che mi aveva assalito dopo il finto furto alla locanda di
Gerusalemme: seduto nella polvere, rifiutavo di muovermi. Giuseppe non era del
tutto un padrone, se no mi avrebbe dato un calcio; prese invece a camminare in
direzione della strada maestra e dopo un po' lo seg~ii. Colui che aveva rubato
l'asino non era interessato agli arnesi da falegname, o temeva che il carico
pesante attardasse l'animale con cui fuggiva: aveva disseminato lungo il cammino
tutta la nostra dotazione di ferri del mestiere. Trovammo prima la sega, che l'arnese piingombrante, poi le pialle, i martelli, le sgorbie. Poco pi avanti vedemmo anche la cassetta, rovesciata sulla strada e i chiodi sparsi
intorno. "Ha notato le monete, " diceva Giuseppe, "che luccicavano
diversamente dai chiodi e si fermato a raccoglierle. Non se n'dimenticato
nemmeno una. " Proseguiva per qualche cubito e mi annunciava, leggendo le
tracce: "Qui si fermato di nuovo, forse per contarle. " Si notavano impronte
piprofonde nella polvere, quelle dell'uomo, e i segni che avevano lasciato
gli zoccoli dell'asino irrequieto, che si sovrapponevano gli uni agli altri.
"Qui ripartito, ~ diceva Giuseppe. "Vuol correre, ma l'asino lo frena. "
Si china guardare le strisce che l'asino, trascinato, aveva lasciato con le
zampe, impuntandosi. "Che aspetti, sciocco, a lasciare il somaro? Con una
sola di quelle monete te ne puoi comprare tre o quattro. '~E infatti, da una
curva della strada, la nostra bestia ci venne incontro ragliando. Di tutto ci che portava rimaneva solo il basto. Caricammo gli arnesi e i chiodi, dopo aver
festeggiato il povero asino, che del furto non aveva colpa, e riprendemmo la
strada. Gi lui non ne aveva colpa; ma la vedova che ci aveva chiamati dal
muretto? Giuseppe disse che non avevamo prove e che da parte sua non aveva
nemmeno sospetti. La distanza tra Gerusalemme e Nazareth si percorre in due
giorni: noi ce ne mettemmo tre, percheravamo abbattuti e pieni di fame.

Avremmo potuto vendere l'asino, un bell'animale grande, di color grigio
pallido, ma non ci pensammo neanche. Per noi era ormai un amico. Ho notato
che il popolo d'Israele sacrifica al Signore bestie di molte specie, ma asini
mai, tanto affezionato a questi compagni di lavoro e di viaggio. Posso dire
che lo capisco. Ci ospitun contadino muto, che abitava in una capanna poco
lontano da Nazareth, su in collina. Eravamo arrivati alla porta di casa sua di
sera, che era gibuio, e avevamo chiesto asilo: da queste parti di giorno si
cuoce e di notte si battono i denti. Ci aprun uomo piccolo, grosso e
gesticolante, e ci fece accomodare accanto al fuoco. La stanza, l'unica della
casa, puzzava di stalla, ma ci sembrlo stesso un grembo. Il nostro ospite,
che muto ma non sordo, ci offrlatte fresco, formaggio e carrube. Possiede
una dozzina di pecore che si ammassarono nella stessa stanza con noi, poco pi tardi. "Come fa, ~' mormorava Giuseppe, "a vivere qui? Si soffoca, " e
uscivamo insieme un momento a far provvista di aria. Rimanemmo in quella casa
un giorno intero, studiando la citt stesa sulla collina di fronte. Nazareth
veramente una citt non un villaggio come Betlemme: ha quasi mille abitanti.
Disseminata sul pendio, tutta bian ca: solo una decina di case sono a due
piani, le altre hanno tutt'al piuna stanza sul tetto a terrazza, che di
solito aperta e serve per prendere il fresco d'estate. Non so per quale
ragione Giuseppe vorrebbe fermarsi qui, a Nazareth. A me la cosa non piace.
Forse partecipo dei pregiudizi che ho imparato a Betlemme sui galilei. Sono
contadini ignoranti, che non conoscono le finezze della Legge o se ne
infischiano. Il resto del popolo d'I sraele concorde: niente di buono pu venire dalla Galilea. Il muto ci guida alla scoperta di Nazareth. La prim~
persona che incontriamo, una donna che spazza lo sporco di casa fuori dalla
porta, lo saluta e lo chiama per nome, cosveniamo a sapere che il nostro
nuovo amico chiama Natan. Su alla capanna non c'era nessuno che c~ lo potesse
dire. La donna si ritira subito in casa, come se la vista di due persone
sconosciute la intimidisse: vedo suoi occhi a una fessura, che rimirano
Giuseppe COI ingordigia. Questa zona di desideri repressi, secondo me, qui
la gente piispida che a Betlemme, di costumi severi e rustici. Tutto me lo
conferma: in giro non si vede una donna, al mercato solo serve e vecchie. Non
c'traccia di quella ricerca di eleganza che in Giudea rende va diverso per
minimi particolari l'abbigliamento femmi nile: il modo di annodare un fazzoletto
in testa, un nastr~ tra i capelli, sandali e cinture colorate. Qui il color~
dominante il grigio scuro. In tutto il territorio d'Israele la ricchezza mal divisa, pochi signori, con terre, palazzi e schiavi, e uno spolverio di
gente modesta e di poveri. A Nazareth non c'un edificio che schiacci gli
altri, come il palazzo di Erode a Gerico o quello degli Asmonei a Gerusalemme.
Passia mo davanti a case pigrandi, a due piani, costruite nella parte bassa e
centrale della citt le altre sono dimore meschine, di una o due stanze,
simili alla bicocca di Natan, ma scrupolosamente dipinte di bianco e, all'appa
renza, molto pulite. Un gruppo di bambini tornano da scuola, guidati da una
vecchia. Sgambettano, saltano come capre per sfogare l'irrequietezza
accumulata sui banchi, la noia di aver ripetuto per ore gli stessi versetti
della Legge. Sono tutti maschi, naturalmente. Le bambine imparano a recitare
la Legge in casa, dalla bocca degli adulti, che cosripassano anche loro la
lezione. Sono sorpreso nell'udire una vocetta femminile, che chiama:
"Giuseppe, Giuseppe. " Solo quando la schiera degli scolari ha finito di
passare, vediamo una bambina ferma davanti alla porta di una delle case pi grandi. "Giuseppe di Betlemme, " grida festosamente e ci fa cenno di
raggiungerla. Si vede che le hanno ingiunto di non allontanarsi se no ci
correrebbe incontro. E proprio lei, la ragazzina a cui il mio padrone ha
costruito un carrettino alla locanda, prima della nostra partenza: Maria.
Salta di gioia, butta le braccia al collo di Giuseppe. "Sei venuto, " gli
mormora, compiaciuta, "sei venuto a Nazareth; " e continua, "vedi dove abito
io? Qui, in questa casa, con gli zii. Natan saluta Maria con un gesto; i
due si conoscono, si sorridono. La bambina lo tiene in grande considerazione:
si capisce, lui parla con le mani, un uomo straordinario. Forse le sembra
fatale che il muto abbia incontrato subito Giuseppe perchanche il mio padrone ai suoi occhi un uomo straordinario. Giuseppe si compiace che la bambina si
ricordi di lui. Gli sembra un segno, averla trovata, un invito a rimanere.
Gli piace che lei lo prenda per mano, che lo assilli con una quantitdi
domande: come stai, perchsei qui, che cosa ~ai, resterai per sempre? Buono
sul Pane si studia di rispondere a tutte: sa che i bambini non ricevono mai
risposte complete e soddisfacenti e cerca che le sue esauriscano la curiositdi
Maria. All'ultima, "resterai qui per sempre? ", questione capitale e intrisa
di futuro, si ferma a riflettere, chiede incoraggiamento: "Tu, che dici? "La
bambina non ha dubbi: "Oh, s resta. Qui si sta bene. C'molto miele.
Oggi a casa mia mangiamo la coda di montone. C'anche molto legno, alberi
grandissimi sulle colline. Giuseppe promette: "Rester " Non lo dice con
leggerezza, con quell'accondiscendenza che si usa per quietare i bambini: ha
preso una decisione. La bambina non la causa o la ragione del suo proposito
di rimanere; ha solo contribuito, mi dice, a inclinare la sua volontda una
parte piuttosto che da un'altra. Maria ha altra domanda: "Ce l'hai ancora il
mio sassolino con le righe gialle? Io, il tuo carrettino ce l'ho sempre, ci
gioco ogni giorno. ~"Mi ha portato fortuna, " dice Giuseppe, cercando nella
saccoccia. "Non doveva portarti fortuna, ma solo costringerti a ricordarti di

me. ""Mi ricordo di te, lo vedi. " Giuseppe cerca con affanno, confuso.
"L'hai perso, " constata la bambina, desolata. Maria si mette a piangere,
senza potersi trattenere: grosse lacrime le colano lungo le guance,
silenziosamente. "Mi dispiace, " mormora lui, contrito. "Sai perchl'hai
perso? Perchnon mi vuoi bene, " e rientra in casa di volo, sbattendo la
porta. Siamo tornati alla capanna di Natan a dormire. Il muto un uomo
allegrissimo, continuamente in movimento: la necessitdi esprimersi diventa in
lui un brulichio delle dita e un perpetuo succedersi di gesti. Il suo
linguaggio digitale non alfabetico, un giOCo di immaginazione e di mimesi.
Occorre una certa penetrazione per capirlo perchNatan usa uno stesso gesto,
dandogli a seconda dei casi un significato diverso. Se fa le corna, con
l'indice e il mignolo tesi, intende indifferentemente un bue, gli uomini (che
per lui sono tutti cornuti), una forca da fieno, i romani; a volte il gesto
diventa uno scongiuro. Molti dei suoi segnali riguardano le pecore: fa l'atto
di mungerle, di accarezzarne la lana o muove le dita sul tavolo a imitare il
loro modo di camminare, minuto e rapido. Giuseppe gli dedica molta attenzione e
l'ometto gli si affezionato subito. Dopo un paio di giorni, teniamo
consiglio. Il mio padrone vuol rimanere a Nazareth; io non sono molto
d'accordo ma naturalmente dico di s restercon lui. Che cosa faremo? I
falegnami ambulanti probabilmente, di quelli che girano con un truciolo
sull'orecchio come insegna, andando di casa in casa a riparare le madie, i
tavoli, le sedie, i divani da riposo, le cassapanche. Giuseppe un po' serio
un po' no, parla di una casa in vendita che ha visto: due grandi stanze a
terreno e una sul tetto, baracche e tettoie nel cortile. Viene a poco perch il tetto da pavimentare nuovamente; l'acqua della pioggia invece di scolare
filtra nei muri; la porta scardinata. Potremmo comprarla e metter su
bottega, dico io, solo se Simeone, il proprietario, ce la desse per niente.
Giuseppe allora con gesti da giocoliere fa comparire tre monete d'oro di conio
greco, provenienti senza alcun dubbio dalla borsa del vecchio Giacobbe. Se le
era nascoste addosso, dice, per precauzione, per far fronte a un caso di
necessit Andiamo da Simeone il giorno dopo. Il fabbro accetta le tre monete
come prima parte del pagamento: il resto gli verrconsegnato di sei mesi in sei
mesi. Giuseppe ora proprietario. Io e anche Natan, che lavorercon noi
alcune ore al giorno, falegname aggregato e apprendista, siamo suoi
dipendenti. Lui nato padrone: parla con la sua voce gentile e le sue parole
suonano come ordini; vuol bene a me e a Natan, ma trova naturale che gli
obbediamo. Ripariamo le stanze alla meglio e apriamo bottega, piantando un
palo al cancello che si apre nel muretto del cortile e appendendovi come insegna
una vecchia scure. Domani s'incomincia. Il primo cliente capita il giorno
stesso, prima che faccia sera: Maria. Entra in cortile e si affaccia a
quella delle due stanze che ci serve da laboratorio. Stiamo ancora sistemando
il nostro luogo di lavoro, con un bancone nuovo in mezzo, appendiamo gli
arnesi, spazziamo la segatura. Voglio dire che non badiamo granchalla
bambina; la salutiamo e basta. Maria resta l vicino alla porta, in un
atteggiamento che dovrebbe essere secondo lei significativo, un po' rigido, un
po' sussiegoso, l'atteggiamento del cliente che si sente trascurato.
Finalmente Giuseppe capisce la situazione e va a prendere ordini. Maria vuole
una scatola, dove conservare le sue cose preziose, che non sono gioielli ma
piccoli oggetti con una storia: un sacchettino per esempio dove va raccogliendo i
suoi denti di latte. Stringe in pugno due draeme e vuol lasciarne una come
anticipo. Giuseppe rifiuta. Non farai mai affari, se rifiuti i soldi dei
clienti, ' dice Maria. "Nessun cliente serio paga in anticipo. Questo
argomento la convince. Si ferma ancora qualche minuto ad osservare il nostro
lavoro, compiaciuta, come se la bottega fosse anche sua. Quella sera dormiamo
per la prima volta nella casa nuova. Giuseppe s'preparato un letto, non
nella stanza accanto a quella in cui si lavora, che serve da dispensa e da
cucina, ma nella camera alta, sul tetto; io mi sono fatto un covo in una
delle baracche in cortile. Natan passa la notte nella sua casa sulla collina,
tra le pecore; scende a lavorare a mezza mattina e risale prima del tramonto.
Il muto ha capito l'importanza della materia prima e arriva portando sulle
spalle una trave, un tronco stagionato, un palo da vigna. Non gli domandiamo
dove li prende. Giuseppe scopre che Maria a indicargli dove trovare i pezzi
di legno; non crede di far male, li considera relitti, roba di nessuno, e
infatti sono per lo piabbandonati sul retro di una casa o in fondo a un
cortile. "Ma come rubare, " le dice Giuseppe. "No, " dice lei. "Nessuno
li usa. Sono l dimenticati. E poi, se i proprietari non vengono a
reclamarli, vuol dire che li hanno proprio buttati via. ~ Si sbaglia.
Qualcuno viene a reclamare, ed Elia, falegname anche lui, con bottega a
Nazareth da molti anni, il nostro diretto concorrente: pare che Natan abbia
preso del legno vecchio anche nel suo cortile. Il soprannome di Elia, e qui i
soprannomi hanno sempre una ragione, Incastro. Pare che egli si vanti di non
usare chiodi, ma di unire le varie parti di un mobile appunto a incastro. Il
nomignolo perha anche un altro senso e allude all'umore litigioso del
falegname e ai suoi propositi d'incastrare gli avversari. Giuseppe lo accoglie
gentilmente. Lo porta in cortile a vedere il legno che teniamo in una baracca,
che dica se ne riconosce del suo. Il mio padrone in buona fede; non sa che
Natan d'accordo con Maria ha nascosto le travi rubate a Incastro, appendendole
dentro al pozzo. Chiede il permesso di ricorrere a Elia per consigli e

insegnamenti, ammansisce il falegname rissoso, che se ne va placato. E un
uomo di temperamento, non di carattere: basta saperlo prendere. Buono sul
Pane, dopo che il concorrente si congedato, ci raduna tutti, compresa Maria
che capita in bottega pispesso che pue vi si trova per caso in quel momento.
Siamo diventati matti? ci domanda; vogliamo farci espellere dal paese?
Abbiamo dimenticato il comandamento di Mos Parla molto bene, con la giusta
enfasi, addolorato. La picolpita dal suo discorso Maria, che scoppia a
piangere e lui la deve consolare. La bambina agiva con buone intenzioni e ha
sbagliato per l'affetto che gli porta. Natan sapeva quel che faceva e ci
trovava gusto. Quanto a me ho sempre rubato roba da poco, ma non mi sono mai
abbassato al punto da portar via un pezzo di legno. Presto non fu pi necessario rubare. Incominciammo a comprare i nostri tronchi sui monti vicini,
a squadrarli, a metterli a stagionare all'aperto e poi in una delle baracche
del cortile. Il nostro era per lo pilavoro di grosso: gli agricoltori nella
zona ci portavano il carro da riparare oppure ci ordinavano un giogo. Ai lavori
minuti pensavano da s~li: rimettevano il manico alle vanghe e alle forche,
sapevano tutti ricavare da un pezzo di legno i cucchiai per gli usi di casa. La
popolazione della citt quella parte almeno che non andava a lavorare nei
campi, ci portava le sedie rotte, le madie, ci chiamava a piallare la porta
che si era gonfiata per l'umidite non chiudeva piU. Io ero delegato a far da
mangiare. Cucinavo una sola volta al giorno, di solito all'aperto, sotto il
portico. Sul fuoco acceso in un buco tra due pietre, cuocevo lentamente la
minestra di fave o di lenticchie, o arrostivo sulle braci un paio di pesci.
Una vecchietta del vicinato macinava per noi il frumento e lo portava al forno.
Natan filtrava il vino e lo mesceva. Ognuno aveva il suo compito, COSi Si
perdeva poco tempo e si poteva tornare subito al lavoro. Giuseppe ci preparava a
volte un piatto speciale, un COsCiOttO di agnello o di capretto, oppure,
fatte seccare al sole un pugno di cavallette, scartava le teste e le zampe, le
riduceva in polvere nel mortaio e, unendo miele e farina, ne ricavava delle
ciambelline. Lavorammo duro, soprattutto i primi mesi (dovevamo pagare la
seconda quota della casa) e la cittci accettcome bravi e onesti artigiani.
Giuseppe era il benvenuto nella sinagoga, il solo luogo pubblico che egli
frequentasse. Io non sono un figlio di Israele e alla sinagoga preferisco
l'osteria. Maria il nostro cliente e testimone, l'amica e frequentatrice
abituale, socia onoraria della nostra consorteria di falegnami e ammiratrice
ufficiale del mio padrone Giuseppe. Se Giuseppe a diciott'anni nell'etin
cui, secondo i sacri testi dei figli d'Israele, un uomo tenuto a sposarsi,
Maria che ne ha otto uscirpresto dall'infanzia. Qui le ragazze si sposano
anche a tredici, quattordici anni, passando improvvisamente da bambine a
donne. Fino a nove, dieci anni le lasciano libere, protette dalla loro
innocenza; subito dopo le caricano di consapevolezza, le tengono in casa, non
le lasciano uscire se non accompagnate. Maria ancora per poco, una bambina
spensierata, che perguarda al futuro con aria famelica. Aiuta la zia in
casa, ripete i versetti della Legge, gioca con le sue piccole amiche, ma ha
parecchio tempo libero e lo passa generalmente con noi. Arriva qui nel
pomeriggio, attraversa il cortile, si affaccia alla porta. Un cenno di
Giuseppe ed entra. Di solito s'installa su una seggiolina, che stata
fabbricata per lei. Giuseppe non vuole che giri qua e l come lei
preferirebbe, per paura che si faccia male: ci sono troppi arnesi taglienti
sparsi sul bancone o appoggiati per terra. A Maria permesso, quando gliene
viene voglia, di levigare o lucidare, usando lime da legno e panni vecchi di
lana intinti nell'olio. Ma raro che lei sia disposta a lavorare. La sua
principale attivitconsiste nel guardare Giuseppe: ciche egli fa incessantemente meraviglioso, sia che pianti un chiodo, sia che scortecci un
vecchio ramo. Lo segue con gli occhi cosintensamente, che la sua diventa
un'attenzione drammatica: pare che aspetti un evento miracoloso, Giuseppe che
mette le ali o si solleva fino al soffitto senza bisogno di ali, per
levitazione. Questi momenti contemplativi l'affaticano: dopo un po' Maria si
distrae, Natan le fa le smorfie e i due si mettono a ridere, o si parlano con
le dita, progettando qualche scherzo. Solo la bambina si esprime col muto nel
suo linguaggio perchlei sola l'ha imparato. Fa impressione vederli agitare le
mani e le braccia velocissimi, attenti, interrompendosi solo per ridere. La
vittima sono sempre io: na Maria na Natan verrebbe mai in mente di fare uno
scherzo a Giuseppe. Vedo una bella moneta d'argento tra la segatura, caduta
probabilmente dalla saccoccia di un cliente; non la raccolgo subito, non amo
dar pubblicitai miei momenti fortunati. Aspetto che, a fine pomeriggio, se
ne siano tutti andati, chi da una parte chi dall'altra, e solo allora mi chino
a raccattarla. Macch la moneta aderisce tenacemente alla terra battuta che il pavimento del nostro laboratorio. Una risatina acuta zampilla da dietro le
tavole, messe in piedi in un angolo: Maria che con l'aiuto di Natan e di un
po' di colla da falegnami ha combinato lo scherzo e ha deluso la mia avidit
Gli scherzi con la colla sono numerosi: m'impiastriccio le mani con i trucioli,
inaspettatamente appiccicosi: lascio un pezzo della tunica sullo scanno dove mi
siedo e da cui non riesco pia rialzarmi. Devo stare attento a ogni gesto,
perchnon so mai che cosa mi abbia combinato la ragazzina scatenata col suo
fedele scudiero. Calo il braccio per picchiare su un chiodo e la testa del
martello vola attraverso la stanza; mi smontano la sega e rimontano la lama a
rovescio dalla parte non dentata, cosicchio lavoro compiaciuto per la forza

del mio braccio e non mi accorgo che non divido la tavola ma le faccio
semplicemente il solletico. Finchnon trovo la maniera di rifarmi. Li scopro,
quei due, mentre infilano un otre pieno d'acqua nel cavo di un vecchio tronco,
che io dovrspezzare per ricavarne delle assicelle. Gipregustano la mia
meraviglia, il mio allarme quando, calato un colpo di scure, l'albero morto
mi schizzerdi acqua dappertutto. Sottraggo l'acqua e la sostituisco con un
otre pieno di vino, proprietdi Natan naturalmente. Come per caso, nel
momento in cui mi metto a lavorare di scure il giorno dopo sul tronco corroso,
eccoli intorno tutti e due. Calo il colpo stando a distanza e Maria viene
raggiunta da uno schizzo che l'annaffia tutta; Natan capisce il tiro e mugola
disperato per la perdita del suo vino. Questa volta sono io che rido. Giuseppe
aspetta che Maria si sieda vicino, mentre lavora, per una piccola
conversazione a due, e la rimprovera. Lei sempre felice di chiacchierare un
momento col mio padrone; quello il punto culminante dell'intero pomeriggio.
Maria arrossisce di piacere, perchBuono sul Pane le parla come a una persona
adulta. Non era mai capitato che Giuseppe la dovesse riprendere. La bambina
non abituata ai rimproveri e reagisce con vivacit "Non ho fatto niente di
male, scherzavo. ""S ma hai ripetuto gli scherzi molte volte e sempre
contro la stessa persona. " "Ecco, " ritorce lei, "Socrates venuto da te a
lamentarsi, non un uomo di spirito. "Giuseppe adopera invano i suoi
argomenti migliori per dimostrarle che ha torto: io non mi sono appellato a lui
e, se anche lo avessi fatto, la cosa non sarebbe diversa: uno scherzo perdonabile se non nuoce, vero, ma un danno anche l'umiliazione che si
infligge alla vittima; e cosvia. Maria non si lascia convincere. " Sei un
vecchio, " grida a Giuseppe e se ne va di corsa, spaventata lei stessa di una
parola, che le deve sembrare un insulto e un'accusa. Il loro dissidio
assomigliava a una lite tra innamorati, tra due persone che incominciano a
conoscersi e scoprono che l'affetto non spiana il carattere. Maria ricomparve a
bottega dopo tre giorni. Andseria seria verso Giuseppe e gli disse: "Vuoi che
ti domandi scusa? "Giuseppe rispose dignitosamente: "Non necessario. ~"Allora
niente, " concluse Maria e dopo un po' riusca comportarsi come al solito,
come se nulla fosse. Ma scherzi non me ne fece pi Non c'era evidentemente
niente di male nel fatto che una bambina di otto anni passasse una parte del
giorno nella bottega di tre uomini, ma Giuseppe ritenne opportuno farsi
conoscere dai suoi zii. Maria preparla visita e lo introdusse quando egli
bussalla porta. La casa era grande, una decina di stanze costruite intorno a
una corte centrale e altrettante al piano superiore, con un loggiato che
correva all'interno sui quattro lati. Condotto dalla bambina, Giuseppe sal una gradinata di pietra e, percorsa in parte la loggia, entrin una delle
stanze dove i padroni di casa lo aspettavano. Su uno sgabello era stato
collocato un cuscino e lass maestosamente, sedeva Cleofa, figlio di Giair,
lo zio di Maria. Egli era uno dei tre giudici del Tribunale di Nazareth: ci spiega la sua solennite fa indovinare la sua ricchezza perch com'noto, i
giudici non ricevono compenso alcuno. Assomigliava sia nel fisico che nello
spirito all'archetipo del giudice perfetto, come lo descrivono i testi: grande,
dignitoso, conoscitore delle lingue (in modo da non aver bisogno d'interpreti,
imprecisi e corruttibili), ntroppo giovane ntroppo vecchio, esperto di
arti magiche, tanto da non farsi ingannare dai trucchi e dalle stregonerie. Su
un punto Cleofa non concordava col giudice ideale: era presuntuoso e pettegolo.
Contrariamente a quasi tutti i suoi compatrioti, seguiva l'uso romano e non
portava barba. Lo chiamavano Sinedrio perchera stato pivolte sul punto di
essere eletto in quel supremo consesso, che non solo un tribunale per i reati
gravi commessi contro la religione, ma anche un consiglio politico e teologico.
Quali lumi Cleofa potesse portare al Sinedrio in fatto di politica e di
teologia, che qui sono praticamente la stessa cosa, questione che mi
sorpassa. Giuseppe lo affrontcome uno dei piccoli fastidi della vita: a volte
dal cielo cade la pioggia, Maria aveva uno zio come quello. Cleofa lo
intrattenne per cinque minuti sulle condizioni politiche d'Israele e sulla
necessitche la regola del riposo sabatico fosse osservata pistrettamente,
alluse di passo a Maria ("bambina intelligente ma troppo vivace") e poi lo
conged Secondo Giuseppe il giudice aveva continuato a domandarsi a che cosa
fosse dovuta precisamente la visita del giovanotto, sospirando di sollievo
quando egli se ne fu andato senza chiedergli nessun favore e senza presentargli
alcuna petizione. La moglie di Cleofa, che era curiosa quanto il marito e
forse di pi trattenne il visitatore sulla loggia, parlando gli della sorella
Elisabetta, che viveva vicino alla sua citt Betlemme; si andava anche
informando senza parere sulla famiglia di Giuseppe, col pretesto ben noto di
cercare parenti comuni. Ce n'erano, e cila convinse che la discendenza del
mio padrone era rispettabile. Giuseppe le era piaciuto immediatamente. La sera
a cena le scappdi dire, parlando col marito e raccontandogli come Giuseppe
fosse di buona famiglia, che Davide a vent'anni doveva assomigliargli. Il
giudice sbuffin segno d'insofferenza e disse che, ancora ragazzo, Davide
stringeva in mano prima una fionda e poi una spada, mentre l'arma di Giuseppe,
a quanto gli risultava, era una pialla. Inoltre, un uomo cosbello, disse,
lo metteva a disagio e lo spmgeva a trattarlo come una donna. "Ciomale, '
mormorla moglie, sottovoce ma non tanto che Cleofa non potesse sentirla.
"Non vorrei che assomigliasse a Davide in un altro punto. Sta' attenta, tu che
gli affidi Maria con tanta tranquillit sta' attenta quando la ragazzina sar
picresciuta. "La moglie non capiva e Cleofa non si degnd'illuminarla.
Provvide la serva pitardi a ricordare alla sua padrona come il gran re amasse
conquistare sia le cittche le donne. Giuseppe si era reso subito conto che a
Nazareth non ci sarebbe stato modo per lui di riprendere il gioco di Betlemme
con le ragazze. Le giovani uscivano raramente e sempre accompagnat la
fontana non era un punto frequentato come nella siccitosa Giudea: qui molte
famiglie avevano l'acqua nel cortile di casa, pozzo o rigagnolo, e per le
strade Si vedevano soprattutto abbeveratoi per gli animali e lavatoi per i
panni. Alle riunioni della sinagoga le famiglie partecipavano in blocco, e
padri e madri tenevano d'occhio la testa velata delle loro figliole. Vn
divieto, si trova sempre il modo di eluderlo; qualcuno dei giovanotti si
lasciava sedurre dalle grazie di una fanciulla e combinava con lei convegni
segreti, di solito nell'orto di casa. Come tutti sapevano, la cosa non poteva
finire che con un matrimonio: se i genitori non si accorgevano della tresca da
soli, ci pensava la ragazza a metterli sull'avviso e a farsi sorprendere. Un
grido unanime, o meglio un sussurro, riassumeva il punto di vista dei giovani
maschi su questo stato di cose: "Ragazze, mai del paese. " Senonch quando
si spingevano nei paesi vicini, si trovavano nella stessa situazione, o
astinenza o matrimonio, e finivano a far l'amore con le prostitute.
Cominciavamo a guadagnare bene; Giuseppe fece un debito e si comprun cavallo.
I cavalli sono rari in Israele e vengono considerati un segno di lusso e di
arroganza. Quello del mio padrone veniva usato per raggiungere rapidamente
cittun po' pilontane, dove forse le donne erano meno selvatiche. Serviva
insomma a uscire da Nazareth, dove troppe ragazze da marito tramavano per farsi
sposare. Giuseppe si sente inseguito, incalzato: non pufare un passo senza
che un paio di occhi neri lo spiino dalle persiane. Nella contrada dei Funari,
dove le ragazze da sposare sono pinumerose, i sospiri lo seguono di casa in
casa e si odono benissimo dalla strada. Anche le giovani spose si uniscono alle
vergini, non perchpensino davvero di tradire il marito (cosa praticamente
impossibile, dato che vivono segregate, sotto la guardia di suocere e
cognate), ma solo per il piacere di tormentarsi con un amore infelice. Una
delle ragazze pigraziose riuscun giorno ad attirarlo nelle stanze interne di
casa sua, assicurando che non c'era nessuno. Lui le credette: Yona, figlia di
Giuda, era irresistibile nella sua tunica dall'orlo ricamato, i suoi occhi
erano teneri, sorrideva con abbandono, e aveva solo tredici anni. Buono sul
Pane non aveva intenzione di compiere azioni compromettenti: sarebbe arrivato al
massimo a baciarla, cosa che non lascia il segno. Nella penombra della stanza
si china raccogliere la fascia di seta che gli era caduta dalla testa: vide
spuntare sotto le cortine i piedi di un uomo e di una donna e, senza nemmeno
raddrizzare la schiena, uscda dove era entrato. La ragazza lo rincorse fino
alla porta di casa, gridando: "Giuseppe, Giuseppe, " ma il mio padrone aveva
gigirato l'angolo. Dopo che ebbe acquistato il cavallo, sorprendere Giuseppe
diventpidifficile. Una volta o due la settimana egli montava in sella
all'alba, quando il cielo incominciava a schiarire, e tornava a notte; pi spesso usciva verso il tramonto e faceva una passeggiata fino all'ora di cena.
Non c'erano in cittaltri cavalli se non da tiro, e nessuno poteva tenergli
dietro per scoprire dove andasse. La popolazione adulta di Nazareth fu concorde
nel criticare la condotta del mio padrone: lo giudicarono presuntuoso e prodigo,
presagirono che la sua vanitlo avrebbe rovinato. Le ragazze invece, che
spiavano da dietro le persiane, trovarono a Giuseppe un'aria regale, quando
egli caracollava sul cavallo, e sognavano che egli le prendesse davanti a s sulla sella e le portasse a spasso cos gloriose. Questo privilegio tocc solo a Maria. Buono sul Pane le lasciava le redini e, circondandola con le
braccia che non avesse a cadere, spingeva Saul'al trotto per le strade di
Nazareth. Maria aveva l'impressione di guidare lei il cavallo, di regolare da
sola la sua corsa, e si gonfiava di orgogliosa felicit Se ne sarebbe
ricordata per tutta la vita. Mi diceva, anni dopo, che non c'era stato per
lei un momento altrettanto trionfale che quelle cavalcate, in cui chiudeva gli
occhi e confondeva Giuseppe e Saul, l'uomo e il cavallo, in un solo essere
fatato. Saul'era un cavallo berbero, importato dall'Africa, di linea
allungata e di medio peso, ottimo per cavalcare. Nelle osterie di Nazareth e
alla locanda se ne parlper mesi: si accesero discussioni sulla velocitche
poteva raggiungere, sulla sua resistenza, sulla quantitdi biada scelta che
consumava, specie nei giorni in cui doveva correre. I piinformati avanzavano
ipotesi sulla somma che poteva costare. In una parola gli uomini e i giovanotti
invidiavano il mio padrone. Quando poi si figuravano tutti i luoghi (lontani e
stranieri per loro, camminatori o cavalcatori di asini) che con un cavallo
simile si potevano raggiungere in una mattinata, Si rodevano che una simile
fortuna fosse toccata a un forestiero, e giudeo per giunta. Giuseppe non se ne
curava. Si trovava, a diciotto anni, al culmine glorioso dell'adolescenza e
qualunque sfogo attivo era per lui un godimento: correre, cavalcare, lavorare,
amare. Non aveva tempo di preoccuparsi; ma io, che il tempo ce l'avevo e
anche l'et ero impensierito per lui. Suscitare in pochi mesi il desiderio di
tutte le donne e l'invidia di tutti gli uomini puessere pericoloso. Venni a
sapere dopo non molto che la meta preferita da Giuseppe nella sua vacanza di un
giorno era Tolemai de, una cittmezza greca sulla costa. Vi andava il giorno
prima del sabato, cospoteva riposarsi al ritorno. La Legge impone una cos schiacciante inattivitnel giorno consacrato al Signore che, diceva Giuseppe,

se non si fosse affaticato il giorno prima, non avrebbe saputo sopportare una
giornata intera di ozio: da quando la tromba suonava tre volte al cader della
notte fino a tutto il successivo giorno di sabato la vita si fermava. Era
proibito accendere il fuoco o camminare pidi sei stadi, fare o disfare un
nodo, scrivere pidi una lettera dell'alfabeto. Si poteva solo pregare.
Giuseppe pregava coscienziosamente e poi si crogiolava steso sul letto nella
stanza alta, richiamando alla memoria le sensazioni di cui aveva goduto a
Tolemaide. Era bello cavalcare la mattina nella piana di Esdrelon avendo alla
sinistra il lungo, ossuto rilievo dei monti del Carmelo, davanti e intorno la
campagna fertilissima, gonfia di verde. E uscendo da quei contorni pastorali,
dall'altissima quiete che accompagnava il viandante per lunghi tratti del
viaggio, l'animazione di una cittindustriosa, gente variopinta, incontri
umani sempre diversi. Lasciato il cavallo a uno stallaggio nei sobborghi,
Giuseppe andava con passo riposato fino al porto, attento allo spettacolo che
continuamente rappresentavano nelle strade gli stessi passanti: fenici che
portavano calzoni ricamati sotto la tunica; mercanti siriani coperti di seta;
uomini con mantelli in pelo di capra provenienti dalle pianure dell'Anatolia;
marinai delle isole con un grembiule stretto alla vita e una fascia di tela
legata sui capelli. Uno spettacolo a parte erano le donne, che si mescolavano
alla folla maschile senza vergogna e senza paura: dalla servetta nubiana dalla
veste gialla e rossa, i cui denti bianchissimi spiccavano sulla pelle nera;
alla prostituta di lusso, che camminava con la testa velata ma mostrava quasi
interamente le mammelle; fino alla ricca signora, che si affrettava verso la
sua lettiga scortata da un'ancella. Alcune dame, a significare la loro
condizione di donne sposate, chiuse all'approccio di ogni altro uomo che non
fosse il marito, portavano una corta catenella d'oro che collegava le caviglie
l'una all'altra, e procedevano a piccoli passi: Buono sul Pane le trovava per
questo solo fatto molto eccitanti. Cosa miracolosa, alle donne di Tolemaide si
poteva rivolgere la parola senza che nessuno ci trovasse a ridire; anche alle
ragazze da marito, che rispondevano franche e stavano allo scherzo. Giuseppe
attaccava discorso con tutte, incantato dalla vicinanza stessa di una figura
femminile, dalla fugace intimitche si stabiliva tra lui e loro con lo scambio
di un sorriso e di una parola. Passava dall'una all'altra, per la strada, al
mercato, al lavatoio, non perchsi stancasse di quella che aveva vicino ma
per non perdere le lontane: voleva stare con tutte, parlare con due o tre per
volta. Navigava nella femminilit in un mare ridente e odoroso. Non era
difficile andare oltre, accettare uno dei tanti inviti, anche espliciti, che
gli venivano rivolti; e Giuseppe lo fece. Si avvicinava il momento di pagare a
Simeone un'altra quota per la casa che ci aveva ceduto, e non avevamo nemmeno
la metdel denaro necessario. Il nostro attivo era in realtmolto maggiore,
ma eravamo costretti a far credito ai nostri clienti, che saldavano i conti
quando gli veniva comodo. Giuseppe dopo il tramonto accompagnava Maria fino a
casa se si era trattenuta pidel solito e la teneva per mano perchla bambina
aveva paura dell'oscuritimminente; una sera si sentdomandare: "Dove
troverai i soldi, Giuseppe Gli spiacque che uno di noi, forse Natan forse io,
avesse lasciato intuire alla bambina le nostre difficolt ma fu lusingato che
lei avesse a cuore i suoi affari. "Se sarnecessario, venderil cavallo. ""
No, ti prego, non lo fare, ~ pregMaria e lo tirava per il braccio.
"Sarebbe un delitto, ' concluse, usando una frase che aveva imparato dalle
conversazioni degli adulti. Il giorno dopo gli consegni suoi risparmi,
qualche dracma e molte altre monetine di rame. Giuseppe, che capisce i
bambini, non la mortificcon un rifiuto: s'impegna restituire il denaro
entro un mese, pagandole un interesse. Maria si sentiva sempre pipartecipe
delle nostre sorti aziendali e si guardava in giro, in bottega, con un piccolo
sussiego di padrona, tanto che si sentvagamente delusa, retrocessa al suo
ruolo di semplice visitatrice, quando il mio padrone le restitula piccola
somma e in pil'interesse pattuito. Se ci ripenso e rivedo la nostra compagnia
di allora, capisco che essa doveva apparire a un estraneo violentemente
insolita: un giovane bello come un dio dei greci, un uomo rossiccio dall'occhio
losco (questo ero io), un muto, una bambina. Quando mancavano due giorni alla
scadenza del nostro impegno, venne un contadino da Betlemme, uno che Giuseppe
conosceva perchlavorava in casa di suo padre, e portun sacchetto di monete.
Non erano tante e non erano tutte d'oro, ma largamente sufficienti a cavarci
d'impaccio. In un sacchettino a parte Giuseppe trovl'anello col sigillo che
Giacobbe portava sempre al dito, e allora si mise a piangere perchil suo
vecchio era morto. Il padre gli aveva mandato le monete, un dono di commiato,
ma anche l'anello per dirgli che nello spirito lo considerava il primogenito,
il suo continuatore. Per tre giorni il mio padrone rifiutdi parlare e di
lavorare; e osservil lutto per un mese. Maria, che lo vedeva irsuto e
sporco, perchper tutto quel periodo egli non si rase nsi lav rispettava
il suo dolore e gli rivolgeva di rado la parola. Un giorno li udii che
parlavano quietamente, seduti sulla soglia della bottega, davanti al cortile.
Era l'ora del tramonto. Natan era risalito alla sua capanna, si credevano
soli: io ero rientrato in bottega, alle loro spalle, dalla porta posteriore e
non li volli disturbare manifestando la mia presenza. "Tuo padre si ricongiunto ai suoi avi, su in cielo, non vero? " domandava Maria. "E stato
un giusto e ora riceve la sua ricompensa. ~ Giuseppe faceva cenno di si, che
era cosi. "E allora, " continuava Maria, "perchpiangi? ""Piango su di me,

