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E' uscito 50 COSE CHE FORSE NON SAI, una nuova raccolta di
notizia sconosciute. Un piccolo libro, di facile lettura (le notizie
sono ben scritte e concise), in un formato insolito e moderno,
diventato subito un bestseller in Canada e negli Usa.
E' curato da Russ Kick, scrittore e giornalista, gia' autore di "Tutto
quello che e' falso 1 e 2".
In questa edizione del Cacao pubblichiamo una delle 50 notizie
contenute nel libro. Buona lettura.


LE AUTOMOBILI ELETTRICHE ESISTONO DALL'800

L'auto del futuro potrebbe funzionare totalmente a elettricita'. Niente
piu' dipendenza dalla benzina. Niente piu' emissioni che soffocano
l'atmosfera.
Ogni volta che e' menzionata la possibilita' di realizzare automobili
elettriche i media e altri commentatori non fanno che dirne meraviglie.
Ma non si tratta di una tecnologia futuristica... anzi, e' proprio
retro': automobili alimentate a elettricita' esistono fin dall'800,
precedendo addirittura quelle a benzina.
Un fabbro del Vermont - Thomas Davenport - costrui' il primo motore
elettrico rotativo nel 1833 e lo utilizzo' per azionare un trenino
giocattolo l'anno successivo. Sul finire degli anni '30 dell'800
l'inventore scozzese Robert Davidson realizzo' un carro con un motore
elettrico a batterie. Nel suo libro candidato al premio Pulitzer,
"Taking Charge", Michael Brian Schiffer, professore di archeologia e
storico della tecnologia, scrive che quella "fu forse la prima
automobile elettrica".
Dopo questi notevoli risultati, l'idea di un'auto elettrica fini' nel
dimenticatoio per decenni. Nel 1881 uno sperimentatore francese
presento' un veicolo monoposto che funzionava a elettricita', un
triciclo (vale a dire tre ruote e un sedile) per adulti. Nel 1888 molti
inventori negli Usa, in Gran Bretagna e in Europa iniziarono a creare
veicoli a tre e a quattro ruote - in grado di trasportare da due a sei
persone - che funzionavano a elettricita'. Tali veicoli rimasero piu'
che altro delle curiosita' fino al maggio del 1897 quando la Pope
Manufacturing Company - il maggiore produttore di biciclette d'America
- inizio' a vendere la prima automobile elettrica commerciale: il
Columbia Electric Phaeton (torpedo), Mark III. Raggiungeva i
venticinque chilometri orari e doveva essere ricaricato ogni 50
chilometri.
Nel giro di due anni era possibile scegliere tra tutta una serie di
carri, piccoli fuoristrada, giardinette, camion, biciclette, tricicli e
persino autobus e ambulanze, tutti elettrici, prodotti da numerose
fabbriche.
A partire dal 1897 New York City disponeva di un parco taxi a
elettricita'. In poco tempo la Electric Vehicle Company arrivo' ad
averne piu' di cento che scarrozzavano la gente per la Grande Mela e
ben presto inizio' a sguinzagliare taxi elettrici in giro per Chicago,
Philadelfia, Boston e Washington. Nel 1900, pero', la societa'
comincio' ad avere dei problemi e sette anni dopo falli'.
Quanto alle auto azionate a benzina, nel 1846 l'ingegnere austriaco
Siegfried Marcus adatto' un motore a un cilindro a un carro facendogli
percorrere 150 metri e creando cosi' il primo veicolo a benzina (e
questo circa venticinque anni dopo che Davidson aveva inventato la
prima auto elettrica).
Fu soltanto nel 1895 che le automobili a benzina, carri adattati con un
motore a due cilindri, furono messe in commercio (e soltanto in
quantita' microscopiche).
Intorno al passaggio del secolo, l'acquirente medio di automobili si
trovava di fronte a una vasta scelta: benzina, elettricita' o vapore?
