JSEMTS搜尋引擎
 

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%1%|I. IL FUOCO DEL CIELO|



2.4 - Igitur Dominus pluit super Sodomam
et Gomorrham sulphur et ignem a
Domino de coelo
25 - Et subvertit civitates has, et omnem
circa regionem, universos abitatores
urbium, et cuncta terrae virentia.
#Genesis#, Cap. XIX.

I

La vedete ne l'aria passar la nube nera?
or pallida, or vermiglia, splendida, triste, austera
quasi està senza fiore?
veder credesi insieme, sopra il notturno vento,
di qualche arsa metropoli fuggir, tra lo sgomento,
tutto il fumo e il romore.

Donde viene? dal cielo, dal mar, dai gioghi alpini?
forse è il rovente carro che in pianeti vicini
porta i demoni in seno?
Oh terror! dal suo grembo, caosse occulto, ardente,
perché vedesi, a volte, scatenarsi furente,
come serpe, il baleno?


$II

Il mare! il mare! il mare! flutto a flutto succede,
stancar l'uccello indarno l'ala inegual si vede;
qua i flutti, laggiù l'onde!
Sempre da flutti i flutti senza fine respinti,
scendon tra i gorghi i flutti ammassati e sospinti
in vorago profonde.

Talor di pesci immani quasi a fior d'acqua erranti
nel sol le pinne argentee, le code azzurreggianti
veggonsi scintillare.
Sembran l'onde un armento che scuota il vello immenso
ma un bronzeo cerchio cinge l'etra e confonde al senso
ciel glauco a glauco mare.

*

- Disseccherò quest'onde? - la nube ardente chiese.
- No! - ma dal soffio spinta di Dio la via riprese.


III

Golfo è di verdi colli
specchiantisi nel mar,
bufali e dardi - e molli
s'odon canti echeggiar.
Tribù che in greppie e in tende
a cacce e a pesche attende,
la cui freccia che splende
può i fulmini sfidar.
$Per tai famiglie erranti
pura era l'aria ognor,
guerrier', fanciulle, infanti
ivan le danze a sciôr
sul lido intorno al fuoco
mobile al vento roco,
quali in un sogno fioco
spirti veggiam talor.

Belle quai belle sere
le vergini specchiar
soleansi e l'ombre nere.
ridean di rimirar;
altre allegre com'elle
fean da miti cammelle
tra nere dita e snelle
bianco latte spicciar.

Uomini e donne ignude
ne l'onda usan tuffar,
jeri quest'orda rude
dove fu vista errar?
dei cembali ai concenti
nitrivano i giumenti
e vi mescean i venti
il lor rantolo e il mar.

*

Negli spazi un istante la nuvola esitò:
- È qui? - Nessun sa dire chi le rispose: - No!
$IV

L'Egitto! esso mostrava tutto di spiche biondo
variopinti i suoi campi, qual tappeto giocondo.
Pianure e poi pianure,
onde gelate al note, ad ostro arene ardenti
si contendean l'Egitto, tra due mari rodenti
pronto a sorrider pure.

Da l'uom tre monti alzati il ciel fendean lontano
con tricuspide marmo celando all'occhio umano
le sabbiose lor piante,
e dai vertici aguzzi alle arene dorate
si fean sempre più larghe le loro scalinate
pel passo di un gigante.

Rossa sfinge granitica, verde e marmoreo un dio
li custodian, tetragoni al soffio ardente e rio
senza ciglia piegare,
ampi vascelli entravano in un gran porto e al basso
una città gigante i suoi piedi di sasso
sommergeva nel mare.

Muggire udiasi il torrido Simun che mai non dorme,
crosciar sui bianchi sassi del coccodrillo enorme
l'ampio ventre squamato;
rizzarsi al ciel miravansi grigi obelischi arditi
e il Nil qual tigre stendersi nei tramonti romiti,
d'isole picchiattato.

$L'astro maggior cadeva, calmo ne l'euro assente,
e rifletteva il mare quel globo d'ôr vivente
donde il nostro ha radici
o nei flutti vermigli, nel rosso cielo, muti
venir l'un contro l'altro due soli eran veduti
pari a due prenci amici.

*

Chiese la nube ancora: - Dove fermarmi occorre? -
- Cerca! - sclamò una voce onde tremò il Taborre.


V

Vaste arene deserte
qual caotico mar!
sempre inesauste, aperte
mostri e morbi a crear.
Qui nulla mai s'arresta,
monti con fulva cresta
soglion ne la tempesta
quai flutti rotolar.

Talor grida profane
suol l'ermo asilo udir,
passan le carovane
or di Mambre, or d'Ofir.
L'occhio lontan le mira
su l'onda ardente e dira
quasi ondeggiante spira
d'un còlubro fluir.
$Deserti senza fine
che a sé sol Dio serbò,
Ei sol centro e confine
solo additar ne può.
Incombe eterna bruma
su questo mar che fuma,
che, quasi ardente spuma,
ceneri al ciel lanciò.

*

- Mutar fa d'uopo in lago - disse la nube allora -
questi deserti? - e il grido del ciel: - più lungo ancora!


VI

Simile a scoglio enorme che si rizzi sui flutti,
a un mucchio di castelli rovesciati o distrutti
tetra Babel si offriva,
immenso e prodigioso teste del Nulla umano
sotto i raggi lunari quattro monti, lontano,
con l'ombra sua copriva.

Penetravan gli abissi le rovinate mura,
era d'atre bufere sotto ogni volta oscura,
strana armonia ferale.
Un tempo l'uman seme ronzava ad essa intorno
e piantar sovra il mondo dovea Babele un giorno
l'infinita spirale.

$Toccar per le sue scale doveasi il ciel col dito,
ogni più vasto monte ai fianchi di granito
fornì solo una pietra
e vette a vette aggiunte, sgomentando il mortale.
sorgevan senza posa sulla piramidale
fronte sinistra e tetra.

I mostruosi boa, i coccodrilli foschi
quai meschine lucertole strisciavan muti e loschi
su' blocchi maestosi
e, colossi perduti in quelle aperte forre,
fronzuto palme pensili parean su qualche torre
grami cespugli erbosi.

Gli elefanti passavano entro i suoi rotti muri,
strana, folle, fantastica sotto i pilastri oscuri
cresceva una foresta;
sciami d'aquile fulve e di enormi avvoltoj
notte e giorno aggiravansi entro i portici suoi
simili ad api in festa.

*

- Distruggerla dovrò? - chiese la nube - Va! -
- Signor, dove il tuo soffio, dove mi condurrà? -


VII

Ed ecco due metropoli che sconosciute e strane
di piano in pian le nubi scalando più lontane
$apparivan dormenti entro il notturno orrore
coi lor numi, il lor popolo, i lor cocchi, il clamore,
entro la valle istessa quai sopite sorelle.
L'ombra nel plenilunio le loro torri snelle
bagnava e in quel caotico misto l'occhio scopriva
lunghe scale, colonne, archi per acqua viva,
e larghi capitelli, quindi un gruppo difforme
di elefanti granitici sostegno a un tempio enorme.
Colossi che volgevano ritti lo sguardo intorno,
mostri mirando nati d'atri connubii un giorno,
ed archi ed orti pensili ricchi di fior' fragranti,
e neri alberi curvi su cascate sonanti
e tempii ove si ergevano sovra superbi plinti
cento e cento in diaspro idoli variopinti
e volte d'un sol masso in aule sterminate
ove, le colossali teste sempre chinate,
vegliavano mirandosi in circolo seduti
con la man sul ginocchio numi di bronzo muti.
Queste magion', quest'erte, questi tetri viali
ove sorgean dovunque forme ignote e ineguali.
là gli acquedotti, i ponti, gli archi, i mastii rotondi,
tenean l'occhio atterrito nei lor' giri profondi
ed agli astri vedevansi con le lor ombre immani
salir quai promontorii questi edifici arcani
cumulo senza termine di tenebre velato,
e il cielo scintillante di stelle coronato
e del gran promontorio sotto i mill'archi austeri
splendevan come fossero dietro merletti neri.

Ah, città de l'inferno nel lor desio dementi!
colà feconda ogni ora era in piaceri ardenti,
$nascondeva ogni tetto qualche mistero immondo
e quasi ulcera gemina essa inquinava il mondo.

Nei due vasti recinti tutto dormia frattanto
e incerto qualche pallido raggio splendea soltanto,
lampade di postriboli, estinte appena nate,
ultime de le feste faci dimenticate;
angoli di muraglie sotto la luna bionda
frangean l'ombre o riflessi tremolavan ne l'onda
e vagamente forse si udian sulle pianure
mescersi e soffocarsi baci e parole impure.
Le due città sorelle, stanche del giorno ardente,
nell'ebbrezza di amore mormorar mollemente;
tra i freschi sicomòri il vento sospirando,
di Sodoma a Gomorra spandean profumo blando!
Fu allor che l'atra nube tutto, passando, udì
e a lei gridò in quel punto del ciel la voce: - È qui! -


VIII

La nube già scatta,
la fiamma scarlatta
ne lacera il sen;
la schiude e giù roggia
di zolfo una pioggia
sui tetti ne vien.
Tremando nel vento
dà baglior cruento
su l'aule e il terren.
$Oh Sodoma orrenda!
Gomorra! qual tenda
sul capo vi sta!
La nube infuocata
su voi s'è scagliata,
inique città;
con l'ampie sue gole,
su voi, su voi sole
la folgore va.

Si sveglian le genti
che jeri dormenti
a Dio non pensâr;
rovinan le immote
magioni e le ruote
dei carri si urtâr,
e vedo ogni loco
da un fiume di fuoco
la folla inondar.

Sui castelli infranti,
marmorei giganti
mal fermi sul suol,
ancora dormenti
strabbondan morenti
che invocano il sol;
tal su rotte mura
ir falange oscura
di formiche suol.

$L'orribile piova
fuggire non giova,
ohimè, tutto muor!
Il fuoco che romba
sui ponti rimbomba,
sovra i tetti d'òr;
sulle grige pietre
di folgori tetre
si frange il furor.

In ogni scintilla
si accresce e distilla
quell'igneo volcan
e chiaro e scarlatto
d'un caval più ratto
che fugga sul pian,
e a l'idolo infame
le braccia di rame
torce il fuoco imman.

Strependo nel vento,
le torri d'argento
d'un'orda infedel
atterra e con l'onda
or verde, ora bionda,
di zolfo tra un vel,
le mura quai grame
di rettile squame
fa splender nel ciel.

$I funebri marmi,
i porfidi e l'armi,
qual cera suol far,
si fondon; sul piano
procombe il Titano
che Nabo nomàr;
ed ogni pilastro
ne l'igneo disastro
qual fiaccola appar.

Indarno in quell'ora
pochi Magi ancora
stan d'idoli al piè,
sulle fiamme infeste
invan la sua veste
fa stendere il re;
la vampa ruina
e il tempio trascina
e l'ara con sé.

Più lunge essa snida,
col popol che grida,
l'antica magion;
e morde fiammante
quel masso fumante
che in tristo abbandon
nuota su quell'onde
poi cade e si fonde
qual neve in burron.

$Il gran prete arriva
su l'ardente riva
cui tutti fuggîr;
la mitra si accende,
qual faro risplende,
lo fa impallidir;
e ad arder son pronte
le mani che al fronte
di toglierla ardîr.

D'una a l'altra torre
il popolo accorre
di fumo in un vel;
delle città morte
raggiunge le porte
la folla infedel,
e crede, interdetta.
veder, maledetta,
l'Inferno nel Ciel!


IX

Narran che allor, qual vedesi da un supplizio mortale
attratto, alle sue grate mostrarsi un prigioniero,
videsi Babilonia, lor complice fatale,
guatar da le montagne su l'orizzonte nero.
E lungo quell'arcano mister, qual s'ode in guerra.
s'udì su l'atterrito mondo immenso romore,
sì profondo che giù fin nel lor tetro orrore
turbò quei sordi popoli che vivono sotterra.
$X

Fu il fuoco inesorabile! Nessun dei condannati
sfuggì quei due recinti ardenti e calcinati.
Al cielo erte le mani,
abbagliati, abbracciandosi in un estremo addio,
atterriti chiedevansi su l'Urbe lor qual Dio
versasse quei volcani.

Contro il vivente incendio o il divin fuoco arcano
gli ampii tetti di marmo erano schermo vano,
Dio coglie chi nol pave!
I lor numi invocavano, ma dal fuoco colpito
versava il nume istesso dagli occhi di granito
fuso, di pianto lave.

Così col nero vortice tutto disparve insieme,
l'uom con la città fosca, l'erba col solco e il seme;
arse Dio le campagne.
Di quel popol distrutto, in più nulla rimase;
la forma in quella notte, l'Euro che tutto rase,
mutò de le montagne.


XI

Oggi sente la palma in quei frantumi sparsi
ingiallir la sua foglia, il tronco disseccarsi
ne l'aria arsa e pesante.
Quelle città scomparvero e specchio del passato,
$sui loro spenti ruderi siede un lago gelato
qual fornace fumante.

Ottobre 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%2%|II. CANARIS|



Fare senza dire.
#Vecchia sentenza.#

Quando una vinta nave va via nel mar che romba
e le quadrate vele
pendono lungo gli alberi squarciati dalla bomba
che fe' strazio crudele,

quando non v'ha che morti caduti d'ogni parte,
attrezzi, àncore, anelli,
che tra le vele e i franti trinchetti stan le sarte
come sparsi capelli,

che il naviglio, di strepito e di fumo coperto.
va qual ruota movente
e che da prora a poppa erra e fugge a l'aperto
d'uomini una corrente;

quando al cenno dei capi niun soldato risponde,
quando il mar gonfia e geme
e i bronzi spenti nuotano, urtandosi tra l'onde,
sopra la tolda insieme;

quando il colosso schiudere la sua ferita pare
al marin flutto errante
e a traverso la ferrea lorica sanguinare
la galera gigante;
$quando voga a tentoni qual corpo che vacilli
una falla recando,
pari a un gran pesce morto che sul suo ventre oscilli
sul mar fosforeggiando.

Allor gloria a chi vinse! scende l'àncora nera
sopra il vinto naviglio
come, dopo la lotta, posa l'aquila altera
sulla preda l'artiglio.

Poi la bandiera egli issa, qual d'una torre in cima,
cui roda il vento alato,
onde or s'allarga ed ora allungasi ne l'ima
onda il riflesso aurato.

È di color' superbi gran pompa allor sul mare;
i popoli più fieri
con l'argento la porpora e l'azzurro ondulare
fan sui vessilli alteri.

In quella ricca veste l'orgoglio lor malnato
si lusinga e riposa,
come se il flutto nero dal flutto cancellato
serbasse qualche cosa.

Malta innalzò la croce, Venezia degli arditi
legni su le bandiere
l'araldico Ieone per cui metton ruggiti
le leonesse vere.

Splende il partenopeo vessil ne l'aria bionda
e quando i mari allieta
$par di veder guizzare dalla poppa ne l'onda
d'oro un flutto e di seta.

Porta sopra i vessilli, l'iberica famiglia,
che inalberando viene,
il leon d'òr Leone, torri argentee Castiglia,
Navarra le catene.

Roma ha le sacre chiavi, Milan l'angue e l'infante
ch'urla nel suo martòro,
sulla veste di rame Francia il pennon flottante
orna di gigli d'oro.

L'ottomana Stambul nel suo vessil lunato
tre code bianche appende,
ha la libera America l'azzurro ciel gommato
che d'astri d'oro splende,

Con l'ali immense aperte entro serico sfondo
aderge l'Austria altera
l'aquila che ai due lembi minacciati del mondo
volge una testa nera.

L'altr'aquila bicipite che a lei fé sempre guerra
e cui lo Zar sospinge
guatando come quella due mondi, uno ne afferra
e tra gli artigli stringe.

Albion trionfando impone ai flutti amari
la splendida orifiamma
sì ricca che i riflessi sembianza han sopra i mari
de l'ombra d'una fiamma.
$Così dei lor vessilli agli alberi maestri
i lor blasoni i re
appendono, ed ai vinti navigli o navalestri
mutar fan patria e fé.

E tra le lore file trascinan quante vele
avverso fato ha scôrto,
superbi di vedere la lor flotta fedele
più numerosa in porto.