non su di lui. Non l'ho amato abbastanza finchera in vita, ho contristato la
sua vecchiaia. " Giuseppe si accusdi essere stato egoista: "Diventiamo
generosi, ~ disse, "quando troppo tardi. ~Seduta accanto a lui, Maria gli
mise la mano sulla spalla con uno di quei gesti da adulto che le venivano
spontanei di tanto in tanto. Il sole era tramontato e la brezza scendeva dai
monti, anticipando il freddo della notte. Giuseppe si alz Ti accompagno a
casa. ~Si alzanche Maria. "Io non avrrimorsi, ~ disse, "sarsempre
generosa con te. Ti vorrbene piche a me stessa. ~Giuseppe la guard stupito. Non parlpi La prese per mano e si avvicon lei attraverso il
cortile. Lo zio Cleofa non approvava il sodalizio di Maria con noi falegnami,
gente di bassa estrazione, che conosceva la Legge in modo arruffato e sommario e
frequentava la sinagoga il meno possibile, ciosolo per la preghiera del
sabato. Col pretesto che un giudice deve conoscere bene le persone su cui chiamato a esercitare le sue funzioni, Sinedrio aveva sviluppato la sua
curiositche da difetto comune ai piera diventata una passione esigente. Sul
nostro conto si domandava molte cose: come riuscivamo a tirare avanti, come
aveva fatto il mio padrone per pagare Simeone alla scadenza, che cosa trovava
in noi sua nipote, perchmai Giuseppe fosse cosbello. Quest'ultima domanda
era piuttosto un lamento elevato verso l'Autore di tutte le cose, che dava la
bellezza a un giovane giudeo scriteriato e la negava a un uomo di merito.
Cleofa, come si capisce, era brutto, incompleto in un certo senso anche nei
difetti: non era calvo del tutto ma fino a metdella testa; la barba gli
spuntava a ciuffetti sul mento ed egli si ostinava a non raderla; seduto,
aveva un aspetto imponente, ma appena si alzava si vedevano le gambe corte.
Credo che egli volesse allontanare Maria dal falegname soprattutto per gelosia,
perchla bambina a quello voleva bene e a lui dedicava solo un affetto
distratto e di dovere; perchGiuseppe era giovane e le donne gli correvano
dietro, mentre lui doveva accontentarsi di deplorare le ragazze di oggi quando
prendeva la parola nella sinagoga. Brontolava, a tavola, contro i giovanotti
che non hanno di che pagare i debiti e vanno a cavallo, raccontava aneddoti
sulla perfidia dei giudei, desiderava insomma che, per quanto pavida e
stizzosa, la sua opposizione a Giuseppe fosse palese alle donne di casa.
Proibire a Maria di frequentarlo era un'idea che gli passava per la mente almeno
due volte al giorno, quando la bambina usciva il pomeriggio per andare lass dai segalegna, come egli ci chiamava, e quando tornava; ma calcolava il
rischio e non osava. Sarebbe stato obbedito, certo, ma sapeva di essere in
minoranza: la moglie e la nipote gli avrebbero fatto scontare il suo atto di
autoritcon piccole, incessanti ritorsioni, e la piccola non era meno
temibile della grande. Cleofa rinunci Non perse tuttavia la speranza di
scoprire sul conto del mio padrone qualche cosa che lo diminuisse agli occhi di
Maria e a quelli della comunit Mi accorsi subito che egli ci spiava. Veniva a
notte inoltrata e guardava oltre il muretto, che gli arrivava alle spalle;
prendeva nota mentalmente di un lume ancora acceso, di una pila di tavole
spostata; si domandava se ricevessimo segretamente qualcuno, un complice di
chissquali maneggi. Da noi, specialmente di notte, non succedeva mai
niente; deluso ma non scoraggiato, Cleofa incomincia scavalcare il muro e ad
avventurarsi nel cortile; chiss forse contava di trovare qualche cosa di
compromettente, occultato dentro le baracche. avvertGiuseppe, che sorrise e
mi raccomanddi non disturbarlo, che spiasse quanto voleva. Mi dispiace
ammettere che, per una volta, gli disobbedii. Tenevamo nel cortile, attorno
al pollaio, alcune trappole di legno, appesantite da pietre, con le ganasce
irte di chiodi, per difenderci dalle volpi, che scendevano dai monti sopra la
citt C'era anche una tinozza, una notte, in cui avevamo preparato una
soluzione di cinabro per dipingere la mattina dopo un carretto nuovo. Non feci
molto: spostai la tinozza sotto il muro e collocai a un passo un paio di
trappole. Un artigiano, nel suo cortile, ha diritto di mettere dove vuole le
cose che gli appartengono. Spiavo da dietro la baracca e stavo passando per un
momento di sconforto; Sinedrio era venuto, ma esitava a scavalcare il muretto:
intuiva forse il pericolo. Alla fine si decise: sporse di qua una gamba, tir su anche l'altra e si sedette; poi con un saltino approdnella vernice rossa,
schizzandosi fino agli occhi. Dopo una breve esclamazione, simile a un
singulto, stette subito zitto: era preoccupato di non far rumore. Ma non pot trattenere un urlo, quando si sentattanagliare la caviglia dalla trappola per
le volpi. Giuseppe accese una lanterna e scese a vedere. Cleofa non l'aveva
aspettato: curandosi soprattutto di non essere riconosciuto, si era
allontanato, trascinando la gamba e reggendo in mano la pietra che ancorava la
trappola. Se l'avessero viStO, tinto di rosso vivo, arrancare a quel modo,
Sinedrio avrebbe perso la sua dignitper sempre, non sarebbe pipotuto essere
giudice e non avrebbe mai piosato aprir bocca nelle riunioni della sinagoga.
Il giorno dopo Maria venne con la notizia che suo zio era a letto ammalato.
Alla moglie, Cleofa non aveva potuto nascondere il suo stato miserando, la
verniciatura e la messa in ceppi: l'attentato era stato da lui attribuito a
misteriosi avversari politici, farisei rigoristi o separatisti sadducei, due
sette che pera Nazareth non avevano seguaci. La donna dovette credere a gente
che si muoveva da lontano per venire a dipingere di rosso il giudice Cleofa e le
sembr questa, una conferma dell'importanza del marito. Da quel momento lo
zio concepuna furiosa avversione per Giuseppe, che degli scherzi da lui
subiti era del tutto innocente. Alludeva a lui con Maria come a "quel tuo amico

fannullone, mentre parlando con la moglie lo indicava con nomi peggiori,
adatti a orecchie adulte. A quel tempo Giuseppe non si spezzava certo dietro al
lavoro. Intanto si prendeva un giorno libero alla settimana oltre al sabato,
poi lasciava a me e a Natan le fatiche maggiori: a noi gli aratri, i gioghi, i
carri; lui si occupava di secchi, mestoli, taglieri. Dentro di me lo
chiamavo falegname per signora. E invece era destinato a raggiungere il sogno
che tutti gli artigiani inseguono: quello d'inventare un oggetto utile e nuovo,
di lasciare una traccia di s Venivano in bottega parecchie donne, servette o
giovani spose, a commissionare lo sgabello o il cucchiaione, lo scrigno o la
seggiolina, e tutte invariabilmente si rivolgevano a Giuseppe, ignorando me e
Natan. Buono sul Pane si divertiva con questi lavoretti di fino, che
richiedono pazienza e cura. Torniva, limava, lucidava; accarezzava l'oggetto
uscito dalle sue mani come se fosse anch'esso animato dal fascino delle
committenti che, bruttine e sciatte, erano pur sempre donne e giovani. Ai
suoi occhi erano tutte attraenti, ma si guardava bene dall'incoraggiarle.
Buono sul Pane era tenuto a una riservatezza anchemaggiore, in quanto aveva
fama di donnaiolo; un giovanotto, che montava un cavallo da corsa come il suo,
emanava giodor di peccato. Si sarebbe detto che le servette unte e sgraziate
che venivano in bottega fiutassero proprio quell'odore: anche ordinare a
Giuseppe un mestolo per la minestra diventava un'avventura. Il brivido di
rimanere per un minuto accanto a lui, di annusare nel profumo dei suoi capelli
quello degli amori colpevoli, delle cittlontane e peccaminose, era un modo
di partecipare dei suoi piaceri, di sentirsi innamorate e belle. Le signore di
Nazareth, una ventina di donne sposate e agiate, non lo mandavano pia
chiamare per i lavori da eseguire in casa perchsapevano per esperienza che
egli avrebbe delegato me o Natan: Giuseppe, con le sposate, non voleva storie.
Le voci sulle sue fortune con le donne di Tolemaide, esagerate com'l'uso in
questi casi, erano arrivate fino a Maria. Nera sfuggita alla bambina
l'insistenza con cui le serve di Nazareth venivano in bottega a parlargli, col
pretesto di dargli piprecise istruzioni sul lavoro che gli avevano
commissionato. Ormai Maria aveva nove anni e stava per scoprire molti lati
della vita, che fino ad allora le erano stati nascosti. Aveva notato per
esempio che le visitatrici non amavano parlare a Giuseppe in sua presenza e lo
chiamavano in disparte. Questo comportamento la incuriosiva e domandal mio
padrone quale ragione spingesse le donne ad appartarsi con lui. "Non saprei, "
aveva risposto lui, imbarazzato. "Facciamo un gioco; vediamo d'indovinare.
Tu che cosa dici? ""Hanno soggezione di te, " opinGiuseppe, sperando di
cavarsi d'impaccio. "No, " disse orgogliosa Maria, "sono gelose. "Giuseppe
finse di non conoscere quella parola e le domandche cosa volesse dire. "Gli
secca che io sto con te quanto voglio e loro no. "Tutto qui? " intervenni io:
tra me e lei le piccole provocazioni verbali erano continue"No, " mi rispose
Maria, "quelle vorrebbero baciare Giuseppe, cos e lo bacirumorosamente
sulla guancia. "Io posso e loro no; loro non hanno pil'etper i baci.
Solo Natan si mise a ridere, ma era anche vero: per quelle infantili
manifestazioni di affetto le nostre clienti erano troppo vecchie. E Maria era
troppo giovane per baci di altro genere. L'anno dopo fu in grado di capire un
po' di pi quando una ragazza trovata incinta, che anche lei si chiamava
Maria, figlia di Daniele, accusGiuseppe di averla sedotta. Maria di Daniele
aveva quindici anni ed era bellissima; probabile che il vero colpevole non
fosse accettabile come marito oppure non fosse in condizione di sposarla: cos
d'accordo con la madre, a quel tempo gia vedova, pensdi mettere in trappola
il mio padrone. La questione non poteva essere giudicata in tribunale per
mancanza di testimoni, ma Cleofa c'entrlo stesso perchfaceva parte del
consiglio degli anziani, che si riunnella sinagoga a porte chiuse per udire
le parti. Ci sarebbe voluto Salomone per decidere chi dicesse la verittra la
ragazza che accusava e Giuseppe che negava. Fu domandato al mio padrone se
conoscesse la querelante. Giuseppe rispose che l'aveva vista una volta in
tutto. Richiesto di raccontare in quali circostanze, disse: "Vidi una giovane
donna davanti a me muoversi scuotendosi tutta e spostando il peso del corpo da
una gamba all'altra. Domandai a chi mi stava vicino se la fanciulla fosse
sciancata ed egli mi rispose che camminava cosper attirare su di sl'occhio
dei passanti. ~La madre della ragazza uscin un grido di protesta, tanto pi che i gravi personaggi del consiglio si erano messi a ridere. Gli anziani non
sapevano pero come risolvere il caso: se Maria di Daniele passava per leggera e
frivola, la fama di Giuseppe lo indicava come probabilissimo colpevole.
Secondo l'accusatrice l'oltraggio le era stato inferto nel cortile del
falegname, in pieno giorno, tra i cespugli che crescevano in mezzo alle
baracche. Uno dei vecchi si ricorddella casta Susanna e dei suoi accusatori
che indicarono lo stesso albero, l'uno come un terebinto e l'altro come un
sicomoro, e domanddi che specie di cespugli si trattasse. Consultatasi con
la madre, l'accorta Maria di Daniele disse che non ci aveva fatto caso: erano
cespugli e basta, piante basse, fitte, molto verdi. "Possa fare una domanda
io? "Fu concesso a Giuseppe di parlare: "Si chieda alla mia accusatrice di che
colore la macchia che ho sul petto. "Le donne, madre e figlia,
bisbigliarono un attimo, convinte che gli venisse teso un tranello. Poi Maria
di Daniele rispose trionfante: "Giuseppe non ha nessuna macchia. La sua pelle bianca e intatta dappertutto. ~Il mio padrone a quel punto si alz si aprdi
colpo la tunica senza chiedere permesso a nessuno e, diavolo, fu un colpo

anche per me, che ero presente come testimone: egli aveva sul petto, sotto la
mammella destra, una macchia vinosa grande come la mano. Confuse, le due
donne si guardarono in faccia. "Non lo sapevo, " disse distintamente Maria di
Daniele. Fu deplorata e condannata a pagare un forte indennizzo, che Giuseppe
destinal consiglio stesso per il soccorso ai poveri. Tornati che fummo a
casa, Giuseppe mi mostrcome la macchia se ne andava via semplicemente a
lavarla. Mi complimentai con lui per la sua trovata. "Guai all'innocente, ~
disse ridendo, "se non piastuto di un colpevole. "Maria, la nostra,
voleva sapere da lui di che cosa era accusato precisamente: "Che cosa dice che
le hai fatto e che cosa c'entri tu se avrun bambino? "Giuseppe rispondeva
evasivamente e Maria non si accontentava delle sue spiegazioni. La pregdi
rivolgersi allo zio Cleofa, che era giudice e ne sapeva di pi "Ho capito, "
conclude giudiziosamente Maria, che a suo zio dava poca confidenza, "devo
crescere. " Maria entrava nel cortile e si affacciava alla finestra, ritta
sulla punta dei piedi. Sapevamo tutti che c'era, avevamo udito lo stropiccio
dei suoi sandali sulla ghiaia ma facevamo finta di niente. A volte la
lasciavamo la lungo, finchlei stessa si stancava e manifestava la sua
presenza salutandoci. A volte Giuseppe usciva, passando nell'altra stanza e da
lnel cortile; girava intorno alla casa, le si metteva dietro e le tappava
gli occhi con le mani. "Sei Giuseppe, " gridava lei con la sua voce acuta. Un
pomeriggio le misi io stesso le mani sugli occhi. Venivo dalla baracca e lei
non mi aveva ancora visto ma vedeva benissimo dalla finestra Giuseppe che
lavorava al banco. "Sei Giuseppe, " grid non so perch Provai un moto di
invidia per il mio padrone, per lei ubiquo, chino a lavorare in bottega e
contemporaneamente in cortile a chiuderle gli occhi con le mani. Da qualche
tempo, man mano che avanza nell'et Maria si sofferma da noi sempre meno,
come se lei stessa avvertisse che non sta bene per una ragazzina ormai cresciuta
trattenersi a lungo con uomini. La guardo quando se ne va, stretta nel suo
scialle come una donnina: non salta pi non corre come un tempo, adesso imita
la camminata composta delle donne di qui, a occhi bassi. Ma alza troppo i
piedi e gli zoccoletti di legno battono allegri SUi sassi. Giuseppe non ha
pensato a fabbricarne un paio per lei intagliando un ramo di olivo; ha
provveduto Natan, che ha inchiodato poi al legno una striscia di sottile cuoio
rosso. Quando il muto glieli ha dati, Maria scoppiata a piangere. Natan non
capisce la sua reazione, ma io s gli zoccoli, Maria, li avrebbe voluti da
Giuseppe. La ragazzina diradle sue visite. Torna salutarci in bottega due o
tre volte in un mese, poi non venne pi Capimmo che aveva ricevuto la sua
rivelazione; la zia le aveva spiegato tutto: la parte animale dei rapporti
umani ma anche quella consolatoria, il sentimento che la riscatta; e infine il
piacere, ancora misterioso per lei, promesso anche alle donne e non sempre
raggiunto, cercato per istinto, temuto spesso come una colpa e scontato sempre
con la sofferenza; la vita con un uomo, la maternit A dieci anni Maria
sapeva ormai quel che sa una donna, ma rlmaneva innocente. Considerava
Giuseppe con indulgenza, da sorella maggiore, e con una nuova soggezione; per
lei era diventato improvvisamente un uomo e non riusciva a guardarlo senza
timidezza, ciche rendeva impacciato anche lui. Qualche cosa d'ingombrante si
era frapposto tra loro, una consapevolezza che spegneva le risate e gli
scherzi. Ogni parola, ogni gesto andavano ora misurati e pesati, non potevano
piessere leggerl come un tempo, spontanei. Maria era rinchiusa in un nuovo
mondo e doveva imparare a muoversi, pialta e pipesante, una donna e non
una bambinaGiuseppe non andava pitanto spesso a Tolemaide: solo quando la noia
di Nazareth lo sopraffaceva. Un giorno, stanco di quello stesso brulichio
umano che al principio lo aveva tanto attratto, passquasi tutto il tempo al
porto, a guardare il mare. Riattraversla cittverso sera. Allo stallaggio
il cavallo non c'era, o meglio giurarono di averglielo giriconsegnato. Non
valsero proteste, ragionamenti, suppliche. Giuseppe capche qualcuno glielo
aveva rubato, d'accordo con gli stallieri. A quell'ora la bestia era chiss dove, ma certamente lontano. Quando il mio padione minaccidi rivolgersi ai
soldati di Erode e di farli arrestare, gli uomini dello stallaggio lo misero in
mezzo e lo percossero con le loro fruste taglienti. Lo nascosero poi, svenuto,
tra la paglia nel cortile. Giuseppe tornin sche era buio, si trascinfino
al pozzo, bewe e si lav poi si accinse a tornare a casa a piedi. Gli ci
volle tutta la notte. Fu cosche perse il cavallo e la sicurezza di s Mi
ero alzato all'alba e tiravo su un secchio d'acqua dal pozzo per lavarmi la
faccia, quando vedo, guardando sopra il muretto, una sagoma che mi pare di
riconoscere. L'uomo zoppica e viene avanti a fatica, stremato: Giuseppe.
Gli vado incontro portandogli un mantello, lo conduco in casa e, fatto fuoco,
metto un calderone d'acqua a scaldare. Lavato, rifocillato, il mio padrone
smette di battere i denti e dorme fino alla sera. Giuseppe stava chiuso in casa
a curarsi le ferite e la depressione. La sera scendeva in cortile e si sedeva
tra le cataste di tronchi. "Come ho passato la vita finora? " mi disse una
notte. "A guardare e a essere guardato. Che rapporto ho avuto col prossimo?
Il mio prossimo tutto femminile. . . "Non so quali pensieri gli fossero
passati per la testa in quella lunga notte mentre tornava da Tolemaide, ma
Giuseppe non era pileggero di mente e di animo com'era stato fino a poco tempo
prima. Stava maturando, e non gli piaceva. Adesso le gite a Tolemaide gli
erano precluse; guadagnavamo bene ormai ma a ricomprare un cavallo non c'era
neppure da pensarci: Giuseppe non aveva ancora finito di pagare quello che gli

era stato rubato. Egli si sentiva di nuovo in trappola, legato a Nazareth,
dove sesso voleva dire matrimonio. Prese a interessarsi tuttavia alle ragazze
della citt che fino ad allora aveva trascurato. Non di giorno n palesemente, ma al cader della notte e di nascosto. Gli bastava sedersi
nell'ombra sotto il muro di una casa e udire le voci delle donne che si
mettevano a letto, le ragazze che scherzavano, la molle cadenza delle loro
risate attutite dal sonno. A volte distingueva anche le parole, quando la
finestra era bassa da terra e aperta; in quei casi vedeva anche l'ombra delle
ragazze che si spogliavano, proiettata dalla lucerna contro il muro della casa
di fronte. La monotonia e la noia allungano solo i giorni; gli anni rotolano
via l'uno dopo l'altro e ci si stupisce che siano passati. Giuseppe misur quanto tempo senza storia fosse trascorso ed egli non se n'era accorto, un
giorno che ebbe una sorpresa. Aveva imparato a seguire le ragazze per la
strada. Sceglieva quelle accompagnate, da una serva o da una parente anziana,
cossi sentiva pial sicuro: la donna di scorta proteggeva soprattutto lui,
lo frenava, gli impediva di commettere imprudenze, quali abbordare la
fanciulla e farsi vedere in sua compagnia. Camminava a dieci passi di distanza,
non tanto vicino da apparire indiscreto e molesto, ntanto lontano da non
poter apprezzare da intenditore l'ondulare dei fianchi, le caviglie che
spuntavano sotto la gonna, il portamento del collo e della testa. Un
pomeriggio, che andava a pagare il noleggiatore di carri, vide da dietro una
ragazza che svoltava in una strada laterale. Esitappena un attimo, poi volle
dimenticarsi di avere una diversa destinazione e la segu Alta e sinuosa, la
bella (che tale doveva essere anche vista dall'altra parte) camminava accanto a
una vecchia, vestita modestamente di nero, una serva, probabilmente la
nutrice. Giuseppe era sicuro che fosse nuova del paese, altrimenti non avrebbe
mancato di notarla prima. Teneva gli occhi sui talloni teneri che s'innalzavano
e poi tornavano ad aderire ai sandali, sulle caviglie sottili, sull'inizio dei
polpacci e, pioltre sui fianchi stretti dalla cintura, sulle spalle dritte,
sulla testa coperta dallo scialle. La sconosciuta emanava seduzione come un
fiore esala il suo profumo: non faceva cioniente per attrarre l'attenzione,
ma Giuseppe era incapace di staccare gli occhi da lei. Capconfusamente che
quella ragazza era diversa da quelle che aveva conosciuto fino ad allora. Poi
accadde qualche cosa che gli fece pensare "anche questa come le altre": le
cadde un pezzetto di stoffa per terra. Giuseppe, che aveva spesso evitato di
raccogliere ciche le ragazze seminavano per via nel tentare un approccio,
questa volta non seppe resistere: raccattl'oggetto, che era un astuccio di
tela, un portamonete, e rincorse le donne per consegnarlo. La ragazza si
voltal suo richiamo e gli sorrise come a un vecchio amico, cordialmente cioe
senza malizia. Lui la riconobbe solo dopo un momento: era Maria, ed era
bellissima. "E mio, ~ disse la vecchia. "Grazie, gentile signore. Giuseppe
le tese il portamonete e s'inchin "Ti ringrazio anch'io, Giuseppe, "
aggiunse Maria e lo salut "Il Signore sia con te. ~ Gli girle spalle e
riprese la sua strada. Il mio padrone si accorse di non aver detto una parola;
si accorse anche che lei era molto compiaciuta di avergli suscitato
un'ammirazione cospalese. Com'era possibile che la bambina fosse tanto
cresciuta? Un anno prima, diciamo due, era poco di pidi una ragazzina,
lunga lunga, magra, con le scapole sporgenti. Giuseppe aveva avuto poche
occasioni di vederla negli ultimi tempi e lei intanto era diventata cos Cos
come? Grande, diceva a se stesso, e non aggiungeva altro nemmeno mentalmente,
perchnell'avvicinarla alle belle donne che aveva conosciuto e nel pensare ai
suoi pregi fisici, insomma al corpo, gli pareva di mancarle di rispetto.
Quell'incontro lo lascia disagio. Giuseppe soffriva che l'affetto paterno per
Maria non esistesse pi e non voleva ammettere che fosse diventato desiderio.
Un senso di ostilite di soggezione insieme lo avevano bloccato davanti a lei,
improvvisamente estranea e temibile. Giuseppe non parlava pidi donne. Mi
allarmai perchfino ad allora quello era stato il suo argomento preferito, un
discorso inesauribile. Le sue idee sull'altro sesso non avevano niente di
memorabile, se si eccettuano le ragioni che adduceva a giustificare la sua
predilezione per le vedove e particolarmente per quelle prive di figli e di
altri parenti. " Non credere che io voglia solo evitare rischi e
responsabilit ~ mi diceva, "mi preoccupo anche di non causare un danno alla
mia compagna. Sai quanto siano svantaggiate, rispetto a noi, le donne del mio
paese. "Lo sapevo: sorvegliate, rinchiuse, lapidate se adultere, spinte a
sposare ilcognato se vedove senza risorse, le donne d'Israele non hanno una
vita allegra: fatica, sacrificio e religione. Raggiunta una certa et
diventano spesso bisbetiche o infaticabili pettegole; non si ha idea di quanto
possa chiacchierare una donna, se non si capitati a tiro di certe spose di
Galilea. Sembra che sfoghino in parole ciche non stato loro concesso di
tradurre in azioni; come disse quel rabbi: "Il Signore diede all'umanitdieci
sacchi di parole e le donne se ne presero nove. . . "Secondo Giuseppe, nel
rapporto col sesso femminile bisogna cercare di non far torto a nessuno. Che
cosa dice il comandamento? "Non desiderare la donna d'altri". Ora, la vedova
non appartiene che a se stessa. E quell'altro comandamento "Non commettere atti
impuri"? Quelli che si compiono con una donna consenziente durante l'amore non
sono atti impuri, sostiene Giuseppe. Giurerei che in buona fede, che crede
di non infrangere la Legge. Lui ragiona cos di che cosa si preoccupano i
comandamenti? Che non si tocchi una donna, se proprietdi altri. Se il

legislatore avesse inteso proibire i piaceri della carne avrebbe prescritto:
"Non desiderare la donna". E se avesse voluto che tutto rientrasse nel
matrimonio avrebbe coscompletato la sentenza: "Non desiderare la donna che non
sia tua moglie". Si invece limitato a dire: "Non desiderare la donna
d'altri". Perciniente ragazze, perchsono proprietdei genitori o del
futuro sposo, che ha diritto di pretendere la loro verginit niente spose,
perchappartengono ai mariti. Restano le vedove. Questa dimostrazione, che a
Giuseppe appariva rigorosamente logica, mi era stata esposta molte volte con
varianti, commenti e glosse tratti dalla personale esperienza di chi parlava.
Ora il mio padrone, quando accenno ad avviarlo sul suo tema preferito, mi
risponde irritato. "Hai visto Maria ultimamente? " mi ha domandato. "No?
Allora vai a vederla. "Feci in modo di obbedirgli. Dall'impressione che la
nuova Maria ha fatto a me posso indovinare quella che ha fatto a lui. Adesso so
dove va Giuseppe quando, a un'ora qualunque del giorno, esce di bottega e
scende fino alla strada grande, di sotto: passa davanti alla casa di Cleofa,
poi gira dietro e dun'occhiata al di ldel muretto dell'orto. Non la vede
mai: Maria conduce una vita molto ritirata. E una ragazza solitaria, non ha
amiche. Non la si vede mai, ferma in un crocchio, unire la testa a quella
delle compagne per sussurrare e ridere; o camminare, appartata con una ragazza
della sua et con quell'atto speciale del dito alzato alle labbra, che
accompagna le confidenze e richiede il segreto. Anche Giuseppe solo. Un uomo
che piace troppo alle donne non pucontare sulla solidarietdei maschi. Il
mio padrone ha poi troppo sfidato, senza intenzione, la suscettibilite
l'invidia degli altri giovanotti: lui col cavallo da corsa; lui amato e
desiderato da tutte; lui protagonista di tante avventure, vere o inventate.
Ora che a piedi, gli fanno scontare tutto. Se va all'osteria nessuno beve o
gioca a dadi con lui; alla sinagoga non gli si chiede mai di leggere un brano
delle Scritture o d'intervenire in una discussione. Un'altra conseguenza
dell'incontro con Maria fu un improvviso raffreddamento dei rapporti di Giuseppe
con Dorotea, che da due anni era la sua amante; una svogliatezza, un amore
trasognato e malinconico, lo indussero a diradare gli appuntamenti. La loro
era una relazione segreta; persino io, che me ne sarei dovuto accorgere, non
avevo avuto per mesi il minimo sospetto, nonostante che Giuseppe ricevesse la
signora nella baracca del legno da stagionare a pochi passi dalla mia. Qualche
volta, aiutandolo a tirar fuori di lun vecchio tronco ero rimasto colpito dal
profumo che aleggiava nella stanza, che non era certo quello del legno di olivo
o di acacia. Scuotevo la testa, accusandomi di cattivi pensieri. Invece la
cuccia d'amore era proprio ldietro, e vi si accedeva spostando una trave e
passando al di ldelle cataste. Giuseppe vi aveva improvvisato un giaciglio e,
quando aspettava visite notturne, metteva due gocce di sonnifero nel mio vino.
Avrebbe voluto che nemmeno io sapessi chi era la donna che veniva da lui; capii
perch quando la vidi per caso una notte sul far dell'alba. Non avevo bevuto
vino la sera prima perchnon mi sentivo bene e mi ero svegliato molto presto.
All'incerto chiarore ebbi la sorpresa di veder uscire dalla baracca, cauta e
con un velo sulla testa, la bella Dorotea, la vedova del ricco. La riconobbi
dall'alta e snella figura, dalle vesti dorate, dai delicati calzari che
stringevano i delicati piedini. C'era stato un solo ricco in citt Antonius
Rufus, il mercante, che aveva latinizzato il suo nome per nuotare meglio nella
marea di romani che invadevano il mondo. Aveva incominciato dal niente;
venditore ambulante a sedici anni, portava alle donne dell'interno le raffinate
mercanzie delle grandi citt tuniche di porpora da Sidone, tele di bisso,
anelli d'oro, tappeti. Associatosi a un greco, aveva messo su bottega,
sempre di merci ricercate: berretti di feltro, sandali di Laodicea, scrigni
intarsiati, vasi dipinti. A venticinque anni possedeva un intero bazar.
Cinquantenne, manovrava i grandi affari: s'installava per un anno in una citt lontana, organizzava una rete di vendita, e poi tornava per alimentare dal
paese d'Israele i nuovi sbocchi commerciali. Nazareth era la sua cittnatale,
dove tornava per brevi periodi di riposo. Possedeva una grande casa, nella
stessa strada dov'era quella di Cleofa. E lera morto, poco dopo che Giuseppe
era arrivato in citt Aveva lasciato una vedova, una giovane greca dalla
pelle bianchissima e dai capelli biondi, che godeva di grande considerazione,
anche perchnon si faceva mai vedere e non aveva amiche. Veniva citata ad
esempio alle fanciulle: se ne restava a casa sua, piena di modestia,
soccorreva i poveri che entravano nel suo cortile il giorno prima del sabato, e
non andava nemmeno alla sinagoga, dato che non conosceva il Dio d'Israele. La
solitudine la consumava, come una malattia. Una sola donna Giuseppe aveva
desiderato a Nazareth: lei. Non l'aveva mai vista, ma la fama della sua
bellezza e della sua ritrosia erano bastate a infiammarlo. Un giorno s'intrupp con i poveri. Lei si affacciava a salutare dalla loggia i suoi beneficati, con
una grazia da regina: Giuseppe la vide, fu visto. Quando i poveri si
ritirarono, il mio padrone finse di uscire con loro e si nascose dentro un'arca
di pietra in fondo al cortile. Nell'ora della siesta, quando la casa sembrava
morta, scostil pesante coperchio e salalle stanze superiori. Os presentarsi nella camera di Dorotea: non fu cacciato, ma nemmeno accolto.
Antonius Rufus aveva preteso dalla moglie, in punto di morte, la promessa che
non avrebbe mai ricevuto uomini in casa, e Dorotea era decisa a mantenerla.
Quel primo giorno dunque non fecero altro che mettersi d'accordo su come e
quando rivedersi; le due persone pisole di Nazareth Si erano incontrate. Dal

nostro cortile si vedeva il piano pialto della casa di Dorotea; un panno
rosso che sventolava con gli altri stesi sul tetto ad asciugare era il segnale
che la signora sarebbe salita da Giuseppe la notte stessa. Veniva due o tre
volte la settimana, tardissimo, e rincasava prima dell'alba. Nazareth, di
notte, una cittaddormentata. Dorotea non correva alcun rischio di essere
veduta ndi svegliare i cani: percorreva il vasto giardino che si stende dietro
la sua casa e sbucava sulla strada alta; l'attraversava; pochi passi ancora ed
entrava da noi, non dal cancello ma da una fenditura che c'nel muro sotto il
fico e da dove una persona pupassare solo di fianco. Rispettava il giuramento
e provava in piun brivido che le disponeva i sensi all'amore. Per due anni il
loro rapporto non aveva conosciuto stanchezza. Dorotea, tenera, affettuosa,
capricciosa, greca (che quanto dire sapiente e raffinata) aveva saputo
invadere i sensi piche il cuore di Giuseppe. Ora il ritmo dei loro incontri
incomincia a rallentare. Di solito mi apposto a una fessura della mia baracca
semplicemente per vedere arrivare e ripartire Dorotea: anche tutta coperta e
velata, una gioia per gli occhi. Mi accorgo cosche, appena lei se ne va,
esce anche il mio padrone. Sembra in apparenza che la segua: lei scompare
entrando dalla porticina nel suo orto; Giuseppe prende invece la piccola strada
a gradini che congiunge la nostra con quella principale, poco di sotto, e
passa davanti alla casa di Cleofa. Non si sofferma, non alza gli occhi alle
finestre: passa e basta. Poi torna a casa a dormire un paio d'ore prima
d'incominciare la giornata. Credo che il mio padrone frequentasse la sinagoga
di Nazareth solo per il piacere d'intravvedere un attimo la faccia delle ragazze
tra le pieghe del velo, di sentirle vicine, sia pure nella zona a loro
riservata, di udirle bisbigliare, pregare, cantare. Molte non le conosce,
altre sono bruttine; non importa. Giuseppe non ha nessuna intenzione precisa,
non vuol conoscerle, non vuole soprattutto doverle riconoscere il giorno dopo
per la strada. Desidera soltanto starsene immerso in questa atmosfera di odori
femminili, di bisbigli, di fruscii, di sandali che battono contro i talloni,
di mani sottili che sollevano sulle teste lo scialle da preghiera. Gli piace
udire le voci acerbe delle ragazze e quelle molli e cantanti delle donne
recitare la preghiera consueta: "Ascolta, Israele: l'Eterno il nostro Dio. .
. " Adesso ci va soprattutto per rivedere Maria: lo capisco dal modo in cui
indugia all'entrata finchnon arrivata, o aspetta dopo la funzione che esca
anche lei con le altre. Insiste tuttavia a non voler prendere nota di ciche
gli va succedendo; ancora due sere fa, nel cortile, mi diceva: "Il giorno che
cadessi innamorato, ma innamorato davvero, senza rimedio, sarebbe la fine di
tutto. Un mondo composto di migliaia di donne si ridurrebbe a una donna
soltanto. Riesci a immaginare per me una sorte peggiore? "Strizzava l'occhio
perchfosse chiaro che scherzava ma io capii che aveva incominciato a soffrire
per amore: ed era la prima volta. Maria aveva conservato una sua grazia
infantile. Usciva di casa raramente, sempre con la zia o con la vecchia
nutrice, vestita di scuro, con la testa bassa, ma ogni tanto gli occhi le
scappavano, indocili, a guardare cose e persone e il suo passo composto si
spezzava in salti e in piccole corse. Secondo me, quando era al fianco della
sua balia, donna grossa e aggressiva che marciava piche non comminasse, si
tratteneva a stento dal farle lo sgambetto. Su Giuseppe tuttavia la sua vista
produceva un effetto devastante. Lo potel constatare un giorno che la incontr casualmente sulla strada del mercato e io ero con lui. Lei salutfrancamente:
"Il Signore sia con te, Giuseppe, " e gli sorrise; a me rivolse un cenno e
anche a me sorrise. Io ero assorto a guardare il mio padrone: non era arrossito
nimpallidito; stava fermo, in una concentrazione quasi dolorosa, e non
osava alzare gli occhi su di lei. Rispose al saluto meccanicamente e la guard solo quando lei e la nutrice furono lontane, due macchie nere sul bianco dei
muri. Il giorno dopo Maria venne a bottega. Giuseppe la salutcon imbarazzo,
balbettando; arrosse si ritira lavorare di pialla all'estremitdel
bancone. Presi io la sua ordinazione perch dal modo in cui si comportava,
era chiaro che era venuta da noi solo come cliente: voleva una cassapanca
nuziale, di quelle in cui si ripone il corredo. "Ti sposi, Maria? " le
domandai, ammiccando. "Pudarsi, " rispose con grande distacco. Non sorrise
mai in tutta la mezz'ora che restla spiegarmi come doveva essere la sua
cassa, con quali cornici e maniglie, quanto alti dovevano essere i piedi e
come torniti, di quale specie di legno, unita a incastro e senza chiodi. Un
po' alla volta Giuseppe si era girato di taglio, sicchla vedeva con la coda
dell'occhio, ma con servava l'atteggiamento di uno che bada soltanto al suo
lavoro. Quando se ne fu andata, alzla pialla e la scagliin fondo alla
stanza. Fu proprio a quell'epoca che il livello sociale di Giuseppe si elev rapidamente: alla sinagoga e per la strada molti lo salutavano per primi; le
madri di famiglia si dimenticarono le sue avventure d'amore (peccati di
giovent e lo considerarono un buon partito per le loro figlie, anche quelle
che abitavano nelle case di due piani, riservate alla gente agiata. A
venticinque anni Buono sul Pane era ormai tenuto a prendere moglie; di regola
un uomo mette su famiglia a diciotto e i dottori della Legge assicurano che
l'Altissimo, sia benedetto il Suo nome~ maledice chi a vent'anni non ancora
sposato. L'origine di tanta considerazione era naturalmente il denaro. Per
anni Natan aveva tagliato tronchi nei boschi, e avevamo incominciato a
commerciare in legno, vendendo travi squadrate e stagionate; il lavoro in
bottega andava aumentando; la casa era stata interamente pagata. Il vecchio

