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Eliot T.S.,ASSASSINIO NELLA CATTEDRALE

Sacra rappresentazione in due parti e un interludio.
Rappresentata per la prima volta al Festival di Canterbury nel giugno 1935.
Titolo originale: "MURDER IN THE CATHEDRAL".
Traduzione di ALBERTO CASTELLI.

PERSONAGGI.
Un CORO di donne di Canterbury.
Tre SACERDOTI della Cattedrale.
Un ARALDO.
L'ARCIVESCOVO TOMMASO BECKET.
Quattro TENTATORI.
SERVI.


PARTE PRIMA.
(La scena rappresenta l'Arcivescovado, 2 dicembre 1170).
CORO: Restiamo qui, presso la cattedrale. Attendiamo qui.
Siamo trascinate dal pericolo? E' il senso della sicurezza, che
ci trascina i piedi
Verso la cattedrale? Qual pericolo pu esserci
Per noi, povere, le povere donne di Canterbury?
Quale tribolazione
Con cui non siamo gi familiari? Non v' nessun pericolo
Per noi, e non v' alcuna sicurezza nella cattedrale.
Un certo presagio di un atto
Che i nostri occhi sono costretti a testimoniare, ha forzato i
nostri piedi
Verso la cattedrale. Noi siamo forzate a rendere testimonianza.
Da che l'Ottobre d'oro declin nel fosco Novembre,
E le mele furono colte e riposte, e la terra divenne tutta irte
brune punte di morte in una distesa d'acqua e di mota,
L'Anno Novello attende, respira, attende, bisbiglia
nell'oscurit.
Mentre il villano si toglie con un calcio la scarpa fangosa e
stende la mano sul fuoco,
L'Anno Novello attende, il destino attende l'avvento.
Chi ha steso la mano sul fuoco rammentando i Santi a Ognissanti,
Rammentando i martiri e i santi che attendono? e chi
Stender la mano sul fuoco, e rinnegher il suo signore? chi si
scalder
Presso il fuoco, e rinnegher il suo signore?
Sette anni e l'estate trascorsa
Sette anni, da che l'Arcivescovo ci lasci.
Egli che fu sempre buono col suo popolo.
Ma non sarebbe bene se tornasse.
Comanda il Re o comandano i baroni;
Abbiamo sofferto diverse oppressioni,
Ma quasi sempre siamo lasciate alle nostre risorse
E siamo contente se ci lasciano sole.
Cerchiamo di tenere in ordine la casa;
Il mercante, cauto e circospetto, cerca di raccogliere un po' di
fortuna,
E il contadino si china sul suo pezzo di terra, color della
terra il suo colore,
Preferendo passare inosservato.
Ma ora io temo che vengano turbate le quiete stagioni:
L'inverno verr portando la morte dal mare,
Una primavera rovinosa batter alle nostre porte,
radice e germoglio mangeranno i nostri occhi e le nostre
orecchie,
Un'estate disastrosa brucer il letto dei nostri fiumi
E i poveri dovranno attendere che un altro Ottobre languisca.
Perch dovrebbe l'estate recar consolazione
Per i fuochi dell'autunno e per le nebbie dell'inverno?
Che cosa faremo nella caldura dell'estate
Se non attendere in orti sterili un altro Ottobre?
Ci sovrasta qualche malanno. Noi attendiamo, attendiamo,
E i santi e i martiri attendono, per coloro che saranno martiri
e santi.
Il destino attende nella mano di Dio, formando l'ancora informe:
Io queste cose le ho viste in un dardo di luce di sole.
Il destino attende nella mano di Dio, non nelle mani degli
uomini di stato
Che, chi bene chi male, fanno piani ed enigmi,
Mentre i loro scopi gli si trasmutano in mano secondo la trama
del tempo.
Vieni, Dicembre felice, chi ti celebrer, chi ti preserver?
Nascer di nuovo il Figlio dell'Uomo nel giaciglio di scherno?
Per noi, le povere, non v' l'azione
Ma solo l'attendere e il testimoniare.

(Entrano i SACERDOTI.)
PRIMO SACERDOTE: Sette anni e l'estate trascorsa
Sette anni, da che ci lasci l'Arcivescovo.
SECONDO SACERDOTE: Che fa l'Arcivescovo, e il nostro
Sovrano Signore il Papa
Col Re testardo e con il Re francese
In incessante intrigo, in combinazioni,
In conferenze, in incontri accettati, incontri rifiutati
Incontri non terminati o interminabili
In un luogo o nell'altro della Francia?
TERZO SACERDOTE: Non vedo proprio nulla di conclusivo nell'arte
del governo temporale,
Se non violenza, duplicit e frequente malversazione.
Comanda il Re o comandano i baroni:
Il forte con la forza e il debole col capriccio.
Essi hanno una sola legge, d'afferrare il potere e di tenerlo,
E chi deciso pu manovrare la cupidigia e la voglia degli altri,
Il debole divorato dalle proprie.
PRIMO SACERDOTE: Non dovranno queste cose aver termine
Fin che i poveri al portale
Avranno dimenticato il loro amico, il loro Padre in Dio, avranno
dimenticato
Che avevano un amico?

(Entra L'ARALDO.)
ARALDO: Servi di Dio, e custodi del tempio,
Son qui per informarvi, senza circonlocuzioni:
L'Arcivescovo in Inghilterra, appena fuori citt.

Fui mandato innanzi in fretta

Per darvi la nuova della sua venuta, cos, come fu possibile,

Sicch vi prepariate ad incontrarlo.

PRIMO SACERDOTE: Che! L'esilio terminato, il nostro
Signor Arcivescovo si
Riunito al Re? Quale conciliazione
Fra due uomini orgogliosi?

TERZO SACERDOTE: Quale pace potr
Sorgere fra l'incudine e il martello?

SECONDO SACERDOTE: Di'
Son terminate le vecchie querele, abbattuto quel muro d'orgoglio
Che li separava? E' pace o guerra?

PRIMO SACERDOTE: Viene
In piena sicurezza, o fiducioso soltanto
Nel potere di Roma, nella legge spirituale,
Nella garanzia del diritto, nell'amore del popolo?

ARALDO: Avete ragione d'esprimere una certa incredulit.
Egli viene con orgoglio e con dolore, proclamando tutti i suoi diritti,
Rassicurato, senza dubbio, dalla devozione del popolo, che lo
riceve con scene di frenetico entusiasmo,
E, schierato sulla strada, distende i mantelli per terra,
Spargendo nella via le foglie e i tardi fiori della stagione.
Le strade della citt saranno gremite da soffocare,
E il suo cavallo, penso, verr privato della coda,
Della quale ogni singolo pelo diventa una preziosa reliquia.
E' in accordo completo col Papa, e con il Re di Francia,
Che sarebbe ben contento di tenerlo nel suo regno:
Ma quanto al nostro Re, la cosa ben diversa.

PRIMO SACERDOTE: Ma dunque, guerra o pace?

ARALDO: Pace, ma non il bacio di pace.
Una cosa rabberciata, se volete sapere la mia opinione.
Se la volete sapere, penso che il Signor Arcivescovo
Non sia uomo che accarezzi illusioni,
O che attenui la pi piccola delle sue pretese.
Se volete sapere la mia opinione, io penso che codesta pace
Non assomiglia, no, a una fine, e neppure a un inizio.
E' noto a tutti che quando l'Arcivescovo
Si part dal Re, disse al Re,
Mio Signore, disse, io vi lascio come uno
Che in questa vita non vedr mai pi.
Lo so, ve l'assicuro, da una fonte autorevolissima;
Vi sono diverse opinioni su quanto intendesse dire,
Ma nessuno lo considera un pronostico felice.

(Esce.)

PRIMO SACERDOTE: Ho timore per l'Arcivescovo, ho timore per la Chiesa,
So che l'orgoglio, nato da subitanea prosperit,
Venne reso ancor pi valido dall'amara avversit.
Lo vidi Cancelliere, adulato dal Re.
Amato e temuto dai cortigiani, nella loro maniera insolente,
Disprezzato e sprezzante, sempre isolato,
Mai come uno di loro, sempre malsicuro;
Il suo orgoglio si pasceva sempre delle sue proprie virt.
L'orgoglio attingeva alimento dall'imparzialit,
L'orgoglio attingeva alimento dalla generosit,
Detestando il potere concesso per procura temporale,
Bramando d'essere soggetto soltanto a Dio.
Se il Re fosse stato pi grande, o se lui fosse stato pi debole,
Le cose sarebbero forse andate diversamente per Tommaso.

SECONDO SACERDOTE: Ma il nostro signore tornato. Il nostro
signore venuto indietro ancora fra i suoi.
Ne abbiamo avuto abbastanza d'attendere, da Dicembre a tetro Dicembre.
Ci star l'Arcivescovo a capo, e scaccer lo sgomento ed il dubbio.
Ci dir ci che avremo da fare, ci dar ordini, c'istruir.
Il nostro Signore in completo accordo col Papa, e anche con il Re di Francia.
Possiamo appoggiarci a una roccia, possiamo sentire un sicuro sostegno
Contro il perpetuo fluttuare dell'equilibrio delle forze fra i
baroni e i possidenti di terre.
La roccia di Dio sotto i nostri piedi. Andiamo a incontrare
l'Arcivescovo con cordiali azioni di grazie;
Il nostro signore, il nostro Arcivescovo torna.
E quando l'Arcivescovo ritorna
I nostri dubbi vengono dispersi.
Gioiamo adunque
Io dico gioiamo, e mostriamo un lieto viso per dargli il benvenuto.
Io sono tutto dell'Arcivescovo. Diamo il benvenuto all'Arcivescovo!

TERZO SACERDOTE: Per il bene o per il male, giri la ruota.
La ruota stata immota, per sette anni, e inutilizzata.
Per il male o per il bene, giri la ruota.
Poich chi sa dove finisce il bene ed il male?
Finch le macine s'arresteranno
E la porta sar chiusa sulla strada,
E tutte le figlie della musica saranno umiliate.

CORO: Non qui la perenne citt, non qui permanente dimora.
Malo il vento, malo il tempo, il profitto incerto, il danno certo.
Oh tarda, tarda, tarda, tarda l'ora, tardo, troppo tardo, e
putrefatto l'anno:
Cattivo il vento, e amaro il mare, e grigio il cielo, grigio, grigio, grigio.
O Tommaso, ritorna, Arcivescovo; ritorna, torna in Francia.
Ritorna. Subito. Quietamente. Lasciaci morire in quiete.
Tu vieni con l'applauso, vieni con il giubilo, ma vieni portando
morte a Canterbury:
Sulla casa una condanna, su te stesso una condanna, sopra il mondo una condanna.
Noi non vogliamo che succeda nulla.
Per sette anni siamo vissute in quiete,
E riuscimmo a schivar l'attenzione,
Vivendo e in parte vivendo.
Vi furono lusso e oppressione,
Vi furon licenza e miseria,
Vi fu meschina ingiustizia.
Per noi s'and avanti a vivere,
Vivendo e in parte vivendo.
Talvolta manc il grano,
Talvolta v' buona raccolta,
Un anno un anno di pioggia,
Un altro un anno d'aridit, un anno le mele sono abbondanti,
Un altr'anno le prugne ci mancano.
Per noi s'and avanti a vivere,
Vivendo e in parte vivendo.
Abbiamo osservato le feste, ascoltato le messe,
Abbiam fatto fermentare la birra ed il sidro,
Raccolto la legna incontro all'inverno,
Fatto chiacchiere all'angolo del focolare,
Chiacchiere agli angoli delle strade.
Chiacchiere non sempre bisbigliate,
Vivendo e in parte vivendo.
Abbiamo veduto nascite, morti e sponsali,
Abbiamo avuto diversi scandali,
Siamo state afflitte da tasse,
Abbiamo riso ed abbiamo ciarlato,
Molte ragazze sono scomparse
Inspiegabilmente, ma qualcuna dovette restare.
Abbiamo avuto tutte i nostri privati terrori,
Le nostre ombre particolari, i nostri segreti timori.
Ma ora sopra di noi un grande timore, un timore non d'una ma di molte,
Un timore come la nascita e la morte, quando vediamo la nascita e la morte sole
In un vuoto a parte. Noi
Siamo atterrite da un timore che non ci dato conoscere, che
non possiamo affrontare, che nessuno comprende,
E i nostri cuori ci sono strappati, i nostri cervelli scorticati
come gli strati di una cipolla, noi stesse siamo perdute perdute
In uno spavento finale che nessuno comprende. O Tommaso Arcivescovo,
O Tommaso Signore nostro, lasciaci e lasciaci vivere nella
nostra umile e offuscata cornice d'esistenza, lasciaci; non chiederci
Di sottometterci alla condanna sulla casa, alla condanna
sull'Arcivescovo, alla condanna sul mondo.
Arcivescovo, sicuro e rassicurato nel tuo destino, impavido fra
le ombre, comprendi tu ci che chiedi
Comprendi ci che significa
Per la piccola gente trascinata nella trama del destino per la
piccola gente che vive tra piccole cose,
Lo sforzo sul cervello della piccola gente che affronta la
condanna della casa, la condanna del suo signore, la condanna del mondo?
O Tommaso Arcivescovo, lasciaci, lasciaci, lascia la tetra
Dover, e fa' vela per la Francia. Tommaso nostro Arcivescovo
sempre nostro Arcivescovo anche in Francia. Tommaso Arcivescovo,
alza la bianca vela tra il cielo grigio e il mare amaro,
lasciaci, lasciaci per la Francia.

SECONDO SACERDOTE: Che modo di parlare in tale circostanza!
Voi siete donne sciocche, immodeste e ciarlone.
Non sapete che il buon Arcivescovo
Pu arrivare da un momento all'altro?
Nelle strade le folle batteranno le mani, acclameranno,
E voi seguitate a gracidare come rane sulle chiome degli alberi:
Ma le rane almeno si possono cuocere e mangiare.
Di qualunque cosa siate spaventate, nella vostra pavida apprensione,
Lasciate che almeno vi chieda di mostrare facce contente,
E di dare un cordiale benvenuto al nostro buon Arcivescovo.

(Entra TOMMASO.)

TOMMASO: Pace. Lasciatele, nella loro esaltazione.
Esse parlano meglio di quanto non sappiano, e al di l della
vostra comprensione.
Esse sanno e non sanno, che cosa sia l'azione o il soffrire.
Esse sanno e non sanno, che l'agire soffrire
E il soffrire azione. N colui che agisce soffre
N il paziente fa. Ma sono entrambi fissi
In un'eterna azione, in un'eterna pazienza
Alla quale tutti debbono consentire perch sia voluta
E che tutti debbono soffrire per poterla volere,
Onde sussista la trama, poich la trama azione
E sofferenza, e la ruota possa volgersi e pure
Stare per sempre immota.

SECONDO SACERDOTE: O mio Signore, perdonatemi, io non vi vidi arrivare,
Preoccupato dal ciarlare di queste donne sciocche.
Perdonateci, mio Signore, avreste avuto un benvenuto migliore
Se ci fossimo preparati prima all'evento.
Ma vostra Signoria sa che sette anni d'attesa,
Sette anni di preghiera, sette anni di mancanza,
Hanno preparato i nostri cuori alla vostra venuta meglio
Che non sette giorni avessero potuto preparare Canterbury.
Tuttavia, far porre i fuochi in tutte le vostre stanze
Per tener lontano il gelo del nostro Dicembre inglese,
Ch ora vostra Signoria avvezza a un clima migliore.
Vostra Signoria trover le camere in ordine come le lasci.

TOMMASO: E far in modo di lasciarle in ordine come le trover.
Son pi che grato per tutte le vostre gentili attenzioni.
Queste son cose di poco momento. Poco riposo in Canterbury
Con intorno nemici bramosi senza posa.
Vescovi ribelli, York, Londra, Salisbury,
Avrebbero voluto intercettare le nostre lettere,
Riempire le coste di spie e mandare ad incontrarmi
Gente che mi porta amarissimo odio.
Informato per grazia di Dio dei loro calcoli
Mandai le mie lettere in un giorno diverso,
Ebbi una bella traversata, trovai a Sandwich
Broc, Warenne, e lo Sceriffo del Kent,
Gente che aveva giurato di spiccarmi il capo.
Solo Giovanni, il decano di Salisbury,
Temendo per l'onore del Re, ammonendo contro il tradimento,
Fece loro tenere le mani a posto. Cos per ora
Siamo senza molestie.

PRIMO SACERDOTE: Ma v'inseguono?

TOMMASO: Per breve tempo il falco affamato
soltanto si lever, si librer, abbassandosi in cerchi,
Attendendo una scusa, un pretesto, un'occasione.
La fine sar semplice, sita, data da Dio.
Intanto la sostanza del nostro primo atto
Saranno ombre, e la contesa con le ombre.
Pi opprimente l'intervallo della consumazione,
Tutte le cose preparano l'evento. Guardate.

(Entra il PRIMO TENTATORE.)

PRIMO TENTATORE: Come vedete, mio Signore, non m'indugio in cerimonie:
Sono giunto qui, scordando ogni acrimonia,
Sperando che la vostra presente gravit
Avr una scusa per la mia umile leggerezza
Nel ricordo di tutto il buon tempo passato.
Vostra Signoria non vorr disprezzare un vecchio amico non pi favorito?
Vecchio Tom, gaio Tom, Becket di Londra,
Vostra Signoria non dimenticher quella sera sul fiume
Quando il Re, e voi ed io eravamo insieme amici?
L'amicizia dovrebb'essere pi forte del lacerante potere del morso del tempo.
Che! Mio Signore, ora che voi riacquistate
Favore presso il Re, dovremo dunque dire che l'estate finita
O che il tempo dell'allegria non pu durare?
Suono di flauti per i campi, viole nella sala,
riso e fiori di melo galleggianti sopra l'acqua,
Canti al cader della notte, sussurri nelle camere,
fuochi che divorano il rigore dell'inverno,
Ingoiando la tenebra, con arguzia e vino e sapienza!
Ora che il Re e voi siete in buona amicizia,
Chierici e laici possono tornare a gaiezza,
L'allegria e la giocondit possono andare senza cautela.

TOMMASO: Voi parlate di stagioni che sono passate. Io non ricordo
Ci che degno d'essere scordato.

TENTATORE: E della novella stagione.
La primavera venuta in inverno. La neve sui rami
Sar sospesa dolcemente come fiori. Il ghiaccio lungo i fossati
Specchier la luce del sole. L'amore nell'orto
Far germogliare la linfa. La gioia contende contro la malinconia.

TOMMASO: Noi non sappiamo molto del futuro
Se non che di generazione in generazione
Sempre accadono, ripetendosi, le stesse cose.
Gli uomini apprendono poco dall'esperienza altrui.
Ma nella vita dell'uomo non ritorna
Mai lo stesso tempo. Rompete
La corda, fate cadere la squama. Soltanto
Lo sciocco, fisso nella sua follia, pu pensare
Di poter far girare la ruota sulla quale egli gira.

TENTATORE: Mio Signore, un cenno del capo vale quanto un ammiccar d'occhio.
L'uomo spesso amer ci che disprezza.
Per i bei tempi andati, che sono venuti di nuovo,
Io sono il vostro uomo.

TOMMASO: Non in questa compagnia.
State attento alla vostra condotta. Sareste pi sicuro
Se pensaste a penitenza e seguiste il vostro padrone.

TENTATORE: Non di questo passo!

Se voi andate tanto in fretta, altri possono andare pi in fretta.
Vostra Signoria troppo orgogliosa!
La belva pi sicura non quella che ruggisce pi forte.
Tale non fu il costume del Re nostro padrone!
Voi non eravate un tempo cos duro con i peccatori
Quando erano vostri amici. Siate indulgente, via!
L'uomo che lascia correre vive per mangiare i pranzi migliori.
Ascoltate il consiglio d'un amico. Il meglio nemico del bene.
Altrimenti si cuoceranno e si mangeranno la vostra oca fino all'osso.

TOMMASO: Voi venite vent'anni troppo tardi.

TENTATORE: Allora vi lascer al vostro destino.
Vi lascer ai piaceri dei vostri vizi superiori,
che dovranno esser pagati con stipendi pi elevati.
Addio, mio Signore, non m'indugio in cerimonie,
Me ne vado come venni, scordando ogni acrimonia,
Sperando che la vostra presente gravit
Avr una scusa per la mia umile leggerezza.
Se vorrete ricordarvi di me, mio Signore, nelle vostre preghiere,
Io mi ricorder di voi nell'ora dei baci sotto le scale.

TOMMASO: Il meglio nemico del bene, fantasia della giovinezza,
Cos un pensiero se ne va fischiando al vento.
L'impossibile ancora tentazione.
L'impossibile, l'indesiderabile,
Voci nel sonno, che svegliano un mondo morto,
S che la mente non sia tutta nel presente.

(Entra il SECONDO TENTATORE.)

