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Traduzioni telematiche a cura di
Rosaria Biondi, Nadia Ponti, Giulio Cacciotti, Vincenzo Guagliardo
(Casa di Reclusione - Opera)



Jules Verne.
MICHELE STROGOFF.
(Da Mosca a Irkutsk).


Titolo originale dell'opera: "Michel Strogoff".
Traduzione dal francese di Guido Dalla Cort.
Introduzione di Valentino Cambi.

Copyright EDIZIONI PAOLINE, 1991. Quarta edizione.
Su concessione EDIZIONI PAOLINE.


INDICE.

Introduzione: pagina 4.
PARTE PRIMA - 1. Una festa al Palazzo Nuovo: pagina 25.
2. Russi e Tartari: pagina 41.
3. Michele Strogoff: pagina 57.
4. Da Mosca a Niznij Novgorod: pagina 68.
5. Un decreto in due articoli: pagina 90.
6. Fratello e sorella: pagina 107.
7. Lungo il corso del Volga: pagina 117.
8. Risalendo la Kama: pagina 132.
9. In "tarant跴" notte e giorno: pagina 146.
10. L'uragano sugli Urali: pagina 161.
11. Viaggiatori in pericolo: pagina 176.
12. Una provocazione: pagina 194.
13. Il dovere sopra tutto: pagina 214.
14. Madre e figlio: pagina 229.
15. Le paludi della Baraba: pagina 246.
16. Un ultimo sforzo: pagina 262.
17. Versetti e canzoni: pagina 280.


PARTE SECONDA - 1. Un accampamento tartaro: pagina 293.
2. Un atteggiamento di Alcide Jolivet: pagina 310.
3. Colpo per colpo: pagina 335.
4. L'entrata trionfale: pagina 353.
5. 亮uarda con i tuoi occhi, guarda bene! pagina 369.
6. Un amico della grande strada: pagina 382.
7. Il passaggio del Jenisej: pagina 399.
8. Una lepre che attraversa la strada: pagina 416.
9. Nella steppa: pagina 435.
10. Il Bajkal e l'Angara: pagina 451.
11. Tra le due rive: pagina 467.
12. Irkutsk: pagina 484.
13. Un corriere dello zar: pagina 500.
14. La notte tra il 5 e il 6 ottobre: pagina 515.
Conclusione: pagina 532.







INTRODUZIONE.

Jules Verne (1828-1905), contemporaneo di Grant, di Stanley, di
Nansen, del Duca degli Abruzzi, il poeta della rapidite della
scienza. In questo va ricercato il segreto della sua vivace attualit
In lui la critica saluta uno dei pi spontanei "interpreti del
secolo", avventuroso e dinamico, caratterizzato dai grandi sviluppi
tecnici e dalle fortunose esplorazioni in terre desolate e lontane,
dalle scoperte scientifiche e dalle loro applicazioni, per cui l'uomo
si illuse di poter cogliere i pireconditi segreti della natura.
L'altro merito dell'autore dei "Viaggi straordinari" quello di
essere stato un PRECURSORE DI NUMEROSE CONQUISTE DELLA SCIENZA
MODERNA.
A questo proposito, va ricordato che una trentina di anni fa, quando a
Parigi venne allestita una esposizione dedicata al Verne, si affermato da alcuni che quella fama di precursore, che fino allora gli
era stata unanimemente attribuita, appariva alquanto usurpata, perch molte invenzioni, quali, ad esempio, quelle del sottomarino e
dell'aeroplano, erano gistate intuite prima di lui.
Ora verissimo - fu risposto - che di molte invenzioni, che
informano i romanzi del popolare scrittore francese, esistevano
elementi di base nelle teorie e nelle prime esperienze dei laboratori,
ma il merito del Verne consiste nel fatto di avere precorso numerose
applicazioni nel loro complesso scientifico, sociale e persino
politico.
Basti citare - continuavano a dire i sostenitori del Verne - il
caso specifico della navigazione aerea. Il primo romanzo verniano,
"Cinque settimane in pallone", pubblicato in volume nel 1863, si
riferisce alla navigazione aerea, ma la navigazione del "pileggero
dell'aria". Orbene, l'eroe del romanzo, il dottor Fergusson di fronte
a quello che era allora il problema fondamentale, la dirigibilit
affermava: "Bisognerebbe scoprire un motore di straordinaria potenza e
di una leggerezza impossibile".
Questo fantastico motore - sono sempre i difensori del Verne che
parlano - divenne realt vent'anni dopo. Ma Verne nel suo
avvenirismo non si ferm abbandon "il pi leggero dell'aria" e
divenne fautore del "pipesante". Quando si consideri che la disputa
tra i sostenitori del "pileggero" e del "pipesante" si protrasse
fino alla prima guerra mondiale, appare singolare il fatto che "Robur
il conquistatore" sia stato scritto dal Verne nel 1886 proprio a scopo
polemico in difesa del "pipesante". E non basta, perchnel 1872,
vale a dire quattordici anni prima di "Robur", egli aveva scritto una
novella intitolata "Une d嶰ouverte prodigieuse et ses incalcolables
cons廦uences sur les destins du monde", la quale reca un'incisione che
rappresenta una magnifica aeronave che vola su Parigi portando 500
passeggeri e destinata a fare il giro del mondo. Infine, nel 1904, nel
romanzo "Le dominateur du monde", troviamo un apparecchio anfibio che
vola nell'aria, naviga alla superficie del mare, scende sotto le acque
ed anche un'automobile terrestre.
Ci che si esemplificato nel campo della navigazione aerea si pu estendere indistintamente - concludono i difensori del Verne - ad
altre invenzioni, perch egli non ha anticipato soltanto il
sottomarino, l'automobile, l'aeroplano, ma anche la telegrafia e la
telefonia senza fili, la televisione, il giornale parlato, la bomba
atomica e gli apparecchi guidati a distanza.
Che dire di questa disputa tra avversari e sostenitori del Verne?
Il giudizio piequilibrato ci sembra quello di un critico francese.
俟i detto tutto su questo tema: qualcuno persino giunto a vedere
misteri ldove non ce n'erano affatto, a circondare lo scrittore di
un'aureola di poteri soprannaturali, e farne addirittura un mago. E'
pi conforme al vero considerarlo come un uomo del suo tempo,
sensibile alla ricchezza delle scoperte scientifiche di cui s'informa
con una solerzia costante e scrupolosa; come un lavoratore
infaticabile, quotidianamente proteso per mezzo secolo a far passare
nel romanzo, prolungandole per mezzo di un'abbondante estrapolazione,
le conquiste e le scoperte degli scienziati della sua epoca. La sua
estrapolazione raggiunge certamente l'avvenire, senza tuttavia
prevedere tutte le direttrici della scienza. Jules Verne un poeta
del diciannovesimo secolo e non un ingegnere del ventesimo secolo. La
radio, i raggi X, il cinema, l'automobile, che egli ha visti nascere,
non occupano nella sua opera una funzione importante. Si pu osservare, per esempio, che lo stesso motore del "Nautilus" e il
cannone che lancia gli astronauti verso la luna sono macchine da
teatro. Tuttavia uno dei suoi romanzi migliori, "I 500 milioni della
B嶲um", evoca il primo satellite artificiale, e il "Nautilus" del
capitano Nemo precede di dieci anni i sottomarini dell'ingegnere
Laubeuf.
侯ules Verne non fornisce i mezzi tecnici che permetterebbero la
realizzazione delle macchine moderne: egli ne evoca semplicemente
l'esistenza e i poteri. Non un superuomo, per quanto lo stesso
Edison, che era un autentico scienziato, non abbia preveduto
l'avvenire delle sue scoperte. Le rivoluzioni che puprovocare la
scienza pura sfuggono alle previsioni, e gli autori di fantascienza
del 1965 non sono certamente pivicini al 2000 di quanto Verne, nel
1875 o nel 1880, lo fosse al mondo d'oggi, tormentato dalla scienza
nucleare.
侮erne era qualcosa d'altro: un creatore che non fa concorrenza alla
scienza ma ne incarna la poesia possente, a volte terribile, in miti
fascinosi; un creatore che, in ascolto di un mondo che le ferrovie e
le navi vanno via via trasformando, presenta avventure in cui l'uomo e
la macchina formeranno una coppia dai destini fiabeschi. Egli sta
sulle soglie di un mondo. Di un mondo, non dell'universo nella sua
totalit Verne non un metafisico: i suoi astronauti non hanno
l'anima di Pascal nei suoi viaggi attraverso le profonditstellari.
Non nemmeno un sociologo: errato cercare in "Michele Strogoff"
un'analisi occulta delle forze rivoluzionarie russe nel diciannovesimo
secolo. Ma narratore, romanziere-drammaturgo, creatore di intrecci,
egli dimostra e sviluppa, con un vigore e una sanitinesauribile, un
genio che ebbe pure il grande Dumas padre. Questi nutriva la sua opera
guidandola nel passato; Jules Verne vibra e crea alla confluenza del
presente con l'avvenire(1).

Altro problema che la mostra parigina ha suscitato si pu cos formulare: la produzione del Verne appartiene alla letteratura
propriamente detta? E' destinata a restare come opera d'arte? La
maggior parte dei critici risponde negativamente, ma il problema non risolvibile oggi, per quanto l'interesse agli scritti verniani sia
vivo nella sua patria d'origine, in Italia e altrove, ove i suoi
romanzi sono, in genere, i preferiti tra quelli di fantascienza e
hanno ispirato alla cinematografia notevoli realizzazioni, come quelle
di Walt Disney. Forse bisognerattendere il giudizio dei posteri.
E' certo, tuttavia, che un poeta che di stilistica se ne intendeva ed
era di gusti ultramoderni, Guillaume Apollinaire, sosteneva che la
scarna prosa scattante di Jules Verne bellissima.
E' certo ancora che Verne ha di tanto in tanto sfiorato la sfera
dell'arte, specie nella rappresentazione di personaggi come il
capitano Nemo di "Ventimila leghe sotto i mari" o l'ingegnere Cyrus
Smith de "L'isola misteriosa". Particolarmente degna di attenzione dal
punto di vista letterario la parte meno nota e meno letta di Verne:
le novelle. Tanto in queste, quanto, del resto, nei romanzi, non deve
sfuggire una dote peculiare di questo scrittore: l'umorismo, che ci
rammenta talvolta quello di Dickens.
Comunque, pur lasciando ai posteri l'ardua sentenza circa il valore
letterario di Verne, si puazzardare il pronostico che la sua opera
sopravvivrse non altro come documento storico delle caratteristiche
di un'epoca.
Ma per chi, prima di conoscere e talvolta di deplorare tanti altri
libri per ragazzi, ha passato ore deliziose nell'"Isola misteriosa" e
ha ancora negli occhi il bagliore del "Nautilus" nella ogiva
sottomarina, e rivive il mondo preistorico del viaggio al centro della
Terra, Jules Verne resta come un benefattore che infuse nel cuore, col
desiderio di terre lontane, il culto di un'umanit operosa, onesta,
piena di fede e di speranza nell'avvenire.
Egli ci ha lasciato 80 romanzi e lunghe novelle; varie opere di
volgarizzazione della scienza, come "G廩graphie Illustr嶪 de la France
et de ses colonies" (1868), "Histoire des grands voyages et des grands
voyageurs" (1878), "Christophe Colomb" (1883); infine una quindicina
di opere teatrali, scritte da solo o in collaborazione.
La sua celebritormai piche centenaria, poichrisale agli anni
1863-1865 che videro le edizioni di "Cinque settimane in pallone",
"Viaggio al centro della Terra", "Dalla Terra alla Luna", i suoi primi
tre grandi romanzi.
In un secolo che conta tanti geni come Manzoni, Balzac, Dickens, Dumas
padre, Tolstoj, Dostoevskij, Turgenev, Flaubert, Stendhal, George
Eliot - per non citare che dieci nomi tra i pi grandi maestri di
questo secolo del romanzo - Verne appare ai margini come un
artigiano inesauribile, come un veggente capace di immaginare, un
mezzo secolo e anche un secolo in anticipo, alcune delle pi sbalorditive conquiste della scienza.

Jules Verne nacque a Nantes l'8 febbraio 1828 e mornella sua casa di
Amiens il 24 marzo 1905. Il padre era avvocato e la madre apparteneva
a una famiglia di armatori e di navigatori. Ebbe un fratello e tre
sorelle. A sei anni prese le prime lezioni dalla vedova di un capitano
di lungo corso e a otto anni entrcol fratello nel Seminario minore
di Saint-Donatien. Nel 1839 s'imbarccome mozzo su una nave in rotta
per l'India. Raggiunto dal padre a Paimboeuf, si giustificdi essere
scappato per portare alla cugina Carolina Tronson una collana di
corallo. Alla solenne rampogna paterna rispose: "D'ora in poi viagger soltanto con la fantasia!".
Nel 1844 entrnel liceo di Nantes e, superati gli esami, s'iscrisse
alla facoltdi diritto dell'Universitdi Parigi. Cominciallora a
comporre sonetti e una tragedia in versi, che venne rifiutata da un
teatro di marionette.
Nel 1847 Carolina si sposcon grande disappunto del Verne, che super in quello stesso anno il primo esame di diritto. L'anno seguente
compose un altro dramma che lesse agli amici del "Cercle de la
Cagnotte" di Nantes. Il teatro lo affascinava, ma il teatro era
Parigi. Ottenne percidal padre l'autorizzazione di terminare i suoi
studi di diritto nella capitale, che raggiunse di bel nuovo il 12
novembre 1848. Il rifiuto della cugina non era del tutto estraneo a
quella partenza. "Parto - scriveva ad un amico musicista - perch (Carolina) non mi ha voluto, ma vedranno un giorno di che legno fatto questo povero giovanotto che si chiama Jules Verne!".
A Parigi con una pensione da fame centellinatagli dal padre, Verne arso dalla sete di sapere. Il teatro la sua grande passione. A scopo
di esercizio, rappresenta col solo amico Bonamy l'"Habit vert" di De
Musset e Augier, e, avendo un unico abito da sera, i due squattrinati
studenti assistono alternativamente alle rappresentazioni teatrali. E'
divoratore di libri: digiuna per tre giorni onde comprarsi tutto il
teatro di Shakespeare... E, nutrito di Shakespeare e di Poe, scrive
naturalmente per il teatro. E cilo fa con tanto maggior entusiasmo
in quanto proprio allora aveva fatto conoscenza con Dumas padre e
assistito, al Th嶧tre-Historique, nel palco dello stesso famoso
scrittore, a una delle prime rappresentazioni de "La Jeunesse des
Mousquetaires" (21 febbraio 1849).
In quell'anno si tormenta attorno a tre soggetti, due dei quali
sembrano d'ispirazione di Dumas, "La conspiration des Poudres" e
"Drame sous la R嶲ence", e a una commedia in versi in un solo atto,
"Les pailles rompues" (Le paglie rotte). Quest'ultima piacque a Dumas
e vide le luci della ribalta al Th嶧tre-Historique il 12 giugno 1850 e
venne rappresentata per ben 12 volte.
Il successo inebriil giovane universitario che compose altre due
opere teatrali, le quali non vennero peraccettate. Il teatro,
comunque, non gli fa dimenticare il diritto, tanto che in quell'anno
consegue la laurea. Tuttavia le Pandette non sono fatte per lui e
neppure le interessate insistenze di suo padre riusciranno a fargli
esercitare l'avvocatura. L'unica carriera a cui si sente chiamato ha
un nome: le lettere. Per questo si stabilisce a Parigi, dove per
vivere costretto a dare lezioni.
Nel 1852 sulle colonne di "Le Mus嶪 des Familles" pubblica "Les
premiers navires de la marine mexicaine" e "Un voyage en ballon", il
quale pi tardi verr inserito nel volume "Le Docteur Ox" (2) col
titolo "Un drame dans les airs", due racconti che rivelano il futuro
scrittore dei "Viaggi straordinari".
Ottenuto in quell'anno il posto di segretario al Th嶧tre Lyrique,
offre alla modesta rivista, or ora citata, "Martin Paz", il suo primo
lungo racconto, a sfondo storico, ove le rivalit razziali tra
spagnoli, indiani e meticci del Per si intrecciano a una storia
d'amore.
Il 20 aprile 1853 assiste alla prima di "Le Colin-Maillard" (La mosca
cieca), che strappa 40 repliche e l'onore della stampa. L'operetta,
scritta dal Verne in collaborazione con Michel Carr era stata
musicata dall'amico A. Hignard.
L'anno appresso lascia la segreteria del Th嶧tre Lyrique e, nel suo
nuovo piccolo appartamento, redige la prima stesura di "Mastro
Zaccharius, ovvero l'anima dell'orologiaio" (1854) - ambientato
nella Ginevra cinquecentesca, che al motivo magico-fantastico
(Zaccharius l'inventore dell'orologio e si ritiene dominatore
dell'universo e regolatore del tempo) unisce un vivace interesse per
l'apologetica scolastica - e "Un inverno tra i ghiacci" (1855),
senza per questo dimenticare il teatro.
Nel 1856 s'innamora di una vedova ventiseenne, madre di due bimbe, e
la sposa il 10 gennaio dell'anno successivo.
Col matrimonio comincia a far capolino nella sua casa un po'
d'agiatezza. Le buone relazioni del suocero e i 50 mila franchi
donatigli dal padre gli consentono di entrare nella Borsa di Parigi
come socio di un agente di cambio e di procurarsi un alloggio pi signorile.
La sua mente percontinua a pascersi di interminabili letture, dei
racconti avventurosi che gli confida il cieco Jacques Arago,
viaggiatore e scrittore, e delle esperienze dei primi grandi,
sospirati viaggi che pufinalmente permettersi in Inghilterra, Scozia
(1859) e Scandinavia (1861). Ma il demone delle scene non gli d tregua: nel 1860 a Parigi viene rappresentata la sua operetta "M. de
Chimpanz, musicata da Hignard e diretta nientemeno che
dall'Offenbach e, l'anno dopo, una "vaudeville" scritta in
collaborazione: "Onze jours de si銶e". Il 3 agosto di quello stesso
anno gli nasce Michel, che saril suo unico figlio.
Il 1862 segna una tappa decisiva per la sua vera carriera: presenta
all'editore Hetzel "Cinque settimane in pallone" con cui ha inizio la
serie de "Les Voyages extraordinaires", tradotti ormai in quasi tutte
le lingue. Scocca cosper Verne il momento iniziale, brillantissimo,
della produzione tipica per la quale diverr famoso. Con Hetzel
conclude un contratto che lo impegna per vent'anni. Il romanzo,
pubblicato su "Magasin d'Education et de R嶰r嶧tion" nel dicembre
1862, esce in volume, l'anno seguente. Apparso proprio nel periodo in
cui la spedizione Speke-Grant tentava di attraversare l'Africa, ebbe
un successo trionfale in Francia e nel mondo, assicurando all'Autore
fama e ricchezze. Non per nulla potlasciare la Borsa senza alcuna
preoccupazione d'indole economica. Conoscenze geografiche e nozioni
scientifiche, unite a una fantasia che intuisce, precorrendoli, gli
sviluppi della scienza aeronautica, formano gila base di questo
libro, nel quale Verne vuole anche rappresentare un momento della
lotta ingaggiata dall'uomo per imporsi progressivamente alle cose e
alla natura. Vivendo in un'epoca di fervore scientifico, con il dono
di una fervida immaginazione, innest sul tradizionale romanzo di
avventure motivi ispirati ai problemi che la scienza del suo tempo
veniva studiando, da quelli aeronautici a quelli astronomici e
geologici; creava nel tempo stesso una materia narrativa assai varia e
interessante anche nel senso umano e psicologico, accentuandovi
volentieri la nota caricaturale e umoristica.
Sulle colonne del "Magasin" di Hetzel vedranno la luce (1864) "Le
avventure del Capitano Hatteras", che rievocano in modo affascinante,
in una vicenda lineare e con espressioni di autentica poesia, i
pericoli e l'incanto dei viaggi polari. Nello stesso anno entreranno
nelle librerie "Viaggio al centro della Terra" e, nel 1865, "Dalla
Terra alla Luna" col sottotitolo, ghiotto per noi abituati ai razzi
lunari, "Tragitto diretto in 97 ore e 20 minuti".
A chi si stupisce che quest'ultimo romanzo, come del resto "Attorno
alla Luna", sia stato pubblicato in appendice del grave e serio
"Journal des D嶵ats", rispondiamo che Verne ebbe una duplice schiera
di lettori, e cioun pubblico di ragazzi, che fece la fortuna del
"Magasin d'Education et de R嶰r嶧tion", e un pubblico di adulti che il
"gioco" scientifico dello scrittore appassionava.
Jules Janssen, fisico e astronomo, e Joseph Bertrand, matematico,
rifanno i calcoli di Jules Verne e controllano - fu detto -
l'esattezza delle curve, delle parabole e delle iperboli del tragitto
del razzo di "Dalla Terra alla Luna". E quei lettori del "Journal des
D嶵ats" che non s'interessano all'astronomia sono persensibili al
brio che il Verne sparge a piene mani nel suo romanzo con l'amabile
levite la luminosa gaiezza di uno scrittore di "vaudevilles".
Riconoscere questi due Verne significa scoprire le ragioni del suo
successo e della sua perenne attualit Per questo piace ai giovani e
agli adulti: la sua voce indubbiamente meno alta di quella di taluni
suoi grandi contemporanei, perpiena e ha il tono giusto. Vi in
realtun mondo di Verne, straordinario e fraterno, aperto alla
fantasia e nel contempo d'una stimolante verosimiglianza col reale. E'
appunto questo mondo che egli esplora con un vigore instancabile nella
serie dei "Voyages extraordinaires", nata, come dicevamo, sul finire
del 1862 e proseguita per oltre un quarantennio fino alla morte dello
scrittore.
Non sono tutti capolavori, d'accordo, ma nulla d'indifferente scappa
di mano a questo coscienzioso artigiano che aveva, lo si puben dire,
orchestrato tutta la sua vita - viaggi e letture- attorno al suo
lavoro.
Elenchiamone i principali, tralasciando quelli che incidentalmente
abbiamo gisopra accennato.

"I figli del capitano Grant" (1867), ridotto per il teatro nel 1878 e
che la trasposizione cinematografica di Walt Disney ci ha reso
indimenticabile; "Ventimila leghe sotto i mari" (1869) con il suo
famoso protagonista, il capitano Nemo, tipo autentico dell'eroe del
tardo romanticismo, tenebroso, con un romanzesco passato, amante del
mistero, ma difensore appassionato dei deboli e degli oppressi, nel
quale rivivono in parte gli ideali sociali del 1848. Le avventure
sottomarine di questo romanzo con quelle del precedente si concludono
ne "L'isola misteriosa" (1874), la mirabile vicenda di cinque uomini,
gettati dalla sorte su un'isola deserta, ma segretamente abitata dal
capitano Nemo che diventa il genio protettore dei cinque dispersi, i
quali alla fine riescono a costruirsi una vita civile.
Nel 1873 nasce "Il giro del mondo in 80 giorni", ridotto l'anno
appresso in commedia rappresentata per due anni consecutivi, con la
coppia originale del gentiluomo britannico, Phileas Fogg, e del
fedelissimo servitore francese, pieno di risorse, Passepartout. Una
spassosissima riduzione cinematografica a colori di questi ultimi anni
ne ha rinverdito gli entusiasmi scoppiati fragorosi nell'apparire del
libro, ove l'elemento avventuroso e la vena umoristica si fondono in
modo quanto mai felice. A proposito di questo romanzo, interessante
ricordare che a diciotto anni (1891) dalla sua pubblicazione, una
donna, miss Blay, in due successivi viaggi compdue giri intorno al
globo, rispettivamente in settanta e settantasei giorni, e che nel
1901, incoraggiato dallo stesso Verne, Stiegles effettulo stesso
giro in sessantatrgiorni.

Del 1876 "Michele Strogoff" - ridotto per il teatro nel 1880- uno
dei romanzi piletti di Jules in quanto effettivamente un piccolo
capolavoro della narrativa avventurosa universale. A testimonianza del
suo fascino sta il successo che ebbero le innumerevoli edizioni, le
prolungate rappresentazioni teatrali e infine le avvincenti riduzioni
cinematografiche, che si susseguirono dai tempi del "muto" fino allo
schermo gigante. Bisogna riconoscere infatti che l'ardita impresa di
Michele Strogoff - il viaggio di migliaia di chilometri nella steppa
invasa dai tartari, le peripezie senza numero per recare un messaggio
dello zar nella capitale della Siberia orientale - conserva tuttora
la freschezza e la carica drammatica della prima apparizione. Molte
cose sono cambiate, in Russia, dai tempi di Michele Strogoff; ma ci che non cambia sono la terra siberiana e le sue stagioni, i drammi
delle popolazioni oppresse, e soprattutto i nobili sentimenti
dell'amicizia, del coraggio e della gratitudine umana, che questo
romanzo ci tramanda intatti.

Gli anni che corrono dal 1872 al 1886 segnano - al dire dei
testimoni della sua vita - l'apogeo della gloria e della fortuna di
Verne. Molti dei suoi migliori romanzi escono in questo torno di tempo
(3),
Fin dal 1866 aveva affittato una sontuosa villa all'estuario della
Somme e comprato una scialuppa da pesca battezzandola col nome del
figlio: "Saint-Michel". Con alcuni adattamenti, la trasformin uno
strumento di lavoro e di nuove conoscenze: su di essa infatti, nei
brevi viaggi lungo le coste della Manica o sulla Senna, nacquero via
via molti dei suoi "Viaggi straordinari". Ma Verne non si accontenta
di questi brevi viaggi fluviali e costieri. Nell'aprile del 1867 parte
per gli Stati Uniti a bordo del "Great-Eastern", la grande nave
costruita per la posa del cavo telegrafico transoceanico. E, ritornato
in patria, s'immerge nelle "Ventimila leghe sotto i mari", che in
buona parte scrive a bordo del "Saint-Michel", il suo 剋alleggiante
gabinetto di lavoro
Durante l'invasione tedesca del 1870-71 il nostro romanziere mobilitato come guardacoste, ma cinon gli impedisce di continuare a
scrivere tanto che Hetzel, appena potr riprendere l'attivit editoriale, si troversul tavolo quattro manoscritti verniani bell'e
pronti per le stampe.
Nel 1872 si stabilisce definitivamente ad Amiens, la cittnatale di
sua moglie e, due anni appresso, compra un autentico "yacht", il
"Saint-Michel Secondo". Libri, crociere, vita borghese: ma il lavoro
soprattutto... e l'oculata amministrazione delle ricchezze che la
dura, coscienziosa e continua fatica dello scrittore gli propizia.
Acquista un nuovo "yacht", il "Saint-Michel Terzo"; parte in crociera
per la Norvegia, l'Irlanda e la Scozia (1880); per il Mare del Nord e
il Baltico (1881); per il Mediterraneo (1884). Nel 1889 viene eletto
al Consiglio Municipale di Amiens, nella lista dei radicali, che
qualcuno ha abusivamente battezzata come "ultra-rossa". Accolto con
onore nella Soci彋de G廩graphie, fu due volte presidente, ad Amiens,
della Acad幦ie des Sciences, des Lettres et des Arts.
Anche il dolore bussa alla sua porta. Nel 1871 gli era morto il padre,
nell'87 la madre. Nel 1886 un suo giovane nipote, affetto da febbre
cerebrale, dinanzi alla porta di casa gli spara due colpi di revolver
che lo lasciano zoppo. In seguito a questo incidente in buona parte
ancora velato di ombre, Verne vende lo yacht, rinunzia ai suoi viaggi
e si rifugia nel suo mondo che continua a popolare di nuovi
personaggi. 俠a mia vita piena, non c'posto per la noia Nel 1897
perde l'unico fratello, nel 1902 colpito dalla cataratta e scrive a
una delle sue sorelle: 促arigi non mi rivedrpi欞.
Con tutto ciazzardato, per non dire falso, colorare tragicamente
gli ultimi anni del Verne, come ha fatto pidi un suo biografo.
Egli lavora fino al limite estremo, finchputenere la penna in
mano. 侶uando non lavoro, non mi sento pivivereconfidun giorno
al nostro De Amicis.

Charles Baudelaire (1821-1867), che mornegli anni in cui l'astro di
Verne cominciava a brillare, lasciscritto che "sulla terra non v' nulla d'interessante all'infuori delle religioni". Quale parte occupa
il problema religioso negli scritti del poeta dei "Viaggi
straordinari"?
Verne fu un cattolico rispettoso della religione.
Nei suoi romanzi non ostentmai le manifestazioni di fede, evitando
cosin un'epoca nella quale prevalevano le dottrine materialistiche,
che i suoi libri venissero boicottati come confessionali. Ma il
rispetto della religione era implicito nella presenza continua della
Divinit nella picompleta moralitdei fatti e dei sentimenti, nel
culto del lavoro e dell'onest
Non c'quindi da meravigliarsi se nel 1884 Jules Verne fu ricevuto in
udienza da Leone Tredicesimo, il quale lo benedisse, esortandolo a
perseverare nel suo fecondo lavoro.
E quando il 24 marzo 1905 mor l'"Osservatore Romano" gli dedicun
lungo articolo, affermando, tra l'altro, che quella del Verne 哎na
produzione geniale che diletta e al tempo stesso istruisce, e non ha
certo da rimproverarsi ciche forma la colpa della maggior parte dei
romanzieri moderni, quella ciodi servire di fomite e di strumento
per la diffusione della corruzione
Ma forse il pibell'elogio del Verne l'ha tessuto lui stesso quando
afferm 信o sempre cercato di scrivere opere tali che un ragazzo bene
educato possa leggerle alle sue sorelle senza arrossire
VALENTINO GAMBI.



NOTE.

Nota 1. JULES VERNE, "Les 500 millions de la B嶲um", Librairie
Hachette, Paris, 1966, pagine 243-244.
Nota 2. Versione italiana, "Il Dottor Ox" (il quale oltre alla novella
che dil titolo al libro contiene: "Un dramma nell'aria", "Mastro
Zaccharius", "Un inverno tra i ghiacci"), Edizioni Paoline, 1967. Il
libretto della riduzione teatrale de "Le Docteur Ox" venne musicato
dall'Offenbach (1877).
Nota 3. Oltre quelli menzionati qua e lnell'introduzione citiamo
ancora: "Le Chancellor, journal du passager J. R Kazallon" (1875),
narrazione di una serie di imprevisti di viaggio cui vanno incontro i
passeggeri di un veliero transatlantico; "Les Indies Noires (1877);
"Un capitano di undici anni (1878; versione italiana, Edizioni Paoline
1968), "I guai di un cinese in Cina (1879; versione italiana, Edizioni
Paoline, 1967), ossia le tragicomiche peripezie di Kin-Fo, un ricco
mercante cinese, il quale credendosi fallito incarica il suo caro
amico di sopprimerlo, ma, appreso in seguito che le sue fortune erano
invece aumentate, insegue l'amico per tutta la Cina onde annullare il
sanguinoso patto; "Le Rayon vert" (1882); "K廨aban le t皻u" (1883, da
cui venne tratta nello stesso anno l'omonima commedia); "L'Archipel en
feu" (1884); "Mathias Sandorf" (1885: riduzione teatrale del 1887),
ove, sotto l'ampia e pittoresca descrizione delle sponde mediterranee
da Trieste, a Ceuta e alla Tripolitania, l'indipendenza nazionale dei
popoli oppressi forma il tema principale; "Deux ans de vacances"
(1888), "Il Castello dei Carpazi" (1892, versione italiana, Edizioni
Paoline, 1969) nelle cui pagine serpeggiano le cupe leggende e
superstizioni della Transilvania; "L'Ile h幨ice" (1895); "Face au
drapeau" (1896); "Le superbe Or幯oque" (1898), "Le testament d'un
excentrique" (1898); "Seconde patrie (1900); "Le village a廨ien
(1901); "Les fr鋨es Kip" (1902); "Un drame en Livonie" (1904); "Ma褾re
du monde" (1904); "Sphinx des Glaces" (1904), eccetera.












PARTE PRIMA.


1. UNA FESTA AL PALAZZO NUOVO.

- Maest un altro dispaccio.
- Da dove?
- Da Tomsk.
- E, oltre questa citt la linea interrotta?
- E' interrotta fin da ieri.
- Generale, fa' spedire ogni ora un telegramma a Tomsk, e tienimi
informato.
- S Maest - rispose il generale Kissoff.
Queste parole venivano scambiate alle due del mattino, mentre la festa
da ballo al Palazzo Nuovo era al colmo della sua magnificenza.
Durante la serata, le fanfare dei reggimenti di Preobrazenskij e di
Pavlovskij si erano succedute nell'esecuzione di polche, mazurche,
danze scozzesi e valzer, tutti pezzi scelti tra i migliori del
repertorio. Le coppie dei ballerini si moltiplicavano all'infinito
attraverso le splendide sale del palazzo, che si ergeva a pochi passi
dalla "vecchia casa di pietra" dove in altri tempi s'erano svolti
tanti drammi terribili, la cui eco si ridestava quella notte per
richiamare lontani motivi di quadriglie.
Del resto, il gran maresciallo di corte era ben secondato nelle sue
delicate mansioni. Gli stessi granduchi e i loro aiutanti di campo, i
ciambellani di servizio, gli ufficiali di palazzo presiedevano
all'organizzazione delle danze. Le granduchesse, ingioiellate di
diamanti, le dame di corte, nei loro costumi di gala, davano il loro
valido esempio alle mogli degli alti funzionari militari e civili
dell'antica "citt dalle bianche pietre". Cos appena risuonil
segnale della "polacca", quando gli invitati d'ogni rango presero
parte a questo genere di passeggio cadenzato, che in simili feste
assume tutta l'importanza d'una danza nazionale, l'alternarsi degli
abiti da sera guarniti di merletti e delle uniformi fregiate di
decorazioni offruno spettacolo indescrivibile, sotto la luce di
cento lampadari moltiplicati per dieci dal riflesso degli specchi.
Fu un vero splendore.
Del resto, il salone grande, il pisontuoso di tutte le sale del
Palazzo Nuovo, offriva a questo corteo di gentiluomini e di dame
splendidamente vestite, una cornice degna della loro magnificenza. Il
ricco soffitto, con i suoi stucchi dorati e bruniti dalla patina del
tempo, era costellato di punti luminosi. I broccati delle tende e
delle portiere, drappeggiati in pieghe solenni, s'imporporavano di
toni caldi, interrotti bruscamente agli angoli della pesante stoffa.
Attraverso i vetri delle ampie finestre arcuate a tutto sesto, la luce
che inondava le sale, filtrando leggermente appannata, si diffondeva
all'esterno come il riflesso d'un incendio e formava un violento
contrasto con la notte che, da piore, avvolgeva lo scintillante
palazzo. E il contrasto attirava l'attenzione di coloro che non erano
attratti dalle danze. Quando si fermavano nei vani delle finestre,
potevano scorgere alcuni campanili sfumati nell'ombra, che profilavano
qua e li loro massicci contorni. Sotto i balconi scolpiti, essi
vedevano passeggiare in silenzio numerose sentinelle, con il fucile
sulla spalla e il loro casco puntuto, che pareva ornato da un
pennacchio di fuoco sotto il bagliore spiovente dall'alto. Si poteva
udire anche il passo delle pattuglie, che scandiva il tempo sul
selciato di pietra, forse con maggior precisione del piede dei
ballerini sui lucidi pavimenti delle sale. A intervalli regolari, il
grido delle sentinelle si ripeteva di posto in posto, e talvolta, uno
squillo di tromba, fondendosi con gli accordi dell'orchestra,
introduceva le sue chiare note nell'armonia generale.
Ancora pi in basso, di fronte alla facciata, masse scure si
profilavano sotto i grandi coni di luce proiettati dalle finestre del
Palazzo Nuovo. Erano battelli che scendevano il corso del fiume, le
cui acque, scintillanti alla luce tremula dei fanali, lambivano le
prime fondamenta delle terrazze.
Il principale personaggio del ballo, quello che offriva il ricevimento
e al quale il generale Kissoff aveva attribuito un appellativo
riservato ai sovrani, indossava una semplice uniforme di ufficiale dei
Cacciatori della Guardia. Non era ostentazione la sua, ma l'abitudine
d'un uomo poco sensibile alle ricercatezze dell'apparato esterno. Il
suo vestire contrastava quindi con gli sfarzosi costumi che si
avvicendavano attorno a lui, e in quella stessa divisa egli si
presentava quasi sempre in pubblico, fra la sua scorta di Georgiani,
di Cosacchi, di Lesghi, quei meravigliosi squadroni, splendidamente
vestiti delle brillanti uniformi del Caucaso.
Questo personaggio, di alta statura, tratto affabile, fisionomia
calma, fronte tuttavia pensosa, passava da un gruppo all'altro, ma
parlava poco, e sembrava persino prestare scarsa attenzione tanto alle
manifestazioni festose dei giovani invitati, quanto ai discorsi pi seri degli alti funzionari o dei membri del corpo diplomatico, che
rappresentavano presso di lui i principali stati d Europa. Due o tre
di questi perspicaci uomini politici - fisionomisti di professione
- avevano certo creduto di scoprire sul volto del loro ospite qualche
sintomo d'inquietudine, la cui causa sfuggiva, ma nessuno di loro si
sarebbe permesso d'interrogarlo su questo argomento. In ogni caso,
l'intenzione dell'ufficiale dei Cacciatori della Guardia era, senza
dubbio, che le sue segrete preoccupazioni non turbassero in nessun
modo la festa. D'altronde egli era uno di quei rari sovrani ai quali
quasi tutto un mondo si abituato a ubbidire, anche col pensiero;
perciil piacere del ballo non rallentun solo istante.
Intanto, il generale Kissoff aspettava che l'ufficiale a cui aveva
portato il dispaccio proveniente da Tomsk gli desse l'ordine di
ritirarsi, ma quello restava in silenzio. Aveva preso il telegramma,
l'aveva letto, e la fronte gli si oscurancora di pi La sua mano
corse involontariamente all'elsa della spada, risal poi verso gli
occhi e li copr per un momento. Si sarebbe detto che il bagliore
delle luci lo ferisse e che cercasse l'ombra per meglio guardare
dentro di s
- E cos - riprese dopo aver condotto il generale Kissoff nel vano
d'una finestra - da ieri siamo senza comunicazione col granduca mio
fratello?
- Senza comunicazioni, Maest e si teme che tra poco i dispacci non
potranno piattraversare la frontiera siberiana.
- Ma le truppe delle province dell'Amur e del Jakutsk, come pure
quelle della Transbajkalia, hanno ricevuto l'ordine di marciare
immediatamente su Irkutsk?
- L'ordine stato dato con l'ultimo telegramma che abbiamo potuto
trasmettere al di ldel lago Bajkal.
- Quanto ai governatori, del Jeniseisk, dell'Omsk, del Semipalatinsk,
del Tobolsk, siamo sempre in comunicazione con essi dall'inizio
dell'invasione?
- S Maest i nostri dispacci arrivano fino a loro, e abbiamo la
certezza, fino a questo momento, che i Tartari non hanno oltrepassato
l'Irtisc e l'Ob.
- E del traditore Ivan Ogareff, non si fa nessuna notizia?
- Nessuna - rispose il generale Kissoff. - Il capo della polizia
non saprebbe dire se ha passato o no la frontiera.
- I suoi connotati siano immediatamente trasmessi a Niznij-Novgorod, a
Perm, a Ekaterinburg, a Kassimov, a Tijmen, a Isim, a Omsk, a Elamsk,
a Kolivan, a Tomsk, a tutte le stazioni telegrafiche con le quali
siamo ancora in contatto.
- Gli ordini di Vostra Maestsaranno eseguiti all'istante - rispose
il generale Kissoff.
- E silenzio su tutto questo!
Con un segno di rispettoso assenso e un inchino, il generale si
confuse dapprima nella folla, e lasciquindi le sale, senza che la
sua partenza fosse notata.
L'ufficiale, invece, stette per qualche momento pensoso, e quando
ritorn in mezzo ai gruppi di ufficiali e di uomini politici che si
erano formati in parecchi punti delle sale, il suo viso aveva ripreso
tutta la calma che per un momento aveva perduta.
Tuttavia, il grave fatto che aveva dato motivo al rapido scambio di
parole, non era tanto ignorato quanto l'ufficiale dei Cacciatori della
Guardia e il generale Kissoff potevano credere. Non se ne parlava
ufficialmente, vero, e neppure ufficiosamente, poichle lingue non
erano state sciolte "su ordine"; ma alcuni alti personaggi erano stati
informati pi o meno esattamente di quanto accadeva oltre la
frontiera. Ad ogni modo, quanto essi non sapevano forse che in maniera
incerta, e di cui non parlavano in conversazione, neppure tra membri
del corpo diplomatico, era noto a due invitati, privi di qualsiasi
uniforme, di qualsiasi decorazione che attirasse l'attenzione su di
loro in quel ricevimento al Palazzo Nuovo; essi ne discutevano
sottovoce e parevano in possesso di informazioni abbastanza precise al
riguardo.
In che modo, per quali vie, grazie a quali abilit quei due semplici
mortali sapevano quello che tanti personaggi, anche tra i pi ragguardevoli, appena sospettavano? Sarebbe stato impossibile dirlo.
Erano forniti del dono di prescienza o di previsione? Possedevano un
senso supplementare, che permetteva loro di vedere al di ldi quel
limitato orizzonte, oltre il quale non va lo sguardo umano? Avevano un
particolare fiuto per scovare le notizie pi segrete? Grazie
all'abitudine, divenuta in essi una seconda natura, di vivere
dell'informazione e per l'informazione, la loro natura si era dunque
trasformata? Si sarebbe stati tentati ad ammetterlo.
Uno dei due era inglese, l'altro francese; tutti e due alti e magri,
questi bruno come i meridionali della Provenza, quello biondo come un
gentiluomo del Lancashire. L'Anglo-Normanno, compassato, freddo,
flemmatico, economo di gesti e di parole, sembrava parlare o gestire
soltanto sotto l'impulso d'una molla operante a intervalli regolari.
Il Gallo-Romano, al contrario, vivace, petulante, si esprimeva nello
stesso tempo con le labbra, con gli occhi, con le mani; aveva venti
maniere per manifestare il proprio pensiero, mentre il suo
interlocutore sembrava averne una sola immutabilmente stereotipata nel
suo cervello.
Le loro dissomiglianze fisiche avrebbero subito dato nell'occhio a un
osservatore superficiale; ma un fisionomista, osservando quei due
stranieri pi da vicino, avrebbe chiaramente definito il contrasto
fisiologico che li caratterizzava, dicendo che se il francese era
"tutto occhi", l'inglese era "tutto orecchi".
Infatti, l'apparato ottico dell'uomo si era straordinariamente
perfezionato con l'uso. La sensibilitdella sua retina doveva essere
altrettanto istantanea quanto quella dei prestigiatori, i quali
riconoscono una carta unicamente da un rapido movimento di taglio, o
dalla disposizione d'un particolare che passa inosservato per tutti
gli altri. Il francese possedeva dunque al massimo grado quella che
chiamiamo la "memoria visiva".
L'inglese, invece, pareva strutturato apposta per ascoltare o per
sentire. Quando il suo apparato uditivo era stato colpito dal suono
d'una voce, non la dimenticava pie dopo dieci, venti anni, l'avrebbe
riconosciuta tra mille. Le sue orecchie non avevano certo la facolt di orientarsi, come quelle degli animali dotati di grandi padiglioni
uditivi; ma, poichi competenti hanno costatato che le orecchie umane
sono immobili solo "pressappoco", si sarebbe autorizzati ad affermare
che quelle del suddetto inglese, drizzandosi, torcendosi,
inclinandosi, cercavano di percepire i suoni in una maniera abbastanza
evidente per l'anatomista.
Dobbiamo anche far notare che la perfezione della vista e dell'udito
in quei due uomini serviva meravigliosamente al loro mestiere, perch l'inglese era un corrispondente del "Daily Telegraph", e il francese
un corrispondente del... Di che giornale o di quali giornali, egli non
lo diceva, e quando glielo domandavano, rispondeva scherzosamente che
era in corrispondenza con la "cugina Maddalena". In fondo, quel
francese, sotto la sua apparente leggerezza, era molto perspicace e
molto fine. Parlando sempre un po' a vanvera, forse per meglio
nascondere il suo desiderio di sapere, non si tradiva mai. La sua
stessa loquacitgli serviva per tacere, e forse egli era pichiuso,
pidiscreto del suo collega del "Daily Telegraph".
Se tutti e due assistevano a questo ricevimento al Palazzo Nuovo,
nella notte tra il 15 e il 16 luglio, lo dovevano alla loro qualitdi
giornalisti e allo scopo di assicurare la maggior edificazione ai loro
lettori.
Inutile dire che quei due uomini svolgevano con passione il loro
compito in questo mondo elegante; che a loro piaceva lanciarsi come
folletti sulla pista delle notizie pi impensate; che non si
spaventavano nsi scoraggiavano di nulla, pur di riuscire; che
possedevano l'imperturbabile sangue freddo e la vera bravura delle
persone del mestiere. Veri "jockeis" (1) della "steeple-chase" (2),
della caccia all'informazione, essi scavalcavano le siepi,
traversavano i fiumi, saltavano le staccionate con l'incomparabile
ardore di quei corsieri puro sangue, che vogliono arrivare "primi
assoluti" o morire!
Del resto, i loro giornali non lesinavano il denaro, che il pi sicuro, rapido e perfetto mezzo d'informazione finora conosciuto. E'
doveroso aggiungere anche, a loro onore, che n l'uno n l'altro
origliava o spiava dal buco della serratura sulla vita privata di
chicchessia, e che operavano soltanto quando erano in gioco interessi
politici o sociali. In breve, facevano quello che da molti anni si
chiama "il grande 'reportage' politico e militare".
Ma, seguendoli pida vicino, si vedrch'essi avevano, nella maggior
parte dei casi, una maniera speciale d'interpretare i fatti e
soprattutto le loro conseguenze, avendo ciascuno la "propria maniera"
di vedere e di valutare. Ma, per il solo fatto che avevano buon gioco,
buon denaro, e non si lasciavano sfuggire nessuna occasione, sarebbe
stata una vera cattiveria biasimarli.
Il corrispondente francese si chiamava Alcide Jolivet, quello inglese
Harry Blount. Si erano incontrati per la prima volta durante questo
ricevimento al Palazzo Nuovo, del quale dovevano scrivere la cronaca
per il loro giornale. La differenza di carattere, congiunta ad una
certa gelosia di mestiere, doveva renderli assai poco simpatici l'uno
all'altro. Tuttavia non si evitarono, anzi cercarono d'investigarsi a
vicenda sulle notizie del giorno. Dopo tutto, erano due cacciatori,
che andavano a caccia sullo stesso territorio, nelle stesse riserve.
Ciche sfuggiva a uno poteva vantaggiosamente arrivare a tiro
dell'altro, e il loro comune interesse voleva che si mantenessero a
contatto per vedersi e per udirsi.
Quella sera, erano tutti e due in agguato. C'era infatti qualcosa
nell'aria.
俟i trattasse anche solo di un passaggio di anatre - pensava Alcide
Jolivet - vale la pena sprecare una cartuccia!
I due corrispondenti furono quindi portati a discutere tra loro
durante il ballo, pochi minuti dopo l'uscita del generale Kissoff, e
lo fecero con un po' di tattica vicendevole.
- Questa festicciola, signore, veramente incantevole! - disse
amabilmente Alcide Jolivet, che ritenne di dover aprire la
conversazione con quella frase squisitamente francese.
- Ho gitelegrafato: splendida! - rispose freddamente Harry Blount,
adoperando quella parola, particolarmente adatta per esprimere
l'ammirazione generica d'un cittadino del Regno Unito.
- Tuttavia - aggiunse Alcide Jolivet - ho creduto di dover
contemporaneamente far notare a mia cugina...
- Vostra cugina?... - ripetHarry Blount, interrompendo il collega.
- S.. - riprese Alcide Jolivet - mia cugina Maddalena... E' con
lei che sono in corrispondenza! Le piace d'essere informata presto e
bene, a mia cugina!... Ho dunque creduto di doverle far notare che,
durante questo ballo, una specie di nube mi sembrata oscurare la
fronte del sovrano.
- A me apparso raggiante - rispose Harry Blount, che voleva forse
dissimulare il suo pensiero su quell'argomento.
- E naturalmente, l'avete fatto 咬aggiaresulle colonne del "Daily
Telegraph".
- Precisamente.
- Ricordate, signor Blount - disse Alcide Jolivet - quello che
avvenne a Zakret nel 1812?
- Me ne ricordo come se ci fossi stato, signore - rispose il
corrispondente inglese.
- Allora - continuAlcide Jolivet - sapete che nel bel mezzo d'un
ricevimento dato in suo onore, fu annunciato all'imperatore Alessandro
che Napoleone aveva passato il Niemen con l'avanguardia francese (3).
Tuttavia, l'imperatore non abbandonla festa e, nonostante la gravit estrema d'una notizia che gli poteva costare l'impero, non lasci trasparire nessuna inquietudine...
- Non pidi quanta ne abbia dimostrata il nostro ospite, quando il
generale Kissoff gli ha annunciato che la linea telegrafica era stata
interrotta tra la frontiera e il governatorato di Irkutsk.
- Ah! voi lo conoscete, questo particolare?
- Lo conosco.
- Da parte mia mi sarebbe difficile ignorarlo, poichil mio ultimo
telegramma arrivato fino a Udinsk - fece osservare Alcide Jolivet
con una certa soddisfazione.
- E il mio soltanto fino a Krasnojarsk - rispose Harry Blount con
tono non meno soddisfatto.
- Allora sapete pure che sono stati inviati degli ordini alle truppe
di Nicolaievsk?
- S signore, e proprio mentre si telegrafava ai Cosacchi del
governatorato di Tobolsk di concentrarsi.
- Verissimo, signor Blount, questi ordini mi erano egualmente noti, e
potete credermi se vi dico che la mia amabile cugina ne saprqualcosa
entro domani!
- Precisamente come lo sapranno anche i lettori del "Daily Telegraph",
signor Jolivet.
- Sicuro! Quando si vede tutto quello che avviene!...
- E quando si ascolta tutto quello che si dice!...
- Una interessante campagna da seguire, la nostra, signor Blount.
- Allora, possibile che ci ritroveremo su un terreno forse meno
sicuro del pavimento di questa sala!
- Meno sicuro vero, ma...
- Anche meno sdrucciolevole - finAlcide Jolivet, trattenendo il
collega che, indietreggiando, aveva perso l'equilibrio.
A questo punto i due corrispondenti si separarono, tutto sommato
abbastanza contenti di sapere che l'uno non aveva distanziato l'altro.
Infatti erano pari.
In quel momento le porte delle sale contigue al salone grande furono
aperte. Apparvero parecchie tavole meravigliosamente imbandite e
cariche a profusione di porcellane preziose e di vasellame d'oro.
Sulla tavola centrale, riservata ai principi, alle principesse e ai
membri del corpo diplomatico, scintillava un trionfo da tavola
d'inestimabile valore, proveniente dalle fabbriche di Londra, e
intorno a quel capolavoro dell'oreficeria splendevano, sotto la luce
dei lampadari, i mille pezzi del pimeraviglioso servizio che fosse
mai uscito dall'artigianato di S鋦res
Gli invitati al Palazzo Nuovo cominciarono a dirigersi verso le sale
per il pranzo.
Proprio allora, il generale Kissoff, ch'era rientrato, si avvicin premuroso all'ufficiale dei Cacciatori della Guardia.
- Ebbene? - gli domandquesti, con la stessa premura di prima.
- I telegrammi, Sire, non vanno piin ldi Tomsk.
- Subito un corriere!
L'ufficiale lascila sala grande ed entrin un'ampia stanza attigua.
Era uno studio, ammobiliato con molta semplicitin vecchia quercia, e
situato all'angolo del Palazzo Nuovo. Alle pareti erano appesi alcuni
quadri, tra cui varie tele firmate da Horace Vernet.
L'ufficiale apr con gesto rapido la finestra, come se gli fosse
venuto a mancare l'ossigeno ai polmoni, e usca respirare sull'ampio
balcone l'aria pura, rinfrescata da una bella notte di luglio.
Sotto i suoi occhi, bagnata dai raggi lunari, si stendeva ad arco una
cinta fortificata, entro la quale s'innalzavano due cattedrali, tre
palazzi e un arsenale. Fuori della cinta si profilavano tre distinte
citt Kitaj Gorod, Beloj Gorod e Zemljanoj Gorod, immensi quartieri,
l'uno europeo, l'altro tartaro, il terzo cinese, dominati da torri, da
campanili, da minareti, dalle moli di trecento chiese con le loro
cupole verdi, sormontate da croci d'argento. Un piccolo fiume, dal
corso sinuoso, riverberava qua e l i raggi della luna. Tutto
quell'insieme formava un curioso mosaico di edifici variamente
colorati, incasellato entro una vasta cornice di dieci leghe.
Quel fiume era la Moscova, quella cittera Mosca, quella cinta
fortificata era il Cremlino, e l'ufficiale dei Cacciatori della
Guardia, che se ne stava con le braccia conserte e la fronte pensosa
ad ascoltare distrattamente i suoni profusi dal Palazzo Nuovo sulla
vecchia cittmoscovita, era lo zar.


NOTE.

Nota 1. Fantini (Nota del Traduttore).
Nota 2. Corsa ad ostacoli (Nota del Traduttore).
Nota 3. Il 14 settembre 1812, durante la guerra della sesta
coalizione, Napoleone entra Mosca, ma la trovquasi deserta (Nota
del Traduttore).



2. RUSSI E TARTARI.

Perch lo zar aveva lasciato cosd'improvviso le sale del Palazzo
Nuovo, proprio nel momento in cui il ricevimento da lui offerto alle
autoritcivili e militari e alle personalitillustri di Mosca era al
colmo dello splendore? La risposta che gravi cose accadevano in quei
giorni oltre le frontiere dell'Ural. Non c'era pidubbio; una
terribile invasione minacciava di sottrarre all'autonomia russa le
province siberiane.
La Russia asiatica, o Siberia, ha una superficie di
cinquecentosettantamila leghe quadrate e conta circa due milioni di
abitanti (1). Si estende dai monti Urali, che la dividono dalla Russia
europea, fino alle coste dell'oceano Pacifico. A sud essa confina col
Turkestan e l'impero cinese, che la delimitano seguendo una frontiera
piuttosto indeterminata; a nord, confina con l'oceano glaciale, dal
mare di Kara fino allo stretto di Bering. E' divisa nei governatorati
o province di Tobolsk, di Jeniseisk, di Irkutsk, di Omsk e di Jakutsk;
comprende due distretti, Ochotsk e Camciatca, e possiede due regioni,
al presente sottomesse alla dominazione moscovita, quella dei Kirghisi
e quella dei Ciukci.
Quell'immensa distesa di steppe, compresa fra pidi centodieci gradi
di longitudine, nello stesso tempo un luogo di deportazione per i
criminali ed una terra d'esilio per coloro che qualche "ukas" (2)
imperiale abbia condannato all'espulsione.
Due governatori generali rappresentano l'autoritsuprema dello zar in
questo vasto territorio. Uno risiede a Irkutsk, capitale della Siberia
orientale; l'altro a Tobolsk, capitale della Siberia occidentale. Il
fiume Ciuna, affluente del Jenisej, divide le due Siberie.
Nessuna ferrovia attraversa ancora quelle immense pianure, alcune
delle quali sono sommamente fertili. Nessuna strada ferrata collega le
ricche miniere che, per vaste estensioni, rendono il suolo siberiano
piricco sotto che sopra la sua superficie. Vi si viaggia d'estate in
"tarant跴" o in "telega", d'inverno in slitta.
Una sola linea di comunicazione, quella elettrica, congiunge le due
frontiere est e ovest della Siberia, per mezzo d'un filo telegrafico
lungo oltre ottomila verste (8536 chilometri) (3). Uscendo dall'Ural
passa per Ekaterinburg, Kassimov, Tjumen, Isim, Omsk, Elamsk, Kolivan,
Tomsk, Krasnojarsk Niznij, Udinsk, Irkutsk, Verkne, Nercink, Strelink,
Albasin, Blagovscensk, Rad, Orlomskaija, Aleksandrovskoje,
Nikolayevsk, e costa sei rubli e diciannove kopeki (4) per ogni parola
da un capo all'altro della linea. Da Irkutsk una diramazione si
allaccia a Kiatka sulla frontiera mongola, e di l per trenta kopeki
a parola, la posta reca i dispacci a Pechino in quattordici giorni.
Questa linea, tesa da Ekaterinburg a Nikolayevsk, era stata
interrotta, prima oltre Tomsk, e, alcune ore dopo, fra Tomsk e
Kolivan.
Per questo lo zar, alla seconda comunicazione fattagli dal generale
Kissoff, aveva risposto con questa sola frase: "Subito un corriere!".
Lo zar se ne stava da pochi istanti immobile sul balcone del suo
studio, quando gli uscieri ne aprirono di nuovo la porta. Il capo
supremo della polizia, apparve sulla soglia.
- Entra, generale - disse lo zar con voce secca - e dimmi tutto
quello che sai di Ivan Ogareff.
- E' un uomo estremamente pericoloso, Maest - rispose il capo della
polizia.
- Aveva il grado di colonnello?
- S Maest
- Era un ufficiale intelligente?
- Molto intelligente, ma intrattabile e d'una ambizione sconfinata,
che non indietreggiava davanti a niente. Si coinvolto presto in
complotti segreti, e da allora Sua Altezza il granduca l'ha degradato
e poi esiliato in Siberia.
- In quale periodo?
- Due anni or sono. Graziato dopo sei mesi di esilio, col favore di
Vostra Maest rientrato in Russia.
- E dopo d'allora, non pitornato in Siberia?
- S Maest vi tornato, ma questa volta volontariamente -
rispose il capo supremo della polizia.
E aggiunse, abbassando un po' la voce:
- Vi fu un tempo, Maest che, quando uno andava in Siberia, non ne
tornava pi
- Ebbene, finchio sarvivo, la Siberia e resterun paese da cui
si ritorna!
Lo zar aveva il diritto di pronunciare queste parole con vera
fierezza, perchaveva spesso dimostrato, con la sua clemenza, che la
giustizia russa sapeva perdonare.
Il capo supremo della polizia non rispose, ma era evidente che egli
non era un fautore delle mezze misure. Secondo lui, ogni uomo che
aveva passato i monti Urali sotto la scorta dei gendarmi, non doveva
pirivalicarli. Invece non era cossotto il nuovo regno, e il capo
supremo della polizia lo deplorava sinceramente! Come! non pi condanne a vita per nessun altro crimine se non quello di diritto
comune! Come! Gli esiliati politici tornavano da Tobolsk, da Jakutsk,
da Irkutsk! In verit il capo supremo della polizia, abituato alle
decisioni autocratiche degli "ukas" che una volta non perdonavano mai,
non poteva ammettere questa maniera di perdonare! Ma tacque,
aspettando che lo zar lo interrogasse ancora. E le domande non si
fecero aspettare.
- Ivan Ogareff - chiese lo zar - non rientrato una seconda volta
in Russia, dopo quel viaggio nelle province siberiane, e con uno scopo
che rimasto sconosciuto?
- Vi e rientrato.
- E, dopo il suo ritorno, la polizia ne ha perduto le tracce?
- No, Maest poich un condannato diventa veramente pericoloso
proprio dal giorno in cui stato graziato!
Lo zar corrugun istante la fronte. Forse il capo supremo della
polizia pottemere d'essere andato troppo oltre, benchl'ostinazione
delle sue idee fosse almeno pari alla illimitata devozione ch'egli
nutriva per il suo sovrano; ma lo zar ignorando quei rimproveri
indiretti che riguardavano la sua politica interna, continucon fare
conciso la serie delle sue domande.
- E ultimamente, dov'era Ivan Ogareff?
- Nel governatorato di Perm.
- In quale citt
- Proprio a Perm.
- Che vi faceva?
- Sembrava disoccupato, e la sua condotta non destava alcun sospetto.
- Non era sotto la sorveglianza della polizia imperiale?
- No, Maest
- Quando ha lasciato Perm?
- Durante il mese di marzo.
- Per andar dove?
- Non si sa.
- E da allora si sa cosa ha fatto?
- No.
- Ebbene, lo so io! - continulo zar. - Mi sono pervenute
informazioni anonime, che non sono passate per gli uffici della
polizia, e, alla luce dei fatti che accadono ora oltre frontiera, ho
ragione di credere che siano esatte!
- Intendete dire, Maest - esclamil capo della polizia - che
nell'invasione tartara c'la mano di Ivan Ogareff?
- S generale, e ora ti dirquello che non sai. Ivan Ogareff, dopo
aver lasciato il governatorato di Perm, ha passato gli Urali. Si introdotto in Siberia, nelle steppe kirghise, e lha tentato, non
senza successo, di sollevare quelle popolazioni nomadi. Poi disceso
pia sud, fino al Turkestan libero. L nei khanati di Buchara, di
Lokand, di Kundus, ha trovato dei capi disposti a lanciare le loro
orde tartare nelle province siberiane e a provocare una invasione
generale dell'impero russo in Asia. Il movimento stato preparato
segretamente, ma scoppiato come un fulmine, ed ora le vie e i mezzi
di comunicazione tra la Siberia occidentale e la Siberia orientale
sono tutti tagliati! Di pi Ivan Ogareff, assetato di vendetta, vuol
attentare alla vita di mio fratello!
Lo zar s'era animato parlando e andava su e gia passi concitati. Il
capo supremo della polizia non rispose, ma diceva tra s che, nel
tempo in cui gli zar di Russia non graziavano mai un esiliato, i
progetti di Ivan Ogareff non avrebbero potuto realizzarsi.
Stette in silenzio ancora per qualche istante. Poi avvicinandosi allo
zar, che si era lasciato cadere su una poltrona:
- Vostra Maest - disse - ha certo dato degli ordini perch l'invasione sia respinta al pipresto?
- S - rispose lo zar. - L'ultimo telegramma che ha potuto venir
trasmetto a Niznij Udinsk ha dovuto mettere in moto le truppe dei
governatorati di Jenisejsk, di Irkutsk, di Jakutsk e quelle delle
province dell'Amure e del lago Bajkal. Contemporaneamente, i
reggimenti di Perm, e di Niznij Novgorod e i Cosacchi della frontiera
si dirigono a marce forzate verso i monti Urali; ma disgraziatamente
occorreranno parecchie settimane prima che possano trovarsi di fronte
alle colonne tartare.
- E il fratello di Vostra Maest Sua Altezza il granduca, isolato in
questo momento nel governatorato di Irkutsk, non pi in
comunicazione diretta con Mosca?
- No.
- Ma deve certo sapere, dagli ultimi dispacci, quali sono le decisioni
prese da Vostra Maest e quali soccorsi deve attendersi dai
governatorati pivicini a quello di Irkutsk.
- Lo sa - rispose lo zar, - ma quello che ignora che Ivan
Ogareff, insieme alla parte di ribelle, deve recitare quella di
traditore, e che ha in lui un accanito nemico personale. Ivan Ogareff
deve al granduca la sua prima disgrazia e, cosa pigrave, mio
fratello non conosce quell'uomo. Il progetto di Ivan Ogareff dunque
di andare a Irkutsk, e l sotto falso nome, offrire i suoi servigi al
granduca. Poi, dopo averne guadagnato la fiducia, quando i Tartari
avranno assediato Irkutsk, egli consegnerloro la citt e con essa
mio fratello, la cui vita cosdirettamente minacciata. Ecco quello
che so dalle mie informazioni; ecco quello che non sa il granduca;
ecco quanto egli deve sapere!
- Ebbene, Maest un corriere intelligente, coraggioso...
- Lo aspetto.
- Un corriere che faccia molto presto - aggiunse il capo della
polizia - perch mi sia permesso aggiungere, Maest non c' un
altro territorio cosadatto alle ribellioni come quello siberiano!
- Intendi dire, generale, che gli esiliati farebbero causa comune con
gli invasori? - esclamlo zar, che a quella insinuazione del capo
supremo della polizia non seppe dominarsi.
- Vostra Maest mi scusi!... - rispose interdetto il capo della
polizia, perchera proprio quella l'idea suggeritagli dal suo animo
inquieto e diffidente.
- Io credo che negli esiliati ci sia pipatriottismo! - riprese lo
zar.
- Ma oltre agli esiliati politici, vi sono in Siberia altri condannati
- osservil capo della polizia.
- I criminali! Oh! generale, quelli te li lascio! Sono il rifiuto del
genere umano. Non appartengono a nessun paese. Ma la sollevazione, o
meglio l'invasione, non fatta contro l'imperatore, fatta contro la
Russia, contro questo paese, che gli esiliati non hanno perduto la
speranza di rivedere... e che rivedranno!... No, mai un russo far lega con un tartaro per indebolire, fosse pure per un'ora sola, la
potenza moscovita!
Lo zar aveva ragione di credere al patriottismo di coloro che erano
stati momentaneamente allontanati per ragioni politiche. La clemenza,
che costituiva il fondamento della sua giustizia quando poteva
dirigerne lui stesso gli effetti, e le considerevoli mitigazioni che
aveva adottate nell'applicazione degli "ukas", una volta cos terribili, lo rendevano sicuro di non ingannarsi. Ma, nonostante il
contributo di questo importante elemento favorevole contro l'invasione
tartara, le circostanze restavano tuttavia gravi, perchc'era da
temere che gran parte delle popolazioni kirghise passassero agli
invasori.
I Kirghisi si dividono in tre orde, la grande, la piccola e la media,
e contano circa quattrocentomila "tende", ciodue milioni di persone.
Sono divisi in trib alcune delle quali sono indipendenti, altre
riconoscono la sovranit della Russia o dei khanati di Khiva, di
Koland e di Buchara, ossia dei pi terribili capi del Turkestan.
L'orda media, la pi ricca, anche la pinumerosa, e i suoi
accampamenti occupano lo spazio compreso tra i fiumi Sara-Su, l'Irtis
e l'Isim superiore, e i laghi Hadisang e Aksakal. L'orda grande, che
occupa le contrade situate ad est della media, si estende fino ai
governatorati di Omsk e di Tobolsk. Se dunque queste popolazioni
kirghise si ribellavano, ci significava l'invasione della Russia
asiatica e, anzitutto, la perdita della Siberia, a est del Jenisej.
E' vero che i Kirghisi, molto primitivi nell'arte della guerra, sono
piuttosto predoni notturni e aggressori di carovane che soldati
regolari. Infatti, ha detto Levscin che 哎n fronte organizzato e un
buon reggimento di fanteria resiste a una massa di Kirghisi dieci
volte pi numerosa, e un solo cannone pusbaragliarne una quantit spaventosa
E' vero, ma bisogna che il buon reggimento di fanteria giunga nel
paese in rivolta, e che i cannoni lascino i parchi delle province
russe, che sono lontane due o tre mila verste. Ora tranne la via
diretta che unisce Ekaterinburg a Irkutsk, le steppe, spesso paludose,
non sono facilmente transitabili, e certamente trascorrerebbero
parecchie settimane prima che le truppe russe possano essere in grado
di respingere le orde tartare.
Omsk il centro dell'organizzazione militare della Siberia
occidentale, destinata a tenere sottomesse le popolazioni kirghise.
Ora, i confini siberiani sono stati pid'una volta violati dai nomadi
non del tutto sottomessi, e il ministero della guerra aveva tutta la
ragione di pensare che Omsk era giminacciata molto da vicino. La
linea dei presidi militari, cio quelle postazioni di Cosacchi
scaglionati da Omsk fino a Semipalatinsk, doveva essere stata forzata
in parecchi punti. E c'era da temere che i "gran sultani" che
governavano i distretti kirghisi avessero accettato volontariamente, o
sub鮅o involontariamente, la dominazione dei tartari, musulmani come
loro, e che all'odio provocato dalla sottomissione alla Russia si
fosse aggiunto l'odio dovuto all'antagonismo tra le religioni
ortodossa e musulmana.
Infatti, da molto tempo i tartari del Turkestan, e specialmente quelli
dei khanati di Buchara, di Kokand, di Kundus, cercavano con la forza o
con la persuasione di sottrarre le orde kirghise alla dominazione
moscovita.
Ma chi sono questi Tartari? I Tartari appartengono piparticolarmente
a due razze distinte, la razza caucasica e la razza mongola.
La razza caucasica, scrisse Abel de R幦usat, 剃onsiderata in Europa
come il tipo della bellezza della nostra specie, perchda essa
discendono tutti i popoli di questa parte del mondo riunisce sotto
una stessa denominazione i Turchi e gli indigeni di ceppo persiano.
La razza mongola pura comprende i Mongoli, i Mancie i Tibetani.
I Tartari, che minacciavano allora l'impero russo, erano di razza
caucasica e occupavano piparticolarmente il Turkestan. Questo vasto
paese diviso in vari staterelli, ognuno governato da un khan; di qui
la denominazione di khanati. I principali sono quelli di Buchara, di
Khiva, di Kokand, di Kundus, eccetera.
In quel periodo, il khanato piimportante e pipericoloso era quello
di Buchara. La Russia aveva gidovuto lottare parecchie volte contro
i suoi capi, che per interesse personale e per imporre un loro giogo,
avevano sostenuto l'indipendenza dei Kirghisi contro la dominazione
moscovita. E il capo attuale, Feofar Khan, seguiva le orme dei suoi
predecessori.
Il khanato di Buchara s'estende, da nord a sud, entro il
trentasettesimo e il quarantunesimo parallelo, e da est a ovest, entro
il sessantunesimo e il sessantaseesimo grado di longitudine, su una
superficie di circa diecimila leghe quadrate.
Questo Stato ha una popolazione di due milioni e mezzo di abitanti, un
esercito di sessantamila uomini, che vengono portati al triplo in
tempo di guerra, e trentamila cavalieri. E' un paese ricco per variet di fauna, di flora, di minerali, e s' molto ingrandito con
l'annessione dei territori di Balkh, di Okoij e di Meijmanek. Ha
diciannove citt considerevoli. Buchara cinta da mura di oltre otto
miglia inglesi e fortificate da torri, gloriosa cittresa celebre da
Avicenna (5) e da altri sapienti del decimo secolo, considerata il
centro della cultura musulmana ed collocata tra le pi celebri
dell'Asia centrale; Samarcanda, che possiede la tomba di Tamerlano e
il famoso palazzo dov'custodita la pietra azzurra, sulla quale ogni
nuovo khan deve recarsi a sedere prima di salire al trono, difesa da
una fortezza munitissima; Karsi, con tre cerchie di mura, situata in
un'oasi attorniata da paludi popolate da tartarughe e da lucertole, quasi inaccessibile; Ciargini difesa da una popolazione di circa
ventimila anime; e infine, Katta-Kurgan, Nurata, Gis跠, Paijkand,
Karakul, Khusar, e altre, costituiscono una linea di fortezze
difficili a sottomettere. Il khanato di Buchara, protetto dalle
montagne, isolato dalle steppe, dunque uno stato veramente
pericoloso, e la Russia sarcostretta a impegnare contro di esso un
ingente quantitativo di forze militari.
L'ambizioso e feroce Feofar governava allora quella parte della
Tartaria. Sostenuto dagli altri khan, specialmente da quelli di Kokand
e di Kundus, guerrieri e predoni feroci, sempre disposti a lanciarsi
in imprese care all'istinto tartaro, aiutato dai capi che comandavano
tutte le orde dell'Asia centrale, s'era messo a capo della nuova
invasione, di cui Ivan Ogareff era l'anima. Questo traditore, spinto
in egual misura da un'ambizione insensata e dall'odio, aveva
organizzato l'avanzata in modo da tagliare la grande strada siberiana.
Veramente pazzo, se pensava di poter abbattere l'impero moscovita!
Dietro suo consiglio, l'emiro - com'chiamato il khan di Buchara -
aveva spinto le sue orde oltre la frontiera russa. Aveva invaso il
governatorato di Semipalatinsk, e i Cosacchi, poco numerosi in quel
punto, avevano dovuto indietreggiare davanti a lui. S'era anzi spinto
oltre il lago Balhash, sobillando al suo passaggio le popolazioni
kirghise. Predando, devastando, arruolando coloro che si
sottomettevano, facendo prigionieri coloro che resistevano, passava da
una citt all'altra, portandosi dietro un seguito alla maniera dei
sovrani orientali: una piccola corte privata, ciole sue mogli e i
suoi schiavi. Tutto ci con l'audacia e l'impudenza di un moderno
Gengis Khan.
Dov'era egli in questo momento? Fin dove erano arrivati i suoi soldati
quando la notizia dell'invasione giunse a Mosca? In quale punto della
Siberia le truppe russe avevano dovuto indietreggiare? Nessuno poteva
saperlo. Le comunicazioni erano interrotte. Tra Kolivan e Tomsk, la
linea telegrafica era stata tagliata dalle avanguardie dell'esercito
tartaro? O forse l'emiro era arrivato fino alle province del
Jenisejsk? Tutta la Siberia occidentale era sollevata? La rivolta si
estendeva gifino alle lontane regioni dell'est? Nessuno poteva
dirlo. L'unico messaggero che non teme nil freddo nil caldo,
quello che n rigori dell'inverno n la calura dell'estate pu arrestare, quello che vola con la rapiditdel fulmine - la corrente
elettrica - non poteva pipropagarsi attraverso la steppa, e cos era ormai impossibile avvertire il granduca, chiuso in Irkutsk, del
pericolo che lo minacciava per il tradimento di Ivan Ogareff.
Solo un corriere avrebbe potuto sostituire la linea telegrafica
interrotta. Quest'uomo avrebbe bisogno d'un certo tempo per percorrere
le cinquemiladuecento verste (5523 chilometri) che separavano Mosca da
Irkutsk. Egli dovrebbe avere a sua disposizione, per attraversare le
file dei ribelli e degli invasori, un coraggio e un'intelligenza quasi
sovrumani. Ma, con cervello e cuore si va lontano...
- Troverquesto cervello e questo cuore? - si chiedeva lo zar.


NOTE.

Nota 1. E' opportuno ricordare che questa descrizione si riferisce
alla Siberia dell'anno 1874 (Nota del Traduttore).
Nota 2. Editto, decreto dello zar (Nota del Traduttore).
Nota 3. La versta equivale a 1067 metri, cio poco pi di un
chilometro (Nota del Traduttore).
Nota 4. Circa 27 franchi. Il rublo (argento) vale 3 franchi e 75
centesimi. Il copeco (rame) vale 4 centesimi (Nota dell'Autore). Oggi
il rublo vale circa 700 lire italiane (Nota del Traduttore).
Nota 5. Avicenna, filosofo e medico musulmano, nato presso Buchara nel
980 e morto a Hamadhan nel 1037. Le sue opere sono in massima parte
scritte in arabo; quelle di medicina furono tradotte in latino da
Gherardo da Cremona (dodicesimo secolo); anche parte delle opere
filosofiche fu tradotta in latino. Le une e le altre furono moltissimo
usate nel medioevo (Nota del Traduttore).









3. MICHELE STROGOFF.

La porta dello studio imperiale s'apr e l'usciere annunci il
generale Kissoff.
- E il corriere? - chiese subito lo zar.
- E' qui fuori, Maest - rispose il generale Kissoff.
- Hai trovato l'uomo adatto?
- Oso risponderne a Vostra Maest
- Era di servizio a palazzo?
- S Maest
- Lo conosci?
- Personalmente, e pi volte ha compiuto con successo difficili
missioni.
- All'estero?
- Anche in Siberia.
- Di dov'
- Di Omsk. E' siberiano.
- Ha i nervi saldi, intelligenza, coraggio?
- S Maest ha tutto quanto occorre per riuscire dove altri forse
fallirebbero.
- La sua et
- Trent'anni.
- E' un tipo vigoroso?
- Maest pusopportare il freddo, la fame, la sete, la fatica, fino
all'estremo limite.
- Ha dunque una costituzione di ferro?
- S Maest
- E un cuore?...
- Un cuore d'oro.
- Il suo nome?
- Michele Strogoff.
- E' pronto a partire?
- Aspetta nella sala della Guardia gli ordini di Vostra Maest
- Venga - disse lo zar.
Pochi istanti dopo, il corriere Michele Strogoff entrava nello studio
dello zar.
Michele Strogoff era alto, vigoroso, largo di spalle e robusto di
torace. La testa possente presentava i bei caratteri della razza
caucasica. Le membra, ben proporzionate, erano come altrettante leve
di un congegno meccanico per la migliore esecuzione di forti imprese.
Quel giovane bello e robusto, aitante, ben piantato, non sarebbe stato
facile da smuovere contro la sua volont perch quando aveva posato
i piedi a terra, pareva che vi si radicassero. La sua testa ben
modellata, dalla fronte spaziosa, era ornata da una capigliatura
crespa e folta, che sfuggiva in ciocche dal colbacco moscovita, quando
lo portava. Il suo volto, ordinariamente pallido, si modificava solo
per il battito accelerato del cuore, sotto l'impulso di una
circolazione pirapida che lo tingeva del colorito arterioso. I suoi
occhi erano d'un azzurro cupo, con lo sguardo diritto, franco,
inalterabile, e brillavano sotto un'arcata i cui muscoli sopraciliari
un po' contratti, dimostravano grande coraggio, quel "coraggio senza
collera degli eroi", secondo l'espressione dei fisiologi. Il naso
pronunciato, dalle narici larghe, sovrastava una bocca simmetrica,
dalle labbra un poco sporgenti, proprie di un essere generoso e buono.
Michele Strogoff aveva il temperamento dell'uomo deciso, che prende
rapidamente la sua risoluzione, che non si rode le unghie
nell'incertezza, che non si gratta l'orecchio nel dubbio, che non
tentenna nell'indecisione. Sobrio di gesti come di parole, sapeva
restare immobile come un soldato davanti al suo superiore; ma quando
camminava, il suo incedere dimostrava una grande scioltezza, una
notevole precisione di movimenti; il che era segno contemporaneamente
della fiducia e della volont pronta del suo spirito. Era uno di
quegli uomini che sembravano costantemente in atto di "acciuffar
l'occasione per i capelli": immagine un po' forzata, ma che lo dipinge
con precisione.
Michele Strogoff vestiva un'elegante uniforme militare che somigliava
a quella degli ufficiali dei Cacciatori a cavallo in tenuta di
campagna, con stivali, speroni, calzoni aderenti, casacca orlata di
pelliccia e guarnita di cordoni gialli su fondo bruno. Sul largo petto
brillava una croce e parecchie medaglie.
Michele Strogoff apparteneva al corpo speciale dei corrieri dello zar,
e in quel gruppo di uomini scelti aveva il grado di capitano. Una cosa
traspariva con evidenza dal suo comportamento, dalla sua fisionomia,
da tutta la sua persona, e lo stesso zar la riscontr senza
incertezze: che egli era 哎n esecutore di ordini Possedeva dunque
una delle qualitpiraccomandabili in Russia, secondo l'osservazione
del celebre romanziere Turgenev: la qualitche porta ai pialti
gradi nell'impero moscovita.
In verit se c'era un uomo che potesse portare a termine quel viaggio
da Mosca a Irkutsk, attraverso una zona occupata, superare ostacoli e
sfidare pericoli d'ogni sorta, quell'uomo era Michele Strogoff.
Circostanza favorevolissima alla buona riuscita dei suoi progetti,
Michele Strogoff conosceva a perfezione il paese che doveva
attraversare e ne capiva i diversi idiomi non soltanto per averlo gi percorso, ma perchera di origine siberiana.
Suo padre, il vecchio Piotr Strogoff, morto dieci anni prima, abitava
nella cittdi Omsk, situata nel governatorato omonimo, e sua madre,
Marfa Strogoff, vi risiedeva tuttora. L in mezzo alle steppe
selvagge delle province di Omsk e di Tobolsk, il valente cacciatore
siberiano aveva educato suo figlio Michele 冠lla vita dura secondo
l'espressione popolare. Piotr Strogoff era un vero cacciatore di
professione. D'estate come d'inverno, col caldo torrido o col freddo
che talvolta oltrepassava i cinquanta gradi sotto zero, egli
percorreva la pianura gelata, i macchioni di larici e betulle, le
foreste di abeti, tendendo trappole, facendo la posta alla piccola
selvaggina col fucile e a quella grossa con la forca o col coltello.
La selvaggina grossa era n pi n meno che l'orso siberiano,
pericoloso e feroce animale, la cui statura uguaglia quella dei suoi
congeneri dei mari glaciali. Piotr Strogoff aveva ucciso pidi
trentanove orsi, vale a dire che sotto i suoi colpi era caduto il
quarantesimo, e, prestando fede alle leggende di caccia russe, molti
cacciatori sono stati fortunati fino al trentanovesimo orso, per
soccombere poi davanti al quarantesimo.
Piotr Strogoff aveva dunque superato il numero fatale, senza avere
ricevuto un graffio. Da quel momento, suo figlio Michele, che aveva
allora undici anni, non manc mai di accompagnarlo alla caccia,
portando la "ragatina", ciola forca, per venire in aiuto di suo
padre, armato del solo coltello. A quattordici anni, Michele Strogoff
aveva ucciso da solo il suo primo orso che non poco; - ma dopo
averlo scuoiato, aveva trascinato la pelle del gigantesco animale fino
alla casa paterna, distante parecchie verste, rivelando un vigore poco
comune in un ragazzo.
Quella vita gli fece bene, e giunto all'etadulta, si sentiva in
grado di sopportare tutto: il freddo, il caldo, la fame, la sete, la
fatica. Come il Jakut delle contrade settentrionali, era un uomo di
ferro. Poteva stare ventiquattro ore senza mangiare, dieci notti senza
dormire, e costruirsi un ricovero in piena steppa, dove altri
sarebbero morti assiderati all'addiaccio. Dotato di un eccezionale
senso dell'orientamento, guidato da un istinto degno di un Delaware
(1) in mezzo alla immensa distesa bianca, se la nebbia velava
completamente l'orizzonte, e anche quando si trovava in paesi di alte
latitudini, dove la notte polare si prolunga per molti giorni egli
sapeva ritrovare la sua strada, dove altri non avrebbero saputo che
direzione prendere. Tutti i segreti di suo padre gli erano noti. Aveva
imparato a orientarsi su indizi appena percettibili, come la caduta
degli aghi di ghiaccio, la disposizione dei minimi ramoscelli degli
alberi, i chiarori emananti dagli estremi limiti dell'orizzonte, le
orme sull'erba della foresta, i vaghi suoni che attraversavano l'aria,
le lontane detonazioni, il passaggio di uccelli nell'atmosfera
brumosa, mille particolari che sono mille punti di riferimento per chi
li sa riconoscere. Inoltre, temprato sulle nevi, aveva una salute di
ferro, come aveva detto il generale Kissoff, e, cosa non meno vera,
aveva un cuore d'oro.
L'unico grande affetto di Michele Strogoff era sua madre, la vecchia
Marfa, che non aveva mai voluto lasciare l'antica abitazione degli
Strogoff a Omsk, sulle sponde del fiume Irtis, ove il vecchio
cacciatore e lei erano vissuti tanti anni insieme. Quando il figlio la
lasci aveva il cuore grosso, ma le promise di tornare a rivederla
tutte le volte che avesse potuto: promessa che fu sempre mantenuta con
devozione quasi religiosa.
Era stato deciso che, a vent'anni, Michele Strogoff sarebbe entrato al
servizio personale dell'imperatore, nel corpo dei corrieri dello zar.
Il giovane siberiano, ardito, intelligente, zelante, di buona
condotta, ebbe dapprima l'occasione di distinguersi specialmente in un
viaggio nel Caucaso, in un paese difficile, agitato da qualche
irrequieto successore di Shamil (2); poi, pitardi, in un'importante
missione che lo portfino a Petropavlovsk, nel Camciatca, all'estremo
confine della Russia asiatica. Durante quei lunghi viaggi, dimostr meravigliose qualitdi autocontrollo, di prudenza e di coraggio, che
gli valsero l'approvazione e la protezione dei capi, sicchfece
rapidamente carriera
Tutte le licenze che gli spettavano di diritto, dopo quelle missioni
in terre lontane, egli non mancmai di dedicarle alla vecchia madre,
anche se si trovava lontano da lei migliaia di verste e l'inverno
rendeva le strade impraticabili. Ultimamente, per Michele Strogoff
era stato incaricato di una importante missione nella Russia
meridionale e non rivedeva la vecchia Marfa da tre anni. Era la prima
volta che gli succedeva, e gli parevano tre secoli! Ora, la sua
licenza regolare gli sarebbe stata accordata fra qualche giorno, ed
egli aveva gifatto i suoi preparativi per la partenza verso Omsk,
quando avvennero i fatti che sappiamo. Michele Strogoff fu dunque
introdotto alla presenza dello zar, ignorando completamente che cosa
volesse da lui l'imperatore.
Lo zar lo guard per qualche momento senza parlare e l'osservcon
occhio penetrante, mentre Michele Strogoff restava assolutamente
immobile.
Poi, evidentemente soddisfatto di quell'esame, lo zar si avvicinallo
scrittoio e facendo cenno al capo della polizia di sedersi, gli dett sottovoce una lettera di poche righe.
Scritta la lettera, lo zar la rilesse con grande attenzione poi la
firm facendo precedere al suo nome le parole: "Byt po semu", che
vogliono dire: "Cossia", e che sono la formula di rito degli zar di
Russia.
La lettera venne poi introdotta in una busta, che fu sigillata con lo
stemma imperiale. Lo zar, alzandosi, disse a Michele Strogoff di
avvicinarsi. Michele Strogoff avanzdi qualche passo e restdi nuovo
immobile, pronto a rispondere.
Lo zar lo guard ancora una volta in faccia, con gli occhi negli
occhi. Poi domandcon voce rotta:
- Il tuo nome?
- Michele Strogoff, Maest
- Il tuo grado?
- Capitano al corpo dei corriere dello zar.
- Conosci la Siberia?
- Sono siberiano.
- Dove sei nato?
- A Omsk.
- Hai parenti a Omsk?
- S Maest
- Quali?
- La mia vecchia madre.
Lo zar interruppe un istante la serie delle domande. Poi, mostrando la
lettera che teneva in mano, riprese:
- Ecco una lettera che io ti incarico, Michele Strogoff, di consegnare
nelle mani del granduca e di nessun altro.
- La consegner Maest
- Il granduca a Irkutsk.
- Andra Irkutsk.
- Ma dovrai attraversare un territorio messo sossopra dai ribelli,
invaso dai Tartari, che avranno interesse a intercettare questa
lettera.
- L'attraverser
- Dovrai diffidare soprattutto d'un traditore, Ivan Ogareff, che forse
incontrerai sulla tua strada.
- Diffiderdi lui, Maest
- Passerai per Omsk?
- E' la mia strada, Maest
- Se vai da tua madre, rischi di essere riconosciuto. Non necessario
che tu veda tua madre.
Michele Strogoff ebbe un attimo di esitazione, poi disse:
- Non la vedr Maest
- Giurami che per nessuna ragione rivelerai nchi sei ndove vai!
- Lo giuro.
- Michele Strogoff - disse lo zar, porgendo il plico al giovane
corriere - prendi dunque questa lettera, dalla quale dipende la vita
di tutta la Siberia e forse la vita del granduca mio fratello.
- Questa lettera, Maest sarconsegnata a Sua Altezza il granduca.
- Sicchtu passerai ad ogni costo?
- Passero mi uccideranno.
- Ho bisogno che tu viva!
- Vivre passer - rispose Michele Strogoff.
Lo zar parve soddisfatto della sicurezza semplice e calma con cui
Michele Strogoff gli aveva risposto.
- Va' dunque, Michele Strogoff - disse egli, - va' in nome di Dio,
per la Russia, per mio fratello e per me!
Michele Strogoff salut militarmente, usc subito dallo studio
dell'imperatore e, pochi momenti dopo, dal Palazzo Nuovo.
- Credo, generale, che tu abbia avuto la mano felice - disse lo zar.
- Lo credo anch'io, Maest - rispose il generale Kissoff - e
Vostra Maestpuessere sicura che Michele Strogoff fartutto quanto
pufare un uomo.
- E' veramente un uomo, - concluse lo zar.


NOTE.

Nota 1. Trib di indiani d'America, abitanti lungo il corso
dell'omonimo fiume, che attraversa le pianure della Pennsylvania.
(Nota del Traduttore).
Nota 2. Nome di capo musulmano del Caucaso, animatore della resistenza
delle popolazioni caucasiche contro penetrazione russa (Nota del
Traduttore).
4. DA MOSCA A NIZNIJ NOVGOROD.