Elia detto Incastro, il falegname nostro concorrente, era morto, i figli
avevano litigato per dividersi l'eredite continuavano a litigare per decidere
chi di loro dovesse smettere di bere per incominciare a lavorare. Stavamo
pensando seriamente di assumere un paio di apprendisti. La prova che Giuseppe
era ormai considerato una persona influente, degno di rappresentare la
comunit si ebbe quando egli fu invitato a partecipare alle riunioni del
sabato pomeriggio. Nel giorno consacrato al riposo si riunivano nella casa
degli studi accanto alla sinagoga, sotto la guida del rabbi e del giudice
Cleofa, i cittadini pisaggi e autorevoli per discutere questioni di teologia
una ventina di anziani e, a turno, uno o due giovani promettenti, come
Giuseppe. Tutti o quasi avevano una moglie, a cui raccontavano con
raccomandazioni di segretezza ciche si era detto nella riunione; di modo che
il giorno dopo in cittsi sapeva tutto. L'argomento della discussione, il
giorno che Giuseppe vi partecip era l'osservanza del riposo del sabato. A
Nazareth non solo la gente usciva di casa il sabato senza necessitma da anni
aveva preso l'abitudine di passeggiare in piazza. Secondo Cleofa, questa era
una dimostrazione della rilassatezza di costumi e della mancanza di rigore
religioso, che si erano diffusi in Galilea. E stabilito che di sabato non si
debba camminare per pidi sei stadi e generalmente i passeggiatori non
superavano quella misura; ma Cleofa aveva parecchio da dire sugli scopi profani
e maliziosi di quelle camminate. , ~ ~, ~, , , . , ~ ~' , . : ,
~Nazareth non ha una piazza centrale come le cittgreche o romane: davanti alla
porta pibassa, dove la citttocca la valle, si apre un grande spazio
quadrato, in cui non ci sono ngiardini nfontane. Tutto intorno botteghe e
magazzini, perchla porta il punto di accesso pifrequente all'abitato e
quello per cui arrivano quasi tutte le merci. Il sabato, a un'ora del
pomeriggio che variava con le stagioni, in modo che non fosse troppo calda o
tropi-o fresca, le fanciulle con la scorta delle madri e i giovanotti senza
nessuna scorta facevano tre o quattro volte il giro della piazza, i maschi in
un senso, le femmine nell'altro. Guardavano ed erano guardati. I giri della
piazza, come si vede, svolgevano una funzione sociale. Ne nascevano amori,
fidanzamenti. Raramente una ragazza, anche se tentata, rispondeva agli
sguardi del ragazzo che la famiglia avrebbe considerato indesiderabile;
abituate alla soggezione verso i parenti, ragionevoli per forza, le fanciulle
si lasciavano guidare anche qui da misteriosi ma chiarissimi segnali che mandava
la madre camminando al loro fianco. Secondo Cleofa a quell'abitudine si doveva
rinunciare: la passeggiata non contravveniva forse alla lettera della Legge, ma
sicuramente ne profanava lo spirito. Concluso il suo intervento, Cleofa
solleciti presenti a manifestare il loro parere. Quando venne il suo turno,
Giuseppe riassunse le sue obiezioni in queste sole parole: "Genesi, uno,
ventidue. "Il rabbi citil versetto della Scrittura a cui aveva alluso
Giuseppe per coloro che lo avessero dimenticato: "Crescete e moltiplicatevi. .
. " Il santo uomo era, anche lui come il mio padrone, a favore della
passeggiata. "E vero, disse, che i matrimoni vengono per la maggior parte
combinati dai genitori ma giusto che i giovani abbiano modo intanto di vedersi
e conoscersi. Quale modo picasto di vedersi e conoscersi che la passeggiata
del sabato? Non esistono qui le terme e le palestre, " prosegu "dove i
giovani di altri paesi si incontrano con le ragazze, gli uni e le altre poco
vestiti o nudi del tutto, in un'orrenda promiscuitche il comune senso del
pudo re vieta di descrivere. . . E noi vorremmo abolire l'innocente
passeggiata del sabato? "I convenuti diedero ragione a lui e a Giuseppe e non
condannarono la passeggiata, che a Nazareth chiamata popolarmente "il giro
del cane" perchi cani, fiutando alle porte di bottega in bottega, percorrono
il perimetro della piazza nelle loro incursioni alla ricerca di cibo. La prima
sortita in pubblico del mio padrone stata un successo: con tre parole si guadagnato il rispetto degli anziani, la riconoscenza di tutti gli scapoli
della citte di tutte le ragazze in etdi marito. Il sabato seguente, di
pomeriggio, mentre Giuseppe adempiva il precetto del riposo obbligatorio,
dormiva ciosaporitamente, un gruppo di giovanotti presero a chiamarlo dalla
strada: lo invitavano a partecipare alla passeggiata, che egli aveva difeso
nella riunione alla sinagoga con tanta efficacia. Erano una banda allegra e
rumorosa, che il rispetto per il sabato non tratteneva dalle risate e dalle
grida. Giuseppe scese e fu accolto tra loro come un vecchio amico, anche se
erano tutti pigiovani di lui. Le voci si abbassarono e il contegno divenne
compunto, quando raggiunsero la piazza: la passeggiata aveva un lato rituale e
uno scopo pratico che imponevano seriete attenzione. Le due lente teorie di
maschi e di femmine giravano in senso contrario senza altri rumori, che non
fossero rapidi bisbigli e lo scalpiccio dei sandali. Il mio padrone, che
assisteva a questo spettacolo per la prima volta, ne fu colpito: la processione
smentiva la sua religiosa compostezza solo col lampeggiare degli sguardi e dei
sorrisi, quando le due schiere s'incrociavano. Si accorse che le ragazze gli
sorridevano con intenzione; alcune teste femminili si voltarono dopo che egli
fu passato e si udil sussurro delle madri che richiamavano all'ordine le
figlie esuberanti. Finalmente le donne potevano rimirare con tutta comodit l'uomo dei loro sogni. Non era la prima volta che lo vedevano, ma ora lo
potevano guardare in ogni particolare. Apprezzarono l'eleganza fisica e la
forza di Giuseppe, la simpatia che la bella faccia ispirava, ma anche la
raffinatezza del vestire, i capelli acconciati alla greca. Dai suoi viaggi a

Tolemaide Giuseppe aveva riportato tuniche corte di seta ricamata, fusciacche e
cinture di Siria, calzari scintillanti di dorature, mantelli di lana rasata
provenienti da Tiro e da Sarepia. A Nazareth non si era mai visto un uomo
vestito meglio, nuno pibello. Sembrava tuttavia a Giuseppe che le ragazze
si divertissero a vederlo girare in tondo con gli altri giovani, come se questo
fosse un motivo per prendersi gioco di lui. Non passmolto tempo che comparve
in casa nostra Eliseo, il sensale di matrimoni. Barbuto, austero, il vecchio
aveva un'aria di autoritche sembrava presa a prestito, indossata ciola
mattina col mantello nell'uscire e deposta, spiegazzata, al ritorno a casa.
Si sapeva che la moglie lo maltrattava, rincorrendolo con la scopa, di modo
che Eliseo poteva far mostra di un certo cipiglio solo lontano dalle pareti
domestiche. Con circospezione, con giri di frase, e alla fine con deliberata
sfrontatezza da imbonitore, il sensale presentla sua merce, e non si
trattava di una ragazza soltanto. Quando Giuseppe si rifiutdi ascoltare i
pregi di Abigail, figlia di Mardocheo, prese a parlare della ricchezza di
Noemi, figlia di Beniamino; e poi di Susanna, figlia di Samuele il mercante,
e di Marta, figlia di Neemia. Era forse la prima volta che Eliseo si trovava a
rappresentare tante ragazze diverse o, per dir meglio, i loro genitori davanti
a uno stesso uomo. Le ragazze di Nazareth: Giuseppe le conosceva appena, i
nomi che il sensale gli citava non gli suggerivano una faccia, una figura.
Subiva quella valanga di offerte, piuttosto spaventato; girava intorno gli
occhi come uno che cerca una via di fuga. Domandalla fine al vecchio a che si
dovesse quella improvvisa e troppo abbondante fioritura di proposte matrimoniali
e scoprche la colpa era sua. Partecipando incautamente alla passeggiata del
sa bato, egli si era proposto come marito, secondo l'uso, enon doveva dunque
stupirsi di essere stato preso sul serio. Capche i giovanotti della cittgli
avevano giocato uno scherzo, trascinandolo in piazza: gli avevano assegnato un
ruolo di promesso sposo, si erano vendicati delle sue arie di superiorit del
cavallo e degli amori a Tolemaide. Ma avevano agito con eleganza, qualitche
il mio padrone aveva in pregio, ed egli non se la prese. Rideva anzi e diceva:
"Si puportare l'asino all'abbeveratoio ma non costringerlo a bere; mi hanno
condotto alla passeggiata, ma non mi possono obbligare a sposarmi. Non ci
tornerpi " ICi tornpochi mesi dopo, quando Maria, un pomeriggio di
sabato, fu accompagnata dalla zia al "giro delCome venne a sapere che Maria si
esponeva agli sguardi in piazza, Giuseppe fu colpito da dolore e da meraviglia.
Egli si era benissimo accorto che Maria era diventata una donna e infatti la
guardava con turbamento sempre maggiore, le rare volte che la incontrava, ma
aveva conservato di lei soprattutto l'immagine che gli suggeriva il ricordo:
quella di una bambina in punta di piedi, di una testina bruna che si affacciava
al davanzale della finestra. Venuto il sabato, Giuseppe s'imbranccon i
giovanotti che lo guardavano ironicamente e incomincii suoi giri della piazza.
Maria se ne accorse subito e sorrise, ma non a lui: in atto, invece, di
divertirsi segretamente, come se un evento previsto e lungamente atteso fosse
alla fine accaduto. Giuseppe infatti non aveva occhi che per lei. Con ciche
gli restava di attenzione spiava i ragazzi che la guardavano, i loro cenni e
sorrisi. Non gli venne in mente che, se gli zii avessero voluto davvero
maritarla, avrebbero avuto modo di presentare a Maria i pretendenti giusti,
giovanotti anche di altre citt di buona famiglia e di buona educazione,
senza costringerla a quell'esibizione. Non sapeva che era stata Maria a
impuntarsi, finchla zia non aveva acconsentito ad accompagnarla. La ragazza
aveva preso a pretesto la curiosit voleva vedere anche lei il famoso "giro del
cane". Resistendo i parenti alle sue richieste, disse che ci sarebbe andata in
ogni caso: accompagnata, se la zia decideva di assecondarla, oppure sola.
Sinedrio aveva avuto in questa occasione un sussulto di autorit aveva
gridato, invocando il rispetto che gli era dovuto. Messo poi sul punto di
affermare la sua volonte d'impedire il progetto di Maria (era certo possibile,
ma gli sarebbe costato ripicche e bronci a non finire, cose di cui egli aveva
il terrore) oppure di far passare per una sua liberalitil consenso che gli
veniva imposto, preferquesta seconda alternativa e diede solennemente il suo
permesso. La prima volta non successe niente. Giuseppe, che non conosceva i
segni convenzionali con cui i passeggiatori e le passeggiatrici si mandavano
messaggi, non capche cosa una decina di giovani volessero comunicare a Maria
ma lo immaginsenza difficolt Piarduo gli fu percepire e interpretare le
risposte della ragazza, che muoveva le dita e le mani sorridendo appena. Il
sabato successivo aspettche uscisse dal giro un giovanotto spavaldo, chiamato
Gioele, figlio di un noleggiatore di carri a lui ben noto, e gli diede
appuntamento dietro le mura per la mattina dopo, quando, essendo passato il
sabato, ci si poteva dedicare a qualche esercizio fisico violento. Era
sembrato a Giuseppe che Gioele, detto Piedi, un giovanotto gigantesco a cui
secondo la fama puzzavano i piedi atrocemente, avesse rivolto a Maria cenni
insistenti e indiscreti; o piuttosto i sorrisi mandati in risposta da Maria gli
parvero troppo promettenti. S'incontrarono la mattina dopo lungo le mura,
dalla parte esterna rispetto alla citt e Giuseppe riconobbe che era vero: a
Gioele puzzavano i piedi. Questo fatto lo rese indulgente: mai una ragazza come
Maria avrebbe sopportato nelle sue vicinanze una tale sorgente di fetore. Si
malmenarono un po': l'altro era molto grosso ma non aveva agilit cos Giuseppe lo stese prima che potesse rovinargli la faccia. "Si pusapere perch mi hai sfidato? " domandGioele, ancora a terra. E poichGiuseppe non

rispondeva, "Se per la nipote del giudice, " aggiunse, "caccia libera;
io ci provo. ""No, " disse Giuseppe, "tu no; nessuno di voi. ""Vuoi
sposarla tu? ""No, " ritorse Giuseppe, "io non mi sposo ma voi, Maria, la
lasciate stare. "Questo modo di ragionare parve a Gioele fuori luogo, una vera
prepotenza. Si rizzin piedi e continuil combattimento con Giuseppe.
L'unico risultato fu un ematoma allo zigomo per il mio padrone e una costola
rotta per Gioele. Poi i due giurarono di non avere sentimenti ostili l'uno
verso l'altro; sarebbero anzi stati amici da allora in avanti, assicur Giuseppe, a patto che Piedi smettesse d'interessarsi a Maria. Di nuovo,
questa condizione parve a Gioele eccessiva e tornarono ad azzuffarsi. L'epica
rissa dur con qualche interruzione per riprendere fiato, quasi tutta la
giornata. Natan e io arrivammo, appena ne fummo avvertiti: era vicino il
tramonto e nella scarpata sotto le mura si era radunata una buona metdella
popolazione maschile di Nazareth. A memoria d'uomo non si era mai avuta in
citte nei dintorni una simile scazzottata. Gioele perdeva parecchio sangue e i
suoi amici alla fine lo portarono a casa su un carretto; Giuseppe torna
piedi, sostenuto da Natan e da me. Anche lui era insanguinato ma la faccia,
come gli confermsubito lo specchio, non era stata quasi toccata. Rassicurato
sullo stato della sua bellezza, il mio padrone fu medicato e si stese sul
letto. Appariva molto soddisfatto. Non avrebbe saputo dire lui stesso perch il duello lo avesse placato, perchesso gli sembrasse, oltre che un atto
virile, una limpida espressione dei suoi sentimenti aggrovigliati. Rimase a
letto due giorni. Quando seppe della baruffa, Maria espresse con la zia il suo
dispetto: "Quello stupido, " disse, "che cosa pensa di fare? di sfidare l'uno
dopo l'altro i ragazzi che mi sorridono? Si farspaccare la faccia e non sar picosbello. ~' Le avevano riferito quel discorso di Giuseppe, che aveva
dichiarato pubblicamente di non volerla sposare, e lei aveva detto a se stessa:
"Questa, me la paga. " Peril giorno dopo, come se passasse per caso, venne
alla finestra della bottega e s'informsulla salute del mio padrone. Non volle
entrare, ma rimase a chiacchierare a lungo con me e con Natan. Disse che non
capiva perchdue persone assennate come Gioele e Giuseppe si dovessero
massacrare senza motivo. Il motivo c' le disse con i suoi gestNatan, che tanto muto quanto ingenuo. "Io non conosco la ragione per cui si sono
comportati come selvaggi, " replicMaria, in perfetta malafede, "ma non ce
n'una per cui valga la pena di picchiarsi a quel modo. "Il duello fece una
grande impressione sugli altri rivali del mio padrone. Avevano creduto che
Buono sul Pane, solo perchsi pettinava alla greca e si vestiva di seta, non
avesse grinta; e invece aveva ridotto male Gioele, che era il pigrosso e il
piforte di tutti. Stabilirono di ignorare Maria durante la passeggiata del
sabato. Tennero parola e lei ne fu molto seccata. Giuseppe la incontr a
passeggio con la balia, e le andincontro con un sorriso compiaciuto: sentiva
di meritare un ringraziamento per essersi battuto per lei. Gli sarebbe bastato
che lei gli sorridesse in risposta. Maria lasciche si avvicinasse e quando fu
a tiro gli diede due schiaffi, uno per parte, secchi e duri. Si volte se ne
and Giuseppe ci penssu prima di arrivare a capire che la ragazza non
gradiva le risse in suo nome e soprattutto non apprezzava chi si batteva per lei
gridando di non volerla sposare. Un'altra person~ sentche la zuffa tra
Giuseppe e Gioele riguardava anche lei, e fu Dorotea che, esposto il panno
rosso, vide dalla sua finestra la scure che ci faceva da insegna penzolare col
manico all'ingi e questo segnale significava che non dovesse venire. Il
segno d'interdizione rimase per una settimana; poi s'incontrarono di nuovo,
lei e Giuseppe, e passarono la notte insieme. Dorotea era venuta per
piantargli una scena di gelosia e si trovinvece a esporgli progetti per il
futuro: come continuare a vedersi quando Giuseppe si fosse sposato. Perch avrebbe pure dovuto sposarsi, non vero? , una volta o l'altra. Dorotea non
temeva rivali: non sarebbe stata una rozza galilea, con la tunichetta a mezza
gamba e i piedi callosi, a toglierle Giuseppe. Giuseppe si lascicrescere la
barba. Io me la radevo, secondo il costume romano, ma gli uomini d'Israele
seguivano una tradizione diversa, erano barbuti e capelluti. La barba del mio
padrone, corta e ben curata, era meno scura dei capelli, quasi bionda. La
primavera in Galilea verdissima. Intorno a Nazareth le colline e le piccole
valli tra di esse si gonfiano di erbe, di cespugli che si fanno largo verso il
sole premendo sulle altre specie meno vigorose e componendo con esse viluppi
inestricabili. Giuseppe andava a camminare lungo i prati e raccoglieva grandi
mazzi di fiori; prima di entrare in citt li buttava via. Tornando una sera
dalla sua passeggiata, che si svolgeva dopo il lavoro, verso il tramonto,
passo davanti all'orto di Cleofa e fu travolto da un impulso: saltal di ldel
muretto. Risaltra i tamarindi e gli allori che bordavano i sentieri in mezzo
agli ortaggi, e poi tra i meli e i giuggioli, tra le rose e i crochi color
zafferano, in mezzo ai colori e ai profumi di quell'esuberanza vegetale, fino
alla cisterna, dove si raccoglieva l'acqua per irrigare durante l'estate.
Guardin su verso la casa, che s'intravvedeva, nascosta dai fichi e dagli
ulivi; poi sospire si sedette sul gradino della cisterna, dandole le spalle.
Maria lo aveva visto dalla sua camera al piano superiore, che guardava dalla
parte dell'orto, e scese con un panierino in mano. Doveva figurare la buona
figlia di famiglia che scende a raccogliere le verdure, ma dal modo in cui era
vestita sembrava piuttosto che dovesse partecipare a una festa nei campi. Si
era pettinata in un momento e si era legato un nastro giallo nei capelli;

scartata la semplicitdella tunica, si era messa una veste pieghettata, senza
maniche, che veniva da Alessandria, di finissimo bisso, hianca, con l'orlo
ricamato a fili d'oro, una cintura di cuoio morbido, gialla come il nastro nei
capelli. Ai piedi nudportava sandali nuovi, di sottilissima pelle di
sciacallo, a strisce gialle e porpora. Giuseppe non l'aveva mai vista vestita
come una signora; quando si volt al fruscio dei passi di lei, per la
sorpresa rimase immobile e non riusca dire una parola. Maria non lo salut
Finse l'irritazione di chi si trova un intruso in casa e domanda Giuseppe che
cosa fosse venuto a fare nell'orto. La voce era fredda, l'atteggiamento
altero: in quel momento Buono sul Pane capche era diventata davvero una donna.
"Lascia stare, " disse, anche lui con una punta d'irritazione, "non ti
ricordi che ti ho conosciuta alta cosda terra? ""E con questo? ""Non ti dare
tante arie. Siamo amici, o almeno lo eravamo. Possibile che tu non capisca
che posso aver voglia di parlarti come un tempo? Davvero, non so piniente di
te e tu di me: non so che cosa vuoi, che cosa pensi. . . "La ragazza sporse
il piede destro in avanti, come a prendere la rincorsa; poi incominci "E che
cosa suggerisci? di tornare a nasconderti nell'orto di mio zio come un ladro
oppure ti sarebbe picomodo che io venissi in bottega in modo da compromettermi
agli occhi di tutti? Non sai forse come vanno le cose? Se vuoi vedermi, vieni
alla passeggiata del sabato, come gli altri. ~"Gli altri, " mormorGiuseppe,
"non ci sarnessun altro. ""Come osi picchiare i miei pretendenti? Loro
almeno si comportano onestamente, mi vogliono sposare. . . ""Ecco, io. . .
" disse Buono sul Pane, confuso. "Tu ti sei permesso di affermare in pubblico
che non vuoi sposarmi. Che cosa penserla gente? ""Insomma, " obiettlui,
"nessuno mi costringe. Se non voglio, non voglio. ""Bravo. Intanto per impedisci agli altri di domandarmi in moglie: che si pupensare? che hai lo
stesso dei diritti su di me, che sei il mio amante per esempio. . . e questo
io non lo tollero, io sono una ragazza per bene. ""Lo so, " mormorBuono sul
Pane, avvilito, "lo so, e ti rispetto. " Era ricaduto a sedere, di schiena
alla cisterna. "Ma ho bisogno di te, " riprese con voce intensa, "voglio
rivederti. ""A che scopo? ""Per parlarti, per starti vicino. . . ' Giuseppe
non osava dire di pi "Se non vuoi che sia tua moglie, che cosa posso mai
essere per te? " domandMaria. "Non so; " rispose, esitando, "una compagna,
un'amica. Non necessario essere sposati per volersi bene. Io saprei
rispettarti. . . ""Storie: lo sai che l'amicizia tra uomo e donna impossibile, fuori dal matrimonio, " disse lei, ripetendo un'opinione molto
radicata, che passava per veritevidente. "Allora, ~ replicGiuseppe, "tu
vuoi che ti sposi? E per questo che ti arrabbi tanto? ""Io? " esclamlei,
dando enfasi al suo interrogativo, come se la sola ipotesi di sposare Giuseppe
bastasse a riempirla di scandalizzato stupore. "Ti sbagli, caro. Te, non ti
sposerei se fossi l'unico uomo rimasto qui intorno. Che cosa ti sei messo in
mente? ""Volevo ben dire, " rispose Giuseppe, sostenuto. "Allora non
t'importerche io non mi sposi. Solo dovresti anche tu comportarti allo stesso
modo, da buona amica; io non mi sposo e tu non ti sposi. "Maria non si
sofferma dimostrargli quanto un patto di questo genere fosse improponibile.
"Ti basterebbe? " domandcon finta dolcezza. Il mio padrone sospir poi
disse: "Farei in modo che mi bastasse. ""E questo ti pare un comportamento da
uomo? " scattla ragazza. "Vergognati: io resterei vergine e zitella, e tu ti
consoleresti con le donnacce di Tolemaide. Eh no, caro, troppo comodo. . .
"Giuseppe si alz le stette davanti: "Non posso, ' mormordolorosamente,
"non posso sposarmi. Per me sarebbe una malattia, il matrimonio, una malattia
inguaribile. . . "". . . come la peste. . . " suggerMaria. ". . .
o la lebbra. . . ""E allora sta' lontano da me, Buono sul Pane, o ti prendi
il contagio, " strillla ragazza e gli diede uno schiaffo in faccia, girle
spalle e risalverso casa senza voltarsi indietro. Giuseppe rimase la lungo
con la mano sulla guancia: non gli doleva tanto lo schiaffo, per quanto fosse
la seconda volta che lei lo trattava cos quanto il nomignolo poco decoroso
con cui lo aveva chiamato. Rincasdi umor cupo e, passando il cancello,
rivoltla scure col manico in giin modo che Dorotea rimanesse a casa sua.
Anche Maria fu tutt'altro che contenta di se stessa. Non aveva amiche tanto
intime da poter raccontare loro ciche era avvenuto e cossi sfogparlando
con una vecchia bambola, da cui era uscita quasi tutta la crusca che la
imbottiva; non riuscendo ancora a consolarsi, si rifugidalla zia, a cui
disse soltanto: 'iGli ho dato uno schiaffo, " scoppiando poi a piangere. La
zia la raccolse in grembo, la cullcome quando era piccola, e Maria si
addorment Giuseppe non aveva mai visto Maria cosben vestita, non aveva mai
visto i suoi capelli, di solito nascosti dallo scialle o dal velo. Gli era
sembrata una signora, ma da un altro lato non diversa dalla bambina ostinata
che aveva conosciuto, chiara e decisa, attenta a difendere i suoi diritti,
manesca persino. Era una disgrazia che fosse cosi bella e non Si potesse
ottenerla se non col matrimonio. Non riusciva a dimenticarsi della piccola mano
che l'aveva toccato, sia pure per dargli uno schiaffo. Evitava anche Dorotea:
la scure dell'insegna rimase ostinatamente col manico all'ingi Per due sabati
di seguito, alla passeggiata, rivolse a Maria il segnale che significa "posso
rivederti? ", che si fa muovendo il dito indice a uncino, e solo la seconda
volta lei si degndi rispondere di s agitando furtivamente il dito nello
stesso modo. Si ritrovarono il giorno dopo alla cisterna dell'orto. Maria
indossava una vecchia tunica e aveva i piedi nudi; non si era messa neppure il

nastro nei capelli. Voleva mostrarsi nella pimodesta delle tenute, senza il
prestigio della veste preziosa. In veritnon rischiava nulla: lui la trov ancora pibella. Schietta e fiera nella sua tunica consunta, Maria lo
intimidiva anche piche non vestita da signora. Giuseppe era un po' a disagio
perch aspettandola, si era appoggiato alla cisterna che traboccava e si era
bagnato la tunica sul davanti: il tessuto bagnato rivelava ora la sua erezione.
Si chinun poco in modo che la tunica non aderisse al corpo. Come non si
aspettava, Maria fu mansueta e dolce. Incomincicol chiedergli scusa. "Di
che? " domandGiuseppe sinceramente: si era dimenticato dello schiaffo. "Ma di
averti percosso, caro, " disse lei, passandogli in una rapida carezza la mano
sulla guancia. "Sono stata sciocca e impulsiva. ""Forse perchun po' mi vuoi
bene, " suggerlui, "e non hai il coraggio di dirlo. ""E come potrei non
volerti bene, Giuseppe? Mi sei caro fin da quando ero bambina, fin da quando
t'incontrai per la prima volta a Betlemme, nel cortile della locanda, e tu mi
trattasti come una persona, alla pari. Non me ne sono mai dimenticata. " La
voce commossa s'interruppe un attimo, poi riprese in tono diverso: "Adesso che
sono grande invece ti comporti con me come se fossi una bambina o una persona
inferiore. ~" Non vero, " protestGiuseppe. Si era avvicinato e le prese
la mano; Maria la tirindietro. "E vero, " disse la ragazza. "Non vuoi
sposarmi ma crei lo scandalo intorno al mio nome. Vuoi conservare la tua
liberte togliermi la mia. Vieni da me e non sono io la sola donna a cui parli
d'amore, ne sono sicura. Mi tratti come una ragazza da poco, un'amica
secondaria. "Giuseppe taceva. "Non posso dividerti con altre donne, Giuseppe.
Io ti devo bastare come tu basteresti a me. ""Che cosa vuoi che faccia?
""Pensaci, e vedrai tu che cosa fare. Ma non tornare da me se non quando lo
saprai. " Giuseppe, oppresso dalle decisioni da prendere, sul punto di
vedersi davanti una vita cambiata, smuoveva la terra con la punta del sandalo.
"Ti amo, " disse Maria, sottovoce. Con un gesto improvviso gli gettle
braccia al collo e lo bacisulla bocca. Le labbra s'impressero fortemente,
come un suggello; poi trovarono la dolcezza di un contatto meno violento.
Giuseppe rispose con passione, la strinse a s esalando un profondo respiro.
Ciche aveva desiderato, senza crederlo possibile, stava avvenendo: Maria gli
dava un bacio d'amore, uno vero. D'improvviso lei si stacce corse vero casa.
"Anch'io, " le griddietro Giuseppe. "Ti amo anch'io. "Rimase accanto alla
cisterna ancora un po'; cercava di trattenere la sensazione dolce e bruciante
di quel bacio, senza preoccuparsi ancora delle parole definitive che gli erano
state rivolte. Incomincia pensarci la sera, dopo cena, solo sul tetto di
casa. L'alternativa in cui si trovava era un tormento: sposare Maria voleva
dire rinunciare alle altre, a Dorotea, a Maria di Daniele, ad Abigail, a
Noemi, a Susanna, a Marta, che sospiravano per lui; non solo: voleva dire
escludere dalla sua vita la variete la prossimitdel mondo femminile, il
pensiero stesso delle infinite avventure possibili, l'amore come gioco e
tenerezza, sacrificare ciche per lui era una seconda luce del sole. Giuseppe
non pens se non per un momento, di poter essere un marito infedele. Poteva
rinunciare a Maria. Ma avrebbe potuto veramente? Pipassava il tempo e pisi
sentiva trasportato verso di lei. La rivedeva continuamente, nelle sue vesti
raffinate e poi con i piedi nudi, elegante anche nella povertdella tunica
vecchia, rivedeva gli occhi, il sorriso. Da lei aveva avuto in tutto qualche
schiaffo, una carezza e un bacio, e non riusciva a dimenticare la mano, le
labbra, che lo avevano toccato. Ripensandoci era talmente assorbito dal
ricordo che il pensiero delle altre si attenuava e svaniva, esisteva solo
Maria. Allora si scuoteva rabbrividendo, come se fosse sul punto di cadere in
uno sprofondo, e si riempiva la testa d'immagini diverse, dove brillavano
altri sorrisi, dove Dorotea lo stringeva tra le braccia. Due sere dopo
raddrizzla scure col manico in su, segnalando alla greca di venire, e si
attacca lei, che poteva rappresentare la salvezza. Ma non trovava pi
nell'amore con Dorotea, l'antico incanto. Passancora qualche giorno e una
sera Giuseppe parlcon me, mi confidcioquel che ho appena raccontato. Era
un sintomo grave, perchBuono sul Pane era piuttosto riservato sugli affari
d'amore e diffidente. Forse si decise a farlo solo per il piacere di parlare di
Maria con qualcuno che la conosceva. Quel periodo d'intimo conflitto gli tolse
la pace e gli consumla carne: dimagrito, nervoso, il mio padrone non
assomigliava pia se stesso: litigcon me e rivolse parole dure anche a Natan,
cosa che non aveva mai fatto. Intristiva ma ancora non si era arreso, perdeva
il sonno ma resisteva. Anduna sera all'osteria e si ubriac era forse
l'unico modo di allontanare per qualche ora l'assillo dei suoi pensieri. Fu una
sbornia solitaria: Giuseppe bevve una grande quantitdi vino, seduto in un
angolo della stanzaccia, cupo e determinato, finchcrollsul pavimento. Mi
chiamarono e lo andai a prendere; lo portai a casa, un po' trascinandolo, un
po' caricandolo sulle spalle; dormtutto il giorno successivo. Erano passate
due settimane dall'ultimo incontro con Maria, quando il mio padrone ritorn nell'orto e attese la ragazza accanto alla cisterna. Lei lo vide dalla sua
camera, poichrimaneva ldi guardia sera dopo sera, ma non scese subito: lo
lasciaspettare a lungo, trattenendosi a stento dal corrergli incontro.
Arrivalla fine dove Giuseppe, in piedi, appoggiandosi con una mano alla
cisterna, imparava la pazienza e lo salutcon la formula picomune: "Il
Signore sia con te. ~ Lui non le lascinemmeno finire la breve frase ed entr subito a dire ciper cui era venuto: "S ti sposo. Accetto, ti sposo. " La

sua voce era chiara e forte; voleva compromettersi, voleva non poter pi recedere dalla sua dichiarazione. Si aspettava che Maria gli buttasse le
braccia al collo, riprendendo da dove si erano interrotti l'ultima volta, ma
lei non si mosse; gli rispose: "Questo quel che dice di solito la ragazza,
quando viene chiesta in matrimonio, a meno che non dica di no. Finora di me
non si parlato. Tu, una volta dichiari che non mi sposi, una volta assicuri
che lo fai. E io? Credi di poter disporre di me come ti piace? "Giuseppe era
confuso, non arrivava a capire che cos'altro la ragazza pretendesse da lui. Lo
disse: "Non capisco. "Maria gli venne in soccorso: "Sei venuto a domandarmi in
matrimonio? ""S ~ disse Giuseppe a denti stretti. "E allora fallo, e io ti
risponder 'Il mio padrone incominciava a perdere i suoi privilegi: non si
trattava pidi concedersi al modo di un premio, ma di mettersi alla pari con
una donna, cosa che aveva pensato di non dover fare mai. La guard Maria
aveva indossato una tunica meno lisa della volta precedente e portava ai piedi
un paio di zoccoli, era ciovestita come soleva fare quando scendeva davvero a
raccogliere verdure nell'orto. A suo modo, era anche quella una tenuta
dimostrativa: non appariscente e non infima, diceva che Maria voleva apparirgli
com'era tutti i giorni. "Quante storie, " brontolGiuseppe, "che vuoi
ancora? " Maria non gli rispose. "Se ho detto che ti sposo, ~' continului,
"perchso che mi dirai di s Se fosse no, me lo avresti gifatto capire.
Esitancora: "Insomma, devo proprio domandartelo? " Lei stava zitta. "Mi vuoi
sposare? " disse alla fine Giuseppe, mangiandosi un po' le parole. Lel, quasi
a compensarlo del suo sforzo, lo bacisulla bocca, lo lasciun attimo e
torna baciarlo. Giuseppe rispondeva con fervore. Maria s'interruppe e gli
domand "Prima di venirmi a fare la tua richiesta, hai provveduto a liberarti
dei rapporti che avevi con altre donne? ""No, " ammise lui. "E come puoi
chiedermi di sposarti, di prometterti fedelte amore, mentre hai diviso il
letto con un'amante fino a ieri e magari le hai lasciato credere che tra voi due
la cosa continueranche dopo che sarai sposato? ""Questo no; " disse Giuseppe,
"io ti sarfedele. ""Allora torna quando sarai libero e ripetimi la tua
richiesta. Il Signore sia con te. "Maria se ne tornverso casa senza averlo
toccato pi per quanto lui avesse pivolte avanzato le mani per incontrare le
sue, trattenendo poi il gesto a metquando lei non dava segno di volergli
rispondere. Giuseppe non sapeva come troncare con Dorotea senza darle un
dolore. Alla fine affrontil suo risentimento, per cosdire disarmato,
perchnon aveva da offrirle nessun ragionevole motivo per la rottura, se non
quello che stava per sposarsi, e non c'dubbio che la greca non lo avrebbe
ritenuto ragionevole affatto. Quando vide che Giuseppe la riceveva nella stanza
bassa accanto alla bottega invece che nella baracca, la donna cap immediatamente e lasciche egli le spiegasse, ora con voce dura e ora
balbettando, il suo proposito di sposarsi. "Farai il marito fedele, caro? "
gli domandcon una punta di scherno, "chiuderai gli occhi davanti a cose come
queste? " e si aprla veste sul seno, che aveva bellissimo. Giuseppe chin gli occhi a terra e lei si mise a ridere. Poco dopo Dorotea lascila casa del
mio padrone ma prima di andarsene gli offrla sua commiserazione: "Povero
ragazzo; potevi essere felice tra le donne, seduto tra una corte di amanti,
come un principe di Arabia, e ti vai a seppellire tra le braccia di una
ragazzetta galilea; le giurerai fedelte te ne pentirai per tutta la vita.
'Ormai libero e consapevole di ciche significava sposare Maria, Giuseppe non
si precipitnell'orto di Cleofa per gli accordi definitivi. Non ebbe fretta,
proprio perchsentiva quanto fossero decisive le parole che avrebbe
pronunciato. Voleva essere ben sicuro di se stesso. Pregustava la gioia di
abbracciare Maria, di consegnarsi a lei, pronto per il sacrificio, ma
considerava anche tutto cia cui rinunciava e riconosceva che non era poco.
Una sera mi passaccanto in cortile, mi prese per le spalle e mi scosse.
Aveva bevuto molto a tavola, il suo alito sapeva di vino. "Posso ancora dire
di no, ~' mi annuncicon quella solennit con quella voce grave e lenta,
che di solito assumono i bevitori quando non sono ancora ubriachi del tutto.
Andal pozzo e si rovescisulla testa un secchio d'acqua. Esitancora due
giorni; li pass zitto e nuvoloso, seduto sul tetto a guardare dalla parte
delle colline; poi preg si lavaccuratamente, si vestdi una tunica
bianca di lino, calzi sandali nuovi, si legi capelli con due fascette di
seta i cui lembi gli cadevano sulle spalle, ed entrnell'orto di Cleofa.
Maria era giad aspettarlo alla cisterna; le piacque che venisse a lei,
purificato dall'acqua e dalla preghiera, vestito come per una riunione alla
sinagoga. Lei indossava una tunica azzurra e portava un nastro dello stesso
colore tra i capelli. Sapevano l'uno e l'altra che quello era l'incontro delle
decisioni. "Eccomi, " disse Giuseppe semplicemente. "E adesso, mi vuoi
sposare? ""Certo, Giuseppe. Ti amerfinchavrvita Maria abbracciil suo
innamorato e lo baciSi sedettero l'uno accanto all'altra a raccontarsi quanto
si volevano bene. Il mio padrone scopriva che l'amore puessere anche calma,
felicit dopo essere stato per lui soprattutto lotta e inquietudine. Adesso
era contento di aver resistito alla tentazione poche sere prima davanti a
Dorotea. Maria, superato il momento di conflitto, si mostrava quieta,
tenera: voleva fargli capire che avrebbe sposato una donna sottomessa. Appoggi la testa sulla sua spalla e ripetle parole del Cantico dei Cantici: "Baciami
con i baci della tua bocca, perchil tuo amore migliore del vino. "
Giuseppe la baciava e le diceva, riprendendo i paragoni del testo sacro, che i

suoi capelli erano neri come le caprette dei monti di Galaad, i denti bianchi
come le pecore che escono dal lavatoio, le labbra rosse come gli anemoni e le
guance rosee come la polpa del melograno. Di tutti questi paragoni piaceva a
Maria solo l'ultimo, perchveramente non c'un rosa pidelicato e cangiante
della polpa di melograno. Ma per Giuseppe i paragoni li invento lei: disse che i
suoi denti erano mandorle senza buccia e le sue labbra fiori di papavero
vellutati e i suoi capelli l'acqua di una cascata notturna. Gli toccava la
faccia con gesti da lungo tempo immaginati; disse che voleva assicurarsi che
fosse suo. Chissle ragazze di Nazareth come l'avrebbero invidiata: "Ma giusto, ~ disse Maria, "che tu, fra tutte, sia toccato a me. ""Perch "
domandGiuseppe. "Perchti ho visto prima io. Si mise a ridere dolcemente e
Giuseppe rise con lei. Arrivati a quel punto, sarebbe stato stretto dovere di
Giuseppe chiedere la ragazza ai suoi e fidanzarsi ufficialmente: Maria lo
avrebbe rivisto solo in casa di Cleofa, presente la zia o la nutrice, fino al
momento del matrimonio. Ma lei lo pregdi aspettare. Sarebbe stato bello
tenere segreta la loro intesa ancora per qualche giorno, incontrarsi nel fresco
dell'orto all'insaputa di tutti: avevano da raccontarsi molte cose, da riempire
un vuoto di anni che c'era stato tra loro. Si vedeva che a Giuseppe era
successo qualche cosa dal suo cambiamento di umore: lavorava cantarellando, se
ne usciva verso sera, svelto come una lepre che salta fuori dal covo. Sotto la
cisterna lui e Maria parlavano del futuro, dei figli che sarebbero nati; o del
passato, e s'intenerivano tutti e due rievocando la locanda di Betlemme o il
primo incontro a Nazareth, con Giuseppe che vaga nella cittsconosciuta in
compagnia di Natan, e Maria che lo chiama dalla porta di casa. Lei ingelosiva
l'innamorato raccontandogli, come se fossero solo storielle da ridere, gli
approcci di Gioele, di Oredetto Gallina, di Tobia, di Azaria, di Hur. Che
ci avesse provato anche Hur diede fastidio a Giuseppe, perchil giovanotto,
rlssoso e prepotente, era un bell'uomo. Maria, avvertendo la sua gelosia,
rideva compiaciuta e lo stuzzicava sulla sua vita passata, sugli amori, sulle
gite e Tolemaide. Dei trascorsi di Giuseppe aveva un'idea molto vaga; provava
una gelosia di principio piche una rivalitper le amanti del mio padrone,
lontane e straniere. La irritavano di pile coetanee innocenti, Susanna,
Marta, Rebecca, Micol, che rivolgevano i loro sorrisi a Giuseppe durante il
giro del cane: queste, le conosceva. Giuseppe, saggiamente, non le raccont niente: disse che le altre sue donne appartenevano al passato e che di loro si
era dimenticato. "Quando sono vicino a te, disse, "non esistono, " ed era
quasi la verit Scopriva in Maria una ragazza diversa, innocente,
battagliera, che esigeva rispetto per le sue idee e non sarebbe mai stata una
succube, nemmeno dell'uomo che amava. Tutto questo, in lei, lo aveva
affascinato. Si baciavano: era Maria che prendeva l'iniziativa, prendendogli
dolcemente la testa tra le mani e premendo le labbra su quelle di lui. Erano
baci casti o tali apparivano a Giuseppe, che era in grado di paragonarli a
quelli di amanti esperte e rapaci. Trasportato dall'effusione stessa del
sentimento, egli abbracciava la ragazza disordinatamente, la stringeva, la
toccava anche dove il pudore di lei aveva posto una proibizione; tentava ogni
volta di travalicare il tacito limite che Maria aveva fissato alle loro
espansioni: lei s'irrigidiva, offesa, e andava a sedersi un poco piin l A
Giuseppe piaceva soprattutto starla ad ascoltare quando lei fantasticava sul
futuro e vedeva due e persino tre generazioni di discendenti, tutti belli e
timorati di Dio. "E importante che siano belli? " domandava lui. "E
inevitabile, " sorrideva lei, "dato che saranno tuoi figli e nipoti. ~'Altre
volte si perdeva in un'idea che le passava per la mente e Giuseppe, che Sl
sentiva improvvisamente abbandonato, le domandava: "A che cosa pensi? ""A te,
caro, rispondeva. "Al tuo amore. Non sarei certa che mi ami come desidero,
nemmeno se entrassi in te, se di due che siamo diventassimo uno. Ma tu mi
amerai perchio ti amo, non potrai evitarlo. "Giuseppe scuoteva la testa,
non abituato a scrutare nei sentimenti. Lei gli tirava per scherzo la barba,
gliela accarezzava, la lisciava: "Continuer " lo minacciava ridendo,
"finchla tua barba non farle fusa come un gatto. " Parteciparono una volta
ancora alla passeggiata del sabato, perchnessuno sospettasse che erano
arrivati a intendersi. Molti segni e sorrisi si dirigevano a Maria, perchi
ragazzi avevano ripreso coraggio e sfidavano Giuseppe collettivamente.
Dall'altra schiera molte ragazze si offrivano silenziosamente a Buono sul Pane,
che alla fine non resse pie si allontandalla piazza sospirando, perchcon
la libertfiniva anche la giovinezza. La sera il mio padrone andall'osteria
per dare un addio tacitamente alla vita dello scapolo. Forse per provocarlo,
Hur scommetteva con gli amici che sarebbe stato lui alla fine a sposare la
nipote del giudice. Si vantava di avere i suoi metodi di seduzione, convinto
che nessuna ragazza potesse resistergli. Non alluse mai a Giuseppe che,
conoscendo come le sue parole fossero sciocche millanterie, non gli fece caso.
Il mio padrone era andato lcon l'idea di ubriacarsi allegramente, celebrando
la sua festa privata, ma dopo un po' il vino solitario gli venne a noia e se ne
torna casa. Quel periodo, in cui godeva dei privilegi di un fidanzato senza
aver contratto ufficialmente nessun obbligo, stava per finire. Giuseppe sapeva
che bisognava uscirne, affrontare con quella notizia e quell'intenzione del
matrimonio primi fra tutti me e Natan, poi Cleofa e poi tutti gli altri.
Intanto seguitava a incontrare Maria vicino alla cisterna e a parlare in un modo
che sembrava a lui e a lei nuovissimo ed era quello di tutti gli innamorati.