SECONDO TENTATORE: Vostra Signoria mi ha forse dimenticato. Io vi far ricordare.
C'incontrammo a Clarendon, a Northampton,
E da ultimo a Montmirail, nel Maine. Ora che le ho richiamate,
Vediamo un po' queste memorie non troppo piacevoli
Di misurarle sulla bilancia con altre, meno recenti
E di pi peso: con quelle del Cancellierato.
Vedete come l'ultime s'innalzano! Il Signore della politica
Che tutti riconoscevano, dovrebbe guidare di nuovo lo stato.

TOMMASO: Che cosa intendete dire?

TENTATORE: Il Cancellierato che abbandonaste
Quando foste creato Arcivescovo: fu un errore
Da parte vostra: pu essere ancora ripreso. Pensate, mio Signore,
Il potere posseduto diventa gloria,
Durante la vita, permanente possesso,
Una tomba nel tempio, un monumento di marmo.
Non vogliate stimare pazzia il governare sugli uomini.

TOMMASO: Per l'uomo di Dio, quale gloria?

TENTATORE: Tristezza
Soltanto per coloro che danno l'amore a Dio solo.
Colui che tenne la solida sostanza dovr
Vagolare, al risveglio, con ombre fallaci?
La potenza presente. La santit vien dopo.

TOMMASO: Chi dunque?

TENTATORE: Il Cancelliere. Il Re e il Cancelliere.
Il Re comanda. Il Cancelliere governa pienamente.
Codesta non una frase che s'insegna nelle scuole.
Deporre i grandi, proteggere i poveri,
Sotto il trono di Dio pu un uomo fare di pi?
Disarmare il ribaldo, rafforzare le leggi,
Governare per il bene della causa migliore,
Dispensando giustizia rendere tutto piano,
E' prosperare in terra, e forse in cielo.

TOMMASO: Con quali mezzi?

TENTATORE: Il vero potere
Vien comperato a prezzo d'una certa sottomissione.
Il vostro potere spirituale una perdita terrena.
La potenza presente, per chi vuol maneggiarla.

TOMMASO: Chi l'avr?

TENTATORE: Colui che verr.

TOMMASO: Quale ne sar il mese?

TENTATORE: l'ultimo dal primo.

TOMMASO: Che daremo in cambio?

TENTATORE: La pretesa del potere sacerdotale.

TOMMASO: Perch dovremmo darla?

TENTATORE: Per la potenza e la gloria.

TOMMASO: No!

TENTATORE: S, Altrimenti il valore verr infranto,

Chiuso in Canterbury, reggitore senza reame,

Servo protervo di un Papa impotente,

Vecchio cervo, circondato da veltri.

TOMMASO: No!

TENTATORE: S! Gli uomini debbono manovrare. Anche i monarchi,
Che fanno guerra all'estero, hanno bisogno di fidati amici in casa.
Politica privata pubblico profitto;
La dignit dev'essere sempre vestita di decoro.

TOMMASO: Voi dimenticate i vescovi

Contro i quali ho lanciato la scomunica.

TENTATORE: L'odio affamato

Non contender contro l'intelligente interesse personale.

TOMMASO: Dimenticate i baroni. Che non dimenticheranno

Il freno costante posto al meschino privilegio.

TENTATORE: Contro i baroni

V' la causa del Re, la causa del contadino, la causa del
Cancelliere.

TOMMASO: NO! Debbo io, che tengo le chiavi
Del cielo e dell'inferno, solo supremo in Inghilterra,
Che lego e sciolgo, con il potere del Papa,
Abbassarmi a desiderare un potere pi meschino?
Delegato a lanciar la condanna della dannazione,
Condannare i re, non servire fra i loro servitori,
E' mio chiaro ufficio. No! Andate.

TENTATORE: Allora vi lascio al vostro destino.
Il vostro peccato s'innalza verso il sole, superando i falconi del re.

TOMMASO: Potere temporale, per costruire un mondo che vada bene,
Per mantenere l'ordine, come il mondo conosce l'ordine.
Coloro che pongono fede nell'ordine mondano
Non regolato dall'ordine di Dio,
In ignorante fiducia, non fanno che fissare il disordine,
Renderlo stabile, nutrire malanno fatale,
Degradare ci che esaltano. Potere con il Re...
Io fui il Re, il suo braccio, la sua migliore ragione.
Ma ci che gi fu esaltazione
Ora sarebbe soltanto un misero declino.

(Entra il TERZO TENTATORE.)

TERZO TENTATORE: Io sono un visitatore inaspettato.

TOMMASO: Io v'aspettavo.

TENTATORE: Ma non in questa guisa, o pel presente scopo.

TOMMASO: Nessuno scopo reca sorpresa.

TENTATORE: Ebbene, mio Signore,
Io non amo scherzare, non sono un politicante.
Per impigrire od intrigare a corte
Non ho l'abilit. Non sono un cortigiano.
So capire un cavallo, un cane, una donna;
So come tenere in ordine le mie terre,
Signore della campagna che pensa ai fatti suoi.
Siamo noi signori campagnoli che conosciamo il paese
E noi che conosciamo quel che al paese occorre.
E' il nostro paese. Abbiamo a cuore il paese.
Siamo la spina dorsale della nazione.
Noi, non i parassiti che intrigano
Intorno al Re. Perdonatemi la rude franchezza:
Io sono un rude inglese, diritto e franco.

TOMMASO: Procedete diritto e franco.

TENTATORE: Lo scopo semplice.
La costanza nell'amicizia non dipende
Da noi, ma dalle circostanze.
Ma le circostanze non sono illimitate.
Una falsa amicizia pu diventare vera
Ma, troncata una volta, la vera amicizia non si pu pi rammendare.
E' pi facile che l'inimicizia si faccia alleanza.
L'inimicizia che non conobbe mai amicizia
Pu trovare un accordo pi facilmente.

TOMMASO: Come campagnolo
Voi rivestite il vostro intento in oscure generalit
Quanto un qualsiasi cortigiano.

TENTATORE: Questo il semplice fatto!
Voi non avete speranza alcuna di riconciliazione
Con Re Enrico. Voi cercate soltanto
Una cieca rivendicazione nell'isolamento.
E' un errore.

TOMMASO: O Enrico, o mio Re!

TENTATORE: Altri amici
Si possono trovare nella presente situazione.
Il Re in Inghilterra non onnipotente;
Il Re in Francia, a litigare nell'Angi;
E attorno a lui attendono figli bramosi.
Noi siamo per l'Inghilterra. Siamo in Inghilterra.
Voi ed io, mio Signore, siamo normanni.
L'Inghilterra una terra per sovranit
Normanna. L'Angioino distrugga se stesso, combattendo nell'Angi.
Noi non ci capisce, noi baroni inglesi. Il popolo siamo noi.

TOMMASO: A che conduce ci?

TENTATORE: A una felice coalizione
Di interessi intelligenti.

TOMMASO: Ma che cosa avete...
Se parlate davvero per i baroni...

TENTATORE: Per un potente partito
Che ha volto gli occhi verso di voi...
Per trarre guadagno da voi, dir vostra Signoria.
Per noi, il favore della Chiesa sarebbe un vantaggio,
La benedizione del Papa una potente protezione
Nella lotta per la libert. Voi, mio Signore,
Alleandovi con noi, aggiusterete un buon colpo
In una, per l'Inghilterra e per Roma,
Ponendo fine alla tirannica giurisdizione
Della corte del re sulla corte del vescovo,
della corte del re sulla corte del barone.

TOMMASO: Che io aiutai a fondare.

TENTATORE: Che voi aiutaste a fondare.

Ma il tempo passato tempo dimenticato.

Noi attendiamo il sorgere di una nuova costellazione.

TOMMASO: E se l'Arcivescovo non pu fidarsi del Re,
come si fider di coloro che lavorano per la rovina del Re?

TENTATORE: I re non sopportano un potere diverso dal loro;
Chiesa e popolo hanno buone ragioni contro il trono.

TOMMASO: Se l'Arcivescovo non pu fidare nel trono,
ha buona ragione per non fidare in nessuno eccetto che in Dio solo.
Io una volta governai come Cancelliere
e uomini come voi godevano d'attendere alla mia porta.
Non soltanto a corte, ma nel campo
e nella lizza feci cedere molti.
Io che dominai come l'aquila sopra i piccioni dovr
ora prendere la forma di un lupo in mezzo ai lupi?
Continuate i vostri tradimenti come facevate prima:
nessuno mai dir ch'io ho tradito un re.

TENTATORE: Allora, mio Signore, non star ad attendere alla vostra porta;
e spero che, prima di una nuova primavera,
il Re far vedere quanto stimi la vostra lealt.

TOMMASO: Fare, poi spezzare, questo pensiero gi venuto prima,
disperato esercizio d'un potere che vien meno.
Sansone in Gaza non fece di pi.
Ma s'io spezzo, devo spezzare me solo.

(Entra il QUARTO TENTATORE.)

QUARTO TENTATORE: Ben fatto, Tommaso, la vostra volont dura
da piegare.
E con me vicino a voi non vi mancher un amico.

TOMMASO: Chi siete voi? Io m'aspettavo tre visitatori, non quattro.

TENTATORE: Non vi sorprenda di riceverne uno di pi.
Se fossi stato atteso, sarei comparso prima.
Io prevengo sempre l'attesa.

TOMMASO: Chi siete?

TENTATORE: Poich non mi conoscete, non m'abbisogna un nome,
Ma vengo proprio perch mi conoscete.
Mi conoscete, ma non m'avete mai veduto in volto.
Non vi fu mai tempo n luogo d'incontrarci prima.

TOMMASO: Dite ci che venite a dire.

TENTATORE: Finalmente verr detto.
Gli ami vengono coperti con l'esche del passato.
Il non imporsi limiti debolezza. Quanto al Re,
il suo odio indurato non avr mai fine.
Voi lo sapete bene, il Re, non si fider mai
due volte, dell'uomo che stato suo amico.
Far uso di voi con cautela, impiegher
i vostri servigi fin che avrete da prestare.
Attendetevi che la trappola scatti
quando avrete fatto il vostro servizio, rotto e schiacciato.
Quanto ai baroni, l'invidia degli uomini inferiori
e' ancora pi ostinata dell'ira del re.
I re hanno una politica pubblica, i baroni un profitto privato,
pazza gelosia, possesso del demonio.
I baroni possono venire adoperati l'uno contro l'altro;
Pi grandi nemici debbono distruggere i re.

TOMMASO: Qual il vostro consiglio? TENTATORE: Avanti fino alla fine.
Per voi son chiuse tutte l'altre vie
Tranne la via gi scelta.
Ma che il piacere, il governo regale,
O il comando di uomini inferiori al re,
Con astuzia negli angoli e furtivi stratagemmi,
In confronto al dominio universale del potere spirituale?
L'uomo oppresso dal peccato, da che Adamo cadde...
Voi tenete le chiavi del cielo e dell'inferno.
Il potere di legare e di sciogliere: legate, Tommaso,
Legate, il re e i vescovi sotto il vostro tallone.
Re, imperatore, vescovo, barone, re:
Incerta signoria d'eserciti che si dissolvono,
Guerra, peste e rivoluzione,
Nuove congiure, patti infranti;
Esser padrone o servo nel giro d'un'ora,
Questo il corso del potere temporale.
Il vecchio Re se n'accorger, quando all'ultimo respiro,
Senza figlio, senza imperio, morder coi denti rotti.
Voi tenete il bandolo: avvolgete, Tommaso, avvolgete
Il filo della vita eterna e della morte.
Voi la tenete questa forza, tenetela.

TOMMASO: Supremo, in questa terra?

TENTATORE: Supremo, fuor che a uno.

TOMMASO: Questo non lo comprendo.

TENTATORE: Non spetta a me dirvi ci che potr essere;

Io son qui, Tommaso, a dirvi soltanto ci che voi sapete.

TOMMASO: Per quanto tempo durer?

TENTATORE: Salvo quanto gi sapete, non chiedetemi nulla.
Ma pensate, Tommaso, pensate alla gloria dopo la morte.
Se morto il re, v' un altro re,
E un altro re un altro regno.
Il re sar dimenticato, quando ne verr un altro:
il Santo e il Martire regnano dalla tomba.
Pensate, Tommaso, pensate ai vostri nemici sgomenti,
Striscianti in penitenza, atterriti da un'ombra;
Pensate ai pellegrini, che staranno in fila
Dinanzi al simulacro lucente di gioielli,
E di generazione in generazione
Piegheranno il ginocchio supplicando.
Pensate ai miracoli, per la grazia di Dio;
E pensate ai vostri nemici, in un altro luogo.

TOMMASO: Ho pensato a queste cose.

TENTATORE: E' per questo che ve lo dico.
Han pi forza i vostri pensieri che non i re a costringervi.
Avete per anche pensato, talvolta nelle preghiere,
Talvolta esitante negli angoli delle scale,
E tra il sonno e la veglia, nel primo mattino,
Quando grida l'uccello, avete pensato al disprezzo che seguir.
Nulla dura, ma la ruota gira,
Il nido spogliato e l'uccello piange;
Il simulacro sar saccheggiato, e l'oro speso,
I gioielli andranno ornamento a donne leggere,
Il santuario in rovina, e le sue ricchezze
Gettate in grembo a parassiti e a puttane.
Quando i miracoli cesseranno, e i fedeli vi diserteranno,
E gli uomini faranno del loro meglio solo per dimenticarvi.
E sar peggio ancora pi tardi, quando gli uomini non vi odieranno
Abbastanza per diffamarvi od esecrarvi,
Ma meditando sulle qualit che vi mancarono
Si sforzeranno soltanto di andare in cerca del fatto storico.
Quando gli uomini dichiareranno che non vi fu alcun mistero
Intorno a quest'uomo che recit una certa parte nella storia.

TOMMASO: Ma che c' da fare? Che rimane da fare?
Non v' corona durevole da conquistare?

TENTATORE: S, Tommaso, s; voi avete pensato anche a questo.
Che cosa pu paragonarsi alla gloria dei Santi

Che dimorano per sempre alla presenza di Dio?

Quale gloria terrena, di re o d'imperatore,

Quale terreno orgoglio, che non sia povert

A paragone della ricchezza della celeste grandezza?

Cercare la via del martirio, fatevi il pi basso

In terra, per essere alto nel cielo.

E guardate ben lontano sotto di voi, dove l'abisso fermo,

I vostri persecutori, in un tormento senza tempo,

Bruciata passione, al di l dell'espiazione.

TOMMASO: No!

Chi siete voi, che mi tentate con i miei stessi desideri?

Altri son venuti, tentatori temporali,

Con piacere e potere a palpabile prezzo.

Voi che cosa m'offrite? che cosa chiedete?

TENTATORE: Io v'offro ci che ambite. Chiedo

Ci che avete da dare. E' troppo

Per una tale visione di grandezza eterna?

TOMMASO: Altri offrirono beni reali, indegni

Ma reali. Voi solo m'offrite

Sogni di dannazione.

TENTATORE: Li avete spesso sognati.

TOMMASO: Ma non v' strada nel malore dell'anima mia,

Che non conduca a dannazione nell'orgoglio?

Io so bene che tali tentazioni

Significano presente vanit e futuro tormento.

Pu un orgoglio peccatore essere scacciato

Solo da uno pi peccatore? Non posso agire n soffrire

Senza perdizione?

TENTATORE: Voi sapete e non sapete, che cosa sia l'agire o il
soffrire.

Voi sapete e non sapete, che l'agire soffrire,

E il soffrire azione. N colui che agisce soffre

N il paziente fa. Ma sono entrambi fissi

In un'eterna azione, in un'eterna pazienza

Alla quale tutti debbono consentire perch sia voluta

E che tutti debbono soffrire per poterla volere,

Onde sussista la trama, e la ruota possa volgersi e pure

Stare per sempre immota.

CORO: Non v' requie nella casa. Non v' requie nella strada.

Odo un inquieto movimento di piedi. L'aria pesante e spessa.

Spesso e pesante il cielo. E la terra spinge in su sotto i
nostri piedi.

Che cos' questo malsano odore, questo vapore? L'oscura luce
verde da una nube sopra un albero avvizzito? La terra si gonfia
a partorire la progenie dell'inferno. Che cos' quest'umidore
appiccicoso che si forma sul dorso della mia mano?

I QUATTRO TENTATORI: La vita dell'uomo un inganno e una
delusione;

Tutte le cose sono irreali,

Irreali o deludenti:

La girandola dei fuochi artificiali, il gatto della pantomima,

I premi donati alla festa dei bambini,

Il premio conferito per il saggio d'inglese,

La laurea dello studente, l'onorificenza dello statista.

Tutte le cose diventano meno reali, l'uomo passa

d'irrealt in irrealt.

Quest'uomo ostinato, cieco, intento

A distruggere se stesso,

E passa da inganno ad inganno,

Da grandezza a grandezza alla finale illusione,

Sperduto nello stupore della sua stessa grandezza,

Nemico della societ, nemico di se stesso.

I TRE SACERDOTI: O Tommaso mio Signore non combattete con
l'intrattabile flutto,

Non veleggiate nel vento irresistibile; nell'uragano non
dovremmo aspetto che il mare si calmi, nella notte

Attendere la venuta del giorno, quando il viandante pu trovare
la strada,

Il navigante prendere la rotta dal sole?



(CORO, SACERDOTI, TENTATORI, alternativamente.)



CORO: E' il gufo che chiama, o un segnale di tra gli alberi?

SACERDOTI: E' stata ben fissata la sbarra della finestra, la
porta sotto chiave e catenaccio?

TENTATORI: E' la pioggia che batte alla finestra, il vento
che spinge contro la porta?

CORO: Fiammeggia la torcia nella scala, la candela nella stanza?

SACERDOTI: Il custode cammina presso il muro?

TENTATORI: Il mastino s'aggira presso il portone?

CORO: La morte ha cento mani e cammina per mille strade.

SACERDOTI: Essa pu venire alla vista di tutti, pu passare non
vista, non udita.

TENTATORI: Venire sussurro all'orecchio, o sito colpo al
cervello.

CORO: Un uomo pu camminare con una lucerna di notte, eppure
annegare in un fosso.

SACERDOTI: Un uomo pu salire la scala di giorno, e
sdrucciolare su un gradino rotto.

TENTATORI: Un uomo pu sedersi a mensa, e sentirsi gelare
nell'inguine.

CORO: Noi non siamo state felici, mio Signore, noi non siamo
state troppo felici.

Noi non siamo donne ignoranti, sappiamo ci che dobbiamo
aspettare e non aspettare.

Conosciamo l'oppressione e la tortura,

Conosciamo l'estorsione e la violenza,

L'estrema indigenza, la malattia

Il vecchio senza fuoco d'inverno.

Il bimbo senza latte d'estate,

La nostra fatica strappataci via,

I nostri peccati su noi pi pesanti.

Abbiamo veduto il giovane mutilato.

La fanciulla lacerata tremante alla corrente del mulino,

Ma frattanto s'and avanti a vivere,

Vivendo e in parte vivendo, raccogliendo insieme le pezze,

Raccogliendo fastelli al crepuscolo,

Costruendo un riparo in qualche modo,

Per dormire, e mangiare e bere e ridere.

Dio ci diede sempre qualche ragione, qualche speranza; ma ora un
novello terrore ci ha insozzato, che nessuno pu disporre,
nessuno pu schivare, che scorre sotto i nostri piedi e sopra il
nostro cielo;

Sotto le porte e gi dai camini, fluisce nell'orecchio e nella
bocca e nell'occhio.

Dio ci lascia, Dio ci lascia, pi angoscia, pi pena, che
nascita o morte.

Dolce e nauseante per l'aria oscura

Cade l'odore soffocante della disperazione;

Le forme prendono figura nell'aria oscura;

Le fusa feline del leopardo, il passo cadenzato dell'orso,

La scimmia ammiccante che batte le palme, la iena quadrata che
aspetta

Per ridere, ridere, ridere. I Signori d'Inferno son qui.

Ti s'avvolgono intorno, giacciono ai tuoi piedi, dondolano e
volano per l'aria oscura.

O Tommaso Arcivescovo, salvaci, salvaci, salva te stesso perch
noi ci possiamo salvare;

Distruggi te stesso e noi saremo distrutte.

TOMMASO: Ora la strada m' chiara, ora piano il significato;

La tentazione in questa maniera non verr pi.

L'ultima tentazione il pi grande tradimento:

Compiere la retta azione per uno scopo sbagliato.

Il rigoglio della nostra natura nel peccato veniale

E' il modo con il quale comincia la nostra vita.

Trent'anni or sono, cercai tutte le strade

Che menano al piacere, all'onore e alla lode.

Il diletto nel senso, nella scienza e nel pensiero,

La musica e la filosofia, la curiosit,

Il purpureo fringuello nell'albero di lilla,

La destrezza nella lizza, la strategia degli scacchi,

L'amore nel giardino, il cantare con gli strumenti,

Erano tutte cose ugualmente desiderabili.

Quando il primo vigore s' spento viene l'ambizione

E quando ci accorgiamo che ormai non tutte le cose sono
possibili.

L'ambizione vien da tergo, inavvertita.

Cresce il peccato nel fare il bene. Quando imposi la legge del Re

In Inghilterra, e con lui mossi guerra contro Tolosa,

Vinsi i baroni al loro stesso gioco. Io

Allora potevo sprezzare gli uomini che mi pensavano il pi
spregevole,

La rozza nobilt, le cui maniere s'accordavano alle sue unghie.