Essi alle vinte navi sventolar sempre intorno
fan bandiere vittrici
perché la loro gloria in fronte o il proprio scorno
portino i lor nemici.

Ma l'umile Canari cui sul flutto tranquillo
tien dietro un solco ardente,
su le navi ch'ei prende issa per suo vessillo
l'incendio onnipossente!

Novembre 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%3%|III. LE TESTE DEL SERRAGLIO|



Ô horrible! ô horrible! most horrible!
SHAKESPEARE #- Hamlet#

I

La fosca notte d'astri innumeri vibrante
si specchiava ne l'onda oscura o scintillante
e Stambul la ridente, d'ombre in un denso vel,
parea chiusa dormire del golfo su la sponda,
tra le faci sideree e i riflessi de l'onda,
d'astri in un globo, in ciel.

L'Urbe parea dov'ergono gli spiriti notturni
ne l'aria ermi palazzi severi e taciturni,
gli arèmi suoi mirando, di tedii lunghi asil;
e le cupole simili al ciel che le colora
e lo lor mille lance sbocciate allora allora
dal lunar raggio umìl.

L'occhio colà dagli angoli scernea le torri ardite
i tetti piani e l'esili guglie de le meschite,
quai trifogli moreschi veron' parea veder,
i cristalli nascosti sotto le inferriate
e le palme fronzute su le magion dorate
qual pennuto cimier.

$Là minareti bianchi e donde, eburnei steli,
s'ergon le frecce aguzze, di lame armate, ai cieli;
là chioschi variopinti, fari multicolor'
e sul vecchio serraglio che additan l'alte mura
di stagno cento cupole brillan ne l'ombra oscura,
titanici elmi d'òr.


II

Quella notte il serraglio esultava; tra i lieti
suon' di tamburi uscivano tra i serici tappeti
sotto le sacre volte le sultane a danzar
e, quasi un re di gemme fregiato per le feste,
ai figli del profeta era seimila teste
superbo di mostrar.

Lividi gli occhi spenti, neri i capelli, intrise
di sangue, i merli orlavano quelle teste recise
delle terrazze olenti di rose e d'altri fior';
o triste e consolante pari a un amico attento
la luna, astro dei morti, sul lor pallor cruento
spandea dolce pallor.

In cima del serraglio, de la porta fatale
tre fra quelle sognavano l'ogiva orientale.
Queste teste cui batte l'ala di un nero uccel
pareano aver l'estrema colta ferita fiera,
l'una ne la battaglia, l'altra ne la preghiera
l'ultima ne l'avel.

$Vuolsi che allor, vegliando immobili com'elle,
stupidamente intorno le meste sentinelle,
le tre teste parlassero e di lor voce il suon
simile fosse ai canti che in sogno udir ci avviene,
al marin flutto o al vento dormenti, un su le arene
e l'altro nel vallon.


III
LA PRIMA VOCE

Ove son'io, fratelli? - il mio brulotto! il remo
presto e la vela! il grido di Missolungi estremo
ci chiama, i suoi castelli il turco già investì!
Caccinsi i lor navigli ai lor lontani lidi,
la mia fiaccola, o fidi
faro per voi, sia fulmine per loro in questo dì!

Partiamo! addio Corinto dal promontorio ardito,
o flutti onde ogni rupe segna un trionfo avito,
scogli de l'arcipelago che l'onda assale ognor,
bell'isole, dei cieli amore e degli aprili,
nel dì ceste di fiori e la notte simìli
d'incensi ad urne d'òr!

Addio, patria superba, nuova Sparta, Hydra bella!
la tua libertà scoppia in canti da ogni cella,
ti occultano i trinchetti, paese dei nocchier'!
addio! caro ho il tuo lido che di speme c'inonda
e cui carezza l'onda,
le tue rocce dal fulmine ròse e dal flutto auster.
$Se, salva Missolungi, redire io sarò visto,
fratelli, un nuovo tempio allor s'innalzi a Cristo;
ma se cadrò nel sonno donde non lece uscir,
se verserò quel sangue che a spandere mi resta,
al sole, in terra libera, la mia polve modesta
andate a seppellir.

Oh Missolungi! i turchi scacciam su dunque, o bravi,
dai suoi forti i lor' obici, dal suo mar le lor navi;
il capitan coi suoi tre cannoni arderò!
Su! dei brulotti ardenti la fiera ugna s'appresti,
su' suoi navigli infesti
i nome mio con lettere di fuoco scriverò!

Vittoria, amici! oh cielo! del mio ratto burchiello
ha già rotto una bomba il fragil ponticello,
esso scoppiando gira e schiude i fianchi al mar;
innalzo indarno il grido coperto dal maroso,
addio! sudario d'alghe e il mio letto arenoso
laggiù scendo a trovar.

Ma no! mi desto alfine! sogno orrendo! mistero!
fiacco alla scimitarra reso è il mio braccio fiero,
che vuol dir questo cupo terrore intorno a me?
che s'ode lungo? un coro!... voci di donne ellene!...
salmi d'anime in pene?...
Corcerti?... in ciel son'io? sangue?... l'arèmo egli è!


$IV
LA SECONDA VOCE

Sì, Canari! l'arème ben vedi e la mia testa
al mio feretro tolta per farsene qui festa,
i turchi mi trafissero nel mio gelido avel.
Vedi in quest'ossa asciutte le loro spoglie opime,
contempla qui di Botzari quanto al sultan sublime
lasciò morte crudel!

Ascolta! er'io sopito ne la mia tomba muta
quando svegliommi un grido: - Missolungi è perduta! -
ne l'ombra sepolcrale volli il capo rizzar,
udii dei sordi bronzi i tonanti fragori,
clamor misti a clamori,
i concitati passi, il cozzo degli acciar'!

Allor ne la tenzone che la città invadea
sorse un grido: - Proteggi da un'orda vile e rea,
ombra sacra di Botzari, d'Ellade i figli qui! -
ed io per saltar fuori, lottando in notte tetra,
terminavo di frangere su la funebre pietra
le scarne ossa così!

A un tratto il suol s'infiamma e qual vulcano romba,
tutto tace e quest'occhi, aperti per la tomba,
vider quel che mortale giammai giunse a veder:
da l'igneo sen, dai monti, dai flutti, da le sirti
vortici uscian di spirti
or nel cielo, or ne l'èrebo spingeali il vol leggier.

$Gli osmani vincitori la mia tomba han frugato
ed il mio capo ai vostri mischiar che han profanato,
o nel sacco del tartaro confusi li gettâr.
Sussultâr lieti il capo e il tronco all'atto atroce
e una seconda volta per l'Ellade e la croce
parvemi di spirar!

In terra il nostro fato or la sua tela tesse.
Schiava Stambul mirando questa cruenta messe
s'agita dal settemplice suo castello al Fanar
ed al pubblico scherno queste teste additate
sul serraglio innalzate
van, d'avvoltoj conviva, il sultano a sfamar!

Eccoli i nostri eroi! Costa, il buon palicaro,
Christo del monte Olimpo, Hellas del flutto amaro
d'Icaro, e d'Albione Kitzo al vate fedel,
e, nostro amico ed emulo, nato sugli erti cigli,
Mayer che tramandava di Trasibulo ai figli
il saldo arco di Tell.

Ma nello stoiche file quest'altri ignoti morti
che il loro fronte vile mesceano a quel dei forti,
i figli maledetti son d'Ibli e di Satan,
oscuro gregge turco, turba serva alle spade
che uccisa a terra cade,
quando manca una testa al conto del sultan.

Simile al Minotauro di cui la fiaba scrive
un uomo solo in questi asili immondi vive
che i nostri avanzi al popolo schiavo vanno a mostrar:
$giacché gli altri che l'orgia vider dei suoi recinti
i turpi eunuchi, i suoi muti omicidi, estinti
di noi son tutti al par!

Che grida ascolto? è l'ora de l'orge obbrobriose
che le nostre reclamano figlie, sorelle e spose,
fiori che del tiranno gli aliti avvizzir fan;
il tigre imperiale del gaudio fra le tede
rugge e notturne prede
oggi ha di noi le vergini e le teste doman!" -


V
LA TERZA VOCE

Del vescovo Gioseffo il saluto vi giunge
fratelli! risoluta a morir Missolunge,
essa la fame orrenda che rode l'uom fuggì ;
i turchi trascinando nella propria ruina.
vittima formidabile con vendetta ferina
darsi alle fiamme ardì.

Venti giorni, per fame, viste perir le genti,
gridai: Su tutti è l'ora, popoli, schiere ardenti,
nel santo sacrificio darsi l'addio convien;
orsù da me prendete su le mense celesti
il sol cibo che resti
che in Dio tramuta l'anima pasciuta d'ogni ben.

Lugubre eucaristia!... morenti immoti i quali
chiedono l'ostia offerta alle lor bocche frali,
$soldati ormai già languidi e pur temuti ancor,
donne, vecchi, fanciulli, vergini sconsolate,
bimbi che dal sen vizzo di madri mutilate
sangue tiravan fuor.

Si fe' notte - si mosse - Ne l'ore vespertine
strinser d'assedio i turchi i morti e le rovine
e al lor passo inquieto il tempio mio s'aprì.
Sul frammento di un'ara, ultimo lor conquisto,
senza ch'io avessi visto
qualcun troncommi il capo mentre io pregava lì;

Mahmud commiserate, il barbaro sultano!
il suo scettro dagli uomini, da Dio lo tien lontano,
le sue cieche pupille non si levano al ciel.
Egli il suo fatal serto sempre vacillar sente;
bench'ai rosoni pendano mozze teste cruente
forse ei non è crudel!

Misero! assidua preda d'implacati terrori
per gli eterni soggiorni perde i suoi dì migliori
niente l'alba o il tramonto per lui viene a segnar.
Il tedio sempre! Simile all'idol ch'essa indora
turba schiava lo adora,
suole i moti al turibolo la sferza regolar!

Ma per voi tutto è gioia, festa, trionfo, onore,
qui vinti, vincerete de l'istoria nel cuore;
sul serraglio fumante Iddio vi benedì!
Torvi morte la gloria non può, fratelli miei,
e gl'insepolti capi in altari, in trofei
mutarsi io veggo qui!
$L'apostata c'invidii! Anatema al fedele
che nel santo battesimo versò l'onda del fiele,
ei sul vital registro fu noverato invan.
Nei cieli che ci albergano l'angel non l'ha chiamato
e il suo nome esecrato
pari a velen le bocche lo rigurgiteran!

E tu, cristiana Europa, i nostri lai tu ascolta!
Dei suoi pro' cavalieri San Luigi, altra volta,
guidato per salvarci avrìa le schiere e tu
scegli, t'affretta e pria ch'alzi il tuo Dio la voce
tra il turbante o l'aureola, tra mezza luna e croce,
infra Omar e Gesù! " -


VI

O Botzari, o Canari, o Gioseffo, ombre sante,
certo, ella udrà le vostre grida dal ferro infrante,
ella vedrà i gran segni che sul fronte vi stan,
e salmi espiatorii ambi levando ardenti,
doppia gloria recando ai lembi vostri spenti
su l'arpa e sul liuto le due Grecie diran:

- Ahimè! santi voi siete, asceti ai seggi primi,
semidei, confessori, fraterne ostie sublimi!
saldo alle pugne sempre il vostro braccio fu.
Morti, voi tre, voi foste, profanati dal mostro
vil, dopo le Termopili, ecco il Calvario vostro
per tutti i sacrificii, per tutte le virtù

$sangue versaste! - Europa, se un sangue così puro
che l'ange e la minaccia fino al serraglio impuro
non segue, a rei rimorsi Iddio la serberà!
Nocchier, prete, soldato, v'invocano gli altari,
poiché l'Olimpo e il Cielo vi attendono del pari,
gruppo di eroi, di martiri eterna trinità!

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%4%|IV. ENTUSIASMO|



Allons, jeune homme! allons, marche.
#André Chenier.#

In Grecia, in Grecia! a tutti addio! partir fa d'uopo,
dei crudeli carnefici l'immondo sangue dopo
quel dei martiri scorra!
In Grecia, o fidi amici! - sia libertà e vendetta!
presto un turbante al capo, in man la spada eletta,
presto un caval che corra!

Quando? - stasera istessa. Doman cresce il periglio,
armi o cavalli subito! a Tolone un naviglio,
anzi sian ali snelle!
Dei nostri vecchi eserciti il resto colà migri,
e fuggir vedrem tosto queste ottomane tigri
con piedi di gazzelle!

Tu, Fabvier, tu guidaci qual principe invocato,
tu solo fermo al posto dai Regi abbandonato,
d'orde disciplinate
capo, tra i nuovi ellèni ombra di gran romano,
soldato che di un popolo nella tua rude mano
le sorti hai concentrate!

Dal vostro lungo sonno o fucili, o mitraglie,
destatevi e tu musica grande de le battaglie,
o tamburi, o cannoni,
svegliatevi, o cavalli dal piè romoreggiante,
$spade ancor non temprate dal sangue fumigante,
voi, pistole e tromboni!

In prima fila ognora io vo' veder la mischia,
gli spahì riversarsi, qual torrente che fischia,
sui fanti inquieti ancor,
e gli acciar' di Damasco veder, falcati, a volo
tratti dai baj, recidere capi d'un colpo solo
ma, vate - oh quale error!...

Or dove mi trascina de la guerra l'ardore?
coi vecchi e coi fanciulli ho già diviso il cuore,
spirto pel ciel vagante.
Che son io? - Quasi foglia alle canne strappata
che va di flutto in flutto sopra un'onda inclinata,
vado tra sogni errante.

Tutto a pensar m'invita - I monti, i boschi, il fiore.
il sospiro d'un òboe, d'una fronda il romore
m'agitan fino a sera;
ed amo, sul crepuscolo, di cupa valle in fondo
mirar l'argenteo lago, specchio terso e profondo,
di qualche nube nera.

Amo una luna ardente e come oro vermiglia
che da la spessa nebbia sorga o se bianca ingiglia
le fosche nubi immani.
Amo udir nella notte i tràini in lor viaggi
che neri o gravi passano e fan presso ai villaggi
latrar ne l'ombra i cani.

1827.
$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%5%|V. NAVARINO|



Ahimè, ahimè! i nostri vascelli
Ahimè, ahimè! son distruttil
Eschilo #- I Persiani.#

I

O Canari, Canari! oh, cento e venti navi!
piangi!.. un'intera flotta!... e dov'eri? ove stavi
o demone de l'onde?
come, se tu non v'eri, cader potea l'Osmano?
qual Crillon fuor di mischia, piangi, tu pur lontano
da quelle fiamme bionde!...

Fin qui, se di repente sul tuo mare di opale
s'insanguinava l'onda come un lago infernale
d'un baglior cupo, arcano,
se innanzi a noi scoppiava qualche scafo pesante
da un pennacchio ingemmato di fuoco scintillante
qual nel mare un vulcano.

se il flutto rotolava turbanti, scimitarre,
mezzelune cadute, veli, tende, zimarre,
altre reliquie estreme:
pellicce di visiri, casacche di nocchieri,
de le fiamme e de l'onde rifiuti or bianchi, or neri
di spume e fumo insieme.

$se qualche immenso scoppio aveva il mar commosso
d'Egina e Jolco, in conto dagli echi ripercosso
lungo nel ciel, su' mari
volgevasi l'Europa al vermiglio Oriente
e il nocchier sulla poppa sclamava sorridente:
- È Canari, è Canari! -

Fin qui, quando sui fumidi flutti, di attrezzi ingombra,
la loro flotta ardevano, assopita ne l'ombra,
i capitan' pascià,
ti ravvisavan tutti a quel tremendo giuoco,
spiegava il tuo brulotto quelle navi di fuoco,
la tua face era là!

Piangi! or tu n'hai ben donde - senza te si è pugnato!
perché, senza Canari, la guerra aver gettato
su quelle flotte infeste?
del dio d'Ellade ei dunque non è la destra viva?
attenderlo doveasi. Non era egli il conviva
miglior di tali feste?


II

Godi! i Greci son salvati,
tra i carnefici e i morenti
ha l'Europa equilibrati
contro i despoti gli eventi.
Francia pugna! sperar lice:
L'opra sua liberatrice
- dammi in cambio, sol ti dice,
$una tua fronda di allor!
Cara a Byron e ad Omero.
o sorella, o madre, altero
inno sciogli, se a te il fiero
grido lascia voce ancor!

