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Luciano De Crescenzo
Vita di Luciano De Crescenzo scritta da lui medesimo



Premessa

Da bambino ho passato la maggior parte del mio tempo a giocare sul balcone
della camera dei miei genitori. Abitavo sul lungomare e, mentre giocavo,
vedevo il golfo di Napoli con i suoi ingredienti piscontati: le barche, i
pescatori, il sole, il mare, il Vesuvio, Capri, Sorrento e Posillipo. Oggi ho
imparato che queste cose non bisogna nemmeno nominarle perchsono tutte
folcloristiche, ma a quei tempi, quando non sentivo ancora il bisogno di
essere originale, mi piacevano moltissimo e restavo ore e ore a guardarle
come si puguardare ilfuoco di un camino.
Avevo uno zio sonnambulo che di notte si alzava, attraversava la nostra
camera da letto, apriva le imposte e, una volta affacciatosi al balcone, si
svegliava e si metteva a cantare con quanto fiato aveva in gola:
Bella, stanotte te sfrato e sposo, stanotte Ammore e Dio songo una cosa.
Dicono gli astrologi che il carattere di un individuo influenzato dalla
posizione che hanno gli astri nel giorno della sua nascita; sarpure,
rispondo io, ma poi aggiungo: e le canzoni, e il clima, e il mare, e gli zii,
che sono tanto pivicini ai nostri sensi, puessere che non contino nulla?
Ho avuto una esistenza varia e, finora, grazie a Dio, anche abbastanza
felice. Volendola sintetizzare al massimo, in soli dieci punti, dovrei poter
elencare, in ordine cronologico: la famiglia, il quartiere, la guerra, gli
amici, gli amori, l'universit l'IBM, il mestiere di scrittore, il cinema e
la filosofia: chepoi, guarda caso, sono anche i titoli dei capitoli di questo
libro. Trattasi, comunque, di una vita divisa in due tronconi: quella prima e
quella dopo la pubblicazione di CosparlBellavista e a tale proposito ho
da raccontarvi un sogno, anzi, un incubo.
Non sono piuno scrittore, un regista, un personaggio pubblico... sono di
nuovo un ingegnere della IBM, non ho la barba, mattina e mi sono appena
svegliato. Guardo l'orologio sul comodino e mi accorgo che sono le 8.15:
tardissimo, ho riunione di filiale alle 9 e debbo ancora lavarmi, radermi,
far colazione, vestirmi, prendere l'auto e arrivare fino in via Orazio.
Entro in ufficio alle 9.25. Calcolo che quei maledetti avranno cominciato da
almeno quindici minuti. Lancio il soprabito su una poltroncina dell'ingresso
distante tre metri e miprecipito verso la sala riunioni. La signorina
Aurilia, la mia fedele segretaria, m'insegue premurosa lungo il corridoio per
avvisarmi che lei, di sua iniziativa, aveva gicomunicato all'ingegn
Mariani che io, quella mattina, avevo avuto qualche linea di febbre.
Lui in piedi, accanto a una lavagna luminosa, e sta` presentando la nuova
campagna vendite: DCS: a vederlo cosindifferente, pacato, sembrerebbe che
non si sia nemmeno accorto del mio ritardo; io, invece, che lo conosco da
sempre, so che incavolato nero e che sta gipensando a cosa dovrdirmi
quando saremo a quattrocchi nel suo ufficio.
Per un attimo, infatti, un impercettibile attimo, ha rallentato il suo speech
e ha coperto la pausa con un colpo di tosse.
Mi seggo accanto a Peppe Imperiali. a campagna di fine anno promuove le
vendite DCS sul territorio dice nel frattempo Mariani. gni salesman avra
un impegno proporzionale alla sua quota hardware...Cerco di seguire ma non
riesco a concentrarmi piu di tanto: ho ancora negli occhi un bellissimo sogno
che ho appena dovuto interrompere per correre in ufficio..
ai che cosa ho sognato stanotte?bisbiglio a Peppe Imperiali.
opo, dopo, adesso fammi sentirerisponde lui e mi zittisce.
Avevo sognato tutto quello che mi accaduto in questi ultimi dieci anni: il
successo editoriale di CosparlBellavista, le esperienze televisive, le
regie dei film e via dicendo.
Appena l'ingegner Mariani esce dalla sala riunioni, prendo il suo posto e
racconto ogni cosa ai colleghi.
er strada vemvo riconosciuto dai passanti.. mi chiedevano l'autografo.
tu glielo davi?mi chiede Imperiali.
erto che glielo davo: ero diventato molto popolare anche grazie alla
televisione. econdo me, questo un sogno che non sta in piedi.obbietta
Giovanni Morini.
ome potevi diventare popolare in ltalia con un libro che parla solo di
Napoli?n Italia?ribatto io. uoi dire nel mondo: e gia, perchio,
caro Morini, nel sogno, ero ai primi posti nelle classifiche dei bestseller
tedeschi, e poi vendevo libri in Spagna, in Svezia, negli Stati Uniti, in
Australia, in Giappone. .. adesso vendevi pure in Giappone.esclama
lui sghignazzando. e li immagini tu i giapponesi che si leggono le
avventure del professor Bellavista!roprio cos vendevo pure in Giappone.
Nel sogno ero stato tradotto in quindici lingue e pubblicato in trentacinque
paesi. il premio Nobel te l'avevano dato?mi chiede lui ridendo.
o, ma non detta l'ultima parolarispondo io serafico, e poi preciso:
nche perchil mio un sogno ricorrente, non finisce mai. Chi ti dice che,
in una delle prossime notti, nel sogno, non alzi il tiro delle mie ambizioni?
Tanto a me che mi costa: io non faccio a tempo a chiudere gli occhi che gi
comincio a sognare..
ai fatto pure il regista?e sono diventato amico intimo di molte
attrici bellissime!ll'anima della palla.esclama Peppe Imperiali.
desso le attrici diventavano intime con te.roprio cos intime,
intime... io, per discrezione, in ` questo momento non voglio far nomi,
per. ai a Napoli come si dice?m'interrompe Carlo Mazzocca.
..'A vecchia chella ca vo, chella se sonna." La vecchia si sogna tutto
quello che desidera, e tu coshai fatto. ai conosciuto pure Fellini?mi
chiede Morini.
erto che l'ho conosciuto. lui ti salutava? perchnon mi doveva
salutare? Anzi, sai che ti dico:
secondo me, mi voleva pure bene. E stato lui a dire ai tedeschi "pubblicate
la Filosofia greca di De Crescenzo". a perch nel sogno, hai pubblicato
pure libri di filosofia?n paio. tu che ne capisci di filosofia?
Ebbene, dovete credermi: il mio incubo un sogno cosreale, ma cosreale,
che sul serio non riesco pia capirquand'che sto sognando e quand'che
invece sono sveglio: scrittore, ingegnere, scrittore, ingegnere, scrittore,
ingegnere, una volta sono l'uno, una volta sono l'altro. Vado a letto e mi
sembra di dover correre in ufficio, mi riaddormento e ho l'impressione di
essere in ritardo con la consegna del manoscritto a Paolo Caruso, l'editor
della Mondadori. Cerco freneticamente sulle terze pagine dei giornali un
articolo che parli di me, una citazione, la recensione di un critico, magari
anche cattiva, purchmi dia la prova che sono davvero uno scrittore, e non
ne trovo nessuna. Che fare? Ho deciso: mi uccider mi sparerun colpo di
rivoltella alla tempia. Lo far sia chiaro, solo guando mi sembrera di
essere scrittore, cosdelle due l'una: o stato un sogno (e non mi sono
ucciso) o sono morto da vero scrittore.

L.D.C.

La famiglia

Una famiglia non si sceglie: nasci e te la trovi intorno che ti sorride.
Buoni o cattivi che siano, i parenti non si possono permutare come se fossero
auto. Io sono stato fortunato:
erano tutte persone di animo gentile.
Sono nato e cresciuto in una casa piena di gente. Quando ci riunivamo per il
pranzo sembrava sempre che ci fosse una festa. A capotavola, a impartirci due
volte al giorno la benedizione con l'acqua santa, si piazzava la nonna
materna. Ci guardava per un attimo con l'occhialetto, per vedere se eravamo
tutti attenti, e poi biascicava qualcosa in latino che non sono mai riuscito
a capire. Era una vecchietta piccola di statura, ma coseretta nel
portamento da sembrare quasi alta: aveva i capelli argentati e un nastrino di
velluto nero intorno alla gola. Alla sua destra si accomodavano mio padre,
mia madre e mia sorella Clara, e sulla sinistra i miei tre zii singles: zio
Luigi, zia Olimpia e zia Maria. All'altro capo della tavola stavamo seduti io
e Rosa, la mia balia ciociara. Rosa faceva parte integrante della famiglia da
molti anni e mangiava con noi. Chi invece non mangiava mai con noi, ma in
cucina, era la cameriera numero due, continuamente sostituita perchsempre
sospettata di aver rubacchiato.
Questa delle cameriere ladruncole era una fissazione di mia madre che, a ogni
nuova assunzione, s'informava direttamente presso l'interessata.
oi rubate?o signrispondeva la poveretta.
h, meno male!esclamava mamm tirando un sospiro di sollievo. erchse
rubavate, con tutto il cuore, ma non vi potevamo tenere. E poi penso che pure
a voi non vi sarebbe convenuto. Noi qua, figlia mia, teniamo tutto contato:
soldi, posate, biancheria, fazzoletti... non c'niente che ci sfugge.Rosa,
non solo non rubava, ma veniva mensilmente derubata da noi in quanto non
riceveva alcuno stipendio.
che se ne deve fare di uno stipendio?rispondeva mia madre a chi la
rimproverava per la sua avarizia. arenti;
non ne tiene, vizi nemmeno, se avesse bisogno di qualcosa, noi glielo daremmo
subito.'accordo,obiettava zio Luigi erfai conto che alla povera
disgraziata un giorno venisse la voglia di farsi un'assicurazione per la
vecchiaia..n'assicurazione? E piassicurata di come sta adesso? Quella,
come viviamo noi, cosvive lei: tale e qualeibatteva mamme poi, subito
dopo, esclamava: no stipendio a Rosa? E che esagerazione: allora pure io
dovrei avere uno stipendio!
Nel passato di Rosa ci doveva essere stato qualcosa di poco chiaro. Forse era
dovuta scappare dal paese natio perchaver abortito o forse solo perch
aveva perso la verginit certo che, ogni volta che si parlava di lei, se
entravamo all'improvviso io e mia sorella, uno dei grandi diceva ustino.e
tutti gli altri tacevano di colpo. Tanto che io mi ero convinto che questo
Agostino doveva essere stato un ex amante di Rosa, poi per sentendolo
citare anche a proposito di zia Olimpia e di zia Maria, e non potendo
accettare l'idea che avesse sedotto tutte le donne della famiglia, capii che
si trattava solo di una parola in codice:
una specie di ttenzione che ci sono i ragazzi! Oggi, a Napoli, non pi
un vocabolo di uso comune, se non altro perchi minori discutono di tutto.


Zio Luigi


Il preferito tra tutti i parenti (quarantadue tra primo e secondo
grado) era zio Luigi. Scapolo, amante dei cavalli, bell'uomo, spendaccione:
aveva fatto ille mestieri, amato cento donne e girato ogni parte del mondo.
Era stato due volte in America, a Chicago, nella cittdi Al Capone. Il suo
trend di vita era il seguente: un lavoro qualsiasi per cinque o sei mesi,
tipo pubbliche relazioni per un negozio di via Toledo, agente teatrale di una
sciantosa o aiuto bookmaker ad Agnano, quindi dimissioni improvvise e una
sola settimana all'estero da gran viveur, belle donne, alberghi di lusso,
Parigi, Vienna, Londra, Venezia, e tanto champagne.
Dopo la fuga tornava a Napoli con la coda tra le gambe e si metteva a cercare
un altro lavoro. Io l'aspettavo con ansia per conoscere le sue ultime
avventure. Alla domanda he vuoi fare da grande?ispondevo sempre uello
che fa zio Luigi e mio padre si arrabbiava moltissimo.
Non sono mai riuscito a sapere se zio Luigi fosse sul serio un sonnambulo o
facesse solo finta: certo che una notte fu trovato in pigiama nella stanza
di Carmelina, una delle nostre cameriere in seconda, in seguito licenziata
perchtroppo corteggiata dai militari. Pare che Carmelina, nel vedere zio
Luigi in pigiama, abbia gettato un urlo spaventoso, e che la nonna e mia
madre abbiano fatto appena in tempo a impedire che il poverino si buttasse di
sotto.
tava gicon una gamba di fuori!accontava mamm
come avete fatto a trattenerlo? stato facilissimo: lo abbiamo preso
per una mano e lo abbiamo riaccompagnato fino alla sua stanza da letto. Ci ha
seguito docile docile, come se fosse una creatura. Pensa invece se Carmelina
non avesse gridato!arebbe stato meglioommentpap
Zio Luigi aveva combattuto in Etiopia fianco a fianco con il duca di Bergamo.
Quando veniva qualcuno a farci visita, tirava fuori una vecchia copia della
omenica del Corriere si metteva a raccontare il suo tto di eroismo
cco qua, vedete se dico bugie: questo sono io! indicava un tenente in
divisa coloniale.
A voler essere sinceri l'atto di eroismo non era stato tanto di zio Luigi
quanto del duca di Bergamo, ma guai a contraddirlo su questo punto: diventava
una belva. Tanto pi poi, se qualcuno metteva in dubbio che il tenente
disegnato da Beltrame fosse proprio lui. a come,replicava fuori dalla
grazia di Dio on vedete che tiene i baffetti.Io lo ricordo in piedi,
sull'attenti, con la omenica del Corrierera le mani, che leggeva con
enfasi la didascalia sotto il disegno di Beltrame.
N ESEMPIO DI ARDIMENTOeggeva con enfasi zio Luigi. nfuria la battaglia
dello Scir e il duca di Bergamo, Adalberto di Savoia, sta per gettarsi
contro il nernico con la sciabola sguainata, quando uno dei suoi ufficiali
(cioio) lo trattiene per un braccio. "Altezza Reale," dice il tenente
questo posto non per lei.
l mio postorisponde il duca di Bergamo dovunque si muore per la
Patria.Alla parola atriaoi della famiglia partivamo con un
bell'applauso, a eccezione di papche invece non credeva una sola parola di
quello che diceva zio Luigi.
'accordo,obiettava mio padre baffetti ci sono, ma quanti ufficiali
italiani in Africa tenevano i baffetti?Il fatto che papnon aveva alcuna
stima di zio Luigi; lo chiamava 'o pallista. Una sera, mentre stavano in
attesa della cena, mio zio gli comunicin gran segreto che, tramite un amico
che lavorava nei servizi segreti, aveva saputo che Hitler non era tedesco ma
italiano, e che era nato anche lui a Predappio, proprio come Mussolini. Per
tutta risposta papsi alzda tavola e lo lascisolo a parlare. Ma zio
Luigi non si dette per vinto e lo insegufino in camera sua.
ug stammi a sentire,ontinuava a dire mentre gli correva dietro nel
corridoio a puessere che non t'accorgi che un travestito! Hai visto i
capelli che tiene? E chiaro che un parrucchino e che non glielo hanno fatto
nemmeno bene! E il baffetto posticcio dove lo mettiamo?
Andiamo: quello non un uomo, quello 'na macchietta, a me me pare Charlot!
E poi quando parla il tedesco esagera, proprio per sembrare tedesco!

La povera zia Olimpia.


Zia Olimpia e zia Maria, essendo state come si dice a
Napoli fortunate con i mariti erano due zitelle di ritorno. La prima pi
della seconda, tanto che in famiglia, quando si parlava di lei, si diceva
sempre a povera zia Olimpia pipassava il tempo, pil'espressione
veniva pronunziata per intero, come se le parole overa猾zia
limpiaossero un unico nome di battesimo: a Poveraziaolimpia
A essere sinceri, io di questa zia non ricordo quasi nulla:
i suoi problemi facevano parte del codice Austino, quello che non poteva
essere trattato in presenza dei minori.
Comunque, da quanto ho potuto appurare dai cugini pianziani, pare che la
Poveraziaolimpia avesse sposato un professionista napoletano, ricco ma
impotente, e che questa menomazione fisica del coniuge le avesse reso la vita
impossibile.
Il malefico, onde evitare che la sposa on onoratapotesse andare in giro a
raccontare le sue inadempienze, la tenne chiusa a chiave, nell'appartamento,
senza darle nemmeno il permesso di stare alla finestra. Si racconta che, `
aiutato dalla madre, praticasse addirittura dei turni di sorveglianza: quando
uno di loro usciva, l'altro restava a guardia della reclusa. Se venivano a
farci visita, lui la marcava stretto e non le dava mai la possibilitdi
comunicare da sola con un parente o con un'amica. Il sequestro durcirca tre
anni e se i vicini di casa non ebbero mai sospetti era perchuna moglie
condannata agli arresti domiciliari a quei tempi rientrava nella norma. Un
bel giorno perla Poveraziaolimpia, eludendo i secondini, riusca infilare
nella giacca di un idraulico di passaggio un S O S da consegnare alla
famiglia. Una volta venuti a conoscenza dell'orribile situazione, due dei
miei tanti zii (per la cronaca zio Eugenio e zio Guglielmo) la liberarono con
un'azione di ' forza. Scesero in campo allora gli avvocati dell'una e
dell'altra parte e il matrimonio rato ma non consumato divenne ben presto di
pubblico dominio. Ogni cosa, insomma, procedeva verso il peggio, quando la
PoveraziaOlimpia mise tutti d'accordo morendo, ancora giovane, di un tumore
al seno. Fine della triste storia.


Zia Maria


Quella di zia Maria invece
fu una vicenda molto piallegra, e soprattutto una storia d'amore. Questo
per merito del marito, Giovanni Ferrara, uomo di grande fascino, anche se un
po' sconsiderato.
Quando si conobbero erano due ragazzini: lui aveva diciotto anni e lei
quattordici. Il loro fidanzamento, per colpa del nonno, duruna eternit
dodici lunghissimi anni. E per zia Maria furono dodici anni di pianti
disperati di litigi con i genitori, di bigliettini consegnati di nascosto di
minacce di suicidio e di poesie. Il vecchio, quasi per istinto direi, si
opponeva al matrimonio con tutte le sue forze, e non cambiidea nemmeno
quando seppe che zio Giovanni, nel frattempo, pur di sposarsi, si era perfino
laureato in medicina.
u sei un pazzo,lo rimproverla nonna o sai che un dottore in casa un
affare!arun affare,rispose il nonno a a me stFerrara nun mepiace:
'nu sbruffone!L'opposizione paterna non fece che accrescere la passione
dei due innamorati.
Zio Giovanni e zia Maria continuarono a vedersi alla bell'e meglio, facendosi
aiutare da tutti quelli che si erano schierati dalla loro parte. Ogni scusa
era buona per uscire o per scambiarsi un bacio al volo: s'incontravano a
messa, per le scale, ai funerali, ai matrimoni o al mercato. Quando il nonno,
per punizione, la chiudeva in casa, lei si affacciava alla finestra del bagno
di servizio e lui, sempre per non farsi scorgere dal nemico, sporgeva il capo
da un orinatoio pubblico situato a pochi metri di distanza. Si racconta che
per comunicare usassero il linguaggio dei sordomuti.
li e dli,i dice a Napoli i spezzano anche i metalli cosGiovanni
Ferrara, a forza d'insistere, vinse la sua battaglia: si presentun bel
mattino. di buon'ora. A bordo di un'Isotta Fraschini fiammeggiante e a questo
' punto anche il nonno fu costretto ad arrendersi. Non dimentichiamoci cke
negli anni Trenta, a Napoli, c'erano in circolazione se no duemila
automobili. Zio Giovanni poi ' era un uomo pieno di attenzioni: quando veniva
a farci visita aveva un pensierino per ogni membro della famiglia, una busta
di caramelle per me, un'immaginetta sacra per mia madre, una bambolina per
mia sorella Clara e perfino un sigaro toscano per il nonno.
Un giorno arrivcon un .
calessino trainato da un somarello chiamato Ciccillo:
imbarcnoi ragazzi e ci porta fare una bella passeggiata, per via
Caracciolo.
Il primo anno di matrimonio fu eccezionale: lo zio condusse la sposa alla
Maison The, il pielegante atelier di Napoli, e la vestcome una vera
parigina. Malgrado le spese folli (pranzi, cene, corse di cavalli, Isotta
Fraschini, Ciccillo e compagnia cantante), era anche molto attento al
patrimonio familiare: aveva un libretto di risparmio con quasi seicentomila
lire depositate e una cassetta di metallo piena di anelli, collane e
braccialetti. Di tanto in tanto zia aria prendeva la cassetta e ci faceva
sentire il tintinnio dei gioielli.
o sono la regina di Macondo,cantilenava o lo smeraldo pigrande del
mondo. Ho cento collane, ho, cento orecchini e ho un diadema di perle e di
rubini.oprattutto lo smeraldo colpiva la nostra immaginazione.
Non poteva mostrarcelo, come avrebbe voluto, perchuna volta aveva smarrito
la chiave e da quel giorno zio Giovanni gliela aveva tolta. Quando c'era una
festa, per indossava tutti i gioielli contemporaneamente e allora sche
sembrava una regina. Piinnamorato che mai, lo zio volle far incidere su
tutte le posate d'argento la scritta: A.M.A.M.I. ovvero A Maria Amore Mio
Immenso.
Un brutto giorno, per zio Giovanni uscdi casa e s'imbarcsu una nave per
l'America. Venimmo cosa sapere che era pieno di debiti e che era fuggito
per evitare le ire dei creditori. L'Isotta Fraschini non l'aveva mai pagata,
gli abiti alla Maison The nemmeno. Le posate d'argento, non solo non le
aveva mai portate dall'incisore, ma se l'era vendute tutte, una per una, e le
cifre sul libretto di risparmio se l'era scritte da solo. Anche la cassetta
dei gioielli, una volta aperta, fu trovata piena di ghiaietta. Malgrado le
malefatte, per era sempre innamorato di zia Maria, e, non appena gli fu
possibile, la fece venire in America.
Parte mia zia per New York e trova subito lavoro in una factory dove cuciva
pellicce e cappellini e, a sentire lei, era anche molto apprezzata dal
proprietario, un certo mister Peterson. Invece il suo Giovanni, anzi il suo
Johnny, come ormai Si faceva chiamare, non se la passava affatto bene:
esercitava, s il mestiere di medico, ma clandestinamente, e occupandosi in
pratica solo di aborti e di ferite da armi da fuoco. Il vizio del gioco poi
non lo aveva mai abbandonato:
pare che trascorresse buona parte del tempo libero nelle Sale Corse di New
York. Lei, comunque, avrebbe continuato ad aiutarlo per tutta la vita, se una
sera, tornando a casa, non l'avesse trovato in compagnia di un'altra donna,
pianziana di lei e tutta ingioiellata. Zio Giovanni, non appena la sent
salire per le scale, la bloccsul pianerottolo e le disse: ar non fa' la
stupida: d che sei mia sorella.
Guarda che questa qui carica di soldi
Zia Maria ottenne in breve tempo il divorzio e, malgrado che il suo
principale, mister Peterson, la volesse a tutti i costi sposare, se ne torn
a Napoli, dai suoi genitori. Qui ebbe tanti problemi, anche perchnel
frattempo era diventata del tutto sorda: pare, infatti, che in America, a
causa di una febbre reumatica di origine virale, mal curata (o forse curata
dal marito), avesse perso l'uso dell'udito, e meno male che a suo tempo aveva
imparato l'alfabeto dei sordomuti.


Pap
Pap quando emetteva un giudizio, riusciva a farlo con una parola
sola. Un giorno, eravamo nel '39, alcuni studenti interventisti stavano
sfilando per via Partenope:
erano in gran parte gufini e inneggiavano all'entrata in guerra dell'Italia.
Gli slogan piurlati erano orte alla perfida Albione io stramaledica
gli inglesi Mio padre si affaccial balcone, li guardsfilare per qualche
secondo, poi torndentro e disse: li studenti! Con una sola parola era
riuscito a esprimere tutto il suo disprezzo per i giovani, ad alludere
all'esperienza vissuta in trincea, nel '15-18, e a riaffermare l'antipatia
che aveva per i fascisti. Se qualcuno gli avesse fatto notare che l'inno del
fasci smo era Giovinezza, lui avrebbe risposto: nfatti e chi voleva
capire capiva.
Mio padre era una specie di burbero benefico. Niente smancerie o
vezzeggiamenti: mai che mi avesse dato un bacio in vita sua. Se perla
mattina avevo qualche linea di febbre, non andava ad aprire il negozio, dava
le chiavi a Natale, il fattorino di fiducia, e gli diceva: at apri tu,
che io arrivo tra mezz'ora intanto mi controllava il polso per capire se
davvero stavo male o se ero ricorso al trucco della lampadina per far salire
il termometro. A quei tempi il terrore dei padri era la polmonite:
prima che inventassero la penicillina la polmonite era una spada di Damocle
sospesa sul capo di tutti i ragazzini. Proibito sudare e prendere olpi
d'aria Quando andavamo a far visita ai parenti, mammsi portava dietro una
maglietta di lana e gli indumenti necessari per un ricambio completo.
La scena che ne veniva fuori era pressappoco questa: uciano,uonava pap
u sei sudato! oispondevo io, continuando a giocare.
on rispondere a tuo padre!ridava mamm ieni qui e fai vedere se sei
sudato.on sono sudato.u sei sudato!on sono sudato.u sei
sudato!o.E intanto cercavano di prendermi: io scappavo e mio padre
m'inseguiva urlando, mentre il resto della famiglia tentava di circondarmi.
Quando alla fine riuscivano ad acchiapparmi ero sudato per forza. Cospap
dopo avermi infilato una mano dietro le spalle, cominciava a gridare:
tufetente: e diceva che non era sudato!Dopo di che mi mollava un ceffone
che regolarmente finiva col colpire qualcuno che mi teneva fermo (di solito o
Rosa o mamm che provvedevano al cambio della maglietta). Veloci come
meccanici della Ferrari, le donne mi denudavano davanti a tutti, mi
asciugavano e mi soffocavano in una nube di borotalco. Alla fine ne venivo
fuori bianco come una statua e rivestito fino al collo di indumenti di lana
che mi facevano sudare pidi prima.
Mio padre odiava sopra ogni altra cosa al mondo il gioco del pallone,
soprattutto perchcontribuiva a farmi consumare le scarpe. Non si contano le
volte che mi piombato addosso, come un falco, mentre ero intento, in villa
comunale, a giocare con quelli della mia classe. Le scarpe, secondo una sua
teoria anticonsumistica, dovevano durare almeno dieci anni alle persone
adulte e quattro ai ragazzi della mia et lui, per esempio, non appena
rientrava dal lavoro, se le toglieva fin dall'ingresso per indossare le
pantofole, e questo, non per stare picomodo, come peraltro sarebbe stato
lecito, bensper farle durare pia lungo. nche se cresce il piede,ra
solito dire isogna resistere.ugo avvisava mia madre ua dobbiamo
comprare le scarpe al ragazzo: quelle che tiene adesso gli vanno strette. ome sarebbe a dire gli vanno strette?Replicava lui sospettoso. e fino a
ieri gli andavano larghe? che vuoi che ti dica: stanotte sarcresciuto, rispondeva mamm ragazzo e sta nell'etdello sviluppo questo ti piace
di fare, eh!Esclamava pap guardandomi storto, come se la crescita del
piede fosse stata per me un divertimento. Le scarpe bisognava comprarle da
Elegant, il negozio di Stefanino Buontempo, detto anche 'inadempiente elitto e castigo! Sentenziava pap Il delitto era questo: anni prima dopo un fidanzamento
durato otto anni, Stefanino Buontempo aveva mollato, praticamente sull'Altare,
una nostra parente, tale Angelina De Crescenzo di anni 35, in seguito rimasta
definitivamente nubile. In Sicilia lo avrebbero ucciso, noi De Crescenzo
invece, di animo pimite, ci eravamo accontentati di uno sconto del 30% vita
natural durante, su tutti gli articoli del negozio
Una volta misurate le scarpe, (misurate si fa per dire, perchpoi finivamo
sempre per prendere quelle pilunghe), papchiedeva il prezzo, e appena
sentiva la cifra, malgrado lo sconto - Angelina, faceva il gesto di avventarsi
su di me per punirmi di tutte le partite che avevo giocato a sua insaputa.
Fortunatamente sia Stefanino che i commessi conoscevano le sue reazioni, per
cui al momento di pagare avevano gifatto quadrato intorno alla mia persona.
Prima ginnasio, settembre 1938: mio padre
mi chiamin camera sua.
ieni che ti debbo dare una cosa.
he cosa papChiesi io.
ono gile otto
e non vorrei fare tardi proprio il Primo giorno di scuola. Lui non rispose: aprun cassetto della scrivania e ne tirfuori una penna
stilografica.
uesta una Wartman!mi disse con aria solenne, quasi come se stesse
confermandomi la leggion d'onore. o ce l'ho da pidi dieci anni: tu adesso
perdila e io ti uccido!Da quel giorno cominciper me il tormento della
stilografica. In qualsiasi momento del giorno e della notte (anche mentre
dormivo) mio padre poteva puntarmi contro l'indice accusatore e domandarmi a
bruciapelo: ove sta la penna? dopo di che, se non la tiravo fuori in meno di 30 secondi, erano botte. Ah,
come invidio i ragazzi di oggi che possono perdersi inpunemente tutte le biro
che vogliono, senza vivere nel terrore! Quando, dopo la scuola, andavo a
giocare al pallone in Villa Comunale, non sapevo mai dove nasconderla: se la
lasciavo nella cartella, correvo il rischio di farmela rubare e, se me la
portavo addosso, di perderla. Spesso giocavo tenendola stretta in mano e
quando cadevo, invece di proteggermi con le mani, per non farmi male, alzavo
il braccio in aria in modo da risparmiarle anche il minimo urto. A proposito
di mazziatoni, ora che ci penso, papin vita sua non mi ha mai mollato uno
schiaffo, anche se ha sempre dato l'impressione che stesse llper farlo.
Era proprietario di un negozio di guanti in Piazza dei Martiri, ma non aveva
l'animo del commerciante: Avrebbe preferito mille volte fare il pittore a
tempo pieno. Era tale il senso di colpa di non aver assecondato la propria
vocazione artistica, che chi unque si fosse presentato in negozio dicendo:
uongiorno io sono un pittorefiniva col portarsi via, gratis, almeno un
paio di guanti. A volte gli artisti ricambiavano lasciandogli un ricordino, ed
appunto grazie a questi ricordini che oggi posseggo lcune tavolettedi
impressionisti napoletani.
Il nonno paterno, invece, il pittore l'aveva fatto sul serio e pare anche con
ottimi risultati sul piano artistico: era stato allievo di Denittis nella
scuola di Resina.
Un po' meno buoni, in verit i ritorni sul piano economico, e fu per questa
ragione che un giorno, avendo beccato pap in Galleria, che tentava di fare
anche lui il pittore, gli ruppe la cascetta dei colori sulla testa,
lo tolse dal
liceo (dove, in verit andava maluccio) e lo fece assumere di forza, in
qualitdi apprendista guantaio tagliatore, dai fratelli Partito.
Il nonno anticiple due lire necessarie all'acquisto delle forbici, per poi
farsele rimborsare non appena riusci a mettere le mani sulla prima paga
settimanale. L'importante, disse, era cominciare da zero.
In fabbrica papconobbe un poeta, Vincenzo Russo, anche lui apprendista
guantaio tagliatore, anche lui amante dell'arte e della poesia.
Vincenzino Russo, era un giovanotto poco piche ventenne, magro, tutto baffi
e malato di tisi (malattia endemica fra i napoletani del primo Novecento). Di
giorno faceva il guantaio e di sera la maschera al Teatro Verdi. Una mattina
ebbe un attacco di tosse piviolento del solito, e i fratelli Partito, per
non fargli pirespirare i miasmi delle tinture, gli concessero di lavorare
all'aperto. Cenzino non avrebbe potuto chiedere di meglio: proprio di fronte
all'ingresso della fabbrica, in un appartamentino al terzo piano, abitava una
certa Maria, una ragazza dai capelli neri di cui lui si era perdutamente
innamorato. Gli abitanti di via San Giuseppe, si abituarono ben presto a
vederlo, ogni mattina, curvo sul banchetto di tagliatore, che un po' sagomava
pelli di capretto
e un po' inviava canzoni appassionate all'indirizzo della bella
Maria. A sentire pap la ragazza non si affaccimai, e cosfacendo non
ebbe nemmeno modo di rendersi conto che, di la qualche anno, sarebbe
diventata la Maria pifamosa del mondo (subito dopo la Madonna). La canzone,
infatti, era la bellissima Oi Mar
C'un episodio della vita di mio padre che mi rimasto impresso per sempre.
Era da poco finita la guerra ed eravamo andati, io e lui, a Bagnoli, al
comando alleato, per tentare di farci restituire la casa del Vomero che era
stata requisita dagli inglesi. Mentre camminavamo lungo un viale assolato,
papinciampin una buca e cadde lungo disteso per terra. In un primo
momento pensai che si fosse rotta una gamba. Cercai di rialzarlo, ma non ci
riuscii. Era troppo pesante per le mie forze di allora, lui aveva gi
superato i 66 anni e io non ne avevo ancora 16. Mi guardai intorno, sperando
di vedere qualcuno che mi potesse dare una mano, ma la via era completamente
deserta.
iediti e non ti preoccupare,isse lui rima o poi passerqualcuno. Non
credo di essermi rotto niente. E poi, alla fin fine, perchtutta questa
fretta: la casa ormai l'abbiamo persa... il negozio pure... e non abbiamo
niente da fare. Il guaio che io sono troppo vecchio per ricominciare e tu
troppo giovane per prendere il mio posto. Forse avrei dovuto sposarmi prima.
Mi prese una mano e me la strinse: restammo in silenzio per alcuni minuti.


Mamm


Di mia madre ho sempre parlato in tutti i miei libri e a volte penso
che il mio tirarla in ballo cosi spesso mi abbia anche portato fortuna. Vuoi
vedere, mi dico, che ha intercesso per me in Alto Loco? Beh, se minimamente
poteva farlo, lo ha fatto: era nel suo stile. Ricordo un episodio, in
apparenza insignificante, accaduto molti anni fa, quando ancora abitavo al
Vomero:
eravamo a casa, nel soggiorno, e in Tv, c'era Ella Fitzgerald che cantava
Tenderly. o proprio non capiscosbotta un certo punto mia madre: om'
che alla RAI fanno cantare a questa qui? Dico io: almeno fosse bella..
questa pure brutta! uarda mamm嗷risposi io he "questa", come la
chiami tu, Ella Fitzgerald.
archi vuoi tu, per secondo me, i negri dovrebbero cantare per i negri e
i bianchi per i bianchi, altrimenti perchNostro Signore ci avrebbe fatto di
colori diversi? E dal momento che noi in Italia siamo bianchi, fateci sentire
a Nilla Pizzi, altrimenti succede che io prendo carta e penna e scrivo alla
RAI.Proprio in quel momento squillil telefono: era il Servizio Opinioni
RAI che raccoglieva pareri sulle trasmissioni in corso. Mammanda
rispondere.
ignora,esorduna voce femminile: ta seguendo la televisione?
o,ispose mamma sto vedendo. cosa sta vedendo? liel'ho
detto: la televisione., ma quale programma sta vedendo?hiese ancora la
voce femminile che a quel punto cominciava a spazientirsi. h, ho capito:
volete sapere che cosa sto vedendo? Sto vedendo la cantante negra.lla
Fitzgerald? E mi dica signora: questa cantante le piace poco, abbastanza,
molto o moltissimo?oltissimo.razie.razie a voi, signorina, se
volete, telefonatemi pure tutte le sere: qualche volta mi addormento, ma in
genere sto fino alla fine...ontinua dire mamm cercando d'iniziare una
conversazione sui programmi, ma la signorina del Servizio Opinioni a quel
punto aveva gimesso gila cornetta.
Quando torna sedersi, non potei fare a meno di criti carla per come si era
contraddetta.
ue minuti fa protestavi che non volevi sentire la negra e adesso ti metti a
dire che ti piace moltissimo.lo so,i rispose erse io dicevo che
non mi piaceva, quella poi la RAI la licenziava e questo non sta bene:
chella iaccussnera.. .Ora dico io: se mammha aiutato Ella
Fitzgerald, che non nemmeno della sua razza, volete che non aiuti me che
sono suo figlio? Da ragazza mia madre aveva percorso solo una strada quella
che da via Mancini porta alla chiesa della Madonna dalle Tre Corone: mai che
avesse fatto un viaggio fuori Napoli, una gita con le amiche o che fosse
andata a una festa da ballo. Di fidanzati poi nemmeno a parlarne. Si chiamava
Giulia Panetta, era nata nella Duchesca nel 1883 e a quarant'anni era ancora
zitella. La gente per strada la salutava con rispetto, poi perle mormorava
dietro:
isciuno 'a vuluta quasi che fosse una colpa non essere riuscita a trovare
un marito.
Mammsi era girassegnata allo zitellaggio, quando a casa della nonna si
presentuna donna enorme, di oltre centocinquanta chili di peso, nota in
tutta Napoli come onna Amalia 'a Purpessa.
ignisse ansimando 'a Purpessa, dopo essersi fatiCosamente calata in una
poltrona o per vostra figlia Giulia un partito eccezionale: un uomo davvero
positivo!olto ricco?hiese mia nonna.
o detto positivo, non ho detto riccorecis'a Purpessa e poi aggiunse:
on ha nemmeno un debito
com'a interruppe mia madre, che nel frattempo Si era avvicinata alla
sensale. un bell'uomo?iene gli occhi azzurri. Guardate qua se dico bugie:
questa la sua fotografia.h, Ges e quanto brutto!iagnucolmia
madre, iene tutti i capelli bianchi, me pare 'nu viecchio!eccer
diciamo le cose come stanno, tu pure tiene 'na bell'et嗷ribatt'a Purpessa.
robabilmente siete tutti e due troppo anziani per avere figli, peralmeno
vi potete fare compagnia.E invece i figli arrivarono lo stesso: prima mia
sorella Clara e poi io, l'erede maschio, cinque anni dopo che si erano
sposati. Probabilmente debbo la vita alla bravura professionale di donna
Amalia 'a Purpessa, sensale di matrimoni. ;
Mia madre m'insegnl'anticonsumismo piintransigente: invece del ulla si
crea e nulla si distrugge lei praticava il ulla si compra e nulla si
butta via Conservava qualsiasi cosa fosse entrata in casa e riempiva i
cassetti di oggetti inutili: rocchetti di cotone senza cotone, scatole di
medicine scadute, mozziconi di matite, pile consumate, boccettine di profumo
senza profumo, agendine obsolete, pezzi di spago di varie dimensioni e via
dicendo. Su una delle scatole degli spaghi era scritto: paghi troppo corti
per essere usati A chi le contestava la mania del conservare, rispondeva
sorridendo: serv旎, puservire, e la sua felicitraggiungeva il culmine
quando qualcuno della famiglia le chiedeva: ieni per caso un pezzetto di
pelle marrone? i vitello o scamosciato?camosciato.e l'ho, ce l'ho: vedi tu stesso
nel secondo cassetto del com in fondo a tutto, sotto la scatola dei
calendari scaduti.Il matrimonio non l'aveva distolta dalla fede, anzi, il
suo rapporto con la Chiesa, con il tempo, si era andato consolidando. Ogni
mattina, alle sette in punto, si recava in parrocchia per farsi la comunione
e ogni mattina il parroco si rifiutava di confessarla. Il poveretto l'aveva
addirittura diffidata.
onna Giulia,e diceva uando non ci sono peccati significativi, volersi
confessare per forza peccato.uindi, secondo voi, io ieri ho peccato.
erto che avete peccato. allora confessatemi.A casa, accanto al letto
matrimoniale, si era costruito un piccolo altare (una mensola di marmo e un
inginocchiatoio), dove, attaccate alla parete, tra lumi votivi e fiori
secchi, c'erano tutte le foto dei defunti della famiglia.
A ciascuno dei morti lei dedicava ogni sera dodici requiem Non conoscendo
peril latino e recitando ormai da piu di mezzo secolo sempre le stesse
litanie, le parole si erano via via deformate fino a diventare suoni privi di
senso. Ogni preghiera cominciava con un equia maternainvece di requiem
aeternam) e finiva con un bello catt'inpace ammennrequiescat in pace,
amen) pronunziato sempre con due due ell'ultima parola.
Il massimo della sorpresa fu quando, insieme a tutti i defunti della
famiglia, mise anche la foto di Marilyn Monroe. Dodici requiem per lei, come
per tutti gli altri.
uverella,isse mamm che brutta fine c'fatto.Una mattina mi
affacciai al balcone e la vidi che si avviava verso la chiesa:
pisi allontanava e pirimpiccioliva a vista d'occhio. Il fatto che,
invecchiando, si era davvero rimpicciolita, tanto che alla fine mi sono
convinto che mia madre non sia morta come tutti gli altri esseri umani, ma
che, a forza di diventare ogni giorno pipiccola, si sia gradualmente
trasferita nel suo minuscolo paradiso fatto di figurelle di santi e di
fotografie un po' sciupate dal tempo e dai baci, e che oggi viva ancora, in
formato piccolissimo, proprio accanto a Marilyn Monroe.
nota: Pare che i primi a usare il termine ustinoiano stati i commercianti
della zona mercato Quando, in presenza di un cliente, un commesso poco
esperto stava per fare uno sbaglio, bastava chiamarlo ustinoe lui
correggeva il tiro.
A proposito di cancro, per capire quali
erano a quei tempi le possibilitdi salvarsi, ecco un articolo chiarificatore
pescato sulla ribuna Illustrataal titolo: COPERTO IL BACILLO DEL
CANCRO:nche questa scoperta puessere rivendicata, come tante altre,
all'italia mercgli studi che si eseguono in Napoli nell'istituto Palasciano
diretto dal prof. cav.
Pietro Fabiani. In questo ` istituto non solo stato scoperto il
bacillo del cancro, quanto stato preparato anche un siero che, iniettato
per via ipodermica, pare abbia fornito ottimi risultati. }Il prof. cav. Pietro
Fabiani, di cui diamo un'istantanea mentre al microscopio, ha detto che il
bacillo ha una forma oblunga con i margini arrotondati. Il siero
anticancerigno limpido, trasparente, di reazione alcalina e niente affatto
irritante
ribuna Illustrata,., ottobre 1903.
Gufini = appartenenti al GUF, la GioventUniversitaria
Fascista.
Vincenzo Russo (1876-1904) smise di andare a scuola dopo la seconda
elementare successivamente completla sua istruzione frequentando i corsi
serali per operai. Essendo ritenuto dal popolino un ssistito ovvero un
individuo in grado di prevedere i numeri del Lotto, fu contattato dal
maestro Edoardo Di, Capua, accanito giocatore di terni e quaterne.
Dall'incontro nacquero alcune delle pibelle canzoni napoletane. Oltre a Oi
Mar ricordiamo: Io tvurr VaS Canzona bella e Torna maggio. Mor
giovanissimo, a soli 28 anni, lasciando accanto al letto questi ultimi versi:
i sole, tu pure m'lassato,
tu pure me l'fatto 'o tradimento
nu friddo acuto dint'all'ossa sento
e manco tu me puvena scald
Per me tutte fennuto.
Addio sole d'aprile
addio stelle d'o cielo
io ve saluto