La distanza che Michele Strogoff doveva percorrere da Mosca a Irkutsk
era di cinquemiladuecento verste, cio 5523 chilometri. Quando la
linea telegrafica non era ancora tesa tra i monti Urali e la frontiera
orientale della Siberia, il servizio dei dispacci veniva effettuato
per mezzo di corrieri. I corrieri pi rapidi impiegavano diciotto
giorni per recarsi da Mosca a Irkutsk. Ma si trattava di eccezioni,
perchla traversata della Russia asiatica richiedeva di solito da
quattro a cinque settimane, benchtutti i mezzi di trasporto fossero
messi a disposizione di quegli inviati dello zar.
Da uomo che non temeva nil freddo n la neve, Michele Strogoff
avrebbe preferito viaggiare nella rigida stagione invernale, che
permette un organizzato servizio di slitte su tutta la lunghezza del
percorso. Allora le difficoltproprie ai vari generi di locomozione
diminuiscono in parte su quelle immense steppe livellate dalla neve.
Non picorsi d'acqua da attraversare, ma dappertutto la bianca coltre
su cui la slitta scivola con facilite rapidit Forse in quel
periodo dell'anno s'incontrano ostacoli costituiti da certi fenomeni
naturali, come le nebbie persistenti e dense, il freddo eccessivo, le
lunghe e pericolose tormente di neve, i cui turbini avvolgono e
talvolta fanno perire intere carovane. Talvolta accade che i lupi,
spinti dalla fame, invadono a migliaia la pianura. Ma sarebbe
egualmente convenuto correre quei rischi, perch in questo rigido
inverno, gli invasori tartari avrebbero preferito accantonarsi nelle
citt i predoni non avrebbero battuto la steppa, qualsiasi movimento
di truppe sarebbe stato impossibile, e Michele Strogoff avrebbe
compiuto il viaggio con maggior sicurezza. Ma non c'era da scegliere
nil tempo nl'ora. Bisognava prendere le circostanze com'erano e
partire.
Questa era dunque la situazione, che Michele Strogoff esamin obiettivamente, e si preparad affrontarla.
Prima di tutto, egli non si trovava pinelle condizioni ordinarie di
un corriere dello zar. Bisognava anzi che nessuno potesse sospettare
della sua vera entitdurante il suo viaggio. In un paese invaso, ci
sono spie dappertutto. Se si faceva riconoscere, la sua missione era
compromessa. Quindi, consegnandogli una notevole somma di denaro, che
doveva bastargli per il viaggio e renderglielo in qualche modo pi facile, il generale Kissoff non gli diede nessun ordine scritto con la
menzione: "servizio dell'imperatore", che il Sesamo infallibile. Si
contentdi fornirlo di un "podaroshna".
Il "podaroshna" era intestato a Nicola Korpanoff, negoziante, con
residenza a Irkutsk. Autorizzava il detto Nicola Korpanoff a farsi
accompagnare, se capitava il caso, da uno o pipersone, e inoltre,
per esplicita dichiarazione, era valido anche nel caso che il governo
moscovita interdicesse ad ogni cittadino di uscire dai confini della
Russia.
Il "podaroshna" non altro che un permesso di servirsi dei cavalli di
posta; ma Michele Strogoff doveva servirsene soltanto nel caso che
quel permesso non desse adito a sospetti circa la sua identit ossia
finchsi trovava sul territorio europeo. Ne conseguiva perci da
questa riserva, che in Siberia, cionelle province in rivolta, egli
non avrebbe potuto nagire da padrone nei cambi di posta, n farsi
rilasciare cavalli con precedenza sugli altri viaggiatori, n requisire i mezzi di trasporto per suo uso personale. Michele Strogoff
non lo doveva dimenticare: egli non era pi un corriere, ma un
semplice mercante, Nicola Korpanoff, che andava da Mosca a Irkutsk, e,
come tale, era soggetto a tutte le eventualit di un comune
viaggiatore.
Passare inosservato, pio meno rapidamente, ma passare: tale doveva
essere il suo programma.
Trent'anni prima, la scorta di un viaggiatore qualificato comprendeva
almeno duecento cosacchi a cavallo, duecento fanti, venticinque
cavalieri baskiri, trecento cammelli, quattrocento cavalli,
venticinque carri, due battelli trasportabili, e due pezzi
d'artiglieria. Tale era l'equipaggiamento necessario per un viaggio in
Siberia.
Michele Strogoff, invece non avrebbe avuto ncannoni, ncavalieri,
nfanti, nbestie da soma. Sarebbe andato in vettura o a cavallo,
quando avrebbe potuto; a piedi, s'era necessario andare a piedi.
Le prime millequattrocento verste (1493 chilometri), che coprono la
distanza tra Mosca e la frontiera russa, non avrebbero presentato
nessuna difficolt Ferrovie, vetture postali, battelli a vapore,
cavalli dei vari cambi erano a disposizione di tutti e dunque anche
del corriere dello zar.
Quella mattina del 16 luglio, senza pinulla della sua uniforme,
fornito d'una borsa da viaggio che s'era messa in spalla, vestito del
semplice costume russo, casacca stretta ai fianchi, cintura
tradizionale del "mugik", calzoni larghi, stivali allacciati sopra il
polpaccio, Michele Strogoff si rec alla stazione per prendere il
primo treno. Non portava armi, almeno visibili; ma sotto la cintura
nascondeva una pistola e, in tasca uno di quei coltellacci larghi che
stanno tra il coltello e lo "yatagan", con i quali il cacciatore
siberiano sa sventrare abilmente un orso, senza rovinarne la preziosa
pelliccia.
C'era un numero abbastanza rilevante di viaggiatori alla stazione di
Mosca. Le stazioni ferroviarie russe sono luoghi di ritrovo molto
frequentati, tanto da curiosi e spettatori che da gente in partenza.
Vi si tiene luna specie di borsa delle notizie.
Il treno in cui Michele Strogoff prese posto doveva portarlo fino a
Niznij Novgorod. Lterminava, a quel tempo, la ferrovia che univa
Mosca a San Pietroburgo e sarebbe poi proseguita fino alla frontiera
russa. Era un tragitto di circa quattrocento verste (426 chilometri),
e il treno l'avrebbe compiuto in una decina di ore, Michele Strogoff,
una volta giunto a Niznij Novgorod, avrebbe preso, secondo le
circostanze, o la via di terra, o il battello a vapore sul Volga, per
raggiungere al pipresto le montagne dell'Ural.
Michele Strogoff si accomoddunque al suo posto, come un comp鮅o
borghese che pensi ai suoi affari, ma non pidel necessario, e che
cerchi di ammazzare il tempo dormendo.
Per siccome non era solo nello scompartimento, dormcon un occhio
solo e ascoltcon tutte e due le orecchie.
Infatti, il rumore della ribellione nelle orde kirghise e
dell'invasione tartara s'era diffuso alquanto. I viaggiatori, che il
caso rendeva suoi compagni, ne parlavano, ma con una certa
circospezione.
Quei viaggiatori, come la maggior parte di coloro che si trovavano in
quel treno, erano mercanti che si recavano alla grande fiera di Niznij
Novgorod. Un miscuglio di gente, Ebrei, Turchi, Cosacchi, Russi,
Georgiani, Calmucchi e altri, ma quasi tutti parlavano la lingua
nazionale.
Si discuteva dunque il pro e il contro dei gravi fatti che accadevano
al di ldell'Ural, e quei mercanti pareva temessero che il governo
russo si determinasse ad adottare, soprattutto nelle province
confinanti con la frontiera, delle misure ristrettive, che certamente
avrebbero danneggiato il commercio.
Bisogna dirlo, quegli egoisti consideravano la guerra, cio la
repressione della rivolta e la lotta contro l'invasione, dal solo
punto di vista dei loro interessi in pericolo. La presenza di un solo
soldato in uniforme - e tutti sanno quanto grande in Russia
l'importanza dell'uniforme - sarebbe certamente bastata a frenare le
lingue di quei mercanti. Ma, nello scompartimento in cui aveva preso
posto Michele Strogoff, nulla faceva sospettare la presenza d'un
militare, e il corriere dello zar, in incognito non era l'uomo che si
scoprisse facilmente.
Egli dunque ascoltava.
- Si dice che il tportato dalle carovane in aumento - diceva un
persiano, riconoscibile dal berretto di astrakan e dagli abiti scuri a
larghe pieghe, logorati dall'uso.
- Oh! Il tnon ha niente da temere dal calo - rispose un vecchio
ebreo dalla faccia arcigna. - Quello che si trova sul mercato di
Niznij Novgorod sar spedito facilmente verso l'ovest, ma
disgraziatamente non sarla stessa cosa per i tappeti di Buchara!
- Come! Voi dunque aspettate un invio da Buchara? - gli domandil
persiano.
- No, ma da Samarcanda, che ancor pirischioso! Si puforse fare
assegnamento sulle forniture di un paese sollevato dai Khan, a partire
da Khiva fino alla frontiera cinese?
- Ebbene - ribattil persiano, - se i tappeti non arrivano,
suppongo che non arrivernemmeno il conto!
- E il guadagno, Dio d'Israele! - esclamil minuscolo ebreo. - Lo
contate per nulla il guadagno?
- Avete ragione - disse un altro viaggiatore; - prodotti dell'Asia
centrale corrono il rischio di non comparire sul mercato; cossar dei tappeti di Samarcanda come della lana, del sego e degli scialli
d'Oriente.
- Ehi! State attento, piccolo padre! - intervenne un viaggiatore
russo dall'aria canzonatoria. - Finirete con l'imbrattare
orribilmente i vostri scialli di grasso, se li mescolate col sego!
- La cosa vi fa ridere! - ribattin tono acre il mercante, al quale
non piaceva quel genere di spiritosaggini.
- Eh! Se ci strappassimo i capelli, se ci cospargessimo il capo di
cenere - rispose il viaggiatore, - cambieremmo forse il corso
degli avvenimenti? No certo! non pidel corso delle mercanzie!
- Si vede bene che non siete un negoziante! - osservil minuscolo
ebreo.
- Davvero no, mio degno discendente di Abramo! Io non vendo n luppolo, npiumini, nmiele, ncera, nsemi di canapa, ncarni
salate, ncaviale, nlegname, nlana, ntrine, ncanapa, nlino,
nmarocchino, npellicce!...
- Ma ne comprate? - chiese il persiano, interrompendo l'enumerazione
del viaggiatore.
- Il meno che posso, e solo per mio personale consumo - rispose
l'altro, strizzando l'occhio.
- E' un burlone! - disse l'ebreo al persiano.
- O una spia - rispose quest'ultimo, abbassando la voce. - Stiamo
attenti e non parliamo pidi quanto necessario. Coi tempi che
corrono la polizia tull'altro che tenera, e non si sa mai con chi si
viaggia!
In un altro angolo dello scompartimento, si parlava un po' meno dei
prodotti mercantili, ma un po' di pidell'invasione tartara e delle
sue fastidiose conseguenze.
- I cavalli della Siberia sono requisiti - diceva un viaggiatore-e
le comunicazioni tra le varie province dell'Asia centrale diverranno
molto difficili.
- E vero - domandil suo vicino - che i Kirghisi dell'orda media
hanno fatto causa comune con i Tartari?
- Cosdicono - rispose il viaggiatore abbassando la voce, - ma
chi pulusingarsi di sapere qualcosa in questo paese?
- Ho sentito parlare di concentramenti di truppe alla frontiera. I
Cosacchi del Don sono giriuniti lungo il Volga e saranno presto
mandati contro i Kirghisi ribelli.
- Se i Kirghisi sono discesi lungo il corso dell'Irtis, la strada per
Irkutsk non dev'essere sicura! - aggiunse il vicino. - Del resto,
ieri, ho tentato di mandare un telegramma a Krasnojarsk, e non passato. C'da temere che fra non molto le truppe tartare avranno
isolato la Siberia orientale!
- In conclusione, piccolo padre - riprese il primo interlocutore
questi mercanti hanno ragione di essere preoccupati per il loro
commercio e i loro contratti. Dopo aver requisito i cavalli,
requisiranno i battelli, le vetture, tutti i mezzi di trasporto,
finch non sarpipermesso di fare un passo su tutto il territorio
dell'impero.
- Temo proprio che la fiera di Niznij Novgorod non finisca cos bene
com' cominciata! - rispose l'altro, scrollando il capo. - Ma
l'integrite la sicurezza del territorio russo vien prima di tutto.
Gli affari non sono che affari!
Se, in quello scompartimento, l'argomento delle conversazioni
particolari era pressochidentico, non variava di molto neppure nelle
altre vetture del treno; ma dappertutto un osservatore avrebbe notato
una grande circospezione nei giudizi che i viaggiatori si scambiavano.
Se qualche volta si arrischiavano sul terreno dei fatti, non
arrivavano mai fino a pronosticare sulle intenzioni del governo
moscovita, e tanto meno a giudicarle.
Tutto questo fu giustamente notato da un viaggiatore che aveva preso
posto in una carrozza di testa al treno. Questo viaggiatore -
evidentemente uno straniero - guardava a quattr'occhi e poneva
decine di domande, ricevendo soltanto risposte molto evasive.
Affacciandosi ogni momento al finestrino, che teneva aperto con vivo
disappunto dei compagni di viaggio, egli non perdeva di vista nessun
punto dell'orizzonte di destra. Chiedeva il nome delle localitpi insignificanti, la loro ubicazione, il loro commercio, l'industria, il
numero degli abitanti, il tasso di mortalitper sesso, eccetera, e
tutto segnava su un taccuino gizeppo di annotazioni.
Era il giornalista Alcide Jolivet, e faceva tante domande
insignificanti perch in mezzo alle molteplici risposte che riceveva,
sperava di pescare qualche fatto interessante "per sua cugina". Ma,
naturalmente, lo prendevano per una spia, e nessuno si lasciava
sfuggire davanti a lui una parola che riguardasse gli avvenimenti del
giorno.
Cos vedendo di non poterne cavare nulla sull'invasione tartara, egli
scrisse sul suo taccuino:
"Viaggiatori di una discrezione assoluta. In materia politica, molto
restii a sbottonarsi".
E mentre Alcide Jolivet notava minuziosamente le sue impressioni di
viaggio, in un altro scompartimento dello stesso treno, il suo collega
inglese, mosso dallo stesso intento, si dedicava allo stesso lavoro di
osservazione. Non si erano incontrati, quel giorno, alla stazione di
Mosca, e ognuno dei due ignorava che l'altro fosse partito per
visitare il teatro delle operazioni militari.
SennonchHarry Blount, parlando poco, ma ascoltando molto, non aveva
suscitato nei compagni di viaggio la stessa diffidenza di Alcide
Jolivet. Non l'avevano preso per una spia, e i suoi vicini pertanto
discutevano davanti a lui senza soggezione, lasciandosi persino andare
pidi quanto la loro naturale circospezione non comportasse. Il
corrispondente del "Daily Telegraph" aveva dunque potuto osservare
quanto gli avvenimenti preoccupassero quei mercanti diretti a Niznij
Novgorod, e fino a che punto il commercio con l'Asia centrale fosse
minacciato nel suo transito.
Non esit quindi, ad annotare sul suo taccuino questa osservazione,
che non poteva essere piprecisa:
"Viaggiatori estremamente inquieti. Non discutono d'altro che della
guerra, e ne parlano con una libertche deve stupire tra il Volga e
la Vistola!"
I lettori del "Daily Telegraph" erano dunque altrettanto bene
informati della "cugina" di Alcide Jolivet.
Inoltre siccome Harry Blount era seduto al finestrino di sinistra,
aveva visto soltanto una parte della regione, che era molto
accidentata, e non s'era preoccupato di guardare dalla parte destra,
consistente in vaste pianure; non tralascidunque di aggiungere con
franchezza tutta britannica:
"Tra Mosca e Vladimir, paese montagnoso".
Frattanto, era chiaro che il governo russo, di fronte a quei gravi
avvenimenti, cominciava a stringere i freni, anche all'interno
dell'impero. La sollevazione non aveva varcato la frontiera siberiana,
ma nelle province del Volga, cosvicine al paese dei Kirghisi, si
poteva temere l'effetto della cattiva influenza.
Di fatto, la polizia, non aveva ancora potuto ritrovare le tracce di
Ivan Ogareff. Quel traditore, chiamando in aiuto lo straniero per
eseguire le sue vendette personali, aveva giraggiunto Feofar Khan?
oppure cercava di fomentare la rivolta nel governatorato di Niznij
Novgorod, che in quel periodo dell'anno ospitava una accozzaglia di
tante genti diverse? Non poteva darsi che tra quei Persiani, quegli
Armeni, quei Calmucchi che affluivano al grande mercato, egli avesse i
suoi emissari, incaricati di provocare una sommossa nell'interno?
Tutte queste ipotesi erano possibili, soprattutto in un paese come la
Russia.
Infatti, quel vasto impero, che ha una superficie di dodici milioni di
chilometri quadrati, non pu avere l'omogeneit degli stati
dell'Europa occidentale. Tra i diversi popoli che lo compongono,
esistono per forza diversit pi accentuate che delle semplici
sfumature. Il territorio russo s'estende in Europa, in Asia, in
America, dal quindicesimo meridiano est al trentatreesimo meridiano
ovest, ciosu una estensione di circa duecento gradi (1), e dal
trentottesimo parallelo sud all'ottantunesimo parallelo nord, ciosu
un'estensione di quarantatrgradi (2). Conta pidi settanta milioni
di abitanti. Vi si parlano trenta lingue diverse. La razza slava vi
predomina senza dubbio, ma essa comprende, assieme ai Russi, i
Polacchi, i Lituani, i Curlandesi. Vi si aggiungano i Finlandesi, gli
Estoni, i Lapponi, i Ceremissi, i Ciuvasci, i Permiani, i Tedeschi, i
Greci, i Tartari, le tribcaucasiche, le orde mongole, calmucche,
samoiede, della Camciatca, delle Aleutine, e si capirquanto fosse
difficile mantenere l'unitin uno stato tanto vasto, quell'unitche
non potreffettuarsi se non col tempo e con l'aiuto di saggi governi.
Comunque, Ivan Ogareff era riuscito, fino allora, a sfuggire a tutte
le ricerche, e con molta probabilit doveva essersi rifugiato
nell'esercito tartaro. Ma, ad ogni stazione dove il treno si fermava,
si presentavano gli ispettori che controllavano i viaggiatori e
sottoponevano tutti a una minuziosa ispezione, perch per ordine del
capo supremo della polizia, erano alla ricerca di Ivan Ogareff.
Infatti il governo riteneva che il traditore non avesse ancora varcato
i confini della Russia europea. Se un viaggiatore sembrava sospetto,
veniva condotto al posto di polizia per un interrogatorio e nel
frattempo il treno ripartiva, senza preoccuparsi minimamente del
ritardatario.
Con la polizia russa, che molto perentoria, assolutamente inutile
voler ragionare. I suoi funzionari sono insigniti di grado militare e
operano militarmente. Del resto non c'era che da obbedire senza
fiatare agli ordini di un sovrano che pufregiarsi di questa formula
in testa ai suoi "ukas": "Noi, per grazia di Dio, imperatore e
autocrate di tutte le Russie, di Mosca, Kiev, Vladimir e Novgorod, zar
di Kazan, di Astrakan, zar di Polonia, zar di Siberia, zar del
Chersoneso Taurico (3), signore di Pskov, gran principe di Smolensk,
di Lituania, di Volinia, di Podolia e di Finlandia, principe
d'Estonia, di Livonia, di Curlandia e di Semigallia, di Bialystok, di
Carelia, di Iugria, di Perm, di Vjatka, di Bulgaria e di molti altri
paesi, signore e gran principe del territorio di Niznij Novgorod, di
Cernigov, di Rj嫙an, di Polotsk, di Rostov, di Jaroslavl, di
Bielosersk, di Udoria, di Obdorta, di Kondinia, di Vitebsk, di
Mstislav, dominatore delle regioni iperboree (4), signore dei paesi di
Iveria, di Kartalinia, di Grusinia, di Kabardinia, di Armenia, signore
ereditario e signore feudale dei principi circassi, di quelli delle
montagne e altri, ereditario della Norvegia, duca di Schleswig-
Holstein, di Stormarn, di Dittmarsen e di Oldenburgo".
Sovrano davvero potente che porta sullo stemma un'aquila a due teste,
recante uno scettro e un globo e circondata dagli scudi di Novgorod,
di Vladimir, di Kiev, di Kazan, di Astrakan, di Siberia, cinti a loro
volta dal collare dell'ordine di Sant'Andrea, sormontato da una corona
reale!
Michele Strogoff era in regola, e quindi al sicuro da ogni ingerenza
della polizia.
Alla stazione di Vladimir, il treno si fermper qualche minuto, e ci parve bastare al corrispondente del "Daily Telegraph" per tracciare,
sotto il duplice punto di vista fisico e morale, uno schizzo
minuziosamente completo di questa antica capitale della Russia,
Alla stazione di Vladimir, nuovi viaggiatori salirono in treno. Tra
questi, una giovinetta si affaccialla portiera dello scompartimento
occupato da Michele Strogoff.
Di fronte al corriere dello zar c'era un posto libero. La fanciulla
l'occup dopo aver deposto accanto a suna modesta borsa da viaggio
in cuoio rosso, che sembrava costituire tutto il suo bagaglio. Poi con
gli occhi bassi, senza neppure aver guardato i compagni di viaggio che
il caso le assegnava, si dispose a compiere il tragitto, che doveva
durare ancora alcune ore.
Michele Strogoff non pottrattenersi dall'osservare attentamente la
sua nuova vicina. Siccome si trovava seduta in modo da voltare le
spalle alla locomotiva, egli le offril suo posto, che poteva forse
piacerle di pi ma essa lo ringrazicon un leggero inchino.
La fanciulla doveva essere di sedici o diciassette anni. Il suo
aspetto, veramente incantevole, dimostrava il tipo slavo in tutta la
sua purezza; tipo un po' severo, che la destinava a diventare
piuttosto bella che graziosa, quando alcuni anni di pine avessero
fissato i lineamenti in modo definitivo. Da una specie di sciallino
che le copriva la testa sfuggiva una ciocca di capelli d'un biondo
dorato. Gli occhi erano bruni, con uno sguardo vellutato e dolcissimo.
Il naso dal profilo perfetto si congiungeva alle guance, un po' magre
e pallide, con narici leggermente mobili. La bocca era finemente
disegnata, ma sembrava che, da molto tempo, le sue labbra avessero
dimenticato il sorriso.
La giovane viaggiatrice era alta, slanciata per quanto si poteva
giudicare della sua persona, sotto l'ampia e semplice pelliccia che la
ricopriva. Benchfosse ancora una giovinetta, in tutta la purezza
dell'espressione, lo sviluppo della sua fronte alta, la linea precisa
del mento, rivelavano in lei una grande energia morale, particolare
che non sfugga Michele Strogoff. Evidentemente, quella fanciulla
aveva gisofferto nel passato, e l'avvenire indubbiamente non le si
profilava troppo roseo; ma non era meno certo che ella aveva saputo
lottare ed era decisa a lottare ancora contro le difficolt della
vita. La sua volontdoveva essere energica, costante, e la sua calma
inalterabile, anche nelle circostanze in cui un uomo sarebbe propenso
a cedere o ad irritarsi.
Era questa l'impressione che suscitava, a prima vista, quella
fanciulla. Michele Strogoff, essendo anche lui di natura energica,
dovette restare colpito dalle caratteristiche di quella fisionomia e,
pur badando a non importunarla con uno sguardo insistente, osservla
sua vicina con una certa attenzione.
L'abbigliamento della giovane viaggiatrice era nello stesso tempo
semplicissimo e perfettamente intonato. Non era ricca, lo si
indovinava facilmente, ma invano si sarebbe cercato nel suo vestito
qualche segno di trascuratezza. Tutto il suo bagaglio stava in una
borsa di cuoio, chiusa a chiave, e che, per mancanza di spazio, ella
teneva sulle ginocchia.
Indossava una lunga pelliccia scura, senza maniche, chiusa
graziosamente al collo da un nastro azzurro. Sotto di essa una
giacchetta pure scura, e una sottana, che le scendeva fino alle
caviglie, ornata al fondo da ricamo poco vistoso. Mezzi stivaletti di
cuoio lavorato e con suole molto robuste, che parevano scelti in
previsione di un lungo viaggio, calzavano i suoi piedini.
Da certi particolari, Michele Strogoff credette di riconoscere in
quell'abbigliamento il taglio del costume livoniano, e congetturche
la sua vicina doveva essere originaria delle province baltiche.
Ma dove andava quella fanciulla, sola, in un'etin cui l'appoggio
d'una madre, la protezione d'un fratello sono, per dir cos
indispensabili? Veniva dunque, dopo un tragitto gilungo, dalle
province della Russia occidentale? Si recava soltanto a Niznij
Novgorod, oppure era diretta oltre la frontiera orientale dell'impero?
All'arrivo del treno era aspettata da un parente, da un amico? O era
probabile, invece, che, discesa dalla carrozza, si trovasse tanto sola
nella cittquanto in quello scompartimento dove nessuno - cosella
doveva pensare - sembrava curarsi di lei? Questo era probabile.
Infatti, le abitudini che si contraggono nell'isolamento apparivano
molto evidenti nel comportamento della giovane viaggiatrice. La
maniera con cui era entrata nella carrozza e aveva preso posto, la
scarsa agitazione che aveva prodotto attorno a s la cura che ebbe di
non scomodare e non imbarazzare nessuno, tutto indicava in lei
l'abitudine di viver sola e di fare assegnamento soltanto su se
stessa.
Michele Strogoff l'osservava con interesse, ma, riservato com'era
anche lui, non cercdi provocare l'occasione di rivolgerle la parola,
bench dovessero trascorrere parecchie ore prima che il treno
arrivasse a Niznij Novgorod.
Una volta soltanto, quando il vicino della giovane - quel mercante
che metteva insieme con tanta imprudenza il sego e gli scialli - si
era addormentato e minacciava la ragazza con la sua grossa testa che
vacillava da una spalla all'altra, Michele Strogoff lo svegli abbastanza bruscamente e gli fece comprendere che avrebbe dovuto
starsene diritto e in atteggiamento pieducato.
Il negoziante, abbastanza grossolano per natura, borbott alcune
parole contro 勁a gente che s'immischia in ciche non la riguarda
ma Michele Strogoff lo guardcon aria cospoco accomodante, che il
dormiglione si appoggisul lato opposto e liberla fanciulla della
sua incomoda vicinanza.
Lei guardun istante il giovane, e nel suo sguardo vi fu un muto e
modesto ringraziamento.
Ma si present una circostanza che diede a Michele Strogoff un'idea
esatta del carattere di quella fanciulla.
Dodici verste prima di arrivare alla stazione di Niznij Novgorod, a
una curva stretta della ferrovia, il treno ebbe un sussulto
violentissimo. Poi, per un minuto, corse sul ciglio d'una scarpata.
Viaggiatori pio meno scaraventati fuori dei loro posti, grida,
confusione, disordine generale nelle carrozze, fu questo l'effetto del
primo momento. Si poteva temere che fosse accaduto un incidente grave.
Cos ancora prima che il treno si fosse fermato, le portiere si
aprirono, e i viaggiatori, spaventati, non ebbero che un pensiero:
lanciarsi dalle vetture e cercare scampo sulla strada.
Michele Strogoff penssubito alla sua vicina; ma mentre i viaggiatori
dello scompartimento si precipitavano fuori gridando, e urtandosi, la
fanciulla era rimasta calma al suo posto, col viso appena alterato da
un leggero pallore.
Aspettava. E Michele Strogoff aspettanche lui.
Ella non aveva fatto un movimento per scendere dalla carrozza. Neppure
lui si mosse.
Tutti e due rimasero impassibili.
俗na indole energica!pensMichele Strogoff.
Frattanto, ogni pericolo scomparve. La rottura del cerchione di una
ruota del bagagliaio aveva provocato prima lo scossone e poi l'arresto
del treno, ma poco era mancato che, deragliato dai binari, non
precipitasse dall'alto della scarpata in un pantano. Vi fu un'ora di
ritardo. Finalmente, liberata la via, il treno riprese la sua corsa,
e, alle otto e mezzo della sera, arrivava alla stazione di Niznij
Novgorod.
Prima che nessuno avesse potuto scendere dalle carrozze, gli ispettori
di polizia si presentarono alle portiere e controllarono i
viaggiatori.
Michele Strogoff present il suo "podaroshna", intestato a Nicola
Korpanoff. Quindi non ebbe difficolt
Quanto agli altri viaggiatori dello scompartimento, tutti con
destinazione a Niznij Novgorod, per loro fortuna, non parvero affatto
persone sospette.
La fanciulla invece presentnon un passaporto, perchil passaporto
non pi richiesto in Russia, ma un permesso munito di un timbro
particolare, e che sembrava di tipo speciale.
L'ispettore lo lesse con attenzione. Poi dopo aver esaminato
attentamente colei di cui leggeva i connotati, domand
- Tu sei di Riga?
- S - rispose la fanciulla.
- Vai a Irkutsk?
- S
- Per quale via?
- Per la via di Perm.
- Bene - concluse l'ispettore. - Ricordati di far vistare il
permesso all'ufficio di polizia di Niznij Novgorod.
La fanciulla s'inchinin segno di assenso.
All'udire quelle domande e quelle risposte, Michele Strogoff provun
sentimento di sorpresa e insieme di piet Come! Quella fanciulla
sola, in viaggio per la lontana Siberia, e proprio ora che ai pericoli
abituali si aggiungevano quelli di un paese invaso e in rivolta! Come
sarebbe arrivata? Che ne sarebbe stato di lei?...
Finita l'ispezione, le portiere delle vetture furono aperte, ma, prima
che Michele Strogoff avesse potuto fare un gesto verso di lei, la
giovane livoniana, discesa per prima, era scomparsa tra la folla che
ingombrava le banchine della stazione.


NOTE.

Nota 1. Cio2500 leghe circa.
Nota 2. Cio1000 leghe.
Nota 3. Corrisponde alla Crimea (Nota del Traduttore).
Nota 4. Gli iperborei: gruppi umani viventi nelle zone pi settentrionali del mondo abitato, e in particolare le popolazioni
delle foreste e delle tundre dell'Asia sub-asiatica (Samoiedi, Jacuti,
Jucaghiri, Ciukci, eccetera) (Nota del Traduttore).

5. UN DECRETO DI DUE ARTICOLI.

Niznij Novgorod, o Novgorod Inferiore, situata alla confluenza del
Volga e dell'Oka, il capoluogo del governatorato omonimo. LMichele
Strogoff avrebbe lasciato la ferrovia, che a quel tempo non andava
oltre. Cos dunque, a misura che proseguiva il viaggio, i mezzi di
comunicazione diventavano prima meno rapidi, poi meno sicuri.
Niznij Novgorod, che in tempo normale conta da trenta a
trentacinquemila abitanti, ne ospitava allora pidi trecentomila,
vale a dire che la sua popolazione era dieci volte raddoppiata. Questo
enorme aumento era dovuto alla celebre fiera che si tiene entro le sue
mura per un periodo di sei settimane. Una volta era Makarjev che
godeva i benefici di questo afflusso di mercanti, ma dal 1817 la fiera
stata trasportata a Niznij Novgorod.
La citt di solito tranquilla, presentava dunque una straordinaria
animazione. Negozianti di dieci razze diverse vi fraternizzavano sotto
l'influenza degli affari commerciali.
Benchl'ora fosse giavanzata quando Michele Strogoff usc dalla
stazione, c'erano ancora grandi assembramenti di persone nelle due
cittche costituiscono Niznij Novgorod, divisa in due dal corso del
Volga. La parte superiore, costruita sopra una rupe scoscesa, difesa
da una fortezza che in lingua russa si chiama "kreml".
Se Michele Strogoff fosse stato costretto a soggiornare a Niznij
Novgorod, gli sarebbe stato difficile trovare un albergo o anche una
locanda appena passabile. Ogni alloggio era superaffollato. Tuttavia,
dal momento che non poteva partire subito, dovendo aspettare il
battello del Volga fu costretto a cercarsi un ricovero qualsiasi. Ma
prima, volle sapere l'ora esatta della partenza e si recagli uffici
della Compagnia fluviale che fa servizio tra Niznij Novgorod e Perm.
L con suo gran disappunto, seppe che il "Caucaso" (cossi chiamava
il battello a vapore) sarebbe partito alla volta di Perm solo
l'indomani a mezzogiorno. Diciassette ore di attesa! Era una cosa
spiacevole per un uomo che aveva fretta; tuttavia dovette rassegnarsi.
E cosfece, perchnon si perdeva mai in inutili recriminazioni.
Del resto, in quelle particolari circostanze, nessuna vettura,
"telega" o "tarant跴", berlina o carrozzino di posta, nessun cavallo
l'avrebbe condotto picelermente, sia a Perm, sia a Kazan. Era meglio
dunque aspettare la partenza del battello a vapore, il veicolo pi rapido di tutti, e che gli avrebbe fatto guadagnare il tempo perduto.
Ecco dunque Michele Strogoff in giro per la citt cercando, senza
troppo inquietarsi, un albergo per passarvi la notte. Ma non se ne
preoccupava troppo, e se non fosse stato per la fame che si faceva
sentire, avrebbe probabilmente vagato fino al mattino per le vie di
Niznij Novgorod. Egli andquindi in cerca pidi una cena che di un
letto. E trov l'uno e l'altra all'insegna della "Citt di
Costantinopoli".
Qui, l'albergatore gli offruna camera abbastanza decente, con pochi
mobili, ma dove non mancava nl'immagine della Vergine, nle icone
di alcuni santi, alle quali la stoffa dorata faceva da cornice.
Un'anitra con ripieno piccante, quasi affogata in una densa crema,
pane d'orzo, latte cagliato, zucchero in polvere misto a cannella, una
brocca di kvas, specie di birra molto comune in Russia, furono serviti
subito ed era pidi quanto gli occorresse per sfamarsi. Mangiquindi
a saziet e certo meglio del suo vicino di tavola, il quale, da
"vecchio credente" della setta dei Raskolniki (1) legato dal voto di
astinenza, respingeva le patate dal suo piatto e aveva cura di non
inzuccherare il t
Terminata la cena, invece di salire in camera, Michele Strogoff
riprese macchinalmente la sua passeggiata attraverso la citt Ma,
benchil lungo crepuscolo si prolungasse ancora, gi la folla si
disperdeva, le vie si facevano a poco a poco deserte e ognuno tornava
al suo alloggio.
PerchMichele Strogoff non era andato tranquillamente a letto, come
conviene dopo un'intera giornata trascorsa in treno? Pensava forse a
quella giovane livoniana, che per alcune ore era stata sua compagna di
viaggio? Non avendo altro di meglio da fare, egli pensava proprio a
lei. Temeva che, sperduta in quella tumultuosa citt fosse esposta a
qualche insulto? Lo temeva, e aveva ragione di temerlo. Sperava dunque
di incontrarla e, se era necessario farsene il protettore? No.
Incontrarla era difficile. Quanto a proteggerla... con quale diritto?
俟ola - pensava - sola in mezzo a questi nomadi! E i pericoli
presenti non sono niente in confronto a quelli che le serba
l'avvenire! La Siberia! Irkutsk! Quello che io mi preparo ad
affrontare per la Russia e per lo zar, essa lo fa per... Per chi? Per
che cosa? E' forse autorizzata a varcare la frontiera! Ma il paese
oltre frontiera in rivolta! Le bande tartare percorrono le
steppe!...
Michele Strogoff si fermava un istante e riprendeva a riflettere.
青erto - pensava - l'idea del viaggio l'ha avuta prima
dell'invasione! Forse ignora quello che sta succedendo... Ma no, quei
mercanti hanno parlato in sua presenza dei disordini della Siberia...
e lei non sembrata sorpresa... Non ha neppure domandato
spiegazioni... Ma allora lei sapeva, e, pur sapendo, ci va lo
stesso!... Povera ragazza!... Il motivo che la spinge dev'essere ben
forte! Ma, per quanto sia coraggiosa, e lo certamente, le forze le
verranno meno durante il viaggio e, senza parlare dei pericoli e degli
ostacoli, ella non potrsopportare le fatiche d'un viaggio simile!...
Non potrmai arrivare a Irkutsk!...
Intanto Michele Strogoff continuava a girare a caso, ma, siccome
conosceva perfettamente la citt ritornare al punto di partenza non
era difficile per lui.
Dopo aver camminato cosper circa un'ora, anda sedersi su una panca
addossata ad una grande baracca di legno, che sorgeva, tra molte
altre, su una vastissima piazza.
Era lda cinque minuti, quando una mano pesante gli si pos sulla
spalla.
- Che fate qui? - domandcon voce rude un uomo di alta statura, che
egli non aveva visto arrivare.
- Mi riposo - rispose Michele Strogoff.
- Hai forse intenzione di passare la notte su questa panca? -
domandancora l'uomo.
- S se mi fa comodo - replicMichele Strogoff con tono un po'
troppo deciso per un semplice mercante quale doveva essere.
- Avvicinati e fatti vedere - disse l'uomo.
Ricordandosi che doveva essere soprattutto prudente, Michele Strogoff
si ritrasse istintivamente.
- Non avete bisogno di vedermi - ribatt
E, calmo, pose tra se il suo interlocutore un intervallo d'una
decina di passi.
Gli sembr allora, osservandolo bene, di trovarsi di fronte a una
specie di zingaro, come se ne incontrano in tutte le fiere, e col
quale non era piacevole aver contatti, nfisici nmorali. Poi,
guardando con maggior attenzione nell'ombra, che cominciava a
infittirsi, scorse presso la baracca un carrozzone, abituale dimora
ambulante di quegli zingari o zigani che formicolano in Russia,
dovunque c'da guadagnare qualche copeco.
Frattanto, lo zingaro aveva fatto due o tre passi avanti e si
preparava a interpellare pidirettamente Michele Strogoff, quando la
porta della baracca s'apr Una donna, appena visibile, avanzsvelta,
e in un linguaggio abbastanza rozzo, nel quale Michele Strogoff
riconobbe un miscuglio di mongolo e di siberiano, disse:
- Ancora una spia! Lascialo stare e vieni a mangiare. La "papluka" (2)
pronta.
Michele Strogoff non pottrattenersi dal sorridere alla qualifica che
gli veniva affibbiata, proprio a lui, che si guardava particolarmente
dalle spie.
Ma, nella stessa lingua, benchcon accento molto diverso, lo zingaro
rispose alcune parole che volevano dire:
- Hai ragione, Sangarre! Del resto domani ripartiremo.
- Domani? - replica mezza voce la donna con un tono che indicava
una certa sorpresa.
- S Sangarre - rispose lo zingaro - domani, il Padre (3)
stesso che ci manda... proprio dove noi vogliamo andare!
Detto questo, l'uomo e la donna rientrarono nella baracca, la cui
porta fu accuratamente richiusa.
- Bene! - pensMichele Strogoff. - Se questi zingari ci tengono a
non farsi capire, li consiglio di usare un'altra lingua, quando
parlano davanti a me!
Essendo siberiano e avendo trascorso l'infanzia nella steppa, Michele
Strogoff, come abbiamo gi detto, capiva quasi tutti gli idiomi
parlati dalla Tartaria fino al mar glaciale. Quanto al significato
preciso delle parole scambiate tra lo zingaro e la sua compagna, non
se ne preoccupaffatto. Cosa gli poteva interessare?
L'ora era gimolto tarda, ed egli pensdi ritornare all'albergo, per
prendersi un po' di riposo. Segu sempre camminando, il corso del
Volga, le cui acque scomparivano sotto le sagome scure degli
innumerevoli battelli. Orientandosi dal fiume, riconobbe allora il
posto che aveva lasciato. Quell'agglomerato di carri e di baracche
occupava precisamente la grande piazza dove si teneva, ogni anno, il
principale mercato di Niznij Novgorod, e cigli spiegava perchsi
radunassero in quel luogo i giocolieri e gli zingari convenuti da
tutte le parti del mondo.
Un'ora dopo, Michele Strogoff dormiva d'un sonno un po' agitato, in
uno di quei letti russi che gli stranieri trovano tanto duri, e il
giorno dopo, 17 luglio, si risveglicol sole alto.
Ancora cinque ore da passare a Niznij Novgorod; gli parevano un
secolo. Che poteva fare per occupare quella mattinata, se non
girovagare per le vie della cittcome il giorno prima? Una volta
consumata la colazione, chiusa la sua borsa da viaggio, vistato il suo
"podaroshna" all'ufficio della polizia, non gli sarebbe rimasto altro
che partire. Non essendo abituato a poltrire in camera, lasciil
letto, si vest nascose accuratamente la lettera con il sigillo
imperiale in fondo ad una tasca praticata nella fodera della casacca,
sulla quale strinse la cintura; poi chiuse la borsa e se la mise in
spalla. Ci fatto, non volendo ritornare alla "Citt di
Costantinopoli", ma pensando di far colazione in riva al Volga, presso
il luogo d'imbarco, pagil conto e lascil'albergo.
Per miglior precauzione, Michele Strogoff si recprima di tutto agli
uffici dei battelli a vapore, dove si assicurche il "Caucaso"
partisse veramente all'ora stabilita. Gli venne in mente allora per la
prima volta l'idea che anche la giovane livoniana dovendo prendere la
via di Perm, si sarebbe molto probabilmente imbarcata sul "Caucaso", e
in quel caso Michele Strogoff avrebbe certamente fatto il viaggio
assieme a lei.
La cittalta, con il suo cremlino dalla circonferenza di due verste e
somigliante a quello di Mosca, era allora in abbandono. Il governatore
non vi risiedeva pi Ma, quanto la cittalta era morta, altrettanto
quella bassa era brulicante di vita.
Michele Strogoff, dopo aver attraversato il Volga su un ponte di
barche sorvegliato da Cosacchi a cavallo, arrivsullo stesso piazzale
dove il giorno prima s'erano sistemati alcuni accampamenti di zingari.
La fiera di Niznii Novgorod, con la quale neppure quella di Lipsia
poteva gareggiare, si teneva un po' fuori della citt In una grande
spianata oltre il Volga s'innalzava il palazzo provvisorio del
governatore generale, che vi risiedeva ordinariamente per tutta la
durata della fiera, la quale, a causa di quella eterogenea accozzaglia
di gente, richiedeva una sorveglianza continua.
Questa spianata era allora coperta da baracche di legno,
simmetricamente disposte, in modo da lasciare fra loro dei viali
abbastanza larghi per permettere alla folla di circolarvi facilmente.
Ogni agglomerato di quelle baracche, di tutte le grandezze e di tutte
le forme, costituiva un quartiere differente, destinato ad un genere
particolare di commercio. C'era il quartiere del ferro, il quartiere
delle pellicce, il quartiere della lana, il quartiere dei legnami, il
quartiere dei tessuti, il quartiere del pesce secco, eccetera. Vi
erano baracche costruite con materiali davvero fantasiosi: alcune con
pacchetti di t altre con blocchi di carne salata, ciocon i
campioni delle mercanzie in vendita. Una pubblicitoriginale, un poco
all'americana!
Il sole era gialto all'orizzonte, poich quella mattina, s'era
levato prima delle quattro, e in quei viali, lungo quelle strade,
l'affluenza era gi considerevole. Russi, Siberiani, Tedeschi,
Cosacchi, Turchi, Persiani, Georgiani, Greci, Ottomani, Indiani,
Cinesi una svariata mescolanza di Europei e di Asiatici, parlavano,
discutevano, declamavano, trafficavano. Tutto quello che c' da
vendere o da comperare sembrava fosse stato ammassato in quel luogo.
Facchini, cavalli, cammelli, asini, battelli, carri, ogni cosa che
potesse servire al trasporto di mercanzie, si pigiava alla rinfusa sul
campo della fiera. Pellicce, pietre preziose, stoffe di seta, cascemir
dell'India, tappeti turchi, armi del Caucaso, tessuti di Smirne o
dell'Ispahan, armature di Tiflis, tportato dalle carovane, bronzi
europei, orologi svizzeri, velluti e sete di Lione, cotonati inglesi,
oggetti per carrozze, frutta, ortaggi, minerali dell'Ural, malachiti,
lapislazzoli, aromi, profumi, erbe medicinali, legnami, catrame,
cordame, attrezzi di corno, zucche, cocomeri, eccetera; tutti i
prodotti dell'India, della Cina, della Persia, quelli del Mar Caspio e
del Mar Nero, quelli dell'America e dell'Europa, erano riuniti su quel
punto del globo.
Dappertutto un movimento, una animazione, una ressa, un vociare
indescrivibili, dal momento che il popolino del posto gesticolava a
pinon posso, e gli stranieri in questo non erano da meno. C'erano
mercanti dell'Asia centrale, i quali avevano impiegato un anno ad
attraversare quelle immense pianure, scortando le loro mercanzie, e
avrebbero impiegato un altro anno per fare ritorno alle loro botteghe
o ai loro magazzini. Tale infatti l'importanza della fiera di Niznij
Novgorod, che la cifra degli affari non era inferiore ai cento milioni
di rubli.
Inoltre, su ogni piazzetta fra i quartieri di questa citt improvvisata, vi erano compagnie di giocolieri d'ogni specie:
saltimbanchi e acrobati, assordanti con lo stridore delle loro
orchestre e gli annunci dei loro numeri; girovaghi venuti dalle
montagne, che predicevano la fortuna agli allocchi di quel pubblico
sempre mutevole; zingari o zigani, che cantavano le loro arie pi colorite e si esibivano nei loro balli pioriginali; commedianti dei
teatri di provincia, che rappresentavano i drammi di Shakespeare,
adattandoli al gusto degli spettatori, i quali vi accorrevano a
frotte. Poi, sui lunghi viali, domatori di orsi che conducevano in
libert i loro equilibristi a quattro zampe; i serragli, che
risuonavano di roche grida di animali, stimolati dalla frusta o dalla
mazza appuntita del domatore; infine, in mezzo alla grande piazza
centrale, circondato da quattro file di spettatori entusiasti, un coro
di "battellieri del Volga", seduti a terra come sul ponte della loro
barca, mentre simulavano l'azione del remare, guidati dalla bacchetta
del direttore d'orchestra, vero timoniere d'un battello immaginario.
Un'usanza originale e affascinante! Sopra quella folla, una nuvola di
uccelli fuggiva dalle gabbie nelle quali erano stati trasportati.
Secondo un uso molto in voga alla fiera di Niznij Novgorod, in cambio
di alcuni copechi caritatevolmente offerti dalla gente di buon cuore,
i proprietari delle gabbie aprivano la porta ai loro prigionieri, i
quali volavano via a centinaia, lanciando i loro piccoli gridi di
gioia.
Tale era l'aspetto della spianata, e tale doveva rimanere per tutte le
sei settimane che durava ordinariamente la fiera di Niznij Novgorod.
Poi, finito, questo periodo rumoroso, l'immenso vociare si smorzava
come per incanto, la cittalta riprendeva il suo carattere ufficiale,
la citt bassa ricadeva nella sua monotonia ordinaria, e di questa
enorme affluenza di mercanti, provenienti da tutte le contrade
dell'Europa e dell'Asia centrale, non restava un solo venditore che
avesse qualcosa ancora da vendere, nun solo compratore che trovasse
qualcosa da comprare.
A questo punto doveroso aggiungere che questa volta, almeno, la
Francia e l'Inghilterra erano entrambe rappresentate al grande mercato
di Niznij Novgorod da due prodotti tra i piqualificati della civilt moderna, i signori Harry Blount e Alcide Jolivet.
Infatti, i due giornalisti erano qui accorsi per cercarvi delle
impressioni al servizio dei loro lettori, e impiegavano meglio che
potevano le poche ore di tempo perso, perchanche loro si sarebbero
imbarcati sul "Caucaso".
Il loro vicendevole incontro avvenne precisamente sul campo della
fiera, e sia l'uno che l'altro non furono quasi affatto meravigliati,
poich un medesimo istinto li faceva correre sulla stessa pista; ma,
questa volta, non si parlarono e si accontentarono di salutarsi molto
freddamente.
Alcide Jolivet, ottimista per natura, sembrava trovare che tutto
andava a meraviglia, e, siccome il caso gli aveva facilmente fornito
vitto e alloggio, aveva scritto in fretta sul suo taccuino alcune note
particolarmente lusinghiere per la cittdi Niznij Novgorod.
Al contrario, Harry Blount, dopo aver invano cercato la cena, s'era
visto costretto a dormire all'aria aperta. Aveva quindi considerato le
cose sotto tutt'altro punto di vista e ruminava un articolo di fuoco
contro una citt nella quale gli albergatori si rifiutavano di
alloggiare i viaggiatori, i quali non chiedevano altro che di
lasciarsi scorticare "nel morale e nella borsa!".
Michele Strogoff, con una mano in tasca e l'altra sulla pipa dalla
lunga cannuccia di marasco, sembrava essere il piindifferente e il
meno impaziente degli uomini. Tuttavia, da una certa contrazione dei
muscoli sopraciliari, un osservatore si sarebbe facilmente accorto che
egli mordeva il freno.
Da circa due ore percorreva le vie della citt per ritornare
invariabilmente sul campo della fiera. Gironzolando tra i gruppi di
gente, egli osservava che i mercanti venuti dalle contrade vicine
dell'Asia dimostravano una reale inquietudine. Gli affari ne
soffrivano visibilmente. Che i giocolieri, i saltimbanchi e gli
equilibristi facessero gran chiasso davanti ai loro baracconi, era
spiegabile, perchquei poveri diavoli non rischiavano nulla in una
impresa commerciale, ma i negozianti esitavano a impegnarsi con i
trafficanti dell'Asia centrale, le cui regioni erano sconvolte
dall'invasione tartara.
C'era anche un altro sintomo che doveva essere rilevato. In Russia,
l'uniforme militare compare in tutte le occasioni. I soldati si
mescolano volentieri con la folla, e precisamente a Niznij Novgorod,
durante il periodo della fiera, gli agenti della polizia sono
abitualmente coadiuvati da molti Cosacchi, i quali, con la lancia in
spalla, mantengono l'ordine in questo concentramento di trecentomila
stranieri.
Ora, quel giorno, i militari, Cosacchi o altri, non si vedevano sul
grande mercato. Senza dubbio, erano stati consegnati nelle loro
caserme, in previsione d'una partenza improvvisa.
Tuttavia, se non si vedevano soldati, non succedeva altrettanto degli
ufficiali. Fin dal giorno prima, gli aiutanti di campo, partendo dal
palazzo del governo generale, si lanciavano in tutte le direzioni.
C'era dunque un movimento inconsueto, che soltanto la gravit degli
avvenimenti poteva spiegare. Le staffette si moltiplicavano sulle
strade della provincia, sia verso Vladimir che verso i monti Urali. Lo
scambio di dispacci telegrafici tra Mosca e San Pietroburgo era
ininterrotto. La situazione di Niznij Novgorod, non lontana dalla
frontiera siberiana, esigeva evidentemente serie precauzioni. Non si
poteva dimenticare che nel secolo quattordicesimo la cittera stata
due volte presa d'assalto dagli antenati di quei Tartari, che
l'ambizione di Feofar Khan scatenava ora attraverso le steppe
kirghise.
Un altro personaggio, non meno impegnato del governatore generale, era
il capo della polizia. I suoi ispettori e lui stesso, impegnati a
mantenere l'ordine, a ricevere i reclami, a vigilare sull'esecuzione
dei regolamenti, non avevano riposo. Gli uffici dell'amministrazione,
aperti notte e giorno, erano continuamente assediati, tanto dagli
abitanti della cittquanto dagli stranieri, europei o asiatici.
Ora, Michele Strogoff si trovava precisamente sulla piazza centrale,
quando si diffuse la voce che il capo della polizia era stato chiamato
da una staffetta al palazzo del governatore generale. Un importante
dispaccio, giunto da Mosca, si diceva, era la causa di questa
chiamata.
Il capo della polizia anddunque al palazzo del governatore e subito,
come per un presentimento generale, circolla notizia che era stata
presa una decisione assolutamente imprevista e insolita.
Michele Strogoff ascoltava quello che si diceva, per approfittarne, se
era il caso.
- Si chiude la fiera! - diceva uno.
- Il reggimento di Niznij Novgorod ha ricevuto l'ordine di partenza!
- aggiungeva l'altro.
- Si dice che i Tartari minaccino Tomsk!
- Ecco il capo della polizia! - si gridda tutte le parti.
S'era levato istantaneamente un vociare, che si calma poco a poco, e
al quale successe il silenzio assoluto. Ognuno presentiva qualche
grave comunicazione da parte del governatore.
Il capo della polizia, preceduto dai suoi agenti, aveva appena
lasciato il palazzo del governatore generale. Un distaccamento di
Cosacchi lo accompagnava, tenendo libero il passaggio tra la folla a
forza di spintoni violentemente dati e pazientemente ricevuti.
Il capo della polizia arrivin mezzo alla piazza centrale, e tutti
poterono vedere che teneva in mano un dispaccio.
Allora, con voce alta, egli lesse il seguente proclama:
非ecreto del governatore di Niznij Novgorod.
1. Divieto a ogni suddito russo di uscire dalla provincia, per
qualsiasi ragione.
2. Ordine a tutti gli stranieri di origine asiatica di lasciare la
provincia entro le ventiquattro ore


NOTE.

Nota 1. Sotto la denominazione di 哉ecchi credentisono compresi i
seguaci dello scisma ("raskol") avvenuto alla met del secolo
diciassettesimo nel seno della Chiesa russa ortodossa. Il "raskol"
sorse come una reazione alla modificazione dei libri liturgici e di
alcuni usi introdotti col tempo nel rito russo e sconosciuti
all'Oriente (Nota del Traduttore).
Nota 2. Specie di dolce a sfoglia.
Nota 3. Appellativo popolare per indicare l'imperatore.





6. FRATELLO E SORELLA.

Questi provvedimenti, molto funesti per gli interessi privati, erano
perfettamente giustificati dalle circostanze.
"Divieto a ogni suddito russo di uscire dalla provincia". Se Ivan
Ogareff si trovava ancora in provincia, significava impedirgli di
raggiungere Feofar Khan, o almeno creargli immense difficolt e
sottrarre al capo tartaro un temibile luogotenente.
"Ordine a tutti gli stranieri di origine asiatica di lasciare la
provincia entro le ventiquattro ore", significava allontanare in massa
quei trafficanti venuti dall'Asia centrale, e anche quelle compagnie
di girovaghi, di guitti, di zigani, che hanno pio meno affinitcon
le popolazioni tartare o mongole, e che si erano riuniti per la fiera.
Tante teste, tante spie; e la loro espulsione era certamente richiesta
dallo stato delle cose.
Ma si comprende facilmente l'effetto di quei due fulmini caduti sulla
cittdi Niznij Novgorod, necessariamente esposta e presa di mira pi di ogni altra.
Cos dunque, i connazionali spinti dai loro affari oltre le frontiere
siberiane non potevano pi lasciare la provincia, almeno per il
momento. Il tenore del primo articolo del decreto era esplicito. Non
ammetteva eccezioni. Ogni interesse privato doveva scomparire davanti
all'interesse pubblico.
In merito al secondo articolo del decreto, l'ordine di espulsione
contenuto era altrettanto senza replica. Riguardava soltanto gli
stranieri di origine asiatica, ma a questi non restava altro da fare
che imballare nuovamente le loro mercanzie e riprendere la strada per
la quale erano venuti. Quanto a tutti quei saltimbanchi, il cui numero
era considerevole, e che dovevano percorrere pidi mille verste per
raggiungere la frontiera pivicina, significava per loro la miseria a
breve scadenza.
Si levdapprima un mormorio di protesta contro questo provvedimento
insolito, un grido di disperazione, prontamente represso
dall'intervento dei Cosacchi e degli agenti della polizia.
E quasi subito cominciquello che si potrebbe chiamare lo sgombero di
questa grande piazza. Le tele distese davanti alle baracche furono
ripiegate; i teatri di provincia furono smontati pezzo per pezzo; le
danze e i canti cessarono; le parate reclamistiche tacquero; i fuochi
si spensero; le corde degli equilibristi vennero tolte; i vecchi e
bolsi cavalli di quelle dimore ambulanti ritornarono dalle scuderie
alle stanghe. Agenti e soldati, con la frusta o la verga in mano,
sollecitavano i ritardatari e arrivavano fino a demolire le tende,
ancora prima che i poveri zingari ne fossero usciti. Evidentemente,
sotto l'influenza di tali misure, prima di sera, la piazza di Niznij
Novgorod sarebbe stata completamente evacuata, e al tumulto del grande
mercato succederebbe il silenzio del deserto.
E inoltre - bisogna ripeterlo, perchera una conseguenza necessaria
di quelle misure - tutti quei nomadi, colpiti direttamente dal
decreto d'espulsione, si trovavano vietate anche le steppe della
Siberia, sicchavrebbero dovuto dirigersi a sud del Mare Caspio, in
Persia o in Turchia o nelle pianure del Turkestan. Le poste dell'Ural
e delle montagne che formano come il prolungamento di questo fiume
sulla frontiera russa erano loro interdette. Dovevano dunque
percorrere un migliaio di verste, prima di rimettere piede in
territorio libero.
Nel momento in cui il capo della polizia dava lettura del decreto,
Michele Strogoff fu colpito da un'associazione di idee che gli venne
spontanea alla mente:
俟trana coincidenza - pens - tra questo decreto che espelle gli
stranieri originari dell'Asia e le parole scambiate ieri sera tra i
due avventurieri di razza zigana! "E' il Padre stesso che ci manda
proprio dove noi vogliamo andare!", ha detto il vecchio. Ma "il
Padre", lo zar! La gente del popolo chiama soltanto lui con questo
nome. Come mai quegli zingari potevano prevedere il decreto contro di
loro? come l'hanno conosciuto in anticipo? e dove vogliono andare?
Ecco gente sospetta, alla quale il decreto del governatore sembra
risultare, dopotutto, piutile che dannoso!
Ma questa riflessione, certamente molto giusta, fu subito interrotta
da un'altra che doveva scacciare ogni altro pensiero dalla mente di
Michele Strogoff. Dimenticgli zingari, i loro discorsi sospetti, la
strana coincidenza che risultava dalla pubblicazione del decreto... Il
ricordo della giovane livoniana gli era ritornato d'improvviso.
- Povera ragazza! - esclamsenza quasi avvedersene. - Non potr pivarcare la frontiera!
Infatti, la fanciulla era di Riga, era livoniana, quindi russa, e non
poteva piuscire dal territorio russo. Quel permesso che le era stato
rilasciato prima dei nuovi provvedimenti, evidentemente, non era pi valido. Tutte le strade della Siberia le erano adesso inesorabilmente
chiuse e, qualunque fosse il motivo per cui andava a Irkutsk, le era
da questo momento impossibile recarvisi.
Questo pensiero preoccup seriamente Michele Strogoff. Egli aveva
pensato, dapprima vagamente, che pur senza trascurare nulla di quanto
esigeva la sua importante missione, gli sarebbe forse possibile dare
qualche aiuto a quella buona ragazza, e l'idea lo aveva rallegrato.
Conoscendo i pericoli cui sarebbe personalmente andato incontro, lui,
uomo energico e forte, in un paese le cui strade gli erano addirittura
familiari, non poteva ignorare che gli stessi pericoli sarebbero stati
infinitamente pi gravi per una fanciulla. Poich lei andava a
Irkutsk, avrebbe percorso la stessa strada che percorreva lui, sarebbe
necessariamente passata in mezzo alle orde degli invasori, come egli
stesso tentava di fare. Se, inoltre, e con ogni probabilit lei aveva
a sua disposizione soltanto i mezzi necessari per un viaggio da farsi
in circostanze ordinarie, come riuscirebbe a farlo ora nelle
circostanze che gli avvenimenti rendevano non soltanto pericolose, ma
anche costose?
亟bbene! - pensava - siccome ella prende la via di Perm, quasi
impossibile che io non la incontri pi Dunque, io potrei prendermi
cura di lei a sua insaputa, e siccome chiaro che ha tanta fretta
quanto me di arrivare a Irkutsk, lei non mi cagionernessun ritardo
Ma un pensiero ne tira un altro. Michele Strogoff finora aveva
ragionato soltanto nell'ipotesi di compiere una buona azione, di
rendere un servizio. Una nuova idea gli venne ora in mente, e la
questione gli si presentsotto un aspetto diverso.
侵l fatto - pens - che io posso avere bisogno di lei pi di
quanto lei abbia bisogno di me. La sua presenza mi potrebbe essere
tutt'altro che inutile e servirebbe a distogliere i sospetti sul mio
conto. Nell'uomo che corre da solo attraverso la steppa si riconosce
facilmente il corriere dello zar. Se, al contrario, questa fanciulla
mi accompagna, io sembrer molto piverosimilmente agli occhi di
tutti il Nicola Korpanoff del mio "podaroshna". Dunque bisogna che lei
mi accompagni! Dunque bisogna, ad ogni costo, che io la ritrovi! Non possibile che da ieri sera abbia potuto procurarsi una vettura e
partire da Niznij Novgorod. Cerchiamola, e Dio mi guidi!
Michele Strogoff lascila grande piazza di Niznij Novgorod, dove il
tumulto provocato dalla esecuzione dei provvedimenti prescritti
raggiungeva in quel momento il culmine. Recriminazioni degli stranieri
proscritti, grida degli agenti e dei Cosacchi che li maltrattavano:
ovunque un tumulto indescrivibile. La fanciulla che egli cercava non
poteva trovarsi l
Erano le nove del mattino. Il battello a vapore sarebbe partito
soltanto a mezzogiorno. Michele Strogoff aveva dunque circa due ore a
disposizione per ritrovare colei che voleva fare la sua compagna di
viaggio.
Attraversdi nuovo il Volga e percorse i quartieri dell'altra sponda,
dove la folla era minore. Visit la citt superiore e la citt inferiore, si pudire strada per strada. Entrnelle chiese, rifugio
naturale di tutti quelli che piangono, di tutti quelli che soffrono.
In nessun luogo incontrla giovane livoniana.
亟ppure - ripeteva a se stesso - non puancora essere partita da
Niznij Novgorod. Cerchiamo sempre!
Michele Strogoff andcos in giro per due ore. Camminava senza
fermarsi, non sentiva la stanchezza, obbediva a un sentimento
imperioso che non gli permetteva neppure di riflettere. Ma sempre
invano.
Gli venne allora l'idea che la fanciulla, probabilmente, non era a
conoscenza del decreto; cosa tuttavia improbabile, perch un tale
fulmine non poteva scoppiare senza essere udito da tutti. Interessata
anche lei a conoscere tutte le minime notizie che venivano dalla
Siberia, come avrebbe potuto ignorare il provvedimento del
governatore? un provvedimento che la colpiva tanto direttamente?
Ma infine, anche se ignorava le notizie, sarebbe pur venuta, a una
certa ora, al pontile d'imbarco, e qualche agente irremovibile le
avrebbe negato brutalmente il passaggio! Bisognava ad ogni costo che
Michele Strogoff la vedesse prima, e che ella potesse, col suo aiuto,
evitare d'essere respinta.
Ma le sue ricerche furono vane, ed egli perse anche la speranza di
ritrovarla.
Erano gi le undici. Michele Strogoff pensdi presentare il suo
"podaroshna" al commissariato di polizia, cosa che in circostanze
normali sarebbe stata inutile. Era evidente che il decreto non lo
riguardava, poichil suo caso era previsto; ma volle assicurarsi che
non vi fossero difficoltalla sua partenza.
Michele Strogoff ritorn quindi sull'altra sponda del Volga nel
quartiere dove si trovava il commissariato di polizia.
Qui c'era una grande affluenza di gente, perch gli stranieri che
avevano l'ordine di lasciare la provincia, erano ugualmente sottoposti
a certe formalit per partire. Senza questa precauzione, qualche
russo, pio meno compromesso nel movimento tartaro, avrebbe potuto,
col favore d'un travestimento, passare la frontiera: cosa che il
decreto intendeva proprio impedire. Gli stranieri erano rimandati a
casa, ma dovevano avere il permesso per andarsene.
Giocolieri, zingari, suonatori ambulanti, mescolati ai mercanti della
Persia, della Turchia, dell'India, del Turkestan, della Cina,
affollavano il cortile e gli uffici del commissariato.
Tutti avevano fretta, perch i mezzi di trasporto erano presi
d'assalto da quella folla di gente espulsa, e coloro che si fossero
trovati in ritardo correvano il rischio di non riuscire pia partire
dalla cittentro il tempo prescritto. In questo caso si sarebbero
esposti a qualche rigoroso intervento degli agenti del governatore.
Michele Strogoff, grazie alla sua forza di gomiti, riusc ad
attraversare il cortile. Ma entrare negli uffici ed arrivare fino allo
sportello degli impiegati, era un'impresa tutt'altro che facile.
Tuttavia, una parola sussurrata all'orecchio d'un ispettore e alcuni
rubli fatti scivolare nella sua mano ebbero il potere di ottenergli il
passaggio.
L'agente, dopo averlo introdotto nella sala d'attesa, and ad
avvertire un impiegato superiore.
Michele Strogoff sarebbe quindi stato tra poco in regola con la
polizia e libero nei suoi movimenti.
Mentre aspettava, si guardattorno. E chi vide?
L su una panca, accasciata piche seduta, una fanciulla in preda a
una muta disperazione, quantunque si potesse appena scorgerne il
volto, il cui solo profilo si delineava nell'ombra sul muro.
Michele Strogoff non s'era sbagliato. Aveva riconosciuto la giovane
livoniana.
Non conoscendo il decreto del governatore, ella si era presentata
all'ufficio della polizia per far vistare il suo permesso... Il visto
le era stato negato. E' vero che lei era autorizzata ad andare a
Irkutsk, ma il decreto era categorico, annullava ogni autorizzazione
precedente, e le vie della Siberia le erano chiuse.
Michele Strogoff, molto contento d'averla finalmente ritrovata, si
avvicinalla fanciulla.
Lei lo guardun istante, e il suo volto s'illumin d'una luce
improvvisa, riconoscendo il suo compagno di viaggio. Si alz istintivamente e, come un naufrago che si aggrappa a un relitto, stava
per chiedergli aiuto...
In quel momento, l'agente toccla spalla di Michele Strogoff.
- Il capo della polizia vi aspetta - disse.
- Bene - rispose Michele Strogoff.
E, senza dire una parola a colei che aveva tanto cercato fin dal
giorno prima, senza rassicurarla neppure con un gesto (che avrebbe
potuto compromettere se stesso e lei), segul'agente attraverso la
folla compatta di persone.
La giovane livoniana, vedendo scomparire l'unico che avrebbe potuto
venirle in aiuto, ricadde sulla panca.
Non erano passati tre minuti, che Michele Strogoff ricomparve nella
sala, accompagnato da un agente. Teneva in mano il suo "podaroshna",
che gli dava via libera per la Siberia.
Si avvicinalla giovane livoniana, e tendendole la mano:
- Sorella... - disse.
Lei cap Si lev come se un'improvvisa ispirazione le avesse tolto
ogni dubbio.
- Sorella - ripet Michele Strogoff - siamo autorizzati a
proseguire il nostro viaggio per Irkutsk. Vieni?
- Vengo, fratello - rispose la fanciulla, mettendo la sua mano nella
mano di Michele Strogoff.
E insieme lasciarono il palazzo della polizia.



7. LUNGO IL CORSO DEL VOLGA.

Pochi minuti prima di mezzogiorno, la campana del vapore richiam all'imbarcatoio del Volga un gran numero di persone, poichc'erano
quelli che partivano e quelli che avrebbero voluto partire. Le caldaie
del "Caucaso" erano a giusta pressione. Dal camino usciva soltanto un
filo di fumo, mentre l'estremit del tubo di scappamento e il
coperchio delle valvole erano coronati da un vapore bianco.
Non occorre ripetere che la polizia sorvegliava la partenza del
"Caucaso" e si dimostrava irremovibile con i viaggiatori che non
possedevano i necessari documenti per lasciare la citt
Molti Cosacchi andavano e venivano sulla banchina, pronti a dar man
forte agli agenti, ma il loro intervento non fu necessario, e le cose
si svolsero senza resistenze.
All'ora stabilita risuonl'ultimo rintocco di una campana, furono
sciolti gli ormeggi, le potenti ruote del battello batterono l'acqua
con le loro pale articolate e il "Caucaso" fil rapido tra le due
cittche formano Niznij Novgorod.
Michele Strogoff e la giovane livoniana avevano preso posto a bordo
del "Caucaso". Il loro imbarco era avvenuto senza difficolt Come
sappiamo, il "podaroshna" intestato al nome di Nicola Korpanoff,
autorizzava il mercante a farsi accompagnare nel suo viaggio in
Siberia. Erano dunque fratello e sorella che viaggiavano sotto la
protezione della polizia imperiale.
Tutti e due, seduti a poppa, guardavano allontanarsi quella citt
cosprofondamente sconvolta dal decreto del governatore.
Michele Strogoff non aveva ancora detto niente di salla fanciulla,
nl'aveva interrogata. Aspettava che parlasse, se lei riteneva di
doverlo fare. Ella aveva solo fretta d'allontanarsi dalla citt nella
quale, senza l'intervento provvidenziale di quell'inatteso protettore,
sarebbe rimasta prigioniera. Non parlava, ma il suo sguardo
ringraziava per lei.
Il Volga, il Rha degli antichi, considerato il fiume piimportante
di tutta l'Europa; infatti il suo corso non misura meno di quattromila
verste (4300 chilometri). Le sue acque molto inquinate nella parte
superiore, si schiariscono a Niznij Novgorod per l'immissione
dell'Oka, rapido affluente che scende dalle province centrali della
Russia.
L'intreccio dei torrenti e dei fiumi della Russia fu molto
opportunamente paragonato a un gigantesco albero, i cui rami si
stendono su tutte le parti dell'impero. Il Volga forma il tronco di
quest'albero, avente come radici un delta di sessanta bocche, che si
ramificano sul litorale del Mar Caspio. E' navigabile a partire da
Riev, cittdel governatorato di Tver, dunque per la maggior parte del
suo corso.
I battelli della Compagnia di trasporti tra Perm e Niznij Novgorod
superano con sufficiente rapidit le trecentocinquanta verste (375
chilometri) di distanza tra quest'ultima citte la cittdi Kazan. E'
vero che in questo tratto i battelli non hanno che da scendere il
Volga, il quale, con la sua corrente, aumenta di circa due miglia
all'ora la velocitpropria dei battelli. Ma, una volta arrivati alla
confluenza con la Kama, un poco oltre Kazan, devono abbandonare il
grande fiume per imboccare l'affluente, del quale devono allora
risalire la corrente fino a Perm. Dunque tutto calcolato, e nonostante
la potenza delle macchine, il "Caucaso" poteva viaggiare a una
velocit media non superiore a sedici verste all'ora. Contando poi
un'ora di fermata a Kazan, il viaggio da Niznij Novgorod a Perm
sarebbe quindi durato dalle sessanta alle sessantadue ore circa.
Del resto, il battello era molto bene equipaggiato, e i passeggeri,
secondo la loro condizione e le loro disponibilit vi occupavano tre
classi distinte. Michele Strogoff aveva avuto cura di prenotare due
cabine di prima classe, in maniera che la sua giovane compagna potesse
ritirarsi nella propria e isolarsi tutte le volte che avesse voluto.
Il "Caucaso" era molto affollato di passeggeri di tutte le condizioni.
Molti commercianti asiatici avevano creduto opportuno lasciare
immediatamente Niznij Novgorod. Nella parte del battello riservato
alla prima classe si vedevano Armeni con le loro lunghe tuniche e una
specie di mitra in testa; Ebrei, riconoscibili dal loro copricapo
conico; ricchi Cinesi nei loro costumi tradizionali, vesti molto
ampie, di colore azzurro, violetto o nero, aperte davanti e sul dorso,
e ricoperte da una seconda tunica a maniche larghe, il cui taglio
ricordava quelle dei popi; Turchi, che portavano ancora il turbante
nazionale; Indiani, dal berretto quadrato, con un semplice cordone per
cintura, alcuni dei quali, designati particolarmente col nome di
Shikarpuri, monopolizzavano il commercio dell'Asia centrale; infine,
Tartari che calzavano stivali ornati di lacci multicolori e vestivano
camicie dal petto abbondantemente adorno di ricami. Tutti questi
negozianti avevano dovuto ammassare nella stiva e sul ponte i loro
abbondanti bagagli, il cui trasporto doveva costar loro molto caro,
perch secondo la regola avevano diritto soltanto a un peso di venti
libbre per persona.
La maggior parte dei passeggeri era raggruppata a prua del "Caucaso",
e non erano solo stranieri, ma anche Russi, ai quali il decreto non
vietava di recarsi nelle altre cittdella provincia.
C'erano dei "mugik" con la cuffia o berretta, vestiti d'un camiciotto
a quadretti sotto l'ampia casacca, e contadini del Volga con pantaloni
azzurri infilati negli stivali, camicia di cotone rosa stretta da una
corda, berretta piatta o cuffia di feltro. Alcune donne con abito di
cotonato a fiori, portavano il grembiule a colori vivaci e il
fazzoletto a disegni rossi in testa. Erano principalmente passeggeri
di terza classe, i quali, per loro fortuna, non erano preoccupati
dalla prospettiva d'un lungo viaggio di ritorno. Insomma, questa parte
del ponte era molto affollata. Perci i passeggeri di poppa non
s'avventuravano tra quei gruppi eterogenei, il cui posto era segnato
sui timpani.
Intanto il "Caucaso" filava con tutta la forza delle sue pale tra le
rive del Volga. Incrociava molti battelli che risalivano la corrente,
trainati da rimorchiatori, e trasportavano ogni specie di mercanzie a
Niznij Novgorod. Poi passavano traini di legname, lunghi come le
interminabili isole di sargassi dell'Atlantico, e chiatte cariche da
affondare, che pescavano fino all'orlo. Viaggio ormai inutile, poich la fiera era stata improvvisamente chiusa appena aperta.
Le sponde del Volga, percosse dall'onda sollevata dalla scia del
battello, si coronavano di stormi d'anitre, che fuggivano mandando uno
stridore assordante. Un poco pilontano, sulle pianure aride limitate
da ontani, salici, tremule, si vedevano sparse alcune mucche dal
mantello rosso scuro, greggi di pecore dal vello bruno, molti branchi
di porci e maialini bianchi e neri. Qualche campo, dove crescevano
stentatamente granturco e segala, si estendeva fino allo sfondo di
colline coltivate a met ma che in complesso non offrivano alcun
panorama degno di nota. In questo paesaggio monotono, la matita d'un
disegnatore, in cerca di luoghi caratteristici, non avrebbe trovato
nulla da ritrarre.
Due ore dopo la partenza del "Caucaso", la giovane livoniana si
rivolse a Michele Strogoff e gli disse:
- Vai a Irkutsk, fratello?
- S sorella - rispose il giovane. - Facciamo tutti e due la
stessa strada. Per conseguenza, dappertutto dove passerio, passerai
anche tu.
- Domani, fratello, ti dirperchho lasciato le sponde del Baltico
per recarmi oltre gli Urali.
- Non ti chiedo niente, sorella.
- Ti dir tutto - rispose la fanciulla, le cui labbra si
atteggiarono a un mesto sorriso. - Una sorella non deve nascondere
niente al fratello. Ma oggi non potrei!... La stanchezza e l'angoscia
mi hanno sfinita!
- Vuoi andarti a riposare nella tua cabina? - domandMichele
Strogoff.
- S.. s.. e domani...
- Vieni, dunque...
Interruppe la frase, come se avesse voluto terminarla col nome della
sua compagna, che ancora non sapeva.
- Nadia - disse ella tendendogli la mano.
- Vieni, Nadia - aggiunse Michele Strogoff, - e non avere riguardi
a servirti del tuo fratello Nicola Korpanoff.
E condusse la fanciulla alla cabina che le era stata assegnata sul
settore di poppa.
Michele Strogoff ritornsul ponte e, avido di notizie che potevano
forse modificare il suo itinerario, si introdusse tra i gruppi di
passeggeri, ascoltando, ma senza prendere parte alle conversazioni.
Del resto, se per caso fosse stato interrogato in maniera da dover
rispondere, si sarebbe presentato come il mercante Nicola Korpanoff,
che aveva preso il "Caucaso" per ritornare alla frontiera; non voleva
che qualcuno sospettasse che era autorizzato da un permesso speciale a
viaggiare in Siberia.
Gli stranieri imbarcati sul battello non parlavano, ovviamente, se non
degli avvenimenti del giorno, del decreto e delle sue conseguenze.
Questa povera gente, appena riposata dalle fatiche d'un viaggio
attraverso l'Asia centrale, si vedeva obbligata a ritornarvi, e se non
gridava alto la propria collera e disperazione, era perchnon osava
farlo. Una paura, mista a rispetto, la tratteneva. Poteva darsi che un
ispettore di polizia, incaricato di sorvegliare i passeggeri, si fosse
imbarcato segretamente a bordo del "Caucaso", ed era meglio frenare la
lingua, perch dopo tutto, l'espulsione era ancora preferibile al
carcere in una fortezza. Cos in quei gruppi, o si taceva o si
scambiavano le idee con una tale circospezione, che non si poteva
ricavare nessuna informazione utile.
Ma se Michele Strogoff non sentnulla di utile da questa parte, e se
anche la gente pid'una volta tacque al suo avvicinarsi perchnon
lo conoscevano - tuttavia le sue orecchie furono colpite dal suono
d'una voce che non si preoccupava d'essere sentita o no.
L'uomo dalla voce allegra parlava russo, ma con accento straniero e il
suo interlocutore, piriservato, gli rispondeva nella stessa lingua,
ma anch'essa diversa dalla sua lingua originale.
- Come - diceva il primo - come, voi su questo battello, mio caro
collega, voi che ho visto al ricevimento imperiale a Mosca, e soltanto
intravisto a Niznij Novgorod?
- Proprio io! - rispose il secondo in tono secco.
- Ebbene, francamente, non mi aspettavo di essere immediatamente
seguito da voi, e cosda vicino.
- Non vi seguo, signore, vi precedo!
- Precedo! Precedo! Diciamo piuttosto che marciamo alla pari, con lo
stesso passo, come due soldati in parata, e perci almeno
provvisoriamente, se vi piace, mettiamoci d'accordo che nessuno dei
due precederl'altro!
- Vi preceder invece.
- Questo lo vedremo, quando saremo sul teatro delle operazioni; ma
fino a quel momento, diamine! restiamo compagni di viaggio. Pitardi,
avremo tutto il tempo e l'occasione per essere rivali!
- Nemici.
- Nemici, va bene! C' nelle vostre parole, caro collega, una
precisione che mi torna particolarmente gradita. Con voi, almeno, uno
sa come regolarsi!
- Che male c'
- Nessun male. Cos a mia volta, vi chiederil permesso di precisare
i nostri rapporti reciproci.
- Precisate.
- Voi andate a Perm... come me?
- Come voi.
- E, probabilmente, da Perm andrete a Ekaterinburg, dal momento che la via migliore e pisicura per valicare gli Urali?
- Probabilmente.
- Una volta varcata la frontiera, saremo in Siberia, cioin piena
invasione.
- Ci saremo!
- Ebbene, allora, ma soltanto allora, sar il momento di dire:
"Ciascuno per s Dio per...".
- Dio per me!
- Dio per voi, solo per voi! Molto bene! Ma, poichabbiamo davanti a
noi circa otto giorni di neutralit e poich quasi sicuramente le
notizie non pioveranno sulla strada, siamo amici fino al momento in
cui ritorneremo rivali.
- Nemici.
- S giusto, nemici! Ma, fino allora operiamo d'accordo e non
divoriamoci a vicenda! Vi prometto, del resto di tenere per me tutto
quanto potrvedere...
- E io, tutto quanto potrsentire.
- Sulla parola?
- Sulla parola.
- Qua la mano.
- Eccola.
E la mano del primo interlocutore, cio cinque dita cordialmente
distese, scossero vigorosamente le due dita che gli offrcon flemma
il secondo.
- A proposito - disse il primo - ho potuto telegrafare a mia
cugina il testo preciso del decreto, stamattina alle dieci e
disiassette minuti.
- E io l'ho trasmesso al "Daily Telegraph" alle dieci e tredici.
- Bravo, signor Blount.
- Troppo gentile, signor Jolivet.
- Alla rivincita!
- Sardifficile!
- Mi prover almeno!
Cosdicendo, il corrispondente francese salut familiarmente il
corrispondente inglese, il quale inchinando il capo, gli rese il
saluto con una rigidezza tutta britannica.
Il decreto del governatore non riguardava questi due cacciatori di
notizie, poichnon erano nrussi, nstranieri di origine asiatica.
Erano quindi potuti partire, e se avevano lasciato assieme Niznij
Novgorod, fu percherano sospinti dallo stesso istinto. Era quindi
naturale che avessero preso lo stesso mezzo di trasporto e che
facessero la stessa strada fino alle steppe siberiane. Compagni di
viaggio, amici e nemici, avevano davanti a sotto giorni, prima 剃he
la caccia fosse aperta E allora, fortunato il pisvelto! Alcide
Jolivet aveva fatto le prime proposte e, sebbene con freddezza, Harry
Blount le aveva accettate.
Comunque, al desinare di quel giorno, il francese, sempre espansivo e
persino un po' loquace, e l'inglese, sempre chiuso, sempre riservato,
brindavano alla stessa tavola, bevendo un autentico Cliquot da sei
rubli la bottiglia, generosamente fornito dalla fresca linfa delle
betulle del luogo.
Sentendo cosparlare Alcide Jolivet e Harry Blount, Michele Strogoff
aveva pensato:
亟cco due ficcanaso indiscreti, che incontrer probabilmente ancora
sulla mia strada. Mi sembra prudente starmene alla larga
La giovane livoniana non venne per il desinare. Dormiva nella sua
cabina, e Michele Strogoff non volle che fosse svegliata. Venne anche
la sera, e lei non era ancora riapparsa sul ponte del Caucaso.
Il lungo crepuscolo impregnava allora l'atmosfera d'una frescura che i
passeggeri cercavano avidamente, dopo lo snervante calore del giorno.
Anche ad ora molto tarda, la maggior parte non pensarono neppure di
ritornare nei saloni o nelle cabine. Distesi sulle panche, respiravano
con volutt un po' di quella brezza prodotta dalla velocitdel
battello. Il cielo, a quella stagione dell'anno e sotto quella
latitudine, si oscurava appena tra la sera e il mattino, e lasciava al
timoniere la completa visibilit per destreggiarsi in mezzo alle
numerose imbarcazioni che scendevano o risalivano il Volga.
Tuttavia, tra le undici e le due del mattino, poich la luna era
nuova, si fece pressoch buio. Quasi tutti i passeggeri sul ponte
dormivano, e il silenzio era rotto soltanto dalla sciabordio delle
pale, che battevano l'acqua a intervalli regolari.
Una specie d'inquietudine teneva sveglio Michele Strogoff. Passeggiava
avanti e indietro, ma sempre a poppa. Una volta, tuttavia, gli capit di oltrepassare le sale delle macchine. Si trovallora sulla parte
riservata ai viaggiatori di seconda e terza classe.
L tutti dormivano, non soltanto sulle panche, ma anche sui bagagli,
sui colli e persino sul tavolato del ponte. Soltanto i marinai di
guardia stavano in piedi sul castello di prua. Due luci, una verde,
l'altra rossa, proiettate dai fanali di tribordo e di babordo,
mandavano qualche raggio obliquo sulle fiancate del battello.
Occorreva una certa attenzione per non calpestare quelli che
dormivano, capricciosamente distesi qua e l Erano per la maggior
parte "mugik", abituati a dormire per terra, cui bastava il tavolato
del ponte. Tuttavia, avrebbero anch'essi accolto assai male quel
maldestro che li avesse svegliati a colpi di stivale.
Michele Strogoff badava quindi a non urtare contro qualcuno. Andando
cosverso l'estremitdel battello, non aveva altro scopo che di
ingannare il sonno con una passeggiata un poco pilunga.
Ora, era giarrivato all'estremitanteriore del ponte, e gisaliva
la scala del castello di prua, quando sent delle persone che
parlottavano vicino a lui. Si ferm Le voci sembravano provenire da
un gruppo di passeggeri, avviluppati in scialli e coperte, che egli
non poteva riconoscere nell'ombra. Ma succedeva talvolta, quando il
fumaiolo del battello, in mezzo alle volute di fumo, mandava pennacchi
di fiamme rossastre, che una folata di scintille sembrasse investire
il gruppo, come se migliaia di pagliuzze venissero improvvisamente
accese da un raggio luminoso.
Michele Strogoff stava per proseguire, quando sentpidistintamente
alcune parole, pronunciate in quella lingua esotica che lo aveva gi colpito durante la notte passata sul campo della fiera.
Quasi per istinto, pens di ascoltare. Protetto dall'ombra del
castello, non poteva essere visto. Anche a lui era impossibile vedere
i passeggeri che discorrevano. Dovette quindi fermarsi ad ascoltare.
Le prime parole che egli sent non avevano alcuna importanza -
almeno per lui, - ma gli permisero di riconoscere con precisione le
due voci, della donna e dell'uomo che aveva sentito a Niznij Novgorod.
Allora concentrla sua attenzione. Non era impossibile, infatti, che
quegli zigani, dei quali aveva colto un brano di conversazione, ora
espulsi assieme a tutti i loro simili, fossero a bordo del "Caucaso".
Fece proprio bene ad ascoltare, perchsentabbastanza distintamente
questa domanda e questa risposta, fatte in lingua tartara:
- Si dice che un corriere sia partito da Mosca per Irkutsk!
- Si dice, Sangarre; ma questo corriere, o arrivertroppo tardi, o
non arriveraffatto!
Michele Strogoff trasalinvolontariamente a questa risposta, che lo
riguardava cosdirettamente. Cercdi scoprire se l'uomo e la donna
che avevano parlato fossero veramente quelli che lui sospettava, ma
l'oscuritera in quel momento troppo fitta, e non vi riusc
Qualche istante dopo, Michele Strogoff, senza essere visto, era
ritornato a poppa, e s'era seduto in disparte, con la testa fra le
mani. Si sarebbe detto che dormisse.
Non dormiva npensava di dormire. Rifletteva a quanto aveva sentito,
non senza una viva apprensione.
青hi dunque conosce la mia partenza, e chi dunque ha interesse a
conoscerla?















8. RISALENDO LA KAMA.

L'indomani mattina, 18 luglio, alle sei e quaranta, il "Caucaso"
arriv all'approdo di Kazan, distante sette verste (7 chilometri e
mezzo) dalla citt
Kazan situata alla confluenza del Volga e della Kazanka. E' un
importante capoluogo di governatorato, sede dell'arcivescovo greco e,
allo stesso tempo, sede universitaria. La popolazione eterogenea di
questa "gubernia" composta di Ceremissi, di Mordvini, di Ciuvasci,
di Volsalks, di Vigulisci, di Tartari; quest'ultima razza conserva in
modo speciale il carattere asiatico.
Quantunque la citt fosse abbastanza distante dall'approdo, c'era
molta folla che si accalcava sulla banchina. Venivano a sentire le
notizie. Il governatore della provincia aveva ricevuto un decreto
identico a quello ricevuto dal suo collega di Niznij Novgorod. Si
vedevano infatti dei Tartari vestiti di caffettano a maniche corte e
con il copricapo a punta, le cui larghe tese ricordavano quello del
tradizionale Pierrot (1). Altri, avviluppati in una lunga pallanda,
con in testa una piccola calotta, rassomigliavano agli ebrei polacchi.
Donne, col petto sovraccarico di orpelli e la testa coronata da un
alto diadema a forma di mezzaluna, formavano capannelli nei quali si
discuteva.
Ufficiali di polizia, mescolati a questa folla, e alcuni Cosacchi, con
la lancia in pugno, mantenevano l'ordine e facevano strada tanto ai
passeggeri che sbarcavano dal "Caucaso" quanto a quelli che si
imbarcavano, ma dopo aver minuziosamente controllato l'una e l'altra
teoria di viaggiatori. C'erano, da una parte, Asiatici colpiti dal
decreto di espulsione e, dall'altra, alcune famiglie di "mugik" che si
fermavano a Kazan.
Michele Strogoff osservava con molta indifferenza questo andare e
venire caratteristico di tutti i luoghi d'imbarco, dove il battello
approdava. Il "Caucaso" doveva sostare a Kazan per un'ora, cio il
tempo necessario per rifornirsi di combustibile.
Quanto a sbarcare, Michele Strogoff non ci pensminimamente. Non
avrebbe voluto lasciare sola a bordo la giovane livoniana, che non era
ancora riapparsa sul ponte.
I due giornalisti, invece, s'erano levati all'alba, come si conviene
ad ogni cacciatore coscienzioso. Scesero a terra e si confusero tra la
folla, ognuno per conto proprio. Michele Strogoff vide da una parte
Harry Blount che, con il taccuino in mano, tracciava a matita il
profilo di qualche tipo o prendeva nota di qualcosa, e dall'altra
Alcide Jolivet, che si contentava di parlare, fidandosi unicamente
della sua memoria, a cui non sfuggiva nulla.
Correva voce, su tutta la frontiera orientale della Russia, che la
rivolta e l'invasione assumessero proporzioni considerevoli. Le
comunicazioni tra la Siberia e l'impero erano gi estremamente
difficili. Ecco quanto Michele Strogoff, senza aver lasciato il ponte
del Caucaso, sentiva raccontare dai nuovi imbarcati.
Ora, tutti questi discorsi non mancavano di destare in lui una vera
inquietudine e sollecitavano l'imperioso desiderio che aveva di essere
gioltre i monti Urali, per giudicare di persona la gravit degli
avvenimenti e tenersi pronto ad affrontare tutte le eventualit Forse
avrebbe anche domandato informazioni piprecise a qualche indigeno di
Kazan, quando la sua attenzione fu improvvisamente richiamata da un
altro fatto.
Tra i viaggiatori che sbarcavano dal Caucaso, Michele Strogoff
riconobbe il gruppo degli zigani che il giorno prima si trovavano
ancora sul campo della frontiera di Niznij Novgorod. L sul ponte del
battello, si trovava il vecchio zingaro e la donna che lo aveva
trattato da spia. Con loro, certamente sotto la loro direzione,
sbarcavano una ventina di danzatrici e cantanti, dai quindici ai
vent'anni, avvolte in logore coperte che ricoprivano le loro gonne a
lustrini.
Quegli indumenti, illuminati allora dai primi raggi del sole,
ricordarono a Michele Strogoff l'effetto singolare che aveva osservato
durante la notte. Erano tutti quei lustrini zingareschi che brillavano
nell'oscuritquando il fumaiolo del battello mandava qualche vampata.
亟' evidente - pens - che questa carovana di ambulanti, dopo
essere rimasta sotto coperta durante il giorno, venuta a
raggrupparsi presso il castello di prua durante la notte. Forse questi
zingari cercavano di tenersi pinascosti possibile? Non certamente
una cosa abituale per la loro razza!
Michele Strogoff ebbe allora la certezza che i discorsi che lo
riguardavano cos da vicino provenivano da quel gruppo oscuro fatto
scintillare dai bagliori di bordo, e che erano stati scambiati fra il
vecchio zigano e la donna, alla quale egli aveva dato il nome mongolo
di Sangarre.
Michele Strogoff, con movimento involontario, andverso il barcarizzo
del battello, nel momento in cui la compagnia di zingari stava
scendendo per non piritornare.
Il vecchio zingaro era l in atteggiamento dimesso, poco conforme
alla sfrontatezza naturale dei suoi consimili. Si sarebbe detto che si
preoccupasse pidi evitare gli sguardi che di farsi vedere. Il suo
cappello pietoso, abbrustolito da tutti i soli del mondo, era
abbassato profondamente sulla faccia grinzosa. Le spalle curve
facevano gobba sotto un vecchio camiciotto, nel quale era tutto
avviluppato nonostante il caldo. Sarebbe stato difficile, sotto quel
misero abbigliamento, riconoscere la sua statura e la sua fisionomia.
Vicino a lui, la zingara Sangarre, donna sui trent'anni, di pelle
scura, alta, ben piantata, occhi stupendi, capelli dorati, manteneva
un contegno altero.
Alcune di quelle giovani danzatrici erano notevolmente graziose, pur
conservando il tipo decisamente marcato della loro razza. Le zigane
sono in genere avvenenti, e pid'uno di quei grandi signori russi,
che propongono di competere con gli inglesi in fatto d'eccentricit
non ha esitato a scegliere la moglie tra quelle zingare.
Una di loro canticchiava una canzone d'un ritmo esotico, di cui i
primi versi si possono tradurre cos

"Il corallo splende sulla mia pelle bruna,
la spilla d'oro sui miei capelli!
Vado in cerca di fortuna
nel paese di..."