Grecia! oh quanto essa ora bella
per così presto morire!
ma strappava alla rubella
qualche lombo ogni visire.
Dove Menadi son nate
e d'amor le serenate
i cannoni han bombardate
l'are e i templi del Dio ver.
Nella aulente aura leggiera
altra nube in ciel non v'era
che del fumo l'onda nera
d'arse ville, atre a veder.

Da sei soli contro gente
che morir sa ben da forte
Asia ed Africa cruente
apportaron strage e morte.
Ibrahim con l'empie schiere
va da l'Istmo al Belvedere
qual falcone sul maniere.
come lupo ne l'ovil:
corre ovunque preda attenda,
e tornando alla sua tenda
teste a teste egli avvicenda
del serraglio al prence vil.
$III

L'ultima è Navarino dagli ostelli dipinti,
da le cupole d'oro, la bianca Navarin!
che sovra i colli siede in mezzo ai terebinti,
che il golfo apre ai navigli l'un contro l'altro spinti,
con l'enee chiglie loro sul mare porporin!

Eccolo entrambe! il peso ne porta l'onda bruna,
pronta i lor fuochi a spegnere, il loro sangue a ber,
ordinata alla pugna sembra da Dio ciascuna,
sovra l'onda allungata stendesi in croce l'una,
curva è qual mezzaluna l'altra sul flutto auster.

Qui l'Europa! l'Europa alfin che si scatena!
coi suoi navigli enormi quai castelli sul mar,
là l'Egitto! africana Asia di turchi piena,
e i feroci pirati che invan Duquesne infrena,
e il lor nido non giunge d'avvoltoj a schiacciar.


IV

Ascoltate! Urla il cannone,
di rispondergli è stagione,
forte è sol chi pazientò!
Fuoco, fuoco! o voi, fregate,
voi la morte orsù gettate
su ogni nave che tremò:
Su! dal vostro soffio ardente
contro scogli, in mar fremente,
frante navi veder vo'!
$La battaglia ardendo freme,
tutto romba e fuma insieme
e la morte ovunque va!
Là tutt'arde in mischie orrende.
qua il brulotto corre e accende
il trinchetto ch'erto sta;
quasi jona che divora
l'elefante in lotta ancora
il vascel rode e disfà!

- L'abbordaggio! l'abbordaggio!-
Alle corde con coraggio
si sospendon, saltan giù;
già la poppa urta la prora,
nella mischia che lavora
remator' curvi stan su;
o anelando il lido i fanti,
spade stanno, elmi e turbanti.
yatagan' quanti son più!

E le antenne urtan le antenne,
morde il fuoco la bipenne,
tutto è in lizza ad ora ad or,
Morte nuota su l'abisso.
strage orrenda! il corpo è scisso,
fluttuante immenso orror
che al rombar di cento trombe
nelle pugne arde o soccombe
coi campioni del valor!


$V

Orrida lotta! Oh, quando troppo stretta è la terra,
quando fin su l'oceano precipita la guerra,
mentre s'agita l'uomo treman monti e burron'.
Il mare immenso scherza con la battaglia dira,
a vinti e vincitori schiude il gran seno e spira
nel naufragio l'agon.

Oh scena! mentre l'Africa grida e assal coi suoi schiavi,
con la flotta imprudente le nostre salde navi,
e consuma su questo il suo vano furor,
qual gigante ciascuna su quelle onde strepenti
schiudendo, in tempi eguali, le sue gole roventi,
dagli orli suoi, tranquilla, versa morte su lor.

Arde tutto! la cenere mista è all'onda! Mirate!
il fumo il vento strappa a le antenne infiammate,
un mobil ponte il fuoco sopra le tolde fa;
e già le navi bruciano e già sorda e profonda
nel nero fianco schiudono le fiamme un varco a l'onda;
già sul vento che va,

de la nave ammiraglia l'incendio ecco repente
attorce intorno agli alberi la sua spirale ardente,
va d'ignee reti i queruli marini ad invescar;
la poppa inaccessibile a coronar si affretta,
trionfa o formidati baglior' lontani getta
che in circoli elargandosi treman sul fosco mar.


$VI

Dove, o del Cairo figli,
son quei grandi navigli
ch'alti e gravi, ai perigli
portavano i nocchier'?
Quelle vele spiegate
dagl'infedeli armate,
da l'ugne in mar formate
del brulotto leggier?

Dove le lune altere,
le mille antenne fiere
ed i capi e le schiere
#armada# del sultan?
La tua ruina appare,
demente secolare,
tu che battevi il mare
come Leviathan!

Il capitan che geme
scoppiar contempla e freme
là quei sciabecchi insieme
di Algeri e Tetuan.
Fuoco vendicatore
avvolge in suo furore
le navi e per terrore
sobbalza l'oceàn!

Con gli alberi spezzati
cozzan sui flutti irati
$iachetti e scafi armati
dal multiplo color;
galere capitane
e caicchi e tartane
che teste a le sultane
or portano, ora fior'.

Addio, brave corvette,
giunche pari a saette
che sopra l'onde schiette
cullate gl'icoglan';
addio, golette erranti
di cui l'acqua ha rifranti
gli scheltri fiammeggianti
neri nel sangue uman!

Addio, canotti umili
che intorno ai gran navili
sciolgon pennon' sottili
quindi fuggon sul mar;
quando da brezze grate
sorprese le fregate
gonfie le vele issate
si veggono avanzar!

Addio la caravella
da la vela novella,
addio la lieve e snella
ala che il dogro alzò;
il #brickko# onde le amure
dan note sorde o dure
$qual mucchio di armature
se il vento le agitò!

Addio la brigantina
la cui vela latina
del mar che si ammutina
corse il grembo a scavar!
Addio, paranza arzilla
che sopra i flutti oscilla
pronta, come scintilla,
su l'onda a luccicar!

Addio lugre difforme
e galeazza enorme
navigli a mille forme
d'ogni clima stianier:
l'ïòlo a tre fiammelle,
mahone e prame snelle,
polacre a sei palelle,
feluche al vol leggier!

Scialuppe cannoniere,
lance sulle onde nere
portanti le bandiere
del padiscià signor!
bombarde che azzurrina
l'onda ch'alza e declina
solleva e poi trascina
con un bronzeo romor!

Addio, navi bizarre,
o caracche, o gabarre
$onde grida e gazarre
Cipro e Delo turbâr,
dove son? - l'errabonde
flotte l'abisso asconde,
al ciel le gettan l'onde
le rende il cielo al mar!


VII

Zitti! tutto è compiuto e ne l'abisso cade;
degli alberi l'antenna copre la spuma e invade,
dei vascelli dei turchi si è trastullato il mar;
alcuni brickki infranti e prame disarmate
com'algho in preda all'onde da correnti portate
sulla sabbiosa riva son tratte ad avanzar.

Ah sì! disfatta è l'Africa! la vittoria è completa,
il piede del Dio vero preme il falso profeta,
i tiranni, i carnefici implorano mercè!
Alfin da quei che imperano son salvati i morenti,
Ellade i fianchi suoi lava cruenti
di sei stagioni un dì vendetta fe'!

Già da gran tempo i popoli - Grecia, dicean, tu muori,
o Grecia, infortunato popol che invan lavori,
sull'orizzonte in fiamme decresci a ciascun dì!
Indarno per salvarti, illustre suolo avito,
ridestiamo il prete sul pulpito addormito,
invan l'armi ai re nostri mendichiam così! -

$Ma sordi sono i principi, il pulpito è in torpore,
qui non scalda il tuo nome che del poeta il cuore,
ciascun per te la gloria e la vita chiedrà;
alla tua croce greca confida Ellade! oh abisso!
un gran popolo qui sta crocifisso,
qual sia la croce, ahimè, che importerà?

Anche i tuoi Dei s'involano! Partenon, Propilei!
greche mura, ossa infrante, di antiche Urbi trofei!
voi divenite un'arma dei miscredenti in man:
dalle dardanee torri per batter le sue navi
fin le vostre reliquie, mine auguste e gravi,
marmoree palle ai loro enormi bronzi dan ".

Mutisi questo pianto in fanfara giuliva,
dall'Istmo al Faro un sordo romor copre la riva,
quest'atro ciel più bello è d'un ciel cristallin.
Il musulman colosso su l'Oriente piomba,
Liberi son gli elleni e dalla tomba
Byron si rizza e plaude a Navarin.

Salve, vecchia Albione, tu regina dei mari!
Salve, a due mondi volta, aquila degli Zari!
Ai fiordalisi gloria che sì vivo han fulgor !
Oggi ravvisa l'Anglia l'unica sua rivale:
Navarin gliela rende - e la nostra navale
gloria in tal fiamma accende la sua face miglior.

Austria, io ti ritrovo! è ben dessa! ma vele
spiega, non qui! laggiù tra la flotta infedele;
tra le file di Cristo noi ti cercammo invan.
$Ma l'aquila bicipite la sua fronte orgogliosa
vediam celar confusa o vergognosa
tra le criniere fosche del sultan.

Ben la tua fede è quella! Non ti mirammo invano
jer d'Ibrahimo al fianco, volgare Tamerlano,
i morti, che passando ei calpestò, spogliar:
ai vili eunuchi suoi mista tu l'ammiravi
portare la sua fiaccola ne le città dei bravi,
orribile e nel sangue l'incendio soffocar.

Prescelto hai quelle fiamme al lume de l'aurora,
ed oggi che a sua volta il fuoco alfin divora
i suoi neri vascelli ch'egizii porti diêr,
Austria, riapri gli occhi e mira, o tralignata,
- che pensi tu di questa gran vampata?
men bella è delle sue su l'emisfer?

Novembre 1827.


$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%6%|VI. GRIDO DI GUERRA DEL MUFTÌ|



Hierro, despierta-te
#Grido di guerra degli Almogavari.#

Guerrieri in guerra! I cani, o Mahoma, o Mahoma,
del leon che dormiva mordon la zampa indoma,
ergon l'infame testa!
Schiacciate orsù, credenti nel profeta divino,
questi eroi vacillanti, soldati ebbri di vino,
per una donna in festa!

Muoja la razza franca e i suoi re detestati,
timarioti, spahì, su gettate, o soldati
ne la battaglia ardente
sciable e turbanti, il fiero clamor dei vostri corni
e le staffe tricuspidi d'oro e di taglio adorni,
le sfrenate giumente!

Che il figlio d'OrtogruI, Othman, riviva in voi!
che l'un l'ira ne mostri, l'altro lo sguardo, eroi!
su, capi, ite a pugnar;
e noi ti riavremo col tempio azzurro e scuro,
molle Setiniah, cui Aten con verbo impuro
i barbari nomâr!

Ottobre 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%7%|VII. IL DOLOR DEL PASCIÀ|



- Separato da quanto amai, mi consumo
solitario e desolato. -
BYRON.

- L'ombra di Allàh che attrista? - dicean dervisci in coro:
- magra è la sua limosina o ingente il suo tesoro,
lugubre egli sorride, è cupo, immoto, avar;
della paterna spada s'è forse ottuso il filo?
ovver dei suoi giannizzeri, presso al suo fosco asilo,
vide arrossare il mar? -

- Il visir degli eserciti, il pascià, che pensieri
crucian, dicean, le micce accese, i bombardieri:
forse il suo ferreo capo turbato è dagli iman'?
del ramazàn ei forse fu al digiuno infedele?
o della terra ai lembi ha l'angelo Azraele
sul ponte de l'inferno visto in un sogno arcan?

- Che lo affligge? bisbigliano gli stupidi icoglani:
andò sommersa forse in pelaghi lontani
la nave degli aromi che il fanno rinverdir?
o di sua vecchia gloria stanca è Stambul severa,
o forse gli ha predetto egizia fattucchiera
che il Muto è per passar?

- Che ha dunque il buon sultano? - chiedevan le sultane:
- ha forse sotto i platani sorpreso in veglie arcane
$la sua bruna odalisca del suo figliuol sul cor?
vide insozzarsi il bagno da qualche aroma ingrato?
forse del fellah il sacco innanzi a lui vuotato
manca di qualche testa che indarno attende ancor?

- Che affligge il signor nostro? - ripetonsi gli schiavi;
Ahimè, tutti s'ingannano! se lunge dai suoi bravi
seduto qual guerriero che un'onta sopportò,
curvato al par di un vecchio degli anni sotto il monte,
già da tre dì o tre notti lunghe su la sua fronte
le mani egli incrociò,

ah no, non ha per anco da una torma rubella
visto forzar l'arérne quasi una cittadella,
non sul suo letto un lugubre tizzo acceso gettar,
né ottundersi egli vide l'acciar del padre austero,
né apparire Azraele, né con un laccio nero,
i Muti variopinti visti in sogno passar.

Ahimè, l'ombra di Allàh non ha il digiuno infranto,
la sultana è vegliata e bimbo ancora è tanto
il figlio e niun vascello sceso de l'onda in sen;
aveva anch'esso, il tartaro, il suo carico usato
né profumi, al serraglio, deserto imbalsamato,
né teste venner men.

E neppur son, non sono le città diroccate,
le umane ossa che oscurano le sinistre vallate,
né l'arsa Grecia in preda alla prole di Omar,
né gli orfani, le vedove coi lor tristi lamenti.
né i fanciulli sgozzati tra le madri languenti,
né il pianto dello vergini vendute nei bazar;
$no, no, questo non sono immagini di orrore
vibranti ne le tenebre d'un cruento splendore,
che rimordon, passando, quel cor che Dio colpì:
questo pascià che ha dunque che pari a donne pigre
sordo alla guerra piange triste e pensoso? - Il tigre
di Nubia gli morì!

Dicembre 1827.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%8%|VII. CANZONE DI PIRATI|



All'erta, all'erta! ecco i pirati di Ucciali
che traversano lo stretto.
#Il prigioniero di Vedali#

Menavàm cento cristiani
corallaj, legati insieme;
predavamo per l'arème
nei conventi litorani.
Viravàm da Fez già fuori
vêr Catania non lontana;
sulla nave capitana
fummo ottanta rematori.

Presto un chiostro abbiam raggiunto.
gettiam l'ancora sul lido;
si destava al nostro grido
una vergine in quel punto.
Là del mar sorda ai fragori
dormia a l'ombra in rozza lana;
sulla nave capitana
fummo ottanta rematori.

- Zitto! o bella - a lei che geme
sussurriamo - è mite il vento,
muterete di convento,
vale il chiostro il dolce arème.
Ama il prence i freschi fiori,
$vi faremo musulmana -
Su la nave capitana
fummo ottanta rematori.

Fugge all'ara con paura
- Oserete, o di Satàno
figli? - Osiam! - fa il capitano;
piange, supplica, scongiura.
Sordi al pianto, ai suoi clamori
la portiam su la tartana;
sulla nave capitana
fummo ottanta rematori.

Nelle lagrime più bella,
eran gli occhi talismani,
al sultan mille tomani
noi vendemmo la donzella.
Gridò invan: - pietà, signori! -
fu la monaca sultana;
sulla nave capitana
fummo ottanta rematori.

Marzo 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%9%|IX. LA PRIGIONIERA|



Si udiva il canto degli uccelli,
armonioso come la poesia.
SADI - #Gulistan.#

S'io non fossi prigioniera
amerei restarmi qui,
questa fioca onda leggiera,
questi mài che il sol vestì;
la stellata notte pura,
se brillar ne l'ombra scura
non vedessi sulle mura
il kangiàr degli spahì.

Non son tartara davvero
per vedermi innanti star
sempre un grullo eunuco nero
la mia cetra ad accordar:
il mio specchio a lui non chiesi,
tal mollezze io non appresi,
ma la sera, ai miei paesi,
si può ai giovani parlar.

Pur di questa amor mi punge
bella terra che non sa
che sian verni, ove non giunge
altro soffio che di està;
fin le piogge qui fan caldo
$e l'insetto verde o baldo
pari a vivido smeraldo
su fil d'erba verde sta.

Sembra Smirne una sultana
di un cappello ornata il crin,
parla april con voce arcana
tra le rose e tra i gesmin':
come fiori in nappi aurati
arcipelaghi incantati
splender vedi ai molli fiati
del suo mar senza confin.