Il sesso

Credo di aver capito l'erotismo grazie a due esperienze singolari avute in
giovent una a dieci anni, quando frequentavo la prima media all'Umberto I
di Napoli, e un'altra, durante gli anni Sessanta, nel corso di una mostra
d'arte futurista.
Come ogni sabato ero uscito di casa in divisa da balilla marinaretto. Stavo
ancora per strada, quando ud祆, provenienti dalla palestra, le urla del mio
insegnante di ginnastica, il professor Carosone (da noi chiamato Carotone per
via dei capelli color carota). Entrando, lo vidi in piedi su una pedana,
attorniato da quelli della terza B. Gridava come un ossesso: le vene del
collo gli si erano gonfiate a tal punto che sembrava dovesse esplodere da un
momento all'altro.
ttenti a voi!Urlava. e trovo quel figlio di puttana che ha lasciato in
giro questa porcheria gli stacco i coglioni!Secondo l'etica fascista, le
parolacce erano indice di virilite Carotone si vantava di essere un esperto
in quel ramo. In aula forse si sarebbe controllato un po' di pi ma in
palestra, e in particolar modo di sabato, non lo fermava nessuno.
I ragazzi si accalcavano intorno a lui e si spintonavano l'un l'altro
ridacchiando: erano eccitatissimi. Tutti volevano vedere la osa sporcache
aveva fatto imbestialire il professore. Mi feci avanti anch'io. ma non
riuscii a scorgere nulla.
ui non siamo in un bordello!Strepitava intanto Carotone.
iamo in una palestra fascista e, se qualcuno se lo dimenticato, io glielo
faccio ricordare a forza di calci in culo! Capito?Mi chinai e, guardando
tra le gambe dei ragazzi, intravidii quello che a me parve un innocente
palloncino color latte, e che invece era un preservativo anteguerra, di
gomma, spesso come il guanto di un chirurgo. Era stato gonfiato al massimo e
legato con uno spago.
he successo?hiesi a uno della terza B.ono cose che tu non puoi
capire!ispose lui, dandosi arie da persona vissuta. ei ancora piccolo!
Il cuore allora comincia battermi forte, ma cosforte, che ebbi timore che
qualcuno se ne potesse accorgere., Avevo paura e nello stesso tempo sentivo
una strana eccitazione: avevo intuito che lper terra c'era qualcosa di
misterioso che aveva a che fare col sesso.
La seconda esperienza fu quella della mostra futurista. Mi consideravo giun
uomo maturo ed ero convinto di sapere tutto quello che c'era da sapere sul
sesso, quando incontrai un amico di infanzia, appassionato d'arte moderna.
ggi alla galleria "Duemila"i disse 'una mostra tattile:
un'occasione che non ci possiamo perdere! A essere sincero, non c'niente
dei futuristi che mi Sia mai piaciuto, che so io, un quadro, una poesia, un
testo teatrale, eppure, non so perch mi sono sempre stati simpatici. Il
loro cercare la bellezza ldove non la cerca nessuno, la rottura sistematica
con la tradizione, il rinnovarsi continuo come condizione di vita, hanno
esercitato su di me un fascino irresistibile. E un discorso che si potrebbe
fare per qualsiasi tipo di avanguardia: l'arte ha sempre bisogno di apripista
che sopportino gli sberleffi dei moderati (dei moderati come me, per esempio)
per conquistare nuove prospettive alla creativitumana.
Dicevano i futuristi: erchsolo la vista e l'udito possono usufruire di
piaceri estetici? perchnessun artista si mai preoccupato di far godere un
pochino anche il tatto?
Che cosa vi ha fatto di male il tatto per averlo costrascurato? E
s'inventarono il teatro tattile, ovvero lo scorrimento, tra le poltrone, di
un nastro continuo, proveniente dal palcoscenico, costituito da materiali di
diversa ruvidezza: seta, juta, velluto, spugna, carta e via immaginando.
Lo spettatore, secondo il loro delirio, avrebbe dovuto essere bendato, per
potersi meglio concentrare su quanto gli passava sottomano; nel contempo
alcuni attori, ahimanch'essi futuristi, avrebbero recitato umorin
sintonia con le superfici erogate. Ora io non so se questa forma di teatro
sia stata mai realizzata, dubito perche abbia mai trovato un pubblico
pagante.
Ma torniamo alla mostra: la rassegna era costituita da grandi scatole di
legno, dentro le quali i visitatori erano pregati d'introdurre le mani. Ecco
alcuni titoli che ricordo:
nfinito semiliquido ternit嗷, imbo adolescenziale tazione
d'arrivo Nascosti all'interno degli scatoloni, gli oggetti pisvariati:
chiodi, pezze bagnate, spazzole, ovatta e mollette per i panni. Chiunque
introduceva la mano in un contenitore non poteva fare a meno di ridere.
In un'opera intitolata enso di colpara stato nascosto un barattolo pieno
di marmellata e senza coperchio. Ogni volta che un visitatore lo centrava con
la mano, erano risate garantite per tutti i presenti. Insomma, una specie di
Luna Park.
Al centro del salone campeggiava una scultura intitolata:
rotismo Adesso non ricordo il nome dell'autore, ma ricordo benissimo
l'oggetto. Si trattava di una tavoletta di gomma, quadrata, larga grosso modo
quaranta centimetri per quaranta e alta cinque. Nella gomma erano stati
praticati trentasei buchi, tutti disposti in fila per sei. Su un cartello si
leggeva: ntroducete un dito nel buco preferito e fate attenzione che in uno
dei buchi stato nascosto un chiodo rivolto verso l'alto Infilai subito
l'indice nel primo foro in alto a sinistra e, non trovando nessun chiodo,
cominciai a esplorare, con cautela, tutti gli altri buchi: piandavo avanti
e piavevo paura di pungermi. Solo alla fine, quando mi resi conto che non
c'era nessun chiodo capii che cosa aveva voluto dire l'artista.
L'erotismo una stanza buia dove si entra con molta curiosite un pizzico
di paura. L'erotismo il battito accellerato del cuore di fronte al mistero.
L'erotismo partire alla scoperta dell'America senza essere sicuri che ci
sia una America dall'altra parte. L'erotismo il possesso della persona
amata unito all'ansia di perderla. L'erotismo la continua ricerca del
limite.
Mi chiedo se i ragazzi d'oggi, grazie alla maggiore circolazione d'idee e ai
mutamenti del costume, ne sappiano molto di pidi sesso di quanto ne
sapessimo noi verso la fine degli anni Quaranta. All'epoca, per tenerci
informati, leggevamo, chiusi in bagno, Mammiferi di lusso e L'amante di Lady
Chatterley, ma nPitigrilli nLawrence ce la facevano a sostituire
l'esperienza personale. Una donna nuda dalla testa ai piedi, diciamo la
verit non l'avevamo vista mai. I pifortunati avevano intuito, piche
intravisto, dal buco della serratura il seno della cameriera mentre si
cambiava di abito. E poi, a parte le donne nude, avevamo dei grossi problemi
anche con quelle vestite: quando organizzavamo ialletti tanto per dirne
una, malgrado fossimo una quarantina, le amenon erano mai pidi cinque,
quasi sempre bruttine e comunque obbligate a rincasare prima delle otto di
sera.
In mancanza di discoteche ci si riuniva in casa del meno povero, o di chi
almeno fosse in grado di preparare un panino con la mortadella e un po'
d'acqua frizzante. Tenuto conto dei pochi soldi a disposizione, l'unica
alternativa era il castagnaccio innaffiato da un'aranciata in bottiglia
chiamata Fior di Pesco.
Il disc-jockey non era un professionista, come pare obbligatorio oggi, ma
solo il pibrufoloso del gruppo che, pur di essere invitato, si adattava
alla dura mansione di ettere dischi. Il compito richiedeva abilite
concentrazione. Il poverino, infatti, era tenuto a: 1) prendere il disco con
cautela senza farlo mai cadere per terra (i dischi di gommalacca si rompevano
al minimo contatto), 2) girare la manovella del grammofono, tra un ballabile
e l'altro, senza superare il limite massimo oltre il quale la molla si
spezzava, 3) cambiare ogni due balli la puntina, 4) evitare che la stessa
strusciasse sul disco danneggiandolo in modo irreparabile.
I tempi musicali erano due: il fox-trot e lo slow. Con il primo si faceva
casino, con il secondo si ballava la mattonella, ovvero una specie di ballo
statico durante il quale grazie a un accostamento pubico, si cercava di
capire se ei ci stava o no Se lei, come di regola, on ci stava la si
riaccompagnava educatamente al posto di partenza e la sringraziava per il
giro di ballo che ci aveva appena concesso. Le norme di comportamento dei
ballerini (non la mattonella) venivano insegnate in appositi istituti
denominati cuole di Danza Classica e Moderna
Odiavamo i cantanti melodici tipo Carlo Buti e Oscar Carboni. Impazzivamo per
le vocine erotiche del Trio Lescano. In fatto di orchestre esistevano due
partiti contrapposti, quello di Barzizza e quello di Angelini. Dalla
generazione precedente ci separava un abisso: mio padre considerava la
canzone ritmica una forma di decadimento morale: quando sentiva Ernesto Bonino
cantare Conosci mia cugina, esclamava frica usciva dalla stanza in segno
di protesta. Natalino Otto poi lo odiava: per lui era solo n grande
fetentone, indegno di essere messo in onda da un ente nazionale come l'EIAR
la prima volta che lo senti cantare Ritmo, ritmo, ritmo per favore ci minacci
con un lapidario inirete tutti in galera! ci tolse il saluto per almeno
una settimana. Per non fargli vedere Mick Jagger Dio se lo chiamin cielo
verso la fine degli anni Quaranta!
Solo in quarta elementare venni a sapere come si facevano i bambini. A
informarmi su ogni particolare, anche quelli piinverosimili, fu un compagno
di scuola, tale De Matteis, figlio di un industriale conserviero, molto
invidiato da tutti per il fatto che si faceva accompagnare a scuola in
automobile dall'autista.
Ogni giorno all'una, prima di uscire, De Matteis chiedeva al bidello:
arrivata l'auto?i, signorino De Matteisrispondeva il bidello,
mettendosi sull'attenti (a sua discolpa, bisogna dire che il pap il De
Matteis, gli passava sostanziose mazzette, sia a Pasqua che a Natale, mentre
i nostri genitori, taccagni oltre ogni limite, non gli mollavano mai una
lira).
Un giorno De Matteis, mentre eravamo al gabinetto, mi comunicla grande
notizia:
o tutto!utto cosa?gli chiesi io.
utto tutto!rispose lui e con le dita mimun rapporto sessuale: infilava
ripetutamente l'indice della mano destra in un tondo formato dall'indice e dal
pollice della mano sinistra. Poi, pur non essendoci nessuno nelle vicinanze,
mi raccontogni cosa all'orecchio.
ooo!esclamai io incredulo.
i!ribattlui elettrizzato. ure tua madre e tuo padre lo fanno.
L'idea mi fece subito star male.
non basta,continuDe Matteis i sono pure i ricchioni!icchione
era la massima offesa immaginabile. Se per caso ne scoprivamo uno, per lui
era la fine. Veniva subito circondato e accompagnato a casa da un coro
continuo:
icchioo ricchioo蚧.Ho letto da qualche parte che gli individui nascono
tutti bisessuali e che solo col tempo si specializzano nell uno o nell altro
campo. Ebbene vi assicuro che, se da ragazzo avessi avuto anche la pur minima
tentazione, non avrei fatto nulla, magari solo per il terrore di essere
chiamato icchione Chissche questa crudele strategia persecutoria non
possa essere adottata a buon fine, ad esempio per prevenire l'uso della
droga:il giorno in cui la parola rogatodiventasse sinonimo di
mbecilleolti ragazzini, forse, ci penserebbero un pprima di bucarsi.
inutile cercare di dissuadere un giovane con lo spauracchio della morte: un
ragazzo normale non puimmaginare di morire, per la semplice ragione che
convinto di essere immortale. Lo slogan, invece,rogato=imbecillepotrebbe
avere su di lui un effetto deterrente di gran lunga maggiore, in quanto lo
ferirebbe nell'orgoglio. Invece di esaltare (come abbiamo sempre fatto) certi
divi del rock, noti consumatori di eroina, mettiamo in giro la voce che la
natura ha inventato la droga solo per eliminare i pistupidi. Vuoi vedere
che, anche se non vero, finiamo col salvare qualcuno?

Dai quattordici ai diciotto anni, come spesso capita ai ragazzi di questa et
mi masturbai ogni sera, tra le dieci e mezzanotte con scrupoloso accanimento.
L'impossibilitdi trovare coetanee, belle o brutte che fossero, disposte ad
avere un qualsiasi rapporto sessuale, seppure superficiale m'indusse a
coltivare ilizio solitario A complicarmi la vita, per arrivarono San
Sebastiano e don Attanasio.
Nella parrocchia di Santa Lucia c'era una gigantesca rappresentazione del
martirio di San Sebastiano. Ricordo le corde che tenevano il santo legato alla
colonna, lo sguardo del martire rivolto verso il cielo e le frecce conficcate
nel corpo, come tanti aghi su un puntaspilli, compresa quella che gli
attraversava la gola e che poi era quella che pidi tutte mi faceva
impressione. Non era un capolavoro, d'accordo, ma in quanto a Grand Guignol
non aveva nulla da invidiare al piraccapricciante film dell'orrore.
Don Attanasio, il parroco, era ancora piterrificante del quadro: quando mi
confessava, a parte il fatto che sbrigava tutta la faccenda in piedi, fuori
dal confessionale, era solito andare subito al sodo:
ai commesso atti impuri?a solo o accompagnato?a solo.o
vedi a San Sebastiano?i.bbene, ricordati quello che ti dico:
ogni volta che te lo meni, San Sebastiano viene colpito da una freccia!
Ecco quello che sei: un farabutto, disgraziato, fetente e senza misericordia!
E adesso vattene che non ti voglio pivedere. la penitenza?re Ave
Maria per ogni freccia che ha colpito San Sebastiano.Le frecce erano otto
(compresa quella alla gola) quindi tre per otto...
ventiquattro Ave Maria.
Ma non basta: per anni sono stato tormentato da San Sebastiano. Ogni volta
che facevo l'amore, puntualmente, proprio nel momento pibello, mi tornavano
in mente lui e le sue stramaledettissime frecce.
Le occasioni per eccitarci erano numerosissime. A Scuola, per esempio, ogni
anno ci portavano a vedere lo stesso film: Processo e morte dSocrate, con
Ermete Zacconi, un lungometraggio tra i pinoiosi del cinema italiano Verso
la fine del film, per poco prima che Socrate bevesse la cicuta, si vedevano
sette fanciulle danzare davanti alla nave sacra, e in particolare una bella
biondina che, alzando al cielo una coroncina d'alloro, accentuava la forma
del seno al di sotto della tunica. A quel punto i piassatanati di noi
cominciavano a toccarsi, facendo attenzione pera non emettere mugolii,
anche perchCarotone era lche andava su e giper il corridoio con una
cinghia in mano e dava scudisciate al buio dovunque sentiva arrivare il pi
piccolo rumore.
Insomma, erano tempi duri. Fortunatamente perc'era la foto a mezzo busto
della negra che zio Luigi aveva portato dall'Africa Orientale: noi la
battezzammo accetta nera ci innamorammo di lei. La negra era un po'
bruttina di viso, ma aveva tutte e due le tette di fuori e tanto bastava per
farci salire il sangue alla testa. Quando zio Luigi andava al Circolo, noi ci
chiudevamo nella sua stanza e, dopo aver posto la foto in posizione verticale
sulla scrivania, restavamo a guardarla in religioso silenzio, che poi tanto
religioso non era e San Sebastiano ne sapeva qualcosa.
L'infatuazione per Faccetta nera, e per le africane in generale, aumenta
dismisura il giorno in cui, durante una visita alla Triennale d'Oltremare,
vedemmo la fezzanese Manubia esibirsi in una danza del ventre al ritmo di una
decina di bongos. Mai e poi mai avremmo potuto supporre che un ventre di
donna fosse capace di esprimere tanta Sensualitsolo muovendosi, quasi
possedesse un'anima localizzata. Zio Luigi stesso, che pure era abituato a
vedere ben altre esibizioni, non potfare a meno di esclamare es Ges a
questa le manca solo la parola! Le tette di Faccetta nera, sommate al ventre
di Manubia, crearono in noi una sana coscienza democratica e antirazzista che
ancora oggi ci accompagna nella vita.
Un giorno perzio Luigi si accorse che la foto appariva... come dire...
Logorata dall'uso e pensbene di chiuderla a chiave in un cassetto del com
Noi non ci facemmo scoraggiare per cospoco: Filuccio, il figlio del
portiere di via Marino Turchi, alto e magrissimo, tolse il cassetto superiore
e, allungando un braccio reso scheletrico dalla fame bellica e dalla
eccitazione sessuale, riusclo stesso a prendere la foto con la punta delle
dita. Ora io mi chiedo: potrmai un ragazzo di oggi, con tutti i laymen
che gli sbattono sulla faccia, capire quale immensa gioia provammo noi quel
giorno, quando Filuccio pescla foto di Faccetta nera dal cassetto di zio
Luigi?
Sono diventato maggiorenne prima che chiudessero le case di tolleranza e,
siccome mi sono deciso a raccontare tutta la verit confesseranche di
averle frequentate. Sia chiaro perche non ne sono mai stato un cliente
abituale, anzi, al contrario, posso vantarmi di esserci andato solo in alcune
occasioni e non necessariamente per motivi di sesso.
Cominciai che avevo sedici anni, molta fame e nessuna possibilitdi chiedere
soldi a casa. Fu un mio compagno di liceo, tale Criscuolo, detto Sciabbolone,
a introdurmi nel business degli alcolici. .
u adesso vieni con me da zAlfonso. Io ci parlo, ti presento, dico che sei
un mio compagno di scuola, e ti faccio vedere che quello dle bottiglie pure
a te.a veramente tuo zio?hiesi io per tranquillizzarmi.
er amor di Dio!ispose Sciabbolone con una smorfia di disgusto. utti
quanti lo chiamano zAlfonso, ma lui non zio a nessuno. Prima faceva il
sacrestano nella chiesa di San Domenico Maggiore, poi lo cacciarono perchsi
arrubbava i soldi da dentro le cassette. Cosora si e messo nei liquori:
fabbrica whisky scozzese a Casavatore. Il lavoro semplice: noi portiamo le
bottiglie nei casini e lui ci ddieci lire a bottiglia.Il lavoro non era
semplice per niente, se non altro perchsi correva il rischio di farsi
beccare dagli MP americani e di finire in galera per vendita di prodotti
adulterati.
ZAlfonso era un ibrido, a mettra il prete e il camorrista: aveva gli
occhiali di chi ha passato tutta la vita tra i libri e la voce rauca di uno
scaricatore di porto. Mentre in certi momenti sembrava pieno di apprensione
per la nostra moralit un minuto dopo non esitava a minacciarci di morte se
solo gli avessimo fregato una lira.
uagli mi raccomando: quando andate nei casini non vi guardate mai
attorno. Fatevi il segno della croce, tenete gli occhi bassi e consegnate le
bottiglie alla maltresse. Regola numero uno: non lasciate le bottiglie se
prima non vi hanno pagato. Regola numero due: ricordatevi dei prezzi:
novecento lire la cassetta di whisky e settecentottanta lire quella di gin!
Regola numero tre: non dimenticate i vuoti. Regola numero quattro: non
guardate le puttane ma guardate i soldi. Se i conti non tornano sono mazzate!
Regola numero cinque: non bevete l'old scotch di zAlfonso perchveleno!
Basta un sorso e si muore sul colpo!a gli americani se lo
bevono!biettavamo noi.
ma a loro non succede niente perchnon sono cristiani!Noi, malgrado
le regole di zAlfonso, guardavamo, eccome! Una volta, con la scusa di
portare il whisky in Cucina, attraversai tutto il casino. Su un divano
c'erano tre soldati americani, fra cui un sergente di colore, che stavano
aspettando le egnorine Nel corridoio incontrai una donna enorme, in
vestaglia arabescata, che cantava ola me ne vo per la citt嗷. Aveva le
cosce scoperte e la mutanda di pizzo nero che s'intravedeva a ogni svolazzo
della vestaglia. In cucina ce n'era un'altra che si stava facendo un caff si
chiamava Ketty. Era molto picarina di quella del corridoio e aveva i capelli
alla maschietta. Mi guardmentre scaricavo le bottiglie e disse:
uant'bello stu piccirillo! Quase quase m'o facesse.E fu questo il primo
complimento che ebbi da una donna.
Ketty, la egnorinacon i capelli alla maschietta, entrnel mio immaginario
erotico per rimanervi alungo. Me la sognavo a occhi aperti, con quella sua
bocca rossa e lo sguardo invitante. Non pensavo tanto all'atto sessuale,
quanto abbracciarle il seno e a farmi coccolare. Mi vedevo ricco famoso
(perfino con l'Isotta Fraschini) che andavo a trovare con la sicurezza
dell'habitu Avrei detto ite a Ketty che stque le avrei regalato un
anello di brillanti.
Da quel giorno cominciai a contare gli anni, i mesi e le ore che mi separavano
dalla data del diciottesimo compleanno. Filuccio c'era stato la prima volta a
sedici anni pare che avesse corretto la data di nascita con la scolorina e
che nessuno se ne fosse accorto. Bisogna dire perche Filuccio gisi radeva
e che era pialto di me di almeno un palmo. Io poi avrei avuto troppa paura a
presentarmi con un documento falso: sfortunato come sono mi avrebbero beccato
al primo tentativo. Mi era stato detto che se fossi stato scoperto, la polizia
avrebbe informato immediatamente mio padre e a quel punto tanto valeva
suicidarsi prima.
Arrivarono i diciotto anni e con essi la tanta sospirata iniziazione. Ketty
ormai, con le uindicineche andavano e venivano, chissdove era andata a
finire. Forse chiedendo in giro, avrei anche potuto scovarla: magari aveva
smesso di lavorare e si era sposata...
Scortato dagli amici pianziani, mi presentai al 98, unico casino napoletano
ancora off limits per gli americani. Era una giornata funerea: non pioveva, ma
c'era nell'aria un cupo presagio di temporale. Non che avessi paura di
bagnarmi (mi ero portato l'ombrello di pap, ma per un giorno cosimportante
avrei preferito una tiepida sera d'estate. Detti uno sguardo al cielo ed ebbi
l'impressione che tutte le nuvole di Napoli si fossero date appuntamento in
via Nardones: pim'inoltravo nel vicolo e piloro si abbassavano per
potermi deprimere. Vuoi vedere, pensai, che proprio oggi c'la fine del
mondo. Sarebbe stato il massimo della sfortuna: colto in flagrante mentre
andavo a puttane! Mi avrebbero spedito all'inferno, senza nemmeno farmi
passare per il Giudizio Universale.
ta per venire una tropea,ussurrai orse meglio se torniamo domani.
a te che te ne importa se piove,ghignazzNuzzo Neri ica devi fottere
all'aperto!Non fiatai, anche perchun tuono apocalittico mi fece
ammutolire. I vetri di via Nardones cominciarono a tremare come se fossero
stati presi dal panico. Strinsi tra le dita le cento lire della marchetta
(dieci banconote quadrate da dieci amlire, faticosamente accumulate negli
ultimi tre mesi) e istintivamente pensai a don Attanasio, a San Sebastiano e
a mio padre. Mi consolai pensando che tanto non mi avrebbero fatto entrare.
Aprii l'ombrello.
a che fai?disse Nuzzo. pri l'ombrello quando non piove? ma adesso
cominciaecondo me, stai nel pallonerepliclui, picattivo che mai.
i sei pisciato addosso e hai pensato che stesse piovendo!Una risata
generale sancil mio scorno.
Il 98 aveva un complicato sistema di porte a vetri smerigliati che impediva a
quelli che entravano di vedere quelli che stavano uscendo. Ovviamente mi
confusi e imboccai la porta sbagliata, quella dove stava scritto scita Una
vecchia sdentata mi bloccal volo:
iovane, avete sbagliato porta: se trase a chell ata parte!L'ombrello era
proibito: mi obbligarono a depositarlo al guardaroba. Poi mi chiesero i
documenti: li mostrai tremando. Qualcuno mi disse edetevi!e io ubbidii
prontamente, senza nemmeno avere il coraggio di alzare gli occhi dal
pavimento. Provai molta invidia per Nuzzo che invece salutava un po' tutti: la
guardarobiera, i clienti e le signorine.
La puttana era brutta e antipatica, ma non fui io a scegliere lei, benslei
a scegliere me. A dir la verit ce ne sarebbe stata una, seduta in un
angolo, che mi piaceva anche perchera pigiovane e pipiccola di statura.
Stavo li lper farle un cenno d'intesa, quando quella brutta mi prese per la
manica della giacca e mi costrinse a seguirla.
aga la marchetta e vienimi appresso!mi ordin:e si avviper le scale.
Sentii la voce di Filuccio che mi lanciava un ai!d'incoraggiamento. Tirai
fuori dalla tasca le cento lire, ormai rese collose dal sudore, e le consegnai
come in trance nelle mani di una Crudelia de Mont che stava alla cassa.
Chissperchquando si pensa ai casini le prime immagini che vengono in mente
sono il sedere delle puttane che salgono le scale e le mattonelle con l'orlo
blu, lungo il corridoio.
ogliti i pantaloni!Me li tolsi e lei, dopo un rapido sopralluogo per
vedere se avessi avuto piattole o altri insetti, prese uno spruzzatore di
FLIT e mi stantufftra le gambe una fredda nuvola di disinfettante. Le
residue speranze di una giimprobabile erezione svanirono di colpo.
eh!ridacchila megera. arrivato Rodolfo Valentino! Meglio accuss
tenevo proprio bisogno 'e 'nu minuto 'e riposo! Adesso bell'e mamm tu ti
vesti un'altra volta e aspetti dieci minuti buono buono, seduto sopra al
letto senza rompere 'o cazzo. Anche perchio mi debbo cucire la camicetta
che si scusuta. E non dire niente abbasso ca si no ti sputtano davanti a
tutti gli amici e dico ca si ricchione e ca nunn arrizzi!Quando uscii di
nuovo all'aperto mi venne da vomitare.
Gli amici mi chiesero com'era andata e io mi rifiutai di parlare.
a budisse Nuzzo Neri, volendomi consolare ai fatto sulo 'na figura 'e
merda!Mi dimenticai pure l'ombrello di pap
Passarono gli anni e m'iscrissi a ingegneria. Per un po' non mi capitpidi
andare a casino, se non durante la festa delle matricole, quando la isita
ai santuariera di rigore.
Poi conobbi Agostino Belluscio, detto Bambolotto per via dei riccioli, e
cominciil periodo della Pensione Gianna.
La Pensione Gianna era un casino dal volto umano: le ragazze erano tutte
venete, a eccezione di Concettina che era nata ad Aversa e che faceva il
doppio mestiere di prostituta e di direttrice di sala. Da Gianna si respirava
un'aria di famiglia e non c'era la uindicina ovvero il turnover delle
puttane che ogni quindici giorni cambiavano residenza. Il cliente si
ffezionavaa una sola ragazza e andava a letto sempre con lei. C'era un
cliente di Gallarate, un certo signor Mario, che da pidi sei anni era
fidanzato con Luisella la Veneziana. Quando andava fuori Napoli per lavoro le
telefonava, le mandava le cartoline e le faceva i regalini a Pasqua e a
Natale. Luisella era quello che si dice un personaggio felliniano: aveva due
tette grandi come provoloni di Auricchio. Un giorno il signor Mario, parlando
delle sue tette, socchiuse gli occhi e disse:
er me sono come la Svizzera!Erano cosaffiatati che il brav'uomo le
aveva lasciato in camera perfino il pigiama, le pantofole e una maglia di
lana di ricambio. La signora Gianna poi, ogni tanto, la domenica, offriva il
pranzo a tutti e due.
Bambolotto, pur avendo ventitranni suonati, non aveva mai superato il
biennio:
s'era impantanato nella chimica e non ne era venuto pifuori. A sbarrargli
il passo s'era messo addirittura il titolare della cattedra, il Professor
Bonifazi in persona.
elluscio,gli disse un giorno Bonifazi uante volte hai tentato di
prenderti la chimica?uattro volte. io per quattro volte non te l'ho
data: vero Bell vero.uindi tu mi odi?er carit profess
non mi permetterei mai!o, Belluscio, non negare l'evidenza: tu mi odi!
Tu, se potessi, mi ammazzeresti.o, profess ve lo giuro.u mi
ammazzeresti.a quando mai...ell qua due sono le alternative: o tu
ammetti che mi ammazzeresti o io ti caccio fuori dall'aula.A questo punto,
Bambolotto non seppe piche dire cercuna via di mezzo.
eramente, profess certe volte l'ho pensato, perpoi, mi sono subito
pentito...o Bell non ci siamo capiti,precisBonifazi u devi dire
ad alta voce:
Io vi vorrei ammazzare.o vi vorrei ammazzareripetBelluscio come un
automa.
invece mi dovresti ringraziare.i dovrei ringraziare? caro
Belluscio, perch bocciandoti, io ho cercato di farti cambiare strada.
opo cinque anni?eglio cinque anni buttati al vento che altri dieci a
inseguire una laurea per la quale non sei portato. Belluscio, guardiamoci in
faccia, da uomo a uomo: tu l'ingegnere non lo puoi fare! Tu magari potresti
diventare un ottimo medico, un filosofo, un poeta, un nuovo Giacomo Leopardi,
ma mai un ingegnere! E allora perchcontinuare? Perchostinarsi ad andare
contro natura?erchmio nonno era ingegnere, perchmio padre ingegnere
e perchpure mio zio fa l'ingegnere!piagnucolBambolotto. o non posso
interrompere una tradizione di famiglia solo per colpa della chimica... con
tutto il rispetto per la materia, sia chiaro. E poi proprio adesso che ho
trovato un collega tanto bravo con il quale mettermi a studiare.Il collega
tanto bravo, sarei stato io, e il luogo dove c'incontravamo per studiare era
la Pensione Gianna. Ora, per capire questa scelta, quanto meno insolita,
bisogna sapere tre cose: primo, che Bonifazi pretendeva la frequenza alle
lezioni, secondo, che la Pensione si trovava in via Mezzocannone, proprio di
fronte alla facoltdi Chimica e terza, che Bambolotto riceveva un piccolo
stipendio dalla signora Gianna per tenere in ordine la contabilitdella casa.
In genere studiavamo dalle otto all'una. Avevamo le chiavi sia del portoncino
che dell'ingresso: entravamo e ci mettevamo a studiare senza svegliare
nessuno. La signora Gianna ci aveva procurato perfino una lavagnetta dove
poter scrivere le formule pidifficili. Stavamo, come si dice a Napoli,
nella pace degli angeli.
Oggi la parola asinosinonimo di hiasso eppure, credetemi, non
esiste al mondo luogo pisilenzioso di un casino durante le prime ore del
mattino: le ragazze dormono, il telefono non squilla, i clienti non possono
entrare e tutto silenzio.
Verso l'una la casa cominciava ad animarsi. La prima a farsi vedere era la
signora Gianna: si sedeva accanto a noi e ci chiedeva il resoconto della
serata precedente. Bamblotto, per farla contenta, una volta al mese le
preparava anche la statistica delle marchette, suddivise in emplici,
oppiee ezz'ore
a Stefy continua a perdere colpi!si lamentava la signora. l guaio che
quella benedetta ragazza non ha la vocazione della puttana: per essere bella,
bella, ma fa tutto controvoglia e il cliente se ne accorge. voi non
glielo potreste dire come deve fare?lielo dico, glielo dico, e figuratevi
se non glielo dico,sospirava la signora a anche per fare il "mestiere"
bisogna essere intelligenti e la Stefy, anima sua, cretina! Teoricamente
dovrei cacciarla oggi stesso, su due piedi, ma anche la figlia unica di una
mia carissima amica, con la quale ho lavorato al Nord per pidi venti anni:
la posso mai mettere in mezzo a una strada? Io gliel'avevo detto alla madre:
Non la mandare dalle monache che me l'inguai per tutta la vita''.Poi
arrivavano le signorine, alla spicciolata, chi in pigiama e chi in vestaglia.
C'era quella che ci portava la tazza di caffelatte, quell'altra che curiosava
tra i libri e quell'altra ancora che restava in silenzio a guardarci
studiare. La mattina sembravano tutte picarine che non la sera prima
quando, diciamo cos stavano in alta uniforme. Finimmo col diventare
un'unica famiglia: Bambolotto si fidanzcon la Veneziana, la donna del
signor Mario, e io feci altrettanto con una ragazza di Mestre che si chiamava
Ernestina. Avevamo pio meno la stessa et A lei debbo tutto quello che
oggi so sul sesso: senza Ernestina, probabilmente, sarei anCora alle prime
armi.
Il nostro rapporto comincicon le lezioni di scrittura:
Ernestina era analfabeta e aveva il problema di scrivere due volte al mese
alla madre. Da qui nacque l'idea del baratto. Fu lei stessa a propormelo: u
m'insegni a scrivere e io ti insegno a fare l'amore; i francobolli perli
metti tu che sei uomo Anche la signora Gianna ci dette il suo benestare:
urchla schifezza ve la fate la mattina presto, quando non ci sono i
clienti!
La madre di Ernestina, ovviamente, ignorava il mestiere della figlia: sapeva
solo che era ballerina di prima fila in una non bene identificata compagnia
di rivista e che stava sempre in tourn. La poverina indirizzava le sue
lettere a Fermo Posta Napoli ed Ernestina ogni lunedandava a controllare se
era arrivato qualcosa. Oltre che scrivano ero diventato anche lettore e
traduttore dal veneto. Ecco un esempio di lettera dettatami da Ernestina:
ara mama, mi stago ben e cussspero de ti. Go tanto sucesso: ancuun
spetator me ga fato tanti aplausi el me ga dotnandanca un bis. La
capocomica siora Giana ea xe molto contenta de mi, e forse fra qualche mese a
me darun aumento de percentual. Come staa la Lucia? Dhe che aga
dastudiarperchea vita se non se studia se finisse col far tuto queo che vol
quei chega studi Cara mama, mi te vogio tanto ben e quando penso a ti me
ricordo de quando gero putea e me vien sempre vogia de pianser. Tua
Ernestina.La storia si concluse dopo l'ultimo esame di chimica. Quel giorno
Bonifazi era di ottimo umore: accolse Bambolotto con un sorriso.
a bene, Belluscio: hai vinto!disse Bonifazi. uesta volta l'esame te lo
do: pur di non vederti piin vita mia sono disposto a qualsiasi bassezza.
razie profess grazierispose Belluscio che non credeva alle sue orecchie.
ell facciamo una cosa: per non correre rischi, fatti tu stesso le domande
che vuoi.o profess meglio che me le fate voi!a bene, ma allora
cerchiamo di fare domande facili dove ti senti pipreparato, sulla chimica
organica o quella inorganica?er me lo stesso.hi, ahi!sospir
Bonifazi. ominciamo male. Comunque, se questo l'esame che preferisci,
proviamo a scrivere la formula del saccarosio.a formula del saccarosio?
Me la ricordo benissimo!Bambolotto si fiondalla lavagna. Prima si strinse
le tempie con le mani, quasi che volesse spremere dalle meningi la formula del
saccarosio, poi prese un gessetto e timidamente comincia scrivere, in alto a
sinistra, un bel C H o H. H 2 o Hcorresse Bonifazi.
h s grazie... C H 2o H...E coscontinuarono: Bambolotto metteva un
atomo di carbonio e Bonifazi gliene faceva aggiungere uno di ossigeno;
Bambolotto proponeva un atomo d'idrogeno e Bonifazi glielo faceva togliere.
Dopo un tempo che a tutti parve interminabile, lo schema del saccarosio venne
finalmente completato. .
questo, Dio sia lodato, il saccarosio,sospiril professore
asciugandosi il sudore con un fazzoletto he poi in termini pratici sarebbe?
h?ellchiese di nuovo Bonifazi he cos'il saccarosio?on ho
capito professore: adesso che cosa volete sapere?rispose Bambolotto piin
tilt che mai.
oglio sapere come viene chiamato il saccarosio nella vita di ogni giorno!
l saccarosio?signore: il saccarosioripetil professore che si
stava innervosendo.
Bambolotto non rispose. Capche l'esame aveva imboccato una brutta strada e
che Bonifazi non era piquello di prima. Purtroppo per lui, non gli venne in
mente che saccarosio e zucchero sono la stessa cosa e continua ripetere
come un deficiente l saccarosio... il saccarosio...finchil professore
gli offrun'ultima via di salvezza.
elldisse Bonifazi, quasi implorandolo u la mattina te lo prendi il
latte? nel latte che cosa ci metti?l panerispose candidamente
Bambolotto.
te ne devi mangiare di pane prima di prenderti la chimica!scatt
Bonifazi, alzandosi in piedi e urlando come un pazzo. erchio la chimica
non te la darmai! Hai capito Bell mai!!!Belluscio quella mattina torn
alla Pensione con le lacrime agli occhi e la Veneziana gli prese la testa
piena di riccioli e la nascose in mezzo ai provoloni di Auricchio.
ambolotto mio no far cuss cossa te importa a ti de a Chimica se qua ghe
xe a veneziana" che te vole tanto ben.
Il primo amore