Quando l'industria automobilistica prese forma intorno al 1895, nessuno
sapeva quale tipo di veicolo avrebbe prevalso. Durante gli ultimissimi
anni del XIX secolo e i primissimi del XX, oltre cento aziende
scommisero sull'elettricita'. Secondo Schiffer: "Il 28% delle 4.192
automobili americane prodotte nel 1900 erano elettriche. Al salone
dell'auto di New York di quell'anno erano inmostra piu' veicoli
elettrici che non a benzina o a vapore".
A meta' del primo decennio del '900, le auto elettriche erano in
declino e le loro cugine a benzina in ascesa. Con alcune migliorie alle
auto e alle loro batterie, pero', i veicoli elettrici conobbero nel
1907 una ripresa che prosegui' fino al 1913. La fase discendente
inizio' l'anno successivo e negli anni '20 il mercato delle auto
elettriche era ormai "minuscolo", per dirla con le parole di Schiffer.
Le cose non migliorarono mai piu'. Molte aziende tentarono di combinare
il meglio di entrambi gli approcci, con automobili che funzionavano con
un misto di elettricita' e benzina. La Pope Manufacturing Company, di
nuovo all'avanguardia, costrui' un prototipo funzionante nel 1898. Una
societa' belga e una francese misero modelli commerciali sul mercato
l'anno successivo, anticipando di oltre un secolo la Toyota Prius e la
Honda Insight. Persino Ferdinand Porsche e la Mercedes entrarono in
azione, ma purtroppo questi ibridi non presero piede.
Didik Design - che produce diversi veicoli che funzionano con varie
combinazioni di elettricita', energia solare e umana - conserva un
vasto archivio sulla storia delle automobili elettriche e a doppia
alimentazione. Secondo una sua ricerca, circa duecento aziende e
individui hanno prodotto automobili elettriche. La lista comprende
pochi nomi familiari (sebbene alcuni di essi non siano noti come
produttori di automobili): Studebaker (1952-1966), General Electric
(1901-1904), Braun (1977), Sears, Roebuck Company (1978) e
Oldsmobile (dal 1896 a oggi). La stragrande maggioranza sono ormai
dimenticati da tempo : Electra, Pfluger, Buffalo Automobile Company,
Hercules, Red Bug, e Nu-Klea Starlite, per citarne solo alcuni.
Henry Ford e Thomas Edison unirono le forze per realizzare un'auto
elettrica che pero', benche' ne fossero stati costruiti alcuni
prototipi, non fu mai prodotta a livello commerciale. Sebbene scomparsa
dalla memoria culturale di massa, la produzione di automobili
elettriche non e' mai stata abbandonata del tutto.
I motivi per cui i veicoli elettrici sono caduti nell'oblio mentre le
auto e i camion a benzina dominano per il 99,999% sono complessi e
ancora in discussione. Se soltanto i primi non fossero stati messi da
parte e avessero continuato a essere sviluppati di pari passo con i
secondi, oggi il mondo sarebbe molto diverso.


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FREUD HA MANIPOLATO I CASI FONDANTI DELLA PSICANALISI

Durante la sua intera carriera Freud ha descritto dettagliatamente
soltanto sei casi di suoi pazienti e queste descrizioni sembrano essere
state tutte rimaneggiate, rivedute e abbellite per dare maggiore lustro
alla sua carriera. Nel secolo o piu' trascorso da allora, gli studiosi
hanno dissotterrato documenti - quali lettere e appunti sui casi
dell'epoca - che dimostrano l'insuccesso di Freud nell'aiutare
significativamente i suoi pazienti e smentiscono le guarigioni
incredibili da lui vantate.
Partiamo dal proto-caso, "Anna O".
Sebbene non fosse una paziente di Freud, i suoi studenti se ne
occuparono perche' Anna era in cura dal suo mentore, Josef Breuer, e la
descrizione del caso fu successivamente redatta da Freud (sebbene sia
stata firmata da entrambi). E' il caso su cui si fonda la psicoterapia e
che dovrebbe convalidare l'ipnosi, l'effetto terapeutico del colloquio,
la repressione, il desiderio edipico e altri pilastri di questo
approccio. La versione ufficiale era che Anna soffriva di una profonda
nevrosi e che Breuer la libero' completamente dalla sua "isteria" con
l'ipnosi.