Questi rossi alti castelli
amo e il lor pennon leggier,
parmi in questi aurati ostelli
tanti ninnoli veder;
queste tende che oscillanti
stanno in groppa agli elefanti,
mollemente dondolanti
cullan meglio i miei pensier'.

Qui d'armonici concerti
pien, le fate sogna udir
il cor mio, ma dei deserti
quando il soffio ode venir,
crede, in languidi abbandoni,
di quei genii ai dolci suoni
che di lor molli canzoni
fanno l'aria tintinnir.

$Questi aromi sì olezzanti
amo qui di respirar,
veder fronde tremolanti
i dorati vetri orlar;
questi fonti sì quïeti
dove specchiansi i palmeti
e sui bianchi minareti
le cicogne bianche star.

Di Castiglia un ritornello
dir, sui muschi, amo talor
mentre danzan con piè snello
le compagne sovra i fior':
vagabondo stuol che suole
in girevoli carole
sotto un tondo parasole
al sorriso il labbro sciòr.

Ma più ancor quando leggiera
l'aura viemmi a carezzar,
star seduta amo, la sera,
star seduta a meditar,
l'occhio a l'onda vasta intento
mentre spiega in quel momento
la sua ventola d'argento
luna pallida sul mar.

Luglio 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%10%|X. CHIARO DI LUNA|



Per amica silentia lunae.
VIRGILIO

Limpida sovra l'onde va scherzando la luna
o, dischiuso il verone del vento all'alitare,
la sultana contempla laggiù frangersi il mare
ch'orla di spume argentee qualche isoletta bruna.

Vibrando, a lei di mano sfugge la cetra... tende
l'orecchio... un solido gemito i sordi echi ridesta:
è, da Coo partita, turca tartana infesta
il cui tartaro remo qui l'acque greche fende?

Son forse i cormorani che attuffansi ne l'onda
che scivola cadendo in perle a lor su l'ale?
è un ginn che fischia in alto con voce acuta e frale
e i merli del castello nel mar getta e sprofonda?

Chi tanto i flutti intorbida del serraglio moslemo?
né il nero cormorano cui culla l'onda enorme,
né i sassi de la torre, né il rantolo uniforme
d'una tartana turca che batta il doppio remo.

Sacchi pesanti sono, ivi i gemiti han cuna,
vedrebbesi mirandoli sul mar che gli allontana,
$nei loro fianchi muoversi quasi una forma umana,
limpida sovra l'onde va scherzando la luna.

Settembre 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%11%|XI. IL VELO|



- Pregasti questa sera, Desdemona, il Signore?
SHAKESPEARE.

#La sorella#
- Che v'attrista? su dite, fratelli!
voi chinate aggrottate le ciglia
ed a lampe su funebri avelli
ogni lugubre sguardo somiglia.
Lacerate le vostre cinture
son, tre volte fuor da la guaina
tratte a mezzo le sciabole scure
han brillato di luce ferina.

#Primo fratello#
Avreste alzato il velo voi forse stamattina?

#La sorella#
O fratelli, dal bagno tornando,
sì dal bagno ove sola mi resi
agli sguardi il mio volto celando
d'importuni giaurri e albanesi.
tutta chiusa nel mio palanchino,
giunta presso alla nostra moschea
soffocata da l'afa, in cammino,
lieve soffio il mio vel rimovea.

$#Secondo fratello#
Un uomo allor passava e caftan verde avea?

#La sorella#
Forse!... è ver... ma non furon sì ardite
le sue luci a fissarmi da presso;
ma... sommesse parole voi dite,
vi parlate l'un l'altro sommesso.
O fratelli, voi sangue chiedete?
No, non vide quell'uomo il mio ciglio!
Nuda e fral creatura vorrete
priva uccider di ajuto e consiglio?

#Terzo fratello#
Questa sera al tramonto il sole era vermiglio!

#La sorella#
In che dunque ho fallato?... perdono!
Ahimè! quattro pugnali nel fianco!
ai piè vostri qui supplice sono!
oh mio velo, mio velo oh vel bianco!
Le mie mani bagnate di sangue
non fuggite! pietà dei miei lai!
il mio cerulo sguardo che langue
ahimè! copre vel funebre omai!

#Quarto fratello#
Ma sarà tale almeno che più non l'alzerai!

Settembre 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%12%|XII. LA SULTANA FAVORITA|



Perfida come l'onda.
SHAKESPEARE.

Spopolato il mio serraglio,
bella ebrea, per te non ho?
vivan l'altre! L'azza o il maglio
a ogni colpo di ventaglio
far seguir sempre dovrò?

Fresca e bella a me ti appressa,
deh ti calma! e saprò far
te sultana e principessa;
lascia in pace l'altre, cessa
la lor morte d'implorar!

Quando a tal desio si arresta
il tuo cor, dolce sei tu;
scorgo sempre in ogni festa
che tu chiedi qualche testa
quando mostri amarmi più.

Sola tu tra le gelose
hai, sì bella, un ferreo cor;
Deh, perdona all'altre spose!
forse all'ombra de le rose
muor dei muschi l'umil fior?

$Non son tuo? che dunque importa
quando stringoti al mio sen
se d'amor che le trasporta
sospirando alla mia porta
son cent'altro accese appien?

Ne l'invidia lor profonda
deh le lascia logorar
e passar qual fugge l'onda;
vivan pur, la terra e l'onda,
scettro e vita a te vo' dar.

Tuo quel popolo tremante,
tua Stambul che altera va
d'auree guglie scintillante
e una flotta par gigante
che ancorata in mare sta.

Tuoi, non già di tue rivali
gli spahì che dal cimier
rosso in corso trionfali
sulle lor giumente han l'ali
e stan curvi quai nocchier'.

Tue son Cipro e Trebisonda
e di Bassora l'imper,
Fez di polve e d'oro bionda
e Mossùl in lin feconda,
Erzerùm dai bei sentier'.

Smirne è tua dal tetto acuto
ove il flutto ama spumar,
$tuo da vedove il temuto
Gange e l'Istro che perduto
va per cinque fiumi in mar.

Damanhour pel giglio olente
temi forse o il greco fior?
o la negra occhifulgente
che qual giovin tigre ardente
rugge e salta per amor?

Io non curo, ebrea diletta
rossa fronte e nero sen;
non sei bianca né brunetta,
ma nel sol che ti saetta
sembri d'oro al ciel seren.

Non chiamar più la tempesta
sopra questi umili fior'.
al trionfo tuo ti arresta,
e non chieder che una testa
col tuo pianto cada ognor!

Pensa all'onde ambrate e sane,
dei tuoi platani al vial,
al mar pieno di tartane.
- Il sultan vuol le sultane,
vuol le perle il suo pugnal.

Ottobre 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%13%|XIII. IL DERVISSE|



Quando la perdita di un uomo è
scritta nel libro fatale del destino,
egli, per quanto faccia, non sfuggirà
mai al suo funesto avvenire;
la morte lo insegne dovunque;
essa lo sorprende anche nel suo
letto, gli succhia il sangue con
avide labbra e lo trasporta sul suo tergo.
PANAGO SOUTZO

Un giorno Alì passava: umiliarsi ai piedi
del suo sciame di arnauti capi superbi vedi;
- Allah! - ciascun gridava.
In quel punto un dervisso annoso e venerando
s'aprì la via nel popolo e il suo caval fermando
così ad Alì parlava:

- "O Alì di Tepelène, splendor degli spendori,
che al gran Divano siedi sui gradini maggiori,
cui cresce il nome immane,
ascoltami, o Visire d'immenso stuol guerriero,
ombra del padiscià che l'ombra è del Dio vero,
reprobo sei, sei cane!

Qual sepolcrale fiaccola t'illumini non sai!
quasi da un'urna piena l'ira tu spander fai
sui popoli frementi;
su la lor fronte splendi come falce ne l'erba
$e di lor sangue e d'ossa la tua magion superba,
o reo tiran, cementi!

Ma l'ora tua già scocca! In Giannina caduta
a te la fossa schiudesi e ferrea gogna irsuta
Dio ti serba in eterno.
Sotto l'albero nero carco di spirti rei
che appollajati tremano, sotto il seggìn tu dèi
star nel settimo inferno!

Fuggirai, nudo spirto, e udrai nel libro nero
di tue vittime il nome leggerti un demon fiero,
l'occhio tuo lo vedrà,
e questi spettri esangui, ma di sangue bagnati
sorger più numerosi vedrai dei vani piati
che il tuo sgomento avrà.

Ciò t'accadrà! né il tuo castel, né a te d'intorno
potrà più la tua flotta soccorrerti quel giorno
con remi o bombe indome,
quand'anche Alì pascià, agli ebrei pari immondi,
l'angel nero ingannasse che l'aspetta oltremondi
con qualche finto nome." -

Del pascià la pelliccia un trombon nascondea,
che s'apria qual cratere, tre pistole e splendea
un pugnal come specchio.
Egli ascoltò il dervisse, calmo e sereno in viso,
poi, la pensosa fronto curvando, con sorriso
diè la pelliccia al vecchio.

Novembre 1828.
$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%14%|XIV. LA CITTADELLA|



Questi flutti a che pensano che bacian muti e stanchi
come un usbergo lucido di questa roccia i fianchi?
ch'è mai? nel proprio seno forse visto non han
che, il lor letto scavando, quest'alpe orrida e scura
ha un castel su la vetta cinto di bianche mura
quasi un turbante attorto al nero fronte imman?

Che fanno? A chi mai serbano la lor collera ria?
sul secolare capo infuria, o mar, su via!
ai poveri nocchieri tregua un istante, o mar!
rodi, rodi lo scoglio infin che, scosso, crolli
e con la bianca torre laggiù nei flutti folli
possa dentro l'abisso col capo sprofondar.

Rispondi, o mar fedele, dimmi: quante età vuoi
per abbatter lo scoglio con quei castelli suoi?
un giorno, un anno, un secolo? con furia sempre egual
quel nido reo flagella con l'onde gialle e amare!
e che t'importa il tempo, cupo, inesausto mare?
pari ad un flutto è un secolo nel tuo seno immortal!

Inghiottì questo scoglio, che l'onda lo cancelli!
e sui sepolti spaldi passi e si rinnovelli
e la verdecrinita alga l'occulti allor;
che nel tuo cupo letto muto, giacente ei dorma
che il suo castel, non visto, là più non abbia forma
e ch'ogni flutto un sasso strappi ai suoi spaldi ognor.
$Nulla sorviva! ed esca più libero il respiro
per la scomparsa torre di Alì pascià di Epiro
e che un dì sulle coste che Alì tanto infamò
se il nocchiero di Còo che al fosco mar va dentro
scopre un sinistro vortice con cupo abisso al centro,
ai viatori taciti - Là, dica, si levò! -

Novembre 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%15%|XV. MARCIA TURCA|



La - Allah - Ellalah!
#Korano.#

La mia daga al mio fianco gocciola un sangue nero,
all'arcion l'azza mia pende del mio corsiero.

Amo il soldato vero terror di Belial.
gli rende il suo turbante la fronte più severa,
rispettoso del padre bacia la barba austera
e al vecchio acciaro dedica un amor filial;
sventola sul suo tergo un doliman forato
da più colpi che macchie abbia il cuojo stellato
del tigre imperial.

La mia daga al mio fianco gocciola un sangue nero,
all'arcion l'azza mia pende del mio corsiero.

Uno scudo di rame splende al suo braccio e suona.
vermiglio come l'astro notturno ne la bruma;
morde il caval nitrente il fren sozzo di spuma
e di polvere un nembo lo segue e lo corona
quand'ei passa al galoppo sul selciato sonoro
tutti silenzio fanno dicendo: - è un prence moro -
a lui vôlti che sprona.

La mia daga al mio fianco gocciola un sangue nero,
all'arcion l'azza mia pende del mio corsiero.
$Quando del corno al suono diecimila giaurri
accorrono, ei risponde, vola e selvaggiamente
soffiando nella tromba terrifica ogni gente
uccide e il proprio slancio cresce poi campi azzurri
tra i morti e nel lor sangue bagna il caftan vermiglio
e il bajo stanco sprona alle stragi, al periglio
tra i bellici gazurri.

La mia daga al mio fianco gocciola un sangue nero,
all'arcion l'azza mia pende del mio corsiero.

Amo, se vincitore quando il rullo zittì,
che bella schiava egli abbia dai curvi occhi quieti
e lasciando gl'imani preganti ai minareti
ber nella notte il vino, ch'ei beva lungo il dì;
amo dopo la pugna che la sua voce rida
lieta e canti, aspra ancora delle guerriere grida.
e l'amore e le Urì.

La mia daga al mio fianco gocciola un sangue nero,
all'arcion l'azza mia pende del mio corsiero.

Ch'egli sia grave e rapido le offese a vendicare,
che sopra ogn'altro giuoco ami trattare il brando
più di quanto si apprende su la terra invecchiando.
Che ignori quando il sole nel ciel dovrà mancare,
quando i mar colmeranno le stoppe inaridite,
ma che sia prode e giovane e a lui sian le ferite
delle rughe più care.

La mia daga al mio fianco gocciola un sangue nero,
all'arcion l'azza mia pende del mio corsiero.
$Spahì, comparagì, timarioti, è tale,
tale è il vero soldato d'Osman, ma chi si vanta,
chi trema nel gran giorno in cui la clade canta,
colui ch'ultimo giunge al campo imperiale,
che al crollar delle porte di un luogo ben difeso
non fa dei carri gli assi torcere sotto il peso
del bottin trionfale;

La mia daga al mio fianco gocciola un sangue nero,
all'arcion l'azza mia pende del mio corsiero.

Colui che delle donne ama i discorsi vani,
che non sa già ne l'orgia o dovunque egli sia
tesser d'un bel cavallo la genealogia,
che fuor del proprio braccio chiede sostegni umani,
che su divani serici si adagia mollemente,
che teme il sol, sa leggere e il vin di Cipro ardente,
abbandona ai cristiani;

La mia daga al mio fianco gocciola un sangue nero,
all'arcion l'azza mia pende del mio corsiero.

un vile è quegli, un vile, ei non è già un guerriero,
non è lui che si vede entro la mischia ardente
spronare un bel cavallo con gualdrappa pendente,
brandir l'acciar su larghe staffe diritto, altero;
ei non è buon che a spingere un mulo coi talloni
mormorando sommesso preci, salmi e perdoni
qual prete al cimitero.

$La mia daga al mio fianco gocciola un sangue nero,
all'arcion l'azza mia pende del mio corsiero.

Maggio 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%16%|XVI. LA BATTAGLIA PERDUTA|



Sur la plus haute colline
Il monte et sa javeline
Soutenant ses membres lourds.
Il voit son armée en fuite
Et de sa tente détruite
Pendre en lambeaux le velours
EM. DESCAMPS

Allah! la mia terribile armata chi mi rende,
cavalli, emir cui sete di umano sangue accende?
la mia tenda, il mio campo così pien di baglior
che a veder tanti fuochi ne l'aria vespertina
piovere il ciel pareva su la cupa collina
tutte le stelle d'òr;

I bey' chi mi rende dai pepli svolazzanti,
i miei timarioti sempre in tumulto avanti,
i miei khan variopinti, i rapidi spahì?
i beduini bruciati dal sole dei deserti,
ridenti in far paura ai villici inesperti
e i lor corsier, tra i mai spronando notte e dì?

E quei cavalli ardenti, dagli stinchi sottili,
che sui campi volavano a locuste simìli?
Più non vedrò dai valli superati apparir
le lor bande, da morte mietute invan, quai nere
nubi piombando rapidi sui quadrati, le schiere
di fulmini coprir!
$Son morti! e le gualdrappe nel sangue trascinate
e il sangue le lor groppe insozza picchiettate,
lo spron si smusserebbe ai fianchi lor così,
pria di svegliar quel passo che fu sì ratto un giorno
e i lor pro' cavalieri giaccion distesi intorno
che a l'ombra lor la siesta facean del mezzodì.

Allah! la mia terribile coorte chi mi rende?
eccola, sovra i campi dispersa si distende
pari a l'oro che un prodigo dissemini quaggiù,
cavalli, cavalieri, mongolli, arabi arzilli,
le lor fanfare, i loro turbanti, i lor vessilli
tutto un gran sogno fu!