Di primi amori ne ho avuti quattro, uno per ogni et ho avuto il primo amore
da bambino, poi quello da adolescente, poi da giovanotto e infine da adulto.
Quanto a quello da vecchio, spero che non si faccia attendere troppo.
Se penso di aver avuto quattro primi amori, e non quattro amori diversi
(numerabili dall'uno al quattro), perchcredo di essermi innamorato sempre
della stessa persona, di una ragazza cioun po' bizzarra, che ogni volta ha
voluto indossare un nome e un aspetto diversi, come la dea Tetide quando non
voleva farsi possedere da Peleo. E cosuna volta mi si presentata davanti
con i capelli rossi, un'altra con gli occhi verdi, e poi ancora con i capelli
neri e infine, l'ultima volta, con le labbra rosa come i coralli dei cammei
di Torre del Greco. Io invece (e di questo sono sicuro) non sono mai stato lo
stesso uomo: il Luciano che a nove anni s'innamorperdutamente di Lilly, non
aveva nulla in comune, nome e cognome a parte, con tutti i Luciani che
vennerO dopo e che si innamorarono rispettivamente a 19, 29 e 51 anni.
Questa pertanto non la storia di un uomo e di quattro donne, ma di una
donna e di quattro uomini, tutti innamorati di lei.
Un giorno John Keats, un poeta inglese dell'Ottocento morto a soli 25 anni,
scoprsu un'urna greca una rappresentazione dell'Amore Eterno. Si trattava
di due giovani, un ragazzo e una ragazza, che si rincorrevano da posizioni
diametralmente opposte. Data la rotonditdell'urna e la simmetria del
disegno, non si poteva stabilire chi dei due stesse inseguendo l'altro. Era
chiaro perche tutti e due sentivano il bisogno contemporaneo sia della fuga
che dell'inseguimento. eard melodies are sweet, but those unheard are
sweetersospira il poeta e poi conclude: old Lover, never, never canst
thou kiss... for ever wilt thou love, and she be fair
A questo punto, per capire chi colei che sta fuggendo da me (o che mi sta
rincorrendo), per sapere come fatta quella che Keats chiama a sposa
inviolata del silenzio provera raccontare quel che finora mi successo
con lei.
Lilly Ho gidetto che m'innamorai per la prima volta a nove anni: lei ne
aveva uno meno di me. Abitavamo nello stesso palazzo, quello di via Marino
Turchi 31 a Santa Lucia, io al terzo e lei al quinto piano. L'incontro
avvenne sul terrazzo comune.
Lilly aveva i capelli rossi, le lentiggini e le treccine (aveva anche una
mamma egiziana, ma questo lo venni a sapere solo in un secondo momento).
Per un po' non accadde nulla: io fermo in un angolo a guardare, e lei a girare
intorno sui pattini come se non ci fossi. Poi tutto ad un tratto si accorse di
me, e, ogni volta che mi passava accanto smetteva di spingere s pattini e
procedeva per una decina di metri, immobile, come una figura egizia,
allineando il viso alle spalle e mettendo i piedi uno sul prolungamento
dell'altro. Guardarmi non mi guardava, ma a ogni passaggio progressivamente
mi si avvicinava, e pimi sfiorava, pisentivo il mio cuore sussultare come
un assolo di batteria; pigiri inanellava, piil mio amore per lei
diventava eterno.
In pochi giorni diventammo inseparabili e io cominciai a comportarmi come se
fossi il fidanzato ufficiale. Le stavo sempre vicino ed ero geloso se qualche
altro ragazzino le rivolgeva la parola. Non so bene spiegare i motivi della
mia infatuazione, ma Lilly era troppo diversa da qualsiasi altra bambina
avessi conosciuto prima di allora per non restarne affascinato. Probabilmente
alla base di questa diversitc'era l'influenza della madre, che era s
egiziana, ma di origine inglese. Anche le abitudini della sua famiglia per me
erano sconvolgenti: tanto per dirne una, a casa sua, lei e il fratello
potevano parlare quando e come volevano, cosa che invece a me e a mia sorella
veniva negata del tutto, a meno che non avessimo avuto la febbre con
temperatura superiore ai 38 gradi.
Un giorno Lilly mi disse: omani festeggio il mio compleanno, vieni su alle
quattro in punto
l tuo compleanno!risposi io stupitissimo. fate una festa?
Perch tu non la fai la festa quando viene il tuo compleanno?ai: i miei,
in un anno, mi fanno solo due regali, uno all'onomastico e uno alla Befana.
a Natale?i dicono Buon Natale.accordo, ma sotto l'albero che cosa
ti fanno trovare?iente: e poi noi non facciamo l'albero, facciamo il
presepe! non ti fanno un regalino?o, permangiamo di pie mi danno
il permesso di vedere i fuochi.La festa di Lilly fu eccezionale: tutti i
ragazzini erano seduti a tavola e venivano serviti come persone grandi.
la prima volta in vita mia bevvi la cioccolata (fino a quel giorno avevo
ignorato che la cioccolata si potesse anche bere). I posti erano tutti
assegnati: ognuno di noi aveva un cartoncino col proprio nome e accanto al
cartoncino un pacchetto colorato con un regalo personale. Alla fine del
ricevimento spensero le luci e arrivla torta con le candeline accese. Rimasi
senza fiato: il fuoco a tavola! Oggi non credo che esista un solo bambino che
si possa meravigliare per la torta con le candeline, ma a quei tempi era
diverso. S dopo la guerra alcune tradizioni anglosassoni, come l'albero di
Natale e la canzone Jingle Bells, sarebbero diventati comuni.
Il nostro, ovviamente, fu un fidanzamento senza sesso anche se un giorno, come
si dice in gergo, i provai
eviamoci i calzoncini e le mutandine le dissi cosi ci guardiamo!
evateli prima turispose lei.
Io subito, senza starci troppo a pensare, me li tolsi, lei serissima, dopo
avermi osservato con calma, non volle fare altrettanto. Da quella volta
imparai a spogliarmi solo per secondo.
Improvvisamente perLilly divenne misteriosa: la sua famiglia comincia
trasferirsi da una pensione all'altra e si cambidi cognome. All'inizio, io
non capii il perchdi tutti questi sotterfugi, poi qualcuno mi spiegche
erano ebrei e che sarebbe stato pericoloso per loro avere un recapito
conosciuto. Lilly partper l'America, all'improvviso, senza neanche venirmi
a salutare. Piansi a dirotto: Hitler e Mussolini avevano distrutto il mio
primo sogno d'amore.
Giselle Napoli, Vomero, Liceo Jacopo Sannazaro, ottobre 1947: io stavo in
terza liceo e lei in prima. Aveva sedici anni. La vedevo arrivare ogni giorno
con i libri stretti da una cinghia marrone, sempre ben vestita e perfino
truccata. Il martedinvece la incontravo in palestra alle dieci e trenta
precise:
lei usciva e io entravo. Il primo problema fu quello di non arrossire: anche
se la scorgevo a cento metri di distanza, mi si scatenava dentro una tempesta
di fuoco, e picercavo di sembrare indifferente, pimi sentivo avvampare
come un tizzone. Poi pian pianino, non so nemmeno io come, mi ci abituai. Non
erano tanto gli occhi verdi a sconvolgermi, quanto le punte del seno che
riuscivo a indovinare, nude secondo me, al di sotto della tuta.
Un giorno che mi sentivo piforte del solito mi feci coraggio e l'abbordai.
ome ti chiami?iselle e abito in via dei Mille.Poi, subito dopo
aggiunse: uelli del Vomero sono tutti cafoni!
a io non sono del Vomero. di dove sei?ono di via dei Mille.h,
meno male!sospirlei. vevo paura che fossi anche tu del Vomero.
Cosla mattina possiamo darci appuntamento a piazza Amedeo e prendere
insieme la funicolare.Io non ero affatto di via dei Mille, ma dopo quello
che lei aveva detto dei vomeresi, come facevo a confessarle che da pidi un
anno mi ero trasferito al Vomero? S d'accordo, avrei potuto dirle che ero
originario di Santa Lucia, ma poi, va' a sapere cosa ne pensava di quelli di
Santa Lucia. La veritche il mio amore era un pochino razzista, tanto
vero che aveva anche l'erre moscia.
Il secondo problema fu trovare i soldi per la funicolare:
in pratica due lire al giorno (una per salire e una per scendere) e in pi
qualche altro soldino per offrirle, che so, un gelato o dei cioccolatini. Ogni
mattina mi alzavo un'ora prima per farmi trovare, fresco come una rosa,
all'appuntamento di piazza Amedeo. La prima discesa me la facevo a piedi:
venivo gidi corsa, come un proiettile, lungo la calata San Francesco: dieci
minuti, massimo dodici, ed ero a via dei Mille. Il vero dramma era il
ritorno, quando, dopo averla accompagnata fin sotto casa, dovevo risalire
1128 gradini per raggiungere il Vomero, ma ero giovane, in salute e per
giunta innamorato.
Mettere insieme venti lire a settimana nel '47 era un'impresa. I primi a
finire sulla bancarella degli usati furono i testi del ginnasio, poi prese il
volo un Giulio Verne avuto in regalo da zio Luigi, e infine i miei
adoratissimi Salgari. con il Ciclo dei Corsari mi pagai due settimane di
funicolare con Minnehaha la Scotennatrice (rilegatura in rosso e titoli in
oro) tre giorni. A dicembre cominciai a non farcela pi le dissi che potevo
accompagnarla solo all'andata, perchall'una dovevo andare da un amico, al
Vomero, a fare i compiti. Un brutto giorno, infine, mi resi conto che non
avevo pinulla da vendere e mi arresi.
enti Gisella...cominciai a dirle con voce affranta.
iselle, pregomi corresse lei.
iselle, debbo darti una brutta notizia: mio padre ha deciso di trasferirsi
al Vomero. con questo? Anche se ti trasferisci, resti sempre uno di via
dei Mille.E cosmi salvai.
Il primo bacio ce lo demmo nello stanzino degli attrezzi sportivi. Era un
martede c'era ginnastica: io avevo anticipato la discesa in palestra e lei
si era trattenuta un po' pidel necessario. La baciai con impeto tra
giavellotti, clave, e avalliin similpelle, ma non ebbi il coraggio di
toccarle il seno. Eppure Dio solo sa quanto mi sarebbe piaciuto!
Un giorno, durante la lezione di latino, il professor Valenza Ci parldei
ruderi di Baia e di un tempio dove, a suo dire, era ancora possibile sentire
la voce del dio Mercurio sottO forma di eco. Essendo Baia a soli ventidue
chilometri da Napoli, venne subito organizzata una gita scolastica per la
domenica successiva, alla quale, con mia infinita gioia, avrebbe partecipato
anche la prima E, la classe di Giselle.
Una volta nel tempio, nessuno fu capace di sentire Mercurio, anche perch
tutti si misero a gridare contemporaneamente, e pidi tutti il professore
che avrebbe voluto il pitotale silenzio per farci ascoltare l'eco: solo io
e Giselle ubbidimmo ai suoi ordini, tutti gli altri urlavano come ossessi. La
veritche noi eravamo assenti: pigiati nella ressa, sballottolati da ogni
parte, badavamo solo a tenerci per mano e ad ascoltare i nostri cuori. A me
di sentire Mercurio non importava assolutamente nulla, l'unica cosa che
andavo cercando con gli occhi era un angolo buio, una cameretta segreta, un
anfratto qualsiasi dove poterle dare un bacio.
Nel primo pomeriggio ci trasferimmo a Bacoli a visitare le tanze di
Agrippinae, mentre tutti giocavano a nascondarella, io e Giselle ce la
squagliammo e ci avviammo verso il mare. Il professor Valenza ci vide ma non
fece nulla per fermarci. Che Dio gliene renda merito!
Ci sdraiammo, uno accanto all'altro, su una spiaggetta piena di sassi. Era
inverno, la zona era deserta e ci potemmo scambiare con calma tutti quei baci
e quelle carezze che avevo sognato negli ultimi due mesi. Io stavo con la
schiena a terra e lei mi si coricaddosso per coprirmi di affetto (o forse
per non sporcarsi). Sentii subito un acuto dolore dietro la schiena, era una
piccola pietra che mi premeva giusto in mezzo alle scapole. Non dissi nulla
per non rovinare il momento magico. Prima di andar via, per senza farmene
accorgere, presi la pietra e me la misi in tasca.
Poi arrivarono le feste e per un po' di tempo ci perdemmo di vista. Le
telefonavo ogni giorno ma i familiari rispondevano che Giselle non c'era.
Tutte le vacanze di Natale le passai camminando su e giper via dei Mille
finalmente una mattina l'incontrai. Fu gentilissima.
iao, mon amour, che fine hai fatto: sei sparito?cinguettspudoratamente,
come se fossi stato io quello che non si era fatto pivedere. Era carina da
impazzire!
iente di speciale,risposi con aria indifferente olite cose...enti,
continulei, pidisinvolta che mai 'ultima notte dell'anno, a casa mia,
diamo un veglione: vengono Capece, Minutolo, i Caracciolo, i Torre Padula,
gli Imperiali e i Pignatelli. Vuoi venire anche tu?Io non sapevo chi
fossero i Capece Minutolo e tutti gli altri cognomi che aveva elencato, ma
l'idea di poter stare una notte intera accanto a lei mi elettrizza tal
punto che da quel giorno non dormii piper l'emozione.
Ero cosi felice che lper lsottovalutai una cosa tremenda che mi aveva
detto:
u ce l'hai lo smoking?
Ovviamente non lo avevo, ma risposi lo stesso s come sempre accadeva ogni
qualvolta lei mi guardava negli occhi.
Quel Natale trascorse sotto l'incubo dello smoking. Mio padre, giustamente,
avrebbe voluto telefonare ai genitori della ragazza per dirgliene quattro.
a come,continuava a ripetere ua l'Italia sta con le pacche nell'acqua e
questi si mettono a fare le feste in smoking! Io quasi quasi li faccio
arrestare!Mia madre invece, poverina, aveva intuito quanto fosse importante
per me quella festa, e come primo tentativo cercdi farsi prestare l'abito
da sera da qualche parente, ma tranne zio Luigi zio Luigi che era all'estero,
nessuno della famiglia era mai arrivato allo smoking. Cosdecidemmo di
affittarlo ovviamente senza farlo sapere a pap
C'era al Vomero, in via Luca Giordano, una ditta specialiZzata in addobbi e
abiti da cerimonia: la ecoriello e figli Adesso non ricordo bene quanto
costasse uno smoking Pecoriello nel '47, ma non dimentichermai la
discussione che si scatentra mia madre e il noleggiatore allorchvenne
fuori il problema della cauzione. Mammprese la richiesta come un atto di
sfiducia nei suoi confronti, si offese e uscdal negozio. Il noleggiatore la
rincorse per strada e le disse che in via eccezionale, e solo per quella
volta, avrebbe rischiato. A parte la cauzione, c'era poi il problema della
misura: essendo io magro come un fachiro, non esisteva in tutta Napoli un
solo smoking i cui pantaloni non mi cascassero per terra. D'altra parte il
cavalier Pecoriello si rifiutava di apportare all'abito qualsiasi modifica.
Alla fine scendemmo a patti: mammavrebbe provveduto a fare una piega sul
dietro dei pantaloni (olo un'imbastitura, signora, per carit mi
raccomando: solo un'imbastitura, e Pecoriello ci avrebbe prestato senza
alcun sovrapprezzo un paio di bretelle per tenerli su.
Lo so: difficile immaginarmi magrissimo, eppure, credetemi, ero cos
scheletrico che gli amici mi chiamavano Auschwitz. Non andavo al mare perch
mi si vedevano tutte le costole. Oggi, invece, mi capita esattamente il
contrario: non mi metto in costume perchho paura di essere troppo grasso. A
questo punto mi chiedo: ci sarpure stato un momento in cui ero giusto? Per
quanti sforzi faccia, non me lo ricordo: sarcapitato d'inverno.
ma torniamo a Giselle e al veglione del '47. Fu una delle peggiori notti
della mia vita: lei non mi amava pi
Qualcosa doveva essere accaduto durante quelle maledette vacanze di Natale.
iao, come stai?mi disse appena mi vide e da quel momento non mi rivolse
pila parola.
Io non conoscevo nessuno. Lei invece conosceva tutti rideva con i Torre
Padula, spettegolava con i Caracciolo, fraternizzava con i Pignatelli e
parlava continuamente di persone che non avevo mai sentito nominare. Tra
l'altro non afferravo nemmeno bene quello che dicevano. Lei eri sera,
confidava ridendo a uno con la faccia di ebete o sgamato il Sanfedele che
faceva le vasche coi l'Annarita!ul serio?rispondeva l'ebete. a vero
che si spara le pose con l'Aurelia del cugino?Per me erano parole prive di
senso: capivo perche avevo perso Gisella, anzi Giselle. La spiaggia di
bacoli divenne subito un allido ricordo del passato Dopo la mezzanotte si
mise a ballare con un uomo anziano, un trentenne, un certo Gian Filippo di
Qualche cosa. Non credevo ai miei occhi:
Giselle, la iaGiselle, completamente plagiata da un bellimbusto! Ecco
perchmi aveva ignorato in quei giorni, ecco perchsi era sempre fatta
negare al telefono! Quello che pimi dava fastidio poi era che, dopo ogni
ballo, i due spudorati non si staccavano, ma restavano fermi l'uno nelle
braccia dell'altro fino a quando non ripartiva la musica. E pensare che per
ogni brano era necessario ricaricare il grammofono con la manovella, cambiare
la puntina e appoggiare con estrema attenzione il braccetto per non rovinare
il disco: un'operazione che a dir poco durava due minuti.
A quel punto dovevo reagire, ma come? Finalmente mi venne un'idea formidabile:
uscii sul terrazzo e decisi di non rientrare pinel salone. Sarei rimasto l
fuori fino a quando lei non sarebbe venuta a cercarmi.
vete visto Luciano?avrebbe chiesto in giro.
hi Luciano?uciano De Crescenzo... quello del Vomero?ai sentitole
avrebbero risposto.
La notte era fredda ma la cosa non poteva che farmi piacere: il freddo rendeva
ancora piintenso il mio soffrire.
Intanto mi preparavo le risposte.
a che fai qua fuori?avrebbe detto lei.
olo ora ti sei accorta che non c'ero!avrei replicato io, guardandola con
amarezza.
Purtroppo lei non arrivmai. Arrivinvece la pioggia e io non mi mossi.
enissimo,pensai osquando verrmi trovertutto bagnato.(Potrei
anche dire che e gocce di pioggia si mischiarono alle lacrime ma non lo
dico.) Lo smoking di Pecoriello diventuna vera schifezza.
Il giorno dopo mi capitfra le mani la pietra di Bacoli, e invece di
buttarla via, come avrei dovuto fare fin dal primo momento, ci scrissi sopra
una poesia:
Piccola pietra gelida, tolta dalla tua riva, tolta dal bacio assiduo del mar
che a te saliva, scorda quel lido splendido, scorda che scordo anch'io.
Ero giovane.
Gilda Parlare del mio terzo primo-amore difficile, se non addirittura
impossibile, tenuto conto che sono passati appena ventisette anni dal
matrimonio e che non ho ancora le idee chiare. Come gli storici, anch'io ho
bisogno del filtro del tempo per capire le ragioni del cuore, e poi si tratta
di mia moglie, e quindi mi si perdonerse ho qualche problema a essere
sincero. La prima volta che la vidi aveva i calzettoni bianchi e il montgomery
arancione: diciassette anni lei, ventinove io.
Tre anni di fidanzamento e quattro di matrimonio. Tranne l'ultimo, tutti gli
altri li ricordo con piacere. L'incontro, fu pio meno questo:
ome ti chiami?ilda.E gidicendomi il nome mi fece innamorare. La
storia potrebbe anche terminare qui: tutto il resto secondario.
Mia mamma fu contraria al matrimonio fin dal primo momento. Aveva sognato per
me una ricca ereditiera. Gilda, poverina, a parte la bellezza e
l'intelligenza, se la passava maluccio. In famiglia, all'inizio, ci furono
discussioni interminabili. Mio cognato, che aveva il senso degli affari,
obiettche un giovanotto con quattro appartamenti di propriete una laurea
in ingegneria, irando per paesi avrebbe potuto incastrare chi voleva lui,
perfino una milionaria. Naturalmente, io mi sposai lo stesso. Dopo quattro
anni mi separai. Tutti allora a dirmi e l'avevo detto io.hi nun sente a
mamma epate va a finaddnunn'nateio mi consolai con Socrate il quale,
a chi gli chiede consiglio se sposarsi o meno, era solito rispondere: a
come vuoi, tanto in entrambi i casi ti pentiraiPerchci separammo? Perch
succede.
Una mattina, mentre mi facevo la barba, lei mi disse:
o vado via!
Lper lnon capii, anche perchero di spalle.
e aspetti cinque minuti scendo anch'iole risposi.
Poi mi voltai e mi accorsi che aveva una valigia in mano. Voleva andar via per
sempre. Parlammo, litigammo, piangemmo (o per meglio dire: parlai, litigai e
piansi) e decidemmo di fare un ultimo tentativo. Approfittando di una vacanza
premio offertami dalla IBM, andammo insieme a New York: due settimane al
Waldorf Astoria. Gilda pernon ce la fece a resistere e dopo sette giorni
volle tornare in Italia.
A raccontarla cos sembrerebbe che le colpe fossero tutte sue: in effetti,
come sempre succede in questi casi, erano equamente distribuite. La verit
che, non avendo ancora nessuno dei due sessant'anni, eravamo immaturi.
Meno male perche ci siamo sposati lo stesso, altrimenti oggi ci sentiremmo
molto pisoli.
il day after fu davvero brutto: la prima notte mi feci a piedi, due volte,
corso Vittorio Emanuele, quattro chilometri all'andata e quattro al ritorno.
Poi tornai a casa per suicidarmi. Mentre salivo le scale sapevo giche non ne
sarei stato capace, tuttavia mi dava sollievo pensarlo.
Metodo scelto: il gas, una cosa semplice, pulita e senza spargimento di
sangue. Col gas l'unico accorgimento da ricordare quello di spegnere
l'interruttore centrale, per evitare che poi qualcuno, suonando il campanello
(lei che si pente e torna a casa!), inneschi un'esplosione.
Immaginare un suicidio un esercizio tipico dei ragazzini che sono stati
messi in castigo per qualche motivo. Pensare al dolore dei genitori, al
pianto degli amici, al rimorso di chi li ha costretti all'insano gesto,
procura loro un sottile piacere. Io, essendo gimaturo, almeno
anagraficamente, avevo bisogno di un po' di coreografia in pi una buona
musica da suicidio, tanto per dirne una. Il concerto numero due di
Rachmaninov lo scartai subito perchtroppo scontato e troppo romantico, e
poi gli amici che avrebbero detto? L'Adagio di Albinoni? Peggio di
Rachmaninov:
ormai lo suonavano anche nei bassi. Insomma ci voleva qualcosa di tenero, ma
nello stesso tempo d'insolito, un pezzo raffinato, da intenditori, tale da
costringere la gente a dire: ui sche era colto e sensibile, lei invece,
in quanto a musica, zero Optai per la Quarta Sinfonia di Mahler diretta da
Kubelik, cominciando perdal terzo movimento perchnon volevo correre il
rischio di morire sul secondo che non mi piaceva. Il problema piuttosto era
quello di trovare Mahler tra i quarantacinque giri; e gi perchcon
l'interruttore generale spento non potevo usare lo stereo e il mangiadischi a
pile non accettava i long playing Chissperch mi chiedevo, tra i
quarantacinque non ho nulla di adatto a un gesto irreparabile.
Fui costretto a rimandare. Intanto scrivevo lettere di addio da far trovare
accanto alla salma: quella per mia madre, quella per mia moglie con il perdono
finale (erLuciano in fondo quanto era buono!avrebbero detto tutti) e
quella per mia figlia da leggere nel giorno del suo diciottesimo compleanno.
Se c'era qualcosa che mi faceva piangere, era la lettera a mia figlia.
Piangere facilissimo: basta tirar fuori una lacrima che subito dopo
arrivano le altre.
Ci si commuove del fatto che si sta piangendo. Pio meno lo stesso
meccanismo delle slavine. Per quasi un anno restai come paralizzato: non
concepivo nemmeno di poter ricominciare con un'altra donna, eppure mi rendevo
conto che un riavviamento sessuale improrogabile. In queste situazioni nessun
proverbio piazzeccato del famoso hiodo scaccia chiodo Come esistono i
centri di recupero per gli handicappati, cosdovrebbero esistere quelli per
i reduci dai disastri sentimentali. Un giorno un collega IBM mi disse:
erchnon provi con la maestrina? In via Partenope, proprio a due passi
dalla sede IBM potevano ammirare alcune tra le pibelle puttane di Napoli.
Arrivavano in genere in tarda mattinata e s'intrattenevano ai tavolini del
bar Caflisch sul lungomare.
A vederle, coseleganti e distaccate, non sembravano nemmeno prostitute,
bensgiovani signore sedute a prendere il sole. Una pidi tutte destava la
mia attenzione:
tailleur beige e borsa di coccodrillo marrone, alta, con gli occhiali e i
capelli castani, aveva una vaga rassomiglianza con Eleonora Rossi Drago. Noi
la chiamavamo a maestrinaper via degli occhiali. Mi feci coraggio e la
fermai.
ermette?Lei non rispose e mi guardin modo strano. E inutile dire che io
ero al colmo dell'imbarazzo. A parte la difficoltdi abbordare una
prostituta, non ci dimentichiamo che ero a due passi dall'ufficio. D'accordo
che alle nove di sera difficilmente i miei colleghi sarebbero passati da via
Partenope, ma quante volte il direttore era tornato in IBM dopo l'ora di cena?
i scusi,balbettai o volevo sapere quanto... e poi se la cosa..enta
ingegnere,m'interruppe lei sorridendo o temo che la cosa, come la chiama
lei, non sia possibile.ome dice, scusi?olevo dire che con lei non me
la sentoprecisa maestrinacon molta dolcezza. Poi, vedendomi ancora
piin imbarazzo, cercdi spiegarsi meglio:
ede, ingegnere, io lavoro... diciamo cos.. qui da Caflisch, ma mi
accompagno solo con persone che non conosco. Lei invece la conosco da sempre,
da prima che si sposasse. Mi ricordo anche di quando sua moglie e la bambina
la venivano a prendere all'ora di pranzo. A proposito, parecchio che non le
vedo
s.. ed proprio per questo che io... da pidi un anno che sono
separato.e andrebbe di andarci a mangiare una pizza insieme?Lper l
non seppi cosa rispondere.
on si preoccupi,disse ancora lei on ci vedrnessuno. C'una pizzeria
qui accanto, proprio dietro Cappella Vecchia.E fu a maestrinaa darmi
una mano, non come prostituta, ma come psicoanalista. Per un paio di sere
uscimmo insieme e io ebbi modo di raccontarle tutte le mie sventure.
Lei mi ascoltsempre con molta attenzione, mi dette utili consigli, senza mai
parlarmi male di Gilda e, cosa ancora piimportante, senza mai compatirmi.
Passqualche altro anno e Gilda mi chiese l'annullamento del matrimonio. Il
divorzio in Italia non era stato ancora introdotto e l'unica strada da tentare
era la Sacra Rota. Tutte le nostre speranze (anzi tutte le sue, dal momento
che io, personalmente, non avrei voluto sciogliere un bel niente) si basavano
sul izio di consenso In altre parole, lei doveva sostenere la tesi che
era stato il padre a obbligarla con la forza.
osa le disse suo padre?le chiese il giudice ecclesiastico.
ti sposi il De Crescenzo o ti caccio di casa..
lei cosa rispose?iente: a quell'epoca ero minorenne e non avevo alcuna
possibilitdi vivere al di fuori della famiglia.l De Crescenzo era
d'accordo con suo padre? era d'accordo.llora il vostro non fu un
matrimonio d'amore?o, fu un matrimonio concordato.ra suo padre e il
De Crescenzo? proprio cos tra mio padre e il De Crescenzo.E invece
era stato un matrimonio d'amore. Tre anni di fidanzamento trascorsi mano
nella mano, occhi negli occhi, cuore nel cuore, e non appena uno dei due si
allontanava un poco ecco che l'altro gli correva dietro. Anche il primo anno
di matrimonio fu un anno alla Peynet: avrei voluto trascorrere la luna di
miele in Francia, a Nizza, ma durante il viaggio mi prese il sonno e fummo
costretti a fermarci a Sestri Levante. Era l'undici agosto del '61 in tutta
Sestri non c'era nemmeno un buco dove poterci rifugiare. La prima notte la
passammo in macchina, nel parcheggio di un albergo. Quando il portiere si
rese conto che eravamo due sposini in viaggio di nozze, ci presti cuscini.
Durante il processo, la cosa che pimi fece soffrire era essere chiamato l
De Crescenzo". Anche lei, quando era costretta a nominarmi, mi chiamava l
De Crescenzoe mai una volta, dico una, che mi avesse chiamato Luciano. a
come,avrei voluto dirle llora tutte le parole d'amore, le lettere, le
telefonate, i pensieri e i baci che per sette anni ti ho dato chi che te li
dava: il De Crescenzo?Non fu affatto facile ottenere l'annullamento. Una
delle operazioni picomplesse si rivelil reperimento dei testimoni. I
giudici della Sacra Rota, per controllare la veridicitdelle dichiarazioni,
andavano in giro a interrogare chiunque fosse a conoscenza del nostro
rapporto, ragione per cui una sera, io e mia moglie fummo costretti a
radunare tutti gli amici comuni e a consegnare loro un lungo elenco con le
domande e le risposte possibili. Ma se con gli amici l'indottrinamento fu
relativamente facile, con mia madre fu un'impresa disperata.
ammle chiedevo ogni sera u vuoi che tuo figlio si crei una nuova
famiglia e che non resti solo nella vita?erto che lo voglio, figlio mio
bello!rispondeva lei abbracciandomi. come puoi pensare che io che sono
tua madre non possa volere la tua felicitu vuoiinsistevo io con
inflessibilitsocratica he io trovi un'altra moglie che mi stia vicino?
perquesta volta la moglie te la trova mamma tua:
una moglie bella e brava, non come quella lche ti ha fatto tanto soffrire!
allora stammi a sentire: la prossima settimana verrqui un prete a
interrogarti. Ora io ti avverto, mamm quello ti fargiurare sul Vangelo! Tu
per se veramente mi vuoi bene, dovrai dire una piccola bugia. Noi, tutti
quanti, abbiamo testimoniato che Gilda non mi voleva sposare e che Stato
suo padre a obbligarla con la forza.a non vero!o so che non vero,
pernoi dobbiamo dire che vero, altrimenti i preti non ci danno il "vizio
di consenso" e io senza il "vizio di consenso" non mi posso sposare un'altra
volta. se mi sbaglio?e ti sbagli un guaio per tutti quanti: per noi
che non ci possiamo sposare e per la Sacra Rota che si perde qualche milione
sui diritti di annullamento.Per un'intera settimana facemmo le prove, come
se ci trovassimo a teatro.
ignora,dicevo io mentre le prendevo la mano e gli poggiavo sull'elenco
telefonico iuri di dire la verit tutta la verit niente altro che la
verit dica lo giuro!o giuro. vero che sua nuora non voleva sposare
suo figlio e fu il padre di lei a costringerla con la forza? vero.d
vero che se sua nuora non avesse acconsentito al matrimonio, il padre
l'avrebbe cacciata via di casa? vero. che suo figlio era d'accordo
con il futuro suocero? vero.Rispondeva sempre vero, vero ma
quando arrivil prete inquisitore e al posto dell'elenco telefonico si trov
il Vangelo, disse tutta la verit
adre,sbottpiangendo on vero che il padre la obbligava: non vero
che lei non voleva: lei voleva e ce! Ero io l'unica che non volevo, ed
questa la veritPoi abbassando la voce per paura che noi, da fuori, la
potessimo sentire, sussurr una settimana che mi stanno facendo fare le
prove
Il prete inquisitore riportla testimonianza di mammin questi termini:
nterrogata la madre del De Crescenzo sono state ottenute solo risposte prive
di significato, dato che la signora ha ottantacinque anni ed affetta dal
principio di arteriosclerosi E fu cosche ottenemmo l annullamento.
Oggi, come si dice, Gilda e io siamo amici, ma sinceramente non che questa
definizione mi vada molto a genio secondo me, siamo qualcosa di pi
Irenea Irenea, figlia di Ipno e della Notte, era una ninfa dei boschi che
veniva in sogno a coloro che si bagnavano nelle acque del fiume Alfeo. Io la
conobbi a Caserta, sul set di un film nel quale lavoravamo entrambi. Ricordo
la reggia, il parco, i grandi saloni, e lei che li attraversava con un passo
da principessa, come se ci fosse vissuta da sempre Per un attore fare cinema
vuol dire soprattutto attendere: su dieci ore, quasi sempre nove sono di
attesa e una di lavoro. Ebbi quindi tutto il tempo che volevo per conoscerla
a fondo e per farmi conoscere. Ne venne fuori una storia stranissima che
ancora oggi stento a credere possibile.
Piche una storia d'amore fu un coinvolgimento mentale. Ci piaceva metterci
negli angoli, fuori dal casino del set, e scambiarci idee o desideri.
Parlavamo di tutto, di scienza, di letteratura, di filosofia e di qualsiasi
altra cosa ci affiorasse alla mente. Irenea dimostrava una forte curiosit
per tutto ciche potesse arricchire il suo sapere. Un giorno le raccontavo
la vita di San Simeone, un altro la relativitristretta, un altro ancora le
spiegavo perchi ragni sarebbero stati gli ultimi abitanti del pianeta. E
lei, per ricambiare, mi descriveva i luoghi che aveva visto o quelli che
avrebbe desiderato vedere: l'area sterminata dove veniva scaricata
l'immondizia di New York, un punto al largo della aia di Shannon, dove una
volta l'anno si radunano pidi duemila balene, la postazione italiana in
Antartide, la Cina ei villaggi dell interno, il Messico attraversato in jeep,
da Vera Cruz fino a Cittdel Messico, lungo il percorso battuto da Cortez.
Alla fine di ogni racconto, puntualmente mi chiedeva: se ci andassimo
insieme? E io rispondevo sempre di s qualunque fosse stata la sua scelta,
i trenta gradi sotto zero dell'Antartide o le zanzare giganti della zona
equatoriale. Aderivo ciecamente ai suoi programmi e ogni volta mi andavo a
documentare sul viaggio avremmo dovuto fare: cosun giorno mi procuravo il
diario di Diaz sulla conquista del Messico e un altro il disco con i canti
delle balene del Pacifico. Il nostro rapporto non escludeva un certo scambio
di tenerezze: un giorno, per telefono, le dissi: i voglio molto bene E
lei di rimando mi sussurr nch'io ti voglio bene o forse disse solo
nch'io sto bene
La linea era disturbata.
Tra Cina, Antartide ed Equatore, finimmo con l'andare a Capri e, malgrado la
vicinanza, fu di certo la scelta pipericolosa che avremmo potuto fare. Capri
uno scoglio tremendo. Un giorno qualcuno inventerun contatore Geiger
capace di misurare le radiazioni erotiche delle rocce, e quel giorno si sapr
che Capri il luogo pierotizzante del mondo. Da duemila anni, infatti,
milioni di persone si sono innamorate guardando i Faraglioni, e cinon
sarebbe stato possibile se non ci fosse qualcosa di strano che viene fuori
dalle rocce.
Convinto di questa teoria, mi trascinai Irenea sul belvedere del Monacone, in
quel preciso punto dove il tempo non passa finchun uomo e una donna ce la
fanno a restare abbracciati.
i vuoi bene?le chiesi.
rispose lei a me ne vergogno..
i cosa ti vergogni?i essermi fatta fregare dalla luna: trovo la cosa
ridicola per una ex sessantottina.'accordo: allora torneremo a Capri
quando non ci sarpila luna, oppure quando piove a dirotto, e io ti
chiederancora se mi vuoi bene.Ritornammo a Roma e qui ebbe inizio il
mistero Irene. Tutto comincicon una telefonata.
uciano, portami fuori a cena: ho bisogno di distrarmi...
No, non venire a prendermi in albergo. Lo sai che ci sono i fotografi... Ci
vediamo sul Lungotevere... alle nove...
accanto al giornalaio di Largo Augusto.In macchina fu affettuosissima. Al
ristorante poi, appena ci sedemmo, mi guardcome se avesse voluto leggermi
negli occhi.
a davvero mi ami? Non che lo dici solo perchsei innamorato dell'idea
dell'amore!ome fai a dubitarne? Lo sai che sono Irenea-dipendente, che la
sera non prendo piimpegni, perchspero sempre che tu mi possa chiamare,
magari all'ultimo momento.llora, se davvero mi ami, portami via. Io non
posso restare qui: andiamo a Milano, a Parigi, in Cina, andiamo dove vuoi, ma
scappiamo da Roma.er me possiamo partire anche subito: scegli tu stessa
dove vuoi andare.ndiamo a Capri. engo a prenderti domani mattina alle
dieci.In quel momento un cameriere si avvicinal tavolo e le porse una
piccola busta.
'un messaggio per lei.Irenea lesse il bigliettino, poi, senza darmi
nessuna spiegazione, si alzin piedi e disse: cusami: debbo fare una
telefonata
Passarono dieci minuti, quindici, un'eternit e io cominciai a preoccuparmi.
Dopo venti minuti non ce la feci piad aspettare e chiesi dove fosse il
telefono. M'indicarono la cabina in un angolo della sala di ingresso: lei non
c'era.
Stavo per tornare al nostro tavolo, quando la vidi rientrare dalla strada.
cusami,disse di nuovo o avuto dei problemi di famiglia. Cosa stavamo
dicendo?Il clima era diverso: Capri si era allontanata. Anche il suo tono di
voce era cambiato. Ovviamente pensai che ci fosse di mezzo un uomo.
iente d'importante,risposi, cercando di essere indifferente i stava
parlando di tornare a Capri. Se sei sempre d'accordo, vengo a prenderti domani
alle dieci.Lper lnon disse nulla, continua sbucciarsi la mela senza
farmi capire se voleva o no andare a Capri, poi all'improvviso, come se
avesse voluto liberarsi di qualcosa che la opprimeva, mi carica testa bassa.
enti Luciano: io credo che noi due non abbiamo molte cose da dirci. Forse
sarebbe meglio se per un po' di tempo non ci vedessimo!Da quella sera il
nostro rapporto si fece sempre pidifficile. Irenea divenne per me una
specie di dottor Jekyll:
Un giorno tenera, affettuosa e piena di attenzioni, il giorno dopo distaccata,
fredda e anche un po' crudele nei miei confronti. Un giorno mi sussurrava
ucianino mio non mi lasciaree un altro si rifiutava perfino di rispondere
al telefono. Mi abituai ben presto a chiamarla Irenea-uno Irenea-due, e, ogni
volta che andavo a prenderla in albergo, mi chiedevo sempre con quale delle
due sarei uscito.
Tutto divenne chiaro pochi giorni dopo. Avevamo entrambi un impegno di lavoro
a Bologna: lei doveva intervistare, mi sembra, Lou Reed, e io dovevo ritirare
un premio non so pipresso quale Rotary. Prendemmo due camere adiacenti, la
222 e la 224 dell'Hotel Carlton, e decidemmo che ci saremmo ritrovati in
albergo, a cose fatte. Fui primo a tornare: ero riuscito a schivare il
dibattito e a svignarmela con la targa sotto braccio tra la delusione dei
rotariani. Lei invece non tornava mai: mezzanotte, l'una, le due, e io sempre
la sussultare al minimo rumorino dell'ascensore. Guardavo l'orologio,
andavo alla finestra e tornavo a sedermi in poltrona. Mi venne una tale
rabbia quando finalmente la vidi scendere da un taxi, decisi di non farmi
trovare, e mentre lei prendeva l'ascensore, io scesi a precipizio giper le
scale.
Esco dall'albergo e comincio a girare per Bologna, cos senza meta. Ebbene,
chi incontro per strada, stanca e avvilita come non mai? Lei, proprio lei:
Irenea!
alvami,m'implorortami via!Scappammo quella notte stessa, senza
nemmeno tornare in albergo per ritirare i bagagli. Il mattino dopo
raggiungemmo l'Argentario e qui, a Cala Moresca, nascosti a Dio e agli
uomini, vivemmo due giorni fuori del tempo: Irenea, tenera, dolcissima, volle
portarmi a vedere le spiagge dell'Uccellina, e in particolare un tratto di
spiaggia che lei ricordava con molta nostalgia, essendoci stata in vacanza da
bambina. Ci fermammo ai margini di un bosco dall'aspetto miracolosamente
incontaminato. Unica presenza di vita, le orme lasciate dai cinghiali sulla
sabbia. All'ombra di un pino marino, Irenea mi raccontil suo dramma.
Qualche anno prima, presa da mille impegni, vincolata dai servizi
fotografici, dalle interviste e dalle ospitate televisive, aveva conosciuto
una ragazza denticaa lei. La straordinaria somiglianza le suggerdi
assumere la sosia per farsi sostituire all'occorrenza. Sennonchquesta donna,
seppure simile di aspetto, aveva un carattere tremendo: era fredda,
razionale, puritana, e non ammetteva distrazioni sul lavoro. In breve tempo
l'efficientissima Irenea-due aveva finito col prendere il sopravvento: era
lei ormai a decidere cosa fare e cosa non fare, chi vedere e chi non vedere.
Inutile precisare che tra le istrazioninon ammesse io ero al primo posto.
Di ritorno dall'Argentario,. alle ore undici del 9 giugno riaccompagnai
Irenea a Roma, all'Hotel Plaza e credo che quella fu l'ultima volta che la
vidi. Nei giorni successivi, infatti, feci di tutto per avere un incontro con
lei, ma non ci fu verso di vederla: era sempre la sosia a rispondere al
telefono e ogni volta aveva una scusa per non uscire.
Il giorno del suo compleanno organizzai una festa in suo onore a casa mia. Non
poteva non venire. Durante la festa, fu adorabile e carina come non mai, e io
per tutta la sera chiesi chi era quella donna bellissima che regalava a tutti
un sorriso: lei o la sosia? Il mio amore in libera uscita (magari col
giuramento di mantenere le distanze) o la perfida numero due, sempre pi
perfetta e in grado di sostituirla? Non la persi di vista un attimo.
A un certo punto lei, sentendosi osservata, si voltdi scatto e mi chiese:
erchmi guardi?erchmi ricordo di quella volta che andammo a vedere il
miracolo di San Gennaro. allora?i ricordi cosa mi dicesti in un
orecchio, quando il santo fece il miracolo?he cosa?he il sangue si
era sciolto perchveniva guardato con troppo amore dai fedeli. Poi
aggiungesti: guardami anche tu con lo stesso amore e io mi scioglierper te.
Ebbene;
adesso ti sto guardando.ul serio dissi cos.
No, non era lei: la vera Irenea mi avrebbe risposto in tutt'altro modo.
Il giorno dopo se ne parti per l'America e non la vidi pi Una notte, per
mentre stavo tornando a casa lungo via del Corso, sentii dei gemiti provenire
dalle prese d'aria delle cantine dell'Hotel Plaza: era la sua voce, la voce
di Irenea.
uciano, Lucianino mio.renea... Irenea: dove sei?urlai io al massimo
della disperazione, chinandomi verso le buie feritoie dell albergo, ma non
ebbi alcuna risposta. Un passante mi sentgridare e si allontandi fretta.
Irenea non era mai partita per l'America, era prigioniera nelle segrete
dell'Hotel Plaza! Che fare? Chiedere spiegazioni al portiere di notte?
Scavare un tunnel per poterla raggiungere nelle viscere della terra? Mi si
dice che, partendo dai sotterranei del Foro di Traiano, possibile arrivare,
grazie a una serie di cunicoli e di gallerie, fino a piazza del Popolo. Da
quella volta mi aggiro ogni notte nei dintorni dell'albergo nella speranza di
poterla sentire. Sono passati otto anni e non ho piavuto sue notizie.
Semmai un giorno, o Irenea, riuscirai a leggere questo mio scritto, sappi che
io ti salver che ti libererdalle grinfie della tua aguzzina, e che quando
finalmente potrriabbracciarti, ti bacersugli occhi e sui capelli, e poi
sull'angolo della bocca, ldove, quando ridi, t'illumini tutta.
So benissimo che questa storia di Irenea non verosimile. So anche che
quella sera a Bologna, con ogni probabilit devo essermi addormentato in
poltrona. Mettiamo pure che fosse un sogno, mettiamo che fossero sogni anche
le storie precedenti, una cosa certa: ho amato davvero le donne che ho amato
e soprattutto amo il loro posto vuoto accanto al mio.