Mentre mangiavo nel piatto del Re

Non fu mai mio desiderio diventare servo di Dio.

Il servo di Dio in occasioni di maggior peccato,

Di maggior dolore, che non chi serve un re.

Poich coloro che servono una causa pi grande possono far
servire la causa a loro stessi,

Pur facendo giustizia: e contendendo con uomini politici

Possono fare politica la causa, non per ci ch'essi fanno

Ma per ci ch'essi sono. Io so

Che quanto rimane ancora da mostrare a voi della mia storia

Sembrer alla maggior parte di voi nell'ipotesi migliore
futilit,

Insensato suicidio di un lunatico,

Arrogante passione di un fanatico.

Io so che la storia in tutti i tempi trae

La pi strana conseguenza dalla causa pi remota.

Ma per ogni male, per ogni sacrilegio,

Delitto, torto, oppressione e filo d'ascia,

Indifferenza, sfruttamento, tu, e tu,

E tu, dovete essere tutti puniti. Ed anche tu.

Io non agir non soffrir pi a lungo, fino alla fine della
spada.

Ora Angelo mio buono, che Dio destina

Ad essere mio guardiano, librati sulle punte delle spade.







INTERMEZZO.



L'ARCIVESCOVO predica nella cattedrale, la mattina di Natale del
1170.



loria a Dio nel pi alto dei cieli, e pace in terra agli
uomini di buona volont "Versetto quattordicesimo del secondo
capitolo del Vangelo secondo San Luca. Nel Nome del Padre e del
Figliuolo e dello Spirito Santo, Amen."

Figliuoli cari di Dio, la mia predica questa mattina sar molto
breve. Voglio soltanto che consideriate e meditiate il profondo
significato e il mistero delle nostre Messe del giorno di
Natale. Poich ogni volta che si celebra la Messa noi compiamo
di nuovo la Passione e la Morte di Nostro Signore: e in questo
giorno di Natale la compiamo nella celebrazione della Sua
Nascita. Cosicch nel medesimo momento godiamo della Sua venuta
per la salvezza degli uomini, e rioffriamo a Dio il Suo Corpo e
il Suo Sangue in sacrificio, oblazione e soddisfazione per i
peccati del mondo intero.

Fu in questa notte, da poco trascorsa, che una moltitudine
dell'esercito celeste apparve ai pastori a Betlemme, dicendo
loria a Dio nel pi alto dei cieli, e pace in terra agli
uomini di buona volont in questo medesimo momento, unico in
tutto l'anno, noi celebriamo insieme la Nascita di Nostro
Signore e la Sua Passione e Morte sulla Croce. Carissimi,
secondo il Mondo, questo modo di comportarsi strano. Poich
chi nel mondo vuol piangere e rallegrarsi nello stesso tempo e
per la stessa ragione? Infatti, o la gioia verr dominata
dall'afflizione o l'afflizione sar scacciata dalla gioia; ed
perci soltanto in questi nostri misteri cristiani che noi
possiamo gioire e piangere nel medesimo tempo e per la stessa
ragione. Ma pensate un po' al significato di questa parola
ace Non vi sembra strano che gli angeli abbiano annunziato
la Pace, quando il mondo incessantemente colpito dalla Guerra
e dal timore della Guerra? Non vi sembra che le voci angeliche
si siano sbagliate, e che la promessa fu una delusione e un
inganno?

Riflettete ora come parl della Pace Nostro Signore stesso. Egli
disse ai Suoi discepoli: o vi lascio la mia pace, vi do la mia
pace Intendeva Egli dire pace come noi la intendiamo: il regno
d'Inghilterra in pace con i suoi vicini, i baroni in pace col
Re, il capofamiglia che conta i suoi pacifici guadagni, il
focolare ben pulito, il suo miglior vino per l'amico sulla
tavola, la sua donna che canta ai suoi bambini? Quegli uomini
che erano suoi discepoli non sapevano di queste cose; essi
uscirono a fare un lungo viaggio, a soffrire per terra e per
mare, a incontrar la tortura, la prigione, la delusione, a
soffrir la morte col martirio. Che cosa voleva dunque Egli dire?
Se lo volete sapere, ricordatevi che Egli disse anche: on come
il mondo ve la d, io ve la do Dunque, Egli diede la pace ai
Suoi discepoli, ma non la pace come la d il mondo.

Considerate anche una cosa alla quale forse non avete mai
pensato. Noi non solo celebriamo insieme nella festa di Natale
la Nascita di Nostro Signore e la sua Morte, ma nel giorno
seguente celebriamo il martirio del Suo primo martire, il beato
Stefano. Credete che sia per caso che il giorno del primo
martire segua immediatamente il giorno della Nascita di Cristo?
Certamente no. Proprio come noi godiamo e soffriamo insieme,
alla Nascita e alla Morte di Nostro Signore, cos anche, in
proporzione inferiore, godiamo e soffriamo alla morte dei
martiri. Soffriamo per i peccati del mondo che li ha
martirizzati, godiamo, che un'altra anima annoverata fra i
Santi in Cielo, per la gloria di Dio e per la salvezza degli
uomini. Carissimi, noi non pensiamo a un martire semplicemente
come a un buon cristiano che fu ucciso perch un cristiano:
ci sarebbe soltanto piangere. Non pensiamo a lui semplicemente
come a un buon cristiano che fu elevato alla schiera dei Santi:
poich questo sarebbe soltanto godere; e n il nostro piangere
n il nostro godere sono come quelli del mondo. Un martirio
cristiano non un caso. I Santi non sono fatti a caso. Ancor
meno un martirio cristiano l'effetto della volont di un uomo
di diventar santo, come un uomo volendo e tramando pu diventare
un reggitore d'uomini. Un martirio fatto sempre dal disegno di
Dio, per il Suo amore per gli uomini, per ammonirli e per
guidarli, per riportarli sulle Sue vie. Un martirio non mai un
disegno d'uomo; poich vero martire colui che divenuto
strumento di Dio, che ha perduto la sua volont nella volont di
Dio, e che non desidera pi nulla per se stesso, neppure la
gloria del martirio. Cos dunque come sulla terra la Chiesa
insieme piange e gioisce, in un modo che il mondo non pu
capire; cos in Cielo i Santi sono molto in alto, essendosi
molto abbassati, vedendo se stessi non come noi li vediamo, ma
nella luce della Divinit, dalla quale traggono il loro essere.
Vi ho parlato oggi, figliuoli cari di Dio, dei martiri del
passato, e vi chiedo di ricordare specialmente il nostro martire
di Canterbury, il beato Arcivescovo Elfego; poich ben s'addice,
nel giorno della Nascita di Cristo, ricordare qual quella Pace
che Egli port; e perch, figliuoli cari, non credo che vi
parler ancora; e perch possibile che fra breve voi abbiate
un nuovo martire, il quale, forse, non sar l'ultimo.

Vorrei che custodiste nel vostro cuore queste parole che dico, e
che aveste a ricordarle in altro tempo. Nel Nome del Padre e del
Figliuolo e dello Spirito Santo. Amen.







PARTE SECONDA.





La prima scena si svolge nell'interno dell'Arcivescovado. La
seconda nella cattedrale, 29 dicembre 1170.



CORO: Canta l'uccello nel sud?

Solo grida l'uccello del mare, trascinato alla terra dalla
tempesta.

Quale il segno della primavera dell'anno?

Solo la morte dei vecchi: non un moto, non un germoglio, non un
alito.

Cominciano i giorni ad allungarsi?

Pi lungo il giorno e pi oscuro, pi corta e pi fredda la
notte.

L'aria immobile ed afosa: ma c' un vento serbato nell'est.

L'affamata cornacchia posa nel campo, attenta; e nel bosco

Il gufo riprova la cupa nota di morte.

Quali i segni d'un'amara primavera?

Il vento serbato nell'est.

Come! Al tempo della Nascita di Nostro Signore, a Natale,

Non v' pace sulla terra, non v' tra gli uomini la buona
volont?

La pace di questo mondo sempre incerta, se l'uomo non si
attiene alla pace di Dio.

E la guerra fra gli uomini insozza codesto mondo, ma la morte
nel Signore lo rinnova,

E il mondo dev'essere purificato d'inverno se no avremo soltanto

Un'acre primavera, un'estate inaridita, un autunno sterile.

Fra il Natale e la Pasqua che lavoro si far?

Il bifolco uscir in marzo a rivolgere la stessa terra

Che aveva rivolto prima, l'uccello canter la medesima canzone.

Quando la foglia spunter sull'albero, quando il sambuco e il
fior di biancospino

Sbocceranno sopra il rivo, e l'aria sar chiara ed alta,

E trilleranno voci alle finestre, e i bimbi ruzzeranno davanti
alla porta.

Quale opera sar stata compiuta, quale torto

Il canto dell'uccello dovr coprire, l'albero verde coprire,
quale torto

La terra fresca dovr coprire? Noi attendiamo, e il tempo breve

Ma l'attesa lunga.



(Entra il PRIMO SACERDOTE, preceduto dallo stendardo di Santo
Stefano. Le parole fra virgolette vengono cantate.)



PRIMO SACERDOTE: Da Natale un giorno: il giorno di Santo
Stefano, Primo Martire.

"Si assisero i grandi per parlare contro di me."

Un giorno che fu sempre carissimo all'Arcivescovo Tommaso.

Ed egli cadde in ginocchio, e grid a gran voce:

Signore, non imputar loro questo peccato.

"Si assisero i grandi."



(S'ode l'Introito di Santo Stefano.)

(Entra il SECONDO SACERDOTE, preceduto dallo stendardo di San
Giovanni Apostolo.)



SECONDO SACERDOTE: Da Santo Stefano un giorno: il giorno di San
Giovanni Apostolo.

"In mezzo alla Chiesa apr la sua bocca."

Ci che fu da principio, quello che udimmo,

Quel che vedemmo cogli occhi nostri, e le nostre mani palparono

Del verbo di vita; quel che vedemmo ed ascoltammo

Noi ve lo annunziamo.

"In mezzo alla Chiesa."



(S'ode l'Introito di San Giovanni.)

(Entra il TERZO SACERDOTE, preceduto dallo stendardo dei Santi
Innocenti.)



TERZO SACERDOTE: Da San Giovanni Apostolo un giorno: il giorno
dei Santi Innocenti.

"Dalla bocca dei pargoli, o Dio."

Come la voce di molte acque, del tuono, delle arpe,

Cantarono come un cantico nuovo.

Il sangue dei tuoi santi hanno sparso come acqua

E non v'era nessuno a seppellirli. Vendica o Signore

Il sangue dei tuoi santi. In Rama s'ud una voce, piangente.

Dalla bocca dei pargoli, o Dio!



(I SACERDOTI stanno uniti in piedi, con gli stendardi dietro.)



PRIMO SACERDOTE: Dai Santi Innocenti un giorno: il quarto
giorno dopo Natale.

I TRE SACERDOTI: "Esultiamo tutti, celebrando la festa".

PRIMO SACERDOTE: Come per il popolo, cos anche per s, offre
per i peccati.

D la sua vita per le pecore.

I TRE SACERDOTI: "Esultiamo tutti, celebrando la festa."

PRIMO SACERDOTE: Oggi?

SECONDO SACERDOTE: Oggi, che oggi? Ch il giorno gi
passato a met.

PRIMO SACERDOTE: Oggi, che oggi? solo un altro giorno, il
crepuscolo dell'anno.

SECONDO SACERDOTE: Oggi, che oggi? Un altra notte, e un'altra
alba.

TERZO SACERDOTE: Qual il giorno nel quale sappiamo per che
cosa speriamo o per che cosa temiamo?

Ogni giorno il giorno dal quale dovremmo temere o sperare. Un
momento

Pesa quanto un altro. Solo guardando indietro, scegliendo,

Diciamo, quello fu il giorno. Il momento critico

E' sempre ora, e qui. Proprio ora, in sordidi particolari

L'eterno disegno pu apparire.



(Entrano i QUATTRO CAVALIERI. Gli stendardi spariscono.)



PRIMO CAVALIERE: Servi del Re.

PRIMO SACERDOTE: E noti a noi.

Siete i benvenuti. Avete cavalcato molto?

PRIMO CAVALIERE: Oggi non molto, ma urgenti ragioni

Ci hanno portato di Francia. Cavalcammo forte,

C'imbarcammo ieri, approdammo iernotte,

Abbiamo affari con l'Arcivescovo.

SECONDO CAVALIERE: Affari urgenti.

TERZO CAVALIERE: Da parte del Re.

QUARTO CAVALIERE: Per ordine del Re.

PRIMO CAVALIERE: I nostri uomini sono fuori.

PRIMO SACERDOTE: Voi conoscete l'ospitalit dell'Arcivescovo.

Stiamo per recarci a pranzo.

Il buon Arcivescovo sarebbe spiacente

Se non v'offrissimo ristoro

Prima dei vostri affari. Vogliate pranzare con noi.

Si penser anche ai vostri uomini.

Il pranzo prima degli affari. Vi piace il porco arrosto?

PRIMO CAVALIERE: Gli affari prima del pranzo. Arrostiremo il
vostro porco

Prima, e ce lo mangeremo a pranzo dopo.

SECONDO CAVALIERE: Dobbiamo veder l'Arcivescovo.

TERZO CAVALIERE: Andate a dire all'Arcivescovo

Che non abbiamo bisogno della sua ospitalit.

Ci troveremo noi il nostro pranzo.

PRIMO SACERDOTE: (A un SERVO) Andate, ditelo a Sua signoria.

QUARTO CAVALIERE: Per quanto tempo ci far ancora attendere?



(Entra TOMMASO.)



TOMMASO: (Ai SACERDOTI) Quantunque certa la nostra attesa

Il momento previsto pu essere inaspettato

Quando arriva. Esso viene quando siamo

Occupati in affari d'altra urgenza.

Sul mio tavolo troverete

Le carte in ordine, e firmati i documenti.

(Ai CAVALIERI) Siete i benvenuti, quali che siano vostri affari.

Da parte del Re, voi dite?

PRIMO CAVALIERE: S, certo, da parte del Re. Dobbiamo parlare a
voi solo.

TOMMASO: (Ai SACERDOTI) Allora lasciateci soli.

(Ai CAVALIERI) Dunque, di che si tratta?

PRIMO CAVALIERE: Ecco di che si tratta.

I TRE CAVALIERI: Voi siete l'Arcivescovo in rivolta contro il
Re; in ribellione al Re e alla legge della patria;

Voi siete l'Arcivescovo creato dal Re, il quale vi confer
l'incarico che avete per eseguire il suo comando.

Voi siete suo servo, suo strumento, suo arnese,

Voi portaste i suoi favori sulla vostra schiena,

Aveste gli onori tutti dalla sua mano, da lui aveste il potere,
il sigillo e l'anello.

Questi colui ch'era figlio del bottegaio: il ragazzaccio
intrigante nato in Contrada Mercanti;

Questa la creatura che strisci sopra il Re, gonfia di sangue
e gonfia d'orgoglio.

Che emerse dal luridume di Londra,

Che vi striscia come un pidocchio sulla camicia,

L'uomo che ingann, truff, ment, che ruppe il suo giuramento e
trad il suo Re.

TOMMASO: Non vero.

Prima e dopo che ricevessi l'anello

fui vassallo leale del Re.

Salvo il mio ordine, sono al suo comando,

Come il suo pi fedele vassallo in patria.

PRIMO CAVALIERE: Salvo il vostro ordine! Che il vostro ordine
vi salvi...

Come non credo che far.

Salva la vostra ambizione ci che volete dire.

Salvo il vostro orgoglio, e l'invidia e la bile.

SECONDO CAVALIERE: Salva la vostra insolenza e la vostra
bramosia.

Non ci chiedete di pregare Dio per voi nella vostra distretta?

TERZO CAVALIERE: S, pregheremo per voi!

PRIMO CAVALIERE: S, pregheremo per voi!

I TRE CAVALIERI: S, pregheremo che Dio v'aiuti!

TOMMASO: Ma, signori, i nostri affari

Che dicevate tanto urgenti, sono solo

Rampognare e bestemmiare?

PRIMO CAVALIERE: Codesta fu soltanto

La nostra indignazione, come sudditi leali.

TOMMASO: Leali? a chi?

PRIMO CAVALIERE: Al Re!

SECONDO CAVALIERE: Il Re!

TERZO CAVALIERE: Il Re!

I TRE CAVALIERI: Iddio lo benedica!

TOMMASO: Allora la vostra nuova veste di lealt portatela

Con cura, che non s'imbratti n si stracci.

Avete qualcosa da dire?

PRIMO CAVALIERE: Per comando del Re.

Dobbiamo dirlo ora?

SECONDO CAVALIERE: Senza indugio,

Prima che la vecchia volpe sia lontana.

TOMMASO: Ci che avete da dire

Per comando del Re: se proprio comando del Re -

Dovrebbe esser detto in pubblico. Se farete accuse,

Allora in pubblico le confuter.

PRIMO CAVALIERE: No! qui e ora!



(Tentano di attaccarlo, ma i SACERDOTI e i SERVI tornano e si
interpongono con calma.)



TOMMASO: Ora e qui!

PRIMO CAVALIERE: Dei vostri primi misfatti non far menzione.
Essi son troppo noti. Ma poi che il dissidio

Fu terminato, in Francia, e foste rivestito

Del vostro antico privilegio, come mostraste la vostra
gratitudine?

Eravate fuggito dall'Inghilterra, non esiliato

N minacciato, badate; solo nella speranza

Di suscitar turbamenti nei domini di Francia.

Seminaste contesa all'estero, oltraggiaste

Il Re presso il Re di Francia presso il Papa,

Suscitando contro di lui false opinioni.

SECONDO CAVALIERE: Eppure il Re, per sua carit,

E spinto dai vostri amici, offr clemenza,

Fece un patto di pace, e, ogni disputa finita,

Vi rimand nella vostra Sede, come chiedeste.

TERZO CAVALIERE: E seppellendo il ricordo delle vostre
trasgressioni

Vi restitu gli onori e le possessioni.

Tutto fu concesso di quanto supplicaste:

Ma, ripeto, come mostraste la vostra gratitudine?

PRIMO CAVALIERE: Sospendendo coloro che avevano coronato il
giovane principe,

Negando la legalit della sua coronazione.

SECONDO CAVALIERE: Legando con le catene dell'anatema.

TERZO CAVALIERE: Usando ogni mezzo in vostro potere per
convincere

I servi fedeli del Re, tutti coloro che trattano

I suoi affari in sua assenza, gli affari della nazione.

PRIMO CAVALIERE: Questi sono i fatti.

Dite perci se sarete contento

Di rispondere al cospetto del Re. Per questo noi fummo mandati.

TOMMASO: Non fu mai mio desiderio

scoronare il figlio del Re o scemarne

L'onore e il potere. Perch dovrebbe egli desiderare

Di privare il mio popolo di me e di tenermi lontano dai miei

E di comandarmi di stare in Canterbury, da solo?

Gli vorrei augurare tre corone non una.

E quanto ai vescovi, non mio il giogo

Imposto sopra di essi, non il mio da revocare.

Vadano dal Papa. Fu lui che li condann.

PRIMO CAVALIERE: Per voi furono sospesi.

SECONDO CAVALIERE: Venga da voi la riparazione.

TERZO CAVALIERE: Assolveteli.

PRIMO CAVALIERE: Assolveteli.

TOMMASO: Non nego

Che ci fu fatto per mio mezzo. Ma non son io

Che posso sciogliere coloro che il Papa leg.

Vadano da lui, sul quale ricade

Il loro disprezzo verso di me, il loro manifesto disprezzo verso
la Chiesa.

PRIMO CAVALIERE: Sia come si sia, ecco il comando del Re:

Che voi e i vostri servi ve n'andiate da questa terra.

TOMMASO: Se questo proprio il comando del Re, sar ardito

E dir: per sette anni il mio popolo fu privato

Della mia presenza; sette anni di miseria e di pena.

Per sette anni mendicando la carit straniera,

Mi trascinai all'estero: sette anni non sono brevi.

Non li riavr di nuovo quei sette anni.

Mai pi, non dovete aver dubbio alcuno,

Mai pi il mare fra il pastore e il suo gregge.

PRIMO CAVALIERE: La giustizia del Re, la maest del Re,

Voi state insultando con indegna grossolanit;

pazzo insolente, che nulla spaventa

Dal condannare i suoi servi e i suoi ministri.

TOMMASO: Non son io che insulto il Re,

E v' chi sta pi in alto di me e del Re.

Non son io, Becket della Contrada Mercanti,

Non contro di me, Becket, che voi contendete.

Ma la Legge della Chiesa di Cristo, il Giudizio di Roma.

PRIMO CAVALIERE: Prete, avete parlato con pericolo della vostra
vita.

SECONDO CAVALIERE: Prete, avete parlato con pericolo del
coltello.

TERZO CAVALIERE: Prete, avete parlato perfidia e tradimento.