Oh miei prodi soldati e lor fidi corsieri!
tacque il lor grido ed ali non hanno i piè leggieri,
essi han tutto obliato - redini e spade ancor;
di lor salme ammucchiate colma è la valle oscura,
per lungo ove sinistra sarà questa pianura,
del sangue oggi e domani dei morti il triste odor!

Era un immenso esercito, or solo è un'ombra appena!
fino a notte da l'alba pugnar calma e serena,
avidi sol di spingersi nel circolo fatal;
della notte il sudario su l'orizzonte scende,
ecco, han finito i prodi. Giacciono e il corvo prende
il posto trionfal.

Tra le lor nere piume passando i rostri foschi
dai calvi promontorii accorrono e dai boschi
i corvi e i morti rodono avanzi che fumâr;
$e questa armata jeri balda, temuta, illesa,
quest'armata potente non può, sull'erba stesa,
né sgomentare un'aquila né un sol corvo fugar!

Ah, s'io l'avessi ancora questa immortal coorte,
vorrei con ossa il mondo conquistare da forte
ed io sovra i nemici re le darei l'imper.
Essa per me sarebbe sorella, amante e sposa,
ma che farà la morte infeconda e gelosa
dei dormenti guerrier'?

Perché non fui colpito, né rotolò su l'erba
col suo verde turbante la mia testa superba?
Jeri possente er'io, tre capitani ancor
immobili ed alteri jer su tigrati arcioni
al mio padigiion d'oro recâr, come leoni,
tre cimieri alle groppe tolte dei corridor'!

Rullâr cento tamburi jeri al passaggio mio,
contemplare il mio volto quaranta agà vid'io
accigliati e tremanti nei lor palagi jer,
e di spingarde invece che dormon gravi e immote,
jer bei cannoni avevo giranti su le ruote
e inglesi cannonier'!

Jer possedea cavalli, vaghe città, trofei,
vergini greche a mille da vendere agli ebrei,
immensi arèmi e grandi arsenali sul mar;
nudo, vinto, proscritto, povero come un cane
or fuggo... e del mio regno or nulla mi rimane
ahi, neppure una torre merlata, un focolar!
$Fuggir debbo io pascià, io Visire a tre code,
valicar l'orizzonte e i colli azzurri io, prode,
furtivo e gli occhi bassi, quasi tender la man
come un ladro che fugga ne le tenebre zitto
e forche veder crede in ogni tronco ritto
e sgomento riman! "

Così parlò Kescìdi quella notte funesta;
avemmo mille greci uccisi in quella festa
ma il campo della morte fuggia triste il Visir;
la rossa scimitarra tergea pensoso e solo,
due cavalli a lui presso calpestavano il suolo,
vuote ai lor fianchi udivansi le staffe tintinnir.

Maggio 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%17%|XVII. IL BURRONE|



......... alle fosse
che vallan quella terra sconsolata.
DANTE.

Taglia di questi monti un burron l'atra cresta
qual se da l'ermo Caucaso al Codar qualche informe
campion di quei Titani cui niuna diga arresta
la ruota avesse fatto passar su la sua testa
del suo gran carro enorme.

Ed ahimè quante volte in questa età lottante,
frutto di cristian sangue e di sangue infedel,
ora la scimitarra, ora il pugnal grondante
in fiume la rotaja di quel carro gigante
converse sotto il ciel!

Aprile 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%18%|XVIII. IL FANCIULLO|



Oh horror, horror, horror!
SHAKESPEARE #- Hamlet.#

Là passarono i turchi, tutto è morte e sventura
un cupo scoglio è Scio dove l'uva matura
tra i carpini ombreggianti,
Scio che i vasti boschi specchiò ne l'onda nera,
i poggiuoli, i palazzi e sovente, la sera,
le sue bimbe danzanti.

Tutto è deserto! No, presso il muro, annerito
curvava un occhiglauco fanciul greco, smarrito,
il capo umiliato,
per unico sostegno, per asilo migliore
avendo un biancospino, un suo simile, un fiore
da la falce obliato.

Povero bimbo! scalzo su l'aspro scoglio, affranto
ahimè solo per tergere dai suoi begli occhi il pianto,
simile al cielo e all'onda,
acciò nel loro azzurro da lagrime volato
del riso e dei trastulli passi il lampo e indomato
t'erga la testa bionda.

Che vuoi fanciul? che offrirti fa d'uopo sul tuo calle
per ravviare in riccioli sulle tue nivee spalle
allegramente queste
$chiome che ancor subìto non han del ferro l'onte
e che piangono sparse intorno alla tua fronte
come fronde calpeste?

Chi può calmarti? tergerti le lagrimose stille?
forse quel giglio azzurro come le tue pupille
che al pozzo d'Jran cresce?
ovver del tuba il frutto, de l'albero gigante
di cui l'ombra in cent'anni un caval galoppante
solo a varcar riesce?

Vorresti per sorridermi del bosco un uccellino
che il canto ha pari a l'òboe e al cembalo argentino?
Ei tace sullo scoglio;
Vorresti il flore, il frutto o il canto de l'uccello?
ed il greco fanciullo risponde allor: - Fratello,
polvere e palle io voglio! -

Giugno 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%19%|XIX. SARAH LA BAGNANTE|



Le soleil et les vents, dans ces bocages sombres,
Des feuilles sur son front faisaient flotter les ombres.
ALFRED DE VIGNY

Sarah bella, l'indolente
mollemente
in un'amaca è sospinta
sopra l'onda d'una fonte
che dal monte
scende al fresco Ilisso attinta.

Vede quivi la fanciulla
l'agil culla
ne le chiare acque specchiarsi,
la soave e bianca ondina
che si china,
che si china per mirarsi.

Del navicchio al moto, quando
dondolando
sfiora l'onda a voi leggiero
sopra il flutto escon che freme
ratte insieme
il piè breve e il collo altero.

Con piè lieve toccar volle
l'onda molle
$dove l'ombra errando pesca;
arrossì l'alabastrino
suo piedino,
rise lei de l'acqua fresca.

Qui ti ascondi! resta ancora;
infra un'ora
tu vedrai con l'occhio ardente
fuor dal bagno, piè veloce,
braccia in croce,
uscir nuda l'innocente.

Giacché pari è ad una stella
la donzella
che dal chiaro flutto emersa,
nel timor d'esser mirata
trema e guata
sotto il ciel, di linfe aspersa.

Sotto i rami è ad ogni greve
suono o lieve
desta, ad ogni passo umano
e al contatto arrossa e infosca
d'una mosca,
qual fiorito melagrano.

Tutto quanto il lino cela
si rivela;
e nel cerulo occhio ardente
è lo sguardo che si abbella
quasi stella
ne l'azzurro ciel fulgente.
$Dal sen candido che splende
l'acqua scende
qual da pioppo alto e sottile,
qual se, stilla a stilla, perle,
a vederle,
le cadesser dal monile.

Ma la giovine indolente
lentamente
il piacer segue indefessa
in silenzio dondolando
e in suon blando
così mormora sommessa:

- "Oh, se fossi capitana
o sultana,
prenderei dei bagni ambrati,
presso a un tron vorrei tuffarmi
dentro marmi
gialli in mezzo ai grifi aurati!

Avrei l'àmaca di seta
che si allieta
sotto il fianco già languente,
la mollissima ottomana
donde emana
un odor che amar consente.

Potrei nuda folleggiare
ne le chiare
del giardino mobil'onde
$senza tema di vedere
due severe
luci splender tra le fronde.

Rischierebbe vita e pace
quell'audace
che mirarmi ardisse, e fiero
sfidar tutto: il forte heyduco
e l'eunuco
denti bianchi e fronte nero.

Senza sprone agli ozii miei
io potrei
lieta allora in ricchi lini
con bei sandali sui marmi,
trascinarmi
vesti orlate di rubini." -

Così parla qual bambina
da regina
oscillando allegra ognora
la fanciulla ridolente
negligente
de le lievi ali de l'ora.

E dal piè de la bagnante,
saltellante
l'onda spruzza sovra l'erbe,
su la veste pieghettata
dondolata
tra le rame più superbe.
$E frattanto alle campagne
le compagne
pel sentier van via lontano.
sciame pieno di allegria
che va via
via tenendosi per mano.

Canta ognuna e a lei d'accanto
misto al canto
questo ritornello tesse:
- oh, la giovine infingarda
ch'è sì tarda
a vestirsi per la messe! -

Luglio 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%20%|XX. ASPETTAZIONE|



Esperaba, desperada.

Su la querce, o scoiattolo, ascondi
e alle cime lassù ti sospendi
che si fletton qual giunco sottil!
e tu, fida alle vecchie castella,
o cicogna, con l'ala tua snella
va dal tempio alla gran cittadella,
dalla torre al vicin campanil!

Su la verde montagna contenne
imbiancata da neve perenne,
vecchio falco, tu librati a vol!
Tu che sempre inquieta garrisci
che il tuo canto giammai non sopisci,
lodoletta, salisci, salisci
vispa lodola, e giubila al sol!

Dite su! da le vivide cime
da la guglia di marmo sublime,
dal gran monte, dal rutilo ciel,
nel sinistro orizzonte di bruma
svolazzar non vedete una piuma,
un cavallo che corre, che fuma
e redire il mio caro fedel?

Giugno 1828.
$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%21%|XXI. LAZZARA|



Erat autem mulier pulchra valde.
#Regum# II. c. XI, 2.

Come corre, mirate! pei sentier' polverosi,
per prati tutti ingombri di rosaj odorosi,
tra i grani, i fiori e l'erba,
entro i perduti calli, lungo le vie tracciate,
per monti, piani e boschi come corre, mirate,
la giovine superba!

Svelta e slanciata e quando sul piè giuliva e lesta
appar vezzosa e vispa con la fiorita cesta
sulla mobil testina,
quando le bianche braccia le s'incurvan sul fronte,
par di veder di un tempio lontan ne l'orizzonte
l'anfora alabastrina.

Giovine e scalza ride e canta tutto il giorno
e le verdi libellule insegue al lago intorno
di cespo in cespo errante.
Quando la sera a danze si adunan le più pronte
ne l'ora in cui le greggi coi sonagli dal monte
riedon lente all'ostello,
senza chieder quai vezzi convengano al suo volto,
ella giunge e quel fiore ch'ella ha per sé raccolto
per noi sempre è il più bello.
$Certo, il vegliardo Omar, pascià di Negroponte,
tutto le avrebbe dato, navi a triplice ponte,
cannoni fulminanti,
bardature di baj, dei pingui armenti i velli,
e il serico turbante e gli abiti più belli
sparsi di diamanti.

Le pistole pesanti, i trombon' larghi, immani,
l'elsa d'argento logora dalle sue rudi mani,
le spingarde ferali,
la sua falcata lama e, suo miglior tesoro,
la gran pelle di tigre dal bel turcasso d'oro
pien di tartari strali.

Data la sua gualdrappa, le larghe staffe nere
avrebbe e i suoi tesori tutti col tesoriere,
le sue trecento drude
ed i suoi bracchi indomiti dai lor collari tesi
e con lor carabine i suoi prodi albanesi
arsi da un sole rude.

Avrebbe dato i Franchi, gli ebrei coi lor rabbini,
il chiosco rosso e verde e di mosaici fini
l'aule del bagno piene:
e l'alta cittadella che in merli acuti abbonda
e il suo castello estivo che specchiasi ne l'onda
del golfo di Cirene.

Tutto, fino al suo candido cavallo che all'arème
ci mantiene e il cui petto un largo sudor geme,
dal morso ricco d'òr,
$fino a quella spagnuola, don del Bey d' Algeri
ch'alza il suo guarnellino quando con piè leggieri
va il suo fandango a sciòr.

Non è un pascià ma un clefta dal nero occhio infocato
che la possiede e nulla per possederla ha dato;
povero, ha de le fonti
un clefta l'onda, e l'aria del ciel, ricchezza vera,
un buon fucil dal fumo abbronzito ed intera
la libertà sui monti.

Maggio 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%22%|XXII. VOTO|



Ainsi qu'on choisit une rose
dans les guirlandes de Sarons,
choisissez une vierge éclose
parmi les lis de vos vallons.
LAMARTINE

Ah, s'io fossi l'umil fronda
cui girar fa il mobil vento,
cui, sognando, sopra l'onda
segue lunge l'occhio intento,

ancor fresca, abbandonarmi
vorrei, svelta al ramoscel,
all'aurora, al vento darmi,
de l'occaso al pio ruscel;

più lontan del vocal fiume,
più lontan dei boschi in fior,
tra le gole, tra le brume
ir, fuggir, correre ognor!

Oltre il fiero antro dei lupi
e l'asil de l'usignuol,
oltre i piani aridi e cupi
che han tre palme e un fonte sol;

oltre quelle rupi enormi
onde ai grani il nembo vien,
$oltre i laghi a cui difformi
pendon cespi sopra il sen.

Più lontan de l'erta uggiosa
del re moro a largo acciar,
che la fronte ha più rugosa
di selvaggio irato mar.

Andrei pari a stral sospinto
d'Arta a l'onda e al monte auster
per cui Mikos e Corinto
non si possono veder.

Quasi attratto da malia
poserei col primo albor
su Mikòs quadrata e pia
che ha di stagno i tetti e d'òr.

Alla vergine occhinera
de l'Iman vorrei volar
che il dì canta o sulla sera
presso all'uscio sta a giuocar.

Fronda povera che al monte
tolse il vento rude, allor
poserei su la sua fronte
entro i suoi riccioli d'or.

Come posa l'agil piede
là sui grani un vispo uccel,
qual su tronco d'òr si vede
frutto verde sotto il ciel,
$sul suo capo chino e stanco
più superbo sarei là
che il cimiero ritto e bianco
sulla fronte d'un pascià!

Settembre 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%23%|XXIII. LA CITTÀ PRESA|



Feu, feu, sang, sang et ruine!
Corte Real - #Le siège de Dieu.#

Splende al tuo cenno, o prence, la fiamma che divora,
strepe e giunge del popolo il grido a soffocar,
ed i tetti arrossando come sinistra aurora
sembra sui loro resti nel lieto vol danzar.

Estolle ivi il delitto mille braccia giganti,
le infiammate magioni mutansi in foschi avel',
e padri e mogli e sposi trafitti e agonizzanti
ed i corvi richiamansi su l'urbe e sotto il ciel.

Ebber le madri un fremito, le vergini un sussulto,
o Califfo, elle piansero di lor begli anni il fior,
i corpi lor dal bacio straziati e da l'insulto
dei colpi, i corsier' portano da le lor tonde fuor.

Vedi! un lenzuoi di morte la città vasta invade,
tutto il suo saldo braccio passando fa piegar,
i proti salmeggianti perir sotto le spade
e, quasi usberghi inutili, gli alcorani gettàr.

Schiacciati i bambinelli l'eterno sonno involve,
vissero e il loro sangue disseta il ferro ancor,
$o re, bacia il tuo popolo dei sandali la polve
che il tuo piè glorioso cinge di un cerchio d'òr.

Aprile 1825.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%24%|XXIV. ADDII DE L'OSPITE ARABA|



Viri isti pacifici sunt, et volunt habitare
nobiscum; negotientur in terra,
et exerceant eam, quae spatiosa
et lata cultoribus indiget:
filias eorum accipiemus uxoros, et
nostras illis dabimus.
#Genesi#, c. XXXIV, 21.

Poiché nulla ti avvince a questi lidi lieti
né i freschi mai, né l'ombra amica dei palmeti,
né pace, né abbondanza,
né di veder la sera alla tua voce il seno
ansar de le fanciulle che in cima a un colle ameno
intrecciano la danza,

addio! con la mia mano, o bianco passeggiero,
sellai, per non lanciarti ai sassi del sentiero,
il tuo caval; ch'ei scavi
par la terra col zoccolo, la groppa ha bella e altera,
salda, rotonda e lucida quasi una roccia nera
che rapid'onda lavi.

Perchè tanta impazienza? perché a partir t'affretti?
né sei tu di quei pigri che restan nei lor tetti
di rami di mortelle,
che i bei racconti ascoltano fantasticando muti
o anelano, la sera, sul limitar seduti
di vagar tra le stelle?
$Se tu chiesto lo avessi, t'avria, giovine ardito,
forse di noi qualcuna in ginocchio servito
in capanne gioconde.
e scacciato i tuoi sonni cullando con canzoni,
avrebbe dal tuo volto i molesti mosconi
con ventola di fronde.