L'allegra ragazza continucerto la sua canzone, ma Michele Strogoff
non ascoltava pi
Infatti, gli parve che la zingara Sangarre l'osservasse con insistenza
particolare. Si sarebbe detto che quella donna volesse imprimersi
indelebilmente nella memoria la fisionomia di lui.
Poi, dopo qualche istante, Sangarre sbarc per ultima, quando il
vecchio e la sua compagnia avevano gilasciato il Caucaso.
亟cco una zingara sfrontata! - pensMichele Strogoff. - Che mi
abbia riconosciuto per quell'uomo che lei tratt da spia a Niznij
Novgorod? Queste dannate zigane hanno occhi da gatto! Ci vedono anche
di notte, e quella potrebbe forse sapere...
Michele Strogoff fu sul punto di seguire Sangarre e la sua compagnia
ma si trattenne.
俏o - pensancora - niente passi falsi. Se faccio arrestare quel
vecchio indovino e la sua banda, rischio di svelare il mio incognito.
Del resto, ora sono sbarcati, e prima che loro abbiano varcato la
frontiera, io sargilontano oltre l'Ural. E' vero che essi possono
prendere la via di terra da Kazan a Iscim, ma questa non offre nessuna
assistenza, e un "tarant跴", tirato da buoni cavalli siberiani,
arriversempre prima di un carro di zingari. Andiamo, caro Korpanoff,
sta' tranquillo!
Del resto, in quel momento, il vecchio zigano e Sangarre erano
scomparsi tra la folla.
Se Kazan giustamente chiamata 勁a porta dell'Asia se questa citt considerata il nodo di transito di tutto il commercio della Siberia
e di Buchara, perchdi qui partono due strade, che attraversano i
monti Urali. Ma Michele Strogoff aveva scelto con molto giudizio
quella che da Perm passa per Ekaterinburg e Tjumen. E' la grande
strada della posta, ben fornita di cambi mantenuti a spese dello Stato
e si prolunga poi da Iscim fino a Irkutsk.
E' vero che la seconda strada - quella di cui Michele Strogoff ha
appena parlato - evitando la breve deviazione di Perm, collega
egualmente Kazan a Iscim, passando per Jelabuga, Menzelinsk, Birsk,
Zlatust, sul confine dell'Europa, Celjabinsk, Sadrinsk e Kurgan. Forse
questa strada pi breve dell'altra ma questo vantaggio abbondantemente scontato dalla mancanza delle stazioni di posta, dalla
cattiva manutenzione della strada, dalla scarsitdi villaggi. Michele
Strogoff meritava quindi l'approvazione per la scelta fatta, e se,
come sembrava prevedibile, quegli zingari seguivano la seconda strada
da Kazan a Iscim, egli aveva tutte le probabilitdi arrivarvi prima
di loro.
Un'ora dopo, la campana a prua del "Caucaso" suon chiamando i nuovi
viaggiatori e richiamando i vecchi. Erano le sette del mattino. Il
carico di combustibile era completo. Le lamiere delle caldaie
fremevano sotto la pressione del vapore. Il battello era pronto a
partire. I viaggiatori, che andavano da Kazan a Perm, avevano gi occupato i loro posti.
In quel momento, Michele Strogoff not che, dei due giornalisti,
soltanto Harry Blount era ritornato a bordo.
Alcide Jolivet avrebbe dunque perso la corsa?
Ma, nell'istante stesso in cui il battello levava gli ormeggi, arriv di corsa Alcide Jolivet. Il battello s'era gi scostato, anche la
passerella era stata ritirata sulla banchina, ma Alcide Jolivet non se
ne preoccupe, spiccando un salto con l'agilitd'un "clown", piomb sul ponte del Caucaso, quasi tra le braccia del suo collega.
- Ho pensato che il "Caucaso" partisse senza di voi - disse questi
tra il serio e il faceto.
- Bah! - rispose Alcide Jolivet - vi avrei raggiunto, anche se
avessi dovuto noleggiare un battello a spese di mia cugina o fare la
posta a venti copechi per versta e per cavallo. Che volete? L'approdo
distante dal telegrafo!
- Siete andato al telegrafo? - domandHarry Blount, stringendo le
labbra con disappunto.
- Ci sono andato! - rispose Alcide Jolivet con il piamabile
sorriso.
- E funziona sempre fino a Kolivar?
- Questo non lo so, ma vi posso assicurare, per esempio, che funziona
da Kazan a Parigi.
- Avete mandato un dispaccio... a vostra cugina?
- Con entusiasmo.
- Allora avete saputo...?
- Sentite, piccolo padre, per dire come i Russi - rispose Alcide
Jolivet, - io sono un bravo ragazzo, e non voglio nascondervi
niente. I Tartari, con Feofar Khan in testa, hanno oltrepassato
Semipalatinsk e scendono il corso dell'Irtis. Approfittatene!
Come! Una notizia cosgrave e Harry Blount non ne era al corrente,
mentre il suo rivale, che probabilmente l'aveva sentita da qualche
abitante di Kazan, l'aveva subito trasmessa a Parigi! Il giornale
inglese restava distanziato! Perci Harry Blount incrocile mani sul
dorso, e anda sedersi a poppa, senza aggiungere una parola.
Verso le dieci del mattino, la giovane livoniana, uscita dalla sua
cabina, salsul ponte.
Michele Strogoff, andandole incontro, le offrla mano.
- Guarda, sorella - le disse, dopo averla condotta fino alla prua
del "Caucaso".
Infatti il luogo meritava di essere osservato con un po' di
attenzione.
Il "Caucaso" arrivava, in quel momento alla confluenza del Volga con
la Kama. Qui lasciava il grande fiume, dopo averne disceso la corrente
per oltre quattrocento verste e si apprestava a risalire l'importante
affluente per un percorso di quattrocentosessanta verste (490
chilometri).
In questo punto, le acque delle due correnti mescolano le loro tinte
un poco differenti, e la Kama offrendo dalla riva sinistra lo stesso
servizio che l'Oka aveva reso dalla destra attraversando Niznij
Novgorod, purificava ulteriormente il Volga con il suo limpido flusso.
La Kama allora si allargava alquanto, e le sue rive boscose divenivano
incantevoli. C'erano alcune vele bianche che animavano le sue limpide
acque, ovunque impregnate dai raggi del sole. Le sponde, dove
crescevano le tremule, gli ontani e qualche quercia gigantesca,
limitavano l'orizzonte con una linea armoniosa, che la splendida luce
del mezzogiorno confondeva in qualche punto con lo sfondo del cielo.
Ma queste bellezze naturali sembrava non avessero il potere di
distrarre, nemmeno un istante, i pensieri della giovane livoniana.
Ella non pensava che a una cosa, raggiungere la meta, e la Kama era
per lei soltanto la via pi facile per arrivarvi. I suoi occhi
s'illuminavano straordinariamente quando guardava verso est, come se
avesse voluto frugare con lo sguardo quell'orizzonte impenetrabile.
Nadia teneva la sua mano nella mano del compagno e, d'improvviso, si
rivolse a lui:
- Quanto siamo distanti da Mosca? - domand
- Novecento verste! - rispose Michele Strogoff.
- Novecento su settemila! - mormorla fanciulla.
Era l'ora del desinare, che fu annunciato con alcuni tocchi di
campana. Nadia seguMichele Strogoff al ristorante del battello. Lei
non volle prendere antipasti, come caviale (2), aringhe tagliate a
fettine, acquavite di segala e anice, serviti a parte e destinati a
stimolare l'appetito, come si usa comunemente in tutti i paesi del
Nord, in Russia come in Norvegia e in Svezia. Nadia mangipoco, forse
come una povera ragazza che ha mezzi limitati. Michele Strogoff
ritenne doversi accontentare delle vivande che erano sufficienti alla
sua compagna, cioun poco di "kulbat", specie di pasticcio con tuorlo
d'uovo, riso e carne tritata, cavoli rossi con ripieno di caviale e t per bevanda.
Il pasto non fu quindi nlungo ncostoso, sicch meno di venti
minuti dopo essersi seduti a tavola, Michele Strogoff e Nadia
risalirono assieme sul ponte del "Caucaso".
Allora si sedettero a poppa e, senza altri preamboli, Nadia,
abbassando la voce in maniera da essere sentita soltanto da lui,
cominci
- Fratello, io sono figlia di un esiliato. Mi chiamo Nadia Fedor. Mia
madre morta a Riga, appena un mese fa, e ora vado a Irkutsk, per
raggiungere mio padre e condividere con lui l'esilio.
- Anch'io vado a Irkutsk - disse Michele Strogoff - e lo
considerercome un favore del Cielo se potrconsegnare Nadia, sana e
salva, nelle mani di suo padre.
- Grazie, fratello! - rispose Nadia.
Michele Strogoff aggiunse che aveva ottenuto un "podaroshna" speciale
per la Siberia, e che, da parte delle autoritrusse, non avrebbe
avuto ostacoli nel suo viaggio.
Nadia non domand altro. Vedeva una cosa soltanto nell'incontro
provvidenziale con questo giovane semplice e generoso: l'aiuto per
arrivare fino a suo padre.
- Avevo un permesso - disse - che mi autorizzava ad andare a
Irkutsk; ma il decreto del governatore di Niznij Novgorod lo ha
annullato, e senza di te, fratello, non avrei potuto partire dalla
cittdove mi hai trovato, e dove certamente sarei morta!
- E tu, Nadia, da sola - disse Michele Strogoff - completamente
sola, osavi avventurarti attraverso le steppe della Siberia!
- Era mio dovere, fratello.
- Ma non sapevi che quel paese, in rivolta e invaso diventato quasi
impraticabile?
- L'invasione tartara non era ancora nota quando partii da Riga
rispose la giovane livoniana. - Soltanto a Mosca ho saputo la
notizia!
- E, malgrado questo, hai proseguito il viaggio?
- Era mio dovere.
Queste parole riassumevano tutto il carattere della coraggiosa
fanciulla. Nadia non esitava mai a compiere il suo dovere.
Parlquindi di suo padre, Vassili Fedor. Era un medico stimato a
Riga. Esercitava con successo la sua professione e viveva felice con
la sua famiglia. Ma essendo stata scoperta la sua appartenenza a una
societsegreta straniera, ebbe l'ordine di partire per Irkutsk, e le
guardie, che glielo intimarono, lo scortarono immediatamente oltre la
frontiera.
Vassili Fedor aveva appena avuto il tempo di abbracciare la moglie gi inferma, e la figlia, che forse sarebbe rimasta senza aiuto, e
piangendo su queste due persone che amava, era partito.
Da due anni si trovava nella capitale della Siberia orientale, e l aveva potuto continuare, ma quasi senza profitto, la professione di
medico. Nonostante tutto, forse sarebbe stato felice, per quanto pu esserlo un esiliato, se la moglie e la figlia gli fossero state
vicine. Ma la signora Fedor, gimolto debole, non potpartire da
Riga. Venti mesi dopo la partenza del marito, mornelle braccia della
figlia, che lasciava sola e quasi senza mezzi di sostentamento. Allora
Nadia Fedor domande ottenne facilmente dal governo russo il permesso
di raggiungere suo padre a Irkutsk. Gli aveva scritto che partiva.
Aveva appena quanto le bastava per il lungo viaggio, e tuttavia non
esit a intraprenderlo. Faceva tutto ciche poteva!.. Dio avrebbe
fatto il resto.
Intanto il "Caucaso" risaliva la corrente del fiume. Era scesa la
notte, e l'aria s'impregnava d'una deliziosa frescura. Le scintille si
sprigionavano dal camino del battello, alimentato da legna di pino, e
allo sciabordio delle onde solcate dalla prua si mescolava l'ululato
dei lupi che di notte infestavano la riva destra della Kama.


NOTE.

Nota 1. Personaggio della Commedia italiana in Francia, derivato
direttamente dal Pedrolino della Commedia dell'arte. Il costume di
Pierrot consiste in larghi pantaloni bianchi, casacca pure larga e
bianca con bottoni della stessa stoffa o di velluto nero, calotta di
velluto nero in testa, viso imbiancato. E' il tipo del servo sciocco
(Nota del Traduttore).
Nota 2. Il caviale una specialitculinaria russa fatta con uova di
storione salate.







9. IN "TARANTAS" NOTTE E GIORNO.

Il giorno dopo, 18 luglio, il "Caucaso" si fermall'approdo di Perm,
ultimo porto fluviale sulla Kama.
Questo governatorato, di cui Perm la capitale, uno dei pivasti
dell'impero russo e, oltrepassando i monti Urali, si estende sul
territorio della Siberia. Cave di marmo, miniere di sale, giacimenti
di platino e d'oro, miniere di carbone sono sfruttate su larga scala.
Perm, per la sua posizione, pudiventare una cittdi prim'ordine, ma
per ora assai poco accogliente, molto sporca, molto polverosa e non
offre nessuna attrattiva. Per coloro che vi giungono dalla Russia
diretti in Siberia questa mancanza di comodit quasi indifferente,
perch essi vengono dall'interno e sono forniti di tutto il
necessario; ma a quanti vi arrivano dalle contrade dell'Asia centrale,
dopo un lungo ed estenuante viaggio non dispiacerebbe indubbiamente
che la prima citt europea dell'impero, situata sulla frontiera
asiatica, fosse meglio attrezzata.
A Perm i viaggiatori vendono i loro veicoli, pio meno logorati dalla
lunga traversata delle pianure siberiane. E qui, coloro che passano
dall'Europa all'Asia, comprano le vetture durante l'estate, le slitte
durante l'inverno, prima di avventurarsi per parecchi mesi attraverso
le steppe.
Michele Strogoff aveva gistabilito il suo programma di viaggio, e
non gli restava altro che eseguirlo.
Esiste un servizio di corriera postale che valica abbastanza
rapidamente la catena dei monti Urali, ma, nelle circostanze attuali,
il servizio era disorganizzato. Siccome Michele Strogoff voleva
muoversi rapidamente, senza dipendere da nessuno, non avrebbe preso la
corriera di linea. Preferiva, con ragione, acquistare una vettura e
correre da cambio a cambio, sollecitando con na vodku" (1)
supplementari lo zelo dei postiglioni, chiamati "iemsciks" nel
linguaggio locale.
Sfortunatamente, in seguito alle restrizioni prese contro gli
stranieri di provenienza asiatica, un gran numero di viaggiatori aveva
gi lasciato Perm e, per conseguenza, i mezzi di trasporto erano
estremamente rari. Michele Strogoff era dunque nella necessit di
accontentarsi dei rifiuti degli altri. Quanto ai cavalli, finchil
corriere dello zar non fosse arrivato in Siberia, poteva senza
pericolo esibire il suo "podaroshna", e il capo della posta avrebbe
attaccato per lui con precedenza sugli altri. Ma, in seguito, una
volta fuori della Russia europea, non potrebbe contare altro che sul
potere dei rubli.
Ma a che genere di veicolo attaccare i cavalli? A una "telega" o a un
"tarant跴"?
La "telega" non altro che una vera e propria carretta scoperta, a
quattro ruote, tutta fatta esclusivamente di legno. Ruote, assi,
cavicchi, cassa, stanghe, tutto fornito dagli alberi dei boschi
vicini, e tutti i singoli pezzi di cui la "telega" si compone sono
tenuti insieme unicamente con delle rudimentali corde. Niente di pi primitivo, niente di meno confortevole, ma allo stesso tempo niente di
pipratico per le riparazioni, se qualche pezzo si rompe per strada.
Gli abeti non mancano sulla frontiera russa, e gli assi per le ruote
crescono spontaneamente nelle foreste. La posta straordinaria,
chiamata nella lingua del paese "perekladnoj", si fa per mezzo della
"telega", per la quale tutte le strade sono buone. Qualche volta,
bisogna ammetterlo, i legami che tengono insieme il trabiccolo si
rompono e, mentre il treno posteriore rimane impantanato in qualche
buca, il treno anteriore arriva al cambio su due sole ruote, e questo
risultato da considerarsi gisoddisfacente.
Michele Strogoff sarebbe stato costretto ad usare una "telega", se non
avesse avuto la fortuna di scoprire un "tarant跴".
Il "tarant跴" non rappresenta certo l'ultimo ritrovato dell'industria
carrozziera. Anche al "tarant跴", come alla "telega", mancano le
molle; il legno, in mancanza di ferro, vi largamente impiegato; ma
le sue quattro ruote, distanti da otto a nove piedi all'estremitdi
ciascun asse, assicurano un certo equilibrio sulle strade sconnesse e
spesso non livellate. I parafanghi proteggono i viaggiatori contro il
fango della strada, e una robusta capotta di cuoio, che si pu rialzare e chiudere quasi ermeticamente, ne rende l'abitacolo meno
disagevole sotto i grandi caldi e i violenti temporali dell'estate. Il
"tarant跴" del resto abbastanza solido, facile a riparare quanto la
telega, e d'altra parte meno soggetto a lasciarsi indietro il treno
posteriore nelle asperitdelle grandi strade.
D'altronde, Michele Strogoff riusca scoprire questo "tarant跴" solo
dopo minuziose ricerche, ed era probabile che un secondo non lo si
sarebbe trovato in tutta la citt di Perm. Nonostante ci egli
contratta lungo il prezzo, per salvare la forma, a fine di mantenere
il ruolo di Nicola Korpanoff, semplice negoziante di Irkutsk. Nadia
aveva seguito il compagno in queste corse alla ricerca d'un veicolo.
Bench il fine da raggiungere fosse differente, tutti e due avevano
uguale fretta di arrivare e, per conseguenza di partire. Si sarebbe
detto che li animava una stessa volont
- Sorella, - disse Michele Strogoff - avrei voluto trovare per te
una vettura picomoda.
- Dici questo, fratello, a me che per raggiungere mio padre sarei
andata anche a piedi, se necessario!
- Non dubito del tuo coraggio, Nadia, ma sono strapazzi che una donna
non pusopportare.
- Li sopporter comunque siano - rispose la fanciulla. - Se senti
un lamento sfuggirmi dalle labbra, lasciami sulla strada e continua il
viaggio da solo!
Mezz'ora dopo, all'esibizione del "podaroshna", tre cavalli di posta
erano attaccati al "tarant跴". Quegli animali, dal pelo lungo,
sembravano orsi dritti sulle gambe. Erano piccoli, ma focosi, essendo
di razza siberiana.
Ecco come il postiglione, lo "iemscik", li aveva attaccati: uno, il
pialto, era aggiogato tra le due lunghe stanghe, la cui estremitsi
alzava ad arco, chiamato "duga" e ornato di nappe e campanelli; gli
altri due erano semplicemente attaccati con corde ai predellini del
"tarant跴". Non avevano finimenti, e per redini, nient'altro che una
semplice cordicella.
N Michele Strogoff n la giovane livoniana avevano bagagli. Le
condizioni dell'uno richiedevano di compiere il viaggio con la massima
rapidit e i mezzi dell'altra erano piche modesti, percinessuno
dei due poteva ingombrarsi di bauli. Questa circostanza era una
fortuna, perchil "tarant跴" o non avrebbe potuto caricare i bagagli,
o non avrebbe potuto prendere i viaggiatori. Era fatto solo per due
persone, senza contare lo "iemscik", che se ne stava sul suo
seggiolino per un miracolo di equilibrio.
Lo "iemscik" viene sostituito ad ogni cambio. Quello al quale toccava
condurre il "tarant跴" per la prima tappa era siberiano, come i suoi
cavalli, e non meno peloso di loro, con i lunghi capelli tagliati a
frangia sulla fronte, cappello con le tese rialzate, cintura rossa,
pastrano a doppio petto e bottoni con lo stemma imperiale.
Lo "iemscik", arrivando con i cavalli, aveva dato innanzi tutto una
occhiata investigatrice ai viaggiatori del "tarant跴". Niente bagagli!
ma dove diavolo li avevano ficcati? Dunque, apparenza poco benestante.
Uscin un esclamazione piche significativa.
- Corvi - disse senza preoccuparsi d'essere capito o no - corvi da
sei copechi per versta!
- No! aquile - rispose Michele Strogoff che comprendeva
perfettamente il gergo degli "iemscik" - aquile, capisci? da nove
copechi per versta, e in pila mancia!
Gli rispose un allegro schiocco di frusta. Il "corvo", nel linguaggio
dei postiglioni russi, e il viaggiatore avaro o povero, che, ai cambi
dei contadini, paga i cavalli a soli due o tre copechi per versta.
L'冠quilail viaggiatore che non recede davanti a un prezzo alto,
senza contare le generose mance. Perciil corvo non pupretendere di
volare cosrapido come l'uccello imperiale.
Nadia e Michele Strogoff presero immediatamente posto nel "tarant跴".
Alcune provvigioni, poco ingombranti e sistemate nel cassone, dovevano
loro bastare, in caso di ritardo, fino a raggiungere i luoghi della
posta, che sono attrezzati con ogni comodit sotto la sorveglianza
dello Stato. La capotta fu abbassata, perchil caldo era opprimente,
e a mezzogiorno il "tarant跴", tirato dai suoi tre cavalli, partda
Perm lasciandosi dietro una nuvola di polvere.
La maniera con cui lo "iemscik" sapeva mantenere l'andatura dei
cavalli sarebbe stata certamente una cosa interessante per tutti i
viaggiatori che, non essendo n russi n siberiani, non fossero
abituati a questo modo di guidare. Infatti il cavallo di timone,
regolatore della marcia, un poco pialto degli altri due, manteneva
imperturbabilmente, qualunque fosse la pendenza della strada, un
trotto molto allungato, ma perfettamente regolare. Gli altri due
cavalli sembrava non conoscessero altra andatura che il galoppo, e si
dimenavano con mille fantasie molto divertenti. Lo "iemscik", del
resto, non li frustava. Tutt'al pili stimolava con lo schioccare
scoppiettante della frusta. Ma con che paroline li incoraggiava quando
si comportavano da bestie docili e giudiziose, senza parlare dei nomi
di santi con cui li chiamava! La funicella che serviva da redini non
avrebbe esercitato nessun freno sui due animali per met trascinati,
ma le espressioni "na pravo" a destra e "na levo" a sinistra,
pronunciate con voce gutturale, avevano pieffetto della briglia o
del morso.
E quali amabili esortazioni, secondo la circostanza!
- Via, colombe! - ripeteva lo "iemscik". - Via, gentili
rondinelle! Volate, piccioncini! Forza, cugino di sinistra! Tira,
piccolo padre di destra!
Ma, se la marcia rallentava, che insulti! E le suscettibili bestie
parevano comprenderne il significato.
- Cammina, chiocciola del diavolo! Maledetta lumaca! Tartaruga, ti
scortichervivo, e sarai dannato nell'altro mondo!
Per quanto sia originale questo modo di guidare, che richiede pi forza di gola che soliditdi polso da parte dello "iemscik", il
"tarant跴" volava sulla strada e divorava da dodici a quattordici
verste all'ora.
Michele Strogoff era abituato a questo genere di veicolo e a questo
modo di correre. N i sobbalzi n gli scossoni potevano
impressionarlo. Sapeva che i cavalli russi non evitano ni ciottoli
n le carreggiate nle buche ngli alberi caduti ngli allagamenti
che ostacolavano la strada. Era abituato a tutto questo. La sua
compagna, invece, rischiava di rimanere ferita per i sobbalzi del
"tarant跴"; ma non si lament
Durante i primi minuti del viaggio, trascinata a tutta velocit Nadia
rimase in silenzio. Poi, sempre ossessionata da quell'unico pensiero,
arrivare, arrivare, disse:
- Fratello, ho calcolato trecento verste da Perm a Ekaterinburg! Mi
sono sbagliata?
- Non ti sei sbagliata, Nadia, - rispose Michele Strogoff - e
quando avremmo raggiunto Ekaterinburg, saremo ancora ai piedi dei
monti Urali, ma sul versante opposto.
- Quanto durerla traversata delle montagne?
- Quarantotto ore, perchviaggeremo notte e giorno. Dico notte e
giorno, Nadia, - aggiunse - perchnon posso fermarmi un istante,
e devo proseguire senza soste verso Irkutsk.
- Non ti farritardare, fratello, neppure un'ora, e viaggeremo notte
e giorno.
- Va bene, Nadia. Speriamo che l'invasione tartara ci lasci libera la
strada, e prima di venti giorni saremo arrivati!
- Hai fatto altre volte questo viaggio? - domandNadia.
- Parecchie volte.
- Se fosse d'inverno, saremmo andati pirapidi e pisicuri, non vero?
- S pirapidi soprattutto, ma avresti sofferto molto per il freddo
e per la neve!
- Non importa! L'inverno amico dei russi.
- S Nadia, ma ci vuole un temperamento a tutta prova per resistere a
una tale amicizia! Ho visto spesso la temperatura scendere a oltre
quaranta gradi sotto zero! Malgrado i vestiti di pelle di renna (2),
ho sentito il cuore agghiacciarsi, le membra intorpidirmisi, i piedi
gelare entro tre paia di calze di lana! Ho visto i cavalli della mia
slitta ricoperti da una cappa di ghiaccio, il loro respiro congelarsi
sulle narici! Ho visto l'acquavite della mia borraccia diventare dura
come una pietra, che il coltello non riusciva a rompere!... Ma la mia
slitta filava con la velocitdell'uragano! Nessun ostacolo sulla
pista livellata e bianca, fino a perdita d'occhio! Nessun corso
d'acqua da attraversare a guado! Nessun lago da solcare in battello!
Dappertutto ghiaccio spesso, strada libera, cammino sicuro! Ma a
prezzo di quali sofferenze, Nadia! Potrebbero descriverle soltanto
coloro che non sono pitornati, e dei quali la tormenta ha subito
ricoperto i cadaveri!
- Ma tu, fratello, sei ritornato - disse Nadia.
- S ma io sono siberiano, e fin da ragazzo, quando seguivo mio padre
alla caccia, mi sono abituato a queste dure prove. Ma tu, Nadia,
quando mi hai detto che l'inverno non ti avrebbe impaurita, che
saresti partita sola, pronta a lottare contro le pericolose intemperie
del clima siberiano, mi sembrato di vederti sperduta nella neve e
caduta per non pirialzarti!
- Quante volte hai attraversato la steppa durante l'inverno? -
domandla giovane livoniana.
- Tre volte, Nadia, quando andavo a Omsk.
- E che andavi a fare a Omsk?
- A vedere mia madre, che mi aspettava!
- E io vado a Irkutsk, dove mi aspetta mio padre! Vado a portargli le
ultime parole di mia madre! Per questo, fratello, niente mi avrebbe
impedito di partire!
- Sei una brava ragazza, Nadia, - rispose Michele Strogoff - e Dio
stesso ti ci avrebbe condotta!
Per tutto il giorno, il "tarant跴" fu guidato con rapiditdagli
"iemscik" che si succedettero ad ogni cambio. Le aquile della montagna
non avrebbero detto che il loro nome fosse disonorato da queste
冠quiledella grande strada. L'alto prezzo pagato per ogni cavallo e
le mance elargite con generosit raccomandavano i viaggiatori in
maniera del tutto speciale. Forse i capi della posta trovarono
eccezionale, dopo la pubblicazione del decreto, il fatto che un
giovane e sua sorella, evidentemente russi tutti e due, potessero
correre liberamente attraverso la Siberia chiusa a tutti gli altri; ma
i loro documenti erano in regola ed essi avevano il diritto di
passare. Cosle pietre miliari si allontanavano rapidamente dietro il
"tarant跴".
Del resto, Michele Strogoff e Nadia non erano i soli sulla via da Perm
a Ekaterinburg. Fin dai primi cambi, il corriere dello zar aveva
saputo che una vettura li precedeva; ma, siccome i cavalli non gli
mancavano, non se ne preoccupmolto.
In tutto il giorno, le poche fermate durante le quali il "tarant跴"
sost furono impiegate unicamente per i pasti. Alle case di posta, si
trova alloggio e vitto. Del resto, in mancanza del cambio, la bicocca
del contadino russo non sarebbe stata meno ospitale. In quei villaggi,
che si rassomigliavano quasi tutti, con la chiesa dai muri bianchi e
dai tetti verdi, il viaggiatore pubussare a qualsiasi porta. Gli
saraperta. Verril "mugik", col volto sorridente, e tenderla mano
all'ospite. Gli sarofferto il pane e il sale, sarposto sul fuoco
il "samovar", ed egli si trover come a casa sua. La famiglia
piuttosto slogger al fine di lasciare posto all'ospite. Lo
straniero, quando arriva, il parente di tutti. E' 剃olui che Dio
manda
Arrivata la sera, Michele Strogoff, per una specie d'istinto, domand al capo della posta da quante ore fosse passata la vettura che lo
precedeva.
- Da due ore, piccolo padre - gli rispose il capo della posta.
- E' una berlina?
- No, una "telega".
- Con quanti viaggiatori?
- Due.
- Vanno veloci?
- Aquile!
- Attaccate subito!
Michele Strogoff e Nadia, decisi a non perdere tempo, viaggiarono
tutta la notte.
Il tempo si manteneva buono, ma si sentiva che l'atmosfera, diventata
pesante, s'andava saturando di elettricit Non c'era una nube, le
stelle brillavano, e sembrava che una specie di vapore denso e caldo
si levasse dal suolo. Ci faceva prevedere che sulle montagne si
scatenasse qualche temporale di quelli terribili. Michele Strogoff,
abituato a riconoscere il tempo dai sintomi dell'atmosfera, sentiva
prossimo lo scatenarsi degli elementi, e questo non manc di
preoccuparlo.
La notte passsenza incidenti. Malgrado gli scossoni del "tarant跴",
Nadia riusca dormire alcune ore. La capotta, ribaltata a met
permetteva di respirare un po' d'aria fresca, che i polmoni cercavano
avidamente in quell'atmosfera afosa.
Michele Strogoff veglitutta la notte, perchnon si fidava degli
"iemscik", i quali s'addormentano troppo volentieri sul loro
seggiolino, e nemmeno un'ora fu persa ai cambi, nemmeno un'ora lungo
la strada.
Il giorno dopo, 20 luglio, verso le otto del mattino, si profilavano a
oriente le prime sagome dei monti Urali. Tuttavia questa importante
catena, che divide la Russia europea dalla Siberia, era ancora molto
lontana, e non si poteva contare di giungervi se non verso sera.
Sarebbe stato quindi necessario attraversare le montagne durante la
notte seguente.
Per tutto il giorno, il cielo rimase costantemente coperto e, per
conseguenza la temperatura fu poco pisopportabile, ma il tempo si
faceva estremamente procelloso.
Forse, con queste previsioni, sarebbe stato pi prudente non
avventurarsi fra le montagne in piena notte; e Michele Strogoff
avrebbe fatto cos se avesse potuto fermarsi; ma, quando, all'ultimo
cambio, lo "iemscik" gli fece notare qualche scoppio di tuono, che
rimbombava lontana tra i monti, si contentdi chiedergli:
- Una telega ci precede sempre?
- S
- Che vantaggio ha su di noi?
- Circa un'ora.
- Avanti, e marcia tripla, chdomattina saremo a Ekaterinburg!


NOTE.

Nota 1. Mance.
Nota 2. Queste vesti, chiamate "dakha", sono molto leggere e allo
stesso tempo assolutamente impermeabili al freddo.




















10. L'URAGANO SUGLI URALI.

I monti Urali si ergono tra l'Europa e l'Asia per una lunghezza di
circa tremila verste (3200 chilometri). Si chiamino Urali,
denominazione di origine tartara, o Poyas, secondo la denominazione
russa, i nomi sono comunque appropriati, poichin ambedue le lingue
significano "cintura". Essi partono dal litorale del mare Artico e
vanno a finire sulle sponde del Mar Caspio.
Questa era la barriera che Michele Strogoff doveva valicare per
passare dalla Russia in Siberia, e, come abbiamo detto, prendendo la
strada che da Perm va a Ekaterinburg, situata sul versante orientale
degli Urali, aveva agito saggiamente. Era la via pi facile e pi sicura, quella su cui transita tutto il commercio dell'Asia centrale.
Una notte sarebbe bastata per valicare le montagne, se non fosse
capitato nessun incidente. Sfortunatamente, i primi brontolii del
tuono annunciavano un uragano, che le particolari condizioni
atmosferiche annunciavano pericoloso. La tensione elettrica era tale,
che non poteva scaricarsi se non con uno scoppio violento.
Michele Strogoff ebbe cura che la sua giovane compagna fosse sistemata
il meglio possibile. La capotta, che una raffica avrebbe facilmente
divelto fu assicurata per mezzo di corde, avvolte al di sopra e di
dietro Furono raddoppiate le tirelle dei cavalli e, per maggior
precauzione, il collarino dei mozzi fu imbottito di paglia, sia per
assicurare la solidit delle ruote, sia per ammortizzare gli urti,
difficili da evitare col buio della notte. Infine, il treno anteriore
e quello posteriore del "tarant跴", i cui assi erano fissati al
cassone unicamente con cavicchi, furono collegati tra loro con una
traversa di legno fissata per mezzo di bulloni e dadi. Questa traversa
stava al posto della barra curva che, nelle berline sospese su colli
d'oca, collega i due assi tra loro.
Nadia riprese il suo posto in fondo al cassone, e Michele Strogoff si
sedette accanto a lei. Davanti alla capotta, completamente abbassata,
pendevano due tende di cuoio, che dovevano in qualche modo riparare i
viaggiatori dalla pioggia e dalle raffiche.
Sul lato sinistro del seggiolino dello "iemscik" vennero fissate due
grandi lanterne, che mandavano obliquamente una luce scialba,
insufficiente a rischiarare la strada. Ma servivano da luci di
posizione del veicolo e, se dissipavano appena l'oscurit servivano
almeno ad evitare la collisione con altre vetture provenienti in senso
opposto.
Come si vede, erano state prese tutte le precauzioni in vista di una
notte minacciosa; e fu un bene.
- Nadia, siamo pronti - disse Michele Strogoff.
- Partiamo - rispose la fanciulla.
Fu dato l'ordine allo "iemscik", e il "tarant跴" si scosse salendo le
prime rampe degli Urali.
Erano le otto, il sole era al tramonto. Ma il tempo era gimolto
scuro, malgrado il crepuscolo prolungato di questa latitudine. Enormi
nuvoloni sembravano schiacciare la volta del cielo, ma ancora nessun
alito di vento li agitava. Tuttavia, se le nubi non si muovevano nel
senso orizzontale, non si poteva dire altrettanto dallo zenit al
nadir, e la distanza che le separava dal suolo diminuiva
sensibilmente. Qualche zona di tali nubi riverberava una specie di
luce fosforescente e sottendeva all'apparenza un arco da sessanta a
ottanta gradi. Gli strati inferiori sembravano avvicinarsi a poco a
poco al suolo, e stringevano la loro rete, in maniera che ben presto
avrebbero avvolto la montagna, come se un uragano dall'alto le avesse
spinte verso il basso. Del resto, la strada saliva verso quelle grosse
nubi, molto dense e quasi giunte al grado di saturazione. Tra poco,
strada e vapori si sarebbero confusi, e se in quel momento le nubi non
si fossero risolte in pioggia, la nebbia sarebbe stata tanto fitta che
il "tarant跴" non sarebbe pipotuto proseguire, senza pericolo di
cadere in qualche precipizio.
Tuttavia, la catena dei monti Urali raggiunge soltanto una mediocre
altezza. Le vette pialte non superano i cinquemila piedi. Le nevi
eterne vi sono sconosciute, e quella che l'inverno siberiano accumula
sulle cime, si scioglie completamente al sole dell'estate. Vegetazione
e alberi vi crescono fino alla cima. Anche lo sfruttamento delle
miniere di ferro e di rame, e dei giacimenti di pietre preziose,
richiede un concorso notevole di operai. Cos i loro villaggi
chiamati "zavody" s'incontrano molto spesso, e la strada, aperta
attraverso le grandi gole, facilmente percorsa dalle vetture di
posta.
Ma ciche facile col tempo bello e alla luce del giorno, diventa
difficile e pericoloso, quando gli elementi si combattono con violenza
e si presi nel loro vortice.
Michele Strogoff sapeva, per averlo giprovato, che cosa significa un
uragano in montagna, e forse trovava con ragione questa bufera
altrettanto pericolosa quanto quelle terribili tormente, che durante
l'inverno vi si scatenano con indicibile violenza.
Alla partenza, non pioveva ancora. Michele Strogoff aveva sollevato le
tende di cuoio che proteggevano l'interno del "tarant跴", e guardava
avanti a s osservando attentamente i bordi della strada, che la luce
vacillante delle lanterne popolava di strani fantasmi.
Anche Nadia stava a guardare immobile con le braccia conserte ma senza
sporgersi, mentre il suo compagno, col corpo mezzo fuori, scrutava ad
un tempo il cielo e il suolo.
L'atmosfera era assolutamente tranquilla, ma d'una calma minacciosa.
Non tirava ancora un filo d'aria. Si sarebbe detto che la natura,
soffocata, non respirasse pi e che i suoi polmoni, cioquelle nubi
cupe e dense, atrofizzate da qualche cataclisma, non potessero pi respirare. Il silenzio sarebbe stato assoluto se non si fosse udito lo
stridore delle ruote del "tarant跴" che frantumavano la ghiaia della
strada, il cigolio dei mozzi e degli assi della vettura, l'ansimare
dei cavalli ormai senza respiro, e il calpestio dei loro zoccoli
sull'acciottolato che scintillava all'urto dei ferri.
La strada era assolutamente deserta. Il "tarant跴" non incrociava
pedoni, ncavalieri, nveicoli di nessun genere, in quelle strette
gole dell'Ural e in una tale notte da lupi. Non un fuoco di carbonai
nei boschi, non un baraccamento di minatori nelle cave sfruttate, non
una capanna sperduta nel sottobosco. Occorrevano ragioni che non
ammettono esitazioni nritardi per intraprendere la traversata delle
montagne in quelle condizioni. Michele Strogoff non aveva esitato. A
lui ci non era possibile; ma allora - e questo comincia
preoccuparlo in modo particolare - chi potevano essere quei due
viaggiatori la cui "telega" precedeva il suo "tarant跴", e quali
ragioni superiori avevano per essere tanto imprudenti?
Michele Strogoff, per qualche tempo, rimase in osservazione. Verso le
undici i lampi cominciarono a illuminare il cielo in continuazione. Al
loro istantaneo bagliore si vedeva dalla strada apparire e scomparire
la sagoma di alti pini, che formavano qua e l delle macchie. Poi,
quando il "tarant跴" rasentava il ciglio della strada, s'illuminavano
profonde voragini sotto la deflagrazione dei tuoni. Di tanto in tanto,
un fragore picupo delle ruote indicava che il veicolo stava passando
su un ponte di tronchi appena squadrati, gettato su qualche crepaccio,
e il tuono sembrava rotolare al di sotto. Del resto, il cielo non
tard a riempirsi d'un fitto susseguirsi di tuoni, che diventava
sempre picupo man mano che i passeggeri salivano in altezza. A
questi vari rumori si mescolavano le grida e le imprecazioni dello
"iemscik", a volte carezzevoli, a volte ingiuriose verso le povere
bestie, piaffaticate dalla pesantezza dell'aria che dalla ripidezza
della strada. I campanelli della "duga" non riuscivano pi a
stimolarli, sicchtalvolta gli animali si piegavano sulle gambe.
- A che ora arriveremo alla cima del passo? - domandMichele
Strogoff allo "iemscik".
- All'una del mattino... se ci arriviamo! - rispose questi scuotendo
la testa.
- Dimmi un po', amico, non sei per caso al tuo primo temporale in
montagna, non vero?
- No, e voglia Dio che questo non sia l'ultimo!
- Hai paura?
- Non ho paura, ma ti ripeto che hai fatto male a partire.
- Avrei fatto peggio a restare.
- Forza, colombi! - gridlo "iemscik" ai cavalli, come uomo che non
fatto per discutere, ma per obbedire.
In quel momento si fece udire un fremito lontano. Era come se mille
fischi acuti e assordanti attraversassero l'atmosfera, fino allora
calma. Al bagliore d'un fulmine, che fu quasi subito seguito da uno
scoppio terribile di tuono, Michele Strogoff vide due grandi pini che
si contorcevano su una cima. Il vento si scatenava, ma turbava ancora
soltanto le alte regioni dell'aria. Alcuni secchi schianti indicavano
che qualche albero, vecchio o mal radicato, non aveva potuto resistere
all'improvviso assalto della bufera. Una valanga di tronchi schiantati
attraversla strada, dopo avere violentemente rimbalzato sulle rocce,
e anda precipitare nel burrone di sinistra, a duecento passi davanti
al "tarant跴".
I cavalli s'arrestarono di botto.
- Avanti, graziose colombe! - gridlo "iemscik", mescolando gli
schiocchi della frusta al rombo del tuono.
Michele Strogoff prese la mano di Nadia.
- Dormi, sorella? - le domand
- No, fratello.
- Tienti pronta a tutto. Arriva l'uragano!
- Sono pronta.
Michele Strogoff ebbe appena il tempo di chiudere le tende di cuoio
del "tarant跴".
La bufera arrivava fulminea.
Lo "iemscik", saltando dal suo seggiolino, corse in testa ai cavalli,
per trattenerli, perchil pericolo imminente minacciava tutto il
convoglio.
Infatti il "tarant跴", immobile, si trovava allora a una curva della
strada per la quale s'incanalava la bufera. Bisognava quindi tenerlo
di fronte controvento, altrimenti, se ne fosse stato investito di
lato, l'urto l'avrebbe certamente capovolto e precipitato nel profondo
abisso, che costeggiava la strada sulla sinistra. I cavalli, respinti
dalle raffiche, s'impennavano, e il conducente non riusciva a
frenarli. Ai richiami amichevoli si succedevano nella sua bocca gli
insulti piinqualificabili. Non serviva a nulla. Le povere bestie,
accecate dai fulmini, spaventate dallo scoppio continuo delle saette,
che si potevano paragonare a detonazioni di artiglieria, minacciavano
di spezzare i tiranti e di fuggire. Lo "iemscik" non era pi padrone
dell'attacco.
A questo punto, Michele Strogoff, spiccando un balzo dal "tarant跴",
gli andin aiuto. Dotato di forza non comune, egli riusc non senza
grande fatica, a dominare i cavalli.
Ma la furia dell'uragano in quel momento raddoppiava. La strada, in
quel posto, s'incassava a forma d'imbuto e la bufera vi si ingolfava,
come avrebbe fatto in una manica a vento issata a bordo d'un battello.
Allo stesso tempo, una valanga di pietre e di tronchi d'albero
comincia rovinare dall'alto della scarpata.
- Non possiamo rimanere qui - disse Michele Strogoff.
- Non vi resteremo per molto! - grid lo "iemscik" atterrito,
resistendo con tutte le sue forze alle violente raffiche di vento. -
L'uragano ci manderpresto lin fondo, e per la via pibreve!
- Prendi il cavallo di destra, fifone! - rispose Michele Strogoff.
- Io prendo quello di sinistra!
Una nuova raffica improvvisa interruppe Michele Strogoff. Il
conducente e lui dovettero curvarsi fino a terra per non essere
sbattuti via; ma il "tarant跴", malgrado i loro sforzi e gli sforzi
dei cavalli ch'essi mantenevano contro vento, indietreggi di
parecchie lunghezze, e se non ci fosse stato un tronco d'albero che lo
arrest sarebbe precipitato nel burrone.
- Non aver paura, Nadia! - gridMichele Strogoff.
- Non ho paura - rispose la giovane livoniana, senza che la sua voce
tradisse la minima emozione.
Il rombo dei tuoni era cessato un istante, e la spaventosa bufera,
dopo aver superato la curva, anda perdersi in fondo al canalone.
- Vuoi tornare indietro? - disse lo "iemscik".
- No, bisogna salire! Bisogna uscire dalla curva. Piavanti saremo
riparati dalla scarpata!
- Ma i cavalli non si muovono!
- Fai come me, tirali avanti!
- La burrasca sta per tornare!
- Obbedisci?
- Lo vuoi tu!
- E' il Padre che l'ordina! - rispose Michele Strogoff, che evoc per la prima volta il nome dell'imperatore, quel nome allora
onnipotente su tre parti del mondo.
- Avanti, rondinelle! - gridlo "iemscik", tirando il cavallo di
destra, mentre Michele Strogoff faceva altrettanto con quello di
sinistra.
I cavalli, tenuti in questa maniera, ripresero con fatica il cammino.
Non potevano pisbandare ai lati, e il cavallo di timone, non essendo
pistiracchiato di fianco, potmeglio tenere la strada. Ma, uomini e
bestie, investiti in pieno dalle raffiche, non facevano tre passi
senza perderne uno e qualche volta due. Scivolavano, cadevano, si
rialzavano. In questa tira e molla, il veicolo era in grave pericolo
di sfasciarsi. Se la capotta non fosse stata saldamente legata, il
"tarant跴" sarebbe stato scoperchiato alla prima raffica.
Michele Strogoff e lo "iemscik" impiegarono pidi due ore a salire
quel tratto di strada, lungo al massimo mezza versta ma direttamente
esposto alla sferza della bufera. Il pericolo non consisteva pi soltanto nelle raffiche di quello spaventoso uragano che investiva il
veicolo e i conducenti, ma soprattutto nella grandine di pietre e di
tronchi schiantati, che la montagna rovesciava su di loro.
D'improvviso, al bagliore d'un lampo, fu visto un masso che
precipitava aumentando di velocit e rotolando in direzione del
"tarant跴".
Lo "iemscik" mandun urlo.
Michele Strogoff, con una vigorosa frustata, volle far procedere i
cavalli, ma questi si rifiutarono.
Solo qualche passo avanti, e il masso sarebbe passato dietro di
loro...
Michele Strogoff, in un ventesimo di secondo, previde in una sola
immagine il "tarant跴" colpito, la sua compagna travolta! Capche non
avrebbe fatto in tempo a trarla viva dal veicolo!...
Allora, portandosi di dietro e trovando in questo immane pericolo una
forza sovrumana, con il dorso puntato al "tarant跴" e i piedi al
suolo, spinse avanti di alcuni piedi la pesante vettura.
L'enorme masso, passando, sfioril petto del giovane e gli tolse il
respiro, come avrebbe fatto una palla di cannone, frantumandosi sulle
pietre della strada, che mandarono scintille sotto l'urto.
- Fratello! - gridNadia, spaventata, che aveva visto tutta la
scena al bagliore d'un lampo.
- Nadia! - rispose Michele Strogoff. - Nadia, non temere!...
- Non per me che potrei temere!
- Dio con noi, sorella!
- Con me certamente, fratello - mormorla fanciulla, - poichti
ha messo sulla mia strada!
La spinta del "tarant跴", dovuta allo sforzo di Michele Strogoff, non
doveva andar perduta. Fu lo slancio che permise ai cavalli impazziti
di riprendere la salita. Trascinati, per cos dire, da Michele
Strogoff e dallo "iemscik", salirono l'erta fino ad una stretta gola,
orientata da sud a nord, dove potevano tenersi al riparo contro le
raffiche dirette della bufera. La scarpata di destra si alzava in quel
punto con una specie di risalto roccioso, dovuto alla sporgenza d'un
enorme masso, che si trovava al centro di un mulinello. Il vento non
vi turbinava pi e il posto era abbastanza calmo, mentre alla
circonferenza esterna del ciclone n uomini n cavalli avrebbero
potuto resistere.
Infatti, alcuni abeti, la cui cima superava lo spigolo della roccia,
furono stroncati in un battere d'occhio, come se un pazzo gigante
avesse livellato la scarpata radendo via la loro chioma di rami.
L'uragano raggiungeva allora il culmine della sua violenza. I lampi
illuminavano la gola, e gli scoppi di tuono si succedevano senza
interruzione. Il suolo, fremendo sotto questi colpi furiosi, sembrava
sussultare, come se tutto il massiccio dell'Ural fosse scosso da un
vasto terremoto.
Per fortuna, il "tarant跴" aveva potuto essere posteggiato, per cos dire; in un profondo anfratto, esposto solo di sbieco alle raffiche.
Ma il riparo non era perfetto, e qualche raffica obliqua, deviata
dalla sporgenza della scarpata, lo investiva a volte con estrema
violenza. Allora il veicolo cozzava contro la parete rocciosa, da far
temere che fosse ridotto in mille frantumi.
Nadia dovette abbandonare il posto che vi occupava. Michele Strogoff,
esaminando la roccia alla luce d'una lanterna, scoprun incavo,
aperto dal piccone di qualche minatore, e la fanciulla vi si rifugi in attesa che si potesse riprendere il viaggio.
In quel momento - era l'una del mattino - la pioggia comincia
cadere, e subito le raffiche, miste di acqua e di vento raggiunsero
una violenza estrema, senza riuscire tuttavia a spegnere i fuochi del
cielo. In queste condizioni, la partenza era assolutamente
impossibile.
Ora, quale che fosse l'impazienza di Michele Strogoff - e si
comprende che doveva essere grande - egli fu costretto a lasciar
passare la piena della bufera. Del resto, arrivati alla cima del passo
dove transita la strada da Perm a Ekaterinburg, non restava loro che
da scendere il versante orientale degli Urali; ma discendere in quelle
condizioni, su un fondo stradale corroso da mille torrenti che
scrosciavano dalla montagna, in mezzo ai turbini di vento e acqua,
significava mettere a repentaglio la vita, correre verso l'abisso.
- Aspettare brutto - disse allora Michele Strogoff, - ma
significa evitare altri ritardi pilunghi. La violenza dell'uragano
mi fa sperare che finirpresto. Verso le tre, comincera far giorno,
e la discesa, che non possiamo tentare con l'oscurit diventer se
non facile, almeno possibile dopo il sorgere del sole.
- Aspettiamo, fratello - rispose Nadia; - ma non ritardare la
partenza, se lo fai solo per risparmiarmi una fatica o un pericolo!
- Nadia, lo so che sei decisa a rischiare tutto; ma, mettendoci in
pericolo tutti e due, io rischierei piche la mia vita, piche la
tua: io mancherei al mio compito, al dovere che mi sono assunto a
rischio di tutto!
- Un dovere!... - mormorNadia.
In quel momento, un lampo intenso rischiaril cielo, e sembr per
cosdire, polverizzare la pioggia. Subito risuon uno schianto.
L'aria si riempdi odore di zolfo, quasi asfissiante, e una macchia
di alti pini a venti passi dal "tarant跴", investiti dal fluido
elettrico, s'infiammarono come una torcia gigantesca.
Lo "iemscik", scaraventato a terra da una specie di risucchio, si
rialzper fortuna senza ferite.
Poi, dopo che gli ultimi brontolii del tuono si furono dispersi in
lontananza nella montagna, Michele Strogoff sentla mano di Nadia
afferrare forte la sua, e la sent mormorargli queste parole
all'orecchio:
- Delle grida, fratello! Ascolta!















11. VIAGGIATORI IN PERICOLO.

Infatti, durante questa breve calma, si sentirono delle grida venire
dalla parte superiore della strada, e non tanto distante dall'anfratto
che riparava il "tarant跴".
Sembrava un richiamo disperato, evidentemente lanciato da qualche
viaggiatore in pericolo.
Michele Strogoff tendeva l'orecchio e ascoltava.
Anche lo "iemscik" ascoltava, ma scuotendo la testa, come se avesse
ritenuto impossibile rispondere a quell'appello.
- Viaggiatori che chiedono aiuto! - gridNadia.
- Se contano soltanto su di noi!... - rispose lo "iemscik".
- Perchno? - rispose Michele Strogoff. - Ciche essi farebbero
per noi, in una simile circostanza, non dobbiamo noi farlo per loro?
- Ma non vorrete esporre la vettura e i cavalli!...
- Andr a piedi - rispose Michele Strogoff, interrompendo lo
"iemscik".
- Ti accompagno, fratello - disse la giovane livoniana.
- No, rimani, Nadia. Lo "iemscik" restercon te. Non voglio lasciarlo
solo...
- Rester - rispose Nadia.
- Qualunque cosa capiti, non uscire dal rifugio!
- Mi ritroverai qui.
Michele Strogoff strinse la mano della sua compagna e, superando la
curva della roccia, scomparve subito nel buio.
- Tuo fratello ha torto - disse lo "iemscik" alla fanciulla.
- Ha ragione - rispose semplicemente Nadia.
Intanto Michele Strogoff saliva rapidamente l'erta. Se aveva fretta di
portare soccorso a coloro che chiamavano aiuto, aveva altrettanto
desiderio di sapere chi potevano essere quei passeggeri, che non si
erano lasciati dissuadere dall'uragano ad affrontare quel viaggio in
montagna; non aveva dubbi che fossero quegli stessi la cui "telega"
precedeva sempre il suo "tarant跴".
Aveva smesso di piovere, ma la bufera raddoppiava la sua violenza. Le
grida, portate dal vento, si facevano sempre pidistinte. Dal luogo
dove Michele Strogoff aveva lasciato Nadia, non si poteva vedere
nulla. La strada era tortuosa, e i bagliori dei lampi mostravano
soltanto le sporgenze delle rocce a strapiombo sui tornanti della
strada. Le raffiche bruscamente infrante su queste sporgenze,
formavano vortici che era difficile superare, e Michele Strogoff
doveva fare uno sforzo non comune per resistere.
Ma costatpresto che i viaggiatori, dei quali si sentivano le grida,
non erano molto lontani. Quantunque Michele Strogoff non potesse
ancora vederli, o percherano stati scaraventati fuori strada, o
perch l'oscurit glielo impediva, ne sentiva tuttavia le parole
abbastanza distintamente.
Ora, ecco le frasi che gli cagionarono una certa sorpresa:
- Tanghero! torna indietro!
- Ti farbattere con il "knut" (1) al prossimo cambio!
- Hai sentito, postiglione del diavolo! Ehi, laggi
- Guarda come ti servono in questo paese!...
- E che ordigno chiamano "telega"!
- Ehi! bestiaccia! Continua a darsela a gambe e pare che non si sia
accorto di averci lasciati sulla strada!
- Trattare cos me! un inglese accreditato! Far rapporto alla
cancelleria, e lo farimpiccare!
Quest'ultimo pareva veramente molto arrabbiato. Ma, d'improvviso,
sembr a Michele Strogoff che il secondo interlocutore prendesse
l'incidente con allegria, perch scoppi in una risata veramente
inattesa, in quelle circostanze, e disse queste parole:
- Ma no! tutto questo davvero troppo divertente!
- Ridete? - rispose in tono piuttosto irritato il cittadino del
Regno Unito.
- Ma certo, e di cuore; anzi quanto di meglio mi resta da fare! Vi
invito a fare altrettanto! Parola d'onore, troppo divertente, una
cosa mai vista!...
In quel momento, un violento scoppio di tuono riempil canalone d'un
fragore assordante, che l'eco della montagna amplificin proporzione
grandiosa. Poi, quando il rombo del tuono cess la voce allegra
risuonancora, dicendo:
- S straordinariamente divertente! Ecco quanto non capiterebbe
certamente in Francia!
- Neppure in Inghilterra! - rispose l'inglese.
Sulla strada, ancora rischiarata dai lampi, Michele Strogoff vide, a
venti passi, due viaggiatori, rannicchiati l'uno accanto all'altro sul
sedile posteriore d'un singolare veicolo, che sembrava sprofondato in
una carreggiata.
Michele Strogoff si avvicin ai due viaggiatori, uno dei quali
continuava a ridere e l'altro a imprecare, e riconobbe i due
giornalisti, che, imbarcati sul "Caucaso", avevano fatto con lui il
viaggio da Niznij Novgorod a Perm.
- Buon giorno, signore! - gridil francese. - Felice di vedervi
in questa circostanza! Permettete che vi presenti il mio intimo
nemico, il signor Blount.
Il giornalista inglese salut e forse avrebbe presentato, a sua
volta, il collega Alcide Jolivet, secondo le regole del galateo,
quando Michele Strogoff gli disse:
- Inutile, signori, noi ci conosciamo, poich abbiamo viaggiato
insieme sul Volga.
- Ah! molto bene! Perfetto! signore...?
- Nicola Korpanoff, negoziante di Irkutsk - rispose Michele
Strogoff. - Ma volete dirmi quale avventura, cosgrave per l'uno e
cosdivertente per l'altro, vi capitata?
- Vi nomino giudice, signor Korpanoff - rispose Alcide Jolivet. -
Immaginate che il nostro postiglione partito con l'avantreno del suo
infernale veicolo, lasciandoci impantanati sul treno posteriore del
suo ridicolo e assurdo convoglio! La peggiore metd'una "telega" a
due posti, senza guida, senza cavalli! Non assolutamente e
superlativamente spassoso?
- Non affatto spassoso! - rispose l'inglese.
- Ma s collega! Voi non sapete davvero prendere le cose per il loro
verso!
- E come, per piacere, potremmo continuare la strada? - domand Harry Blount.
- Niente di pisemplice - rispose Alcide Jolivet. - Voi vi
attaccate a ci che rimane della nostra vettura; io prenderle
redini, vi chiamer piccioncino, come un vero "iemscik", e voi
trotterete come un vero cavallo da posta!
- Signor Jolivet - replicl'inglese, - questo scherzo passa ogni
limite, e...
- State calmo, collega. Quando sarete stanco, io vi daril cambio, e
voi avrete il diritto di trattarmi da lumaca bolsa o da tartaruga
spasimante, se non vi trasportera una velocitinfernale!
Alcide Jolivet diceva tutte queste cose con una tale allegria che
Michele Strogoff non potfare a meno di sorridere.
- Signori - disse alla fine, - c'qualcosa di meglio da fare.
Qui, dove siamo arrivati, ci troviamo alla sommitdella catena degli
Urali, e per conseguenza non ci rimane che scendere il pendio della
montagna. La mia vettura laggi cinquecento passi piin basso. Vi
presteruno dei miei cavalli, lo si potrattaccare al cassone della
vostra telega, e domani, se non capita nessun altro incidente,
arriveremo insieme a Ekaterinburg.
- Signor Korpanoff - rispose Alcide Jolivet, - questa una
proposta che parte da un cuore generoso!
- Aggiungo, signore - disse ancora Michele Strogoff, - che se non
vi offro un posto sul mio "tarant跴", perchho soltanto due posti,
e li occupiamo gimia sorella ed io.
- Non v'incomodate di pi signore - rispose Alcide Jolivet perch il mio collega ed io, con il vostro cavallo e con il treno posteriore
della nostra "telega", andremo in capo al mondo!
- Signore - disse allora Harry Blount, - accettiamo la vostra
offerta e vi siamo obbligati. Quanto a quello "iemscik"!...
- Oh! credete pure che non la prima volta che capita un'avventura di
questo genere! - rispose Michele Strogoff.
- Ma, allora, perch non torna indietro? Sa benissimo di averci
lasciati indietro, quel miserabile!
- Lui! Ma lui non sospetta di nulla!
- Cosa! Quel brav'uomo non s'accorto che avvenuta una scissione
tra le due parti della sua telega?
- Non se n'accorto, e guida con la miglior buona fede del mondo il
suo avantreno verso Ekaterinburg!
- Ve lo dicevo io, collega, che tutto questo quanto vi di pi divertente! - esclamAlcide Jolivet.
- Dunque, signori, se mi volete seguire - aggiunse Michele Strogoff,
- raggiungeremo la mia vettura, e...
- Ma la "telega"? - fece osservare l'inglese.
- Non abbiate timore che prenda il volo, mio caro Blount! - esclam Alcide Jolivet. - Vedete che ben radicata al suolo, e se la
lasciamo dov' la primavera prossima metterle foglie!
- Venite dunque, signori - concluse Michele Strogoff - e
condurremo qui il "tarant跴".
Il francese e l'inglese smontarono dalla panca di fondo, ch'era
diventata sedile anteriore, e seguirono Michele Strogoff.
Anche camminando, Alcide Jolivet, conservava la sua abitudine di
chiacchierare con il solito buonumore, che niente poteva alterare.
- Parola mia, signor Korpanoff - disse egli a Michele Strogoff, -
ci togliete da un gran brutto pasticcio!
- Signore, faccio semplicemente quello che qualunque altro avrebbe
fatto al mio posto - rispose Michele Strogoff. - Se i viaggiatori
non si aiutano a vicenda, non resterebbe altro da fare che sbarrare le
strade!
- La cortesia le sia ricambiata, signore. Se vi inoltrate nelle
steppe, possibile che noi c'incontriamo ancora, e...
Alcide Jolivet non domandava esplicitamente a Michele Strogoff dove
andava, ma questi, non volendo dare l'impressione di dissimulare,
rispose subito:
- Vado a Omsk, signori.
- E il signor Blount e io - aggiunse Alcide Jolivet - andiamo un
poco piin l dove ci sarforse qualche pallottola, ma anche, e a
colpo sicuro, delle notizie da raccogliere.
- Nelle province invase? - domandMichele Strogoff con una certa
premura.
- Precisamente, signor Korpanoff, ed probabile che non ci
incontreremo pi
- Infatti, signore - rispose Michele Strogoff. - Sono poco amico
dei colpi di fucile come dei colpi di lancia, e per natura sono troppo
pacifico per avventurarmi dove si combatte.
- Spiacente, signore, spiacente e davvero non potremo far altro che
rimpiangere di separarci cospresto! Ma, partendo da Ekaterinburg,
forse la nostra buona stella vorrfare in modo che viaggiamo ancora
insieme, almeno per qualche giorno?
- Andate verso Omsk? - domand Michele Strogoff, dopo avere
riflettuto un istante.
- Non lo sappiamo ancora precisamente - rispose Alcide Jolivet, -
ma sicuro che andremo direttamente fino a Iscim e, una volta
arrivati l agiremo conforme agli avvenimenti.
- Ebbene, signore - disse Michele Strogoff - andremo assieme fino
a Iscim.
Evidentemente Michele Strogoff avrebbe preferito viaggiare da solo, ma
non poteva, senza che ci apparisse una singolarit cercare di
separarsi dai due viaggiatori, che facevano la sua stessa strada. Del
resto, poichAlcide Jolivet e il suo compagno intendevano fermarsi a
Iscim, e non proseguire immediatamente verso Omsk, non aveva nessuna
difficolta fare assieme a loro questa parte del viaggio.
- Ebbene, signori, siamo d'accordo - rispose. - Faremo la strada
assieme.
Poi, con il tono piindifferente:
- Sapete con qualche certezza fin dove arrivata l'invasione tartara?
- domand
- Parola mia, signore; noi sappiamo solo quanto si diceva a Perm -
rispose Alcide Jolivet. - I Tartari di Feofar Khan hanno invaso
tutta la provincia di Semipalatinsk, e da alcuni giorni discendono a
marce forzate il corso dell'Irtis. Bisogna dunque che facciate presto
se volete precederli a Omsk.
- Infatti - rispose Michele Strogoff.
- Si diceva anche che il colonnello Ogareff era riuscito a passare la
frontiera sotto un travestimento, e che non tarderebbe a incontrarsi
con il capo tartaro, al centro stesso delle regioni in rivolta.
- Ma come lo avranno saputo? - domandMichele Strogoff, interessato
direttamente a queste notizie pio meno vere.
- Eh! come si sanno tutte queste cose - rispose Alcide Jolivet. -
Sono nell'aria.
- E avete ragioni serie di pensare che il colonnello Ogareff in
Siberia?
- Ho anche sentito dire che avrebbe preso la strada di Kazan a
Ekaterinburg.
- Ah! voi sapevate questo, signor Jolivet? - disse Harry Blount, che
a quell'osservazione del corrispondente francese uscdal suo mutismo.
- Lo sapevo - rispose Alcide Jolivet.
- E sapevate che probabilmente si era travestito da zingaro? -
domandHarry Blount.
- Da zingaro! - esclamquasi involontariamente Michele Strogoff,
che si ricorddella presenza del vecchio zigano a Niznij Novgorod,
del suo viaggio a bordo del "Caucaso" e del suo sbarco a Kazan.
- Lo sapevo quanto bastava per farne oggetto d'una lettera a mia
cugina - rispose sorridendo Alcide Jolivet.
- Non avete perduto tempo a Kazan! - fece osservare l'inglese con
tono asciutto.
- Ma no, caro collega, e mentre il "Caucaso" si riforniva io facevo
come il "Caucaso"!
Michele Strogoff non ascoltava pii discorsi che si scambiavano Harry
Blount e Alcide Jolivet. Pensava a quella compagnia di zingari, a quel
vecchio zigano del quale non aveva potuto vedere il viso, alla donna
straniera che lo accompagnava, allo sguardo particolarmente insistente
che questa aveva tenuto su di lui, e cercava di riordinare nella sua
mente tutti i particolari di quell'incontro, quando si ud una
esplosione a breve distanza.
- Ah! signori, venite! - gridMichele Strogoff.
亮uarda! come degno negoziante che si tiene lontano dai colpi di
fucile - pensAlcide Jolivet - corre abbastanza in fretta dove si
spara!
E, seguito da Harry Blount, che non era uomo da restare indietro, si
precipitsui passi di Michele Strogoff.
Qualche istante dopo, tutti e tre erano di fronte alla sporgenza
rocciosa che riparava il "tarant跴" alla curva della strada.
La macchia di pini incendiati dal fulmine bruciava ancora. La strada
era deserta. Tuttavia, Michele Strogoff non aveva potuto sbagliarsi.
Era veramente giunta a lui la detonazione d'uno sparo d'arma da fuoco.
D'improvviso, risuon un formidabile grugnito, e una seconda
detonazione echeggioltre la scarpata.
- Un orso! - gridMichele Strogoff, che non poteva sbagliarsi circa
quel suono. - Nadia, Nadia!
E, cavando il coltello dalla cintura, Michele Strogoff si slancicon
un formidabile balzo al di ldel contrafforte, dietro il quale la
fanciulla aveva promesso di aspettarlo.
I pini, che in quel momento ardevano da cima a fondo, illuminavano
ampiamente la scena.
Nel momento in cui Michele Strogoff raggiunse il "tarant跴", una
bestia enorme si ritrasse fino a lui.
Era un orso di imponente statura. La tempesta lo aveva cacciato dai
boschi che rivestivano le pendici dell'Ural, ed era venuto a
rifugiarsi in quell'incavo, certamente sua tana abituale, ma in quel
momento occupato.
Due cavalli, spaventati dalla presenza del bestione, avevano strappato
i tiranti e s'erano dati alla fuga, mentre lo "iemscik", pensando
soltanto alle sue bestie e dimenticando che la fanciulla rimaneva sola
di fronte all'orso, era partito ad inseguirli.
La coraggiosa Nadia non aveva perso la testa. L'animale, che subito
non s'era accorto di lei, aveva assalito il terzo cavallo
dell'attacco. Nadia, abbandonando allora l'anfratto nel quale s'era
riparata, era corsa alla vettura, aveva preso una pistola di Michele
Strogoff e, affrontando arditamente l'orso, aveva sparato purtroppo
inutilmente.
L'animale, leggermente ferito a una spalla, s'era rivolto contro la
fanciulla. Ella aveva cercato dapprima di evitarlo, girando attorno al
"tarant跴", mentre il cavallo cercava di rompere i tiranti e fuggire.
Ma una volta perduti i cavalli in montagna, tutto il viaggio sarebbe
stato compromesso. Nadia era dunque tornata direttamente contro
l'orso, e, con sorprendente sangue freddo, nel momento stesso in cui
le zampe dell'animale stavano per abbattersi sulla sua testa, gli
aveva sparato una seconda volta.
Questo secondo colpo era esploso a pochi passi da Michele Strogoff. Ma
ormai era arrivato. Con un balzo si lancitra l'orso e la fanciulla.
Il suo braccio comp un semplice movimento dal basso all'alto, e
l'enorme bestia, squarciata dal ventre alla gola, crollal suolo come
una massa inerte.
Era un bell'esempio di quel colpo maestro, proprio dei cacciatori
siberiani, che mira a non danneggiare la preziosa pelliccia degli
orsi, della quale essi ricavano un alto guadagno.
- Sei ferita, sorella? - domandMichele Strogoff, correndo verso la
fanciulla.
- No, fratello - rispose Nadia.
In quel momento comparvero i due giornalisti.
Alcide Jolivet si slancialla testa del cavallo, e bisogna ammettere
che egli aveva il polso ben saldo, perchriusca trattenerlo. Il suo
compagno e lui avevano osservato la rapida manovra di Michele
Strogoff.
- Diavolo! - esclamAlcide Jolivet - come semplice negoziante,
signor Korpanoff, voi adoperate in modo eccellente il coltello del
cacciatore!
- Molto eccellente, direi! - aggiunse Harry Blount.
- In Siberia, signori, - rispose Michele Strogoff - siamo
obbligati a fare un po' di tutto!
Alcide Jolivet guardallora il giovane.
Visto in piena luce, con il coltello insanguinato in mano, statura
alta, aria risoluta, un piede posato sul corpo dell'orso che aveva
abbattuto, Michele Strogoff era bello a vedersi.
俗n bel pezzo d'uomo!pensAlcide Jolivet.
Avanzando allora rispettosamente con il cappello in mano, anda
ossequiare la fanciulla.
Nadia rispose con un leggero inchino.
Alcide Jolivet, rivolgendosi allora al compagno:
- La sorella vale il fratello - disse. - Se io fossi un orso, non
vorrei avere a che fare con questa ardita e incantevole coppia!
Harry Blount, dritto come un palo, con il cappello in mano, si teneva
un poco distante. La disinvoltura del suo collega aveva per effetto di
aumentare la sua rigidezza abituale.
In quel momento ricomparve lo "iemscik", che era riuscito a riprendere
i suoi due cavalli. Guard dapprima con disappunto il magnifico
animale giacente al suolo, che era costretto ad abbandonare agli
uccelli da preda, e si mise a riattaccare le bestie al veicolo.
Michele Strogoff gli fece allora presente la situazione dei due
viaggiatori e la sua decisione di mettere a loro disposizione uno dei
cavalli del "tarant跴".
- Come vuoi - rispose lo "iemscik". - Soltanto che due vetture al
posto di una...
- Va bene, amico! - intervenne Alcide Jolivet, che cap l'insinuazione, - avrai doppia paga.
- Avanti, tortorelle! - gridlo "iemscik".
Nadia era rimontata sul "tarant跴", seguita a piedi da Michele
Strogoff e dai due amici.
Erano le tre del mattino. La bufera, che cominciava allora a scemare,
non imperversava picon la violenza di prima attraverso la gola, e la
strada fu risalita rapidamente.
Alle prime luci dell'alba, il "tarant跴" aveva raggiunto la "telega",
che era coscienziosamente sprofondata fino ai mozzi delle ruote. Si
capiva perfettamente che un vigoroso strappo dei cavalli aveva
provocato la separazione dei due treni.
Uno dei cavalli esterni del "tarant跴" fu attaccato per mezzo di corde
al cassone della telega. I due giornalisti ripresero posto sulla panca
del loro originale veicolo, e le vetture si misero subito in moto. Del
resto, non avevano che da scendere la china dell'Ural, e questo non
offriva difficolt
Sei ore dopo, i due veicoli, uno dietro l'altro, arrivarono a
Ekaterinburg, senza che nessun altro incidente di rilievo funestasse
la seconda parte del viaggio.
La prima persona che i giornalisti videro sulla porta della posta, fu
il loro "iemscik", che pareva li aspettasse.
Il degno russo aveva davvero una faccia di bronzo, perch tutto
disinvolto, con occhi sorridenti, si avanzverso i propri clienti e
tendendo loro la mano, reclamla sua mancia.
La veritci obbliga a dire che il furore di Harry Blount scoppicon
una violenza del tutto britannica, e che, se lo "iemscik" non si fosse
prudentemente scansato, un diritto, sferrato secondo le regole precise
della boxe, gli avrebbe pagato il suo "na vodku" in piena faccia.
Alcide Jolivet, vedendo quella collera, rideva invece fino alle
contorsioni, come non aveva mai fatto fino allora.
- Ma ha ragione, quel povero diavolo! - esclam - E' nel suo
diritto, caro collega! Non colpa sua se noi non abbiamo trovato il
modo di seguirlo!
E cavando di tasca alcuni copechi:
- Prendi, amico - disse consegnandoli allo "iemscik" - intasca! Se
non li hai guadagnati, non colpa tua!
Questo raddoppi la collera di Harry Blount, che voleva prendersela
col mastro di posta e fargli un processo.
- Un processo, in Russia! - esclamAlcide Jolivet - Ma se le
cose non sono cambiate, collega, voi non ne vedrete la fine! Voi non
conoscete dunque la storia di quella balia russa, che reclamava dodici
mesi di allattamento alla famiglia del suo lattante?
- Non la so - rispose Harry Blount.
- Allora, voi non sapete neppure che cosa era diventato il lattante
quando fu emesso il verdetto che dava ragione alla donna?
- Cos'era diventato, per piacere?
- Colonnello degli ussari della guardia!
A questa risposta, tutti scoppiarono a ridere.
Alcide Jolivet, orgoglioso della sua trovata, estrasse invece di tasca
il suo taccuino e vi scrisse sorridendo questa nota, degna di figurare
nel dizionario moscovita:
"'Telega', vettura russa a quattro ruote quando parte; a due ruote
quando arriva!".


NOTE.

Nota 1. Strumento di tortura usato in Russia per i servi della gleba;
descritto piavanti (Nota del Traduttore).