SANTA LUCIA

Fortunatina era alta un metro e dieci, massimo un metro e venti, e aveva le
gambe a tal punto arcuate (a taralluccio.) diceva la gente) che gli scugnizzi
di Santa Lucia, quando la incontravano, le lanciavano una palla di pezza
giusto in mezzo ai piedi e gridavano gol ogni qualvolta la palla passava
dall'altra parte. Tutti la chiamavano la Storta, anche perchquando
camminava oscillava come un metronomo, tic tac tic tac tic tac.
La poverina avrebbe potuto avere qualsiasi et venti anni come cinquanta.
Le rughe del viso le conferivano un aspetto da vecchia saggia, mentre gli
occhi chiari, celesti, estremamente mobili, non potevano essere che quelli di
una giovane. Il suo cognome, Dussich o Tusbich, suggeriva una origine slava e
dava credito alle voci che la volevano fuggita da un baraccone di zingari
dove, secondo i bene informati, si sarebbe esibita come enomeno vivente
Piche una strada, via Santa Lucia un confine: divide le case dei ricchi
da quelle dei poveri, i palazzoni del lungomare dalle casupole del
Pallonetto, i negozi eleganti del marciapiede sinistro dalle bottegucce
artigiane del marciapiede destro.
La Storta abitava in un basso, un ex deposito di frutta, di proprietdi tale
Armando Mezalengua, fruttivendolo del marciapiede dei poveri: brava persona,
di animo gentile, religiosissimo. Mezalengua aveva una sola paura: che si
venisse a sapere in giro che lui era buono, ragione per cui chiese a
Fortunatina di non rivelare a nessuno che non si faceva pagare per l'affitto.
Il basso, essendo situato su una delle tante scalinate del Pallonetto, era
poco pialto della sua inquilina e non aveva nservizi igienici, nenergia
elettrica: la cosa comunque non preoccupava la Storta pidi tanto, anche
perch in caso di bisogno, c'era sempre Recchietella, il suo vicino di
basso, pinoto come 'o Munnezzaro zuoppo, che le imprestava a seconda delle
esigenze, ora la toilette, ora il filo elettrico con la lampadina accesa.
Il mestiere di munnezzaro, da non confondersi con quello di scopatore, era
all'epoca il livello pibasso della Nettezza Urbana. Il munnezzaro prelevava
l'immondizia direttamente nelle case dei cittadini, mentre lo scopatore si
limitava a ramazzarla per strada. Il simbolo del munnezzaro era il sacco,
quello dello scopatore la scopa. Inutilmente Recchietella aveva fatto presente
che da ragazzo aveva avuto la poliomielite e che con quella gamba fasulla non
sarebbe mai riuscito a salire e a scendere le scale con la necessaria
rapidit
Gli fu risposto che la promozione la si poteva ottenere solo per anzianite
che lui era ancora troppo giovane.
Con il tempo lo scambio di cortesie tra i due vicini di casa s'intensific la
Storta faceva trovare al Munnezzaro il basso sempre piin ordine, e
Recchietella ricambiava lasciando per l'amica, di tanto in tanto, un ronzo
o un ickelaccanto al lumino della Madonna di Pompei.
Finchun bel giorno Fortunatina spardal quartiere e nessuno la vide piin
giro, na chiedere l'elemosina fuori della parrocchia di Santa Lucia, nal
borgo marinaro dove in genere caracollava, come uno scarabeo stercorario, tra
barche a secco e pescatori, per farsi regalare qualche pesciolino di scarto.
Una sera Armando Mezalengua, passando accanto al basso di Fortunatina,
percepun lieve rumore, quasi un lamento. Busscon forza e nessuno rispose.
Chi stava rinchiuso nel basso della Storta? Un mendicante? Un cane?
Un gatto? Un fantasma? Cominciarono ad arrivare i primi curiosi. Qualcuno
accostl'orecchio alla porta e, rivolto verso gli altri, disse: o sento un
respiro, una specie di rantolo affannoso Allora Mezalengua, fattosi
coraggio, forzla porta del terraneo e nel buio pifitto intravide
Fortunatina sdraiata, al centro del locale, su un materasso di stracci e con
una pancia enorme: era incinta!
Era accaduto l'incredibile: qualcuno si era accoppiato con la Storta! E non
ci volle poi tanto a capire chi poteva essere stato, questo qualcuno. Il
popolino di Santa Lucia ecesubito i numeri: 11 'o Munnezzaro, 33 'a Storta
e 56 la femmina incinta. Non ne uscnemmeno uno, segno che la storia
nascondeva altri significati.
a perchnon hai detto niente a nessuno?le chiese Mezalengua.
erchmi mettevo scorno per luirispose con candore la Storta. on volevo
che si sapesse che aveva avuto il coraggio di fare l'amore con me.La
paternitfece bene a Recchietella: nel giro di un paio di mesi fu promosso
scopatore. Vederlo ramazzare su e giper Santa Lucia era un vero piacere: la
gamba rigida e la scopa procedevano all'unisono, ora divaricandosi a
compasso, ora ritornando parallele, avendo come accompagnamento sonoro il
ritmico alternarsi dei due struscii, quello dei rametti di saggina e quello
della gamba fasulla.
Nel frattempo tutta Santa Lucia si dava da fare per aiutare Fortunatina. Fu
organizzata una riffa, con il ricavato della quale venne comprata una culla e
un corredino per neonato.
Il bambino nacque sano e bello: aveva le gambe diritte affusolate e gli occhi
azzurri come la madre.
Scoppila guerra e Recchietella, che era iscritto al partito Fascista, fu
nominato caposquadra dell'UNPA, ovvero dell'Unione Nazionale Protezione
Antiaerea, incarico di particolare responsabilitche consisteva nel far s
che tutti osservassero le leggi sull'oscuramento. Gli furono-assegnati in
dotazione un elmetto, una zappa, due sacchetti di sabbia, un estintore, una
maschera antigas e un triciclo a motore. Finalmente ebbe modo di vendicarsi di
tutte le umiliazioni che aveva patito da munnezzaro: quei portieri altezzosi
che per anni gli avevano impedito l'uso dell'ascensore, con la scusa che il
sacco uzzava ora si vedevano multati alla minima infrazione. Una finestra
delle scale lasciata aperta, un vetro non bene annerito, erano pi
sufficienti per farli convocare in questura. Anche Fortunatina era progredita
nella scala sociale: non faceva pila mendicante sul sagrato della
parrocchia di Santa Lucia, ma lavorava alle dipendenze di Totonno o
Venticinque, coschiamato perchaveva cominciato la. carriera di
borsanerista vendendo coppetielli con venticinque chicchi di caff
Fortunatina era addetta alle consegne Essendo inimmaginabile che qualcuno
avesse il coraggio a perquisirla, trasportava zucchero, caff e olio a casa
dei ignori Tutto stava andando per il meglio quando una domenica d'agosto
una tempesta di fuoco sconvolse la cittdi Napoli, una nave carica di
esplosivi scoppinel porto, seminando ovunque morte e distruzione. Le ancore
della nave furono trovate addirittura sulla collina del Vomero. Recchietella,
proprio in quel momento, stava attraversando con la sua motoretta il piazzale
del porto per andare alla prima comunione del figlio.
Di lui non fu trovato pinulla, nemmeno la maschera antigas. Qualcuno andin
chiesa ad avvisare Fortunatina. La Storta non disse nulla: prese il ragazzino
e lo affidal parroco, dopo di che si avvipiano piano, con la sua andatura
sbilenca, verso il basso. Quelli che la seguirono raccontano che si chiuse la
porta alle spalle e che, subito dopo, il basso si illumincome se all'interno
ci fossero stati cento lampadari da mille candele. Raggi di luce uscivano da
ogni dove: dalla soglia e dalle fessure laterali dei portelli. Quando tutto
torncome prima, la gente entrnel basso, e non ci trovpinessuno:
Fortunatina era sparita nel nulla.
Io sono nato in un quartiere cos un quartiere dove durante le notti
d'estate, quando fa troppo caldo per dormire, le donne dei bassi raccontano
storie come questa.
Cominciano dicendo: 'era una volta 'na storta e 'nu munnezzaro zuoppo che
si volevano tanto bene...e finiscono con una frase che piun desiderio
che una convinzione:
ora stanno tutti e due con gli angeli: sono alti e forti e corrono come
ragazzini sui prati del Paradiso
Santa Lucia stata, con ogni probabilit il primo insediamento greco
consolidatosi in Campania. Nel IX secolo avanti Cristo una ciurma di achei (o
di marinai anatolici, fa lo stesso) si lascisedurre dalla felice
configurazione della costa e decise di sbarcare sulla spiaggia del Chiatamone
per fondare una nuova citt Partenope. La zona offriva tutto quello che un
colonizzatore greco avrebbe potuto desiderare: un porticciuolo riparato,
all'interno di un golfo dalle acque tranquille, un'isola, quella di Megaride
(oggi Castel dell Ovo),abbastanza vicina da poter essere usata a sentinella a
mare, il monte Echia a ridosso a fare da acropoli, e per finire un ampio
vallone alle spalle (l'attuale via Chiaia) che la proteggeva da eventuali
attacchi da terra. Fino a pochi decenni fa via Santa Lucia dava direttamente
sul mare, poi, agli inizi del secolo, un ambizioso progetto urbanistico fece
avanzare la riva di un centinaio di metri e prescrisse la costruzione,
proprio davanti alle case dei pescatori, di un nuovo quartiere residenziale:
il Rione della Bellezza.
Il luciano, che per quasi tremila anni si era svegliato ogni mattina guardando
il mare, un bel giorno trovdavanti una doppia fila di palazzi di stile
umbertiano e di conseguenza odicon tutto il cuore i nuovi arrivati. Io ero
tra questi. Ne nacque una specie di apartheid reciproca: noi, ritenendoci
benestanti, chiamavamo loro 'e fetiente, e loro ci soprannominarono figli 'e
zoccola, nella convinzione che fossero state le nostre mamme, con i proventi
della prostituzione, ad acquistare le case del lungomare. Il territorio fu
diviso, per tacito accordo, in due zone distinte: da un lato i nuovi palazzi
e dall'altro il Pallonetto, con tutte le catapecchie dei luciani abbarbicate
alla montagnola come una nidiata di cozze. In mezzo: via Santa Lucia, in
pratica una ia Palpericolosa anche da attraversare. Un muro invisibile
divideva il quartiere: noi frequentavamo la parrocchia di Santa Lucia, loro
la chiesa di S Maria della Catena, noi ci servivamo dal fruttivendolo
Menichiello, loro da Armando Mezalengua, noi prendevamo il gelato al Bar
Garofalo (qualche volta anche seduti ai tavolini, persolo se stavamo con i
nostri genitori), loro in piedi al Bar Calone, noi compravamo pane francese e
grissini al Vapofomo Fiorelli, loro pane cafone e taralli con il pepe da
Carmelina 'a Caivanese. Ogni sconfinamento veniva considerato una
provocazione. A volte si organizzavano vere e proprie spedizioni punitive.
Ci armavamo con mazze di legno e scudi ricavati dai coperchi dei bidoni
dell'immondizia e attraversavamo via Santa Lucia urlando come pellirossa per
piombare all'improvviso su un gruppetto di luciani intenti a giocare a
pallone. Altre volte invece erano loro a invadere il nostro territorio e noi
a doverci difendere. Uno degli sport pipericolosi della mia adolescenza fu
la guaianella: ci si dava appuntamentO ai giardinetti del Molosiglio e a un
segnale convenuto ci tiravamo addosso quante pipietre riuscivamo a trovare.
La disgrazia non consisteva tanto nell'essere colpiti, quanto nel fatto di
tornare a casa sanguinanti e prenderle una seconda volta dai genitori. Io
avevo una grossa fortuna, un amico fortissimo: si chiamava Carlo Pedersoli
(oggi pinoto come Bud Spencer), abitava nel mio stesso palazzo ed era mio
compagno di scuola. Carlo, pur avendo un carattere mite, mi superava in
altezza di almeno dieci centimetri e la sua statura era piche sufficiente a
mantenere a debita distanza tutti gli apaches del Pallonetto.
Una domenica, punto dalla curiosit invece di recarmi come al solito in
parrocchia, attraversai la strada e andai a sentir messa a Santa Maria della
Catena, la chiesa dei luciani. Volevo vedere da vicino la tomba
dell'ammiraglio Francesco Caracciolo, l'eroe napoletano impiccato da Nelson,
e soprattutto il quadro della Madonna con le famose catene d'oro ancora
appese al dipinto.
Sulla Madonna cara, ai luciani si narravano varie leggende: tra tutte, la pi
bella me l'ha raccontata Filuccio, un pescatore handicappato che, dopo aver
perso una gamba su una mina, vendeva acqua sulfurea all'inizio del chiatamone.
Siamo ai primi del Settecento: i luciani, come i giapponesi, erano famosi in
tutto il mondo per la loro abilitdi pescatori subacquei, sia per le
profonditche riuscivano a raggiungere che per la durata delle loro
immersioni. Erano dei veri e propri alombari nudi Il pibravo di essi si
chiamava Ricciulillo, un ragazzo di venti anni, riccio di capelli e scuro di
pelle come un saraceno.
Ricciulillo era diventato capofamiglia a soli tredici anni quando, perso il
pap si era trovato a dover provvedere ai bisogni di una madre e di quattro
fratelli. In quei giorni difficili fu molto aiutato da un certo don Gaetano,
detto o 'Nzalatiello, proprietario di una paranza di barche e capo
riconosciuto del porto di Santa Lucia. Don Gaetano aveva una figlia, Regina,
di due anni pigiovane di Ricciulillo e a tutti sembrnaturale che le due
famiglie si mettessero d'accordo per farli sposare. Ricciulillo avrebbe fatto
sicuramente un affare: o Nzalatiello era ricco e Regina era figlia unica. E
anche don Gaetano, tutto sommato, non avrebbe avuto di che lamentarsi: il
ragazzo era un ottimo lavoratore e la figlia aveva una terribile cotta per
lui. Tutti insomma erano per il matrimonio tranne lui, Ricciulillo, che nel
frattempo si era innamorato di un altra ragazza, Teresenella, povera ma
ovviamente onesta.
Il rifiuto fconsiderato una offesa e da quel momento in poi Ricciulillo non
fu piricevuto in casa di don Gaetano. Anche il lavoro gli venne a mancare,
giaccha Santa Lucia 'o 'Nzalatiello dettava legge e nessuno, per rispetto
del capoparanza, comprava piil pesce da Ricciulillo. Un giorno perun
armatore francese venne a Napoli e assunse il ragazzo e un'altra decina di
sommozzatori per un recupero da fare a Marsiglia. L'occasione era troppo
bella per lasciarsela scappare: finalmente Ricciulillo avrebbe guadagnato i
soldi necessari per sposare Teresenella! Il poverino peraveva fatto i conti
senza Regina.
Non appena il ragazzo s'imbarcper la Francia, Regina si rivolse alla maga
Soricella, una fattucchiera che praticava i sortilegi in una grotta di
Pizzofalcone, e le chiese di far morire la rivale. La maga si fece dare prima
una moneta d'argento, poi prese una sardella viva e dopo averle messo in
bocca un piombino e un pezzetto d'aglio, la traffisse con diciannove spilli,
tanti quanti erano gli anni di colei che doveva morire. Da allora Teresenella
comincia soffrire di un male misterioso: aveva sempre la febbre alta, non
poteva dormire la notte e la pelle le bruciava in ogni punto del corpo.
Qualcuno la informche era vittima di una fattura.
Intanto Ricciulillo stava per tornare da Marsiglia. Una tremenda bufera
quella notte sconvolgeva le acque del golfo. La furia del mare era montata a
tal punto che le onde avevano allagato le case dei luciani vicine alla riva.
Il libeccio soffiava a pidi cento chilometri l'ora. Teresenella ebbe un
presentimento: il suo uomo era in pericolo di vita! Nonostante la febbre le
facesse battere i denti, anda piedi fino a capo Posillipo per scorgere prima
degli altri la tingala dei sommozzatori che tornava dalla Francia e la vide
proprio nel momento in cui l'imbarcazione si andava a incagliare sulla secca
di Pietra Salata.
Il mattino dopo, quando le acque si calmarono, alcuni pescatori trovarono i
resti della martingala e il gozzo sventrato di Teresenella: evidentemente la
ragazza era uscita per mare in suo aiuto. Pitardi, sulla spiaggia di
Trentaremi furono trovati i corpi dei due giovani teneramente abbracciati.
Accanto a loro, e perfettamente asciutta, una cassetta di legno con un quadro
della Madonna e una catena d'oro, segno questo che la Madre Celeste li aveva
congiunti per sempre in matrimonio.
I luciani sono una tribrimasta uguale nel tempo. Sarebbe un errore
considerarli tout court napoletani, o peggio che mai italiani. Durante la
guerra un gruppo di famiglie del Borgo Sant'Antonio Abate, avendo perso la
casa sotto i bombardamenti, si trasferal Pallonetto. Ebbene ancora oggi i
figli dei figli di questi profughi non sono riusciti a farsi accettare dai
luciani. Vengono chiamati i buveresi e considerati stranieri.
Quand'ero ragazzino ho visto la Regina dei luciani uscire in carrozzella con
alle spalle 'o bufalo che le dava aria col ventaglio. Aveva lo sguardo altero,
i capelli e gli occhi neri come la notte, lo scialle di seta e la pettenessa
di tartaruga. Si dice che avesse ucciso il suo uomo solo perchquesti l'aveva
tradita guardando un'altra. Si dice anche che un luciano innamorato si fosse
accollato il delitto, e quando nel mio quartiere una cosa i dicecome se
fosse realmente accaduta.
Ricordo Ninetta l'acquaiola, ancora oggi presente alla curva di via Cesareo
Console, davanti all'ingresso del Circolo Canottieri. Me la ricordo
giovanissima e sensuale, sempre sorridente e sempre abbronzata, che soggiogava
i passanti con il suo grido: vita vevere, avita vevere. ossia Dovete
bere
Impossibile non fermarsi. Ogni volta che si chinava per prendere una
mummarella d'acqua sulfurea lasciava intravedere appena appena la coscia e un
brivido di desiderio ci scuoteva come una scarica elettrica. Tutti i soci del
circolo erano innamorati di lei. Ho conosciuto Palummiello, un pescatore di
85 anni che non dormiva mai e passava la notte al Borgo Marinaro a guardare
il mare. Aveva la pelle del viso tutta pieghettata e gli occhi smarriti di
chi ha navigato tutta la vita. Palummiello era un poeta e aveva visto le
sirene.
alummigli chiedevano i ragazzi a com'erano le sirene?enevano la
pelle d'argento come le alici e i capelli come la luna. dov'che le hai
viste?ro imbarcato su una nave genovese che trasportava ferro
dall'Inghilterra.
Eravamo al largo delle coste portoghesi, quando una brutta notte scoppiuna
tempesta che non vi dico. Non un porto, non un buco dove poterci riparare. I
marinai avrebbero voluto buttare il carico a mare, ma il capitano prese un
fucile e disse che il primo che si azzardava a toccare un tondino era un uomo
morto. Io stavo al timone quando improvvisamente vidi comparire a babordo
un'insenatura. "L lgridai come un pazzo dietro a quel capo c'una
rada!" Ma il capitano subito mi Contraddisse "Nun dicere fessar, Palummi
su questa Costa non ci sono ripari: tira dritto e non cambiare rotta!".
Eppure io la vedevo: era una spianata di mare calma calma come l'acqua che sta
nell'acquasantiera... che la Madonna della Catena m'avesse fulminse non
vero! Quand'ecco che davanti a me, a prua, vedo pure lei...a sirena?
la sirena. Altri marinai, pivecchi di me, mi avevano avvertito:
Palummi se vedi una donna nuda nella tempesta, non ti fidare:
un'allucinazione! Te la manda Demmonio per farti morire mentre hai nella
mente il peccato . Ma quella non era una donna qualsiasi, non era una femmina
da letto! chi era?ra Assuntina, la donna che io avevo amato tutta la
vita. E mi diceva:
Viene Palummi viene: abbracciami te voglio d'nu vaso!
. E io ero llper virare quando il capitano mi buttper terra colpendomi
con il calcio del fucile.I luciani sono marinai e i marinai, lo sanno
tutti, sono persone normali:
quando stanno a terra si radunano intorno alle barche e, per far passare il
tempo, si raccontano storie una piincredibile dell'altra. Parlano di paesi
sconosciuti, di animali con due teste, di femmine assatanate e di tesori
nascosti che basta andare sul posto per portare a casa. Forse sarebbe buona
norma non starli nemmeno a sentire. I luciani, in particolar modo, dicono
tante bugie. La colpa, a mio avviso, tutta del mare di Santa Lucia che la
notte si muove e non sta mai fermo. A volte, dopo il tramonto, basta
ascoltarli mezz'oretta che poi ogni cosa ti sembra possibile.

IL COMPAGNO DI SCUOLA

I compagni di scuola hanno solo il cognome: per me Masturzo era Masturzo e
basta. Era alto e magro e andava malissimo in matematica.
ax2 + bx + C = 0 ripeteva senza convinzione che vuol dire?
un'equazione di secondo gradorispondevo io.
chi "a"?chiedeva di nuovo lui.
un numero qualsiasi.uale numero?e ho detto qualsiasi, vuol dire
qualsiasi, no?gridavo senza un minimo di pazienza. er questo si scrive a
e non si scrive un numero !In compenso era il pibravo a pallone: era il
centrattacco titolare del ginnasio e spesso giocava anche con quelli del
liceo. Io lo aiutavo nei compiti scritti di matematica e lui mi risparmiava
lumiliazione dell'ultima scelta. Secondo le regole non scritte della Villa
Comunale, prima di ogni partita i due capitani facevano la conta per scegliere
i giocatori. Pisi restava tra quelli ancora in attesa e piaumentava lo
scorno. Il peggio che poteva capitare era di restare ultimo e solo, come un
cane randagio, non voluto da nessuno, il che accadeva ogni volta che si era in
numero dpari: lo scartato dava luogo a un'ipocrita gara di cortesia tra i
capitani (renditelo tu. ..o grazie, meglio che te lo prendi tu.
Fu dopo la pagella del primo trimestre che Masturzo chiese se potevo dargli
una mano in matematica.
nche subito, vuoi che venga io a casa tua?o,rispose lui meglio se
andiamo da te.Mia madre, vedendolo cosalto, gli chiese:
uanti anni hai?ono ripetente.ai fratelli?ia mamma incinta.
tuo padre che fa?'industriale.Quest'ultima risposta lascidi stucco
mia madre. Masturzo vestiva male, anzi malissimo, e negli anni Quaranta
l'aspetto era tutto: i poveri vestivano da poveri i ricchi da ricchi. Io, per
esempio, avendo un padre commerciante, con negozio in pieno centro, uscivo in
giacca, cravatta, pantaloncini blu fino al ginocchio e calzettoni bianchi Se
fossi stato povero, non solo non avrei posseduto abiti del genere, ma non mi
sarebbe stato nemmeno permesso indossarli.
Chiaramente mammsi preoccupava delle mie amicizie il suo motto era
requenta solo chi meglio di te e fanne le spese
ualche volta vai a casa sua,mi diceva erca di capire che mestiere fa il
padre.Ma Masturzo, ogni volta che glielo proponevo, riusciva sempre a
trovare una scusa per non lasciarmi andare.
uveriello,commentava mammuello, secondo me a casa sua non ha niente da
offrirti e allora si mette vergogna.Non che noi chissche cosa gli
offrissimo; perriuscivamo sempre a rimediargli qualcosa: o una fetta di
torta, o un pdi castagnaccio o un formaggino Mio. Lui invece, secondo
mamm era povero e si vergognava di esserlo.
Certo che non riuscivo ad andare a casa sua e forse non ci sarei mai
riuscito, se una mattina la madre non fosse venuta sotto la scuola a dirmi
che il figlio era malato e che aveva bisogno di me per i compiti.
Abitava in via Egiziaca a Pizzofalcone, in zona Montedidio: uno dei quartieri
pipoveri e ricchi della cittdi Napoli: nobilte popolino, professionisti
e venditori ambulanti, palazzi nobili dai cortili principeschi (come quello
dei Serra di Cassano) e stamberghe prive di luce e di servizi igienici. Per
me che andavo ogni giorno da pap in piazza dei Martiri, arrivare fino a
Pizzofalcone era uno scherzo:
mi bastava fare un pezzo di via Chiaia e poi prendere l'ascensore per
Montedidio.
Trovai Masturzo coricato nel letto matrimoniale.
uesto non il letto mio,tenne a precisarmi non appena mi vide o dormo
sul divano in camera da pranzo:
adesso sto qua perchsono malato. Avete giocato oggi?i.on chi avete
giocato?on la terza A. che avete fatto?bbiamo perso 2 a 0.
annaggia 'a morte! Appena mi alzo dal letto li voglio seppellire di gol, a
quei quattro ricchioni!u non seppellisci proprio nessuno, hai capito!
gli gridla madre dalla cucina. n questa casa proibito ammalarsi, anche
perchnon ci possiamo permettere spese voluttuarie. Il tuo amico, se vuole,
si puammalare pure tutti i giorni, tu no. Lui ha il negozio in piazza dei
Martiri.
Tu invece, con il mestiere che fa tuo padre, sei condannato a stare sempre
bene.E ogni volta tornava in ballo il mestiere del padre.
a puessere che non riesci a sapere quello che fmi chiedeva mamm
uori alla porta come sta scritto?ta scritto Cav. Masturzo.llora
cavaliere?oslo chiamano.a cavaliere di che?insisteva mia madre.
he fper mantenere la famiglia?iaggia. tu come fai a saperlo?
erchuna volta il portiere di via Egiziaca gli ha detto Buongiorno cavali
come andato il viaggio questa volta? lui come ha risposto?a detto:
Bene . basta? basta.Magro, pibasso del figlio, quarant'anni che
sembravano cinquanta, capelli neri all'Umberto, vestito blu rigato non troppo
scuro, scarpe nere sempre lucide, soprabito mezza stagione grigio topo (in
dialetto: scems), cravatta nera per chissquale lutto in famiglia e una
valigia di colore marrone, rinforzata da due cinghie di colore piscuro.
Viaggiava moltissimo: linea Napoli-Reggio Calabria. Partiva il martede
tornava il venerd
i Venere e di Marte, non ci si sposa e non si parte!era solito dire,
ridacchiando. e fosse vero, io a questora dovrei giessere morto.Quando
tornava da un viaggio, prima ancora di dare un bacio alla moglie, apriva la
porta di una stanzetta misteriosa situata in fondo al corridoio e vi andava a
depositare la valigia. Poi entrava in camera da pranzo, si accomodava su una
vecchia poltrona di stoffa, allungava le gambe chiudeva gli occhi, quasi come
se volesse assaporare l'avvenuto ritorno a casa. Sempre tenendo gli occhi
chiusi, chiedeva al figlio:
ai studiato?ar嗷 ribatteva lui, niente affatto convinto.
Il cavaliere passava tutto il sabato e tutta la domenica pomeriggio chiuso
nella stanzetta. Un giorno che si allontanper cinque minuti per andare in
bagno, Masturzo m'invita entrare.
acciamo prestomi disse he quello subito torna.Ma non facemmo in tempo
ad arrivare in fondo al corridoio che la madre di Masturzo si mise di mezzo.
uante volte debbo dire che papnon vuole che si entri nel laboratorio!
Alla parola laboratorio mi vennero in mente Cagliostro e Paracelso. Immaginai
il cavaliere, col mantello da alchimista sulle spalle, che faceva esperimenti
pericolosissimi alla ricerca della pietra filosofale; anche perch da quel
poco che avevo capito, solo la pietra filosofale avrebbe potuto risolvere i
problemi economici di casa Masturzo. Una sera lo vidi uscire dalla stanzetta
con un alambicco fra le mani:
aveva i capelli arruffati e uno sguardo diabolico negli occhi.
Sembrava Jekyll un attimo prima della trasformazione.
a perchnon lo chiedi direttamente a lui?mi diceva mia madre. u glielo
dici tomo tomo, come se la cosa non ti mteressasse. Gli dici: "Cavali ma
che fate tutto il giorno nel laboratorio?".liel'ho chiesto e mi ha
risposto che inventa nuovi tipi di profumo.a allora profumiere?
'odore si sente, poi io che ne so?Il laboratorio aveva una porta a vetri
opachi martellati.
Quando il cavaliere lavorava s'intravedeva la sua ombra china sul banco degli
esperimenti. Un giorno si affaccialla porta e disse alla moglie:
arm fammi un piacere: scendi gialla Lampo e vedi se sono pronte le
etichette.Il mistero Masturzo si chiaril giorno in cui il cavaliere si
sentmale. Noi stavamo studiando come al solito in camera da pranzo, quando
sentimmo un rumore di vetri in frantumi subito dopo un tonfo. Ci precipitammo
nel laboratorio e trovammo il poveruomo steso per terra in mezzo a un mare di
bottigline rotte.
Un odore acutissimo di profumo aveva invaso tutta la casa. Mentre lo
aiutavamo ad alzarsi, vidi un gran tavolo di marmo, un lavello come quello
della cucina, una bilancia da farmacista, un piccolo imbuto di vetro e poi
bottiglie e bottigline dalle forme pisvariate, a tubo, a palloncino, tonde,
piatte, piccole, grandi, trasparenti, azzurre con e senza spruzzatore. Non
senza fatica riuscimmo a portarlo in camera da letto. Lui intanto si era
alquanto ripreso e c'invitava a restare calmi. Ripeteva continuamente on
niente, non niente ma era chiaro che lo diceva pia se stesso che a noi.
o bevuto un bicchiere d'acqua troppo fredda deve avermi fatto male.Si
sdraisul letto matrimoniale, sopra la coperta di raso coscome stava, con
tutte le scarpe.
ap come ti senti?chiese Masturzo.
desso sto bene, tu perva' a chiamare il dottore.
Rimasi solo col cavaliere. Accostai una sedia accanto al letto e gli tenni
compagnia senza parlare. La madre di Masturzo era uscita poco prima
dell'incidente e non cera speranza che tornasse prima di un'ora: non restava
che attendere in silenzio l'arrivo del medico.
A un certo punto il cavaliere chiuse gli occhi e mi spaventai moltissimo.
Anche se mi fossi accostato al viso (cosa che comunque non avrei mai fatto),
non sarei stato in grado di capire se era morto o addormentato. In fin dei
conti io un morto, cosi da vicino, non lo avevo visto mai. La povera zia
Olimpia era morta s ma a me non lavevano fatta vedere. Improvvisamente mi
ricordai di un film giallo dove, per capire se la vittima era morta o meno,
il detective le avvicinava uno specchio alla bocca. Ora, uno specchio c'era:
stava proprio ldavanti, sulla toilette della Signora Masturzo... io avrei
potuto anche accostarlo alla bocca del cavaliere, coscome avevo visto fare
al detective e se poi si fosse svegliato proprio in quel momento...
che cosa gli avrei detto?
Decisi di non pensarci e, per evitare di guardare il cavaliere, cominciai a
fissare la parete dietro la spalliera del letto. Era rivestita da una carta
da parati con rami, foglie e fiori marrone su un fondo color giallo crema.
Dopo un po' che la stavo guardando, immaginai di essere il capitano di un
veliero e di dover navigare in un arcipelago tutto fatto di foglie e fiori
marrone. Il fondo color crema era il mare. Per andare da un punto all'altro
della parete m'inventai percorsi sempre picomplicati: i rami in particolare
mi costringevano a lunghe circumnavigazioni.
Non so quanto tempo rimasi a navigare sulla parete della camera da letto, so
solo che tornarono tutti insieme:
Masturzo, la mamma e il medico. Finalmente potei uscire da quella stanza e
rifugiarmi in camera da pranzo, dove mi misi a studiare la prima guerra
d'indipendenza, come se niente fosse successo.
5 luglio 1848. Sconfitta piemontese a Custoza e ritirata su Milano. Carlo
Alberto si allontana dalla citttra le dimostrazioni ostili della
popolazione... Ma ecco che con la coda dell'occhio vidi una bottiglina di
profumo sulla soglia della porta della camera da pranzo.
Doveva essere rotolata fin laggiquando avevamo accompagnato il cavaliere
nella stanza da letto. L'andai a raccogliere e rimasi affascinato
dall'etichetta: mostrava una spiaggia sotto la luna e una scritta luminosa
uit d'Amour - Paris
Proprio in quel momento sentii la voce del medico che diceva: avali
dipende solo da voi: se non vi strapazzate su e giper l'Italia, potete
campare ancora cento anni.
e ne bastano sei,rispose il cavaliere l tempo necessario perchmio
figlio prenda il mio posto.Da quella sera io e Masturzo diventammo i suoi
assistenti di fiducia. La ditta produceva la serie Nuit d'Amour (lo slogan era
na goccia di Nuit d'Amour e vi sentirete a Parigi. Fabbricavamo anche una
linea pieconomica intitolata ospiri d'Oriente ma un bel giorno il
cavaliere decise di sospenderne la produzione.
arigi sempre Parigi,sentenziell'Oriente non se ne fotte niente
nessuno!Il cavaliere acquistava le essenze a litri e, dopo averle
generosamente diluite, le versava nelle bottigline usando quell'imbuto di
vetro che tanto mi piaceva.
Ricordo ancora i nomi delle essenze: mentolo, bergamotto, cedro, zibetto,
ambra grigia..e dei profumi pirichiesti: bois de rose, petit grain e tabacco
d'Harar. Tutti nomi esotici che mi portavano con la fantasia in paesi lontani,
pieni di donne guide e disponibili.
A noi ragazzi il compito di lavare, etichettare le bottigline e preparare la
valigia ogni martedpomeriggio. La valigia era stata progettata dal papdi
Masturzo in persona e consentiva l'esposizione contemporanea di tutto il
campionario. Bastava aprirla (come se fosse un libro, diceva il cavaliere) e
diventava subito una vetrina. Era divisa in piccoli scomparti, foderati tutti
in velluto rosso, e col centro 'o buttiglione, una confezione formato gigante
rimasta invenduta da sempre a causa del prezzo.
a veritche non ho mai trovato l'amatoreteneva a precisare il
cavaliere.
Parigi una cosa cos l'avrei venduta in un battibaleno, ma qui in
Italia...
con quei quattro fetenti che viaggiano sulla Napoli-Reggio Calabria... a chi
volete che la possa vendere!Ogni martedil bravuomo partiva per Reggio
Calabria: la sua ilialecome amava chiamarla. Ovviamente viaggiava in terza
classe, con blitz improvvisi, per qualche tentata vendita, nelle classi
superiori. Oramai era diventato amico di tutti i controllori e, anche grazie a
qualche profumino dato in omaggio a Natale, nessuno pigli contestava lo
sconfinamento di classe. Per andare alla stazione prendeva il tram numero 1 a
piazza San Ferdinando e, da quando aveva avuto l'infarto, veniva regolarmente
accompagnato da me e dal figlio per via della valigia. Masturzo aveva solo
quattordici anni ma era forte come un ragazzo di venti.
Durante questi brevi accompagnamenti il cavaliere ci raccontava di quando era
stato a Parigi. Come prova inconfutabile aveva con s nel portafoglio, una
foto che lo ritraeva in bicicletta con la torre Eiffel alle spalle. Era stato
capocommesso da Guerlain e aveva abitato a Montparnasse, a due passi dalla
celebre Coupole. Disse pure che se fosse rimasto in Francia avrebbe potuto
avere la pibella profumeria di Parigi: tre porte in faubourg Saint-Honor
Pare che la proprietaria, la vedova Clermont, si fosse pazzamente innamorata
di lui e che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di sposarlo.
a come potevo accettare?si giustificava rivolgendosi al figlio.
quell'epoca ero gifidanzato con tua madre.
Ci scrivevamo tutte le settimane. E chi l'avrebbe sentita, quella l se non
tornavo pia Napoli! Cosdovetti dare un addio alla vedova, a Parigi e alla
profumeria in faubourg Saint-Honorei mai stato alle Folies Berge?
raticamente tutte le sere: avevo fatto amicizia con una guardarobiera di
Marsiglia, una biondina che si chiamava Monique. Io le fornivo i profumi e
lei li vendeva ai clienti:
poi facevamo a met perchte ne sei andato da Parigi?erchavevo
nostalgia di Napoli.Ma non era sincero:
una volta lo sentimmo canticchiare aris.. c'est une blonde..
La parte di lavoro che pimi piaceva era la ricerca di bottigline usate. La
domenica mattina io e Masturzo accompagnavamo il cavaliere in via Foria, pi
o meno all'altezza del Distretto militare, e l in mezzo a centinaia di
bancarelle di saponari, davamo inizio alla grande caccia.
a bottiglinasi raccomandava il cavaliere eve essere anonima: se ha una
forma troppo nota, fate conto per, esempio come quella dello Chanel, poi
difficile farla passare per Nuit d'Amour, e attenzione a non prendere le
mignon che si capisce che sono quelle dei liquori.Giravamo in lungo e in
largo tra il vociare e i mille colori del pismandrappato Marchaux Puces
del mondo. Scovare bottigline tra rottami e ferramenta era un gioco:al volte
ce le davano anche gratis.
e la regalate questa bottiglina, signore?chiedevo ai saponari, e molto
spesso riuscivo ad averle senza pagare nemmeno un centesimo. Da quella
esperienza mi resi conto che, volendo, avrei potuto essere un timo
accattone.
Un pomeriggio il cavaliere torna a casa allegrissimo, aveva venduto 'o
buttiglione.
a chi se lo comprato?na signora di Ferrara. come stato?
uando si dice la fatalit io martedscorso ho perso il treno delle venti e
venti, il prossimo partiva alle ventitre quaranta. "Che faccio," mi sono
detto torno un'altra volta a casa con tutta la valigia? E che ci torno a fare?
E ho deciso di farmi un'oretta di sonno in sala d'attesa; invece di andare in
terza, dove i sedili sono tosti come le pietre sono andato in prima dove ci
sono i divani di pelle, tanto lo sapete come sono le sale d'attesa: non ci
sta mai nessuno a controllare. la signora di Ferrara?tava gil
sola soletta, con una volpe intorno al collo e un cappellino verde bottiglia.
Ha un cerino?
mi dice lei a me, e io ce l'ho dato. Insomma non teneva cerini, quando si
dice la fatalit se avesse avuto i cerini, io adesso non avrei venduto 'o
buttiglione. E cos sapete com' ci siamo messi a parlare, anche per far
passare il tempo. Io prima le ho raccontato che mestiere facevo e poi le ho
chiesto: "E lei cosa fa?". "Sono una donna d'affari" mi ha risposto, e si
messa a ridere. Intanto io avevo giaperto la valigia. "E questo che cos'"
ha detto lei indicando 'o buttiglione. "E Nuit d'Amour, formato gigante" ho
detto io. "Vuol dire formato caserma!" ha detto lei e giun'altra risata.
Insomma una parola tira l'altra e le ho venduto 'o buttiglione per
venticinque lire, cinque lire meno del prezzo di listino.Quella sera il
cavaliere ci porttutti in pizzeria. Anche io fui invitato e dovetti
telefonare a casa per avere il permesso.
uattro margherite da mezza liraordinil cavaliere mi raccomando:
basse di pasta e con molta mozzarella sopra. Vino rosso a consumo.Era
maggio. Sembrava che gifosse estate. Il cavaliere si bevve da solo tutta la
bottiglia di vino. A un certo punto lo sentii dire, come se parlasse tra se
s perun pochino mi dispiace..
Il cavaliere mordi gioved nel mese di luglio, a Reggio Calabria. Io e
Masturzo, quando arrivla telefonata, stavamo a casa mia a giocare a
Monopoli. I funerali furono fatti a Napoli, due giorni dopo, con il carro del
Municipio.
Dalla Calabria, insieme alla salma, arrivanche una signora di mezz'ete un
bambino di circa otto anni che aveva lo stesso sguardo malinconico del
cavaliere: erano la sua iliale Durante i funerali, la signora e il
bambino si tennero sempre in disparte, quasi non volessero farsi vedere.
Le due donne, la madre di Masturzo e quella di Reggio Calabria, si dovevano
giconoscere da tempo, anche se con ogni probabilit non si erano mai
incontrate di persona. Fossero state ricche, forse avrebbero litigato;
essendo povere, non se lo potevano permettere. Si chiusero in camera da letto
e parlarono per ore e ore.
Il bambino rimase con me e Masturzo. Stava l immobile, con lo sguardo fisso
a terra: non parlava e non voleva mangiare. Solo quando vide le ciliegie alz
per un attimo lo sguardo, poi stese una manina bianca, sottile, e piano piano
se le mangitutte, una alla volta.