I TRE CAVALIERI: Prete! traditore indurito nel misfatto.

TOMMASO: Sottopongo la mia causa al giudizio di Roma.

Ma se voi mi ucciderete, sorger dalla mia tomba

A sottoporre la mia causa al trono di Dio.



(Esce.)



QUARTO CAVALIERE: Prete! monaco! e servo! prendete, tenete,
frenate,

Trattenete quest'uomo, in nome del Re!

PRIMO CAVALIERE: O rispondete coi vostri corpi.

SECONDO CAVALIERE: Basta con le parole.

I QUATTRO CAVALIERI: Noi verremo per la giustizia del Re,
verremo con le spade.



(Escono.)



CORO: Io li ho fiutati, i portatori di morte, i sensi mi sono
stimolati

Da sottili presentimenti; ho udito

Suoni di flauti nella notte, suoni di flauti e civette, ho

Veduto nel meriggio

Ali squamose pendenti dall'alto, grandi e grottesche. Ho gustato

Sapore di putrida carne nel cucchiaio. Ho sentito

enfiarsi la terra al cader della notte, inquieta, assurda.

Ho udito

Risa nei rumori degli animali che fanno strani rumori: Lo
sciacallo, l'asino, la cornacchia; il fuggevole rumore del topo
e del gerbillo; il riso del tuffolo, uccello lunatico. Ho veduto

Grigi colli contorcersi, code di ratti attorcersi nella fosca
luce dell'alba. Ho mangiato

Lisce creature ancor vive, con il forte sapore salato delle cose
che vivono in mare; ho gustato

L'aragosta viva, il granchio, l'ostrica, il buccino, il gambero;
e vivono e figliano nelle mie viscere; e le viscere mi si
dissolvono nella luce dell'alba. Ho fiutato

La morte nella rosa, la morte nella malvarosa, nel pisello
odoroso, nel giacinto, nella primaverina e nella primula. Ho
veduto

Proboscide e corno, zanna e zoccolo, in luoghi strani; son
giaciuta nel fondo del mare e ho respirato con il respiro
dell'anemone marino, ho ingoiato con l'ingurgito della spugna.
Son giaciuta nel suolo e ho criticato il verme. Nell'aria

Agitata al passaggio del nibbio, son piombata col nibbio e mi
son rannicchiata con lo scricciolo. Ho sentito

L'antenna dello scarafaggio, la squama della vipera, la mobile
dura insensibile cute dell'elefante, il fianco evasivo del
pesce. Ho fiutato

Corruzione nel piatto, incenso nella latrina, la cloaca
nell'incenso, il profumo di dolce sapone nel sentiero del bosco,
un infernale dolce odore nel sentiero del bosco, mentre
s'enfiava il suolo. Ho veduto

Spire di luce avvolgersi nel basso, e raggiungere l'orror della
scimmia. Non sapevo non sapevo

Che cosa stava per accadere? Era qui, nella cucina, nel corridoio

Nella scuderia nel granaio nella stalla dei bovini nella piazza
del mercato

Nelle nostre vene nostre viscere nostri crani cos

Cos come nelle congiure dei potenti

Cos come nelle consultazioni delle potenze.

Quel ch' tessuto sul telaio del destino

Quel ch' tessuto nei consiglio dei principi

E' tessuto anche nelle nostre vene, nei nostri cervelli,

E' tessuto come una trama di vermi viventi

Nelle budella delle donne di Canterbury.



Io li ho fiutati, i portatori di morte; ora troppo tardi

Per l'azione, troppo presto per la contrizione.

Nulla possibile se non il vergognoso svenimento

Di coloro che consentono all'ultima umiliazione.

Io ho acconsentito, Signore Arcivescovo, ho acconsentito.

Sono strappata via, soggiogata, violata,

Unita alla carne spirituale della natura,

Signoreggiata dai poteri animali dello spirito,

Dominata dalla libidine dell'autodemolizione,

Dalla morte finale, estrema, dello spirito,

dall'estasi finale dello scempio e della vergogna.

O Signore Arcivescovo, o Tommaso Arcivescovo, perdonaci,
perdonaci, prega per noi, perch possiamo pregare per te, dalla
nostra vergogna.



(Entra TOMMASO.)



TOMMASO: Pace, e sia pace nei vostri pensieri e nelle vostre
visioni.

Queste cose dovevano accadervi e voi dovete accettarle.

Questa la vostra parte dell'eterno fardello

Della perpetua gloria. E' solo un momento,

Ma sappiate che un altro

Vi trafigger con subita gioia penosa

quando la figura del disegno di Dio sar compiuta.

Dimenticherete queste cose, faticando alle faccende di casa,

Le ricorderete, oziando presso il fuoco,

quando l'et e la dimenticanza addolciranno il ricordo

Come un sogno che fu spesso narrato

E spesso nel racconto si mut. Esse appariranno irreali.

Il genere umano non pu sopportare molta realt.



(Entrano i SACERDOTI.)



SACERDOTI: (Separatamente) Mio Signore, non dovete restar qui.
Al monastero. Attraverso il chiostro.

Non c' tempo da perdere. Stan tornando, armati.

All'altare, all'altare.

TOMMASO: Per tutta la mia vita stavano venendo, questi piedi.
Per tutta la mia vita

Ho atteso. La morte verr solo quando sar degno,

E se son degno, non v' pericolo.

Ho dunque soltanto da rendere perfetto il mio volere.

SACERDOTI: Mio Signore, vengono. Irromperanno fra poco. Sarete
ucciso. Venite all'altare.

Affrettatevi, mio Signore. Non fermatevi qui a parlare. Non
giusto.

Che avverr di noi, mio Signore, se sarete ucciso; che avverr
di noi?

TOMMASO: Pace! State quieti! ricordate dove siete, e ci che
avviene;

Nessun'altra vita si cerca qui fuor che la mia,

Ed io non sono in pericolo: son soltanto vicino alla morte.

SACERDOTI: Mio Signore, ai vespri! Non dovete stare assente dai
vespri. Non dovete essere assente dal divino ufficio. Nella
cattedrale!

TOMMASO: Andate ai vespri, ricordatevi di me nelle vostre
preghiere.

Troveranno il pastore qui; il gregge verr risparmiato.

Ho provato un fremito di beatitudine, un cenno d'intesa del
cielo, un murmure,

E non vorrei che mi sia negato pi a lungo; tutte le cose

Procedono verso una gioconda consumazione.

SACERDOTI: Prendetelo! forzatelo! trascinatelo!

TOMMASO: Tenete lontano le mani!

SACERDOTI: Ai vespri! In fretta.



(Lo trascinano fuori. Mentre il CORO parla, la scena vien
cambiata nella cattedrale.)



CORO: (Mentre il Dies Irae vien cantato da un coro in distanza.)

Torpida la mano e asciutto il ciglio,

Ancora orrore, ma pi orrore

Di quanto si strappa nel ventre.

Ancora orrore, ma pi orrore

Di quando si torcon le dita,

Di quando si spacca il cranio.

Pi che i rumori dei passi nell'andito,

Pi che l'ombra nella soglia,

Pi che la furia nella sala.

Gli agenti d'inferno scompaiono, gli umani si ritraggono e
dissolvono

In polvere nel vento, dimenticati, immemorabili; solo qui

La pallida faccia piatta della Morte, silente serva di Dio,

E dietro la faccia della Morte il Giudizio e dietro il Giudizio
il vuoto, pi orrido delle attive forme dell'Inferno;

Vuotezza, assenza, separazione da Dio;

L'orrore del viaggio senza sforzo, verso la vuota landa

Che non landa, solo vuotezza, assenza, il Vuoto

Dove quelli che furono uomini non posson pi volger la mente

a distrazione, a delusione, a fuga nel sogno, a pretesto,

Dove l'anima non pi ingannata, perch non vi sono oggetti,
non toni,

Non colori, non forme per distrarre, per sviare l'anima

Dalla visione di s, sudiciamente unita per sempre, nulla con
nulla,

Non ci che chiamiamo morte, ma ci che oltre la morte non
morte,

Temiamo, temiamo. Chi allora perorer per me,

Chi interceder per me, nel mio urgente bisogno?

Morto sull'albero mio Salvatore,

Non sia vano il Tuo dolore;

Aiutami, Signore, nell'ultimo timore.

Polvere sono, alla polvere tendo,

Dalla condanna finale imminente

Aiutami, Signore, che la morte vicina.



(Nella cattedrale. TOMMASO e SACERDOTI.)



SACERDOTI: Sbarrate la porta. Sbarrate la porta.

La porta sbarrata.

Siamo salvi. Siamo salvi.

Non ardiscono irrompere.

Non possono irrompere. Non ne hanno la forza.

Siamo salvi. Siamo salvi. TOMMASO: Disserrate le porte! Aprite
le porte!

Non voglio che la casa della preghiera, la chiesa di Cristo,

Il santuario, sia mutato in fortezza.

La Chiesa protegger i suoi, alla sua maniera, non

Come la quercia e la pietra; la pietra e la quercia si corrompono

Non danno saldezza, ma la Chiesa durer.

La chiesa dev'essere aperta, anche ai nostri nemici.

Aprite la porta!

SACERDOTI: Mio Signore! questi non sono uomini, questi non
vengono come vengono gli uomini, ma

Come bestie impazzite. Non vengono come uomini, che

Rispettano il santuario, che s'inginocchiano al Corpo di Cristo,

Ma come bestie. Voi spranghereste la porta

Contro il leone, il leopardo, il lupo o il cinghiale,

Perch non di pi contro bestie con le anime d'uomini dannati,
contro uomini

Che si dannerebbero ad essere bestie. Mio Signore! Mio Signore!

TOMMASO: Voi mi credete incauto, disperato e pazzo.

Voi concludete dai risultati, come fa il mondo,

Per decidere se un'azione buona o grama.

Vi rimettete al fatto. Ch ogni vita e ogni atto pu dimostrarsi
conseguenza di bene o di male.

E come nel tempo sono commisti i risultati di molti fatti

Cos alla fine si fanno confusi il bene ed il male.

Non nel tempo che la mia morte sar conosciuta;

La mia decisione presa fuori del tempo

Se chiamate decisione ci

Al quale tutto il mio essere dona pieno consenso.

Io do la mia vita

Per la Legge di Dio sopra la Legge dell'Uomo.

Disserrate la porta! Disserrate la porta!

Noi non siamo qui per trionfare con la lotta, con lo
stratagemma, o con la resistenza,

Non a combattere con bestie simili a uomini. Noi abbiamo
combattuto la bestia

E abbiamo vinto. Dobbiamo solo conquistare

Ora, con la sofferenza. Questa la vittoria pi facile.

Ora il trionfo della Croce, ora

Aprite la porta! Io lo comando. APRITE LA PORTA!



(La porta viene aperta. Entrano i CAVALIERI, alquanto brilli.)



SACERDOTI: Per di qui, mio Signore! Presto. Sulla scala.

Sul tetto. Nella cripta. Svelto. Venite. Forzatelo.

CAVALIERI: (Un verso ciascuno.) Dov' Becket, il traditore del
Re?

Dov' Becket, il prete intrigante?

Vieni gi Daniele nella fossa dei leoni,

Vieni gi Daniele per il marchio della bestia.



Vi siete lavato nel sangue dell'Agnello?

Vi siete marchiato col marchio della bestia?

Vieni gi Daniele nella fossa dei leoni,

Vieni gi Daniele ed unisciti alla festa.



Dov' Becket, il ragazzaccio della Contrada Mercanti?

Dov' Becket, il prete infedele?

Vieni gi Daniele nella fossa dei leoni,

Vieni gi Daniele ed unisciti alla festa.

TOMMASO: L'uomo giusto

Come audace leone, dovrebbe essere senza paura. Eccomi.

Non traditore del Re. Io sono prete

Un cristiano, salvato dal Sangue di Cristo,

Pronto a soffrire col mio sangue.

E' questo il segno della Chiesa, sempre

Il segno del sangue. Sangue per sangue.

Dato il Suo sangue per comprare la mia vita,

Dato il mio sangue per pagare la Sua morte.

La mia morte per la Sua morte.

PRIMO CAVALIERE: Assolvete tutti coloro che avete scomunicato.

SECONDO CAVALIERE: Rinunciate ai poteri che vi siete arrogato.

TERZO CAVALIERE: Ritornate al Re il danaro che vi siete
appropriato.

PRIMO CAVALIERE: Rinnovate l'obbedienza che avete violato.

TOMMASO: Per il mio Signore sono pronto ora a morire

E la Sua Chiesa abbia pace e libert.

Fate di me come volete, a vostro torto e vergogna;

Ma nessuno del mio popolo, nel nome di Dio,

O laico o chierico, toccherete.

Io lo proibisco.

CAVALIERI: Traditore! traditore! traditore!

TOMMASO: Voi, Reginaldo, tre volte traditore voi:

Traditore di me come mio vassallo temporale,

Traditore di me come vostro signore spirituale,

Traditore di Dio nel profanare la Sua Chiesa.

PRIMO CAVALIERE: Nessuna fedelt io debbo a un rinnegato,

E ci che debbo sar pagato subito.

TOMMASO: Ora, a Dio Onnipotente, alla Beata sempre

Vergine Maria, al Beato Giovanni Battista, ai santi apostoli
Pietro e Paolo, al Beato martire Dionigi e a tutti i Santi,
affido la mia causa e quella della Chiesa.



(Mentre i CAVALIERI lo uccidono si ode il)



CORO: Chiarite l'aria! pulite il cielo! lavate il vento!
separate pietra da pietra e lavatele.

La terra sozza, l'acqua sozza, le nostre bestie e noi stesse
insozzate di sangue.

Una pioggia di sangue m'ha accecato gli occhi. Dov'
l'Inghilterra? dov' il Kent? dov' Canterbury?

Oh lontano lontano lontano lontano nel passato; ed io vado
vagando in una landa di sterpi sterili: se li spezzo sanguinano;
vado vagando in una landa di aridi sassi: se li tocco sanguinano.

Come come posso mai tornare alle soavi stagioni tranquille?

Notte, resta con noi, fermati sole, trattienti stagione, non
venga il giorno, non venga la primavera.

Posso ancora guardare il giorno e le sue cose solite, e vederle
tutte imbrattate di sangue, attraverso una cortina di sangue che
cade?

Noi non volevamo che accadesse nulla

Noi capivamo la catastrofe privata,

La perdita personale la miseria generale,

Vivendo e in parte vivendo;

Il terrore della notte che termina nell'azione del giorno,

Il terrore del giorno che termina nel sonno;

Ma chiacchierare sulla piazza del mercato, con la mano sulla
scopa,

Ammucchiare le ceneri al cadere della sera,

Porre l'esca sul fuoco allo spuntar del giorno,

Questi gli atti che segnavano un limite al nostro soffrire.

Ogni orrore aveva la sua definizione,

Ogni dolore aveva una specie di fine:

Nella vita non v' tempo d'affannarsi a lungo.

Ma questo, questo fuori della vita, questo fuori del tempo,
Un'immediata eternit di male e d'ingiustizia.

Noi siamo sporche d'una sozzura che non possiamo detergere,
mischiata col verme soprannaturale,

Non siamo noi sole, non la sola casa, non la citt ch'
insozzata,

Ma il mondo che tutto sozzo.

Chiarite l'aria! pulite il cielo! lavate il vento! separate
pietra da pietra, separate la pelle dal braccio, separate il
muscolo dall'osso, e lavateli. Lavate la pietra lavate l'osso,
lavate il cervello, lavate l'anima, lavateli, lavateli!



(I CAVALIERI, compiuto l'assassinio, si avanzano sul proscenio e
si rivolgono agli spettatori.)



PRIMO CAVALIERE: Vi preghiamo di prestarci attenzione per pochi
istanti. Sappiamo che potete essere propensi a giudicare
sfavorevolmente la nostra azione. Siete inglesi, e perci
credete al "fair play", alla lealt del gioco: e quando vedete
che un uomo solo viene assalito da quattro, le vostre simpatie
vanno tutte al povero diavolo che ha la peggio. Io rispetto tali
sentimenti, e li condivido. Tuttavia, mi appello al vostro senso
dell'onore. Siete inglesi, e perci non vorrete giudicare
nessuno senza ascoltare ambedue le parti in causa. Ci s'accorda
con il nostro vecchio e tradizionale principio della giuria nei
processi. Io non ho i numeri per presentarvi il nostro caso.
Sono un uomo di fatti, non di parole. Perci non far che
presentarvi gli altri oratori, i quali, con la loro abilit, e
da differenti punti di vista, sapranno esporvi le circostanze
essenziali di questo problema estremamente complesso. Inviter
dapprima a parlare il nostro pi vecchio membro, mio vicino in
campagna: Barone Guglielmo de Traci.

TERZO CAVALIERE: Ho paura d'essere tutt'altro che quell'abile
parlatore che Reginaldo Fitz Urse vi vorrebbe far credere. Ma
v' una cosa che desidererei dirvi, e tant' che la dica subito.
E' questa: in ci che abbiamo fatto, e qualunque sia la vostra
opinione in merito, noi siamo stati perfettamente
disinteressati. (Gli altri CAVALIERI: ene! Bravo!) In tasca
"nostra" non ne verr nulla. Abbiamo molto di pi da perdere che
da guadagnare. Siamo quattro inglesi alla buona, che hanno messo
la loro patria innanzi a tutto. Ammetto che non abbiamo fatto
una buonissima impressione quando siamo comparsi. Il fatto che
sapevamo d'esserci sobbarcati ad un'impresa piuttosto ingrata.
Per parlare soltanto di me, avevo bevuto un poco: io che di
solito non sono uno che beve: per darmi forza. Quando si viene
all'atto, cosa che si fa contro voglia uccidere un
Arcivescovo, specialmente quando si stati allevati nelle buone
tradizioni della Chiesa. Se perci vi siamo sembrati un po'
villani, ne comprenderete il perch. E per conto mio ne sono
molto, molto dispiaciuto. Pur convinti che fosse nostro dovere,
abbiamo avuto bisogno di montarci. E, come dico, "noi" non ne
caviamo neppure un soldo per noi. Sappiamo benissimo come
andranno a finire le cose. Il Re Enrico: Dio lo benedica dovr
dire, per ragioni di stato, di non aver mai voluto che questo
accadesse; e chiss la polemica che verr fuori, noi nella
migliore delle ipotesi, dovremo passare all'estero il resto
della nostra vita. E anche quando le persone ragionevoli
giungeranno ad essere convinte che l'Arcivescovo "doveva" essere
liquidato: personalmente io avevo per lui una grandissima
ammirazione e avrete notato che bella figura ha fatto alla
fineper "noi" di gloria non ve ne sar punta. Per noi finita,
non c' sbaglio. Dunque, come ho detto fin da principio, dateci
almeno atto, vi preghiamo, di essere stati disinteressati in
questa faccenda. Mi pare che ci sia tutto quanto avevo da dire.

PRIMO CAVALIERE: Mi pare che dovremmo essere tutti d'accordo
che Guglielmo de Traci ha parlato bene e ha fissato un punto
molto importante. In sostanza il suo argomento questo: noi
siamo stati del tutto disinteressati. Ma la nostra azione ha
bisogno di essere giustificata maggiormente; ed necessario che
ascoltiate quello che diranno gli altri oratori. Invito dunque a
parlare Ugo de Morville, specialista negli studi di politica e
di diritto costituzionale. Sir Ugo de Morville.

SECONDO CAVALIERE: Innanzitutto vorrei riferirmi a un punto che
stato messo bene in chiaro dal nostro capo Reginaldo Fitz
Urse: che voi siete inglesi, e che perci le vostre simpatie
vanno sempre al povero diavolo che ha la peggio. E' lo spirito
inglese del "fair play". Ora, il degno Arcivescovo, le cui buone
qualit io ammiravo moltissimo, stato in tutto presentato come
colui che ha la peggio. Ma proprio questo il caso? Voglio fare
appello non alle vostre emozioni ma alla vostra ragione. Voi
siete gente sensata, e con la testa a posto, come vedo, e non vi
lasciate accalappiare da un colpo di scena. Vi prego dunque di
considerare con calma: quali erano le mire dell'Arcivescovo? e
quali sono le mire di Re Enrico? Nella risposta a queste domande
sta la chiave del problema.

Lo scopo del Re stato conseguente in modo perfetto. Durante il
regno della defunta regina Matilde e l'irruzione dell'infelice
usurpatore Stefano, il reame si trov molto diviso. Il nostro Re
vide che l'unica cosa necessaria era di ristabilire l'ordine:
frenare i poteri esagerati delle amministrazioni locali, che di
solito venivano esercitati a scopi egoistici e spesso sediziosi,
e dare una sistemazione all'amministrazione della giustizia.
Egli voleva che Becket, il quale si era dimostrato abilissimo
amministratore: nessuno lo nega: unisse gli uffici di
Cancelliere e di Arcivescovo. Se Becket fosse andato incontro ai
desideri del Re, avremmo avuto uno stato quasi ideale: avremmo
avuto l'unione dell'amministrazione spirituale e di quella
temporale, sotto un governo centrale. Io conobbi bene Becket, in
varie relazioni ufficiali, e posso dire di non aver mai
conosciuto un uomo cos adatto per il pi alto grado
dell'amministrazione civile. Ma che cosa avvenne? Appena Becket,
ad istanza del Re, venne fatto Arcivescovo, si dimise dalla
carica di Cancelliere, divenne pi pretesco dei preti, adott un
tenore di vita ostentatamente e offensivamente ascetico, afferm
immediatamente che esisteva un ordine pi alto di quello che il
nostro Re, e che egli stesso come servitore del Re, si erano
sforzati per tanti anni di stabilire; e che: Dio sa perch: i
due ordini erano incompatibili.