12. UNA PROVOCAZIONE.

Ekaterinburg, geograficamente una cittdell'Asia, perchsi trova
al di ldei monti Urali, sulle ultime pendici orientali della catena.
Tuttavia, essa dipende dal governatorato di Perm e, per conseguenza, compresa in una delle grandi circoscrizioni della Russia europea.
Questo sconfinamento amministrativo deve avere la sua ragione di
esistere. E' come un pezzo di Siberia chiuso tra le mascelle russe.
NMichele Strogoff n i due giornalisti trovarono difficolt a
cercarsi i mezzi di locomozione in una citttanto considerevole,
fondata nel 1723. A Ekaterinburg sorse la prima Zecca di tutto
l'impero; lconcentrata la direzione generale delle miniere. Questa
cittdunque un centro industriale di prim'ordine dove abbondano gli
stabilimenti siderurgici ed altri impianti per la cernita del platino
e dell'oro.
In quel periodo la popolazione di Ekaterinburg era molto aumentata.
Russi e Siberiani, minacciati dall'invasione tartara, vi erano
affluiti, dopo avere abbandonato le province giinvase dalle orde di
Feofar Khan, e specialmente il paese dei Kirghisi, che si estende a
sud-ovest dell'Irtis fino alle frontiere del Turkestan.
Se dunque i mezzi di locomozione erano scarsi per arrivare a
Ekaterinburg, abbondavano, invece, per partire da questa citt
Infatti, nelle circostanze attuali, pochi viaggiatori pensavano di
avventurarsi sulle strade siberiane.
Tutte queste circostanze fecero sche Harry Blount e Alcide Jolivet
trovassero facilmente una "telega" completa da sostituire al famoso
veicolo dimezzato che bene o male li aveva trasportati a Ekaterinburg.
Quanto a Michele Strogoff, il "tarant跴" era suo, non aveva sub鮅o
danni gravi nel viaggio attraverso gli Urali, e bastava attaccarvi tre
buoni cavalli per proseguire velocemente sulla strada di Irkutsk.
Fino a Tjumen e anche fino a Novo Saimskoije, la strada era molto
accidentata, perch si snodava ancora su quelle capricciose
ondulazioni del suolo che formano le ultime pendici dell'Ural. Ma,
dopo la tappa di Novo Saimskoije, cominciava la steppa immensa, che si
estende fino alle vicinanze di Krasnojarsk, per un percorso di circa
millesettecento verste (1815 chilometri).
I due giornalisti, gilo sappiamo, avevano intenzione di andare fino
a Iscim, cio a seicentotrenta verste da Ekaterinburg. Una volta
arrivati, avrebbero preso consiglio dagli avvenimenti, poi si
sarebbero diretti verso le regioni invase, assieme oppure ognuno per
conto proprio, secondo che il loro istinto di cacciatori li avrebbe
sguinzagliati su una pista o su un altra.
Ora, questa strada da Ekaterinburg a Iscim, che va verso Irkutsk, era
la sola che Michele Strogoff potesse prendere. Soltanto che lui, a
differenza degli altri non correva dietro le notizie, anzi, al
contrario, avrebbe voluto evitare il paese devastato dagli invasori,
ed era ben deciso a non fermarsi in nessuna parte.
- Signori, - disse dunque ai suoi nuovi compagni - sarei ben
felice di compiere con voi una parte del mio viaggio, ma devo
preavvisarvi che ho molta fretta di arrivare a Omsk, perchmia
sorella e io andiamo a raggiungervi nostra madre. Chissse arriveremo
prima che i Tartari abbiano invaso la citt Io mi fermerquindi ai
cambi soltanto il tempo necessario per cambiare i cavalli, e viagger giorno e notte!
- Noi contiamo di fare altrettanto - rispose Harry Blount.
- Va bene - aggiunse Michele Strogoff, - ma non perdete un
istante. Noleggiate o comperate una vettura di cui...
- Di cui siamo certi che il treno posteriore - continuAlcide
Jolivet - voglia arrivare a Iscim allo stesso tempo che il treno
anteriore.
Mezz'ora dopo, il previdente francese aveva trovato, e anche con
facilit un "tarant跴", quasi uguale a quello di Michele Strogoff, e
nel quale il suo compagno e lui presero subito posto.
Michele Strogoff e Nadia risalirono nel loro veicolo e, a mezzogiorno,
i due trabiccoli partirono assieme dalla cittdi Ekaterinburg.
Nadia era finalmente in Siberia e su quella lunga strada che porta a
Irkutsk! Quali erano in quel momento i pensieri della giovane
livoniana? Tre veloci cavalli la trasportavano attraverso questa terra
d'esilio, dove suo padre era condannato a vivere, forse ancora per
molto tempo, e coslontano dal suo paese natale! Ma solo per caso
ella vide estendersi davanti ai suoi occhi quelle sconfinate steppe,
che per un istante le erano state sbarrate; perchil suo sguardo si
spingeva oltre l'orizzonte, dietro il quale cercava di scoprire il
volto dell'esiliato! Non osservava nulla del paesaggio che
attraversava alla velocitdi quindici verste all'ora, nulla di quelle
contrade della Siberia occidentale, cosdifferenti dalle contrade
dell'ovest. Qui, infatti, ci sono pochi campi coltivati, un suolo
povero, almeno alla superficie, perch nelle sue viscere, nasconde in
abbondanza ferro, rame, platino e oro. Perciin ogni luogo vi sono
impianti industriali, ma raramente fattorie agricole. Come trovare
braccia per coltivare la terra, seminare i campi, raccogliere le
messi, se piredditizio scavare il suolo a colpi di mina o a colpi
di piccone? Qui, il contadino lascia il posto al minatore. Il piccone
dappertutto, la vanga da nessuna parte.
Tuttavia, il pensiero di Nadia si distoglieva qualche volta dalle
lontane province del lago Bajkal, e ritornava allora alla situazione
presente. L'immagine del padre svaniva un poco, ed ella rivedeva il
suo generoso compagno, dapprima sulla ferrovia di Vladimir, dove un
misterioso e provvidenziale disegno glielo aveva fatto incontrare per
la prima volta. Ricordava le sue attenzioni durante il viaggio, il suo
arrivo al commissariato di Niznij Novgorod, la cordiale semplicitcon
cui le aveva parlato chiamandola sorella, la sua sollecitudine per lei
durante la discesa del Volga, infine tutto quanto egli aveva fatto, in
quella terribile notte d'uragano attraverso i monti Urali, per
difendere la sua vita con pericolo della propria.
Nadia pensava dunque a Michele Strogoff. Ringraziava Dio d'averle
fatto incontrare al momento giusto quel coraggioso protettore,
quell'amico generoso e discreto. Si sentiva sicura vicino a lui, sotto
la sua assistenza. Un vero fratello non avrebbe potuto fare di meglio!
Non temeva pinessun ostacolo, credeva fermamente di raggiungere la
meta.
Quanto a Michele Strogoff, egli parlava poco e rifletteva molto. Anche
egli ringraziava Dio di avergli dato, con l'incontro di Nadia, il
mezzo per dissimulare la sua vera identit e nello stesso tempo
l'occasione di compiere una buona azione. L'intrepida calma della
fanciulla piaceva al suo animo coraggioso. Non era forse una sorella
veramente? Egli provava in misura uguale affetto e rispetto per la sua
bella, eroica compagna. Sentiva che c'era in lei un cuore puro e raro,
sul quale si pufare assegnamento.
Tuttavia, dal momento in cui avevano cominciato a calpestare il suolo
siberiano iniziavano per Michele Strogoff i veri pericoli. Se i due
giornalisti non si sbagliavano, e se Ivan Ogareff aveva varcato la
frontiera, bisognava agire con la massima circospezione. Le
circostanze erano cambiate da una volta, perch le spie tartare
dovevano formicolare nelle province siberiane. Se il suo incognito
fosse stato scoperto e riconosciuta la sua carica di corriere dello
zar, allora la sua missione era in pericolo, e forse anche la sua
vita! Michele Strogoff sentpigrave in quel momento il peso della
responsabilitche s'era assunta.
Mentre le cose stavano cosnella prima vettura, che cosa capitava
nella seconda? Niente di straordinario. Alcide Jolivet parlava con
frasi, Harry Blount rispondeva con monosillabi. Ciascuno vedeva le
cose a modo suo e ciascuno prendeva nota di qualche piccolo incidente
di viaggio, che del resto non fu mai tale da rompere la monotonia
della scarrozzata attraverso le prime province della Siberia
occidentale.
Ad ogni cambio i due giornalisti scendevano e s'incontravano con
Michele Strogoff. Quando non consumavano il pasto alla trattoria della
posta, Nadia non abbandonava il "tarant跴". Se era necessario desinare
o pranzare, lei andava a sedersi a tavola; ma, sempre molto riservata,
non interveniva che raramente nella conversazione.
Alcide Jolivet, senza peraltro mai uscire dai limiti della perfetta
correttezza, era premuroso con la giovane livoniana e la trovava
incantevole. Ammirava l'energia silenziosa che ella dimostrava in
mezzo a disagi di un viaggio compiuto in condizioni cossfavorevoli.
Questi momenti di arresto forzato piacevano poco a Michele Strogoff.
Egli perci affrettava la partenza ad ogni cambio, sollecitando il
mastro di posta, stimolando lo "iemscik", accelerando l'attacco dei
"tarant跴". Poi, consumato frettolosamente il pasto - sempre troppo
frettolosamente per i gusti di Harry Blount, che era un mangiatore
metodico - si partiva, e i giornalisti passavano anch'essi per
aquile, perchpagavano lautamente e, come diceva Alcide Jolivet, 剃on
aquile di Russia(1).
Inutile dire che Harry Blount non faceva spreco di gentilezze nei
confronti della fanciulla. Era uno dei rari argomenti di conversazione
sul quale non cercava di discutere con il suo compagno. Questo onorato
gentiluomo non aveva l'abitudine di fare due cose allo stesso tempo.
Alcide Jolivet gli aveva domandato, una volta, che etpotesse avere
la giovane livoniana.
- Quale giovane livoniana? - rispose Blount con la pi grande
serietdel mondo, socchiudendo gli occhi.
- Diamine! la sorella di Nicola Korpanoff!
- E' sua sorella?
- No, sua nonna! - replicAlcide Jolivet, esasperato da tanta
indifferenza. - Quanti anni le date?
- Se l'avessi vista nascere, lo saprei! - rispose semplicemente
Harry Blount, da uomo che non voleva impegnarsi.
Il paese che allora percorrevano era quasi deserto. Il tempo era
abbastanza buono, il cielo mezzo coperto, la temperatura sopportabile.
Con veicoli meglio molleggiati, i viaggiatori non avrebbero avuto da
lamentarsi del viaggio. Andavano come vanno le berline di posta in
Russia, ciocon una velocitmeravigliosa.
Ma se il paese sembrava abbandonato, quest'abbandono dipendeva
soltanto dalle circostanze attuali. Nei campi, c'erano pochi o nessuno
di quei contadini siberiani, dal viso pallido e serio, che una celebre
viaggiatrice ha giustamente paragonato ai Castigliani, esclusa
l'alterigia. Qua e l qualche villaggio gi evacuato, indicava
l'avvicinarsi delle truppe tartare. Gli abitanti, sospingendo i loro
greggi di pecore, i loro cammelli, i cavalli, s'erano rifugiati nelle
pianure del nord. Anche alcune tribdell'orda grande dei Kirghisi
nomadi, rimasta fedele, aveva trasportato le tende al di ldell'Irtis
o dell'Ob, per sfuggire alle razzie degli invasori.
Per fortuna, il servizio della posta funzionava sempre regolarmente.
Cos pure il servizio del telegrafo, fino ai punti ancora collegati
dalla linea. Ad ogni cambio, i capi della posta fornivano i cavalli
nelle condizioni regolamentari. Anche ad ogni stazione, gli impiegati,
seduti al loro sportello, trasmettevano i dispacci che erano loro
affidati, dando solo precedenza ai telegrammi dello Stato. Perci Harry Blount e Alcide Jolivet ne facevano largo uso.
Cos dunque, fin qui, il viaggio di Michele Strogoff si compiva in
condizioni soddisfacenti. Il corriere dello zar non aveva avuto nessun
ritardo e, se riusciva ad aggirare la posizione conquistata oltre
Krasnojarsk dai Tartari di Feofar Khan, era certo di arrivare a
Irkutsk prima di loro e nel minimo tempo impiegato fino allora.
Il giorno successivo alla partenza da Ekaterinburg, i due "tarant跴"
raggiunsero la piccola cittdi Tulughisk, alle sette del mattino,
dopo avere superato una distanza di duecentoventi verste senza
incidenti degni di nota.
Qui si fermarono mezz'ora per il desinare, e subito ripartirono, ad
una velocitresa spiegabile soltanto dalla promessa di un certo
numero di copechi.
Lo stesso giorno, 22 luglio, un'ora prima di sera, i due "tarant跴"
arrivarono a Tjumen, sessanta verste pi avanti. Tjumen, con una
popolazione normale di diecimila abitanti, ne contava allora il
doppio. Questa citt primo centro industriale creato dai russi in
Siberia, e noto per gli importanti stabilimenti metallurgici e la
fonderia di campane, non aveva mai presentato una tale animazione.
I due giornalisti andarono subito in cerca di notizie. Quelle che i
profughi siberiani portavano dal teatro della guerra non erano
rassicuranti.
Si diceva, tra le altre cose, che l'armata di Feofar Khan si
avvicinava rapidamente alla cittdi Iscim, e si confermava che il
capo tartaro sarebbe stato presto raggiunto dal colonnello Ivan
Ogareff, se gi non lo era. Di qui la conclusione naturale che le
operazioni si sarebbero estese nella Siberia orientale con la massima
attivit
Quanto alle truppe russe, era stato necessario richiamarle
principalmente dalle province europee dell'impero, ma, essendo ancora
molto lontane, non potevano opporsi all'invasione. Tuttavia, i
Cosacchi del governatorato di Tobolsk si dirigevano a marce forzate su
Tomsk, nella speranza di arrestare le colonne tartare.
Alle otto della sera, altre sessantacinque verste erano state divorate
dai due "tarant跴", che arrivarono a Jalutorowsk.
Il cambio fu rapido e, all'uscita della citt il fiume Tobol fu
passato su un traghetto. Il suo corso, molto lento, rese facile questa
operazione, che si sarebbe dovuta ripetere pid'una volta lungo il
loro tragitto, e probabilmente in condizioni meno favorevoli.
A mezzanotte veniva raggiunto il borgo di Novo Saimsk, cinquantacinque
verste pi avanti (58 chilometri e mezzo), e i viaggiatori si
lasciarono finalmente indietro quel territorio, leggermente ondulato e
coperto d'alberi, che formava le ultime propaggini delle montagne
dell'Ural.
Qui cominciava la vera steppa siberiana, che si estende fino nei
pressi di Krasnojarsk. Era una pianura sconfinata, una specie
d'immenso deserto erboso, al cui orizzonte si confondevano la terra e
il cielo in un arco netto, che sembrava tracciato col compasso. Questa
steppa non presentava agli sguardi nessun ostacolo eccetto la duplice
fila di pali del telegrafo che si ergevano ai due lati della strada, e
i cui fili vibravano alla brezza come le corde di un'arpa. La stessa
strada non si distingueva dal resto della pianura se non per la fine
polvere che si sollevava sotto le ruote dei "tarant跴". Senza questo
nastro biancastro, che si stendeva a perdita d'occhio, si sarebbe
creduto di essere nel deserto.
Michele Strogoff e i suoi compagni si lanciarono a velocit ancora
maggiore attraverso la steppa. I cavalli, incitati dallo "iemscik" e
non trattenuti da alcun ostacolo, divoravano la strada. I "tarant跴"
correvano direttamente verso Iscim, l dove i due giornalisti
contavano di fermarsi, se non interveniva nessun avvenimento a
modificare il loro itinerario.
Duecento verste circa separano Novo Saimsk dalla cittdi Iscim, una
distanza che entro il giorno successivo, prima delle otto della sera,
doveva e poteva essere superata, a condizione di non perdere un
istante. Nel pensiero degli "iemscik", anche se i viaggiatori non
erano gran signori o alti funzionari, erano tuttavia degni di esserlo,
non fosse altro per la loro generositnell'elargire le mance.
L'indomani, 23 luglio, difatto i due "tarant跴" erano appena a trenta
verste da Iscim.
A un tratto, Michele Strogoff scorse sulla strada, appena visibile in
mezzo alle volute di polvere, una vettura che precedeva la sua.
Siccome i suoi cavalli, meno stanchi, correvano pi veloci, non
avrebbe tardato a raggiungerla.
Non era nun "tarant跴", nuna "telega", ma una berlina di posta,
tutta impolverata, e che doveva giavere percorso un lungo viaggio.
Il postiglione frustava a tutta forza i cavalli e li manteneva al
galoppo a forza di ingiurie e frustate. Questa berlina non era
certamente passata per Novo Saimsk, e doveva avere raggiunto la strada
di Irkutsk per qualche via secondaria della steppa.
Michele Strogoff e i suoi compagni, vedendo quella berlina che correva
verso Iscim, ebbero un unico pensiero: di superarla e di arrivare
primi al cambio, per assicurarsi anzitutto i cavalli disponibili.
Dissero dunque una parola al loro "iemscik", e ben presto si trovarono
in linea con i cavalli affaticati della berlina.
Michele Strogoff fu il primo a raggiungerla.
In quel momento, alla portiera della berlina apparve una testa.
Michele Strogoff ebbe appena il tempo di osservarla. Tuttavia, per
quanto veloce la superasse, sentmolto chiara questa parola, gridata
con voce imperiosa:
- Fermate!
Nessuno si ferm Al contrario, la berlina fu ben presto distanziata
dai due "tarant跴".
Fu allora una gara di velocit perch l'attacco della berlina,
incitato senza dubbio dalla presenza e dall'andatura dei cavalli che
lo superavano, ritrovle forze per un inseguimento di alcuni minuti.
Le tre vetture erano sommerse in una nuvola di polvere. Da questa
nuvola biancastra scoppiavano, come petardi, gli schiocchi delle
fruste, mescolate a grida d'incitamento e a voci di collera.
Tuttavia Michele Strogoff e i suoi compagni mantennero il vantaggio,
un vantaggio che poteva essere molto importante, se il cambio era poco
fornito di cavalli. Due vetture da servire erano forse pidi quanto
potesse fare il mastro di posta, per lo meno in un breve intervallo di
tempo.
Mezz'ora dopo, la berlina rimasta indietro era soltanto un punto
appena visibile all'orizzonte della steppa.
Erano le otto della sera, quando i due "tarant跴" arrivarono al cambio
della posta, all'entrata di Iscim.
Le notizie dell'invasione erano sempre peggiori. La citt era
direttamente minacciata dall'avanguardia delle colonne tartare, e da
due giorni le autoritavevano dovuto ripiegare su Tobolsk. Iscim non
aveva pinun funzionario nun soldato.
Michele Strogoff, arrivato al cambio, domandimmediatamente i cavalli
per s
Era stato saggio a precedere la berlina. Soltanto tre cavalli erano in
condizioni d'essere immediatamente attaccati. Gli altri rientravano
affaticati da qualche lunga tappa.
Il mastro di posta diede l'ordine di attaccare.
Quanto ai due giornalisti, i quali ritennero opportuno di fermarsi a
Iscim, non avevano da preoccuparsi per un mezzo di trasporto
immediato, e mandarono la loro vettura in rimessa.
Dieci minuti dopo il suo arrivo al cambio, Michele Strogoff fu
avvertito che il suo "tarant跴" era pronto per partire.
- Bene! - rispose.
Poi, andando verso i giornalisti:
- Adesso, signori, poichvoi rimanete a Iscim, venuto il momento di
separarci.
- Come, signor Korpanoff ! - disse Alcide Jolivet - non vi fermate
neppure un'ora a Iscim?
- No, signore; e preferisco anche lasciare la casa della posta, prima
che arrivi quella berlina che abbiamo sorpassato.
- Temete dunque che quel viaggiatore tenti di contendervi i cavalli di
cambio?
- Cerco soprattutto di evitare difficolt
- Allora, signor Korpanoff, - disse Jolivet - non ci resta altro
che ringraziarvi ancora una volta del servizio che ci avete reso e del
piacere che abbiamo avuto di viaggiare in vostra compagnia.
- E' possibile, del resto, che ci ritroviamo tra qualche giorno a Omsk
- aggiunse Harry Blount.
- E' possibile, infatti - rispose Michele Strogoff, - poichio ci
vado direttamente.
- Ebbene! buon viaggio, e Dio vi scampi dalle "teleghe".
I due giornalisti tendevano la mano a Michele Strogoff con
l'intenzione di stringerla il picordialmente possibile, quando si
udall'esterno il rumore d'una vettura.
Quasi subito, la porta della posta si apre comparve un uomo.
Era il viaggiatore della berlina, un individuo in divisa militare, di
circa quarant'anni, alto, robusto, testa forte, spalle larghe, folti
baffi che si congiungevano con le folte basette. Portava una uniforme
senza gradi. Aveva attaccata alla cintura una sciabola da cavaliere, e
teneva in mano una frusta dal manico corto.
- Cavalli! - ordincon l'aria imperiosa di un uomo abituato al
comando.
- Non ho pi cavalli disponibili - rispose il mastro di posta,
inchinandosi.
- Mi occorrono subito!
- E' impossibile.
- Cosa sono dunque quelle bestie attaccate or ora al "tarant跴" che ho
visto alla porta del cambio?
- Appartengono a questo viaggiatore - rispose il mastro di posta,
indicando Michele Strogoff.
- Staccateli!... - disse il viaggiatore con un tono che non
ammetteva repliche.
Allora Michele Strogoff si fece avanti.
- Quei cavalli mi appartengono - disse.
- Non m'importa! Mi occorrono. Via! e fate presto! non ho tempo da
perdere!
- Neppure io ho tempo da perdere - rispose Michele Strogoff, che
voleva mantenersi calmo e si frenava a stento.
Nadia gli era vicino, calma anche lei, ma segretamente inquieta per
una scena che sarebbe stato meglio evitare.
- Basta! - ripetil viaggiatore.
Poi, rivolgendosi al mastro di posta:
- Staccate quel "tarant跴" - gridcon gesto di minaccia - e
attaccate i cavalli alla mia berlina!
Il capo della posta, molto imbarazzato, non sapeva a chi obbedire, e
guardava Michele Strogoff, il quale evidentemente aveva il diritto di
opporsi alle ingiuste pretese del viaggiatore.
Michele Strogoff esit un istante. Non voleva fare uso del suo
"podaroshna", che avrebbe richiamato l'attenzione su di lui, e non
voleva neppure, cedendo i cavalli, ritardare il suo viaggio, e
tuttavia non voleva impegnare una lotta che avrebbe potuto
compromettere la sua missione
I due giornalisti lo guardavano, pronti a sostenerlo, se si rivolgeva
a loro.
- I miei cavalli rimarranno attaccati alla mia vettura - disse
Michele Strogoff, ma senza alzare il tono di voce pi di quanto
convenisse a un semplice mercante di Irkutsk.
Il viaggiatore si avanzallora verso Michele Strogoff, e gli pos rudemente la mano sulla spalla:
- E' proprio lui! - disse con voce adirata. - Non vuoi cedermi i
tuoi cavalli?
- No - rispose Michele Strogoff.
- Ebbene, saranno di quello di noi due che potrpartire! Difenditi,
perchnon ti risparmier
E, dicendo questo, il viaggiatore sguaindecisamente la sciabola e si
mise in guardia.
Nadia s'era posta davanti a Michele Strogoff.
Harry Blount e Alcide Jolivet avanzarono verso di lui.
- Non mi batter - disse semplicemente Michele Strogoff, che, per
meglio contenersi, incrocile braccia sul petto.
- Non ti batterai?
- No.
- Neppure dopo questo? - gridil viaggiatore.
E, prima che lo potessero trattenere, percosse col manico della sua
frusta la spalla di Michele Strogoff.
A quest'insulto, Michele Strogoff impallidin modo impressionante. Le
sue mani si levarono aperte, come per stritolare quel brutale
personaggio. Ma, con uno sforzo supremo, riuscancora a dominarsi. Un
duello significava pi che un ritardo; sarebbe stato forse il
fallimento della sua missione!... Era meglio perdere qualche ora! S
ma subire quell'affronto!
- Ti batterai, ora, vigliacco? - ripetil viaggiatore, aggiungendo
alla volgaritla brutalit
- No! - rispose Michele Strogoff, senza muoversi, ma guardando il
viaggiatore fisso negli occhi.
- I cavalli, e subito! - disse allora quello.
E uscdalla sala.
Il mastro di posta uscin fretta, stringendosi nelle spalle, dopo
avere osservato Michele Strogoff con aria di disapprovazione.
L'effetto prodotto sui due giornalisti da questo incidente non poteva
essere favorevole a Michele Strogoff. Il loro disappunto era visibile.
Quel vigoroso giovane si lasciava colpire cos senza domandar ragione
d'un tale insulto! Si accontentarono dunque di salutarlo e si
ritirarono, mentre Alcide Jolivet diceva a Harry Blount:
- Non mi sarei aspettato questo da un uomo che sgozza con tanta
abilit un orso dell'Ural! Sarebbe dunque vero che il coraggio ha le
sue ore e le sue forme? Non ci si capisce niente! Dopotutto, manca
forse una cosa a noi due, ciodi non essere mai stati servi!
Un istante dopo, il rumore delle ruote e lo schiocco d'una frusta
indicava che la berlina, tirata dai cavalli del "tarant跴", lasciava
velocemente la casa della posta.
Nadia, impassibile, e Michele Strogoff, ancora fremente, rimasero soli
nella sala di cambio.
Il corriere dello zar, con le braccia sempre conserte sul petto, si
era seduto. Sembrava una statua. Tuttavia un rossore, che non doveva
essere un rossore di vergogna, aveva sostituito il pallore del suo
volto virile.
Nadia non dubitava che soltanto delle gravi ragioni avessero potuto
indurre un tale uomo a ingoiare una tale umiliazione.
Andando dunque verso di lui, come egli era andato verso di lei al
commissariato di polizia di Niznij Novgorod:
- La tua mano, fratello! - disse.
E, nel medesimo tempo, le sue dita, con un gesto quasi materno,
tersero una lacrima che spuntava dagli occhi del suo compagno.


NOTE.

Nota 1. Moneta d'oro russa che vale 5 rubli. Il rublo una moneta
d'argento che vale 100 copechi, cio3 franchi e 92 centesimi al tempo
dell'Autore (Nota del Traduttore).











13. IL DOVERE SOPRA TUTTO.

Nadia aveva indovinato che un motivo segreto guidava tutti gli atti di
Michele Strogoff; che egli, per qualche ragione a lei sconosciuta, non
apparteneva a se stesso; che non aveva diritto di disporre della sua
persona, e che, in quella circostanza, immolava eroicamente al dovere
anche il risentimento d'un mortale insulto.
Nadia non domandquindi nessuna spiegazione a Michele Strogoff. La
mano che gli aveva teso non diceva forse meglio di tutto quanto
avrebbe potuto dirgli?
Michele Strogoff restsilenzioso per tutta la sera. Siccome il mastro
di posta non poteva fornire cavalli freschi fino all'indomani mattina,
occorreva passare tutta la notte al cambio. Nadia dovette dunque
approfittarne per concedersi qualche ora di riposo, e le fu preparata
una camera.
La fanciulla avrebbe preferito, senza dubbio, non separarsi dal
compagno, ma sentiva che egli aveva bisogno di restare solo, e si
dispose a ritirarsi nella camera che le era stata assegnata.
Tuttavia, quando fu sul punto di ritirarsi non pot trattenersi dal
rivolgergli la parola.
- Fratello... - mormor
Ma Michele Strogoff la interruppe con un gesto. Un sospiro gonfiil
petto della fanciulla, ed ella uscdalla sala.
Michele Strogoff non anda letto. Non avrebbe potuto dormire neppure
un'ora. In quel punto dove il frustino del brutale viaggiatore l'aveva
colpito, sentiva come un bruciore.
- Per la patria e per l'imperatore! - mormorinfine, terminando la
sua preghiera della sera.
Tuttavia provin quel momento un irresistibile bisogno di sapere chi
fosse quell'uomo che l'aveva colpito, di dove venisse, dove andava.
Quanto alla sua fisionomia, se n'era impresso tanto bene i lineamenti
alla memoria, che non poteva temere di dimenticarli.
Michele Strogoff fece chiamare il mastro di posta. Costui, un
siberiano di vecchio stampo, venne subito e, guardando il giovane un
po' dall'alto in basso, attese d'essere interrogato.
- Sei del paese? - gli domandMichele Strogoff.
- S
- Conosci quell'uomo che ha preso i miei cavalli?
- No.
- Non l'hai mai visto?
- Mai.
- Chi pensi che sia quell'uomo?
- Un signore che sa farsi obbedire!
Lo sguardo di Michele Strogoff penetrcome un pugnale nel cuore del
siberiano, ma gli occhi del mastro di posta non si abbassarono.
- Ti permetti di giudicarmi? - disse Michele Strogoff.
- S - disse il siberiano - perchci sono delle cose che neppure
un semplice mercante riceve senza restituire!
- I colpi di frusta?
- I colpi di frusta, giovanotto! Ho l'ete la forza per dirtelo!
Michele Strogoff si avvicinal mastro di posta e gli posdue mani
poderose sulle spalle.
Poi, con voce stranamente calma:
- Vattene, amico - gli disse - vattene! Ti farei del male!
Il mastro di posta, questa volta, aveva capito.
- Preferisco cos - mormor
E si ritirsenza aggiungere altro.
Il giorno dopo, 24 luglio, alle otto del mattino, il "tarant跴" era
attaccato a tre vigorosi cavalli. Michele Strogoff e Nadia vi presero
posto, e Iscim, di cui tutti e due avrebbero conservato un penoso
ricordo, sarebbe ben presto scomparsa a una curva della strada.
Ai diversi cambi dove si fermquel giorno, Michele Strogoff pot accertarsi che la berlina lo precedeva sempre sulla strada di Irkutsk
e che il viaggiatore, tanto frettoloso quanto lui, non perdeva un
istante attraversando la steppa.
Alle quattro del pomeriggio, settantacinque verste pi avanti, alla
stazione di Abatskaja, dovette attraversare il fiume Iscim, uno dei
principali affluenti dell'Irtis.
Questa traversata fu un poco pi difficile di quella del Tobol.
Infatti la corrente dell'Iscim era molto rapida in questo punto.
Durante l'inverno siberiano, tutti i corsi d'acqua della steppa,
coperti da un ghiaccio spesso parecchi piedi, sono facilmente
transitabili e il viaggiatore li attraversa quasi senza accorgersene,
perchil loro letto scomparso sotto la coltre bianca e uniforme che
copre la steppa; ma d'estate le difficoltper attraversarli possono
essere grandi.
Furono infatti impiegate due ore ad attraversare l'Iscim, e questo
esasper Michele Strogoff, tanto piche i battellieri gli diedero
notizie inquietanti sull'invasione tartara.
Ecco che cosa si diceva.
Alcuni esploratori di Feofar Khan sarebbero gi comparsi sulle due
rive dell'Iscim inferiore, nelle contrade meridionali del
governatorato di Tobolsk. Omsk era in serio pericolo. Si parlava d'uno
scontro avvenuto fra le truppe siberiane e quelle tartare sulla
frontiera delle grandi orde kirghise; lo scontro non era stato
favorevole ai Russi, troppo deboli su quel punto. Per conseguenza,
ripiegamento di queste truppe, e in seguito emigrazione generale dei
contadini della provincia. Si raccontavano orribili atrocitcompiute
dagli invasori: saccheggi, ruberie, incendi, uccisioni. Era il sistema
della guerra tartara. Dappertutto dunque si cercava di sfuggire
all'avanguardia di Feofar Khan. Perci in vista dello spopolamento
dei borghi e delle fattorie, il maggior timore di Michele Strogoff era
che i mezzi di trasporto gli venissero a mancare. Aveva quindi molta
premura di arrivare a Omsk. Forse, oltrepassata questa citt avrebbe
potuto avvantaggiarsi sugli esploratori tartari che scendevano la
valle dell'Irtis, e trovare la strada libera fino a Irkutsk.
Nel luogo stesso, dove i Tartari avevano passato il fiume, termina
quella cinta di torri e di fortini in legno, chiamata in linguaggio
militare la 剃atena di Iscim che si estende dalla frontiera
meridionale della Siberia per una lunghezza di circa quattrocento
verste (427 chilometri). In altri tempi, questi fortini erano
presidiati da distaccamenti di Cosacchi e proteggevano la contrada
tanto contro i Kirghisi quanto contro i Tartari. Ma, abbandonati fin
da quando il governo moscovita credette queste orde ridotte alla
sottomissione completa, non erano piservibili proprio ora quando
sarebbero stati piutili. La maggior parte di quei fortini era stata
incendiata, e i battellieri mostravano a Michele Strogoff delle
colonne di fumo che s'alzavano all'orizzonte meridionale, e
testimoniavano l'avvicinarsi dell'avanguardia tartara.
Appena il traghetto ebbe deposto il "tarant跴" e i cavalli sulla riva
destra dell'Iscim, la strada della steppa fu ripresa a grande
velocit
Erano le sette di sera. Il tempo era molto coperto, perci a pi riprese, cadde una pioggia torrenziale, che ebbe per risultato di
bagnare la polvere e rendere la strada pipraticabile.
Michele Strogoff, dopo il cambio di Iscim, era rimasto taciturno.
Tuttavia aveva sempre cura di risparmiare a Nadia le fatiche di questa
corsa senza soste e senza riposo; ma la fanciulla non si lamentava.
Ella avrebbe voluto che i cavalli del "tarant跴" avessero le ali.
Qualcosa le diceva che il suo compagno aveva pi fretta di lei di
arrivare a Irkutsk, e ne erano ancora lontani molte verste!
Pensinoltre che se Omsk era invasa dai Tartari, la madre di Michele
Strogoff, che abitava in quella citt correva pericoli a causa dei
quali il figlio doveva essere terribilmente inquieto, e questo bastava
a spiegare la sua impazienza di raggiungerla.
Nadia credette dunque, a un certo momento, di dovergli parlare della
vecchia Marfa e dell'isolamento in cui forse ella si trovava in mezzo
a quei gravi avvenimenti.
- Non hai ricevuta nessuna notizia da tua madre dall'inizio
dell'invasione? - gli domand
- Nessuna, Nadia. Mia madre mi ha scritto la sua ultima lettera due
mesi fa, ma allora mi dava buone notizie. Marfa una donna energica,
una siberiana coraggiosa. Malgrado la sua et ha conservato tutta la
sua forza morale. Sa sopportare.
- Verra vederla, fratello - disse Nadia con vivacit - Poich tu mi chiami sorella, io sono figlia di Marfa.
E, siccome Michele Strogoff non rispondeva, aggiunse:
- Forse tua madre sarpartita da Omsk?
- E' possibile, Nadia - rispose Michele Strogoff, - anzi spero che
avrraggiunto Tobolsk. La vecchia Marfa odia i Tartari. Conosce la
steppa, non ha paura, e mi auguro che abbia preso il suo bastone e
sceso le rive dell'Irtis. Non c'luogo della provincia che lei non
conosca Quante volte ha percorso tutto il paese con il mio vecchio
padre! E quante volte anch'io, da ragazzo, li ho seguiti nelle loro
escursioni attraverso il deserto siberiano! S Nadia, spero che mia
madre sia partita da Omsk!
- E quando la vedrai?
- La vedr.. al ritorno.
- Per se tua madre ancora a Omsk, non ti concederai un'ora per
andare ad abbracciarla?
- Non andrad abbracciarla.
- Non andrai?
- No, Nadia...! - rispose Michele Strogoff.
Il suo cuore si gonfiava ed egli capiva che non poteva continuare a
rispondere a tutte le domande della fanciulla.
- Tu dici no! Ah, fratello, per quali ragioni, se tua madre a Omsk,
puoi rifiutarti di vederla?
- Per quali ragioni, Nadia? Tu mi domandi per quali ragioni! -
esclamMichele Strogoff con voce talmente alterata che la fanciulla
trasal - Ma per le stesse ragioni che mi hanno reso paziente fino
alla vigliaccheria di fronte a quel miserabile che...
Non riusca completare la frase.
- Calmati, fratello - disse Nadia con la sua voce pidolce. Io so
soltanto una cosa, o meglio non la so, la sento! Un sentimento domina
ora tutta la tua condotta: il sentimento d'un dovere pisacro, se pu esistere un dovere pisacro di quello che lega il figlio alla madre!
Nadia tacque e da quel momento evitogni cenno di conversazione che
potesse riferirsi alla situazione personale di Michele Strogoff. C'era
un segreto da rispettare. Nadia lo rispett
Il giorno dopo, 25 luglio, alle tre del mattino, il "tarant跴"
arrivava al cambio della posta di Tjukalinsk, dopo aver percorso
centoventi verste dal passaggio dell'Iscim.
Si cambiin breve tempo. Ma lo "iemscik", per la prima volta, sollev difficoltper partire, affermando che distaccamenti tartari battevano
la steppa e che i viaggiatori, cavalli e vetture sarebbero stati una
buona preda per quei rapinatori.
Michele Strogoff vinse la ritrosia dello "iemscik" soltanto con la
forza del denaro, perch in quella circostanza come in tante altre,
non volle far uso del suo "podaroshna". L'ultimo "ukas", trasmesso dal
telegrafo, era conosciuto nelle province siberiane, e un russo, per il
fatto stesso che era personalmente dispensato dall'obbedire alle
prescrizioni imperiali, si sarebbe certamente fatto notare; e ciil
corriere dello zar doveva soprattutto evitarlo. Quanto alle esitazioni
dello "iemscik", quel furbacchione voleva forse speculare
sull'impazienza del viaggiatore? O aveva realmente ragione di temere
qualche spiacevole avventura?
Finalmente il "tarant跴" parte corse cos bene che alle tre del
pomeriggio, dopo un viaggio di ottanta verste, raggiunse
Kulatsinskoije. Un'ora pitardi arrivsulle sponde dell'Irtis. Omsk
distava appena una ventina di verste.
L'Irtis un largo fiume, e una delle principali arterie siberiane,
che convogliano le loro acque verso l'Asia settentrionale. Nato sui
monti Altai, si dirige obliquamente da sud-est a nord-ovest e va a
gettarsi nell'Ob, dopo aver percorso quasi settemila verste.
In questa stagione dell'anno, che quella delle piene per tutti i
corsi d'acqua del bacino siberiano, il livello dell'Irtis era
aumentato oltre i limiti ordinari. Per conseguenza la corrente molto
violenta, quasi torrenziale, rendeva difficile il passaggio del fiume.
Un nuotatore, per quanto abile, non avrebbe potuto attraversarlo, e,
anche con un traghetto, la traversata dell'Irtis avrebbe presentato
ugualmente dei pericoli.
Ma questi pericoli, come tutti gli altri, non potevano arrestare
neppure un istante Michele Strogoff e Nadia, decisi a superarli, di
qualunque genere fossero.
Michele Strogoff tuttavia propose alla sua giovane compagna di
attendere che egli attraversasse il fiume per primo, imbarcandosi sul
traghetto gicarico del "tarant跴" e dei cavalli, temendo che il peso
di tutto quel carico rendesse il traghetto meno sicuro. Dopo avere
deposto cavalli e vettura sull'altra riva, egli sarebbe ritornato a
prendere Nadia.
Nadia rifiut Sarebbe stato un ritardo di un'ora, e lei non voleva,
soltanto per la propria sicurezza, essere la causa d'un ritardo.
L'imbarco fu compiuto con qualche difficolt perchle sponde erano
in parte inondate, e il traghetto non poteva accostarsi
sufficientemente.
Tuttavia, dopo mezz'ora di sforzi, il battelliere riusca caricare
sul traghetto il "tarant跴" e i tre cavalli. Allora anche Michele
Strogoff, Nadia e lo "iemscik" s'imbarcarono, e il traghetto prese il
largo.
Per i primi minuti, tutto andbene. La corrente dell'Irtis, rotta a
monte da una sporgenza della riva, formava una insenatura che il
traghetto attraversfacilmente. I due battellieri lo spingevano con
lunghe pertiche, che maneggiavano con molta abilit ma via via che
raggiungevano il largo e il fondo del fiume si abbassava, non rest loro quasi pialcun tratto di pertica per appoggiarvi la spalla. Le
estremit non emergevano nemmeno di un piede dalla superficie
dell'acqua, e questo ne rendeva l'uso difficile e poco efficace.
Michele Strogoff e Nadia, seduti sulla parte posteriore del traghetto
e sempre preoccupati di evitare ogni ritardo, osservavano con una
certa inquietudine le manovre dei battellieri.
- Attenzione! - griduno al suo compagno.
Questo grido era stato provocato dalla nuova direzione che il
traghetto aveva preso con una velocitpericolosa. Subiva in quel
momento l'azione diretta della corrente e scendeva rapidamente il
fiume. Si trattava dunque, usando utilmente le pertiche, di mettersi
in posizione per tagliare di sbieco il filo dell'acqua. Per eseguire
questa manovra, i battelli puntarono la cima delle pertiche in una
serie di scanalature praticate sotto la suola del traghetto; cos riuscirono a portare lo scafo in posizione obliqua e si diressero pian
piano verso la riva destra.
Si poteva certamente calcolare che avrebbero toccato la riva a cinque
o sei verste a valle dal punto d'imbarco, ma ci aveva poca
importanza, se bestie e uomini fossero sbarcati senza incidenti.
I due battellieri, uomini robusti, stimolati anche dalla promessa di
una buona paga, non dubitavano da parte loro di portare a buon fine
questa difficile traversata dell'Irtis.
Ma facevano i conti senza un incidente che non potevano prevedere, e
che nil loro zelo nla loro abilit avrebbero potuto evitare in
questa circostanza.
Il traghetto si trovava nel mezzo della corrente, a uguale distanza
circa dalle due rive, e scendeva con una velocit di due verste
all'ora, quando Michele Strogoff, levandosi in piedi guardcon
attenzione a monte del fiume.
Vide allora molte barche che scendevano la corrente con grande
rapidit perch all'azione dell'acqua si aggiungeva quella dei remi
di cui erano fornite.
Il volto di Michele Strogoff si contrasse di colpo, e gli sfugg una
esclamazione.
- Cosa c' - domandla fanciulla.
Ma prima che Michele Strogoff avesse il tempo di rispondere, uno dei
battellieri gridspaventato:
- I Tartari! i Tartari!
Erano infatti barche cariche di soldati, che scendevano rapidamente
l'Irtis, e in pochi minuti avrebbero raggiunto il traghetto, troppo
carico per sfuggire davanti a loro.
I battellieri, terrorizzati da questa apparizione, mandarono grida
disperate e abbandonarono le pertiche.
- Coraggio, amici! - gridMichele Strogoff - coraggio! Cinquanta
rubli per voi se raggiungiamo la riva destra prima che arrivino le
barche!
I battellieri, rianimati da quelle parole, ripresero la manovra e
continuarono a tagliare di sbieco il filo della corrente, ma fu ben
presto evidente che non avrebbero potuto evitare l'arrembaggio dei
Tartari.
Sarebbero quelli passati oltre senza disturbarli? era poco probabile!
Al contrario, c'era da aspettarsi di tutto da quei predoni!
- Non aver paura, Nadia - disse Michele Strogoff, - ma tienti
pronta a tutto!
- Sono pronta - rispose Nadia.
- Anche a gettarti nel fiume, quando te lo dir
- Quando me lo dirai.
- Fidati di me, Nadia!
- Mi fido!
Le barche dei Tartari erano appena a cento piedi di distanza.
Trasportavano una pattuglia di soldati dislocata a Buchara, che
andavano a compiere una ricognizione su Omsk.
Il traghetto si trovava ancora a due lunghezze dalla riva. I
battellieri raddoppiarono gli sforzi. Michele Strogoff si una loro e
prese una pertica, che manovrcon una forza sovrumana. Se avesse
potuto sbarcare il "tarant跴" e partire al galoppo con i cavalli,
avrebbe avuto qualche probabilitdi sfuggire a quei Tartari, che non
avevano mezzi di trasporto.
Ma tutti gli sforzi dovevano risultare inutili!
- Sarijn na Kiciu! - gridarono i soldati della prima barca.
Michele Strogoff riconobbe quel grido di guerra dei pirati tartari, al
quale si doveva rispondere gettandosi ventre a terra.
E siccome ni battellieri nlui obbedirono a quel comando, partuna
violenta scarica, e due cavalli furono colpiti mortalmente.
In quel momento si sentun urto... Le barche avevano abbordato il
traghetto di traverso.
- Vieni, Nadia! - gridMichele Strogoff, pronto a tuffarsi nel
fiume.
La fanciulla stava per seguirlo, quando Michele Strogoff, colpito da
una lancia, fu scaraventato nel fiume. La corrente lo prese, la sua
mano si agitun istante sopra l'acqua, ed egli scomparve.
Nadia lanciun grido, ma, prima che avesse il tempo di gettarsi in
acqua dietro a Michele Strogoff, venne afferrata, sollevata e deposta
in una barca.
Un istante dopo i battellieri venivano uccisi a colpi di lancia, e il
traghetto andava alla deriva, mentre i Tartari continuavano a scendere
il corso dell'Irtis.



















14. MADRE E FIGLIO.

Omsk la capitale ufficiale della Siberia occidentale. Non la citt piimportante del governatorato di questo nome, poichTomsk pi popolosa e piimportante, ma a Omsk risiede il governatore generale
di questa prima metdella Russia asiatica.
Omsk, a dire il vero, formata da due cittdistinte: una abitata
unicamente dalle autorit e dai funzionari, mentre nell'altra
risiedono particolarmente i mercanti siberiani, bench ora il
commercio sia poco fiorente.
Questa cittha circa dodici o tredicimila abitanti. E' difesa da una
barriera fortificata con bastioni, ma queste fortificazioni sono di
terra, e costituiscono una scarsa protezione. Cosi Tartari, che lo
sapevano, tentarono in quel periodo di prenderla d'assalto, e vi
riuscirono dopo qualche giorno di assedio.
La guarnigione di Omsk, ridotta a duemila uomini, aveva resistito
eroicamente. Ma, sopraffatta dalle truppe dell'emiro, respinta a poco
a poco dalla cittmercantile, aveva dovuto rifugiarsi nella citt alta.
Qui s'erano asserragliati il governatore generale, gli ufficiali, i
soldati. Avevano fatto del quartiere alto di Omsk una specie di
fortezza, dopo avere fortificato le case e le chiese, e fino allora
tenevano duro, in questa specie di "kreml" improvvisato, senza grandi
speranze d'essere soccorsi in tempo. Infatti le truppe tartare, che
scendevano il corso dell'Irtis, ricevevano ogni giorno nuovi rinforzi
e, circostanza ancor pi grave, erano allora comandate da un
ufficiale, traditore del suo paese, ma uomo di grande valore e di una
audacia a tutta prova.
Era il colonnello Ivan Ogareff.
Ivan Ogareff, terribile come uno di quei capi tartari ch'egli mandava
avanti, era un militare istruito. Avendo in sun poco di sangue
mongolo per parte di madre, che era di origine asiatica, amava
l'astuzia, si dilettava ad organizzare imboscate, e non disdegnava
nessun mezzo, quando voleva carpire qualche segreto o tendere qualche
insidia. Astuto per natura, era volentieri ricorso ai pivili
travestimenti, facendosi mendicante all'occasione, estremamente abile
com'era nell'assumere tutte le forme e tutti gli atteggiamenti.
Inoltre era crudele: avrebbe anche fatto il boia, all'occorrenza.
Feofar Khan aveva trovato in lui un degno luogotenente che lo
secondava a perfezione in quella guerra selvaggia.
Ora, quando Michele Strogoff arriv sulle rive dell'Irtis, Ivan
Ogareff era gi padrone di Omsk, e sollecitava tanto maggiormente
l'assedio del quartiere alto della citt in quanto aveva fretta di
raggiungere Tomsk, dove s'era concentrato il grosso dell'esercito
tartaro.
Tomsk, infatti, era stata presa da Feofar Khan alcuni giorni prima; di
lgli invasori, padroni della Siberia centrale, avrebbero marciato su
Irkutsk.
Irkutsk era il vero obiettivo di Ivan Ogareff.
Il piano del traditore era di entrare sotto falso nome nelle grazie
del granduca, di cattivarsi la sua fiducia e, al momento propizio, di
consegnare ai Tartari la citte lo stesso granduca.
Con una tale citte un tale ostaggio, tutta la Siberia asiatica
sarebbe caduta nelle mani degli invasori.
Ora, come sappiamo, il complotto era venuto a conoscenza dello zar, e
per sventarlo, egli aveva affidato a Michele Strogoff l'importante
lettera di cui era latore. Per questa ragione erano state date al
giovane corriere le istruzioni pi severe di passare in incognito
attraverso le zone occupate.
Egli aveva fin qui eseguito fedelmente questa missione, ma poteva
adesso portarla a termine?
Il colpo di lancia che Michele Strogoff aveva ricevuto, non era
mortale. Nuotando in maniera da non essere visto, aveva raggiunto la
riva destra, dove cadde svenuto tra i canneti.
Quando rinvenne, si trovnella capanna di un "mugik" che lo aveva
raccolto e curato, e grazie al quale era ancora vivo. Da quanto tempo
era ospite di quel buon siberiano? Non l'avrebbe potuto dire. Ma,
quando riaprgli occhi, vide un volto venerando e barbuto, chino su
di lui, che lo guardava con occhio compassionevole. Voleva domandare
dove si trovava, quando il "mugik", prevenendolo, gli disse:
- Non parlare, piccolo padre, non parlare! Sei ancora troppo debole.
Ti dirdove sei e tutto quanto capitato dal momento in cui ti ho
portato nella mia capanna.
E il "mugik" racconta Michele Strogoff le diverse fasi della lotta
di cui era stato testimone: l'assalto al traghetto da parte delle
barche tartare, il saccheggio del "tarant跴", il massacro dei
battellieri!...
Ma Michele Strogoff non l'ascoltava pi portando una mano alla
tunica, egli sentla lettera dell'imperatore, sempre assicurata sul
suo petto.
Respir ma non era tutto.
- Una ragazza mi accompagnava! - disse.
- Non l'hanno uccisa! - rispose il mugik, prevenendo l'inquietudine
che leggeva negli occhi del suo ospite. - L'hanno trasportata nella
loro barca, e hanno continuato a discendere l'Irtis! E' una
prigioniera in pi che si aggiungeralle tante altre che vengono
condotte a Tomsk!
Michele Strogoff non riusca rispondere. Portla mano sul cuore per
comprimerne i battiti.
Ma, malgrado tante prove, il sentimento del dovere dominava
completamente il suo spirito.
- Dove mi trovo? - domand
- Sulla riva destra dell'Irtis, e soltanto a cinque verste da Omsk -
rispose il mugik.
- Che ferita ho ricevuto, dunque per ridurmi cos E' un colpo di arma
da fuoco?
- No, un colpo di lancia alla testa, ora cicatrizzato - rispose il
mugik. - Dopo qualche giorno di riposo, piccolo padre, potrai
continuare la tua strada. Sei caduto nel fiume, ma i Tartari non ti
hanno ntoccato nfrugato, e la tua borsa si trova sempre nella tua
tasca.
Michele Strogoff tese la mano al "mugik". Poi, sollevandosi con uno
sforzo immenso:
- Amico, - disse - da quanto tempo sono nella tua capanna?
- Da tre giorni.
- Tre giorni perduti!
- Tre giorni che hai passati privo di conoscenza!
- Hai un cavallo da vendermi?
- Vuoi partire?
- Subito.
- Non ho ncavalli nvettura, piccolo padre! Dove passano i Tartari,
non resta pinulla!
- Ebbene, andra piedi a Omsk a cercare un cavallo...
- Ancora qualche ora di riposo, e sarai in condizioni migliori per
continuare il viaggio!
- Nemmeno un'ora!
- Allora, vieni! - disse il "mugik", comprendendo che non c'era da
opporsi contro la volontdel suo ospite. - Ti condurrio stesso -
aggiunse. - Del resto, i russi sono ancora molto numerosi a Omsk, e
potrai forse passare inosservato.
- Amico, - disse Michele Strogoff - il Cielo ti ricompensi di
tutto quanto hai fatto per me!
- Ricompensa! Soltanto i pazzi ne aspettano sulla terra - rispose il
"mugik".
Michele Strogoff uscdalla capanna. Quando tent di camminare, fu
preso da un tale capogiro che, se il "mugik" non l'avesse sostenuto,
sarebbe caduto; ma l'aria pura lo rimise in forze. Risentallora il
colpo che aveva ricevuto alla testa, e che grazie al suo berretto di
pelliccia era stato fortunatamente attutito. Energico come abbiamo
sempre conosciuto, egli non era l'uomo da lasciarsi abbattere per cos poco. Un'unica meta gli stava davanti agli occhi, ed era quella
lontana Irkutsk che doveva raggiungere! Ma doveva attraversare Omsk
senza fermarsi.
- Dio protegga mia mandre e Nadia! - mormor - Non ho ancora il
diritto di pensare a loro!
Michele Strogoff e il "mugik" arrivarono presto al quartiere
mercantile della citt bassa e, quantunque essa fosse occupata
militarmente, vi entrarono senza difficolt La barriera di terra era
stata sfondata in diversi punti, che erano altrettante brecce
attraverso le quali penetravano i ladri al seguito delle truppe di
Feofar Khan.
Al centro di Omsk, nelle strade e sulle piazze, formicolavano i
soldati tartari, ma si poteva notare che una mano di ferro imponesse
loro una disciplina alla quale erano poco abituati. Essi infatti non
andavano in giro isolati, ma a gruppi armati, in maniera da difendersi
contro ogni aggressione.
Sulla piazza grande, trasformata in accampamento sorvegliato da
numerose sentinelle, duemila Tartari bivaccavano in buon ordine. I
cavalli, legati a pali ma sempre sellati, erano pronti a partire al
primo ordine. Omsk non era che una tappa provvisoria per la cavalleria
tartara, che certamente preferiva le ricche pianure della Siberia
orientale, ldove le cittsono piricche, le campagne pifertili
e, per conseguenza, i saccheggi pifruttuosi.
Al di sopra della cittmercantile s'innalzava a ripiani fortificati
il quartiere alto, che Ivan Ogareff, malgrado molti vigorosi tentativi
d'assalto, sempre coraggiosamente respinti, non aveva ancora potuto
catturare. Su quelle mura cosparse di feritoie sventolava la bandiera
nazionale con i colori della Russia.
Michele Strogoff e la sua guida la salutarono con i loro voti, non
senza un legittimo orgoglio.
Michele Strogoff conosceva a perfezione la citt di Omsk e, sempre
seguendo la sua guida, evitle strade troppo frequentate. Non era
perch temesse d'essere riconosciuto: in questa citt infatti,
soltanto sua madre avrebbe potuto chiamarlo col suo vero nome; ma
aveva giurato di non vederla, e non l'avrebbe veduta. Del resto - e
se lo augurava di cuore forse ella era fuggita in qualche angolo
tranquillo della steppa.
Il "mugik", per fortuna, conosceva un mastro di posta che, pagandolo
bene, non avrebbe rifiutato, secondo lui, di noleggiare o di vendere
una vettura o un cavallo. Restava il problema di uscire dalla citt
ma le brecce, aperte nella cinta, avrebbero facilitato l'uscita a
Michele Strogoff.
Il "mugik" condusse dunque il suo ospite direttamente al cambio,
allorch in una via stretta, Michele Strogoff si fermdi botto e si
nascose dietro lo spigolo d'un muro.
- Che hai? - gli domandpreoccupato il "mugik", molto sorpreso di
quel brusco movimento.
- Silenzio! - si affretta rispondere Michele Strogoff, portando il
dito alle labbra.
In quel momento, una pattuglia di Tartari sbucava dalla piazza
principale e imboccava la strada che Michele Strogoff e il suo
compagno percorrevano da qualche minuto.
In testa allo squadrone, composto da una ventina di cavalieri,
marciava un ufficiale vestito di una uniforme molto semplice. Bench egli volgesse sguardi rapidi da una parte e dall'altra, non poteva
aver visto Michele Strogoff, che s'era precipitosamente nascosto.
Lo squadrone procedeva al trotto sciolto in quella stretta via. N l'ufficiale nla sua scorta si preoccupava degli abitanti, siccha
quegli sventurati restava appena il tempo di scostarsi al loro
passaggio. Vi furono percidelle grida mezzo soffocate, alle quali
risposero immediatamente i colpi di lancia, e la strada fu sgombrata
all'istante.
Quando la pattuglia fu scomparsa, Michele Strogoff si rivolse al
"mugik":
- Chi quell'ufficiale? - gli domand
E, mentre faceva questa domanda, il suo volto era pallido come quello
di un morto.
- E' Ivan Ogareff - rispose il siberiano, con voce bassa e respiro
affannoso.
- Lui! - gridMichele Strogoff, al quale sfuggquesta parola con
un accento d'ira che non era riuscito a dominare
Aveva riconosciuto in quell'ufficiale il viaggiatore che lo aveva
colpito con la frusta al cambio di Iscim!
E, come se un lampo gli avesse attraversato la mente, quel
viaggiatore, quantunque appena intravisto, gli ricordallo stesso
tempo il vecchio zigano, di cui aveva sorpreso le parole al mercato di
Niznij Novgorod.
Michele Strogoff non si sbagliava. Quei due individui non erano che lo
stesso uomo. Ivan Ogareff aveva potuto varcare i confini della
provincia di Niznij Novgorod sotto le vesti di zigano, unendosi alla
compagnia di Sangarre. Si era infatti recato a Niznij Novgorod, per
reclutare fra i numerosi stranieri convenuti alla fiera da tutta
l'Asia centrale, i seguaci che voleva associare al compimento della
sua opera malvagia. Sangarre e le sue zigane, vere spie assoldate, gli
erano assolutamente fedeli. Era lui che, durante la notte, sul campo
della fiera, aveva pronunciato quella frase misteriosa di cui Michele
Strogoff poteva ora comprendere il significato; era lui che aveva
viaggiato a bordo del "Caucaso" con tutta la compagnia delle zingare;
era lui che, prendendo l'altra strada da Kazan a Iscim attraverso gli
Urali, aveva raggiunto Omsk, dove ora spadroneggiava.
Ivan Ogareff era giunto a Omsk appena da tre giorni; dunque senza il
loro funesto incontro a Iscim, senza l'incidente che lo aveva
trattenuto tre giorni sulle rive dell'Irtis, Michele Strogoff lo
avrebbe certamente distanziato sulla strada di Irkutsk.
E chissquante disgrazie avrebbe ancora evitato nell'avvenire!
In ogni caso, ora piche mai, Michele Strogoff doveva evitare Ivan
Ogareff e fare in modo di non essere visto. Quando sar venuto il
momento d'incontrarsi con lui a tu per tu, lo saprscovare, fosse
anche il padrone di tutta la Siberia!
Il "mugik" e Michele Strogoff ripresero dunque il cammino attraverso
la citt e arrivarono alla posta. Uscire da Omsk attraverso una delle
brecce aperte nella cinta non sarebbe stato difficile, appena scesa la
notte. Quanto a trovare una vettura per sostituire il "tarant跴", fu
impossibile. Non ce n'erano na noleggio n in vendita. Ma che
bisogno aveva ora Michele Strogoff di una vettura? Non era, purtroppo,
solo a viaggiare? Un cavallo gli doveva bastare e, per fortuna, questo
cavallo potprocurarselo. Era un animale robusto, adatto a sopportare
le lunghe fatiche, e da cui Michele Strogoff, abile cavaliere, poteva
trarre buon profitto.
Il cavallo fu pagato ad alto prezzo, e alcuni minuti dopo era in
ordine per partire.
Erano le quattro del pomeriggio.
Michele Strogoff, costretto ad aspettare la notte per uscire dalla
citte desideroso di non farsi vedere per le vie di Omsk, rimase
nella casa della posta, e lsi fece servire qualcosa da mangiare.
C'era grande affluenza di gente nella sala comune. Come capita in
tutte le stazioni russe, gli abitanti, molto ansiosi, venivano a
cercarvi notizie. Si parlava del prossimo arrivo d'un corpo di truppe
moscovite, non a Omsk, ma a Tomsk; un corpo destinato a riprendere
quella cittai Tartari di Feofar Khan.
Michele Strogoff ascoltava attentamente ciche si diceva, ma non
prendeva parte alle conversazioni.
D'improvviso, un grido lo fece trasalire, un grido che gli penetr fino in fondo al cuore, e due parole che ferirono per cosdire il suo
orecchio:
- Figlio mio!
Era sua madre, la vecchia Marfa che gli stava davanti! Gli sorrideva
tutta tremante! Gli tendeva le braccia!...
Michele Strogoff si alz Stava per precipitarsi...
Il pensiero del dovere, il pericolo grave che poteva sorgere per sua
madre e per lui in quel doloroso incontro, lo trattennero, e fu tale
la sua padronanza di s che neppure un muscolo del suo volto si
contrasse.
Nella sala comune erano riunite venti persone. In mezzo ad esse
potevano esserci delle spie, e non si sapeva forse in citt che il
figlio di Marfa Strogoff apparteneva al corpo dei corrieri dello zar?
Michele Strogoff non si mosse.
- Michele! - esclamla madre.
- Chi siete, buona donna? - domandMichele Strogoff, balbettando
piche pronunciando queste parole.
- Chi sono? me lo domandi! Figlio mio, non riconosci pitua madre?
- Vi sbagliate!... - rispose freddamente Michele Strogoff. - Una
rassomiglianza vi fa credere...
La vecchia Marfa mosse direttamente verso di lui, fissandolo negli
occhi.
- Non sei figlio di Piotr e di Marfa Strogoff? - disse.
Michele Strogoff avrebbe dato la sua vita per potere stringere
liberamente tra le braccia sua madre!... Ma se avesse ceduto, sarebbe
finita per lui, per lei, per la sua missione, per il suo
giuramento!... Dominandosi completamente, chiuse gli occhi per non
vedere l'inesprimibile angoscia che tormentava il volto venerato della
madre e ritirle mani per non stringere le mani tremanti che lo
cercavano.
- Veramente non so cosa volete dire, buona donna - rispose egli
indietreggiando di qualche passo.
- Michele! - gridancora la vecchia madre.
- Non mi chiamo Michele! Non sono vostro figlio! Io sono Nicola
Korpanoff, mercante di Irkutsk!...
E, quasi fuggendo, usc dalla sala comune, mentre risuonavano per
l'ultima volta queste parole:
- Figlio mio! figlio mio!
Michele Strogoff, al limite della resistenza, era partito. Non vide la
vecchia madre, che si era accasciata quasi esanime su una panca. Ma,
nel momento in cui il mastro di posta correva per soccorrerla, la
vecchia donna si alz Nella sua mente s'era fatta un'improvvisa luce.
Lei, rinnegata da suo figlio! non era possibile! Quanto ad essersi
sbagliata, scambiandolo con un altro, era ugualmente impossibile. Era
proprio suo figlio quello che aveva visto, e, se lui non l'aveva
riconosciuta, era perch non voleva, era perch non doveva
riconoscerla, era perchaveva delle ragioni inderogabili per agire
cos E allora soffocando i sentimenti materni, ella non ebbe che una
preoccupazione: 俠'avrrovinato senza volerlo?
- Sono pazza! - disse a coloro che l'interrogavano. - I miei occhi
mi hanno ingannata! Quel giovane non mio figlio! Non aveva la sua
voce! Non pensiamoci pi Finircol vederlo dappertutto.
Meno di dieci minuti dopo, un ufficiale tartaro si presentalla
posta.
- Marfa Strogoff? - domand
- Sono io - rispose la vecchia donna con un tono cos calmo e un
volto costranquillo, che i testimoni dell'incontro appena avvenuto
non l'avrebbero piriconosciuta.
- Vieni - disse l'ufficiale.
Marfa Strogoff, con passo sicuro, segul'ufficiale tartaro e usc dalla posta.
Alcuni istanti dopo, Marfa Strogoff si trovava al bivacco della piazza
grande, alla presenza di Ivan Ogareff, al quale erano stati riferiti
immediatamente tutti i particolari di quella scena.
Ivan Ogareff, sospettando la verit aveva voluto interrogare lui
stesso la vecchia siberiana.
- Il tuo nome? - domandin tono rude.
- Marfa Strogoff.
- Hai un figlio?
- S
- E' corriere dello zar?
- S
- Dov'
- A Mosca.
- Hai notizie di lui?
- No.
- Da quanto tempo?
- Da due mesi.
- Chi dunque quel giovane che tu chiamavi tuo figlio, appena qualche
momento fa, al cambio della posta?
- Un giovane siberiano che ho scambiato per lui - rispose Marfa
Strogoff. - Sono dieci volte che mi sembrato di ritrovare mio
figlio da quando la citt piena di stranieri! Credo di vederlo
dappertutto!
- Cosquel giovane non era Michele Strogoff?
- Non era Michele Strogoff.
- Lo sai, vecchia, che posso farti torturare fino a quando tu non
confessi la verit
- Ho detto la verit e la tortura non farcambiare nulla alle mie
parole.
- Quel siberiano non era Michele Strogoff? - domand una seconda
volta Ivan Ogareff.
- No. Non era lui - rispose per la seconda volta Marfa Strogoff. -
Credete che per qualsiasi cosa al mondo rinneghi un figlio come quello
che Dio mi ha dato?
Ivan Ogareff guardcon occhio cattivo la vecchia che lo sfidava
apertamente. Non dubitava che ella avesse riconosciuto suo figlio in
quel giovane siberiano. Ora, se il figlio aveva dapprima rinnegato la
madre, e se la madre a sua volta rinnegava il figlio, cinon poteva
avvenire se non per un gravissimo motivo.
Dunque, per Ivan Ogareff non c'era dubbio che il preteso Nicola
Korpanoff fosse Michele Strogoff, corriere dello zar, che si
nascondeva sotto falso nome ed era incaricato di qualche missione, la
cui scoperta sarebbe stata di capitale importanza per lui. Cosdiede
immediatamente ordine di ricercarlo. Poi, accennando a Marfa Strogoff,
disse.
- Questa donna sia mandata a Tomsk.
E mentre i soldati l'afferravano brutalmente, aggiunse tra i denti:
- Quando sarvenuto il momento, sapr ben farla parlare, questa
vecchia strega!











15. LE PALUDI DELLA BARABA.

Fu una fortuna che Michele Strogoff fosse uscito cosprecipitosamente
dalla posta. Gli ordini di Ivan Ogareff erano stati subito trasmessi a
tutte le porte della citt e i suoi connotati inviati a tutti i
mastri di posta, affinchil ricercato non potesse uscire da Omsk. Ma
egli ormai era gi uscito da una delle brecce della cinta e il suo
cavallo correva nella steppa; non essendo stato immediatamente
inseguito, sarebbe riuscito a dileguarsi.
Michele Strogoff era partito da Omsk il giorno 29 luglio, alle otto di
sera. Questa citt si trova press'a poco a metstrada tra Mosca e
Irkutsk, dove il corriere doveva arrivare entro dieci giorni, se
voleva precedere le colonne tartare. Evidentemente, il caso
malaugurato che lo aveva portato alla presenza dl sua madre, aveva
svelato il suo incognito. Ivan Ogareff era adesso certo che un
corriere dello zar era passato da Omsk, diretto a Irkutsk. I dispacci
che portava quel corriere dovevano essere d'una importanza capitale;
Michele Strogoff sapeva dunque che avrebbero tentato di tutto per
impadronirsi di lui.
Ma ci che non sapeva, ci che non poteva sapere, era che Marfa
Strogoff si trovava nelle mani di Ivan Ogareff, e che ella avrebbe
pagato forse con la sua vita quell'impulso che non aveva potuto
frenare, trovandosi improvvisamente in presenza di suo figlio. Ed ora
era una fortuna che lo ignorasse! Avrebbe egli potuto resistere a
quest'altra prova?
Michele Strogoff spronava quindi il suo cavallo, comunicandogli tutta
l'impazienza febbrile che lo divorava, chiedendogli soltanto una cosa,
di portarlo velocemente fino al prossimo cambio, dove potrebbe
sostituirlo con un altro piveloce.
A mezzanotte aveva gipercorso settanta verste, e si ferm alla
stazione di Fulikovo. Ma qui, come temeva, non trovncavalli n vetture. Alcuni squadroni tartari erano passati per la grande strada
della steppa. Tutto era stato razziato o requisito, sia nei villaggi
che nei cambi di posta. Con molta difficolt Michele Strogoff pot ottenere un poco di foraggio per il suo cavallo e di cibo per s
Era dunque necessario trattarlo bene, questo cavallo, perchnon si
sapeva quando e come avrebbe potuto sostituirlo. Per volendo
distanziare il massimo possibile i cavalieri che Ivan Ogareff avrebbe
lanciato al suo inseguimento, decise di proseguire. Dopo un'ora di
riposo, riprese dunque la corsa attraverso la steppa.
Fino allora le condizioni atmosferiche avevano per fortuna secondato
il viaggio del corriere dello zar. La temperatura era sopportabile. La
notte, molto breve in quella stagione e rischiarata da quel chiarore
lunare che filtra attraverso le nubi, rendeva la strada praticabile.
Michele Strogoff procedeva, del resto, come un uomo sicuro della sua
strada, senza dubbi, senza esitazioni. Malgrado i pensieri dolorosi
che l'ossessionavano, aveva conservato tutta la sua luciditdi mente
e correva verso la meta, come se gli fosse givisibile all'orizzonte.
Quando si fermava un istante a qualche curva della strada lo faceva
per lasciar riprendere fiato al suo cavallo. Allora smontava di sella
per alleggerirlo un poco, poi posava l'orecchio al suolo e ascoltava
se si propagava sulla superficie della steppa il rumore di un galoppo.
Se non udiva alcun rumore sospetto, riprendeva la marcia.
Ah! se tutte quelle contrade siberiane fossero state avvolte dalla
notte polare, quella notte continua che dura per sei mesi! C'era da
desiderarlo, per attraversarle con maggior sicurezza.
Il 30 luglio, alle nove del mattino, Michele Strogoff oltrepass la
stazione di Turumoff e si inoltr nella contrada paludosa della
Baraba.
L su uno spazio di trecento verste, le difficoltnaturali potevano
essere molto gravi. Egli lo sapeva, ma sapeva pure che le avrebbe in
qualsiasi modo superate.
Le vaste paludi della Baraba, comprese da nord a sud entro il
sessantesimo e il cinquantaduesimo parallelo, sono il deposito di
tutte le acque piovane che non trovano scolo nverso l'Ob n verso
l'Irtis. Il suolo di questa vasta depressione completamente
argilloso, e quindi impermeabile, in maniera che le acque vi si
depositano e costituiscono una regione molto difficile da attraversare
durante la stagione calda.
Tuttavia la strada di Irkutsk passa di l in mezzo a marrane, stagni,
laghi, paludi, da cui il sole solleva esalazioni malsane; essa vi
s'inoltra, con la massima fatica e spesso con i pi grandi pericoli
per il viaggiatore.
D'inverno, quando il gelo ha solidificato tutto ciche liquido,
quando la neve ha livellato il suolo e condensato i miasmi, le slitte
possono con facilite sicurezza scivolare sulla crosta indurita della
Baraba. Allora i cacciatori frequentano assiduamente la contrada, dove
abbonda la selvaggina, inseguendo martore, ermellini e quelle preziose
volpi la cui pelliccia molto ricercata. Ma durante l'estate la
palude ritorna fangosa, pestilenziale, persino impraticabile, quando
il livello delle acque e troppo alto.
Michele Strogoff lanci il suo cavallo attraverso una prateria
melmosa, non piricoperta della bassa erba della steppa, di cui si
nutrono esclusivamente gli immensi greggi siberiani. Non era pila
prateria sconfinata, ma una specie di immenso bosco ceduo di
vegetazione arborescente.
Qui la vegetazione cresceva fino a cinque o sei piedi di altezza.
L'erba da pascolo aveva ceduto il posto alle piante acquatiche, a cui
l'umidit e il calore davano proporzioni gigantesche. Erano
principalmente giunchi e felci ombrellifere, che formavano una rete
inestricabile, un impenetrabile groviglio, disseminato di mille fiori
dalle tinte vivaci e tra i quali si distinguevano i gigli e i
giaggioli, il cui profumo si mescolava alle zaffate calde che salivano
dal suolo.
Michele Strogoff, galoppando tra quella boscaglia di giunchi, non era
pivisibile dalle paludi che costeggiavano la strada. Le erbe giganti
erano pialte di lui, e il suo passaggio era soltanto segnalato da
uccelli acquatici d'ogni specie, che si levavano dai bordi della
strada e si sparpagliavano a stormi, riempiendo di gridi le profondit del cielo.
La strada tuttavia era nettamente tracciata. A volte procedeva diritta
tra la fitta giungla di piante acquatiche; a volte seguiva le rive
sinuose d'uno di quei grandi stagni, che, misurando molte verste di
lunghezza e di larghezza, hanno meritato il nome di laghi. In alcuni
tratti non era stato possibile evitare le acque stagnanti, e la strada
allora le attraversava non su ponti, ma su piattaforme traballanti,
lastricata da spessi strati d'argilla, i cui blocchi oscillavano come
una tavola troppo leggera gettata sopra l'abisso. Alcune di queste
piattaforme si prolungavano per un tratto di due o trecento piedi, e
pi d'una volta i viaggiatori, o almeno le viaggiatrici dei
"tarant跴", vi hanno provato un malessere simile al mal di mare.
Michele Strogoff, invece, non si curava che il suolo fosse solido o
che cedesse sotto i suoi piedi; correva sempre senza fermarsi,
saltando crepacci che si aprivano tra i blocchi corrosi; ma, per
quanto veloci andassero, cavallo e cavaliere non potevano evitare le
punture di tutti quegli insetti che infestavano questa zona paludosa.
I viaggiatori costretti ad attraversare la Baraba durante l'estate,
hanno cura di munirsi di una maschera di crine, alla quale collegano
una maglia di retina metallica, che copre loro le spalle. Malgrado
queste precauzioni, sono pochi coloro che escono da queste paludi
senza avere il volto, il collo, le mani crivellate di punti rossi.
L'atmosfera sembra permeata di sottilissimi aghi, e si sarebbe indotti
a credere che neppure un'armatura da cavaliere medioevale basterebbe a
proteggere contro i pungiglioni di quei ditteri. E' infatti una
regione funesta, che l'uomo disputa a caro prezzo alle tipule, ai
culici, alle zanzare, ai tafani, e anche a miliardi d'insetti
microscopici, che non sono visibili a occhio nudo; ma, pur non
vedendosi, si sentono per le loro intollerabili punture, alle quali i
cacciatori siberiani piincalliti non hanno mai potuto abituarsi.
Il cavallo di Michele Strogoff, punzecchiato da questi ditteri
velenosi, scattava come se le punte di mille speroni gli fossero
penetrate nei fianchi. Preso da una rabbia folle, fuggiva, si
arrestava, divorava verste su verste, con la velocit d'un
direttissimo, battendosi i fianchi con la coda, cercando nella
celeritdella corsa un sollievo al suo supplizio.
Bisognava essere un buon cavaliere come Michele Strogoff per non
venire disarcionato dalle reazioni del cavallo, dalle impennate, dai
salti che faceva, per sfuggire ai pungiglioni dei ditteri. Il corriere
invece, divenuto per cosdire insensibile al dolore fisico, come se
si trovasse sotto l'influenza d'una anestesia permanente, vivendo
soltanto del desiderio di arrivare a qualunque costo alla meta, non
vedeva altro in questa corsa insensata, se non la strada che fuggiva
rapidamente dietro di lui.
Chi crederebbe che questa contrada della Baraba, cosmalsana durante
la stagione calda, avesse potuto offrire asilo a una popolazione
qualsiasi?
Eppure c'era. Alcuni casolari siberiani apparivano in lontananza tra i
giunchi giganteschi. Uomini, donne, bambini, vecchi, vestiti di pelli
di animali, col volto ricoperto di vesciche spalmate di pece, facevano
pascolare magri greggi di pecore; ma, per preservare gli animali dagli
assalti degli insetti, li tenevano contro vento di fuochi di legno
verde, che alimentavano notte e giorno, e il cui acre fumo si
propagava lento sopra l'immensa palude.
Quando Michele Strogoff sentiva che il suo cavallo, rotto dalla
fatica, era sul punto di abbattersi, si fermava a uno di questi miseri
casolari, e qui, dimentico della propria stanchezza, massaggiava con
le sue mani le punture del povero animale con grasso caldo, secondo il
costume siberiano; poi, gli dava una buona razione di foraggio, e
soltanto dopo averlo ben governato, ben fornito, pensava a s si
riposava, mangiava qualche pezzo di pane e di carne, bevendo assieme
qualche bicchiere di "kvas". Un'ora dopo, o al massimo due, riprendeva
a galoppo sfrenato l'interminabile strada di Irkutsk.
Percorse cos novanta verste oltre Turumoff, e il 30 luglio, alle
quattro di sera, Michele Strogoff, insensibile ad ogni fatica,
arrivava a Elamsk.
Qui dovette concedere una notte di riposo al suo cavallo. Il
coraggioso animale non avrebbe potuto continuare per molto questo
viaggio. Anche a Elamsk, come in altre citt non esisteva pinessun
mezzo di trasporto. Per le stesse ragioni che nelle borgate precedenti
mancava tutto, vetture e cavalli.
Elamsk, una cittadina che i Tartari non avevano ancora visitato, era
quasi completamente spopolata, perchpoteva essere facilmente invasa
dal sud, e difficilmente soccorsa dal nord. Cos cambi di posta,
uffici di polizia, residenza del governatore, erano stati abbandonati
per ordine superiore, e tanto i funzionari quanto gli abitanti in
grado di emigrare si erano ritirati a Kamsk, al centro della Baraba.
Michele Strogoff dovette dunque rassegnarsi a passare la notte a
Elamsk, per concedere al suo cavallo dodici ore di riposo. Ricordava
le raccomandazioni che aveva ricevuto a Mosca: attraversare in
incognito la Siberia, arrivare al pi presto a Irkutsk, ma non
sacrificare in alcun modo la riuscita dell'impresa alla rapiditdel
viaggio; per conseguenza, egli doveva avere cura dell'unico mezzo di
trasporto che gli restava.
Il giorno dopo, Michele Strogoff partda Elamsk nel momento in cui
erano segnalati i primi esploratori tartari, dieci verste pi indietro, sulla strada della Baraba, e si lanciava di nuovo attraverso
la contrada paludosa. La strada era pianeggiante, e cila rendeva pi facile, ma era tortuosa, e questo la allungava. Impossibile, del
resto, lasciare la strada per correre in linea retta attraverso
l'inestricabile rete di stagni e di fossati.
Il giorno seguente, primo agosto, centoventi verste piavanti,
Michele Strogoff arrivava verso mezzodal borgo di Spaskoije, e alle
due si fermava a quello di Pokrovskoije.
Il suo cavallo, stremato dopo la partenza da Elamsk, non avrebbe
potuto fare un passo in pi
Qui, Michele Strogoff dovette sacrificare ancora, per un riposo
forzato, la fine di quella giornata e tutta la notte; ma, ripartito
l'indomani mattina, sempre galoppando attraverso il suolo mezzo
sommerso, il 2 agosto, alle quattro del pomeriggio, dopo una tappa di
sessantacinque verste, raggiunse Kamsk.
Il paesaggio era cambiato. La piccola borgata di Kamsk come
un'isola, accogliente e sana, nel cuore dell'inabitabile contrada. E'
situata infatti al centro della Baraba. Qui, grazie, alle bonifiche
ottenute per mezzo dell'incanalazione del Tom, affluente dell'Irtis
che passa per Kamsk, le paludi pestilenziali sono state trasformate in
pascoli della pigrande fertilit Tuttavia queste bonifiche non
hanno ancora trionfato sulle febbri, che durante l'autunno rendono
pericoloso il soggiorno in questa citt Ma ancora qui che gli
indigeni della Baraba cercano un rifugio, quando i miasmi della palude
li cacciano in altre parti della provincia.
L'emigrazione provocata dall'invasione tartara non aveva ancora
spopolata la piccola cittdi Kamsk. I suoi abitanti si ritenevano
probabilmente al sicuro al centro della Baraba, o almeno pensavano di
avere il tempo di fuggire, se erano direttamente minacciati.
Michele Strogoff, per quanto ne avesse desiderio, non pot dunque
apprendere nessuna notizia in questo luogo. A lui, piuttosto, il
governatore si sarebbe rivolto, se avesse conosciuto la vera identit del preteso mercante di Irkutsk.. Kamsk, infatti, per la sua stessa
posizione, sembrava essere fuori dal mondo siberiano e dai gravi
avvenimenti che lo sconvolgevano.
Del resto, Michele Strogoff si fece vedere poco o nulla. Non essere
visto non gli bastava pi avrebbe voluto essere invisibile.
L'esperienza del passato lo rendeva sempre picircospetto per il
presente e per l'avvenire. Cossi tenne appartato e, avendo poca
voglia di percorrere le vie della borgata, non volle neppure uscire
dall'albergo nel quale aveva preso alloggio.
Michele Strogoff avrebbe potuto trovare una vettura a Kamsk e
sostituire con un veicolo pi comodo il cavallo che lo aveva
trasportato fin da Omsk. Ma, dopo seria riflessione, ebbe timore che
l'acquisto di un "tarant跴" attirasse l'attenzione su di lui e, finch non avesse oltrepassato la linea ora occupata dai Tartari, la quale
divideva la Siberia press'a poco seguendo la valle dell'Irtis, non
voleva rischiare di dare occasione a sospetti.
Del resto, per compiere la difficile traversata della Baraba e fuggire
attraverso la palude, nel caso che qualche pericolo lo avesse
minacciato troppo da vicino, per distanziare i cavalieri lanciati al
suo inseguimento, per gettarsi, se era necessario, nel folto della
boscaglia di giunchi, un cavallo serviva evidentemente meglio di una
vettura. Pi avanti, oltrepassata Tomsk, o anche Krasnojarsk, in
qualche centro importante della Siberia occidentale, Michele Strogoff
vedrebbe ciche gli converrebbe fare.
Quanto al suo cavallo, non ci pensneppure a sostituirlo con un
altro. Si era affezionato a questo coraggioso animale. Sapeva ciche
poteva esigere da lui. Comperandolo a Omsk era stato fortunato, e il
generoso "mugik" gli aveva reso un prezioso servizio accompagnandolo
dal mastro di posta. Del resto, se Michele Strogoff s'era affezionato
al suo cavallo, il cavallo sembrava che si fosse abituato a poco a
poco alle fatiche di un tale viaggio e, a condizione di concedergli
qualche ora di riposo, il suo cavaliere sperava che avrebbe resistito
fin oltre le province invase.
Cos durante quella serata e durante la notte dal 2 al 3 agosto,
Michele Strogoff rimase confinato nel suo albergo, all'entrata della
citt albergo poco frequentato e al riparo dagli importuni e dai
curiosi. Rotto dalla fatica, si coric dopo essersi assicurato che al
suo cavallo non fosse mancato niente; ma dorm soltanto d'un sonno
intermittente. Troppi ricordi, troppe inquietudini lo assalivano a un
tempo. L'immagine della vecchia madre, quella della sua giovane e
intrepida compagna, lasciate dietro a s senza protezione, passavano
a intervalli nella sua mente e si confondevano spesso in un unico
pensiero.
Poi ripensava alla missione che aveva giurato di compiere. Ciche
aveva visto dalla sua partenza da Mosca gliene dimostrava sempre pi l'importanza. Il momento era estremamente grave, e la complicitdi
Ogareff lo rendeva ancora pipericoloso. E quando il suo sguardo
cadeva sulla lettera chiusa con il sigillo imperiale - quella
lettera, che senza dubbio conteneva il rimedio a tanti mali, la
salvezza di tutto quel paese sconvolto dalla guerra - Michele
Strogoff sentiva in se stesso come una voglia selvaggia di slanciarsi
attraverso la steppa, di compiere a volo di uccello la distanza che lo
separava da Irkutsk, d'essere un'aquila per elevarsi sopra gli
ostacoli, d'essere un uragano per passare attraverso l'aria alla
velocit di cento verste all'ora, d'arrivare finalmente in presenza
del granduca e di gridargli: 隹ltezza, da parte di Sua Maest lo
zar!
L'indomani mattina, alle sei, Michele Strogoff ripart con
l'intenzione di percorrere in quella giornata le ottanta verste (85
chilometri) che separano Kamsk e la borgata di Ubinsk. Dopo aver
percorso venti verste, ritrovle paludi della Baraba, non prosciugate
da nessun canale, e il cui suolo era sovente inondato da un piede di
acqua. Allora era difficile riconoscere la strada, ma, grazie alla sua
consumata prudenza, comp la traversata senza nessun incidente
notevole.
Michele Strogoff, arrivato a Ubinsk, lasciriposare il suo cavallo
per tutta la notte, perchvoleva, nella giornata seguente, compiere
senza tappe le cento verste che corrono tra Ubinsk e Ikulskoije. Part quindi all'alba, ma sfortunatamente, in quella zona il suolo della
Baraba diventsempre piimpraticabile.
Infatti, tra Ubinsk e Kamakova, le piogge, che erano cadute molto
abbondanti alcune settimane prima, s'erano depositate su questa lieve
depressione come in una conca impermeabile. Non c'era neppure pi soluzione di continuitin quell'interminabile rete di fossati, stagni
e laghi. Uno di questi laghi - abbastanza grande per avere meritato
d'essere annoverato nella nomenclatura geografica, - lo Ciang, dal
nome cinese, dovette essere costeggiato per una larghezza di oltre
venti verste e a prezzo di difficoltimmense. Percivi fu qualche
ritardo, che nonostante tutta l'impazienza di Michele Strogoff non si
potevitare. Del resto, aveva pensato bene a non prendere una vettura
a Kamsk, perch il suo cavallo passldove nessun veicolo avrebbe
potuto passare.
Alla sera Michele Strogoff, arrivato a Ikulskoije, alle nove, si ferm tutta la notte. In quel borgo sperduto della Baraba, le notizie della
guerra non erano giunte affatto. Per la sua stessa natura, questa
parte della provincia, situata nella biforcazione delle due colonne
tartare, dirette l'una verso Omsk e l'altra verso Tomsk, era rimasta
esente finora dagli orrori dell'invasione.
Ma le difficoltnaturali andavano finalmente diminuendo, e cos se
non fosse intervenuto nessun ritardo, Michele Strogoff avrebbe potuto,
nella giornata seguente, uscire dalla Baraba. Avrebbe trovato allora
una strada praticabile, dopo aver percorso le centoventicinque verste
(133 chilometri) che ancora lo separavano da Kolivan.
Arrivato a questo importante centro, gli sarebbe rimasta altrettanta
strada per arrivare a Tomsk. Avrebbe preso allora consiglio dalle
circostanze, e molto probabilmente avrebbe deciso di aggirare questa
citt occupata da Feofar Khan, se le notizie erano esatte.
Questi agglomerati, come Ikulskoije e Karguinsk che egli attraversil
giorno seguente, erano relativamente tranquilli, grazie alla loro
posizione nella Baraba, dove le colonne tartare avrebbero manovrato
con difficolt ma non c'era forse il pericolo che sulle rive pi prosperose dell'Ob, non avendo pi da temere ostacoli di natura
fisica, Michele Strogoff avesse invece da temerli dagli uomini? Questo
era probabile. Tuttavia, se fosse stato necessario, egli non avrebbe
esitato a gettarsi fuori della strada di Irkutsk. A viaggiare allora
attraverso la steppa, avrebbe evidentemente rischiato di rimanere
senza risorse. Qui, infatti, non ci sono pistrade tracciate, n citt nvillaggi. Appena qualche casolare isolato, o semplici isbe
di poveri contadini, ospitali senza dubbio, ma forniti se no del
necessario! Comunque non c'era da perdere tempo.
Finalmente, verso le tre e mezzo del pomeriggio, dopo aver
oltrepassato la stazione di Kargatsk, Michele Strogoff uscdalle
ultime depressioni della Baraba, e il terreno solido e secco del
territorio siberiano torna risuonare di nuovo sotto gli zoccoli del
suo cavallo.
Era partito da Mosca il 15 luglio. Perci quel giorno, 5 agosto,
comprendendo le settanta ore abbondanti perdute sulle rive dell'Irtis,
si compivan ventun giorni dalla partenza.
Millecinquecento verste lo separavano ancora da Irkutsk.
















16. UN ULTIMO SFORZO.

Michele Strogoff aveva ragione di temere qualche cattivo incontro in
quelle pianure che si estendevano al di l della Baraba. I campi,
calpestati dagli zoccoli dei cavalli, lasciavano scorgere che i
Tartari vi erano passati, e di questi barbari si poteva dire ci che
fu detto dei Turchi: "Dove passa il Turco, non cresce pierba!".
Michele Strogoff doveva dunque prendere le piminuziose precauzioni
attraversando questa contrada. Colonne di fumo che si innalzavano
all'orizzonte indicavano che i borghi e i casolari bruciavano ancora.
Ma questi incendi erano stati forse appiccati dall'avanguardia, oppure
dall'esercito dell'emiro giavanzato fino agli estremi confini della
provincia? Feofar Khan si trovava di persona nel governatorato del
Jeniseisk? Michele Strogoff non lo sapeva, e non poteva decidere
niente prima di essere certo a questo riguardo. Il paese sardunque
talmente spopolato da non trovare pi un solo siberiano al quale
chiedere informazioni?
Michele Strogoff percorse dieci verste sulla strada completamente
deserta. Cercava con lo sguardo, a destra e a sinistra, qualche casa
che non fosse abbandonata. Tutte quelle che vide erano vuote.
Peruna capanna, che scorse tra gli alberi, fumava ancora. Quando si
avvicin a qualche passo dai resti dell'abitazione, vide un vecchio
circondato da bambini che piangevano. Una donna ancora giovane, senza
dubbio sua figlia e madre di quei piccoli, inginocchiata al suolo,
guardava con occhi smarriti quella scena di desolazione. Allattava un
bambino di pochi mesi, al quale il suo latte sarebbe ben presto venuto
meno. Tutto, attorno a quella famiglia, era distruzione e miseria!
Michele Strogoff si avvicinal vecchio.
- Puoi rispondermi? - gli disse con voce calma.
- Parla - rispose il vecchio.
- I Tartari sono passati di qui?
- S poichla mia casa in fiamme!
- Era un esercito o un distaccamento?
- Un esercito, poichfin dove il tuo occhio pu vedere, i nostri
campi sono devastati!
- Al comando dell'emiro?...
- Dell'emiro, poichle acque dell'Ob sono diventate rosse!
- E Feofar Khan entrato a Tomsk?
- A Tomsk.
- Sai se i Tartari si sono impadroniti di Kolivan?
- No, poichKolivan non brucia ancora!
- Grazie, amico. Posso fare qualcosa per te e per i tuoi?
- Nulla.
- Arrivederci.
- Addio.
E Michele Strogoff dopo aver lasciato cadere venticinque rubli in
grembo alla sventurata donna, che non ebbe neppure la forza di
ringraziare, incitil suo cavallo e riprese la marcia, interrotta per
un istante.
Sapeva ora una cosa: che ad ogni costo doveva evitare di passare per
Tomsk. Andare a Kolivan, dove i Tartari non erano ancora passati, era
possibile. Rifornirsi per una lunga tappa, era quanto gli restava da
fare. Lanciarsi poi fuori della strada di Irkutsk per aggirare Tomsk,
dopo avere attraversato l'Ob, era l'unica soluzione da prendere.
Deciso questo nuovo itinerario, Michele Strogoff non doveva esitare un
istante. Non esite, imponendo al suo cavallo un'andatura veloce e
regolare, segula strada diritta che portava sulla riva destra
dell'Ob, dal quale distava ancora quaranta verste. Avrebbe trovato
laggiun traghetto, oppure, se i Tartari avevano distrutto i battelli
del fiume, avrebbe dovuto attraversarlo a nuoto? Si sarebbe visto il
da farsi sul luogo.
Quanto al suo cavallo, ormai spossato, Michele Strogoff, dopo avergli
chiesto quanto gli restava ancora di forze per quest'ultima tappa,
avrebbe cercato di sostituirlo con un altro a Kolivan. Sentiva che tra
poco il povero animale sarebbe crollato sotto di lui. Kolivan doveva
dunque rappresentare un nuovo punto di avvio, perch a partire da
questa citt il suo viaggio si sarebbe effettuato in condizioni
nuove. Fin che percorreva il paese devastato, le difficoltsarebbero
state ancora grandi, ma se, dopo avere evitato Tomsk, egli avesse
potuto riprendere la strada di Irkutsk attraverso la provincia del
Jeniseisk non ancora devastata dagli invasori, avrebbe raggiunto la
sua meta entro pochi giorni.
Era scesa la notte, dopo una giornata molto calda. A mezzanotte
l'oscurit profonda avvolgeva la steppa. Il vento, completamente
caduto al tramonto, lasciava l'atmosfera in una calma assoluta. Unico
rumore era lo scalpitio del cavallo che risuonava sulla via deserta, e
le parole con le quali lo incoraggiava. In mezzo a quelle tenebre,
occorreva molta attenzione per non uscire dalla strada, fiancheggiata
da stagni e da piccoli corsi d'acqua, affluenti dell'Ob.
Michele Strogoff procedeva dunque il pirapidamente possibile, ma con
una certa circospezione. Si avvaleva tanto della sua vista eccellente
che frugava le tenebre, quanto della prudenza del suo cavallo, di cui
conosceva la sagacia.
A un certo punto Michele Strogoff, smontato di sella per riconoscere
con esattezza il tracciato della strada, ebbe l'impressione di sentire
un rumore confuso provenire dall'ovest. Era come il rumore di una
cavalcata lontana sulla terra secca. Non c'era dubbio. Alla distanza
di una o due verste piindietro, si udiva una certa cadenza di passi
che battevano il suolo con regolarit
Michele Strogoff ascoltcon maggiore attenzione, dopo avere posato
l'orecchio al centro della strada.
亟' uno squadrone di cavalieri che vengono dalla strada di Omsk-
pens - Marciano svelti, perchlo scalpitio aumenta. Sono Russi o
Tartari?
Michele Strogoff ascoltancora.
俟 - disse, - questi cavalli avanzano di buon trotto: entro dieci
minuti saranno qui: il mio cavallo non potrebbe distanziarli. Se sono
Russi, mi unira loro. Se sono Tartari bisogna evitarli. Ma come?
Dove nascondermi in questa steppa?
Michele Strogoff si guardattorno, e il suo occhio penetrante scopr una massa che si profilava confusamente nell'ombra, a un centinaio di
passi piavanti, sulla sinistra.
青'un bosco ceduo - pens - Cercarvi rifugio, significa forse
rischiare di essere preso, se quei cavalieri lo perlustrano, ma non ho
scelta. Eccoli! eccoli!
Qualche istante dopo, Michele Strogoff, tirando il suo cavallo per la
briglia, arriva un boschetto di larici, al quale si accedeva dalla
strada. Questa non era costeggiata da piante, e si snodava fra
depressioni e stagni, delimitati da bassi cespugli di ginestre e di
eriche. Ai due lati il terreno era dunque assolutamente impraticabile,
sicch lo squadrone doveva necessariamente passare davanti a questa
macchia, poichseguiva la grande strada di Irkutsk.
Michele Strogoff si gettal coperto sotto le ginestre e, inoltratosi
per una quarantina di passi, si fermdavanti a un corso d'acqua, che
limitava quella macchia come una cinta semicircolare.
Ma l'ombra era tanto fitta, che Michele Strogoff non correva pericolo
di essere visto, a meno che quella macchia non venisse minuziosamente
perlustrata. Condusse quindi il suo cavallo fino al corso dell'acqua e
lo lega una pianta, poi tornad appostarsi sul limite del bosco,
per vedere di che si trattava.
Michele Strogoff s'era appena appostato dietro un cespuglio di larice,
quando scorse un chiarore molto confuso, nel quale si distinguevano
qua e ldei punti luminosi che si agitavano nell'ombra.
俊orce!pens
Si ritirimmediatamente, scivolando come un selvaggio nella parte pi folta della macchia.
Avvicinandosi al bosco, il trotto dei cavalli comincia rallentare.
Forse i cavalieri illuminavano la via con l'intenzione di frugare i
dintorni?
Michele Strogoff ne ebbe il sospetto, e istintivamente indietreggi fino alla sponda del corso d'acqua, pronto a tuffarsi, se era
necessario.
Lo squadrone, arrivato all'altezza della macchia, si ferm I
cavalieri smontarono di sella. Erano una cinquantina. Una decina di
loro portava torce che schiarivano la strada per un largo raggio.
Da certi preparativi Michele Strogoff cap che, per fortuna, lo
squadrone non pensava di perlustrare la macchia, ma di bivaccare in
quel luogo, per far riposare i cavalli e permettere agli uomini di
mangiare qualcosa.
Infatti i cavalli, liberati dalle briglie, cominciarono a pascolare
l'erba folta che tappezzava il terreno. Quanto ai cavalieri, essi si
disposero ai margini della strada e si spartirono le provvigioni dei
loro zaini.
Michele Strogoff aveva conservato tutta la sua calma e, scivolando tra
le alte eriche, cercdi vedere e di sentire.
Era un distaccamento che veniva da Omsk. Era composto di cavalieri
usbeki, predominanti in Tartaria e rassomiglianti sensibilmente ai
Mongoli. Questi uomini, di costituzione robusta, di statura superiore
alla media, di comportamento rude e selvaggio, portavano in testa il
"talpak", specie di berretto di pelliccia nera di montone, e calzavano
stivali gialli con tacchi alti e punte rialzate, come le scarpe del
Medioevo. La loro casacca, fatta di indiana ovattata con cotone crudo,
era stretta alla vita da una cintura di cuoio bordata di rosso. Come
arma difensiva portavano uno scudo, e come arma offensiva una corta
sciabola, un lungo coltellaccio e un fucile a pietra focaia, appeso
all'arcione della sella. Sulle loro spalle sventolava un mantello di
feltro dai colori vivaci.
I cavalli, che pascolavano in piena libertsul limite del bosco,
erano di razza usbeka, come gli uomini che li montavano. Lo si vedeva
perfettamente alla luce delle torce, che proiettavano un chiarore vivo
sui rami dei larici. Quei quadrupedi, un poco pipiccoli dei cavalli
turcomanni, ma dotati d'una forza notevole, sono animali di fondo che
non conoscono altra andatura se non quella del galoppo. Il
distaccamento era comandato da un "pengia-basci", cio da un
comandante di cinquanta uomini, che aveva ai suoi ordini un "deh-
basci" semplice comandante di dieci uomini. Questi due ufficiali
indossavano un casco e una mezza cotta di maglia, e portavano piccole
trombe attaccate all'arcione della loro sella, come segno distintivo
del loro grado.
Il "pengia-basci" aveva dovuto lasciar riposare i suoi uomini, stanchi
per una lunga tappa. Ora egli e il secondo ufficiale discutevano e
fumavano il "beng", foglia di canapa che costituisce la base
dell'"hascish" di cui gli asiatici fanno largo uso; essi passeggiavano
nel bosco, in maniera che Michele Strogoff, senza essere visto, pot tentare di capire la loro conversazione, perch si esprimevano in
lingua tartara.
Fin dalle prime parole di quella conversazione, la curiositdi
Michele Strogoff fu straordinariamente eccitata
Infatti vi si parlava proprio di lui.
- Questo corriere non dovrebbe avere molto vantaggio su di noi disse
il "pengia-basci" - e, d'altra parte, assolutamente impossibile
che abbia preso un'altra strada all'infuori di quella della Baraba.
- Chissse partito da Omsk? - domandil "deh-basci". - Che sia
ancora nascosto in qualche casa della citt
- Sarebbe veramente da augurarselo! Il colonnello Ogareff non avrebbe
pida temere che i dispacci, che questo corriere porta evidentemente
con s giungano a destinazione!
- Si dice che sia un uomo del paese, un siberiano - riprese il "deh-
basci". - Come tale, deve conoscere la contrada, ed possibile che
abbia lasciato la strada di Irkutsk, per raggiungerla poi piavanti.
- Ma allora noi saremmo in vantaggio su di lui - rispose il "pengia-
basci", - perchabbiamo lasciato Omsk meno di un'ora dopo la sua
partenza, e abbiamo seguito la strada pi corta e con tutta la
velocitdei nostri cavalli. Dunque, o rimasto a Omsk, oppure noi
arriveremo a Tomsk prima di lui, in maniera da tagliargli la ritirata,
e in ambedue i casi non arrivera Irkutsk.
- Una donna coraggiosa, quella vecchia siberiana, che evidentemente sua madre! - disse il "deh-basci".
A queste parole, Michele Strogoff sentil suo cuore battergli fino
allo spasimo.
- S - rispose il "pengia-basci", - lei ha sostenuto che il
presunto mercante non era suo figlio, ma era troppo tardi, il
colonnello Ogareff non ci cascato e, come ha detto, saprlui farla
parlare quella vecchia strega, quando sarvenuto il momento.
Ogni parola era un colpo di pugnale per Michele Strogoff. Egli era
stato riconosciuto per un corriere dello zar! Uno squadrone di
cavalleria, lanciato al suo inseguimento, sarebbe certamente riuscito
a tagliargli la strada! E, supremo dolore!, sua madre era nelle mani
dei Tartari, e il crudele Ogareff si riprometteva di farla parlare
quando avesse voluto!
Michele Strogoff sapeva che l'energica siberiana non avrebbe parlato e
che questo le sarebbe costata la vita!...
Michele Strogoff non credeva di poter odiare Ivan Ogareff pi di
quanto l'aveva odiato fino a quel momento, e tuttavia un'ondata di
nuova avversione gli invase il cuore. L'infame che tradiva il suo
paese, minacciava ora di torturare sua madre!
La conversazione continutra i due ufficiali, e Michele Strogoff ebbe
modo di capire che nei dintorni di Kolivan era imminente uno scontro
fra le truppe moscovite, che venivano dal nord e le truppe tartare. Un
esiguo corpo russo di duemila uomini, segnalato sul corso inferiore
dell'Ob, avanzava a marce forzate verso Tomsk. Se avveniva lo scontro,
questo corpo, che si sarebbe trovato di fronte al grosso delle truppe
di Feofar Khan, sarebbe stato sicuramente annientato, e la strada di
Irkutsk sarebbe completamente caduta in mano agli invasori.
Sul proprio conto, Michele Strogoff capda alcune parole del "pengia-
basci" che sulla sua testa pesava una taglia, e che era stato dato
l'ordine di prenderlo, vivo o morto.
Dunque, era assolutamente necessario avvantaggiarsi sui cavalieri
usbeki nella strada di Irkutsk e mettere l'Ob tra lui e loro. Ma, per
fare questo, era necessario fuggire prima che essi levassero il
bivacco.
Presa questa decisione, Michele Strogoff si preparad eseguirla.
La sosta infatti non si sarebbe prolungata, e il "pengia-basci" non
contava di dare ai suoi uomini pidi un'ora di riposo, benchi loro
cavalli non fossero pistati sostituiti con altri freschi fin dalla
partenza da Omsk, e fossero quindi stanchi nella stessa misura e per
le stesse ragioni che era stanco quello di Michele Strogoff.
Non c'era dunque un istante da perdere. Era l'una del mattino.
Bisognava approfittare dell'oscurit che sarebbe stata ben presto
diradata dall'alba, per uscire dalla macchia e lanciarsi sulla strada;
ma, sebbene la notte potesse favorire la fuga, la riuscita di una tale
impresa sembrava quasi impossibile.
Michele Strogoff, non volendo lasciare nulla al caso, prese il tempo
per riflettere e pens attentamente alle probabilit favorevoli e
contrarie, al fine di cogliere le migliori a servizio del proprio
gioco.
Dalla configurazione dei luoghi risultava questo: non avrebbe potuto
fuggire attraverso l'entroterra del bosco, chiuso da un arco di larici
nani la cui corda era rappresentata dalla grande strada. Il corso
dell'acqua che delimitava questo arco era non soltanto profondo, ma
molto largo e melmoso. Grandi giunchi ne rendevano la traversata
assolutamente impossibile. Sotto quest'acqua torbida, si sentiva un
fondo limaccioso, sul quale il piede non poteva trovare appoggio.
Inoltre, al di ldel corso d acqua, il suolo irto di cespugli
difficilmente si sarebbe presentato alle manovre di una fuga rapida.
Una volta dato l'allarme, Michele Strogoff, inseguito ad oltranza, e
ben presto raggiunto, sarebbe sicuramente caduto nelle mani dei
cavalieri tartari.
Non c'era dunque che una via praticabile, una sola, la grande strada.
Cercare di raggiungerla seguendo il bordo della macchia e, senza
richiamare l'attenzione, percorrere almeno un quarto di versta prima
di essere visto; chiedere al suo cavallo ciche gli rimaneva ancora
di energia e di vigore, dovesse pur cadere morto arrivato sulle rive
dell'Ob; poi, sia con un traghetto sia a nuoto, se non c'era nessun
altro mezzo, attraversare l'imponente fiume: ecco che cosa doveva
tentare Michele Strogoff.
La sua energia, il suo coraggio s'erano dieci volte moltiplicati di
fronte al pericolo. Ne andava di mezzo la sua vita, la sua missione,
l'onore del suo paese, forse la salvezza di sua madre. Non poteva
esitare, e si mise all'opera.
Non c'era piun solo istante da perdere. Gi si notava un certo
movimento tra gli uomini del distaccamento. Alcuni cavalieri andavano
e venivano sul margine della strada, davanti al limite del bosco. Gli
altri erano ancora accovacciati ai piedi dei cespugli, ma i loro
cavalli, si radunavano a poco a poco verso la parte centrale della
macchia.
Michele Strogoff ebbe dapprima l'idea d'impadronirsi di uno di quei
cavalli, ma penscon ragione che dovevano essere altrettanto stanchi
quanto il suo. Era meglio dunque fidarsi di quello di cui era sicuro,
e che gli aveva reso tanti preziosi servizi. La coraggiosa bestia,
nascosta da un folto cespuglio di eriche, era sfuggita agli sguardi
degli usbeki. Costoro, del resto, s'erano inoltrati fino al limite del
bosco.
Michele Strogoff, strisciando sull'erba, si avvicinal suo cavallo,
che era coricato al suolo. Lo accarezz con la mano, gli parl sottovoce, riusca farlo alzare senza rumore.
In quel momento, circostanza favorevole, le torce, completamente
consumate, si erano spente, e l'oscuritrimaneva ancora abbastanza
profonda, almeno al coperto dei larici.
Michele Strogoff, dopo aver rimesso il morso, stretto la cinghia della
sella, adattato la cinghia delle staffe, comincia tirare pian piano
il suo cavallo per la briglia. Del resto, l'intelligente animale, come
se avesse capito ci che il suo padrone voleva da lui, lo segu docilmente, senza il minimo nitrito.
Alcuni cavalli usbeki tuttavia sollevarono la testa e si diressero
lentamente verso il limite della macchia.
Michele Strogoff teneva con la mano destra la pistola, pronto a far
saltare le cervella al primo cavaliere tartaro che si avvicinasse. Ma,
per fortuna, nessuno se ne accorse, ed egli riusc a raggiungere
l'angolo che il bosco faceva sulla destra, ricongiungendosi con la
strada.
L'intenzione di Michele Strogoff era di mettersi in sella il pitardi
possibile, per evitare di essere visto, e soltanto dopo avere
oltrepassato una curva, che si trovava a duecento passi dalla macchia,
saltare in groppa al cavallo.
Sfortunatamente, nell'istante in cui Michele Strogoff stava per
superare il limite della macchia, il cavallo di un usbeko, fiutandolo,
nitre si lancisulla strada.
Il suo cavaliere gli corse appresso per riprenderlo, ma, scorgendo una
sagoma che si stagliava confusamente nel primo chiarore dell'alba,
grid
- Allarme!
A quel grido tutti gli uomini del bivacco si alzarono e si
precipitarono sulla strada.
A Michele Strogoff non restava altro da fare che inforcare il suo
cavallo e fuggire al galoppo.
I due ufficiali del distaccamento s'erano portati in testa allo
squadrone incitando i loro uomini.
Ma ormai Michele Strogoff era in sella.
In quel momento si sent uno sparo, e una pallottola che gli
trapassava la casacca.
Senza girare la testa, senza rispondere, spron il cavallo e,
superando il limite della macchia con un salto prodigioso, si lancia
briglia sciolta in direzione dell'Ob.
Siccome i cavalli usbeki erano ancora privi di finimenti, egli poteva
prendere un certo vantaggio sui cavalieri del distaccamento; ma questi
non avrebbero tardato a lanciarsi all'inseguimento, e infatti, meno di
dieci minuti dopo, ch'egli era uscito dal bosco, sentlo scalpitio di
molti cavalli che, a poco a poco, accorciavano la distanza.
Cominciava a farsi chiaro, e gli oggetti diventavano visibili su un
raggio pilargo.
Michele Strogoff, girandosi indietro, vide un cavaliere che si
avvicinava rapidamente.
Era il "deh-basci". Quest'ufficiale, che cavalcava uno dei migliori
animali, era in testa allo squadrone e minacciava di raggiungere il
fuggitivo.
Senza fermarsi, Michele Strogoff puntla pistola e, con mano ferma,
prese la mira. L'ufficiale usbeko, colpito in pieno petto, rotolal
suolo.
Ma gli altri cavalieri lo seguivano da vicino, e, senza attardarsi
presso il "deh-basci", anzi incitandosi col loro stesso vociare e
affondando gli speroni nei fianchi dei loro cavalli, accorciavano a
poco a poco la distanza che li separava da Michele Strogoff.
Per una mezz'ora, tuttavia, il corriere riusca mantenersi fuori del
tiro delle armi tartare, ma sentiva che il suo cavallo cedeva, e
temeva che urtando in qualche ostacolo, cadesse per non pirialzarsi.
Era ormai giorno chiaro, quantunque il sole non fosse ancora apparso
sull'orizzonte.
A circa due verste pi innanzi si distingueva una linea pallida,
limitata da alberi piuttosto radi.
Era l'Ob, che scorreva da sud-ovest a nord-est, quasi a fior di terra,
e la cui vallata era costituita dalla steppa.
A diverse riprese, partirono colpi di fucile contro Michele Strogoff,
ma senza colpirlo, e a piriprese egli fu costretto a scaricare la
sua pistola su quei cavalieri, che lo serravano troppo da vicino. A
ogni colpo, un usbeko rotolava a terra, in mezzo alle grida rabbiose
dei suoi compagni.
Ma questo inseguimento non poteva risolversi che a svantaggio di
Michele Strogoff. Il suo cavallo non ne poteva pi e tuttavia riusc a portarlo fino alla riva del fiume.
Lo squadrone usbeko, in quel momento, non era che a cinquanta passi
dietro di lui.
Sull'Ob, assolutamente deserto, non c'era un traghetto nun battello
che servisse per attraversare il fiume.
- Coraggio, mio buon cavallo! - gridMichele Strogoff. - Via! Un
ultimo sforzo!
E si tuffnel fiume, che misurava in quel luogo circa mezza versta di
larghezza. Era estremamente difficile vincere la corrente, molto
rapida. Il cavallo di Michele Strogoff non toccava il fondo, dunque,
senza punta d'appoggio, doveva tagliare a nuoto la corrente impetuosa
come quella di un torrente. E tentare, per Michele Strogoff,
significava compiere un miracolo di coraggio.
I cavalieri s'erano fermati sulla riva del fiume ed esitavano a
tuffarsi.
Ma, a questo punto, il "pengia-basci", imbracciando il fucile, mir attentamente sul fuggitivo, che si trovava ormai in mezzo alla
corrente. Il colpo part e il cavallo di Michele Strogoff, colpito al
fianco s'inabisssotto il suo padrone.
Questi si sbarazzsubito delle staffe, nel momento in cui l'animale
scompariva sotto le acque del fiume. Poi, tuffandosi di proposito in
mezzo a una grandine di pallottole, raggiunse la riva destra del
fiume, e scomparve tra i canneti che crescevano sulla sponda dell'Ob.