In realta', un mese dopo la conclusione della terapia Breuer la fece
ricoverare in manicomio, dove sarebbe tornata altre tre volte nei
successivi cinque anni. Breuer la considerava un caso disperato; in una
lettera alla fidanzata, Freud cosi' riferiva cio' che il suo mentore
pensava di Anna: "Breuer non fa che parlare di lei, dice che vorrebbe
che la poveretta morisse perche' solo cosi' potrebbe liberarsi delle sue
sofferenze. Dice che non si rimettera' mai, che e' completamente
sconvolta" (ma si da' il caso che si sbagliasse, perche' Anna invece
guari' alla fine degli anni '80 dell'Ottocento, circa sei o sette anni
dopo la conclusione della terapia). Breuer e Freud non solo non
rivelarono al pubblico questi fatti, ma anni dopo Freud volle a tutti i
costi rielaborare il caso per adattarlo alla psicanalisi, presentando
questo fallimento come uno straordinario successo e attribuendo
l'inesistente trionfo ad approcci e teorie che all'epoca neppure
esistevano.
Lo stesso Albrecht Hirschmuller: neurologo, psichiatra,
psicoterapeuta-analista e storico della medicina all'Universita' di
Tubinga nel suo libro su Breuer - "Physiologie und Psychoanalyse in
Leben und Werk Josef Breuers" (Fisiologia e Psicanalisi nella vita e
nell'opera di Josef Breuer, 1978) afferma, che il caso di Anna O., al
secolo Bertha Pappenheim - e' stato deliberatamente alterato e
falsificato da Breuer e da Freud.
Ora consideriamo i sei pazienti descritti da Freud e i cui pseudonimi
sono nomi familiari agli studenti di psicologia.
Il primo caso che Freud presento' pubblicamente come una terapia -
sebbene fosse lungi dall'essere il suo primo caso - fu quello di
"Rattenmann" (l'Uomo dei Ratti). Costui temeva in modo ossessivo che
qualcosa potesse accadere al padre o alla sua ragazza; questi pensieri
morbosi avevano avuto inizio dopo che aveva sentito parlare di una
terribile forma di tortura che comportava l'uso di ratti. La conclusione
di Freud? L'Uomo dei Ratti reprimeva il proprio desiderio di avere
rapporti sessuali con il padre e la futura sposa perche' - e questa era
una supposizione non confermata - il padre lo aveva punito severamente
da piccolo perche' si masturbava.
Nella sua descrizione del caso, Sigmund sosteneva di aver curato l'Uomo
dei Ratti per quasi un anno, ma dai suoi appunti sappiamo che la terapia
duro' in realta' sei mesi. Sebbene il paziente avesse interrotto la
cura, Freud si vanto' di averlo perfettamente guarito con "il completo
recupero della personalita' del paziente". Pero', subito dopo averne
descritto il caso, Freud confido' a Jung in una lettera che l'Uomo dei
Ratti era ancora confuso.
Il "Piccolo Hans", di cinque anni, inizio' improvvisamente ad avere il
terrore dei cavalli. Sebbene sia inserito nella scarna mezza dozzina di
casi di Freud, Hans fu in realta' curato dal padre, suo discepolo.
Sigmund segui' il caso da lontano, vedendo Hans una sola volta. Il
ragazzino era sicuro che la sua fobia dei cavalli fosse dovuta al trauma
subito vedendone uno cadere per strada, ma il padre e Freud non volevano
sentire simili stupidaggini. Per loro era ovvio che i cavalli dal grosso
pene rappresentassero la figura minacciosa del padre, che Hans credeva
volesse castrarlo.