Converrete che una simile intromissione da parte
dell'Arcivescovo offende gli istinti di un popolo come il
nostro. Fin qui, so di avere la vostra approvazione: ve la leggo
negli occhi. E' soltanto sulle misure che abbiamo dovuto
adottare, per mettere le cose a posto, che voi potete non
convenire. A nessuno dispiace pi che a noi d'essere obbligati
ad usare violenza. Sfortunatamente vi son tempi nei quali la
violenza l'unico modo per poter assicurare la giustizia
sociale. In altri tempi voi condannereste un Arcivescovo con un
voto del Parlamento e lo decapitereste con tutte le forme come
traditore, e nessuno porterebbe la taccia di assassino. Pi
tardi, poi, neppure queste misure temperate sarebbero
necessarie. Ma, se voi siete ora arrivati a una giusta
subordinazione delle pretese della Chiesa al benessere dello
stato, ricordatevi che siamo stati noi a fare il primo passo.
Noi siamo stati come gli strumenti per la creazione di quello
stato di cose che approvate. Abbiamo servito i vostri interessi;
meritiamo il vostro plauso; e se in questo affare v' una colpa,
voi dovete dividerla con noi.

PRIMO CAVALIERE: Morville vi ha fornito molta materia di
riflessione. Mi pare che abbia detto quasi l'ultima parola, per
coloro che son stati capaci di seguire il suo ragionamento
sottilissimo. Per abbiamo ancora un altro oratore, il quale
credo che abbia un altro punto di vista da esprimere. Se vi sono
alcuni non ancora convinti, credo che Riccardo Brito, il quale
viene da una famiglia famosa per la sua lealt verso la Chiesa,
sar capace di convincerli. Riccardo Brito.

QUARTO CAVALIERE: Gli oratori che mi hanno preceduto, per non
dir nulla del nostro capo, Reginaldo Fitz Urse, hanno tutti
parlato molto a proposito. Io non ho nulla da aggiungere al filo
delle loro argomentazioni. Quel che ho da dire potrebbe prendere
la forma di una domanda: Chi ha ucciso l'Arcivescovo? Siccome
siete stati testimoni oculari di questa scena deplorevole,
proverete forse una certa sorpresa all'udirmi porre la domanda
in questo modo. Ma considerate il corso degli eventi. Sono
obbligato, molto brevemente, a ritornare sopra il sentiero
calcato dal precedente oratore. Mentre il defunto Arcivescovo
era Cancelliere, nessuno, presso il Re, fece di pi per dare
saldezza alla nazione, per conferirle l'unit la stabilit,
l'ordine, la tranquillit, e la giustizia delle quali si sentiva
cos forte il bisogno. Dal momento che fu fatto Arcivescovo,
rovesci in pieno la sua politica, si dimostr indifferente al
massimo grado per il destino del paese, fino ad essere, di
fatto, un mostro d'egoismo. Codesto egoismo aument sempre pi
in lui, fino a diventare un'indubbia mania. Io ho prove
incontestabili che prima di

lasciare la Francia egli profetizz chiaramente, alla presenza
di numerosi testimoni, che non aveva molto da vivere, e che
sarebbe stato ucciso in Inghilterra. Us di ogni sorta di
provocazione; dalla sua condotta, passo per passo, non si pu
concludere se non che aveva deciso di morire martire. Anche
negli ultimi momenti, avrebbe potuto darci ragione: avete visto
come eluse le nostre domande. E anche dopo averci
deliberatamente esasperati oltre ogni umana sopportazione,
avrebbe potuto facilmente fuggire; avrebbe potuto tenersi
lontano da noi quel tanto da permettere alla nostra giusta
collera di raffreddarsi. Ma era proprio ci che non voleva che
avvenisse; insistette, mentre noi eravamo ancora infiammati
dall'ira, perch si aprissero le porte. E' necessario dire di
pi? Io credo, con questi fatti davanti a voi, che emetterete
senza esitare il verdetto di Suicidio per Infermit di Mente. E'
l'unico verdetto caritatevole che potete emettere sopra uno che
fu, dopo tutto, un grande uomo.

PRIMO CAVALIERE: Grazie, Brito. Credo che non vi sia pi nulla
da dire; e vi consiglio di sciogliervi chetamente e di recarvi
alle vostre case. Vi prego di star bene attenti a non indugiare
in gruppi agli angoli delle vie, e di non far nulla che possa
provocare una pubblica sedizione.



(I CAVALIERI escono.)



PRIMO SACERDOTE: O padre, padre, dipartito da noi, perduto per
noi,

Come faremo a trovarvi, da qual lontano luogo

Guardate gi verso di noi? Voi ora in Cielo

Chi ci guider, chi ci protegger, chi ci dirige?

Dopo qual viaggio, attraverso quale altro terrore

Riavremo la vostra presenza? quando erediteremo

La vostra forza? La Chiesa giace orbata,

Sola, sconsacrata, desolata, e i pagani costruiranno sulle
rovine,

Il loro mondo senza Dio. Lo vedo. Lo vedo.

TERZO SACERDOTE: No. Perch la Chiesa pi forte per questo
fatto,

Trionfante nell'avversit. E' rafforzata

Dalla persecuzione: suprema, fin che gli uomini moriranno per
essa. Andate, uomini deboli e tristi, perdute anime erranti,
senza tetto in terra n in cielo. Andate dove il tramonto
arrossa l'estrema roccia grigia Di Bretagna, o le Porte d'Ercole.

Andate ad arrischiare naufragio sulle coste cupe

Dove i negri fanno schiavi i cristiani;

Andate nei mari del nord dai confini di ghiaccio

Dove un alito morto intirizzisce la mano, e fa torpido il
cervello;

Trovate un'oasi nel sole del deserto,

Andate a far combutta col Saraceno pagano

A prender parte ai suoi sordidi riti, e tentare di ghermire

La dimenticanza nelle sue corti libidinose,

L'oblio nella fontana presso la palma del dattero;

O sedetevi a mordervi le unghie in Aquitania.

Nel breve cerchio di pena dentro il cranio

Dovrete sempre errare calcando un infinito giro

Di pensiero, per giustificare a voi stessi la vostra azione,

Tessendo una finzione che si sfila mentre tessete,

Vagando per sempre nell'inferno del far credere

Che non mai credere: questo il vostro destino in terra

E noi non dobbiamo pensare pi oltre a voi.

PRIMO SACERDOTE: O mio Signore

La cui gloria nel novello stato ci nascosta,

Pregate per noi nella vostra carit.

SECONDO SACERDOTE: Ora nella visione di Dio

Congiunto a tutti i santi e ai martiri che vi hanno preceduto,

Ricordatevi di noi.

TERZO SACERDOTE: Salgano le nostre grazie

A Dio, che ci ha dato un altro Santo in Canterbury.

CORO: (Mentre un Te Deum vien cantato in latino da un coro in
lontananza.) Noi Ti lodiamo, Dio, per la Tua gloria dispiegata
in tutte le creature della terra,

Nella neve, nella pioggia, nel vento, nella tempesta; in tutte
le Tue creature, i cacciatori come le prede.

Ch tutte le cose esistono soltanto come viste da Te, solo come
conosciute da Te, tutte le cose esistono

Soltanto nella Tua luce, e la Tua gloria vien dichiarata anche
da ci che Ti nega; la tenebra dichiara la gloria della luce.

Coloro che Ti negano non potrebbero negare, se Tu non esistessi;
e la loro negazione non mai completa, ch se cos fosse, essi
non esisterebbero.

Essi vivendo Ti affermano; tutte le cose vivendo Ti affermano:
l'uccello nell'aria, falco e fringuello: l'animale sulla terra,
lupo ed agnello; il verme sotto il suolo e il verme nel ventre.

Perci l'uomo, che Tu hai fatto perch sia cosciente di Te, deve
lodarTi con coscienza, nel pensiero e nella parola e nell'opera.

Anche con la mano alla scopa, piegata la schiena nell'apprestare
il fuoco, piegato il ginocchio per spazzare il focolare, noi, le
donne di Canterbury, che spazzano e strofinano,

La schiena piegata sotto la fatica, il ginocchio piegato sotto
il peccato, le mani sul volto sotto il timore, la testa piegata
sotto il dolore

Perfino in noi le voci delle stagioni, il soffiare dell'inverno,
il canto della primavera, il ronzio dell'estate, le voci degli
animali e degli uccelli, Ti lodano.

Noi Ti ringraziamo per le Tue misericordie di sangue, per la Tua
redenzione di sangue. Perch il sangue dei Tuoi martiri e santi
Arricchir la terra, creer i luoghi santi.

Ch dove un santo ha abitato, dove un martire ha dato il suo
sangue per il sangue di Cristo,

L il suolo santo, e la santit non si partir da esso

Se pure lo calpestino gli eserciti, se pure i turisti verranno a
visitarlo con le guide;

Da dove i mari dell'ovest rodono la costa di Iona,

Fin dove si muore nel deserto, fin dove si prega nei luoghi
obliati presso la rotta colonna imperiale,

Da quel suolo scaturisce ci che per sempre rinnova la terra

Se pure per sempre rinnegato. Perci, Dio, noi Ti ringraziamo

Che hai dato una tale benedizione a Canterbury.

Perdonaci, o Signore, noi ci riconosciamo come il tipo dell'uomo
comune,

Degli uomini e delle donne che chiudono la porta e siedono
presso il fuoco;

Che temono la benedizione di Dio, la solitudine della notte di
Dio, la resa intimata, la privazione inflitta;

Che temono l'ingiustizia degli uomini meno della giustizia di
Dio;

Che temono la mano alla finestra, il fuoco nella paglia del
tetto, il pugno nella taverna, la spinta nel canale,

Meno che non temiamo l'amore di Dio.

Riconosciamo il nostro fallo, la nostra debolezza, la nostra
colpa; riconosciamo

Che il peccato del mondo sulla nostra testa, che il sangue dei
martiri e l'agonia dei santi

E' sulla nostra testa.

Signore, abbi piet di noi.

Cristo, abbi piet di noi.

Signore, abbi piet di noi.

Beato Tommaso, prega per noi.







NOTA INFORMATIVA.



E' all'universit di Harvard, dove divenne studente nel 1906, e
a contatto con la fervida cultura bostoniana degli anni
precedenti alla Prima guerra mondiale che Thomas Stearns Eliot
(Saint Louis, Missouri, 26 settembre 1888: Londra, 4 gennaio
1965) trova le prime significative radici della propria
formazione. Erano gli anni del "secondo rinascimento americano",
e proprio mentre a Harvard insegnavano George Santayana e Irving
Babbitt la filosofia di F.H. Bradley, nel generale indirizzo
laico e nella ripresa di un eclettismo curioso e raffinato che
permetteva un nuovo avvicinamento ai testi danteschi come
all'opera dei poeti metafisici inglesi del Seicento, era
profondamente sentita.

Nell'intensa atmosfera del New England, Eliot si apre a tutta
una serie di influenze e suggestioni che includono, oltre ai
fondamentali Santayana e Bradley, anche Henry James, Browning, i
mistici medievali, le ricerche etnologiche, le religioni
orientali, i simbolisti francesi, tra i quali due in
particolare, Tristan Corbire e Jules Laforgue, lasciarono
profonde tracce sulla formazione dello scrittore.

Nel 1910-1911 Eliot visse a Parigi, dove frequent la Sorbona e
conobbe Alain Fournier, l'autore di "Le Grand Meulnes" e Jacques
Rivire, critico letterario e direttore della "Nouvelle Revue
Franaise"; seguirono altri tre anni a Harvard dove fu nominato
assistente di filosofia, un soggiorno in Germania con una borsa
di studio e quindi Oxford, nell'inverno 1914. Nel 1915 si spos
e si trasfer a Londra, dove insegn le materie pi varie (dal
francese al disegno, al nuoto al "baseball") e si impieg
successivamente alla Lloyds Bank.

Nel 1917 pubblic la prima raccolta di versi, "Prufrock and
Other Observations" ("Prufrock e altre osservazioni") e nel
1922, "per Ezra Pound, il miglior fabbro" (questo l'epiteto
dantesco che Eliot gli diede dopo che l'ebbe conosciuto a
Londra) pubblic il poemetto "The Waste Land" ("La terra
desolata"), il suo primo risultato assolutamente pieno e maturo.

Profondamente calati nel clima drammatico e smarrito del
dopoguerra si riconoscono qui i grandi motivi della poesia
eliotiana: il rifiuto dell'attivit artistica come evasione e
risarcimento personale e, di contro, il nesso strettissimo tra
"emozione" e "fatti esterni" (da cui la teorizzazione del
"correlativo oggettivo"); il legame necessario, organico, tra
lavoro artistico e riflessione e formulazione critica; la
centralit dell'idea di tradizione ("la concezione della
poesia," sono parole dello stesso Eliot, "come di una vivente
unit di tutte le poesie che sono state scritte"); la ricerca
poetica come rigoroso esercizio linguistico e, nello stesso
tempo, come costruzione di nuovi rapporti tra uomini e cose.
Aggiungeremo solo che tutto ci colloca Eliot tra i massimi
maestri della poesia moderna e contemporanea.

Accompagnata, come s' appena detto, da una cospicua attivit di
critico e di saggista: ricordiamo "The Sacred Wood" ("Il bosco
sacro", 1920), "Dante" (1929), "The Use of Poetry and the Use of
Criticism" ("L'uso della poesia e l'uso della critica", 1933),
"Elizabethan Essays" ("Saggi elisabettiani", 1934), "Notes
Towards the Definition of Culture" ("Appunti per una definizione
della cultura," 1948), "Essays on Poets and Poetry" ("Sulla
poesia e sui poeti", 1957): la poesia di Eliot (che nel
frattempo ha cominciato a lavorare come operatore editoriale) si
carica di pi espliciti contenuti etico-morali a partire dal
1927, l'anno della sua adesione al ramo anglo-cattolico della
Chiesa anglicana: purgazione e redenzione, relazione tra
apparenze materiali e verit spirituale, ricerca della perfetta
fede e ansia di "costruire qualche cosa di cui allietarsi" sono
i fili conduttori di "Ash-Wednesday" ("Mercoled delle ceneri"),
del 1930 e dei "Four Quartets" ("Quattro Quartetti"), composti
tra il 1935 e il 1942 e pubblicati nel 1943.

Agli stessi aspetti delle opere poetiche e, in particolare alle
intenzioni maturate dopo la scelta religiosa, si ricollega anche
la sua produzione teatrale. Preannunciata nei frammenti dello
"Sweeney Agonistes" ("Sweeney Agonista"), del 1932 e nei cori di
"The Rock" (Cori da "La Rocca"), del 1934, oltre che da un buon
numero di scritti teorici, essa si articola per pi di un
ventennio, da "Murder in the Cathedral" ("Assassinio nella
Cattedrale"), del 1935, a "The Elder Statesman" ("Il grande
statista"), del 1959, attraverso "The Family Reunion" ("La
riunione di famiglia"), "The Cocktail Party" ("Il cocktail
party") e "The Confidential Clerk" ("L'impiegato di fiducia").

Nel 1948 Thomas Stearns Eliot ha ottenuto il Premio Nobel. Tutto
il suo teatro, gran parte della sua opera poetica e saggistica,
sono pubblicati in Italia da Bompiani.



ASSASSINIO NELLA CATTEDRALE.



Scrive Eliot nel suo "Dialogue on Dramatic Poetry", del 1928:
"Quando un'epoca possiede una pratica e una fede religiosa
stabile, allora il dramma pu e dovrebbe tendere verso il
realismo... Pi facili, pi caotiche sono le convinzioni etiche
e religiose, e pi il dramma deve tendere nella direzione della
liturgia"; e chiarisce in tal modo sia le ragioni della propria
opzione per un teatro di "parola", di "poesia",
"antinaturalistico" (almeno nel senso che il termine era venuto
acquistando in Inghilterra e nel resto d'Europa tra Ottocento e
Novecento), destinato al dibattito e alla riflessione piuttosto
che alla vera e propria azione scenica; sia il carattere
esplicito di "sacra rappresentazione" di "Assassinio nella
Cattedrale", la cui prima rappresentazione risale al giugno
1935, a Canterbury, e in Italia nel 1946.

"The Murder in the Cathedral", la prima opera teatrale vera e
propria di Eliot. Il dramma, che si riferisce all'uccisione nel
1170 dell'arcivescovo Thomas Becket nella cattedrale di
Canterbury per opera di quattro Cavalieri di re Enrico, pur
tenendo conto del contesto storico si manifesta subito come
conflitto spirituale del martire predestinato di fronte alla
morte imminente. Nel suo sviluppo, in un intreccio nel quale i
Sacerdoti, il Coro e i Tentatori "recitano" quasi a responsorio
i momenti dell'analisi di Becket su se stesso e ne precisano il
senso con rimandi a immagini e concetti che erano gi apparsi in
"The Waste Land" e saranno ripresi nei "Four Quartets", il
discorso affronta il rapporto delle categorie dell'azione e
della sofferenza come elementi dialettici di una vocazione alla
santit che appare spinta dall'ambizione. In modo indiretto ma
facilmente riconoscibile, si avverte un'allusione ai dubbi
tormentosi del Cristo nell'Orto di Getsemani, e l'Arcivescovo
dovr prendere atto di una contraddizione che per essere solo
apparente non per questo meno profonda e perturbatrice (la
passivit come azione nella necessit di rimettersi alla volont
di Dio), in un meccanismo di tensioni oppositive avviate a un
fine tanto oscuro quanto inevitabile e perfetto: a specchio del
dramma cristiano della caduta e della rigenerazione il cui ciclo
ritmato dal Coro, nel "salto" fra umano e divino mimato da
quella stessa lotta fra potere temporale e potere spirituale il
cui tema fornito dagli eventi storici. Nella prima parte, lo
strenuo dibattito psicologico, morale, solo marginalmente
politico, che ha luogo in Becket prende significativamente corpo
in personaggi (soprattutto i quattro Tentatori) che sono
esplicite proiezioni della coscienza del protagonista, e
attraverso la decisione di Becket di rinunciare all'azione
sottolinea i motivi della sofferenza, pi o meno direttamente
sperimentati ("vivendo e in parte vivendo...") dal Coro delle
donne di Canterbury. Nella prima parte, pur nel crescendo
drammatico dell'avvicinarsi della morte, con un ricordo della
"imminenza dell'orrore" riferita da Aristotele alla "Ifigenia in
Tauride", e dell'avvicendarsi di tentazioni che toccano sempre
pi da vicino la vera natura del pensiero e del carattere del
protagonista (e che il quarto Tentatore, inatteso, rivela essere
dominati dall'orgoglio: "Ma non v' strada... che non conduca a
dannazione nell'orgoglio?"), ogni personaggio si mostra come un
"tipo", ha funzione di commento o di alter ego, si nega a
sviluppi psicologici autonomi. Tuttavia il conflitto interiore
della prima parte, dopo che Becket avr compreso che "l'ultima
tentazione il pi grande tradimento: / Compiere la retta
azione per uno scopo sbagliato", e dopo la predica natalizia
dell'Intermezzo ("un martirio non mai un disegno d'uomo"),
fondamentale affinch si giustifichi il conflitto reale,
concreto, della seconda parte; e al superamento delle
motivazioni portate dai Tentatori ("l'ambizione... opera con
frode, con lusinga, con violenza," dir Becket nella predica)
faccia seguito il superamento delle tentazioni ancora pi
pericolose offerte dai quattro Cavalieri.

Come stato notato, l'esigua trama storica di "Murder in the
Cathedral", che in un primo tempo Eliot sembra abbia pensato di
chiamare "The Archbishop Murder Case", in qualche modo non pi
che un pretesto per costruire una sacra rappresentazione di
tematica concettuale assai pi vasta. In quanto martire, Becket
associabile a Cristo esattamente come i Tentatori,
risollevando nell'Arcivescovo le non segrete ambizioni terrene,
sono associabili al Maligno. Mentre le donne di Canterbury ("noi
ci riconosciamo come il tipo dell'uomo comune... / riconosciamo
/ Che il peccato del mondo sulla nostra testa") rappresentano
il genere umano caduto e recitano a imitazione di Becket quella
lotta interiore che Becket recita in imitazione di Cristo. E
come la correlazione istituita fra l'Arcivescovo e il Coro
evidenzia il dualismo fra tempo e eternit, durata e flusso,
carne e spirito, azione attraverso la sofferenza e sofferenza
attraverso un'azione il cui agire risiede alla fine nel non
agire solo cos consentendo che la purificazione di Becket si
estenda al genere umano e il suo sacrificio sia compiuto non a
salvezza dei propri peccati ma dei peccati del mondo, cos la
persecuzione dei Cavalieri riflette la necessaria traduzione in
martirio della persecuzione psicologica dei Tentatori, e gli uni
e gli altri divengono strumenti di quella volont di Dio alla
quale Becket deve adeguare la propria. "In Murder in the
Cathedral", per la prima volta, la poesia di Eliot aderisce a
uno dei momenti pi alti rintracciati dall'autore nel modello
dantesco: "E 'n la Sua voluntade nostra pace".