17. VERSETTI E CANZONI.

Michele Strogoff era relativamente al sicuro. Tuttavia la sua
situazione rimaneva ancora molto difficile.
Ora che il suo fedele animale, dopo averlo servito con tanto coraggio,
aveva trovato la morte nelle acque del fiume, come avrebbe continuato
il viaggio?
Era a piedi, senza viveri, in un paese devastato dall'invasione,
battuto dagli esploratori dell'emiro, e si trovava ancora a una
distanza considerevole dalla meta che doveva raggiungere.
- Per il Cielo, arriver - disse a voce alta, rispondendo cosa
tutte le ragioni di sfiducia che la sua mente gli presentava in un
solo istante. - Dio protegge la santa Russia!
Michele Strogoff era adesso fuori dal tiro dei cavalieri usbeki.
Costoro non avevano osato inseguirlo attraverso il fiume e, del resto,
credevano che fosse annegato, perch dopo ch'era scomparso
sott'acqua, non l'avevano visto raggiungere la sponda destra dell'Ob.
Ma Michele Strogoff, nascondendosi tra gli alti canneti della riva,
aveva raggiunto un punto un po' elevato, non senza difficolt tuttavia, perch una spessa melma, depositata al tempo dello
staripamento delle acque, la rendeva poco praticabile.
Giunto su un terreno pisolido, Michele Strogoff pensche cosa gli
convenisse fare. Ci che voleva anzitutto, era di evitare Tomsk,
occupata dalle truppe tartare. Tuttavia doveva raggiungere qualche
borgata e, se poteva, qualche cambio di posta, dove si sarebbe
procurato un cavallo. Trovato quello, si sarebbe lanciato fuori dalle
strade frequentate e sarebbe ritornato sulla strada di Irkutsk solo
nei dintorni di Krasnojarsk. A partire da questo punto, se si
affrettava, sperava di trovare ancora via libera, e sarebbe sceso
verso sud-est nelle province del lago Bajkal.
Anzitutto Michele Strogoff cominciad orientarsi.
A due verste piavanti, seguendo il corso dell'Ob, in una posizione
pittoresca, una piccola cittoccupava la sommitd'una bassa collina.
Le chiese, con le cupole bizantine, colorate di verde e oro, si
profilavano sullo sfondo grigio del cielo.
Era Kolivan, dove i funzionari e gli impiegati di Kamsk e di altre
citt vanno a rifugiarsi durante l'estate, per sfuggire il clima
malsano della Baraba. Kolivan, secondo le notizie che il corriere
dello zar aveva appreso, non doveva essere ancora nelle mani degli
invasori. Le truppe tartare, divise in due colonne, s'erano dirette a
sinistra verso Omsk e a destra verso Tomsk, trascurando la zona
intermedia.
Il progetto semplice e logico formulato da Michele Strogoff, fu di
raggiungere Kolivan prima che i cavalieri usbeki, i quali risalivano
la riva sinistra dell'Ob, vi fossero arrivati. Qui, anche se avesse
dovuto pagare un prezzo dieci volte maggiore, si sarebbe procurato
degli abiti e un cavallo, e avrebbe raggiunto la strada di Irkutsk
attraverso la steppa meridionale.
Erano le tre del mattino. I dintorni di Kolivan, a quell'ora
perfettamente calmi, sembravano completamente abbandonati.
Evidentemente, la popolazione delle campagne, fuggendo all'invasione
alla quale non poteva opporre resistenza, s'era diretta a nord, nelle
province del Jeniseisk.
Michele Strogoff si diresse dunque di buon passo verso Kolivan quando
sentin lontananza delle detonazioni.
Si ferme distinse nettamente il sordo rimbombo che riempiva l'aria
e, pi acuto, un crepitio secco sulla cui natura non poteva
ingannarsi.
亟' il cannone! la fucileria!pens 侵l piccolo esercito russo si
dunque scontrato con l'esercito tartaro? Ah! voglia il Cielo che io
arrivi prima di loro a Kolivan!
Michele Strogoff non si sbagliava. Le detonazioni aumentavano e si
avvicinavano. Non era piun rumoreggiare confuso, ma un succedersi
distinto di cannonate. Nello stesso tempo, il fumo, trasportato dal
vento, si alzava nell'aria, e apparve evidente che il combattimento si
spostava rapidamente verso sud. Kolivan era certamente attaccata dalla
parte settentrionale. Ma erano i russi che la difendevano ancora
contro le truppe tartare, oppure cercavano di riprenderla ai soldati
di Feofar Khan? Questo era impossibile saperlo. Perci Michele
Strogoff era in grande imbarazzo.
Era appena a mezza versta da Kolivan, quando una vampata si sprigion tra le case della citt e il campanile di una chiesa crollin mezzo
a un marasma di polvere e di fiamme.
La battaglia si svolgeva dunque al centro di Kolivan? Michele Strogoff
dovette pensarlo e, da quanto si vedeva, era evidente che Russi e
Tartari combattevano nelle vie della citt Era dunque questo il
momento di cercarvi rifugio? Michele Strogoff non avrebbe rischiato di
esservi preso? E sarebbe poi riuscito a fuggire da Kolivan, come era
fuggito da Omsk?
Tutte queste eventualitsi presentarono alla sua mente. Esit si
fermun istante. Non era meglio, anche a piedi, raggiungere qualche
borgata, come Diascinsk o un'altra, e lprocurarsi a qualunque prezzo
un cavallo?
Questa era il solo partito buono, e subito, abbandonando la riva
dell'Ob, Michele Strogoff si diresse decisamente a destra di Kolivan.
In quel momento, le detonazioni erano estremamente violente. Ben
presto le fiamme si alzarono dalla parte sinistra della citt
L'incendio divorava tutto un quartiere di Kolivan.
Michele Strogoff correva attraverso la steppa, cercando di mettersi al
coperto sotto qualche albero, sparso qua e l quando un distaccamento
di cavalleria tartara comparve sulla destra.
Michele Strogoff non poteva pi continuare a fuggire in quella
direzione. I cavalieri avanzavano rapidamente verso la citt e gli
sarebbe stato difficile evitarlo.
D'improvviso, a un lato di una folta macchia d'alberi, vide una casa
isolata, che poteva raggiungere senza essere visto.
Corrervi, nascondervisi, chiedervi asilo, prendervi qualcosa per
ristorarsi, perchera sfinito dalla fatica e dalla fame: Michele
Strogoff non aveva altro da fare.
Si precipitdunque verso quella casa, distante al massimo una mezza
versta. Avvicinandosi, capche quella era un ufficio telegrafico. Due
fili partivano l'uno in direzione ovest, l'altro in direzione est, e
un terzo verso Kolivan.
Si doveva supporre che quella stazione fosse abbandonata, in simili
circostanze; ma Michele Strogoff avrebbe almeno potuto rifugiarvisi e
attendere la notte, se era necessario, per lanciarsi poi di nuovo
attraverso la steppa, battuta dagli esploratori tartari.
Michele Strogoff corse verso la porta e l'aprcon violenza.
Una sola persona si trovava nella sala dove si effettuavano le
trasmissioni telegrafiche.
Era un impiegato, calmo, flemmatico, indifferente a tutto quanto
capitava di fuori. Fedele al suo impiego, aspettava dietro lo
sportello che il pubblico richiedesse il suo servizio.
Michele Strogoff corse verso di lui, e con voce rotta dalla fatica,
domand
- Cosa sapete?
- Nulla - rispose l'impiegato sorridendo.
- E' uno scontro tra Russi e Tartari?
- Si dice.
- Ma chi vince?
- Non lo so.
Tanta flemma in mezzo a quelle terribili circostanze, tanta
indifferenza era addirittura incredibile.
- E la linea interrotta? - domandMichele Strogoff.
- E' interrotta tra Kolivan e Krasnojarsk, ma funziona ancora tra
Kolivan e la frontiera russa.
- Per il governo?
- Per il governo, quando lo ritiene opportuno. Per il pubblico quando
paga. Dieci copechi per parola. Volete servirvi, signore?
Michele Strogoff stava per rispondere a quell'impareggiabile impiegato
che egli non aveva nessun dispaccio da spedire, ma chiedeva soltanto
un pezzo di pane e un po' d'acqua, quando la porta della stanza fu
aperta bruscamente.
Michele Strogoff, credendo che l'ufficio fosse invaso dai Tartari, si
apprestava a saltare dalla finestra, quando vide che nella sala erano
entrati soltanto due uomini, i quali non avevano nient'affatto la
grinta soldati tartari.
Uno dei due teneva in mano un dispaccio scritto a matita e, precedendo
l'altro, si precipitallo sportello dell'impassibile impiegato.
In quei due uomini Michele Strogoff riconobbe, con la meraviglia che
ognuno comprender due personaggi ai quali non pensava assolutamente
e che non credeva di rivedere mai pi
Erano i giornalisti Harry Blount e Alcide Jolivet, non pi compagni
viaggio, ma rivali, ma nemici, ora che operavano sul campo di
battaglia.
Erano partiti da Iscim soltanto qualche ora dopo la partenza di
Strogoff e, se erano arrivati prima di lui a Kolivan seguendo la
stessa strada o se lo avevano anche preceduto, era perch Michele
Strogoff aveva perduto tre giorni sulle rive dell'Irtis.
E ora, dopo avere assistito tutti e due allo scontro tra Russi e
Tartari alle porte della citt dopo aver lasciato Kolivan mentre la
lotta si accaniva nelle sue strade, erano corsi alla stazione
telegrafica, per lanciare all'Europa i loro dispacci rivali e per
contendersi il primato delle informazioni.
Michele Strogoff s'era messo in disparte, nell'ombra, e, senza esse
visto, poteva vedere tutto e sentire tutto. Avrebbe appreso notizie
interessanti per lui e saputo se doveva o no entrare a Kolivan.
Harry Blount, pisvelto del suo collega, si era impossessato dello
sportello e consegnava il suo dispaccio, mentre Alcide Jolivet,
contrariamente alle sue abitudini, pestava i piedi per l'impazienza.
- Dieci copechi a parola - disse l'impiegato prendendo il dispaccio.
Harry Blount deposit sulla tavoletta una bella colonnina di rubli,
che il suo collega guardcon un certo stupore.
- Va bene - disse l'impiegato.
E, con la pigrande calma di questo mondo, comincia trasmettere il
seguente dispaccio:
非aily Telegraph, Londra.
Da Kolivan, governatorato di Omsk, Siberia, 6 agosto.
Scontro truppe russe e tartare...
La lettura era fatta a voce alta, e Michele Strogoff sentiva tutto ci che il corrispondente inglese trasmetteva al suo giornale.
俊ruppe russe respinte con gravi perdite. Tartari entrati oggi stesso
a Kolivan...
Qui terminava il dispaccio.
- Ora tocca a me - gridAlcide Jolivet, tentando di consegnare il
dispaccio indirizzato a sua cugina del sobborgo di Montmartre.
Ma questo non piaceva al corrispondente inglese, che non pensava
affatto di ritirarsi, per essere sempre pronto a trasmettere le
notizie, man mano che arrivavano. Non lasciquindi il posto al suo
collega.
- Ma voi avete finito!... - gridAlcide Jolivet.
- Non ho finito - rispose semplicemente Harry Blount.
E continua scrivere altre parole, che consegnsubito all'impiegato,
e questi lesse con voce tranquilla:
侵n principio Dio creil cielo e la terra...
Harry Blount telegrafava i versetti della Bibbia, per occupare il
tempo e non cedere il posto al suo rivale. Sarebbero costati forse
alcuni migliaia di rubli al suo giornale, ma il suo giornale sarebbe
stato il primo informato. La Francia poteva aspettare.
Si immagini il furore di Alcide Jolivet, che magari, in altre
circostanze, avrebbe trovato che questa guerra era interessante. Tent persino di obbligare l'impiegato a trasmettere il suo dispaccio, con
precedenza su quello del suo collega.
- Il signore nel suo diritto - rispose tranquillo l'impiegato,
indicando Harry Blount e rivolgendogli un amabile sorriso.
E continua trasmettere fedelmente al "Daily Telegraph" i primi
versetti del Libro santo.
Durante la trasmissione, Harry Blount and tranquillamente alla
finestra e, col binocolo agli occhi, osservche cosa capitava nei
dintorni di Kolivan, per completare le sue informazioni.
Alcuni istanti dopo, riprese il suo posto allo sportello e aggiunse al
suo telegramma:
非ue chiese sono in fiamme. L'incendio pare avanzi sulla destra... La
terra era una massa informe e vuota, le tenebre ricoprivano
l'abisso...
Alcide Jolivet ebbe una voglia semplicemente feroce di strangolare
l'onorevole corrispondente del "Daily Telegraph".
Interpellancora una volta l'impiegato, che, sempre impassibile, gli
rispose con la picandida semplicit
- E' nel suo diritto, signore, nel suo diritto... a dieci copechi
per parola.
E trasmise la seguente notizia dettatagli da Harry Blount:
俘ussi in fuga abbandonano la citt.. Iddio disse: Sia la luce, e
luce fu...
Alcide Jolivet smaniava.
Harry Blount era ritornato presso la finestra, ma questa volta,
distratto senza dubbio dall'interesse dello spettacolo che si svolgeva
sotto i suoi occhi, prolungun po' troppo la sua osservazione. Cos
quando l'impiegato ebbe finito di trasmettere il terzo versetto della
Bibbia, Alcide Jolivet prese quatto quatto il suo posto allo sportello
e, dopo aver deposto con delicatezza una rispettabile colonnina di
rubli sulla tavoletta, consegn il suo dispaccio, che l'impiegato
lesse a voce alta:
俑addalena Jolivet,
10, Faubourg-Montmartre (Parigi).
Da Kolivan, governatorato di Omsk, Siberia, 6 agosto.
I fuggiaschi escono dalla citt Russi battuti. Accanito inseguimento
della cavalleria tartara...
E quando Harry Blount ritorn sentAlcide Jolivet che completava il
suo telegramma canticchiando con voce ironica:
俗n pover'uomo,
in abiti grigi;
a Parigi!...
Trovando irriverente mescolare il sacro al profano, come aveva fatto
il suo collega, Alcide Jolivet rispondeva con un allegro ritornello di
B廨anger ai versetti della Bibbia.
- Aoh! - fece Harry Blount.
- E' proprio cos - rispose Alcide Jolivet.
Intanto la situazione si aggravava nei dintorni di Kolivan. La
battaglia si avvicinava, e le detonazioni scoppiavano violentissime.
In quel momento, uno schianto scosse l'ufficio telegrafico.
Un obice aveva bucato il muro, e una nube di polvere riempiva la sala
delle trasmissioni.
Alcide Jolivet terminava allora di scrivere questi versi:
促affuto come una mela,
Senza il becco d'un quattrino...
ma fermarsi, precipitarsi sull'obice, prenderlo a due mani prima che
scoppiasse, buttarlo dalla finestra e ritornare allo sportello, fu per
lui tutt'uno.
Cinque secondi dopo, l'obice scoppiava all'esterno.
Ma, continuando a compilare il suo telegramma con la pistraordinaria
calma del mondo, Alcide Jolivet scrisse:
保bice da sei ha fatto crollare il muro dell'ufficio telegrafico. Ne
aspettiamo altri dello stesso calibro...
Per Michele Strogoff, non c'era pi dubbio che i russi fossero
respinti da Kolivan. La sua ultima risorsa era dunque lanciarsi
attraverso la steppa meridionale.
Ma una terribile scarica di fucileria vicino alla stazione
telegrafica, e una grandine di pallottole mandin frantumi i vetri
della finestra.
Harry Blount, colpito a una spalla, cadde a terra.
Alcide Jolivet in quel momento stava trasmettendo questo supplemento
al dispaccio:
信arry Blount, corrispondente del "Daily Telegraph", caduto al mio
fianco, colpito da una scarica di mitraglia...
Quando l'impassibile impiegato, con la sua calma inalterabile, gli
disse:
- Signore, la linea interrotta.
Quindi, lasciato lo sportello, prese tranquillamente il suo cappello,
lo spolvercon la manica e, sempre sorridente, uscda una porticina
che Michele Strogoff non aveva vista.
L'ufficio fu allora invaso da soldati tartari, e nMichele Strogoff
ni giornalisti ebbero il tempo di effettuare la loro ritirata.
Alcide Jolivet, tenendo ancora in mano il suo inutile dispaccio, s'era
precipitato verso Harry Blount steso al suolo e, da uomo di buon cuore
qual era, se lo caricsulle spalle, nell'intenzione di fuggire con
lui... Troppo tardi!
Erano tutti e due prigionieri, e nello stesso istante anche Michele
Strogoff, sorpreso all'improvviso mentre si lanciava dalla finestra,
cadeva nelle mani dei Tartari.






PARTE SECONDA.


1. UN ACCAMPAMENTO TARTARO.

A una giornata di cammino da Kolivan, alcune verste dopo la borgata di
Diascinsk, s'estende una vasta pianura con alcuni alberi d'alto fusto,
specialmente pini e cedri.
Questa parte della steppa, durante la stagione calda, ordinariamente
popolata da pastori siberiani e fornisce pascoli sufficienti ai loro
numerosi greggi. Ma in quel periodo vi si sarebbe cercato inutilmente
uno solo di quegli abitanti nomadi. Tuttavia la pianura non era
deserta. Al contrario, presentava una straordinaria animazione.
Qui, infatti, i Tartari avevano piantato le tende, qui si era
accampato Feofar Khan, il feroce emiro di Buchara, e qui il giorno
seguente, 7 agosto, furono condotti i prigionieri catturati a Kolivan,
dopo l'annientamento del piccolo esercito russo. Di quei duemila
uomini, che s'erano scontrati con le due colonne nemiche rifornite
contemporaneamente da Omsk e da Tomsk, non restavano che poche
centinaia di soldati. Dunque le cose prendevano una cattiva piega, e
il governo imperiale sembrava essere compromesso oltre la frontiera
degli Urali, almeno per il momento, perchi Russi avrebbero respinto
presto o tardi quelle orde di invasori. Ma intanto l'invasione aveva
raggiunto il centro della Siberia e, attraverso il paese in rivolta,
si propagava tanto nelle province dell'ovest quanto in quelle
dell'est. Irkutsk era ormai tagliata fuori da ogni comunicazione con
l'Europa. Se le truppe dell'Amure e della provincia di Irkutsk non
arrivavano in tempo per difenderla, questa capitale della Russia
asiatica, rimasta con una difesa insufficiente, sarebbe caduta nelle
mani dei Tartari e, prima che fosse liberata, il granduca, fratello
dell'imperatore, avrebbe subito la vendetta di Ivan Ogareff.
Che cosa faceva Michele Strogoff? Cedeva alla fine sotto il peso di
tante prove? Si considerava vinto da questa serie di circostanze
sfortunate, che, dopo l'avventura di Iscim, erano andate sempre
peggiorando? Considerava la partita ormai perduta, la sua missione
fallita, il suo mandato impossibile a compiersi?
Michele Strogoff era uno di quegli uomini che non si fermano se non il
giorno in cui cadono morti. Ora invece era vivo, non era neppure
ferito, la lettera imperiale era sempre nella sua tasca, il suo
incognito non era stato svelato. Senza dubbio egli era nel numero dei
prigionieri che i Tartari mandavano avanti come un branco di bestiame;
ma, avvicinandosi a Tomsk, egli si avvicinava anche a Irkutsk. Infine,
precedeva sempre Ivan Ogareff.
隹rrivercontinuava a ripetere a se stesso.
E, dopo i fatti di Kolivan, tutta la sua vita si concentrin questo
unico pensiero: ritornare libero! Come sarebbe sfuggito ai soldati
dell'emiro? L'avrebbe visto al momento buono.
L'accampamento di Feofar presentava uno spettacolo imponente. Numerose
tende, fatte di pelli, di feltro e di tessuti di seta, assumevano vari
colori sotto i raggi del sole. Le lunghe nappe, innalzate sulle
sommit coniche, dondolavano in mezzo ai gagliardetti, ai labari e
agli stendardi multicolori. Le pi ricche tra queste tende
appartenevano al seguito e ai "khogia", che sono i personaggi pi importanti del khanato. Una bandiera speciale ornata di una coda di
cavallo, la cui asta s'innalzava sopra un fascio di bastoni rossi e
bianchi, artisticamente intagliati, indicava l'alto rango di quei capi
tartari. Poi, su una distesa sconfinata, si elevavano nella pianura
alcune migliaia di quelle tende turcomanne, chiamate "karaij", che
erano state trasportate a dorso di cammello.
L'accampamento conteneva almeno centocinquantamila soldati, tra fanti
e cavalieri, raggruppati sotto il nome di alamani. Tra loro, quali
rappresentanti delle principali razze del Turkestan, si notavano
anzitutto i Tagiki dai tratti regolari, pelle bianca, statura alta,
occhi e capelli neri, che formavano il grosso dell'esercito tartaro, e
di cui i khanati di Kokand e di Kundus avevano fornito un contingente
quasi uguale a quello di Buchara. Ai Tagiki si mescolavano poi altri
rappresentanti delle diverse razze residenti nel Turkestan o nei paesi
confinanti. C'erano gli Usbeki, piccoli di statura, barba rossa,
rassomiglianti a quelli che si erano lanciati all'inseguimento di
Michele Strogoff. C'erano i Kirghisi, dal viso piatto come quello dei
Calmucchi, vestiti di cotte a maglia; alcuni portavano lancia, arco e
frecce di fabbricazione asiatica, altri maneggiavano la sciabola, il
fucile a miccia e il "ciakan", piccola ascia dal manico corto, che
produce soltanto ferite mortali. C'erano i Mongoli, di statura media,
capelli neri riuniti in una treccia che pendeva sul dorso, faccia
rotonda, tinta abbronzata, occhi profondi e vivaci, barba rada,
vestiti con stoffe di nankino azzurro felpate in nero, stretti da
cinturoni di cuoio con fibbie d'argento, calzati di stivali con
legacci vistosi, e coperti con berretti di seta bordati di pelliccia e
guarniti con tre nastri che sventolavano sul dorso. Infine si vedevano
anche gli Afgani, dalla pelle color bistro, gli Arabi del tipo
primitivo delle belle razze semitiche, e i Turcomanni, con gli occhi
cerchiati ai quali sembrano mancare le palpebre: erano tutti arruolati
sotto la bandiera dell'emiro, bandiera degli incendiari e dei
devastatori.
Dopo questi soldati liberi, si contava anche un certo numero di
soldati schiavi, principalmente Persiani, comandati da ufficiali della
stessa razza, e non erano certamente i meno stimati dell'esercito di
Feofar Khan.
Si aggiungano, a quelli gimenzionati, gli Ebrei addetti ai servizi,
con la tunica stretta da una corda e la testa coperta da un piccolo
berretto di stoffa scura, in luogo del turbante che a loro vietato
portare; si aggiungano i gruppi di centinaia di "kalenders", specie di
religiosi mendicanti con vesti a brandelli coperte da pelli di
leopardo, e si avr un'idea quasi completa di questi enormi
agglomerati di trib differenti, comprese sotto la denominazione
generica di eserciti tartari.
Di quei soldati, cinquantamila erano cavalieri, e i loro cavalli erano
di razze tanto varie quanto quelle degli uomini. Tra questi animali,
legati in gruppi di dieci a due corde tese parallele l'una all'altra,
con la coda annodata, la groppa coperta da una rete di seta nera, si
distinguevano i turcomanni, con gambe sottili, corpo lungo, pelo
brillante, portamento nobile del collo; gli usbeki, solide bestie di
fondo; i kokandini, capaci di portare assieme al cavaliere due tende e
una batteria da cucina; i kirghisi, dal pelo chiaro, venuti dalle rive
del fiume Emba, dove vengono catturati con l'"arcan", il laccio dei
Tartari, e molti altri prodotti di razze incrociate, che sono di
qualitinferiore.
Le bestie da soma si contavano a migliaia. C'erano cammelli di piccola
statura, ma eleganti, di pelo lungo, folta criniera ricadente sul
collo, animali docili e pifacili al maneggio dei dromedari; c'erano
i "nars" con una gobba, pellame rosso fuoco e pelo arricciato; poi gli
asini, resistenti alla fatica e la cui carne, molto apprezzata,
costituisce in parte il nutrimento dei Tartari.
Sopra tutto quell'insieme di uomini e di animali, sopra quell'immenso
agglomerato di tende, i cedri e i pini, cresciuti in boschetti
spaziosi, stendevano un'ombra fresca, rotta qua e lda uno spiraglio
di sole. Niente di pipittoresco di questo quadro, per il quale i pi ricchi coloristi avrebbero speso tutti i colori della loro tavolozza.
Quando i prigionieri raccolti a Kolivan arrivarono in vista delle
tende di Feofar e dei grandi dignitari del khanato, rullarono i
tamburi da guerra, squillarono le trombe. A questo fracasso da
stordire si aggiunse il crepitare della fucileria e il rombo pigrave
dei cannoni da quattro e da sei, che costituivano l'artiglieria
dell'emiro. L'alloggiamento di Feofar era esclusivamente militare.
Tutto ciche si poteva chiamare la sua corte privata, il suo "harem"
e quelli dei suoi alleati, erano a Tomsk, ora nelle mani dei Tartari.
Tolto l'accampamento, Tomsk diventava la residenza dell'emiro, fino al
momento in cui l'avrebbe cambiata con la capitale della Siberia
orientale.
La tenda di Feofar dominava sulle tende vicine. Drappeggiata con
larghi tessuti di seta brillante ornati di cordoni con frange d'oro,
sormontata da una folta nappa che il vento agitava come un ventaglio,
essa occupava il centro d'una vasta radura, circondata da una selva di
magnifiche betulle e di pini secolari. Davanti a questa tenda, su una
tavola laccata e incrostata di pietre preziose, s'apriva il libro
sacro del "Corano", le cui pagine erano formate da sottilissimi fogli
d'oro finemente stampati. Al di sopra sventolava la bandiera tartara,
con lo stemma dell'emiro.
Attorno alla radura si elevavano a semicerchio le tende dei grandi
funzionari di Buchara. Da una parte risiedevano il capo della
scuderia, che ha il diritto di seguire il cavallo dell'emiro fino nel
cortile del suo palazzo; il gran funzionario, l'"husc-beghi",
portatore del sigillo reale; il "topci-basci", capo supremo
dell'artiglieria; il "khogia", capo del consiglio, che riceve il bacio
del principe e pu presentarsi davanti a lui a torso nudo; lo
"sceikhul-islam", capo degli "ulemi", rappresentante dei ministri del
culto; il "casi-askev", che in assenza dell'emiro, giudica tutte le
contese sorte tra i militari; e infine il capo degli astrologhi, il
quale ha il grande compito di consultare le stelle, tutte le volte che
il khan decide di mettersi in viaggio.
Nel momento in cui i prigionieri furono introdotti all'accampamento
l'emiro era nella sua tenda. Non si fece vedere. E fu quella
indubbiamente una fortuna. Un gesto, una parola di lui sarebbe stato
forse il segnale di qualche sanguinosa esecuzione. Ma egli si trincer nel suo isolamento, che costituisce in parte la maest dei re
orientali. Si ammira chi non si fa vedere, e soprattutto lo si teme.
Quanto ai prigionieri, erano stati rinchiusi in un recinto, dove,
maltrattati, mal nutriti, esposti a tutte le intemperie del clima,
aspettavano il beneplacito di Feofar.
Michele Strogoff era il pidocile di tutti, se non il pi paziente.
Si lasciava condurre, perchlo conducevano proprio dove lui voleva
andare, e in condizioni di sicurezza che, libero, non avrebbe trovato
sulla strada da Kolivan a Tomsk. Fuggire prima di essere giunto in
questa citt significava esporsi a ricadere nelle mani degli
esploratori che battevano la steppa. La linea piorientale, occupata
in questo momento dalle colonne tartare, non andava oltre il
novantesimo meridiano che passa per Tomsk.
Dunque, passato questo meridiano, Michele Strogoff contava che sarebbe
stato fuori delle zone nemiche, che avrebbe attraversato il Jenisej
senza pericolo, e raggiunto Krasnojarsk, prima che Feofar Khan avesse
invaso la provincia.
俗na volta a Tomsk - diceva a se stesso per reprimere qualche moto
d'impazienza, che non sempre riusciva a padroneggiare - in pochi
minuti, oltrepasser gli avamposti, e se guadagnerdodici ore su
Feofar, dodici ore su Ogareff, mi basteranno per arrivare prima di
loro a Irkutsk!
Infatti, ci che Michele Strogoff temeva pidi tutto, era e doveva
essere la presenza di Ivan Ogareff all'accampamento tartaro. Oltre il
pericolo di essere riconosciuto, egli sentiva, per una specie di
istinto, che doveva soprattutto prendere vantaggio su quel traditore.
Capiva inoltre che il collegamento delle truppe di Ivan Ogareff con
quelle di Feofar avrebbe portato al completo l'effettivo dell'esercito
degli invasori e che, effettuando quel collegamento, l'esercito
avrebbe marciato compatto sulla capitale della Siberia orientale.
Percitutte le sue apprensioni provenivano da questa parte, sicchin
ogni istante egli stava in ascolto se la tromba annunciasse l'arrivo
del luogotenente dell'emiro.
A questo pensiero si aggiungeva il ricordo di sua madre, quello di
Nadia, l'una prigioniera a Omsk, l'altra rapita sulle barche
dell'Irtis e senza dubbio prigioniera anch'ella, come lo era Marfa
Strogoff. E non poteva far nulla per loro. Le avrebbe mai piviste?
Non osava rispondere a questa domanda, e il suo cuore provava una
stretta dolorosa.
Contemporaneamente a Michele Strogoff e a tanti altri prigionieri,
anche Harry Blount e Alcide Jolivet erano stati condotti
nell'accampamento tartaro. Il loro vecchio compagno di viaggio,
catturato assieme a loro nella stazione telegrafica, sapeva che erano
rinchiusi come lui in quel recinto sorvegliato da numerose sentinelle,
ma non aveva cercato di avvicinarli. Gli importava poco, in quel
momento almeno, di che cosa potessero pensare di lui dopo la faccenda
del cambio di Iscim. Del resto, voleva essere solo per agire da solo,
se gli capitava l'occasione. S'era dunque tenuto in disparte.
Alcide Jolivet, dal momento in cui il suo collega era caduto accanto a
lui, non gli aveva risparmiato le sue cure. Durante il tragitto da
Kolivan all'accampamento, ciodurante parecchie ore di cammino, Harry
Blount, appoggiato al braccio del suo rivale, aveva potuto seguire il
convoglio dei prigionieri. Egli tentdapprima di far valere il suo
diritto di suddito inglese, ma questo non gli servin nessuna maniera
di fronte ai barbari, che rispondevano soltanto a colpi di lancia o di
sciabola. Il corrispondente del "Daily Telegraph" dovette dunque
subire la sorte comune, riservandosi di reclamare pitardi e di
chiedere riparazione d'un tale trattamento. Ma quel tragitto fu
veramente penoso per lui perchla ferita lo faceva soffrire, e senza
l'aiuto di Alcide Jolivet forse non avrebbe raggiunto l'accampamento.
Alcide Jolivet, sempre sostenuto dalla sua filosofia pratica, aveva
fisicamente e moralmente riconfortato il suo collega con tutti i mezzi
a sua disposizione. Sua prima cura, quando si vide definitivamente
rinchiuso nel recinto, fu di controllare la ferita di Harry Blount.
Riusc a levargli con delicatezza gli abiti e capche la spalla era
stata appena sfiorata da una pallottola.
- Non niente - gli disse. - Un semplice graffio! Con due o tre
medicazioni, caro collega, non si vedrpiniente!
- Ma quali medicazioni?... - domandHarry Blount.
- Quelle che vi fario!
- Siete dunque un po' medico?
- Ogni francese un po' medico!
E con questa affermazione, Alcide Jolivet, strappando in due il suo
fazzoletto, ne ridusse una parte in filacce e l'altra in tampone;
prese dell'acqua a un pozzo scavato in mezzo al recinto, lavla
ferita, che per fortuna non era grave, e dispose con molta abilitil
lino bagnato sulla spalla di Harry Blount.
- Vi faccio un trattamento con acqua - gli disse. - Questo liquido
rimane ancora il sedativo pi efficace che si conosca per la cura
delle ferite, ed ora quello piin voga. I medici hanno impiegato
seimila anni a scoprirlo. Certo! seimila anni tondi.
- Vi ringrazio, signor Jolivet - rispose Harry Blount, distendendosi
su un giaciglio di foglie secche, che il suo compagno gli prepar all'ombra di una betulla.
- Bah! non c'di che. Voi fareste altrettanto al mio posto
- Non lo so... - rispose candidamente Harry Blount.
- Via, burlone! Tutti gli inglesi sono generosi!
- Senza dubbio, ma i francesi?...
- Ebbene, i francesi sono buoni, ma sono anche bestie, se volete! Ci che li redime, tuttavia, che sono francesi! Non parliamo pidi
queste cose, o meglio, se volete darmi retta, non parliamo di niente.
Il riposo vi assolutamente necessario.
Ma Harry Blount non aveva nessuna voglia di tacere. Se la ferita
richiedeva per prudenza il riposo, il corrispondente del "Daily
Telegraph" non era l'uomo che si scoraggiasse.
- Signor Jolivet, - gli domand - pensate che i nostri ultimi
dispacci abbiano passato la frontiera russa?
- E perchno? - rispose Alcide Jolivet. - A quest'ora, vi
assicuro che la mia felice cugina sa che cosa pensare circa i fatti di
Kolivan!
- E quanti esemplari tira vostra cugina dei vostri dispacci? -
domandHarry Blount, che, per la prima volta, rivolse una domanda
diretta al suo collega.
- Ecco! - rispose ridendo Alcide Jolivet. - Mia cugina una
persona molto discreta, che non ama si parli di lei, e che sarebbe
desolata se vi turbasse il sonno, di cui avete bisogno.
- Io non voglio dormire - rispose l'inglese. - Che penservostra
cugina degli affari della Russia?
- Che sembrano mettersi su una cattiva strada per il momento. Ma via!
il governo moscovita potente, non s'inquieta certo per una invasione
di barbari, e la Siberia non gli sfuggirdalle mani.
- La troppa ambizione ha perduto i pigrandi imperi! - sentenzi Harry Blount, che non era esente da una certa gelosia "inglese" nei
confronti delle pretese russe nell'Asia centrale.
- Oh! non parliamo di politica! - gridAlcide Jolivet. - E'
proibito dalla Facolt Niente di pi dannoso per le ferite alla
spalla... a meno che la politica non serva per addormentarvi!
- Parliamo allora di quello che ci resta da fare - rispose Harry
Blount. - Signor Jolivet, io non ho nessuna intenzione di rimanere
per sempre prigioniero dei Tartari.
- Neppure io, perdiana!
- Fuggiremo alla prossima occasione?
- S se non vi sono altre vie per recuperare la libert
- Ne conoscete altre? - domandHarry Blount, osservando il suo
compagno.
- Certamente! Noi non siamo belligeranti, siamo neutrali, e
reclameremo!
- Presso quel barbaro di Feofar Khan?
- No, lui non capirebbe - rispose Alcide Jolivet, - ma presso il
suo luogotenente Ivan Ogareff.
- Quello un birbante!
- Senza dubbio, ma questo birbante russo. Egli sa che non si deve
scherzare con il diritto delle genti, e non ha nessun interesse a
tenerci prigionieri; al contrario. Soltanto che, domandare qualcosa a
quel tizio, non mi va molto!
- Ma quel tizio non si trova all'accampamento; almeno, io non ce l'ho
visto - fece osservare Harry Blount.
- Ci verr Statene certo. Deve raggiungere l'emiro. La Siberia ora tagliata in due, e certamente l'esercito di Feofar attende soltanto
lui per marciare verso Irkutsk.
- E una volta liberi, cosa faremo?
- Una volta liberi, continueremo la nostra campagna e seguiremo i
Tartari, fino al momento in cui gli avvenimenti ci consentiranno di
passare nel campo opposto. Non bisogna abbandonare l'impresa, che
diavolo! Siamo appena all'inizio. Voi, collega, avete avuto
l'occasione di essere ferito al servizio del "Daily Telegraph", mentre
io non ho ancora ricevuto nulla al servizio di mia cugina. Andiamo,
andiamo! - E poi sottovoce: - Bene, eccolo che si addormenta!
Qualche ora di sonno e qualche compressa di acqua fresca: non occorre
niente di piper rimettere in piedi un inglese. Sono fabbricati in
lamiera, questi uomini!
E mentre Harry Blount riposava, Alcide Jolivet veglipresso di lui,
dopo avere preso il suo taccuino, che riempdi annotazioni, deciso
d'altronde a condividerle col suo collega, per la maggiore
soddisfazione dei lettori del "Daily Telegraph". Gli avvenimenti li
avevano riuniti, e non erano pigelosi l'uno dell'altro.
Cos dunque, ci che Michele Strogoff temeva soprattutto era
precisamente l'oggetto dei pi vivi desideri dei due giornalisti.
L'arrivo di Ivan Ogareff poteva evidentemente servire a questi due,
perch una volta riconosciuta la loro qualifica di corrispondenti
esteri, niente di piprobabile che fossero messi in libert Il
luogotenente dell'emiro avrebbe saputo far intendere la ragione a
Feofar, il quale altrimenti avrebbe certamente trattato i due
giornalisti come semplici spie. L'interesse di Alcide Jolivet e di
Harry Blount era dunque contrario all'interesse di Michele Strogoff.
Questi aveva ben capito la situazione, e per questa nuova ragione,
aggiunta a molte altre, decise di evitare i suoi vecchi compagni di
viaggio. Si comportdunque in maniera di non essere visto da loro.
Passarono quattro giorni, durante i quali non accadde niente di nuovo.
I prigionieri non sentirono far cenno di togliere l'accampamento
tartaro. Erano rigorosamente sorvegliati. Sarebbe stato loro
impossibile attraversare il cordone di fanti e cavalieri che li
sorvegliavano notte e giorno. Il cibo che veniva loro fornito era
appena sufficiente. Due volte ogni ventiquattro ore ricevevano poche
trippe di capra arrostite sulla brace, o qualche pezzo di formaggio
chiamato "krut", fabbricato con latte agro di pecora e che, mescolato
con latte di giumenta, forma il piatto comune dei Kirghisi, chiamato
"kumis". E questo era tutto. Occorre inoltre aggiungere che il tempo
si guast Si produssero grandi perturbazioni atmosferiche, che si
risolsero in burrasche accompagnate da pioggia. Gli sventurati, senza
alcun riparo, dovettero sopportare queste intemperie perniciose, e
alla loro miseria non fu dato nessun sollievo. Alcuni feriti, donne,
bambini morirono, e i prigionieri stessi dovettero sotterrarne i
cadaveri, ai quali i guardiani non volevano neppur dar sepoltura.
Durante queste dure prove, Alcide Jolivet e Michele Strogoff si
prodigarono, ciascuno dal canto suo. Prestarono i servizi che
potevano. Meno provati degli altri, sani, robusti, essi potevano
meglio resistere, e con i loro consigli, con le loro cure, si resero
utili a coloro che soffrivano e si disperavano.
Quanto sarebbe durato questo stato di cose? Feofar Khan, soddisfatto
dei suoi primi successi, avrebbe dunque atteso qualche tempo prima di
marciare su Irkutsk? Si poteva pensarlo, ma non capitnulla.
L'avvenimento tanto desiderato da Alcide Jolivet e da Harry Blount,
tanto temuto da Michele Strogoff, successe nella mattina del 12
agosto. Quel giorno squillarono le trombe, rullarono i tamburi,
crepitla fucileria. Un'immensa nube di polvere si alzava dalla
strada di Kolivan.
Ivan Ogareff, seguito da parecchie migliaia di uomini, faceva il suo
ingresso all'accampamento tartaro.




















2. UN ATTEGGIAMENTO DI ALCIDE JOLIVET.

Ivan Ogareff conduceva all'emiro un intero corpo d'armata. Questi
cavalieri e questi fanti facevano parte della colonna che si era
impadronita di Omsk. Ivan Ogareff, non avendo potuto sottomettere la
citt alta, nella quale - come ricordiamo - il governatore e la
guarnigione avevano cercato rifugio, s'era deciso a proseguire, non
volendo ritardare le operazioni che avrebbero portato alla conquista
della Siberia orientale. Egli aveva dunque lasciato una guarnigione
sufficiente a Omsk. Poi, mandando avanti le sue orde, ingrossate lungo
la strada dai vincitori di Kolivan, veniva a congiungersi con
l'esercito di Feofar.
I soldati di Ivan Ogareff si fermarono agli avamposti
dell'accampamento. Non ebbero l'ordine di bivaccare. Il progetto del
loro capo era indubbiamente di non fermarsi, ma di proseguire e, nel
minor tempo possibile, di arrivare a Tomsk, citt importante,
naturalmente destinata a diventare il centro delle operazioni future.
Assieme ai suoi soldati, Ivan Ogareff conduceva un convoglio di
prigionieri russi e siberiani, catturati a Omsk e Kolivan. Questi
infelici non furono condotti nel recinto, gi troppo piccolo per
coloro che vi erano rinchiusi, sicch dovettero restare agli
avamposti, senza riparo, quasi senza cibo. Quale sorte Feofar Khan
riservava a questi sventurati? Li avrebbe internati a Tomsk, oppure
decimati con qualche sanguinosa esecuzione, familiare ai capi tartari?
Era un segreto del capriccioso emiro.
Questo corpo d'armata non era venuto da Omsk e da Kolivan senza
tirarsi dietro il codazzo di mendicanti, di ladruncoli, di mercanti,
di zingari che formano abitualmente la retroguardia d'un esercito in
marcia. Tutta questa gente viveva a spese del paese attraversato e
lasciava dietro di se poche cose da saccheggiare. Perci era
necessario portarsi avanti, se non altro per assicurare il
vettovagliamento delle colonne di spedizione. Tutta la regione
compresa entro i corsi dell'Iscim e dell'Ob, completamente devastata,
non offriva pialcuna risorsa. Era un deserto quello che i Tartari si
lasciavano dietro le spalle, e i Russi non l'avrebbero attraversato
senza difficolt
Tra gli zingari, accorsi dalle province dell'ovest, figurava la
compagnia zigana che aveva accompagnato Michele Strogoff fino a Perm.
C'era anche Sangarre. Questa spia straniera, anima dannata di Ivan
Ogareff, non abbandonil suo padrone. Li abbiamo visti, tutti e due,
che ordivano i loro intrighi persino in Russia, nel governatorato di
Niznij Novgorod. Dopo la traversata dell'Ural, s'erano separati solo
per qualche giorno. Ivan Ogareff aveva rapidamente raggiunto Iscim,
mentre Sangarre e la sua compagnia si dirigevano verso Omsk attraverso
la parte meridionale della provincia.
Si comprenderfacilmente quale aiuto questa donna portava a Ivan
Ogareff. Con le sue zigane, ella penetrava in tutti i luoghi,
ascoltando e riferendo tutto. Ivan Ogareff era tenuto al corrente di
ci che avveniva fino al centro delle province invase. Erano cento
occhi, cento orecchie, sempre all'erta per la sua causa. Egli del
resto pagava lautamente questo spionaggio, da cui traeva grande
profitto.
Sangarre, compromessa in altri tempi in una impresa losca molto grave,
era stata salvata dall'ufficiale russo. Non aveva dimenticato quanto
gli doveva e si era venduta a lui, anima e corpo. Ivan Ogareff,
diventato traditore, aveva compreso quali vantaggi poteva trarre da
questa donna. Qualunque ordine le desse, Sangarre lo eseguiva. Un
istinto inspiegabile, ancora pi imperioso di quello della
riconoscenza, l'aveva spinta a farsi schiava del traditore, al quale
s'era unita fin dai primi tempi del suo esilio in Siberia. Confidente
e complice, senza patria, senza famiglia, Sangarre s'era compiaciuta
di mettere la sua vita vagabonda al servizio degli invasori, che Ivan
Ogareff spingeva attraverso la Siberia. Alla prodigiosa astuzia
naturale della sua razza, ella aggiungeva un'energia primitiva, che
non conosceva nil perdono nla piet Era una selvaggia degna di
condividere il "wigwam" (1) di un apache o la capanna di un
andamanese.
Dopo il suo arrivo a Omsk, dove lo aveva raggiunto con le sue zingare,
Sangarre non si era piallontanata da Ivan Ogareff. La circostanza
che aveva portato di fronte Michele e Marfa Strogoff, le era nota. I
timori di Ivan Ogareff, relativi al passaggio del corriere dello zar,
essa li conosceva e li condivideva. Marfa Strogoff era prigioniera, e
lei sarebbe stata una donna capace di torturarla con tutta la
raffinatezza d'un Pellerossa, al fine di strapparle il suo segreto. Ma
l'ora in cui Ivan Ogareff voleva far parlare la vecchia siberiana non
era ancora venuta. Sangarre doveva attendere, e attendeva, senza
perdere di vista colei che spiava a sua insaputa, controllandone i
minimi gesti, tutte le sue parole, osservandola giorno e notte,
cercando di sentirla pronunciare la parola 剌iglio ma fino allora
era stata delusa dalla inalterabile impassibilitdi Marfa Strogoff.
Frattanto, al primo squillo delle trombe, il capo supremo
dell'artiglieria tartara e il capo delle scuderie dell'emiro, seguiti
da una splendida scorta di cavalieri usbeki, s'erano portati
all'ingresso dell'accampamento per ricevere Ivan Ogareff.
Quando furono arrivati alla sua presenza, gli resero i pi grandi
onori e l'invitarono ad accompagnarli alla tenda di Feofar Khan.
Ivan Ogareff, imperturbabile come sempre, rispose freddamente alle
deferenze degli alti funzionari inviati ad incontrarlo. Era vestito
con semplicit ma, per una specie di sfacciata braveria, indossava
ancora una uniforme di ufficiale russo.
Mentre allentava la briglia al cavallo per varcare la cinta
dell'accampamento, Sangarre, passando tra i cavalieri della scorta,
gli si avvicine rimase immobile.
- Niente? - domandIvan Ogareff.
- Niente.
- Sii paziente.
- Si avvicina l'ora in cui costringerai la vecchia a parlare?
- Si avvicina, Sangarre.
- A quando l'interrogatorio?
- Quando saremo a Tomsk.
- E noi ci arriveremo?...
- Entro tre giorni.
I grandi occhi neri di Sangarre si illuminarono d'un bagliore
sinistro, ed ella si ritircon passo sicuro.
Ivan Ogareff spronil cavallo e, seguito dal suo stato maggiore di
ufficiali tartari, si diresse verso la tenda dell'emiro.
Feofar Khan attendeva il luogotenente. Il consiglio, composto del
portatore del sigillo reale, del "khogia" e di alcuni alti funzionari,
aveva preso posto sotto la tenda.
Ivan Ogareff smontda cavallo, entr e si trovdi fronte all'emiro.
Feofar Khan era un uomo sulla quarantina, alto di statura, col viso
molto pallido, gli occhi cattivi, l'aspetto feroce. La barba nera e
ricciuta scendeva sul petto. Nella sua uniforme da guerra, cotta a
maglie d'oro e d'argento, cinturone scintillante di pietre preziose,
fodero della sciabola curvo come un "yatagan" e tempestato di gemme
preziose, stivali muniti di speroni d'oro, elmo ornato da una corona
di diamanti dalle mille sfaccettature, Feofar presentava l'aspetto pi esotico che imponente, di un Sardanap跐o (2) tartaro: sovrano
indiscusso che dispone a suo piacere della vita e dei beni dei suoi
sudditi, la cui potenza senza limiti, e al quale, per speciale
privilegio, viene data a Buchara la qualifica di emiro.
Nel momento in cui Ivan Ogareff entr i grandi dignitari rimasero
seduti sui loro cuscini ricamati in oro; ma Feofar si levdal suo
ricco divano, che occupava il fondo della tenda e lo accolse in piedi
sullo stesso tappeto di Buchara che ricopriva tutto il suolo. L'emiro
si avvicina Ivan Ogareff e gli diede un bacio, sul cui significato
non ci si poteva ingannare. Questo bacio faceva del luogotenente il
capo del consiglio, e lo poneva temporaneamente al di sopra del
"khogia".
Poi Feofar Khan, rivolgendosi a Ivan Ogareff, gli disse:
- Io non t'interrogo; parla, Ivan. Tu troverai qui soltanto delle
orecchie pronte ad ascoltarti.
- "Takhsir" (3) - rispose Ogareff, - ecco ciche devo dirti.
Ivan Ogareff si esprimeva in tartaro, e dava alle sue frasi la
tornitura enfatica che distingue il modo di parlare degli orientali.
- "Takhsir", non c'tempo per le parole inutili. Ciche ho fatto
alla testa delle tue truppe, tu lo sai. Le linee dell'Iscim e
dell'Irtis sono ora nelle nostre mani, e i cavalieri turcomanni
abbeverano i cavalli nelle loro acque divenute tartare. Le orde
kirghise si sono sollevate al grido di Feofar Khan, e la pi importante strada siberiana ti appartiene da Iscim fino a Tomsk. Tu
puoi dunque spingere le tue colonne tanto verso l'oriente, dove sorge
il sole, quanto verso l'occidente, dove tramonta.
- E se io cammino con il sole? - domandl'emiro, il quale ascoltava
senza che il suo volto tradisse nessuno dei suoi pensieri.
- Camminare con il sole - rispose Ivan Ogareff - significa
lanciarsi verso l'Europa, significa conquistare rapidamente le
province siberiane, da Tobolsk fino alle montagne dell'Ural.
- E se vado incontro alla fiaccola del cielo?
- Significa sottomettere alla dominazione tartara, assieme a Irkutsk,
le piricche contrade dell'Asia centrale.
- E gli eserciti del sultano di Pietroburgo? - disse Feofar Khan,
designando con quel titolo esotico l'imperatore di Russia.
- Tu non avrai nulla da temere, n a oriente n a occidente -
rispose Ivan Ogareff. - Quando l'invasione improvvisa, prima che
l'esercito russo possa venire in aiuto, Irkutsk o Tobolsk saranno
cadute in tuo potere. Le truppe dello zar sono state annientate a
Kolivan, come lo saranno dovunque i tuoi guerrieri combatteranno
contro gli inetti soldati dell'Occidente.
- E quale consiglio t'ispira la tua dedizione alla causa tartara? -
domandl'emiro, dopo alcuni istanti di silenzio.
- Il mio consiglio - rispose prontamente Ivan Ogareff - di
marciare incontro al sole, dare l'erba delle steppe orientali in
pascolo ai cavalli turcomanni, prendere Irkutsk, la capitale delle
province dell'est e insieme con essa l'ostaggio il cui possesso vale
tutta una regione. Bisogna che, fintanto che lo zar lontano, il
granduca suo fratello cada nelle tue mani.
Questo era lo scopo supremo perseguito da Ivan Ogareff. Lo si sarebbe
creduto, a sentirlo, uno di quei crudeli discendenti di Stepan Razin
(4), il celebre ribelle cosacco che devastla Russia meridionale nel
diciassettesimo secolo. Impadronendosi del granduca, colpirlo senza
piet sarebbe stata la piena soddisfazione concessa al suo odio.
Inoltre, la presa di Irkutsk avrebbe fatto immediatamente passare
tutta la Siberia orientale sotto la dominazione tartara.
- Cossarfatto, Ivan - rispose Feofar.
- Quali sono i tuoi ordini, "Takhsir"?
- Oggi stesso, il nostro quartier generale sartrasportato a Tomsk.
Ivan Ogareff s'inchine, seguito dall'"husc-beghi", si ritirper far
eseguire gli ordini dell'emiro.
Nel momento in cui egli stava montando a cavallo, per ritornare agli
avamposti, si levun tumulto a poca distanza, nella parte del campo
riservata ai prigionieri. Si sentirono delle grida e le scariche di
due o tre colpi di fucile. Era un tentativo di rivolta o di evasione,
che veniva represso in modo sommario?
Ivan Ogareff e 1'"husc-beghi" avanzarono di qualche passo e, quasi
subito, due uomini, che i soldati non riuscivano a trattenere,
comparvero davanti a loro.
L'"husc-beghi", senza prendere informazioni, diede un segnale che era
un ordine di morte e la testa dei due prigionieri sarebbe rotolata a
terra, quando Ivan Ogareff disse alcune parole che arrestarono la
sciabola gilevata su di loro.
Il russo aveva riconosciuto che quei due prigionieri erano stranieri,
e diede ordine che fossero condotti alla sua presenza.
Erano Harry Blount e Alcide Jolivet.
Quando Ivan Ogareff era giunto all'accampamento, essi avevano chiesto
di essere condotti alla sua presenza. I soldati avevano rifiutato. Ne
era seguito un tafferuglio, il tentativo di fuga, i colpi di fucile
che, per fortuna, non avevano raggiunto i due prigionieri; ma la loro
esecuzione sarebbe stata questione di minuti, se non fosse intervenuto
il luogotenente dell'emiro.
Questi osserv per qualche istante i prigionieri, che gli erano
assolutamente sconosciuti. Per la veritessi erano stati presenti a
quella scena nel cambio di posta di Iscim, nella quale Michele
Strogoff fu colpito da Ivan Ogareff; ma il rozzo viaggiatore non aveva
prestato attenzione alle persone riunite in quel momento nella sala
comune.
Harry Blount e Alcide Jolivet, al contrario, lo riconobbero
perfettamente, e questi a mezza voce disse:
- Guarda! Pare che il colonnello Ogareff e il volgare personaggio di
Iscim siano la stessa persona!
Poi aggiunse all'orecchio del suo compagno:
- Esponete la nostra situazione, Blount. Mi renderete un servizio.
Questo colonnello russo in mezzo a un accampamento tartaro mi disgusta
e, sebbene per grazia sua io abbia ancora la testa sulle spalle, i
miei occhi si rifiuterebbero con disprezzo di guardarlo in faccia!
E detto questo, Alcide Jolivet ostentla picompleta e altezzosa
indifferenza.
Comprese Ivan Ogareff quanto l'atteggiamento del prigioniero aveva
d'insultante per lui? Egli comunque non lascitrasparire nulla.
- Chi siete, signori? - domandin russo, con tono molto freddo, ma
privo della rudezza abituale.
- Due corrispondenti di giornali, inglese e francese - rispose
laconicamente Harry Blount.
- Avete senza dubbio i documenti che vi permettono di comprovare la
vostra identit
- Ecco le lettere che ci accreditano in Russia presso le cancellerie
inglese e francese.
Ivan Ogareff prese le lettere che gli porgeva Harry Blount, e le lesse
con attenzione. Poi disse:
- Voi chiedete l'autorizzazione di seguire le nostre operazioni
militari in Siberia?
- Noi chiediamo di essere liberi, nient'altro - rispose secco il
corrispondente inglese.
- Voi lo siete, signori - rispose Ivan Ogareff - e sarei curioso
di leggere le vostre cronache sul "Daily Telegraph".
- Signore, - replicHarry Blount con la flemma pisconcertante -
il giornale costa sei "pence" al numero, pile spese postali.
Detto questo, Harry Blount si rivolse al suo compagno, che parve
approvare in tutto la risposta.
Ivan Ogareff non mosse ciglio; inforcando il suo cavallo, partalla
testa della sua scorta e ben presto scomparve in una nuvola di
polvere.
- Ebbene, signor Jolivet, cosa pensate del colonnello Ivan Ogareff,
generale in capo delle truppe tartare? - domandHarry Blount.
- Penso, caro collega, - rispose sorridendo Alcide Jolivet - che
l'"husc-beghi" ha compiuto un gran bel gesto, quando ha dato ordine di
tagliarci la testa!
Comunque sia e qualunque fosse il motivo che indusse Ivan Ogareff ad
agire cos verso i due giornalisti, questi erano liberi e potevano
percorrere a loro piacimento il teatro della guerra. Perci la loro
intenzione era di non abbandonare la partita. Quella specie di
antipatia che provavano in passato l'uno verso l'altro aveva ceduto il
posto ad una amicizia sincera. Riavvicinati dalle circostanze, non
pensavano pi a separarsi. Le meschine questioni di rivaliterano
cadute per sempre. Harry Blount non poteva dimenticare quanto doveva
al suo compagno, il quale da parte sua non faceva nulla per
ricordarsene; tutto sommato, questo ravvicinamento facilitava le
operazioni di corrispondenza e doveva tornare a vantaggio dei loro
lettori.
- E ora - domandHarry Blount - cosa faremo della nostra libert
- Usarne, perdiana! - rispose Alcide Jolivet - e andare
tranquillamente a Tomsk a vedere che cosa vi capita.
- In attesa del momento, che spero molto vicino, in cui potremo
raggiungere qualche battaglione russo?
- Giusto, caro Blount! Non bisogna tartarizzarsi troppo! La parte
migliore tocca ancora a coloro che hanno armi per civilizzare, ed evidente che i popoli dell'Asia centrale avrebbero tutto da perdere e
assolutamente nulla da guadagnare da questa invasione; ma i Russi
sapranno ben respingerla. E' solo questione di tempo.
Tuttavia, quell'arrivo di Ivan Ogareff che aveva reso la libert ad
Alcide Jolivet e a Harry Blount, era al contrario un grave pericolo
per Michele Strogoff. Se il caso avesse portato il corriere dello zar
alla presenza di Ivan Ogareff, questi avrebbe sicuramente riconosciuto
in lui il viaggiatore ch'egli aveva cosbrutalmente trattato al
cambio di Iscim, e sebbene Michele Strogoff non avesse risposto
all'insulto come avrebbe fatto in altre circostanze, avrebbe ora
attirato l'attenzione sopra di s e ci avrebbe reso difficile
l'esecuzione dei suoi progetti.
Questo era il lato spiacevole della presenza di Ivan Ogareff. Il suo
arrivo tuttavia ebbe una conseguenza buona, e fu l'ordine di levare
l'accampamento il giorno stesso e di trasportare a Tomsk il quartier
generale.
Si compiva il pi vivo desiderio di Michele Strogoff. La sua
intenzione, lo sappiamo, era di raggiungere Tomsk, confuso con gli
altri prigionieri, ciosenza rischiare di cadere nelle mani degli
esploratori che formicolavano nei dintorni di quella importante citt
Tuttavia, in seguito all'arrivo di Ivan Ogareff, e nel timore di
essere da lui riconosciuto, egli dovette domandarsi se non gli
convenisse rinunciare al primo progetto di tentare la fuga durante il
viaggio.
Michele Strogoff avrebbe certamente abbracciato questo secondo
partito, quando apprese che Feofar Khan e Ivan Ogareff erano gi partiti alla volta della citt in testa ad alcune migliaia di
cavalieri.
隹spetter - disse tra s - a meno che non si presenti qualche
eccezionale occasione di fuga. Le probabilitsfavorevoli sono molte
prima di Tomsk, mentre dopo aumenteranno quelle favorevoli, poich avrin poche ore oltrepassato i posti tartari piavanzati verso est.
Ancora tre giorni di pazienza, e Dio mi aiuti!
Infatti i prigionieri, sotto la sorveglianza d'un grosso distaccamento
di tartari, dovevano compiere un viaggio di tre giorni attraverso la
steppa. La distanza dall'accampamento alla cittera di centocinquanta
verste. Viaggio facile per i soldati dell'emiro, che erano provvisti
di tutto, ma difficile per quegli sventurati, indeboliti dalle
privazioni. Pi d'un cadavere avrebbe segnato questo tratto della
strada siberiana!
Alle due pomeridiane di quel 12 agosto, con una temperatura molto
elevata e sotto un cielo senza nubi, il "topci-basci" diede l'ordine
della partenza.
Alcide Jolivet e Harry Blount, avendo acquistato due cavalli, erano
gi sulla strada di Tomsk, dove la logica degli avvenimenti avrebbe
riunito i principali personaggi di questa storia.
Nel numero di prigionieri condotti da Ivan Ogareff all'accampamento
tartaro, c'era una vecchia che per la sua stessa riservatezza
taciturna sembrava tenersi isolata da tutte le altre donne che
condividevano la sua sorte. Dalle sue labbra non usciva un lamento. Si
sarebbe detto che era la statua del dolore. Questa donna, sempre
seria, pistrettamente sorvegliata di tutte le altre, era, senza che
mostrasse di preoccuparsene, sotto la sorveglianza della zingara
Sangarre. Malgrado la sua et aveva dovuto seguire a piedi il
convoglio dei prigionieri, senza ricevere nessun sollievo ai suoi
dolori.
Tuttavia, un disegno provvidenziale aveva posto al suo fianco una
creatura coraggiosa, caritatevole, fatta per comprenderla e per
assisterla.
Tra le sue compagne di sventura, una fanciulla di notevole bellezza e
di una impassibilitche non era inferiore a quella della siberiana,
sembrava essersi imposto il compito di vegliare su di lei. Le due
prigioniere non s'erano scambiate una sola parola, ma la fanciulla si
trovava sempre dov'era la vecchia, quando il suo aiuto poteva esserle
utile. Questa dapprima aveva accettato con diffidenza le silenziose
premure della sconosciuta. Tuttavia, a poco a poco, l'evidente
sincerit dello sguardo di questa fanciulla, il suo riserbo e la
misteriosa simpatia che si era stabilita per una comunanza di dolori
tra compagne di sventura, avevano trionfato sulla freddezza altera di
Marfa Strogoff. Nadia - era infatti lei - aveva potuto cos senza
conoscerla, rendere alla madre le premure che ella aveva ricevuto dal
figlio.
La sua istintiva bontl'aveva doppiamente bene ispirata. Dedicandosi
al suo servizio, Nadia assicurava alla propria giovinezza e alla
propria bellezza la saggia protezione della vecchia prigioniera. In
mezzo a quella folla di sventurati, esacerbati dalle sofferenze,
questa silenziosa coppia di donne, di cui l'una sembrava la nonna,
l'altra la nipote, imponeva a tutti una specie di rispetto.
Nadia, dopo essere stata rapita dagli esploratori tartari sulle barche
dell'Irtis, era stata condotta a Omsk. Trattenuta prigioniera nella
citt essa condivise la sorte di tutti coloro che erano stati
catturati dalla colonna di Ivan Ogareff e, per conseguenza, la sorte
di Marfa Strogoff.
Se fosse stata meno energica, Nadia avrebbe ceduto sotto il peso della
duplice sventura che l'aveva colpita. L'interruzione del suo viaggio e
la morte di Michele Strogoff l'avevano ad un tempo spinta alla
disperazione e alla ribellione. Allontanata forse per sempre da suo
padre, dopo tanti sforzi felicemente superati per avvicinarglisi e,
per colmo di sventura, separata dall'intrepido compagno che Dio stesso
sembrava averle posto lungo il cammino per condurla alla meta, aveva
in un solo istante perduto tutto. L'immagine di Michele Strogoff,
ucciso sotto i suoi occhi da un colpo di lancia e scomparso nelle
acque dell'Irtis, non si partiva mai dal suo pensiero. Un tale uomo
aveva potuto morire cos Per chi Dio serbava i suoi miracoli, se quel
giusto, certamente spinto da un nobile motivo, era stato cos improvvisamente fermato nel suo cammino? Alle volte la collera aveva
sopravvento sul dolore. Le tornava alla memoria la scena dell'affronto
cosstranamente subito al cambio di Iscim. E quel ricordo le faceva
ribollire il sangue.
青hi vendicher quel morto che non pu far giustizia da ssi
domandava.
E in cuor suo la fanciulla, rivolgendosi a Dio, gridava:
- Signore, fate che sia io!
Se almeno, prima di morire, Michele Strogoff le avesse confidato il
suo segreto! Se, per quanto donna, anzi bambina, avesse lei potuto
portare a termine la missione interrotta di quel fratello, che Dio non
avrebbe dovuto darle, poichglielo aveva ritolto cospresto!...
Assorta in questi pensieri, si comprende come Nadia fosse rimasta
insensibile persino ai dolori della sua prigionia.
Proprio allora, senza che ne avesse il minimo sospetto, il caso
l'aveva unita a Marfa Strogoff. Come avrebbe potuto immaginare che
quella vecchia, prigioniera come lei, fosse la madre del suo compagno,
il quale per lei era sempre rimasto il mercante Nicola Korpanoff? E,
dal canto suo, come avrebbe potuto Marfa indovinare che quella
fanciulla sconosciuta era unita da un legame di riconoscenza a suo
figlio?
Ciche anzitutto impressionNadia, fu di trovare in Marfa Strogoff
una specie di conformitsegreta nella maniera con cui ognuna, dal
canto suo, subiva la propria dura condizione. Quella stoica
indifferenza della vecchia per i dolori materiali della loro vita
quotidiana, quel disprezzo per le sofferenze corporali, Marfa non
poteva attingerlo che da un dolore morale uguale al suo. Ecco che cosa
pensava Nadia, e non si sbagliava. Fu dunque una simpatia istintiva
per quella parte di infelicit che Marfa Strogoff non lasciava
trasparire, che per prima spinse Nadia verso di lei. Questa maniera di
sopportare il male toccava l'animo fiero della fanciulla. Lei pertanto
non offr i suoi servigi, ma ne fece dono. Marfa non avrebbe n rifiutato n accettato. Nei passaggi difficili della strada, la
fanciulla era presente e la sosteneva col suo braccio. Nelle ore della
distribuzione del cibo, la donna non si sarebbe mossa, ma Nadia
divideva con lei la sua porzione insufficiente, e in tal modo
compirono quel viaggio penoso tanto per l'una che per l'altra. Grazie
alla sua giovane compagna, Marfa Strogoff riusca seguire i soldati
che sospingevano quel convoglio di prigionieri senza venir legata
all'arcione di una sella, come tante altre sventurate, trascinate in
quel modo sulla via del dolore.
- Dio ti ricompensi, figlia mia, di quanto fai per riguardo alla mia
et - le disse una volta Marfa Strogoff.
Queste parole furono le uniche ad essere scambiate tra le due
sventurate, dal momento del loro incontro.
Durante questi tre giorni, che a loro sembrarono lunghi come secoli,
la donna e la fanciulla - cos almeno sembravano - avrebbero
dovuto confidarsi vicendevolmente la loro situazione. Ma Marfa
Strogoff, per una circospezione facile a comprendere, non aveva
parlato che di se stessa, e anche molto brevemente. Non aveva fatto
nessuna allusione na suo figlio nal funesto incontro che li aveva
portati l'una di fronte all'altro.
Anche Nadia rimase per molto tempo, se non muta, almeno schiva d ogni
parola inutile. Un giorno, tuttavia, sentendo che aveva davanti a s un anima semplice e fiera, il cuore della fanciulla era traboccato, ed
aveva raccontato, senza nascondere nulla, tutti gli avvenimenti
succedutile dalla sua partenza da Vladimir fino alla morte di Nicola
Korpanoff. Tutto quanto ella raccont del suo giovane compagno,
interessvivamente la vecchia siberiana.
- Nicola Korpanoff! - disse. - Parlami ancora di questo Nicola! Io
conosco un solo uomo, uno solo tra tutti i giovani di questa et di
cui un tale comportamento non mi avrebbe stupita! Nicola Korpanoff,
era veramente questo il suo nome? Ne sei sicura, figlia mia?
- Per quale motivo mi avrebbe ingannata su questo punto - rispose
Nadia, - lui che non mi ha mai ingannata?
Intanto, mossa da una specie di presentimento, Marfa Strogoff faceva a
Nadia domande su domande.
- Tu mi hai detto che era intrepido, figlia mia! Mi hai dato la prova
che lo era stato! - disse.
- S intrepido! - rispose Nadia.
"Proprio cossarebbe stato mio figlio" ripeteva a se stessa Marfa
Strogoff.
Poi riprendeva:
- Tu mi hai detto ancora che niente lo arrestava, che niente lo
sorprendeva, che egli era dolce nella sua stessa forza, che tu avevi
trovato in lui una sorella oltre che un fratello, e che egli ha
vegliato su di te come una madre?
- S s - disse Nadia. - Un fratello, una sorella, una madre:
egli stato tutto per me!
- E anche un leone per difenderti?
- Davvero, un leone! - rispose Nadia. - S un leone e un eroe!
"Figlio mio, figlio mio!" pensava la vecchia siberiana.
- Ma tu dici, tuttavia, ch'egli ha sopportato un terribile affronto in
quella casa di posta di Iscim?
- Lo ha sopportato! - rispose Nadia abbassando la testa.
- Lo ha sopportato? - mormorMarfa Strogoff, fremendo.
- Madre! madre! - esclamNadia - non condannatelo. C'era un
segreto, un segreto di cui Dio solo, in questo momento, il giudice!
Allora Marfa, sollevandosi e fissando Nadia come se avesse voluto
leggere fino nel piprofondo della sua anima, disse:
- E tu, in quell'ora di umiliazione, tu lo hai disprezzato Nicola
Korpanoff?
- Io l'ho ammirato senza comprenderlo! - rispose la fanciulla.- Non
l'ho mai sentito pidegno di rispetto!
La donna tacque un istante.
- Era alto? - domand
- Molto alto.
- E molto bello, non vero? Parlami, figliola.
- Era molto bello - rispose Nadia, arrossendo tutta.
- Era mio figlio! Ti dico che era mio figlio! - grid la donna
abbracciando Nadia.
- Tuo figlio! - rispose Nadia con tenerezza - tuo figlio!
- Prosegui! - riprese Marfa - va' fino in fondo, bambina mia! Il
tuo compagno, il tuo amico, il tuo protettore, aveva una madre! Non ti
ha mai parlato di sua madre?
- Di sua madre? - esclamNadia. - Mi ha parlato di sua madre,
come io gli ho parlato di mio padre, spesso, sempre! Sua madre, egli
l'adorava!
- Nadia, Nadia! Tu mi hai raccontato la storia di mio figlio! disse
la donna.
E aggiunse con impeto:
- Non doveva dunque vederla, passando per Omsk, questa madre che tu
dici ch'egli amava?
- No - rispose Nadia - no, non doveva vederla.
- No? - esclamMarfa. - Tu hai osato dirmi di no?
- Te l'ho detto, ma devo anche aggiungere che, a causa di motivi che
per lui erano importantissimi, e che io non conosco, ho creduto di
comprendere che Nicola Korpanoff doveva attraversare il paese nel pi assoluto segreto. Era per lui una questione di vita o di morte, o
meglio ancora, una questione di dovere e di onore.
- Di dovere, infatti, di dovere imperioso! - confermla vecchia
siberiana - uno di quei doveri ai quali si sacrifica tutto e per il
cui compimento si rinuncia a tutto, anche alla gioia di abbracciare,
forse per l'ultima volta, la propria vecchia madre! Tutto ciche non
sai, Nadia, tutto ciche io stessa non so, lo capisco ora. Tu mi hai
fatto capire tutto! Ma la luce che tu hai diffuso nelle piprofonde
tenebre del mio cuore, questa luce io non posso infonderla nel tuo. Il
segreto di mio figlio, Nadia, poich egli non te l'ha rivelato,
bisogna che io lo custodisca. Perdonami, Nadia! Il bene che tu mi hai
fatto, io non posso rendertelo!
- Madre, non ti domando nulla - rispose Nadia.
Tutto s'era cosspiegato per la vecchia siberiana, tutto, anche
l'inspiegabile condotta di suo figlio a suo riguardo, nell'albergo di
Omsk, in presenza dei testimoni del loro incontro. Non c'era pi dubbio che il compagno della fanciulla fosse stato Michele Strogoff, e
che una missione segreta, qualche dispaccio importante da portare
attraverso la contrada invasa, l'obbligasse a celare la sua qualifica
di corriere dello zar.
隹h! mio buon figliolo! - pensMarfa Strogoff. - No! io non ti
tradir e le torture non mi strapperanno mai la confessione che sei
proprio tu quello che ho visto a Omsk! Marfa Strogoff avrebbe potuto, con una parola, ripagare Nadia di tutta
la sua dedizione per lei. Avrebbe potuto svelarle che il suo compagno,
Nicola Korpanoff, o meglio Michele Strogoff, non era morto nelle acque
dell'Irtis, poichsoltanto pochi giorni dopo l'incidente che le aveva
raccontato, lei gli aveva parlato!...
Ma ella si contenne, tacque e si accontentdi dire:
- Spera, bambina mia! La sventura non si accanirper sempre contro di
te. Tu vedrai tuo padre, ne ho il presentimento, e forse colui che ti
chiamava sorella non morto! Dio non pupermettere che il tuo buon
compagno sia perito!... Spera, figlia mia! spera! Fa' come faccio io
Il lutto che io porto non ancora il lutto per mio figlio.


NOTE.

Nota 1. Tenda degli Indiani (Nota del Traduttore).
Nota 2. Re assiro, famoso per il lusso di cui si circondava e per la
mollezza della vita: dicesi di chi viva mollemente e fastosamente
(Nota del Traduttore)
Nota 3. Corrisponde all'appellativo di 哀ire dato ai sultani di
Buchara.
Nota 4. Razin Stepan Timofeevic, detto Stenka. Nel 1667 fonduna
banda con cui si diede a predare lungo le vie commerciali con la
Persia; capeggi la rivolta dei contadini della Russia sud-orientale
impadronendosi di diverse citt Sconfitto in battaglia presso
Simbirsk e fatto prigioniero, venne condannato a morte e squartato. La
sua memoria conservata in moltissimi canti popolari russi (Nota del
Traduttore).




