Una sera Maria gli domanda: "Mi ameresti anche se dovessimo separarci, magari
per lungo tempo? "Domande di questo genere fanno parte appunto del linguaggio
degli innamorati e Giuseppe sa che deve rispondere di sanche se ignora gli
effetti che potrebbe avere su di lui una prolungata assenza della ragazza. La
crede insomma un'espressione convenzionale, non una vera domanda. E invece lo
Maria parla di una separazione autentica e immmente. Vuole andare dalle
parti di Gerusalemme, a casa della zia Elisabetta, per assisterla nel parto
che si annuncia prossimo. La vecchia implorava da tempo un figlio dal Signore.
Nella giovinezza e nella maturitnon era stata esaudita. E rimasta incinta
solo ora, a un'etin cui generalmente le donne hanno smesso da anni di essere
feconde. E un fatto straordinario, e prodigio maggiore sarche il bambino
nasca davvero, sano e vitale. Certo, la vecchia Elisabetta avrbisogno di
tutto l'aiuto possibile; Maria, che ha la generositimpulsiva, si vede gi al suo fianco a sollevarla dalla fatica, e s'immagina di salvarle la vita.
Giuseppe si oppone al viaggio per ragioni ovvie: le strade malsicure,
l'inesperienza della soccorritrice e dunque l'inutilitdi un aiuto
insufficiente e maldestro; l'estrema sconvenienza che una ragazza intraprenda
una simile marcia da sola. Maria obietta, discute; lui replica ma non
s'impegna a fondo perchpensa che il progetto non avrseguito. Che una
fanciulla se ne stia lontana da casa qualche mese inconcepibile. Ci penser Cleofa, giudice incorruttibile, zio e tutore severo, a tagliar corto ai
propositi della nipote. Dal che si vede che Giuseppe conosceva poco Cleofa e
Maria non abbastanza. Eliseo, il sensale di matrimoni, andcon piacere a
chiedere per Giuseppe la mano della nipote del giudice. Conosceva Cleofa da
molto tempo e gli pareva che la missione di cui era stato incaricato non
presentasse difficolt bravo giovane, buon partito, di buona discendenza,
Giuseppe era un genero che nessun padre di famiglia a Nazareth avrebbe
rifiutato. Invece Cleofa dimostrben poco entusiasmo. Non era solo il
risentimento per quella notte in cui era finito nella vernice rossa e nella
trappola da volpi nel nostro cortile; egli aveva accumulato verso Giuseppe una
quantitdi piccoli sentimenti ostili, invidia, gelosia, la noia di sentir
tanto parlare di lui in casa e fuori, che gli pareva di odiarlo. Era troppo
accorto per dire di no apertamente; disse di sma chiese, per la donazione
che lo sposo era tenuto a dare ai parenti della sposa, una somma esagerata,
che Giuseppe non avrebbe mai potuto pagare. Eliseo perordel suo meglio,
ricordal suo autorevole concittadino che quello della donazione era un uso
ormai abbandonato, che solo presso i popoli barbari si compravano ancora le
mogli. Niente. Cleofa s'intestard Non poteva certo opporsi a lungo, con
due donne in casa favorevoli, l'una con passione d'innamorata, l'altra con
entusiasmo quasi materno, a quel matrimonio che egli avrebbe volentieri
impedito. Resistette alle scene, . . . alle punzecchiature, ai musi
lunghi; crollquando Maria gli si sedette sulle ginocchia com'era solita fare
quand'era piccola e gli sussurrdi non renderla infelice. Giuseppe dovette
pagare una donazione poco piche simbolica, cinque sicli d'argento, affinch Cleofa potesse mantenere il suo punto. Maria, che conosceva bene la Scrittura,
disse a Giuseppe che gli era costata meno che a Giacobbe la sua sposa Rachele:
il patriarca aveva servito il suocero sette anni per averla e alla fine Labano
lo inganndandogli l'altra figlia, Lia, e per concedergli Rachele lo
costrinse a servire sette anni ancora. "Tu mi avresti aspettato quattordici
anni? " le domandGiuseppe. ~ "No, " disse lei ridendo. "Sarebbe stato
inutile, perchi in tanti anni sarei diventata una vecchia e non mi avresti
pivoluta. "Fu steso il contratto e per firmarlo Giuseppe entrper la seconda
volta in casa del giudice. Non era pidominato dalla timidezza come la prima
volta e notche la casa avrebbe avuto bisogno di essere ridipinta, che i
mobili erano vecchi e in cattivo stato, il servizio appena sufficiente. Cleofa
non era ricco come sembrava e questo pensiero rianimGiuseppe: sopport l'atteggiamento distaccato e altero del giudice con divertimento. Tanto avrebbe
portato presto Maria a vivere in casa sua e lo zio non avrebbe avuto pi autoritsu di lei. Il fidanzamento, presso il popolo d'Israele, una
faccenda seria, piche in ogni altro paese dove ho vissuto; direi che una
specie di matrimonio. L'uomo pucondurre a casa sua la fidanzata e
incominciare la vita coniugale in qualunque momento; se nasce un bambino du~
rante il periodo di fidanzamento, considerato legittimo; , : e non passato molto tempo da quando, se infedele, la promessa sposa veniva lapidata.
E persegno di costumi civili che i fidanzati s'incontrino il meno possibile e
che del loro nuovo stato conoscano solo i doveri. Per tener alta la tradizione
della casa e la propria dignitdi giudice (e per l'astio che provava, ora
raddoppiato, verso Giuseppe) Cleofa consegnla nipote dentro le mura
domestiche; la lasciava uscire per andare alla sinagoga, ma solo se
accompagnata da tutti e due, lui e la moglie. Questa situazione, in un certo
senso paradossale, veniva sopportata con pazienza dai due fidanzati, che
continuavano a vedersi di nascosto nell'orto. Sotto la cisterna i fidanzati
dibattevano importanti questioni: se Giuseppe fosse pibello con la barba o
senza; chi invitare alla festa di nozze; quale nome dare al primo figlio. A
Maria piacevano nomi solenni, di re e di profeti: Saul, Geremia, Baruch.
Giuseppe contrariamente a quanto son soliti i padri, desiderava una bambina e
voleva chiamarla Giuditta o Debora. Lei sospettava che questa preferenza per
una figlia e per un paio di nomi in particolare nascondesse qualche rimpianto:

una ragazza, forse, che Giuseppe aveva amato e che si chiamava cos Ma lui
negava. Maria insisteva ancora un poco a punzecchiarlo, poi passava a
provocarlo in altra maniera, tirando in ballo quel suo chiodo fisso del
prossimo viaggio dalla zia Elisabetta. Finirono per litigare, a quella maniera
infantile che consiste nel ripetere il proprio argomento senza giustificarlo.
"Tu non ci andrai, " diceva lui; "Io ci andr " ribatteva lei e, l'uno no e
l'altra s si rimbeccarono cosparecchie volte finchMaria scoppia
piangere. Vederla in lacrime e sentirsi colpevole fu per Giuseppe tutt'uno:
l'accarezz la consol Si sentiva nel giusto pere, stanco di ricorrere
alle ben note ragioni che si opponevano al viaggio, si appellal principio di
autorit non ci vai perchlo dico io e tu hai promesso di ubbidirmi. "Io?
mai. ~'"S cara: accettando di essere mia moglie, ti sei impegnata a seguire
le mie volont " disse Giuseppe sorridendo. La sua calma esasperla ragazza,
che misurava forse per la prima volta lo stato di soggezione a cui si era votata
"Anche quando hai torto? " balbett sul punto di piangere nuovamente. "Ma io
ho ragione, " replicGiuseppe, convinto. Maria ebbe una crisi: si aggir nervosamente intorno alla cisterna e la rabbia le annebbiava gli occhi: cadde in
mezzo alle cipolle. Giuseppe la raccolse e lasciche sfogasse la delusione per
la perdita della sua indipendenza, scalciando e singhiozzando. " Stupido, "
gli diceva lei e gli picchiava i pugni sul petto. Giuseppe aveva una vasta
esperienza di donne arrabbiate e si guardbene dal farle fronte. L'attirtra
le braccia e la tenne stretta finchi singhiozzi si placarono. Maria pianse
ancora un poco, senza scosse, con la testa sulla sua spalla. Gli sussurr
"Allora non vuoi proprio che parta? ""Non posso stare lontano da te, ~ rispose
Giuseppe. "Se tu non ci sei, mi sento perso, " e le accarezzava i capelli
dolcemente. Era la verit la ragazza stava riempiendo tutti i suoi vuoti, era
un amico, un interlocutore, un compagno di sogni, e sarebbe presto diventata
una donna completa, la sua. "Un'unica cosa mi trattiene qui: '~ rispose,
racconsolata, Maria, "il pensiero che, se restassi fuori un paio di mesi, tu
ricominceresti a guardare le altre ragazze. ~ Subito dopo aggiunse in tono di
scherzo: "Ma io mi fido di te e ti. metteralla prova. ' Incominciava per
Giuseppe, senza che egli potesse minimamente prevederlo, una serie di eventi
drammatici e in parte misteriosi, che cambiarono la sua vita. Il mio padrone
viveva in quel periodo felice dell'innamoramento in cui, in una prospettiva
cambiata, si vede solo il meglio di ogni cosa: era talmente infatuato di Maria,
che anche l'astinenza sessuale sembrava non pesargli pi "Lo sai? " mi disse,
"anche la castitha i suoi piaceri. Me n'ero dimenticato. "Era lei di sicuro a
mettergli in testa certe idee: indurlo ad amare la castitera un modo di
allontanarlo dalle tentazioni. Del resto, quello del congiungimento era un
piacere solo rimandato: supplivano intanto i baci, le carezze. Per Giuseppe,
sazio di eccessi, anche la moderazione aveva un suo sapore. Il primo
avvenimento fu il viaggio di Maria. Il mio padrone si reca di pomeriggio a casa
del giudice per la visita ufficiale e quotidiana (da ripetere pitardi e pia
lungo non ufficialmente alla cisterna dell'orto) e viene informato che Cleofa e
Maria sono partiti. Sul momento non ci crede, pensa a uno scherzo della
ragazza: ecco, Maria ha mandato alla porta la nutrice a dargli la falsa notizia
e lo sta osservando di nascosto, per vedere le sue reazioni. Giuseppe si
costringe alla calma, chiede di parlare con la zia. La moglie di Cleofa,
parlandogli dalla finestra, lo prega di calmarsi: Maria non partita da sola,
il giudice con lei. Allora vero. "E io sono qua, '~ ribatte stizzito; ed
chiaro che vede se stesso come il pacco che si lascia indietro~ per essere pi spediti nel muoversi. Va bene: la ragazza non si messa in viaggio da sola,
come aveva progettato, ma ha pur sempre piantato in asso l'imminente marito,
senza aver avuto da lui una parola di consenso. Se s'incomincia cos che cosa
sarla loro vita in comune? Giuseppe turbato, sconvolto; l'ira gli infiamma
la faccia. Pensa di aver sbagliato tutto, di aver preso un impegno
matrimoniale, credendo di conoscere Maria, e invece non la conosce; la sua
non la donna saggia, sottomessa, che i testi sacri raccomandano come moglie indocile, pronta ai colpi di testa, desidera essere autonoma; non si
accontenternemmeno di sentirsi alla pari col marito, vorressere di pi
Alla rabbia succede lo sconforto, perchegli ama Maria e sa che lei lo far soffrire. La zia, lealmente, giustifica Cleofa: ha ceduto alla preghiera di
Maria e ha deciso di accompagnarla. Cioha tanto detto di no che alla fine ha
detto di s La partenza stata improvvisa. Si presentata la sera prima
un'occasione: un gruppo di viaggiatori, gente per bene, famiglie intere, che
hanno sostato brevemente alla locanda per ristorarsi prima di proseguire il loro
viaggio verso Gerusalemme; Cleofa e Maria si sono aggregati all'ultimo. E
stata una decisione del momento: nemmeno il tempo di avvertire Giuseppe, come
si sarebbe dovuto. La zia deplora, tanto piche i due resteranno fuori forse
due o tre mesi: non c'solo il viaggio, Maria resterad assistere la vecchia
dopo il parto. La moglie di Cleofa, che se ne sta al suo posto, che capisce
pidi quanto non sembri, sente il bisogno di confortare Giuseppe: "Sta' di
buon animo: ' gli dice, "Maria sbaglia per generosit e d'altra parte, se
non ci va lei, chi aiuterquella povera Elisabetta che non ha nessuno, solo
un marito cadente? Imparerai a conoscerla: come la mia Maria non ce n' nessuna. "Il giorno dopo in bottega, mentre lavoriamo l'uno accanto all'altro e
io sorveglio Giuseppe perch alterato com' non abbia casualmente a ferirsi
con uno degli arnesi, viene un ragazzino, un certo Ruben, che abita vicino

alla casa di Cleofa. "Da parte di Maria, " dice e consegna al mio padrone una
scatola di legno, piccola ma preziosamente lavorata, con intarsi di avorio e
d'oro, opera d'intagliatore, non di falegname. Maria gli ha dato il piccolo
scrigno al momento in cui partiva, ma il ragazzo si ricordato di consegnarlo
soltanto ora. Dentro, quando Giuseppe solleva trepidando il coperchio, c'un
sassolino levigato, percorso da venature gialle, molto simile a quello che
Maria gli aveva regalato alla locanda di Betlemme, e che lui aveva poi perduto.
E un messaggio d'amore, tenero ed esauriente, che sostituisce una lettera.
Giuseppe stringe in mano il sassolino e per un momento si riconcilia con Maria.
Il mio padrone approfitta dell'interruzione imposta ai suoi onesti amori per
comunicare ufficialmente a me e a Natan che si sposercon Maria, cosa che
sapevamo tutti e due benissimo. Ci assicura che nella nostra vita non cambier niente: continueremo a lavorare qui, io abiternella baracca del cortile come
ho fatto finora. Ci rallegriamo con lui. Natan felice che la bambina (come
la chiama) e il padrone si sposino; non si pone domande: vuol bene a tutti e
due. Io invece non sono affatto sicuro che tutto sarcome prima. Non ho per
Maria l'amore incondizionato di Natan e so che una donna in una casa di scapoli
non proprio una benedizione: poco o tanto distrae, ti disturba, ti fa venire
in mente cose che davanti a lei sarebbe meglio dimenticare. Dopo un paio di
settimane arriva una notizia: Elisabetta ha messo al mondo un figlio maschio,
che stato chiamato Giovanni. Mamma e bambino stanno bene. E proprio un
miracolo: il venerabile Zaccaria, marito della puerpera, decrepito e lei
stessa potrebbe essere non la nonna ma la bisnonna della creatura che ha messo
al mondo. Passano ancora altre settimane, un mese, due mesi, passa la
primavera e una parte dell'estate; ormai Maria starper tornare. Torn infatti, una sera, quasi a notte, ma doveva essere successo qualche cosa,
perchlei e Cleofa si chiusero in casa e sbarrarono le porte, negando
l'accesso a chiunque. La zia cercdi tranquillizzare Giuseppe, parlandogli
dalla finestra: non era niente, i due viaggiatori erano solo stanchi del
viaggio e volevano riposare. Un momento, implorava lui, appena un momento,
tanto da poterla vedere e darle un saluto. "Adesso no, ~ ribatteva la zia,
"dormono. "Era quasi il tramonto: chi al mondo riusciva a dormire una notte e
un giorno di seguito? E perchla donna aveva la voce rotta, gli occhi
arrossati dalle lacrime? L'indomani il mio padrone fu informato che Maria era a
letto con la febbre. Vederla? Non c'era nemmeno da parlarne. Allora Cleofa:
non stava bene nemmeno lui. Giuseppe se ne tornindietro poco convinto,
persuaso anzi che quelle febbri e quei malesseri nascondessero qualche cosa, ma
lontanissimo dall'immaginare quel che era successo. Io ne sapevo di pi
indiscrezioni di serve, voci che correvano per il mercato e le osterie. Era il
secondo colpo, terribile, di quelli che l'avvenire teneva in serbo per
Giuseppe. Non ci volevo credere, ma Agar, una delle serve del giudice, mi
giurche si vedeva: Maria era incinta. Avrei accettato pifacilmente una
botta in testa, anche perchsapevo benissimo che non era stato il mio padrone.
Piprecisamente, ero sbalordito: la nostra Maria non era capace di un
tradimento; per lei far l'amore con un uomo, e tanto pidopo la promessa a
Giuseppe, doveva essere una cosa inconcepibile. Pensai a una violenza che
avesse subito, a una disgrazia. Nello stesso pensiero si rifugianche il mio
padrone, quando lo venne a sapere. Le chiacchiere della cittnon arrivarono
fino a lui: tocca me dirglielo. Stavamo lavorando in bottega, tutti e due
attorno alla stessa ruota di carro. Giuseppe era pallido, con la faccia tirata
dalla mancanza di sonno; m'impietosii su di lui, perchil mondo stava per
crollargli addosso. Gli dissi piano: "Giuseppe, arrabbiati. "Lui mi guard senza capire, ma vagamente allarmato dalla gravitdella mia voce. "Giuseppe,
dammi un pugno. "Non disse ancora niente ma depose il martello che teneva in
mano. "Giuseppe, Maria incinta. " Mi diede un pugno, automaticamente: "Se
non vero, ~ disse, "guai a te. ""E vero, " dissi io. Crolla sedere per
terra, pallido come un morto. Non seppi rispondere alle molte domande che mi
rivolgeva concitatamente. "Chi stato, dimmi chi stato, ripeteva.
"Secondo la famiglia, sei stato tu. "Giuro davanti all'Altissimo che io non
sono stato. " Alzla mano nel pronunciare la formula solenne. "Non mi
accuseranche Maria, " aggiunse. Ma di quello che Maria diceva o taceva non
si sapeva niente. A casa di Cleofa non entrava nessuno. Giuseppe si rinchiuse
anche lui nella sua camera sul tetto. Lass fuori vista, poteva sfogarsi,
esaurire il suo furore dando calci alle pareti e chiedendo al Signore perchlo
trattasse cos Parlava anche a Maria: "Che cosa ti ho fatto per meritarmi
questo? A questo modo mi amavi, bugiarda, figlia di un cane? " Al furore
contro di lei succedeva quello contro il suo complice ancora sconosciuto:
Giuseppe provava un amaro sollievo nel rivolgergli parole atroci, nel pensare
di averlo nelle mani e di punirlo crudelmente. Alla fine non riusciva ad
accettare che lei gli fosse stata infedele e tornava a rifugiarsi nel pensiero
che si fosse difesa con le unghie e con i denti, e che alla fine fosse stata
sopraffatta. Ma la mente rifuggiva anche da quel pensiero, che si traduceva in
immagini spaventose: Maria assalita, violentata, Maria che grida e nessuno la
soccorre. Giuseppe, come scuotendosi da un sogno angoscioso, rifiutava quel
lavorio della sua testa e tentava in tutti i modi di sottrarsi alla coscienza di
ciche era avvenuto, di pensare cioad altro, ma tutto lo riconduceva alla
intollerabile realt il pensiero della sua condizione di fidanzato, i
preparativi che era andato facendo in casa per accogliervi Maria, la stanza

stessa in cui si trovava, che sarebbe diventata quella degli sposi. Si alz alla fine, che era ancora notte, e uscnelle strade deserte. Lo seguii,
perchtemevo che si abbandonasse a un gesto di disperazione, ma egli non fece
che camminare, salendo e scendendo, per tutta Nazareth. Arrivava fino alla
porta nord, in alto verso la collina, calava fino alla porta meridionale e
alla piazza, tagliava la cittdi traverso, girava intorno alle mura,
aggrondato, disperato. Alla fine si ferm verso l'alba, girsu se stesso e
mi raggiunse, prima che potessi tornare indietro o nascondermi. Non mi domand perchfossi le lo seguissi: sedette sul gradino di una porta, mi accenndi
mettermi accanto a lui, e disse: "Tu, chi dici che sia stato? E tutta la
notte che ci penso. ~ Non riusciva a convincersi che Maria avesse subito
violenza da uno sconosciuto. "Ci ho pensato anch'io, ma non trovo nessuno.
Passammo insieme in rivista i giovani e gli uomini di Nazareth, anche gli
insospettabili, anche coloro che non potevano aver avuto la possibilite
l'occasione favorevole, ma soprattutto i pretendenti, che le sorridevano alla
passeggiata del sabato, Hur, Gioele, Tobia, Ore Azaria. Non c'era il
minimo indizio che potesse indurci a sospettare dell'uno o dell'altro. A carico
di Hur c'erano le sue vanterie, la sua sicurezza di sposare Maria e la
circostanza che egli appariva, tra tutti, quello capace di usare violenza a
una donna; ma nessun appiglio concreto che autorizzasse ad accusarlo. La notte
si schiar la luce prese quella trasparenza cilestrina che annuncia l'alba.
Udimmo scricchiolare la porta di Abele, il fornaio, che il primo ad aprire
bottega, mentre il pane, impastato la sera e lievitato durante la notte,
finisce di cuocersi nel forno. "Il Signore sia con te, Socrates, " mi disse
Giuseppe e tornverso casa, mentre iO proseguivo per comprare un pezzo di pane
fresco: l'aria della notte mette appetito. Non vidi perciil mio padrone
battersi con Hur. Pare, del resto, che una vera lotta non ci sia stata e
nemmeno una sfida. Giuseppe vide il giovanotto uscire di casa e gli si par davanti; tremava per il dolore e il furore che aveva accumulato. Non sarebbe
successo niente se Hur, con la strafottenza che gli era solita, non gli avesse
domandato: "Allora la sposi tu o vuoi che la sposi io? " Cos perchera un
gradasso e un vanesio. Giuseppe gli disse cupamente: "Giurami che non le hai
piparlato, " e intendeva da quando avevano tutti saputo che lui e Maria si
erano accordati per il fidanzamento. Hur sorrise, passla mano
sull'impugnatura del coltello che gli spuntava dalla cintura e ribatt
guardandolo bene in faccia: "E se anche fosse Giuseppe liberin quell'istante
tutta la rabbia e la rivolta che era andato comprimendo dentro di sin quelle
ore e con un unico pugno lo abbattrompendogli la mascella. Accorsi, attirato
dal suono delle loro voci: "Aiutalo, " mi disse Giuseppe semplicemente,
accennando al bravaccio, che gemeva e sanguinava in mezzo alla strada; e
continuper la sua strada. Venimmo a sapere pitardi, con grande dispiacere
del mio padrone, che Hur non poteva essere il colpevole, perchera appena
tornato da Sichem, dove si era trattenuto per mesi a curare certi affari di suo
padre. Per un comprensibile riserbo Giuseppe non aveva parlato chiaro con Hur:
niente nelle sue parole autorizzava a supporre che egli sospettasse qualcuno di
aver messo Maria in quello stato. Era anzi deciso a sostenere che era stato
lui. Non ce ne fu bisogno: tutti in cittfurono subito d'accordo
nell'attribuirgli la responsabilitdell'accaduto. Nessuno pensava a fargliene
una colpa; egli era a posto anche legalmente perchMaria dopo il fidanzamento
era come se fosse sua moglie. La gente gli rimproverava se mai la sua
impazienza: avrebbe dovuto aspettare di essersela portata a casa dopo la
cerimonia di nozze, ma ormai che la cosa era fatta. . . Che fosse capitato
di scivolare su quel peccato proprio alla nipote del giudice, citata ad esempio
di virt era motivo di divertimento e d'inesauribili chiacchiere. Si rideva
poi di Cleofa, il solenne, il rigorista, costretto a star chiuso in casa per
paura dei motteggi dei ragazzi e dei mormorii degli adulti. Insomma la cittdi
Nazareth, a differenza di Giuseppe, non ne fece una tragedia: non sapevano i
nazareni quel che sapeva lui, cioche era stato un altro. Il mio padrone non
ci teneva affatto a ristabilire la verit La voce popolare gli aveva assegnato
un ruolo meno amaro di quello che era il suo ed egli lo accett Tutelava cos anche il buon nome di Maria: la ragazza passava dalla schiera delle infedeli a
quella, meno disonorata, delle fidanzate troppo arrendevoli. Passtutto quel
giorno vagando per la citt come aveva fatto la notte; ma ora aveva uno
scopo, cercava un il possibile colpevole. Non sapeva come ma sperava
d'indurre qualcuno dei ragazzi a tradirsi: il responsabile, se ce n'era uno,
avrebbe reagito se Giuseppe avesse pronunciato le parole adatte. Non era il
caso tuttavia di essere espliciti: l'allusione doveva essere coperta,
comprensibile solo al mascalzone che egli andava cercando. Il progetto,
ragionevole in teoria, non aveva in quelle circostanze alcuna possibilitdi
riuscita: la mancanza di sonno e piancora l'oppressione di quella novit tormentosa che gli era caduta sulle spalle annebbiavano la mente del mio
padrone. Egli andava in giro parlando da solo, stringendo i pugni e scuotendo
la testa, come un folle: si componeva la faccia a un sorriso, o piuttosto a un
ghigno distorto e pietoso, e partecipava ai discorsi di Gioele, di Ore di
Azaria, a caccia di un indizio. La parola di provocazione da far cadere in
modo casuale in mezzo alle altre doveva riferirsi, a quanto aveva stabilito,
all'orto di Cleofa, che era il luogo piprObabile in CUi un giovanotto del
paese avrebbe potuto indurre Maria al peccato o costringerla. Chi dimostrasse

involontariamente di conoscerlo, indicava se stesso come il colpevole. Ora,
in quell'orto, c'era variete abbondanza di verdure di ogni sorta ma non vi si
coltivavano meloni, che non piacevano al giudice. Giuseppe, assai goffamente
perchgli mancavano lo spirito e la prontezza abituali, tirava il discorso,
quale che esso fosse, verso gli orti e gli ortaggi. Si trovava subito
qualcuno, nel crocchio, che vantava le sue rape o le sue insalate. Dalle rape
ai meloni il passo non poi tanto lungo e veniva il momento in cui Giuseppe
poteva lanciare la sua esca. "Non ho mai visto, " diceva per esempio, "dei
meloni grossi come quelli che crescono sotto la cisterna nell'orto del giudice.
""Non so quanto grandi sono quelli di Cleofa, ma sono sicuro che i miei lo sono
ancora di pi ~ rispondeva qualcuno; si discuteva sui meloni di Abramo e di
Geremia, la trappola di Giuseppe si chiudeva a vuoto. " Sapete che hanno
rubato i meloni dall'orto del giudice? quelli grossi, sotto la cisterna? "
annunciil mio padrone in un crocchio in cui teneva banco Simeone, il fabbro,
che aveva fama di persona giocosa e piena di malizia. Invece di cogliere
qualcuno, che saltasse fuori a dire che sotto la cisterna non c'erano meloni,
Giuseppe si sentrispondere dal fabbro: Lo sappiamo tutti che sei stato tu, "
con chiara allusione a quel fatto di cui tutti erano a conoscenza e di cui il
mio padrone era innocente. Fu costretto a soffocare il dispetto e a ridere con
gli altri. Rinuncia ricorrere ad altri tranelli perchquelli che gli
venivano in mente non erano piintelligenti del primo e il suo umore non gli
permetteva di tenderli con naturalezza. Si arrovellava pensando al traditore
che quasi certamente aveva avuto Maria usando la forza, ma non poteva impedirsi
di pensare anche alla possibilitche la traditrice fosse lei: lei, che gli
misurava i baci, che gli tratteneva le carezze in modo che non andassero oltre
certi limiti, aveva forse concesso di pia un altro, meno sciocco e
arrendevole di lui. Questa seconda ipotesi era ai suoi occhi di gran lunga la
peggiore, quella che irrideva al suo sentimento d'amore. Con lui Maria faceva
la ritrosa; con l'altro si abbandonava. Che stupido era stato a rispettarla
come se fosse un angelo, mentre era una donna come le altre, bugiarda,
infida. Un momento dopo si pentiva, domandava mentalmente perdono a Maria di
aver pensato di lei cose tanto atroci, si convinceva che la ragazza aveva
subito violenza, e la commiserava. S'immaginava la scena in cui il delinquente
stava per saltarle addosso: Maria invocava aiuto, gridava "Giuseppe, " ed egli
arrivava in tempo, abbatteva l'avversario e la raccoglieva piangente tra le
braccia. Subito dopo lo assaliva la consapevolezza che non era andata cose
rideva amaramente di se stesso, perchcercava nei sogni di dimenticare la
realt Passava in mezzo al mercato e si figurava che, al suo apparire, dai
banchi e dalle botteghe salisse un bisbiglio in CUi spiccava una parola sola:
"cornuto"; la stessa parola rimbalzava di bocca in bocca lungo le strade;
"cornuto" gli gridavano i corvi della porta orientale, "cornuto" gli ripetevano
i campanacci delle pecore che _ tornavano dai pascoli. Finch passando
davanti all'osteria, uddavvero quella parola, scagliata come un proiettile,
e gli sembrche uscisse dalla porta e mirasse a lui. Entrcome un colpo di
vento, furioso: "Chi stato? " grid "Chi stato a fare che cosa? " gli
domandarono, stupi a un pensiero mentre cuciva, e sorrideva. Non appariva
affranta o tormentata, come egli si era aspettato di trovarla; gli sembrpi bella, improvvisamente incomprensibile. Lui smaniava di vergogna e di rabbia,
e lei sorrideva. Cleofa sapeva che non era stato Giuseppe. Maria glielo aveva
giurato e lui le credeva. Ma la ragazza r di dire, allora e in seguito, chi
fosse il responsabile . Restava una cosa da fare, per un uomo giusto: Cleofa
esita lungo, poi andda Giuseppe. Capitin bottega un pomeriggio, rigido
come un bastone; salutil mio padrone, invocando su di lui la benedizione
dell'Altissimo, e annunciche era venuto a parlargli di cose gravi e delicate.
Io e Natan uscimmo ma non mancammo di origliare. Il giudice nella bottega del
falegname: era un avvenimento. "Perdonami, " disse Cleofa, "credevo che fossi
stato tu. " Poi tirfuori i cinque sicli d'argento, che Giuseppe gli aveva
versato per avere in sposa Maria, e voleva restituirli. Giuseppe respinse il
denaro con la mano. "Puoi ripudiarla, ne hai il diritto, " affermil giudice
per chiarire il significato del suo gesto. E infatti dare indietro del denaro
senza esserne richiesti in questo paese un comportamento insolito, che
richiede una spiegazione. Cleofa si umiliato davanti al mio padrone, che
tuttavia imbarazzato quanto lui se non di pi A Giuseppe fa certo piacere
che la sua innocenza venga riconosciuta ma non disposto a infierire su Maria.
Ripudiala, dice lo zio, ne hai il diritto; ma che ne sa lui, Cleofa, di ci che veramente successo? Se cosche si amministra la giustizia in Israele,
senza misericordia, chi si salver Il giudice, scaricatosi da un peso,
parla, racconta: ma non sa niente sull'origine del fatto, testimone solo
delle conseguenze. Sembra anzi che nessuno sappia, nlui, nsua moglie, n le serve di casa (scopre Giuseppe con le sue domande) come la cosa ~osc~ ~occ~r~
~w~nilta. Maria non mai uscita da sola, non ha parlato con nessuno. Si
direbbe, a sentire Cleofa, che lo stato in cui la ragazza Si trova sia opera
di uno spirito. Anche durante il viaggio non successo niente, nessun
incidente. Maria ha dormito due notti in due diverse locande, nella stessa
camera con la moglie di un possidente, una signora di etavanzata e dal sonno
leggero. A casa di Elisabetta non e mai rimasta sola, non si mai
allontanata nemmeno dopo il parto, nemmeno per scendere fino alla fontana
all'incrocio di due strade, a un tiro di freccia dal cortile. E com'era

attenta e intuitiva nell'assistere la zia, prudente nella sua inesperienza,
pronta ad accettare la realtanimale della generazione, come se avesse sempre
aiutato donne a sgravarsi. "Vedessi la commozione del vecchio Zaccaria, ~
ricorda il giudice, "al trovarsi davanti un figlio. Piangeva, quasi cleco, e
alzava le mani al cielo. "Poi torna a parlare di Maria: "Si era un po'
appesantita. . . Mi sarei aspettato invece che deperisse: si alzava spesso di
notte perchElisabetta non aveva latte e Maria le scaldava il latte di capra
per il bambino. Si vedeva ormai che il ventre le si era gonfiato, ma per
fortuna Zaccaria ed Elisabetta non se ne sono accorti. Non ci avevo fatto caso
nemmeno io, tanto ero lontano dal pensare che potesse succedere ciche era
successo. "Durante il viaggio di ritorno, le condizioni di Maria non si
potevano pinascondere. Cleofa, che finalmente aveva capito ma non ci voleva
credere, venne costretto ad accettare la realtdalle parole di un locandiere.
"Le diede la camera migliore, " racconta, "dicendo che mia moglie, nel suo
stato, aveva bisogno di riguardi. Un uomo gentile: fu come se mi avesse dato
una coltellata. " Poi c'la scena con Maria, che ammette di essere incinta ma
non dice niente altro. I due non si parlarono pi cioCleofa non rivolse pi la parola alla nipote, finchnon fu lei ad affrontarlo, dopo il ritorno a
casa, solo per escludere che fosse stato Giuseppe. Il mio padrone segue un
pensiero: se vero quel che dice il giudice, la cosa dev'esser successa prima
della partenza. Maria era sorvegliata anche a Nazareth, tenuta in casa,
accompagnata nelle sue rare uscite in citt ma egli stesso sa per esperienza
che a un uomo intraprendente non sarebbe mancata la possibilitd'incontrarla di
nascosto. Si riaccende il sospetto su di lei, che deve aver dato almeno
qualche occasione al suo insidiatore. Giuseppe tuttavia le grato per la
lealtcon cui lo ha scagionato di fronte ai parenti. Cleofa rimane a lungo
seduto in bottega; forse trova conforto nella compagnia del fidanzato tradito,
che non grida, non recrimina; che, se dice una parola su Maria, non la
condanna. Il giudice borbotta, si raschia in gola; sente che qui la sua
dignitnon minacciata e abbandona la rigidezza che si era imposto; anzi,
curvo, si appoggia al bastone e imita l'atteggiamento di un vecchio. "Chi me
l'avesse detto. . . alla mia et . . quella bambina, innocente, pura. .
. e invece. . . Come puessere successo? Io, il Signore mi aiuti, non ci
capisco nulla. ~Dopo aver ripetuto pivolte queste e altre simili parole,
Cleofa si alz invocdi nuovo su Giuseppe la benedizione dell'Altissimo,
incerto se dovesse ancora considerare il mio padrone come futuro genero oppure
no, ma sicuro che fosse un uomo per bene, degno della sua amicizia e della sua
protezione, e se ne and Non riuscendo pia lavorare, Giuseppe salsul
tetto, addirittura sul tetto della camera alta, che il luogo dove si rifugia
in questi giorni a masticare la sua incertezza. Mastica davvero, digrigna i
denti. Chi sarstato? e, prima ancora, che cos'successo veramente? Deve
ripudiare Maria? Lei rifiuta di vederlo: perch Di lassvedeva la cittsotto
di lui, le strade, la sinagoga; riconosceva l'osteria, le botteghe, il
mercato, il lavatoio, le case dove abitavano i giovanotti del sabato: seguiva i
passi di tutti, alla ricerca di qualche cosa che neppure lui sapeva bene che
cosa fosse ma che doveva indicargli il colpevole. Improvvisamente, mosso da un
sospetto o da una intuizione, scendeva e andava ronzando per le strade,
chiuso, concentrato, percholtre tutto la sua indagine doveva rimanere
segreta. Ascoltava i discorsi delle donne al mercato, quelli degli ubriachi
all'osteria, se mai riuscisse a cogliere una parola rivelatrice Nello stesso
tempo andava dando retta a pensieri di altro genere: bastava una sua parola e
l'impegno con Maria sarebbe caduto. Lo stesso Cleofa gli riconosceva il diritto
di ripudiarla. L'incubo del matrimonio non avrebbe pipesato su di lui, egli
sarebbe tornato alla leggerezza e alla libertdi prima. Ma poi rivedeva nella
memoria la faccia e la figura di Maria, riudiva le parole d'amore che lei gli
aveva detto, gli pareva di sentire sulle labbra i suoi baci e nelle narici il
suo profumo, e si rigirava nell'animo la pena del tradimento e dell'abbandono.
Finiva sempre per tornare nell'orto di Cleofa, per nascondersi tra le fave e le
cipolle. Steso per terra, mangiava un peperone per avere la bocca ancora pi amara. Maria non si faceva vedere. Forse aveva paura di lui, o vergogna. Una
sera uscnei campi, raccolse un grande mazzo di fiori selvatici, crochi e
narcisi, rose canine e anemoni rossi, li leginsieme, circondandoli di
ramoscelli di alloro, e li porta Maria. Appese il mazzo alla sua finestra,
quando era gibuio e la famiglia era riunita per la cena. In modo solo
apparentemente contraddittorio giril manico della scure, segnalando a Dorotea
di venire. Quando fu buio, la greca s'infilnella fessura del muro. Giuseppe
era ancora sveglio, seduto sul tetto. La raggiunse in cortile. "Come stai? "
domandlei, rispondendo al suo saluto. "Ho saputo ciche ti succede, e mi
dispiace. Posso esserti utile in qualche cosa? Forse potresti raccontarmi
tutto, sfogarti: gli amici servono a questo" Nella luce oscillante della
lanterna, che Giuseppe aveva acceso, brillava il velo, trapunto di fili
d'oro, brillava la gamba bianca, che sporgeva da uno spacco della veste alla
greca, e il sandalo di tenera pelle di jena disegnava il piede irrequieto.
"Non m'inviti a entrare? " disse Dorotea. "Parleremo un momento- e poi me ne
andr "Giuseppe la segunella baracca, spostla trave, sedette con lei sul
letto. Recitando la sua parte, lei gli offriva le consolazioni della filosofia
stoica, molto di moda ad Atene e a Roma, e parlando si toglieva il velo e si
lasciava scivolare la veste dalle spalle. Buono sul Pane rivide il bel seno, a