Tu parti! e notte e giorno solo e geloso passi,
del tuo cavallo i ferri strappan faville ai sassi
duri delle costiere;
alla tua ferrea lancia che dà bagliori eburni
ciechi nel loro volo i demoni notturni
laceran l'ali nere.

Odi! se mai tu riedi cerca il mio fido ostello
e a questo monte, simile a un dorso di cammello,
avido salga il piede;
pénsavi! acuto ha il tetto simile a un alveare
la mia capanna e un uscio dal lato onde arrivare
la rondine si vede.

Se più non tornerai, lontano ancor, sovvienti
le scalze del deserto figlio dai molli accenti
che danzan sulla duna,
e bel giovino bianco, uccello migratore,
sovvientene che forse tu nel memore cuore
tra noi resti a più d'una.

Addio! va dritto innanti! fuggi il sole che indora
le nostre fronti oscure, arde le rosee e sfiora;
l'Arabia impervia o bruna,
$le vecchie che van sole randage a curve terga
e color che, la sera, traccian con bianca verga
circoli sulla duna.

Novembre 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%25%|XXV. MALEDIZIONE|



Ed altro disse, ma non l'ho in mente.
DANTE.

Che senza tregua egli erri, curvo da l'età prima,
per sabbie immense dove rinasca al monte in cima
giunto al tramonto il sol;
qual sinistro assassino ne le tenebre ei fugga,
che dietro a sé ne l'ombra con febbre che lo strugga
d'un piede ascolti il vol.

Sovra ghiacciaj lucenti come il fil d'una scure
sdruccioli e caschi e ruzzoli, ricaschi e tra paure
con l'ugne vi si abbranchi.
Che scambiato egli sia per altri e la sua voce
gemendo su la ruota - pardon! - gridi e a una croce
qualcun gl'inchiodi i fianchi.

Là con le labbra livide ei penda scompigliato,
la morte, calvo scheletro da lui solo osservato,
gli rida e tra spaventi
che soffra il suo cadavere e viva troppo ancora
per sentir quando morte lo rode e lo divora
lo strider dei suoi denti.

Che non essondo un'anima non sia neppur vivente.
che sul suo corpo ignudo saetti il sol rovente
o la piova a ruscelli,
$che tra i nembi ogni notte in sussulto si desti
e lotti indarno e schiumi con vane grida e gesti
sotto artigli di uccelli.

Agosto 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%26%|XXVI. I TRONCONI DEL SERPENTE|



I saggi dissero: non bisogna legare
il cuore alle cose passeggiere.
SADI #Gulistan.#

lo veglio e la mia fronte medita ardendo e ognora
lagrime rinnovella
da quando Albaydè i suoi chiuse a l'aurora
begli occhi di gazzella.

Tre lustri rabbellivano ed un sorriso schietto,
di puro amor mi amò
e con le braccia in croce sul nudo seno eletto
un angelo sembrò.

Pensoso un giorno errando di un golfo che si perde
tra due capi inarcato,
sul lido a terra vidi un serpe giallo e verde
di nere macchie orlato.

La scure in venti brani quel corpo che il mar lava
rotto vivendo avea
e la marina spuma che il vento gli gittava
rosso quel sangue fea.

Strisciavano torcendosi le sue vermiglia anella
su la riva deserta
e il sangue imporporava d'una tinta più bella
la cresta aguzza ed erta.
$Quei laceri frammenti cui già la morte estingue
col lor vigor languente,
cercavansi, cercavansi qual due frementi lingue
per un sol bacio ardente.

E mentre io meditava, Iddio, con tristi accenti,
pregando in tanta pieta,
aprì l'occhio infuocato la testa a mille denti
e dissemi: - o Poeta,

abbi di te soltanto pietà, più crudo è il male
che t'ange e t'arrovella,
ché chiusi Albaydè nel sonno sepolcrale
ha gli occhi di gazzella.

Anche i begli anni tuoi spezzò colpo sì duro
e i tuoi pensieri qui
intorno ad un ricordo, tesoro ultimo e puro
dispersi van così.

Il genio tuo dal volo largo, gentil, brillante
pari a rondin leggiera
or la terra sfiorava ed or dei cieli amante
spiegava l'ala altera.

Al par di me si estingue or tra i flutti frementi
e la sua forza langue
senza poter saldare i mutili frammenti
che strisciano nel sangue.

Novembre 1828.
$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%27%|XXVII. NURMAHAL LA FULVA|



No es bestia que non fus hy trobada.
LORENZO SEGURA DE ASTORGA.

Tra due rupi, ognuna oscura.
quel cespuglio, ogni stagion,
lo vedete irto in pianura
pari a ciuffo in lana pura
tra le corna di un monton?

Là ne l'ombre inesplorate
rugge il tigre, urla il cignal,
leonesse sgomentate
e pantere picchiettate
con le jene e lo sciacal.

Basilischi e in varie forme
mostri là soglion strisciar,
l'ippopotamo, epa enorme,
e il piton grosso e difforme
che un vivente albero par.

Gufi a rossi occhi e le vecchie
scimmie e serpi stan laggiù,
fischian quai sciamate pecchie;
l'elefanto a larghe orecchie
che col piè frange i bambù.

$La selvaggia orda bramito,
ronzio, mugghio udir vi fa,
corre il bosco urlo inudito,
manda ogni antro il suo ruggito,
in ogni erba un occhio sta.

Pure in tanto aspro recesso
nudo e sol meglio so star
che a Nurniabal la fulva presso,
che racconto ha sì dimesso
e sa l'occhio dolce far.

Novembre 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%28%|XXVIII. I GIMNI|



E come i gru van cantando lor lai
tacendo in aer di sé lunga riga,
così vid'io venir traendo guai
ombre portate dalla detta briga.
DANTE.

O forte
città,
la morte
vi sta!
Mar, venti
frementi
- dormenti
son là!

Lungo il piano
parmi udir,
notte, il vano
tuo respir;
grida o muore
come un cuore
cui l'ardore
suol seguir.

La più strillante
voce ha un tintin:
è un galoppante
$nano meschin,
saltella in prima
poscia si adima,
a un flutto in cima
danzando alfin.

E l'eco ineguale
dà un suono simil
d'un chiostro infernale
a un orrido squil,
qual frastuon di gente
che tuoni repente.
a volte strepente
a volte tranquil.

Che fracasso! è la voce
dei gimni sepolcral;
fuggiam con piè veloce
per la scala spiral!
La lucerna si estingue
e l'ombra esile o pingue
con mille acute lingue
sino alla volta sal.

Come turbine che passi
ve' de' gimni il nero stuol!
quasi ardenti pini i tassi
stridon sotto il loro vol.
Passan rapidi e pesanti
come fosche nubi erranti
coi lor fianchi sfavillanti
che han rapito i lampi al sol.
$Si appressan! quest'aula barrata
tenghiam ché ne sfidi l'ardir!
che strepito! orribile armata
di neri dragoni e vampir'!
La trave del tetto rovina
qual erba immollata di brina,
la porta sul suol si trascina
e sembra dai cardini uscir.

Grida inferne! ora piange, or tempesta
la coorte che l'euro spronò;
sul mio tetto, oh Dio buono! si arresta,
lo stuol nero le mura spezzò.
Vacillante, la casa è crollata,
par vederla da terra strappata,
quasi un'arida fronda spiccata
che nel vortice il vento portò!

Profeta, se salvo mi rendi
da questi notturni demòn,
innanti a quell'are ove splendi
domani cadrò ginocchion!
Deh, smorza a le fide mie porte
le loro scintille di morte,
e l'ugna di questa coorte
si franga su questo veron!

Son passati! il lor temuto
stuolo a fuga già si diè,
ed all'uscio il ripetuto
colpo cessa del lor piè.
$D'uno strider di catone
l'onda e l'aria qui son piene,
tra le selve e l'arse arene
gli olmi tremano con me!

Dei vanni allontanati
decresce il remigar,
tanto leggier sui prati,
e sì confuso par,
che chiurlar di civette,
strider di cavallette,
di grandine saette
ci sembra d'ascoltar.

E sillabe strane
ci giungono ancor
qual tra carovane
del corno il romor;
un canto innalzare
s'ode lungo il mare
e il bimbo nel lare
ha bei sogni d'òr.

Dei gimni a frotte
cui morte fé,
va ne la notte
rapido il piè;
lo strido abbonda,
così profonda
non vista un'onda
murmuri diè.
$Questo grido
che vien men,
vien dal lido
d'onde pien;
flebil pianto
per un franto
che ad un santo
geme in sen.

In lutto
sta il cor;
ma tutto
poi muor
man mano
lontano
l'arcano
romor.

Agosto 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%29%|XXIX. SULTANO ACHMET|



- Oh! permetti vezzosa fanciulla,
che io chiuda il mio collo con le
tue braccia. -
HAFIZ.

A Juana di Granata
che di canti si è cullata
in tal guisa Achmet parlò:
- Per Medina io ceder vo'
il mio serto, o bella fata,
ma per te questa darò! -

- Ti converti, o re temuto!
con un turco dissoluto
è sacrilego il piacer;
temo amandoti; il tributo
del peccato basta inver! -

- Per le gemme onde, se siedi,
il tuo collo adornar vedi
così candido e sottil,
vo' appagarti, o fior d'april,
se ch'io prenda tu concedi
per rosario il tuo monil.

Ottobre 1828.
$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%30%|XXX. ROMANZA MORESCA|



Dixo-le: dime, buen hombre
lo que preguntarte queria
#Romancero general.#

Don Rodrigo è sulla strada
senza usbergo e senza spada,
de la caccia ama goder.
È un meriggio estivo, afoso;
sta sull'erba l'orgoglioso
Don Rodrigo ardito e fier.

Freme il cor di rabbia intensa,
al bastardo moro ei pensa,
a Mudarra vivo ancor;
al nipote onde i fratelli
trucidò nei suoi tranelli,
sette Lara e sette fior'.

Per trovarlo alla campagna
tutta ei vuol correr la Spagna
da Figuera a Setuval;
l'un dei due cadrebbe spento:
sulla strada in quel momento
un uom transita a caval.

- Cavalier cristiano o moro
che stai sotto il sicomòro,
$Iddio stenda a te la man!
- Di sue grazie il tesor vero
su te il ciel versi, o scudiero,
dove i passi ti addurran!

- Cavalier cristiano o moro
che stai sotto il sicomòro
tra i cespugli del vallon,
il tuo dimmi nome vero
per saper se il tuo cimiero
è di un prode o di un fellon.

- Se di questo hai tu desio
don Rodrigo è il nome mio
che dai Lara si chiamò;
donna Sancia è mia sorella,
questo un prete, in sua favella,
al pio fonte dichiarò.

Del bastardo invan cercai,
Alba o Zàmora varcai,
or qui seggo ad aspettar
quel figliuol di rinnegata
che comanda una fregata
del re moro Aliatar.

Certo, ov'ei non fugga ratto,
lo ravviserò d'un tratto,
egli porta al fianco ognor
la fulgente daga avita,
l'elsa è d'agata abbellita
e la lama è nuda ancor.
$Sì, per Cristo e per Maria,
d'altra mano che la mia
quell'infame non morrà!
più non chiedo, più non brigo ".
- Sei tu dunque don Rodrigo
quei che i Lara uccise già?

Odi, dunque, o Signor mio,
chi ti parla qui son'io,
son Mudarra il tuo rival
che vien qui vendicatore;
fuggi! - e l'altro, derisore:
tardi giungi e per tuo mal! -

- Io, di rinnegata il figlio,
che il comando ho di un naviglio
del re moro Aliatar,
la mia daga e la vendetta
tre di cui ciascun t'aspetta,
siam qui! - Tardi ad arrivar!

- Per te sempre troppo presto,
don Rodrigo, se funesto
a te il vivere non è.
Tremi e sei pallido tanto!
A me il sangue ed al tuo santo
l'alma rea s'egli la vuol.

Se la lama di Toledo
mi soccorre e il Dio ch'io credo,
me un istante guata ancor!
$Tuo padron sono e signore
per strapparti, o traditore.
la nefanda alma dal cor!

Ve'! di Sancia ecco il nipote
nel tuo sangue spegner puote
questo ardor che il divorò;
a morir ti appresta, o zio,
tosto!... - O buon nipote mio,
buon Mudarra, attendi! io vo'

un istante affin che maglia
cinga e acciar per la battaglia;
- tanto indugio io vo' frappor
quanto dèsti ai miei fratelli;
gli accompagna negli avelli
dove gli hai gettati allor!

Se per l'ora che ti chiama
serbai nuda la mia lama,
sol voll'io boja infernal,
vendicar la rinnegata,
dar la tua gola esecrata
per guaìna al mio pugnal!

Maggio 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%31%|XXXI. GRANATA|



Quien no ha visto á Sevilla
no ha visto á maravilla.

Sia vicina, sia lontana.
sia spagnuola o musulmana,
non v'ha al mondo una città
che contenda, aperta o ascosa,
a Granata la vezzosa
il tesor de la beltà;
e che sotto un ciel di opale
maggior pompa orientale
o più grazia mostrar sa.

Ha Cadice le palme, Murcia gli aranci in fiore,
Jäen ha magion gotica con torrette in colore,
da Sant Edmondo eretto Agreda il monister,
Segovia ara e gradini baciati dai cristiani,
gli acquedotti a tre piani
per cui d'onde un torrente scende dal monte auster.

Torri ha Llers e Barcellona
erge un faro che incorona
la colonna sopra il mar;
d'Aragona ai prenci fida
all'avel Tudèlla affida
quello scettro ch'ei portar:
e Tolosa ha la fucina
$ che ne l'ora vespertina
infernal spiraglio par.

Il pesce che a l'antico Tobia già gli occhi aperse
scherza nel golfo donde qui Fontarabia emerse,
minareti Alleante a torri usa intrecciar;
Compostella ha la baja, Cordova ha i vecchi tetti
e la moschea superba coi suoi graniti eletti,
Madrid il Manzanar.

Là Bilbao cui cinge l'onda
dei suoi muschi ampi circonda
vecchio mura negre ognor;
qui Medina altera serba
la sua povertà superba
nel ducal suo peplo ancor,
e non ha che i sicomori;
i suoi ponti deve ai mori,
gli acquedotti a Roma in fior.

Ha di trecento chiese Valenza i campanili,
Alcantara l'austera fa tra brezze sottili
su l'antenne, turcheschi pennoni sventolar,
Salamanca si asside sopra tre poggi alpini,
e al suon di mandolini
dorme, ma gli studenti la fanno ridestar.

A San Pier Tortosa è cara;
pei suoi marmi sì preclara
è Puycerda senza par,
la Bastiglia Tuy corona,
$ mura antiche ha Tarragona
che i suoi principi fondàr:
ha il Duer Zamôra balda,
ha Siviglia la Giralda
e Toledo ha l'Alcazàr.

Pel suo sacro capitolo Burgos nel mondo suona,
Penaflor è marchesa e duchessa è Girona,
monaca è dai severi indumenti Bivar,
e la cupa Pamplona dal braccio a pugnar pronto
pria di addormirsi al raggio lunar fa sul tramonto
le suo torri serrar.

Queste fulgide spagnuole
città splendon tutto al sole
sulla Sierra o giù nel pian;
tutte han torri ed han campane
che le braccia musulmane
far vibrar vollero invan;
sulle vaste cattedrali
torri adergonsi spirali
ma l'Alambra esse non han.

Sì l'Alambra! l'Alambra! magion che genii strani
doraron come un sogno nei lor concenti arcani.
Castello che di merli diruti orlato appar;
ove la notte ascoltansi sillabe acute e vive
quando trifogli bianchi tra mille arabe ogive
dora il chiaror lunar.

Più stupori ignoti e strani
che non chicchi i melagrani
$ ha Granata sul Gentil;
ben tal nome le fu dato!
quando sventola infiammato
ne la guerra il suo vessil
scoppia ancor più formidata
della rutila granata
su l'ardente schiera ostil.

Di più bel né più grande niente han la terra e l'onda
sia che a Vivatobin Vivaconlud risponda
col sonoro tamburo dai sonaglini d'òr;
sia che di faci orlato simile ad un Califfo
erga il Generaliffo
il tetto che s'illumina la notte tra i baglior'.