IL VICINO DI CASA

Al secondo piano del mio palazzo c'era la Pensione Santoro, o, per meglio
dire, quello che era rimasto della Pensione Santoro: in pratica un unico
cliente e per giunta anche un po' anziano, tale Michele Cupiello.
Raccontava mia madre che prima della Grande guerra i Santoro avevano avuto
molte propriet fra cui l'Hotel Esperia alla Ferrovia, ma che dopo la morte
del fondatore, il compianto cavalier Ernesto, il figlio primogenito Arturo si
era giocato tutte le propriet compreso l'albergo e il ristorante, su una
sola carta, a baccarat, al Circolo Italia.
rturo fece nove, il banco fece dieci e lui, senza dire nah n"bah", si
alze si anda buttare gidalla finestra.Il racconto di mia madre, in
verit non che stesse molto in piedi: a parte il fatto che nel baccarat
non esiste il dieci, come faceva Santoro a suicidarsi se le finestre del
Circolo davano direttamente sul mare ed erano a non pidi tre metri di
altezza?
on lo so,rispondeva lei o so solo che si buttabbasso e che lo
trovarono tutto sfracellato e con le carte in mano.u una barca?u una
barca... sugli scogli... adesso tutti questi particolari non li posso sapere;
so perche quelli che hanno il vizio del gioco fanno sempre una brutta fine.
Comunque sia morto il povero Arturo, sfracellato o annegato, la vedova, una
volta perso l'albergo, si trasfera Santa Lucia e apruna piccola pensione a
conduzione familiare. Gli affari pernon andarono come lei aveva sperato e la
poverina fu costretta di nuovo a ridimensionarsi. Alla fine si ridusse a
subaffittare una sola stanza ammobiliata, quella appunto di Michele Cupiello.
Zio Luigi aveva conosciuto mister Cupiello a Chicago.
upielloci confidn America non si chiamava Cupiello, ma Scalese e per
la precisione: Mike Scalese. Si cambiil cognome per motivi di sicurezza non
appena mise piedi a Napoli. E non basta: lo sapete come lo chiamavano a
Chicago?Pausa interrogativa, quel tanto che bastava per acuire la nostra
curiosit
o chiamavano "la mano sinistra di Al Capone".a allora era un gangster?
ed era senza piet嗷 confermzio Luigi. oi adesso lo vedete che sembra
tanto una brava persona? Magari lo portereste pure a casa a mangiare? Ebbene,
sappiate che quando lavorava non sprecava mai pidi una pallottola ogni
colpo, un cavaliere per terra! Al Capone gli diceva: Questo tuo e gli
passava una fotografia, e il giorno dopo quella persona era stesa
all'obitorio con un buco in fronte. Io, una sera, in un night di Chicago,
incontrai un amico, un certo De Simone, che mi racconttutta la sua vita.
Noi per questo adoravamo zio Luigi:
era capace di raccontarci ogni sera una storia nuova, ed erano sempre storie
avventurose e piene di donne bellissime.
quell'epoca ero fidanzato con Rosa Consalvo, una sangue misto di madre
americana e padre portoricano che aveva un corpo che sembrava una pantera.
Rosa cantava appesa a una liana una canzone che faceva cos "Come love,
come on the tree with me"...Si alzin piedi e, dopo aver accennato a un
passo di danza, si mise a cantare. Noi lo stavamo a guardare estasiati na
sera, mentre aspettavo che finisse il numero, mi si pardavanti un
giovanotto vestito da gangster: era De Simone, un mio vecchio compagno di
scuola.n altro gangster!o, De Simone non era un gangster, ma ne aveva
laspetto e questo perchsuo zio, Charlie Fischetti detto anche Charlie tre
dita", gli aveva regalato un gessato grigio a righine bianche.a percha
Cupiello lo chiamavano la mano sinistra erchaveva perso la mano sinistra
per salvare la vita di Al Caponerispose zio Luigi.
llora per questo che tiene sempre un guanto di pelle e nel guanto
non c'la mano sua, ma una mano di legno che Al Capone gli fece fare dal
migliore falegname di Chicago.Poi, abbassando la voce, come se ci fosse
qualcuno dietro la porta che lo potesse sentire, aggiunseNella sua stanza,
in una cassetta di legno chiusa a catenaccio, tiene ancora il mitra a tamburo
con cui sterminla banda di O'Banion
Il mitra a tamburo! Da quel momento non pensammo ad ro che al mitra a tamburo
di Mike Scalese: poterlo vedere, toccare, annusare, anche per un solo istante
divenne il nostro massimo desiderio.
Edward G. Robinson, James Cagney, gli angeli con la faccia sporca insieme a
Sandokan al Corsaro Nero e a Tom Mix erano gli eroi che popolavano i nostri
sogni di gloria. Ma i gangster, Dio solo sperch ci stavano pisimpatici
di tutti: era normale quindi che non vedessimo l'ora di conoscerne uno di
persona. Pur di avvicinarlo, facemmo amicizia con Giannino, ragazzino di nove
anni, figlio del suicida Arturo ed erede universale della Pensione Santoro.
Giannino molto lusingato del fatto che dei ragazzi pigrandi di lui
trattassero da pari a pari. Mike Cupiello, alias Scalese, era un uomo sulla
sessantina, tarchiato, con i capelli grigi, che passava la maggior parte del
suo tempo ad ascoltare musica lirica. Ogni sera si andava a sedere in un
angolino del soggiorno accanto a un gigantesco grammofono. Voce del Padrone e
restava immobile, per ore e ore, a sentire pezzi d'opera: amava melodici e in
particolare mami Alfredo
A proposito della Voce del Padrone, zio Luigi un giorno mi raccontla vera
storia del cagnolino che appariva sul marchio di fabbrica. Disse che il cane
si chiamava Nipper e che apparteneva a un certo Barraud, un signore molto
vecchio che viveva a Londra in una soffitta. Una notte questo Barraud,
sentendosi prossimo a morire, incise un disco con la sua voce e lascial
fratello in ereditsia Nipper che il grammofono, in modo che di tanto in
tanto il cane lo potesse sentire.
Il fratello, infine, essendo un bravo pittore ritrasse il cane mentre
ascoltava la voce del padrone e vendette il dipinto alla Grammophone Co.
Ltd.
Come tutti i gangster Mike parlava pochissimo, e solo se non ne poteva fare
proprio a meno. Si guadagnava qualcosa facendo il finto cliente alle aste
d'antiquariato.
ister Cupiello,gli chiedemmo una sera iannino ha detto che state
costruendo un incrociatore con i fiammiferi, vero?Come sempre non
rispose, per essendosi alzato in piedi e avendoci guardato con aria
benevola, capimmo ch potevamo seguirlo in camera sua.
La cassa, munita di catenaccio, proprio come ava detto zio Luigi, era l
accanto al letto, e Cupiello se ne serviva come di un comodino. Era un piccolo
baule di legno chiaro lungo circa un metro, tipo ufficiale di Marina, con le
iniziali del nome di una nave, R.N.E.F., scritte in caratteri gotici.
Chiaramente doveva nascondere qualcosa di terribile, altrimenti non si
spiegava la presenza del catenaccio. Tutti gli avremmo voluto chiedere di
farci vedere il mitra, ma nessuno ebbe il coraggio di farlo. Solo Filuccio,
prima di andar via, fece un tentativo.
ldentro che cchiese, indicando la cassa.
Lui rispose secco: 'AmericaIl mitra fece passare in secondo piano anche
l'incrociatore che invece era bellissimo. Era stato costruito tutto, da cima
a fondo, con fiammiferi di legno.
bbiamo usato pidi trentamila fiammiferidisse Giannino, come se ci
avesse lavorato anche lui.
L'incrociatore aveva due fumaioli, otto scialuppe di salvataggio, quattro
cannoni ruotanti a 180 gradi, la bandiera Italiana sul pennone pialto e il
nome scritto a poppa, tutto a lettere d'oro: R. N. EMANUELE FILIBERTO. In
pratica un capolavoro, tanto piche era stato costruito da un uomo con una
mano sola.
Un giorno lo vidi al banco mentre apportava alcune modifiche al ponte di
comando. Usava la mano di legno come se fosse un morsetto: incastrava i
fiammiferi tra le dita del guanto e con la mano buona tagliuzzava, incollava
e dipingeva. Era cosrapido nei movimenti che a vederlo lavorare ci si
scordava della sua menomazione.
una tecnica che s'impara in carceredisse zio Luigi.
n giorno tra tutti i penitenziari d'America fu indetta una gara per il
miglior modello di nave:
vinse Jeremy Stockenouse di Sing Sing. Fece un galeone spagnolo del
sedicesimo secolo e a prua, come polena, mise il busto della moglie che aveva
strangolato.Tra le tante cose che Cupiello sapeva fare, c'era quella di
suonare il piano, e lo suonava benissimo.
Ora io non so come riuscisse a farlo con una mano sola, certo che piazzava
tutti gli accordi. Nella stanza aveva un piano verticale, laccato nero, con i
rifinimenti in oro, che era un vero e proprio oggetto d'antiquariato. Di
sicuro risaliva ai tempi in cui non c'era l'elettricit aveva, infatti,
ancora i candelabri d'argento attaccati al frontale. A sentirlo suonare da
lontano, dal cortile del palazzo ad esempio, nessuno avrebbe detto che non
era un pianista normale.
per forza,commentzio Luigi uello, in America questo faceva:
il pianista.
Solo in un secondo momento divenne un gangster. Suonava dovunque gli
riuscisse di arraffare qualche dollaro: frequentava i night, le feste
brucculine e i matrimoni. Poi conobbe Al Capone e la sua vita cambida cosa
cos Al lo fece assumere al Colosimo's night sotto il suo controllo, e ogni
domenica mattina all'ora di pranzo, se lo portava a casa insieme ai babe
alle sfogliatelle. A mamma Teresa piaceva molto una canzone di Pasquariello:
io m'arricordo 'e te.
Mike gliela canticchiava in falsetto e Al Capone ogni volta si metteva a
piangere.
E gi perchlui, lo sfregiato, cosera fatto:
spietato con i nemici e tenero in famiglia. poi com'che divenne un
gangster?erchs'innamordi Rosy la Bionda: una ragazza del New Jersey,
non molto alta in verit ma con i capelli di un biondo platino e il seno pi
bello di tutta la South Wabash Avenue!E qui zio Luigi dava uno sguardo al
cielo come volesse chiamarlo a testimone. e tette di Rosy erano cosbelle
che i camerieri del Colosimo's le avevano soprannominate Vesuvio e Monte
Somma.
La ragazza entrnella vita di Mike vendendo sigari e sigarette. Indossava un
corpetto nero, molto attillato, che le lasciava scoperto quasi tutto il seno.
Aveva le calze a rete e la giarrettiera con la rosa rossa. Quando si fidanz
con Mike, proprio per evitare che continuasse ad andare in giro fra i tavoli
nuda, Al Capone la fece promuovere caposala. Adesso per se state buoni e non
mi interrompete pi vi racconto tutta la storia.Al che noi trattenevamo
anche il respiro, per paura che lui cambiasse idea. I ragazzi di oggi hanno la
televisione noi avevamo zio Luigi.
ike e Rosy decisero di sposarsi a Natale. Al Capone in persona avrebbe
fatto da compare d'anello. Avevano gispedito le pubblicazioni quando una
notte gli irlandesi di O' Banion irruppero nel Colosimo's e cominciarono a
sparare raffiche di mitra per far fuori Al Capone. Mike, senza pensarci un
momento, si buttdavanti al suo capo e una pallottola gli sfracellla mano
sinistra. Rosy, invece, che era in piedi, proprio accanto ad Al Capone, mor
sul colpo, fulminata da sette proiettili. Il tutto era durato meno di un
minuto. Al collo di Rosy fu trovata una collanina d'argento con un medaglione
raffigurante il Cuore di Gestrafitto da Sette Spade.Malgrado l'epilogo
tragico, non potemmo fare a meno di pensare al seno di Rosy, ancora
palpitante, con il con il medaglione del Cuore di Gesgiusto nell'incavo tra
le tette.
calese,continuzio Luigi uando la polizia anda interrogarlo in
ospedale, mostril cartoncino che annunziava le sue prossime nozze con Rosy
e, non avendo la poverina nessun parente a Chicago, si fece consegnare come
ricordo il medaglione delle Sette Spade. E sette ne debbo uccidere!" mormor
Mike, mentre l'ispettore di polizia usciva dalla stanza.
Non appena lo dimisero, infatti, fece fuori, uno dietro l'altro, sette
irlandesi di O' Banion, divenne insomma il killer piferoce di tutta
Chicago.Un giorno a Santa Lucia arrivun italo-americano e chiese di
mister Cupiello.
Giannino lo accompagnnella stanza di Mike e un minuto dopo ci venne a
chiamare.
Corremmo tutti a vedere il nuovo arrivato. Lo sconosciuto disse di essere un
sassofonista e di aver suonato con Mike in America, in un'orchestrina chiamata
i Beach-Boys, ma nessuno gli credette. Grazie a zio Luigi, eravamo troppo
esperti di malavita americana per non accorgerci che si trattava di un altro
gangster in carne e ossa. Oltretutto, aveva il gessato grigio degli uomini di
Al Capone. Praticamente era come se si fosse presentato in divisa.
o so chi eesordFiluccio, ddosi delle arie.
hi uno della Mano Nera. come fai a dirlo?a un bottoncino
nero all'occhiello del baverorispose Filuccio. retino, quello il lutto!
E poi figurati se quelli della Mano Nera se ne vanno in giro con il
distintivo!Ci mettemmo a giocare ai soldatini nel corridoio della pensione,
in modo da poterci avvicinare sempre di pialla stanza dove stavano parlando.
Qualcuno di noi dovette urtare la porta perchda un certo momento non
capimmo pinulla: usavano uno strano linguaggio fatto di parole astruse che
finivano tutte in esia, un'incredibile lingua che non era ninglese, n
italiano e nemmeno napoletano.
il codice della Mano Nera!continua dire Filuccio. chi te l'ha
detto?Rafele,rispose lui nch'io ho uno zio che stato in America e
lui non racconta solo i fatti di Chicago, ma conosce pure quelli della costa
occidentale.Era una balla, naturalmente: tutti i ragazzi di Santa Lucia
m'invidiavano zio Luigi e di tanto in tanto qualcuno s'inventava un parente
solo per farmi concorrenza, ma, grazie a Dio, zio Luigi era unico e
irripetibile.
llora se non il codice della Mano Nera,replicFiluccio polemico
itemi voi che diavolo di lingua Era la parlesia: un linguaggio
convenzionale ancora in uso fra tutti gli orchestrali dell'Italia meridionale.
ppunisce 'a chiarenza?(ovvero vuoi un whisky), chiese Mike al suo amico
mostrandogli una bottiglia di whisky.
o, tengo 'a fegatesia addov嗷 (no! ho il fegato a pezzi), rispose quello
toccandosi il fegato, e poi a sua volta chiese: tu che stai appunendo?
(e tu come stai?) hmmuggMike, storcendo la bocca.
ppunisce quacche jamma?(hai qualche donna?) u spunbacarie: si
nunn'appunisco a me, comme vuca m'appunisco 'na jamma!(non dire
sciocchezze: se non riesco a mantenere me, come vuoi che mantenga una donna!)
ppunisce armeno n'a machinesia?(hai almeno una macchina?) 'aggia avuta
spun(me la sono dovuta vendere.) comme abbusche 'a campesia?()come
ti guadagni la giornata?) unosco a 'nu jammone c'appunisce 'na gallaresia e
fa l'astesia tutte 'e sere e pquacche vota appunisco a pusteggia.(conosco
un signore che ha una galleria e fa un'asta tutte le sere, e poi qualche
volta vado a cantare nelle trattorie) ggia appunito, concluse l'amico ai
accauto e allauto, a comme vene vene.
(ho capito, fai tutto quello che ti capita come viene viene.) li
orchestrali e i magliari italiani, quando arrivano in un paese straniero,
come prima cosa sentono il bisogno di entrare in contatto con qualche collega.
Allora girano per i bar, le taverne e le sale da biliardo, e non appena
scorgono qualcuno un ppiscuro di capelli, o con gli occhi neri, lo
avvicinano e gli chiedono sottovoce ppunisce a parlesia?ovvero arli la
lingua?
Piche una domanda, in effetti, una parola d'ordine. Significa:
ei dei nostrio no?Per andare pia fondo nei traffici di Mike,
cominciammo a pedinarlo.
Generalmente si recava ai giardinetti del Molosiglio, si sedeva su una
panchina e restava li una mezz'oretta a guardare le bie, i soldati e i
bambini che giocavano a palla. Una volta gli si avvicinun uomo anziano e
gli consegnun pacco di colore azzurro scuro. Mike lo prese e se ne and
via. Avrebbero potuto essere semplici biscotti di Castellammare o spaghetti
di Voiello, ma allora, ci chiedemmo, perchconsegnarli in un modo cos
misterioso? E poi perche non pagarli seduta stante, davanti a tutti? Un altro
posto che Mike frequentava era il porto; pare che da giovane avesse fatto il
marinaio.
E' stato mozzo su un mercantile che trasportava marmi pregiati da Genova a
Barcellonapreciszio Luigi.
a nave si chiamava il Nettuno. Poteva fare seimila, massimo settemila
tonnellate di stazza. Un brutto giorno perdurante la guerra '15-18, il
Nettuno venne affondato da un Sottomarino tedesco e Mike restquattro giorni
e quattro notti con altri naufraghi su una scialuppa di salvataggio, senza
niente da bere nda mangiare. Poi arrivl'incrociatore Emanuele Filiberto,
proprio quello che lui ha rifatto con i fiammiferi, e li salvtutti quanti.
Durante un ennesimo inseguimento lo beccammo che entrava alla Posta centrale.
Nuzzo Neri, fingendo di dover fare un vaglia, gli si mise dietro, in fila,
come una sanguisuga, e quando arrivarono allo sportello, vide Mike ritirare
una busta proveniente dagli Stati Uniti. La riconobbe subito per via dei
francobolli. Anzi, con la massima faccia tosta, glieli chiese pure in regalo,
e, mentre Mike li staccava dalla busta, ebbe tutto il tempo per leggere il
nome del destinatario. C'era scritto Mister Mike Cupiello, Grand Hotel
Santoro, via Marino Turchi 31, Naples, Italy
eccato che non sono riuscito a leggere il mittentesi rammaricNuzzo.
che lo leggevi a fare?lo confortzio Luigi. e lo dico io chi il
mittente: Al Capone in persona! Ogni mese gli manda un assegno di cinquanta
dollari.Il mito di Mike subun duro ridimensionamento quando arrivil
fratello dalla campagna. Si chiamava Carmine e faceva l'allevatore di bufali
a Mondragone.
Arrivuna vigilia di Natale, all'improvviso, mentre stavamo giocando a
tombola nella sala da pranzo della pensione. Spostil cartellone e poggisul
tavolo una pentola con cinque mozzarelle annegate nel latte che la signora
Santoro fece sparire senza nemmeno farcene assaggiare un pezzetto.
Se Mike era taciturno, il fratello era il suo esatto contrario: non la finiva
pidi chiacchierare. Un giorno si fece accompagnare da me e da Nuzzo a via
Chiaia per comprare una pipa di radica e durante la passeggiata ci raccontla
vita di Mike, per filo e per segno, da quando era nato fino ai giorni nostri.
Restammo sconvolti: o zio Luigi o il signor Cammine ci avevano detto un sacco
di bugie. overo Mike!lo commiseril fratello.
erse il braccio, a trent'anni, sui docks di New York: durante un'operazione
di scarico, gli caddero addosso un fascio di tondini ferro che non erano stati
bene imbracati. L'armatore gli dette cento dollari e lo licenzi
Forse il braccio l'avrebbe pure potuto salvare, ma per paura della cancrena,
glielo amputarono due centimetri sotto al gomito quando ancora non aveva
ripreso conoscenza: si sveglie si accorse di non avere un braccio!
A quell'epoca cossi usava: gli emigranti erano trattati come se fossero
bestie o poco pi Rosy?chiesi io malignamente. osy la Bionda?osy
la Bionda?ripetlui, stupito che io potessi conoscere un particolare cos
intimo della vita del fratello.
uoi dire Rosa Javarone? Quella che Mike si doveva sposare? Rosa la
Bionda,insistei io, guardandolo fisso negli occhi, se non altro per
metterlo in imbarazzo.
a non era bionda, era castana. perchnon si sposarono? quella fu
un'altra disgrazia!sospiril signor Carmine, sinceramente dispiaciuto. i
conoscevano sin da quando erano bambini, a diciotto anni si sarebbero dovuti
sposare ma nessuno dei due aveva una lira. Allora Mike disse: "Io me ne vado
in America e appena faccio i soldi ti chiamo". E' cosfu: un giorno le
scrisse una lettera dicendo: Vieni a New York che sono pronto, ma il vestito
da sposa meglio che te lo fai fare al paese perchqua costa assai'', e
Rosa part
si imbarcsulla Cesare Battisti. Io stesso l'accompagnai al porto. E chi se
la dimentica piquella giornata: il piazzale del Molo Beverello era pieno di
gente din ogni paese, e c'erano centinaia di emigranti che dovevano partire
per l'America e c'erano tutti i parenti che erano venuti a salutarli per
l'ultima volta. E chi era venuto con l'orchestrina, e chi con la chitarra, e
chi cantava, e chi s'abbracciava. E stavano tutti quanti 'nu poco 'mbriachi
perchprima della partenza s'erano andati a fare 'na bella magnata. Poi
improvvisamente, proprio mentre stavano ridendo, la nave fece tu tuuuu...
e allora tutti si misero a piangere: i marinai cominciarono a gridare:
'' A bordo che si parte! A bordo!". Le mamme riempivano l'aria di strilli:
all'ultimo momento non volevano pifar andare i figli in America e
s'appendevano ai loro vestiti per non farli partire, le mogli si disperavano,
i bambini piangevano. E loro, poveri guagliune, salivano a bordo che avevano
tutti gli occhi pieni di lacrime. Molti si erano portati appresso un gomitolo
di lana colorata per buttarlo da sopra la murata nel momento della partenza,
in modo che un capo restava in mano a loro e un altro a chi stava sul molo.
La nave si mosse lentamente, moscia moscia, come se non volesse partire, i
gomitoli cominciarono a srotolarsi a poco a poco e per qualche secondo avemmo
l'impressione che la nave non ce la facesse a spezzarli. Ma poi ci fu il
distacco e i fili di lana rimasero ancora un po' per aria, come una scia
colorata, fino a quando non li vedemmo pi Rosa?osa, non appena
arriva New York, si mise a letto con la polmonite. Due settimane di
malattia, la febbre a quaranta, un dottore di Brooklyn che scambila
polmonite per influenza, e 'a puverella mortra le braccia di Mike, lontana
dalla famiglia e dal suo paese E Al Capone? E il mitra a tamburo? E i sette
irlandesi di O Banion? E il Cuore di Gesdalle Sette Spade? No, il signor
Carmine con tutte le sue chiacchiere non ci aveva convinto nemmeno per un
attimo! Lui, secondo noi, aveva un solo obiettivo: nascondere a tutti che il
fratello era stato uno dei pispietati gangster di Chicago. Luigi, la sera
stessa ce ne dette una conferma. ike Scalese stato costretto a ritornare
in Italia per sfuggire alla vendetta dei fratelli Genna. Voi lo sapete chi
erano i fratelli Genna?.
o, chi erano?,rano cinque fratelli noti in tutta Chicago come
terribili Genna". Si chiamavano Sam, Angelo, Peter, Jim. Un giorno Angelo,
soprannominato anche il "maledetto'', s mise in testa di far fuori Al Capone.
Lo invita pranzo in una trattoria e, arrivati al dolce, fece entrare un
killer con una pistola. Aveva fatto i conti persenza Mike Scalese.
Fin dall'inizio, infatti, Scalese aveva fiutato il tranello: Angelo Genna era
stato troppo gentile. E allora che fece: finse di essere ubriaco e si mise a
dormire in un angolo della sala, su una poltrona: intanto, con la coda
dell'occhio controllava la porta d'ingresso.
Come vide il killer entrare e tirare fuori la pistola, non gli dette nemmeno
il tempo di premere il grilletto che lo fulminsull'istante. Da all'allora,
per sottrarsi alla vendetta dei Genna, stato costretto a nascondersi.
Prima a Vera Cruz, poi a Marsiglia e infine a Napoli. Per maggiore
precauzione si cambipure il cognome. La vedova Santoro, comunque, fin dal
primo giorno, gli assicurche non lo avrebbe mai dichiarato alla polizia.
Oggi, solo io e Al Capone sappiamo chi veramente e dove abita.
Al Capone, di tanto in tanto, tramite un suo uomo di fiducia, gli manda un
messaggio. In genere s'incontrano ai giardinetti del Molosiglio.Tutti
quanti sposammo, senza esitare, la versione di Luigi, anche perchMike
Cupiello lo avevamo visto noi, con i nostri occhi, mentre ritirava il pacco
di Al Capone al Molosiglio. Di sicuro era un gangster e il fratello ci aveva
raccontato un romanzetto rosa solo per nasconderci la verit
Un giorno, approfittando del fatto che era andato a Mondragone, entrammo in
camera sua e con un chiodo ricurvo aprimmo il catenaccetto della cassa di
legno.
Il mitra non c'era, trovammo perun abito da sposa, con il tulle tutto
strappato, un medaglione del Cuore di Gestrafitto dalle Sette Spade e la
fotografia di una ragazza con i capelli biondi.
me sembrano castanidisse Filuccio.
a me sembrano biondireplicai io e richiusi la cassa.

nota: la parlesia costruita in gran parte da vocaboli napoletani e ha come
base sintattica due verbi:
appunire e spunire.
Il primo ha una valenza positiva e puassumere diversi significati a seconda
del complemento oggetto che gli viene dato.
Trovare un termine equivalente in italiano, o in un'altra lingua,
praticamente impossibile.
In un certo senso ricordano il (bbuono e il no buono) di Andy Luotto
(all'altra domenica.) Appunire, infatti, pusignificare:
gradire qualcosa, ma anche guardare un bel film, accettare un caff amare una
persona o partecipare a un evento positivo.
Appunisce a machinesia, puvoler dire: (ti piace questa macchina?) ma anche
(vuoi comprare questa macchina?) o pisemplicemente: (possiedi una macchina?)
Appunisce 'na jamma ? pergiqualcosa di pipersonale: rafforzato dalla
parola (jamma), equivale a chiedere a un amico: Se fa l'amore (con una bella
donna).
E, "O jammo accauto appunisce 'a chiarenza), putradursi cos
(a quest'uomo piace troppo il whisky.) Spunire, invece, ha significati solo
negativi.
Nu spunbagarie, corrisponde a (non dire shiocchezze), e l'aggia avuta spun
sta per (l'ho dovuta vendere?
Jammo e jamma, vogliono dire: uomo e donna, e hanno come variante gerarchiche
('O jammone, 'a jammona, 'o jammetiello, e 'a jammetella.) esempio:
'o jammone appunisce 'e tellose d'ajammetella.
traduzione:
al capo piace il seno della ragazza.
altre parole per sopravvivere sono:
addovche significa attenzione, ma con riferimenti decisamente nigativi.
'a pusteggia, ovvero il cantare nelle osterie in cerca di soldi, e accauto e
allauto, che vogliono dire questo e quello.
per tutte le altre voci, basta aggiungere la desinenza esia:
per cui:
alberesia, tavolesia, e muntagnesia, stanno rispettivamente per:
alberi, tavole, e montagne.

Il ventre della vacca

Sarstata la giovane et l'incoscienza, l'ottimismo, il carattere allegro,
non so, ma come ho riso durante il periodo della guerra non ho mai riso in
tutta la vita. Eppure Dio solo sa quante volte sarstato sfiorato dalla
tragedia:
il pulsante di un bombardiere premuto un attimo prima o un attimo dopo, un
rastrellamento delle SS fatto in una direzione piuttosto che in un'altra, un
paesino della Ciociar occupato dagli americani e non dai marocchini.
Il fatto che in quegli anni ogni nuova esperienza mi sembrava eccitante: il
rifugio antiaereo, i campi Dux, le piccole italiane e perfino le canzoni di
guerra, da Partono i sommergibili a Camerata Richard benvenuto.
Per me la guerra cominciufficialmente il 5 maggio del '38, il giorno in cui
Hitler venne a Napoli a passare in rassegna la flotta italiana. Erano gidue
settimane che ci preparavamo per la grande sfilata. Ci facevano marciare su e
gilungo via Partenope, in fila per sei, fino a quando non ci sedevamo
stremati per terra; io, ogni volta che passavo sotto casa, alzavo un po' pi
degli altri il braccio destro per farmi riconoscere dai miei che stavano al
balcone. Avevo nove anni e mezzo ed ero stato appena nominato marinaretto del
Duce (un corpo speciale dei balilla). Il nostro battaglione aveva in forza
quattrocento effettivi, quasi tutti residenti a Santa Lucia e a Mergellina.
La divisa era bellissima: uguale in tutto e per tutto a quella dei marinai
veri con in pile giberne bianche per metterci dentro le cartucce dei
moschetti (che avrebbero dovuto darci, ma che non ci dettero mai). Quella
mattina fui costretto ad alzarmi molto presto per presentarmi alle sette al
Molosiglio. La sera prima, avevo litigato fino a tardi con mio padre perch
non aveva voluto comprarmi le scarpe nere per la divisa. Per papquelle
marrone andavano piche bene.
desso secondo te Hitler, con tutte le preoccupazioni che tiene, tra
quattrocento ragazzi che gli sfilano davanti s'accorge che ce ne sta uno con
le scarpe marrone? Ma fammi il piacere!u, bell'e mammsuggeriva mia
madre erca di nasconderti: mettiti giusto al centro della fila.a come
mi nascondo? Quello, il comandante, prima ancora della sfilata, ci fa
l'ispezione uno per uno! vabb vuol dire che io adesso te le lucido con
la cromatina nera, e cosnon ci pare che sono marrCome avevo previsto,
fummo sottoposti a un controllo scrupoloso. Innanzitutto ci dissero che solo
i migliori di noi avrebbero sfilato e che non saremmo stati pidi duecento;
poi ci misero in fila per tre e se qualcuno non era in perfetto ordine tutta
la terzina veniva eliminata.
Quando arrivil mio turno, tremavo come una foglia.
carpe marrone,disse il comandante ia tutti e tre!e passoltre.
A quel punto gli altri due se la presero con me per via delle scarpe e
cominciarono a strattonarmi. Con uno scatto improvviso mi divincolai e tentai
la fuga attraverso i giardinetti, ma i due farabutti mi riacciuffarono
subito. ' tu tfetente.!gridavano. 'voluto mettere 'e scarpe
marr stu zuzzusoPrima mi dettero un sacco di botte, poi mi sfilarono le
scarpe e me le buttarono a mare. Tornai a casa scalzo e in lacrime. Mio
padre, vedendomi cosridotto, voleva tornare al Molosiglio per dare una
lezione ai due mascalzoni, ma mia madre non lo fece uscire di casa.
ascia perdere,diceva on ti mettere contro i fascisti. Queste sono
giornate dove ognuno si deve fare i fatti suoi.Ora io non so se l'episodio
sia sufficiente a farmi riconoscere un passato da perseguitato politico,
certo che la iornata particolareper me fu una pessima giornata.
Gli italiani degli anni Quaranta erano quasi tutti fascisti nella vita
quotidiana e antifascisti sfegatati nel raccontare le barzellette. Uno dei
covi piimportanti della resistenza satirica napoletana era il retrobottega
del negozio di mio padre in piazza dei Martiri. Leader indiscusso della
barzelletta politica era il capotagliatore don Eduardo, anarchicomarxista e
nel contempo innamorato cotto di una delle nostre commesse: la signorina
Bertoloni. Ogni volta che la signorina Bertoloni gli passava accanto, lui si
prendeva la testa fra le mani e guardando il cielo, come a chiamarlo a
testimone, esclamava: hesta me fa ascpazzo a me. La passione per la
commessa non gli impediva di sfornare ogni giorno una barzelletta nuova
contro il regime. Le riunioni avevano luogo durante l'intervallo del pranzo,
pio meno tra le due e le quattro e coinvolgevano tutti i commercianti della
piazza. A uno a uno gli affiliati entravano con fare circospetto e andavano
direttamente nel retrobottega. Don Eduardo aspettava in silenzio che il
fattorino avesse abbassato la saracinesca, dopo di che si andava a sedere sul
banco da tagliatore, con le gambe penzoloni, e cominciava a raccontare la
rima parlando a voce bassissima, come se temesse che qualcuno, dalla
strada, lo potesse sentire.
Un giorno Farinacci va a fare un'ispezione nelle campagne e chiede a un
contadino: he cosa dai da mangiare tu alle galline?ccellenza, e che
volete che ci do da mangiare.! esclama il contadino. i do il granturco.
l granturco!urla Farinacci. a lo sai che il granturco serve a fare il
pane per i nostri soldati! Tu sei un disgraziato: tu non ami la patria!A
questo punto il responsabile del partito per l'agricoltura, per non fare
altre brutte figure, manda un motociclista in avanscoperta perchavvisi
tutti i contadini di non rispondere piranturco
Secondo podere, seconda ispezione.
he cosa dai da mangiare tu alle galline?chiede ancora Farinacci al
contadino. Il contadino, avvisato dal motociclista, si guarda bene dal dire
ranturcoe risponde: 'orzo. Eccellenza noi ci diamo l'orzo, perchpare
che l'orzo piace molto alle galline
'orzo!strepita Farinacci. a lo sai tu che serve a fare il caffper i
nostri soldati! Tu sei un disgraziato: tu non ami la patria!Nuova partenza
del motociclista e nuovo ordine: niente granturco e niente orzo.
Sennonchal ventesimo podere la situazione si fa davvero difficile. I mangimi
innominabili ormai sono tanti: granturco, orzo, olive, carrube, semi di
arachide, fave, nocelle e pistacchi sono tutti all'indice.
Farinacci pernon demorde e continua a porre sempre la domanda.
he cosa dai da mangiare tu alle galline?ccellrisponde frastornato
il ventesimo contadino olete sapere la verit noi ogni mattina gli diamo
due lire e loro si comprano quello che vogliono!Immediatamente la
barzelletta faceva il giro della citt bastava un solo bombardamento perch
si diffondesse in tutti i rifugi antiaerei. Ma qui credo che sia opportuno
fare una breve digressione su Napoli e sui bombardamenti agli inizi degli anni
Quaranta. Il primo rito era quello del preallarme: non c'era in tutta la Citt
una sola persona che non avesse almeno n cugino nella contraerea
Il preallarme si diffondeva a macchia d'olio non appena un aereo alleato
veniva avvistato al largo delle coste della Sicilia: ogni napoletano degno di
rispetto, una volta ricevuto l'avviso, provvedeva a sua volta a telefonare ai
parenti, agli amici e agli amici degli amici. E inutile dire che questa
catena di Sant'Antonio era severamente proibita, ragione per cui tutti gli
avvisatori parlavano in codice: scoppiata Piedigrotta rriva la
stagione delle castagne tanotte si balla i prevedono temporali
queste le frasi piusate e, diciamo la verit nemmeno le pidifficili da
interpretare.
Noi per sicurezza andavamo a dormire vestiti: alla prima sirena gici
eravamo messi le scarpe, alla seconda stavamo nel rifugio. Papsoltanto
restava qualche minuto in piper telefonare a zio Eduardo che era sordo e
che chissper quale strano fenomeno riusciva a sentire solo la sirena del
cessato allarme, ragione per cui quando scendeva in cantina tutti gli altri
salivano e gli ridevano dietro.
Ginel rifugio ci dividevamo per sesso, per ete per idee politiche: i
ragazzi giocavano a palla, le donne recitavano il rosario e gli uomini si
raccontavano, tanto per cambiare, le ultime barzellette tra le minacce e le
implorazioni del capopalazzo, il cavalier Fiorito.
oi a muno di questi giorni mi farete passare un guaio!protestava il
poveretto che oltretutto era anche gerarca. er colpa vostra sarcacciato
dal partito!avalirispondeva papoi qua stiamo per morire e voi
pensate al partito! Ma la sapete quella di Hitler e Mussolini che si
incontrano all'inferno?uale?rispondeva Fiorito in tono lamentoso, ma
nello stesso tempo incuriosito. Quella degli otto milioni di baionette che
diventano otto milioni di forchette?...
a so, la so ma voi non la dovete raccontare!In veritle barzellette al
cavaliere piacevano molto, anzi, le avrebbe raccontate lui per primo, solo che
ne avesse avuto il coraggio; certe cose pernon le poteva tollerare i
disfattisti per esempio, erano una vera e propria minaccia per la sua
tranquillite nel palazzo un gruppo molto agguerrito che faceva capo
all'avvocato Ventrella. Silenziosi, intellettuali, poco disposti a entrare in
confidenza con gli altri inquilini, i disfattisti amavano rinserrarsi
nell'ultimo vano del rifugio, e con la scusa di giocare a tressette dicevano
peste e corna del regime. Spesso scendevano in cantina ancora prima che fosse
scattato l'allarme con la scusa di non voler essere interrotti a metpartita
si davano appuntamento direttamente nel rifugio.
Oltre al gicitato avvocato Osvinio Ventrella, facevano parte del gruppo
disfattista: il professor Kernot, colpevole agli occhi del regime di avere un
cognome straniero, l'ingegnere Sossich, di origine austriaca ma coniugato con
una signora inglese, Marco Terracini ebreo (e tanto bastava, Peppino
Lucariello che oltre a essere un falso tressettista era anche un falso
disfattista in quanto non interessato alla politica.
Frequentava il gruppo solo perchinnamorato della bella Elena, una delle
tante sorelle dell'avvocato; Ventrella.
Sesto, ma non ultimo come importanza, Marco Ricca, pluridecorato della guerra
'15-18 e feroce contestatore del regime. Se Ricca non era ancora finito in
galera, lo doveva, oltre che al suo passato di eroe, a una seminfermit
mentale che gli era stata riconosciuta anche in tribunale durante un regolare
processo. Il reduce, infatti, era solito appendere tutte le medaglie al
collare del suo cane, un bastardino di nome Montegrappa, e andarsene a
passeggiare davanti a Palazzo Reale, pretendendo oltretutto il presentat'arm
dalle guardie. Il gruppO adoperava come sentinelle Nunzia e Angelina, le
Cameriere di Osvinio Ventrella. Nunzia aveva l'incarico di controllare il
cavalier Fiorito: non appena lo vedeva avvicinarsi gridava a quaglia, la
quagliae tutti smettevano di parlare (la quaglia stava a indicare l'aquila
dorata che il gerarca portava sul cappello). Angelina invece, in quanto la
pianZiana e autorevole, era addetta al volume delle voci: quando i
tressettisti l'alzavano troppo invitava tutti alla moderazione.
Il giorno dopo noi ragazzi uscivamo all'alba per essere i primi a raccogliere
schegge, shrapnel, traccianti, frammenti di bombe, spezzoni, proiettili di
mitragliere e tutto quello che in un modo o nell'altro era caduto dal cielo.
Camminavamo a testa bassa, guardando a destra e a sinistra, pronti a fiondarci
sul primo luccichio che avesse fatto capolino da una sconnessura dei
sampietrini. A scuola poi facevamo i cambi: uno shrapnel, metalluminio e
metrame, valeva quattro schegge comuni, una granata perforante con relativo
tappo coprispoletta in ottone almeno sette pezzi. I frammenti delle bombe USA
invece, essendo solo pezzi di ferro sfrangiati, non erano molto richiesti.
Raccogliere schegge divenne ben presto un hobby per tutti i ragazzi
Napoletani, npinmeno di quanto era giaccaduto con le figurine
Perugina.
Chi nella vita non ha mai trovato un Feroce Saladino in una scatola di
cioccolatini non sa che cos'la felicitallo stato puro! Verso la met
degli anni Trenta tutta l'Italia fu presa dalla febbre del concorso Perugina:
prima una fortunata trasmissione radiofonica, quella dei Quattro
Moschettieri,, poi la difficile reperibilitdi una particolare figurina,
quella del Feroce Saladino, avevano trasformato un innocente concorso in una
mania popolare.
Ogni sera centinaia di persone si riunivano a piazza dei Martiri, davanti al
negozio della Perugina (proprio accanto a quello di pap e fissavano le
quote del giorno. Era una vera e propria borsa valori:
rik e Crokerano dati a 8, l Cagnolino pekinesea 15, l Dannato
Viscontea 20, e per l feroce Saladinole quote oscillavano dalle 100
alle 200 figurine comuni.
Le autoritfasciste sospesero il concorso quando si resero conto che le
figurine erano diventate piaffidabili delle banconote del regno.
Tra bombardamenti, schegge e figurine Perugina, tirammo a campare fino al
febbraio del '42, quando un 'incursione aerea pimicidiale delle altre,
convinse papa sfollare.
Lo stesso Mussolini aveva detto: hi ne ha la possibilit ha il dovere di
andare via da Napoli.
Che siano messi in salvo donne e bambini. Restino solo coloro che hanno
l'obbligo civico e morale di rimanere Ma dove trovare un posto sicuro,
fuori dalle rotte dei bombardieri?
Noi eravamo una famiglia alquanto numerosa: padre, madre, due figli, una
nonna di novant'anni, una zia sorda (zia Maria), uno zio praticamente
inaffidabile (zio Luigi) e due cameriere analfabete. Ci mettemmo subito a
cercare un paese privo di obiettivi bombardabili e non troppo distante da
Napoli. Chi proponeva Sorrento, chi Capri e chi, come zio Luigi, addirittura
Trento dove, a sentire lui, ci sarebbe stata una sua amica, proprietaria di
una pasticceria, che ci avrebbe ospitati tutti, dal primo all'ultimo.
rento troppo vicina al fronte orientaleobiettpap ai conto che i
russi sfondino, noi che fine facciamo? Io da quelle parti ci sono gistato
nel '15-18, e vi assicuro che non mi sono trovato bene.a che debbono
sfondare!replicava zio Luigi. Russi hanno giperso la guerra:
sono in ritirata su tutta la linea. Pensa piuttosto alla proprietaria della
pasticceria! Ti rendi conto che pranzetti ci farebbe fare quella l Hai mai
mangiato uno strudel? Delikatessen austriache, Eug altro che babe
sfogliatelle! quella si prenderebbe in casa nove persone affamate Come
noi, solo per la tua bella faccia? Ma famme 'o piacere.iselotte per me
farebbe pazzie.uig lassa sta Liselotte e cerchiamoci un paese
tranquillolo zittiva pap ua noi dobbiamo trovare il ventre della
vacca. che cos'il ventre della vacca?chiedevo io.
il posto pisicuro del mondo: un luogo silenzioso, pacifico, dove non
succede mai nulla, dove non escono nemmeno i giornali.Una sera paptorna
casa con una carta del Touring Club, scala 1:200.000.
La stese sul tavolo da pranzo e, dopo averla bloccata agli angoli con quattro
portacenere, se la studiper due ore di seguito con la massima attenzione.
Poi, improvvisamente, lo vedemmo alzarsi di scatto.
ccolo qua,esclamtrionfante, mentre indicava un punto sulla carta
uesto il ventre della vacca! come si chiama?assino.E fu cos
che sfollammo tutti a Cassino. Pap senza saperlo, ci aveva procurato alcune
poltrone di prima fila per assistere a una delle pitremende battaglie della
Seconda guerra mondiale. Sarebbe bastato conoscere un po' di Storia patria
per evitare quella scelta: ogni qualvolta, Infatti, un esercito invasore ha
attraversato l'Italia, sempre passato per Cassino. La pianura ai piedi
dell'Abbazia l'unico corridoio che consenta il passaggio da nord a sud e
viceversa. Nel IV secolo a.C. ci passarono i romani per marciare contro i
sanniti, un po' pitardi, Fabio Massimo per fermare Annibale, quindi
Belisario con i bizantini, Totila con i goti e infine Gonzalo Ferndez de
Cdova con le truppe della regina Isabella, per non parlare poi di
montecaSsino, una montagnella alta poco pidi cinquecentO metri che sembra
messa lapposta per fare da sentinella alla valle del Liri. Anche il pi
sprovveduto degli strateghi, guardando la zona, avrebbe detto: ui li
fermiamo per almeno un anno! E noi proprio landammo a nasconderci.
Trovammo casa a San Giorgio a Liri, un paesetto, a una decina di chilometri da
Cassino, e debbo ammettere che per quasi un anno ci sembrdavvero di aver
trovato il ventre della vacca: niente giornali, ntessere annonarie, ne
ronde UNPA, nbombardamenti a tappeto, nbollettini dal fronte, n
contraerea, nrifugi con sacchetti di sabbia, naltre sofferenze del
genere. Per avere notizie sull'andamento delle operazioni bisognava chiederle
al alillabizzarro personaggio sui trent'anni, che faceva continuamente la
spola tra Napoli e Roma.
Tutti lo chiamavano Balilla per come era solito andare in giro: calzoni
grigioverdi alla zuava, maglione da sciatore grigio-topo e caratteristico fez
fascista con fiocco nero in cima. econdo me, il Balilla una spia dei
fascisti,dice zio Luigi a le physique du role. Un mio amico che lavora
all'Intelligence Service questo mi ha detto:
uig attento alle spie: ce ne sono a migliaia! Mussolini ne ha messa una
in ogni paese!
. Ora chi volete che possa fare la spia nella zona di Cassino? Solo il
Balilla.Non che noi avessimo qualcosa da nascondere, ma zio Luigi era
solito ascoltare Radio Londra con una vecchia Allocchio Bacchini che, a
sentire lui, gli era stata regalata da Guglielmo Marconi in persona. Per cui,
non appena sentivamo il lugubre u-du-du-dum du-du-du-dum qui Radio Londra
uno di noi andava di vedetta al balcone a controllare che non ci fosse il
Balilla nelle vicinanze.
Per qualche mese frequentai il ginnasio a Cassino, poi, essendo stato sospeso
il servizio dei pullman, continuai a studiare privatamente con un professore
ebreo che abitava poco lontano da noi e che viveva in uno scantinato. Si
chiamava Ravenna e in poco meno di sei mesi m'insegnpicose lui che non
tutti i professori che avevo avuto in tre anni a Napoli: m'insegnil latino,
la storia, l'italiano, il greCo e soprattutto la matematica.
Insomma, tutto il programma del quarto ginnasio a eccezione del tedesco che
non voleva nemmeno sentir nominare perchera allergico alla lingua. Pare che
nella zona di Cassino io fossi l'unico scolaro ad aver studiato il tedesco.
Una sera arrivil Balilla e ci comunicche a Napoli c'era stato un
terribile bombardamento con morti e feriti, e che erano stati colpiti
parecchi edifici nei pressi della stazione ferroviaria. La cosa ci fece molta
impressione, anche perch proprio in quella zona, in corso Garibaldi,
abitava mio zio Alberto, uno dei tanti fratelli di mamm Papgli mand
immediatamente un telegramma: AGGIUNGICI SUBITO CASSINO STOP QUI VENTRE
VACCa Non so che cosa abbia potuto capire zio Alberto da un telegramma del
genere, certo che dopo qualche giorno lo vedemmo arrivare, su un camion,
con tutta la famiglia, ovvero con la moglie, i tre figli, una cameriera di
nome Carolina e la ucina americana
Chi conosceva zio Alberto conosceva anche la ucina americana A sentire mia
madre si trattava della ottava meraviglia del mondo.
es Ges voi la dovreste vedere! Come prima cosa rossa, tanto che non
sembra nemmeno fatta di legno, e poi lucida lucida, come se ci avessero appena
passato la cera, ma non basta: alcuni mobiletti non tengono i piedi per terra,
come tutte le cucine, ma stanno azzeccati in faccia al muro e non cadono!
Era uno dei primi modelli di cucine in fmica venuti dall'America. Mio zio
l'aveva comprata di seconda mo da un ingegnere americano che era dovuto
partire in fretta e furia per gli Stati Uniti. Chi andava a casa di zio
Alberto gisapeva che, come prima cosa, lo avrebbero costretto a vedere la
cucina americana. Di fronte ai pensili rossi, non si poteva restare
indifferenti: il commento minimo era un:hprolungato di stupore. Ecco
perchlo zio si era lasciato convincere ad allontanarsi da Napoli: per
mettere in salvo la cucina, e con essa la famiglia.
Con l'arrivo dei cugini diventammo quindici e in proporzione aumentanche
l'allegria. Se da una parte ci sentivamo meno soli, dall'altra si era dissolto
quel famoso ventre della vacca tanto decantato da mio padre: insieme ai
parenti, infatti, arrivanche il 25 luglio e con esso la fine della nostra
tranquillit
La caduta del fascismo mi si presentdavanti sottoforma di un carabiniere in
divisa.
l maresciallo ti vuole. perchmi vuole?erchsei l'unico che
conosce il tedesco.Per strada cercai di saperne di pi ma non ci
scippargli una parola.
o fatto qualche cosa di male?ammina e non fare domande!rispose lui e
affrettil passo. Attraversando la piazza del paese, si mise addirittura a
correre. a che successo?i ho detto: corri e non parlare!Nel
frattempo io mi tormentavo: a che avrfatto di costerribile da farmi
venire a prendere dai carabinieri?Ero andato in bicicletta senza
catarinfrangente?
Avevo schiamazzato per strada dopo la mezzanotte? Poi improvvisamente mi
ricordai:
la settimana prima, giocando a palla, avebo colpito il viceparroco mentre
scendeva i gradini della chiesa. Vabb pensai, lo avrcolpito, pernon
che l'ho ammazzato! Non si finisce in galera per una cosa cos e poi: che
c'entrava il viceparroco col tedesco?
Appena entrato nell'ufficio del maresciallo, mi si presentuna scena quasi
comica: un soldato tedesco, ubriaco, Stravaccato su una sedia al centro della
stanza, e intorno a lui, Come due entrameuses, il maresciallo e un altro
carabiniere che cercavano di fargli bere del vino. Il soldato aveva il
colletto della divisa sbottonato (trasandatezza inconcepibile in un tedesco)
e cantava a squarciagola, nella sua lingua, tella d'argento, che brilli
lass
cco qua il ragazzodisse il mio carabiniere.
ai il tedesco?mi chiese il maresciallo.
'ho studiato a scuola: perl'anno scorso sono stato rimandato a ottobre.
a butaglicorto lui atti dire quanti carri armati ci sono qui
intorno. come si dice "carriarmati?i dice Panzersuggeruno dei
carabinieri.
Mi sentii importantissimo e nello stesso tempo mi sembrdi dover fare
l'esame di tedesco.
itte Kamerad,cominciai a dire, non senza una punta d'emozione ieviele
Panzer sind in San Giorgio?anzer?esclamil soldato, quasi incredulo che
gli si potessero fare domande del genere.
a, Panzer.ies ist "Panzaispose lui e comincia battersi la pancia
come se fosse stata un tamburo.
o Panza, Panzer.precisai io alzando la voce. icht Panza, Panzer.a,
ja. Panzerripetlui, ridendo fino alle lacrime. Poi aggiunse in italiano:
ia panza piena vino, verstanden sie?
Mia panza piena vino. . . mia panza piena vino. . .
Un violento rumore alle nostre spalle ci fece voltare tutti:
la porta si spalancdi colpo ed entrarono due tedeschi delle SS con le armi
in pugno. I carabinieri alzarono le braccia in segno di resa e una delle due
SS mi scaraventfuori dall'ufficio con uno spintone.
ausFeci appena in tempo a vedere che anche il tedesco ubriaco si era
allineato con i carabinieri lungo la parete e aveva alzato le braccia:
evidentemente nemmeno lui si sentiva troppo sicuro davanti alle SS.
Nel giro di ventiquattro ore tutto il paese fu occupato dai tedeschi e tranne
il Balilla, che andava su e gicome niente fosse, nessun civile aveva piil
coraggio di arrischiare la testa fuori di casa. Oltretutto, c'era il
coprifuoco e si correva il rischio di essere colpiti anche solo affacciandosi
alla finestra.
Qualcuno disse che gli alleati erano giarrivati a Sessa Aurunca e che ormai
era questione di ore. Da lontano cominciammo a sentire i primi
cannoneggiamenti.
ntro fine settimana saranno qui a Cassino e poi come dei falchi si
butteranno su Romaproclamzio Luigi che solo per essere stato due volte in
America si sentiva americano.
uest'anno, se Dio vuole, ci facciamo Natale a Napoliprofetizzmio padre,
una volta tanto in pieno accordo con zio Luigi.
Seguimmo, giorno dopo giorno, l'avanzata degli alleati sulla carta del
Touring.
Un po' ci basavamo sulle oci, un po' sulle notizie che ci portava il
Balilla e un po' sui bollettini di Radio Londra. Di tanto in tanto qualche
aereo americano veniva giin picchiata a mitragliare un carroarmato o una
colonna di tedeschi.
Insomma la guerra ci aveva riacchiappato e ancora una volta ci costringeva ad
allontanarci dal centro abitato.
Mio padre, trova pochi chilometri dal Garigliano una bella villa del
Settecento, alquanto malandata in verit ma sufficiente a ospitarci tutti,
cucina americana compresa. Purtroppo ancora una volta si era avvicinato nelle
scelte ai gUsti del maresciallo Kesselring: la ustav la linea strategiCa
decisa dai tedeschi, comprendeva per l'appunto l'intero percorso del
Garigliano, dalla confluenza con il Rapido fino al mare. Nel frattempo,
sull'altra riva, il generale Alexander andava ammassando le sue forze e
precisamente: la Sa armata americana, 1'8a britannica, gli indiani, i
polacchi, i canadesi, i francesi di Juin, i neozelandesi, i marocchini, i
sudafricani e perfino gli italiani: tutti a Cassino, nel ventre della vacca,
come nel finale di una commedia di Scarpetta.
Donna Rita, la proprietaria della villa, era una settantenne signora un po'
rintronata: viveva insieme a una cameriera di nome Rocchetta, anch'essa
settantenne e anch'essa rintronata. Donna Rita non faceva che parlare di suo
figlio, di come era bravo, di come era bello e del fatto che, poverino, era
dovuto partire per la Russia con il grado di colonnello di artiglieria, e che
se fosse rimasto a Cassino tutto questo non sarebbe successo.
Qualsiasi cosa le chiedevamo in prestito (che so io: un martello, una scala, o
un paio di forbici) rispondeva sempre:
i spiace, ma non roba mia: quando torna il colonnello dalla Russia, vi do
tutto quello che volete
Dalla mattina alla sera non c'era nulla da fare e in veritper un paio di
mesi, a parte le granate che gli alleati ci recapitavano due o tre volte al
giorno, tanto per ricordarci che eravamo in guerra, non stavamo affatto male.
In casa avevamo grandi scorte di mele e d'olio. Di certo non saremmO morti di
fame anche se i menerano sempre gli Stessi. Come primo mangiavamo mele
cotte, come secondo mele fritte, come dolce torta di mele e come frutta
ovviamente mele. Oggi non assaggio piuna mela nemmeno se mi ammazzano.
Un giorno trovai in soffitta una cassa con ventidue libri di vodehouse:
c'erano tutte le imprese di Jeeves, il maggiordomo impeccabile, e le storie
del castello di Blandings.
uesti libri non si toccano!strilldonna Rita ono del colonnello e si
precipita chiudere la cassa con un catenaccino.
Io pertrovai il modo di aprire il lucchetto con un chiodo e ogni tre o
quattro giorni me ne leggevo uno.
Per non farmi scoprire da donna Rita leggevo solo di notte alla luce di
piccole lampade confezionatemi da zio Alberto.
Queste lampade consistevano in un bicchiere d'olio con al centro un lucignolo
infilato in un pezzo di sughero. L'olio c'era, la voglia di leggere pure, e
cosin meno di tre mesi lessi ventidue libri. Non ho mai capito se sono
diventato umorista per aver letto tutto Wodehouse, o se mi piacque tanto
Wodehouse perchero nato umorista. Zio Alberto era un Leonardo da Vinci del
ai da te.Bravissimo a dipingere, se avesse voluto sarebbe potuto
diventare un falsario di capolavori.
Comunque, a parte la pittura, si adattava a fare qualsiasi lavoro: il
falegname, il giardiniere, il muratore, l'idraulico e via dicendo. Nella vita
non aveva un mestiere ufficiale (odestamente ,diceva: on ho mai
lavorato ma in caso di bisogno li avrebbe saputi far tutti. Tagliava i
capelli a tutta la famiglia, aggiustava le mattonelle del bagno, risuolava le
scarpe come un sarto provetto.
Con un ingegnoso sistema di secchi.
inventanche un marchingegno con il quale ogni mattina ci si poteva fare la
doccia accanto al pozzo. Dopo cena ci riunivamo intorno al camino e
recitavamo il rosario. Una sera, al terzo mistero doloroso, sentimmo bussare
alla porta. Per qualche secondo nessuno fiat Non era possibile che qualcuno
ci venisse a trovare a quell'ora. La nostra villa era completamente isolata
dal resto del mondo e le strade non erano praticabili a causa del fango e dei
carri armati che le dissestavano.
Gli uomini (pap zio Alberto e zio Luigi), con al seguito i ragaZZi (io e
mio cugino Gegg, andarono ad aprire la porta. Fuori, elegantissimo (senza
nemmeno uno schizzo di fangO sui vestiti e con una valigia in mano), c'era un
giovanotto sorridente.
questa la casa di donna Rita?questa... e lei chi Balbettzio
Alberto come se avesse visto un fantasma.
ono il nipote di donna Rita: in casa mia zia?Lo accompagnammo
nell'ampio stanzone dove tutte le donne erano in attesa.
onna Rita, qua c'vostro nipoteannunzisolenne zio Alberto.
ia Rita!esclamil nuovo venuto dirigendosi verso mia madre a braccia
spalancate.
ove siete che vi voglio abbracciare!ono quirispose donna Rita
dall'altra parte della stanza.
ia Rita carissima!ripetil giovanotto, senza scomporsi e virando di 180
gradi. ono Ginetto... il figlio di vostra sorella Annarosa... Vi ricordate
di me?mormordonna Rita che fai qui?ono di passaggio: vengo
da Ascoli Piceno e sto andando a Napoli. Mi hanno detto che sul Liri pi
facile passare il fronte. Posso restare a dormire da voi un paio di giorni?
Gli preparammo a brandina in soffitta e zio Alberto gli confezionuno dei
suoi famosi lumi a olio in modo che potesse consultare tutte le carte
geografiche che si era portato dietro. Io e Gegg durante la notte, lo
spiammo dal buco della serratura e lo vedemmo tirar fuori dalla valigia una
piccola radio portatile.
La mattina dopo il nipote di donna Rita era l'argomento del giorno. Tutti,
tranne Rocchetta, parlavano bene di lui.
overo guaglione,disse mammuello, se passa il fronte, rischia di farsi
sparare dai tedeschi! Secondo q dovremo convincere a non partire. dove lo
mettiamo?ribattastiosa Rocchetta. ua gistiamo stretti! Poi quello
uomo: mica pudormire con me e donna Rita!o invece penso che, se
veramente va va a Napoli potremmo approfittare di lui per far arrivare una
lettera ai nostri parentipropose zio Alberto. uesta sche una bella
idea!gli fece eco zio Luigi.
o a Napoli ho mille interessi: secondo me tutti i Napoletani a quest'ora si
staranno domandando "Ma Luigino che fine ha fatto?".o non tengo nipoti!
Questa frase, appena sussurrata da donna Rita, ci lascitutti ammutoliti.
ome sarebbe a dire che non avete nipoti?Chiese pap
uol dire che non ne ho. allora quel signore chi io che ne so.
a vostra sorella Annarosa ce l'ha un figlio?o non ho sorelle: sono
figlia unica. una spia, una spia!gridzio Luigi eccitatissimo. o
sapevo che era una spia!itto che ti sente!gli disse zio Alberto.
eri sera come l'ho visto ho subito pensato: questo una spia!continuzio
Luigi, abbassando leggermente la voce. e lo ricordate L'uomo dall'artiglio?
Il film con Elio Steiner? Chillo ca faceva 'o spione? Tale e quale: 'a' stessa
facciaecondo me un paracadutista,suggerGegg
aratterrato dietro la casa, poi si cambiato di vestito e si
presentato a noi con la storia del nipote.
Vuoi vedere adesso, che se andiamo fuori e scaviamo nel terreno, troviamo
pure il paracadute?Alla parola aracaduteintervenne anche zia
MariaOsse Iddio e trovassimo un paracadute: a Napoli la Signora Santommaso
con la stoffa di un paracadute si fatta ventidue camicie di seta
accordo,continupapignorandola a come faceva a sapere che qui
abitava una signora anziana che si chiamava donna Rita?lI'Intelligence
Service sanno tutto,rispose zio Luigi anno pure che io sono sfollato a
San Giorgio a Liri. s voi scherzate, ma qua se i tedeschi trovano il
paracadute noi passiamo un guaio tutti quantidisse zia Anita, di solito la
pisensata di tutti. o sapete che per una cosa cosla settimana scorsa
hanno fucilato uno a Pignataro? Non vero AntoniAntonietta, la nostra
cameriera in seconda, chiamata in causa confermla notizia.
issignore. A Pignataro i tedeschi, nella cantina di un contadino, hanno
trovato un paracadutista americano nascosto dentro a una botte: il
paracadutista se lo sono portato via e al contadino lo hanno sparato in
fronte!esGiuseppe Sant'Anna e Maria!esclamarono in coro le donne.
voi donna Rita perchieri sera non avete detto che non lo conoscevate?
erchavevo paura che ci ammazzasse a tutti quanti!piagnucoldonna Rita.
on vi siete accorti che sotto la giacca teneva una specie di paccotto?n
rigonfiamento?econdo me era una rivoltella. per adesso se ne deve
andare!concluse zio Alberto alquanto preoccupato. oi qui abbiamo cinque
figli, tutti minorenni, e certi rischi non li possiamo correre!
vado sopra e glielo dico.u non ti muovigli intimzia Anita. petta a
Donna Rita, che la padrona di casa, dirgli che non purestare.o? Io non
vado da nessuna parte!replicdonna Rita. desso mi chiudo in camera mia e
non esco pifino alla fine della guerra!uciano,m'intimGegg
ndiamoci io e teu non ti muovere che sennti riempio di mazzate!.
urlpap prima ancora che potessi rispondere. o e Alberto siamo gli
uomini di casa e a noi due tocca andare. io che cosa sarei, una donna?
protestzio Luigi!nch'io ho il diritto di difendere la famiglia.
eramente io avrei un'altra ideasuggermia madre. Noi adesso facciamo una
bella cosa: ci andiamo tutti quanti assieme e glielo diciamo calmo calmo, con
la massima gentilezza.
Gli diciamo cos entite signora spia, sscusateci tanto, ma siccome non
vogliamo essere sparati, ffateci il piacere di andare a dormire da un'altra
parte .
Salimmo tutti in soffitta, gli uomini in testa e le donne in coda, ma del
paracadutista non trovammo nemmeno l'ombra: da vera spia, come era apparso,
cosera sparito.