cui credeva di aver rinunciato per sempre, sentil profumo inconfondibile che
lo eccitava tanto. Avrebbe potuto uscire, era ancora in tempo. La lunga
astinenza e la tensione dei nervi lo misero in un furore mai provato prima ed
egli si gettsu Dorotea come precipitando. I; A notte inoltrata risall'orto
di Cleofa e, arrivato sotto la casa, si arrampicsul muro. Punti piedi
nelle crepe dell'intonaco e riuscad afferrarsi all'inferriata della finestra
di Maria. Gli abbracci con Dorotea la sera prima non erano stati nun
surrogato nun rimedio all'amore ma solo una scivolata nella profanit
nell'uomo che Giuseppe era stato prima d'innamorarsi. Egli se ne era pentito ma
si sentiva anche giustificato: non era stato lui il primo a j mancare alla
promessa di fedelt Scaccidalla mente l'idea volgare della ritorsione al
tradimento di Maria e gli dispiacque soprattutto di non aver resistito alla
tentazione. Adesso doveva ripetere dentro di si buoni propositi e non
pensarci pi Inutile sentirsi in colpa, inutile recriminare. Avrebbe dovuto,
proprio perchera stato debole di fronte alla greca, capire lo smarrimento di
Maria, che forse aveva ceduto a un'analoga tentazione. Tutta la sua educazione
invece lo spingeva ad assegnare alle donne un ruolo diverso da quello degli
uomini, con doveri pistretti e limiti di autonomia piangusti. Lei aveva
peccato, lei era colpevole e lo era anche se avesse subito violenza per aver
offerto a un uomo che non era Giuseppe l'occasione di avvicinarla. ; Percisi
affaccialla finestra nello stato d'animo di chi va a chiedere conto, col
sostegno della legge e della consuetudine, giustificato per la sua impazienza e
incurante dell'ora e del luogo. Ma naturalmente non era troppo sicuro di s perch se lei l'aveva tradito, lui l'amava ancora. Maria venne alla
finestra, lo salutcome se l'avesse lasciato il giorno prima e nel frattempo
non fosse successo niente. "Dimmi una cosa sola: " incomincilui, "ti hanno
fatto violenza? "Lei rispose di no. "Ti hanno costretta in qualche modo?
"Maria, ancora una volta, disse di no. Reggendosi all'inferriata con la
sinistra e agitando la destra come a ventilare la febbre del suo discorso,
Giuseppe riprese: "E allora perchmi hai fatto questo? Non ti ricordi che ti
sei promessa a me, che ci siamo baciati, qui sotto, vicino alla cisterna?
Cospoco vale la tua parola? . . . " e continurimproverandole la fede
mancata e, giche ci si trovava, il viaggio improvviso, che egli non aveva
permesso e m CUI nella sua opinione era da cercarsi l'origine di quella
disgrazia. Di che cosa aveva voluto punirlo? non aveva pensato a lui? aveva
idea dei giorni terribili che andava passando? E terminava con la domanda che
continuava ad assillarlo dal momento in cui aveva saputo: "Chi stato? Dimmi
chi stato. "Maria non rispondeva. Alla fine, non smettendo Giuseppe
d'incalzarla, gli disse: "Se mi ami veramente, non devi domandarmi nulla. ~E
da questo non si mosse. Ecco il terzo guaio da cui venne colpito il mio
padrone: la reticenza di Maria. Per quanto lui insistesse, la ragazza
ostinatamente taceva. Rinunciare a conoscere il nome dell'uomo sembrava a
Giuseppe cosa quasi piinsopportabile del tradimento in se stesso: vendicarsi
su di lui era in quel momento il suo pensiero dominante. Con quella rapidit con cui la mente spesso si adatta al mutare delle situazioni, Giuseppe vide
subito il fatto da una prospettiva diversa. Era evidente che Maria voleva
proteggere qualcuno, e non certo un ragazzo di vent'anni come quelli che
giravano nella piazza il sabato: un uomo autorevole, che la rivelazione avrebbe
distrutto socialmente, un levita, uno scriba, un fariseo, un dottore della
legge. Oppure un magistrato: per un attimo Giuseppe pensa Cleofa, poi
sorrise di se stesso. "Qui non ci si vede; " disse, "scendiamo alla cisterna.
"Maria non aveva osato accendere la lucerna. Nella penombra della stanza
Giuseppe non arrivava a vederla distintamente; c'era in lei qualche cosa di
mutato, o gli pareva, una nuova compostezza, un'aria assorta, che a momenti
lo intimidiva. Una gran luna rotonda inondava l'orto di chiazze di luce,
bianche, e approfondiva le ombre. Lei si era coperta con uno scialle la testa.
Non era invecchiata in quei mesi, si disse Giuseppe, era diventata adulta.
Gli appariva contegnosa, grave, e dolcissima. Le prese le mani: "Spiegami
almeno perchnon me lo vuoi dire. . . ""Non capiresti, " rispose Maria.
"Non un segreto, ma qualche cosa che non posso raccontare. . . una cosa a
cui non potresti mai credere. Se mi ami, non insistere. La sola cosa che ti
posso dire . . che ti amo, che non ho mai cessato di amarti, neppure
per un momento. ""Ma allora. . . " incominciGiuseppe. Lei lo interruppe:
"Te lo ripeto: dal fatto che non mi domanderai mai niente capirche mi ami
anche tu. " Giuseppe meditsu quella pretesa di lei, che gli sembrava
illogica oltre che insopportabile; "Tuo zio dice che ti dovrei ripudiare, "
mormoralla fine, concludendo un ragionamento interno. "Mio zio. . . "
disse Maria, "e tu? "Giuseppe non parlava. "Io ti amo, " sussurr semplicemente. Quella era alla fine la vera confessione, che non giustificava
ma cancellava la colpa di Maria e rifletteva il grande desiderio di crederle che
tormentava il mio padrone. Lo tormentava perchamava la logica come un greco
(e quell'amore gli si era ingigantito vivendo con me) e Maria gli opponeva solo
un invito a chiudere gli occhi e ad affidarsi al sentimento. Lei gli aprle
braccia; egli la strinse al petto furiosamente e chiuse gli occhi davvero. Con
voce chiara, profonda, Maria gli disse: "Non ti ho tradito, " e Giuseppe
rinuncialla logica dei greci per accettare le ragioni dell'amore. Sapeva che
Maria diceva sempre la verite dunque, per quanto incredibile, ciche
affermava doveva essere vero. La bacicon impeto; poi, rispettoso della

misura e del ritegno con cui lei arrossendo gli rispondeva, riprese a baciarla
pidolcemente e ad accarezzarle i capelli e la faccia. Lo scialle le era
caduto: sotto la luna, Maria era vicina, trepida, e insieme remota, avvolta
in un alone di luce. Piangeva. Giuseppe si convinse da quelle lacrime che la
ragazza, probabilmente durante il viaggio, era stata vittima di una violenza,
oltraggiosa e repentina, da parte di uno sconosciuto, di un brigante, di un
soldato, in ogni caso di uno straniero, ne era rimasta sconvolta e non
sopportava di parlarne. Capla sua gelosa vergogna, la pudicizia che in lei
era stata offesa; e tacque. Giuseppe si ripromise di non parlare con lei mai
pidel fatto che li aveva divisi e per lungo tempo mantenne il suo proposito:
un senso di pudore gli impediva di fare davanti a lei la minima allusione. Si
dispose a considerare suo figlio il bambino che sarebbe nato (o la bambina),
senza piinterrogarsi sul mistero della sua paternit Una mattina, in
atteggiamento di fidanzato risoluto e felice, Giuseppe si rivolse a me e a
Natan e ci annunciche si sposava. Avrei dovuto star zitto e invece dissi:
"Hai perdonato Maria? "Non ce n'bisogno, " rispose: ci disse che lei aveva
subito violenza e dunque non doveva chiedere perdono a nessuno. Disse che gli
era apparso un angelo in sogno, gli aveva confermato che Maria non aveva colpa e
lo aveva invitato a prenderla in casa senza timore. I figli d'Israele sono
diffidenti anche rispetto ai sogni, ma quando vi compare un angelo il sogno
diventa rivelazione, messaggio dell'Altissimo, e vi si presta fede come ai
comandamenti. Non ero sicuro perche Giuseppe avesse sognato un angelo perch
a differenza di Maria, egli non diceva sempre la verit mi venne in mente che
ricorresse a quel mezzo per giustificare di fronte a noi la sua decisione di
sposarsi. Noi due soli a Nazareth, io e Natan (oltre a Cleofa) sapevamo che
non era stato lui a metterla incinta: eravamo amici, dipendenti, ma anche
giudici delle sue azioni. Dal giorno successivo al suo incontro notturno con
Maria, il mio padrone torna essere ricevuto a casa di Cleofa e riprese a
incontrarsi con la ragazza sotto la cisterna, al tramonto. Non mi curai di
sapere che cosa si dicessero, convinto che le chiacchiere degli innamorati sono
sempre uguali, ed ebbi torto perchprobabile che prendessero accordi per
certi loro comportamenti futuri. Avrei dovuto sospettare che tutto non andava
tanto liscio tra i due, perchGiuseppe era pinervoso di prima e cosimmerso
in certi suoi pensieri che occorreva chiamarlo tre volte perchti desse
ascolto. Anche queste sue astrazioni facevano parte secondo me della sindrome
da matrimonio imminente, e non era il caso di preoccuparsi. Eravamo poi tutti
presi, con due settimane di anticipo, dai preparativi per la festa di nozze, a
cui secondo l'usanza era invitata tutta la cittadinanza, e non potevo perder
tempo a speculare sui suoi umori. Solo un paio di giorni prima della cerimonia,
Giusep pe si quiet Era sereno, scherzava con noi come un tempo. Mi fece
impessione perchnon si preoccupava di ciche di solito tiene in ansia lo
sposo e il padrone di casa: i tavoli, le panche, i festoni di fiori, il vino.
Dico la verit si comportava come un adulto che partecipa a un gioco di
bambini. Non avevo ancora capito quanto Maria fosse bella. Quando fu condotta a
casa dello sposo, alla vigilia delle nozze, stesa in lettiga, i capelli
sciolti sotto il velo, con le monete d'oro che le cadevano sulla fronte, la
guardammo tutti come se non la conoscessimo. La veste le disegnava le forme:
riconobbi che il suo corpo era armonioso quanto quello di Dorotea. Veramente
affascinante era il viso: carico di una bellezza vigorosa e terrena, le labbra
rosse, i capelli e gli occhi neri, ma circonfuso da una luce che lo affinava.
Maria non mi suscitava cattivi pensieri, come avevo temuto. Era allegra,
rispondeva agli scherzi tradizionali. Scherzcon Giuseppe, che era venuto
incontro al piccolo corteo per accoglierla: "Chi quest'uomo, odoroso
d'incenso e di mirra, che esala tutti gli aromi che le carovane portano a
Israele? Perchnon l'ho visto prima dell'uomo che sarmio sposo? "Giuseppe si
chinsu di lei e disse: "Come sei bella, mia amata, mia colomba che ti
nascondi in un anfratto della roccia. . . ~La gente applaud zio Cleofa
benedisse gli sposi. Il giorno della vera cerimonia era quello successivo. Mi
occupai io di tutto perchGiuseppe dopo l'arrivo di Maria non capiva pi niente, divisi gli invitati per la cena separando gli uomini dalle donne,
divisi anche i fidanzati, mandando lei a dormire con le amiche, mentre
Giuseppe presiedeva la tavolata, riceveva gli auguri, prendeva parte ai giochi
e alle danze. Il giorno dopo andtutto bene. Il cortile si era riempito di
gente durante la mattinata; i giovanotti si sfidavano alla corsa o al salto
oppure si arrampicavano su un palo unto con grasso di pecora, cercando di
arrivare alla moneta d'argento incollata all'estremit Verso sera, a tavole
pronte, scese lo sposo. Le vergini gli illuminarono il cammino con le lampade
accese. Maria era seduta sotto il baldacchino da sposa. Si discostdalla sua
sorridente gravit solo quando le fu condotto davanti Giuseppe, guidato da
una decina di belle ragazze vestite a festa, impacciato. "Su, ~ gli disse,
"ne devi sposare soltanto una: me. Ti ho visto prima io. " Fu assalita da una
smaniosa voglia di ridere, e non riusciva a frenarsi. Contagiato, rise anche
Giuseppe; ogni volta che tentava di smettere, guardava la faccia ridente di
Maria e ricominciava. Le ragazze si unirono, sfogando una voglia che pungeva
da ore sotto la compostezza. Dopo un po' ridevano tutti, anch'io. Era uno
scandalo mai visto, ma nessuno se ne preoccup Asciugandosi le lacrime del
gran ridere (c'era cascato anche lui e non sapeva perch, Cleofa sparse una
manciata di grano e ruppe un vasetto di nardo, dall'odore cospenetrante che

il cortile e la casa ne furono invasi. Compiuti questi riti di fertilit la
gente mangie bevvb cosdi gusto che dieci garzoni e altrettante vecchie non
riuscivano a rifornire le tavole. Giuseppe e Maria, ora sua moglie, erano
saliti alla stanza alta, appena incominciato il pranzo. Non sapevo dove
voltarmi per star dietro a tutto ma trovai un momento per salire anch'io sul
tetto dalla scala esterna e vedere se avessero bisogno di qualche cosa. Dalla
camera veniva un sussurro, un rumore liquido e mormorante: era Maria e non
capivo se piangesse o ridesse. Mi tranquillizzla voce di Giuseppe, che disse
distintamente: "Come, non c'differenza? Non siamo mai stati insieme, soli,
nella stessa camera. . . ""Quella volta che tu venisti su dall'orto, di
notte. . . ""Quella non vale: tu eri dentro e io fuori, appeso alle sbarre.
. . ". . . e non si sapeva chi dei due fosse in prigione: se tu incollato
all'inferriata o io che non uscivo di casa da due settimane. . . ~' e Maria
ricomincia ridere, imitata da Giuseppe. Scesi subito, non avevano bisogno
di niente. La festa di nozze dursette giorni. Ogni sera gli sposi si univano
agli invitati per mangiare e bere, danzare, cantare. Poi chiudemmo il
cancello, rimandando tutti a casa, e Giuseppe e Maria furono finalmente soli.
Nei primi tempi del loro matrimonio pareva che gli sposi avessero dimenticato
l'evento increscioso e che la gravidanza di Maria, ormai al quinto mese, fosse
il normale risultato dell'amore tra coniugi. Giuseppe non tanto, ma lei badava
a comportarsi come se non fosse suc cesso niente; sono sicuro che qualche volta
se ne scordava davvero. La vedevo ridere al minimo pretesto e a volte senza
ragione, come il giorno delle nozze. Natan le andava dietro come un cane va
dietro al padrone. Le aveva costruito un burattino con la testa di legno; il
pupazzo cacciava fuori la lingua e Maria rideva. Natan, non potendolo far
parlare, lo faceva grugnire, e Maria rideva. Giuseppe la rincorreva in
cortile e fingeva di volerla catturare: lei correva finchperdeva il fiato e
allora, ansimante, si arrendeva rifugiandosi tra le braccia del suo stesso
persecutore. "Se non per me, signore, ~ diceva, " abbiate misericordia per
il bambino che porto nel grembo. "Non rideva pi improvvisamente le sue parole
apparivano fuori dal gioco, serissime. Giuseppe la guardava, scostando la
testa; la rassicurava con una carezza, con un bacio. Maria lavorava con la
costanza e l'oculatezza di una donna matura. Macinava il grano, cuoceva il
pane nel forno, andava a prender l'acqua al pozzo. Lavava i panni, spazzava e
spolverava, cucinava, metteva in tavola le olive, i frutti, la zuppa di
fave, l'agnello arrosto o il pesce, i legumi, il dolce di mandorle e miele.
Serviva Giuseppe e portava la nostra parte anche a noi, a me e a Natan, in
bottega. Lei mangiava in piedi, al pari delle altre donne della sua
condizione. Giuseppe, con un comportamento eccezionale per un uomo, insisteva
perchsedesse a tavola. Maria si schermiva. Finche per un certo periodo
mangiin piedi anche lui. Io e Natan le davamo una mano senza parere,
sollevandola dalle fatiche piingrate: riempivamo d'acqua tutti i recipienti di
casa; macinavamo tra le pietre un moggio di grano. Lei si prendeva cura di
noi, badava a che fossimo ben nutriti, che le mie lenzuola fossero fresche e
pulite. Per Giuseppe aveva quelle piccole attenzioni, quelle premure
carezzevoli, che il suo amore per lui le suggeriva. Ogni tanto gli giocava un
piccolo scherzo. Giuseppe sceglieva un uovo da bere, lo bucava, lo accostava
alle labbra: non ne usciva niente. Lei rideva a vedere la faccia del marito,
stupito, quasi offeso che una delle galline avesse fatto, al posto di un uovo,
un guscio vuoto. Giuseppe capiva che era stata lei a bucare l'uovo e a vuotarlo
per preparargli la piccola sorpresa, e rideva anche lui. Altre volte la
sorpresa era per Maria. Portava il pastone ai pulcini ed ecco che, tra tutti i
suoi confratelli di un bel colore giallo, uno avanzava zampettando, tutto
viola. Anche lei credeva per un attimo a un prodigio, pOi Si rendeva conto che
Giuseppe lo aveva dipinto e rincorreva il marito ridendo. Ripensandoci ora mi
accorgo che il loro comportamento nascondeva qualche cosa. Non che il loro
amore fosse finto, recitato, perchaffiorava autentico da ogni gesto, da
ogni parola; ma era certamente diverso da quello degli altri sposi e amanti che
avevo conosciuto. Un momento erano molto seri, ognuno concentrato in se
stesso; poco dopo si abbandonavano a uno scoppio di allegria, nervoso, senza
motivo; ridevano per il piacere di ridere, come bambini. La loro ilaritera
contagiosa, proprio per la sua innocenza. Li vedevo scambiarsi una carezza,
un bacio, con un'attenzione precisa a misurare il gesto, a trattenerlo entro
certi limiti. Pensavo che non volessero imporci le loro espansioni, per un
comprensibile rispetto di se stessi e degli altri. Giuseppe di tanto in tanto
era costretto ad assentarsi una giornata intera e qualche volta due per andare
sulle colline a comprare tronchi, di quercia, di sicomoro, di cedro, di
noce, o a consegnare il lavoro finito, carri, gioghi, aratri, madie,
cassapanche, a quei nostri committenti che abitavano in campagna. Sembrava che
partisse per la guerra: Maria gli si attaccava al collo, ripeteva pur sapendo
che era inutile la richiesta di andare con lui, gli consegnava le sacche col
cibo che aveva preparato, da una parte il pane e il vino, dall'altra un pezzo
di capretto arrosto, le olive, i datteri, le focaccine col miele. Giuseppe
saliva sul carro con i muli che prendeva a nolo dal padre di Gioele, schioccava
la frusta e partiva. Una volta che intraprese una di queste spedizioni dopo il
matrimonio, si fermpoco fuori citt udiva dei colpi provenire dall'interno
di una cassapanca che faceva parte del carico. Sollevil coperchio e dentro
c'era Maria, che si solleva sedere respirando affrettatamente. Si era

cacciata ldentro, dopo essersi congedata dal marito, cogliendo il momento in
cui, salito a cassetta, lui le dava le spalle, per poterlo accompagnare
nascostamente; e ora stava per soffocare. Quella cassapanca era un buon
lavoro: chiudeva ermeticamente. "Ti riaccompagno a casa, ~ disse Giuseppe
voltando i muli; le sorrise, pilusingato che irritato. "Ti riaccompagno io;
'~ Maria afferrle redini e guidfino al nostro cortile dove, compiuto un
giro completo, fermla pariglia davanti al cancello, di nuovo pronta a
partire. Non so chi le avesse insegnato, ma guidava molto bene. Al ritorno
Buono sul Pane le portava regali: non manufatti cittadini, non gioielli o
lavori di cesello, perchandava dove non ce n'erano, ma fiori, anemoni
rossi, gigli, tulipani selvatici, giacinti, narcisi, un uccellino nella sua
gabbia, una coppia di colombi. Maria gli correva incontro fin sulla strada, a
rischio di farsi travolgere dai muli. Non c'erano soldi in casa, perchi
risparmi di Giuseppe erano stati prosciugati dalla festa di nozze; Maria era
percoseconoma, che un po' alla volta la piccola famiglia ricostituun
fondo per gli imprevisti. Seduta sulla seggiolina che giun tempo le era stata
riservata, quando veniva a visitarci ogni giorno in bottega, Maria preparava
il corredino, le fasce, le camiciole per il bambino. Laccanto Giuseppe
squadrava le assicelle per costruire la culla, le univa a incastro, intarsiava
le fiancate. "E troppo bella, " gli disse un giorno Maria. "Niente troppo
bello per tuo figlio, ' rispose lui. Vide gli occhi di lei offuscarsi, gonfi
di lacrime: Maria aveva sentito un'allusione in quelle parole, che escludevano
Giuseppe dal ruolo di genitore. "Per nostro figlio, " aggiunse lui,
correggendosi, e Maria gli sorrise. Ero una sera seduto in cortile dopo cena
con loro: ci fermavamo di solito il tempo che Giuseppe organizzasse con me il
lavoro del giorno dopo, poi ci separavamo, io mi ritiravo nella mia baracca e
loro salivano nella camera alta. Maria parlava sempre del bambino, lo
descriveva come se giesistesse, come sarebbe stato a sei anni, a dieci, a
venti. "Ho capito: " dissi ridendo, "saril bambino pibello del mondo.
""No, " ribattMaria, seria, "saril bambino piimportante del mondo. "La
frase mi colp piper la sicurezza con cui lei l'aveva pronunciata, che per
il suo significato letterale. E consentito alle madri sognare per i figli ci che esse non hanno avuto. Maria aveva sempre dato a vedere di sentirsi chiamata
a un destino eccezionale e invece ecco che ha sposato un falegname senza
ambizioni. E comprensibile che pensi di rifarsi attraverso il figlio. E sicura
che sarun maschio. Guardavo Giuseppe e ho visto che quelle parole l'avevano
invece riportato a un pensiero molesto: lui ci aveva colto un'allusione
all'importanza del padre, quello vero. Cos senza volerlo, si ferivano.
Bastava una parola e per Giuseppe ricominciava l'antico tormento: non riusci va
pia scacciare dalla mente il pensiero dell'altro, le domande che Maria aveva
lasciato senza risposta. Chi c'era poi a Nazareth che fosse un uomo eminente,
tale da riflettere su un figlio la propria dignit Da come Maria aveva
parlato, si sarebbe detto che portasse nel grembo l'erede di un re; ma si
sarebbe potuto trattare anche di un ricco, di un religioso, di uno che avesse
autoritmorale, oppure anche di un uomo in una condizione appena superiore a
quella di Giuseppe, che nelle angustie della provincia sembrasse un personaggio
altolocato. Il mio padrone aveva ripreso ad aggirarsi per le strade; seguiva
per lunghi tratti le persone pidiverse, il maestro della sinagoga, Esalo
scriba, il giudice Abinada collega pigiovane di Cleofa, un uomo
brillante, destinato a una grande carriera politica. Scoprcosparecchie
cose sulla vita privata dei nostri piautorevoli concittadini, ma niente che
potesse illuminarlo sull'unica questione che lo interessava. La sera usciva,
andava all'osteria. Come molte altre spose di Nazareth, Maria rimaneva sola in
casa ad aspettare il marito; spegneva la lucerna per risparmiare l'olio e
nell'oscuritanche i suoi pensieri si facevano neri. Aveva sperato che
Giuseppe fosse diverso, che non l'avrebbe relegata a poche settimane dalle
nozze in un ruolo che detestava: quello della sposa stupida e fedele, buona
solo ad aspettare e a obbedire. Si rendeva conto tuttavia che il marito aveva
le sue ragioni per comportarsi a quel modo. Il vino per Giuseppe era diventato
un sedativo: gli scioglieva l'angoscia, lo distaccava dalla realt Qualche
volta nel bere superava la misura e si accasciava in un angolo dell'osteria,
ubriaco: per rispetto, la gente fingeva di non vederlo. Passata una certa ora,
Maria veniva a bussare alla mia baracca: Giuseppe non era ancora tornato.
Sapevo dove andare a cercarlo. Lo aiutavo a rimettersi in piedi, lo trascinavo
verso casa. Una notte che era piubriaco del solito, il mio padrone mi sfugg di mano e cadde a sedere in mezzo alla strada. C'era un gran chiaro di luna,
ci si vedeva come di giorno. Le facciate delle case, in quella luce,
apparivano diverse, come se non fossero fatte di pietra ma di tela dipinta.
Con l'enfasi oratoria che a volte assumono gli ubriachi, Giuseppe incominci un'invettiva contro il popolo di Nazareth: "Possano cadere i fulmini sulle
vostre teste, cittadini di questa citt che nascondete tra di voi un
traditore: crollino le vostre case, siano spianate le vostre mura, e sulle
rovine venga sparso il sale. . . 'Dopo aver predicato a lungo a questo modo,
egli abbassun poco la voce e parldi se stesso, picon rabbia che con
commiserazione: "Guarda come sono ridotto: " disse, "cornuto prima del
matrimonio, io che avrei potuto scegliere tra tutte le vergini di questa citt
E lei zitta: non parla, non dice chi stato. " Alludeva a Maria; quand'era
in quello stato, non la nominava mai. "Una di queste sere mi ubriaco davvero,

torno a casa e la costringo a confessare quel nome con le buone o con le
cattive. "Il suo discorso era pirotto e incoerente, ma ciche voleva dire
era questo. "Non avevi stabilito di non pensarci pi " gli ricordai. "Non
pensarci, dici tu; e come faccio? " Mi guardava con occhi furenti e lacrimosi.
"Non sai ancora tutto. . . ~ e scoppia ridere. "Maria adesso ti fedele.
"Rise di nuovo, di buona voglia, come se in ciche avevo detto si celasse
chissquale motivo di sincera ilarit Poi ammiccin un modo tra furbesco e
desolato e riprese: "Fedele? Non a me, fratello, non a me. "Non mi
preoccupai di trovare un senso alle sue parole: non erano altro che le
farneticazioni di un ubriaco. Lo sollevai da terra e riprendemmo la strada di
casa. Quasi a far ammenda delle accuse che aveva lanciato contro di lei, il
mio padrone aveva dato inizio a un piagnucoloso elogio della moglie; Maria era
buona e brava, cucinava bene, aveva per lui le cure piattente: si sarebbe
tagliato la mano destra piuttosto che alzarla su di lei. Eravamo intanto
arrivati davanti al cortile. Maria aveva riacceso la lucerna. "Vedi? " disse
Giuseppe, "mi sta aspettando. " Incespicsulla soglia e lei lo sostenne,
guidandolo fino a una sedia. Non riusciva a tenere ritta la testa, che gli
cadeva sul petto: Maria gli accarezzava i capelli, gli asciugava il sudore con
un pezzo di tela. Allora il mio padrone parlcome se fosse perfettamente
sobrio: "Che cosa importa il passato? " disse. "Ciche stato, stato. Se
ci vogliamo bene nel presente dimentichiamoci del resto. ~' Il suo stato di
ebrezza si rivelnelle parole che seguirono, che a mente lucida non avrebbe
mai pronunciato. "Che m'importa, " continu ''anche se non verrmai a
sapere il nome di quel cane che ti ha messo incinta? "Maria scattin piedi,
offesa a quanto credo dalla frase volgare che era sfuggita al marito. Tremava.
S'inginocchie disse una preghiera in lode dell'Altissimo. Giuseppe non se ne
cur si era addormentato con la testa sul tavolo. La gelosia devastil mio
padrone in quel periodo come una malattia: gli avvelenava ogni piacere,
s'insinuava in ogni pensiero. Maria non diceva niente; cercava anzi
coraggiosamente di conservare davanti a me e a Natan una parvenza di buon umore~
come se tra lei e il marito andasse tutto benissimo. Giuseppe scrutava ogni suo
gesto, ogni espressione, cercando di coglierla di sorpresa e di leggerle in
faccia chissche cosa. Rinvenendo da quei momenti di sospetto, si vergognava
di se stesso: Maria era cosbella e candida. La stringeva a sin un angolo
della stanza a terreno o dietro il pozzo nel cortile, dove credeva di non
essere visto: un abbraccio furioso, silenzioso; poi la lasciava senza
baciarla. Di che cosa era geloso il mio padrone? Me lo domandavo perchla
condotta di Maria era irreprensibile. Secondo me la sua era una specie di
febbre intermittente; passate le furie, la presenza stessa della moglie,
serena, ridente, lo placava. Gli era impossibile dubitare di Maria~ mentre
lei gli sorrideva. Appena Giuseppe era lontano da casa, il lavorio sospettoso
della sua mente ricominciava. Partun giorno, come era sollio fare di tanto
in tanto, col carro e i muli verso la montagna per ritirare un carico di
tronchi ma, invece di ammirare il paesaggio che ne valeva la pena, contemplava
dentro di sun seguito di scene immaginarie che lo mettevano in furore. I muli
conoscevano la strada e andavano avanti senza bisogno di essere guidati, cos Giuseppe poteva abbandonarsi alle sue tormentose fantasie. Vedeva nella mente
un uomo che attraversava di notte il cortile e saliva la scala esterna verso la
camera alta dove dormiva Maria. Era un personaggio autorevole e ben vestito,
di mezza et biondo e con gli occhi chiari, di un tipo fisico cioche non
era facile incontrare in Israele. Giuseppe lo immaginava diverso, straniero,
quasi per confermarsi che s~ trattava di una persona a lui sconosciuta, simile a
uno dei barbari del nord che militavano nell'esercito romano. , L'uomo, che
secondo la sua fantasia malata era il vero padre del bambino, ricattava Maria,
costringendola a riceverlo quando il marito era assente. Giuseppe dimenticava
per esempio che io ho il sonno leggero e che nessuno potrebbe entrare di notte
nel nostro cortile senza che io me ne accorga. Il mio padrone quella mattina
fermil carro e con una decisione improvvisa svoltin una stradina e di lnel
cortile di una fattoria che conosceva. Non si era allontanato molto da Nazareth
e poteva tornarci a piedi. Aveva percorso se no uno stadio sulla via del
ritorno, che si vergogndi se stesso: tornindietro a riprendersi il carro.
Giunto peral cortile della fattoria, gli tornin mente quell'altro cortile,
il suo, e lo punse la bruciante curiositdi vedere che cosa facesse Maria
quando lui non c'era. Riprese la strada e torna casa. S'infilnella baracca
del legno, proprio nel nascondiglio dov'era solito ricevere Dorotea. Passle
ore della notte a spiare, se mai si udisse un passo sulla ghiaia, se si
vedesse dalle fessure l'ombra di un uomo avvolto in un mantello dirigersi verso
la casa. L'unica ombra che attraversil cortile fu la sua: affamato, Giuseppe
uscla seconda notte dal covo e anda rubare nella madia il suo proprio pane.
Lo sorpresi mentre tornava, cercando d'infilarsi nel suo nascondiglio. Era
notte alta. "Non dovresti essere sul Carmelo, a caricare legno? " gli dissi.
"Sono sul Carmelo e sto caricando legno, '~ mi rispose strizzando l'occhio:
sporco, con i capelli appiccicati sulla fronte, aveva l'aspetto di un pazzo.
Gli portai qualche altra cosa da mangiare e una brocca d'acqua. "Che cosa speri
di vedere? ""Niente, disse. "Quel che voglio vedere proprio niente e
nessuno. ~In realtera proprio questo che Giuseppe desiderava: essere sicuro
che non succedesse niente, che nessuno si avventurasse di notte nel cortile.
Mi richiam quando stavo per lasciarlo. "Penserai che sono un pazzo, mi

disse. "Pensalo, se vuoi, ma non dirle che sono stato qui. ~"Io le voglio
troppo bene, " gli risposi, "per contristarla con i tuoi sospetti. Dovresti
conoscermi. ""Hai ragione, " ammise, e mi chiese scusa. Si rimise in strada
la mattina presto per andare a riprendersi il carro. Chisschi si era
immaginato di trovare, visitatore notturno nel nostro cortile. Lo compativo,
ma all'idea che egli avesse vegliato due notti in quel buco, ancora pieno dei
profumi di Dorotea, lui che non aveva mai avuto occasione di essere geloso, mi
veniva da ridere. Tornlo stesso giorno verso sera, dicendo che non aveva
trovato il legno che voleva. Aveva portato in dono a Maria un braccialetto da
caviglia, d'oro, comprato non so dove, splendidamente lavorato; vi aveva
speso quasi tutta la somma messa da parte per rifornirci di legno. Maria gli
bacila mano in segno di gratitudine. Lo sgridamorevolmente perchaveva
speso tanti soldi per lei, ma era contenta. Si provsubito il braccialetto,
che le stava benissimo sulla caviglia sottile, e gircosornata tutto il
giorno successivo. Chinava continuamente gli occhi a guardarsi il piede,
faceva scintillare il gioiello al sole. Sapere di avere quell'oro l alla
caviglia, le rese il braccialetto pipesante che non fosse; camminava lenta,
con un passo diverso. Si mostra Natan e a me, naturalmente; poi s'install al cancello, appoggiandosi allo stipite con studiata indifferenza, perch anche l rari passanti potessero ammirare il gioiello. Al vedere il suo
entusiasmo da bambina, Giuseppe si domandava: com'possibile che mi abbia
fatto un torto? come puessere stata tra le braccia di un altro? Gli aveva
detto: "Io non ti ho tradito, ed vero che Maria non diceva bugie. Quante
volte egli aveva cercato di dare un senso a quelle parole, quanto le aveva
soppesate e scrutate per poter escludere il fatto brutale, il congiungimento di
lei con un altro uomo. Maria perera incinta; e ciche Giuseppe voleva era
alla fine qualche cosa d'impossibile, una smentita alle leggi della natura. Si
dimenticava tutto appena lei, sorridendo come sempre, metteva la mano nella
sua. Maria aveva preso l'abitudine di passeggiare la sera, tenendolo per mano,
tutto attorno al cortile: parlavano dei piccoli fatti della giornata,
guardavano il cielo e i cespugli cambiar colore. Lei si sentiva stringere il
cuore al momento in cui veniva buio e si rannicchiava tra le braccia di
Giuseppe. Lui l'abbracciava tenendola stretta. Giuseppe non era il solo a
soffrire per un attacco di gelosia. Toccanche a Maria. Una sera la piccola
famiglia si era appena messa a tavola, che capitin bottega Giacobbe il
calderaio con sua moglie. Ci doveva due sicli d'argento per vari mobili che gli
avevamo costruito. Giuseppe si alze passnell'altra stanza a riceverlo. La
donna velata, che accompagnava il marito standogli discosta di qualche passo,
si scoprla faccia, ed era Maria di Daniele, la ragazza che parecchi anni
prima aveva falsamente accusato Giuseppe davanti al consiglio degli anziani di
averla violentata tra i cespugli del cortile. Il calderaio, nero e zoppo, era
il solo in cittche l'avesse voluta per moglie perchMaria era nota fin da
allora come donna leggera e generosa del suo corpo. Era grande, bianca,
dipinta in faccia con cura e sempre ben pettinata, vestita come una signora e
olezzante di profumi. L'avevano rovinata le chiacchiere maldicenti delle sue
amiche e delle loto madri. La ragazza aveva sperato che, una volta che si
fosse sposata, le pettegole si sarebbero quietate. Le era rimasta invece
addosso quella brutta nomea di donna facile, che cedeva agli uomini. Visto
inutile ogni tentativo di cambiare l'opinione che si aveva di lei, Maria aveva
deciso di comportarsi di conseguenza. L'accusavano per un solo errore (o due)
commesso in giovent E lei fornmateria perchgliene venissero imputati con
fondamento una dozzina. Dicevano che era una ragazza provocante? e lei fu
peggio: un'adescatrice, una seduttrice. Giuseppe la riconobbe immediatamente e
arross Sapeva tutto di lei, anche che un giorno l'avevano trascinata fin
sotto le mura e la volevano lapidare, cos senza testimoni di accusa e senza
processo. Lei si era piantata la gambe larghe e guardava la gente, senza
paura. "Volete punirmi, disse, "secondo la Legge. E sia; ma la Legge
prescrive che l'uomo che ha peccato con me sia colpito dalla stessa pena. Gir intorno gli occhi come a scegliere tra i suoi persecutori chi accusare per
primo. "Ne vedo qui pidi uno, " continu "che ha commesso adulterio nel
mio letto. Sto pensando che dovrebbero venire a raggiungermi. Vuoi venire tu,
Isaia, che ti lamentavi di tua moglie perchle puzza il fiato o tu, Giuda
figlio di Zebedia, che ancora oggi mi fai la posta nei vicoli? Oppure tu,
Ruben figlio di Beniamino, che venisti da me con un sacchetto di monete,
denaro che io rifiutai perchcerti peccati li faccio gratis oppure non li
faccio? Non per questo ti mandai via: mi supplicavi in ginocchio e mi baciavi
l'orlo della veste. . . "Chissquanto la donna avrebbe continuato, ma la
schiera dei suoi ascoltatori si era andata assottigliando e alla fine non era
rimasto nessuno. Maria di Daniele vedeva solo le schiene curve dei mariti che
si allontanavano in fretta e quelle delle mogli corrucciate che li seguivano da
vicino. Da allora fu guardata come una discepola di Lucifero ed era certo il
pibello tra gli angeli caduti. Il marito sapeva e taceva, anzi si faceva
davanti a lei cieco e sordo, pur di viverle vicino. Consapevole della fama di
Maria, il mio padrone si sentiva a disagio. La donna lo guardava senza pudore;
non gli rivolse la parola, ma quelle occhiate e l'atteggiamento languido e
lascivo erano un segnale che chiunque avrebbe capito. Come per caso Maria, la
nostra, entrnella bottega dalla stanza attigua, misurl'altra donna con gli
occhi, senza parlare, e domandscusa per aver interrotto il discorso tra i

due uomini. L'aveva benissimo riconosciuta e aveva notato l'imbarazzo di
Giuseppe. Ripresa la cena, sia l'uno che l'altra evitarono di parlarne. Il
giorno dopo Maria di Daniele aspettil mio padrone dietro il muretto del
cortile, nascosta dai cespugli, ormai molto alti, che traboccavano fin sulla
strada. Giuseppe udun richiamo sommesso e si affaccisopra il muro: la
tentatrice era l fresca e odorosa; il sole danzava sulla sua tunica e sui
suoi capelli. "Giuseppe, " gli disse, "ti ricordi com'ero innamorata di te
tanti anni fa? Ero pronta a tutto pur di sposarti. Tu non mi hai voluto e per
il tuo rifiuto sono diventata quella che sono. . . ma il mio cuore sempre
tuo. Che cosa devo fare? "Lui le rispose, scioccamente, come se davvero colei
gli avesse chiesto un consiglio; le raccomanddi scacciare le tentazioni, di
uscire di casa e di lavorare. "Ti sei dimenticato il pi ~ disse lei con
ironia, "non credi che dovrei anche pregare? " e se ne and prima che
Giuseppe potesse risponderle. Il mio padrone la guarda lungo mentre Si
allontanava perchdavvero era difficile a Nazareth, da quando la bella Dorotea
si era trasferita a Gerusalemme, vedere un modo di camminare piattraente.
Anche di schiena, il corpo della figlia di Daniele emanava seduzione. Giuseppe
ora deviava dalla sua strada e passava sotto le finestre del calderaio ogni
volta che usciva. Non aveva in mente niente di concreto ma gli faceva piacere
il pensiero della bella donna, pronta a commettere adulterio con lui. Maria di
Daniele si era accorta che egli passeggiava sotto casa e gli lanciava grandi e
pericolosi sorrisi da dietro le tende; Giuseppe, come fanno i mariti infedeli,
portalla moglie un regalo, una collana di corniola. Maria fiutil pericolo e
incomincia seguirlo. Non riusciva a togliersi dalla mente Maria di Daniele,
coscome l'aveva vista quella sera, voluttuosa, peccaminosa; e arrossiva di
furore al pensiero di Giuseppe tra le sue braccia. Venne il giorno in cui la
seduttrice, invece di restare alla finestra, scese e aspettalla porta di
strada. Il mio padrone la vide e vide anche nello stesso momento la sua propria
moglie comparire all'angolo: passsull'altro lato, affrettando il passo, come
se non avesse notato nessuna delle due. Bastquesto, il pensiero cioche
Maria sapeva della sua tentazione e lo avrebbe senz'altro scoperto se egli
avesse mancato al patto di fedelt per distoglierlo dal continuare il giOCo.
Nlui nla moglie parlarono pidella cosa, seppellendola saggiamente in quel
deposito della memoria, dove non si dovrebbe mai rimestare. Scoprii anche il
quarto guaio che si era abbattuto su Giuseppe, il piterribile. Dormivo una
notte sotto il muro della casa: l'autunno era piafoso dell'estate e nella mia
baracca si soffocava. Mi svegliai perchGiuseppe e la moglie parlavano
affacciati al muretto del tetto, qualche cubito sopra di me. Mi parve che lei
respingesse un abbraccio del marito. Udii Maria proporre a Giuseppe una cosa
incredibile: di andare ciocon un'altra donna, magari a Tolemaide, poichlei
non poteva assolutamente accoglierlo nel suo letto. Parlava con dolcezza,
dolorosamente: si capiva che il loro era stato fino a quel momento un matrimonio
bianco. Giuseppe protestava: aveva promesso di esserle fedele e lo sarebbe
stato. Ragionevolmente lei gli faceva osservare che quando eglaveva preso
quell'impegno nl'uno nl'altra sapevano che il congiungimento carnale sarebbe
stato impossibile; e perciGiuseppe sarebbe stato giustificato se avesse
cercato uno sfogo presso un'altra donna. Lui rifiutancora. "Mi sto
abituando: " disse, "tra noi bello anche cos "Lei gli passava le mani sui
capelli, gli baciava gli occhi e la fronte: "Tu sai, caro, " gli diceva,
"che ti amo pidi ogni altra cosa al mondo; lo sai, non vero? "Non udii
altro percherano rientrati in camera. Quella rivelazione mi lascisconvolto.
Rimasi a lungo seduto l indignandomi contro la sorte che castigava il mio
padrone cosduramente. Nessuno pidi me sapeva quanto egli amasse le donne; e
proprio a lui doveva toccare una moglie per modo di dire, incinta prima del
matrimonio e ancora non si sapeva per opera di chi, e poi chiusa,
inaccessibile. Aspettai che si addormentassero e salii a vedere. Mi affacciai
cautamente nella camera: Maria dormiva sul letto, Giuseppe su un materasso
steso sul pavimento, e presumibilmente si erano comportati cosfin dalla prima
notte. Non pensai di farne una colpa a Maria. Sapevo che pucapitare: dopo
quel suo primo e unico contatto sessuale impostole certamente con la violenza,
doveva essere stata presa da ripugnanza per qualunque uomo, anche per Giuseppe
che amava tanto. E se lui soffriva, lei doveva essere disperata di non poter
rispondere al desiderio del marito. Adesso mi spiegavo i loro ritegni, quel
tanto di sforzato, di nervoso, che c'era nel loro comportamento. Capivo
Giuseppe che beveva, che si arrovellava per scoprire il responsabile della sua
sventura. E naturalmente interpretavo anche quell'accenno, quel "Tu non sai
ancora tutto" sfuggitogli mentre era ubriaco. La castitforzata, in aggiunta a
una moglie incinta di un altro, era tutto quel che aveva ottenuto dal suo
matrimonio. Soffrivo per Giuseppe, ma riconoscevo anche il lato comico della
sua situazione. Lo avevo invidiato, cercando di non lasciar trasparire il mio
stato d'animo, quando tutte le donne erano sue, ed ecco che non ne aveva pi nessuna, nemmeno la moglie. Se avessero potuto vedere, le ragazze di Betlemme
e quelle di Nazareth, com'era ridotto il bellissimo, il conquistatore. . .
Povero Giuseppe: mi accorsi che s'illudeva ancora. Secondo lui la ripugnanza
della moglie al contatto sessuale era un effetto della gravidanza. Dopo il
parto si sarebbe attenuata fino a scomparire del tutto. Lo udivo ripetere come
una formula magica la sua convinzione: "Le passer " canticchiava, tirando la
pialla o la sega, sicuro che nessuno potesse capire a che cosa si riferiva.