De le sue torri vermiglie
fan le trombe meraviglie
d'api al par ch'euro fugò;
Alcacava ha mille e mille
per le feste eterne squille,
l'eco ovunque risuonò,
che di sue torrette in fondo
le dulzaine del giocondo
Albayzino ridestò.

Granata ecclissa in tutto le rivali. Granata
canta più mollemente la molle serenata,
gli ostelli suoi dipinge di più vivi color'
e credesi che l'alito vi sospendano i venti
quando, le sere estive, essa sui piani olenti
versa le donne e i fior'!
$ Ava sua l'Arabia è intanto:
e per lei, per lei soltanto
baldi i mori avventurier'
Asia ed Affrica avrian data;
ma cattolica è Granata
e si beffa d'essi inver;
e Siviglia nuova fora
se due pure il mondo ancora
ne potesse contener.

Aprile 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%32%|XXXII. I FIORDALISI|



Si es verdad o non, yo no lo he hy de ver
pero non lo quiero en olvido poner.
JUAN LORENZO SEGURA DE ASTORGA.

Mentre azzurra dei prati la stella
inolente, mescendo il suo raggio
alle spiche dorate del maggio,
smalta i solchi e la messe novella,
pria che mieta ogni fiore silvan
l'atra falce che tutto corrose,
su correte, fanciulle vezzose,
fiordalisi a raccoglier nel gran.

Sotto il cielo de l'Andalusia
Penafiel, de le molte sorelle
la più bella tra tutte le belle,
tra i covoni ed i muschi fioria.
Altre terre castella non han
più superbe su lande arenose,
su correte, fanciulle vezzose,
fiordalisi a raccoglier nel gran.

Né cristiana città trovereste
all'impero od al papa soggetta,
non convento con bruna torretta
cui non corran d'Ambrogio alle feste
con bordone, conchiglie e pastran
$pellegrin' dalle fronti rugose...
Su correte, fanciulle vezzose,
fiordalisi a raccoglier nel gran.

Non paese ove portin più fiori
come gemme, le donne sul fronte,
quando in danze a girare son pronte
o nasconder più fiamme nei cuori;
e tra nere mantiglie non dan
più saette pupille amorose,
su correte, fanciulle vezzose,
fiordalisi a raccoglier nel gran.

Quivi nata ora Alice, la perla
dei bei campi de l'Andalusia,
una pecchia prescelta l'avria
pel suo miel, quasi un fiore, a vederla.
Oggi è questo un ricordo lontan...
ne parlavan le genti orgogliose,
su correte, o fanciulle vezzose,
fiordalisi a raccoglier nel gran.

Ma giungeva un ardito straniero,
giovin, bello, egli vide la fata;
di Siviglia, di Murcia o Granata
era un moro sdegnoso ed altero?
Figlio è forse al selvaggio oceàn
dove Tunisi ha flotte famose?...
su correte, fanciulle vezzose,
fiordalisi a raccoglier nel gran.

$Niun lo seppe; la povera Alice
ne fu amata e l'amore gli rese,
e la valle di Xàrama intese
i lor dolci sospiri, si dice.
Essi erravan la sera sul pian
sotto il cielo tra i mirti e le rose,
su correte, o fanciulle vezzose,
fiordalisi a raccoglier nel gran.

La città, sedea cupa e lontana
e la luna, agli amori indulgente
dietro i chiostri e le torri silente,
salia pigra sull'ombra montana;
nel suo raggio pingevansi arcan
dei palagi le guglie nodose,
su correte, fanciulle vezzose,
fiordalisi a raccoglier nel gran.

Ma gelose frattanto, confuse
rimembrando il gradito straniero
sotto il gelso e l'arancio sul nero
suol danzavan le brune andaluse;
cetre e corni che musiche fan
anivamavan le coppie briose,
su correte, o fanciulle vezzose,
fiordalisi a raccoglier nel gran.

Nel suo nido l'uccello è dormente
cui minaccia feroce l'astore,
tal dormiva nel nido di amore
la bellissima Alice fidente;
$biondo e bello era il re don Juàn
il bel giovin che amore le impose...
su correte, fanciulle vezzose,
fiordalisi a raccoglier nel gran.

Ma dei prenci l'amore è fatale;
un bel giorno, per ordin severo
la gettaron su bruno destriero,
la strapparon dal nido natale.
Così volle il temuto sovran...
duro chiostro la bella nascose;
su correte, fanciullo vezzose,
fiordalisi a raccoglier nel gran.

Aprile 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%33%|XXXIII. FANTASMI|



Luenga es su noche y cerrados
están sus ojos pesados.
idos idos en paz, vientos alados!

I

Ahimè, quante fanciulle ho vedute morenti!
è destin! d'una preda uopo ha la fossa ognor;
uopo è che l'erba cada sotto falci taglienti,
uopo è che ne la danza le coppie folli, ardenti
pestin col piede i fior'!

Uopo è che a solcar valli stanchi l'onda gli umori,
che un istante la folgore splenda sul nostro ciel,
ch'invida primavera con sue brine ed algori
arda il pomo superbo dei suoi stellati fiori,
neve olente di april.

E la vita! succede livida notte al giorno,
ed ultimo il risveglio infernale o divin,
siede un'avida folla al gran convito intorno,
ma vuoto molti il posto lascian del bel soggiorno
senza aspettar la fin.


$II

Quante morir ne ho viste! l'una era rosea e bionda,
udir mistici accenti l'altra parea dal ciel,
l'altra a un braccio poggiava la sua fronte ingioconda,
quasi uccel che volando curvi la molle fronda,
l'alma avea franto il vel.

Preda al delirio fosco pallida un'altra, in pianto
un nome mormorava che niun ricorda più,
l'una par dileguarsi qual su la cetra un canto,
avea l'altra, spirando nel sorriso l'incanto
d'angel che torni su.

Fragilissime rose nate appena e già morte,
alcion' col mobil nido scomparsi in mare ostil,
colombe che a la terra il ciel largiva in sorte
che gli anni lor da infanzia e amor, da grazia scôrte
contavan dagli april!

Già morte! sotto i marmi già distese, obliate!
tant'esseri soavi senza sguardo o respir!
tante fiaccole spente, tante rose strappate,
oh calpestar lasciatemi le foglie disseccate
e tra i boschi smarrir!

Care larve! sovente ne l'ombre più profonde
se medito a me vengono a udirmi e a favellar,
dubbia luce il lor numero mi vela e mi nasconde
e i grandi occhi a traverso le fitte e fosche fronde
ne veggo sfavillar.
$L'anima mia sorella è ad ombre così belle,
più di vita o di morte legge per noi non v'è;
ora il lor piè sorreggo, ne assumo or l'ali snelle
vision dolce in cui morto io con loro ed elle
viventi son con me.

A tutti i pensier' miei la lor forma è modello,
io le vedo, lo vedo! esse bisbiglian - Vien!
poi danzano intrecciate intorno ad un avello
poi lento si dileguano ed un ricordo, in quello,
vivo mi punge il sen.


III

Una su tutte! un angelo, una bimba spagnuola,
man candido, sen turgido d'innocenti sospir',
nera pupilla fulgida dal guardo di creola
e quel nimbo incantevole che intorno a un fronte vola
che tre lustri abbellîr.

No, non morì di amore! di amore la facella
ancor non le accendeva né gioja né dolor,
nulla pulsar faceva quell'anima rubella,
niuno a l'orecchio, quando sclamavan tutti: è bella! -
gliel susurrava ancor.

Troppo ella amò la danza, e questo l'ha perduta,
la danza luminosa, delizia senza par
dolcemente agitata la sua cenere muta
fremo se in notte limpida danza nube canuta
presso al disco lunar.
$Troppo ella amò la danza! al venir d'una festa
tre notti eran di sogni, tre giorni di pensier',
danzator', musicisti e donne in bianca vesta
nel sonno conturbavano quella giovine testa
con risa a l'origlier.

Eran poi gemme e splendidi monili, stupor' veri,
e seriche cinture dal fulgido ondeggiar,
tessuti d'ali d'api più fragili e leggieri,
nastri, festoni e fiori da colmarne panieri
da magioni comprar.

Schiudevasi la festa: tra le compagne care
ella correa, la ventola stringendo con la man
quindi tra sciarpe seriche sedeva ad aspettare
ed esultava il cuore in allegre fanfare
presso all'orchestra imman.

E bello era il vedere danzar la giovinetta
e le azzurre pagliuzze il giubetto agitar,
sotto nera mantiglia i neri occhi saetta,
così duplice stella sopra un'alpina vetta
se in fosca nube appar.

In lei tutto era danza e riso e gioja folle,
l'ammiravam bambina negli ozii nostri auster',
poiché non tra le danze il cor s'apre e s'estolle,
la cener vola al serico sajo fulgido e molle
e la noja al piacer.

Ma tratta ora dal vortice della danza girante
volava, indi rediva mancandole il respir,
$ebbra dei dolci accordi del flauto affascinante,
dei fior', dei candelabri d'oro, del suon festante
dei passi e del garrir.

Che gioja di slanciarsi tra la folla, smarrita,
sentir, danzando, il cuore moltiplicarsi in sen
ed ignorar se girisi entro nube romita,
se posi il piè su mobile flutto o con ala ardita
fugga il natio terren.

Ahimè! partire alfine col primo albore incerto
dovea, su l'uscio il serico suo mantello aspettar;
la danzatrice ingenua allor de l'etra aperto
sentì con lieve brivido su l'omero scoperto
la fredda aria frizzar.

A lieta danza ahi quale triste doman succede!
Addio, le risa e il ballo e il serico mantel,
la tosse senza tregua al canto seguir vede,
al piacer fresco e roseo livida febbre e siede
sui chiari occhi atro vel.


IV

Morta! a tre lustri! bella, felice ed adorata
morta da un ballo uccisa che in lutto ci gettò
morta e da le materne braccia con man gelata
la morte ne l'avello, di bei zendadi ornata,
ahimè l'addormentò!

$Per altre danze ell'era agil, pronta, secura
sì ratta fu la morte quel bel corpo a rapir!
le fresche rose efimere della sua fronte pura,
sbocciate alla vigilia, entro una tomba oscura
la dimane appassîr!


V

La sua misera madre, ahi! del suo fato ignara
avere in fior sì fragile messo cotanto amor!
aver tanto vegliato su quell'infanzia cara
tergendone la notte ogni lagrima amara
quando era in culla ancor!

A che valse? la bella estinta giovinetta
sotto il funereo piombo preda del verme fral,
or dorme e nella lugubre fossa dov'ella aspetta
qualche festa dei morti solo è a destarla eletta
nella notte invernal.

Uno spettro da un riso orrendo illuminato
grida - è l'ora! - e l'attende, di madre invece, alfin,
preme il suo labbro livido con bacio assiderato
e le dita scheletriche nel lungo, inanellato
passa e fluente crin.

Tremante egli la guida alla danza fatale,
al volivolo coro sbucato da l'avel,
la luna bianca e pallida nel cielo grigio sale
e l'iride notturna dà riflessi di opale
di nubi al niveo vel.
$VI

Voi tutte cui la danza ai ludi allegri invita,
pensate alla spagnuola che non tornerà più;
la fanciulla felice e in estasi sopita,
piacer, beltà mieteva, le rose de la vita,
amore e gioventù!

Tratta di festa in festa, povera bimba alata
di mazzolin sì bello armonizzò i color':
ma come passò presto ahimè la sconsolata!
essa, pari ad Ofelia da l'onda trasportata,
morta è cogliendo fior'!

Aprile 1828

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%34%|XXXVI. FANTASTICANDO|



Lo giorno se n'andava e l'aer bruno
toglieva gli animai che sono in terra
dalle fatiche loro........
DANTE

Oh! lasciatemi, è l'ora che il tumido orizzonte
di vapor sotto un cerchio cela l'inegual fronte,
l'ora in cui sembra il sole, arrossando, sparir;
solo il gran bosco giallo indora la collina
e par nella stagione ove autunno declina,
che la pioggia ed il solo le selve irruginîr.

Oh! chi farà laggiù sorger subitamente
mentre io solo al verone sogno confusamente,
mentre nella corsia l'ombra crescendo va,
qualche città moresca splendida, strana, rude
che, simile ad un razzo che in un covon si schiude,
squarci con frecce d'oro questa nebbia che sta?

Oh, ch'ella sorga, o Genii, a ravvivar le mie
canzon', d'autunno simili a brume fosche e rie,
i suoi riflessi magici nel mio sguardo a gettar;
e a lungo poi, spegnendosi, tra romor' soffocati,
con le sue mille torri sui palazzi incantati.
il livido orizzonte di brume a dentellar!

Settembre 1828.
$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%35%|XXXVII. ESTASI|



Et audivi post me vocem magnam
tamquam tubae.
#Apocalypsis,# Cap. I, vol. 10.

Ero in notte stellata sopra il lido a vegliare,
nessuna nube in cielo, niuna vela sul mare,
l'occhio errava del mondo oltre il visibil vel,
e le foreste e i monti e l'universo effuso
interrogar parevano con murmure confuso
del mar l'onde e del ciel.

Le stelle d'oro, innumere stuol per superne vie,
gridando o bisbigliando e tra mille armonie
dicevano, abbassando serti di fiamme e d'òr,
e i flutti azzurri, cui niun dar legge presume,
dicevan, ritorcendo di lor creste le spume:
- o Dio grande, è il Signor! -

Novembre 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%36%|XXXVIII. IL POETA AL CALIFFO|



Et omnes habitatores terrae apud
eum in nihilum reputati sunt;
juxta voluntatem enim suam facit
tam in virtutibus coeli quam in
habitatoribus terrae; et non est
qui resistat manui ejus, et dicat
ei: Quare fecisti?
DANIEL, IV, 32.

O Nureddin, califfo che Dio dilige e bea,
tuo l'impero è del Centro da la sponda eritrea
al fiume giallo, o Re;
tutti i re della terra al tuo viso rivolti
lastrican con le fronti prostrate, qui raccolti,
la via che adduce a te.

È vasto il tuo serraglio, le ajuole tue son belle
ed occhi han le tue donne vivide come stelle
che brillan per te sol;
quando, astro imperiale, sul popolo sgomento
splendi, ti stanno intorno i figli tuoi - trecento
pianeti intorno al sol.

Sul tuo capo un pennacchio cinge il verde turbante,
e sotto il tuo verone tu puoi, stuolo danzante,
dentro il bagno veder
di Madràs le fanciulle qual balsamico olezzo
$e le figlio di Aleppo sul sen d'ebano un vezzo
di bianche perle aver.

Largo il tuo brando e nudo crescer ne la tua mano.
sembra e scintilla in seno alla battaglia; è vano
ch'altri lo franga o avvalli;
quando più ferve irata la mischia ove tu corri,
quand'alzan gli elefanti, cozzando le lor torri,
su lor trombe i cavalli.

Una fata nascondesi in quanto tu qui vedi.
Dal cielo la tua voce, quando tu parli o incedi.
direbbesi discosa.
Lo stesso Allah ti ammira; di qual piacer tu vuoi
empie la coppa d'oro che tutti i giorni tuoi
han l'uno all'altro resa.

Ma spesso nel tuo cuore, raggiante Nureddino,
un pensier triste sorge e taci e il tuo divino
volto gelido appar;
tal nel meriggio, a volte, mentre il sol vibra appieno,
la luna, astro dei morti, ne l'azzurro sereno
suol pallida spuntar.

Ottobre 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%37%|XXXIX. BUNABERDI|



Grande quanto il mondo.

Bunaberdi, sultano dei franchi occidentali,
che in nero manto avvolgono del Simun le grand'ali,
sulle vette giganti, gigante ei stesso va;
spesso su arene e mari erra l'occhio profondo,
e abbraccia con lo sguardo le due metà del mondo
distese nell'abisso che sotto il piè gli sta.

Egli è ritto, egli è solo su la vetta sublime
e festeggiato a destra dal deserto che opprime
con nuvoli di polvere gli occhi sereni ognor;
da la sinistra il mare ond'era ospite un giorno
la sua voce profonda innalza a lui d'intorno
qual lieto can che latri appiè del suo signor.

E il vecchio imperatore cui destano in quel sito
quella nube sugli occhi, quel romore all'udito,
sogna e pari a l'amante che a l'amante ha il pensier,
esser crede un'armata innumere che tanto
fragor generi e polve per l'ombra sua soltanto
sotto ciel grigio errando per eterno sentier!