Per l'opera di T.S. Eliot in lingua italiana il lettore pu fare
riferimento alle seguenti pubblicazioni:



POESIA.

"Poesie", a cura di Roberto Sanesi, Milano, Bompiani, 1961.

"Il libro dei gatti tuttofare", a cura di Roberto Sanesi,
Milano, Bompiani, 1963.

"La terra desolata", a cura di Alessandro Serpieri, Milano,
Rizzoli, 1981.



TEATRO.

"Teatro", a cura di A. Castelli e S. Rosati, Milano, Bompiani,
1958.



SAGGISTICA.

Dante, a cura di L. Berti, Parma, Guanda, 1942.

"L'idea di una societ cristiana", a cura di A. Linder e L. Fo,
Milano, Edizioni di Comunit, 1948.

"Saggi elisabettiani", a cura di A. Obertello, Milano, Bompiani,
1947.

"Appunti per una definizione della cultura", a cura di G.
Manganelli, Milano, Bompiani, 1952.

"Sulla poesia e sui poeti", a cura di A. Giuliani, Milano,
Bompiani, 1959.

"Il bosco sacro", trad. di V. Di Giuro e A. Obertello, Milano,
Bompiani, 1967; trad. di R. Sanesi, Milano, Fabbri, 1967.

"L'uso della poesia e l'uso della critica", a cura di R. Sanesi
Milano, Bompiani, 1974.









SECONDA PARTE.

TRATTA DA "POESIE" A CURA DI ROBERTO SANESI, BOMPIANI 1961.





SOMMARIO.



Nota biografica.



POESIE.



DA RUFROCK E ALTRE OSSERVAZIONI(1917).

- Il canto d'amore di J. Alfred Prufrock.

- Ritratto di signora.

- Preludi.

- Rapsodia su una notte di vento.

- Mattino alla finestra

- Il oston Evening Transcript
- Zia Helen.

- La cugina Nancy.

- Il Signor Apollinax.

- "Conversation Galante".

- La Figlia che Piange.



LA TERRA DESOLATA (1922).

- 1. La sepoltura dei morti.

- 2. Una partita a scacchi.

- 3. Il sermone del fuoco

- 4. La morte per acqua

- 5. Ci che disse il tuono

- Note a a terra desolata





NOTA BIOGRAFICA.





Thomas Stearns Eliot nasce il 26 settembre 1888 a Saint Louis,
nel Missouri (USA): grande citt industriale dove suo padre
occupava una posizione eminente nel mondo degli affari.
Discende, sia dal lato paterno sia da quello materno, da
famiglie di antica origine anglosassone che avevano fatto parte
dei primi coloni sbarcati nella Nuova Inghilterra. Un suo
antenato, Andrew Eliot ( 1627-1704) si era trasferito nel
Massachusetts muovendo dal piccolo villaggio di East Coker, nel
Somerset, in Gran Bretagna, nel 1670. Profondamente religioso,
onestissimo, aveva acquistato subito una posizione importante
nella comunit di Beverly, dove viveva, tanto che era stato
chiamato a far parte della giuria al famoso processo contro le
streghe di Salem. Un altro suo antenato, A. Eliot (1718-78)
ministro del culto episcopale, si era visto offrire la carica di
preside dell'universit di Harvard, ma l'aveva rifiutata per non
abbandonare la comunit religiosa che da lui dipendeva. Sua
madre discendeva da Isaac Stearns che, nel 1630, aveva fatto
parte del gruppo di colonizzatori della Bay Colony nel
Massachusetts. I diretti ascendenti del poeta sono: per
generazioni: solidi mercanti, studiosi, ecclesiastici. La sua
famiglia occupa: da sempre: una posizione notevole nella
piccola chiusa, puritana, societ di Boston. Il nonno di Thomas,
il reverendo William Greenleaf Eliot (1811-87), uscito dalla
Scuola di Teologia di Harvard, nel 1834 si trasferisce a Saint
Louis fondandovi la prima chiesa unitaria e l'universit
Washington, di cui diventa hancellornel 1872. Il suo
secondogenito Henry Ware (1841-1919) si laurea in quella
universit nel 1863 e nel 1868 sposa Charlotte Chauncy Stearns
(1843-1930), figlia di un commerciante di Boston. Donna di
"vivaci interessi spirituali", Charlotte compone una lunga e
minuziosa storia della vita del celebre suocero e un poema
drammatico, "Savonarola", che il poeta fa pubblicare: corredato
da una propria introduzione: nel 1926.

Thomas, settimo e ultimo figlio di Henry e Charlotte, passa a
Saint Louis i primi diciotto anni della sua vita. Frequenta
l'Accademia Smith e il Collegio Milton di quella citt, come ha
gi fatto l'unico suo fratello otto anni prima; e si prepara ad
entrare all'universit di Harvard. E' al Massachusetts che si
riallaccia tutta la tradizione della sua famiglia, saldamente
radicata alla ristretta ma notevolmente intellettuale societ di
Boston, dalla Nuova Inghilterra che Thomas si sente
singolarmente attratto, dai suoi panorami, dall'oceano, dalla
sua lite aristocratica, che verranno rievocati nella sua poesia
fino agli anni della vecchiaia.



POESIE TRATTE DA "POESIE" A CURA DI ROBERTO SANESI, CASA
EDITRICE VALENTINO BOMPIANI 1961.





Da: PRUFROCK E ALTRE OSSERVAZIONI.

(1917)



Per Jean Verdenal 1889-1915

mort aux Dardanelles.



r puoi la quantitate

Comprender dell'amor che a te mi scalda,

Quando dismento nostra vanitate,

Trattando l'ombre come cosa salda.


(Dante, Purgatorio, 21, 133-136).





IL CANTO D'AMORE DI J. ALFRED PRUFROCK.



"S'io credesse che mia risposta fosse

A persona che mai tornasse al mondo,

Questa fiamma staria senza pi scosse.

Ma perciocch giammai di questo fondo

Non torn vivo alcun, s'i' odo il vero,

Senza tema d'infamia ti rispondo".



Allora andiamo, tu ed io,

Quando la sera si stende contro il cielo

Come un paziente eterizzato disteso su una tavola;

Andiamo, per certe strade semideserte,

Mormoranti ricoveri

Di notti senza riposo in alberghi di passo a poco prezzo

E ristoranti pieni di segatura e gusci d'ostriche;

Strade che si succedono come un tedioso argomento

Con l'insidioso proposito

Di condurti a domande che opprimono...

Oh, non chiedere osa?
Andiamo a fare la nostra visita.



Nella stanza le donne vanno

Parlando di Michelangelo.



La nebbia gialla che strofina la schiena contro i vetri,

Il fumo giallo che strofina il suo muso contro i vetri

Lamb con la sua lingua gli angoli della sera,

Indugi sulle pozze stagnanti negli scoli,

Lasci che gli cadesse sulla schiena la fuliggine che cade dai
camini,

Scivol sul terrazzo, spicc un balzo improvviso,

E vedendo che era una soffice sera d'ottobre

S'arricciol attorno alla casa, e cadde in sonno.



E di sicuro ci sar tempo

Per il fumo giallo che scivola lungo la strada

Strofinando la schiena contro i vetri;

Ci sar tempo, ci sar tempo

Per prepararti una faccia per incontrare le facce che incontri;

Ci sar tempo per uccidere e creare,

E tempo per tutte le opere e i giorni delle mani

Che sollevano e lasciano cadere una domanda sul tuo piatto;

Tempo per te e tempo per me,

E tempo anche per cento indecisioni,

E per cento visioni e revisioni,

Prima di prendere un t col pane abbrustolito.



Nella stanza le donne vanno e vengono

Parlando di Michelangelo.



E di sicuro ci sar tempo

Di chiedere, osso osare?e, osso osare?
Tempo di volgere il capo e scendere la scala,

Con una zona calva in mezzo ai miei capelli -

(Diranno: ome diventano radi i suoi capelli!

Con il mio abito per la mattina, con il colletto solido che
arriva fino al mento,

Con la cravatta ricca e modesta, ma asserita da un semplice
spillo -

(Diranno: ome gli son diventate sottili le gambe e le
braccia!

Oser

Turbare l'universo?

In un attimo solo c' tempo

Per decisioni e revisioni che un attimo solo invertir

Perch gi tutte le ho conosciute, conosciute tutte: -

Ho conosciuto le sere, le mattine, i pomeriggi,

Ho misurato la mia vita con cucchiaini da caff;

Conosco le voci che muoiono con un morente declino

Sotto la musica giunta da una stanza pi lontana.

Cos, come potrei rischiare?



E ho conosciuto tutti gli occhi, conosciuti tutti -

Gli occhi che ti fissano in una frase formulata,

E quando sono formulato, appuntato a uno spillo,

Quando sono trafitto da uno spillo e mi dibatto sul muro

Come potrei allora cominciare

A sputar fuori tutti i mozziconi dei miei giorni e delle mie
abitudini?

Come potrei rischiare?



E ho gi conosciuto le braccia, conosciute tutte -

Le braccia ingioiellate e bianche e nude

(Ma alla luce di una lampada avvilite da una leggera peluria
bruna!)

E' il profumo che viene da un vestito

Che mi fa divagare a questo modo?

Braccia appoggiate a un tavolo, o avvolte in uno scialle.

Potrei rischiare, allora ?

Come potrei cominciare?



..........................

Direi, ho camminato al crepuscolo per strade strette

Ed ho osservato il fumo che sale dalle pipe

D'uomini solitari in maniche di camicia affacciati alle
finestre?...



Avrei potuto essere un paio di ruvidi artigli

Che corrono sul fondo di mari silenziosi.



...........................

E il pomeriggio, la sera, dorme cos tranquillamente!

Lisciata da lunghe dita,

Addormentata... stanca... o gioca a fare la malata,

Sdraiata sul pavimento, qui fra te e me.

Potrei, dopo il t e le paste e i gelati,

Aver la forza di forzare il momento alla sua crisi?

Ma sebbene abbia pianto e digiunato, pianto e pregato,

Sebbene abbia visto il mio capo (che comincia un po' a perdere i
capelli)

Portato su un vassoio,



Io non sono un profeta: e non ha molta importanza;

Ho visto vacillare il momento della mia grandezza,

E ho visto l'eterno Lacch reggere il mio soprabito ghignando,

E a farla breve, ne ho avuto paura.



E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,

Dopo le tazze, la marmellata e il t,

E fra la porcellana e qualche chiacchiera

Fra te e me, ne sarebbe valsa la pena

D'affrontare il problema sorridendo,

Di comprimere tutto l'universo in una palla

E di farlo rotolare verso una domanda che opprime,

Di dire: o sono Lazzaro, vengo dal regno dei morti,

Torno per dirvi tutto, vi dir tutto-

Se una, mettendole un cuscino accanto al capo

Dicesse: on per niente questo che volevo dire.

Non questo, per niente.


E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,

Ne sarebbe valsa la pena,

Dopo i tramonti e i cortili e le strade spruzzate di pioggia,

Dopo i romanzi, dopo le tazze da t, dopo le gonne strascicate
sul pavimento -

E questo, e tante altre cose? -

E' impossibile dire ci che intendo!

Ma come se una lanterna magica proiettasse il disegno dei nervi
su uno schermo:

Ne sarebbe valsa la pena

Se una, accomodandosi un cuscino o togliendosi uno scialle,

E volgendosi verso la finestra, dicesse:

on per niente questo,

Non per niente questo che volevo dire.


........................

No! Io non sono il Principe Amleto, n ero destinato ad esserlo;

Io sono un cortigiano, sono uno

Utile forse a ingrossare un corteo, a dar l'avvio a una scena o
due,

Ad avvisare il principe; uno strumento facile, di certo,

Deferente, felice di mostrarsi utile,

Prudente, cauto, meticoloso;

Pieno di nobili sentenze, ma un po' ottuso;

Talvolta, in verit, quasi ridicolo -

E quasi, a volte, il Buffone.



Divento vecchio... divento vecchio...

Porter i pantaloni arrotolati in fondo.



Divider i miei capelli sulla nuca? Avr il coraggio di mangiare
una pesca?

Porter pantaloni di flanella bianca, e camminer sulla spiaggia.

Ho udito le sirene cantare l'una all'altra.



Non credo che canteranno per me.



Le ho viste al largo cavalcare l'onde

Pettinare la candida chioma dell'onde risospinte

Quando il vento rigonfia l'acqua bianca e nera.



Ci siamo troppo attardati nelle camere del mare

Con le figlie del mare incoronate d'alghe rosse e brune

Finch le voci umane ci svegliano, e anneghiamo.





RITRATTO DI SIGNORA.



"Hai fornicato -

Ma fu in un altro paese,

E oltre tutto la ragazza morta".

L'ebreo di Malta.



1.

Fra il fumo e la nebbia di un pomeriggio di dicembre

Tu lasci che la scena si accomodi da sola: e cos sembrer -

Con un i ho riservato questo pomeriggio

E quattro ceri nella stanza in ombra,

Quattro cerchi di luce sul soffitto,

Un'atmosfera da tomba di Giulietta

Pronta per tutte le cose da dire, o lasciate non dette.

Noi siamo stati, diciamolo, ad ascoltare l'ultimo polacco

Trasmetterci i Preludi coi suoi capelli e le punte delle dita.

os intimo, questo Chopin, che penso la sua anima

Dovrebbe farsi risorgere solo fra amici

Non pi di due o tre, che non tocchino il fiore

Gi sgualcito e discusso nelle sale da concerto.
- E cos la conversazione scivola

Fra velleit e rimpianti con cura contenuti

In mezzo a toni lievi di violini

Confusi a remote cornette

E comincia.



u non lo sai quanto gli amici vogliano dire per me,

E quanto raro, quanto raro e strano sia per me trovare

In una vita fatta di tante avversit e di tanti scopi

(Perch davvero non mi piace... lo sapevi? non sei cieco!

E come sei acuto!)

Poter trovare un amico che abbia queste qualit,

Che abbia, e dia

Le qualit sulle quali l'amicizia vive.

Quanto per me significhi che io te lo ripeta -

Senza queste amicizie: che "cauchemar" la vita!


Fra le spirali dei violini

E le ariette

Di cornette stridule

Nel mio cervello ha inizio un tam tam sordo

Che assurdamente martella un suo preludio,

Capriccioso monotono

Che almeno una decisa ota falsa

- Andiamo a prendere aria, in un'estasi di tabacco,

Ad ammirare i monumenti,

A discutere gli ultimi avvenimenti,

A rimettere l'orologio con gli orologi pubblici.

Poi a sederci mezz'ora, per bere un bicchiere di birra.



2.

Ora che i lill sono in fiore

Lei tiene un vaso di lill nella sua stanza

E ne contorce uno fra le dita, parlando.

h, amico mio, tu non lo sai, tu non lo sai

Cos' la vita, tu che la tieni fra le mani

(Lentamente torcendo gli steli dei lill)

a lasci scorrere da te, la lasci scorrere,

La giovinezza crudele, non ha alcun rimorso,

Sorride alle situazioni che non pu vedere.
Io sorrido, naturalmente,

E continuo a bere il t.

ppure, in questi tramonti d'aprile, che in qualche modo
richiamano

La mia vita sepolta, e Parigi a primavera,

Mi sento immensamente in pace, e dopo tutto

Trovo che il mondo sia meraviglioso e giovane.


E la voce ritorna simile all'insistente stonatura

Di un violino spezzato in un pomeriggio d'agosto:

o sono sempre sicura che comprendi

Ogni mio sentimento, sono sempre sicura che lo senti,

E che mi tendi la mano oltre l'abisso.



Sei invulnerabile tu, non hai il tallone d'Achille.

Andrai avanti, e quando avrai prevalso

Potrai dire: qui molti hanno fallito.

Ma cosa mai posseggo, amico mio, cosa posseggo

Da poterti donare, e cosa puoi ricevere da me?

Nient'altro che amicizia e simpatia

Da chi sta per raggiungere la fine del viaggio.



Rester qui a sedere, servendo il t agli amici...




Prendo il cappello: come potr vigliaccamente fare ammenda

Per quello che mi ha detto?

Mi vedrete nel parco ogni mattina

A leggere i fumetti e la pagina sportiva.

Noto in particolare

Una contessa inglese che si d alle scene.

Un greco assassinato

Durante un ballo polacco, un reo di peculato

Che ha reso confessione. Mantengo il mio contegno,

E rimango padrone di me

Fino al momento in cui un organetto, meccanico e stanco,

Ripete un vecchio canto estenuato

Con il profumo dei giacinti nel giardino, richiamando

Alla memoria cose che altri hanno desiderato.

Sono sbagliate o giuste queste idee?



3.

La notte d'ottobre discende; tornando come prima se si esclude

Quasi un leggero senso di malessere

Salgo le scale e giro la maniglia, ed ho la sensazione

D'esser salito strisciando sulle mani

E sui ginocchi. cosi parti per l'estero, e quando

Pensi di ritornare? Ma una domanda inutile.

Difficilmente saprai quando ritorni,

Troverai molte cose da imparare.

Il mio sorriso cade pesantemente in mezzo al bric--brac.



orse mi potrai scrivere.
La mia padronanza di me s'accende per un attimo;

"Questo" me l'aspettavo per davvero.

ltimamente me lo chiedevo spesso

(Ma i nostri inizi non sanno mai quale sar la fine!)

Perch non siamo diventati amici.
Mi sento come uno che sorrida, e volgendosi noti all'improvviso

La sua espressione riflessa in uno specchio.

La mia padronanza si spegne; noi siamo veramente al buio.



erch tutti l'avevano detto, tutti i nostri amici,

Erano tutti sicuri che i nostri sentimenti si accordassero

Cos intimamente! Anche per me difficile capire.

Ora dobbiamo lasciarle al destino queste cose.

In tutti i casi, mi scriverai.

Forse non troppo tardi.

Rester qui a sedere, servendo il t agli amici.


E devo approfittare d'ogni forma mutevole se voglio

Trovare l'espressione... ballare, ballare

Come un orso ballerino,

Strillare come un pappagallo, schiamazzare come una scimmia.

Andiamo a prendere aria, in un'estasi di tabacco -



Bene! E cosa accadrebbe se un pomeriggio morisse,

Un pomeriggio grigio e fumoso, una sera gialla e rosa:

Se lei morisse e mi lasciasse qui seduto con la penna in mano

Con il fumo che scende gi dai tetti;

Pieno di dubbio, per un certo tempo

Senza sapere cosa provo o se comprendo

N se sia saggio o pazzo, in ritardo o in anticipo...

Non avrebbe la meglio, dopo tutto?

Questa musica trova il tono giusto con un orendo
Ora che noi parliamo di morire -

E avrei il diritto di sorridere?





PRELUDI.



1.

La sera d'inverno si posa

Con odore di bistecche nelle strade.

Le sei.

Lucignoli consunti di giorni fumosi.

E ora un tempestoso scroscio avvolge

Gli avanzi sudici

Delle foglie appassite attorno ai vostri piedi

E giornali da lotti da vendere;

Gli scrosci battono

Sulle persiane rotte e sui comignoli,

E all'angolo della strada

Un solitario cavallo da vettura fuma e scalpita.

E poi l'accensione dei fanali.



2.

Il mattino si svela alla coscienza

Con lievi odori acidi di birra

Dalla via ricoperta di segatura pestata

Con tutte le impronte fangose di piedi che s'affrettano

Verso i caff mattutini.

Con l'altre mascherate

Che il tempo riassume,

Si pensa a tutte le mani

Che alzano ombre scure

Su migliaia di stanze ammobiliate.



3.

Tirasti gi la coperta dal letto,

Giacesti sul dorso, in attesa;

Sonnecchiasti osservando la notte che svela

Le mille immagini sordide

Di cui era composta la tua anima;

Tremolavano contro il soffitto,

E quando tutto il mondo ritorn

E la luce strisci fra le imposte

E udisti i passerotti nelle gronde,

Avesti una visione della strada

Che a stento la strada comprende;

Seduta sulla sponda del tuo letto

Togliesti dai capelli i bigodini, o stringesti

Le piante gialle dei piedi

Nel palmo delle mani sporche.



4.

L'anima sua si tendeva nei cieli

Che dietro un blocco cittadino svaniscono,

Oppure calpestata da piedi insistenti

Alle quattro e alle cinque e alle sei;

E corte dita quadrate riempiono le pipe,

E giornali della sera, e occhi

Resi sicuri da certezze indubbie,

La coscienza di una strada annerita

Impaziente di assumere il mondo.