Ammiravo Maria, che sorrideva anche quando aveva voglia di piangere.
Soprattutto mi sembrava un miracolo che quei due riuscissero a conservare
l'amore che provavano l'uno per l'altra. Crucciata ma sorridente, Maria era
ancora pibella. Brutto no ma triste, il mio padrone non aveva piuna faccia
da vincitore ed era pisimile agli altri, anche a me. Superato il momento
ingeneroso, in cui avevo riso delle sue disgrazie, lo sentii pivicino e caro
che per il passato. Maria lavorava come prima, ma di colpo impallidiva, la
fronte le si bagnava di sudore. Accettava di riposarsi solo quando Giuseppe la
costringeva, riconoscendo che doveva riguardarsi per amore del bambino.
Pensava molto a lui; gli parlava, come se lo volesse partecipe del lavoro
della giornata. "Ho foderato bene la tua culla, " diceva al bambino non ancora
nato, "ma se non fosse abbastanza comoda, avvertimi, dammi un calcetto, "
oppure: "Non ho ancora capito qual il colore che preferisci. Forse il verde.
Allora tingerdi verde il mondo: tutti gli alberi e i prati e i bordi delle
strade saranno verdi; dovunque guarderai, vedrai il tuo colore. "Giuseppe
scuoteva la testa e diceva: "E se per caso gli piacesse il giallo? o il viola?
"Fu un periodo sereno. Forse perchil marito avrebbe dovuto rinunciare in ogni
caso, nelle condizioni in cui lei si trovava, ad avere rapporti carnali con
Maria, sembrava che l'astinenza ora gli pesasse meno; e anche lei, vicina
ormai al parto, riempita dal figlio che stava per nascere, non aveva pensieri
per altro. Giuseppe la seguiva sempre con l'occhio, le toglieva di mano gli
oggetti pesanti, la costringeva a riposare spesso su una sedia speciale che le
aveva costruito. Gli pareva impossibile averla tormentata tanto con la propria
gelosia. Dopo un momento che stava seduta, Maria si alzava: aveva visto una
cosa fuori posto, una lucerna, un piattino, e si affrettava a riporla;
oppure non le piaceva il modo in cui era stata piegata una tovaglia: andava e la
piegava di nuovo. Giuseppe scherzando le legava una caviglia alla sedia, che
era molto pesante; lei se ne dimenticava e, trattenuta nel suo scatto,
agitava le braccia come sbatte le ali una gallina tenuta per le zampe. Maria a
volte rifletteva sulla realtfisiologica del parto, si ricordava di
Elisabetta, la sua vecchia parente, che aveva gridato una notte intera prima
di sgravarsi; e aveva paura. Al mercato scambiava confidenze con le donne di
etmaggiore della sua, che avevano avuto figli e sapevano di che si trattava
Con una specialmente, Micol, a cui era nata una bambina solo due mesi prima" E
vero che si soffre tanto? ""S " rispondeva Micol con aria d'importanza, "sono
momenti tremendi Maria voleva sapere quanto erano durati i dolori nel caso della
sua interlocutrice, se e come fossero diversi prima del parto e durante, a che
cosa si potessero paragonare: al bruciore di una ferita, alle coliche, alla
nausea dell'indigestione "Insomma, come sono? "Micol rifletta lungo, poi
rispose onestamente: "Non me ne ricordo pi ~ Maria si tranquillizz I due
sposi, ormai sicuri dell'amore che si portavano, si prendevano ogni tanto in
giro, affettuosamente. Lui imitava la faccia compunta con cui Maria mesi prima
prendeva parte alle passeggiate del sabato, i segni con le dita; lei lo
ripagava rifacendo Giuseppe a cavallo, impettito, e ripetendo persino gli atti
dell'animale, scalpitante e sbuffante, e il gesto del cavaliere che lo frenava
e i suoni che egli emetteva dalla bocca per calmarlo. In questa duplice parte,
assunta con rapidissime alternative a rappresentare il gruppo equestre, Maria
era irresistibile. Si scuoteva lei stessa dalle risate, alla fine, dopo aver
finto di smontare piegando un po' le ginocchia al toccar terra, e
rappresentando poi l'irreI quietezza di Saul (come lei stessa aveva chiamato il
cavallo), mentre aspettava legato a un anello nel muro. I loro scherzi erano
di questo genere. Maria era pertroppo giovane per sapersi limitare. La sua
allegria, proprio perchrara e precaria, la spingeva a ripetere i tiri
monelleschi di quando era bambina, naturalmente a spese mie e di NatanAveva
scoperto per esempio dove il muto nascondeva la zucca col vino. Un giorno il
nostro amico alza sopra la testa il recipiente per versarsi in gola uno zampillo
della sua bevanda preferita, ma dalla zucca esce solo un rivolo di sabbia.
"Sei stata tu, " l'accusa a gesti Natan, rovesciando sabbia dalla bocca.
Continua sputare a lungo, disgustato, tra le nostre risate. Una mattina
infilai i piedi nei sandali alzandomi dal letto e strinsi i legacci. Dopo di
che mi alzai, mossi il primo passo, e caddi con la faccia per terra.
Qualcuno, e io sapevo chi, con la complicitdi chi altro, era venuto
nottetempo e aveva inchiodato i sandali al pavimento. Maria e Giuseppe
accorsero al tonfo della mia caduta, ridendo, e lei teneva in mano un paio di
calzature nuove, che mi regalarono in sostituzione delle altre. Sapevo sempre
chi dei due aveva avuto l'idea: quella, per esempio, della tavola poteva
essere venuta in mente solo a lui. Deve averci lavorato buona parte della
notte, dopo avermi messo qualche goccia di sonnifero nel vino come in passato,
quando non voleva che scoprissi la sua tresca con Dorotea. Prendo, la mattina,
una tavola di quelle messe in piedi nel cortile, che mi serviva per riparare il
pianale di un carro. La sollevo e un'altra s'inclina lentamente, trasmette il
movimento alla terza, poi alla quarta, poi a tutte, finche di quella legione
di tavole non ne rimane una diritta. E un gioco che ho visto fare, con i
mattoni o con tavolette rigide, di pergamena. Non finita. Mentre contemplo,
sbalordito, il piccolo disastro che ho provocato, l'ultima tavola batte su una
catasta di tronchi; basta quel piccolo urto a far perdere la stabilita uno di
essi e di conseguenza all'insieme. Ruzzolano i tronchi, accelerando a causa
della pendenza del cortile, travolgono i paletti che sostengono la corda del

bucato. Maria, che si fatta sulla porta con Giuseppe, continua a ridere
nonostante che la biancheria stesa ad asciugare sia per terra, di nuovo sporca.
"Che cosa vuoi che sia? tornera lavarla, ~ dice, "ma una faccia come la
tua, al momento in cui hai creduto di aver causato tutto quel terremoto, non
la vedrpi ~Non penso proprio a prendermela con lei e tanto meno con
Giuseppe: lo scherzo toccato a lui, le notti sul pavimento, qualche cosa di
peggio. Ormai era inverno. Natan cavdalla sua tana un tasso in letargo e
Maria lo cucinnel suo grasso, riempiendo la casa di odori appetitosi. Il
giorno dopo lei e Giuseppe dovevano mettersi in viaggio per Betlemme. Erode
aveva ordinato che ognuno dei suoi sudditi si recasse al luogo di origine e
s'iscrivesse nei registri di famiglia. Cleofa, consultato, si espresse in
favore della disobbedienza civile, almeno in teoria. Erano i romani, a sentir
lui, che intendevano censire gli abitanti della Palestina e perciobbedire al
re equivaleva in questo caso a riconoscere l'autoritpolitica di Roma. Contare
il popolo operazione espressamente proibita nella Scrittura; il re David,
quando volle conoscere il numero dei suoi sudditi, fu punito dall'Altissimo per
la sua vanite superbia. Erode, prevedendo che la volontdei romani,
imposta al popolo direttamente, avrebbe sollevato tumulti, aveva sostituito
all'ordine dell'imperatore una legge sua propria. Prima di sposarsi, il mio
padrone si sarebbe certamente astenuto, avrebbe ciodisobbedito all'ordine di
Erode, affrontando poi le conseguenze; ora, con la responsabilitdi Maria e
del nascituro, ha rinunciato al bel gesto: andra Betlemme e s'iscriversui
registri. Non necessario, naturalmente, che vada anche Maria con lui,
potrebbe stare nella casa degli zii fino al ritorno di suo marito. Lei persi messa in mente di andare: freddo, disagi, pericoli non la spaventano, purch sia vicina a Giuseppe. Hanno tenuto una specie di consiglio di famiglia,
presenti Cleofa e sua moglie. Gli zii insistono perchMaria resti a casa con
loro. Esauriti gli argomenti ovvii, il giudice ricorre a quelli straordinari.
"Non vorrai, '~ dice, che tuo figlio nasca lontano dal suo paese. ~"Mio
figlio deve nascere in Giudea, nella terra dei suoi padri. 'Maria parla come
se Giuseppe fosse il padre vero. Cleofa e la moglie capiscono che lei desideri
assumere la finzione come verit dare al piccolo un'ascendenza certa e
rispettabile, innestarlo (se cossi pudire) sull'albero genealogico del
marito. Giuseppe su questo punto non dice niente; gli passa un'ombra sulla
faccia, ma direi che contento di appropriarsi di quel figlio, almeno dal
punto di vista anagrafico. Capisco anche che lei insiste proprio per questo,
perchGiuseppe incominci a sentirlo, per quanto possibile, anche figlio suo.
Quando rimangono soli, lei si siede sulle ginocchia del marito, come faceva da
bambina; non pesa molto neanche adesso, col pancione. "Se non vuoi, non
vengo, ~ sussurra. Mi preoccupo per te. Il viaggio faticoso, qui invece
staresti tranquilla, sicura. Tua zia sarebbe felice di pensare a tutto. " Lei
gli circonda il collo con le braccia, gli mormora all'orecchio: "Non posso
pensare che nasca mentre tu non ci sei. Mi sentirei perduta. " Giuseppe le
accarezza i capelli, che lei ha sciolto e le arrivano a metdella schiena.
"Ti prego, ~ riprende lei, "non mi lasciare. Sai che ho sempre contato su di
te, fin da piccola, fin da quando avevo otto anni ~Nella sua voce vibra l;
apprensione, la nuda paura di una bambina. Giuseppe conosce una nuova
sensazione: qualcuno ha veramente bisogno di lui. Le promette di portarla con
s alla fine ciche egli stesso desidera. L'idea che Maria soffra i dolori
del parto, senza che egli le sia vicino ad assisterla, l'ha gitormentato
abbastanza nei giorni precedenti, quando considerava suo dovere partire senza
di lei. Nonostante tutto, anche lui non sa vivere lontano da Maria. Partirono
insieme e vollero che mi unissi a loro col compito di aiutarli, mentre Natan
rimaneva a badare alla bottega. Durante la stagione fredda sarebbe imprudente
prendere la strada bassa, nella valle del Giordano, perchil fiume a volte
straripa, cosci avviammo per quella che va su e gisulla cresta dei monti,
che poi la stessa che abbiamo percorso Giuseppe e io per arrivare fin qui.
Maria montata su un asino, noi uomini andiamo a piedi. C'molta gente in
movimento. Da una parte il fatto ci rassicura (ci uniamo a un gruppo numeroso,
che ladri e predoni non oseranno attaccare); d'altro canto questa moltitudine
di viaggiatori c'impensierisce: vanno tutti dalle nostre parti, a Betlemme sar difficile trovare alloggio. Non ci succede niente durante il tragitto; anche
Maria sta bene per quanto si pustar bene nelle sue condizioni, tranne un
giorno che siamo costretti a fermarci per darle modo di riprendersi da uno
spavento. E rimasta impressionata davanti a un gruppo di crocifissi lungo la
strada. Vedeva per la prima volta la croce, questo strumento di tortura e di
morte lenta, barbara invenzione dei romani. I crocifissi erano quattro: uomini
maturi, uno solo aveva poco pidi vent'anni. Due erano gimorti. La loro
pelle era giallastra; dove le mazze dei carnefici avevano spezzato le ossa era
diventata violacea o si apriva, lacerata, in crateri da dove eruttava la carne
in putrefazione, piena di vermi. Gli uccelli rapaci non scendevano sui
cadaveri perchi patiboli erano vicini alla strada, dove passava gente di
continuo, e perchgli altri due crocifissi li spaventavano con le loro grida,
ma lunghi topi grigi salivano lungo il legno delle croci e si arrampicavano sui
corpi. Il ragazzo di vent'anni gridava con voce sgolata, come uno che aveva
continuato a protestare per ore contro la morte a cui era stato condannato. Non
gli avevano ancora mazzolato le gambe, ma era mezzo impazzito: il vento freddo e
il sole l'avevano cotto. Gli occhi erano due buchi rossi, che lacrimavano

sangue, le labbra si erano spaccate. Il ragazzo scuoteva la testa da destra a
sinistra e da sinistra a destra senza smettere mai, il resto del corpo era
immobile, rigido. La vita era diventata per lui un grido interminabile e un
segno di negazione. Lultlmo, un uomo sui quarant'anni, doveva essere stato
attaccato da poco: aveva ancora fiato per arringare la gente. Proclamava la sua
innocenza; diceva di non essere nun brigante, nun ladro, ma un profeta,
ciche poteva essere senz'altro la verit Maria si sentmale: non avevo mai
visto una faccia pallida come la sua. Resistette per un po', mentre ci
affrettavamo per allontanarci da quello spettacolo, poi incomincia gridare e
ad agitare convulsamente le braccia e le gambe. Riuscimmo a calmarla solo
fermandoci e coricandola vicino a un fuoco. Ricordo Giuseppe, che la guarda
smarrito, e lei che gli dice: "Se vedo ancora una croce, ne morir "Quella
notte, coricati sulla paglia in una stalla, vestiti e coperti dai mantelli,
Giuseppe e la moglie non riuscivano a dormire. Maria tremava ancora; alla fine
si strinse al marito e si tenne a lui convulsamente, dicendogli che lo amava.
Non allentla tensione delle braccia se non quando si addorment ma si
svegliava ogni tanto e tornava ad abbracciarlo. Arrivammo dopo tre giorni di
cammino: era quasi notte e faceva molto freddo. Non trovammo posto nalla
locanda naltrove. Quel che peggio, erano incominciati i dolori del parto.
Il bambino nato in una stalla, dove ci siamo rifugiati (Giuseppe sa che la
piccola costruzione, isolata in mezzo alla campagna, appartiene ai suoi
fratelli ma, ha detto, questo un caso di necessit. Per fortuna nato
rapidamente e bene; un maschio, rosso e arrabbiato. Sono stati tuttavia
momenti penosi. Non avevo mai visto una donna partorire, e nemmeno Giuseppe.
Guardavamo con angoscia Maria che soffriva, che gridava come un animale, senza
potersi trattenere. La sensazione peggiore era quella della nostra impotenza.
Giuseppe le teneva le mani e nel suo tormento lei gli conficcava le unghie nella
carne. Mi manda cercare una levatrice. Quando tornai senza averla trovata, a
notte alta, speravo che Maria si fosse gisgravata: e infatti il bambino era
nato. Udii il suo vagito da lontano e feci l'ultimo tratto di corsa. Certi
pastori, che custodivano un gregge poco lontano, avendo notato il fuoco che
avevamo acceso fuori dalla stalla per scaldare l'acqua, sono venuti a vedere.
Sono tornati poco dopo e ci hanno portato latte, formaggio e pane. C'erano con
loro due donne, che si sono fermate ad aiutare Maria. Sono uscito all'aperto.
La luna splendeva sui campi. I miei passi risuonavano come succede quando la
terra gelata. Udivo la voce del bambino; non piangeva, ma piuttosto gridava
proclamando che al mondo ora c'era anche lui, come fanno tutti i neonati. Non
si poteva star fuori a lungo: era troppo freddo. Maria stava benissimo ma non
poteva mettersi in viaggio e tornare a casa, perchera legalmente impura:
doveva restare ritirata quaranta giorni, poi offrire un sacrificio al Signore,
dopodichsarebbe stata libera di andare dove voleva. Il bambino fu circonciso:
venne un esperto in queste operazioni, praticl'incisione, strappla
membrana, succhiil sangue e sparse sulla piaga un impiastro di olio, vino e
cumino. Il piccolo urlava come se lo scannassero. Qui ci tengono tutti molto a
essere circoncisi, perchgreci e romani non lo sono: cosquella che potrebbe
essere una pratica igienica diventa un distintivo e una affermazione di
nazionalit Giuseppe ha comprato due tortore e le offririn sacrificio;
pagheranche cinque sicli d'argento al tempio per riscattare il nuovo nato,
quando andra presentarlo, in quanto i primogeniti degll'uomini e degli
animali appartengono al Signore. Prevedendo che il soggiorno a Betlemme si
sarebbe prolungato, Giuseppe andda Manasse e gli chiese il permesso di
rimanere nella stalla. Erano passati anni da quando Si erano lasciati e Manasse
non provava piastio di un tempo verso il fratello. Gli diede volentieri il
permesso e gli offrdenaro, in prestito o in dono, se ne avesse avuto
bisogno. Il mio padrone lo rifiut Io intanto feci un giro per le stalle,
sperando di vedere qualcuno di conoscenza. Trovai solo un certo Heli, un
compagno di bevute del passato, che ora lavorava a Gerusalemme al palazzo di
Erode, e tornava quando poteva a vedere i genitori. Sapevo che doveva del
denaro al mio padrone. "Quando paghi? " gli domandai. "Uno di questi giorni, "
disse lui, rispondendo come tutti i creditorl'insolventi. "Uno di questi
giorni lo ripaghercon gli interessi. "Giuseppe mi chiamper tornare,
proprio quando avevo ritrovato una delle ragazze di cucina che in passato aveva
avuto un debole per me. Poichsanno che il congiungimento impossibile (per
quaranta giorni la puerpera intoccabile) Maria e Giuseppe permettono alla loro
tenerezza di traboccare. Lei resta a lungo distesa sulle coperte e i mantelli:
Giuseppe le porta un fiore che ha raccolto tra la neve, preludio di primavera;
un uccellino mezzo assiderato che bisogna nutrire al caldo finchnon ricomincia
a volare. Lei giura che il bambino, di pochi giorni, lo vede. Anche Giuseppe
partecipa dei suoi entusiasmi per il piccolo, un po' perchha un cuore di
padre, e molto perche il solo modo che ha di sentirsi accomunato a lei.
Maria sempre attorno al figlio, lo cambia, lo allatta. Nei rari momenti in
cui il bambino dorme (a me sembra che non dorma mai) gli s'inginocchia accanto e
resta lungo tempo a guardarlo, coricato in una mangiatoia che serve benissimo
da culla. "E pensare, " ha detto Maria al marito, "che tu gli avevi preparato
una culla cosbella, senza chiodi, intarsiata e levigata. . . ~Chiss
forse in un lettuccio che dondola il bambino dormirebbe pia lungo. Sembra
tranquillo, abbandonato a un sonno profondo, ed ecco che strilla svegliandosi
di colpo. Non puaver fame perchha avuto la sua poppata da poco. Maria lo

prende in braccio, gli canta la ninnananna. Finalmente quello si azzitta; ci
muoviamo tutti con precauzione, in totale silenzio. La madre lo mette gie in
quello stesso attimo il bambino riprende a strillare a tutta gola. Maria
ricomincia a cullarlo tra le braccia. E sfinita. Anche Giuseppe. Io vado a
dormire dai nostri amici pastori, quando non ne posso pidel piccolo
rompiscatole, ma il mio padrone rimane lcon la moglie. Non serve a niente,
questa abnegazione, se non a manifestare la sua solidariet forse a lei utile anche sentirselo vicino. E stremata, il sudore le bagna la fronte, ma
la sua dolcezza nell'accudire al figlio inalterabile. Per dire la cosa com'
o come mi sembra, Maria non ama il bambino, lo adora, lo venera in ginocchio
come se fosse un piccolo dio. Si capisce subito che mamma per la prima volta.
Finalmente, lavato, cambiato, nutrito a saziet suo figlio si addormenta.
Maria si stende sulla paglia. Giuseppe l'accarezza, lei si volta e nasconde la
faccia sulla sua spalla. Che due persone innamorate non possano amarsi
carnalmente una vera ingiustizia. La malattia di Maria rara e difficile da
capire. Ho avuto una parente nello stesso caso. Il marito, che lei amava,
non si arrese. Appena la toccava, la donna alzava un grido e le venivano le
convulsioni. Tanto quello persevernei suoi attacchi che la poverina divent matta. In quel periodo Giuseppe e Maria, che non avrebbero potuto in ogni caso
giacere insieme, erano uguali agli altri, ad altri sposi a cui fosse appena
nato un bambino. Uscivo dalla stalla per lasciare che si sbaciucchiassero a
loro agio. Giuseppe, a cui avevo raccontato il mio incontro con Heli, aveva
alzato le spalle: da tempo aveva rinunciato alla speranza di riavere il suo.
Invece Heli venne a cercare Giuseppe, non per restituire quanto gli era stato
prestato ma per dargli un avviso che valeva molto di pi Aveva avuto sentore
al palazzo di Erode di una spedizione orrenda, di un eccidio che si andava
preparando. I soldati avrebbero circondato il territorio di Betlemme e vi
avrebbero ucciso tutti i bambini al di sotto dei due anni. Poi Erode sarebbe
partito per i bagni di Callirrhoe. Nel portare a Giuseppe quella notizia,
l'amico aveva rischiato la vita. Maria non ci voleva credere: "Per quale
ragione il re dovrebbe prendersela con i bambini? ""Ricordati, " disse
Giuseppe, "che Erode ha fatto ammazzare suo figlio. E vecchio e malato. Non
sarebbe la prima volta che un re cerca di mettere un fiume di sangue tra se
stesso e la morte. "La mattina dopo annunciopportunamente che aveva sognato
un angelo. Il messaggero dell'Altissimo li esortava a partire. Cossi
convinse anche Maria. Tanto, non c'era piniente che li trattenesse: il
periodo d Impuritera finito, il bambino era stato presentato al tempio.
Maria domandsoltanto: "Dove andiamo? ""Pilontano meglio andiamo in
Egitto. "Mi ricordai che Giuseppe desiderava da tempo attraversare il deserto e
conoscere il paese da cui i suoi padri erano fuggiti molti anni prima. Non ci
furono grandi addii. Fui rimandato indietro a badare alla casa e alla bottega.
"Ci vediamo tra un paio di mesi, " disse Giuseppe. Quello che accadde a
Betlemme tutti lo sanno: la famosa strage dei bambini sarricordata nei libri
di storia. Il figlio di Maria fu uno dei pochi superstiti. Giuseppe aveva
parlato di un'assenza di due mesi; rimase in Egitto otto anni, fino a che non
morErode e scomparve ogni pericolo. Ebbi notizie un paio di volte: seppi che
si era fermato a Leontopoli, una cittpiena di suoi connazionali. Non deve
essersi sentito in esilio, perchin Egitto i figli d'Israele sono
numerosissimi; del resto essi sono dispersi dappertutto, in Fenicia, in
Siria, in Asia Minore, in Tess alia, Macedonia, Etolia, Attica, nel
Peloponneso e ce n'una quantit naturalmente, ad Alessandria e a Roma. Il
mio padrone conosceva un mestiere e avrtrovato certo di che vivere, senza
abbandonare le abitudini contratte in patria, senza rinunciare al riposo del
sabato e alle riunioni nella sinagoga. Rimasto solo a Nazareth a mandare avanti
la baracca, io incontrai invece molte difficolt Natan torna fare il
pastore: ora che non c'era piGiuseppe, non vedeva ragione di lavorare per un
altro. Nessuno mi faceva picredito: sono un incirconciso. Ci fu poi
l'indennizzo che dovetti pagare ai genitori di una ragazza troppo svelta per me.
. . Non la mia storia perche voglio raccontare ma quella di Giuseppe. Il
mio padrone ritornun giorno d'estate, verso sera. Stavo seduto fuori dalla
porta di bottega a prendere il fresco e li ho visti entrare dalla strada (il
cancelletto sempre aperto): lui, Giuseppe, che spingeva avanti un piccolo
asino grigio carico di fagotti; poi Maria, poi il figlio, tenuto per mano
dalla madre. Erano impolverati, stanchissimo. Giuseppe mi abbracci anche
Maria. Questi otto anni non hanno molto cambiato il mio padrone, che solo
pipacato, meno scalpitante di giovent Maria diventata ancora pibella: matura, serena. Porto loro l'acqua per i piedi. Il bambino mi prende la
bacinella di mano e lava lui stesso i piedi alla madre. E alto per la sua et
ma non assomiglia na Maria na Giuseppe: ha i capelli chiari e gli occhi
azzurri. Aiutandoli a portar su e a disfare i loro pacchi, mi accorgo che
Giuseppe non ha fatto fortuna: la biancheria, le tuniche, i lenzuoli sono
vecchi e rattoppati. Eppure deve aver lavorato duramente: le sue mani sono
uniformemente callose. Il lavoro riaffluito man mano che si sparsa la
notizia che Giuseppe di nuovo qui. Ma sono anni di magra, anche il nuovo
raccolto scarso, e i nostri clienti sono quasi tutti contadini. Soldi se ne
vedono pochi, la piccola famiglia conduce una vita modesta, da poveri. Maria e
Giuseppe sono ancora giovani e non Si avviliscono: lui fischia mentre lavora e
lei canticchia sfaccendando nella stanza accanto. Il piccolo, che si chiama

Ges va a scuola alla sinagoga e nelle ore libere, dopo aver fatto le sue
corse in cortile, viene qualche volta a dare una mano in bottega. E gi piuttosto bravo nel mestiere: in Egitto suo padre gli ha insegnato a lavorare.
Ha un intuito straordinario per il legno: sa dirti a occhio se un tronco buono
o no da tagliare in tavole, se i nodi sono profondi o solo superficiali,
descrive la venatura interna come se la vedesse disegnata davanti. Diventerun
uomo del mestiere, ce l'ha per vocazione come Giuseppe. Ma pudarsi (e questa
l'opinione e l'augurio di sua madre) che diventi invece uno scriba o un
dottore della Legge. Il maestro, alla sinagoga, dice che impara rapidamente:
conosce giuna buona parte dei Libri Sacri. L'unico guaio che non si
accontenta dell'interpreta zione canonica, frutto della scienza d'illustri
maestri, mavuole spiegare di sua testa anche i passi pidifficili. Discute,
sostiene arditamente il suo punto di vista. Queste dimostrazioni di arroganza e
di presunzione addolorano il suo insegnante e lo scandalizzano. Gesdi
quelli che si amano per ammirazione, non per affinit Quando sorride irradia
fascino come, ai suoi tempi, Giuseppe. Non assomiglia certo al mio padrone,
biondo com' con gli occhi chiari: mi accorgo che simile piuttosto all'uomo
di cui fantasticava Giuseppe quando si nascondeva nella baracca per sorprendere
il presunto seduttore di Maria e lo vedeva con gli occhi della mente varcare il
cancello del cortile. Anche quell'uomo immaginario era biondo e aveva gli occhi
azzurri. E una coincidenza che deve aver colpito anche Giuseppe, che ogni
tanto in bottega si ferma un attimo a guardare il ragazzo e poi scuote la testa.
Capisco che Maria ha persistito nel suo silenzio e non gli ha rivelato ancora
chi l'altro uomo. Gesdorme da solo in una cameretta che gli stata
ritagliata con un tramezzo di legno nella grande stanza a terreno, accanto alla
bottega, e i due sposi passano la notte di sopra. Ho constatato che Giuseppe
continua a coricarsi su un materasso ai piedi del letto: Maria non guarita.
So quale tortura dev'essere stata per il mio padrone la castitforzata durante
gli otto anni dell'esilio. Ormai la rinuncia diventata abitudine: ci si
adatta a tutto, anche alla perdita di un braccio o di una gamba. Ogni tanto
tuttavia l'astinenza torna a pesargli: il desiderio sessuale provoca in Giuseppe
un'esasperazione che lo trasforma. Arruffato, feroce, si aggira in casa e in
cortile come un gatto in calore, dorme all'aperto, tuffa la faccia nell'acqua
del secchio. Dopo un paio di giorni gli passa: Giuseppe ritorna l'uomo di
sempre, pacato, sorridente, ma debole come se avesse vissuto nella realt le scene lubriche che si sono succedute nella sua fantasia. Ancora pi attraente con la sua barba fiorita, maturo, esperto della vita, elegante
quando si dla pena di prendersi cura della propria persona, attira l'occhio
delle spose e delle vedove di Nazareth. Quello delle ragazze invece gli passa
sopra e non si sofferma: a trent'anni Giuseppe per loro un vecchio, per di
pisposato. Lui subisce il fascino delle giovinette come un tempo; le segue
per strada, quando vanno alla sinagoga con la madre, apprezza la sottigliezza
delle caviglie, l'aprirsi dei fianchi sotto la cintura. Le guarda come uno
spettacolo: Giuseppe ama sua moglie. Non mi ero stupito nello scoprire che tra i
due sposi le cose erano rimaste a un punto morto, so che la malattia di Maria
non si guarisce, ma ero sinceramente meravigliato che il mio padrone riuscisse a
mantenersi casto. Mi disse un giorno che, da questo punto di vista, si
considerava come un uomo in carcere, condannato a vita. Eravamo seduti sui
gradini della siaagoga, all'ombra, e guardavamo la gente che entrava. Pass una bella donna, quella Maria di Daniele, che aveva tentato di farsi sposare
da Giuseppe con un trucco e non c'era riuscita. Si sapeva in cittche,
quantunque maritata, non diceva di no a nessuno che le piacesse; e Giuseppe,
era chiaro, le piaceva sempre, almeno a giudicare da come lo guardava. Sotto
quello sguardo, Giuseppe abbassgli occhi, impacciato. Si svolse allora tra
di noi un dialogo a mezze parole, che nessun altro avrebbe potuto capire.
Seguendo anch'io con gli occhi la figura sinuosa della donna che entrava nel
luogo di riunione e di preghiera, ammiccai a Giuseppe e dissi: "Perchno?
""No, " rispose lui, fermamente. Io ripetei: "Perchno? ""Ho giurato, "
disse lui. "S ma. . . " Intendevo dirgli che quando aveva solennemente
promesso di essere fedele a Maria, non credeva di sposare una donna che lo
avrebbe escluso dal suo letto, e dunque poteva considerarsi sciolto
dall'impegno che aveva assunto. Giuseppe sapeva che io sapevo. Mormor quasi
a se stesso: "Dice cosanche lei, ma poi. . . " Ormai lo capivo anche a un
accenno e indovinai che cosa pensava: temeva che, se avesse ceduto, Maria
avrebbe perso in gran parte la stima che aveva di lui. L'unico modo che gli era
rimasto per apparire un uomo eccezionale agli occhi della moglie era quello di
resistere alla tentazione. Ormai l'astinenza sessuale era diventata non solo
un'abitudine ma quasi una fissazione, una scelta, che in certi momenti gli
dava serenit un'aria di saggezza. Forse non era felice, ma riuscire a
resistere era pure una soddisfazione: egli ne andava fiero. Sapevo che cosa gli
costa, soprattutto nei giorni in cui si ridestava il desiderio, e capivo
anche quanto doveva essere grande l'ascendente di Maria, se per lei era capace
di mantenersi casto. Ma perchsi esponeva alla tentazione guardando le
ragazze? "Sono belle, " diceva, "ma ancora non ne ho visto una pibella di
Maria. " Il suo sacrificio era grande, ma egli l'offriva a una donna
eccezionale; e anche questo era per lui un motivo di fierezza. Dopo otto anni
la loro vita in comune aveva ogni tanto delle zone oscure. Bastava a volte una
parola, un niente, per scatenare in Giuseppe l'umore litigioso. Maria non

ribatteva, ma spesso la sua aria di forzata mansuetudine irritava Giuseppe pi di una replica stizzita. Il pidelle volte la causa dei loro dissensi era
Ges Il ragazzo aveva secondo me un solo difetto grave: i suoi coetanei
stavano zitti a meno di non essere interrogati, lui parlava. Non che fosse un
chiacchierone, ma voleva sempre dire la sua. Giuseppe aveva commesso l'errore
di non rimetterlo al suo posto all'inizio e ora quello metteva bocca nei
discorsi dei grandi. Quando non si riusciva ad acchiapparlo e a metterlo al
lavoro, Gessi comportava come un piccolo vagabondo: girava per la citt
preferibilmente solo o con una banda di piccoli perdigiorno della sua et
esplorava le colline intorno a Nazareth; visitava gli orti in cerca di frutta,
spesso cacciato e rincorso dai proprietari. Arrivava a casa coperto di polvere e
di sudore, stracciato, ansante. Maria riempiva di acqua una tinozza nel
cortile e lo lavava da capo a piedi. Lo insaponava e lo I detergeva senza
bruschezza; i suoi gesti con lui erano sempre dolci, amorosissimi. I rapporti
tra il piccolo e il mio padrone erano cambiati ginel primo anno dopo il loro
ritorno. Al principio Gesera molto attaccato a Giuseppe, attento a tutto ci che il padre diceva o faceva; lo guardava con ammirazione, gli diceva che era
bello. Il mio padrone ne era fierissimo; non contento di averlo sempre sotto
gli occhi in bottega, lo portava con sdovunque andasse: per la strada, in
campagna a consegnare aratri e gioghi, sui monti a comprare legno. Ges assorbiva avidamente le parole del padre. Incomincia un certo punto a opporre
un punto di vista proprio a quelli di Giuseppe e spesso senza darne sufficiente
giustificazione. ~ Te lo ddiCo io" a coslo sfidava il padre. Giuseppe, al
sentire il piccolo ricorrere tutto serio a quel principio di autorit che egli
stesso aveva tante volte invocato davanti a lui, si metteva a ridere. Ges continuava a rimanergli sottomesso ma solo esteriormente; tanto era stato con
lui prodigo di parole e di domande, tanto ne divenne avaro. Giuseppe ne
soffriva. Proprio perchnon era il padre, desiderava anche piche Gessi
considerasse suo figlio; non voleva da lui solo obbedienza ma confidenza,
amore. Si sarebbe detto invece che il piccolo avesse deciso di abolire dentro
di sla nozione di avere un padre su questa terra e di considerarsi soltanto
figlio di Dio, come tutti. ' Un giorno in bottega Giuseppe mise un braccio
sulla spalla del ragazzo, com'era solito fare, affettuosamente, e rimase male
quando lui gli disse: "Per favore, non mi toccare. " La voce era quella di
sempre, non irritata nostlle, perfettamente neutra. Il mio padrone sent
togliendo il braccio dalle spalle del piccolo Ges che la sua protezione
veniva rifiutata, che stava per diventare un padre inutile. Allora commise un
errore: tentdi riconquistare il ragazzo. Per un periodo abbastanza lungo,
mentre il figlio cresceva e sentiva di bastare sempre pia se stesso, Giuseppe
mise in moto a suo beneficio tutte le risorse dell'antico fascino. Riprese a
curare il proprio aspetto, ma soprattutto tentdi essere per il figlio un
compagno, non un uomo di etmaggiore: un fratello piuttosto che un padre.
Maria guardava a tutto questo con un sorriso indefinibile. Ges vedendo come
Giuseppe tentasse d'ingraziarselo, ripiegava sulla madre pidi prima. Il
ragazzo e Maria si capivano senza parole, non c'era mai tra i due il minimo
urto: sembrava che entrassero l'uno nell'altra, che costituissero un'unica
persona, tanto era stretta la loro intesa. Avevo notato, per esempio, un
fatto curioso: rientrando in casa il piccolo non domandava mai "dov'mamma? ".
Sapeva sempre dove trovarla e vi si dirigeva senza esitazioni: al pollaio, in
fondo al cortile, nella stanza alta, nell'orto. Se a Gescapitava qualche
cosa, lei lo sentiva a distanza. La vidi un giorno impallidire e appoggiarsi
alla parete; si premeva le mani sul fianco e si lamentava. Suo figlio torn verso sera e si teneva le mani sullo stesso punto: aveva litigato con i compagni
e aveva preso un brutto colpo. La volta che Maria cadde sulla scala esterna e
ruzzolfino in fondo, battendo la testa sulle pietre, l'avevano appena
distesa sul tavolo di cucina, che arrivlui, inquieto, col respiro
affannoso. Eravamo molto preoccupati, perchMaria sembrava in punto di morte:
era pallidissima e il polso le batteva debolmente. Alzati, mamma, " disse
Ges che non sopportava la vista dei malati, e Maria si rizza sedere.
"Cammina, " e lei scivolgidal tavolo e incomincia camminare nella stanza.
Giuseppe corse a sorreggerla; non voleva che, per compiacere il figlio, Maria
avesse a cadere un'altra volta. Sgridanzi Ges "Non sai che bisogna
lasciarla tranquilla, distesa? Se si alza, il sangue le va al cervello e le
puvenire una sincope. " Rimproveranche Maria: "E tu? Basta che parli lui e
ti passa tutto. Ci vuol prudenza, invece. Mettiti a letto. "Maria disse che
non ne aveva bisogno e, a riprova, incomincia correre intorno al tavolo
inseguendo Gesche scappava. Ridevano tutti e due ed emettevano gridolini di
entusiasmo. Giuseppe, che si sentiva escluso, uscsbattendo la porta.
Giuseppe si prendeva la rivincita iniziando il piccolo a comportamenti e a
giochi virili. Gli insegncome difendersi nelle risse, come saltare i muretti
appoggiandosi sulle mani e volteggiando con le gambe, a nuotare, a fischiare.
Lo portanche all'osteria. Questa volta Maria si arrabbi forse l'unica
occasione in cui l'ho vista davvero irritata. Quando giil ragazzo era andato a
dormire, accusGiuseppe di volerlo rovinare. Si permise di mostrare che
capiva molto di pidi quanto non sembrasse: "Lo fai perchlo vuoi separare da
me. ""Per me, " repliclui, "puoi tenertelo. Gi si sa che solo tuo.
"Maria chinla testa e scoppia piangere. Giuseppe era solito mettere in mano a
Gesdi tanto in tanto qualche moneta, che andasse a comprarsi le focaccine da