LA FAME

Un bel giorno anche le mele finirono e per noi cominciil periodo della
fame. Ci mandavano a letto digiuni, con la sola promessa che il giorno dopo
avremmo mangiato a sazietormire uguale a mangiare!sentenziava pap
adesso dormite!Facile a dirsi, non altrettanto a tradurlo in pratica.
Per quanti sforzi facessi, non c'era verso di prendere sonno.
Andavo a letto alle sei, non appena veniva buio, e restavo l sdraiato,
immobile, per ore e ore, sempre a pensare che cosa mi sarebbe piaciuto
mangiare. E anche quando mi addormentavo la fame continuava a trapanarmi il
cervello:
sognavo tavole imbandite dietro cancelli sbarrati, piatti di Spaghetti che
sparivano nel nulla non appena vi affondavo dentro la forchetta, centinaia di
prosciutti appesi al soffitto e non una scala per poterli arraffare.
Oltre alla forma e al colore, ero capace di sognare anche il sapore di ogni
singola pietanza e perfino il rumore del pane croccante appena Uscito dal
forno.
Nel silenzio della notte, rotto solo da cupi rimbombi di artiglierie lontane,
c'era sempre qualcuno che cominciava a parlare di cibo.
e li ricordi i rigatoni?h s i rigatoni! Me li ero proprio
dimenticati. noi a casa li chiamavamo i paccheri.;
on dire sciocchezze: i paccheri sono una cosa e i rigatoni sono un'altra. I
paccheri sono larghi e schiacciati mentre i rigatoni sono tondi e rigati. E
lo sai perchi rigatoni sono rigati? Perchcosil rags'impizza dentro ai
solchi delle righe e non scivola via. me mammi rigatoni me li faceva
con la ricotta. te lo ricordi il gateau di patate?l gateau di patate?
E come se me lo ricordo!... Con la mozzarella... i pezzettini di salame... il
pane grattugiato Com'era buono il gateau di patate!Passavamo il tempo a
dire: o adesso mi mangerei questo, no, io mi mangerei quest'altro! Il
bello era che qualche volta finivamo anche col litigare su che cosa avremmo
voluto mangiare.
a pasta e fagioli non la vogliodichiarava zio Alberto, come se davvero
qualcuno gliela stesse per offrire. e proprio debbo desiderare qualcosa, e
allora fatemi la cortesia di farmi sognare due fusilli alla genovese. tu
vuoi mettere i fusilli alla genovese con la pasta e fagioli?replicava pap
scandalizzato.
a fammi il piacere: la pasta e fagioli la regina della tavola!utto
dipende da come si fa la genovese: voi di Santa Lucia, tanto per fare un
esempio, non la sapete fare.cco qua: adesso arrivano quelli del corso
Garibaldi a insegnare a noi come si fa la genovese! Ma nun dicere fessar!
roprio cosinsisteva zio Alberto oi non la sapete fare!
Innanzitutto a Santa Lucia usate il il lacerto, mentre al corSo Garibaldi
adoperiamo 'o gambunciello e questa gisarebbe una prima differenza, poi noi
le cipolle le tagliamO a fette e voi le mettete tutte intere...a cipolla
non deve conoscere il ferro: se vede la lama si avvilisce!Sentenziava pap
invece va tagliata,- altrimenti non si sposa con gli odori,ribatteva zio
Alberto.
voi quali odori mettete?chiedeva papcon tono inquisitorio.
utti quelli che ci vogliono: il sedano... La carota...
Cento grammi di prosciutto, un misurino d'olio e un bicchiere di Vino da
aggiungere di tanto in tanto che se no si azzecca tutto sotto. Due ore di
cottura a fuoco lento...ue ore di cottura? Due ore solamente? Ih, che
bella schifezza e genovese che fate dalle vostre parti!esclamava pap
ai che ti dico, Alb Che se tu adesso mi volessi offrire una genovese del
corso Garibaldi io, con tutta la fame che tengo, non me la mangerei!ome
si vede che vicino ai fornelli non sei nessuno.Ribatteva zio Alberto con
aria di commiserazione. a genovese non il ragche deve cuocere
all'infinito- il colore della cipolla che ti avvisa quand'il momento che
la devi togliere dal fuoco! quale sarebbe questo colore?'ambra.
iulia hai sentito?sghignazzava pap rivolgendosi a mia madre.
l colore della genovese l'ambra! che l'ambra?chiedeva mamm
il colore della genoveserispondeva impassibile zio Alberto!mparatevi
a cucinare!urlava nel frattempo mio padre, diventando improvvisamente
serissimo. l colore genovese il manto di monaco! l'ambra!
rispondevano in coro i miei cugini.
ossignore: il manto di monaco!na volta al Ponte della Maddalena mi
comprai una giacchetta usata color ambra, uguale uguale a come dovrebbe
essere la genoveseraccontava zio Alberto.
bb credetemi, io ogni domenica, quando faccio la genovese, come prima
cosa mi metto la giacchetta, e tanto giro e tanto volto finchla cipolla non
mi diventa proprio di quel colore. Per non sbagliare, ogni dieci minuti
accosto la manica alla casseruola.Tutto quello che c'era di commestibile
intorno alla casa, era stato gimangiato:
frutta, pomodori, carote, cicoria, ravanelli, bacche, carrube e via dicendo.
C'era sempre qualcuno che frugava il terreno nella speranza di trovaare una
patata o una radice dimenticata. Qualche volta con mio Cugino, presi dallo
sconforto , sperimentavamo nuovi tipi di foglie; magari ne vedevamo una che
rassomigliava a una lattuga e ci veniva la voglia di assaggiarla.
rovala tu.on ci penso neppure! Ieri, dietro il granaio, ne ho provato
una che pareva rughetta e l'ho subito sputata.Adesso tocca a te provare.
e fossimo andati da Liselotte,sospirava Zio Luigi, vremmo mangiato
dalla mattina alla sera!L'approvvigionamento dei viveri era un problema di
non facile soluzione. La villa di donna Rita era un casale e si trovava
giusto a metstrada tra due paesi, San Giorgio a Liri e Vallemaio.
Nessun uomo, ragazzo o vecchio fosse, avrebbe mai osato camminare per pidi
inque minuti, allo scoperto, lungo la provinciale. Oltre al pericolo delle
bombe, infatti, c'era sempre il rischio di essere presi dai tedeschi e
deportati in Germania. Malgrado ci almeno una volta al mese pape zio
Alberto, inoltrandosi per i campi, raggiungeVano i casolari pivicini e
tentavano qualche baratto con i contadini: mele e olio contro farina e
fagioli. A volte veniva buio e loro non erano ancora tornati a dove sono
andati?chiedeva mammdisperandosi.
uando sono usciti hanno detto che andavano alla vecchia Mola.lla
vecchia Mola? E dove sta la vecchia Mola?on sta molto lontano, sulla
strada di Vallemaio:
prendendo il sentiero dietro il bosco, saranno al massimo due o tre
chilometri. Ha detto il Balilla che lci sta un contadino che ha una grossa
riserva di farina e che accetta in cambio solo sugna. a noi la sugna chi
ce la de la dGioacchino 'o Purcaro: lui scambia sugna contro olio,
pero abita proprio vicino al campo tedesco.adonna mia, scansali tu!Di
tanto in tanto qualcuno usciva sull'aia nella speranza di vederli apparire
nel buio.
Solo a Cassino ho visto il buio. Oggi non credo che la cosa sia pi
possibile: c'sempre un chiarore, il riflesso di una parete bianca o il
riverbero di una cittin lontananza che impedisce di vedere il buio.
Quando invece ci si trova immersi nel buio vero non si vede niente, ma niente
di niente, nemmeno le mani, neanche se uno se le porta davanti agli occhi per
cercare di scorgerne almeno i contorni. A Cassino, ho passato molte notti in
attesa di mio padre, e piu che aguzzare la vista, tendevo l'orecchio:
SapeVo che mi sarebbe apparso davanti, a meno di venti centimetri di
distanza, come un fantasma che si materializzi all'improvviso.
Non appena sentivo uno struscio, un rumore qualsiasi, gridavo ap sei
tu? e il silenzio che veniVa fuori come risposta mi sembrava ancora pi
nero del buio in cui mi trovavo. Potrsembrare incredibile ma quando si ha
molta fame il primo pensiero che viene in mente questo: se papnon
torna, io stasera che mangio?
Una sera in cui avevamo pifame del solito, zio raccontla storia di quando
fu assediato dalle truppe di HailSelassi
ravamo arrivati alla periferia di Addis Abeba e davanti a noi c'era una
grossa villa in stile inglese, con le finestre sprangate, che stonava con
tutto il resto del panorama.
di baracche e di capanne di fango. Il duca di Bergamo mi fece chiamare e mi
disse:
igg fammi un piacere: la vedi quella villa? Prendi tre uomini e vai a
vedere dentro chi ci sta Presi con me tre soldati napoletani di cui mi
potevo fidare: Gennarino Conte detto Sette Spiriti, Eduardo sito, un
marcantonio alto due metri, e Totonno Albanese. O' Pizzaiuolo di Porta
Nolana, che proprio in quella missione si sarebbe guadagnato il grado di
caporale. Le strade erano deserte. Camminavamo in fila indiana: Esposito in
avanscoperta e io dietro a tutti per proteggere la ritirata. Quando
improvvisamente cominciarono ad arrivare negri da tutte le parti: spari,
frecce, pallottole, grida selvagge, un'ira di DIO! pernon mi persi di
coraggio:
con un calcio sfondai una porta e ci barricammo all'interno della villa
rispondendo al fuoco. Contemporaneamente anche il reggimento veniva attaccato
e il duca di Bergamo, per non farsi accerchiare, fu costretto a ritirarsi
fino ad Addis Alem. Basta: restammo chiusi in quella casa tre giorni e tre
notti senza niente da bere e da mangiare. Fortunatamente il secondo giorno
venne a piovere e riuscimmo a farci una piccola scorta d'acqua allungando
fuori dalle finestre un vaso da fiori. Ma per il mangiare non sapevamo
proprio come fare, quando a me venne un'idea.he idea?chiedemmo noi
ragazzi, come sempre affaScinati dai racconti di guerra di zio Luigi.
a casa dove avevamo trovato riparo era una casa di gente ricca: con ogni
probabilitdoveva essere appartenuta a una famiglia inglese scappata
all'inizio della guerra.
C'erano mobili, specchi, lampadari, ma non c'era niente da mangiare. A un
certo punto io venni colpito dalla bellezza dei parati. Me li ricordo come se
fosse adesso: erano parati rossi e gialli a strisce verticali. Allora chiesi
a Sette Spiriti ennar come si attaccano le carte da parati?
on la collarispose lui. la colla come si fa?chiesi ancora io.
on la farina.Non fece in tempo a dire "farina" che gistavamo staccando
tutti i parati della casa. Con le baionette, piano piano, grattammo la colla
che stava dietro la carta, poi Totonno 'o Pizzaiuolo impastla polvere con
l'acqua e riusca fare delle pizzette che vi assicuro tenuto conto della
situazione, non erano niente male. Il giorno dopo arrivil duca di Bergamo e
ci libera tutti quanti.Un applauso siglla fine del racconto di zio
Luigi, dopo di che non potemmo fare a meno di dare uno sguardo interessato ai
parati del soggiorno: erano carte color verde pisello con fiorellini gialli.
In quel momento non era possibile ripetere l'esperimento di Addis Abeba:
donna Rita stava seduta al centro della stanza, come un carabiniere, e non
avrebbe mai permesso che noi le mangiassimo la casa.
I o e Geggcomunque ci lanciammo uno sguardo d'intesa:
quella notte stessa avremmo assaggiato i parati.
Scendemmo all'una e cominciammo pazientemente a staccare il parato dietro lo
specchio del buffet in modo che l'indomani donna Rita non si sarebbe accorta
di nulla. Raccogliemmo la colla essiccata (la arina in una padella e dopO
aver fatto un impasto con l'acqua, poggiammo il tutto sul fuoco del camino. I
risultati furono pessimi: delle due, una: o le carte da parati di donna Rita
non erano attaccate con colla di farina, o zio Luigi come al solito aveva
raccontato una grandissima palla.
enza un filino di pomodoro non si pugiudicare.Cercdi difendersi lui.
desso che mi ricordo, quella volta, ad Addis Abeba, Totonno 'o Pizzaiuolo
aveva trovato in cucina una vecchia scatola di pelati.Non essendoci negozi
a portata di mano, oltre al mangiare, ci mancavano tanti altri generi di
prima necessit le scarpe, per esempio, erano un problema di difficile
soluzione, soprattutto per noi giovani. Dai tredici ai quindici anni il piede
di un ragazzo cresce alla velocitdi uno o due centimetri l'anno, ragione
per cui dopo sei mesi avevamo tutti problemi di scarpe. Ci venne in aiuto,
come sempre zio Alberto che inventper noi a scarpa con la prolunga
posteriore un'invenzione, disse, che non appena tornato a Napoli avrebbe
brevettato su tutto il territorio nazionale.
Prolungava la suola, dietro il calcagno, con una mezzaluna di legno
accuratamente profilata e aggiungeva un pezzo di pelle alla tomaia, dopo di
che con la cromatina e la tintura di iodio raccordava il colore.
Sempre in materia di scarpe, il giorno del mio compleanno zio Luigi mi regal
un bellissimo paio di scarpe bianche e marrone, troppo strette per lui e
ancora troppo grandi per me.
ueste scarpe hanno "visto",mi comunicsolennemente, come se si trattasse
di un'investitura, erca di essere degno del loro passato!Ed ecco quello
che avevano istole scarpe: un giorno, zio Luigi stava passeggiando con il
suo calessino military con la cavalla Josephine lungo il viale che porta alla
reggia di Caserta, quando scorse sul ciglio della strada un'automobile in
panne e una signora in attesa:
era Anna Fougez, la donna pibella del mondo e, secondo le malelingue,
l'amante di Umberto di Savoia. Zio Luigi, elegantissimo nel suo abito
primaverile (giacca pied-de-poule con spaccchetti laterali, paglietta color
crema e scarpe bianche e marrone), s'inchinalla dama e offri suoi servigi
per accompagnarla dovunque lei avesse voluto. Il viaggio fu brevissimo (la
Fougez era diretta alla reggia dove l'aspettaVa il Principe in persona) ma
sufficiente a dare inizio a un'affettuosa amicizia. Il giorno dopo lo zio,
dopo essere passato dal negozio del nonno e aver prelevato l'intero incasso
della giornata, le mandun fascio di rose rosse in camerino, al Politeama, e
le lasciun biglietto firmandosi olui che Cupido colpsulla via di
Caserta
Zio Luigi non si vantmai di essere stato l'amante della Fougez: il suo
motto era l gentiluomo gode e tace Una volta per mentre stava guardando
una foto del Principe Umberto, gli sentimmo mormorare: n un certo senso
come se fossimo parenti
Un bel giorno eravamo (si fa per dire) a pranzo, quando si aprla porta
d'ingresso ed entrarono un tenente medico e due sottufficiali tedeschi. I tre
militari, senza presentarsi o chiederci nulla, cominciarono a parlare
animatamente tra loro, indicando ora l'uno, ora l'altro angolo del soggiorno.
A un certo punto il tenente si mise a misurare in lungo e in largo la stanza,
urlando ein zwei drei, e tutto questo senza nemmeno degnarci di uno sguardo.
Sembrava quasi che noi non ci fossimo, o che loro fossero entrati per
recitare una commedia.
Tutta la famiglia mi guardsperando che almeno io, nella mia qualitdi
studente di tedesco, avessi capito qualcosa.
he dicono?mi chiese pap
on lo so,risposi o capito solo "uno, due e tre", per il restO niente.
Avrei bisogno del vocabolario.annaggia 'a miseria!imprecmio padre.
a puessere che quando si tratta di una cosa importante, tu nun capisce
mai niente! Dico io: ma il tedesco a scuola l'hai studiato, so no?
pap l'ho studiato: perho studiato il tedesco di pace, non quello di
guerra.utti soldi buttati!continua imprecare pap pensando ai libri
di tedesco che aveva comprato.
n uomo va in miseria per farli studiare e questi sono i risultati!o non
so nemmeno una parola di tedesco,comuniczio Alberto erho capito che
questi vogliono mettere un ospedale qua dentro.n ospedale? Qua dentro? E
noi dove andiamo?on lo so: bisognerebbe chiederlo a loro.ucimi
ordinsubito paphiedi al comandante ove dobbiamo andare noi.Mi alzai
da tavola e andai a prendere il vocabolario in camera mia. Mi preparai con
calma la frase (me la scrissi anche su un foglietto) e poi la lessi al
tenente medico.
itte Kamerad, wenn machen hier Krankenhaus, meine Familie wo gehen?
iente preoccupaziooonerispose il tenente in italiano allungando a
dismisura l'ultima di preoccupazione. oi andare secondo piano e noi
fare spitale primo piano, ja?Dopo di che dette un ordine secco a un paio di
soldati e questi sollevarono il nostro tavolo da pranzo per portarlo al piano
superiore.
Nessuno di noi si mosse:
restammo immobili, seduti uno di fronte all'altro, intorno a un tavolo che
non c'era pi come tanti imbecilli. Prima di sera il nostro soggiorno era
diventato una corsia di ospedale con dodici lettini, la camera di donna Rita
una sala operatoria e la cameretta mia e di Geggun deposito di medicinali.
Ebbi modo di vedere da vicino la tanto decantata efficienza tedesca. Ognuno
aveva un compito e lo portava a termine con la massima concentrazione
possibile: era tutto un incrociarsi di ordini, un battere di tacchi, un
andirivieni di soldati che si muovevano con destrezza e determinazione.
A fine serata ci ritrovammo tutti al secondo piano, un po' avviliti per
l'improvvisa riduzione di spazio, ma nello stesso tempo molto pitranquilli
perchsulle nostre teste, ovvero sul tetto della villa, campeggiava
un'enorme croce rossa che sicuramente ci avrebbe protetto dagli attacchi
aerei degli alleati.
Chi sostiene che ci si abitua alla vista del sangue non sa quello che dice:
finchdurl'ospedale da campo svenni con regolaritdue volte la settimana.
Morti sfracellati, arti amputati, urla di dolore dei soldati e chi pine ha
pine metta: in pratica tutto il campionario degli orrori che puoffrire
una guerra. La mattina non mi azzardavo ad andare al pozzo per non correre il
rischio di trovarmi davanti i feriti appena scaricati dalle autoambulanze.
In compenso la situazione alimentare migliordi colpo:
le nostre domestiche Rosa, Carolina e Antonietta furono temporaneamente
cedute all'ospedale come lavandaie e, grazie ai loro servigi, ottenemmo
abbondanti razioni di patate e una distribuzione quotidiana di pane nero.
Noi d'altra parte, da bravi napoletani con secoli di dominazioni straniere
alle spalle, ci arruffianammo subito il grande capo, il tenente Ross, e
riuscimmo a procurarci anche il sale, lo zucchero e altri generi di prima
necessit
Ross era davvero un personaggio singolare: un qualcosa a mettra il militare
e il ladro di professione. Di tanto in tanto se ne usciva in macchina per poi
tornare dopo un paio d'ore con la camionetta piena di quadri, di candelabbri,
ed altri oggetti di arredamento. Questo accadeva nel tardo pomeriggio, quando
noi eravamo sull'aia a prendere il fresco.
Ovviamente nessuno aveva il coraggio di dirgli nulla, ma lui cercava lo stesso
di giustificarsi: asa evaquata! Tutto preso in casa evacuata!
E noi di rimando, facendo ruotare le dita in aria, come si usa a Napoli quando
si vuole mimare il furto, ripetevamo in coro: vacuata? E bravo 'o duttore:
l'ha presa in una casa evacuata!
Il bello fu che a un certo punto il dottor Ross associil nostro gesto alla
parola vacuata e da quel momento era lui stesso a farlo spontaneamente,
per meglio sottolineare il fatto che non aveva rubato, bensche si era
limitato a cogliere un oggetto che comunque sarebbe andato perso. Scendeva
dall'auto con una cornice d'argento o con una statuetta e, sempre facendo il
caratteristico gesto con le mani, annunziava: asa evacuata!
Tutto preso in casa evacuata!
E noi a ridere fino alle lacrime. Di tanto in tanto il dottor Ross, pi
brevemente detto o' Mariuolo, veniva invitato a pranzo. ovviamente il cibo lo
portava lui, limitandoci noi solo a cucinarlo. Il giorno del suo compleanno
gli facemmo anche una torta con un barattolo di ciliegie sotto spirito, da lui
stesso rovatoin una casa evacuata.
Quella sera Ross si lasciandare:
bevve un'intera bottiglia di Lambrusco e alla fine del pranzo volle cantare
in nostro onore ul mare luccica l'astro d'argentoTutti applaudirono tranne
zio Alberto che invece pipassava il tempo e pisi rabbuiava in volto.
he successo Albgli chiese a un certo punto mio padre.
iente,rispose lui opo te lo dico.andato via Ross, zio Alberto convoc
il consiglio di famiglia. vete visto?he cosa?ome guardava!hi?
O Mariuolo.he guardava?a cucina americana! con questo?uello
ha deciso: la vuolea no, Alb sarstata una tua impressione. ..o,
no, quello la vuole!insistzio Alberto abbassando di colpo la voce per
paura di essere sentito. o non l'ho perso d'occhio un istante: a un certo
punto si bloccato davanti a uno dei pensili, poi lo ha aperto e lo ha
richiuso, quasi come se lo volesse provare.u che dici?!esclammamm
molto impressionata.
n quel momento ho capito il suo piano,continuzio Alberto stato come
se gli avessi letto nel pensiero. Lui stava pensando: "Questa cucina prima o
poi me la faccio!".
Ora io non so come e non so quando, ma quel fetente un giorno riuscira
cacciarci via da qui e subito dopo si prenderla cucina e se la porterin
Germania. Quando qualcuno gli chieder a dove ha trovato una cucina cos
bella? lui risponder n una casa evacuataEbbene, vi giuro sulla
testa dei miei figli: io muoio, ma la cucina non gliela faccio prendere!
Quella notte zio Alberto non anda dormire: prelevdi ContinuO mattoni
dalle stalle e urvivala cucina americana in fondo a un corridoio cieco
del secondo piano. Poi, per meglio mimetizzare i mattoni, mischitra loro
tutti i barattoli di vernice che era riuscito a trovare nella villa e ne
dipinse l'intero corridoio. Ne venne fuori un colore al di ldel bene e del
male, da tutti definito acchetta tranne che da zio Alberto, per il quale
invece era n bellissimo ambra, leggermente piscuro della genovese E,
siccome aveva passato la notte insonne, nessuno ebbe il coraggio di
contraddirlo.
L'allarme dato da zio Alberto non cadde nel vuoto:
bisognava difendersi dalla cleptomania del dottor Ross.
a quale cleptomaniaprotestava zio Alberto. hillo proprio mariuolo!
Pensate che ieri sera l'ho visto tornare a casa con una bambola: ma come,
dico io, tu ti vai a fregare pure i giocattoli! Un domani c'una ragazzina
che torna al suo paese, cerca la bambola e non la trova: e chi se l'presa?
Un mariuolo di tenente medico per portarsela in Germania! Ma se si crede che
io gli faccio prendere la .
cucina americana si sbaglia di grosso: a costo di farmi fuci- lare
abbracciato al lavello, non gliela faccio toccare!econdo me,disse mia
mamma, ui dobbiamo nascondere i gioielli. pure l'argenteriaaggiunse
zia Anita.
dove la nascondiamo tutta questa roba?a seppelliamo in giardino,
propose Gegguesta notte io e Luciano l'andiamo a seppellire.oi, se
non volete abbuscare, non andate da nessuna parte!minaccicome al solito
mio padre. e c'da seppellire qualcosa ci pensiamo io e Alberto. io
che faccio: niente?chiese zio Luigi.
e proprio vuoi collaborare,rispose caustico papa~ adormire.er
vostra regolarepliczio Luigi, giustamente offeso, o in Africa sono
stato definito "la migliore zappa dell'Impero
uando si doveva scavare una trincea, se non c'ero io non si cominciava
nemmeno.La cassetta di legno, con tutti i gioielli e l'argenteria delle due
famiglie, fu sepolta sul retro a circa trenta metri dalle mura della villa,
tra due alberi di carrube. La zona era ben visibile da una delle nostre
finestre. Per i primi giorni mamme zia Anita fecero i turni di guardia per
non perderla di vista.
L'1 djcembre ci fu una battaglia terribile. La 5~ armata aveva scatenato
l'offensiva contro Monte Cassino.
Guardando verso sud, sembrava che tutto il mondo stesse bruciando in un unico
fal non solo la casa, ma anche il terreno circostante tremava per le
esplosioni delle bombe e per il fuoco di sbarramento della contraerea. A poche
centinaia di metri dalla nostra villa i tedeschi avevano piazzato un
Nebelwerfel, un mortaio capace di sparare sei bombe contemporaneamente. Era
un'arma micidiale che quando sparava emetteva una specie di lamento
prolungato, quasi umano, carico di disperazione. In genere lo si ascoltava con
angoscia progressiva e non si riusciva a pensare ad altro finchlo scoppio
finale non c'informava che tutte le sei bombe erano giunte a destinazione.
Alle spalle della villa, verso Sant'Apollinare, un bosco si era incendiato.
Il cielo era attraversato da proiettili traccianti e aveva perso il suo blu
naturale per assumere i riflessi rosso-giallastri dell'incendio. Le
silhouette degli alberi pivicini si stagliavano sullo sfondo incandescente
delle fiamme come tanti scheletri usciti dalle tombe. La scena era nello
stesso tempo affascinante e spaventosa: noi stessi non sapevamo se rintanarci
in casa a pregare, come avevano fatto le donne fin dalla prima granata, o
restare alla finestra a goderci lo spettacolo. E pensare che eravamo andati
via da Napoli per sfuggire ai bombardamenti !
La mattina dopo la villa rigurgitava di feriti, la maggior parte di essi
giaceva all'aperto in attesa di trovare una sistemarione migliore. Urla,
lamenti, imprecazioni in tedesco, ~ autoambulanze che andavano e venivano e
che ogni volta, scaricavano poveracci in barella. Tutte le nostre stanze,
letti compresi, furono requisite. Noi tentammo un'ultima disperata difesa per
farci assegnare almeno la soffitta, ma non ci fu nulla da fare: due soldati
ci dissero ause ci cacciarono sull'aia in malo modo.
Per maggiore disgrazia, avendo un urgente bisogno di tavoli chirurgici,
requisirono anche il nostro tavolo da pranzo. Qui permi rendo conto di non
aver mai parlato dei Buoni del Tesoro.
Sia papche zio Alberto, con la solita proverbiale lungimiranza, allo
scoppio della guerra avevano investito tutti i loro risparmi in Buoni del
Tesoro. Oggi francamente nonsaprei dire a quanto ammontassero questi
risparmi, giacchi nostri genitori erano molto prudenti quando si parlava di
soldi e certe informazioni non le davano nemmeno ai figli legittimi. Penso
comunque che tra tutti e due non dove~ sero possedere pidi trecentomila
lire. La notte in cui;
seppellimmo l'argenteria, in un primo momento si pensdi nascondere anche i
Buoni del Tesoro, poi qualcuno disse che l'umiditdel terreno li avrebbe
distrutti, e cosalla fine decidemmo di attaccarli con delle puntine da
disegno sotto il tavolo da pranzo.
Mangiare con trecentomila lire degli anni Quaranta attaccate sotto il tavolo
non era facile: non appena uno di noi faceva cadere un po' d'acqua o, peggio
ancora, una~ goccia di vino, veniva subito redarguito.
annaggia 'a miseria.猾 urlava pap o vuoi capire o no che ci stanno i
Buoni del Tesoro? Che vufa'? 'E vufaJ addevent'na chiavica?itto che
quello sente!avvisava zio Alberto, indicando la porta.
Secondo mio zio, il dottor Ross non aveva altro da fare dalla mattina alla
sera che origliare alle nostre porte per sentire cosa avrebbe potuto rubare.
Cidetto, vedere il tavolo e i relativi Buoni del Tesoro sparire dentro la
sala operatoria Ci buttnel pinero sconforto: anche se non li avessero mai
scoperti, ce li avrebbero restituiti tutti intrisi di sangue. Altro che
goccia di vino!
A questo punto, contro il parere di zio Alberto che sosteneva la tesi eglio
insanguinati che in mano a chillu mariuolo la famiglia decise di parlare
francamente con il dottor Ross e di dirgli come stavano le cose. Fattosi
coraggio, papcercdi far capire a Ross il problema dei Buoni del Tesoro,
ma purtroppo quel giorno il tenente aveva altri guai per la testa; non volle
nemmeno starlo a sentire e, dal momento che mio padre insisteva, lo prese a
calci davanti a tutti noi.
Finimmo in diciassette in una stalla: io, mio padre e mia madre, mia sorella,
zio Alberto e zia Anita, i miei cugini Gegg Giovanna e Fernanda, la nonna,
zia Maria (quella sorda), zio Luigi ('o Pallista), donna Rita e le quattro
domestiche, Rosa, Antonietta, Carolina e Rocchetta. Avevamo un solo stanzone
per dormire, senza finestre, con una porta di ingresso sgangherata e uno
sportellino alto venti centimetri per fare entrare eventuali galline che
nessuno ebbe mai il bene di vedere. Tutto il resto, sala da pranzo, soggiorno,
cucina e servizi igienici, era all'aperto.
Per fortuna riuscimmo a farci restituire i materassi. Li appoggiammo per
terra, sulla paglia, uno accanto all'altro come se fossero stati una
moquette. Se di notte qualcuno doveva uscire per un bisogno, era costretto a
scavalcare tutti gli altri. Zio Alberto lo faceva intonando l'ar,a ado
fuori all'aperto dal finale della Cavalleria rusticana. Zio Luigi, per via
del sonnambulismo, ebbe il posto proprio accantO alla porta. Dopo una
settimana recuperammo anche il tavolo da pranzo con tutti i Buoni del Tesoro,
ancora attaccati. Secondo paperano diventati 'na vera chiavica, ma non per
questo avevano perso la loro validit essendo ancora leggibili i numeri di
serie. ' La restituzione dei Buoni del Tesoro non diminul'odio che nutrivo
per Ross.
Non riuscivo a cancellare dalla mente l'immagine di mio padre che veniva
preso a calci da quel farabutto! Pici pensavo e pimi convincevo che era
rnio dovere uccidere Ross. Per fortuna c'era Gegga tenermi buono.
o ammazziamo mi diceva a non subito: adesso sarebbe troppo pericoloso
per tutta la famiglia. Lo faremo non appena finisce la guerra, quando nessuno
potrpi-' sospettare di noi: andiamo in Germania tutti e due e lo facciamo
fuori.iura che verrai!i do la mia parola d'onore! Un giorno tu mi
dirai Geggandiamo!
, e io verrOggi mio cugino il prefetto di Verona: quasi quasi mi
verrebbe la voglia di ricordargli il giuramento. Mi risponderebbe che Ross,
con ogni probabilit gimorto per conto suo, e che a ripensarci bene non
era poi nemmeno tanto cattivo.
L'elaborazione del piano per eliminare Ross, seppure solo in teoria, and
avanti per un pezzo. Pur di conoscere il suo indirizzo in Germania,
ritornammo a fare gli amiconi con lui e un bel giorno il Mariuolo ci dette
nome, cognome, indirizzo e numero telefonico: era di Stoccarda.
Nel periodo della stalla conobbi Gebart, un soldato di Kiel, di appena
diciotto anni che parlava benissimo l'italiano. Si presentuna mattina di
pioggia con una tavoletta di cioccolato tra le mani. Nessuno di noi ragazzi
aveva pi mangiato dolci da quando avevamo abbandonato San Giorgio: quello
tedesco poi era un cioccolato particolare: quasi nero, durissimo, e di una
bonteccezionale. Facemmo subito amicizia e Gebart venne sempre pispesso.
Quando riusciva ad avere un'ora di libertcorreva da noi e ogni volta ci
portava qualcosa di buono: latte condensato, aringhe amburghesi, tonno,
patate, e perfino un gioco da tavolo, il Mensch argere dich nicht (identico
all'italiano on t'arrabbiare. In genere era Gebart a vincere e ogni volta
si scusava dicendo s tut mir leid(i dispiace.
Lui giuraVa di essere venuto da noi per far pratica d'italiano, ma era chiaro
che gli piaceva sentirsi in famiglia.
Rocchetta, la cameriera di donna Rita, malgrado i suoi settant'anni, era
sempre in giro per la campagna. Della guerra e delle alleanze non voleva
sapere nulla: per lei tedeschi, napoletani o americani erano tutti stranieri.
Il suo motto era: rima ve ne andate e meglio ci sentiamo
Un giorno ritornda una delle sue passeggiate misteriose con una faccia da
furbetta, come se avesse visto qualcosa di molto divertente: poichla
sapevamo incapace di ridere, era come se sghignazzasse.
occhetta,le chiese donna Rita he successo?iente succso.
occhetta!insistdonna Rita. immi subito quello che hai visto!Ma per
tutta la giornata Rocchetta non volle aprir bocca.
Poi, verso sera, quando donna Rita minaccidi non farla entrare nella
stalla, si decise a parlare.
a cascetta de li napulitane sta p'ascda fore de lu terreno.Ecco che
cosa era successo: la buca dei rifiuti dell'ospedale ogni giorno veniva
ricoperta e riscavata un metro piin l Cammina cammina, era arrivata
accanto al nostro tesoro e uno degli angoli metallici della cassetta gi
faceva capolino dal terreno. Insomma la cassetta con tutti i beni di famiglia
stava per uscire allo scoperto e quella cretina di Rocchetta non aveva detto
niente a nessuno per un'intera giornata!
tanotte io e Luciano l'andiamo a prendere e la portiamo quapropose come
sempre Gegge come sempre fu messo a tacere.
Furono invece zio Alberto e zio Luigi a incaricarsi del;
recupero, mentre papattirava su di sl'attenzione della sentinella
chiedendogli continuamente una sigaretta. Alla fine tutto andper il meglio
e la cassetta fu riportata nella stalla. A quel punto sorse il problema di
nasconderla di nuovo.
ettiamo l'argenteria nei materassi. cosfacciamo la seconda edizione
dei Buoni del Tesoro. Uno di questi giorni arrivano un centinaio di feriti~ i
tedeschi requisiscono i materassi e noi perdiamo materassi e argenteria!
allora seppelliamola nella mangiatoia delle vacche.o, lno!griddonna
Rita.
perchno?erchlci stanno i fucili del colonnello.Ci sentimmo un
brivido scendere gidalla schiena: avevamo vissuto per sei mesi con un
arsenale sotto i piedi! Per molto meno intere famiglie erano state fucilate
sul posto dai tedeschi: bisognava assolutamente far sparire i fucili!
Cominciammo col tirarli fuori: erano due doppiette perfettamente oliate e
pronte all'uso.
o,ci supplicava donna Rita quasi in lacrime on li potete buttare! Senza
il permesso di mio figlio i fucili non si toccano! io vi denuncio ai
tedeschi,urlava paposfucilano solo voi!Ma anche per buttarli si
correvano dei rischi. Come uscire con due fucili sotto il braccio? Fossero
state pistole lo avremmo potuto pure fare, ma due fucili? D'altra parte,
anche consegnarli ai tedeschi presentava i suoi rischi. E se Ross avesse
approfittato di una situazione del genere per farci fuori?
Ci salvGebart: mentre noi discutevamo su come eliminare i fucili, lui li
prese e li buttnel pozzo.
I bombardamenti divennero sempre pifrequenti:
cominciarono a girare voci che i tedeschi stavano per abbandonare Cassino.
Una sera Gebart ci porta conoscere il suo comandante, il capitano Frei.
Anche Frei era una brava persona: ci disse che il fronte si era ancora di pi
avvicinato e che con ogni probabilitsarebbero venuti dei camion tedeschi a
prelevarci per portarci in un luogo pisicuro.
questo sarebbe un guaio terribile: noi non vediamo l'ora che arrivino gli
americani!esclamzio Alberto, dimenticandosi che stava parlando con un
ufficiale tedesco.
olo cospotremo tornare a Napoli.ucimi ordinpapi' al
capitano che noi non ci vogliamo muovere!err Kapitan. . . cominciai io,
senza riuscire ad aggiungere altro.
Ma Gebart fece lui da interprete e il capitano rispose:
'accordo: quando verranno i soldati a prelevarvi, mandatemi Antonietta al
campo. Io la farriaccompagnare da un motociclista e dirche non potete
essere trasferiti perchsiete necessari ai servizi di lavanderia