3. COLPO PER COLPO.

Tale era adesso la situazione di Marfa Strogoff e di Nadia nei loro
reciproci confronti. La vecchia siberiana aveva capito tutto, e se la
fanciulla ignorava che il suo compagno dolorosamente rimpianto viveva
ancora, ella sapeva almeno che cosa egli era per colei che ora la
chiamava madre, e ringraziava Dio di averle concesso la gioia di poter
sostituire con quella prigioniera il figlio che aveva perduto.
Ma ciche n l'una n l'altra poteva sapere, era che Michele
Strogoff, catturato a Kolivan, faceva parte dello stesso convoglio e
che assieme a loro veniva condotto a Tomsk.
I prigionieri condotti da Ivan Ogareff erano stati uniti a quelli che
l'emiro giteneva nell'accampamento tartaro. Quegli sventurati, Russi
o Siberiani, militari o civili, erano alcune migliaia e formavano una
colonna che si allungava per parecchie verste. Tra i prigionieri ce
n'erano di quelli che, considerati pi pericolosi, erano stati
assicurati con manette a una lunga catena. C'erano anche donne e
bambini, legati o sospesi al pomo delle selle, e spietatamente
trascinati sulla strada! Erano sospinti come un branco umano. I
cavalieri che li scortavano, li obbligavano a mantenere un determinato
ordine, e non c'erano ritardatari se non quelli che cadevano per non
pirialzarsi.
Tale disposizione del convoglio faceva s che, Michele Strogoff,
compreso nelle prime file di quelli che erano partiti
dall'accampamento tartaro, ciotra i prigionieri di Kolivan, non
potesse procedere accanto ai prigionieri venuti da Omsk, che seguivano
in coda. Non poteva dunque sospettare che in quel convoglio ci fossero
anche sua madre e Nadia, come le due donne non potevano sospettare la
presenza di lui.
Questo viaggio dall'accampamento a Tomsk, compiuto in quelle
condizioni, sotto la frusta dei soldati, risultmortale per molti,
terribile per tutti. Si marciava attraverso la steppa, su una strada
resa ancor pi polverosa dal passaggio dell'emiro e della sua
avanguardia. C'era ordine di fare presto. Le fermate erano brevi e
rare. Le centocinquanta verste da percorrere sotto un sole cocente,
per quanto rapidamente fossero percorse, dovevano sembrare
interminabili!
La contrada che si estende dalla sponda destra dell'Ob fino alla base
dei contrafforti staccantisi dai monti Sajansk, orientati da nord a
sud, sterile. Appena qualche cespuglio stentato e arido rompe qua e
lla monotonia dell'immensa pianura. Non c'coltivazione, perchnon
c'acqua, e fu appunto l'acqua che mancpidi ogni altra cosa ai
prigionieri, sfibrati da quella marcia penosa. Per trovare un corso
d'acqua, sarebbe stato necessario portarsi a una cinquantina di verste
verso est, fino ai piedi del contrafforte che fa da spartiacque tra i
bacini dell'Ob e del Jenisej. Lscorre il Tom, piccolo affluente
dell'Ob, che passa a Tomsk prima di immettere le sue acque in una
delle grandi arterie del nord. L'acqua sarebbe stata abbondante
laggi la steppa meno arida, la temperatura pitollerabile. Ma erano
state impartite rigorose istruzioni ai capi del convoglio, di
raggiungere Tomsk per la via pibreve, perchl'emiro poteva sempre
temere d'essere attaccato ai fianchi e tagliato in due da qualche
colonna russa, che fosse discesa dalle province del nord. Ora, la
grande strada siberiana non costeggiava le rive del Tom, almeno nel
tratto compreso tra Kolivan e una piccola borgata chiamata Zabediero,
e bisognava seguire la grande strada siberiana.
E' inutile soffermarsi sulle sofferenze di tanti sventurati
prigionieri. Diverse centinaia morirono nella steppa, e i loro
cadaveri vi sarebbero rimasti fino a quando i lupi, spinti
dall'inverno, ne avrebbero divorato gli ultimi resti.
Come Nadia era sempre presente, pronta a soccorrere la vecchia
siberiana, cosMichele Strogoff, libero nei suoi movimenti, prestava
ai compagni di sventura pi deboli di lui tutti i servizi che gli
erano consentiti dalla sua situazione. Incoraggiava gli uni, sosteneva
gli altri, si prodigava, andava e veniva fino a quando la lancia di un
cavaliere l'obbligava a riprendere il suo posto nel gruppo che gli era
stato assegnato.
Perchnon tentava di fuggire? Perchil suo progetto, adesso ben
preciso, era di non gettarsi nella steppa se non quando questa fosse
sicura per lui. S'era fissato nell'idea di andare fino a Tomsk 冠
spese dell'emiroe, tutto sommato, aveva ragione. Vedendo le numerose
pattuglie che battevano la pianura ai fianchi del convoglio, a volte a
sud, a volte a nord, capiva bene che non avrebbe fatto due verste
senza essere ripreso. I cavalieri tartari pullulavano, e talvolta
sembrava che sbucassero dalla terra, come quegli insetti nocivi che
formicolavano sulla superficie del suolo dopo una pioggia torrenziale.
Inoltre, la fuga in quelle condizioni sarebbe stata estremamente
difficile, se non addirittura impossibile. I soldati della scorta
spiegavano una stretta vigilanza, perchne sarebbe andata di mezzo la
loro testa, se la sorveglianza fosse venuta meno.
Finalmente, il 15 agosto, verso sera, il convoglio raggiunse la
piccola borgata di Zabediero, a una trentina di verste da Tomsk. In
quel punto la strada raggiungeva il corso del Tom.
Il primo impulso dei prigionieri sarebbe stato di precipitarsi nelle
acque del fiume; ma i guardiani non permisero loro di rompere le file
prima che fosse organizzata la sosta. Benchla corrente del Tom fosse
quasi in piena in quella stagione, poteva favorire la fuga di qualche
audace o di qualche disperato, sicch furono prese le pisevere
misure di vigilanza. Alcune barche, requisite a Zabediero, furono
imbozzate sul Tom e formarono una barriera di ostacoli ch'era
impossibile superare. Quanto alla linea dell'accampamento, appoggiata
alle prime case della borgata, era sorvegliata da un cordone di
sentinelle a cui non sfuggiva nessuno.
Michele Strogoff, che da quel momento avrebbe potuto escogitare il
modo di lanciarsi nella steppa, cap dopo aver attentamente esaminato
la situazione, che i suoi progetti di fuga erano quasi inattuabili in
tali condizioni, e, non volendo compromettere nulla, aspett
I prigionieri dovevano bivaccare tutta la notte sulle rive del Tom.
Infatti l'emiro aveva rimandato all'indomani l'alloggiamento delle sue
truppe a Tomsk. Era stato deciso di inaugurare il quartiere generale
tartaro in questa importante cittcon una festa militare. Feofar Khan
ne occupava gila fortezza, ma il grosso del suo esercito bivaccava
sotto le mura, attendendo il momento di farvi un'entrata solenne.
Ivan Ogareff aveva lasciato l'emiro a Tomsk, dove ambedue erano
arrivati il giorno prima, ed era ritornato all'accampamento di
Zabediero. Da questo punto doveva partire l'indomani con la
retroguardia delle truppe tartare. Gli era stata preparata una casa
per passarvi la notte. Al levar del sole, sotto il suo comando,
cavalieri e fanti avrebbero marciato su Tomsk, dove l'emiro voleva
riceverli con la pompa abituale ai sovrani asiatici.
Appena organizzata la sosta, i prigionieri, sfiniti da tre giorni di
viaggio, tormentati da una sete ardente, poterono finalmente
dissetarsi e riposarsi un poco.
Il sole era gi tramontato, ma l'orizzonte era ancora rischiarato
dalla luce crepuscolare, quando Nadia, sostenendo Marfa Strogoff,
arrivsulla sponda del Tom. Le due donne non avevano potuto inserirsi
tra le file che ingombravano la riva, e adesso anche loro venivano a
bere.
La vecchia siberiana si chinsulla corrente fresca, e Nadia, facendo
coppa con le mani, le portl'acqua alle labbra. Poi si rinfresc anch'ella.
In quelle acque ristoratrici, la donna e la fanciulla ritrovarono la
vita.
D'improvviso, nel momento di allontanarsi dalla riva, Nadia sussult
Le era sfuggito un grido involontario.
Michele Strogoff era l a pochi passi da lei!... Era proprio lui!...
Lo riconobbe alle ultime luci del giorno!
Al grido di Nadia, Michele Strogoff trasal.. Ma fu ancora abbastanza
padrone di se non disse una parola che potesse comprometterlo.
Tuttavia, nel medesimo tempo che riconobbe Nadia, riconobbe anche sua
madre!...
A quell'incontro inaspettato, Michele Strogoff sentche non poteva
pidominarsi, si coprgli occhi con la mano e si allontansubito.
Nadia s'era istintivamente lanciata per raggiungerlo, ma la vecchia
siberiana le sussurrall'orecchio queste parole:
- Rimani, figlia mia!
- Ma lui! - rispose Nadia con voce rotta dall'emozione. - Vive,
madre! lui!
- E' mio figlio - rispose Marfa, - Michele Strogoff, e tu vedi
bene che io non muovo un passo verso di lui! Fa' come faccio io,
figlia mia!
Michele Strogoff provla piviolenta emozione che sia dato a uomo di
sentire. Sua madre e Nadia erano l Quelle due prigioniere, che nel
suo cuore si fondevano quasi in una! Dio le aveva condotte l'una verso
l'altra nella comune sventura! Nadia sapeva dunque chi era? No, perch aveva visto il gesto di Marfa Strogoff, che la tratteneva nel momento
in cui stava per lanciarsi verso di lui! Marfa Strogoff aveva dunque
compreso tutto e aveva conservato il suo segreto.
Durante la notte, Michele Strogoff fu venti volte sul punto di correre
da sua madre, ma capche doveva resistere a questo immenso desiderio
di abbracciarla e di stringere ancora una volta la mano della sua
giovane compagna! Ma la minima imprudenza poteva perderlo. Aveva
giurato, del resto, di non visitare sua madre... non l'avrebbe
visitata, di sua volont Una volta arrivato a Tomsk, poich non
poteva fuggire quella notte stessa, si sarebbe gettato attraverso la
steppa senza avere abbracciato le due persone nelle quali si
concentrava tutta la sua vita e che egli lasciava esposte a tanti
pericoli!
Michele Strogoff poteva dunque sperare che questo nuovo incontro
all'accampamento di Zabediero non avrebbe avuto conseguenze dannose,
nper sua madre nper lui. Ma non sapeva che certi particolari di
quella scena, pur cosfulminea, erano stati sorpresi da Sangarre, la
spia Ivan Ogareff.
La zigana era l a pochi passi, sulla riva, intenta a spiare come
sempre la vecchia siberiana, senza che questa ne avesse il minimo
sospetto. Non aveva visto Michele Strogoff, che era gi scomparso
quando ella si gir ma il gesto della madre, che tratteneva Nadia,
non le era sfuggito, e un lampo degli occhi di Marfa le aveva svelato
tutto.
Non c'era pi dubbio che il figlio di Marfa Strogoff, il corriere
dello zar, si trovava in quel momento a Zabediero, tra i prigionieri
di Ivan Ogareff.
Sangarre non lo conosceva, ma sapeva che era l Non cercdunque di
scoprirlo, perchsarebbe stato impossibile nell'oscurite in mezzo a
quella folla.
Era ugualmente inutile spiare ancora Nadia e Marfa Strogoff. Era
evidente che quelle due donne sarebbero state guardinghe, e sarebbe
stato impossibile scoprire ancora qualcosa d'altro che contribuisse a
compromettere il corriere dello zar.
La zigana ebbe dunque un unico pensiero: riferire tutto a Ivan
Ogareff. Lasciquindi subito l'accampamento.
Un quarto d'ora dopo, ella arrivava a Zabediero e veniva introdotta
nella casa occupata dal luogotenente dell'emiro.
Ivan Ogareff ricevette immediatamente la zigana.
- Che vuoi, Sangarre? - le domand - Il figlio di Marfa Strogoff nell'accampamento - rispose
Sangarre.
- Prigioniero?
- Prigioniero.
- Ah! - esclamIvan Ogareff - io sapr..
- Tu non saprai niente, Ivan, - aggiunse la zigana - perchtu non
lo conosci!
- Ma lo conosci tu! Tu l'hai visto, Sangarre!
- Io non l'ho visto, ma ho visto sua madre tradirsi con un gesto che
mi ha rivelato tutto.
- Non ti sbagli?
- Non mi sbaglio.
- Tu sai l'importanza che io attribuisco all'arresto di questo
corriere - disse Ivan Ogareff. - Se la lettera che gli stata
consegnata a Mosca arriva a Irkutsk, se consegnata al granduca, il
granduca starin guardia, e io non potrarrivare fino a lui! Questa
lettera devo averla ad ogni costo! Ora tu vieni a dirmi che il latore
di questa lettera in mio potere! Io ti ripeto, Sangarre, non ti
sbagli?
Ivan Ogareff parlava molto concitato. La sua emozione testimoniava
l'estrema importanza ch'egli attribuiva al possesso di quella lettera.
Sangarre non si turbper l'insistenza con la quale Ivan Ogareff
ripeteva la domanda.
- Non mi sbaglio, Ivan - rispose.
- Ma, Sangarre, ci sono nell'accampamento alcune migliaia di
prigionieri, e tu dici di non conoscere Michele Strogoff!
- No - rispose Sangarre, il cui sguardo brill di una gioia
selvaggia - io non lo conosco, ma sua madre lo conosce! Ivan,
bisognerfar parlare la madre!
- Domani parler - gridIvan Ogareff.
Poi tese la mano alla zigana, e lei la baci ma in quell'atto di
rispetto, abituale tra le razze del Nord, non c'era nulla di servile.
Sangarre, rientrall'accampamento. Ritrovil luogo dov'erano Nadia e
Marfa Strogoff, e pass la notte ad osservarle. L'anziana e la
fanciulla non dormirono, sebbene fossero sfinite dalla stanchezza.
Troppe inquietudini le tenevano sveglie! Michele Strogoff era vivo, ma
prigioniero come loro! Ivan Ogareff lo sapeva, oppure, se non lo
sapeva ancora, lo avrebbe saputo in seguito? Nadia era tutta presa dal
pensiero che il suo compagno viveva, quel compagno che lei aveva
creduto morto! Marfa Strogoff vedeva pilontano nell'avvenire e, se
non le importava di se stessa, aveva invece ragione di temere per suo
figlio.
Sangarre, infilatasi di soppiatto fino a loro col favore del buio,
rimase immobile parecchie ore, tendendo l'orecchio... Non riusc a
sentire nulla. Per un senso istintivo di prudenza, Nadia e Marfa
Strogoff non s'erano scambiate neppure una parola.
L'indomani, 16 agosto, verso le dieci del mattino, squillarono le
trombe all'entrata dell'accampamento. I soldati tartari si posero
immediatamente sull'attenti.
Ivan Ogareff, lasciata Zabediero, arrivava accompagnato da un numeroso
stato maggiore di ufficiali tartari. Il suo volto era pi scuro del
solito, e i suoi lineamenti contratti indicavano in lui una sorda
collera, che cercava il momento di sfogarsi.
Michele Strogoff, confuso in un gruppo di prigionieri, vide passare
quell'uomo. Ebbe il presentimento che stesse per accadere qualche
catastrofe, perchIvan Ogareff, ora sapeva che Marfa Strogoff era la
madre di Michele Strogoff, capitano dei corrieri dello zar.
Ivan Ogareff, arrivato al centro dell'accampamento, smontda cavallo,
e i cavalieri della sua scorta si disposero attorno a lui formando un
largo cerchio.
In quel momento, Sangarre si avvicine gli disse:
- Non ho niente di nuovo da dirti, Ivan!
Ivan Ogareff rispose impartendo un breve ordine a uno degli ufficiali.
Subito, le file dei prigionieri furono brutalmente ispezionate da vari
soldati. Quegli infelici, stimolati a colpi di frusta e spinti con le
aste delle lance, dovettero riordinarsi in fretta, e disporsi lungo la
circonferenza dell'accampamento. Quattro cordoni di fanti e di
cavalieri, disposti alle loro spalle, rendevano impossibile ogni
evasione.
Il silenzio fu completo e, ad un segnale di Ivan Ogareff, Sangarre si
diresse verso il gruppo di mezzo al quale stava Marfa Strogoff.
La vecchia siberiana la vide arrivare. Cap ci che stava per
accadere. Un sorriso di sdegno apparve sulle sue labbra. Poi,
accostandosi a Nadia, le sussurr
- Tu non mi conosci pi figlia mia! Qualunque cosa avvenga, e per
quanto dura sia questa prova, non una parola, non un gesto! Si tratta
di lui, non di me!
In quel momento, Sangarre, dopo averla osservata un istante, pose la
mano sulla spalla della vecchia siberiana.
- Cosa vuoi da me? - domandMarfa Strogoff.
- Vieni! - rispose Sangarre.
E, spingendola con la mano, la condusse in mezzo allo spazio riservato
davanti a Ivan Ogareff.
Michele Strogoff teneva gli occhi socchiusi, per non essere tradito
dal lampo delle sue pupille.
Marfa Strogoff, arrivata di fronte a Ivan Ogareff, si eresse nella
persona, incrocile braccia e attese.
- Sei tu veramente Marfa Strogoff? - le domandIvan Ogareff.
- S - rispose la vecchia siberiana con voce calma.
- Ti ricordi che cosa mi hai risposto, tre giorni fa, quando ti ho
interrogata a Omsk?
- No.
- Cos tu ignori che tuo figlio, Michele Strogoff, corriere dello
zar, passato a Omsk?
- Lo ignoro.
- E l'uomo che avevi creduto di conoscere per tuo figlio al cambio
della posta, non era lui? non era tuo figlio?
- Non era mio figlio.
- E dopo, tu non l'hai visto tra questi prigionieri?
- No.
- Se ti fosse indicato, lo riconosceresti?
- No.
A questa risposta, che denotava una irremovibile risoluzione di non
rivelare nulla, si levun mormorio nella folla.
Ivan Ogareff non riusca trattenere un gesto di minaccia.
- Stammi a sentire - disse a Marfa Strogoff; - tuo figlio qui, e
tu me lo indicherai immediatamente.
- No.
- Tutti questi uomini, presi a Omsk e a Kolivan, sfileranno davanti ai
tuoi occhi, e se tu non mi indicherai Michele Strogoff, riceverai
tanti colpi di "knut" quanti uomini saranno passati davanti a te!
Ivan Ogareff aveva capito che nessuna minaccia, nessuna tortura alla
quale venisse sottoposta, avrebbe indotto l'indomita siberiana a
parlare. Per scoprire il corriere dello zar, egli contava dunque non
su di lei, ma su Michele Strogoff stesso. Egli riteneva impossibile
che, trovandosi di fronte la madre e il figlio, non si tradissero con
qualche atto incontrollato. Certo, se il traditore avesse voluto
soltanto impadronirsi di quella lettera imperiale, avrebbe
semplicemente dato ordine di frugare tutti i prigionieri; ma Michele
Strogoff poteva avere distrutto quella lettera, dopo averla letta, e
se non veniva riconosciuto, se arrivava a Irkutsk, il piano di Ivan
Ogareff sarebbe stato sventato. Dunque, al traditore non serviva
soltanto la lettera, ma anche il portatore di essa.
Nadia aveva capito tutto, e ora sapeva chi era Michele Strogoff e
perchaveva voluto attraversare le province invase della Siberia
senza farsi riconoscere!
Per ordine di Ivan Ogareff, i prigionieri sfilarono a uno a uno
davanti a Marfa Strogoff, la quale rimase immobile come una statua,
mentre il suo sguardo esprimeva la picompleta indifferenza.
Suo figlio si trovava nell'ultima fila. Quando passanch'egli davanti
alla madre, Nadia chiuse gli occhi per non vedere!
Michele Strogoff era rimasto impassibile in apparenza, ma il palmo
delle sue mani sanguin tanto le unghie vi penetrarono.
Ivan Ogareff era stato vinto dal figlio e dalla madre!
Sangarre, accanto a lui, disse una sola parola:
- Il "knut"!
- S - gridIvan Ogareff, che non si controllava pi - il "knut"
a questa vecchia megera, e fino alla morte!
Un soldato tartaro, portando il terribile strumento di supplizio, si
avvicina Marfa Strogoff.
Il "knut" una sferza formata da corregge di cuoio, all'estremit delle quali sono attaccati uncini di ferro. Si ritiene che una
condanna a centoventi colpi di questa frusta equivale a una condanna a
morte. Marfa Strogoff lo sapeva, ma sapeva anche che nessuna tortura
poteva farla parlare, e aveva giofferto il sacrificio della sua
vita.
Marfa Strogoff, afferrata da due soldati, fu gettata in ginocchio per
terra. Le sue vesti, stracciate, mostrarono il dorso nudo. Le fu posta
una sciabola davanti al petto, a qualche pollice di distanza. Nel caso
che ella si fosse piegata sotto il dolore, il suo petto sarebbe stato
trapassato da quella punta affilata.
Il tartaro restin piedi.
Aspettava.
- Via! - disse Ivan Ogareff.
La frusta sibilnell'aria...
Ma, prima che avesse colpito, una mano energica la strappda quelle
del tartaro.
Michele Strogoff era l Era balzato in mezzo a quell'orribile scena!
Se al cambio di Iscim egli s'era trattenuto quando la frusta di Ivan
Ogareff aveva colpito lui, qui, davanti a sua madre che stava per
essere flagellata, non aveva piresistito.
Ivan Ogareff era riuscito nell'intento.
- Michele Strogoff! - grid
Poi avvicinandosi:
- Ah! - disse - l'uomo di Iscim?
- Proprio lui! - disse Michele Strogoff.
E levando il "knut", vibrun colpo in pieno viso a Ivan Ogareff.
- Colpo per colpo! - disse.
- Ben reso! - griduna voce tra gli spettatori, che per fortuna si
disperse nel tumulto.
Venti soldati si lanciarono su Michele Strogoff, pronti per
ucciderlo...
Ma Ivan Ogareff, pur lasciandosi sfuggire un grido di rabbia e di
dolore, li fermcon un gesto.
- Quest'uomo consegnato alla giustizia dell'emiro! - disse
Frugatelo.
La lettera con i sigilli imperiali fu trovata sul petto di Michele
Strogoff, che non aveva avuto il tempo per distruggerla, e fu
consegnata a Ivan Ogareff.
Lo spettatore che aveva pronunciato quelle parole: 雨en reso! non
era altri che Alcide Jolivet. Egli e il suo collega, fermatisi
all'accampamento di Zabediero, assistevano a questa scena.
- Perdiana! - disse Alcide Jolivet ad Harry Blount - sono
coraggiosi questi uomini del Nord! Ammettete che dobbiamo una
riparazione al nostro compagno di viaggio! Korpanoff o Strogoff si
equivalgono! Bella giustizia per l'affare di Iscim!
- S giustizia, infatti - rispose Harry Blount, - ma Strogoff un uomo morto. Nel suo interesse, forse, avrebbe fatto meglio a non
ricordarsene ancora!
- E lasciar morire sua madre sotto il "knut"!
- Credete che abbia migliorato la sorte a sua madre e a sua sorella,
con quel gesto?
- Io non credo niente, io non so niente - rispose Alcide Jolivet -
se non che io non avrei fatto di meglio al suo posto! Che sfregio! Eh,
diavolo! Bisogna entusiasmarsi qualche volta! Dio ci avrebbe messo
acqua nelle vene e non sangue, se ci avesse voluti sempre e dovunque
impassibili!
- Grazioso incidente per una cronaca! - disse Harry Blount. Se Ivan
Ogareff volesse soltanto darci comunicazione di quella lettera!...
Ivan Ogareff, intanto, dopo essersi ripulito dal sangue che gli colava
dal viso, strappil sigillo di quella lettera. La lesse e rilesse
attentamente, come se avesse voluto compenetrarsi di tutto quanto
conteneva.
Poi, dopo aver dato ordini perch Michele Strogoff, strettamente
legato, fosse inviato a Tomsk con gli altri prigionieri, prese il
comando delle truppe accampate a Zabediero e, fra l'assordante rullare
dei tamburi e squillare di trombe, si diresse verso la citt dove
l'attendeva l'emiro.



4. L'ENTRATA TRIONFALE.

Tomsk, fondata nel 1604 quasi al centro delle province siberiane, una delle piimportanti cittdella Russia asiatica. Tobolsk, situata
sopra il sessantesimo parallelo, e Irkutsk, costruita al di l del
centesimo meridiano, hanno visto Tomsk ingrandire a loro spese.
E tuttavia Tomsk, come abbiamo detto, non la capitale di questa
importante provincia. Infatti, il governatore generale di tutta la
provincia e tutti gli uffici sono a Omsk. Ma Tomsk la pi considerevole cittdi questo territorio, che confina con i monti
Altai, cio con la frontiera cinese del paese dei Khalkas. Dalle
pendici di questi monti scendono interrottamente fino alla vallata del
Tom vene di platino, d'oro, d'argento, di rame, di piombo aurifero.
Essendo un paese ricco, lo anche la citt situata al centro di
ricchi giacimenti. Cos il lusso delle sue case, dei suoi
arredamenti, delle sue carrozze, pu gareggiare con quello delle
grandi capitali europee. E' una cittdi milionari, arricchitisi con
il piccone e la pala, e se non ha l'onore di offrire stabile residenza
al rappresentante dello zar, si consola annoverando nei primi ranghi
dei suoi cittadini piragguardevoli il capo dei commercianti della
citt principale concessionario delle miniere del governo imperiale.
In passato Tomsk era considerata ai confini del mondo. Andare a Tomsk
significava fare un immenso viaggio. Ora, non che una semplice
passeggiata, quando la strada non battuta dagli invasori. Anzi
presto sar costruita la ferrovia che deve collegarla con Perm
attraverso la catena dell'Ural (1).
Tomsk una bella citt Bisogna riconoscere che i viaggiatori non
sono d'accordo su questo punto. La signora de Bourboulon, che vi si fermata alcuni giorni durante il suo viaggio da Shanghai a Mosca, ce
la presenta come una localit poco pittoresca. Stando alla sua
descrizione, non che una cittinsignificante, con le case di pietre
e mattoni, le strade molto strette e assai differenti da quelle che
tagliano con ordine le grandi cittsiberiane, con quartieri sporchi,
specialmente dove abitano ammassati i Tartari, e nella quale pullulano
quei tranquilli ubriaconi, 勁a cui ubriachezza apatica, come presso
tutti i popoli del nord!
Il viaggiatore Henry Russel Killough, invece, assolutamente positivo
nella sua ammirazione per Tomsk. Cidipende forse dal fatto che egli
l'ha vista d'inverno, coperta dal suo manto di neve, mentre la signora
de Bourboulon l'ha vista durante l'estate? E' possibile, e
confermerebbe quella opinione secondo la quale certi paesi freddi non
possono essere apprezzati che nella stagione fredda, come certi paesi
caldi nella stagione calda.
Comunque sia, il signor Russel Killough dice positivamente che Tomsk
non soltanto la pibella cittdella Siberia, ma addirittura una
delle pibelle cittdel mondo, avendo le case con colonnati e
peristili, marciapiedi di legno, strade larghe e regolari, quindici
magnifiche chiese che si riflettono nelle acque del Tom, pilargo di
qualsiasi fiume della Francia.
La verit sta nel mezzo tra le due opinioni. Tomsk; con i suoi
venticinquemila abitanti, pittorescamente adagiata su una lunga
collina le cui pendici sono molto ripide.
Ma la pi bella citt del mondo diventa la pisporca, quando occupata dagli invasori. Chi l'avrebbe ammirata a quell'epoca? Difesa
da alcuni battaglioni di Cosacchi a piedi, che vi risiedono in
permanenza, non aveva resistito all'assalto delle colonne dell'emiro.
Una parte degli abitanti, che sono di origine tartara, avevano fatto
un'accoglienza tutt'altro che cattiva a quelle orde di Tartari come
loro, e in quel momento Tomsk appariva affatto npirussa npi siberiana che se fosse stata trasportata al centro dei khanati di
Kokand o di Buchara.
L'emiro si preparava a ricevere a Tomsk le sue truppe vittoriose.
Doveva essere offerta in loro onore una festa con canti, danze e
fantasie, e seguita dalle inevitabili orge.
Il teatro scelto per questa cerimonia, organizzata secondo il gusto
asiatico, era un vasto poggio situato su una parte della collina che
domina il corso del Tom da un centinaio di piedi. Tutto l'orizzonte,
con una lunga prospettiva di case eleganti e di chiese dalle cupole
panciute, con le numerose insenature del fiume, con gli entroterra di
foreste immerse nella nebbia calda, era chiuso da una meravigliosa
cornice di verde, formata da alcune macchie di pini e di cedri
secolari.
Su larghe terrazze alla destra del poggio, era stato innalzato
provvisoriamente una specie di splendido palcoscenico, rappresentante
un palazzo d'una architettura bizzarra, indubbiamente una copia di
quei monumenti di Buchara, semimoreschi e semitartari. Al di sopra di
questo palazzo, sulla punta dei minareti che lo dominavano da ogni
parte, tra i fronzuti rami degli alberi da cui il poggio era
ombreggiato, volavano centinaia di cicogne ammaestrate, venute da
Buchara con l'esercito tartaro.
Le terrazze erano stata riservate alla corte dell'emiro, ai khan suoi
alleati, ai grandi dignitari dei khanati e agli "harem" di ciascuno di
quei sovrani del Turkestan.
Le sultane, per la maggior parte, non sono altro che schiave comperate
sui mercati della Transcaucasia e della Persia. Alcune avevano il viso
scoperto, altre portavano un velo che le nascondeva agli sguardi.
Tutte erano vestite con un lusso esagerato. Le eleganti vestaglie, con
le maniche rialzate all'indietro che si riunivano alla moda del
sellino europeo, lasciavano scoperte le loro braccia, cariche di
braccialetti riuniti da catene di pietre preziose, e le loro piccole
mani, dalla unghie tinte di succo di "henn (2), Al minimo movimento
di queste vestaglie, le une in drappo di seta, paragonabili per la
loro finezza alla tela di ragno, le altre fatte d'un morbido "alagi,
un tessuto di cotone a trama fitta, si produceva quel fruscio tanto
gradito alle orecchie degli Orientali. Sotto questa prima veste
brillavano gonne di broccato, le quali coprivano i pantaloni di seta
rimboccati un poco sopra i fini stivaletti, graziosamente svasati e
bordati di perle. Alcune di quelle donne che non avevano il viso
velato, destavano l'ammirazione con le loro lunghe trecce sfuggenti
dai turbanti multicolori, gli occhi splendidi, i denti magnifici, il
colorito abbagliante, messo ancor pi in risalto dal nero delle
sopracciglia congiunte da un leggero tratto di collirio, e la
sfumatura delle loro palpebre, scurite da un tocco di piombaggine.
Ai piedi delle terrazze, letteralmente coperte dagli stendardi e dagli
orifiammi, vegliavano le guardie personali dell'emiro, con al fianco
la sciabola a doppio taglio, il pugnale alla cintura, con in pugno la
lancia lunga dieci piedi. Alcuni di questi Tartari portavano bastoni
bianchi, altri enormi alabarde, ornate da fiocchi di fili d'argento e
d'oro.
Tutt'intorno, fino al retroterra di quel vasto poggio, sul pendio
della scarpata di cui il Tom bagna la base, si ammassa una folla
cosmopolita, composta di tutti i tipi indigeni dell'Asia centrale.
C'erano gli Usbeki con i loro berretti neri di pelle di pecora, la
barba rossa, gli occhi grigi, il loro "arkaluk", specie di tunica
drappeggiata alla moda tartara. Lsi pigiavano i Turcomanni, vestiti
del costume nazionale, larghi pantaloni a colori vistosi con tuniche e
mantelli tessuti di pelo di cammello, berretti rossi conici o svasati,
alti stivali di cuoio di Russia, la sciabola e il coltello appesi alla
cintola con una correggia; l accanto ai loro padroni c'erano le
donne turcomanne, dai capelli prolungati da cordoncini di pelo di
capra, la camicetta aperta sul giuba a righe blu, porpora verde, le
gambe fasciate da bende colorate che s'incrociavano fino alle scarpe
di cuoio. Lancora - come se tutte le popolazioni della frontiera
russo-cinese si fossero date convegno rispondendo alla voce dell'emiro
- si vedevano i Manci rasati sulla fronte e sulle tempie, capelli a
trecce, abiti lunghi, cintura stretta su una camicia di seta, berretti
ovali di raso color ciliegia con bordo nero e frange rosse; poi,
assieme a loro, i meravigliosi esemplari di donne della Manciuria, con
un cappello civettuolo di fiori artificiali fissati da spille d'oro e
da farfalle delicatamente posate sui loro capelli neri. Infine i
Mongoli, gli abitanti di Buchara, i Persiani, i Cinesi del Turkestan,
completavano quella folla convenuta alla festa tartara.
Solo i Siberiani mancavano a questo ricevimento degli invasori. Coloro
che non avevano potuto fuggire, stavano rinchiusi nelle loro case, con
il timore di qualche saccheggio, che Feofar Khan avrebbe forse
ordinato per completare degnamente quella cerimonia trionfale.
L'emiro fece il suo ingresso sulla piazza soltanto alle quattro,
preceduto da squilli di tromba, da colpi di tam-tam, da scariche di
artiglieria e di fucileria.
Feofar montava il suo cavallo favorito, che portava sulla testa un
pennacchio di diamanti. L'emiro indossava il suo costume di guerra. Ai
suoi fianchi marciavano i khan di Kokand e di Kundus, i grandi
dignitari dei khanati, e lo accompagnava un numeroso stato maggiore.
In quello stesso momento comparve sulla terrazza la prima moglie di
Feofar, la regina, se tale titolo puattribuirsi alle sultane dello
Stato di Buchara. Ma, regina o schiava, questa donna, d'origine
persiana, era stupendamente bella. Contrariamente al costume
maomettano, e senza dubbio per un capriccio dell'emiro, essa aveva il
viso scoperto. La sua capigliatura, divisa in quattro trecce,
accarezzava le sue spalle d'una splendida bianchezza, appena coperte
da un velo di seta laminato d'oro, che si annodava dietro a un
berretto costellato di gemme di grandissimo valore. Sotto la gonnella
di seta blu, a larghe falde piscure, scendeva lo "zir-giameh in velo
di seta", e sopra la cintura si arricciava il "pirahn", una camicetta
dello stesso tessuto, che si apriva in una graziosa scollatura. Ma,
dalla testa fino ai piedi, calzati di pantofole persiane, era tale la
profusione di gioielli, "tomans" d'oro infilati a fili d'argento,
corone di turchesi, "firuseh" tratte dalle celebri miniere
dell'Elbrus, collane di cornalina, di agata, di smeraldi, di opali e
di zaffiri, che il suo corsetto e la sua gonna sembravano tessuti di
pietre preziose. Quanto alle migliaia di diamanti che scintillavano
attorno al suo collo, alle braccia, alle mani, alla cintura, ai piedi,
parecchi milioni di rubli non sarebbero bastati a pagarne il prezzo, e
dall'intensitdei loro riflessi si sarebbe creduto che, al centro di
ognuno di essi, qualche corrente accendesse un arco voltaico fatto
d'un raggio di sole.
L'emiro e i khan scesero dai loro cavalli, cospure i dignitari del
seguito. Tutti presero posto sotto una magnifica tenda, elevata al
centro della terrazza. Davanti alla tenda, come sempre, c'era il
"Corano" aperto sulla tavola sacra.
Il luogotenente di Feofar non si fece attendere, e prima delle cinque
le squillanti trombe annunciarono il suo arrivo.
Ivan Ogareff - lo sfregiato, come gilo chiamavano - arriv a
cavallo davanti alla tenda dell'emiro, indossando questa volta
l'uniforme di ufficiale tartaro. Era accompagnato da una parte dei
soldati dell'accampamento di Zabediero, che si disposero ai lati della
piazza, in mezzo al quale rest soltanto lo spazio riservato ai
divertimenti. Il traditore aveva la faccia segnata obliquamente da una
larga cicatrice.
Ivan Ogareff presentall'emiro i suoi pialti ufficiali, e Feofar
Khan, senza perdere la freddezza che costituiva il fondo della sua
dignit li accolse in maniera che fossero soddisfatti della sua
accoglienza.
Cos almeno interpretarono questa accoglienza Harry Blount e Alcide
Jolivet, i due inseparabili colleghi, associati ora per la caccia
delle notizie. Dopo aver lasciato Zabediero, essi erano arrivati
rapidamente a Tomsk. Il loro piano ben preciso era di non fare
compagnia ai Tartari, ma di raggiungere piuttosto qualche corpo russo
e, se era possibile, andare con questo fino a Irkutsk. Quanto avevano
visto dell'invasione, di quegli incendi, di quei saccheggi, di quelle
uccisioni, li aveva profondamente scossi, sicchavevano fretta di
trovarsi tra le file dell'esercito siberiano.
Alcide Jolivet, tuttavia, aveva fatto comprendere al suo collega che
non poteva partire da Tomsk senza prendere qualche schizzo
dell'entrata trionfale delle truppe tartare - non fosse altro che
per soddisfare la curiositdi sua cugina - e Harry Blount s'era
deciso a rimanere per alcune ore; ma, la sera stessa, ambedue
avrebbero ripreso la strada di Irkutsk e, bene equipaggiati, speravano
di precedere gli esploratori dell'emiro.
Alcide Jolivet e Harry Blount s'erano dunque mescolati alla folla e
guardavano, in maniera da non perdere nessun particolare d'una festa
che avrebbe fornito loro cento buone righe di cronaca. Ammirarono
dunque Feofar Khan nella sua magnificenza, le sue mogli, i suoi
ufficiali, le sue guardie, e tutta quella pompa orientale, di cui le
cerimonie d'Europa non possono dare la minima idea. Ma torsero gli
occhi con disprezzo quando Ivan Ogareff si presentdavanti all'emiro,
e attesero con una certa impazienza l'inizio della festa.
- Vedete, caro Blount, - disse Alcide Jolivet - noi siamo venuti
troppo presto, come dei veri signori che vogliono spendere bene il
loro denaro! Tutto questo non significa altro che l'alzata del
sipario; sarebbe stato pi interessante arrivare soltanto per il
balletto.
- Quale balletto? - domandHarry Blount.
- Il balletto d'obbligo, perdiana! Ma credo che si levi il sipario.
Alcide Jolivet parlava come se fosse stato all'Opera, e cavando il
binocolo dall'astuccio, si prepara osservare da intenditore "i primi
personaggi della compagnia di Feofar".
Ma i divertimenti erano preceduti da una scena penosa.
Infatti il trionfo del vincitore non poteva essere completo senza
l'umiliazione pubblica dei vinti. Perci parecchie centinaia di
prigionieri furono condotti sotto la frusta dei soldati. Erano
destinati a sfilare davanti a Feofar Khan e ai suoi alleati, prima di
essere stipati con i loro compagni nelle prigioni della citt
Tra questi prigionieri figurava in prima fila Michele Strogoff.
Conforme agli ordini di Ivan Ogareff, egli era particolarmente
vigilato da un plotone di soldati. C'erano anche sua madre e Nadia.
La vecchia siberiana, sempre energica quando si trattava soltanto di
se stessa, aveva ora il viso d'un pallore mortale. Ella si attendeva
qualche scena terribile. Non senza ragione, infatti, suo figlio era
condotto davanti all emiro. Percitremava per lui. Ivan Ogareff,
colpito pubblicamente da quel "knut" che era stato levato su di lei,
non era un uomo che perdona, e la sua vendetta sarebbe stata senza
confronti. Michele Strogoff era certamente condannato a uno di quegli
spaventosi supplizi che sono familiari ai barbari dell'Asia centrale.
Se Ivan Ogareff lo aveva risparmiato quando i soldati si erano
lanciati su di lui, era perchconosceva bene ciche sarebbe accaduto
quando l'avesse consegnato alla giustizia dell'emiro.
Del resto, nla madre nil figlio avevano potuto rivolgersi la
parola dopo la scena funesta dell'accampamento di Zabediero. Li
avevano rigorosamente separati l'uno dall'altra. Questo aggravava le
loro sventure, perchsarebbe stata per loro una consolazione restare
uniti per qualche tempo durante quei pochi giorni di prigionia! Marfa
Strogoff avrebbe voluto domandare perdono a suo figlio di tutto il
male che gli aveva causato involontariamente, perchsi accusava di
non aver potuto dominare i suoi sentimenti materni! Se avesse saputo
trattenersi a Omsk, nella casa della posta, quando si era trovata di
fronte a lui, Michele Strogoff sarebbe passato senza essere
riconosciuto, e quante disgrazie sarebbero state evitate!
Dal canto suo, Michele Strogoff pensava che se sua madre era l se
Ivan Ogareff l'aveva condotta alla sua presenza, era perchsoffrisse
dello stesso supplizio del figlio, forse anche perchtanto alla madre
quanto al figlio fosse riservata una morte spaventosa!
Quanto a Nadia, ella si domandava che cosa fare per salvare l'uno e
l'altra, come venire in aiuto al figlio e alla madre. Non sapeva che
cosa pensare, ma sentiva vagamente che doveva soprattutto evitare di
richiamar l'attenzione sopra di s che doveva dissimulare, farsi
piccola! Forse allora avrebbe potuto rodere le maglie della rete che
imprigionavano il leone. In ogni caso, se le fosse capitata
l'occasione di agire, avrebbe agito, anche a costo di sacrificarsi per
il figlio di Marfa Strogoff.
Frattanto la maggior parte dei prigionieri erano sfilati davanti
all'emiro e, passando, ognuno di loro aveva dovuto prostrarsi con la
fronte nella polvere, in segno di schiavit La schiavitcominciava
con l'umiliazione! Se quegli sventurati erano troppo lenti a curvarsi,
la rude mano delle guardie li gettava violentemente a terra.
Alcide Jolivet e il suo collega non potevano assistere a un tale
spettacolo senza provare un vero sdegno.
- Troppo indegno! Andiamo via! - disse Alcide Jolivet.
- No! - rispose Harry Blount - Bisogna vedere tutto.
- Vedere tutto!... Ah! - esclam d'improvviso Alcide Jolivet,
afferrando il braccio del suo compagno.
- Cosa c' - gli domandquesti.
- Guardate, Blount! E' lei!
- Lei?
- La sorella del nostro compagno di viaggio! Sola e prigioniera!
Bisogna salvarla...
- Dominatevi - rispose freddamente Harry Blount. - Il nostro
intervento in favore di quella fanciulla potrebbe essere pinocivo
che utile.
Alcide Jolivet, pronto a lanciarsi, si trattenne, e Nadia non lo vide,
avendo gli occhi mezzo velati dai suoi capelli; passdunque anch'ella
davanti all'emiro, senza richiamare la sua attenzione.
Dopo Nadia era arrivata anche Marfa Strogoff e, siccome non fu
abbastanza pronta a prostrarsi nella polvere, le guardie la sospinsero
brutalmente.
Marfa Strogoff cadde.
Suo figlio ebbe uno scatto terribile, che i soldati di guardia
riuscirono appena a reprimere.
Ma la vecchia Marfa si alze stava per essere condotta via, quando
intervenne Ivan Ogareff, dicendo:
- Questa donna rimanga!
Intanto Nadia fu ricacciata tra la folla dei prigionieri. Lo sguardo
di Ivan Ogareff non s'era fermato su di lei.
Michele Strogoff fu allora condotto davanti all'emiro, e lrimase in
piedi, senza abbassare gli occhi.
- Fronte a terra! - gridIvan Ogareff.
- No! - rispose Michele Strogoff.
Due guardie vollero costringerlo a prostrarsi, ma tocc a loro
stendersi al suolo, spinte dalla mano del robusto giovane.
Ivan Ogareff avanzverso Michele Strogoff.
- Tu morrai! - disse.
- Morir - rispose con fierezza Michele Strogoff, - ma la tua
faccia di traditore, Ivan, porterper sempre il marchio infamante del
"knut"!
Ivan Ogareff, a questa risposta, impallidpaurosamente.
- Chi questo prigioniero? - domandl'emiro, con quella voce
ch'era tanto piminacciosa quanto piera calma.
- Una spia russa - rispose Ivan Ogareff.
Tacciando Michele Strogoff da spia, egli sapeva che la sentenza
pronunciata contro di lui sarebbe stata terribile.
Michele Strogoff s'era lanciato su Ivan Ogareff.
I soldati lo immobilizzarono.
L'emiro fece allora un gesto, davanti al quale tutta la folla si
curv Poi indiccon la mano il "Corano", che gli fu portato. April
libro sacro e posil dito su una pagina.
Il destino, o piuttosto, nella credenza di quegli orientali, Dio
stesso avrebbe deciso la sorte di Michele Strogoff. I popoli dell'Asia
centrale danno il nome di "fal" a questa pratica. Dopo avere
interpretato il versetto additato dal giudice, essi applicano la
sentenza, qualunque sia.
L'emiro teneva il dito fermo sulla pagina del "Corano". Il capo degli
ulemi, avvicinandosi, lesse a voce alta un versetto che terminava con
queste parole:
亟gli non vedrmai pile cose della terra - Spia russa, - disse Feofar Khan - tu sei venuto per vedere ci che avviene nell'accampamento tartaro! Guarda dunque con i tuoi occhi,
guarda bene!


NOTE.

Nota 1. E' la famosa 咨ransiberiana che risult la pi lunga
ferrovia del mondo (9334 chilometri).
Nota 2. Materia colorante in rosso, che si ricava da una pianta
originaria dall'Arabia; il nome italiano, usato dai classici, "alcanna" (Nota del Traduttore).
















5. 亮UARDA CON I TUOI OCCHI, GUARDA BENE!
Michele Strogoff, con le mani legate, fu tenuto davanti al trono
dell'emiro, ai piedi della terrazza.
Sua madre, vinta alla fine da tante torture fisiche e morali, si era
accasciata, non osava piguardare, non osava piascoltare.
亮uarda con i tuoi occhi! guarda bene! aveva detto Feofar Khan
tendendo la mano minacciosa verso Michele Strogoff.
Senza dubbio Ivan Ogareff, conoscendo i costumi tartari, aveva capito
la gravit di quelle parole, perch le sue labbra s'erano per un
istante socchiuse in un sorriso crudele. Poi era andato a mettersi
accanto a Feofar Khan.
Risuonsubito uno squillo di tromba. Era il segnale dei divertimenti.
- Ecco il balletto - disse Alcide Jolivet a Harry Blount, - ma,
contrariamente a tutti gli usi, questi barbari d跣no il balletto prima
del dramma!
Michele Strogoff aveva ricevuto l'ordine di guardare. E guard
Uno stuolo di danzatrici fece allora irruzione sulla piazza. Diversi
strumenti tartari, il "dutar", mandolino dal manico lungo in legno di
gelso, a due corde di seta ritorta in accordo di quarta; il "kobis",
specie di violoncello aperto dalla parte anteriore, munito di crine di
cavallo fatto vibrare per mezzo di un archetto; la "cibisga", lungo
flauto di canna, e trombe, tamburelli, tam-tam, uniti alla voce
gutturale dei cantanti, formavano un'armonia esotica. A cioccorre
aggiungere gli accordi d'una orchestra aerea, formata da una dozzina
di cervi volanti, che, con le loro corde tese al centro, risuonavano
come arpe eolie pizzicate dalla brezza.
Subito cominciarono le danze.
Le danzatrici erano tutte di origine persiana. Non erano schiave ed
esercitavano la loro professione in libert In altri tempi, esse
figuravano ufficialmente nelle cerimonie alla corte di Teheran; ma
dopo l'avvento della famiglia regnante, erano state pressochbandite
dal regno e avevano dovuto cercare fortuna altrove. Vestivano il
costume nazionale ed erano ornate di gioielli a profusione. Piccoli
triangoli d'oro e lunghi pendagli ciondolavano dai loro orecchi; al
collo portavano cerchi d'argento niellato; alle braccia e alle gambe,
braccialetti formati da un doppio serto di gemme; all'estremitdelle
loro lunghe trecce tinnivano pendenti, riccamente inframmezzati di
perle, di turchesi e di conaline. La cintura che le stringeva alla
vita era chiusa da un fermaglio di brillanti, che rassomigliava alla
piastra della gran croce europea.
Queste danzatrici eseguirono con molta grazia diverse danze, a volte
singolarmente, a volte a gruppi. Avevano il viso scoperto, ma ogni
tanto si tiravano sul volto un velo leggero, e sembrava che una nube
di tulle passasse su quegli occhi splendidi, come una nebbia su un
cielo stellato. Alcune di queste persiane portavano a modo di sciarpa
una cintura di cuoio ornata di perle, dalla quale pendeva una borsetta
di forma triangolare, con la punta in basso, ch'esse aprirono ad un
certo momento. Da queste borsette, tessute in filigrana d'oro,
estrassero lunghi e stretti nastri di seta scarlatta, sui quali erano
scritti dei versetti del "Corano". Questi nastri, ch'esse tesero tra
di loro, formarono una galleria sotto la quale le altre danzatrici
s'insinuarono senza rompere il passo, e, passando davanti a ogni
versetto, secondo il precetto che conteneva, si prostravano fino a
terra o si sollevavano in un leggero salto, quasi a significare che
prendevano posto tra gli uri del cielo di Maometto.
Ma, ci che era degno di nota e che colpAlcide Jolivet, fu che
queste persiane si mostrarono piuttosto indolenti anzich focose.
Mancava loro la 剌uria e, tanto per il genere delle loro danze,
quanto per la loro esecuzione, assomigliavano piuttosto alle baiadere
calme e composte dell'India che alle almee passionali dell'Egitto.
Finito questo primo numero, si uduna voce profonda che diceva
- Guarda con i tuoi occhi, guarda bene!
L'uomo che ripeteva le parole dell'emiro, un tartaro di alta statura,
era l'esecutore dei sovrani voleri di Feofar Khan. Aveva preso posto
dietro a Michele Strogoff e teneva in mano una sciabola dalla larga
lama ricurva, una di quelle lame damascate e temprate dai celebri
armaioli di Karsi o di Hissar.
Accanto a lui, le guardie avevano portato un trepiede con un braciere
dove ardevano senza fumo dei carboni accesi. Il leggero vapore che li
coronava, era dovuto alla combustione di una sostanza resinosa e
aromatica, mista d'incenso e benzoino, che vi veniva sparsa sopra.
Intanto, alle Persiane era immediatamente seguito un altro gruppo di
danzatrici, di razza molto diversa, che Michele Strogoff riconobbe
subito.
Bisogna supporre che anche i due giornalisti le riconoscessero, perch Harry Blount disse al suo collega:
- Sono le zigane di Niznij Novgorod!
- Proprio loro - esclamAlcide Jolivet. - Immagino che a quelle
spie gli occhi fruttino pidenaro delle gambe!
Considerandole come agenti al servizio dell'emiro, Alcide Jolivet, lo
sappiamo, non si sbagliava.
Sangarre si distingueva tra tutte quelle zigane per la solennit del
suo costume esotico e pittoresco, che dava risalto alla sua bellezza.
Sangarre non ball ma si pose come una mima in mezzo alle sue
danzatrici, le cui movenze di fantasia avevano qualcosa che risentiva
di tutti i paesi maggiormente frequentati dalla loro razza in Europa,
dalla Boemia all'Egitto, dall'Italia alla Spagna. Esse si animavano al
suono dei dischetti che tintinnavano sulle loro braccia, e al rull髺
dei "dair廥", specie di tamburelli baschi, di cui le loro dita
sfioravano la pelle stridente.
Sangarre, tenendo uno di quei "dair廥" che fremeva tra le sue mani,
incitava quella compagnia di autentiche coribanti.
Avanzallora uno zigano, dell'etdi circa quindici anni. Teneva in
mano un "dutar", di cui faceva vibrare le due corde col semplice tocco
delle unghie. Egli cant Durante le strofe di quella canzone d'un
ritmo molto strano, una danzatrice venne a porsi accanto a lui e
rimase immobile ascoltando; ma ogni volta che il ritornello si
ripeteva sulle labbra del giovane cantante, essa riprendeva la danza
interrotta, accompagnandolo con il suo "dair e stordendolo con il
crepitare delle nacchere.
Poi, terminato l'ultimo ritornello, le danzatrici avvolsero lo zigano
nei mille vortici delle loro danze.
A questo punto, cadde una pioggia d'oro dalle mani dell'emiro e dei
suoi alleati, dalle mani dei loro ufficiali d'ogni grado, e cosal
tintinnio delle monetine che colpivano i monili delle danzatrici, si
mescolavano ancora gli ultimi sussurri dei "dutar" e dei tamburelli.
- Prodighi come ladri! - disse Alcide Jolivet all'orecchio del suo
compagno.
Era infatti il denaro rubato che scorreva a manciate perch assieme
ai "tomans" e agli zecchini tartari, piovevano anche i ducati e i
rubli moscoviti.
Poi d'improvviso si fece silenzio, e la voce dell'aguzzino, che teneva
la mano appoggiata sulla spalla di Michele Strogoff, ripet quelle
parole, la cui ripetizione le rendeva sempre pisinistre:
- Guarda con i tuoi occhi, guarda bene!
Ma questa volta Alcide Jolivet osservche l'esecutore non teneva pi la sciabola sguainata in mano.
Intanto il sole s'abbassava all'orizzonte. Una semioscuritcomincia
invadere lo sfondo della campagna. Le macchie di cedri e di pini si
facevano via via pi scure, e le acque del Tom, smorte, si
confondevano in lontananza con le prime nebbie serali. La notte non
avrebbe tardato ad avvolgere il poggio che dominava la citt
Ma, in quell'istante alcune centinaia di schiavi, recanti torce accese
invasero la piazza. Precedute da Sangarre, zigane e persiane
riapparvero davanti al trono dell'emiro e si esibirono, quasi in una
gara, nelle loro danze di genere cos diverso. Gli strumenti
dell'orchestra tartara, si scatenarono in un ritmo pi selvaggio,
accompagnato dalle grida gutturali dei cantori. I cervi volanti,
ch'erano stati ritirati a terra, ripresero il loro volo, innalzando
tutta una costellazione di lanterne multicolori, e sotto la brezza pi fresca le loro arpe vibravano con piintensit in mezzo a quella
illuminazione aerea.
Poi uno squadrone di Tartari, in tenuta di guerra, vennero a
mescolarsi alle danze, la cui furia andcrescendo, e allora cominci una fantasia pedestre, che produsse il pistrano effetto.
I soldati, armati di sciabole sguainate e di lunghe pistole,
eseguivano certe acrobazie, facendo contemporaneamente risuonare
nell'aria detonazioni clamorose, con ininterrotte scariche di
fucileria, che si distinguevano nettamente sopra il rullare dei
tamburelli, il ronzio dei "dair廥", lo stridore dei "dutar". Le armi,
caricate a salve con polvere colorata alla maniera cinese, grazie a
qualche ingrediente metallico, lanciavano lunghi razzi rossi, verdi,
azzurri, sicchpareva che tutti quei gruppi si agitassero in mezzo a
un fuoco d'artificio. Sotto certi aspetti, questo divertimento
ricordava la cibistica degli antichi, specie di danza militare, in cui
il corifeo si muoveva in mezzo alle punte delle spade e dei pugnali,
ed possibile che la tradizione sia rimasta tra i popoli dell'Asia
centrale; ma la cibistica tartara era resa ancora pibizzarra da quei
fuochi colorati che s'incrociavano sopra le danzatrici, i cui lustrini
assumevano l'aspetto di mille fiammelle. Era come un caleidoscopio di
scintille, le cui combinazioni variavano all'infinito ad ogni
movimento delle ballerine.
Per quanto assuefatto dovesse essere un giornalista parigino agli
effetti scenici escogitati dalla reg駮 moderna, Alcide Jolivet non
pot trattenere un leggero scuotere di testa, che tra il boulevard
Montmartre e la Madeleine avrebbe voluto dire: "Mica male! mica
male!".
Poi, d'improvviso, come ad un segnale, tutti i fuochi della fantasia
si estinsero, le danze cessarono, i ballerini scomparvero. La
cerimonia era terminata, e soltanto le torce rischiaravano il poggio,
fino a pochi istanti prima cospieno di luci.
A un cenno dell'emiro, Michele Strogoff fu condotto in mezzo alla
piazza.
- Blount, - disse Alcide Jolivet al suo compagno - ci tenete a
vedere tutto fino alla fine?
- Per nulla al mondo - rispose Harry Blount.
- I vostri lettori del "Daily Telegraph" non sono ghiotti, spero, dei
particolari di un'esecuzione alla maniera tartara?
- Non pidi vostra cugina.
- Povero ragazzo! - aggiunse Alcide Jolivet, guardando Michele
Strogoff. - Quel valoroso soldato avrebbe meritato di cadere sul
campo di battaglia!
- Possiamo fare qualcosa per salvarlo? - chiese Harry Blount.
- Non possiamo fare nulla.
I due giornalisti ricordavano la condotta generosa di Michele Strogoff
verso di loro; capivano ora attraverso quali prove, ligio al suo
dovere, era dovuto passare, e in mezzo a quei Tartari, che non
conoscono il senso della piet non potevano fare nulla per lui!
Poco desiderosi di assistere al supplizio riservato a quello
sventurato, rientrarono in citt
Un'ora pitardi, essi correvano sulla strada di Irkutsk, e tentavano
in mezzo ai Russi quella che Alcide Jolivet chiamava in anticipo "la
campagna della rivincita".
Per tutto questo tempo, Michele Strogoff era rimasto sempre in piedi,
e osservava l'emiro e Ivan Ogareff, con superioritl'uno, con
disprezzo l'altro. Sapeva di morire, e tuttavia si sarebbe invano
cercato in lui un segno di debolezza.
Gli spettatori, rimasti ai margini della piazza, e cospure lo stato
maggiore di Feofar Khan, per cui questo finale rappresentava
un'attrattiva in pi aspettavano che l'esecuzione fosse compiuta.
Poi, soddisfatta la curiosit tutta quest'orda selvaggia si sarebbe
abbandonata all'ubriachezza.
L'emiro fece un gesto. Michele Strogoff, spinto dalle guardie, si
avvicinalla terrazza, e allora, nella lingua tartara che egli
comprendeva, Feofar gli disse:
- Tu sei venuto per vedere, spia dei Russi. Tu hai visto per l'ultima
volta. Tra poco i tuoi occhi saranno per sempre chiusi alla luce!
Michele Strogoff non era condannato alla morte, ma alla cecit
Perdere la vista, pena forse piterribile che perdere la vita! Lo
sventurato era condannato ad essere accecato.
Tuttavia, sentendo la condanna pronunziata dall'emiro, Michele
Strogoff non diede segni di debolezza. Rimase impassibile, con gli
occhi spalancati, come se avesse voluto concentrare tutta la sua vita
in un'ultima immagine. Supplicare quegli uomini feroci era inutile, e
del resto sarebbe stato indegno di lui. Non ci pensava neppure. Ogni
suo pensiero era concentrato sulla sua missione irrimediabilmente
fallita, sulla madre, su Nadia, che non avrebbe mai piriviste! Ma
non lascitrasparire nulla dell'emozione che provava.
Poi un irresistibile sentimento di vendetta invase tutto il suo
essere. Rivolse i suoi occhi su Ivan Ogareff.
- Ivan, - gli disse con voce minacciosa - Ivan traditore, l'ultima
minaccia dei miei occhi sarper te!
Ivan Ogareff scrollle spalle.
Ma Michele Strogoff si sbagliava. I suoi occhi non si sarebbero spenti
per sempre guardando Ivan Ogareff.
Marfa Strogoff stava in piedi davanti a lui.
- Madre mia! - grid - S s a te il mio sguardo estremo, e non
a quel miserabile! Rimani qui, davanti a me! Che io veda ancora il tuo
volto amato! Che i miei occhi si chiudano guardandoti!...
La vecchia siberiana, senza pronunciare una parola, si fece avanti...
- Scacciate quella donna! - disse Ivan Ogareff.
Due soldati respinsero Marfa Strogoff. Ella indietreggi ma rimase in
piedi, a qualche passo da suo figlio.
Comparve l'aguzzino. Questa volta teneva la sciabola sguainata in
mano, e quella sciabola era incandescente, perchera stata ritirata
allora dal braciere dove ardevano i carboni profumati.
Michele Strogoff sarebbe stato accecato secondo il costume tartaro,
con una lama incandescente, passata davanti agli occhi!
Michele Strogoff non tentdi opporre resistenza. Per i suoi occhi non
esisteva pinulla all'infuori di sua madre, ch'egli divorava con lo
sguardo! Tutta la sua vita era in quell'ultima immagine!
Marfa Strogoff, con gli occhi smisuratamente spalancati, le braccia
tese verso di lui, lo guardava!...
La lama incandescente passdavanti agli occhi di Michele Strogoff.
Risuonun grido disperato. La vecchia Marfa cadde svenuta al suolo!
Michele Strogoff era cieco.
Eseguiti gli ordini, l'emiro si ritircon tutta la sua corte. In
breve non rimase sulla piazza che Ivan Ogareff e i portatori delle
torce.
Forse quel miserabile voleva insultare ancora la vittima e,
sostituendosi al carnefice, dargli il colpo di grazia?
Ivan Ogareff si avvicinlentamente a Michele Strogoff, il quale lo
sentarrivare e si eresse sulla persona.
Ivan Ogareff cavdi tasca la lettera imperiale, l'apr e per un atto
di suprema ironia, la tenne sospesa davanti agli occhi spenti del
corriere dello zar, dicendo:
- Leggi, ora, Michele Strogoff, leggi, e vai a ripetere a Irkutsk
quanto avrai letto! Ora, il vero corriere dello zar Ivan Ogareff!
Dette queste parole, il traditore si nascose la lettera sul petto.
Poi, senza pivoltarsi, lascila piazza, e i portatori di torce lo
seguirono.
Michele Strogoff rimase solo, a pochi passi da sua madre ancora
esanime, forse morta.
Si sentivano da lontano le grida, i canti, tutto il frastuono
dell'orgia. Tomsk, illuminata, splendeva come una cittin festa.
Michele Strogoff rimase in ascolto. Nella piazza deserta regnava il
silenzio.
Si diresse tastoni verso il luogo dove sua madre era caduta. La
ritrovaiutandosi con le mani, si curvsopra di essa, accostil suo
viso a quello di lei, ascolti battiti del suo cuore. Poi sembrche
parlasse sottovoce.
La vecchia Marfa vive ancora? Sentle parole che le disse il figlio?
Ma ella non fece il minimo movimento.
Michele Strogoff la bacisulla fronte e sui capelli bianchi. Poi si
rialze, tastando con il piede, portando avanti le mani per guidarsi,
camminlentamente verso l'estremitdella piazza.
D'improvviso comparve Nadia.
Ella avanzdiritta verso il suo compagno. Con un pugnale che teneva
in mano, taglile corde che legavano le braccia di Michele Strogoff.
Costui, cieco, non sapeva chi lo sciogliesse, perchNadia non aveva
detto una sola parola.
Ma slegato, ella disse:
- Fratello!
- Nadia! - mormorMichele Strogoff, - Nadia.
- Vieni! fratello - rispose Nadia. - I miei occhi saranno d'ora in
poi i tuoi occhi; io ti guidera Irkutsk!









6. UN AMICO DELLA GRANDE STRADA.

Mezz'ora dopo, Michele Strogoff e Nadia avevano lasciato Tomsk.
Un buon numero di prigionieri, quella notte, sfuggirono dalle mani dei
Tartari, perchufficiali e soldati, tutti pi o meno abbrutiti,
avevano inconsciamente rallentato la sorveglianza rigorosa che avevano
mantenuto fino allora, sia all'accampamento di Zabediero, sia durante
la marcia del convoglio. Nadia, condotta dapprima con gli altri
prigionieri, aveva quindi potuto ritornare sul poggio, nel momento in
cui Michele Strogoff era stato condotto davanti all'emiro
L confusa tra la folla, aveva visto tutto. Non un grido le era
sfuggito quando la lama incandescente era passata davanti agli occhi
del suo compagno. Aveva avuto la forza di assistere immobile e muta.
Una provvidenziale ispirazione le disse che doveva tenersi pronta, e
anche libera per guidare il figlio di Marfa Strogoff alla meta ch'egli
aveva giurato di raggiungere. Il suo cuore per un momento cess di
battere, quando la vecchia siberiana cadde svenuta, ma un pensiero le
restitututta la sua energia.
俟aril cane del cieco!si disse.
Partito Ivan Ogareff, Nadia s'era tenuta nascosta nell'ombra. Aveva
atteso che la folla sgombrasse il poggio. Michele Strogoff,
abbandonato come un essere miserevole dal quale non c'pi nulla da
temere, era solo. Lo vide trascinarsi fino alla madre, curvarsi su di
lei, baciarla in fronte, poi levarsi, allontanarsi a tentoni...
Qualche istante dopo, lei e lui, la mano nella mano, avevano disceso
il ripido pendio e, seguita la sponda del Tom fino all'estremo limite
della citt uscivano facilmente per una breccia della cinta.
La strada di Irkutsk era l'unica che s'inoltrasse verso est. Non c'era
pericolo di sbagliarsi. Nadia condusse lesta Michele Strogoff. Era da
prevedersi che l'indomani, dopo alcune ore di orgia, gli esploratori
dell'emiro, gettandosi di nuovo attraverso la steppa, tagliassero ogni
comunicazione. Era quindi necessario precederli, raggiungere prima di
loro Krasnojarsk, distante cinquecento verste (533 chilometri) da
Tomsk, per essere in grado di seguire finchera possibile la grande
strada. Avventurarsi fuori della strada tracciata, significava correre
verso l'incerto, l'ignoto, significava la morte sicura.
Come riuscirNadia a sopportare le fatiche di quella notte tra il 16
e 17 agosto? Come troverla forza fisica necessaria a percorrere una
tappa cos lunga? Come potranno i suoi piedi, sanguinanti per una
marcia forzata, sostenerla fino a Krasnojarsk? quasi impossibile
immaginarlo. Ma non meno vero che l'indomani mattina, dodici ore
dopo la partenza da Tomsk, Michele Strogoff e la fanciulla
raggiungevano il borgo di Semilovskoije, dopo una fuga di cinquanta
verste.
Michele Strogoff non aveva detto una sola parola. Non era Nadia che
reggeva la sua mano, ma fu lui a reggere quella della sua compagna
durante tutta la notte; ma, grazie a questa mano che lo guidava
unicamente con i suoi fremiti, egli aveva camminato con il suo passo
ordinario.
Semilovskoije era quasi completamente abbandonata. Gli abitanti, per
timore dei Tartari, erano fuggiti nella provincia del Jeniseisk.
Appena due o tre case erano ancora abitate. Tutto quanto la citt aveva di utile o di prezioso era stato portato via su carrette.
Tuttavia Nadia aveva bisogno di fare una sosta di alcune ore. Ambedue
avevano bisogno di cibo e di riposo.
La fanciulla condusse dunque il suo compagno verso l'estremit della
borgata. Lc'era una casa disabitata, con la porta aperta. Essi vi
entrarono. Una rozza panca di legno si trovava in mezzo alla stanza,
vicino all'alta stufa, com'uso in tutte le case siberiane. Vi si
sedettero.
Nadia osservallora il volto del suo compagno cieco, come non l'aveva
mai osservato fino allora. Nello sguardo di lei c'era pi che
riconoscenza, pi che la semplice piet Se Michele Strogoff avesse
potuto vederla, avrebbe letto nei suoi limpidi occhi l'espressione
desolata d'una dedizione e d'una tenerezza infinita.
Le palpebre del cieco, bruciate dalla lama incandescente, ricoprivano
a meti suoi occhi, completamente disseccati. La sclerotica era
leggermente raggrinzita e come indurita, la pupilla straordinariamente
dilatata; l'iride appariva d'un azzurro piscuro di prima; le ciglia
e le sopracciglia erano in parte bruciate; ma, almeno in apparenza, lo
sguardo tanto penetrante del giovane non sembrava minimamente
alterato. Se non ci vedeva pi se la sua cecitera totale, era segno
che la sensibilit della retina e del nervo ottico erano stati
radicalmente distrutti dall'ardente calore dell'acciaio.
A questo punto, Michele Strogoff tese le mani.
- Sei qui, Nadia? - domand
- S - rispose la fanciulla - sono vicina a te, e non ti lascer mai pi Michele.
Michele Strogoff trasal al sentire per la prima volta il suo nome
pronunciato da Nadia. Comprese che la sua compagna sapeva tutto di
lui: chi era e quali vincoli lo legavano alla vecchia Marfa.
- Nadia, - disse egli - bisogna che ci separiamo!
- Separarci? Perch Michele?
- Non voglio ostacolare il tuo viaggio! Tuo padre ti attende a
Irkutsk! Bisogna che tu raggiunga tuo padre!
- Mio padre mi maledirebbe, Michele, se ti abbandonassi, dopo quanto
hai fatto per me!
- Nadia! Nadia! - rispose Michele Strogoff, stringendo la mano che
la fanciulla aveva posto sulla sua, - tu devi pensare soltanto a tuo
padre!
- Michele, - disse Nadia - tu ora hai pibisogno di me di quanto
ne abbia mio padre! Vuoi dunque rinunciare ad andare a Irkutsk?
- Mai! - gridMichele Strogoff con un tono che dimostrava di non
aver perduto nulla della sua energia.
- Per tu non hai piquella lettera!...
- La lettera che Ivan Ogareff mi ha tolta!... Ebbene! saprfarne a
meno, Nadia! Mi hanno trattato come una spia! Agircome una spia!
Andra Irkutsk a dire tutto ci che ho visto, tutto ci che ho
sentito e, lo giuro sul nome di Dio vivente!, il traditore mi
ritroverun giorno a faccia a faccia! Ma bisogna che arrivi prima di
lui a Irkutsk.
- E tu parli di separarci, Michele?
- Nadia, quei miserabili mi hanno tolto tutto!
- Mi restano alcuni rubli, e i miei occhi! Io posso vedere per te,
Michele, e condurti ldove tu non puoi piandare da solo!
- E come viaggeremo?
- A piedi.
- E come vivremo?
- Mendicando.
- Partiamo, Nadia!
- Vieni, Michele!
I due giovani non si chiamavano pifratello e sorella. Nella comune
sventura, si sentivano ancora pistrettamente uniti l'uno all'altra.
Uscirono dalla casa, dopo un'ora di riposo. Nadia, percorrendo le
strade della borgata, si era procurata qualche pezzo di
""ciornekhleb", specie di pane fatto con orzo, e un poco di idromele
chiamato in Russia "meod". Tutto questo non le era costato niente
perchaveva cominciato il mestiere di mendicante. Quel pane e
quell'idromele avevano, bene o male, placato la fame e la sete di
Michele Strogoff. Nadia gli aveva riservato la parte maggiore di quel
cibo insufficiente. Egli mangiava i pezzi di pane che la sua compagna
gli offriva l'uno dopo l'altro. Beveva alla borraccia che ella porgeva
alle sue labbra.
- Mangi, Nadia? - le domandpivolte.
- S Michele - rispose sempre la fanciulla, che si accontentava dei
resti del suo compagno.
Michele e Nadia partirono da Semilovskoije e ripresero quella dolorosa
strada per Irkutsk. La fanciulla resisteva energicamente alla
stanchezza. Se Michele Strogoff l'avesse vista, forse non avrebbe
avuto il coraggio di proseguire. Ma Nadia non si lamentava, e Michele
Strogoff, non sentendo un solo sospiro, camminava con una fretta che
non riusciva a dominare. E perch Poteva dunque sperare di
distanziare i Tartari? Egli era a piedi, senza denaro, era cieco, e se
Nadia, unica sua guida, gli veniva a mancare, non gli sarebbe rimasto
altro da fare che sedersi sul ciglio della strada e attendervi la
morte! Ma se alla fine, a forza di volont arrivava a Krasnojarsk,
forse tutto non era perduto, poich il governatore, al quale si
sarebbe fatto conoscere, non avrebbe esitato a fornirgli i mezzi per
raggiungere Irkutsk.
Dunque Michele Strogoff camminava, parlava poco, assorto nei suoi
pensieri. Teneva la mano di Nadia. Ambedue comunicavano fra loro
incessantemente. Sembrava loro di non aver pibisogno della parola
per scambiarsi i propri pensieri. Ogni tanto Michele Strogoff diceva:
- Parlami, Nadia.
- A che serve, Michele? Noi pensiamo insieme! - rispondeva la
fanciulla, e parlava in modo che la sua voce non rivelasse nessuna
stanchezza.
Ma talvolta, come se il suo cuore avesse cessato un istante di
battere, le sue gambe si piegavano, il suo passo rallentava, il suo
braccio si tendeva, restava indietro. Michele Strogoff allora si
fermava, fissava i suoi occhi sulla povera ragazza, come se avesse
cercato di scrutarla attraverso quell'immagine che portava in s Il
suo cuore si gonfiava; poi, sostenendo energicamente la sua compagna,
riprendeva la marcia.
Tuttavia, in mezzo a tutti quegli affanni senza tregua, quel giorno
doveva presentarsi una circostanza fortunata, che doveva risparmiare
molte fatiche a tutti e due.
Erano partiti da Semilovskoije da due ore circa, quando Michele
Strogoff si ferm
- La strada deserta? - domand
- Assolutamente deserta - rispose Nadia.
- Non senti qualche rumore dietro di noi?
- Infatti.
- Se sono i Tartari, bisogna nascondersi. Osserva bene.
- Aspetta, Michele! - rispose Nadia ripercorrendo la strada fino
alla curva che avevano fatta pochi passi piindietro.
Michele Strogoff rimase solo un istante, tendendo l'orecchio.
Nadia ritornquasi subito e disse:
- C'una carretta. E' condotta da un giovane.
- E' solo?
- Solo.
Michele Strogoff esitun istante. Doveva nascondersi? Doveva, al
contrario, tentare l'occasione di chiedere posto in quel veicolo, se
non per s almeno per lei? Egli si sarebbe solo accontentato di
appoggiarsi con una mano alla carretta, l'avrebbe spinta se ce ne
fosse stato bisogno, perchle sue forze non gli venivano meno, ma
sentiva che Nadia, trascinatasi a piedi dopo il passaggio dell'Ob,
cioda pidi otto giorni, era all'estremo delle forze.
Aspett
La carretta arriv quasi subito alla svolta della strada. Era un
veicolo molto malandato, capace di ospitare soltanto tre persone, uno
di quei veicoli che nel paese sono chiamati "kibitka".
D'ordinario, la "kibitka" tirata da tre cavalli, ma a questa era
attaccato un solo animale dal pelo lungo e dalla coda abbondante, al
quale il sangue mongolo assicurava vigore e coraggio.
Il conducente era un giovane, con un cane accanto a s
Nadia riconobbe che quel giovane era russo. Aveva un aspetto dolce e
flemmatico, che ispirava fiducia. Del resto, pareva non avesse la
minima fretta. Avanzava con andatura tranquilla, per non stancare il
suo cavallo e, al vederlo, non si sarebbe pensato che percorresse una
strada che poteva da un momento all'altro venirgli interrotta dai
Tartari.
Nadia, tenendo Michele Strogoff per la mano, s'era messa sul ciglio
La "kibitka" si ferme il conducente guardsorridendo la fanciulla.
- Ehi, dove andate a piedi? - le domandspalancando gli occhi.
Al suono di questa voce, Michele Strogoff pensdi averla gisentita
da qualche parte. E, senza dubbio, quella voce bast a fargli
riconoscere il conducente della "kibitka", perchla sua fronte si
spiansubito.
- Ebbene, dove andate? - ripet il giovane, rivolgendosi
particolarmente a Michele Strogoff.
- Andiamo a Irkutsk - rispose questi.
- Oh! piccolo padre, tu dunque non sai che ci sono ancora verste e
verste prima di arrivare a Irkutsk?
- Lo so.
- E vai a piedi?
- A piedi.
- Tu, va bene! ma la signorina?...
- E' mia sorella - disse Michele Strogoff, che ritenne prudente di
chiamare Nadia ancora con quel nome.
- S tua sorella, piccolo padre! Ma, credi a me, non potr mai
arrivare a Irkutsk!
- Amico, - rispose Michele Strogoff avvicinandosi - i Tartari ci
hanno derubati, e io non ho un copeco da offrirti; ma se tu vuoi
prendere mia sorella sulla "kibitka", io ti seguira piedi, correr se necessario, non ti farritardare neppure di un'ora...
- Fratello... - gridNadia - non voglio... non voglio! Signore,
mio fratello cieco!
- Cieco! - rispose il giovane con voce commossa.
- I Tartari gli hanno bruciato gli occhi! - aggiunse Nadia, tendendo
le mani come per implorare piet
- Bruciato gli occhi! Oh! povero piccolo padre! Io vado a Krasnojarsk.
Ebbene. Perchnon montate ambedue nella mia "kibitka"? Stringendoci
un poco ci staremo tutti e tre. Del resto, il mio cane non si
rifiuterd'andare a piedi. Soltanto, io non vado veloce, per riguardo
al mio cavallo.
- Amico, come ti chiami? - domandMichele Strogoff.
- Mi chiamo Nicola Pigassof.
- E' un nome che non dimenticher mai pi - aggiunse Michele
Strogoff.
- Ebbene, monta, piccolo padre. Tua sorella sederaccanto a te, in
fondo alla carretta, io davanti per guidare. C'della scorza di
betulla e paglia d'orzo sul fondo. E' come un nido. Andiamo, Serko,
lasciaci il posto.
Il cane scese senza farsi pregare. Era una bestia di razza siberiana,
dal pelo grigio, di media grandezza, con una bella e grossa testa
carezzevole, e che sembrava molto affezionato al suo padrone.
Michele Strogoff e Nadia, in un istante, presero posto nella
"kibitka". Michele Strogoff aveva teso le mani come per cercare quelle
di Nicola Pigassof.
- Vuoi stringermi la mano! - disse Nicola. - Eccola, piccolo
padre! Stringila quanto vuoi! La "kibitka" si rimise in moto. Il
cavallo, che Nicola non frustava, andava a passo d'ambio (1). Se
Michele Strogoff non guadagnava cos velocit venivano almeno
risparmiate nuove fatiche a Nadia.
La fanciulla era talmente spossata, che, sentendosi cullata dal
movimento monotono della "kibitka", cadde ben presto in un sonno che
rassomigliava piuttosto alla prostrazione. Michele Strogoff e Nicola
la sistemarono meglio che poterono sulle foglie di betulla. Sempre
compassionevole, Michele Strogoff era ora commosso, e se i suoi occhi
non versarono lacrime di compassione, fu perchil ferro incandescente
aveva loro disseccato anche l'ultima stilla!
- E' una ragazza delicata - disse Nicola.
- S - rispose Michele Strogoff.
- Deve essere forte, piccolo padre, e anche coraggiosa, ma in fondo debole, questa piccola! Venite da lontano?
- Da molto lontano.
- Poveri giovani! Tu avrai certamente sentito molto male, quando ti
hanno bruciato gli occhi!
- Molto male - rispose Michele Strogoff, fissando Nicola come se
avesse potuto vederlo.
- Hai pianto?
- S
- Anch'io avrei pianto. Pensare che non si potrpivedere le persone
amate! Ma, in fondo, loro ci vedono. E' forse una consolazione!
- S forse! Ma dimmi, amico - domandMichele Strogoff, - tu non
mi hai mai visto in qualche parte?
- Te, piccolo padre? No, mai.
- Eppure il suono della tua voce non mi nuovo.
- Ma guarda! - rispose Nicola sorridendo. - Conosce il suono della
mia voce! Forse mi domandi questo per sapere da dove vengo? Oh! te lo
dico subito. Vengo da Kolivan.
- Da Kolivan? - disse Michele Strogoff. - Ma allora io ti ho
incontrato l Eri all'ufficio telegrafico?
- E' possibile - rispose Nicola. - Io stavo l Ero l'impiegato
addetto alle trasmissioni.
- E sei rimasto al tuo posto fino all'ultimo momento?
- Eh! proprio in quei momenti che bisogna restare!
- Era il giorno in cui un inglese e un francese, con tanto di rubli in
mano, si disputavano il posto davanti al tuo sportello, e l'inglese
telegrafi primi versetti della Bibbia?
- E' possibile, piccolo padre, ma io non me ne ricordo!
- Come! non te ne ricordi?
- Io non leggo mai i dispacci che trasmetto. Poichil mio dovere di
dimenticarli, la cosa migliore di ignorarli.
Questa risposta dipingeva Nicola Pigassof.
Frattanto la "kibitka" procedeva pian piano. Michele Strogoff avrebbe
preferito che fosse pirapida. Ma Nicola e il suo cavallo erano
abituati a un'andatura che n l'uno n l'altro avrebbero potuto
modificare. Il cavallo camminava tre ore e riposava un'ora: cos giorno e notte. Durante le fermate, il cavallo pascolava, i
viaggiatori della "kibitka" mangiavano in compagnia del fedele Serko.
La "kibitka" era rifornita per almeno venti persone, e Nicola aveva
messo generosamente le sue provviste a disposizione dei due ospiti,
ch'egli credeva fratello e sorella.
Dopo una giornata di riposo, Nadia riacquistin parte le sue forze.
Nicola si preoccupava che stesse picomoda possibile. Il viaggio si
compiva in condizioni sopportabili, lentamente senza dubbio, ma
regolarmente. Capitava talvolta che, di notte, Nicola, sempre alla
guida, si addormentasse e russasse con una convinzione che
testimoniava la calma della sua coscienza. Forse in quei momenti,
guardando bene, si sarebbe vista la mano di Michele Strogoff cercare
le redini del cavallo e fargli prendere un'andatura pi rapida, con
grande meraviglia di Serko, il quale pernon diceva niente. Poi, quel
trotto riprendeva immediatamente il passo d'ambio, appena Nicola si
risvegliava, ma la "kibitka" in questa maniera aveva guadagnato
qualche versta sulla sua velocitregolamentare.
Attraversarono cos il fiume Isimsk, le borgate di Isimskoije,
Berikilskoije, Kuskoije, il fiume Mariinsk, la borgata omonima,
Bogostovlskoije, e infine la Ciula, piccolo corso d'acqua che divide
la Siberia occidentale dalla Siberia orientale. La strada correva a
volte attraverso immense lande, che offrivano agli sguardi un ampio
orizzonte, altre volte sotto una fitta e interminabile foresta di
abeti, della quale sembrava di non arrivare mai alla fine.
Tutto era deserto. Le borgate erano quasi completamente abbandonate. I
contadini erano fuggiti oltre lo Jenisej, pensando che quel largo
fiume avrebbe forse arrestato i Tartari.
Il 22 agosto, la "kibitka" raggiunse la borgata di Acinsk. Mancavano
ancora centoventi verste per arrivare a Krasnojarsk. Nessun incidente
notevole era capitato durante il viaggio. Nicola, Michele Strogoff e
Nadia erano assieme da sei giorni, e nessuno aveva cambiato: Nicola
sprofondato nella sua calma imperturbabile, gli altri due inquieti,
pensando al momento in cui avrebbero dovuto separarsi dal loro
compagno.
Michele Strogoff, lo si puben dire, vedeva con gli occhi di Nicola e
della fanciulla il paese percorso. Una volta l'uno, una volta l'altra,
gli descrivevano i luoghi veduti dalla "kibitka". Egli sapeva se era
una foresta o una pianura, se c'era qualche capanna nella steppa, se
qualche siberiano compariva all'orizzonte. Nicola non si esauriva mai.
Gli piaceva chiacchierare, e, qualunque fossero i suoi punti di vista,
gli altri lo ascoltavano volentieri.
Un giorno Michele Strogoff gli domandche tempo faceva.
- Abbastanza bello, piccolo padre - gli rispose, - ma sono gli
ultimi giorni dell'estate. L'autunno breve in Siberia, e ben presto
subiremo i primi freddi dell'inverno. Forse i Tartari penseranno di
accantonarsi durante la cattiva stagione?
Michele Strogoff scosse il capo con aria di dubbio.
- Non lo credi, piccolo padre? - aggiunse Nicola. - Pensi che
marceranno su Irkutsk?
- Lo temo - rispose Michele Strogoff.
- S.. hai ragione. C'con loro un uomo malvagio che non li lascer raffreddare sulla strada. Hai sentito parlare di Ivan Ogareff?
- S
- Lo sai che non bene tradire il proprio paese?
- Certo, non bene... - rispose Michele Strogoff, che voleva
restare indifferente.
- Piccolo padre, - riprese Nicola - mi pare che tu sia poco
indignato quando ti si parla di Ivan Ogareff! Ogni cuore russo deve
fremere, quando si pronuncia quel nome!
- Credimi, amico, io lo odio pidi quanto tu potrai mai odiarlo-
disse Michele Strogoff.
- Non possibile - aggiunse Nicola, - no, non possibile. Quando
penso a Ivan Ogareff, al male che ha fatto alla nostra santa Russia,
mi prende la collera, e se l'avessi nelle mani...
- Se l'avessi, amico?...
- L'ammazzerei, credo.
- Io invece ne sono certo - concluse pacatamente Michele Strogoff.


NOTE.

Nota 1. Andatura dei quadrupedi, effettuata col movimento sincrono
degli arti di un lato, successivo, a quello degli arti dell'altro
lato. E' normale nel cammello, dromedario, giraffa, orso, accidentale
nel cavallo (Nota del Traduttore).