Abele il fornaio. Il piccolo, orgoglioso com'era, non gradiva queste
elargizioni e rifiutava; ma era goloso e qualche volta prendeva il denaro e
correva da Abele. Spendeva in focaccine fino all'ultimo centesimo, e Giuseppe
coglieva l'occasione per rimproverarlo di non aver messo niente da parte e per
predicargli la virtdel risparmio. "Non avrai mai niente di tuo, se non
impari ad accumulare il denaro. ""A che scopo? " rispondeva il ragazzo, poco
convinto "Non mi manca niente. Che cosa dovrei comprare col denaro messo da
parte? ""Che so? una tunica. . . ""Ne ho giuna. " '. . . un mantello.
. . '"Ho quello vecchio tuo: mamma lo sta accorciando per me. ~Alla madre non
parlava mai di queste piccole orge di dolci; ma non mangiava le focaccine di
nascosto e non dimenticava mai di offrirne anche a lei. Semplicemente nl'uno
nl'altra trovavano niente da dire sul fatto che un buon padre comprasse dolci
per il figlioletto. Maria se la prese perchuna volta Giuseppe commise
l'errore di dire a Ges mentre gli metteva le monete nella saccoccia: "Non
dire niente a mamma, mi raccomando. "Mise il broncio, ma siccome stava
abitualmente zitta anche a tavola, Giuseppe ci mise un bel po' ad accorgersi
che non parlava. "Che hai? " le diceva, "che cosa successo? " ben lontano
dall'immaginare le ragioni di quel malumore. Lei non rispose: sorrise a quel
modo misterioso, che aveva su Giuseppe l'effetto di un arcobaleno, e tacque le
ragioni per cui si era rannuvolata. Ora era tornato il sereno. In modo
altrettanto misterioso, il mio padrone intuil suo muto rimprovero e non
chiese pial figlio, da allora in poi, di nascondere qualche cosa alla mamma.
Una sera il ragazzo continuava a stuzzicare la madre perchraccontasse della
sua infanzia, quali giochi faceva e con chi. Maria rispondeva, breve e un po'
schiva, ma evidentemente divertita anche lei e vagamente commossa da quella
rievocazione. Usca dire che il gioco pibello che mai avesse avuto era un
carrettino, che Giuseppe le aveva costruito nel cortile di una locanda a
Betlemme. "Ce l'hai ancora? "Purtroppo a furia di corse le ruote si erano
consumate, i perni si erano piegati, il carrettino non esisteva pi Maria
descrisse il brivido di lasciarsi trasportare gida una china, afferrandosi
alle cordicelle che guidavano il piccolo veicolo come alle redini di un cavallo.
Giuseppe lavorfino a tardi quella notte e Ges quando si svegli trovun
carrettino nuovo, con le ruote di legno duro, ai piedi del letto. Ringrazi Giuseppe con effusione, buttandogli le braccia al collo, e scomparve tirandosi
dietro il suo regalo. Nazareth ha molte strade in discesa e Gesaveva da
scegliere: probabilmente le saggitutte, perchrientrcon una bozza in testa
per aver preso male una svolta, in ritardo sull'ora di cena, coperto di
polvere da capo a piedi, ma raggiante. Non diede pace a Giuseppe finchnon
gli insegncome si costruiscono i carrettini e, con l'aiuto del padre, ne
preparaltri tre per altrettanti suoi amici. I quattro ragazzi correvano gi per le strade a gara, con sorpassi e collisioni, gridando di gioia. Il
carrettino diventil gioco del momento, quello che tutti i piccoli
desideravano. I padri andavano da Giuseppe a ordinare il nuovo veicolo (che era
poi vecchissimo) per i loro figli; il mio padrone costruiva carrettini e se li
faceva pagare. Ma era piil tempo che ci perdeva, che il guadagno che
riusciva a ricavarne. Ci sarebbe voluto ben altro per raddrizzare le sorti
della bottega: il lavoro, mal pagato, ci dava a stento di che vivere. Ogni
spesa straordinaria veniva decisa dopo adeguata ponderazione. Per esempio, il
piccolo Gesaveva bisogno di una tunica nuova: non solo la vecchia era stinta e
rattoppata ma ormai le cuciture non tenevano pi Maria disse a tavola che
avrebbe ridotto a misura una di quelle smesse dal padre. "Ma no, povero Ges
" disse il mio padrone, "sono rattoppate anche quelle. Deve sempre andare in
giro come un pezzente? Avruna tunica nuova. ~"Non ci sono soldi, lo sai. E
a lui forse non importa. "E infatti Gesdisse: "Che cosa vuoi che sia? Io
neanche mi accorgo di quello che ho addosso. "Tuttavia ebbe la tunica nuova.
Per la veritegli non fu molto grato del regalo. La veste intatta lo
intimidiva, perchla madre gli aveva raccomandato di stare attento che non si
strappasse e non si sporcasse. Si strappalla fine, in una caduta dal
carrettino; Gesfu rimproverato ma provun certo sollievo: messa la toppa,
la tunica non era pinuova e lui poteva giocare in libert anche avendola
addosso. "Il Signore sia con voi, ~ salutGes mettendosi a tavola per
ultimo. Era di nuovo in ritardo. "E tu, sei sicuro che il Signore sia con te?
Se fosse tuo padre al posto mio, ti tirerebbe le orecchie. ""Puoi sempre
tirarmele tu, " disse Ges pronto ad acce~ttare il castigo che Giuseppe
volesse infliggergli. "E cosche mi rispondi? chi credi di essere? " Ormai
lanciato, il mio padrone prosegunel suo sfogo. "Un signorino, il capo di
casa, il padrone del mondo, che vai e vieni come ti pare? Ti dico io che cosa
sei: un presuntuoso, perchti credi da pidi tua madre e di me; un ingrato,
perchte ne infischi dei sacrifici che facciamo per te; un fannullone, un
discolo, un vagabondo. Finirai male, te lo dico io. "Ges china la testa
sul piatto, non rispondeva. "Non parliamo, " riprese suo padre, "di tutte le
volte che invece di andare a scuola vai a campi. Non sai quanti si sono
lamentati di te e della tua banda di somari pari tuoi: vi azzuffate, fate danno
nelle coltivazioni, rubate la frutta. . . ~"Solo quella caduta dall'albero,
" interruppe Ges L'interruzione provocl'arresto di quel flusso di accuse.
Giuseppe guardava il ragazzo, che aveva ormai dieci anni, e si sentiva
profondamente offeso dalla sua serenit Gesnon si arrabbiava, ma rispondeva
come un uguale; non piangeva quando lo si rimproverava, anzi col suo

sorrisetto di sottomessa sopportazione riusciva a far capire al padre che le
accuse erano tutte vere e tutte irrilevanti, che egli ascoltava le sue parole e
le lasciava passare su di lui, leggere come la brezza. Giuseppe qualche volta
lo picchiava, gli dava cioun paio di schiaffi, che la razione minima per
una punizione paterna, ma non andava oltre. Temeva che la sua autorit
affermata esitando e accettata senza convinzione, potesse essere sfidata.
Evitava anche di cacciare Gesda tavola quando lo esasperava con la sua
insolente tranquillit Un anno prima lo aveva fatto: "Esci di qui, " gli
aveva detto; si aspettava che il piccolo, secondo gli usi che vigevano nelle
famiglie di Israele da tempo immemorabile, si sarebbe ritirato nel suo stanzino
o dietro le baracche a piangere e a smaltire la propria vergogna. Invece Ges
interpretando l'ordine in un senso piesteso e piconveniente per lui, se ne
era uscito di casa. Non tornper due giorni, vivendo di frutta acerba, di
erbe e di cavallette. Si divertmoltissimo. Ricomparve nel cortile il terzo
giorno, soprattutto per amore di sua madre. Fu lei a insistere che chiedesse
perdono a Giuseppe. Il che il ragazzo fece con buona volont "Sei pentito? "
domandGiuseppe. "Tua madre si consumava di dolore. ""Di questo mi dispiace
proprio. ~"E di essere scappato non ti penti? ""Come posso pentirmi di averti
obbedito? Mi hai detto di uscire e io sono uscito. Fu cosche Gessi prese
ancora un paio di schiaffi per aver mancato di rispetto a suo padre. Era fatale
che se c'era in giro un diseredato, un ferito, un abbandonato, Geslo
raccogliesse. In un angolo del cortile ospitava un cane con la gamba rotta, il
gattino cieco, la colomba che non volava e persino una volpacchiotta, ferita
da una tagliola. Sceglieva a compagni i ragazzi pisporchi e brutti,
frequentava i vagabondi, i mendicanti, le vecchie che non avevano pinessuno.
Il mio padrone, com'naturale, non approvava la tendenza di Gesa fare
amicizia con i rifiuti della societ "Non cosche ti farai strada nella
vita, " gli diceva. "A chi chiederai di darti una spinta quando ne avrai
bisogno? Perchnon ti fai amico di ragazzi per bene? Il figlio dell'esattore
delle imposte, che ha la tua et o quello del giudice Abinadab? "Ubbidiente,
Gesprometteva di frequentare anche quest'altra parte della societnazarena e
teneva parola: aveva una facilitstraordinaria per legare con chiunque. I
ragazzini di buona famiglia si aggregarono alla sua piccola banda, scoprendo la
gioia di sporcarsi e di tornare a casa, esitanti, paurosi del castigo ma
interiormente fierissimi, con un ginocchio sbucciato o col naso rotto. Dove
avrebbero potuto trovare un compagno di giochi piU soddisfacente, uno che
permetteva anche ai nuovi venuti di rappresentare Davide o Sansone negli scontri
(metguerra, metteatro) che la sua banda organizzava ogni giorno sulle
colline? Le regole di gioco inventate da Gestendevano a moderare lo spirito di
competizione, altrimenti i ragazzi scatenati si sarebbero fatti male sul serio.
Il desiderio di competere col figlio aveva preso a tormentare anche Giuseppe.
Fallito il tentativo di riconqui stare il ragazzo, ciodi farlo regredire
all'etin cui aveva blsogno della protezione paterna, ora il mio padrone
scendeva in campo, disposto a gareggiare, per essere oggetto di ammirazione e
di invidia agli occhi di Ges Riusciva ancora, naturalmente, a piegarlo
nella lotta addomesticata, con esclusione di pugni e calci, che ingaggiavano
in cortile all'imbrunire, in attesa di essere chiamati a tavola, ma in altre
gare le sorti rimanevano dubbie o inclinavano dalla parte del ragazzo.
Giocavano, la sera, ai birilli con le bocce che Giuseppe aveva pazientemente
ricavato da un vecchio tronco di quercia. Per quanto fossero ben arrotondate,
esse segui vano un percorso irregolare, rimbalzando sul terreno ineguale.
Giuseppe, spazientito, ricorreva ai tiri tesi, e mancava spesso il bersaglio.
Le bocce di Gesinvece finivano ogni volta per far centro. Appena la prendeva
in mano il ragazzo, la palla di legno sembrava stregata: giGiuseppe
commentava il tiro di Gesironicamente, ed ecco che la boccia incontrava un
sassolino e correggeva la traiettoria, rimbalzava piin lsu una buchetta,
piegava a destra o a sinistra, e immancabilmente raggiungeva i birilli,
abbattendone sempre pidi uno. Mi veniva da ridere, vedendo con quanto studio
Giuseppe prendeva la mira e con quanta forza lanciava le bocce per ottenere poi
risultati deludenti, mentre Gessembrava che tirasse a caso, e perle sue
bocce dondolanti colpivano sempre nel segno. Giuseppe, che non sa perdere, si
ostinava a battersi e voleva la rivincita. Maria si offriva per disputare
un'ultima partita col marito prima che fosse buio e perdeva per restituirgli la
fiducia in se stesso. Qualche volta il trucco funzionava e Giuseppe ritrovava
tutto il suo brio; qualche altra volta la sconfitta gli lasciava dentro un
avvilimento, un'amarezza, che diventavano autocompatimento e umore litigioso.
Sedeva a cena con la moglie e col figlio, e gli sembrava che l'uno e l'altra lo
compatissero, trascurando anche il rispetto che come capo di casa gli era
dovuto. E vero che Maria era attenta soprattutto a Ges Il ragazzo era
diventato per colpa sua la persona piimportante della famiglia. Gli piaceva
mangiar bene, per esempio, e la madre teneva conto prima di tutto dei suoi
gusti, facendo il possibile per preparare con le scarse risorse della casa i
platti che egli preferiva. Qualche volta dimenticava addirittura le precedenze e
serviva lui per primo. Giuseppe reagiva con ironia, acidamente. "Quando ti
verrin mente, " diceva, "spero che metterai qualche cosa nel piatto anche a
me. Forse non l'hai notato, ma ci sono anch'io. 'Maria arrossiva e si
scusava. Gespassava il suo piatto al padre. Giuseppe allora si vergognava e
non prendeva plU niente, vagamente scontento anche di se stesso. Il ragazzo

gli diceva: "Mangia, se no la mamma si mette a piangere, ~ e Giuseppe
mangiava. Il mio padrone faceva la vittima, specialmente quando aveva perso ai
birilli. Al minimo pretesto accusava la moglie di trascurarlo, di aver perso
la sollecitudine che aveva verso di lui nei primi tempi. La zuppa si era
raffreddata (e la colpa era di Giuseppe che si era attardato in cortile), la
tovaglia aveva una macchia, non gli avevano preparato al suo posto la solita
sedia; qualsiasi piccola cosa era sufficiente a scatenare le lamentazioni e le
rivendicazioni del mio padrone" E tanto se ci si accorge della mia presenza,
incominciava. "Chi credete che io sia? un padre preso in affitto, l'ultima
ruota del carro? "Non aveva cuore di continuare: lei lo guardava con tale
supplice affetto, con cosintera dedizione che egli sentiva cadere quel
desiderio di ferirla, che si era poco prima impadronito di lui. Maria gli
replicava solo quando si trattava di questioni gravi, come l'avvenire di Ges
Giuseppe era stufo di sentirsi dire dalla gente che suo figlio era un discolo e
un vagabondo. "Lo metto a bottega tutto il giorno, " minacciava, "cosimpara
bene il mestiere. "Non aveva il minimo dubbio che Gessarebbe stato un
falegname e uno bravo: nelle poche ore che si riusciva a trattenerlo dai suoi
vagabondaggi, il ragazzo lavorava come un adulto, con piacere persino, perch tutto gli veniva bene, e sembrava che si divertisse. "Non quello il suo
mestiere, " diceva la madre. Giuseppe insisteva: non solo lo stato di
falegname gli sembrava indicato per Ges che aveva buone disposizioni e si
sarebbe trovato con una bottega avviata, ma non vedeva perchmancare alla
consuetudine per cui certe professioni si tramandano di padre in figlio.
"Insomma, " diceva, spazientito, "secondo te, che cosa dovremmo fare di
questo ragazzo? A dieci anni gimotivo di scandalo nel vicinato, non va a
scuola, batte la campagna, non passa giorno che non sia coinvolto in qualche
rissa. . . Dimmi tu: che ne facciamo? Che cosa suggerisci? ""La gente non
lo capisce, " diceva Maria. "Ciche fa sempre suggerito da buone
intenzioni. Di che cosa lo accusano in concreto? Dicono che un discolo, ma mai venuto qualcuno a imputargli un fatto preciso, un furto, una prepotenza?
Dicono che un vagabondo, ma una colpa essere giovani e aver voglia di
correre? Quanto alle risse, lo sai anche tu che Gessi batte solo per
difendere i deboli. . . ""Questo, di difendere i deboli, non un mestiere,
brontolGiuseppe, "o, se lo non dcerto di che mangiare. Se stai dalla
parte dei poveracci, avrai contro tutti coloro che contano qualche cosa e
spesso anche i tuoi protetti, sempre insoddisfatti. Neanche se fai miracoli,
diventerai qualcuno. . . Finchsi tratta di giocare a birilli, Gesun
campione, non dico di no, ma nel resto un ragazzo come tutti gli altri.
""Sei proprio sicuro che sia come tutti gli altri? " insinuava Maria. "Se
insisti, ti dirche spesso peggio e spesso meglio: con lui non si capisce
mai bene che uomo diventer Sarun vagabondo anche da grande. ""Perchnon
lo domandiamo a lui, che cosa farda uomo? " diceva Maria. Ges
interpellato, disse che quando fosse stato il momento avrebbe saputo che cosa
fare. Lo lasciassero intanto, intendeva, vivere a modo suo, ciche
comprendeva le corse sulle colline, le risse, le fughe da casa. Scompariva
periodicamente per un paio di giorni e non si riusciva a capire dove andasse e
che cosa facesse; i suoi stessi compagni lo ignoravano. Ora, che sapeva
scrivere, lasciava una parola per Maria tracciata su un coccio con un pezzo di
carbone; lei stava in ansia lo stesso. Alle sue domande, quando rientrava in
casa, il ragazzo non rispondeva o le rispondeva male. "Ho anch'io i fatti miei
a cui badare, " le disse una volta e voleva significare che anche gli altri
dovessero occuparsi dei fatti propri, senza invadere la piccola area di
privatezza che egli si era creato. Mentre Natan il muto veniva solo qualche
volta in visita (adesso possedeva un gregge molto numeroso e non aveva tempo),
compariva spesso nel cortile il giudice Cleofa. Lo zio di Maria attraversava un
periodo di decadenza. Gli era morta la moglie, che era il vero sostegno della
famiglia, e lui piche vedovo era rimasto orfano. Solo con una vecchia serva
nella grande casa, passava il tempo a dormicchiare, senza lavarsi e senza
vestirsi. Era diventato litigioso e piantava questioni all'osteria con chiunque
avesse la pazienza di dargli retta" Fosse almeno viva la tua prozia, ~ diceva a
Ges "ti farebbe una torta: era bravissima in cucina e sapeva anche molte
favole. '~Cleofa aveva perso molte cose ma non la curiosit Seguiva Ges nelle sue scorribande, di nascosto, e poi riferiva in casa. Gesqualche
volta se ne accorgeva e lasciava fare, per non privare il vecchio della
soddisfazione di spiarlo. "Non lo capisco questo mio pronipote, ' diceva
Cleofa ai genitori, con la sua consueta solennit e raccontava che lo aveva
visto battersi con certi ragazzi, che non appartenevano al suo gruppo, pi grandi e rabbiosi. L'oggetto del contendere sembrava essere un nido di uccelli,
che quelli avevano tirato gida un albero e ora deposto sull'erba, sarebbe
appartenuto presumibilmente al vincitore. "Non era una rissa, ma una sfida
singolare, uno contro uno, " continuava il giudice. Gesaveva costretto alla
resa l'uno dopo l'altro due degli avversari. Quelli che restavano avevano
abbandonato il campo. "Allora ha fatto qualche cosa che, se non avessi visto,
non ci crederei: ha risalito il campo, si arrampicato su un albero e ha
collocato il nido alla congiunzione di due rami, nel luogo evidentemente da
dove era stato tolto. "Cleofa si era avvicinato, nell'atto di un uomo che va a
spasso per conto suo, e aveva aspettato il ragazzo al piede dell'albero. "Che
cosa fai? " gli aveva domandato. "Restituisco il nido agli uccelli che l'hanno

costruito. 'La mentalitgiuridica di Cleofa non poteva che riconoscere per
buona e giusta la motivazione di Ges anche se essa andava contro le
consuetudini e quasi contro l'istinto dei ragazzi di campagna: non c'era dubbio
sulla vera proprietdel nido, ma non gli era mai venuto in mente fino ad
allora che la questione andasse considerata prima di tutto dal punto di vista
degli uccelli. Gesrientrtardi, attento che il padre non lo vedesse. Maria
gli lavle escoriazioni, le piccole ferite, in modo che potesse presentarsi a
cena con un aspetto non troppo allarmante. Giuseppe notando che Gesera
conciato peggio delle altre sere, diede il via a una delle sue sgridate.
Incomincicon una frase all'apparenza innocua: "Hai visto in quale stato viene a
tavola tuo figlio? "I padri dicono in quei casi "tuo figlio" quasi rifiutando
per un momento la paternite accusando tacitamente la moglie di non aver
educato bene il colpevole e quasi di essergli complice nella cattiva condotta.
Giuseppe, anche lui, non aveva altra intenzione che questa ma nella sua
situazione quelle parole potevano assumere un altro significato. Se ne accorse
quando Maria si alzcon gli occhi pieni di lacrime e se ne andda tavola. Non
era mai successo e proprio per questo Giuseppe si accorse di averla ferita.
Anda raggiungerla per farsi perdonare. Ormai il fallo prematrimoniale di
Maria era diventato la pena segreta di tutti e due, e li univa piche non li
tenesse divisi. Non ebbero bisogno di parole, tanto piche Maria sapeva bene
come la frase del marito fosse stata involontaria. Si abbracciarono subito,
con slancio. Lei piangeva, consolata, sulla spalla di Giuseppe e lui
l'accarezzava sui capelli. Il piccolo Gesaveva qualitdi capo. Per tale lo
riconoscevano tacitamente i ragazzi che lo seguivano; come un capo lo
obbedivano i poveri e i derelitti che gli si erano affidati. Eppure egli non si
comportava come uno che s'impone agli altri: non comandava, non alzava la voce;
si limitava a esprimere un parere o un desiderio e i suoi amici agivano di
conseguenza. Ci fu un momento in cui gli adulti da lui soccorsi furono una
piccola squadra, sei persone che fino ad allora avevano vagato in citte nei
paesi vicini isolatamente e che si congregarono attorno a lui piper scelta che
per necessit Non erano belli a vedersi: c'era il gobbo Geremia; Achimelech,
il gozzuto; uno zoppo Abramo; lo scemo Gionata, e due donne: la fattucchiera
Noemi e la vecchia Ester, che ai suoi bei tempi era stata una prostituta
famosa. Era vecchia anche Noemi, che faceva venire i vermi alle pecore e
addormentava le donne con i gesti, quando le trovava sole in una casa di
campagna, per poter rubare a suo agio. Gesun giorno aveva incontrato Geremia
in un vicolo deserto a ridosso delle mura; il gobbo lo aveva minacciato con un
coltello per prendergli il pezzo di pane che stava mangiando. "Metti via il tuo
coltello e te lo dar " aveva detto il ragazzo, "e in piti daruna draema.
"L'altro aveva alzato la sua arma, piper spaventare il piccolo che per
minacciarlo, ma Gesnon si era mosso; anzi gli aveva sorriso e aveva detto:
"Non mi vorrai dare una coltellata per un pezzo di pane. "Dammelo. ""Riponi il
coltello e te lo dar " In questo genere di duelli verbali Gesvinceva
sempre. Avevo anche capito perch sorrideva, con l'aria di divertirsi, e
l'avversario, sconcertato, si arrendeva. Il ragazzo e il gobbo diventarono
amici. Gestentil colpo di portare Geremia a dormire nel nostro cortile, ma
Giuseppe si oppose: cani, colombi e volpi s uomini no. Era difficile per il
piccolo accettare la logica per cui si ammettevano in casa gli animali bisognosi
di cure e di affetto e si respingevano gli esseri umani. Tuttavia, da figlio
sottomesso, accettil decreto di suo padre e cercper Geremia un altro
alloggio. Veramente il gobbo affermava di non averne bisogno: come altri senza
tetto, dormiva nelle stalle e d'estate nei fossi. Gesinsistette e con un
fascio di paglia gli fece un letto in una casa diroccata e piena di ortiche,
dove la gente buttava le immondizie. Era necessaria una buona pulizia della
nuova dimora: vi si dedicarono con entusiasmo i ragazzi della banda, che si
assunsero anche il compito di nutrire il loro protetto. Erano una decina e
ognuno portava da casa qualche cosa da mangiare per lui: pane, una manciata di
olive, i fichi secchi, le mandorle, i ceci, le fave. Cucinavano i legumi in
una delle stanze scoperchiate, facendo un fuoco tra due sassi, e si
divertivano molto. Il gobbo attirnel suo nuovo palazzo l'amico Achimelech il
gozzuto, persona attraente per il ribrezzo stesso che suscitava. I ragazzi
poterono toccare l'enorme escrescenza che gli deformava il collo. Venne in
seguito Abramo, che si trascinava dietro Gionata: quest'ultimo aveva l'et mentale di un bambino e non sapeva muoversi da solo. Le donne arrivarono pi tardi: gli uomini non le volevano, ma le accettarono per paura della
fattucchiera. Con tutta la buona volonti ragazzi non sarebbero mai riusciti,
con le loro sole risorse, a nutrire sei persone, tanto piche Gesnon voleva
che rubassero in casa come erano disposti a fare. Non restava per i loro
protetti che continuare nella loro attivitcionell'accattonaggio. Fino a
quel momento avevano chiesto l'elemosina isolatamente; ora impararono la forza
che ha un'azione collettiva. Quando si presentavano in sei davanti a una porta,
piccola accolta diversamente mostruosa, con la gobba, il gozzo, la gamba
zoppa, la bocca bavosa per idiozia, con la testa grigia e scarruffata della
vecchia maga e quella laida e sdentata dell'ex cortigiana, la gente non
resisteva: si sentiva oppressa da quell'assembramento di deformit sentiva la
colpa di essere in salute e di aver da mangiare; e dava. C'era anche chi
faceva finta di niente e non rispondeva alle loro preghiere. Allora il coro di
suppliche improvvisamente taceva: silenziosi, incombenti, i sei si collocavano

davanti alla porta con l'aria di chi disposto a tenere la posizione per ore,
per tutto il giorno se necessario. Gli abitanti della casa assediata pagavano
per toglierseli dai piedi. Non credo che fosse Gesa suggerire loro queste
tattiche terroriste: secondo me la fattucchiera, abituata a sfruttare le paure
della gente, inventava per la piccola squadra nuovi mezzi di pressione sul
prossimo. Per un po' gli abitanti di Nazareth subirono in silenzio, poi la
questione fu portata al consiglio degli anziani. Da sempre i nazareni avevano
visto il mendicante come un essere anonimo, una figura quasi simbolica ferma
sotto le finestre o all'angolo di una casa, vagamente umana, a cui si dava una
moneta, quella tra tutte di minor valore, a scarico di coscienza. Il
mendicante invocava sul benefattore la benedizione del Signore, cosa che valeva
certo di pidella monetina che aveva ricevuto, e rientrava nell'ombra: nessuno
sapeva o si domandava, come vivesse, dove dormisse, che ne era di lui nel
resto della giornata. Ora il gruppo degli accattoni aveva la forza d intimidire
e di opprimere; occupava una casa, avanzava tacitamente una pretesa al diritto
di cittadinanza. Sapevano tutti che dietro al sovvertimento degli usi e
costumi, rappresentato dai sei accattoni, c'era l'iniziativa di Ges ma si
poteva decentemente discutere in un grave consenso di anziani la condotta di un
bambino? Sarebbe stato ridicolo. Parlare del comportamento nuovo dei poveri
sarebbe stato pericoloso: equivaleva a riconoscerlo, a dare un nome alla
minaccia che costituiva per l'ordine sociale. Gli anziani pensavano che a volte
basta tenere gli occhi chiusi perchil pericolo scompaia: parlarono cossolo
della casa occupata abusivamente. Il proprietario presentuna petizione per
riavere il libero uso dell'edificio o di ciche ne rimaneva. Fu deciso di dare
tempo due giorni al gruppo dei poveri per togliersi di l in caso di
resistenza la casa sarebbe stata sgombrata dalie forze di polizia. Mi preparavo
a scene comiche, dato che la polizia di Nazareth era rappresentata e riassunta
nella persona del vecchio Osea, che leggeva le ordinanze del re all'angolo
delle strade, e raccoglieva a sera gli ubriachi alla chiusura delle osterie.
Gesmi privdel divertimento. Riconobbe che bisognava rispettare le propriet e dissuase i suoi nuovi amici dai propositi di resistenza. In due giorni,
scelto sotto la collina un tratto di terra che non apparteneva a nessuno,
creato da un'alluvione e pieno di sassi, costruuna tettoia di legno e di
stoppie. Giuseppe forni pali, le tavole, gli arnesi, io diedi una mano.
Mi stupii che il mio padrone, contrario alle imprese del figlio, lavorasse per
lui. "Si messo nei guai per quella sua idea di fare del bene agli altri.
Gesnon sa quanto difficile; adesso impara. Non voglio perche la lezione
sia troppo dura per lui: se i suoi disgraziati si disperdessero improvvisamente,
ne sarebbe troppo addolorato. "E lui non sopportava di vederlo triste;
capitava certe volte che Ges interrompendo di giocare, si mettesse a sedere
in un angolo del cortile, fuori vista, e se ne stesse immobile, guardando
senza vedere, smarrito in chissquali pensieri. Giuseppe se ne accorgeva ma
si sarebbe vergognato di domandargli che gli stesse succedendo; gli dava tempo,
e poco dopo il ragazzo si scuoteva~ la faccia si animava, pronta al sorriso.
Il padre scuoteva la testa, preoccupato da quei momenti di assenza
contemplativa, e rassicurato che durassero poco. La tettoia, da completare in
seguito all'inizio del freddo con pareti di paglia, fu pronta nel tempo
stabilito e i sei vi si trasferirono con i loro fagotti puzzolenti, lasciando
la casa in citt secondo le raccomandazioni di Ges come l'avevano trovata.
Interpretarono ciomaliziosamente le parole del ragazzo e la riempirono di
tutta l'immondezza che riuscirono a trovare: per imprese di questo genere erano
capaci anche di lavorare. Li vedemmo arrivare alla tettoia, gruppetto di
spaventapasseri, campionario di guai, rimprovero vivente al Misericordioso che
con loro non aveva usato misericordia. Giuseppe si turil naso con le dita e
Gesse ne accorse. Nemmeno Maria, sempre felice di offrire al figlio la sua
complicit si era questa volta intromessa, tanto le riusciva insopportabile
la puzza dei sei derelitti. Cucinava per loro, sottraeva cibo alle sue poche
provviste, ma non riusciva a star loro vicino: si stupiva anche che i ragazzi,
tra cui un paio erano di buona famiglia, non fossero respinti dal cattivo
odore. "Basta superare il primo momento, ~ diceva Ges "poi ci si abitua.
"La puzza, oltre che la comoditdi non lavarsi, rappresentava per i sei
mendicanti un'arma e una semplificazione del lavoro: chi ne veniva raggiunto,
faceva l'elemosina in fretta per allontanare il fetore. Adesso, congregando le
loro esalazioni mefitiche, i sei disponevano di un altro, irresistibile
elemento di pressione, quando si piantavano davanti alla porta delle case.
Avevano percipidi una ragione per opporsi alla pretesa di Gesche si
lavassero ogni giorno. Odiavano l'acqua e non amavano la natura: erano
mendicanti urbani. Battevano anche i dintorni, ma si fermavano alle fattorie
piagiate e non uscivano mai dalle strade. Accettavano di dormire sulla
paglia, ma diffidavano dell'erba, dove si nascondono insetti mordaci e
serpenti; fuggivano dalla pioggia che scioglieva la loro corazza d~ sudiciume e
trasformava le strade dure in cloache di fango. Seguendo qualche volta i
ragazzi e Gessulle colline non s'interessavano come loro alla vita animale che
si agitava, nascosta, nel verde dei cespugli e delle siepi, nella polvere tra
i sassi: non si curavano dei cervi volanti, delle cetonie, delle cavallette,
dei serpentelli e dei topi. Badavano alle talpe, che si possono mangiare, ai
ricci, ai conigli e curiosavano ai margini dei greggi per il caso che gli
riuscisse di acciuffare un agnello sbandato, celandolo sotto gli stracci.

Stavano molto attenti che Gesnon li sorprendesse a rubare. Gli andavano
dietro sui monti attorno a Nazareth perchsi divertivano a sentirlo parlare.
Non so di preciso che cosa il ragazzo gli raccontasse, ma non smetteva mai di
chiacchierare. Diceva loro le favole, le parabole, brevi componimenti
narrativi molto popolari in terra d'Israele, citava versetti delle Scritture;
per quel che ne so, se la prendeva anche con i dottori della Legge che amano
pile parole che il loro significato, con i ricchi che non hanno compassione
del prossimo, con i soldati a cui piace uccidere. Una volta l'ho seguito da
lontano; la sua voce mi raggiungeva di tratto in tratto. Impedad Abramo lo
zoppo di ammazzare un serpente, che si era divincolato nell'erba al loro
apparire. "Ma non vedi com'brutto: " disse Abramo per giustificarsi,
"cammina sulla pancia. ~". . . e tu sulle ginocchia, " sghignazzGeremia;
e tutti si misero a ridere. Gesdisse che nessuno responsabile del corpo che
gli tocca in sorte ma dell'uso che ne fa. Alluse a una vita dopo la morte,
come a una trasmigrazione verso un paese felice, dove tutti avrebbero avuto un
corpo bellissimo. Naturalmente nessuno tra i mendicanti ci credeva sul serio,
abituati com'erano da tempo a desiderare poco e subito, ma quelle parole li
rallegravano. Li guardai mentre il gruppo si allontanava: Gesspiccava in
mezzo ai ragazzi con la sua testa bionda. Portava sulla spalla la sua colomba
dall'ala spezzata, i cani gli saltellavano intorno. I sei seguivano
spintonandosi e graffiandosi a parole; il nostro ragazzo si voltava e quelli si
ricomponevano, zitti come scolari sorpresi dallo sguardo del maestro. I
rapporti tra Gese i suoi protetti si guastarono quando egli insistette perch si lavassero: oltre tutto, disse, i testi prescrivono che ci si metta a tavola
soltanto dopo essersi purificati. "Il precetto vale per chi ha una tavola a cui
sedersi, " opinAchimelech e intendeva dire che il lavarsi va bene per i
ricchi, che non devono temere il freddo, e che piin generale certe regole
non si applicano ai poveri. Il gozzuto sosteneva che anche un consistente stato
di sporcizia una ricchezza da non disperdere, una coltre di grassi diversi,
stratificata nel corso degli anni, una difesa contro il rigore dell'inverno e
contro le intemperie, il vento, la pioggia, la neve, e persino contro le
bastonate: secondo lui, una schiena coperta di sudiciume attutisce i colpi.
Abramo fu il primo a cedere: Geslo lusing lo fece ridere, fu supplichevole
e autoritario, cameratesco e sbrigativo; insomma lo abbindole una mattina si
vide lo zoppo in piedi nell'acqua di un ruscello che scendeva dalle colline nei
pressi della tettoia, prima vestito e poi nudo, che saltellava per il ribrezzo
e per il solletico, mentre i ragazzi lo raschiavano con sabbia e spazzole,
demolendo a poco a poco le sue croste. Dopo di lui toccad Achimelech.
Geremia scappe stette assente due giorni, perchnon sopportava l'idea di
mostrare nuda la gobba e di sentirsela manipolare da estranei; poi si arrese.
Gionata era troppo scemo per tentare di resistere: pianse come un bambino, poi
sotto l'acqua scoppia ridere istericamente. Restavano le due donne. Ges ricorse alla madre per aiuto. Questa volta Maria vinse la ripugnanza e con
l'aiuto di Anna, madre di uno dei ragazzi, si accinse a ripulire Noemi ed
Ester. Le due vecchie dovevano essere da rlude uno spettacolo pirepulsivo
ancora che vestite perch tornata a casa, Maria vomit Per di pila fattuc
chiera le sibilcontro presagi di sventura per tutto il tempo che rimase
nell'acqua. Quando anche le donne furono finalmente lavate, Gesfece a tutti
una sorpresa: aveva preso a prestito in casa una tavola che io e Giuseppe
avevamo trasportato fin le invittutti a prendere posto mentre lui e i
ragazzi servivano il pasto che avevano preparato in gran segreto: zuppa di fave
col pane, coniglio arrosto, farinata di ceci e una misura di vino.
Contrariamente a quanto Gessi aspettava, non ci fu allegria. I commensali
sedevano impacciati e contorti; erano lavati ma indossavano stracci sporchi;
in soggezione, non riuscivano pia divertirsi ai soliti scherzi volgari. Si
sentivano strani. La pirannuvolata era forse Noemi la fattucchiera: i capelli
che di solito le aleggiavano sulla testa, ispida e spiritata corona, le
aderivano bagnati al cranio, e la vecchia, perduta la cresta, sembrava
rimpicciolita. Non disse una parola durante la cena e io mi accorsi che
preparava la sua vendetta, pronta a bilanciare e se possibile a vincere con la
sua l'influenza di Ges La mattina, quando saldi corsa da loro come al
solito, il ragazzo non trovpinessuno. Sconfitti dalla pulizia e spaventati
dalle abitudini civili che gli si volevano imporre, i sei erano scappati,
tornando alla loro vita di individui incontrollati. Come aveva brontolato
giorni prima la vecchia Ester, bisognava salvarsi in tempo: dopo la pulizia
sarebbero venuti il lavoro e la sinagoga, aspetti diversi di una stessa
prigione. Gesne soffrmolto. Non capiva perchil suo progetto di
riabilitazione fosse naufragato; appena provai a spiegarglielo, si rese subito
conto e se ne fece una colpa. "Non dovevo incominciare, ' disse, "sono troppo
piccolo ancora, " come se vedesse la propria vita dedicata quasi
professionalmente a quel compito di recuperare i perduti, di raccogliere coloro
che rimanevano indietro. Giuseppe si rallegrava che fosse finita cos ma
seppe trattenersi in modo che il figlio non si accorgesse del suo sollievo.
Demolimmo la tettoia, riportammo a casa i pali e le tavole. Credevo che ci
fossimo liberati una volta per tutte dei derelitti di Ges ma una mattina
trovammo lo scemo disteso in mezzo al cortile e privo di sensi. Aveva una
ferita sulla fronte. Gessi precipita soccorrerlo; uscanche Maria e
insieme lo coricammo su un lettuccio nella mia baracca. La ferita non era