Il ragazzino, a sua volta, avrebbe voluto fare l'amore con la madre e
uccidere la sorellina. Sottoposto a domande incalzanti sul suo presunto
desiderio nei confronti della mamma, Hans nego' ripetutamente, ma il
papa' seguito' a intimidirlo e, naturalmente, alla fine il piccolo
crollo' e gli disse quello che voleva sentire. "Successo!", gridarono i
terapisti. In effetti, Hans perse a poco a poco la paura dei cavalli
durante la cura, ma nessuno e' stato in grado di produrre la minima
prova che cio' fosse dovuto a quella invadente terapia e non
semplicemente al fatto che il bambino si fosse gradualmente ripreso
dallo spavento.
Due dei principali casi clinici di Freud quasi non meritano di essere
menzionati. A proposito della terapia a cui Sigmund aveva sottoposto
un'anonima lesbica diciottenne, il cognitivista del MIT Frank Sulloway -
autore di "Freud: biologo della mente" (Feltrinelli, Milano 1982) -
scrive che "si concluse dopo poco tempo e non comporto' alcun
miglioramento terapeutico ne' una vera e propria cura". Nell'altro caso,
Freud diagnostico' una psicosi a un uomo che non aveva mai incontrato,
rigorosamente in base alle memorie da lui pubblicate. Se le sue
conclusioni fossero corrette o meno e' impossibile dirlo, ma sappiamo
che per arrivarci Freud ignoro' le parti di quelle memorie che
contraddicevano la sua diagnosi e raffiguro' di proposito il padre
dell'uomo in maniera falsa (nella descrizione del caso Freud lo lodava
come un "ottimo padre", ammettendo pero' simultaneamente che era un
"despota" in una lettera a un allievo).
"Dora" era una diciassettenne (e non diciottenne, come sosteneva Freud)
depressa e "isterica", recatasi con riluttanza da Sigmund a causa di
problemi con amici di famiglia, il signore e la signora K., che la
scombussolavano perche' 1) il sig. K. le aveva fatto delle avances
quando aveva tredici e sedici anni e 2) credeva, giustamente, che il
padre e la sig.ra K. se l'intendessero. Il bravo dottore intui' subito
come stavano le cose: non soltanto Dora era innamorata del sig. K., ma
voleva congiungersi con il padre e anche con la signora K. Non c'e' da
meravigliarsi che Dora abbia improvvisamente smesso di recarsi da Freud
dopo undici settimane. Era ancora piena di problemi quando mori'.
L'ossessivo "Wolfsmann" (l'Uomo dei Lupi) e' il caso piu' noto di Freud.
E l'unico in grado di raccontare la sua esperienza personale sulla
terapia analitica. L'intera faccenda e' imperniata su un sogno che il
paziente aveva fatto da bambino: aveva visto dei lupi bianchi in cima a
un albero di fronte alla finestra della sua camera da letto e si era
svegliato terrorizzato. Da questo, Freud aveva dedotto che il bianco dei
lupi rappresentava la biancheria intima dei genitori e che il bambino
doveva averli visti mentre facevano sesso.
Freud curo' per quattro anni questo paziente, che alla fine fu congedato
perche' completamente guarito. Decenni dopo, un reporter austriaco lo
ando' a cercare per scoprire come stava dopo quelle leggendarie sedute
dallo psicanalista. L'Uomo dei Lupi defini' l'interpretazione del sogno
data da Freud "terribilmente inverosimile"; lo scenario voyeuristico,
che lui non ricordava affatto, era "improbabile" e la convinzione
universale che fosse stato guarito era "falsa". Si da' il caso che abbia
continuato a frequentare una schiera di terapisti per il resto della sua
vita.
L'industria della psicanalisi ha cercato attivamente di nascondere il
miserabile fallimento del piu' grande "successo" di Freud esercitando
pressioni sull'Uomo dei Lupi e pagandolo perche' rimanesse a Vienna
anziche' recarsi negli Usa, come voleva fare, perche' la sua condizione
di pezzo di storia vivente avrebbe richiamato l'attenzione e la verita'
sarebbe saltata fuori. Rimase un fascio di nevrosi e ossessioni fino
alla morte.
Come scrive l'eminente accademico Frederick Crews, che ha smontato il
mito di Freud: "Freud non fu in grado di documentare una sola terapia
efficace al di la' di ogni dubbio".






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