7. IL PASSAGGIO DEL JENISEI.

Il 25 agosto, verso sera, la "kibitka" arrivava in vista di
Krasnojarsk. Il viaggio da Tomsk era durato otto giorni. Se il viaggio
non era stato compiuto con maggior celerit come avrebbe voluto
Michele Strogoff, avvenne soprattutto perch Nicola aveva dormito
poco. Perciera stato impossibile accelerare l'andatura del suo
cavallo, che, in altre mani, non avrebbe impiegato pidi sessanta ore
a percorrere quella distanza.
Per fortuna non si sentiva ancora parlare di Tartari. Nessun
esploratore era ancora comparso sulla strada percorsa dalla "kibitka".
Questo sembrava inspiegabile, ed era segno evidente che qualche grave
circostanza aveva impedito alle truppe dell'emiro di marciare
immediatamente su Irkutsk.
Questa circostanza, infatti, c'era stata. Un nuovo corpo russo,
radunato in tutta fretta nel governatorato del Jeniseisk, era piombato
su Tomsk per cercare di riprendere la citt Ma, troppo debole contro
le ruppe dell'emiro, ora concentrate, avevano dovuto battere in
ritirata. Feofar Khan, con i propri soldati e quelli dei khanati di
Kokand e di Kundus, aveva ora ai suoi ordini duecentocinquantamila
uomini, ai quali governo il russo non poteva ancora contrapporre forze
sufficienti. Non c'era dunque probabilit che l'invasione venisse
tanto presto arrestata, e tutto l'esercito tartaro avrebbe marciato su
Irkutsk.
Lo scontro a Tomsk era avvenuto il 22 agosto - ci che Michele
Strogoff non sapeva - ma questo spiegava perchl'avanguardia
dell'emiro non era ancora comparsa a Krasnojarsk il giorno 25.
Tuttavia, se Michele Strogoff non poteva conoscere gli ultimi
avvenimenti accaduti dopo la sua partenza, sapeva almeno questo: che
egli precedeva i Tartari di parecchi giorni e che non doveva disperare
di aggiungere prima di loro la citt di Irkutsk, distante ancora
ottocentocinquanta verste (900 chilometri).
Del resto, a Krasnojarsk, che conta circa dodicimila anime, egli
riteneva per certo che non gli sarebbero mancati i mezzi di trasporto.
PoichNicola Pigassof doveva fermarsi in quella citt avrebbe dovuto
sostituirlo con una guida, e cambiare la "kibitka" con un altro
veicolo pirapido. Dopo essersi rivolto al governatore della citte
avergli rivelato la sua identite la sua carica di corriere dello zar
- cosa che gli sarebbe stata facile - Michele Strogoff era sicuro
di trovarsi in condizioni di raggiungere Irkutsk nel pibreve tempo
possibile. Non gli sarebbe allora rimasto altro che ringraziare Nicola
Pigassof e partire immediatamente con Nadia, perch non voleva
lasciarla prima di averla consegnata nelle mani di suo padre.
Tuttavia, Nicola aveva deciso di fermarsi a Krasnojarsk, come egli
disse, 哀olo a condizione di trovarvi un impiego
Infatti questo impiegato modello, dopo essere rimasto fino all'ultimo
istante al suo posto a Kolivan, cercava ora di mettersi nuovamente a
disposizione dell'amministrazione.
- Perchdovrei riscuotere uno stipendio che non mi sono guadagnato?
- ripeteva.
Cos nel caso che i suoi servizi non fossero stati utili a
Krasnojarsk, presumibilmente ancora in comunicazione telegrafica con
Irkutsk, egli si proponeva di andare al posto di Udinsk, oppure fino
alla capitale della Siberia. Dunque, in ambedue i casi, avrebbe
continuato a viaggiare con il fratello e la sorella E in chi altro
avrebbero essi trovato una guida pisicura, un amico pifidato?
La "kibitka" era appena a mezza versta da Krasnojarsk. Si vedevano
sulla destra e sulla sinistra le croci di legno erette lungo la strada
all'avvicinarsi della citt Erano le sette della sera. Sullo sfondo
chiaro del cielo si stagliavano le sagome delle chiese e il profilo
delle case costruite sull'alta scogliera del Jenisej. Le acque del
fiume riflettevano gli ultimi chiarori sospesi nell'atmosfera.
La "kibitka" s'era fermata.
- Dove siamo, sorella? - domandNicola Strogoff.
- A circa mezza versta dalle prime case - rispose Nadia.
- Ma dunque una cittaddormentata? - aggiunse Michele Strogoff.
- Nessun rumore arriva alle mie orecchie.
- E io non vedo nessuna luce brillare nell'ombra, non un camino che
spanda il suo fumo nell'aria - aggiunse Nadia.
- Una cittmolto singolare! - disse Nicola. - Non vi si fa rumore
e si va a dormire presto!
Michele Strogoff ebbe un presentimento di cattivo augurio. Egli non
aveva confidato a Nadia tutto quanto egli sperava di fare a
Krasnojarsk, dove contava di trovare i mezzi per proseguire sicuro il
suo viaggio. Ora temeva che tutte le sue speranze andassero ancora una
volta deluse! Ma Nadia aveva indovinato il suo pensiero, benchnon
comprendesse ancora perchil suo compagno avesse tanta premura di
arrivare a Irkutsk, ora che non aveva pila lettera imperiale. Anzi,
un giorno l'aveva interrogato al riguardo.
- Ho giurato di arrivare a Irkutsk - si era egli accontentato di
risponderle.
Ma, per compiere la sua missione, gli occorreva trovare a Krasnojarsk
un mezzo rapido di trasporto.
- Ebbene, amico - disse a Nicola - perchnon camminiamo?
- Perchtemo di svegliare gli abitanti della cittcol rumore della
mia carretta!
E con un leggero tocco di frusta, Nicola incitil suo cavallo, Serko
abbaiun poco, e la "kibitka" discese a piccolo trotto la strada che
s'inoltrava in Krasnojarsk. Dieci minuti dopo, entrava nella via
principale.
Krasnojarsk era deserta. Non c'era piun ateniese in questa 隹tene
del Nord come la chiama la signora de Bourboulon. Non una di quelle
sue carrozze dallo splendido tiro di cavalli percorreva le strade
eleganti e spaziose. Non un passante sui marciapiedi costruiti alla
base delle sue magnifiche case di legno, di aspetto monumentale! Non
una elegante siberiana, vestita secondo l'ultima moda francese,
passeggiava in mezzo a quel meraviglioso parco, ricavato da una
foresta di betulle, che si prolungava fino sulla sponda del Jenisej!
La campana grande della cattedrale era muta, gli orologi delle chiese
non scandivano le ore. E' veramente raro che una cittrussa non sia
rallegrata dal suono delle sue campane! Ma qui c'era il completo
abbandono. Non compariva piun essere vivente in questa citt un
tempo cosanimata!
L'ultimo telegramma partito dal gabinetto dello zar, prima che la
linea fosse interrotta, aveva dato ordine al governatore della citt
alla guarnigione, agli abitanti indistintamente, d'abbandonare
Krasnojarsk, di portarsi via tutti gli oggetti di valore o che
avessero in qualche modo potuto tornare utili ai Tartari, e di
rifugiarsi a Irkutsk. Lo stesso ordine era stato dato a tutti gli
abitanti delle borgate della provincia. Il governo moscovita voleva
fare il deserto davanti agli invasori. Nessuno pensdi discutere,
neppure per un istante, questi ordini alla Rostopsin (1). Essi furono
eseguiti, ed era per questo che non restava piun essere vivente a
Krasnoiarsk.
Michele Strogoff, Nadia e Nicola percorsero in silenzio le strade
della citt Provavano un involontario senso di stupore. L'unico
rumore in quella cittmorta era quello prodotto da loro. Michele
Strogoff non lasci trasparire nulla di quanto provava in quel
momento, ma in cuor suo doveva esserci un moto di rabbia contro la
cattiva sorte che lo perseguitava, perchle sue speranze erano ancora
una volta cadute.
- Buon Dio! - esclam Nicola - io non mi guadagnermai lo
stipendio in un deserto!
- Amico - disse Nadia, - bisogna riprendere la strada di Irkutsk.
- Bisogna, davvero! - rispose Nicola. - Il telegrafo deve ancora
funzionare a Udinsk e Irkutsk, e l.. Partiamo, piccolo padre?
- Aspettiamo domani - rispose Michele Strogoff.
- Hai ragione - aggiunse Nicola. - Abbiamo il Jenisej da
attraversare, ed necessario vederci!...
- Vederci! - mormorNadia, pensando al suo compagno cieco.
Nicola l'aveva sentita, e rivolgendosi a Michele Strogoff:
- Perdonami, piccolo padre - disse. - Ahim la notte e il giorno
sono davvero uguali per te!
- Non preoccuparti, amico, - rispose Michele Strogoff, passandosi la
mano sugli occhi. - Avendo te come guida, posso ancora muovermi.
Prenditi dunque qualche ora di riposo. Anche Nadia si riposi. Domani
sargiorno! si fargiorno!
Michele Strogoff, Nadia e Nicola non ebbero bisogno di cercare molto
per trovare un luogo dove riposare. La prima casa della quale aprirono
la porta era vuota, come tutte le altre. Non c'era che qualche mucchio
di foglie. In mancanza di meglio, il cavallo dovette accontentarsi di
questo magro cibo. Le provviste della "kibitka" non erano esaurite, e
ognuno prese la sua parte. Poi, dopo essersi inginocchiati davanti ad
una icona della Panaghia (2), appesa al muro, e ancora illuminata
dall'ultima fiammella d'una lampada, Nicola e la fanciulla si
addormentarono, mentre Michele Strogoff vegliava, perchnon poteva
prendere sonno.
L'indomani, 26 agosto, prima dell'alba, attaccata la "kibitka",
attraversavano il parco di betulle per raggiungere la sponda dello
Jenisej.
Michele Strogoff era vivamente preoccupato. Come attraversare il fiume
se, come era probabile, le barche e i traghetti erano stati distrutti
per ritardare la marcia dei Tartari? Egli conosceva il Jenisej, per
averlo giattraversato parecchie volte. Sapeva che la sua larghezza considerevole, che le rapide sono violente tra le isole; dove il
fondale interrompe la corrente. In circostanze normali, per mezzo di
quei traghetti appositamente attrezzati per il trasporto dei
viaggiatori, delle vetture e dei cavalli, il passaggio del Jenisej
richiede non meno di tre ore, e soltanto superando gravi difficolti
traghetti raggiungono la riva destra. Ora, mancando le imbarcazioni,
come sarebbe passata la "kibitka" da una sponda all'altra?
促asserin qualsiasi modo!pensMichele Strogoff.
Cominciava a farsi giorno, quando la "kibitka" arriv sulla riva
sinistra, dove sbucava un grande viale del parco. In quel luogo, la
ripa dominava da un centinaio di piedi il corso del Jenisej. Si poteva
dunque esplorarlo per un buon tratto.
- Vedete un traghetto? - domand Michele Strogoff, girando
avidamente gli occhi da una parte e dall'altra, per un'abitudine
meccanica, senza dubbio, e come se avesse potuto vedere.
- E' appena giorno, fratello - rispose Nadia. - La nebbia ancora
fitta sul fiume, e non si vede ancora l'acqua.
- Ma io la sento rumoreggiare - rispose Michele Strogoff.
Infatti, da sotto la nebbia veniva un sordo muggire delle correnti e
controcorrenti che si scontravano. Le acque, molto alte in quella
stagione, scorrevano con violenza torrenziale. Tutti e tre rimasero in
ascolto, attendendo che il banco di nebbia si levasse. Il sole saliva
rapidamente sull'orizzonte, e i primi raggi avrebbero tra poco
dissipato quei vapori.
- Ebbene? - domandMichele Strogoff.
- La nebbia comincia a diradarsi, fratello, - rispose Nadia e la
luce vi penetra gi
- Non vedi ancora la superficie del fiume, sorella?
- Non ancora.
- Un po' di pazienza, piccolo padre - disse Nicola. - Si
schiarir Guarda! ecco che tira la brezza! comincia a spazzare la
nebbia. Le alte colline della riva destra mostrano gii filari
d'alberi. La nebbia se ne va. Vola via. I tiepidi raggi del sole hanno
condensato quel banco di nebbia. Ah! com'bello, mio povero cieco, e
quale disgrazia per te di non poter contemplare un tale spettacolo!
- Vedi qualche barca? - domandMichele Strogoff.
- Nessuna - rispose Nicola.
- Guarda bene, amico, su questa riva o sull'altra opposta, pilontano
che puoi, un battello, una barca, un canotto di scorza!
Nicola e Nadia, aggrappandosi alle ultime betulle della ripa, s'erano
affacciati al di sopra del fiume. La visuale in quel punto era molto
vasta. Il Jenisej largo non meno di una versta e mezzo, formava due
bracci di ampiezza differente, percorsi dalle rapide acque. In mezzo
ai due bracci c'erano molte isole, coperte da ontani, da salici e da
pioppi, che sembravano altrettante navi verdeggianti, ancora sul
fiume. Al di lsi stagliavano le alte colline della riva orientale,
coronate da foreste, le cui cime s'imporporavano allora di luce. A
monte e a valle, il Jenisej si prolungava a perdita d'occhio. Quel
meraviglioso panorama si allargava intorno ed era visibile su un
perimetro di cinquanta verste.
Ma non c'era nessuna imbarcazione, nsulla riva sinistra nsu quella
destra, n sulle sponde delle isole. Tutto era stato portato via o
distrutto secondo gli ordini. Se i Tartari non facevano giungere dal
sud il materiale necessario per costruire un ponte di barche, quasi
certamente la loro marcia su Irkutsk sarebbe stata arrestata per un
certo tempo dalla barriera del Jenisej.
- Ora mi ricordo - disse Michele Strogoff. - Pia monte, verso le
ultime case di Krasnojarsk, c'un porticciolo d'imbarco. E' lche
accostano i traghetti. Amico, risaliamo il corso del fiume, e vedi se
per caso qualche barca non sia stata dimenticata sulla riva.
Nicola and subito nella direzione indicata. Nadia aveva preso per
mano Michele Strogoff e lo guidava con passo svelto. Una barca, un
semplice traghetto abbastanza grande per trasportare la "kibitka", o
almeno i suoi viaggiatori, sarebbero bastati, e Michele Strogoff non
avrebbe esitato a tentare il passaggio!
Venti minuti dopo, tutti e tre avevano raggiunto il porticciolo
d'imbarco, dove le ultime case scendevano fino al livello del fiume.
Era una specie di villaggio costruito nella parte bassa di
Krasnojarsk.
Ma sul greto non c'era nessuna imbarcazione, nessun canotto legato
alla palafitta dell'imbarcadero, neppure il materiale per costruire
una zattera sufficiente per tre persone.
Michele Strogoff interrogNicola, e questi gli diede la scoraggiante
risposta che la traversata del fiume gli sembrava assolutamente
impossibile.
- Passeremo - concluse Michele Strogoff.
Le ricerche continuarono. Vennero frugate tutte le case costruite
lungo la sponda e abbandonate come le altre di Krasnojarsk. Bastava
sospingere le porte. Erano capanne di povera gente, completamente
vuote. Nicola ne apriva una, Nadia ne ispezionava un'altra. Anche
Michele Strogoff entrava qua e le cercava di riconoscere con la mano
qualche oggetto che gli potesse tornare utile.
Nicola e la fanciulla, ciascuno per proprio conto, avevano invano
rovistato nelle capanne, e si disponevano ad abbandonare le ricerche,
quando si sentirono chiamare.
Tutti e due ritornarono sulla sponda e videro Michele Strogoff sulla
soglia di una porta.
- Venite - grid
Nicola e Nadia corsero verso di lui e, seguendolo, entrarono nella
capanna.
- Cosa c'qui? - domandMichele Strogoff, toccando con la mano
diversi oggetti accatastati in fondo a una cantina.
- Sono otri! - rispose Nicola - e ve ne sono sicuramente una mezza
dozzina!
- Sono pieni?...
- S pieni di "kumis", che viene giusto a proposito per rifornire le
nostre provviste!
Il "kumis" una bevanda ottenuta con latte di giumenta o di cammella,
bibita nutriente e anche stimolante, sicch Nicola non poteva che
felicitarsi per la scoperta.
- Mettine uno da parte - gli disse Michele Strogoff, - ma vuota
tutti gli altri.
- Subito, piccolo padre.
- Ecco che cosa ci servirper attraversare il Jenisej.
- E la zattera?
- Sarla "kibitka" stessa, che abbastanza larga per galleggiare.
Del resto la sosterremo noi, e sosterremo anche il cavallo con questi
otri.
- Ben pensata, piccolo padre - gridNicola - e, con l'aiuto di
Dio, arriveremo a buon porto... forse non in linea retta, perchla
corrente rapida!
- Non importa! - rispose Michele Strogoff. - Prima passiamo, e poi
sapremo ancora ritrovare la strada di Irkutsk al di ldel fiume.
- All'opera! - disse Nicola, cominciando a vuotare gli otri e a
trasportarli fino alla "kibitka".
Fu riservato un otre pieno di "kumis", mentre gli altri, chiusi con
molta cura dopo essere stati gonfiati d'aria, furono impiegati come
galleggianti. Due otri, assicurati ai fianchi del cavallo, erano
destinati a sostenerlo sulla superficie del fiume. Due altri, legati
alle stanghe della "kibitka", tra le ruote, ebbero lo scopo di
assicurare la linea d'immersione della cassa, che si trasformava cos in zattera.
Questo lavoro fu ben presto ultimato.
- Non avrai paura, Nadia? - domandMichele Strogoff.
- No, fratello - rispose la fanciulla.
- E tu, amico?
- Io! - gridNicola. - Io realizzo finalmente uno dei miei sogni:
navigare in carretta!
In quel luogo la sponda scendeva dolcemente e favoriva la calata della
"kibitka". Il cavallo la tirfino al pelo dell'acqua, e ben presto
quella macchina e il suo motore galleggiarono sulla superficie del
fiume. Quanto a Serko s'era messo a nuotare con bravura.
I tre passeggeri, in piedi sulla cassa, s'erano scalzati per
precauzione; ma grazie agli otri, l'acqua non arrivava neppure alle
caviglie
Michele Strogoff teneva le redini del cavallo e, seguendo le
indicazioni date da Nicola, dirigeva obliquamente l'animale, ma
favorendolo, perch non voleva che si stancasse a lottare contro la
corrente. Finchla "kibitka" seguil filo delle acque, tutto and bene, e in pochi minuti la "kibitka" aveva oltrepassato la banchina di
Krasnojarsk. Andava un po' alla deriva verso nord, ed era ormai
evidente che avrebbe accostato all'altra riva molto a valle della
citt Ma questo non aveva importanza.
La traversata del Jenisej si sarebbe dunque effettuata senza gravi
difficolt anche su un natante improvvisato come quello, se la
corrente si fosse mantenuta regolare. Ma, per sfortuna, sulla
superficie delle acque vorticose si formavano molti gorghi, e ben
presto la "kibitka", malgrado tutti gli sforzi di Michele Strogoff per
farla deviare, fu irresistibilmente trascinata in uno di questi
vortici.
Il pericolo divenne grave. La "kibitka" non procedeva pi obliqua
verso la riva orientale, non seguiva la corrente, girava su se stessa
con molta rapidit inclinandosi verso il centro del risucchio, come
un cavallerizzo sulla pista d'un circo.
La velocitdiventava pericolosa. Il cavallo riusciva appena a tenere
la testa fuori dall'acqua e rischiava di annegare nel gorgo. Serko
aveva dovuto trovarsi un punto d'appoggio sulla "kibitka".
Michele Strogoff intuche cosa stava accadendo. Si senttrascinare
in una spirale che si restringeva a poco a poco, e dalla quale non
poteva uscire. Non disse una parola. I suoi occhi avrebbero voluto
vedere il pericolo, per meglio evitarlo... Era troppo tardi!
Nadia taceva. Con le mani aggrappate alle sponde della carretta, si
sosteneva contro i movimenti disordinati dell'apparecchio, che
s'inclinava sempre piverso il centro della depressione.
E Nicola, non si rendeva conto della gravit della situazione? Era
indolenza la sua, oppure disprezzo del pericolo, coraggio, oppure
indifferenza? La vita non aveva alcun valore per lui? e, secondo
l'espressione degli Orientali, era soltanto "un albergo da cinque
giorni" che, volenti o nolenti, bisognava abbandonare al sesto? In
ogni caso, il suo volto sorridente non si smentun istante.
La "kibitka" veniva dunque trascinata in quel gorgo e il cavallo era
ai limiti della resistenza.
Ad un tratto Michele Strogoff, toltisi gli abiti che potevano
imbarazzarlo, si gettin acqua; poi, impugnando con mano vigorosa la
briglia del cavallo spaventato, gli diede un tale strappo, che riusc a tirarlo fuori dal raggio di attrazione, sicchla "kibitka", subito
ripresa dalla corrente rapida, andalla deriva con nuova velocit
- Evviva! - gridNicola.
Soltanto due ore dopo aver lasciato l'imbarcadero, la "kibitka" aveva
attraversato il braccio maggiore del fiume e si accostava alla sponda
di un isola, oltre sei verste a valle dal punto di partenza.
Il cavallo tirla carretta sulla riva, e fu concessa un'ora di riposo
al coraggioso animale. Poi, attraversata l'isola per tutta la sua
larghezza sotto una galleria di magnifiche betulle, la "kibitka" si
trovsulla sponda del braccio minore del Jenisej.
Questa nuova traversata fu compiuta con maggiore facilit Non c'erano
gorghi che interrompessero la corrente del fiume in questo secondo
tratto, ma la corrente era talmente rapida, che la "kibitka" toccla
riva destra oltre cinque verste a valle. Era andata alla deriva, in
tutto, per undici verste.
I grandi corsi d'acqua del territorio siberiano, sui quali non era
ancora gettato nessun ponte, ostacolavano seriamente le comunicazioni.
Erano stati tutti pio meno funesti a Michele Strogoff. Sull'Irtis,
il traghetto che lo trasportava assieme a Nadia era stato assalito dai
Tartari. Sull'Ob, dopo che il suo cavallo fu colpito da una
pallottola, era sfuggito soltanto per un miracolo ai cavalieri che lo
inseguivano. Insomma, il passaggio del Jenisej era stato ancora quello
effettuato con minor difficolt
- Non sarebbe stato cosdivertente se non fosse stato cosdifficile!
- esclamNicola fregandosi le mani, quando sbarcsulla riva destra
del fiume.
- Quello che stato soltanto difficile per noi, amico, - rispose
Michele Strogoff - sarforse impossibile ai Tartari!


NOTE.

Nota 1. Uomo politico russo (1763-1862), subalterne vicende; fu
anche governatore di Mosca nel 1812 (Nota del Traduttore).
Nota 2. Tutta santa: l'appellativo dato a Maria Vergine nella Chiesa
ortodossa (Nota del Traduttore).









8. UNA LEPRE CHE ATTRAVERSA LA STRADA.

Michele Strogoff poteva finalmente sperare che la strada fosse libera
fino a Irkutsk. Aveva distanziato i Tartari, trattenuti a Tomsk, e
quando i soldati dell'emiro fossero arrivati a Krasnojarsk, non
avrebbero trovato altro che una cittabbandonata. Lnon avrebbero
trovato nessun mezzo di comunicazione pronto tra le due rive del
Jenisej. Ciavrebbe significato un ritardo di alcuni giorni, fino a
quando un ponte di barche, difficile a costruirsi, non avesse aperto
loro il passaggio.
Per la prima volta dopo il funesto incontro con Ivan Ogareff a Omsk,
il corriere dello zar si sentmeno inquieto e sper di non trovare
altri ostacoli al raggiungimento della sua meta.
La "kibitka", dopo avere piegato obliquamente verso sud-est per una
quindicina di verste, ritrove riprese la grande strada tracciata
attraverso la steppa. La strada era buona e, almeno nel tratto tra
Krasnojarsk e Irkutsk, era considerata la migliore di tutto il
percorso. Meno scossoni per i viaggiatori, vaste zone d'ombra che li
difendono contro gli ardori del sole, talvolta foreste di pini o cedri
per un tratto di cento verste. Non e pi l'immensa steppa, il cui
orizzonte si confonde con il cielo. Ma quel ricco paese era allora
disabitato. Dappertutto borgate abbandonate. Pi nessuno di quei
contadini siberiani, tra i quali predomina il tipo slavo. Era il
deserto e, come sappiamo, il deserto fatto per ordine imperiale.
Il tempo era bello, ma l'aria, rinfrescata durante la notte, si
riscaldava ormai pidifficilmente ai raggi del sole. Si avvicinavano
infatti i primi giorni di settembre, e in quella regione molto
settentrionale l'arco diurno si accorciava visibilmente
sull'orizzonte. Qui l'autunno dura poco, quantunque questa parte del
territorio siberiano sia situata appena sopra il cinquantacinquesimo
parallelo, che quello di Edimburgo e di Copenaghen. Talvolta
l'inverno succede improvvisamente all'estate. Gli inverni della Russia
asiatica, durante i quali la colonna del termometro si abbassa fino al
punto di congelamento del mercurio (1), sono molto precoci. mentre le
temperature che si aggirano sui venti gradi centigradi sotto zero sono
considerate insopportabili.
Il tempo era dunque favorevole ai viaggiatori. Non c'erano n temporali npiogge. La temperatura era moderata, le notti fresche. La
salute di Nadia e Michele Strogoff era buona, e, dopo la loro partenza
da Tomsk, s'erano a poco a poco rimessi dalle fatiche passate.
Quanto a Nicola Pigassof, non era mai stato meglio. Questo viaggio era
per lui una passeggiata, una piacevole escursione durante la quale
trascorreva le sue vacanze di impiegato senza posto.
- Decisamente - diceva - questa vita migliore che a restare
dodici ore al giorno inchiodato su una sedia, a manovrare un
manipolatore!
Michele Strogoff aveva tuttavia ottenuto che Nicola imponesse
un'andatura pi rapida al suo cavallo. Per arrivare a questo
risultato, gli aveva confidato che Nadia e lui andavano a raggiungere
il loro padre, esiliato a Irkutsk, e che avevano molto fretta di
arrivarvi. Certo, si doveva tenere da conto quel cavallo, poichcon
molta probabilitnon se ne sarebbe trovato un altro per sostituirlo;
ma, concedendogli delle tappe abbastanza frequenti - per esempio ad
ogni quindicina di verste - si potevano facilmente percorrere
sessanta verste in ventiquattro ore. Del resto, il cavallo era robusto
e, per la sua stessa razza, molto adatto a sopportare le lunghe
fatiche. I buoni pascoli non gli mancavano lungo la strada, l'erba era
abbondante e gustosa. Dunque, era possibile chiedergli un aumento di
lavoro.
Nicola s'era arreso a queste ragioni. Era stato molto commosso della
situazione di quei due giovani che andavano a condividere l'esilio del
loro padre. Niente gli sembrava piraccomandabile. Cosdiceva a
Nadia sorridendo:
- Bontdivina! che gioia proveril signor Korpanoff, quando i suoi
occhi vi rivedranno, quando le sue braccia si apriranno per
accogliervi! Se vado fino a Irkutsk (come ormai mi sembra molto
probabile), mi permetterete di essere presente a questo incontro. S
non vero?
Poi, picchiandosi la fronte:
- Ma penso anche quale dolore prover quando saprche suo figlio cieco! ah! come vanno uniti il bene e il male in questo mondo!
Alla fin dei conti, era risultato che la "kibitka" andava piveloce
e, secondo i calcoli di Michele Strogoff, faceva ora da dieci a dodici
verste all'ora.
Di conseguenza, il 28 agosto, i viaggiatori oltrepassarono la borgata
di Balaisk, a ottanta verste da Krasnojarsk, e il 29, quella di
Ribinsk, a quaranta verste da Balaisk. Il giorno dopo, trentacinque
verste pi avanti, arrivavano a Kamsk, borgata piconsiderevole,
bagnata dal fiume dello stesso nome, piccolo affluente del Jenisej,
che scende dai monti Sajansk. E' questa una cittpoco rilevante, le
cui case di legno sono pittorescamente raggruppate attorno a una
piazza; ma dominata dall'alto campanile della sua cattedrale, la cui
croce dorata risplende al sole.
Case vuote, chiesa deserta. Nessun cambio, nessun albergo in funzione.
Non un cavallo nelle scuderie. Non un animale domestico nella steppa.
Gli ordini del governo moscovita erano stati eseguiti con un rigore
assoluto. Quanto non era stato portato via, era stato distrutto.
Uscendo da Kamsk, Michele Strogoff spieg a Nadia e a Nicola che
avrebbero trovato una sola cittadina di qualche importanza, Niznij
Udinsk, prima di Irkutsk. Nicola rispose che lo sapeva, tanto piche
vi esisteva una stazione telegrafica. Dunque, se anche Niznij Udinsk
era abbandonata come Kamsk, egli sarebbe stato obbligato ad andare
fino alla capitale della Siberia orientale, per cercarsi l qualche
occupazione.
La "kibitka" attraversa guado, e senza troppe difficolt il piccolo
fiume che taglia la strada al di ldi Kamsk. Del resto, tra il
Jenisej e il prossimo suo grande affluente, l'Angara, che passa per
Irkutsk, non c'era pida temere ostacoli da parte di corsi d'acqua
considerevoli, eccetto forse il Dinka. Il viaggio non avrebbe dunque
sub鮅o ritardi per questa ragione.
Da Kamsk alla prossima borgata, la tappa fu molto lunga, circa
centotrenta verste. Non c'bisogno di dire che le tappe regolamentari
furono rispettate, 哀enza di che, diceva Nicola, ci si sarebbe
attirati qualche giusta protesta da parte del cavallo Era stato
convenuto con questa coraggiosa bestia, che si sarebbe riposata ogni
quindici verste, e, quando si contratta, sia pure con un animale, la
giustizia vuole che si rispettino i patti.
Dopo avere attraversato il piccolo fiume Birjusa, la "kibitka"
raggiunse Biriusinsk nella mattina del 4 settembre
Qui, per una circostanza fortunata, Nicola, che vedeva diminuire le
sue provviste, trov in un forno abbandonato una dozzina di
"pogacias", specie di dolci preparati con grasso di pecora, e una
buona quantitdi riso cotto in acqua. Questa provvista arrivgiusto
in tempo ad unirsi alla riserva di "kumis", di cui la "kibitka" era
provvista fino da Krasnojarsk.
Dopo una conveniente sosta, la strada fu ripresa nel pomeriggio del 4
settembre. Irkutsk era ancora distante appena cinquecento verste.
Dietro a loro, niente segnalava ancora l'avanguardia tartara. Michele
Strogoff era dunque convinto che il suo viaggio non avrebbe piavuto
ostacoli, e che in otto giorni, dieci al massimo, sarebbe giunto alla
presenza del granduca.
Uscendo da Birjusinsk, una lepre attraversla strada, trenta passi
davanti alla "kibitka".
- Ah! - esclamNicola.
- Che cos'hai, amico? - domandpreoccupato Michele Strogoff, come
un cieco messo in guardia al minimo rumore.
- Non hai visto?... - disse Nicola, il cui volto sorridente s'era
d'improvviso oscurato.
Poi aggiunse:
- Ah! no! tu non puoi vedere, ed una fortuna per te, piccolo padre!
- Ma neanche io ho visto niente - disse Nadia.
- Tanto meglio! Tanto meglio! Ma io... io ho visto!...
- Che cosa? - domandMichele Strogoff.
- Una lepre che ci ha attraversato la strada! - rispose Nicola.
In Russia, quando una lepre attraversa la strada a un viaggiatore, la
credenza popolare vuole che sia segno di disgrazia vicina.
Nicola, superstizioso come lo sono la maggior parte dei russi, aveva
fermato la "kibitka".
Michele Strogoff comprese l'esitazione del suo compagno, bench condividesse assolutamente la sua credulitriguardo alle lepri che
attraversano la strada, e cercdi rassicurarlo.
- Non c'nulla da temere, amico - gli disse.
- Niente per te nper lei, questo lo so, piccolo padre - rispose
Nicola, - ma per me!
Poi riprese:
- E' il destino.
E rimise il cavallo al trotto.
Tuttavia, a dispetto dello spiacevole presagio, la giornata trascorse
senza incidenti.
Il giorno dopo, 6 settembre, a mezzogiorno la "kibitka" fece sosta al
borgo di Alsalevsk, deserto come era tutta la contrada circostante.
Qui, sulla soglia di una casa, Nadia trovdue di quei coltelli dalla
lama solida, che servono ai cacciatori siberiani. Ne diede uno a
Michele Strogoff, il quale lo nascose sotto il vestito, e tenne
l'altro per s La "kibitka" era appena a settantacinque verste da
Niznij Udinsk.
Nicola, per tutta la giornata, non era riuscito a riprendere il suo
buon umore abituale. Il cattivo presagio lo aveva colpito pi di
quanto si potrebbe credere; coslui, che fino allora non era mai
restato un'ora senza parlare, cadeva talvolta in un lungo mutismo, e
Nadia doveva faticare per tirarlo fuori. Tali sintomi erano veramente
quelli di uno spirito impressionato, e cisi spiega riflettendo che
quegli uomini appartengono alle razze del Nord, i cui superstiziosi
antenati sono stati i fondatori della mitologia degli iperborei.
A partire da Ekaterinburg, la strada di Irkutsk segue quasi parallela
il cinquantacinquesimo grado di latitudine, ma all'uscita da
Birjusinsk, piega obliquamente verso sud-est, in maniera da tagliare
di sbieco il centesimo meridiano. Prende a questo punto la linea pi breve per arrivare alla capitale della Siberia orientale, superando le
ultime rampe dei monti Saiansk. Queste montagne non sono altro che una
derivazione della grande catena degli Altai, che visibile a una
distanza di duecento verste.
La "kibitka" correva dunque su questa strada. S correva! Si sentiva
che Nicola non pensava pia risparmiare il suo cavallo, e che anche
lui aveva fretta di arrivare. Malgrado la sua rassegnazione un poco
fatalista, egli non si riteneva pial sicuro se non entro le mura di
Irkutsk. Molti russi avrebbero pensato come lui, e pid'uno, tirando
le redini del suo cavallo, sarebbe ritornato indietro, se una lepre
gli avesse attraversato la strada.
Tuttavia alcune osservazioni che egli fece, e delle quali Nadia
controllla veritriferendole a Michele Strogoff, fecero pensare che
la serie delle prove non era forse ancora terminata per loro.
Infatti, se il territorio dopo Krasnojarsk era stato rispettato nei
suoi prodotti naturali, le foreste portavano ora chiare tracce del
fuoco e del ferro, le praterie che si estendevano ai lati della strada
erano devastate, ed era evidente che era passato di l un numeroso
contingente di truppe.
Trenta verste prima di Niznij Udinsk erano chiaramente visibili i
segni di una devastazione recente ed era impossibile attribuirli ad
altri fuorchai Tartari.
Non si trattava pi infatti, soltanto di campi calpestati dagli
zoccoli dei cavalli, di foreste intaccate dall'ascia. Le poche case
sparse lungo la strada non erano pisoltanto vuote: alcune erano
state in parte demolite, altre mezzo bruciate. Sui muri si vedevano i
segni delle pallottole.
Immaginiamo quali fossero le preoccupazioni di Michele Strogoff. Non
aveva pidubbi che questa parte di strada fosse stata percorsa di
recente da un corpo di Tartari, e tuttavia era impossibile che fossero
i soldati dell'emiro, perch questi non avrebbero potuto passargli
avanti senza che se ne fosse accorto. Ma allora chi erano dunque
questi nuovi invasori? e per quale strada traversa della steppa
avevano raggiunto la grande strada di Irkutsk? Con quale nuovo nemico
si sarebbe incontrato il corriere dello zar?
Michele Strogoff non comunic n a Nicola n a Nadia le sue
apprensioni, non volendo impressionarli. Del resto, egli era talmente
deciso a continuare la sua strada, che nessun ostacolo per quanto
grande, lo avrebbe arrestato. Pitardi avrebbe giudicato sul da
farsi.
Durante il giorno successivo, fu costatato sempre meglio il passaggio
recente di una numerosa truppa di cavalieri e di fanti. Furono viste
colonne di fumo all'orizzonte. La "kibitka" prosegucon precauzione.
Alcune case delle borgate abbandonate bruciavano ancora, e certamente
l'incendio era stato appiccato non prima di ventiquattro ore.
Alla fine, durante il giorno 8 settembre, la "kibitka" si ferm Il
cavallo si rifiutava di proseguire. Serko abbaiava lamentosamente.
- Che c' - domandMichele Strogoff.
- Un cadavere! - rispose Nicola, che era sceso dalla "kibitka".
Era il cadavere di un "mugik", orribilmente mutilato e gifreddo.
Nicola si fece il segno della croce. Poi, aiutato da Michele Strogoff,
trasportil cadavere sul ciglio della strada. Avrebbe voluto dargli
una sepoltura decente, sotterrarlo molto profondo, affinch gli
animali carnivori della steppa non dilaniassero quei miseri resti, ma
Michele Strogoff non gliene lasciil tempo.
- Partiamo, amico, partiamo! - gli disse. - Non possiamo
attardarci neppure un'ora.
E la "kibitka" riprese la marcia.
Del resto, se Nicola avesse voluto rendere gli estremi onori a tutti i
morti che d'ora in poi avrebbe trovato sulla grande strada siberiana,
non ci sarebbe riuscito! Nelle vicinanze di Niznij Udinsk, trovarono a
decine i cadaveri distesi al suolo.
Eppure bisognava continuare per quella strada fino al momento in cui
sarebbe stato impossibile proseguire, senza cadere nelle mani degli
invasori. L'itinerario non fu dunque modificato, e sempre devastazione
e stragi si accumulavano ad ogni borgata. Tutti quei villaggi, i cui
nomi indicano che sono stati fondati da esiliati polacchi, erano stati
abbandonati al saccheggio e al fuoco. Il sangue delle vittime non era
ancora completamente congelato. Era impossibile sapere in quali
circostanze orribili s'erano svolti gli avvenimenti. Non restava pi un solo essere vivente per raccontarlo.
Quel giorno, verso le quattro della sera, Nicola indicall'orizzonte
gli alti campanili delle chiese di Niznij Udinsk. Erano coronati da
immense volute di vapori che non erano certamente nubi.
Nicola e Nadia guardavano e riferivano a Michele Strogoff il risultato
delle loro osservazioni. Bisognava prendere una decisione. Se la citt era abbandonata, si poteva attraversarla senza pericolo, ma se, per un
motivo inspiegabile, i Tartari la occupavano, si doveva ad ogni costo
aggirarla.
- Andiamo avanti con prudenza - disse Michele Strogoff, - ma
andiamo avanti!
Fu percorsa un'altra versta.
- Quelle non sono nubi, fumo! - esclamNadia. - Fratello, la
cittbrucia.
Infatti, era fin troppo evidente. Bagliori fuligginosi apparivano in
mezzo a quei vapori. Quei turbini diventavano sempre pispessi e
salivano nel cielo. Non si vedeva nessun fuggiasco. Probabilmente gli
incendiari avevano trovato la cittabbandonata e la bruciavano. Ma
erano i Tartari che facevano tutto questo? o erano i Russi che
obbedivano a un ordine del granduca? Il governo dello zar aveva voluto
che dopo Krasnojarsk, dopo il Jenisej, non una citt non una borgata
rimanesse di rifugio ai soldati dell'emiro? E Michele Strogoff doveva
fermarsi? o doveva continuare la sua strada?
Egli era indeciso. Tuttavia, dopo avere considerato il pro e il
contro, pensche non doveva rischiare di cadere una seconda volta
nelle mani dei Tartari, qualunque fossero le fatiche di un viaggio
attraverso la steppa, senza strade tracciate. Stava dunque per
proporre a Nicola di abbandonare la grande strada e, se era
assolutamente necessario, riprenderla soltanto dopo avere aggirato
Niznij Udinsk, quando un colpo di arma da fuoco esplose sulla destra.
Una pallottola sibil e il cavallo della "kibitka", colpito alla
testa, cadde fulminato.
Nello stesso istante, sbucarono sulla strada una dozzina di cavalieri
e circondarono la "kibitka". Michele Strogoff, Nadia e Nicola, senza
avere avuto il tempo per riprendersi, erano caduti prigionieri e
venivano trascinati rapidamente verso Niznij Udinsk.
Michele Strogoff, in questo attacco improvviso, non aveva perduto il
suo sangue freddo. Non avendo visto i nemici, non aveva potuto pensare
a difendersi. Ma anche se avesse avuto l'uso degli occhi, non avrebbe
tentato. Sarebbe stato correre incontro ad un massacro. Ma, se non
vedeva, poteva ascoltare ciche i nemici dicevano e capirli.
Infatti, dalla loro parlata, cap che erano soldati tartari e che
precedevano l'esercito degli invasori.
Ecco, del resto, ciche Michele Strogoff apprese, tanto dai discorsi
tenuti in quel momento davanti a lui, quanto dai brani di
conversazione ch'egli colse pitardi.
Questi soldati non erano agli ordini diretti dell'emiro, trattenuto
ancora al di l del Jenisej. Facevano parte d'una terza colonna,
composta piparticolarmente di Tartari dei khanati di Koland e di
Kundus; l'esercito di Feofar si sarebbe congiunto quanto prima con
questa colonna in prossimitdi Irkutsk.
Questa colonna, per consiglio di Ivan Ogareff e allo scopo di
assicurare il successo dell'invasione delle province dell'est, dopo
avere attraversato la frontiera del governatorato di Semipalatinsk ed
esser passata a sud del lago Balkhash, era avanzata ai piedi dei monti
Altai. Saccheggiando e devastando, al comando di un ufficiale del khan
di Kundus, aveva raggiunto il corso superiore del Jenisej. Qui, in
previsione di quanto fosse avvenuto a Krasnojarsk per ordine dello
zar, e per facilitare il passaggio del fiume alle truppe dell'emiro,
questo ufficiale aveva affidato alla corrente una flottiglia di
barche, le quali, sia come imbarcazioni, sia come materiale per un
ponte, permettessero a Feofar di riprendere sulla riva destra la
grande strada di Irkutsk. Poi, questa terza colonna, dopo avere
aggirato i piedi delle montagne, aveva disceso la valle del Jenisej e
raggiunto la grande strada all'altezza di Alsalevsk. Cispiegava
perch dopo questa cittadina, s'era visto quello spaventoso cumulo di
rovine, che costituisce la caratteristica delle guerre tartare. Niznij
Udinsk aveva sub鮅o la sorte comune, e i Tartari, in numero di
cinquantamila, l'avevano gi abbandonata per andare ad occupare le
prime posizioni davanti a Irkutsk. Entro breve tempo, sarebbero stati
raggiunti dalle truppe dell'emiro.
Questa era la situazione a quella data; situazione gravissima per
quella parte della Siberia orientale, completamente isolata, e per i
difensori della sua capitale, relativamente pochi di numero.
Michele Strogoff fu dunque informato di tutto questo: arrivo davanti a
Irkutsk di una terza colonna di Tartari, e prossimo congiungimento
dell'emiro e di Ivan Ogareff con il grosso delle loro truppe. Perci imminente assedio di Irkutsk, la cui resa, per conseguenza, sarebbe
stata soltanto questione di tempo, forse d'un tempo molto breve.
Si comprende quali pensieri assalirono Michele Strogoff! Chi si
meraviglierebbe se, in questa situazione, egli avesse alla fine perso
ogni coraggio, ogni speranza? Tuttavia non capit niente di tutto
questo, e le sue labbra non mormorarono altre parole che questa:
- Arriver
Mezz'ora dopo l'assalto dei cavalieri tartari, Michele Strogoff,
Nicola e Nadia entrarono a Niznij Udinsk. Il fedele cane li aveva
seguiti, ma da lontano. Non si fermarono in citt che era in fiamme e
abbandonata anche dagli ultimi predatori.
I prigionieri furono dunque gettati su cavalli e mandati rapidamente
avanti: Nicola, rassegnato come sempre, Nadia, per niente scossa nella
sua fede in Michele Strogoff, Michele Strogoff, indifferente in
apparenza, ma deciso a cogliere tutte le occasioni di fuga.
I Tartari s'erano accorti che uno dei loro prigionieri era cieco e la
loro barbarie naturale li indusse a prendersi gioco di quello
sventurato. Si procedeva di gran carriera. Il cavallo di Michele
Strogoff, abbandonato a se stesso, andava avanti a caso, usciva spesso
dai ranghi e portava disordine nel distaccamento. Ne seguivano
ingiurie, brutalit che spezzavano il cuore della fanciulla e
indignavano Nicola. Ma che cosa potevano fare? Essi non parlavano la
lingua dei Tartari, e il loro intervento fu spietatamente respinto.
Quei soldati, anzi, per una raffinatezza della loro barbarie, ebbero
l'idea di cambiare il cavallo montato da Michele Strogoff con un altro
che era cieco. A causare questo cambiamento, fu la riflessione di uno
di quei cavalieri, dal quale Michele Strogoff aveva sentito dire:
- Ma forse quel russo ci vede!
Questo avveniva a sessanta verste da Niznij Udinsk, tra le borgate di
Tatan e di Scibarlinskoije. Avevano dunque fatto montare Michele
Strogoff su quel cavallo cieco, mettendogli ironicamente le redini in
mano. Poi, a colpi di frusta, a colpi di pietre, e incitandolo con
grida, lo spinsero al galoppo.
L'animale, che non era mantenuto in strada dal cavaliere, cieco come
lui, a volte urtava contro qualche albero, a volte usciva di strada.
Ne seguivano urti, anche cadute, che potevano essere estremamente
funeste.
Michele Strogoff non protest Non fece sentire un lamento. Se il suo
cavallo cadeva, egli aspettava che venissero a rialzarlo. Lo
rialzavano, infatti, e il crudele gioco continuava.
Nicola, davanti a questi maltrattamenti, non riusciva a dominarsi.
Voleva correre in aiuto al suo compagno. Lo fermarono, lo
maltrattarono.
Quel gioco si sarebbe prolungato, senza dubbio, e con grande spasso
dei Tartari, se un incidente grave non vi avesse posto fine.
Ad un certo momento, durante la giornata del 10 settembre, il cavallo
cieco partal galoppo diritto verso un precipizio sul margine della
strada, profondo da trenta a quaranta piedi.
Nicola tent di lanciarsi in aiuto. Lo fermarono. Il cavallo, non
essendo guidato, precipitcon il suo cavaliere in quel precipizio.
Nadia e Nicola mandarono un grido di spavento!... Pensarono che il
loro sventurato compagno si fosse sfracellato nella caduta!
Quando andarono a estrarlo, Michele Strogoff, disarcionato, non s'era
ferito, ma il disgraziato cavallo s'era rotto due gambe ed era ormai
inservibile.
Lo lasciarono morire l senza nemmeno dargli il colpo di grazia, e
Michele Strogoff, attaccato alla sella di un tartaro, fu costretto a
seguire a piedi lo squadrone.
Neppure ora si lamentnprotest Cammincon passo svelto, tanto
che la corda che lo legava era appena tesa. Era sempre 勁'uomo di
ferrodi cui il generale Kissoff aveva parlato allo zar!
Il giorno dopo, 11 settembre, il distaccamento oltrepassava la borgata
di Scibarlinskoije.
A questo punto capit un incidente, che avrebbe avuto conseguenze
molto gravi.
Era scesa la notte. I cavalieri tartari, dopo una sosta, erano tutti
pio meno ubriachi. Stavano per ripartire.
Nadia, che fino allora, e quasi per un miracolo, era stata rispettata
dai soldati, fu insultata da uno di loro.
Michele Strogoff non aveva visto l'insulto, n l'insultatore, ma
Nicola aveva visto per lui.
Allora, tranquillamente, senza riflettere, forse senza avere coscienza
del suo atto, Nicola anddritto verso il soldato, e, prima che questi
avesse potuto fare un gesto per fermarlo, traendo la pistola dalla
tasca della sella, gliela scaricin pieno petto.
L'ufficiale che comandava il distaccamento accorse subito allo sparo.
I cavalieri stavano per linciare lo sventurato Nicola, ma, a un ordine
dell'ufficiale, lo legarono, lo misero di traverso su un cavallo, e lo
squadrone partal galoppo.
La corda alla quale era attaccato Michele Strogoff, ormai logorata, si
spezza uno strappo improvviso del cavallo, e il suo cavaliere mezzo
ubriaco, seguitando il galoppo, non se ne accorse nemmeno.
Michele Strogoff e Nadia si trovarono soli sulla strada.


NOTE.

Nota 1. A circa 42 gradi sotto zero.















9. NELLA STEPPA.

Michele Strogoff e Nadia erano dunque liberi un'altra volta, come lo
erano stati durante il tragitto da Perm al fiume Irtis. Ma quanto
erano cambiate le condizioni del viaggio! Allora, la rapiditera loro
assicurata da un comodo "tarant跴", cavalli frequentemente cambiati,
cambi di posta ben attrezzati. Adesso erano a piedi,
nell'impossibilit di procurarsi un mezzo di locomozione, senza
risorse; non sapevano nemmeno come avrebbero fatto fronte ai
principali bisogni della vita, e avevano ancora da percorrere
quattrocento verste. Infine, cosa pigrave, Michele Strogoff non
vedeva altrimenti che per mezzo degli occhi di Nadia.
Quanto all'amico che il caso aveva loro dato, lo avevano perduto nelle
pifuneste circostanze.
Michele Strogoff s'era lasciato cadere sul ciglio della strada. Nadia,
in piedi, attendeva una parola da lui per rimettersi in cammino.
Erano le dieci di sera. Il sole era scomparso all'orizzonte da tre ore
e mezzo. Non c'era una casa, non una capanna in vista. Gli ultimi
Tartari si perdevano in lontananza. Michele Strogoff e Nadia erano
soli nel pieno senso della parola.
- Cosa faranno al nostro amico? - esclamla fanciulla. - Povero
Nicola! Il nostro incontro gli sarstato fatale!
Michele Strogoff non rispondeva.
- Michele, - riprese Nadia - lo sai che ti ha difeso quando tu eri
lo zimbello dei Tartari, e che ha rischiato la vita per me?
Michele Strogoff taceva sempre. Immobile, con la testa chiusa tra le
mani, a che cosa pensava? Se non rispondeva, sentiva almeno che Nadia
parlava?
S la sentiva; infatti, quando la fanciulla aggiunse:
- Dove ti condurr Michele?
- A Irkutsk! - rispose
- Per la grande strada?
- S Nadia.
Michele Strogoff era rimasto l'uomo che aveva giurato di arrivare ad
ogni costo alla meta. Seguire la grande strada significava andarvi per
la via pi breve. Se fosse comparsa l'avanguardia delle truppe di
Feofar Khan, allora sarebbe stato il tempo di gettarsi attraverso la
steppa.
Nadia riprese la mano di Michele Strogoff, e partirono.
L'indomani, 12 settembre, venti verste piavanti, alla borgata di
Tulunovskoije i due fecero una breve sosta. La borgata era incendiata
e deserta. Durante tutta la notte, Nadia aveva cercato se il cadavere
di Nicola fosse stata abbandonato sulla strada, ma fruginvano tra le
rovine e guardinvano i morti. Fino a questo punto, Nicola sembrava
fosse stato risparmiato. Ma lo riservavano forse per qualche crudele
supplizio, quando fossero arrivati all'accampamento di Irkutsk?
Nadia, sfinita dalla fame, che affliggeva crudelmente anche il suo
compagno, ebbe la fortuna di trovare in una casa del borgo una certa
quantitdi carne disseccata e di "sukharis", fette di pane essiccate
per evaporazione, che conservavano indefinitamente le loro qualit nutritive. Michele Strogoff e la fanciulla ne presero quanto ne
poterono portar via. Il cibo era almeno assicurato per parecchi giorni
e, quanto all'acqua, non doveva pimancare in una contrada solcata da
mille piccoli affluenti dell'Angara.
Ripresero la strada. Michele Strogoff camminava con passo sicuro e
rallentava soltanto per riguardo alla sua compagna. Nadia, non volendo
restare indietro, si forzava di camminare. Per fortuna, il suo
compagno non poteva vedere in quale stato misero l'aveva ridotta la
fatica.
Michele Strogoff tuttavia lo sentiva.
- Sei allo stremo delle forze, povera ragazza! - le diceva qualche
volta.
- No - rispondeva lei.
- Quando non potrai picamminare, ti porter Nadia.
- S Michele.
Durante quella giornata fu necessario attraversare il piccolo corso
dell'Oka, ma era guadabile, e il passaggio non presentdifficolt
Il cielo era coperto, la temperatura sopportabile. C'era da temere,
tuttavia, che il tempo si voltasse in pioggia, aumentando cosle
difficolt Ci fu qualche piovasco, ma di breve durata.
Camminavano sempre, la mano nella mano, parlando poco. Nadia guardava
avanti e indietro. Due volte al giorno si fermavano. Si riposavano sei
ore per notte. In qualche capanna, Nadia trovancora un po' di quella
carne di pecora, tanto comune in quel paese e che costava al massimo
due copechi per libbra.
Ma, contrariamente a quanto aveva forse sperato Michele Strogoff, non
c'era piuna sola bestia da soma nella contrada. Cavalli, cammelli,
tutto era stato massacrato o portato via. Dovevano dunque continuare a
piedi attraverso questa interminabile steppa.
Le tracce della terza colonna tartara, che si dirigeva verso Irkutsk,
non mancavano mai. Qui un cavallo morto, luna carretta abbandonata.
I corpi dei disgraziati siberiani segnavano addirittura la strada,
specialmente all'entrata dei villaggi. Nadia, superando la propria
ripugnanza, guardava tutti quei cadaveri!...
Tutto calcolato, il pericolo non stava davanti, stava indietro.
L'avanguardia dell'esercito principale dell'emiro, comandato da Ivan
Ogareff, poteva comparire da un momento all'altro. Le barche inviate
dal Jenisej inferiore, dovevano essere arrivate a Krasnojarsk e
servire subito al passaggio del fiume. Allora gli invasori avrebbero
avuto la strada libera. Nessun corpo russo poteva arrestarli tra
Krasnojarsk e il lago di Bajkal. Michele Strogoff si aspettava dunque
l'arrivo degli esploratori tartari.
Cos ad ogni fermata, Nadia saliva su qualche altura e guardava
attentamente verso ovest, ma nessun turbine di polvere segnalava
ancora l avanzare di uno squadrone.
Poi riprendevano la marcia, e quando Michele Strogoff sentiva che era
lui a tirare la povera Nadia, rallentava il passo. Parlavano poco e
soltanto di Nicola. La fanciulla ricordava tutto quanto aveva fatto
per loro quel compagno di pochi giorni.
Michele Strogoff cercava, nelle sue risposte, di dare a Nadia un poco
di speranza sul conto di lui, ma egli ne nutriva ben poca, perch sapeva perfettamente che lo sventurato non sarebbe sfuggito alla
morte.
Un giorno, Michele Strogoff disse alla fanciulla:
- Non mi parli mai di mia madre, Nadia?
Di sua madre! Nadia non avrebbe voluto. Perchrinnovargli il dolore?
La vecchia siberiana non era forse morta? Il figlio non le aveva forse
dato l'ultimo bacio, quando era gicadavere sul poggio di Tomsk?
- Parlami di lei, Nadia - disse tuttavia Michele Strogoff. -
Parla! Mi farai piacere!
E Nadia fece quanto non aveva mai fatto fin allora. Gli racconttutto
quanto era avvenuto tra Marfa e lei fin dal loro incontro a Omsk, dove
le due donne s'erano viste per la prima volta. Gli disse come un
inspiegabile istinto l'aveva spinta verso la vecchia prigioniera senza
conoscerla, quali cure le aveva prestato, quali incoraggiamenti ne
aveva ricevuto. A quel tempo, Michele Strogoff era per lei ancora
soltanto Nicola Korpanoff.
- Quello che avrei sempre dovuto essere! - rispose Michele Strogoff,
la cui fronte si oscur
Poi, pitardi, aggiunse:
- Ho mancato al mio giuramento, Nadia. Avevo giurato di non vedere mia
madre!
- Ma tu non hai cercato di vederla, Michele! - rispose Nadia.-
Soltanto il caso ti ha portato in sua presenza!
- Avevo giurato, qualunque cosa capitasse, di non tradirmi!
- Michele, Michele! Vedendo la frusta levata su Marfa Strogoff, potevi
resistere? No! Non c'giuramento che possa impedire a un figlio di
soccorrere la propria madre!
- Ho mancato al mio giuramento, Nadia - rispose Michele Strogoff. -
Che Dio e il padre (1) mi perdonino!
- Michele, - disse allora la fanciulla - ho una domanda da farti.
Non mi rispondere, se credi di non dovermi rispondere. Di te pinulla
mi stupisce.
- Parla, Nadia.
- Perch ora che la lettera dello zar ti stata tolta, hai ancora
tanta fretta di arrivare a Irkutsk?
Michele Strogoff strinse piforte la mano della sua compagna, ma non
rispose.
- Conoscevi dunque il contenuto di quella lettera prima di partire da
Mosca? - riprese Nadia.
- No, non lo conoscevo.
- Devo dunque pensare, Michele, che solo il desiderio di consegnarmi
nelle mani di mio padre ti fa proseguire verso Irkutsk?
- No, Nadia - rispose seriamente Michele Strogoff. - Ti
ingannerei, se ti lasciassi credere che cos come dici. Io vado l perch il mio dovere mi ordina di andarvi. Quanto poi a condurti a
Irkutsk, non sei forse tu, Nadia, che ora mi conduci? Non vedo forse
con i tuoi occhi? Non forse la tua mano che mi guida? Non mi hai
forse reso cento volte i servizi che io ti ho prestato all'inizio? Non
so se la sorte cesserdi perseguitarci, ma il giorno in cui tu mi
ringrazierai di averti consegnata nelle mani di tuo padre, io ti
ringrazierdi avermi condotto a Irkutsk!
- Povero Michele! - rispose Nadia tutta commossa. - Non parlare
cos Non questa la risposta che io ti chiedo! Michele, perchhai
tanta fretta di arrivare a Irkutsk?
- Perchbisogna che io arrivi prima di Ivan Ogareff! - esclam Michele Strogoff.
- Ancora adesso?
- Ancora adesso, e vi arriver
E pronunciando queste ultime parole, Michele Strogoff non parlava
soltanto per odio verso il traditore. Ma Nadia comprese che il suo
compagno non le diceva tutto, e che non poteva dirle tutto.
Tre giorni pitardi, il 15 settembre, raggiungevano la borgata di
Kuitunskoije, a settanta verste da Tulunovskoije. La fanciulla andava
avanti a prezzo di estreme sofferenze. I piedi doloranti la
sostenevano appena. Ma resisteva, lottava contro la stanchezza e aveva
quest'unico pensiero:
促oichnon puvedermi, andravanti finchcado!
Del resto, non trovarono nessun ostacolo su questo tratto di strada,
nessun pericolo su questa parte del viaggio, dopo la partenza dei
Tartari. Soltanto molta fatica.
Fu cosper tre giorni. Era evidente che la terza colonna degli
invasori avanzava rapidamente verso est. Lo si vedeva dalle rovine che
lasciavano al loro passaggio, dalle ceneri che non fumavano pi dai
cadaveri gidecomposti che giacevano al suolo.
Verso ovest, niente cambiava. L'avanguardia dell'emiro non compariva.
Michele Strogoff faceva le supposizioni piinverosimili per spiegare
questo ritardo. Forse i Russi, in forze sufficienti, avevano ripreso
Tomsk o Krasnojarsk? La terza colonna, isolata dalle altre due,
rischiava dunque di essere tagliata fuori? Se era cossarebbe stato
facile al granduca difendere Irkutsk, e guadagnare del tempo contro
l'invasione significava un buon punto di partenza per respingerla.
Michele Strogoff si lasciava prendere talvolta da queste speranze, ma
ben presto comprendeva quanto erano effimere, e non contava piche su
se stesso, come se la salvezza del granduca fosse stata unicamente
nelle sue mani!
Kuitunskoije dista sessanta verste da Kimilteiskoije, piccola
cittadina situata a poca distanza dal Dinka, tributario dell'Angara.
Michele Strogoff pensava con apprensione a questo affluente d'una
certa importanza posto sulla sua strada. Non poteva supporre di
trovare traghetti o barche, e si ricordava, per averlo gi attraversato in tempi migliori, che la traversata era difficile. Ma,
una volta passato quel corso d'acqua, non c'era pi nessun fiume,
nessun affluente che interrompesse la strada verso Irkutsk,
duecentotrenta verste piavanti.
Ci vollero non meno di tre giorni per raggiungere Kimilteiskoije.
Nadia si trascinava. Benchavesse una grande energia morale, la forza
fisica le veniva meno. Michele Strogoff lo sapeva fin troppo!
Se non fosse stato cieco, Nadia gli avrebbe detto senza dubbio
- Va', Michele, lasciami in qualche capanna! Arriva a Irkutsk! Compi
la tua missione! Cerca mio padre! Digli dove sono! Digli che lo
aspetto, e, tutti e due, verrete a prendermi! Parti! Io non ho paura!
Mi nasconderai Tartari! Mi salverper lui, per te! Va', Michele! Io
non posso piproseguire!...
Pivolte, Nadia fu costretta a fermarsi. Allora Michele Strogoff la
prendeva sulle braccia, e non dovendo pipensare alla fatica della
fanciulla mentre la portava, camminava pi spedito col suo passo
infaticabile.
Il 18 settembre, alle dieci di sera, arrivarono finalmente a
Kimilteiskoije. Da un'alta collina, Nadia scorse una linea un po' meno
scura all'orizzonte. Era il Dinka. Alcune luci si riflettevano nelle
sue acque, lampi senza tuono che illuminavano lo spazio.
Nadia condusse il suo compagno attraverso la borgata distrutta. La
cenere degli incendi era fredda. Gli ultimi Tartari vi erano passati
da almeno cinque o sei giorni.
Arrivata all'ultima casa della borgata, Nadia si lascicadere su una
panca di pietra.
- Ci fermiamo? - le domandMichele Strogoff.
- E' notte, Michele - rispose Nadia. - Non vuoi riposarti qualche
ora?
- Avrei voluto passare il Dinka - rispose Michele Strogoff, avrei
voluto porlo tra noi e l'avanguardia dell'emiro. Ma tu non puoi pi proseguire, povera Nadia!
- Vieni, Michele - rispose Nadia, che prese la mano del suo compagno
e lo tircon forza.
Il Dinka tagliava la strada di Irkutsk due o tre verste piavanti. La
fanciulla volle tentare quest'ultimo sforzo che le chiedeva il suo
compagno. Camminarono dunque alle luci dei lampi. Attraversavano ora
un deserto senza limiti, in mezzo al quale si perdeva il piccolo
fiume. Non un albero, non un monticello che variasse questa vasta
pianura, dove ricominciava la steppa siberiana. Non un soffio d'aria
attraversava l'atmosfera; quella calma avrebbe lasciato propagare il
pipiccolo rumore a una distanza infinita.
D'improvviso Michele Strogoff e Nadia si arrestarono, come se il loro
piede avesse incespicato in qualcosa di solido per terra.
Sentirono l'abbaiare d'un cane attraverso la steppa.
- Senti? - disse Nadia.
Poi arrivun grido di lamento, un grido disperato, come l'ultimo
richiamo d'un essere umano che sta per morire.
- Nicola! Nicola! - grid la fanciulla, mossa da un sinistro
presentimento.
Michele Strogoff, che ascoltava, scosse la testa.
- Vieni, Michele, vieni! - disse Nadia.
E lei, che a malapena si reggeva in piedi, chiama raccolta le sue
forze sotto il comando d'una violenta eccitazione.
- Siamo usciti di strada? - domandMichele Strogoff, sentendo sotto
i suoi piedi non piil suolo polveroso, ma l'erba bassa.
- S.. bisogna... - rispose Nadia. - Quel grido venuto di qui,
sulla destra.
Pochi minuti dopo, erano appena a mezza versta dal fiume.
Sentirono per la seconda volta l'abbaiare del cane, e sebbene pi debole, era certamente pivicino.
Nadia si ferm
- S - disse Michele. - E' Serko che abbaia!... Ha seguito il suo
padrone!
- Nicola! - gridla fanciulla.
Il suo richiamo rimase senza risposta
Soltanto alcuni uccelli da preda si levarono e disparvero nel cielo.
Michele Strogoff stava in ascolto. Nadia scrutava quella pianura,
impregnata di bagliori luminosi, quasi riflessi da uno specchio, ma
non vide nulla.
Tuttavia sentirono ancora la voce, che questa volta finin un gemito.
- Michele!...
Poi un cane tutto insanguinato si precipitincontro a Nadia. Era
Serko.
Nicola non poteva essere lontano! Soltanto lui aveva potuto invocare
il nome di Michele! Dove era? Nadia non aveva pila forza di
chiamarlo.
Michele Strogoff, procedendo a tentoni sul suolo, lo cercava con la
mano.
D'improvviso Serko abbai di nuovo e si lancicontro un gigantesco
uccello che volava raso terra.
Era un avvoltoio. Quando Serko si avventsu di lui, l'uccello si
lev ma, tornando alla carica, colpil cane. Questi spiccun altro
balzo contro l'avvoltoio... Un formidabile colpo di becco lo raggiunse
alla testa, e questa volta Serko ricadde al suolo privo di vita.
Nello stesso istante, un grido di orrore sfugga Nadia!
- Qui... qui...! - disse.
Una testa spuntava dal suolo! Vi avrebbero urtato col piede, se non vi
fossero stati quegli intensi bagliori, riverberati dal cielo, che la
rendevano visibile.
Nadia cadde in ginocchio, vicino a questa testa.
Nicola, interrato fino al collo, secondo l'atroce usanza tartara, era
stato abbandonato nella steppa, per morirvi di fame e di sete, e forse
anche sotto le zanne dei lupi o il becco degli uccelli rapaci.
Supplizio orribile per la vittima imprigionata al suolo, immersa nella
terra senza potersene liberare, avendo le braccia legate strette al
corpo come quelle di un cadavere nella bara.
Il prigioniero dei Tartari era qui interrato da tre giorni!... Da tre
giorni, Nicola aspettava un soccorso, che arrivava ormai troppo tardi!
Gli avvoltoi avevano scorto quella testa spuntare dal suolo, e da tre
giorni il cane difendeva il suo padrone contro i feroci carnivori.
Michele Strogoff scavla terra con il coltello, per esumare quel
povero vivente!
Gli occhi di Nicola, chiusi fino allora, si aprirono.
Egli riconobbe Michele e Nadia. Poi:
- Addio, amici - mormor - Sono contento di avervi rivisti!
Pregate per me!...
Queste furono le sue ultime parole.
Michele Strogoff continua scavare la terra, fortemente pressata e
dura come la roccia, riuscendo alla fine ad estrarre il corpo dello
sventurato. Ascoltil cuore!... Non batteva pi
Volle allora seppellirlo, affinchnon rimanesse esposto sulla steppa,
e allargquella buca, nella quale Nicola era stato interrato vivo; la
ingrand in maniera da potervelo adagiare morto! Il fedele Serko
veniva posto accanto al suo padrone!
In quel momento si udun gran frastuono sulla strada, distante non
pidi mezza versta.
Michele Strogoff ascolt Al rumore egli riconobbe uno squadrone di
uomini a cavallo che avanzava verso il Dinka.
- Nadia! Nadia - disse a voce bassa.
Sentendo la sua voce, Nadia, inginocchiata in preghiera, si rialz
- Guarda! guarda! - le disse.
- I Tartari! - sussurrella.
Era infatti l'avanguardia dell'emiro che procedeva veloce sulla strada
di Irkutsk.
- Non mi impediranno di sotterrarlo! - disse Michele Strogoff.
E continuil pietoso lavoro.
In breve tempo il corpo di Nicola, con le mani congiunte al petto, fu
adagiato in quella fossa. Michele Strogoff e Nadia, inginocchiati,
innalzarono a Dio l'ultima preghiera per quel povero essere,
inoffensivo e buono, che aveva pagato con la propria vita la sua
dedizione per loro.
- Ed ora - disse Michele Strogoff, ricoprendolo di terra, - i lupi
della steppa non lo divoreranno!
Poi tese la mano minacciosa verso la truppa di cavalieri che passava.
- In cammino, Nadia! - disse.
Michele Strogoff non poteva pi seguire la strada maestra, ora
occupata dai Tartari. Doveva gettarsi attraverso la steppa e aggirare
Irkutsk. Non aveva dunque pi preoccupazioni per attraversare il
Dinka.
Nadia non poteva piproseguire, ma poteva vedere per lui. Egli la
prese sulle braccia e s'inoltrverso il sud-est della provincia.
Gli restavano da percorrere pidi duecento verste. Come vi riusc
Perchnon cadde sotto il peso della fatica? Come si nutr per la
strada? Per quale sovrumana energia valicle prime pendici dei monti
Sajansk? Nlui nNadia saprebbero raccontarlo!
E tuttavia, dodici giorni dopo, il 2 ottobre, alle sei di sera,
un'immensa distesa d'acqua si estendeva ai piedi di Michele Strogoff.
Era il lago Bajkal.


NOTE.

Nota 1. L'imperatore.







10. IL BAJKAL E L'ANGARA.

Il lago Bajkal situato a millesettecento piedi sopra il livello del
mare. E' lungo circa novecento verste, largo cento. La sua profondit non conosciuta. La signora de Bourboulon riferisce, per averlo
sentito dire dai barcaioli, che vuol essere chiamato "signor mare". Se
lo si chiama "signor lago", lui s'infuria subito. Dice tuttavia la
leggenda che nessun russo vi mai annegato.
Quest'immenso bacino d'acqua dolce, alimentato da oltre trecento
fiumi, inquadrato in una magnifica cornice di monti vulcanici. Ha un
solo emissario, l'Angara, che dopo aver attraversato Irkutsk, si getta
nel Jenisej, un po' a monte della cittdi Jeniseisk. I monti che lo
circondano, costituiscono una diramazione dei Tungusi, che si
dipartono dal vasto sistema orografico degli Altai.
Gia questa stagione, il freddo s'era fatto sentire. Capita infatti,
su questo territorio sottoposto a condizioni climatiche particolari,
che l'autunno sembri assorbito da un inverno precoce. Si era ai primi
di ottobre. Il sole tramontava alle cinque della sera e le lunghe
notti facevano scendere la temperatura a zero gradi. Le prime nevi,
che sarebbero poi rimaste fino all'estate successiva, imbiancavano gi le cime attorno al Bajkal. Durante l'inverno siberiano, questo mare
interno, ricoperto da un ghiaccio spesso parecchi piedi, solcato
dalle slitte dei corrieri e delle carovane.
Sovente, o perchgli si manca di rispetto chiamandolo 哀ignor lagoo
per altre ragioni piuttosto meteorologiche, il Bajkal soggetto a
tempeste violente. Le sue onde, corte come quelle di tutti i mari
mediterranei, sono molto pericolose per le zattere, per le "prames",
per i battelli a vapore, che lo attraversano durante l'estate.
Michele Strogoff era arrivato alla punta sud-ovest del lago, portando
Nadia, la cui vita era, per cosdire, tutta concentrata negli occhi.
Cosa potevano aspettarsi in questa zona selvaggia della provincia, se
non di morirvi di stanchezza e di privazioni? E tuttavia, di quelle
seimila verste che il corriere dello zar doveva percorrere per
raggiungere la meta, quante ne restavano ancora? Appena sessanta,
lungo il litorale del lago fino all'imboccatura dell'Angara, e altre
ottanta dall'imboccatura dell'Angara fino a Irkutsk: in tutto,
centoquaranta verste, ossia tre giorni di viaggio a piedi per un uomo
riposato e robusto.
Michele Strogoff poteva ancora dirsi un uomo tale?
Il Cielo, senza dubbio, non volle sottometterlo a questa prova. La
fatalitche si accaniva contro di lui sembrvolerlo risparmiare per
un istante. Questa estremitdel lago Bajkal, questa zona della steppa
ch'egli credeva deserta, come sempre, non lo era adesso.
Una cinquantina di persone si trovavano infatti riunite all'insenatura
formata dalla punta sud-ovest del lago.
Nadia scorse subito quel gruppo, quando Michele Strogoff, portandola
sulle braccia, uscdalla strettoia delle montagne
La fanciulla dubitper un istante che fosse un distaccamento tartaro,
inviato a perlustrare le rive del Bajkal; in questo caso non avrebbero
piavuto possibilitdi fuga.
Ma Nadia fu subito rassicurata a questo riguardo
- Russi! - grid
E, dopo quest'ultimo sforzo, le sue palpebre si chiusero e la sua
testa ricadde sul petto di Michele Strogoff.
Ma li avevano visti, e alcuni di quei russi corsero loro incontro, e
condussero il cieco e la fanciulla sul greto d'una piccola spiaggia,
dov'era ormeggiata una zattera.
La zattera stava per partire.
Quei russi erano fuggiaschi di condizioni diverse, riuniti in questo
punto del Bajkal da un interesse comune. Scacciati dagli esploratori
tartari, cercavano di rifugiarsi a Irkutsk, e non potendo arrivarvi
per terra, da quando gli invasori s'erano appostati sulle due rive
dell'Angara, speravano di raggiungere la cittscendendo il corso del
fiume, che l'attraversa.
Il progetto fece balzare il cuore di Michele Strogoff. Un'ultima
probabilitera a suo favore. Ma ebbe la forza di dissimulare, volendo
conservare piinviolato che mai il suo incognito.
Il piano dei fuggiaschi era semplice. Il Bajkal attraversato da una
corrente che va dalla riva superiore fino all'imboccatura dell'Angara.
Essi contavano di utilizzare questa corrente per raggiungere anzitutto
l'emissario del Bajkal. Da questo punto fino a Irkutsk, le acque
rapide del fiume li avrebbero portati ad una velocitda dieci a
dodici verste all'ora. In un giorno e mezzo, sarebbero dunque arrivati
in vista della citt
Non c'erano imbarcazioni in questo luogo. Era stato necessario
supplirvi. Avevano quindi costruito una zattera, o meglio una chiatta
di legname, simile a quelle che ordinariamente vanno alla deriva dei
fiumi siberiani. Una foresta di abeti, che crescevano sulla riva,
aveva fornito il materiale per il natante. I tronchi legati tra loro
con mazzi di vimini, formavano una piattaforma sulla quale avrebbero
trovato comodamente posto cento persone.
Michele Strogoff e Nadia furono condotti su questa zattera. La
fanciulla era rinvenuta. Le diedero qualcosa da mangiare, come anche
al suo compagno. Poi, adagiata su un letto di foglie, s'immerse subito
in un sonno profondo.
A quelli che l'interrogarono, Michele Strogoff non disse nulla dei
fatti accaduti a Tomsk. Fece credere di essere un abitante di
Krasnojarsk che non aveva potuto raggiungere Irkutsk prima che le
truppe dell'emiro fossero arrivate sulla riva sinistra del Dinka, e
aggiunse che, molto probabilmente, il grosso delle forze tartare aveva
preso posizione davanti alla capitale della Siberia.
Non c'era dunque un istante da perdere. Del resto, il freddo diventava
sempre piintenso. La temperatura, durante la notte, scendeva sotto
zero. S'erano gi formati dei lastroni di ghiaccio sulla superficie
del Bajkal. Se la zattera poteva facilmente manovrare sul lago, non
sarebbe pi stato costra le due rive dell'Angara, nel caso che i
lastroni ne avessero ingombrato il corso.
Per tutte queste ragioni, bisognava dunque che i fuggiaschi partissero
immediatamente.
Alle otto di sera furono levati gli ormeggi e, trasportata dalla
corrente, la zattera seguil litorale. Le lunghe pertiche, maneggiate
da alcuni robusti "mugik", bastavano a mantenerla in rotta.
Un vecchio barcaiolo del Bajkal aveva preso il comando della zattera.
Era un uomo di sessantacinque anni, abbronzato dalla brezza del lago.
Una barba bianca e molto folta gli scendeva sul petto. Un berretto di
pelliccia gli copriva la testa; aveva un aspetto grave e austero. Una
pellanda lunga e ampia, stretta alla cintola, gli scendeva fino alle
caviglie. Quel vecchio taciturno, seduto a poppa, comandava con gesti
e non diceva dieci parole in dieci ore. Del resto, le manovre si
riducevano a mantenere la zattera nella corrente, che filava lungo il
litorale, senza prendere il largo.
Abbiamo detto che Russi di diverse condizioni avevano preso posto
sulla zattera. Infatti, ai "mugik" indigeni, uomini e donne, vecchi e
bambini, s'erano aggiunti due o tre pellegrini, sorpresi
dall'invasione durante il loro viaggio, alcuni monaci e un pope. I
pellegrini portavano il bastone da viaggio, la borraccia sospesa alla
cintura, e salmodiavano con voce lamentevole. Uno veniva dall'Ukraina,
un altro dal Mar Giallo, un terzo dalle province della Finlandia.
Quest'ultimo, molto avanzato in et portava alla cintura un piccolo
bussolotto per le elemosine, chiuso con un lucchetto, come quelli che
sono appesi ai pilastri delle chiese. Tutto quanto egli raccoglieva
lungo il faticoso viaggio, non serviva per lui; anzi non aveva neppure
la chiave del lucchetto, che doveva essere aperto soltanto al suo
ritorno.
I monaci venivano dal nord dell'impero. Da tre giorni erano partiti
dalla citt di Arcangelo, nella quale alcuni viaggiatori hanno
giustamente riscontrato la fisionomia d'una citt dell'Oriente.
Avevano visitato le Isole Sante, vicino alla costa della Carelia, il
convento di Solovetsk, il convento di Troitsa (1), quelli di
Sant'Antonio e di Santa Teodosia a Kiev, l'antica capitale dei
Jaghelloni, il monastero di Simeonof a Mosca, quello di Kazan e anche
la chiesa dei Vecchi Credenti, e ora andavano a Irkutsk, vestiti di
tunica, di cappuccio e di altri indumenti di saia.
Quanto al pope, egli era un semplice prete di campagna, uno dei
seicentomila pastori del popolo viventi nell'impero russo. Era vestito
poveramente come i "mugik", non essendo niente pidi loro, non avendo
gradi npoteri nella Chiesa, coltivando come un contadino il suo
pezzo di terra, battezzando, celebrando matrimoni e funerali. Aveva
potuto sottrarre i suoi figli e la sua moglie alla brutalit dei
Tartari, inviandoli nelle province del nord. Egli invece era rimasto
nella sua parrocchia fino all'ultimo momento. Poi aveva dovuto
fuggire, ed essendo chiusa la strada di Irkutsk, aveva dovuto
raggiungere il lago Bajkal.
Questi diversi religiosi, raggruppati sulla parte anteriore della
zattera, pregavano a intervalli regolari, elevando la voce in quella
notte silenziosa, e alla fine di ogni versetto della loro preghiera,
usciva dalle loro labbra lo 俟lava Bogu Gloria a Dio.
La navigazione non fu turbata da nessun incidente. Nadia era rimasta
immersa in un profondo assopimento. Michele Strogoff aveva vegliato
accanto a lei. Il sonno non aveva presa su di lui, se non a lunghi
intervalli, e anche allora il suo pensiero vegliava sempre.
Allo spuntar del giorno, la zattera, ritardata da una brezza
abbastanza forte che ostacolava l'azione della corrente, era ancora a
quaranta verste dall'imboccatura dell'Angara. Con molta probabilit
non vi sarebbe giunta prima delle tre o delle quattro della sera.
Questo non era un inconveniente, al contrario, perch i fuggiaschi
avrebbero sceso allora il fiume durante la notte, e l'oscuritavrebbe
favorito il loro arrivo a Irkutsk.
Il solo timore pi volte manifestato dal vecchio barcaiolo fu a
riguardo della formazione dei lastroni di ghiaccio sulla superficie
delle acque. La notte era stata freddissima. Si vedevano i lastroni
molto numerosi filare verso ovest sotto la spinta del vento. Non c'era
da temere per questi, poich non potevano andare alla deriva
nell'Angara, di cui avevano ormai oltrepassato l'imboccatura. Ma si
poteva supporre che quelli provenienti dalle sponde orientali del lago
venissero presi dalla corrente e si incagliassero tra le due rive del
fiume. Percisi temevano difficolt possibili ritardi, forse anche
un ostacolo insormontabile che arrestasse la zattera.
Michele Strogoff aveva dunque grandissimo interesse a sapere quali
erano le condizioni del lago, e se i lastroni apparissero in gran
quantit Nadia s'era risvegliata, egli la interrogava spesso, ed ella
gli descriveva tutto quanto capitava sulla distesa d'acqua.
Mentre i lastroni andavano alla deriva, avvenivano fenomeni curiosi
sulla superficie del Bajkal. Si vedevano magnifici getti di acqua
bollente, sgorgati da quei pozzi artesiani, che la natura stessa ha
perforato sul fondo del lago. Questi getti si elevavano ad una grande
altezza e si dissolvevano in vapori, iridati dai raggi del sole e
quasi subito condensati dal freddo. Questo curioso spettacolo avrebbe
certamente meravigliato un turista, che avesse viaggiato in tempo di
pace e per diporto su questo mare siberiano.
Alle quattro di sera, il vecchio barcaiolo segnall'imboccatura
dell'Angara tra le alte rocce granitiche del litorale. Si vedeva sulla
riva destra il porticciolo di Livenisnaja, la chiesa, le case
costruite sulla spiaggia.
Ma circostanza molto grave, i primi lastroni di ghiaccio, venuti
dall'est, andavano gialla deriva tra le sponde dell'Angara e, per
conseguenza, scendevano verso Irkutsk. Tuttavia la loro quantitnon
era ancora tale da ostruire il fiume, nil freddo era tanto forte da
rinsaldarli.
La zattera arrival porticciolo e si ferm Qui, il vecchio barcaiolo
aveva deciso di sostare un'ora per eseguire le riparazioni
indispensabili. I tronchi, rallentati, minacciavano di separarsi, ed
era necessario rilegarli pisolidamente tra loro, per resistere alla
corrente dell'Angara, che molto rapida.
Durante la bella stagione, il porto di Livenisnaja una stazione
d'imbarco o di sbarco per i viaggiatori del lago Bajkal, tanto per
quelli che vanno a Kjakhta, ultima cittdella frontiera russo-cinese,
quanto per quelli che vi ritornano. E' dunque molto frequentato dai
battelli a vapore e dal piccolo cabotaggio del lago.
Ma in quel momento Livenisnaja era abbandonata. I suoi abitanti non
avevano potuto rimanere esposti alle razzie dei Tartari, che
percorrevano ora le due rive dell'Angara. Avevano inviato a Irkutsk la
flottiglia di battelli e di barche, che ordinariamente svernavano nel
loro porto, e, forniti di tutto quanto potevano portar via, si erano
rifugiati tempestivamente nella capitale della Siberia orientale.
Il vecchio barcaiolo non s'aspettava dunque di raccogliere altri
fuggiaschi al porto di Livenisnaja, e tuttavia, nel momento in cui la
zattera accostava, due passeggeri, uscendo da una casa disabitata,
arrivarono di gran corsa sulla spiaggia.
Nadia, seduta a poppa, guardava distratta.
Poi le sfuggun grido. Afferrla mano di Michele Strogoff, che, a
quel gesto, sollevla testa.
- Che c' Nadia? - domand
- I nostri due compagni di viaggio, Michele.
- Quel francese e quell'inglese che abbiamo incontrato sul passo
dell'Ural?
- S
Michele Strogoff trasal perchil suo rigoroso incognito, ch'egli
voleva assolutamente conservare, rischiava d'essere rivelato.
Infatti Alcide Jolivet e Harry Blount non avrebbero pivisto in lui
Nicola Korpanoff, ma il vero Michele Strogoff, corriere dello zar. I
due giornalisti lo avevano giincontrato altre due volte, dopo che si
erano separati al cambio di Iscim: la prima all'accampamento di
Zabediero, quando egli sfregicon un colpo di "knut" la faccia di
Ivan Ogareff, la seconda a Tomsk, quando fu suppliziato dall'emiro.
Essi sapevano dunque che cosa pensare di lui e della sua vera
identit
Michele Strogoff prese subito una decisione.
- Nadia, - disse - quando quel francese e quell'inglese saranno
imbarcati, pregali di venire da me!
Harry Blount e Alcide Jolivet erano stati condotti al porto di
Livenisnaja, non dal caso, ma dalla forza degli avvenimenti, che vi
aveva spinto anche Michele Strogoff.
Come sappiamo, dopo avere assistito all'entrata dei Tartari a Tomsk,
essi erano partiti prima della selvaggia esecuzione che aveva coronato
la festa. Essi dunque non avevano dubbi che il loro vecchio compagno
di viaggio fosse stato ucciso, e ignoravano che invece era stato
solamente accecato per ordine dell'emiro.
Quindi, essendosi procurati dei cavalli, erano partiti da Tomsk la
sera stessa, con l'intenzione ben precisa di datare d'ora in poi le
loro cronache dagli accampamenti russi della Siberia orientale.
Alcide Jolivet e Harry Blount si diressero a marce forzate verso
Irkutsk. Avevano buone speranze di arrivare prima di Feofar Khan, e vi
sarebbero certamente arrivati, se non fosse comparsa improvvisamente
quella terza colonna, venuta dalle contrade del sud per la valle del
Jenisej. Come Michele Strogoff, essi ebbero la strada tagliata prima
di raggiungere il Dinka. Perci dovettero scendere fino al lago
Bajkal.
Quando arrivarono a Livenisnaja, trovarono il porto gideserto. Non
potevano, d'altra parte, entrare in Irkutsk, circondata dagli eserciti
tartari. Essi erano dunque lda tre giorni, e molto imbarazzati,
quando vi arrivla zattera.
Fu loro comunicato il piano dei fuggiaschi. C'erano sicuramente buone
probabilit di passare inosservati durante la notte ed entrare in
Irkutsk. Decisero dunque di tentare la sorte.
Alcide Jolivet si mise subito in relazione con il vecchio barcaiolo, e
gli chiese il passaggio per il suo compagno e per s dicendosi
disposto a pagare il prezzo che avrebbe chiesto, qualunque fosse.
- Qui non si paga - gli rispose seriamente il vecchio barcaiolo -
si rischia la vita, e basta.
I due giornalisti s'imbarcarono, e Nadia li vide prendere posto sulla
parte anteriore della zattera.
Harry Blount era sempre il freddo inglese, che le aveva appena rivolto
la parola durante tutta la traversata dei monti Urali.
Alcide Jolivet era un poco piserio del solito, ma bisogna ammettere
che la sua serietera giustificata dalla gravitdelle circostanze.
Alcide Jolivet s'era dunque accomodato davanti, quando sentuna mano
posarsi sul suo braccio. Si gire riconobbe Nadia, la sorella di
colui che era non piNicola Korpanoff, ma Michele Strogoff, corriere
dello zar.
Gli sarebbe sfuggito un grido di sorpresa, se non avesse visto la
fanciulla portare un dito alle labbra
- Venite - gli disse Nadia.
Con aria indifferente, e facendo cenno ad Harry Blount di
accompagnarlo, Alcide Jolivet la segu
Ma, se la sorpresa dei giornalisti era stata grande incontrando Nadia
sulla zattera, fu senza confronti, quando videro Michele Strogoff, che
non potevano credere ancora vivo.
Al loro arrivo, Michele Strogoff non si mosse.
Alcide Jolivet guardla fanciulla.
- Egli non vi vede, signori - disse Nadia. - I Tartari gli hanno
bruciato gli occhi. Il mio povero fratello cieco.
Un vivo sentimento di pietsi dipinse sul volto di Alcide Jolivet e
del suo compagno.
Un istante dopo, seduti accanto a Michele Strogoff, ambedue gli
stringevano la mano e aspettavano che parlasse.
- Signori, - disse Michele Strogoff a voce bassa - voi non dovete
sapere chi sono io, ncosa sono venuto a fare in Siberia. Vi chiedo
di rispettare il mio segreto. Me lo promettete?
- Sul mio onore - rispose Alcide Jolivet.
- Sulla mia parola di gentiluomo - aggiunse Harry Blount.
- Va bene, signori.
- Possiamo esservi utili? - domandHarry Blount. - Volete che vi
aiutiamo a portare a termine il vostro incarico?
- Preferisco agire da solo - rispose Michele Strogoff.
- Ma quegli straccioni vi hanno bruciato gli occhi - disse Alcide
Jolivet.
- Ho Nadia, e i suoi occhi mi bastano.
Mezz'ora pi tardi, la zattera, lasciato il porticciolo di
Livenisnaja, prese la via del fiume. Erano le cinque della sera.
Scendeva la notte, che sarebbe stata molto scura e anche molto fredda,
perchla temperatura era gisotto zero.
Alcide Jolivet e Harry Blount avevano promesso di rispettare
l'incognita di Michele Strogoff, tuttavia non lo abbandonarono.
Parlarono a voce bassa, e il cieco, completando quanto gisapeva con
quanto gli raccontarono, potfarsi un'idea esatta della situazione.
Era certo che i Tartari circondavano attualmente Irkutsk e che le tre
colonne avevano gieffettuato il congiungimento. Non c'era dubbio che
l'emiro e Ivan Ogareff fossero davanti alla capitale.
Ma perch il corriere dello zar mostrava tanta premura di arrivarvi,
ora che non poteva piconsegnare la lettera imperiale al granduca, e
non ne conosceva il contenuto? Alcide Jolivet e Harry Blount non lo
capirono, come non l'aveva capito Nadia.
Del resto, parlarono del passato soltanto al momento in cui Alcide
Jolivet si credette in dovere di dire a Michele Strogoff:
- Ci dobbiamo quasi scusare per non avervi stretto la mano prima di
separarci, al cambio di Iscim.
- No, voi avevate diritto di credermi un vile!
- In ogni caso - aggiunse Alcide Jolivet - voi avete
magnificamente sfregiato con il "knut" la faccia di quel miserabile, e
ne porteril marchio per molto tempo.
- No, non per molto tempo! - rispose semplicemente Michele Strogoff.
Mezz'ora dopo la partenza da Livenisnaja, Alcide Jolivet e il suo
collega erano al corrente delle crudeli prove sopportate in seguito da
Michele Strogoff e dalla sua compagna. Essi non potevano far altro che
ammirare senza riserve una energia eguagliata soltanto dalla dedizione
della fanciulla. E di Michele Strogoff pensarono esattamente ci che
aveva detto lo zar a Mosca: "E' veramente un uomo!".
La zattera filava rapida tra i lastroni di ghiaccio trasportati dalla
corrente dell'Angara. Lateralmente, sulle due rive del fiume, si
dispiegava un panorama in movimento e, per una illusione ottica,
sembrava che la piattaforma galleggiante restasse immobile davanti a
un succedersi di punti di vista pittoreschi. Qui erano le alte
scogliere granitiche; lle gole selvagge che rigurgitavano torrenti
impetuosi; talvolta una larga schiarita con un villaggio ancora
fumante, poi folti boschi di pini che proiettavano bagliori sinistri.
Ma se i Tartari avevano lasciato dappertutto le tracce del loro
passaggio, ancora nessuno li vedeva, perchsi erano particolarmente
concentrati nei dintorni di Irkutsk.
Durante questo frattempo i pellegrini continuavano a recitare a voce
alta le loro preghiere, e il vecchio barcaiolo, respingendo i lastroni
che si avvicinavano troppo, manteneva imperturbabile la zattera nel
centro della rapida corrente dell'Angara.


NOTE.

Nota 1. Il celebre convento della Santissima Trinit("Troitsa"), uno
dei piantichi e imponenti della Russia (Nota del Traduttore).