grave. Gionata rinvenne e ci guardava con i suoi occhi imbambolati,
puerilmente felice che qualcuno si prendesse cura di lui. Vide Gese gli
sorrise allegramente. Parlava di solito in modo confuso; ora, che il colpo in
testa lo aveva intontito, non si riusciva a capire una parola. Non sapemmo mai
che cosa gli fosse capitato. Separato dal suo abituale tutore, lo zoppo
Abramo, non aveva avuto altra risorsa che raggiungere Ges si era trascinato
fino al cortile e poi gli erano mancate le forze. Non era persona che potesse
andare in giro da sola, anche quando fu ristabilito. Gesaffrontil padre,
chiedendogli di lasciarlo rimanere con noi. "E innocente come un bambino; "
disse, "metteresti un bambino fuori dalla porta? "Giuseppe esitava, e allora
Gestrovl'argomento giusto: convinse suo padre e a me insegnche la mancanza
di caritprovocata quasi sempre da scarsa capacitd'immaginazione. "Pensa
di essere al suo posto: ' disse il ragazzo, "sei incapace di prevedere,
esposto a tutti i pericoli. Ogni cosa ti fa paura, non sai nemmeno chiedere
l'elemosina o non osi. . . "A suo padre risultava difficile vedere se stesso
come una creatura cospriva di contatti col tempo e col mondo: Gesprese
meglio la mira: "Pensa che si tratti di me; pensa a me quando avevo sei anni.
Sono uscito di casa e mi sono perso. Piango all'angolo di una strada. Non
saresti contento che qualcuno mi prendesse per mano e mi portasse a casa sua?
"Giuseppe disse che Gionata poteva restare e gli si affezion Gesparlava
all'idiota come se quello potesse capirlo; suo padre non gli diceva niente, ma
gli portava da mangiare e restava a lungo seduto vicino a lui, la sera, perch si addormentasse in pace. Gesnon lo vedeva, a quell'ora era gi addormentato: lo vedevo io. Una volta chiamai Maria e la portai silenziosamente
a contemplare suo marito che compiva il suo atto di carit Lei mi strinse il
braccio sul quale si appoggiava: era un modo di ringraziarmi senza parole.
Passun mese. Si presentnel nostro cortile Abramo lo zoppo e reclamlo
scemo come se fosse una sua propriet Gionata vacillava, esitando tra
l'antica sudditanza che lo spingeva verso il compagno e il nuovo affetto che lo
tratteneva presso di noi Giuseppe, irato, prese un martello dal banco e voleva
scacciare l'intruso. Ma Gesaveva imparato la lezione: "Lasciamo scegliere a
lui, ~ disse. Abramo fu fatto indietreggiare fino al cancello, in modo da
trovarsi alla stessa nostra distanza dallo scemo. Fu imposto silenzio alle due
parti. Gionata, in mezzo, mugolava per lo sforzo di decidersi. Si diresse
verso di noi, poi si ferm tornindietro e, attraversato il cortile di
corsa, anda nascondere la testa sulla spalla dello zoppo, che ci rivolse un
ghigno trionfante e se lo portvia. Gessospirprofondamente, io imprecai.
E Giuseppe scoppia piangere come se gli avessero sottratto un figlio. Gessi
ammal Giuseppe vegliava, contendendo a Maria il compito di assisterlo. Gli
faceva vento, gli passava una pezzuola umida sulla faccia, rossa di febbre.
Forse si rimproverava di non averlo amato abbastanza. Sentuna notte che la
febbre aumentava. Gesaveva la faccia gonfia e delirava. Il mio padrone anda
cercare Tobia, il medico, che arriv prescrisse un salasso, chiese ed
ottenne mezzo siclo d'argento a pagamento della visita, e se ne torna casa a
riprendere il sonno interrotto. Stavo per correre a chiamare Baruc, che vende
rimedi in piazza, rade le barbe, taglia i capelli e fa i salassi, ma la madre
si oppose: nessuno, disse, doveva spargere il sangue di Ges Maria
inorridiva all'idea che il figlio soggiacesse alle comuni miserie della carne,
si disperava quando tornava insanguinato dalle risse con i compagni, guardava
al suo corpo come a qualche cosa di prezioso, quasi di sacro; custodiva i suoi
capelli, ogni volta che glieli accorciava, i ritagli delle sue unghie, i peli
che gli cadevano dalle ciglia, come se niente di lui dovesse andare perduto.
Si oppose al salasso con la determinazione che metteva nelle decisioni gravi,
pianse, si disper ed era entrata in una tale agitazione, che il mio padrone
cedette. La teneva tra le braccia: "E se muore? " disse, con voce soffocata.
Maria gli rispose dolcemente: "Lui? ora? per una malattia infantile?
Impossibile. " La sua sicurezza era stupefacente: la preoccupazione e le lunghe
veglie le avevano annebbiato il giudizio. Sono poi momenti quelli in cui una
madre non sa bene quello che dice. Anche senza il salasso, Gesguar Una
notte si addormentprofondamente e la mattina si sveglisenza febbre. Li
ringrazitutti e due, il padre e la madre, delle cure che avevano avuto per
lui; ringrazianche me, per quanto avessi fatto ben poco. Si riprese
perfettamente in un paio di giorni, voleva alzarsi: "Alzati, Ges " diceva a
se stesso scherzosamente, "alzati e cammina. " La madre insistette perchnon
abbandonasse ancora il letto. Giuseppe veniva dalla bottega per dare il cambio
alla moglie nel fargli compagnia. Nei mesi successivi alla guarigione, la
statura di Gesaumentdi un palmo ed egli era alto quanto un uomo. Il ragazzo
cresceva impetuosamente e dimagriva; aveva compiuto dodici anni. Il padre
instaurcon lui una specie di complicit trattandolo da adulto: "Noi uomini,
" gli diceva. L'altro, che passava per l'etin cui il padre un antagonista,
si stringeva sempre pia Maria, contendendo a Giuseppe anche l'affetto della
moglie. Tuttavia era soggetto al padre, gli obbediva e gli portava rispetto.
Era arrivato il momento, secondo il mio padrone, in cui il ragazzo doveva
essere istruito su certi aspetti della vita: voleva parlargli lui, evitare che
l'amore e il sesso gli venissero svelati brutalmente da qualche compagno pi grande. Gesdi fronte alle donne era non timido ma riservato, attento a non
guardarle, a non apparire indiscreto in nessuna maniera. Giuseppe ai suoi
tempi si era comportato diversamente: a dodici anni si appiattava nei fossi,

tra l'erba, per ammirare da una prospettiva favorevole le gambe di quelle che
passavano sulla strada oppure si nascondeva con gli amici a spiare le serve che
facevano il bucato al lavatoio, con le mammelle sobbalzanti nella tunica. Ges su quel capitolo sembrava piquieto; anche da bambino, quando la madre lo
portava alla sinagoga e le donne si estasiavano sulla sua bellezza, non aveva
dimostrato ncompiacimento nfastidio, ma piuttosto una cortese indifferenza.
Giuseppe anda fare una passeggiata col figlio verso la campagna, al tramonto.
La prese alla larga; disse che la vita srivela a poco a poco nella sua
realt che certe curiositvengono soddisfatte man mano che si cresce. "Sarai
anche tu curioso di sapere certe cose: " continu"per esempio, come nascono i
bambini. ""No, " disse Gestranquillamente ne sei curioso? " domand Giuseppe, il cui imbarazzo andava aumentando di momento in momento. "No,
perchlo so come vengono al mondo i bambini; come i cani, gli agnelli, i
gattini: dalla pancia delle madri . "E come lo sai? ""Sono cose che si sanno,
basta leggere le Scritture con un po' di attenzione. "Giuseppe ricomincida
un'altra parte: "Tra poco, " disse, "tra un anno forse scoprirai che a noi
uomini interessano le ragazze. . . ""Mi piacciono gi " disse Gese
sorrise come a tranquillizzarlo. ~ 'Non le guardi mai, " brontolGiuseppe,
un po' avvi"Perle vedo. Se vuoi te ne descrivo una, " e incomincia
tratteggiare come per gioco la faccia e la figura di una donna con tale
precisione che il mio padrone la riconobbe immediatamente per Maria di Daniele.
Sembrava a Giuseppe che nella scelta del soggetto ci fosse un'intenzione
maliziosa; dopo la prima perGesne descrisse una seconda, con la stessa
abbondanza di particolari, e pOi una terza, e Giuseppe non mancdi
riconoscerle. Gesnon esitava ndavanti alle forme femminili, ndavanti
alle parole: non diceva grembo, come i narratori timorati, ma pancia; non
seno ma mammelle. Giuseppe arrossiva: poi si accorse che il ragazzo parlava
cosper amore della precisione, senza cufemismi e senza compia cimenti, con
lo stesso atteggiamento equanime con cui avrebbe descritto un cavallo o un
tramonto. Gesesitquando il padre gli chiese di una ragazzina che abitava
nella nostra strada, proprio di fronte al cortile: disse che era alta per la
sua et nera di capelli e rideva in una maniera speciale, a cascatella; e
non aggiunse altro. Giuseppe riconobbe i sintomi: qui non c'era da descrivere
una persona ma un sentimento, confuso, indefinibile, appena nascente, e non
insistette. Constatd'altra parte pochi mesi dopo che, passato il furore
nomenclativo, Gesera stato invaso da nuovi pudori e accennava soltanto con
perifrasi a certe parti del corpo, soprattutto di quello femminile. Il
discorso, a giudizio di Giuseppe, si andava facendo troppo suggestivo ed egli,
da padre prudente, lo deviverso altri argomenti. Forse Gesaveva ostentato
un costranquillo dominio sulla materia a scopo di provocazione: gli era stato
concesso fin da quando era bambino il diritto di rispondere e il ragazzo era
diventato un vero interlocutore. "Insomma, " disse Giuseppe per concludere,
"le donne non ti sono indifferenti. ""Anzi, le amo. Come potrei non amare le
donne, che sono la metdel genere umano? "Secondo Giuseppe, questa
dichiarazione alludeva a un sentimento diverso da quello a cui egli si era
riferito, ma non aveva dubbi sulla sinceritdel ragazzo. Gesnon diceva mai
una bugia; non ricorreva nemmeno a quelle piccole menzogne innocue che smussano
gli angoli e facilitano i rapporti con gli altri. Per un'associazione d'idee,
che non era chiara nemmeno a lui, il mio padrone incominciuna lezione sulla
veritda rispettare nelle questioni di sostanza e sulle piccole bugie di
comodo, che secondo lui sono non solo innocenti, ma in certi casi opportune e
perfino necessarie. Parldi menzogne ufficiose, e Gesle rifiutava come
inutili; di bugie o di trucchi in amore e in guerra, e Gesnon capiva;
credette alla fine di aver trovato l'argomento decisivo: "Diresti certo una
bugia per salvarti la vita, ~ gli disse. Gesci penssu e rispose: "Ho paura
di no, " a voce bassa, quasi gli dispiacesse di dare una delusione al padre.
Non parlarono pi Un senso di tristezza li aveva invasi e tornavano verso
casa, ora che imbruniva, confortati dall'idea del cibo, della stanza calda e
illuminata. Imparer pensava Giuseppe, convinto che quella delle bugie a
tempo e luogo sia un'arte che non offende il Signore; che cosa pensasse Ges non saprei dire perch se conoscevo bene il mio padrone, non riuscivo sempre a
capire il ragazzo nemmeno quando parlava chiaro. Si sa, crescendo cambiano e
finiscono per assomigliarci, ma a quel tempo Gesmi sembrava diverso da me e
dai suoi compagni, anche se ce la metteva tutta per apparire uguale agli altri.
Un ragazzo che non dice una bugia nemmeno per evitare un castigo, secondo me,
non normale; se fosse un uomo a comportarsi cos lo giudicherei pericoloso a
se agli altri. Anche quella sua mania di difendere gli animali, generalmente
piuttosto maltrattati in terra d'Israele, esasperava il padre, perchGes quando si batteva contro gli oppressori dei deboli perdeva il senso della
misura. Quando sorprendeva i ragazzi che spezzavano la coda ai cani,
impegolavano le ali degli uccelli o infilavano una festuca nel sedere dei
calabroni, il piccolo si scatenava. Se la prendeva, nel caso, anche con i
grandi. Venne a casa il carbonaio Giosua lamentarsi che il figlio di Giuseppe
lo avesse steso per terra con una zuccata nella pancia, e tutto perchl'aveva
visto che picchiava un asino. Chiamato a render ragione dei suoi atti, Ges chiese scusa per aver percosso Giosu ma affermche era stato necessario
perchl'asino non aveva nessuno che lo difendesse e non c'era altro modo per
convincere il carbonaio del suo errore. "Di quale errore mi volevi convincere? "

domandGiosu "Che un asino non acquista forza dalle bastonate; se lo frusti
e lui non si muove, non c'altra soluzione che ridurre il peso che porta.
"L'altro se ne andbrontolando e descrivendo che cosa avrebbe fatto a Ges se
il ragazzo fosse stato suo come lo era l'asino. Anche Giuseppe non capiva: "Che
cosa vuoi che sia? Gli asini si battono per farli camminare da quando mondo mondo. ""E se non possono piandare avanti, come quello di Giosu
~"Pazienza: i somari non hanno anima. ""Non so, " replicGes "ma che
soffrono lo vede chiunque. "Giuseppe affrontla questione da un'altra parte:
"Tu non ti devi intromettere: l'asino suo e pufarne quello che vuole. ~Il
ragazzo non seppe al momento che cosa rispondere. Ripassava mentalmente i testi
e non trovava niente a proposito di animali maltrattati. Giuseppe volle
consolidare il suo vantaggio: "Non c' " disse, "un versetto della Legge che
ti dia ragione? " e sorrideva. "No, " ammise Ges "In questo caso, "
continuil padre ironicamente, "bisognercambiare la Legge. " Il suo tono
era quello di chi propone una cosa impensabile, che la notte diventi giorno o
che gli asini prendano a volare. "S " disse Gesseriamente. Allora
Giuseppe si arrabbi Fece l'atto di strapparsi le vesti e diceva: "Chi credi
di essere, piccolo mostro di superbia, presuntuoso e irriverente? Hai dodici
anni e pretendi di cambiare il mondo? ""S " disse ancora Ges e suo padre
gridche era un peccatore e lo mise in un angolo, in pemienza. Venne di qua
Maria, richiamata dalla voce concitata del marito. Giuseppe la informdi ci che era successo e ripeteva con indignazione: "Sai che cosa dice? che vuol
cambiare il mondo. Quello in cui viviamo non gli va bene. ~Maria lo guarde
disse con quella sua voce pacata, che dava tanta intensitalle sue parole: "E a
te va bene, il mondo in cui viviamo? ""Mi accontento, " rispose Giuseppe
ironicamente, "dato che io, meno presuntuoso di lui, so di non poterlo
cambiare. ~Giuseppe detestava l'idea del cambiamento, l'ansia di novitche
tormenta i giovani. Anche a diciotto anni le sue infrazioni alla morale erano
state il pipossibile rispettose dei costumi tradizionali e dell'ordine
sociale: evitava le spose e le fanciulle, peccava con le vedove libere di se
stesse. Ora gli sembrava che l'autoritdei padri fosse minacciata, almeno in
casa sua, e si opponeva un po' smarrito a questa prevaricazione. Non
incominciava pile sue prediche al figlio, dicendo "Ai miei tempi. . . "
perchGesgli faceva notare che i tempi erano cambiati, ma protestava quando
Maria giustificava il figlio e cercava di evitargli un castigo. Una sera Ges tu condannato a restare senza cena, per aver risposto male a suo padre.
Giuseppe lo aveva sgridato perch invece di aiutarlo in bottega, spariva con i
compagni su per le colline. Nell'occasione aveva tentato un piccolo elogio del
lavoro e aveva incominciato con le parole del Signore quando caccia Adamo dal
Paradiso Terrestre: "Col sudore della tua fronte ti guadagnerai il pane. ". .
. e i fichi secchi, " aveva aggiunto Gesinterrompendo! o e alludendo a
quello che era, con l'aggiunta di un po di latte, il loro pasto di quasi tutte
le sere. Pitardi Maria era andata nella cameretta del figlio con un vassoio,
su cui c'era una scodella di latte e un pezzo di pane, a sfamarlo di nascosto.
Ma Gesnon voleva mangiare. "Sono in castigo, " diceva, "e questa volta me
lo merito. Quelle parole mi sono sfuggite, ma non dovevo dirle: sembra che io
mi lamenti della nostra povert che ne faccia una colpa a lui. . . "Maria
insisteva, ma il ragazzo teneva duro. Il suono delle loro parole giunse a
Giuseppe, che veniva a dire a Gesche era perdonato e poteva tornare a tavola.
Il mio padrone se la prese allora con Maria. "Ecco, " le disse, che tu cerchi
sempre di distruggere gli sforzi che compio per dare al piccolo un po' di buona
educazione. Sei sempre la consolarlo, a dargli ragione contro di me. Cos gli insegni a tenermi testa, distruggi la mia autorit Ti pare un castigo
grave andare a letto senza cena? Ai miei tempi un ragazzo che si fosse
comportato come lui sarebbe stato frustato con un nerbo di bue. A te la mia
indulgenza sembra severit una punizione da niente, se la infliggo io, ti
sembra crudele. . . "Lei chiese scusa: non si pulasciare senza cibo un
ragazzo che sta crescendo e si muove dalla mattina alla sera. Giuseppe continu ad accusarla: "Con i tuoi sorrisi di complicittogli ogni senso alle
osservazioni che gli faccio. Io lo castigo e tu lo assolvi. Io lo educo a
riconoscere i suoi torti e tu gliele dai tutte vinte. Chi comanda in questa
casa, tu o io? "Giuseppe usc dopo il suo sfogo, ma non aveva soldi per
andare all'osteria come avrebbe fatto in passato. Camminava per le strade che
la notte imminente rendeva deserte e si lamentava dentro di sdella sua sorte.
Si era rassegnato alla malattia di Maria, quella curiosa malattia per cui lei
stava benissimo finchlui non le chiedeva di fare la moglie, sopportava la
castit persino la parte secondaria che si accorgeva di recitare in famiglia,
ma il ricordo dell'uomo ignoto, con cui Maria aveva concepito il suo figliolo,
lo tormentava ancora. Lei non ne aveva piparlato da allora, non le era
sfuggita mai neppure una parola. Giuseppe rientr si sedette accanto a me in
cortile, sul gradino della mia baracca. "Tu, " mi disse d'improvviso~ "hai
capito chi stato? "Seppi immediatamente a chi alludeva e scossi la testa. Mi
ricordai una simile domanda che mi aveva rivolto una notte pidi dieci anni
prima. Giuseppe tacque a lungo, poi riprese: "Ti ricordi di Tamar, e di
Dorotea? delle ragazze di Betlemme che mi dissero addio, sventolando veli e
fazzoletti dalla finestra? E del mio bel cavallo ti ricordi? Forse hai memoria
anche di quel che dicevo allora, cioche non volevo innamorarmi. Avevo o no
ragione? Guarda come mi sono avvizzito: la bella vita finita, e io non so

perchresto al mondo. . . ""Hai Maria, " gli dissi, per confortarlo, "il
piccolo Ges . . ""E che m'importa di Ges " proruppe lui. "Mi obbedisce e
iO sento che mi prende in giro; mi ascolta e vedo che pensa ad altro. Sai,
quando ti guarda con quel suo sorrisetto di uno che la sa lunga e ti compatisce?
Lo odio in quei momenti, vorrei lasciarlo lcon sua madre e andarmene da solo,
tornare in Egitto. "Andper un momento col pensiero al ricordo del paese
dell'esilio, poi alzle spalle e continu "Tu dici che ho Maria, e non ti
accorgi che lei ad avere me. Le sono comodo, mi usa, tranne che come
marito. . . Quanto a lei, di Gespiuttosto che mia. E io chi sono alla
fine? non un padre, non uno sposo: per me dovrebbero inventare un nome nuovo,
che significhi marito per burla, padre per scommessa e autentico cretino. . .
"Non sapevo davvero che cosa dirgli e mantenni il silenzio. Giuseppe si alz
diede un calcio a un sasso, e si ritirdentro casa. Quella notte dormin un
angolo della bottega, sulla segatura, come faceva qualche volta, quando non
ne poteva pidella prossimitdi una bella donna, coricata con lui nella
stessa stanza. In questi casi Maria si riteneva ma naturalmente, consapevole
di ciche soffriva il marito, non diceva una parola. Gessi accorgeva subito
quando il padre aveva dormito in bottega e, non osando domandare il percha
Giuseppe, rovesciava le sue domande sulla madre. Che gli poteva rispondere la
povera Maria? Diceva che forse Giuseppe era rientrato in casa tardi e non era
salito in camera per non svegliarla. La volta successiva, poicha Ges risultava che i due erano andati a dormire nello stesso momento, una di qua e
uno di l quella risposta non bastava pi Maria annaspava, incapace come il
figlio di dire le bugie. "Lo sai ma non me lo vuoi dire, " concludeva Ges
"Posso domandarlo a lui? " "No, no, '' lo pregava Maria, "meglio di no.
~Gesil giorno dopo vedeva il padre con la faccia lunga e rimaneva in bottega
ad aiutarlo, sollecito, affettuoso. Indovinando la sua buona intenzione,
Giuseppe si commoveva. Il ragazzo non era certo il primo della classe nun
modello di condotta, ma aveva cuore. Del resto il mio padrone gli voleva molto
bene: lo sgridava, e lo castigava, perchanche questo fa parte del dovere dei
padri. Macchfalegname come desidera suo padre o rabbi come vuole sua madre; a
volte penso che Gesdiventerun giocoliere, uno di quelli che si guadagnano
la vita con i loro trucchi girando per le piazze di Galilea nei giorni di
mercato. Si permette i suoi scherzi raramente, perchil padre si arrabbia,
ma quando li esegue veramente bravo. Giuseppe sta per prendere in mano il
chiodo che ha lasciato sul banco, e quello sparito; lo cerca per terra e
Geslo aiuta, chinandosi anche lui; si risollevano ed ecco . co il chiodo al
posto di prima. Nei giorni in cui suo padre di buon umore, Gesgli fa
sparire sotto il naso persino il piatto in cui mangia. Una sera avevano per
cena solo un po' di fave sgusciate. Maria mise il piatto in mezzo alla tavola,
che ognuno si servisse, non senza un po' di vergogna, percherano veramente
poche, forse due dozzine. Incominciarono tuttavia a mangiare: come le
consumavano, le fave tornavano a comparire nel piatto, che era sempre pieno.
Giuseppe capche Ges quando allungava la mano per prendere una fava, ne
teneva nascoste nel palmo alcune altre e prelevandone una ne lasciava al suo
posto tre o quattro. Gli afferril polso al momento in cui Gestendeva la
destra verso il piatto: "Apri le dita, " gli ordin trionfante. Il ragazzo
aprla mano, ed era vuota. E troppo svelto per Giuseppe: aveva intuito a che
punto il padre avrebbe compiuto la sua mossa e si era preparato a deluderlo.
"Vedi? " disse Maria, tutta contenta. "Va bene, " ammise Giuseppe, che in
fondo si divertiva, "me l'ha fatta. Non importa come combina i suoi scherzi,
ma vorrei sapere dove ha preso le fave. ""Non le ha rubate, " affermMaria,
precipitandosi a difenderlo. "Lo so che non ruba, ma da qualche parte le ha
prese. No? " disse Giuseppe, perchMaria senza volerlo negava scuotendo la
testa; e aggiunse in tono ironico: "Ho capito, tu credi che tuo figlio faccia i
miracoli: la moltiplicazione delle fave. Fossero almeno monete d'oro. . .
""Io non sento alcun bisogno di monete d'oro, ~ disse lei per sviare il
discorso. Se era quella la sua intenzione, ci riuscperfettamente. "Forse tu
no, ma io un sacchetto d'oro lo vedrei volentieri, " e Giuseppe si abbandon al sogno della ricchezza, che era uno dei suoi preferiti; raccontin lungo e
in largo che cosa avrebbe fatto e che cosa avrebbe comprato, se avesse avuto
molto denaro, a incominciare da un cavallo da sella, e si dimenticcos d'indagare sull'origine delle fave che stava mangiando. Io invece non me ne
dimenticai ma, per quanto sia andato cercando, non sono riuscito a scoprire da
quale orto Gesle abbia portate via. Erano parecchie, tanto che bastarono per
la cena e ne furono anche messe da parte per il giorno dopo. Purtroppo, come
diceva Giuseppe, non erano monete d'oro; un po' di denaro in famiglia avrebbe
fatto comodo anche per le spese da affrontare nel pellegrinaggio a Gerusalemme:
Gesaveva dodici anni ed era ora che si recasse al tempio. Fu deciso che si
sarebbe viaggiato in stretta economia, a piedi naturalmente e col bagaglio a
spalla, perchl'asino era stato venduto da tempo. Maria, a pidi dieci anni
di distanza, riconosceva i luoghi lungo la strada e a un certo punto impose una
deviazione per evitare la vista delle croci che, come ricordava, erano
piantate poco oltre. Da quando le erano capitati sott'occhio quattro crocifissi
sulla stessa strada mentre andava a Betlemme, incinta di Ges provava orrore
verso la croce. In famiglia si sapeva di questa sua debolezza e si stava
attenti che niente le richiamasse quell'idea Bastava che vedesse due ramoscelli
accavallati o il segno simile alla lettera greca X tracciato col gesso sulle

tavole di una stessa partita di legname, e Maria impallidiva e distoglieva lo
sguardo. Arrivati al luogo dove si faceva tappa, ci accorgemmo che mancava
Ges Il ragazzo correva di continuo avanti, si attardava, esplorava al di l della strada con brevi incursioni a destra e a sinistra, e lo avevamo perso di
vista. Ci raggiunse poco dopo, di corsa. Giuseppe lo portvicino al fuoco e,
vedendolo scosso e molto pallido, indovinla ragione del suo ritardo. "Sei
stato a vedere i crocifissi, " gli disse sottovoce" Ce n'erano tre, " conferm il ragazzo" Perchti ficchi sempre dove non ti tocca? Hai pur visto che
abbiamo fatto una deviazione per evitarli. ""Bisogna vedere tutto, " disse
Gescon tono di voce che cercava invano di far apparire fermo, da adulto.
Tremava e batteva i denti. "Almeno, non dirlo a tua madre. "Gespromise e
questa volta tenne parola Arrivati a Gerusalemme, ci accampammo fuori le mura
per risparmiare e anche perchin cittnon si trovava dove alloggiare. Ci
ospitnella sua tenda il noleggiatore di carri di Nazareth, padre di Gioele,
il giovanotto con la puzza ai piedi. L'uomo era un buon amico di Giuseppe; la
sua tenda era vasta e l'aveva trasportata su un carro leggero, tirato da muli:
ci sistemammo comodamente. Ne fu contenta soprattutto Maria, che pot ritirarsi con la moglie del nostro ospite nella parte riservata alle donne, che
una cortina di canapa divideva dallo spazio comune. La mattina dopo salimmo
tutti al tempio, che grande come una reggia, con atrl'e cortili. I miei
padroni fecero le loro devozioni, offrirono un sacrificio, e tornammo alla
tenda. Lci accorgemmo che Gesnon era picon noi. Si sa come succedono
queste cose: il padre crede che il ragazzo sia con la madre e viceversa, e
quando i genitori s'incontrano si accorgono che manca. "Lo abbiamo perso, "
diceva Maria, piangendo. "E lui che ha voluto perdere noi, ~ congettur Giuseppe. "Chisscome si diverte ad andarsene in giro da solo in una citt cosgrande. Va bene, andra cercarlo, " aggiunse, poichMaria non
smetteva di piangere. Vagtutto il giorno per le strade di Gerusalemme, ma
Gesnon si fece trovare. " Salterfuori il terzo giorno, ~ dissi a Maria per
consolarla. "Fa sempre cos "Perlustrai anch'io la cittbassa, dove un
ragazzo solo puperdersi davvero; inutilmente. Ed ecco che la sera del terzo
giorno Giuseppe tornalla tenda con lui. Lo aveva trovato nel tempio. Maria
abbracciGese lo stringeva cosforte da fargli male. Le sfuggalla fine
una parola di rimprovero: "Dove sei stato, figlio mio? Ti abbiamo cercato
dappertutto. . . Perchci hai fatto stare tanto in pena? "Gesmormorla
solita risposta antipatica di quando prende le distanze dalla madre: che anche
lui doveva badare ai fatti suoi e che era abbastanza grande da poter andare in
giro da solo. Giuseppe, d'impeto, gli lasciandare uno schiaffo: "E cosche
si risponde a tua madre? "Gesnon lascidire al padre l'ultima parola: "Non
so, " disse, "come si risponde a mia madre, ma cosche io le ho risposto.
~ E si meritun secondo schiaffo. A Maria era sfuggito un gemito, come se
fosse stata lei a essere colpita; gli occhi le si riempirono di lacrime.
Venuta la sera, i due sposi si ritirarono a parlare tra loro, seduti tra
l'erba e i cespugli che crescono al riparo delle mura. "Tu, " disse Giuseppe,
"sei sicura di volermi bene? " I figli d'Israele non tengono spesso questo
genere di discorsi: parlare dei propri sentimenti cosa un po' futile, in
qualche modo indecorosa. Se mai, usano le frasi della Scrittura, dove si
parla di cuori che balzano di gioia in petto come capretti o che sono tristi
fino alla morte. "Lo sai, " rispose Maria. "Non ho mai amato altro uomo che
te. ~' La sua voce era trepida, ansiosa: Maria voleva che lui le credesse.
"S ~ disse Giuseppe. "Anch'io ho amato e amo soltanto te. "Si stese
nell'erba e le mise la testa in grembo; Maria gli accarezzava i capelli. "Ti
devo molta riconoscenza, ' disse lei. "Mi hai accolta in casa, hai accettato
il bambino, non mi hai chiesto pidi quanto potevo darti. Ben pochi uomini o
nessuno avrebbero saputo amare altrettanto una donna. "Lui rise: "Non potevo
discutere: o prendere o lasciare. Lo sai, non avevo mai amato prima; per te
avrei fatto qualunque cosa. ""Povero Giuseppe; " disse Maria, "potevi essere
felice e guarda a che vita ti ho costretto" Erano press'a poco le parole che
aveva pronunciato Dorotea, alla fine della sua avventura col mio padrone, ma
quanto diverso il tono e quanta affettuosa l'intenzione di Maria. "E chi sono
io per lamentarmi? " disse Giuseppe. "Ho dei compensi: te, il ragazzo. Tu,
piuttosto, potevi aspirare a una sorte migliore. ""Chi sono io per lamentarmi?
" e Maria sorrise, ripetendo le sue parole. "In giovent ~ continu Giuseppe, "ci s'immagina sempre di diventare chisschi o di accumulare molto
denaro. Sono sogni che ho abbandonato presto. C'una speciale felicitanche
nell'essere gente comune, uguali agli altri. Tra qualche anno nessuno parler pidi noi, se non nostro figlio e i suoi figli. Passeraltro tempo e saremo
dimenticati del tutto, come se non fossimo mai esistiti. E questa la sorte di
tutti o quasi, e non mi pare una cattiva sorte. Tu che cosa ne pensi? ""Io non
ho ambizioni, disse Maria. "Le donne non ne possono avere. ~L'aria
rinfrescava, il sole si avviava al tramonto. "avvertimi quando sbaglio, col
ragazzo, ~ la preglui. "Non ti preoccupare: Gessa che gli vuoi bene.
Forse sbaglio anch'io con lui; " disse Maria, ~cosdifficile essere madri e
padri. "Il mio padrone era diventato un falegname molto bravo. Aveva lasciato a
me quella parte del mestiere che richiede soprattutto fatica, come tagliare i
tronchi e squadrarli. Io sbozzavo gli aratri, i gioghi, i carri; Giuseppe si
occupava dei mobili, tavoli, cassapanche, sedie, e sfuggiva alla noia
cercando soluzioni nuove: costrudelle sedie che si adattavano meglio al corpo,

con lo schienale curvo e il sedile incavato, scanni che si potevano ripiegare
quando non erano usati, tavoli da allungare e accorciare secondo le necessit
Questi lavori non erano pagati quanto meritavano, e Giuseppe ci perdeva tanto
tempo soprattutto per amore dell'arte. Il ragazzo lo aiutava. Gescapiva
anche il lavoro di sua madre, continuo, silenzioso, che ricominciava sempre
da capo: lavare tuniche che si sarebbero sporcate di nuovo, spazzare camere che
si sarebbero riempite di polvere subito dopo. Senza che glielo ordinassero,
usciva a prendere l'acqua al pozzo o alla fontana del crocicchio, dove correva
sempre ed era pifresca. Maria lo ringraziava, ma non voleva che sbrigasse
altre faccende domestiche, che spazzasse per terra ad esempio o macinasse il
grano tra le pietre. "Questo tocca a me: " diceva, "tu devi pensare ad altro.
~ Forse nella sua idea Gesdoveva concepire pensieri profondi, non impacciarsi
con le cure meschine di ogni giorno; o semplicemente pensava che a un uomo
andassero evitati lavori da donna. Fu in quel tempo che Giuseppe concep l'invenzione, che poi il motivo per cui ho raccontato la sua vita in modo che
resti memoria di lui. Gia Betlemme, dopo la nascita del bambino, non avendo
niente da fare, saliva spesso in collina a parlare con gli amici pastori. Li
vedeva mungere accucciati, appOggiandOSi SUi talloni. La fatica di tirare sui
capezzoli era complicata dallo sforzo di tenere tra le ginocchia il secchio da
riempire. A Nazareth Giuseppe faceva spesso una passeggiata fuori le mura,
dopo la giornata di lavoro. S'incontravano greggi dappertutto, piccoli e
grandi, sparsi su per i monti e nella campagna. Al tramonto i pastori
mungevano, e Giuseppe considerava quanto scomoda fosse la loro posizione nel
lavoro Un giorno costruuno strano arnese: uno sgabello con una gamba sola.
Rimasi perplesso davanti alla sua invenzione: da una base di legno, circolare,
si staccava una gamba di sostegno, una sola, al centro. Una striscia di cuoio
permetteva di mettersi lo sgabello a tracolla: cosil sedile aderiva al corpo,
le mani erano libere, i mungitori apparivano muniti di una terza gamba o di una
coda rigida che, puntata sulla terra, li sosteneva. Non mi ci volle molto a
capire l'utilitdi questo sgabello per mungitori. Mi resi conto inoltre della
sua originalit era un oggetto nuovo, una vera invenzione. Siccome esso Si diffuso ovunque e si persa la nozione d, chi ne sia stato l'autore, come
succede per le piccole, preziose invenzioni che sembrano essersi fatte da sole,
era giUsto rivendicare a Giuseppe un merito che suo. Forse Giuseppe non stato un grand'uomo, non ha condotto eserciti nha regnato sul suo popolo, ma
era un falegname eccellente, un artigiano geniale. Il suo sgabello per
mungitori una soluzione cossemplice, che sembra esistere da sempre ed certo che nessuna modifica potrmigliorarla: segno questo che, grande o
piccola, si tratta di una vera invenzione. Costruimmo parecchi sgabelli per i
pastori dei dintorni ma, un giorno che andammo fino alle pendici del Carmelo a
caricare alcuni tronchi, vedemmo che anche lgli uomini mungevano le pecore
con lo sgabello di Giuseppe legato alla schiena. E quelli non li avevamo fabbri
cati noi. L'invenzione si era propagata velocemente. Avevo sperato che ci
apportasse grandi guadagni, e invece non ci avrebbe certo arricchito.
"Peccato, " dissi. "Perch Ci sono cose che devono appartenere a tutti,
liberamente. ~Dall'alto dei tronchi accatastati sul carro guardavamo le
compatte macchie lanose dei greggi radunati per la notte. Il crepuscolo scuriva
il loro colore. Passando vicino a una di queste congregazioni animali, l'odore
dolciastro del latte e quello del pelo bagnato dall'umiditci spingeva a
desiderare di rientrare presto a casa anche noi. Ma, di comune accordo,
indugiavamo. Il sole galleggiancora un momento, rosso fuoco, sul bordo
dentellato della collina, poi tramont I pastori accendevano il fuoco per
cuocersi la polenta di orzo. "Vorrei che tu aiutassi Maria, " disse Giuseppe,
"quando io non ci sarpi ~Protestai: "Ma che ti viene in mente? hai dieci
anni meno di me. ~Sorrise: "Solo nel caso che io muoia prima di te,
naturalmente. Il ragazzo grande, ormai, lavorer Lui mi preoccupa per
un'altra ragione: non gli piace il mondo com' E sai che cosa succede a chi
vuole cambiare il merndo da solo: quando gli va bene, finisce in prigione. E
troppo impulsivo, non ha prudenza. Questi sono temp'i inquieti: se qualcuno
non lo frena, sono sicuro che finirmale. ~Mi pregdi tenerlo d'occhio, di
tirarlo fuori dai pericoli nei quali, secondo lui, si sarebbe immancabilmente
cacciato. Non era triste. Volle che ci fermassimo lungo la strada a bere un
bicchiere a un'osteria, e ricordava con me le nostre passate avventure. Rideva
e mi picchiava sulle spalle. Non so perch questa allegria m'impressionpi che le sue parole. Anche Ges che ha l'occhio acuto, indovinqualche cosa
sulla sua faccia, sotto il sorriso di tutti i giorni. L'indomani stette con
lui dalla mattina alla sera, aiutandolo in bottega. Li sentii ridere insieme,
ciche non accadeva pida quando Gesera bambino. La mattina dopo il mio
padrone scese a lavorare e cadde tra il bancone e la parete, prima in ginocchio
e poi disteso sulla segatura. Giuseppe non gridma, come se lo avesse visto
dal pozzo dove attingeva acqua, a distanza e al di ldi una parete, Maria
venne di corsa: il grido che udimmo era il suo. Col suo aiuto trasportai il
padrone nella camera alta e lo deposi sul letto. Giuseppe era paralizzato: non
poteva muovere altro che la mano destra, ma cigli bastava per dirigerci
qualche piccolo cenno, che ci studiavamo d'interpretare; non poteva parlare ma
sorrideva. Ci sorrise sempre, per tutto il tempo che durancora la sua vita.
Come costretti dal suo sorriso, anche Maria e Gesin sua presenza evitavano di
contristarlo con le lacrime. Maria ogni tanto si ritirava lontano, in un

angolo del cortile e si lamentava, gemendo come un piccolo cane bastonato.
Gesspariva dietro la casa, sulla collina. Salivo spesso anch'io a visitare
il nostro malato. Ecco gli dicevo mentalmente, solo adesso hai diritto al
letto nuziale, povero Giuseppe, che hai dormito tutti questi anni per terra.
Ma ci stai solo, come un vedovo. Non era vero: mi accorsi che Maria, ora che
il corpo immobile dello sposo non le faceva pipaura o ribrezzo, Si stendeva
la notte accanto a lui, dormendo quando lui dormiva e stando sveglia quando lui
vegliava. Lo accarezzava e lo baciava; sono sicuro che il mio padrone
percepiva quei contatti e il sentimento che li ispirava. Una sera parve
migliorare. Riuscad articolare una parola: Maria. Lei gli corse accanto, ma
lui non parlpi la guardava, la guardava come se le offrisse la sua anima.
Pitardi gli si accostGes Anche a lui il mio padrone riusca dire
un'ultima parola. "Non ti sposare, ~ gli sussurr muovendo una palpebra in
un lieve ammiccamento. Gessorrise e ammiccin risposta. Maria non lo aveva
udito, ma avrebbe nel caso capito come avevo capito io che quelle parole non
erano in contraddizione con l'amore che il marito le portava. Giuseppe mordi
mattina presto. Si scosse da un sonno affannoso, fu percorso da un brivido e
mormorancora una parola, che nessuno di noi fu capace d'intendere. Emise un
sospiro profondo e chiuse gli occhi. Maria si lamentava, inginocchiata per
terra come una persona che non vuol'essere consolata, e Gespiangeva. Non lo
avevo mai visto piangere, nemmeno quando cadeva e si faceva male, nemmeno
quando i ragazzi lo avevano picchiato; ora le lacrime gli scorrevano sulle
guance. Cercai una parola per consolarlo. "Era un uomo giusto, dissi, e
niente altro. Ciaccadde l'anno scorso, di questa stagione.
Fine






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