Roma Cittaperta

Il giorno pilungo della nostra guerra fu quello in cui vennero a prenderci
i tedeschi per portarci via.
La mattina comincinel peggiore dei modi: verso le sette arrivarono due
contadini di Sant'Apollinare con Rocchetta tutta insanguinata:
era stata colpita dalla scheggia di una granata americana mentre gironzolava
per la campagna. Ce la scaricarono davanti alla stalla come un sacchetto a
perdere e scapparono via, senza nemmeno raccontarci come e dove l'avevano
trovata.
Forti delle nostre amicizie, riuscimmo a farla ricoverare nell'ospedale
tedesco.
omani tutto finitosentenziRoss con un sorriso ambiguo, e nessuno di noi
capse con quel utto finitovoleva alludere alla sua morte o alla sua
guarigione.
Nel frattempo Rocchetta delirava: scambiRoss per il prete che doveva darle
l'estrema unzione.
adre, me voglio cunfessitta vecchia donna: noi adesso fare te piccola
operazione.unn'overo ca nun tene sore chella l la tene 'na sora, la
tene e se chiamme Annarosa. Solo ca Annarosa avette nu figlio cu lu barbiere
e essa la cacciaie via da la casa.Non vero che non ha sorelle quella l
ce l'ha una sorella. ce l'ha e si chiama Annarosa Solo che Annarosa ebbe un
figlio da un barbiere e lei la caccidi casa.
Rita non disse nulla, come se le frasi di Rocchetta fossero state un
vaniloquio privo di senso, ma non si staccda lei nemmeno un minuto e Ross
le dette il permesso di entrare in corsia per poterla assistere.
Il secondo evento tragico fu l'arrivo di una camionetta tedesca con un
ufficiale e due soldati. L'ufficiale, elegantissimo, dall'aria vagamente gay,
ci comunicin perfetto italiano che di la poco saremmo stati prelevati da
un camion p essere trasportati in un luogo pisicuro.
gni persona puportare con ssolo due chili di bagaglio. Niente mobili e
niente materassi, prego. Chiunque resterin zona di operazioni correril
rischio di essere sparato a vista. Avete un'ora di tempo per prepararvi.Noi
non ci preoccupammo pidi tanto:
avevamo la promessa del capitano Frei che saremmo rimasti a Cassino.
Mandammo subito Antonietta al comando perchavvisasse il capitano e quella
fu l'ultima volta che la vedemmo.
Tutte le ipotesi sulla sua sparizione sono possibili: che sia rimasta uccisa
lungo la strada, che non abbia avuto il coraggio di tornare per paura di
essere deportata, che sia rimasta davvero nell'accampamento tedesco come
lavandaia o qualcos'altro. All'epoca Antonietta aveva quattordici anni ed era
anche molto carina. Oggi ne dovrebbe avere circa sessanta.
Nel caso fosse viva, spero che legga questo libro e mi scriva per raccontarmi
cosa diavolo fece quel giorno. Puntuali come sempre invece arrivarono i
tedeschi, cercammo in ogni modo di spiegare loro che lavoravamo alle
dipendenze del capitano Frei, e che di la qualche minuto sarebbe arrivato
un motociclista dal comando, con il permesso di restare, ma non ci fu nulla
da fare.
chnell, schnellcontinuavano a gridare i soldati e ci spingevano verso il
camion con i fucili. Chi pidi tutti fece resistenza fu mia madre: si
aggrappa una sedia e non si volle muovere. oi Ci volete portare via
perchpoi vi volete rubare tutta la roba nostra!urlava mia madre.
ariuoli che non siete altro!E nel caso non l'avessero capita faceva
continuamente il gesto tanto caro al dottor Ross.
A questO punto un sergente scese gidal camion e dette un ordine secco e
violento. Due soldati sollevarono mia madre di peso, con tutta la sedia, e la
piazzarono davanti al mUro della stalla. Lei, poverina, sulle prime non cap
che stava per essere fucilata e continua strepitare.
ariuoli, mariuoli.I due militari, dopo essere arretrati una decina di
passi, puntarono le armi contro mamma e avrebbero certo sparato se zia Maria,
urlando come una disperata, non fosse andata a tappare le bocche dei loro
fucili con un cuscino.
Grida, pianti e svenimenti. Gli ordini si confondevano con le proteste dei
contadini stipati sui camion: chi s'inginocchiava davanti al sergente, chi
scappava, chi imprecava contro di noi, chi malediceva i soldati, e chi
cercava di convincere mia madre a nascondersi tra quelli che erano gisaliti.
A un certo punto anche i tedeschi non ci capirono piniente, finch come
Dio volle, salimmo tutti sui camion, tranne donna Rita e Rocchetta che,
trovandosi ancora in ospedale, riuscirono a restare a San Giorgio.
E inutile precisare che nel trambusto potemmo portare con noi poco o niente:
avevamo inutilmente sprecato l'ora Concessa dai tedeschi e nessuno ci volle
dare una proroga.
Riuscimmo solo a riempire due piccole valigie con l'argenteria e i gioielli
della cassetta, oltre naturalmente ai famosi Buoni del Tesoro che ormai, dopo
le note traversie, pape zio Alberto tenevano sempre addosso, giorno e
notte, Come se fossero maglie di lana. Io, un attimo prima di montare sul
camion, riuscii ad afferrare le scarpe bianche e marrone che mi aveva
regalato zio Luigi.
Si fece buio. Arrivammo in un paese chiamato Isoletta Liri e come di
prammatica finimmo in una stalla, questa volta persenza un materasso su cui
poterci sdraiare. Ormai la nostra vita rassomigliava sempre di pia quella
degli animali. Io e Gegguscimmo all'aperto per procurarci un po' di paglia:
si gelava. Mentre strappavo i fili dai covoni, sentivo il freddo che mi
feriva le mani: la paglia ghiacciata e tagliente come lame di coltello.
Quando tornai nella stalla avevo le mani tutte insanguinate. Non riuscii a
chiudere occhio, un po' per il freddo e un po' per i pidocchi che gida un
paio di mesi mi tormentavano.
I pidocchi in guerra sono un guaio inevitabile. In genere durante la giornata
non si facevano sentire. Era verso sera che si scatenavano tutti insieme come
degli assatanati, evidentemente avevano, anche loro, un orario dei pasti.
Strinsi un patto di mutuo soccorso con mio cugino Gegg lui cercava i miei e
io i suoi. Il mattino successivo, all'alba, eravamo di nuovo sul camion in
direzione nord: ci allontanavamo da Cassino, dagli americani e dalla nostra
Napoli. Durante il bliz fummo attaccati da un caccia americano che scese in
picchiata per poterci mitragliare pida vicino: una sventagliata e via.
Quando nei film di guerra ci sono scene di mitragliamento a bassa quota, si
vedono gli occupanti dei camion balzare gicome acrobati e nascondersi tra i
cespugli ai bordi della strada. Noi invece restammo immobili come statue di
cera e l'unica cosa che riuscimmo a fare fu di pregare a voce pialta.
D'altra parte cosa avremmo potuto fare?
Con una nonna di quasi novant'anni che a scendere dal camion ci metteva dieci
minuti, con zia Maria che per farle capire che era in corso un attacco aereo
dovevamo ripeterglielo tre o quattro volte, e con zio Luigi, che sceglieva i
momenti peggiori per raccontare un'ennesima avventura, sull'idrovolante del
duca di Bergamo, ogni spostamento sarebbe stato troppo lento per risultare
efficace.
Qualche ora pitardi arrivammo a Ferentino, un paese nei pressi di
Frosinone, e fummo internati in una scuola:
quindici persone per aula. Noi di famiglia eravamo quattordici, ragione per
cui fummo costretti a ospitare come quindicesimo un vecchio di Pignataro
Interamna.
o, un albergo cosbrutto non l'ho visto mai!disse la nonna e infatti non
era un albergo, ma un campo di concentramento.
Si dormiva per terra su uno strato di coperte e si facevano i bisogni in
gabinetti luridi e puzzolenti, dove gientrare significava ripetere
l'impresa di Ercole nelle stalle di Augia. Finimmo col rimpiangere la nostra
casupola di campagna con i materassi affiancati e i servizi all'aperto.
All'interno del campo ricomincipiforte che mai il problema della fame:
tranne il pane a cassetta, che in veritera molto buono, non c'era niente
altro che fosse mangiabile. La minestra era schifosa e ci veniva data una
volta al giorno, in un unico pentolone e con un solo cucchiaio, il tutto
sempre per quindici persone, vecchio di Pignataro compreso: si mangiava a
turno una cucchiaiata a testa. Zio Alberto era solito annunziare l'intruglio
dicendo l pranzo servito ma dopo qualche giorno anche a lui passla
voglia di scherzare.
isognerebbe protestare con il direttoredisse mia nonna e noi protestammo
con il tedesco che era di guardia al nostro piano.
Si chiamava Alfred ed era una specie di magliaro napoletano nato per errore a
Monaco di Baviera: parlava correttamente l'italiano e aveva uno spiccato
senso degli affari. In cambio di due cucchiaini d'argento spostil contadino
di Pignataro Interamna in un'altra aula. Alfred nutriva una vera e propria
passione per i cucchiaini d'argento: ogni volta che avevamo bisogno di
qualcosa, bastava fissare il prezzo in cucchiaini e lui, il giorno dopo, ci
accontentava.
Pare che la sua famiglia fosse composta da dodici persone:
padre, madre, quattro figli maschi e sei femmine, per cui sentiva il bisogno
assoluto di possedere almeno un servizio per dodici.
La parola ampo di concentramentoevoca immagini spaventose tipo Auschwitz,
filo spinato, prigionieri sulla neve e via dicendo.
Chiariamo subito che il nostro era semplicemente un centro di raccolta per
profughi.
La differenza sostanziale stava nel fatto che mentre negli Stalag tedeschi
venivano internati ebrei e prigionieri politici nel nostro c'erano solo
contadini ciociari, la cui unica colpa era stata quella di essersi fatti
trovare in zona di guerra. Cinon toglie che, come in tutti i campi di
concentramento non si poteva uscire e si soffriva il freddo, la fame, e la
mancanza di pulizia.
Chi ha vissuto in una comunit(collegio o carcere flo stesso) sa benissimo
che cosa sono le oci Basta che qualsiasi persona dica (a volte solo
pensi) econdo me qusi corre il rischio di finire in Germania, perchil
giorno dopo la notizia diventi ufficiale. Quello che stupisce la dovizia di
particolari e la velocitcon cui si diffonde la oce a che ora parte il
treno per il Brennero, da che eta che etsi viene ritenuti abili al
lavoro, qual la destinazione finale e via dicendo. Anche da noi accadde
qualcosa del genere: secondo le oci tutti gli uomini sani tra i quindici
e i sessantacinque anni sarebbero stati deportati in Germia nella zona di
Singelfinden entro la fine del mese.
Erano in pericolo tutti gli uomini della famiglia: io, Gegg pap zio
Alberto e zio Luigi. Solo Alfred avrebbe potuto farci scappare.
Purtroppo due mesi di campo avevano esaurito la nostra scorta di cucchiaini
e, anche se a malincuore, bisognava mettere mano ai candelabri. Gli parlammo
a cuore aperto.
acci scappare,gli dicemmo ti daremo tutto quello che vuoi.Alfred
rispose che se lo faceva era solo perchci voleva bene, peraveva una
famiglia numerosa ed era costretto a chiederci qualcosa in cambio: pretese
valigette con tutti i gioielli e l'argenteria. In genere la fuga da un campo
di concentramento prevede almeno un reticolato da recidere; nel nostro caso
invece, uscimmo dal portone principale come tanti signori e sotto lo sguardo
benevolo delle sentinelle. L'unico inconveniente fu di dover attendere, per
ben due settimane, che Alfred, il Collezionista di Cucchiaini, fosse di turno
al portone principale. Una notte venne lui stesso a darci la buona notizia:
chnell, schnell, uscire tutti Poi, quando eravamo gisulle scale, ci
fece tornare precipitosamente indietro perchaveva cambiato idea e non si
sentiva pisicuro del suo compagno di guardia.
un nazista,ci confidcon aria di disgusto on ci si pufidare.
Durante il secondo tentativo non ci furono problemi:
Alfred ci volle abbracciare tutti, uno per uno, un po' per affetto e un po'
per controllare che non avessimo addosso altra argenteria. E noi ci avviammo
nel buio della notte, felici come tanti ragazzini che avevano appena marinato
la scuola.
Ora mettetevi nei nostri panni: sono le due di notte, fa freddo, vi trovate
in un paese di cui non sapete nulla, avete con voi una nonna novantenne e
siete appena usciti da un campo di concentramento. Dove andate? La prima idea
che ci venne fu di andare in chiesa.
Il parroco fece di tutto per non farci entrare, prima finse di essere sordo,
poi disse che aveva ricevuto l'ordine tassativo dal comando tedesco di non
dare ospitalita nessuno, e infine si arrese e ci sistemalla meglio in
sacrestia. La mattina dopo, per nel disperato tentativo di scaricarci,
convocin parrocchia le sorelle Ardensi, tre zitelle di mezza et
diversissime tra loro, da noi subito soprannominate: la assa la agrae
la onna cannone
olete guadagnarvi il paradiso?chiese il parroco.
o,risposero in coro le tre zitelle non vogliamo profughi per casa.
a questi non sono profughi, sono dei signori: vengono da Napoli, sono
Quattordici.uattordici!?urlla Bassa. referisco andare all'inferno!
l paradiso, carissima Arminia, non lo si conquista solo con le preghiere:
bisogna anche soffrire. Questi poveretti sono scappati da un campo di
concentramento: se adesso i tedeschi li riacchiappano, se li portano dritti
dritti in Germania e voi quel giorno avrete sulla coscienza quattordici vite
umane.anca solo che ci diciate che pure la guerra stata colpa nostra!
ribattconacredine la Magra che era anche la pimaldisposta di tutte. a
perchqueste cose non le andate a chiedere alla signora Caroselli? Eh?
Perchnon vi conviene!
Perchla signora Caroselli tutti i giorni vi di soldi per le messe. Glielo
dica pure da parte mia alla signora Caroselli (e quando diceva signora
sottolineava la parola) che non bastano due messe per coprire tutte le
sozzerie che fa. Io la tengo d' occhio giorno e notte, e vedo tutto il via
vai di tedeschi che entrano ed escono da casa sua! E anche voi, don Vincenzo,
non vi vergognate? Prendere i soldi da una puttana!uesti sono tempi
difficilirispose pazientemente don Vincenzo a cui la guerra doveva aver
cambiato non poco le idee sul peccato. roprio perchla casa della signora
Caroselli frequentata dai tedeschi non consigliabile che i napoletani
vadano a rifugiarsi da lei.eh,intervenne la donna cannone, la pi
accomodante delle tre sorelle, e questo quello che vuole nostro Signore,
noi lo facciamo, persia chiara una cosa:
per il mangiare ognuno pensa per se e Dio per tutti, perchcasa nostra non
un albergo.Fummo ospiti delle sorelle Ardensi per un paio di mesi. Le tre
zitelle possedevano al centro di Ferentino un palazzetto con cantina,
soffitta e giardino. Di spazio quindi ce n'era in abbondanza. Il problema
numero 1, restava sempre quello del mangiare. Ormai eravamo diventati dei
veri e propri barboni: senza una lira in tasca, vestiti di stracci, con i
pidocchi addosso, e privi di qualsiasi merce di scambio. Via via avevamo
visto sparire le mele, l'olio, i cucchiaini d'argento, i candelabbri, i
gioielli di famiglia e ogni altro bene che si potesse barattare. Ci restavano
solo i buoni del Tesoro, ma quelli non li voleva nessuno. Un giorno pap
incontrun suo compagno di scuola, tale Menechini, dal quale riusca farsi
fare un prestito, restituibile a Napoli a guerra finita. Nel buttargli questo
salvagente, Menechini gli passanche un'informazione preziosa: sulla strada
di Fumone, c'era un vecchio contadino, improvvisamente impazzito, che dava
via per poco o niente caciotte, polli e farina. La notizia era troppo bella
per non andare a verificare. Papne parlsubito a zio Alberto che ormai ai
polli si era affezionato. ui dobbiamo giocare il tutto per tutto.
Salutarono il balilla come se niente fosse e gli proposero un affare.
Zio Alberto, a Roma, aveva un figlio che era capitano dei carabinieri: se il
Balilla fosse stato capace di rintracciarlo e di fargli avere un nostro
messaggio, noij lo avremmo ricompensato con un Buono del Tesoro da cinquemila
lire. I giorni successivi passarono nella vana speranza che nostro cugino, il
capitano dei carabinieri, ci venisse a trovare. Arrivarono invece i tedeschi.
Era poco dopo mezzogiorno: il quarto e ormai ultimo pollo del contadino di
Fumone bolliva nella pentola mentre tutta la famiglia assisteva con devozione
alla sua cottura. Sentimmo sbattere con violenza il maniglione al portone
d'ingresso. Zio Luigi si sporse dalla finestra e subito dopo si ritrasse
terrorizzato. tedeschi!Gic'era un camion. In un primo momento ci
sembrlo stesso camion che ci aveva prelevato a San Giorgio a Liri. Nel
frattempo la Magra ci tradiva senza ritegno.
tanno tutti sopra, al secondo piano, sono quattordici, sono di Napoli, sono
scappati dal liceo. Noi non siamo di Napoli, noi siamo di Ferentino. Noi con
quelli lnon abbiamo niente a che vedere: stato il parroco a ordinare di
prenderli in casa. Io non li volevo fare entrare. vero Arminia che io non
li volevo fare entrare?I tedeschi invece non erano venuti per noi:
cercavano una certa famiglia Percuoco per portarla a Roma e mostrarono una
lettera di convocazione zeppa di timbri e di scritte in tedesco. Avuta la
lettera tra le mani, zio Alberto riconobbe subito la calligrafia del figlio,
il capitano dei carabinieri.
Rinfrancati da questa scoperta, partimmo tutti per la capitale, compreso il
pollo che ormai si era cotto e ci tenne compagnia per tutto il viaggio.
Giunti a Roma ci sbarcarono all'Hotel Boston in via Lombardia, all'epoca
chiamato Hotel Aosta per ragioni antiamericane. .
spettare qui,disse uno dei tedeschi ra poco venire avvocato Percuoco.
Ci raggruppammo con tutte le nostre carabattole in un angolo della hall. Non
osavamo sederci sulle poltrone per paura di sporcare. Solo la nonna, e solo
perchaveva novant'anni, si accomodsu una sedia. Dopo una decina di minuti
il muoversi della porta girevole attrasse la nostra attenzione:
entrarono un uomo di mezza ete una signora in pelliccia. L'uomo nel vederci
si bloccdi colpo e ci guardsbigottito: dovevamo avere un aspetto
terribile.
Il primo connotato che distingue il reduce l'infagottamento, ovvero il
mettersi addosso tutto quello che gli riesce di trovare pur di trattenere il
calore del corpo. Qualsiasi protezione per il profugo buona purchfaccia
spessore:
plaid, mantelli, tende o cartoni da imballaggio. Papera uno dei pochi ad
avere ancora un cappotto, anche se poi, sotto il medesimo, portava la giacca
del pigiama che aveva indosso il giorno in cui fu prelevato a viva forza a
San Giorgio a Liri. Carolina invece, la cameriera di zio Alberto, viveva in
pratica come una tartaruga all'interno di una coperta di lana dalla quale
fuoriusciva solo con le mani e con la pentola del pollo. Zia Maria indossava
un corpetto da zampognaro ottenuto in cambio di un anellino d'oro dopo una
trattativa durata quattro giorni e mezzo in campo di concentramento.
Zio Luigi era vestito dallcintola in gicon abiti militari tedeschi e
dalla cintola in su con una giacca di tweed acquistata in Inghilterra dove (a
sentire lui, aveva vinto il campionato di golf degli emigranti italiani.
Quanto a calzature, invece, stavamo maluccio: mia sorella aveva le scarpe da
tennis della divisa da piccola italiana, io e Geggquelle con la prolunga
posteriore inventate da zio Alberto, papun paio di scarponi militari e le
due cameriere le Ciocie, ovvero pezzi rettangolari di Suola e di panno che
dopo aver avvolto il piede si andavano ad attorcigliare intorno al polpaccio.
Se i clienti dell'Hotel Aosta erano stupiti, noi non lo eravamo di meno:
dopo un anno vedevamo di nuovo la luce elettrica, il telefono, l'acqua
corrente e tutti quei piccoli miracoli quotidiani che proprio perch
quotidiani finiscono col sembrare normali. La cosa che pidi tutte mi faceva
impressione erano i negozi di alimentari con la merce esposta sulla strada,
quasi a portata di mano dei passanti chiedevo come mai la gente non
arraffasse tutto quel ben Dio.
Verso sera chiarimmo il mistero del fantomatico avvocato Percuoco. Mio
cugino, Geppino Panetta, non essendosi presentato alle autorit
repubblichine, viveva infrattato in Vaticano sotto il nome di Giuseppe
Percuoco, e da lprovvedeva a sostenere finanziariamente tutte le famiglie
dei carabinieri che non si erano costituiti. Come sia riuscito poi, con
queste premesse, a procurarsi un camion tedesco per venirci a prendere a
Ferentino una cosa che non ho mai capito.
misteri del doppio gioco o del controspionaggio.
Grazie a lui fummo ospiti dell'Hotel Aosta per quasi un mese (solo
pernottamento, senza vitto). Roma era stata dichiarata da poco ittaperta
il che in termini pratici non voleva dire che era aperta a tutti, ma, anzi,
che era chiusa a chiunque non fosse residente. E dal momento che noi non lo
eravamo, correvamo il rischio, una volta scoperti, di essere sbattuti fuori
dai confini del comune. Questa nostra clandestinittra l'altro non ci
consentiva di avere le tessere alimentari indispensabili per la
sopravvivenza. Una sera zio Alberto consegnalla cucina dell'albergo quattro
uova perchci preparassero una bella frittata.
i raccomando, maestro,disse allo chef e avete un po' di farina e ce la
aggiungete viene meglio: acquista spessore. Se poi vi avanzasse anche un
pezzetto di mozzarella ve ne saremmo grati per tutta la vita. A proposito,
dimenticavo: noi a Napoli la frittata la facciamo aggiungendo una
spolveratina di parmigiano. Purtroppo in questo momento la famiglia
sproVVista di qualsiasi tipo di formaggio, ma se la direzione dell'hotel
volesse farci un piccolo prestito, ce ne basterebbe appena un velo, una
sfumatura, quasi un pensiero, tanto per ricordarci il sapore. L'importante
che la frittata venga bassa in modo da poter essere poi facilmente divisa tra
tutti i componenti della famiglia.a quanti siete?chiese lo chef
guardando le quattro uova.
uattordici.Non sempre riuscivamo a procurarci una cena, tanto che i
camerieri ogni sera ci chiedevano: angiano i signori, mangiano?
E quasi sempre noi, con la disperazione negli occhi e un grosso buco nello
stomaco, rispondevamo muovendo lentamente il viso in segno di diniego.
La svolta arrivcon le scarpe bianche e marrone. Una mattina, malgrado mi
andassero ancora larghe, decisi di indossarle. Zio Luigi, il giorno del mio
compleanno, oltre al racconto dell'avventura con la Fougez, mi aveva
confidato, in gran segreto, che quelle lnon erano scarpe normali, bens
calzature fatate, tipo lampada di Aladino tanto per intenderci: bastava
accarezzarne la tomaia ed esprimere un desiderio per vederlo esaudito nel
giro di ventiquattro ore. Io le misi ai piedi e come prima cosa espressi il
desiderio di mangiare un piatto di spaghetti col pomodoro.
Un minuto dopo, Ferruccio, il lift dell'Hotel Aosta, indicando le scarpe, mi
disse: ono tue?
percherchnon ti vanno bene: sono troppo grandi.ra un paio di
anni mi andranno bene. e le vuoi vendere?uanto mi dai?ieci
stecche.Ferruccio, oltre a fare andare su e gil'ascensore, vendeva
sigarette di contrabbando ai clienti.
rispose mio cugino e le diamo, tu perci devi dire dove compri le
sigarette perchda questo momento anche noi vogliamo metterci in commercio.
Nacque cosla egge Luciano srl una piccola societdi compravendita di
generi di borsa nera.
Grazie all'aiuto di Ferruccio, vendendo e reinvestendo ogni volta il capitale,
in breve tempo riuscimmo a mettere da parte un bel gruzzoletto. Compravamo
sigarette a San Lorenzo, caciotte a Frascati, olio e sale a Marino e
vendevamo la merce ai ignoridei Parioli, dove nel frattempo eravamo
andati ad abitare. Facevamo la spola tra Roma e i Castelli montando su
camioncini e altri mezzi di fortuna, sempre picarichi di pacchi e sempre
piimpegnati. Dopo un po' i nostri pranzi divennero pisostanziosi, e
questo grazie al contrabbando e al capitano Panetta, alias avvocato Percuoco,
che, oltre all'appartamento, ci aveva procurato anche un congruo numero di
false tessere annonarie. Il pane lo ritiravamo in via Po, da un panettiere
che si limitava a vendere pane, ma lavorava anche per i carabinieri che non
si erano ancora costituiti. Un giorno zio Luigi stava per entrare quando vide
una pattuglia fascista irrompere nel negozio con le armi spianate: furono
arrestati il panettiere e tutti i clienti che avevano le tessere false. Se
fosse arrivato un secondo prima, avrebbero beccato anche lui.
pensareaggiungeva zio Luigi he proprio mentre stavo uscendo di casa,
mi venuta voglia di fare pipe sono tornato indietro. Quando si dice: il
destino!Il 4 giugno arrivarono gli americani: li vidi sfilare uno dietro
l'altro, in fila indiana, lungo i marciapiedi di viale Parioli. Il loro passo
era strascicato e non aveva nulla di marziale.
Abituato a vedere marciare i tedeschi, mi sembrarono una banda di straccioni.
Pareva che avessero appena perso una battaglia e che non ne potessero pidi
fare la guerra. Solo un negro, ricordo, alzgli occhi verso di me e mi
abbaglicon un sorriso. A dir la verit gli americani me li ero immaginati
molto piallegri, ma evidentemente quelli che sfilarono quel giorno per
viale Parioli avevano girecitato le scene del trionfo nelle vie del centro
e ora erano stanchi.
Con l'arrivo degli americani non commerciammo piCaciotte e forme di
pecorino, ma solo sigarette americane e di prima qualit
Chesterfield, Camel e Pall Mall. Per caso avevamo conosciuto il numero uno
dei fornitori alleati, il sergente Johnny La Rosa, un italo-americano dal
viso butterato stranamente somigliante ad Alfred il tedesco, quello dei
cucchiaini. (Chissche non fossero parenti?) Johnny ci voleva bene e ci dava
tutte le stecche che gli chiedevamo senza nemmeno pretendere i soldi in
anticipo.
i me fai fesso,mi diceva in bruccolino ai fennuto 'e fa"o businisse.
Durante l'occupazione alleata il contrabbando di sigarette funzionava
pressappoco cos gli americani vendevano la merce ai grossisti e solo a
camion interi, i grossisti la distribuivano ai capiparanza che a loro volta
la consegnavano ai dettaglianti. Noi, acquistando direttamente da Johnny,
scavalcavamo due livelli e guadagnavamo il doppiO. Perfino Ferruccio
dell'Hotel Aosta, ridiventato Boston, comprava da noi.
Nel frattempo i nostri genitori progettavano il Grande Ritorno. Non era
facile trovare un mezzo che ci portasse a Napoli: le strade, oltre a essere
piene di buche, erano infestate da banditi e disertori che rapinavano
chiunque si trov'asse senza scorta. Alla fine rimediammo un camioncino
guidato da un nano.
' un po' basso ma un ottimo guidatore" disse pap poi l'unico che
ci ha chiesto un prezzo onesto.Il nano guidava il furgoncino in piedi, come
si fa con i motoscafi.
Da seduto non riusciva ad arrivare con i piedi alla frizione.
Per maggiore precauzione zio Luigi volle sedersi accanto a lui. vete la
patente?chiese il nano.
o,rispose zio Luigi a ho conosciuto Tazio Nuvolari e ho capito quel
tanto che basta per non morire. Dove sta il freno?' questo qui, perch
rispose l'autista.
erchalla prima difficoltlo premo.Il nano aveva un socio non
guidatore, una specie di guardia del corpo. Era uno con i baffetti, tipo John
Carradine, con un fucile tra le mani, che non parlava mai e guardava
continuamente la strada. Durante il viaggio ci fu spiegato che tutti i camion
avevano un guardiano armato, altrimenti non sarebbero mai arrivati a
destinazione.
Per coprire i duecento chilometri che ci separavano da Napoli ci mettemmo
quasi due giorni. Le strade erano un susseguirsi ininterrotto di buche e di
crateri scavati dalle bombe alleate. Ogni buca ci obbligava a fermare il
camioncino, a scendere a terra, a studiare il dislivello e a stabilire quale
fosse il modo migliore per superarla. Infine, essendoci piponti o
cavalcavia funzionanti, anche un ruscello diventava un ostacolo
insormontabile.
Percorremmo la statale 6 e arrivammo nei pressi di Cassino, quasi alla
confluenza del Rapido con il Garigliano. Lo spettacolo che ci si pardavanti
aveva dell'incredibile: la prima volta ci rendemmo conto che se fossimo
rimasti a San Giorgio a Liri saremmo morti tutti irrimediabilmente. L'Abbazia
non esisteva pi in una sola notte centoquarantasei fortezze volanti e
trecentocinquanta tonnellate di bombe l'avevano cancellata dal paesaggio.
Sarstata l'impressione, ma anche la montagnella, a forza di essere
bombardata, ci sembrava un po' pibassa di come l'avevamo lasciata.
Essendo interrotta la statale, fummo costretti a scendere lungo il Garigliano
nella speranza di trovare un traghetto.
All'altezza di Sant'Ambrogio, zio Alberto disse che non potevamO andarcene
senza fare un salto a San Giorgio e vedere che fine aveva fatto donna Rita.
Nessuno si oppose ma tutti capimmo che il brav'uomo sperava di ritrovare
ancora in vita la sua cucina americana. Malgrado le proteste del nano (che
chiese subito un sovrapprezzo per la deviazione), puntammo verso la nostra ex
casa. Dopo un paio di chilometri perfummo costretti a rinunziare
all'impresa: davanti a noi c'era solo un'enorme distesa d'acqua. I tedeschi,
in un estremo tentativo di bloccare l'avanzata degli alleati, avevano
allagato la valle del Liri deviando un tratto del Rapido. Per quanti sforzi
facessimo, non riuscimmo a vedere nessun mobile di cucina galleggiare sulle
acque.
Chiedemmo informazioni a una coppia di contadini.
onoscete donna Rita?onna Rita chi? La mamma de lu culunnello che
ghiuto in Russia? proprio lei. Come sta?ta bene: la povera
Rucchetta morta ma lei sta bene. E morta pure la signora napulitana che
stava cu essa: l'hanno fucilate 'e tedeschi pecchnun vuleva salsu lu
camionne! sapete dove possiamo trovare il traghetto?chiese il nano, del
tutto indifferente alla sorte della signora fucilata.
uvete ire a Sant'Andrea, subito passato Vallemaio, e poi da lve facite
tutta la strada fino al bivio de Suio: primma o doppo lu truvate.E invece
non lo trovammo. Essendosi fatto buio, decidemmo di fermarci in un paese
chiamato San Lorenzo.
Riuscimmo a trovare un posto dove dormire e anche una casa di contadini dove
mangiare. Durante il pranzo io e Geggraccontammo al nano come eravamo
diventati amici di Johnny La Rosa.
ome avete detto che si chiama?ci chiese il nano. ohnny La Rosa:
di Brooklyn.iene la faccia vaiolosa e un taglio sotto al mento?
proprio lui. allora avete corso un brutto rischio!commentil nano con
una smorfia di disgusto. a Rosa un dei peggiori gangster venuti
dall'America.a se con noi sempre stato gentile! gentile!
ironizzil nano. l guaio che siete ancora troppo ingenui: vi fidate di
tutti!
Io invece mi fido solo di questa.E ci mostruna Luger, una rivoltella
gigantesca, quasi pilunga di lui. Un po' impressionati, gli raccontammo dei
nostri traffici e di come, grazie a Johnny, eravamo entrati in affari.
dessoconclusi io tiamo per cominciare un altro business. Lo stesso
Johnny ce l'ha consigliato.i che si tratta?chiese il nano pistolero.
rima di partire ci siamo informati sui prezzi che si fanno a Napoli e
abbiamo scoperto che il massimo guadagno lo si pufare con i cerini.on i
cerini? a Napoli i cerini costano tre volte piche a Roma allora?
allora abbiamo investito tutto il capitale in cerini: ne abbiamo comprato
tre casse... come arriviamo a Napoli sappiamo gia chi li dobbiamo portare:
Johnny ci ha dato pure l'indirizzo del compratore.La mattina dopo i cerini
non c'erano pi Malgrato i turni di guardia del nano e del socio, gnoti
ladri avevano rubato le tre casse dal camioncino. E inutile precisare che
sapevamo benissimo chi ci aveva fregato i cerini, ma date le circostanze i
nostri genitori ci ordinarono di non protestare pidi tanto. Il nano
maledetto cantper tutto il viaggio.
Passammo il fiume nei pressi di Minturno e verso sera arrivammo a Napoli.
La cittera a terra: via Marina era rasa al suolo, tutti gli edifici di via
Foria, da piazza Carlo III a piazza Cavour, erano stati segnati dalle bombe,
i famosi vetri della Galleria giacevano a terra, in frantumi, e un po'
dovunque, dal borgo Sant'Antonio Abate a piazza Mercato, dai Cristallini ai
Ponti Rossi, non si vedevano che macerie e distruzione.
Il nostro palazzo di Santa Lucia non aveva pile sue belle scale di marmo
con le ringhiere floreali in ferro battuto.
Una scaletta di legno, costruita alla meno peggio, si inerpicava nel baratro
del vano scale e consentiva agli inquilini di raggiungere gli appartamenti
dei piani superiori. Il negozio di piazza dei Martiri era esattamente al
centro di un'orrenda spaccatura che divideva in due tronconi il Palazzo
Partanna: ci dissero che la bomba era scoppiata proprio nel negozio e che
alcuni dei nostri guanti, con il marchio Made in Neaples, erano stati trovati
addirittura in Villa Comunale, a pidi un chilometro di distanza dallo
scoppio. La casa del Vomero, quella dove eravamo soliti passare la
villeggiatura, era stata occupata dagli inglesi e non ci fu consentito di
andare a visitarla.
Mia madre si mise a piangere.