11. TRA LE DUE RIVE.

Alle otto della sera, come le condizioni del cielo avevano fatto
prevedere, una oscuritprofonda avvolgeva tutta la contrada. La luna
nuova non si lev sull'orizzonte. Dal centro del fiume, le rive
restavano invisibili. Le scogliere poco alte si confondevano con la
fitta nebbia che si spostava appena. A intervalli veniva un soffio di
vento dall'est; e sembrava il respiro della stretta vallata
dell'Angara
L'oscuritfavoriva egregiamente i piani dei fuggiaschi. Infatti,
sebbene gli avamposti tartari si trovassero scaglionati sulle due
rive, la zattera aveva buone probabilit di passare inosservata.
Neppure era probabile che gli assediati avessero sbarrato il fiume a
monte di Irkutsk, poich sapevano che i Russi non si sarebbero
aspettato nessun aiuto dal sud della provincia. Tra breve tempo, del
resto, la natura, stessa avrebbe creato quello sbarramento, cementando
con il freddo i lastroni accumulati tra le due rive.
A bordo della zattera regnava ora l'assoluto silenzio. Da quando
scendevano il corso del fiume, le voci dei pellegrini non si facevano
pisentire. Pregavano ancora, ma la loro preghiera era come un
mormorio, che si sperdeva nell'aria prima di giungere alla riva. I
fuggiaschi, carponi sulla piattaforma, interrompevano appena con il
rilievo dei loro corpi la linea orizzontale dell'acqua. Il vecchio
barcaiolo, coricato accanto ai suoi uomini, si muoveva soltanto per
scansare i lastroni, con una manovra senza rumore.
I lastroni che andavano alla deriva erano anzi una circostanza
favorevole se non avessero opposto pi tardi un insormontabile
ostacolo al passaggio della zattera. Infatti quel natante, isolato
sulle acque correnti del fiume, avrebbe corso il rischio di venire
avvistato anche nel buio, mentre ora si confondeva con quelle masse
mobili di tutte le grandezze e di tutte le forme, e il sordo frastuono
prodotto dall'urto dei blocchi che si scontravano, copriva ogni altro
rumore sospetto.
Un freddo molto intenso si propagava attraverso l'atmosfera. I
fuggiaschi ne soffrivano crudelmente, perchnon avevano che qualche
ramo di betulla per ripararsi. Si stringevano l'uno all'altro, per
meglio sopportare l'abbassamento della temperatura, che, durante la
notte, scendeva a dieci gradi sotto zero. Le folate di vento che li
investivano, dopo avere sfiorato le montagne dell'est coperte di neve,
erano taglienti.
Michele Strogoff e Nadia, distesi nella parte posteriore, sopportavano
senza lamenti quest'altra sofferenza. Alcide Jolivet e Harry Blount,
accoccolati accanto a loro, facevano del loro meglio per resistere ai
primi assalti dell'inverno siberiano. Nessuno parlava ora, neppure
sottovoce. Del resto, la situazione li assorbiva completamente. Ad
ogni istante poteva capitare un incidente, un pericolo, anche una
catastrofe, dalla quale nessuno sarebbe uscito incolume.
Per un uomo che contava di raggiungere presto la sua meta, Michele
Strogoff era singolarmente calmo. D'altronde, anche nelle pi gravi
circostanze, la sua energia non l'aveva mai abbandonato. Intravedeva
giil momento in cui gli sarebbe finalmente consentito di pensare a
sua madre, a Nadia, a se stesso! Temeva soltanto un'ultima disdetta:
che la zattera rimanesse completamente bloccata da uno sbarramento di
lastroni, prima di aver raggiunto Irkutsk. Non pensava che a questo,
ben deciso del resto, se era necessario, a tentare un supremo atto di
audacia.
Nadia, ripresasi dopo alcune ore di riposo, aveva ritrovato
quell'energia fisica, che le privazioni avevano talvolta spezzato,
senza mai svigorire la sua energia morale. Pensava anche al caso in
cui Michele Strogoff compisse un nuovo sforzo per raggiungere la meta;
lei allora sarebbe stata presente per guidarlo.
Ma, quanto piella si avvicinava a Irkutsk, anche l'immagine di suo
padre le si ravvivava nella mente. Lo vedeva nella cittassediata,
lontano da quelli che amava, ma - e di questo non aveva dubbi - lo
vedeva lottare contro gli invasori con tutto lo slancio del suo
patriottismo. Tra poche ore, se il Cielo alfine le era favorevole,
sarebbe stata nelle sue braccia, gli avrebbe riferito le ultime parole
della madre, e niente li avrebbe mai pi separati. Se l'esilio di
Vassili Fedor non doveva avere fine, la figlia si sarebbe fatta
esiliare con lui. Poi, per una spontanea associazione di idee,
ripensava a colui al quale era debitrice se poteva rivedere suo padre,
a quel generoso compagno, a quel "fratello" che, una volta respinti i
Tartari, avrebbe ripreso la strada di Mosca, e lei forse non l'avrebbe
mai pirivisto!...
Alcide Jolivet e Harry Blount, invece, avevano un solo e comune
pensiero: che la situazione era estremamente drammatica e che, con una
buona messa in scena, avrebbe fornito loro una cronaca delle pi emozionanti L'inglese pensava dunque ai lettori del "Daily Telegraph"
e il francese a quelli della cugina Maddalena. Ma, in fondo, anche
loro provavano un po' d'emozione.
亟h! tanto meglio! - pensava Alcide Jolivet. - Bisogna essere
commossi per commuovere. Credo anzi che ci sia qualche citazione
celebre a questo riguardo, ma lo sa il diavolo se me la ricordo!...
E con i suoi occhi esercitati, cercava di scrutare le tenebre che
avvolgevano il fiume.
Nel frattempo, grandi bagliori di incendi rompevano ogni tanto
l'oscurit e profilavano i massicci delle sponde con aspetti
fantastici. Era a volte una foresta in fiamme, a volte un villaggio,
che bruciava, sinistra riproduzione dei quadri visti di giorno, con in
piil contrasto della notte. Allora l'Angara veniva illuminata da una
sponda all'altra. I lastroni di ghiaccio formavano altrettanti specchi
che riverberavano la luce sotto tutti gli angoli e tutti i colori, e
scendevano seguendo il capriccio della corrente. La zattera, confusa
in mezzo a questi corpi galleggianti, passava inosservata.
Il pericolo non veniva dunque ancora da parte di questi lastroni.
Ma un pericolo di altra natura minacciava i fuggiaschi. Questo
pericolo essi non potevano prevederlo, e soprattutto non potevano
evitarlo. Fu Alcide Jolivet che lo scoprper caso, ed ecco come.
Coricato sul lato destro della zattera, il giornalista francese aveva
lasciato pendere la mano sul filo dell'acqua. Fu subito sorpreso
dall'impressione provata dal contatto con la superficie della
corrente. Sembrava avere una consistenza viscosa, come se si trattasse
di olio minerale.
Alcide Jolivet, confrontando allora il tatto con l'odorato, non si
sbagli Era davvero uno strato di nafta liquida, che galleggiava e
scendeva sopra la corrente dell'Angara.
La zattera navigava dunque tra questa sostanza che eminentemente
combustibile? Di dove veniva questa nafta? Era stata portata da un
fenomeno naturale sulla superficie dell'Angara, oppure doveva servire
come mezzo di distruzione, escogitato dai Tartari? Volevano essi
portare l'incendio nel cuore di Irkutsk con un sistema mai
giustificato dal diritto di guerra tra le nazioni civili?
Alcide Jolivet, si pose queste domande, ma ritenne di doverne
informare soltanto Harry Blount, e ambedue furono d'accordo di non
allarmare i compagni rivelando loro il nuovo pericolo.
Sappiamo che il suolo dell'Asia centrale come una spugna impregnata
di carburo d'idrogeno liquido. Al porto di Bak sulla frontiera
persiana, nella penisola di Absceron, sul Mar Caspio, nell'Asia
Minore, in Cina, nel Jung-Hjan, nella Birmania, le sorgenti d'olio
minerale scaturiscono a migliaia sulla superficie del terreno. E' il
厚aese dell'oliosimile a quello del Nordamerica che porta ora questo
nome.
Durante le feste religiose, specialmente nel porto di Bak gli
indigeni, adoratori del fuoco, spandono sulla superficie del mare la
nafta liquida, che galleggia, grazie alla sua densitinferiore a
quella dell'acqua. Poi, venuta la notte, quando si diffuso sul Mar
Caspio uno strato di olio minerale, lo incendiano e si procurano cos l'incomparabile spettacolo d'un oceano di fuoco, che ondeggia e si
frange alla brezza.
Ma ciche a Baksoltanto uno spettacolo, sarebbe stato un disastro
sulle rive dell'Angara. Se il fuoco vi fosse stato appiccato per
cattiveria o per imprudenza, in un batter d'occhio l'incendio si
sarebbe portato fin oltre Irkutsk.
Ad ogni modo, sulla zattera non c'era da temere nessuna imprudenza; ma
tutto era invece da temere dagli incendi che divampavano sulle due
rive dell'Angara, perchbastava che un tizzone o una scintilla
cadessero nel fiume, per incendiare quella corrente di nafta.
Quali fossero le apprensioni di Alcide Jolivet e di Harry Blount, pifacile comprenderlo che spiegarlo. Non era forse preferibile, in
presenza di questo nuovo pericolo, accostare ad una delle rive,
sbarcarvi, aspettare? Essi se lo domandavano.
- In ogni caso - disse Alcide Jolivet, - qualunque sia il
pericolo, io conosco qualcuno che non sbarcherebbe!
E alludeva a Michele Strogoff.
Intanto la zattera scendeva rapida in mezzo ai lastroni, che la
stringevano sempre pida vicino.
Fino allora, non era stato segnalato nessun distaccamento tartaro
sulle sponde dell'Angara, e questo indicava che la zattera non era
ancora giunta all'altezza degli avamposti. Tuttavia, verso le dieci
della sera, Harry Blount credette di scoprire numerosi corpi neri che
si muovevano sulla superficie dei lastroni, quelle ombre, saltando da
uno all'altro, si avvicinavano rapidamente.
俊artari!pens
E avvicinandosi al vecchio barcaiolo che stava a prua, gli mostrquel
movimento sospetto.
Il vecchio barcaiolo osservattentamente.
- Sono soltanto lupi - disse. - Preferisco quelli ai Tartari. Ma
bisogna difenderci senza far rumore!
I fuggiaschi dovettero infatti lottare contro quei feroci carnivori,
spinti fino in quella zona dalla fame e dal freddo. I lupi avevano
fiutato la zattera, e ben presto l'assalirono. I fuggiaschi
ingaggiarono la lotta, ma senza servirsi di armi da fuoco, perchle
postazioni tartare dovevano essere vicine. Le donne e i bambini si
raggrupparono al centro della zattera, e gli uomini, alcuni armati di
pertiche, altri del loro coltello, la maggior parte di bastoni, si
tennero pronti a respingere l'assalto. Essi non emettevano un grido,
ma gli ululati dei lupi laceravano l'aria.
Michele Strogoff non aveva voluto restare inoperoso. Si era disteso
sul lato della zattera assalita dal branco di lupi. Aveva cavato il
suo coltello e, ogni volta che un lupo gli veniva a tiro, la sua mano
sapeva piantarglielo nella gola. Neppure Harry Blount e Alcide Jolivet
restarono in ozio, e si comportarono egregiamente. I loro compagni li
secondavano con coraggio. Tutto quel massacro era compiuto in
silenzio, bench alcuni fuggiaschi non avessero potuto evitare gravi
morsi.
Ma sembrava che la lotta dovesse andare per le lunghe. La muta di lupi
si rinnovava continuamente, e senza dubbio la riva destra dell'Angara
ne era infestata.
- Non finirmai? - diceva Alcide Jolivet, manovrando il suo pugnale
intriso di sangue.
E infatti, dopo una mezz'ora dall'inizio dell'assalto, i lupi
correvano ancora a centinaia attraverso i lastroni.
I fuggiaschi, spossati, cedevano visibilmente. La lotta volgeva a loro
svantaggio. In quel momento, una decina di grossi lupi, resi feroci
dalla collera e dalla fame, con gli occhi che brillavano nel buio come
braci, invasero la piattaforma della zattera. Alcide Jolivet e il suo
compagno si gettarono in mezzo ai quei pericolosi animali, e anche
Michele Strogoff mosse verso di loro quando all'improvviso avvenne un
mutamento di fronte.
In pochi secondi i lupi abbandonarono non soltanto la zattera, ma
anche i lastroni sparsi sul fiume. Tutti quei corpi neri scomparvero,
e gli occupanti della zattera costatarono che si erano ritirati in
tutta fretta sulla riva destra del fiume.
Ai lupi occorrevano le tenebre per agire, in quel momento invece un
intenso chiarore illuminava tutto il corso dell'Angara.
Era il bagliore d'un immenso incendio. L'intera borgata di Poshkavsk
bruciava. Questa volta i Tartari erano presenti e compivano la loro
opera. Da qui in avanti occupavano ambedue le rive fin oltre Irkutsk.
I fuggiaschi arrivavano dunque nella zona pipericolosa della loro
traversata, e si trovavano ancora a trenta verste dalla capitale.
Erano le undici e mezzo della sera. La zattera continuava a scivolare
nel buio in mezzo ai lastroni, con i quali si confondeva completamente
ma grandi chiazze di luce talvolta la illuminavano. Perci i
fuggiaschi, distesi sulla piattaforma, non facevano il minimo
movimento che potesse tradirli.
L'incendio della borgata divampava con violenza straordinaria. Le sue
case, costruite in legno d'abete, ardevano come resina. Centocinquanta
bruciavano, tutte insieme. Al crepitio dell'incendio si mescolavano le
urla dei Tartari. Il vecchio barcaiolo, puntando la pertica su un
lastrone vicino, era riuscito a dirottare la zattera verso la riva
destra, e ora si trovava a una distanza di tre o quattrocento piedi
dalla sponda incendiata di Poshkavsk.
A questo punto i fuggiaschi, illuminati per un istante, sarebbero
stati certamente scoperti, se gli incendiari non fossero stati troppo
occupati nella distruzione della borgata. Possiamo comprendere quali
fossero allora le apprensioni di Alcide Jolivet e di Harry Blount,
pensando a quel liquido combustibile sul quale galleggiava la zattera.
Turbini di scintille si levavano infatti dalle case, che parevano
altrettante fornaci ardenti. In mezzo alle volute di fumo, le
scintille salivano nell'aria fino a cinque o seicento piedi. Sulla
riva destra, di fronte a quell'incendio, gli alberi e gli scogli
sembravano come di fuoco. Ora bastava una scintilla che cadesse sulla
superficie dell'Angara, perchl'incendio divampasse e si propagasse a
filo dell'acqua, portando il disastro da una riva all'altra. In breve
tempo, la zattera e tutti coloro che vi erano raccolti sarebbero stati
bruciati.
Ma per fortuna la brezza della notte non spirava in direzione
dell'Angara. Continuava a soffiare dall'est e respingeva le fiamme
verso sinistra. Era dunque possibile che i fuggiaschi scampassero a
questo nuovo pericolo.
E infatti oltrepassarono finalmente la borgata in fiamme. A poco a
poco i bagliori dell'incendio si affievolirono, il crepitio diminu e
gli ultimi riflessi scomparvero dietro le alte scogliere, che si
innalzavano a una brusca curva dell'Angara.
Era circa mezzanotte. Il buio, ritornato completo, proteggeva ancora
la zattera. I Tartari erano sempre presenti, e andavano e venivano
sulle due sponde. Non si vedevano, ma si sentivano. I fuochi delle
postazioni avanzate brillavano straordinariamente.
Intanto, la manovra in mezzo ai lastroni che diventavano pifitti,
richiedeva sempre maggior precauzione.
Il vecchio barcaiolo si lev in piedi, e i "mugik" ripresero le
pertiche. Tutti avevano molto da fare, e la guida della zattera
diventava sempre pidifficile, perchil letto del fiume, si ostruiva
visibilmente.
Michele Strogoff s'era portato sulla parte anteriore.
Alcide Jolivet lo aveva seguito.
Tutti e due ascoltavano quanto dicevano il vecchio barcaiolo e i suoi
uomini.
- Attenti a destra! Ecco i lastroni che si accumulano a sinistra!
Allontana! allontana con la pertica!
- Entro un'ora saremo bloccati!...
- Se Dio lo permette! - rispose il vecchio barcaiolo. - Contro la
sua volontnon capita niente.
- Voi li capite? - domandAlcide Jolivet.
- S - rispose Michele Strogoff, - ma Dio con noi!
Frattanto la situazione si aggravava sempre di pi Se la zattera
veniva bloccata, non soltanto i fuggiaschi non avrebbero raggiunto
Irkutsk, ma sarebbero stati obbligati ad abbandonare il loro natante,
che, stritolato da quei lastroni di ghiaccio, in breve sarebbe mancato
sotto di loro. Allora le corde di vimini si sarebbero spezzate, i
tronchi di abete, sciolti da uno schianto violento, si sarebbero
incastrati sotto la spessa crosta di ghiaccio, e i malcapitati non
avrebbero avuto altro rifugio che gli stessi lastroni sul fiume
Allora, appena giorno, sarebbero stati scoperti dai Tartari e
massacrati senza piet
Michele Strogoff ritorn nella parte posteriore, dove Nadia lo
attendeva. Si avvicinalla fanciulla, le prese la mano e le fece
ancora una volta l'invariabile domanda:
- Nadia, sei pronta?
A tali parole ella rispose come sempre:
- Sono pronta !
La zattera continu a scendere ancora per alcune verste in mezzo ai
blocchi galleggianti. Se l'Angara si ostruiva, si sarebbe formato uno
sbarramento e, per conseguenza, sarebbe stato impossibile seguire la
corrente. Gila deriva si faceva molto pilenta. Ad ogni istante, la
zattera urtava o deviava. Qui doveva evitare un abbordaggio, l aprirsi un passaggio. Erano ritardi molto inquietanti.
Infatti restavano ormai soltanto poche ore di notte. Se i fuggiaschi
non raggiungevano Irkutsk prima delle cinque del mattino, avrebbero
perduto per sempre ogni speranza di entrarvi.
All'una e mezzo, malgrado tutti gli sforzi compiuti, la zattera urt contro uno spesso sbarramento e si fermdefinitivamente. I lastroni,
che continuavano a scendere dietro di essa, vi si ammassarono addosso,
la strinsero contro l'ostacolo e la immobilizzarono, come se fosse
stata inchiodata su uno scoglio.
In quel punto l'Angara si restringeva, e il suo letto era ridotto alla
meta della sua larghezza normale. Percii blocchi di ghiaccio si
accumulavano, e si sarebbero a poco a poco saldati gli uni agli altri,
sotto la duplice forza della pressione, ora considerevole, e del
freddo, la cui intensitraddoppiava. Cinquecento passi a valle, il
letto del fiume si allargava di nuovo, e i lastroni, staccandosi a
poco a poco dal bordo inferiore dello sbarramento, continuavano la
deriva verso Irkutsk. Dunque, senza questo restringimento delle
sponde, probabilmente non si sarebbe formato lo sbarramento e la
zattera avrebbe continuato a scendere la corrente. Ma il danno era
irreparabile e i fuggiaschi dovevano rinunciare ad ogni speranza di
raggiungere la meta.
Se avessero avuto a loro disposizione gli attrezzi usati
ordinariamente dai balenieri per aprirsi un canale attraverso gli
"icefields", se avessero potuto sfondare questo campo di ghiaccio fin
dove il fiume si allargava, ne avrebbero avuto il tempo? Ma non
avevano n una sega nun piccone, niente che servisse a spaccare
quella crosta, resa dura come il granito dal freddo intenso.
Che decisione prendere?
In quel momento risuonarono dei colpi di fucile sulla riva destra
dell'Angara. Una pioggia di pallottole fu concentrata sulla zattera.
Gli sventurati erano dunque stati scoperti? Era evidente, perchdalla
riva sinistra risposero altre fucilate. I fuggiaschi, presi tra due
fuochi, furono bersaglio dei tiratori tartari. Alcuni restarono feriti
dalle pallottole, bench in mezzo all'oscurit venissero colpiti
solo per caso.
- Vieni, Nadia - mormor Michele Strogoff all'orecchio della
fanciulla.
Senza dire una parola, 厚ronta a tutto Nadia prese la mano di
Michele Strogoff.
- Occorre attraversare lo sbarramento - le disse sottovoce.
Guidami, ma che nessuno ci veda abbandonare la zattera!
Nadia obbed Michele Strogoff e lei strisciarono rapidamente sulla
superficie ghiacciata, in mezzo ad un buio pesto, interrotto qua e l soltanto dai colpi di fucile.
Nadia procedeva carponi davanti a Michele Strogoff. Le pallottole
cadevano attorno a loro come una grandine secca e crepitavano sul
ghiaccio. La superficie del fiume, accidentata e solcata da creste
taglienti, insanguinle loro mani, ma essi andavano sempre avanti.
Dieci minuti pi tardi, raggiungevano il bosco inferiore dello
sbarramento. Qui le acque dell'Angara ritornavano libere. Qualche
blocco di ghiaccio, staccatosi a poco a poco dall'ammasso, veniva
ripreso dalla corrente e scendeva verso la citt
Nadia comprese ciche voleva tentare Michele Strogoff. Vide uno di
quei lastroni attaccato al resto soltanto da una stretta lingua di
ghiaccio.
- Vieni - disse Nadia.
Ambedue si distesero su quel blocco di ghiaccio, che ad una leggera
scossa si staccdallo sbarramento.
Il lastrone andalla deriva. Il letto del fiume si allargava, la
strada era libera.
Michele Strogoff e Nadia ascoltavano gli spari dei fucili, le grida di
dolore, le urla dei Tartari che ancora risuonavano a monte... Poi, a
poco a poco, quelle grida di profonda angoscia e di gioia feroce
morirono in lontananza.
- Poveri compagni! - mormorNadia.
Per circa mezz'ora, la corrente trasportrapidamente il lastrone sul
quale stavano Michele Strogoff e Nadia. A ogni istante potevano
sprofondare sotto di loro. Preso dal filo della corrente, si manteneva
nel centro del fiume. Soltanto quando si fosse trattato di accostare
alle banchine di Irkutsk, sarebbe stato necessario imprimergli una
direzione obliqua.
Michele Strogoff, a denti stretti, l'orecchio in agguato, non diceva
una parola. Mai come allora si era trovato tanto vicino alla meta.
Sentiva che ormai stava per raggiungerla...
Verso le due del mattino, una doppia fila di luci costellil nero
orizzonte nel quale si confondevano le due rive dell'Angara.
A destra c'erano le luci di Irkutsk. A sinistra, i fuochi
dell'accampamento tartaro.
Michele Strogoff aveva da superare ancora mezza versta per raggiungere
la citt
- Finalmente! - mormor
Ma d'improvviso Nadia mandun grido.
A quel grido, Michele Strogoff si levin piedi sul lastrone che
vacillava. Tese la mano verso il corso superiore dell'Angara. Il suo
volto, illuminato da riflessi bluastri, divenne spaventoso a vedersi,
e allora, come se i suoi occhi si fossero riaperti alla luce, grid
- Ah! Anche Dio dunque contro di noi?!











12. IRKUTSK.

Irkutsk, capitale della Siberia orientale, conta in tempi normali
trentamila abitanti. Una sponda abbastanza alta, che si eleva sulla
riva destra dell'Angara, serve da basamento alle sue chiese, dominate
da un'alta cattedrale, e alle sue case disposte in un pittoresco
disordine.
Vista da una certa distanza, dall'alto della montagna che si eleva a
una ventina di verste sulla grande strada siberiana, con i suoi
edifici, le sue guglie, le sue cuspidi slanciate come minareti, le sue
cupole panciute come vasi giapponesi, assume un aspetto quasi
orientale. Ma questa fisionomia scompare agli occhi del viaggiatore,
appena entra nella citt Allora questa citt mezzo bizantina e mezzo
cinese, ridiventa europea per le sue strade lastricate, munite di
marciapiedi, attraversate da canali, fiancheggiate da betulle
gigantesche, per le sue case di mattoni e legno, qualcuna delle quali
s'innalza a diversi piani, per le sue numerose vetture che la
percorrono, non soltanto "tarant跴" e "telega", ma anche "cup e
calessini, e infine per tutta una categoria di abitanti molto evoluti
e progrediti, i quali non ignorano le raffinatezze dei costumi di
Parigi.
In quel periodo Irkutsk, divenuta rifugio dei siberiani della
provincia, era affollata. Le riserve d'ogni genere vi abbondavano.
Irkutsk il magazzino delle innumerevoli mercanzie che si scambiano
fra la Cina, l'Asia centrale e l'Europa. Non si aveva dunque timore di
attirarvi i contadini della vallata dell'Angara, Mongoli-Khalkas,
Tungusi, Buriati, e di permettere che si facesse il deserto tra gli
invasori e la citt
Irkutsk la residenza del governatore della Siberia orientale. Da lui
dipendono un governatorato civile, che accentra l'amministrazione
della provincia, un capo della polizia, il quale ha il suo bel da fare
in simile cittdove abbondano gli esiliati, e infine un sindaco, o
capo dei commercianti, personaggio considerevole per le sue immense
ricchezze e per l'influenza che esercita sui suoi amministrati.
La guarnigione di Irkutsk si componeva allora di un reggimento di
Cosacchi a piedi, che contava circa duemila uomini, e di un corpo di
gendarmeria permanente, in uniforme blu con galloni d'argento e casco.
Inoltre, come sappiamo, per una serie di circostanze particolari, il
fratello dello zar era trattenuto nella citt fin dall'inizio
dell'invasione.
Questa situazione merita d'essere precisata.
Il granduca s'era recato nelle lontane province dell'Asia orientale
per un viaggio d'importanza politica.
Dopo aver visitato le principali citt siberiane, viaggiando come
militare anzichcome principe, senza nessun apparato, accompagnato
dai suoi ufficiali, scortato da un distaccamento di Cosacchi, egli
s'era spinto fino alle contrade della Transbaijkalia. Nikolajevsk,
l'estrema cittrussa situata sul litorale del mare di Ochotsk, era
stata onorata della sua visita.
Arrivato ai confini dell'immenso impero moscovita, il granduca
ritornava verso Irkutsk, da dove contava di riprendere la strada
dell'Europa quando gli arrivarono le notizie di quella invasione tanto
pericolosa quanto improvvisa. Si affretta rientrare nella capitale,
ma, quando vi arriv le comunicazioni con la Russia stavano per
essere interrotte. Ricevette ancora alcuni telegrammi da Pietroburgo e
da Mosca, e gli fu possibile anche rispondere. Poi la linea fu
interrotta nelle circostanze che conosciamo.
Irkutsk era isolata dal resto del mondo.
Al granduca non restava altro che organizzare la resistenza, e lo fece
con quella fermezza ed impassibilit di cui diede in altre
circostanze incontestabili prove.
Le notizie della caduta di Iscim, di Omsk, di Tomsk gli arrivarono
successivamente a Irkutsk. Bisognava dunque salvare ad ogni costo la
capitale della Siberia dall'occupazione. Non si poteva contare su
aiuti immediati. Le poche truppe dislocate nelle province dell'Amure e
nel governatorato di Jakutsk non sarebbero state sufficienti per
arrestare le colonne tartare. Ora, siccome Irkutsk non poteva sfuggire
all'accerchiamento, importava soprattutto mettere la cittin stato da
sostenere un assedio abbastanza lungo.
I lavori di difesa furono iniziati il giorno in cui Tomsk cadde nelle
mani dei Tartari. Assieme a queste notizie, il granduca veniva a
conoscenza che l'emiro di Buchara e i khan alleati comandavano
personalmente l'insurrezione, ma ci che ignorava, era che il
luogotenente di questi capi barbari fosse Ivan Ogareff, un ufficiale
russo che egli stesso aveva degradato senza conoscerlo personalmente.
Anzitutto, come abbiamo visto, fu dato ordine alla provincia di
Irkutsk di abbandonare citte borgate. Coloro che non si rifugiarono
nella capitale, dovettero trasferirsi nelle retrovie, al di l del
lago Bajkal, dove con molta probabilit l'invasione non sarebbe
arrivata con le sue devastazioni. I raccolti di grano e di foraggi
furono requisiti per la citte quest'ultimo baluardo della potenza
moscovita dell'estremo Oriente fu messo in condizioni di resistere per
un certo tempo.
Irkutsk, fondata nel 1611, situata alla confluenza dell'Irkut e
dell'Angara, sulla riva destra di quest'ultimo fiume. Due ponti di
legno, costruiti su palafitte, disposti in maniera da aprirsi in tutta
la larghezza del fondale per consentire la navigazione, congiungevano
la cittalle borgate che si estendono sulla riva sinistra. Da questo
lato, la difesa era facile. I sobborghi furono abbandonati, i ponti
distrutti. Il passaggio dell'Angara, molto largo in quel punto,
sarebbe stato impossibile sotto il fuoco degli assediati.
Ma il fiume poteva essere attraversato a monte e a valle della citt
e per conseguenza Irkutsk rischiava di essere attaccata dalla parte
orientale, non protetta da mura di cinta.
Le braccia furono occupate anzitutto nei lavori di fortificazione. Si
lavor giorno e notte. Il granduca trovuna popolazione pronta al
lavoro, e pitardi l'avrebbe ritrovata pronta alla difesa. Soldati,
mercanti, esiliati, contadini, tutti si prodigarono per la salvezza
comune. Otto giorni prima che i Tartari facessero la loro comparsa
sulle rive dell'Angara, erano stati innalzati bastioni di terra. Fu
scavato un fossato tra la scarpa e la controscarpa, e inondato con le
acque dell'Angara. La cittnon sarebbe stata presa con un colpo di
mano. Bisognava circondarla e assediarla.
La terza colonna tartara - quella che aveva risalito la vallata del
Jenisej - arriv in vista di Irkutsk il 24 settembre. Occup immediatamente le borgate abbandonate, le cui case erano state
distrutte al fine di non ostacolare il tiro dell'artiglieria del
granduca, per disgrazia insufficiente.
Dunque i Tartari si organizzarono aspettando l'arrivo delle altre due
colonne, comandate dall'emiro e dai suoi alleati.
Il congiungimento dei diversi corpi avvenne il 25 settembre,
all'accampamento dell'Angara, e tutto l'esercito, eccetto le
guarnigioni lasciate nelle principali cittoccupate, fu concentrato
al comando di Feofar Khan.
Il passaggio dell'Angara era stata giudicato da Ivan Ogareff
impossibile davanti a Irkutsk, perciun forte contingente di truppe
attraversil fiume qualche versta pia valle, su ponti di barche
portate a questo scopo. Il granduca non tentdi opporsi a questo
passaggio. Lo avrebbe solo disturbato, non impedito, non avendo
artiglieria da campagna a sua disposizione; quindi pensbene di
trincerarsi a Irkutsk.
I Tartari occuparono dunque la riva destra del fiume; poi risalirono
verso la citt bruciarono passando la residenza estiva del
governatore generale, situata nei boschi che sovrastano il corso
dell'Angara. e vennero infine a prendere posizione per l'assedio, dopo
aver completamente circondata Irkutsk.
Ivan Ogareff, abile stratega, era certamente in condizioni di
comandare le operazioni d'un assedio regolare; ma gli mancavano i
mezzi per una operazione rapida. Cosaveva sperato di prendere di
sorpresa Irkutsk, meta di tutti i suoi sforzi.
Come si vede, le cose erano andate diversamente da come egli
prevedeva. Da una parte, la marcia dell'esercito tartaro fu ritardato
dalla battaglia di Tomsk; dall'altra, i lavori di difesa ordinati dal
granduca furono compiuti con molta rapidit queste due ragioni erano
bastate a ostacolare i suoi piani. Si trovdunque nella necessitdi
ordinare un assedio in piena regola.
Tuttavia, seguendo il suo consiglio, l'emiro tent due volte di
prendere d'assalto la citt sacrificando un grande numero di uomini.
Lancii suoi soldati contro i bastioni che presentavano qualche punto
debole; ma i due assalti furono respinti con il pigrande coraggio.
Il granduca e i suoi ufficiali non si risparmiarono in questa
occasione. Essi pagarono anche di persona; guidarono la popolazione
civile sui bastioni. Borghesi e "mugik" compirono eroicamente il loro
dovere. Al secondo assalto, i Tartari erano riusciti a forzare le
porte della cinta. Vi fu anche un combattimento all'inizio della via
Bolsciaja (1), che lunga due verste e termina sulle rive
dell'Angara. Ma i Cosacchi, i gendarmi, i cittadini opposero una
tenace resistenza, e i Tartari dovettero ripiegare sulle loro
posizioni.
Ivan Ogareff pensallora di ottenere col tradimento quanto non gli
riusciva di ottenere con la forza. Sappiamo che il suo piano era di
penetrare nella citt di arrivare fino al granduca, di guadagnare la
sua fiducia e, al momento buono, aprire una delle porte agli
assedianti; poi, fatto questo, sfogare la sua vendetta sul fratello
dello zar.
La zingara Sangarre, che lo aveva accompagnato all'accampamento
dell'Angara, lo spinse a mettere in esecuzione questo piano.
Gli conveniva infatti agire senza altri ritardi. Le truppe russe del
governatorato di Jakutsk marciavano su Irkutsk. Si erano concentrate
sul corso superiore della Lena, e ne risalivano la vallata. Prima che
scadessero sei giorni, sarebbero arrivate. Bisognava dunque che prima
di sei giorni Irkutsk fosse presa per tradimento.
Ivan Ogareff non esitpi
La sera del 2 ottobre fu tenuto un consiglio di guerra nel salone
grande del palazzo del governatore generale, dove risiedeva anche il
granduca.
Questo palazzo, costruito all'estremitdella via Bolsciaja, dominava
un lungo tratto del corso del fiume. Attraverso le finestre della
facciata principale, si scorgeva l'accampamento tartaro, e se i
Tartari avessero avuto un artiglieria di maggiore portata, lo
avrebbero reso inabitabile.
Il granduca, il generale Voranzoff e il governatore della citt il
capo dei mercanti, ai quali si erano uniti un certo numero di
ufficiali superiori, erano giunti ad alcune risoluzioni.
- Signori, - disse il granduca - voi conoscete esattamente la
nostra situazione. Io ho la ferma speranza che potremo resistere fino
all'arrivo delle truppe di Jakutsk. Allora sapremo ricacciare queste
orde di barbari, e per quanto dipende da me, pagheranno molto cara
l'invasione del territorio moscovita.
- Vostra altezza sa che pucontare su tutta la popolazione di Irkutsk
- rispose il generale Voranzoff.
- S generale, - confermil granduca - e rendo omaggio al suo
patriottismo. Grazie a Dio, la popolazione non ha ancora provato gli
orrori delle epidemie e della fame, e ho ragioni di credere che non li
prover ma sui bastioni mi gistato possibile ammirare il suo
coraggio. Voi capite le mie parole, signor capo dei mercanti, e vi
pregherei di riferirle tali e quali.
- Ringrazio Vostra Altezza a nome della citt - rispose il capo dei
mercanti. - Posso domandare a Vostra Altezza quale tempo massimo
assegna all'arrivo dell'esercito di soccorso?
- Sei giorni al massimo, signore - rispose il granduca. - Un
emissario abile e coraggioso penetrato nella cittquesta mattina, e
mi ha informato che cinquantamila Russi avanzano a marce forzate agli
ordini del generale Kisselev. Due giorni fa erano sulle rive della
Lena, a Kirensk, e ormai nil freddo nla neve li arresteranno.
Cinquantamila uomini d'una truppa fresca, sorprendendo i Tartari di
fianco, faranno presto a liberarci.
- Aggiunger - disse il capo dei mercanti - che il giorno in cui
Vostra Altezza ordineruna sortita, noi saremo pronti ad eseguire i
vostri ordini.
- Va bene, signori - rispose il granduca. - Aspettiamo che le
teste delle nostre colonne siano comparse sulle alture, e avremo la
vittoria sugli invasori.
Poi, rivolgendosi al generale Voranzoff, gli disse:
- Domani visiteremo le fortificazioni della riva destra. L'Angara gi trasporta lastroni di ghiaccio e non tarder a gelarsi tutto; in
questo caso, i Tartari potrebbero forse passare.
- Permetta, Vostra Altezza, di fare una osservazione - disse il capo
dei mercanti.
- Dite, signore.
- Ho visto pi volte la temperatura scendere a trenta e a quaranta
gradi sotto zero, e l'Angara sempre rimasto ingombro di lastroni di
ghiaccio senza mai congelare completamente. Questo dipende senza
dubbio dalla rapiditdella corrente. Se dunque i Tartari non hanno
altro mezzo per attraversare il fiume, posso garantire a Vostra
Altezza che per quella via non entreranno a Irkutsk.
Il governatore generale conferml'asserzione del capo dei mercanti.
- E' una circostanza favorevole - rispose il granduca. - Tuttavia
ci terremo pronti ad ogni evenienza.
E rivolgendosi al capo della polizia:
- Voi non avete nulla da suggerire, signore? - gli domand
- Devo informare Vostra Altezza - rispose il capo della polizia -
di una supplica che vi indirizzata per mezzo mio.
- Indirizzata da chi?...
- Dagli esiliati della Siberia, che, come sa Vostra Altezza, sono
cinquecento nella citt
Gli esiliati politici, distribuiti in tutta la provincia, erano stati
concentrati a Irkutsk fin dall'inizio dell'invasione. Essi avevano
obbedito all'ordine di raggiungere la citt e di abbandonare le
borgate dove esercitavano professioni diverse, alcuni come medici,
altri come professori, sia al Ginnasio, sia alla Scuola giapponese,
sia alla Scuola di navigazione. Fin dall'inizio, il granduca,
fidandosi come lo zar del loro patriottismo, li aveva armati e aveva
trovato in essi degli ottimi difensori.
- Cosa domandano gli esiliati? - disse il granduca.
- Domandano a Vostra Altezza - rispose il capo della polizia -
l'autorizzazione di formare un corpo speciale e di essere mandati in
testa alla prossima sortita.
- S - rispose il granduca con una emozione che non cerc di
nascondere - gli esiliati sono russi, e hanno il diritto di battersi
per il loro paese!
- Credo di poter assicurare a Vostra Altezza - disse il governatore
generale - che non troversoldati migliori.
- Ma hanno bisogno di un capo - rispose il granduca. - Chi
nomineremo?
- Essi vorrebbero che Vostra Altezza gradisse uno di loro, che si distinto in molte occasioni - disse il capo della polizia.
- E' un russo?
- S un russo delle province baltiche.
- Il suo nome?...
- Vassili Fedor.
Questo esiliato era il padre di Nadia.
Vassili Fedor, come sappiamo, esercitava a Irkutsk la professione di
medico. Era un uomo colto e caritatevole, e anche un uomo di molto
coraggio e del pisincero patriottismo. Tutto il tempo ch'egli non
dedicava ai malati, lo impiegava a organizzare la resistenza. Era lui
che aveva riunito i suoi compagni d'esilio in un'azione comune. Gli
esiliati, fino allora mescolati alla popolazione, s'erano comportati
in maniera da richiamare l'attenzione del granduca. In molte sortite,
essi avevano pagato col sangue la loro dedizione alla Santa Russia.
Veramente santa, e venerata dai suoi figli! Vassili Fedor s'era
comportato da eroe. Il suo nome era stato citato pivolte, ma non
aveva mai domandato grazie o favori, e quando gli esiliati di Irkutsk
pensarono di formare un corpo speciale, egli non sapeva che avessero
l'intenzione di sceglierlo per loro capo.
Quando il capo della polizia ebbe pronunciato questo nome, davanti al
granduca, questi rispose che non gli era sconosciuto.
- Infatti - aggiunse il generale Voranzoff - Vassili Fedor un
uomo valoroso e coraggioso. La sua influenza sui suoi compagni sempre stata molto grande.
- Da quanto tempo a Irkutsk? - domandil granduca.
- Da due anni.
- E la sua condotta?...
- La sua condotta - rispose il capo della polizia - quella di un
uomo sottomesso alle leggi speciali che lo riguardano.
- Generale - concluse il granduca - generale, vogliate
presentarmelo immediatamente.
Gli ordini del granduca furono eseguiti, e non era ancora passata
mezz'ora che Vassili Fedor veniva introdotto alla sua presenza. Era un
uomo sulla quarantina, alto, dal volto austero e triste. Si indovinava
che tutta la sua vita si riassumeva in una sola parola: lotta, e che
aveva lottato e sofferto. I suoi lineamenti ricordavano in maniera
notevole quelli di sua figlia Nadia Fedor.
L'invasione tartara l'aveva colpito, pid'ogni altro, nei suoi pi cari affetti e distrutto la sua suprema speranza di padre, esiliato a
ottomila verste dalla propria citt natale. Una lettera l'aveva
informato della morte della sua sposa, e contemporaneamente della
partenza di sua figlia, che aveva ottenuto dal governo
l'autorizzazione di raggiungerlo a Irkutsk.
Nadia era partita da Riga il 10 luglio. L'invasione era cominciata il
15 luglio. Se, a quel tempo, Nadia aveva passato la frontiera, che ne
sarebbe di lei in mezzo agli invasori? Si comprende come questo
sventurato padre fosse divorato dall'inquietudine, poichda quella
data era senza notizie di sua figlia.
Vassili Fedor, alla presenza del granduca, s'inchin e attese di
essere interrogato.
- Vassili Fedor, - gli disse il granduca - i tuoi compagni
d'esilio hanno domandato di formare un corpo speciale. Ma sanno essi
che, in questi corpi, bisogna combattere fino all'ultimo uomo?
- Lo sanno - rispose Vassili Fedor.
- Essi ti vogliono come capo.
- Me, Altezza?
- Accetti di metterti allo loro testa?
- S se il bene della Russia lo esige.
- Comandante Fedor, - disse il granduca - tu non sei piesiliato.
- Grazie, Altezza, ma posso comandare a coloro che lo sono ancora?
- Essi non lo sono pi
Il fratello dello zar accordava la grazia a tutti i suoi compagni
d'esilio, ora suoi compagni d'armi.
Vassili Fedor strinse commosso la mano offertagli dal granduca e usc
Allora il granduca, rivolgendosi ai suoi ufficiali:
- Lo zar non rifiuterdi accettare la lettera di grazia che scriver per loro! - disse sorridendo. - Abbiamo bisogno di eroi per
difendere la capitale della Siberia, e io ne ho fatti parecchi.
La grazia accordata cosgenerosamente agli esiliati di Irkutsk era
infatti un atto di vera giustizia e di saggia politica.
Intanto era scesa la notte. I fuochi dell'accampamento tartaro, che
bruciavano oltre l'Angara, illuminavano il palazzo attraverso le
finestre. Il fiume era ingombro di lastroni di ghiaccio, alcuni dei
quali s'incagliavano tra le prime palafitte del vecchio ponte di
legno. Quelli che si mantenevano nel centro della corrente andavano
alla deriva con estrema rapidit Era evidente, come aveva fatto
osservare il capo dei mercanti, che l'Angara ben difficilmente sarebbe
congelato su tutta la superficie. Dunque il pericolo di un assalto da
quella parte non preoccupava i difensori di Irkutsk.
Suonarono le dieci della sera. Il granduca stava per congedare i suoi
ufficiali e ritirarsi nei suoi appartamenti, quando si sentun certo
tramestio nel cortile del palazzo.
Quasi subito la porta del salone si apre comparve un aiutante di
campo, che, avanzando verso il granduca, gli disse:
- Altezza, un corriere dello zar!


NOTE.

Nota 1. Via Grande.
















13. UN CORRIERE DELLO ZAR.

Tutti i membri del consiglio, con un movimento simultaneo, si
voltarono verso la porta aperta. Un corriere dello zar, arrivato a
Irkutsk! Se quegli ufficiali avessero per un istante riflettuto
all'improbabilitdi questo fatto, lo avrebbero certamente ritenuto
impossibile.
Il granduca mosse rapidamente verso il suo aiutante di campo.
- Entri questo corriere! - gli disse.
Il corriere entr Aveva l'aria di un uomo sfinito dalla fatica.
Vestiva un abito da contadino siberiano, logoro, strappato, e sul
quale si vedevano persino i buchi delle pallottole. Portava in testa
un berretto moscovita. Uno sfregio, mal cicatrizzato, gli deturpava la
faccia. Quest'uomo aveva evidentemente percorso una strada lunga e
difficile. Le sue calzature, in pessimo stato, erano la prova che
aveva dovuto fare a piedi una parte del suo viaggio.
- Sua Altezza il granduca? - domandentrando.
Il granduca andverso di lui.
- Tu sei il corriere dello zar? - gli domand
- S Altezza.
- E vieni...?
- Da Mosca.
- E quando sei partito da Mosca?
- Il 15 luglio.
- Il tuo nome?...
- Michele Strogoff.
Era Ivan Ogareff. Aveva usurpato il nome e la carica di colui ch'egli
credeva ridotto all'impotenza. Nil granduca naltri lo conoscevano
a Irkutsk, sicchegli non aveva neppure bisogno di mascherare i
lineamenti del suo volto. Siccome era in grado di dimostrare la sua
pretesa identit nessuno avrebbe dubitato di lui. Veniva dunque,
sostenuto da una volontdi ferro, a precipitare col tradimento e con
l'assassinio la soluzione del dramma dell'invasione. Dopo la risposta
di Ivan Ogareff, il granduca fece un segno e tutti i suoi ufficiali si
ritirarono.
Il falso Michele Strogoff e il granduca restarono soli nel salone.
Il granduca osserv per alcuni istanti Ivan Ogareff, con molta
attenzione. Poi:
- Tu eri a Mosca il 15 luglio? - gli domand
- S Altezza, e nella notte tra il 14 e il 15 ho visto sua Maestlo
zar al Palazzo Nuovo.
- Tu hai una lettera dello zar?
- Eccola.
E Ivan Ogareff consegnal granduca la lettera imperiale, ridotta a
dimensioni quasi microscopiche.
- Questa lettera ti stata consegnata in questo stato? - domandil
granduca.
- No, Altezza, ma ho dovuto stracciare la busta, per meglio sottrarla
ai soldati dell'emiro.
- Sei dunque stato prigioniero dei Tartari?
- S Altezza, per alcuni giorni - rispose Ivan Ogareff. - Per
questo, partito il 15 luglio da Mosca, come indica la data della
lettera, sono arrivato a Irkutsk il 2 ottobre, dopo settantanove
giorni di viaggio.
Il granduca aprla lettera. La spiege riconobbe la firma dello zar,
preceduta dalla formula di rito scritta di sua mano. Dunque nessun
dubbio sull'autenticitdi quella lettera, e neppure sull'identitdel
corriere. Se il suo torvo aspetto aveva dapprima ispirato una
diffidenza, che peril granduca non lasci trasparire per nulla,
questa diffidenza scomparve immediatamente.
Il granduca rest qualche istante in silenzio. Egli leggeva
attentamente la lettera, al fine di comprenderne bene il senso.
Riprendendo poi la parola:
- Michele Strogoff, - gli domand - tu conosci il contenuto di
questa lettera?
- S Altezza. Potevo trovarmi nella necessitdi distruggerla perch non cadesse nelle mani dei Tartari, e in tal caso volevo riferirne
esattamente il testo a Vostra Altezza.
- Tu sai che questa lettera ci ordina di morire a Irkutsk piuttosto
che cedere la citt
- Lo so.
- Tu sai che la lettera segnala i movimenti delle truppe che sono
stati predisposti per arrestare l'invasione?
- S Altezza, ma questi movimenti non sono riusciti.
- Cosa vuoi dire?
- Voglio dire che Iscim, Omsk, Tomsk, per non parlare che delle citt piimportanti delle due Siberie, sono state successivamente occupate
dai soldati di Feofar Khan.
- Ma ci furono combattimenti? I nostri Cosacchi si sono scontrati con
i Tartari?
- Pivolte, Altezza.
- E sono stati respinti?
- Non erano in forze sufficienti.
- Dove sono avvenuti gli scontri di cui parli?
- A Kolivan, a Tomsk...
Fin qui, Ivan Ogareff aveva detto soltanto la verit ma, nell'intento
di demoralizzare i difensori di Irkutsk esagerando i successi ottenuti
dalle truppe dell'emiro, aggiunse:
- E una terza volta alle porte di Krasnojarsk.
- E quest'ultimo scontro?... - domandil granduca, pronunciando le
parole a denti stretti.
- Fu piche uno scontro, Altezza - rispose Ivan Ogareff; - fu una
battaglia.
- Una battaglia?
- Ventimila Russi, venuti dalle province della frontiera e dal
governatorato di Tobolsk, hanno combattuto contro centocinquantamila
Tartari e, malgrado il loro coraggio, sono stati annientati.
- Tu menti! - gridil granduca, cercando invano di dominare la sua
collera.
- Dico la verit Altezza - rispose freddamente Ivan Ogareff.- Ero
presente alla battaglia di Krasnojarsk, ed lche sono stato fatto
prigioniero!
Il granduca si calme, con un segno, fece comprendere a Ivan Ogareff
che non dubitava della sua veracit
- In che giorno ha avuto luogo la battaglia di Krasnojarsk? -
domand
- Il 2 settembre.
- E ora tutte le truppe tartare sono concentrate attorno a Irkutsk?
- Tutte.
- E a quanto le valuti?
- A quattrocentomila uomini.
Altra esagerazione di Ivan Ogareff, tendente sempre allo stesso fine.
- Ed io non posso dunque attendermi nessun aiuto dalle province
dell'ovest? - domandil granduca.
- Nessuno, Altezza, almeno prima della fine dell'inverno.
- Ebbene, stammi a sentire, Michele Strogoff. Anche se non mi dovesse
arrivare nessun aiuto n dall'ovest n dall'est, anche se questi
barbari fossero seicentomila, io non cedermai Irkutsk!
L'occhio malvagio di Ivan Ogareff ebbe un leggero tremito. Il
traditore sembrava dire che il fratello dello zar faceva i conti senza
il tradimento.
Il granduca, di temperamento nervoso, faticava a conservarsi calmo,
apprendendo queste disastrose notizie. Andava avanti e indietro nel
salone, sotto lo sguardo di Ivan Ogareff, che lo osservava come una
preda riservata alla sua vendetta. Egli si fermava davanti alle
finestre, guardava i fuochi dell'accampamento tartaro, cercava di
distinguere i rumori, per la maggior parte provenienti dall'urto dei
lastroni trascinati dalla corrente dell'Angara.
Passun quarto d'ora prima che egli facesse altre domande. Poi
riprendendo la lettera, ne rilesse un passo e disse:
- Tu sai, Michele Strogoff, che in questa lettera si parla di un
traditore del quale dovrdiffidare.
- S Altezza.
- Egli tenter di entrare a Irkutsk sotto un travestimento, di
guadagnare la mia fiducia, poi, al momento buono, di consegnare la
cittai Tartari.
- So tutto questo, Altezza, e so anche che Ivan Ogareff ha giurato di
vendicarsi personalmente del fratello dello zar.
- Perch
- Si dice che quest'ufficiale sia stato condannato dal granduca a una
degradazione umiliante.
- S.. me ne ricordo... Ma egli la meritava, quel miserabile, che pi tardi si messo al servizio del nemico contro il suo paese, per
comandare una invasione di barbari!
- Sua Maest lo zar - rispose Ivan Ogareff - desiderava
soprattutto che voi foste informato dei criminali progetti di Ivan
Ogareff contro la vostra persona.
- S.. la lettera me ne informa...
- E Sua Maestme l'ha detto personalmente, avvertendomi che, durante
il mio viaggio attraverso la Siberia, avessi soprattutto diffidato di
quel traditore.
- Tu l'hai incontrato?
- S Altezza, dopo la battaglia di Krasnojarsk. Se egli avesse
sospettato che io ero latore di una lettera indirizzata a Vostra
Altezza e nella quale si svelavano i suoi piani, non mi avrebbe fatto
grazia.
- Si, tu saresti stato perduto! - rispose il granduca. - E come
sei sfuggito?
- Gettandomi nell'Irtis.
- E come sei entrato in Irkutsk?
- Con il favore di una sortita avvenuta questa sera stessa per
respingere una pattuglia tartara. Mi sono unito ai difensori della
citt ho potuto farmi riconoscere, e sono stato condotto subito alla
presenza di Vostra Altezza.
- Va bene, Michele Strogoff - rispose il granduca. - Tu hai
dimostrato coraggio e zelo durante questa difficile missione. Io non
ti dimenticher Hai qualche favore da chiedermi?
- Nessun favore, se non quello di battermi a fianco di Vostra Altezza
- rispose Ivan Ogareff.
- Sia, Michele Strogoff. Da oggi tu sei addetto alla mia persona, e
sarai alloggiato in questo palazzo.
- E se, conforme alle intenzioni che gli si attribuiscono, Ivan
Ogareff si presentera Vostra Altezza sotto falso nome?...
- Noi sapremo smascherarlo, grazie a te che lo conosci, e lo far morire a colpi di "knut". Va'.
Ivan Ogareff salutmilitarmente il granduca, non dimenticando che era
capitano al corpo dei corrieri dello zar, e si ritir
Ivan Ogareff recitava quindi con successo la sua ignobile parte. Il
granduca gli aveva accordato la sua fiducia piena e completa. Potrebbe
abusarne dove e quando gli converrebbe. Abiterebbe nello stesso
palazzo. Sarebbe addentro nei segreti delle operazioni di difesa.
Riteneva dunque di avere in mano la situazione. Nessuno a Irkutsk lo
conosceva, nessuno gli avrebbe strappato la maschera. Decise dunque di
mettersi subito all'opera.
Infatti il tempo stringeva. Bisognava che la citt fosse consegnata
prima dell'arrivo dei Russi dal nord e dall'est, ed era questione di
pochi giorni. Una volta che i Tartari fossero padroni di Irkutsk, non
sarebbe facile ai Russi di riprenderla. In ogni caso, se i Tartari
dovevano abbandonarla pitardi, non l'avrebbero abbandonata senza
averla distrutta da cima a fondo, senza che la testa del granduca
fosse rotolata ai piedi di Feofar Khan.
Ivan Ogareff, avendo tutta la comoditdi vedere, di osservare, di
agire, si occup fin dal mattino successivo a visitare le
fortificazioni. Dappertutto fu accolto con cordiali felicitazioni
dagli ufficiali, dai soldati, dai cittadini. Il corriere dello zar era
per loro come il legame che li riuniva all'impero. Ivan Ogareff
raccontdunque, con una sfacciataggine che non si sment mai, le
false peripezie del suo viaggio. Poi, con abilit senza dapprima
troppo insistere, parldella gravitdella situazione, calcando le
tinte, e dei successi dei Tartari, come aveva fatto parlando al
granduca, e delle forze di cui i barbari disponevano. A sentir lui,
gli aiuti aspettati sarebbero stati insufficienti, se pure fossero
arrivati, ed era da temere che una battaglia combattuta sotto le mura
di Irkutsk fosse altrettanto funesta come la battaglia di Kolivan, di
Tomsk e di Krasnojarsk.
Ivan Ogareff non prodigava senza criterio queste spiacevoli
insinuazioni. Usava una certa circospezione a farle penetrare a poco a
poco nella mente dei difensori di Irkutsk. Sembrava che rispondesse
soltanto quando era troppo assalito da domande, e come a malincuore.
In ogni caso, aggiungeva sempre che bisognava difendere fino
all'ultimo uomo e fare piuttosto saltare la cittche cederla!
Presentandosi l'occasione di fare il male, lo avrebbe fatto. Ma la
guarnigione e la popolazione di Irkutsk avevano troppo spirito
patriottico per lasciarsi demoralizzare. Di quei soldati, di quei
cittadini chiusi nella cittisolata ai confini del mondo asiatico,
non ce n'era uno che avesse mai sognato di parlare di capitolazione.
Il disprezzo dei Russi per quei barbari era senza confronti.
In ogni caso, nessuno sospettdella parte odiosa che recitava Ivan
Ogareff, nessuno poteva indovinare che il preteso corriere dello zar
fosse un traditore.
Per una circostanza del tutto naturale, dopo il suo arrivo a Irkutsk,
Ivan Ogareff stabilrapporti frequenti con Vassili Fedor, uno dei pi entusiasti difensori della citt
Sappiamo da quali inquietudini fosse angustiato l'infelice padre. Sua
figlia, Nadia Fedor, aveva lasciato la Russia alla data indicata
dall'ultima lettera che aveva ricevuto da Riga; che ne era di lei?
Cercava in questo momento di attraversare le province invase, oppure
era gida tempo prigioniera? Vassili Fedor non trovava sollievo al
suo dolore se non quando aveva qualche occasione di battersi contro i
Tartari. Ma queste occasioni gli sembravano troppo rare.
Ora, quando venne a conoscenza dell'arrivo inaspettato d'un corriere
dello zar, Vassili Fedor ebbe come un presentimento che questo
corriere gli avrebbe dato notizie di sua figlia. Probabilmente era
solo una speranza chimerica, ma egli vi si aggrapp Questo corriere
non era stato prigioniero, come Nadia lo era forse tuttora?
Vassili Fedor and a trovare Ivan Ogareff, il quale approfitt dell'occasione per entrare in relazioni quotidiane con il comandante.
Quel rinnegato cercava forse di trarre profitto da questa circostanza?
Credeva che tutti gli uomini fossero dei pari suoi? Credeva che un
russo, anche se esiliato politico, fosse tanto miserabile da tradire
il suo paese?
Comunque sia, Ivan Ogareff rispose con una premura abilmente
dissimulata alle domande rivoltegli dal padre di Nadia. Vassili Fedor,
il giorno dopo l'arrivo del preteso corriere, si recdunque al
palazzo del governatore generale. Espose a Ivan Ogareff le circostanze
nelle quali sua figlia aveva probabilmente varcato i confini della
Russia europea e gli disse quali erano in quel momento le sue
inquietudini a suo riguardo.
Ivan Ogareff non conosceva Nadia, quantunque l'avesse incontrata al
cambio di Iscim il giorno in cui ella vi si trovava assieme a Michele
Strogoff. Ma in quel momento, egli non aveva prestato attenzione a lei
pidi quanto ne avesse prestato ai due giornalisti, che si trovavano
in quello stesso tempo nella casa della posta. Non fu dunque in grado
di dare a Vassili Fedor nessuna notizia di sua figlia.
- Ma in quale data - domandIvan Ogareff - vostra figlia uscita
dal territorio russo?
- Press'a poco alla stessa data in cui siete uscito voi - rispose
Vassili Fedor.
- Io sono partito da Mosca il 15 luglio.
- Anche Nadia partita da Mosca in quel giorno. Nella sua lettera me
lo diceva espressamente.
- Vostra figlia era a Mosca il 15 luglio? - domandIvan Ogareff.
- S certamente in quella data.
- Va bene!... - rispose Ivan Ogareff.
Poi, riprendendosi:
- Ma no, mi sbaglio... Io confondo le date... - aggiunse. - Per
disgrazia fin troppo probabile che vostra figlia abbia passato la
frontiera, e a voi non resta che una speranza, che ciovostra figlia
si sia fermata quando ha conosciuto le notizie dell'invasione tartara!
Vassili Fedor chinla testa! Egli conosceva Nadia, e sapeva troppo
bene che niente le avrebbe impedito di partire.
Ivan Ogareff aveva compiuto in questo momento, gratuitamente, un atto
di vera crudelt Con una parola egli poteva tranquillizzare Vassili
Fedor. Quantunque Nadia avesse passato la frontiera siberiana nelle
circostanze che sappiamo, Vassili Fedor, collegando la data nella
quale sua figlia si trovava a Niznij Novgorod con la data del decreto
che vietava di uscirne, avrebbe senza dubbio concluso che Nadia non si
troverebbe in questo momento esposta ai pericoli dell'invasione, e che
si trovava ancora, contro sua voglia, sul territorio europeo
dell'impero.
Ivan Ogareff, obbedendo alla sua natura di uomo che non sapeva
commuoversi per le sofferenze degli altri, pur sapendo dire questa
parola, non la disse.
Vassili Fedor si ritircol cuore infranto. Dopo questo colloquio, la
sua ultima speranza svaniva.
Durante i due giorni che seguirono, il 3 e il 4 ottobre, il granduca
fece chiamare parecchie volte il preteso Michele Strogoff e si fece
ripetere tutto quanto aveva sentito nel gabinetto imperiale del
Palazzo Nuovo. Ivan Ogareff, preparato a tutte queste domande, rispose
senza mai esitare. Egli non nascose, con intenzione, che il governo
dello zar era stato addirittura sorpreso dall'invasione; che la
rivolta era stata preparata nel piassoluto segreto; che i Tartari
erano gi padroni della linea dell'Ob quando le notizie arrivarono a
Mosca; e infine che nelle province russe non erano pronti a mandare in
Siberia le truppe necessarie a respingere 1 invasione.
Poi Ivan Ogareff, completamente libero nei suoi movimenti, comincia
studiare Irkutsk, lo stato delle fortificazioni, i loro punti deboli,
per approfittare in seguito delle sue osservazioni, nel caso che
qualche circostanza gli impedisse di consumare il suo tradimento. Si
dedicparticolarmente ad esaminare la porta Bolsciaja (1), ch'egli
voleva aprire.
Due volte, di sera, si rec sui bastioni di quella porta. Egli
passeggiava, senza timore di scoprirsi al tiro degli assedianti, che
avevano le prime linee a meno di una versta dalle fortificazioni. Egli
sapeva bene che non vi era esposto, ma anzi ben conosciuto. Aveva per intravisto un'ombra strisciare fino ai piedi dei bastioni.
Era Sangarre che, rischiando la vita, cercava di mettersi in
comunicazione con Ivan Ogareff.
Del resto gli assediati godevano da due giorni di una tranquillit
alla quale i Tartari non li avevano abituati dall'inizio
dell'accerchiamento.
Era un ordine di Ivan Ogareff. Il luogotenente di Feofar Khan aveva
disposto che tutti i tentativi di prendere la cittcon la forza
fossero sospesi. Perci dal suo arrivo a Irkutsk, l'artiglieria
taceva. Forse - cosalmeno egli sperava - gli assediati avrebbero
allentato la sorveglianza? In ogni caso, agli avamposti diverse
migliaia di Tartari si tenevano pronti a lanciarsi verso la porta
sguarnita dai suoi difensori, appena Ivan Ogareff avesse fatto
conoscere l'ora di agire.
Quest'ora non poteva tardare. Bisognava concludere la faccenda prima
che i corpi russi arrivassero in vista di Irkutsk. Ivan Ogareff
l'aveva deciso, e quella sera, dall'alto dei bastioni cadde un
biglietto nelle mani di Sangarre.
L'indomani notte, tra il 5 e il 6 ottobre, alle due del mattino, Ivan
Ogareff aveva deciso di consegnare Irkutsk.


NOTE.

Nota 1. Porta Grande.
14. LA NOTTE TRA IL 5 E IL 6 OTTOBRE.

Il piano di Ivan Ogareff era stato combinato con la massima cura e,
salvo circostanze imprevedibili, sarebbe necessariamente riuscito.
L'importanza era che la porta Bolsciaja fosse libera al momento in cui
il traditore l'avrebbe aperta. Perci in quel momento, bisognava che
l'attenzione degli assediati fosse attirata su qualche altro punto
della citt Egli quindi aveva preparato una finta manovra, d'accordo
con l'emiro.
Questa finta manovra si sarebbe effettuata dal lato del sobborgo di
Irkutsk, a monte e a valle del fiume, sulla riva destra. L'attacco su
questi due punti sarebbe stato condotto con molto impegno e, nello
stesso tempo, si sarebbe finto sulla riva sinistra un tentativo di
passaggio dell'Angara. La porta Bolsciaja sarebbe dunque rimasta
probabilmente sguarnita, tanto piche da quella parte gli avamposti
tartari, ritiratisi piindietro, dovevano sembrare abbandonati.
Era il 5 ottobre. Entro ventiquattro ore la capitale della Siberia
orientale sarebbe caduta nelle mani dell'emiro, e il granduca in
quelle di Ivan Ogareff.
Durante quella giornata si verificnell'accampamento dell'Angara un
movimento inconsueto. Osservando dalla riva destra, dalle finestre del
palazzo e delle case, si vedeva distintamente che i Tartari stavano
compiendo preparativi importanti sulla sponda opposta. Numerosi
distaccamenti tartari convergevano verso l'accampamento e arrivavano
d'ora in ora altri rinforzi alle truppe dell'emiro. Si stava
preparando la finta manovra convenuta, e in maniera molto palese.
D'altronde Ivan Ogareff non nascose al granduca che c'era da temere un
attacco da quella parte. Egli sapeva, e lo diceva al granduca, che i
Tartari avrebbero sferrato un assalto a monte e a valle della citt e
lo consigli di rinforzare questi due punti pi direttamente
minacciati.
I preparativi osservati erano confermati dalle raccomandazioni di Ivan
Ogareff, sicchurgeva prendere dei provvedimenti. Perci dopo un
consiglio di guerra radunatosi al palazzo, furono impartiti ordini di
concentrare la difesa sulla riva destra dell'Angara e alle due
estremit della citt dove i terrapieni andavano ad attestarsi sul
fiume.
Era precisamente quello che voleva Ivan Ogareff. Egli evidentemente
non si illudeva che la porta Bolsciaja restasse senza difensori, ma vi
sarebbero stati in numero esiguo. Del resto, Ivan Ogareff attribuiva
alla finta manovra un'importanza tale che il granduca sarebbe stato
obbligato ad opporvi tutte le forze disponibili.
Infatti, un incidente eccezionalmente grave doveva favorire
maggiormente il compimento dei suoi progetti. Anche se Irkutsk non
fosse stata attaccata su punti distanti dalla porta Bolsciaja e lungo
la riva destra del fiume, quest'incidente, sarebbe bastato a
richiamare il concorso di tutti i difensori precisamente ldove Ivan
Ogareff voleva attirarli. L'incidente avrebbe provocato allo stesso
tempo una catastrofe spaventosa.
Vi erano dunque tutte le probabilit perch la porta, priva di
difensori, all'ora stabilita fosse aperta a migliaia di Tartari che
attendevano nascosti nelle folte foreste dell'est.
Durante il giorno la guarnigione e la popolazione di Irkutsk furono
tenute costantemente in stato d'allarme. Erano state prese tutte le
misure richieste, in previsione di un attacco imminente sui punti fino
allora mai attaccati. Il granduca e il generale Voranzoff visitarono
le postazioni, rinforzate conforme i loro ordini. Il corpo scelto di
Vassili Fedor occupava il quartiere settentrionale della citt ma con
ordine di trasferirsi dove il pericolo sarebbe stato piurgente. La
riva destra dell'Angara era stata guarnita dei pochi pezzi di
artiglieria disponibili. Con queste misure, prese in tempo grazie alle
raccomandazioni fatte a proposito da Ivan Ogareff, c'era da sperare
che l'attacco preparato dai Tartari non riuscisse. In tal caso i
Tartari, momentaneamente scoraggiati, avrebbero senza dubbio rimandato
di qualche giorno un nuovo assalto contro la citt Ora, le truppe
attese dal granduca potevano arrivare da un momento all altro. La
salvezza di Irkutsk era sospesa ad un filo.
Quel giorno il sole, levatosi alle sei e venti, tramontava alle cinque
e quaranta, dopo aver tracciato nello spazio di undici ore il suo arco
diurno sopra l'orizzonte. Il crepuscolo avrebbe lottato con la notte
per altre due ore. Poi, lo spazio sarebbe stato invaso da fitte
tenebre, perchdense nubi stagnavano nell'aria, e la luna, che era in
congiunzione, non sarebbe apparsa.
L'oscurit profonda avrebbe favorito perfettamente i piani di Ivan
Ogareff.
Gi da alcuni giorni il freddo intenso preludeva ai rigori
dell'inverno siberiano, e quella sera si faceva sentire ancora pi intenso. I soldati, appostati sulla riva destra dell'Angara, costretti
a dissimulare la loro presenza, non avevano acceso i fuochi.
Soffrivano dunque crudelmente di quel preoccupante abbassamento della
temperatura. A pochi piedi sotto di loro, passavano i lastroni di
ghiaccio che seguivano la corrente del fiume. Durante la giornata li
si erano visti, in ranghi molto fitti, scendere alla deriva tra le due
sponde. Questo particolare, osservato dal granduca, e dai suoi
ufficiali, era stato considerato vantaggioso per loro. Era evidente,
infatti, che se il letto dell'Angara si fosse ostruito, il passaggio
sarebbe divenuto assolutamente impossibile. I Tartari non avrebbero
potuto manovrare ncon zattere ncon barche. Quanto poi a supporre
che potessero attraversare il fiume sui lastroni, nel caso che
venissero saldati dal gelo, non era possibile. Il campo di ghiaccio,
cementato di fresco, non avrebbe offerto sufficiente consistenza al
passaggio di una colonna d'assalto.
Ma questo particolare per il fatto stesso che tornava favorevole ai
difensori di Irkutsk, avrebbe rappresentato uno spiacevole
contrattempo per Ivan Ogareff. Egli invece non se ne preoccup Il
traditore sapeva, infatti, che i Tartari non avrebbero pensato di
passare l'Angara, e che, almeno da quel lato, il loro tentativo non
sarebbe stato che una finta.
Tuttavia, verso le dieci della sera, le condizioni del fiume si
modificarono sensibilmente, con preoccupante sorpresa degli assediati,
e questa volta a loro sfavore. Il passaggio, fino allora impossibile,
diventava improvvisamente possibile. Il letto dell'Angara ritorn libero. I lastroni, che erano scesi alla deriva molto fitti da alcuni
giorni, scomparvero a valle della citt e se ne vedevano appena
cinque o sei sulla superficie tra una sponda e l'altra. E neppure
presentavano la struttura ordinaria dei blocchi che si formano sotto
l'influenza di un gelo normale. Avevano l'aspetto di blocchi, staccati
da qualche "icefield", con fenditure di taglio netto, senza contorni e
protuberanze rugose.
Gli ufficiali russi, che costatarono quel cambiamento nelle condizioni
del fiume, lo riferirono subito al granduca. Questo cambiamento si
spiegava tuttavia dal fatto che, in qualche ansa ristretta
dell'Angara, i lastroni si erano ammassati in maniera da formare uno
sbarramento.
E sappiamo che era proprio cos
Il passaggio dell'Angara era dunque aperto agli assedianti. Perci
bisognava che i Russi vigilassero con piattenzione che mai.
Durante la notte non avvenne niente di nuovo. Dal lato orientale,
oltre la porta Bolsciaja, la calma era completa. Non un fuoco nelle
folte foreste che si confondevano all'orizzonte con le nubi basse.
Nell'accampamento dell'Angara l'agitazione era sempre grande, come
attestava il frequente spostamento di luci.
Una versta a monte e a valle dal punto dove la scarpa dei terrapieni
si attestava sulla sponda del fiume, si udiva un sordo parlottare, e
ci confermava che i Tartari erano pronti, in attesa di qualche
segnale.
Passun'altra ora. Niente di nuovo.
Tra poco sarebbero suonate le due del mattino all'orologio della
cattedrale di Irkutsk e, nessun movimento aveva ancora rivelato negli
assedianti delle intenzioni ostili.
Il granduca e gli ufficiali si domandavano se non si fosse trattato di
un inganno, se veramente i Tartari avevano in progetto di prendere la
citt di sorpresa. Le notti precedenti non erano passate coscalme,
con gli assedianti cosvicini. La fucileria crepitava nella direzione
degli avamposti, gli obici solcavano l'aria; invece questa notte,
nulla.
Il granduca, il generale Voranzoff, gli aiutanti di campo aspettavano,
pronti a impartire gli ordini secondo le circostanze.
Sappiamo che Ivan Ogareff alloggiava in una camera del palazzo. Era
una stanza molto ampia, situata al pian terreno e con le finestre che
si aprivano su una terrazza laterale. Bastava fare qualche passo sulla
terrazza per dominare il corso dell'Angara.
La stanza era immersa nella piprofonda oscurit
Ivan Ogareff, in piedi accanto a una finestra, attendeva che fosse
arrivata l'ora di agire. Evidentemente il segnale sarebbe partito da
lui Una volta dato il segnale, quando la maggior parte dei difensori
di Irkutsk fossero stati attratti ai punti attaccati apertamente, il
suo piano era di uscire dal palazzo e andare a compiere la sua opera.
Attendeva dunque, nel buio, come una belva pronta a lanciarsi sulla
preda.
Tuttavia, alcuni minuti prima delle due, il granduca ordin che
Michele Strogoff - era questo il solo nome col quale egli sapeva
chiamare Ivan Ogareff - venisse alla sua presenza. Un aiutante di
campo si rec dunque alla sua camera, la cui porta era chiusa. Lo
chiam..
Ivan Ogareff, immobile accanto alla finestra e invisibile nel buio, si
guardbene dal rispondere.
Fu allora riferito al granduca che il corriere dello zar non era in
quel momento a palazzo.
Suonarono le due. Era il momento di iniziare la finta manovra
convenuta con i Tartari, pronti per l'assalto.
Ivan Ogareff aprla finestra della camera e and ad appostarsi
all'angolo nord della terrazza laterale.
Sotto di lui, nella notte, passavano le acque dell'Angara che
spumeggiavano, frangendosi contro gli spigoli dei pilastri.
Ivan Ogareff cavdi tasca un'esca, l'accese e appiccil fuoco a un
pugno di stoppa cosparsa di polvere, che poi lancinel fiume...
Per ordine di Ivan Ogareff erano infatti stati convogliati dei
torrenti d'olio minerale sulla superficie dell'Angara.
A monte di Irkutsk, sulla riva destra, tra la borgata di Poshkavsk e
la citt venivano sfruttate alcune sorgenti di petrolio. Ivan Ogareff
aveva deciso di usare quel terribile mezzo per portare l'incendio
entro Irkutsk. Egli s'impadrondunque degli immensi serbatoi di quel
liquido combustibile. Bastava demolire una parete per provocare il
flusso di un grosso torrente.
Tutto questo era stato fatto durante la notte, qualche ora prima, e
questo spiega perch la zattera che portava il vero corriere dello
zar, con Nadia e gli altri fuggiaschi, galleggiava su una corrente di
olio minerale. La nafta era precipitata come un torrente attraverso le
brecce dei serbatoi, ognuno dei quali ne conteneva milioni di metri
cubi, e seguendo la pendenza naturale del suolo, s'era diffusa sulla
superficie del fiume, dove restava sopra il pelo dell'acqua grazie
alla sua minore densit
Ecco come Ivan Ogareff intendeva la guerra! Alleato dei Tartari, egli
agiva come un tartaro, e contro i suoi compatrioti.
Aveva dunque lanciato la stoppa accesa sopra le acque dell'Angara. In
un istante, come se la corrente fosse stata di alcool, il fiume prese
fuoco, a monte e a valle, con la rapiditd'una scintilla elettrica.
Volute di fiamme bluastre correvano tra le due rive. Spessi vapori
fuligginosi turbinavano verso il cielo. I pochi blocchi di ghiaccio
che andavano alla deriva, investiti dal liquido infiammato, si
fondevano come cera sulla superficie d'una fornace, e il vapore
dell'acqua si sprigionava con violenza nell'aria mandando sibili
assordanti.
Nello stesso istante, la fucileria crepita nord e a sud della citt
Le batterie dell'accampamento dell'Angara tirarono senza sosta. Alcune
migliaia di Tartari si precipitarono all'assalto dei terrapieni. Le
case lungo la sponda, costruite in legno, presero fuoco come torce. Un
immenso braciere dissiple tenebre della notte.
- Finalmente! - esclamIvan Ogareff.
E aveva ragione di congratularsi! La finta manovra da lui ideata era
terribile. I difensori di Irkutsk si vedevano presi tra il fuoco dei
Tartari e quello del disastroso incendio. Le campane suonarono, e
tutti coloro che erano validi alle armi si portarono ai punti
attaccati e alle case divorate dal fuoco, che minacciava di
comunicarsi a tutta la citt
La porta Bolsciaja era quasi abbandonata. C'erano rimasti soltanto
pochi difensori. Inoltre, per consiglio del traditore e affinch l'avvenimento non fosse spiegato per un suo intervento, ma anzi per
odio politico, questi pochi difensori furono scelti fra il piccolo
corpo degli esiliati.
Ivan Ogareff rientrin camera, allora tutta illuminata dalle fiamme
dell'Angara che superavano la balaustra della terrazza. Poi si dispose
ad uscire.
Ma appena aprla porta, una donna si precipitnella camera; aveva le
vesti bagnate e i capelli in disordine.
- Sangarre! - esclamIvan Ogareff, nel primo momento di sorpresa,
immaginando che quella donna fosse la zingara.
Non era Sangarre, era Nadia.
Nel momento in cui la fanciulla, aggrappata sul lastrone di ghiaccio,
aveva scorto l'incendio che si propagava sulla superficie dell'Angara
aveva lanciato un grido di spavento; allora Michele Strogoff l'aveva
afferrata tra le braccia e si era tuffato con lei nella profondit dello stesso fiume, per cercare scampo dalle fiamme. Sappiamo che il
blocco, che li trasportava, si trovava allora a circa trenta braccia
dalla prima banchina, a monte di Irkutsk.
Dopo avere nuotato sott'acqua, Michele Strogoff aveva preso terra
sulla banchina assieme a Nadia.
Michele Strogoff toccava finalmente la meta! Era a Irkutsk.
- Al palazzo del governatore! - disse a Nadia.
Meno di dieci minuti dopo, essi arrivarono all'entrata del palazzo,
lambito alle fondamenta dalle alte fiamme dell'Angara, ma non ancora
raggiunto.
Piin l le case lungo la sponda erano tutte un rogo.
Michele Strogoff e Nadia entrarono senza difficolt nel palazzo,
aperto a tutti. In mezzo a quella confusione, nessuno li not
quantunque le loro vesti fossero inzuppate d'acqua.
Una folla di ufficiali e soldati ingombravano la sala grande del
pianterreno: gli uni venivano a prendere ordini, gli altri correvano
ad eseguirli. L Michele Strogoff e la fanciulla, in un brusco
ondeggiare della folla, si trovarono separati l'uno dall'altra.
Nadia correva, sperduta, attraverso le sale del pianterreno, chiamando
il suo compagno, chiedendo d'essere introdotta alla presenza del
granduca.
Una porta che immetteva in una camera inondata di luce, s'aprdavanti
a lei. Entre si trovd'improvviso di fronte a colui che aveva
veduto a Iscim, che aveva riveduto a Tomsk, di fronte a colui che, un
istante pitardi, avrebbe consegnato la cittal nemico
- Ivan Ogareff! - gridla fanciulla.
Sentendosi chiamare per nome, il miserabile trem Se il suo vero nome
fosse stato riconosciuto, tutti i suoi piani sarebbero stati sventati.
Non gli restava che una cosa da fare: uccidere chi lo aveva
pronunciato, chiunque fosse.
Ivan Ogareff si gettsu Nadia; ma la fanciulla, con il coltello in
mano, si addossal muro, decisa a difendersi.
- Ivan Ogareff! - grid ancora Nadia, sapendo che quel nome
detestato avrebbe fatto accorrere qualcuno in suo aiuto.
- Ah! non vuoi tacere! - sibilil traditore.
- Ivan Ogareff! - gridper la terza volta l'intrepida fanciulla,
con una voce resa dieci volte piforte dal terrore.
Cieco di furore, Ivan Ogareff cavil pugnale dalla cintura, si lanci su Nadia e la rinchiuse in un angolo della sala.
Era finita per lei; ma d'improvviso il miserabile, sollevato da una
forza irresistibile, fu scaraventato a terra.
- Michele! - gridNadia.
Era Michele Strogoff. Aveva sentito il richiamo di Nadia. Guidato
dalla sua voce, era arrivato fino alla camera di Ivan Ogareff ed era
entrato per la porta rimasta aperta.
- Non temere, Nadia - disse egli, mettendosi tra lei e Ivan Ogareff.
- Ah! - grid la fanciulla - stai attento, fratello!... Il
traditore armato!... Ci vede bene, lui!
Ivan Ogareff s'era rialzato e, credendo di avere a che fare con un
cieco, si precipitsu Michele Strogoff.
Ma il cieco afferr con una mano il braccio di colui che vedeva,
facendogli cadere l'arma, e con l'altra lo rigetta terra una seconda
volta.
Ivan Ogareff, pallido di furore e di vergogna, si ricordche aveva
una spada. La sguaine tornalla carica.
Aveva riconosciuto anche lui Michele Strogoff. Ma era un cieco! In
fondo aveva a che fare solo con un cieco! La partita era vinta per
lui.
Nadia, spaventata dal pericolo che minacciava il suo compagno in una
lotta impari, si precipitverso la porta chiamando aiuto.
- Chiudi quella porta, Nadia - disse Michele Strogoff. - Non
chiamare nessuno e lasciami fare! Il corriere dello zar non ha pi nulla da temere adesso da questo miserabile! Venga avanti, se ha
coraggio! Lo aspetto.
Intanto Ivan Ogareff, rannicchiato in se stesso come una tigre, non
diceva una parola. Avrebbe voluto sottrarre all'occhio del cieco il
rumore dei suoi passi, persino il suo respiro. Voleva colpire senza
che il cieco avvertisse la sua mossa, colpirlo in maniera sicura. Il
traditore non pensava a battersi, ma ad assassinare colui al quale
aveva rubato il nome.
Nadia, spaventata e fiduciosa allo stesso tempo, contemplava con una
specie di ammirazione quella scena terribile. Sembrava che la calma di
Michele Strogoff l'avesse improvvisamente affascinata. Michele
Strogoff aveva per unica arma il suo coltello di cacciatore siberiano;
egli non vedeva il suo avversario, armato di spada, vero. Ma per
quale grazia del Cielo sembrava imporsi a lui, e cosdall'alto? Come,
quasi senza muoversi, si teneva sempre in guardia contro la punta
della spada?
Ivan Ogareff spiava con visibile ansiet il suo strano avversario.
Quella calma straordinaria lo soggiogava. Invano egli faceva appello
alla ragione, dicendosi che, in un combattimento ineguale, tutto il
vantaggio era suo! L'immobilit del cieco lo agghiacciava. Aveva
cercato con l'occhio il punto dove colpire la sua vittima... Lo aveva
trovato!... Chi dunque lo tratteneva dal finirlo?
Infine, fece un balzo e vibr un colpo di spada in pieno petto a
Michele Strogoff.
Un movimento impercettibile del cieco paril colpo. Michele Strogoff
non era stato toccato, e freddamente, sembrava attendere un secondo
attacco senza dare l'impressione di difendersi.
Un sudore freddo imperlava la fronte di Ivan Ogareff. Egli
indietreggidi un passo, poi scattdi nuovo. Ma, coscome il primo,
anche il secondo colpo non raggiunse il bersaglio. Una semplice parata
del largo coltello era bastata a deviare l'inutile spada del
traditore.
Questi, folle di rabbia e di terrore di fronte a quella statua vivente
fissil suo sguardo spaventato sugli occhi spalancati del cieco.
Sembrava che quegli occhi lo scrutassero fino in fondo all'anima;
quegli occhi che non vedevano, che non potevano vedere, operavano su
di lui una specie d'irresistibile fascino.
D'improvviso, Ivan Ogareff mandun grido. Nella sua mente s'era fatta
una improvvisa luce.
- Ci vede! - grid - ci vede!...
E come una belva che cerca di rintanarsi, passo passo, terrorizzato
indietreggifino in fondo alla sala.
Allora la statua si anim il cieco cammindiritto su Ivan Ogareff, e
piazzandosi di fronte a lui:
- S - disse, - ti vedo! Vedo il colpo di "knut" col quale ho
sfregiato la tua faccia di traditore e di vigliacco! Vedo il punto
dove colpirti! Difenditi! Mi degno d'offrirti un duello. Il mio
coltello mi bastercontro la tua spada.
- Ci vede! - mormorava Nadia. - Dio misericordioso, possibile?
Ivan Ogareff si sent perduto. Ma, con uno sforzo di volont
riprendendo coraggio, si lanci con la spada avanti sul suo
impassibile avversario. Le due lame s'incrociarono, ma all'urto del
coltello di Michele Strogoff, maneggiato dalla mano sicura del
cacciatore siberiano, la spada anda pezzi e il miserabile, raggiunto
al cuore, cadde al suolo senza vita.
In quello stesso istante, la porta della camera, spinta dall'esterno,
si apr Il granduca, accompagnato da alcuni ufficiali, comparve sulla
soglia.
Il granduca avanz Riconobbe a terra il cadavere di colui ch'egli
credeva il corriere dello zar.
E allora, con voce minacciosa, domand
- Chi ha ucciso quest'uomo?
- Io - rispose Michele Strogoff.
Un ufficiale gli puntla pistola alla tempia, pronto a far fuoco.
- Il tuo nome? - domandil granduca, prima di dare l'ordine di
fargli saltare il cervello.
- Altezza, - rispose Michele Strogoff - domandatemi piuttosto il
nome dell'uomo steso ai vostri piedi!
- Quest'uomo lo conosco! E' un servitore di mio fratello! E' il
corriere dello zar!
- Quest'uomo, Altezza, non il corriere dello zar! E' Ivan Ogareff!
- Ivan Ogareff? - esclamil granduca.
- S Ivan il traditore!
- Ma tu, chi sei dunque?
- Michele Strogoff!














CONCLUSIONE.

Michele Strogoff non era cieco, non era mai stato cieco. Un fenomeno
puramente umano, allo stesso tempo fisico e morale, aveva
neutralizzato l'azione della lama incandescente che il sicario di
Feofar Khan aveva fatto passare davanti ai suoi occhi.
Ricordiamo che al momento del supplizio Marfa Strogoff era presente,
tendendo le mani verso suo figlio. Michele Strogoff la guardava come
un figlio puguardare una madre, quando sa di vederla per l'ultima
volta. Le lacrime, che la sua fierezza, cercavano invano di reprimere
salendo a fiotti dal cuore verso gli occhi, s'erano accumulate sotto
le palpebre e, volatilizzandosi sopra la cornea, gli avevano salvato
la vista. Lo strato di vapore formato dalle lacrime, frapponendosi tra
la sciabola incandescente e le sue pupille, era bastato a
neutralizzare l'effetto del calore. E' un effetto identico a quello
che si produce se un operaio fonditore, dopo aver immerso la mano
nell'acqua, la fa subito passare attraverso un getto di ghisa in
fusione.
Michele Strogoff aveva immediatamente compreso il pericolo al quale
sarebbe andato incontro se avesse rivelato il suo segreto a qualcuno.
Al contrario, aveva intuito il vantaggio che poteva trarre da questa
situazione per il compimento della sua missione. Credendolo cieco, lo
avrebbero lasciato libero. Bisognava dunque che fosse cieco, che lo
fosse per tutti, anche per Nadia, che lo fosse sempre, e che mai un
gesto, in nessun momento, potesse far dubitare della sinceritdella
parte che recitava. Aveva preso questa risoluzione. Avrebbe rischiato
la sua stessa vita, per dare a tutti la prova della sua cecit e
sappiamo come la rischi
Sua madre, lei sola, conosceva la verit Sulla piazza di Tomsk egli
gliel'aveva confidata, quando, chino sopra di lei nel buio, la copriva
di baci.
Ora comprendiamo come, allorchIvan Ogareff con crudele ironia aveva
dispiegato la lettera imperiale davanti a quegli occhi ch'egli credeva
spenti, Michele Strogoff aveva potuto leggere, e infatti aveva letto
quella lettera che rivelava gli odiosi intrighi del traditore. Cossi
spiega tutta l'energia ch'egli mantenne durante la seconda parte del
suo viaggio. Cossi spiega quell'incrollabile volontdi arrivare a
Irkutsk, e di arrivarvi per compiere a viva voce la sua missione.
Sapeva che la cittsarebbe stata consegnata al nemico. Sapeva che la
vita del granduca era in pericolo. La salvezza del fratello dello zar
e della Siberia era dunque ancora nelle sue mani.
In poche parole, tutta questa storia fu raccontata al granduca, e
Michele Strogoff riferpure - e con quale emozione! - la parte
che Nadia aveva preso in questi avvenimenti.
- Chi questa fanciulla? - domandil granduca.
- E' la figlia dell'esiliato Vassili Fedor - rispose Michele
Strogoff.
- La figlia del comandante Fedor - corresse il granduca - non pila figlia di un esiliato. A Irkutsk non ci sono piesiliati.
Nadia, meno forte nella gioia di quanto lo era stata nel dolore, cadde
in ginocchio ai piedi del granduca, che la rialzcon una mano, mentre
tendeva l'altra a Michele Strogoff.
Un'ora dopo, Nadia era tra le braccia di suo padre.
Michele Strogoff, Nadia, Vassili Fedor erano finalmente riuniti. E fu,
da una parte e dall'altra, il pieno sfogo della felicit
Il duplice assalto dei Tartari contro la cittvenne respinto. Vassili
Fedor, con la sua piccola truppa, sbaraglii primi assalitori che
s'erano presentati alla porta Bolsciaja, convinti che fosse aperta, e
presso la quale invece, per un istintivo presentimento, egli si era
ostinato a rimanere in difesa.
Nello stesso tempo i Tartari vennero respinti, gli assediati
riuscirono a domare l'incendio. La nafta liquida si era rapidamente
bruciata sulla superficie dell'Angara, e l'incendio, che aveva fatto
presa solo sulle case della spiaggia, non si era propagato agli altri
quartieri della citt
Prima di giorno, le truppe di Feofar Khan erano rientrate nei loro
accampamenti, lasciando un gran numero di morti sulla scarpata esterna
dei bastioni.
Tra i morti c'era anche la zigana Sangarre, che aveva cercato invano
di raggiungere Ivan Ogareff.
Nei due giorni seguenti, gli assediati non tentarono altri assalti.
Erano scoraggiati per la morte di Ivan Ogareff. Quest'uomo era l'anima
dell'invasione, e lui solo, con le sue trame ordite da lungo tempo,
aveva acquistato sufficiente influenza sui khan e sulle loro orde per
trascinarli alla conquista della Russia asiatica.
I difensori di Irkutsk restarono tuttavia sulle difese, perch l'assedio durava ancora.
Ma il 7 ottobre, alle prime luci del giorno, il cannone tuonsulle
alture che circondavano Irkutsk.
Era l'esercito di soccorso che arrivava al comando del generale
Kisselev e segnalava cosal granduca la sua presenza.
I Tartari non aspettarono oltre. Non volevano correre i rischi d'una
battaglia combattuta sotto le mura della citt e l'accampamento
dell'Angara fu subito tolto.
Irkutsk era finalmente libera.
Assieme ai primi soldati russi, erano entrati in cittdue amici di
Michele Strogoff. Erano gli inseparabili Blount e Jolivet. Raggiunta
la riva destra dell'Angara attraverso lo sbarramento di ghiaccio,
essi, come gli altri fuggiaschi, si erano allontanati prima che le
fiamme dell'Angara avessero raggiunto la zattera. Alcide Jolivet aveva
preso nota del fatto sul suo taccuino in questi termini:
俘ischiato di finire come un limone in una tazza di ponce! La loro gioia fu grande nel ritrovare sani e salvi Nadia e Michele
Strogoff, soprattutto quando seppero che il loro valoroso compagno non
era cieco. E questo fatto indusse Harry Blount a compilare questa
osservazione:
亭erro rovente puessere insufficiente per distruggere la sensibilit del nervo ottico. Da correggere!
Pitardi i due giornalisti, bene alloggiati a Irkutsk, si occuparono
a mettere in ordine le loro impressioni di viaggio. Ne segul'invio a
Londra e a Parigi di due interessanti cronache relative all'invasione
tartara le quali, caso raro, non si contraddicevano che sui punti di
minore importanza.
Del resto, la campagna finmale per l'emiro e per i suoi alleati.
Questa invasione, inutile come tutte quelle intese a intaccare il
colosso russo, fu loro molto funesta. Si trovarono ben presto tagliati
dalle truppe dello zar, le quali riconquistarono successivamente tutte
le cittoccupate. Inoltre l'inverno fu terribile, e di quelle orde,
decimate dal freddo, non rientrche una piccola parte nelle steppe
della Tartaria.
La strada da Irkutsk ai monti Urali era dunque libera. Il granduca
aveva fretta di ritornare a Mosca, ma ritardil suo viaggio per
assistere a una commovente cerimonia, che ebbe luogo alcuni giorni
dopo l'entrata delle truppe russe.
Michele Strogoff era andato a trovare Nadia e, davanti a suo padre, le
aveva detto:
- Nadia, ancora mia sorella, quando sei partita da Riga per venire a
Irkutsk, avevi lasciato dietro a te qualche altro rimpianto oltre il
ricordo di tua madre?
- No - rispose Nadia, - nessuno e di nessuna specie.
- Cos nessuna parte del tuo cuore rimasta laggi
- Nessuna, fratello.
- Allora, Nadia - disse Michele Strogoff, - io credo che Dio,
facendoci incontrare, facendoci attraversare insieme tante dure prove,
abbia voluto unirci per sempre.
- Ah! - esclamNadia, cadendo nelle braccia di Michele Strogoff.
E rivolgendosi a Vassili Fedor:
- Padre mio! - disse arrossendo tutta.
- Nadia, - le rispose Vassili Fedor - la mia gioia sar di
chiamarvi tutti e due figli miei!
La cerimonia del matrimonio fu celebrata nella cattedrale di Irkutsk.
Fu una cerimonia molto semplice nei suoi particolari, ma molto solenne
per il concorso di tutta la popolazione militare e civile, che volle
testimoniare la sua profonda riconoscenza per i due giovani, la cui
odissea era gidiventata leggendaria.
Alcide Jolivet e Harry Blount non mancarono, naturalmente, a quel
matrimonio, del quale volevano informare i loro lettori.
- Non avete voglia di imitarli? - domandAlcide Jolivet al suo
collega.
- Bah! - rispose Harry Blount. - Se, come voi, avessi una
cugina!...
- Mia cugina non da maritare! - rispose ridendo Alcide Jolivet.
- Tanto meglio! - aggiunse Harry Blount, - perchsi parla di
difficoltsorte tra Londra e Pechino. Non avete voglia di venire a
vedere che cosa capita da quelle parti?
- Perdiana, mio caro Blount! - gridAlcide Jolivet - stavo per
proporvelo!
Ed ecco che i due inseparabili partirono per la Cina.
Alcuni giorni dopo la cerimonia, Michele e Nadia Strogoff,
accompagnati da Vassili Fedor, ripresero la via dell'Europa. Questa
via di dolori, all'andata, fu una via di felicit al ritorno.
Viaggiarono con grande rapidit in una di quelle slitte che scivolano
come un treno espresso sulle steppe gelate della Siberia.
Per arrivati sulle rive del Dinka, prima di Birskoje, si fermarono
un giorno.
Michele Strogoff trovil posto dove aveva sepolto il povero Nicola.
Vi piant una croce, e Nadia preg ancora una volta sulla tomba
dell'umile eroico amico, che n l'uno n l'altra avrebbero mai
dimenticato.
A Omsk, la vecchia Marfa li attendeva nella piccola casa degli
Strogoff. Strinse appassionatamente fra le sue braccia colei che gi cento volte aveva chiamata figlia. La coraggiosa siberiana, quel
giorno, ebbe finalmente il diritto di riconoscere apertamente suo
figlio e di dichiararsi fiera di lui.
Dopo alcuni giorni trascorsi a Omsk, Michele e Nadia Strogoff
rientrarono in Europa, e Vassili Fedor si stabila San Pietroburgo.
Nil figlio ne la figlia ebbero altre occasioni di lasciarlo, se non
per andare a rivedere la loro vecchia madre.
Il giovane corriere era poi stato ricevuto dallo zar, che lo nomin suo addetto speciale e gli conferl'onorificenza della croce di San
Giorgio.
Michele Strogoff, in seguito, arrivad un'alta carica nell'impero. Ma
non la storia dei suoi successi, bensquella delle sue peripezie,
che meritava d'essere raccontata.








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