Io sono mosso da fantasie che s'attorcono

Attorno a queste immagini, e s'attardano:

La nozione di qualcosa che infinitamente

Dolce e infinitamente soffre.



Strofinatevi la mano sulla bocca, e ridete;

I mondi ruotano come antiche donne

Che raccolgono legna in terreni da vendere.

Rapsodia su una notte di vento





RAPSODIA SU UNA NOTTE DI VENTO.



Mezzanotte.

Per tutti i rettilinei delle strade

Serrate in una sintesi lunare,

Incanti lunari che bisbigliano

Dissolvono i piani della memoria

E tutte le sue chiare relazioni,

Le sue divisioni e precisioni,

Ogni lampione che oltrepasso

Batte come un tamburo fatale,

E attraverso gli spazi del buio

La mezzanotte scuote la memoria come

Un pazzo scuote un geranio appassito.



L'una e mezzo,

Il lampione sfrigolava,

Il lampione borbottava,

Il lampione diceva, uarda quella donna

Che esita verso di te nella luce della porta

Che s'apre su di lei come un sogghigno.

Vedi l'orlo della sua veste

Come strappato e sporco di sabbia,

E vedi l'angolo del suo occhio

Che si torce come uno spillo ricurvo.


La memoria rigetta e dissecca

Un ammasso di cose distorte;

Un ramo curvo sopra la spiaggia

Tutto consunto e polito

Come se il mondo portasse in superficie

Il segreto del suo scheletro,

Rigido e bianco.

Una molla rotta nel cortile di una fabbrica,

Ruggine che s'afferra alla forma che la potenza ha lasciato

Dura e arricciata e pronta a spezzarsi.



Le due e mezzo,

Il lampione disse,

sserva il gatto che si stira nello scolo,

Che cava la lingua

E divora un boccone di burro rancido.
Cos la mano del bambino, automatica,

Scivol fuori e mise in tasca un giocattolo che correva lungo il
molo.

Non potei veder nulla oltre l'occhio del bambino.

Ho visto occhi nella strada

Che tentavano di spiare attraverso le imposte illuminate,

E un pomeriggio un granchio in uno stagno,

Un vecchio granchio pieno di parassiti sulla schiena,

Che s'aggrappava alla punta dello stecco che gli tendevo.



Le tre e mezzo,

Il lampione sfrigolava,

Il lampione borbottava nel buio.

Il lampione ronzava:

uarda la luna,

La lune ne garde aucune rancune,

Strizza il suo occhio languido,

Sorride negli angoli.

Liscia la chioma dell'erba.

La luna ha perduto la memoria.

Un vaiolo slavato le screpola la faccia,

Attorce con la mano una rosa di carta,

Che profuma di polvere e d'eau de Cologne,

E sola

Con tutti gli antichi profumi notturni

Che le incrociano e incrociano dentro il cervello.

Viene reminiscenza

Di aridi gerani senza sole

E polvere nelle crepe,

Profumi di castagne nelle strade,

E odori di donna nelle stanze chiuse,

E di sigarette nei corridoi

E di cocktail nei bar.



Il lampione disse,

e quattro,

Ecco il numero sulla porta.

Memoria!

Hai la chiave,

La piccola lampada getta un cerchio di luce sulla scala.

Sali.

Il letto pronto; lo spazzolino da denti appeso al muro,

Posa le scarpe davanti alla porta, dormi, preparati alla vita.


L'ultima trafittura del coltello.





MATTINO ALLA FINESTRA.



Sbattono piatti da colazione nelle cucine del seminterrato,

E lungo i marciapiedi che risuonano di passi

Scorgo anime umide di donne di servizio

Sbucare sconsolate dai cancelli che danno sulla strada.



Ondate brune di nebbia levano contro di me

Volti contorti dal fondo della strada,

Strappano a una passante con la gonna inzaccherata

Un vacuo sorriso che s'alza leggero nell'aria

E lungo il filo dei tetti svanisce.





IL OSTON EVENING TRANSCRIPT



I lettori del "Boston Evening Transcript"

Ondeggiano nel vento come un campo di grano maturo.



Quando la sera lievemente s'affretta per la strada

Risvegliando in alcuni gli appetiti del vivere, ad altri

Portando il "Boston Evening Transcript", salgo i gradini e suono
il campanello

Volgendo stancamente il capo, come chi volga il capo e voglia

Accennare un addio a Rochefoucauld, se la strada

Fosse il tempo e lui fosse l al fondo della strada,

E dico: arriet, cugina, ecco il "Boston Evening Transcript".




ZIA HELEN.



Miss Helen Slingsby, mia zia rimasta zitella,

Abitava una piccola casa presso una piazza elegante

Servita da domestici in numero di quattro.

Ora quando mor vi fu silenzio in cielo

E silenzio alla fine della strada.

Vennero chiuse le imposte, l'imprenditore funebre

Si pul i piedi: sapeva bene che cose di quel genere

Erano gi accadute prima. Ai cani fu ampiamente provveduto,

Ma poco dopo mor anche il pappagallo. La pendola di Dresda

Continu a ticchettare sulla sporgenza del caminetto,

E il valletto in livrea si sedette sul tavolo da pranzo

Con la seconda domestica sulle ginocchia: quella che quando

La padrona era in vita aveva sempre tenuto un contegno
irreprensibile.





LA CUGINA NANCY.



Miss Nancy Ellicott

Camminava a gran passi per le colline, le superava,

Cavalcava per le colline e le superava -

Le nude colline del New England -

Cacciando la volpe con i cani

Attraverso il pascolo.



Miss Nancy Ellicott fumava

E ballava tutti i balli moderni;

Le zie non erano affatto sicure di cosa doverne pensare,

Ma sapevano che quello era moderno.



Sugli scaffali verniciati facevano buona guardia

Matthew e Waldo, guardiani della fede,

L'esercito della legge inalterabile.





IL SIGNOR APOLLINAX.



[NOTA: L'epigrafe di Luciano con cui inizia questa poesia
scritta in greco nel testo originale].



"Che novit! Per Ercole, che paradosso! Che uomo pieno di
risorse!"

Luciano.



Quando il Signor Apollinax visit gli Stati Uniti

Il suo riso tinniva fra tazze da t.

Pensai a Fragilion, a quella timida figura fra le betulle,

E a Priapo fra gli arbusti mentre osserva

Con tanto d'occhi la dama in altalena.

Nel palazzo della Signora Phlaccus, dal Professor
Channing-Cheetah,

Rideva come un feto irresponsabile.

Aveva il riso profondo e subacqueo

Come quello del Vecchio del Mare

Nascosto sotto atolli coralliferi

Dove corpi annegati fluttuano perplessi nel silenzio verde

Gocciando da dita di schiuma.

Cercai la testa del Signor Apollinax rotolante



Sotto la sedia o sogghignante sopra un paravento

on alghe fra i capelli. E mentre

Le sue parole secche e appassionate divoravano il pomeriggio

Sopra le dure zolle erbose udivo battere

Zoccoli di centauri.

' un uomo delizioso a, dopo tutto, che voleva dire?-

suoi orecchi a punta... Dev'essere un po' squilibrato-

ra le cose che ha detto ce n' una che avrei davvero potuto
discutere.
Della vedova Signora Phlaccus, del Professore e della Signora
Cheetah,

Mi ricordo soltanto uno spicchio di limone, e un amaretto
mordicchiato.



CONVERSATION GALANTE.



Osservo: a nostra amica sentimentale, la luna!

O magari ( fantastico, lo devo confessare)

Potrebbe essere il pallone di Prete Gianni

O una vecchia lanterna ammaccata appesa in alto

A illuminare i poveri viandanti nella loro pena.
E lei: ome divaga!


E io allora: ualcuno d forma sui tasti

A quello squisito notturno col quale spieghiamo

La notte e il chiaro di luna; musica che cogliamo

Per dare un corpo alla nostra vacuit.
E lei: i riferisce a me?
h no, sono io che ne sono vuoto.


ei , signora, l'eterna umorista,

L'eterna nemica dell'assoluto, che dona

Ai nostri vagabondi stati d'animo

La pi sottile delle deviazioni!

Col suo atteggiamento indifferente e imperioso

Per confutare d'un colpo le nostre folli poetiche -
E: iamo noi dunque proprio tanto seri?




LA FIGLIA CHE PIANGE.



"O quam te memorem virgo..."



Sosta al piano pi alto della scala -

Crvati sopra un'urna del giardino -

Tessi, tessi la luce del sole nei tuoi capelli -

Stringi i tuoi fiori a te con penosa sorpresa -

Gettali a terra e volgiti

Con fuggitivo risentimento negli occhi:

Ma tessi, tessi la luce del sole nei tuoi capelli.



Avrei voluto cos che egli se ne andasse,

Avrei voluto cos vedere lei rimanere e piangere,

Egli sarebbe partito cos

Come l'anima lascia il suo corpo logorato e lacero,

Come lo spirito lascia deserto il corpo prima usato.

Troverei

Un modo incomparabilmente abile e lieve,

Un modo che entrambi potremmo comprendere,

Semplice e senza fede come un sorriso e una stretta di mano.



Ella si volse, ma con il tempo d'autunno

Per molti giorni costrinse la mia immaginazione,

Per molti giorni e per molte ore:

Con i capelli sulle sue braccia e le sue braccia cariche di
fiori.

E mi domando come sarebbero stati insieme!

Avrei perduto un gesto ed un atteggiamento.

Talvolta questi pensieri meravigliano ancora

La mezzanotte turbata e la pace del meriggio.







LA TERRA DESOLATA

(The Waste Land: 1922)



"Ora con i miei stessi occhi vidi a Cuma la Sibilla sospesa in
un'ampolla, e come quei ragazzi dicevano: ibilla, cosa vuoi? lei rispondeva: esidero morire.

[NOTA: Questa epigrafe in latino nel testo originale. Per la
fonte, confronta Petronio, "Satyricon", capitolo 48].





1.

LA SEPOLTURA DEI MORTI.



Aprile il mese pi crudele, genera

Lill da terra morta, confondendo

Memoria e desiderio, risvegliando

Le radici sopite con la pioggia della primavera.

L'inverno ci mantenne al caldo, ottuse

Con immemore neve la terra, nutr

Con secchi tuberi una vita misera.

L'estate ci sorprese, giungendo sullo Starnbergersee

Con un scroscio di pioggia: noi ci fermammo sotto il colonnato,

E proseguimmo alla luce del sole, nel Hofgarten,

E bevemmo caff, e parlammo un'ora intera.

"Bin gar keine Russin, stamm' aus Litauen, echt deutsch".

E quando eravamo bambini stavamo presso l'arciduca,

Mio cugino che mi condusse in slitta,

E ne fui spaventata. Mi disse, Marie,

Marie, tieniti forte. E ci lanciammo gi.

Fra le montagne, l ci si sente liberi.

Per la gran parte della notte leggo, d'inverno vado nel sud.



Quali sono le radici che s'afferrano, quali i rami che crescono

Da queste macerie di pietra? Figlio dell'uomo,

Tu non puoi dire, n immaginare, perch conosci soltanto

Un cumulo d'immagini infrante, dove batte il sole,

E l'albero morto non d riparo, nessun conforto lo stridere del
grillo,

L'arida pietra nessun suono d'acque.

C' solo ombra sotto questa roccia rossa,

(Venite all'ombra di questa roccia rossa),

E io vi mostrer qualcosa di diverso

Dall'ombra vostra che al mattino vi segue a lunghi passi, o
dall'ombra

Vostra che a sera incontro a voi si leva;

In una manciata di polvere vi mostrer la paura.



"Frisch weht der Wind

Der Heimat zu

Mein Irisch Kind,

Wo weilest du?"



u un anno fa che mi donasti giacinti per la prima volta;

i chiamarono la ragazza dei giacinti.
- Eppure quando tornammo, a ora tarda, dal giardino dei giacinti,

Tu con le braccia cariche, con i capelli madidi, io non potevo

Parlare, mi si annebbiavano gli occhi, non ero

N vivo n morto, e non sapevo nulla, mentre guardavo il
silenzio,

Il cuore della luce.

"Oed' und leer das Meer".



Madame Sosostris, chiaroveggente famosa,

Aveva preso un brutto raffreddore, ciononostante

E' nota come la donna pi saggia d'Europa,

Con un diabolico mazzo di carte. Ecco qui, disse,

La vostra carta, il Marinaio Fenicio Annegato

(Quelle sono le perle che furono i suoi occhi. Guardate!)

E qui la Belladonna, la Dama delle Rocce,

La Dama delle situazioni.

Ecco qui l'uomo con le tre aste, ecco la Ruota,

E qui il mercante con un occhio solo, e questa carta,

Che non ha figura, qualcosa che porta sul dorso,

E che a me non dato vedere. Non trovo

L'Impiccato. Temete la morte per acqua.

Vedo turbe di gente che cammina in cerchio.

Grazie. Se vedete la cara Mrs. Equitone,

Ditele che le porter l'oroscopo io stessa:

Bisogna essere cos prudenti in questi giorni.



Citt irreale,

Sotto la nebbia bruna di un'alba d'inverno,

Una gran folla fluiva sopra il London Bridge, cos tanta,

Ch'i' non avrei mai creduto che morte tanta n'avesse disfatta.

Sospiri, brevi e infrequenti, se ne esalavano,

E ognuno procedeva con gli occhi fissi ai piedi. Affluivano

Su per il colle e gi per la King William Street,

Fino a dove Saint Mary Woolnoth segnava le ore

Con morto suono sull'ultimo tocco delle nove.

L vidi uno che conoscevo, e lo fermai, gridando: tetson!

u che eri a Mylae con me, sulle navi!

uel cadavere che l'anno scorso piantasti nel giardino,

a cominciato a germogliare? Fiorir quest'anno?

ppure il gelo improvviso ne ha danneggiato l'aiola?

h, tieni il Cane a distanza, che amico dell'uomo,

e non vuoi che con l'unghie, di nuovo, lo metta allo scoperto!

u, "hypocrite lecteur!: mon semblable,: mon frre!"




2.

UNA PARTITA A SCACCHI.



Il Seggio sul quale sedeva, simile a un trono brunito,

Risplendeva sul marmo, ove lo specchio

Sorretto da colonne lavorate con tralci di vite

Fra le quali un Cupido dorato spiava

(Un altro sotto l'ala nascondeva gli occhi)

Raddoppiava le fiamme ai candelabri

A sette braccia riflettendo sul tavolo la luce

Mentre lo scintillo dei suoi gioielli si levava

A incontrarlo, da astucci di raso versato

A profusione; in fialette d'avorio e vetro colorato

Dischiuse, i suoi profumi stavano in agguato, sintetici e strani,

Unguenti, polveri, liquidi: turbavano,

Confondevano e annegavano il senso nei profumi; spinti dall'aria

Che entrava fresca dalla finestra, ascendevano

Alimentando le fiamme lunghe della candela,

Soffiavano il loro fumo nei laquearia,

Animando i motivi del soffitto a lacunari,

Un bosco enorme sottomarino nutrito di rame

Bruciava verde e arancio, incorniciato dalla pietra colorata,

Nella cui luce mesta un delfino scolpito nuotava.

Sull'antico camino era dipinta,

Come se una finestra si aprisse sulla scena silvana,

La metamorfosi di Filomela, dal re barbaro

Cos brutalmente forzata; eppure l l'usignolo

Empiva tutto il deserto con voce inviolabile

E ancora ella gemeva, e ancora il mondo prosegue,

iag Giaga orecchi sporchi.

E altri arbusti di tempo disseccati

Erano dispiegati sui muri a raccontare; forme attonite

Si affacciavano chine imponendo silenzio nella stanza chiusa.

Scalpicciavano passi sulla scala.

Alla luce del fuoco, sotto la spazzola,

Si spiegavano in punte di fuoco,

Splendevano in parole, per ricadere in una cupa calma.



o i nervi a pezzi stasera. S, a pezzi. Resta con me.

arlami. Perch non parli mai? Parla.

che stai pensando? Pensando a cosa? A cosa?

on lo so mai a cosa stai pensando. Pensa.


Penso che siamo nel vicolo dei topi

Dove i morti hanno perso le ossa.



os ' quel rumore ?

Il vento sotto la porta.

ora cos' quel rumore? Che sta facendo il vento?
Niente ancora niente.



E non sai
iente? Non vedi niente? Non ricordi
iente? Ricordo
Quelle sono le perle che furono i suoi occhi.
ei vivo, o no? Non hai niente nella testa? Ma

O O O O that Shakespeherian Rag...

Cos elegante

Cos intelligente

he far ora? Che far?
scir fuori cos come sono, camminer per la strada

oi miei capelli sciolti, cos. Cosa faremo domani?

osa faremo mai?
L'acqua calda alle dieci.

E se piove, un'automobile chiusa alle quattro.

E giocheremo una partita a scacchi,

Premendoci gli occhi senza palpebre, in attesa che bussino alla
porta.



Quando il marito di Lil venne smobilitato, dissi -

Non avevo peli sulla lingua, glielo dissi io stessa,

SVELTI PER FAVORE SI CHIUDE

Ora che Albert ritorna, rimettiti un po' in ghingheri.

Vorr sapere cosa ne hai fatto dei soldi che ti diede

Per farti rimettere i denti. Te li diede, ero presente.

Fatteli togliere tutti, Lil, e comprati una bella dentiera,

Lui disse, lo giuro, non ti posso vedere cos.

E io nemmeno, dissi, e pensa a quel povero Albert,

E' stato sotto le armi per quattro anni, si vorr un po'
divertire,

Se non lo farai tu ce ne saranno altre, dissi.

Oh cos, disse lei. Qualcosa del genere, dissi.

Allora sapr chi ringraziare, disse, e mi guard fissa negli
occhi.

SVELTI PER FAVORE SI CHIUDE

Se non ne sei convinta seguita pure, dissi.

Ce ne sono altre che sanno decidere e scegliere se non puoi
farlo tu.

Ma se Albert si sgancia non potrai dire di non essere stata
avvisata.

Ti dovresti vergognare, dissi, di sembrare una mummia.

(E ha solo trentun anni.)

Non ci posso far niente, disse lei, mettendo un muso lungo,

Son quelle pillole che ho preso per abortire, disse.

(Ne aveva avuti gi cinque, ed era quasi morta per il piccolo
George.)

Il farmacista disse che sarebbe andato tutto bene, ma non sono
pi stata la stessa.

Sei davvero una stupida, dissi.

Bene, se Albert non ti lascia in pace, ecco qui, dissi,

Cosa ti sei sposata a fare, se non vuoi bambini?

SVELTI PER FAVORE SI CHIUDE

Bene, quella domenica che Albert torn a casa, avevano uno
zampone bollito,

E mi invitarono a cena, per farmelo mangiare bello caldo -

SVELTI PER FAVORE SI CHIUDE

SVELTI PER FAVORE SI CHIUDE

Buonanotte Bill. Buonanotte Lou. Buonanotte May. Buonanotte.

Ciao. 'Notte. 'Notte.

Buonanotte signore, buonanotte, dolci signore, buonanotte,
buonanotte.





3.

IL SERMONE DEL FUOCO.



La tenda del fiume rotta: le ultime dita delle foglie

S'afferrano e affondano dentro la riva umida. Il vento

Incrocia non udito sulla terra bruna. Le ninfe son partite.

Dolce Tamigi, scorri lievemente, finch non abbia finito il mio
canto.

Il fiume non trascina bottiglie vuote, carte da sandwich,

Fazzoletti di seta, scatole di cartone, cicche di sigarette

O altre testimonianze delle notti estive. Le ninfe son partite.

E i loro amici, eredi bighelloni di direttori di banca della
City;

Partiti, e non hanno lasciato indirizzo.

Presso le acque del Lemano mi sedetti e piansi...

Dolce Tamigi, scorri lievemente, finch non abbia finito il mio
canto.

Dolce Tamigi, scorri lievemente, perch il mio canto non alto
n lungo.

Ma alle mie spalle in una fredda raffica odo

Lo scricchiolo delle ossa, e il ghigno che fende da un orecchio
all'altro.

Un topo si insinu con lentezza fra la vegetazione

Strascicando il suo viscido ventre sulla riva

Mentre stavo pescando nel canale tetro

Una sera d'inverno dietro il gasometro

Meditando sul naufragio del re mio fratello

E sulla morte del re mio padre, prima di lui.

Dei bianchi corpi ignudi sul suolo molle e basso

E ossa gettate in una piccola soffitta bassa e arida,

Smosse solo dal piede del topo, un anno dietro l'altro.

Ma alle mie spalle di tanto in tanto odo

Suoni di trombe e motori, che condurranno

Sweeney da Mrs. Porter a primavera.

Oh la luna splendeva lucente su Mrs. Porter

E su sua figlia

Che si lavano i piedi in oda water
"Et O ces voix d'enfants, chantant dans la coupole!"



Tuit tuit tuit

Giag giag giag giag giag giag

Cos brutalmente forzata.