PREGHIERA

Oh, se a sognar tu riedi un dì sulla montagna,
deh, guata, o Bunaberdi, laggiù nella campagna
$la tenda mia del Sahra sul romoroso mar!
figlio nudo ma libero sono del Càiro altero
e quando io grido: - Allah! - vola il mio buon corsiero
e fa sotto le palpebre due tizzi scintillar!

Novembre 1828.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%38%|XL. EGLI|



J'étais géant alors et haut de cent coudées.
BONAPARTE

I

Ei sempre! egli dovunque! or gelida, ora ardente
l'immagin sua sublime agita la mia mente,
nel mio spirito infonde l'alito creator;
io tremo e sul mio labbro la parola strabbonda
quando il suo nome immenso che un nimbo d'òr circonda
si rizza nel mio verso, quasi un'areca in fior!

Là lo vegg'io spronando l'obice a corse indome,
là massacrando il popolo dei regicidi in nome,
là soldato, troncando dei tribuni il cammin;
là, fiero e giovin console dalle veglie smagrito,
cui fantasmi d'impero aveano impallidito
sotto il suo nero crin.

Imperator possente poi da la testa china
la tenzon dirigendo da qualche alta collina,
promettere una stella dei suoi prodi al valor;
ai bronzi che gettavano vive fiamme accennando
seicento mila cuori col suo cuore animando,
vincer grave e sereno degli occhi col fulgor!

$Poi gramo prigioniero ch'altri beffa e tormenta,
chiude le pigre braccia sul seno che fermenta
preda a vili aguzzini, pari a vil masnadier,
vinto, calvo, curvando la fronte corrugata,
portar l'opra una rupe d'atri nembi solcata,
nembo eterno, il pensier!

Colà, quanto sublime! quando, grandezza infranta,
dei galeotti inglesi misero scherno, in tanta
sventura ei, ritemperato, serbasi ritto in piè;
tien sospesi due mondi del suo passo il romore
ed esule in Sant'Elena, come l'aquila ei muore
senz'aria in quella gabbia dove l'han chiuso i re!

Quanto grande è in quell'ora che presso al Dio vivente
una suprema lagrima stilla l'occhio morente,
la vecchia armata egli evoca che per lui piangerà:
si duol coi suoi guerrieri di non morire in guerra
e, tolto per sudario il suo mantel, sotterra
dal campo a passar va!


II

A Roma ove al Senato è seguito il conclave,
a l'Elba ora nevosa or nera per le lave,
dal sorridente Alambra al minace Kremlin,
egli è dovunque! al Nilo io lo ritrovo ancora,
risplendon le piramidi della sua vasta aurora,
l'imperial sua stella s'innalza ad Orto alfin!

$Ardente e vincitore nel fulgor dei prestigi,
prodigio, il mondo intero stupì coi suoi prodigi
veneravan gli sceikki l'imberbe e cauto emir,
il popol ne temeva le schiere formidate,
le tribù, qual Mahoma d'occidente, abbagliate
lo videro apparir!

Il lor magico sogno già chiese la sua storia,
e già l'araba tenda piena è de la sua gloria,
a lui compagno ardito era ogni beduin.
Accordano i bambini, volti alle nostre piagge
sui tamburi francesi le lor marce selvagge,
al suo nome i cavalli scuoton, nitrendo, il crin.

Talor, tratto dal nembo numida suo vassallo,
prendendo la piramide maggior per piedestallo,
il deserto ei contempla, vasto arenoso mar;
là l'ombra sua destando l'enorme tomba infranta
per le battaglie nuove ama lassù, quaranta
età rievocar!

- Rizzatevi! - egli grida e tosto ogni età sorge,
questi è di acciaro armato, quello lo scettro porge,
faraon', magi, satrapi cui la morte freddò;
impolverati, immobili, muti ei li conta e guarda
tutti fanno, adorando quella fronte gagliarda,
degli evi al re corteo col tempo che passò.

De l'uomo incancellabile così sotto le piante
è tutto un monumento! - ei su la sabbia errante
passa: il flutto che copre Assur che importa? e che
$d'aquilon lo flagellino eternamente l'ale?
sopra il mobil deserto orme imprime immortale
il colossal suo piè!


III

O storia! o tempo! ei tiene le vostre eccelse cime,
confuso, io non riesco in quel mondo sublime
nulla agitar di grande senza il suo nome udir;
ah sì! quand'ei mi appare adorato o compianto,
su le mie labbra ardenti si precipita il canto
Napoleon, tu sole, io tuo Mennona, o Sir!

Tu l'età, nostra invadi: Satana o dio che importa?
l'aquila tua nel volo ansando ci trasporta;
fin chi ti fugge, ovunque ti riconoscerà!
tu l'ombra tua projetti sui nostri quadri, invitto,
sempre Napoleone cupo, abbagliante, ritto
sul secol nostro sta.

Tale, se del Vesèvo la regïon frugando
va da Napoli a Portici il viatore errando,
quando pensoso ei turba con l'importuno piè
Ischia che dei suoi fiori le liete onde profuma,
di cui, mista agli olezzi, sembra la molle spuma
di sultana amorosa chiudere il canto in sé!

Quand'egli i tempj diruti mira e di Pesto il colle
quando ascolta a Pozzuoli la serenata molle,
cantar la tarantella lungo un muro toscan,
$quando quella egli desta città mummificata
Pompei, freddo cadavere di ninfa addormentata
che un dì spense il vulcan.

Quando verso Posilipo con l'agil prua tornando
bruno nocchier va il Tasso a Virgilio cantando,
sempre sotto le fronde verdi, sui muschi e i fior',
sempre dal mar, dai prati ricchi di olezzi e d'erbe,
vede da le penisole, da le rupi superbe
fumar fosco il gigante sull'orizzonte ognor!

Dicembre 1827.

$@Victor Hugo, Le orientali e altre poesie
%39%|XLI. NOVEMBRE|



Io le dissi: la rosa del giardino,
come sai, darà poco; e la sta-
gion delle rose è prestissimo
passata.
SADI.

Quando autunno, accorciando i dì ch'esso divora,
gl'ignei vespri ne spegne o ne agghiaccia l'aurora,
quando il brumal Novembre offusca il ciel seren,
quando fremon le selve e nevican le fronde,
nel mio cor, Musa mia, resti in calme profonde
qual bimbo intirizzito che scaldi al fuoco il sen.

E innanti al verno rigido che Lutezia sprigiona
l'oriental tuo sole si ecclissa e ti abbandona,
il tuo bel sogno d'Asia dilegua e l'occhio uman
non vede che la via dai frastuoni strepenti,
la nebbia sui veroni, flutti di fumo ardenti
che in fuga gli anneriti tetti bagnando van.

Fuggono allora a torme i sultan', le sultane,
le palme, le piramidi, le rapide tartane
e col vorace tigre il cammello frugal,
ginni dal vol frenetico, danze di bajadere,
curvo sul dromedario l'arabo cavaliere
e la fulva giraffa dal galoppo inegual.
$Allor bianchi elefanti carchi di donne brune
città dai tempj d'oro che i mesi han da le lune,
imani, magi, preti di Mahoma o di Bel,
tutto fugge e dispare - non moschee fulgenti,
non più fioriti aremi, non più Gomorre ardenti
onde il raggio vermiglio illumina Babel.

È Parigi, è l'inverno! Alla strofe confusa
emir, pascià, odalisca tutto nega la Musa,
in questo gran Parigi manca ai clefti il respir;
il Nil travaserebbe, di Bengala le rose
treman qui dove mai la cicala rispose;
le Peri a questo sole vedresti intirizzir.

Del tuo vivo oriente allor tu nel rimpianto
timida, sola ignuda, Musa, mi posi accanto;
- Non hai tu dunque, amico, nel tuo giovine cor,
mi dici, altre canzoni? il tedio mi consuma.
vedendo i vetri bianchi molli di pioggia e bruma
io che sui miei veroni avevo un solo d'or! -

Nelle tue mani diafane poi stringi le mie mani,
allor sediamo e lungo dagli sguardi profani
offro tra i miei ricordi solo i più dolci a te.
L'infanzia, i vispi giuochi, la scuola indi e la cella,
e i lunghi giuramenti di qualche bimba bella
oggi madre felice che un altro stringe a sé.

Ed io ti narro come a l'orme Feugliantine
altro volte tinnirono per me squille argentine,
come errò fresca e rude là la mia libertà;
$come, trilustre, a volte entro la notte bruna
gli occhi appuntai pensoso in quelli de la luna
quale al tepor notturno un fior s'apre in està.

Poi l'agile altalena col piè spinger lontano
mi vedi, mentre scosso grida il vecchio castano
e volar, di mia madre incessante terror;
poscia io ti dico i nomi degli amici di Spagna,
Madrid e il suo collegio che al tedio si accompagna
e le lotte infantili pel grande Imperator.

Poscia mio padre e quindi qualche fanciulla in fiore
morta a tre lustri quando negli occhi è lo splendore.
ma più gli amor' tu chiedi de la novella età,
fresca farfalla a cui la lieve ala di fata
dal dito che la ferma è sì presto sciupata
sciame dorato a cui Dio solo un giorno dà!

Novembre 1828.







搜尋引擎讓我們程式搜尋結果更加完美
  • 如果您覺得該文件有幫助到您,煩請按下我
  • 如果您覺得該文件是一個一無是處的文件,也煩請按下我

  • 搜尋引擎該文件您看起來是亂碼嗎?您可以切換編碼方式試試看!ISO-8859-1 | latin1 | euc-kr | euc-jp | CP936 | CP950 | UTF-8 | GB2312 | BIG5 |
    搜尋引擎本文件可能涉及色情、暴力,按我申請移除該文件

    搜尋引擎網址長?按我產生分享用短址

    ©2024 JSEMTS

    https://tw.search.yahoo.com/search;_ylt=A8tUwZJ2QE1YaVcAUmFr1gt.;_ylc=X1MDMjExNDcwNTAwMwRfcgMyBGZyA3lmcC10LTkwMC1zLXR3BGdwcmlkAwRuX3JzbHQDMARuX3N1Z2cDMARvcmlnaW4DdHcuc2VhcmNoLnlhaG9vLmNvbQRwb3MDMARwcXN0cgMEcHFzdHJsAwRxc3RybAM4NARxdWVyeQMlRTglQjYlODUlRTUlOEYlQUYlRTYlODQlOUIlRTclOUElODQlRTUlQUYlQjYlRTUlQUYlQjYlMjAlRTglODMlQTElRTUlQUUlODklRTUlQTglOUMEdF9zdG1wAzE0ODE0NTc3OTM-?p=%E8%B6%85%E5%8F%AF%E6%84%9B%E7%9A%84%E5%AF%B6%E5%AF%B6+%E8%83%A1%E5%AE%89%E5%A8%9C&fr2=sb-top-tw.search&fr=yfp-t-900-s-tw&rrjfid=2973361 https://tw.search.yahoo.com/search;_ylt=A8tUwYgkQU1YcXoAUE9r1gt.;_ylc=X1MDMjExNDcwNTAwMwRfcgMyBGZyA3lmcC10LTkwMC10dwRncHJpZAMxWU5tY2FYMVFGQ2ZvUXZGN1N0bzVBBG5fcnNsdAMwBG5fc3VnZwMwBG9yaWdpbgN0dy5zZWFyY2gueWFob28uY29tBHBvcwMwBHBxc3RyAwRwcXN0cmwDBHFzdHJsAzQ4BHF1ZXJ5AyVFNiVBRCVBMSVFNiVBRCU4QyUyMCVFNSVCMCU4OCVFNiU4MyU4NSVFNSU5QyU5OAR0X3N0bXADMTQ4MTQ1Nzk3Ng--?p=%E6%AD%A1%E6%AD%8C+%E5%B0%88%E6%83%85%E5%9C%98&fr2=sb-top-tw.search&fr=yfp-t-900-tw&rrjfid=6877441 https://tw.search.yahoo.com/search;_ylt=A8tUwYgkQU1YcXoAUE9r1gt.;_ylc=X1MDMjExNDcwNTAwMwRfcgMyBGZyA3lmcC10LTkwMC10dwRncHJpZAMxWU5tY2FYMVFGQ2ZvUXZGN1N0bzVBBG5fcnNsdAMwBG5fc3VnZwMwBG9yaWdpbgN0dy5zZWFyY2gueWFob28uY29tBHBvcwMwBHBxc3RyAwRwcXN0cmwDBHFzdHJsAzQ4BHF1ZXJ5AyVFNiVBRCVBMSVFNiVBRCU4QyUyMCVFNSVCMCU4OCVFNiU4MyU4NSVFNSU5QyU5OAR0X3N0bXADMTQ4MTQ1Nzk3Ng--?p=%E6%AD%A1%E6%AD%8C+%E5%B0%88%E6%83%85%E5%9C%98&fr2=sb-top-tw.search&fr=yfp-t-900-tw&rrjfid=7378743 https://tw.search.yahoo.com/search;_ylt=A8tUwYgkQU1YcXoAUE9r1gt.;_ylc=X1MDMjExNDcwNTAwMwRfcgMyBGZyA3lmcC10LTkwMC10dwRncHJpZAMxWU5tY2FYMVFGQ2ZvUXZGN1N0bzVBBG5fcnNsdAMwBG5fc3VnZwMwBG9yaWdpbgN0dy5zZWFyY2gueWFob28uY29tBHBvcwMwBHBxc3RyAwRwcXN0cmwDBHFzdHJsAzQ4BHF1ZXJ5AyVFNiVBRCVBMSVFNiVBRCU4QyUyMCVFNSVCMCU4OCVFNiU4MyU4NSVFNSU5QyU5OAR0X3N0bXADMTQ4MTQ1Nzk3Ng--?p=%E6%AD%A1%E6%AD%8C+%E5%B0%88%E6%83%85%E5%9C%98&fr2=sb-top-tw.search&fr=yfp-t-900-tw&rrjfid=2255045 https://tw.search.yahoo.com/search;_ylt=A8tUwZJ2QE1YaVcAUmFr1gt.;_ylc=X1MDMjExNDcwNTAwMwRfcgMyBGZyA3lmcC10LTkwMC1zLXR3BGdwcmlkAwRuX3JzbHQDMARuX3N1Z2cDMARvcmlnaW4DdHcuc2VhcmNoLnlhaG9vLmNvbQRwb3MDMARwcXN0cgMEcHFzdHJsAwRxc3RybAM4NARxdWVyeQMlRTglQjYlODUlRTUlOEYlQUYlRTYlODQlOUIlRTclOUElODQlRTUlQUYlQjYlRTUlQUYlQjYlMjAlRTglODMlQTElRTUlQUUlODklRTUlQTglOUMEdF9zdG1wAzE0ODE0NTc3OTM-?p=%E8%B6%85%E5%8F%AF%E6%84%9B%E7%9A%84%E5%AF%B6%E5%AF%B6+%E8%83%A1%E5%AE%89%E5%A8%9C&fr2=sb-top-tw.search&fr=yfp-t-900-s-tw&rrjfid=7061903 https://tw.search.yahoo.com/search;_ylt=A8tUwZJ2QE1YaVcAUmFr1gt.;_ylc=X1MDMjExNDcwNTAwMwRfcgMyBGZyA3lmcC10LTkwMC1zLXR3BGdwcmlkAwRuX3JzbHQDMARuX3N1Z2cDMARvcmlnaW4DdHcuc2VhcmNoLnlhaG9vLmNvbQRwb3MDMARwcXN0cgMEcHFzdHJsAwRxc3RybAM4NARxdWVyeQMlRTglQjYlODUlRTUlOEYlQUYlRTYlODQlOUIlRTclOUElODQlRTUlQUYlQjYlRTUlQUYlQjYlMjAlRTglODMlQTElRTUlQUUlODklRTUlQTglOUMEdF9zdG1wAzE0ODE0NTc3OTM-?p=%E8%B6%85%E5%8F%AF%E6%84%9B%E7%9A%84%E5%AF%B6%E5%AF%B6+%E8%83%A1%E5%AE%89%E5%A8%9C&fr2=sb-top-tw.search&fr=yfp-t-900-s-tw&rrjfid=1799316