Tiri



Citt irreale

Sotto la nebbia bruna di un meriggio invernale

Mr. Eugenides, il mercante di Smirne,

Mal rasato, con una tasca piena d'uva passa

C.i.f. London: documenti a vista,

M'invit in un francese demotico

Ad una colazione al Cannon Street Hotel

Seguita da un "weekend" al Metropole.



Nell'ora violetta, quando gli occhi e la schiena

Si levano dallo scrittoio, quando il motore umano attende

Come un tass che pulsa nell'attesa,

Io Tiresia, bench cieco, pulsando fra due vite,

Vecchio con avvizzite mammelle di donna, posso vedere

Nell'ora violetta, nell'ora della sera che contende

Il ritorno, e il navigante dal mare riconduce al porto,

La dattilografa a casa all'ora del t, mentre sparecchia la
colazione, accende

La stufa, mette a posto barattoli di cibo conservato.

Pericolosamente stese fuori dalla finestra

Le sue combinazioni che s'asciugano toccate dagli ultimi raggi
del sole,

Sopra il divano (che di notte il suo letto)

Sono ammucchiate calze, pantofole, fascette e camiciole.

Io Tiresia, vecchio con le mammelle raggrinzite,

Osservai la scena, e ne predissi il resto -

Anch'io ero in attesa dell'ospite atteso.

Ed ecco arriva il giovanotto foruncoloso,

Impiegato d'una piccola agenzia di locazione, sguardo ardito,

Uno di bassa estrazione a cui la sicurezza

S'addice come un cilindro a un cafone arricchito.

Ora il momento favorevole, come bene indovina,

Il pasto ormai finito, e lei annoiata e stanca,

Lui cerca d'impegnarla alle carezze

Che non sono respinte, anche se non desiderate.

Eccitato e deciso, ecco immediatamente l'assale;

Le sue mani esploranti non incontrano difesa;

La sua vanit non pretende che vi sia un'intesa, ritiene

L'indifferenza gradita accettazione.

(E io Tiresia ho presofferto tutto

Ci che si compie su questo stesso divano o questo letto;

Io che sedei presso Tebe sotto le mura

E camminai fra i morti che pi stanno in basso.)

Accorda un bacio finale di protezione

E brancola verso l'uscita, trovando le scale non illuminate...



Lei si volta e si guarda allo specchio un momento,

Si rende conto appena che l'amante uscito;

Il suo cervello permette che un pensiero solo a met formato

Trascorra: ene, ora anche questo fatto: lieta che sia
finito.
Quando una donna leggiadra si piega a far follie

E percorre di nuovo la sua stanza, sola,

Con una mano meccanica i suoi capelli ravvia,

E mette un disco a suonare sul grammofono.



uesta musica presso di me scivolava sull'acque
E lungo lo Strand, fino alla Queen Victoria Street.

O citt, citt, talvolta posso udire vicino

A una qualsiasi taverna in Lower Thames Street

Il lamento piacevole di un mandolino,

E dentro chiacchiere e altri rumori

L dove a mezzogiorno i pesciaioli riposano:

Dove le mura di Magnus Martvr contengono

Uno splendore inesplicabile di bianco e oro ionici.



Il fiume trasuda

Olio e catrame

Le chiatte scivolano

Con la marea che si volge

Vele rosse

Ampie

Sottovento, ruotano su pesanti alberature.

Le chiatte sospingono

Tronchi che vanno alla deriva

Verso il tratto di fiume di Greenwich

Oltre l'Isola dei Cani.

Weialala leia

Wallala leialala



Elisabetta e Leicester

Remi che battono

La prua era formata

Da una conchiglia dorata

Rossa e oro

L'agile flusso dell'onda

Si frangeva su entrambe le rive

Il vento di sud ovest

Con la corrente portava

Lo scampano delle campane

Torri bianche

Weialala leia

Wallala leialala



ram e alberi polverosi.

Highbury mi fe'. Disfecermi

Richmond e Kew. Vicino a Richmond alzai le ginocchia

Supina sul fondo di una stretta canoa.


miei piedi sono a Moorgate, e il mio cuore

Sotto i miei piedi. Dopo il fatto

Egli pianse. Promise "un nuovo inizio".

Non feci commento. Di cosa mi dovrei rammaricare?


ulle Sabbie di Margate.

Non posso connettere

Nulla con nulla.

Le unghie rotte di mani sporche.

La mia gente, gente modesta che non chiede

Nulla.
la la

Poi a Cartagine venni



Ardere ardere ardere ardere

O Signore Tu mi cogli

O Signore Tu cogli
bruciando





4.

LA MORTE PER ACQUA.



Phlebas il Fenicio, morto da quindici giorni,

Dimentic il grido dei gabbiani, e il fondo gorgo del mare

E il profitto e la perdita.

Una corrente sottomarina

Gli spolp l'ossa in mormorii. Come affiorava e affondava

Pass attraverso gli stadi della maturit e della giovinezza

Procedendo nel vortice.

Gentile o Giudeo

O tu che volgi la ruota e guardi sopravvento,

Considera Phlebas, che un tempo fu bello, e alto come te.





5.

CIO' CHE DISSE IL TUONO.



Dopo la luce rossa delle torce su volti sudati

Dopo il silenzio gelido nei giardini

Dopo l'angoscia in luoghi petrosi

Le grida e i pianti

La prigione e il palazzo e il suono riecheggiato

Del tuono a primavera sui monti lontani

Colui che era vivo ora morto

Noi che eravamo vivi ora stiamo morendo

Con un po' di pazienza



Qui non c' acqua ma soltanto roccia

Roccia e non acqua e la strada di sabbia

La strada che serpeggia lass fra le montagne

Che sono montagne di roccia senz'acqua

Se qui vi fosse acqua ci fermeremmo a bere

Fra la roccia non si pu n fermarsi n pensare

Il sudore asciutto e i piedi nella sabbia

Vi fosse almeno acqua fra la roccia

Bocca morta di montagna dai denti cariati che non pu sputare

Non si pu stare in piedi qui non ci si pu sdraiare n sedere

Non c' neppure silenzio fra i monti

Ma secco sterile tuono senza pioggia

Non c' neppure solitudine fra i monti

Ma volti rossi arcigni che ringhiano e sogghignano

Da porte di case di fango screpolato



Se vi fosse acqua
E niente roccia
Se vi fosse roccia
E anche acqua
E acqua
Una sorgente
Una pozza fra la roccia
Se soltanto vi fosse suono d'acqua
Non la cicala
E l'erba secca che canta
Ma suono d'acqua sopra una roccia
Dove il tordo eremita canta in mezzo ai pini
Drip drop drip drop drop drop drop
Ma non c' acqua

Chi il terzo che sempre ti cammina accanto?
Se conto, siamo soltanto tu ed io insieme
Ma quando guardo innanzi a me lungo la strada bianca
C' sempre un altro che ti cammina accanto
Che scivola ravvolto in un ammanto bruno, incappucciato
Io non so se sia un uomo o una donna
Ma chi che ti sta sull'altro fianco?
Cos' quel suono alto nell'aria
Quel mormorio di lamento materno
Chi sono quelle orde incappucciate che sciamano
Su pianure infinite, inciampando nella terra screpolata
Accerchiata soltanto dal piatto orizzonte
Qual quella citt sulle montagne
Che si spacca e si riforma e scoppia nell'aria violetta
Torri che crollano
Gerusalemme Atene Alessandria
Vienna Londra


Irreali



Una donna distese i suoi capelli lunghi e neri

E sviolin su quelle corde un bisbiglio di musica

E pipistrelli con volti di bambini nella luce violetta

Squittivano, e battevano le ali

E strisciavano a capo all'ingi lungo un muro annerito

E capovolte nell'aria c'erano torri

Squillanti di campane che rammentano, e segnavano le ore

E voci che cantano dalle cisterne vuote e dai pozzi ormai secchi.



In questa desolata spelonca fra i monti

Nella fievole luce della luna, l'erba fruscia

Sulle tombe sommosse, attorno alla cappella

C' la cappella vuota, dimora solo del vento.

Non ha finestre, la porta oscilla,

Aride ossa non fanno male ad alcuno.

Soltanto un gallo si ergeva sulla trave del tetto

Chicchirich chicchirich

Nel guizzare di un lampo. Quindi un'umida raffica

Apportatrice di pioggia



Quasi secco era il Gange, e le foglie afflosciate

Attendevano pioggia, mentre le nuvole nere

Si raccoglievano molto lontano, sopra l'Himavant.

La giungla era accucciata, rattratta in silenzio.

Allora il tuono parl



DA

"Datta": che abbiamo dato noi?

Amico mio, sangue che scuote il mio cuore

L'ardimento terribile di un attimo di resa

Che un'ra di prudenza non potr mai ritrattare

Secondo questi dettami e per questo soltanto noi siamo esistiti,
per questo

Che non si trover nei nostri necrologi

O sulle scritte in memoria drappeggiate dal ragno benefico

O sotto i suggelli spezzati dal notaio scarno

Nelle nostre stanze vuote

DA

"Dayadhvam": ho udito la chiave

Girare nella porta una volta e girare una volta soltanto

Noi pensiamo alla chiave, ognuno nella sua prigione

Pensando alla chiave, ognuno conferma una prigione

Solo al momento in cui la notte cade, rumori eterei

Ravvivano un attimo un Coriolano affranto

DA

"Damyata": la barca rispondeva

Lietamente alla mano esperta con la vela e con il remo

Il mare era calmo, anche il tuo cuore avrebbe corrisposto

Lietamente, invitato, battendo obbediente

Alle mani che controllano



Sedetti sulla riva

A pescare, con la pianura arida dietro di me

Riuscir alla fine a porre ordine nelle mie terre?

Il London Bridge sta cadendo sta cadendo sta cadendo

"Poi s'ascose nel foco che gli affina

Quando fiam uti chelidon": O rondine rondine

"Le Prince d'Aquitaine la tour abolie"

Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine

Bene allora v'accomodo io. Hieronymo pazzo di nuovo.

Datta. Dayadhvam. Damyata.

Shantih shantih shantih


NOTE A A TERRA DESOLATA
Non solo il titolo, ma il disegno e gran parte dell'incidentale
simbolismo del poema furono suggeriti dal libro di Miss Jessie
L. Weston "From Ritual to Romance" (Cambridge) sulla leggenda
del Graal. In verit cos profondo il mio debito che il libro
di Miss Weston potr chiarire le difficolt del poema molto
meglio di quanto possano fare le mie note; e io lo raccomando
(indipendentemente dal grande interesse del libro in s) a
chiunque pensi che il poema valga la pena di tale
chiarificazione. Ho un debito di carattere generale anche verso
un'altra opera di antropologia, un'opera che ha influenzato
profondamente la nostra generazione; intendo dire "The Golden
Bough"; mi sono servito particolarmente dei due volumi "Adonis,
Attis, Osiris". Chiunque abbia una certa familiarit con queste
opere riconoscer immediatamente nel poema certi riferimenti ai
riti della vegetazione.



1. LA SEPOLTURA DEI MORTI.

VERSO 20. Confronta Ezechiele. II. I.

VERSO 23. Confronta Ecclesiaste, XII, V.

VERSO 31. Confronta Tristan und Isolde, I, versi 5-8.

VERSO 42. Idem, III, verso 24.

VERSO 46. Non mi familiare l'esatta composizione del mazzo dei
Tarocchi, dalla quale mi sono ovviamente allontanato per
ottenere il mio scopo. L'Impiccato, che appartiene al mazzo
tradizionale, mi stato utile per due ragioni: perch
associato nella mia mente col Dio Impiccato del Frazor, e perch
lo associo con la figura incappucciata nel passo dei Discepoli a
Emmaus nella parte V. Il Marinaio Fenicio e il Mercante appaiono
pi avanti, anche la olla di gente e la Morte per Acqua
sviluppata nella parte IV. L'Uomo dalle Tre Aste (che fa
realmente parte del mazzo dei Tarocchi) lo associo, del tutto
arbitrariamente, con il Re Pescatore stesso.

VERSO 60. Confronta Baudelaire:

"Fourmillante cit, cit pleine de rves,

O le spectre en plein jour raccroche le passant.



VERSO 63. Confronta Inferno, III, 55-57:

"s lunga tratta

di gente, ch'io non avrei mai creduto

che morte tutta n'avesse disfatta."

VERSO 64. Confronta Inferno, IV, 25-27:

"Quivi, secondo che per ascoltare,

non avea pianto, ma' che di sospiri,

che l'aura eterna facevan tremare."

VERSO 68. Un fenomeno da me osservato frequentemente.

VERSO 74. Confronta il canto funebre in The White Devil di
Webster.

VERSO 76. Confronta Baudelaire, Prefazione a Fleurs du Mal.



2. UNA PARTITA A SCACCHI.

VERSO 77. Confronta Antony and Cleopatra, II, 2, verso 190.

VERSO 92. Laquearia. Confronta Eneide, I, 726:

"dependent lychni laquearibus aureis incensi,

et noctem flammis funalia vincunt."

VERSO 98. Scena silvana. Confronta Milton, Paradise Lost, IV,
140.

VERSO 99. Confronta Ovidio, Metamorfosi, VI, Filemone e Bauci.

VERSO 100. Confronta Parte III, verso 204.

VERSO 115. Confronta Parte III, verso 195.

VERSO 118. Confronta Webster: "Is the wind in that door still?"

VERSO 126. Confronta Parte I, versi 37, 48.

VERSO 138. Confronta il gioco degli scacchi in Women Beware
Women di Middleton.



3. IL SERMONE DEL FUOCO.

VERSO 176. Confronta Spenser, Prothalamion.

VERSO 192. Confronta The Tempest, I, 2.

VERSO 196. Confronta Marvell, To His Coy Mistress.

VERSO 197. Confronta Day, Parliament of Bees:

"When of the sudden, listening, you shall hear,

A noise of horns and hunting, which shall bring

Actaeon to Diana in the spring,

Where al shall see her nalced skin..."

VERSO 199. Non conosco l'origine della ballata dalla quale
questi versi sono tratti: mi stato detto provenga da Sidney,
Australia.

VERSO 202. Confronta Verlaine, Parsifal.

VERSO 210. L'uva passa era quotata a un prezzo rasporto e
assicurazione pagati fino a Londra e la Polizza di Sbarco
eccetera doveva venire rimessa all'acquirente dietro pagamento
della tratta a vista.

VERSO 218. Tiresia, bench sia semplicemente uno spettatore e
non un rotagonista per il personaggio pi importante del
poema, poich unisce tutti gli altri. Proprio come il mercante
da un occhio solo, venditore d'uva passa, si fonde col Marinaio
Fenicio, e quest'ultimo non completamente distinto da
Ferdinando Principe di Napoli, cos tutte le donne sono una sola
donna e i due sessi si incontrano in Tiresia. Ci che Tiresia
vede, infatti, la sostanza del poema. L'intero passo di Ovidio
di grande interesse antropologico:

..Cum lunone iocos et maior vestra profecto est

Quam, quae contingint maribusdixisse, oluptas

Illa negat; placuit quae sit sententia docti

Quaerere Tiresiae venus huic erat utraque nota.

Nam duo magnorum viridi coeuntia silva

Corpora serpentum baculi violaverat ictu

Deque viro factus, mirabile, femine septem

Egerat autumnos; octavo rursus eosdem

Vidit et st vestrae si tanta potentia plagae

Dixit t auctoris sortem in contraria mutet,

Nunc quoque vos feriam!percussis anguibus isdem

Forma prior rediit genetivaque venit imago.

Arbiter hic igitur sumptus de lite iocosa

Dicta Iovis firmat; gravius Saturnia iusto

Nec pro materia fertur doluisse suique

Iudicis aeterna damnavit lumina nocte,

At pater omnipotens (neque enim licet inrita cuiquam

Facta dei fecisse deo) pro lumine adempto

Scire futura dedit poenamque levavit honore.

VERSO 221. Questo pu non apparire esatto come i versi di Saffo,
ma avevo in mente il pescatore ungo-costa o il pescatore che
usa la piccola imbarcazione detta ory che torna
all'approssimarsi della notte.

VERSO 253. Confronta Goldsmith, la canzone in The Vicar of
Wakefield.

VERSO 257. Confronta The Tempest, come sopra.

VERSO 264. L'interno della chiesa di Saint Magnus Martyr
secondo me uno degli interni pi belli fra quelli di Wren.
Confronta The Proposed Demolition of Nineteen City Churches (P.
S. King & Sons, Ltd.).

VERSO 266. Il Canto delle (tre) figlie del Tamigi comincia qui.
Esse parlano a turno dal verso 292 al verso 306 compreso.
Confronta Gotterdmerung, III, I: le figlie del Reno.

VERSO 279. Confronta Froude, Elizabeth, vol. I, cap. IV, lettera
di De Quadra a Filippo di Spagna. (Per il brano e la sua
traduzione confronta nota 8, cap. VI, note all'introduzione.)

VERSO 293. Confronta Purgatorio, V, 133:

"Ricordati di me, che son la Pia;

Siena mi fe', disfecemi Maremma."

VERSO 307. Confronta Confessioni di Sant'Agostino: eni
Carthaginem, et circumstrepebat me undique sartago flagitiosorum
amorum (Eliot porta qui la traduzione inglese del passo, che
deriva dal Libro III, I.)

VERSO 308 Il testo completo del Sermone del Fuoco di Budda (che
corrisponde per importanza al Sermone della Montagna) dal quale
sono tratte queste parole si trover tradotto in Buddhism in
Translation (Harvard Oriental Series) di Henry Clarke Warren. Il
Warren fu uno dei grandi pionieri degli smdi buddistici in
occidente.



4. LA MORTE PER ACQUA.

VERSO 309. Ancora dalle Confessioni di Sant'Agostino.
L'avvicinamento di questi due rappresentanti dell'ascetismo
orientale e occidentale al culmine di questa sezione del poema
non casuale.



5. CIO' CHE DISSE IL TUONO.

Nella prima sezione della parte quinta sono stati usati tre
temi: il viaggio a Emmaus, l'andata alla Cappella Perigliosa (si
veda il libro di Miss Weston) e la presente decadenza
dell'Europa orientale.

VERSO 357. E' il Turdus aonalaschkae pallasii, il tordo eremita
che ho udito nella Contea di Quebec. Il Chapman (Handbook of
Birds of Eastern North America) dice: i trova a suo agio nelle
foreste appartate e nelle macchie pi fitte... Il suo canto non
notevole per variet o per volume, ma per purezza e dolcezza
di tono e per la squisitezza della modulazione
ineguagliabile La sua anzone d'acqua stillante
giustamente celebrata.

VERSO 360. I versi seguenti furono suggeriti dal racconto di una
delle spedizioni antartiche (ho dimenticato quale, ma penso si
tratti di una di quelle di Shackleton): si riferiva che ogni
componente del gruppo degli esploratori, stremati di forze,
aveva la costante illusione che vi fosse una persona in pi di
quante in realt ne potevano contare.

VERSI 366-76. Confronta H. Hesse, Blick ins Chaos: chon ist
halb Europa, schon ist zumindest der halbe Osten Europas auf dem
Wege zum Chaos, fahrt betrunken im heiligem Wahn am Abgrund
entlang und singt dazu, singt betrunken und hymnisch wie Dmitri
Karamasoff sang. Ueber diese Lieder lacht der Burger beleidigt,
der Heilige und Seher hort sie mit Tranen (Gi mezza Europa,
gi almeno la met orientale d'Europa sulla via del caos,
ebbra di fanatiche illusioni cammina sull'orlo dell'abisso e
canta, canta un inno ebbro come cantava Dmitri Karamasoff. Il
borghese oltraggiato ride di questi canti, ma il santo e il
veggente li ascoltano piangendo.) La traduzione riportata
nelle note di M. Praz, op. cit., Fussi, Firenze, rist. 1958.

VERSO 401. atta, dayadhvam, damyata(Dai, compatisci, frena).
La favola del significato del Tuono si trova nella
Brihadaranvaka Upanishad, 5, 1. Una traduzione in Sechzig
Upanishads des Veda di Deussen, pagina 489.

VERSO 407. Confronta Webster, The White Devil, V, 6:

" ... they'll remarry

Ere the worm pierce your winding-sheet, ere the spider

Make a thin curtain tor your epitaphs."

VERSO 411. Confronta Inferno, XXXIII, 46:

"ed io sentii chiavar l'uscio di sotto

all'orribil torre."

Si veda anche F. H. Brddley, Appearance and Reality, pagina 346.

VERSO 424. Confronta Weston, From Ritual to Romance, capitolo
sul Re Pescatore.

VERSO 427. Confronta Purgatorio, XXVI, 148:

"ra vos prec per aquella valor

que vos guida al som de l'escalina

sovegna vos a temps de ma dolor

Poi s'ascose nel foco che gli affina."

VERSO 428. Confronta Pervigilium Veneris. Si veda Filomela nelle
parti II e TTT

VERSO 429. Confronta G. De Nerval, Sonetto El Desdichado.

VERSO 431. Confronta Kyd, Spanish Tragedy.

VERSO 433. Shantih. Ripetuta come in questo luogo, si tratta
della chiusa formale di una Upanishad. L'equivalente nella
nostra lingua ace ineffabile






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