La ibm

Le mie esperienze in IBM non meriterebbero un capitolo a parte se non fossero
state vissute in una cittcome Napoli e consumate in un'epoca cosremota da
poter essere considerata la preistoria dell'informatica. Negli anni Sessanta
la tecnica delle schede perforate, appena giunta dagli Stati Uniti come lieta
novella, e la tendenza dei miei concittadini a non fidarsi mai troppo delle
macchine erano realtinconciliabili: tanto precisa e razionale la prima,
quanto approssimativa e umorale la seconda: da una parte la logica binaria
del se del no, e dall'altra il mondo possibilista del quasi e del
pressappoco. Con cinon voglio dire che i napoletani fossero negati per
l'informatica (anzi, proprio tra loro ho conosciuto alcuni dei pibrillanti
esperti di software), ma che tra un modo di concepire la vita, basato sui
rapporti umani, e i computer sia sempre intercorsa una sana e reciproca
diffidenza. Non parlerquindi tanto di IBM, quanto di scontro frontale tra
due mentalitantitetiche.
Grazie alla raccomandazione di un amico di famiglia, il cavaliere de Vico,
varcai la soglia misteriosa della IBM Italia nel settembre del 1960, quando i
computer erano ancora di lda venire. A quei tempi la sede napoletana era
poco p睐 di un negozio: due vani in via Partenope, qualche scrivania di
metallo e un paio di manifesti in vetrina. In ComPenso peril dinamismo
dell'ambiente era cosalto che, appena entrato, ebbi subito la sensazione di
essere a un passo dalla direzione di filiale. Dentro di me non potei fare a
meno di pensare:
ui siamo solo in Quattro: un capo, due salesmen (o venditori) e un
amministrativo.
Basta far fuori il capo e i due salesmen e sono bello che diventato
direttore
Le cose pernon andarono come avevo previsto: la filiale divenne subito
molto grande, e, quando giunse la tanto sospirata promozione fui nominato
solo marketing manager, ovvero vicedirettore. Ne fui contento lo stesso, anche
perchmi fu assicurato che nel giro di due anni (al massimo tre) sarei
diventato anch'io direttore di filiale.
E infatti dopo altri tre anni di trincea fui promosso: nel frattempo perera
nato un livello gerarchico intermedio, quello di director data processing,
che non ho mai capito bene cosa volesse dire ma che comunque era il grado
immediatamente inferiore a quello di direttore di filiale.
Insomma, per farla breve, ho lavorato in IBM quasi venti anni e non sono mai
riuscito a diventare direttore di filiale, finchun bel giorno non ce l'ho
fatta pie ho dato le dimissioni. Peccato, perchproprio l'anno in cui sono
andato via ero a un passo dalla direzione di filiale!
Ovviamente la decisione fu molto criticata dai miei familiari e in
particolare da mia sorella.
es Gesdiceva la poverina a come: uno lascia uno stipendio di due
milioni al mese! E per fare che cosa, poi? Per diventare scrittore! E chi
vuoi che se li compra i libri di uno che ragiona come te?lara, scusami,
ma mi annoiavo troppo! gi perchquelli che vanno a lavorare, secondo
te lo fanno per divertirsi!replicava lei. ei ingrato e incosciente: sputi
nel piatto dove mangi! Adesso perstammi a sentire: tu domani mattina, bello
bello, te ne vai dal direttore e gli dici cos "Dott mi sono sbagliato:
ritiro le dimissioni".a se ho giincassato la liquidazione! gliela
restituisci tale e quale a come te la sei pigliata poi ti butti per terra, ti
metti a piangere e dici:
Perdonatemi, dott sono un imbecille换. Non era solo mia sorella a pensarla
in questo modo: chi piU, chi meno, un po' tutti nel quartiere mi
sconsigliarono di lasciare il posto sicuro.
Pasqualino, per esempio, il mio barbiere a domicilio, fece di tutto per
dissuadermi.
o non ho capito una cosa,mi diceva a non potete fare tutti e due i
lavori insieme, l'ingegnere e lo scrittore?
io pure, nel mio piccolo, trovandomi a girare per le case, ne approfitto per
fare di tanto in tanto l'idraulico a tempo perso.l fatto che sento il
bisogno di staccarmi dal mio vecchiolavoro... chi vi dice il contrario?
Ingegn sentite il consiglio di uno che vi vuole bene: voi dovete
semplicemente fingere di lavorare. Vi faccio un esempio: voi la mattina
andate in IBM, vi sedete dietro la scrivania e intanto pensate a quello che
dovete scrivere la sera.
Poi: un giorno vi date malato, un altro ve lo prendete di ferie e un altro
ancora ve ne andate in trasferta per motivi di lavoro, e intanto scrivete
dove capita capita.
Quello, il mestiere di scrittore, questo tiene di bello:
che uno lo pufare dove vuole lui, basta avere una penna e un poco di carta
a portata di mano.
Teoricamente parlando, voi potreste scrivere anche in ufficio... perfino in
presenza del vostro diretto superiore Non appena vi scappa una idea, basta
che dite: Dott con permesSO. . e vi andate a chiudere in gabinetto. Lui come
fa a controllare che invece di un bisogno corporale, vi siete chiuso dentro
per scrivere un libro?La veritche i napoletani non avevano mai ben
capito che diavolo facessi alla IBM. Per loro l'informatica era una delle
solite mericanate un qualcosa di assolutamente inutile che le ditte
adottavano solo per darsi importanza.
Mia madre, per esempio, era convinta che noi imbrogliassimo i clienti a forza
di chiacchiere. o mi rendo conto che devi fare carriera,mi diceva er
ricordati che rubare peccato.Non aveva alcuna simpatia per la IBM e ne
storpiava continuamente il nome: un giorno la sentii dire a un'amica: io
figlio ingegnere alla UPIM
Ecco qui di seguito una conversazione che ebbi con mia madre il giorno in cui
le comunicai di essere stato assunto. amm ho trovato il posto!ravo
chillu figlio mio, bravo! Quello stato Sant'Antonio che ti ha aiutato!
o, mamm veramente stato il cavalier De Vico.
on fare il miscredente: se ti dico che stato Sant'Antonio, stato
Sant'Antonio! Io sono anni che prego a Sant'Antonio. Ogni giorno gli dicevo:
Sant'Ant quelh ragazzo sta studiando perchsi vuole laureare, ma la paura
mia che dopo laureato non se lo piglia nessuno. E dentro di me pensavo: era
meglio se lo facevamo ragioniere, che cossi trovava un bel posto in banca,
una cosa tranquilla e non ci pensavamo pi Le banche sono pisicure, anche
perchloro i soldi gice l'hanno e non possono trovarsi scuse per gli
stipendi quando arriva la fine del mese. Invece Sant'Antonio ci ha fatto la
grazia. Ora tu figlio mio devi subito andarti a fare una bella comunione di
ringraziamento. Hai capito? E racconta: dove l'hai trovato il posto?lla
IBM.a una cosa sicura?chiese mia madre, rabbuiandosi. o non l'ho
mai sentita nominare!iulia,intervenne zia Maria u non capisci proprio
niente! Oggi gli elettrodomestici sono molto di moda. C'stato il marito
della signora Sparano che con un negozio di tre soldi si fatto un
patrimonio. Tengono la Mercedes, la governante e vanno tutti gli anni a
Ischia in villegiatura.a che elettrodomestici!protestai io. o lavoro
con i calcolatori elettronici!
Mamm i calcolatori elettronici sono macchine potentissime e perfettissime,
capaci di fare migliaia di operazioni in un solo secondo!u ti dovessi far
male?a quale male, mamm Io lavoro nel settore commerciale, quello che si
occupa della vendita e del noleggio dei calcolatori.iglio mio, io non ti
voglio scoraggiare, ma chi vuoi che se li compra questi calcolatori: noi a
Napoli non abbiamo niente da calcolare: ce murimmo 'efamme!utte le grandi
aziende hanno bisogno di calcolatori.a per fare cosa?ome per fare
cosa? Ma per la contabilitaziendale, no?!
Pensa a tutti i conti che debbono fare le banche dagli stipendi, alle paghe
degli operai, alle assicurazioni, al Comune di Napoli...a ti pare che a
Napoli, con tutti i disoccupati che ci sono, quelli si vanno a comprare le
macchine tue! Secondo me, queste societsai che faranno?
Chiameranno i disoccupati e gli daranno una moltiplicazione a testa, e quelli
in quattro e quattro otto ti fanno tutti i conti. Secondo me era meglio se
t'impizzavi nel Banco di Napoli!Quando fui promosso Prm, ovvero Public
relations man, spiegare a mia madre cosa fossero le pubbliche relazioni fu
una impresa disperata. E non poteva essere altrimenti, dal momento che a
Napoli le pubbliche relazioni vengono fatte da tutti, spontaneamente, e senza
alcun compenso.
o non ho capito,diceva lei u la mattina alle nove apri il negozio e che
fai?amm io non debbo aprire nessun negozio: debbo solo facilitare e
rendere migliori i contatti della mia societcol mondo esterno. Hai capito?
o.iulia, stammi a sentire,intervenne come sempre mia zia Maria
uello il ragazzo [il ragazzo ero io] deve essere gentile e cortese con la
gente.. lo pagano?erto che lo pagano! Anzi lo pagano di piesclam
zia Maria, felice di mostrarsi aggiornata. e pubbliche relazioni sono una
trovata americana! Il ragazzo non appena riesce ad acchiappare qualcuno non
lo molla pilo piglia per un braccio e gli dice: "Quanto siete bello,
andiamoci a prendere un caff.". quanti caffsi deve prendere in un
giorno?chiese mia madre con apprensione.
ui i caffnon se li beve: fa finta di berseli, ma poi li lascia sul
bancone del bar.
L'importante che sia sempre gentile e cortese con le persone.a perch
prima non era gentile e cortese? ma adesso esagera!Spesso e
volentieri anche mia madre esagerava nelle pubbliche relazioni e io glielo
dicevo sempre.
amm fammi un favore: quando telefona la mia segretaria, non la tenere
mezz'ora al telefono: o ci sono o non ci sono! Tu rispondi buongiorno,
buonasera e basta. a quella sempre tanto gentile!protestava lei. ome
faccio a mettere giil telefono! ma una cosa essere gentili e
un'altra mettere in piazza i fatti personali!precisavo io. 'altro
giorno sei andata a raccontarle che avevo mangiato i peperoni ripieni. le
ho anche detto che io ti avevo avvisato che ti avrebbero fatto male.....
cosi com'era successo tanti anni fa, quando mi mangiai tutto l'uovo di
cioccolato che mi aveva portato zia Maria. che c'di male?'di male
poi, che quando arrivo in ufficio, debbo finire di raccontare tutto quello
che hai cominciato a raccontare tu." Era come parlare al vento: lei
considerava il personale della IBM un'estensione naturale della famiglia.
Voleva sapere tutto di tutti.
l tuo direttore sposato? quanti figli tiene?ue. va
d'accordo con la moglie?amm santiddio:
io che ne so se va d'accordo con la moglie! Ma che te ne importa?o.. era
solo per sapere..Una mattina, quand'ero gimarketing manager, le dissi:
ra poco viene a prendermi l'ingegner Bruschini. Io non sono ancora pronto.
Fallo accomodare in salotto e, mi raccomando mamm non fare come il tuo
solito: non metterti a parlare con lui.
Guarda che Bruschini milanese e poi un mio collaboratore
che vuol dire che un collaboratore?uol dire che dipende da Luciano
la informtempestivamente zia Maria.
uciano dice "Fai questo", e quello subito lo fa.u comandi a lui!
esclammia madre al colmo dello StUpore u comandi a un ingegnere!Il
risultato fu che quando andai a prelevare Bruschini in salotto, lo trovai
seduto in poltrona, con mamme zia Maria, una a destra e una a sinistra, che
cercavano di fargli mangiare per forza uno zabaione.
ngegn non fate complimenti: la mattina le uova fanno bene!gli stava
dicendo mia madre. poi dovete assaggiare pure i biscotti. Questi qui sono
fatti in casa:
a Luciano quelli che si vendono nei negozi non piacciono.razie signora,
rispondeva Bruschini alquanto imbarazzato a in veritla mattina non sono
abituato a mangiare... fate male, perchdovreste sempre tenere qualche
cosa di sostanzioso nello stomacoreplicmamm Dice la buonanima di mio
marito che per vivere bene bisogna mangiare poco e spesso.amma,tagliai
corto io ascia in pace l'ingegnere, che dobbiamo andar via.uci fammi
un piacere,repliclei, senza darsi per vinta al momento che sei tu
quello che comanda, comanda all'ingegnere di mangiarsi lo zabaione.Uscimmo
di corsa, ma proprio mentre stavamo per entrare in macchina, lei mi lanci
l'ultima raccomandazione dalla finestra del secondo piano: atte 'a croce!
1960: tempi duri per i venditori d'informatica! Non facevamo in tempo a dire
ono un rappresentanteche gici avevano sbattuto la porta in faccia.
Chiedere un appuntamento per telefono era fatica sprecata, presentarsi
direttamente all'ingresso peggio ancora: i custodi ci fiutavano a un miglio
di distanza.
razie,dicevano a l'articolo non c'interessa: ne abbiamo i magazzini
pieni.A quel punto bisognava inventarsi qualcosa per salire ai piani
superiori.
A volte bastava un nome qualsiasi da dare in pasto al portiere. Anche
l'amicizia del cugino di una segretaria pote essere determinante.
Un giorno decidemmo di espugnare una compagnia di assicurazioni che estendeva
i suoi interessi a tutto il suditalia, ma come al solito ci mancavano gli
agganci necessari, quand'ecco la fortuna venirci incontro facendoci conoscere
un geometra che era il fratello del direttore amministrativo della compagnia.
La mattina dopo, io e il dottor Imperiali, muniti di una regolare lettera di
presentazione, eravamo tutti e due nelLa sala d'ingresso del cliente,
fieramente intenzionati vendere un centro meccanografico.
Il portiere aveva un viso triste, con gli occhi sporgenti e le orecchie a
sventola. Era identico a Peter Lorre, l'attore che nel film M di Fritz Lang
interpretava il mostro di Dusseldorf.
i annunzi per cortesia al dottor Rinaldi.otivo della visita?
onsegnargli una lettera.o capito: volete perdere tempo.ome dice,
scusi?o dettoribadPeter Lorre, ma questa volta a voce pialta, che
volete perdere tempo! Correggetemi se sbaglio. Oi siete dei
rappresentanti...issignore: siamo della IBM. allora ascoltate il
consiglio di uno che lavora in questa ditta da quindici anni: qualunque cosa
siete venuti a vendere, inutile che l'andate a raccontare a Rinaldi!Poi,
avvicinandosi con fare complice: etto inter nos, qua Rinaldi non conta
niente: io al vostro posto andrei dal Presidente!
replicammo anche noi a voce pibassa a noi abbiamo una lettera di
presentazione per Rinaldi.uesto l'ho capito ma, secondo voi, Rinaldi,
dopo che ha letto la lettera, che fa?on lo so... penso che ci stara
sentire. dopo che vi ha sentito, anche se si tratta di spostare solo una
sedia, deve sempre chiedere il parere del Presidente. allora? allora
andate direttamente dal Presidente.eramente... non vorremmo disturbare.
a quale disturbo: quello una persona squisita!eh, allora... se cos
stanno le cose... se ci vuole annunziare alla segretaria del Presidente...
zze: pe' fforza vulite perdere tiempoesclamspazientito Peter Lorre. e
vi ho detto che "potete andare: vuol dire che potete andare : basta che
bussate alla porta del Presidente: lui dice "avanti" e voi entrate.i. ..
ma il Presidente non sa chi siamo.o sa, lo sa,ci rassicuril portiere
nche perchmentre voi salite, io l'avverto col telefono interno.
Increduli per quello che ci stava accadendo, salimmo al primo piano e
attraversammo un lungo salone scarsamente illuminato, passando tra due file
d'impiegati curvi su vecchie e antiquate macchine calcolatrici.
Guardandoli, non potemmo fare a meno di provare un senso di colpa: con noi
sarebbe arrivato il progresso e con ilprogresso il licenziamento di quei
poveracci. Qualcuno di loro, forse, si sarebbe pure potuto salvare, sempre
che gli avessero fatto seguire i corsi base, ma tutti gli altri che avrebbero
fatto?
Con il cuore giassillato dai rimorsi arrivammo al cospetto del Presidente,
il Grand'ufficiale dottor De Bellis.
bbene ragazzi,esordi sorridendo il Grand'ufficiale dottor De Bellis.
cosa debbo il piacere?eda dottore,provai a dire io (e la voce mi trem
per l'emozione) oi qui a Napoli rappresentiamo la IBm. Lei, immagino, gi
conosce la IBM?eh, a essere sincero, in questo momento non ricordo..n
pratica, noi ci occupiamo di meccanografia.o capito,c'interruppe lui
come se gisapesse tutto. d proprio di meccanografia che noi oggi
sentiamo il bisogno. Mi fa piacere vedere ragazzi cosgiovani, e lasciatemi
dire, non senza una punta di orgoglio, napoletani proiettarsi coraggiosamente
verso il futuro. ttenzione pere qui il Presidente, cambiando tono, mi
fissper un attimo negli occhi, il che mi comunicun improvviso stato di
ansia he cosa ne sapete voi di tecniche assicurative?i questo non si
deve preoccupare,gli risposi a IBM Italia ha gimolti clienti nel settore
assicurativo e i nostri specialisti sono a sua totale disposizione.vete
letto il mio libro, Le Assicurazioni in Italia dal Regno delle Due Sicilie
aigiorni nostri?eramente...asquale!grido il Presidente.
E Pasquale, ovvero Peter Lorre, si materializzdavanti a noi, stringendo tra
le mani due enormi volumi rilegati in similpelle.
asquale, consegna due libri ai signori ingegneri.Poi, alzandosi in piedi
per congedarci: agazzi mi raccomando:
leggete con attenzione! Dopo di che potremo vederci una seconda volta per
parlare pia lungo di problemi assicurativi. Adesso perscusatemi, ma ho un
consiglio di amministrazione che mi attende
odicimila lire, seimila cadaunobisbigliPeter Lorre.
arebbero diciottomila ma il Presidente mi ha fatto cenno che posso farvi lo
sconto.Ripercorremmo in disordine e senza speranza quello stesso salone che
pochi minuti prima avevamo attraversato con orgogliosa sicurezza. I futuri
licenziati ci accompagnarono con un sorrisino ironico fino all'uscita. Uno di
loro mormor e hanno acchiappati altri due!No, non era facile vendere
calcolatori negli anni Sessanta, e anche quando ci si riusciva, non era detto
che il nuovo cliente avrebbe poi pagato regolarmente.
Leader indiscusso dei morosi di tutto il mondo era l'ATAN, l'azienda dei
trasporti urbani della cittdi Napoli. Il suo mottO era: 'A page a mur
quando pitardi possibile.
Per colpa dell'ATAN, io ero al primo posto dei salesmen che non erano stati
capaci di farsi pagare dal cliente, e questa macchia pregiudicava seriamente
la mia carriera.
Il Servizio crediti IBM una struttura pressochperfetta.
Non appena un cliente accumula un debito pari a 3 mesi di canone, scatta un
piano d'interventi progressivi.
visita del rappresentante e primo sollecito, quindi visita del direttore di
filiale e secondo sollecito, visita del direttore Distretto e terzo sollecito
e cosvia, sempre salendo di grado e sempre aumentando la durezza del
sollecito. Nel caso ATAN si era arrivati nientemeno che a mister Castaldi, il
Direttore Generale della IBM Italia.
Quando mi dissero chi avrei dovuto accompagnare dal cliente mi tremarono le
gambe: per un salesman di periferia, con soli due anni di zona, un Direttore
Generale non un essere umano come tutti gli altri, un Puro Spirito,
un'EntitTeologica sulla quale non permesso nemmeno alzare lo sguardo. Ero
anche un po' preoccupato per via della lingua: pur sapendo che Castaldi era
un italo-americano, che figura avrei fatto se mi avesse chiesto qualcosa in
inglese? Tra l'altro il mio direttore di filiale era assente per malattia,
ragione per cui avrei dovuto fronteggiarlo da solo.
Mister Castaldi arrivdirettamente davanti alla sede dell'ATAN, in una
limousine nera, lunga almeno tre vollte la mia 500. L'autista si precipitad
aprirgli la portiera e lui scese tranquillo dalla macchina, mai sospettando
cosa;
sarebbe accaduto di la pochi minuti. Era di media statura, capelli bianchi,
forse troppo grassottello per essere un dirigente IBM. Io mi produssi in un
inchino alla Alberto Sordi, nel senso che mi piegai in due come un compasso
sempre cosrestando gli feci strada fino al portone.
non ricordo bene cosa farfugliai, certo che lui rispose:
hank youe mi segudocile come una pecorella. In quegli anni la Direzione
Generale dell'ATAN aveva gli uffici in un vecchio palazzo umbertino di piazza
Bovio. Io e mister Castaldi attraversammo il cortile e ci dirigemmo verso
l'ascensore esterno che, come quasi tutti gli ascensori napoletani,
funzionava solo inserendo dieci lire nell'appoSita gettoniera.
Quel giorno perle dieci lire non furono Sufficienti a farci arrivare a
destinazione giacchl'ascensore, dopo un paio di sobbalzi paurosi, si blocc
a circa quattro metri dal suolo. A quel punto, non avendo altre dieCi lire per
ripartire, eravamo irreparabilmente sospesi nel vuoto. Il primo problema fu
quello di chiedere al Direttore Generale (in italiano e poi in inglese) se
per caso non si trovasse in tasca una monetina da dieci lire. Il brav'uomo, a
parte il fatto che non riusciva a capire perchmai in Italia si dovessero
pagare dieci lire per andare in ufficio, ammise di avere addosso solo pezzi
da dieci dollari. Mi affacciai allora sul cortile e gridai con quanto fiato
avevo in gola:
ustode... custode...
La portiera, settantenne e di pessimo carattere, era anche un po' sorda
dall'orecchio sinistro. Fortunatamente per noi quel giorno si era seduta
sotto l'androne con l'orecchio buono orientato verso il cortile. Mi sent
gridare e venne in nostro aiuto.
Stifetiente,borbottla megera un mettono 'a diece lire e po' vonno
sagl (Questi fetenti, non mettono le dieci lire e poi vogliono salire!)
e abbiamo messe le dieci lire, signora,risposi io in tono risentito ma
anche con signorile fermezza 'ascensore persi bloccato lo stesso!
s figurate si l'hanno mise! (S s figurati se le hanno messe!)replic
lei pidiffidente che mai; poi, avendo scorto Castaldi che si era affacciato
anche lui sul cortile emise un urlo raccapricciante:
illoco: io 'o saccio a chillu viecchio! Fa sempe chesto!
Ma mt'aggia acchiappato, mariuolo ca nun sauto! Voglio proprio vedsi
sta vota nun te faccio lev'o vizio 'e arrubbccolo io lo riconosco
quel vecchio! Fa sempre cos Adesso perti ho beccato: ladro che non sei
altro!
Voglio proprio vedere se questa volta non riesco a toglierti il vizio di
rubare!
Ovviamente Castaldi non capiva nulla, ma non poteva non accorgersi del pugno
teso che la vecchia gli agitava contro.
hat does that woman want from us? (Cosa vuole quella donna da noi?)ust
a moment please, mister Castaldi,; risposi io, facendo appello a tutto
l'inglese che conoscevo desso custode dare noi coin e noi scendere down. Do
you understand?Ben presto si formnel cortile un capannello di curiosi. Un
ragazzo dopo un paio di tentativi riusca farci arrivare una monetina da
dieci lire, ma l'ascensore non ne volle sapere di ripartire. Solo una scala,
e molto lunga, avrebbe potuto liberarci. Restammo ancora mezz'ora ad
aspettare i soccorsi, praticamente esposti alla curiositdella folla che ci
guardava e commentava. Poi, se Dio volle, arrivarono due volontari con una
scala.
y God!sospirmister Castaldi.
La scala, malgrado fosse lunghissima, non ce la fece ad arrivare fino
all'ascensore, per cui fu necessario tenerla dritta a forza di braccia. Il
Direttore Generale, giprovato dagli avvenimenti, si dovette prima sdraiare
a pancia in gisul pavimento dell'ascensore, e poi, dopo aver brancolato un
po' con i piedi per trovare il primo piolo, potscendere lentamente, mentre
io da sopra (in ginocchio) lo reggevo per le ascelle. La portiera nel
frattempo non smise mai un attimo d'insultarlo.
I dirigenti dell'ATAN non solo non sganciarono una lira, ma chiesero
un'ulteriore espansione del centro. Parlarono di atto di fiducia della IBM
verso il Mezzogiorno. Dissero che avrebbero pagato l'intero debito non appena
avessero avuto i soldi dal Comune di Napoli. La sera, quando tornai in
filiale, tutti cercarono di rassicurarmi: il mancato recupero e le
disavventure occorse a Castaldi non avrebbero certo influito sulla carriera.
Magari avranno avuto anche ragione, nessuno permi ha mai tolto pidalla
testa che se non sono piU diventato direttore di filiale stato pure per
colpa dell'Atan.
Passarono gli anni e un bel giorno ebbi la responsabilitdel cliente piu
prestigioSo della filiale:
il Banco di Napoli. Il Computer del Banco era nientemeno che il famoso 36065
il piU grosso dei calcolatori allora in circolazione. Quando mi comuniCarono
il nuovo incarico non potei fare a meno di provare un fremito di orgoglio.
L'unico problema era costitUitO dal dottor Acampora, il direttore del Centro
elettronico. Non che fosse cattivo, per carit anzi, Giovannino Acampora era
una persona squisita, un sincero estimatore della IBM. Aveva perun difetto
da non sottovalutare: quando Si arrabbiava diventava tremendo, in particolar
modo quando la ragione era dalla sua parte, cosa che purtroppo accadeva
spesso. D'altronde il mio capo, l'ingegner Mariani, me lo aveva detto chiaro e
tondo: e Crescenzo le affido il Banco per le sue ottime doti di incassatore.
Secondo me, lei Acampora lo regge!Un giorno stavo per entrare nello studio
di don Giovannino, quando Coviello.
l'usciere del Centro mi trattenne per un braccio. gggi non cosa, ingegn
mi sussurrin un orecchio.
meglio che ve ne andate!erch che successo?on lo so, ma mi hanno
detto che sta comme a 'nu pazzo!on sento nientereplicai, accostando
l'orecchio alla porta dell'ufficio di Acampora.
uesto non vuol dire,commentCoviello dall'alto della sua esperienza
entro ci sono tutti. Non parlano perchsi stanno conservando le forze per
quando venite razie Raf ma purtroppo non posso scappare, altrimenti che
figura faccio!o vi ho avvisato, poi voi fate come volete.Entrai e
nessuno mi salut erano tutti in circolo intorno alla scrivania di Acampora.
Lui guardava il soffitto come se fosse in attesa di qualcosa che dovesse
piovere dall'alto, altri invece, quelli dello staff, avevano la testa china e
fissavano il pavimento. Sembrava piuna veglia funebre che una riunione di
lavoro:
mancava solo la salma al centro della stanza. Dopo qualche minuto, non
reggendo alla tortura del silenzio, chiesi con un bisbiglio: successo
qualcosa?
successo qualcosa, ragazzi?ripetAcampora rivolgendosi ai suoi
collaboratori.
Nessuno ebbe il coraggio di rispondere. Dopo un altro minuto interminabile
lui mi fissnegli occhi e mi chiese: econdo voi, ingegn successo
qualcosa?
eramente io sto arrivando or ora da casa...i bloccato il
teleprocessing2m'interruppe lui con voce adeguata alla gravitdel guasto.
engo fermi tutti i terminali del Monte di PietL'arrivo dei terminali fu
un evento traumatico per i frequentatori del Monte. In genere si trattava di
povera gente che arrivava agli sportelli del Banco per impegnarsi la fede
nuziale o le lenzuola del corredo. iovane,diceva la vecchietta
all'operatore e so venuta a pigli'a cullanella d'oro: ccstanno 'e solde.
odice cliente, numero di polizza e data di depositoriSpondeva burocratico
il terminalista.
o proprio a vvuie l'aggie cunzignate! Nun v'a ricurdate?
Era 'na cullanella d'oro cu 'na croce 'e brillantine.
Chella m''a rigalaie mariteme 'o juorno ca nascette Nunziatina. 'E
brillantine sfaveze, ma 'acullanellapesadiecegramme. ma in che data
l'avete depositata?hiuveva!rispondeva la vecchietta e non si rendeva
conto del perchquell'uomo, a cui lei stessa un annO prima aveva consegnato
la collanina d'oro, non gliela volesse pirestituire dal momento che lei era
riuscita a mettere insieme i soldi per disimpegnarla.
Se a tutto questo aggiungiamo un'improvvisa aduta del sistemacon
conseguente isolamento dei terminali, possiamo immaginare cosa fosse accaduto
quel giorno nella Sala Pegni tra vecchiette e operatori! Acampora aveva tutte
le ragioni per essere preoccupato.
In macchina, durante il tragitto dal Centro elettrocontabile al Monte di
Piet mi elencle sue riserve sulla scarsa affidabilitdel teleprocessing.
Sennonch una volta arri vati a destinazione, avemmo la lieta sorpresa che
tutti i terminali erano di nuovo in funzione. Uno dei nostri tecnici,
prontamente intervenuto, aveva giriavviato il sistema. Don Giovannino
sorrise e disse: ndiamoci a prendere un caff杌.
Scendemmo gia Spaccanapoli, Acampora era contento.
o vede, dottore,dissi io, desideroso di prendermi una piCCola rivincita
ei sempre un po' troppo critico nei nostri confronti: un'altra volta ci
dia pifiducia. ingegnere, lo ammetto: questa volta vi andata bene
non esageriamo: dopotutto l'intervento tecnico, potevate anche anticiparlo!
Non detto che bisogna sempre aspettare la catastrofe per avere un po' di
manutenzione! ma come si fa a prevedere un guasto?i fa, si fa:
perchvolendo si pusempre fare la manutenzione preventiva!gridAcampora
in mezzo alla folla di Spaccanapoli, e man mano che s'infervorava il suo
colorito da rosso chiaro diventava rosso bandiera. erch ingegnere bello,
guardiamoci negli occhi: se non siete capace di far funzionare le vostre
macchinette, allora seguite il mio consiglio: dichiarate fallimento! E non ci
dimentichiamo che io vi do tre milioni al giorno! DICO TRE MILIONI! E secondo
me, sono tre milioni rubati. Ingegn TRE MILIONI!intorno a noi nel
frattempo si era andato formandosi un capannello di curiosi. La cosa che pi
aveva colpito i presenti era il fatto che il dottor Acampora mi desse tre
milioni al giorno. Improvvisamente divenni oggetto dell'amministrazione
popolare.
iovane,mi chiese una donna, guardandomi con enorme rispetto a che le
facite a stu signore p'ave tre milioni 'o juorno?
iente, signrisposi io con modestia o sto solo a sentire.Poi ci fu
il caso del dottor Santillo, di Maria Addolorata e del Gran Ballo del GUIDE a
Sorrento.
Tutto cominciil giorno in cui la IBM Domestic, ciola casa madre, scelse
Napoli come sede del congresso annuale del GUIDE e pensdi affidarne
l'organizzazione al banco di Napoli. Il GUIDE il club dei grandi utenti
IBM, in altre parole l'associazione di quelli che hanno i computer pigrossi.
Una volta l'anno questi megaclienti s'incontrano in una cittdel mondo, un
po' per scambiarsi informazioni ed esperienze di lavoro, e un po' per
criticare la IBM che li ha fatti incontrare. Misteri del capitalismo
illuminato.
Quell'anno era toccato a noi napoletani organizzare la festa, e nella
fattispecie a me, in quanto responsabile commerciale del cliente ospitante.
Fui subito preso da mille preoccupazioni: sale da trovare, ricezione
alberghiera, traduttrici in simultanea, itinerari turistici, shopping per le
mogli dei congressisti, Gran Ballo finale a Sorrento e via dicendo. Tutto
doveva essere perfetto, preciso, confortevole, o nella peggiore delle ipotesi
rimediabile, giacchchi lavora in IBM sa che deve prevedere ogni possibile
contrattempo, e per ogni contrattempo, fine del mondo compresa, deve sempre
avere a portata di mano una procedura d'emergenza.
Un giorno, mentre si discuteva se era meglio alloggiare negli stessi alberghi
i tecnici e i dirigenti, perchfacessero amicizia, o se invece era pi
prudente tenerli separati, mi fu annunziato un certo dottor Santillo del
Banco di Napoli che chiedeva un colloquio privato.
Vidi un omino vestito di grigio, pelato, occhialuto e con una cartella di
pelle sotto braccio, alla quale si aggrappava come a un salvagente.
ono Santillo, il dottor Santillo" mormora bassissima voce, quasi temesse
di essere udito da qualcuno rimasto fuori a origliare ono il direttore
dell'agenzia di Casavatore. Ho bisogno del vostro aiuto!ica pure dottore:
in che cosa posso esserle utile?ngegn io avrei bisogno di una grande
cortesia: voi mi dovete mettere nella lista dei soci del GUIDE.a lei
ginel GUIDE: il suo istituto, il Banco di Napoli, uno dei soci pi
anziani.o, non ci siamo capiti: voi dovete mettere me, Santillo Gaetano,
nella lista del GUIDE, perchio vorrei essere invitato al Gran Ballo a
Sorrento, quello dove vanno tutti i congressisti!eda, dottore,risposi
io, un po' imbarazzato, ma sempre con la massima cortesia a lista degli
invitati non viene decisa da noi: il computer che provvede a Stampare gli
inviti, sempre tenendo conto dei soci.. io per questoreplicil dottor
Santillo orrei essere messo nella lista.eh... si pufare... pertemo
che non trovermolto interessante la compagnia: in genere si tratta di
tecnici di computer e per di pistranieri.ngegn io sono mosso da altri
obiettivi: ora non so se posso aprirmi..i dica tutto senza problemi.i
tratta di esigenze private...
familiari... che tra l'altro dovrebbero restare tra noi...i questo non
deve minimamente preoccuparsi.Santillo mi squadrper un attimo,
probabilmente per capire se poteva fidarsi.
Poi si decise e comincia raccontare: o ho una figlia, Maria Addolorata,
che ha trentasette anni ed ancora nubile. Per una ragazza di paese il
matrimonio ha un valore diverso da quello che puavere per una di citt Ci
sono i parenti che vogliono sapere... i viciini di casa che chiedono: "E
Maria Addolorata che fa, si fidanzata?".
Ora a Casavatore l'ambiente quello che ormai ci conosciamo tutti e non
ci sono pisperanze che si possa sposare con qualcuno del paese. E pensare
che a vent'anni Maria Addolorata aveva trovato un ragazzo della sua etche
se la voleva sposare! Io mi opposi: il giovanotto non aveva ancora un
mestiere e non mi fidai.
Feci male, ma ormai inutile piangere sul latte versato. Anche per questo
adesso ho i miei bravi rimorsi. Ora c'questo gran Ballo a Sorrento. Ho
saputo che sono stati invitati ingegneri provenienti da ogni parte del mondo,
inglesi, tedeschi, australiani... Ingegn chi ci dice che tra questi
giovanotti non ce ne sia uno che si possa innamorare di mia figlia? Non
perchsono suo padre, ma vi assicuro che Maria Addolorata una ragazza
eccezionale: potrebbe essere una moglie perfetta, un'ottima donna di casa, di
moralitineccepibile e piena di sentimento.I signori Santillo, padre e
figlia, furono regolarmente invati come congressisti. Preso da mille
problemi non ebbi mai il tempo di fare la conoscenza di Maria Addolorata,
anzi per meglio dire mi dimenticai del tutto della sua esistenza, finchun
bel giorno, cinque anni dopo il congresso del GUIDE, non fui fermato per
strada da un signore dall'aspetto dimesso.
ngegnere! Come va? Si ricorda di me? Sono Santillo il dottor Santillo.A
dir la verit io non me lo ricordavo affatto: fu lui stesso a rinfrescarmi
la memoria.
antillo del Banco di Napoli... quello con la figlia...
Maria Addolorata! Volemmo essere invitati a Sorrento...h s adesso
ricordo: il direttore dell'agenzia di Casavatore.roprio cos sono io, e
meno male che vi ho incontratomi disse Santillo, pidepresso che mai.
ngegn
voi dovete farmi un altro grandissimo piacere, mi dovete togliere dalla lista
del GUIDE!a come: se ci tenevate tanto! mi sbagliavo. Vedete ingegn
io sono una persona apprensiva anche l'arrivo di una lettera mi mette in
agitazione, e non vi dico poi se mi arriva un telegramma!
Ebbene questi signori del GUIDE mi scrivono tutti i giorni:
uscito il nuovo release del COBOL, uscito il DOS, UsCito il BOS".
Insomma tutte cose che io non capisco e che non voglio capire! E tutto questo
perch
Per una fetente di cena dove non conoscemmo assolutamente nessuno e dove,
detto tra noi, mangiammo anche maluccio! E no:
quando troppo, troppo! Oggi Maria Addolorata serena. Ha avuto, come si
dice, una evoluzione mistica: dipinge, ricama, praticamente felice, e sarei
felice anch'io se non ci fossero questi avvisi del GUIDE che mi ricordano la
cena di Sorrento.
Ingegn vi prego: toglietemi dalla lista, ca si no esco pazzo!
Il cinema

uongiorno dott che ci avete quarche ccosa pe' mme?mi grida r
Pancierae si appende al finestrino della macchina.
L'autista della produzione, con l'insensibilittipica di chi fa il cinema a
Roma, non gli bada pidi tanto e se lo trascina dietro per qualche metro.
Faccio appena in tempo a sentirgli dire i ho la Sippe, dott.. ci ho la
Sippe da pagche l'auto ha gisuperato il varco d'ingresso degli
stabilimenti De Paolis.
Dovendo indicare un personaggio rappresentativo del cinema italiano, piche
a Fellini, forse, penserei al Panciera. Fellini un'eccezione e come tale
sarebbe potuto nascere dovunque. Er Panciera invece non riesco a
immaginarmelo se non romano, figlio di romani, con moglie trasteverina e
tirato su a forza di matriciane, pajate e code alla vaccinara. Perfino il suo
dialetto, il romanesco, l'unico che si sente circolare tra le maestranze
dei set cinematografici. Er Panciera furbo, cinico, volgare, inarrestabile,
Camaleontico, umile con i registi, protervo con le comparse e affabile con
tutti tranne che con i bambini prodigio, gli animali, gli effetti speciali e
con chiunque altro gli possa complicare la vita.
Quando chiedo una prestazione al Panciera, lui mi risponde subito s senza
nemmeno darmi il tempo di spiegare fino in fondo di che cosa si tratta. E
inutile stare a chiedergli se sa ballare il tip tap, cavalcare a pelo o
parlare in cinese, tanto darsempre risposte affermative e, a seconda della
richiesta, sosterrdi essere il migliore ballerino del mondo, di aver gi
lavorato come cavallerizzo nel circo Orfei e di avere una cugina, guarda caso,
proprio di HOng Kong con la quale parla cinese tutte le sere, salvo poi
rifiutarsi di ballare, cavalcare e parlare cinese il giorno in cui deve farlo
sul serio. Il suo motto rima si accetta e poi si discute
enti Panciera, io avrei una cosa da proporti, mun po' pericolosa: si
tratta di entrare nella gabbia di un leone... , siete capitato bene
dottom'interrompe lui. me sapete come me chiamano?o.'amico dei
leoni. Pe' vvia che ci avevo un cognato allo zoo de Roma che faceva er
guardiano.
A lui nu je annava de alzarse presto la matina e allora ci annavo io tutti i
giorni a da' da magnalle bestie.Poi, una volta inserito nel libro paga,
corregge il tiro questi so' terribili dott nun so' come quelli de mi
cognato.
Quelli erano bboni, perchce li eravamo cresciuti in casa .. io li chiamavo
puro pe' nome.
Questi invece me guardano storto come me se volessero magn Io francamente,
ar posto vostro, pe' la scena de quanno devo entrn'a gabbia, prenderei 'na
controfigura.
Forse ce vorrebbe addirittura er domatore. Dott sentite che ve dico, annamo
sur sicuro e pijamo er domatore Iniziil mestiere a tredici anni vendendo
panini sul set di Ben Hur e da allora non c'lavoro di cinema, umile o
faticoso che sia, che lui non abbia fatto: comparsa, generico, capogruppo,
trovarobe, autista, stuntman, rompighiaccio, assistente di produzione,
microfonista, cestinaro, guardiano di roulotte, aiuto-macchinista, aiuto
dell'aiuto, eccetera eccetera. Alcune di queste professioni meritano una
descrizione a parte.
Il rompighiaccio indispensabile in tutte le scene dal vero. Per quanto si
possano pregare i passanti di non dare sguardi in macchina, c'sempre
qualcuno che, attirato dalle luci del set, si mette a guardare giusto dentro
l'obiettivo.
Prima che ciaccada il rompi ghiaccio gli va incontro, lo blocca, gli chiede
l'ora o lo abbraccia affettuosamente come se non lo vedesse da anni.
Fare il rompi non un mestiere facile: ci vuole intuito, esperienza e
fantasia.
Il cestinaro il vivandiere del cinema: arriva una mezz'ora prima della
pausa col furgoncino stracarico di scatole di cartone.
All'inizio la distribuzione dei cestini sembra una festa: tutti fanno ressa
intorno a lui e chi gli chiede il ianco chi il osso e chi se li fa
dare tutti e due perchha un collega che in quel momento non si pumuovere
dal posto di lavoro. Poi, a poco a poco, in ognuno, subentra la tristezza del
precotto. Il iancoa base di formaggio e frutta, il ossocontiene la
pasta al sugo e una fettina di carne cossottile da risultare trasparente.
Caratteristica comune di entrambi: il apore cestino un qualcosa cioa
metstrada tra il sapore della plastica e quello del cartone.
Il bravo cestinaro puaumentare il proprio guadagno con i recuperi:
c'sempre chi lascia il formaggio, la pera o il caffBorghetti. Un
cestinaro avveduto li salva e li ricicla pari pari il giorno successivo.
L'aiuto-regista, ironia di un nome, ha sempre bisogno di aiuto: i suoi
compiti, infatti, sono cosvari e articolati che indispensabile
affiancargli uno o piaiuti in seconda. In genere si tratta di giovani
volontari che vogliono fare una esperienza di set, o, come nel caso del
Panciera, di persone che hanno un assoluto bisogno di lavorare. Il loro campo
d'azione non ha limiti: si va dall'imporre il silenzio durante le riprese al
comprare le sigarette al regista. Gli aiuti degli aiuti sono particolarmente
utili in tutte le scene nelle quali bisogna gestire un numero alto di
comparse.
In pratica svolgono un lavoro simile a quello dei cani-pastore, impediscono
che il gregge si dissolva e abbaiano non appena una comparsa si allontana dal
set:
Quando si deve girare una scena di massa, la convocazione di solito molto
mattiniera (massimo alle sette e trenta) e questo per dar modo ai ostumie
al ruccodi fare con calma il proprio lavoro; il primo ciak invece non
verrmai dato prima di mezzogiorno, se non addirittura dopo la pausa. Il che
vuol dire che, quando il regista pronto per girare, non c'piuna comparsa
che una che nei dintorni del set: chi andato al bar, chi a telefonare,
chi al gabinetto, chi a sdraiarsi su un prato e chi a sedere su un muretto. A
quel punto l'aiuto-regista afferra il megafono e come prima cosa fa un
cicchetto amplificato a tutti i suoi aiuti, anche se li vede solo a un metro
di distanza. Gli aiuti degli aiuti, a loro volta, cominciano a correre in
lungo e in largo per lo stabilimento e a rintronare d'improperi chiunque
riescano a trovare in posizione di riposo.
Un giorno avevo a che fare con duecento comparse che dovevano sembrare
quattrocento, il che era reso possibile dal fatto che ogni comparsa si era
portato da casa un cambio e che agli estremi del campo c'erano due costumiste
degne di Fregoli che provvedevano a riciclarle a tempo di record. ia i
baffi, mettiti il cappello, cambiati la giacca, molla il bastone, fai presto,
via il cappotto, gila barba, non dormire, levati lo scialle, alzati il
bavero, vai! piabili, oltre al costume, diversificano anche l'andatura:
se nel primo passaggio avevano attraversato il campo diritti come fusi, al
secondo fingevano di zoppicare. Quel giorno, dicevo, fu un problema
rintracciare le duecento comparse che si erano sparpagliate per ogni dove. Il
mio aiuto si mise al centro del cortile della De Paolis e, preso il megafono,
urltanto da farsi sentire pure dai morti del Verano. Aveva con sdue aiuti
in seconda e uno di questi era proprio er Panciera.
Comincila grande caccia: urla, strepiti e strattonate. Dopo una mezz'oretta
tutte le comparse erano pronte a girare.
il prete?chiesi io. ov'il prete?OV'E' IL PRETEEEE?ripet
l'aiuto-regista, amplificando come sempre la domanda urbi et orbi.
e n'annato a comprer Coriere d'o sportsussurruna delle comparse, un
po' incerta se fare la spia o farsi i fatti propri.
ALEDIZIONE E MORTE!urlancora l'aiuto. UANDO LO ACCHIAPPO A QUELLO LI,
GLI STACCO I COGLIONI!Poi, rivolgendosi al Panciera:
ALLO A PRENDERE E PORTAMELO QUI A CALCI IN CULO! HAI CAPITO! COME ME LO
DEVI PORTARE?
A...CAL..CI..IN..CU..LO..
Er Panciera parta testa bassa e dopo pochi minuti ce lo vedemmo riapparire
in compagnia del prete. Lo aveva arpionato fuori dello stabilimento e ora lo
spingeva verso di noi come un manzo al macello:
ogni dieci passi uno spintone e ogni dieci passi il disgraziato, per non
cadere, era costretto a fare una corsettina. Non appena rallentava, per si
beccava subito un altro spintone.
Il tutto accompagnato da urla disumane degne di un pellirossa.
a questo non il pretedissi io non appena me lo vidi davanti.
E infatti non era lui: era un prete autentico che il Panciera aveva catturato
davanti al giornalaio mentre stava Comperando l'sservatore Romano
mi scusi padre,gli dissi a lei perchnon ha protestato? come
potevo?rispose il poveretto. uesto pazzo continuava a insultarmi e poi mi
spingeva...Il pazzo, intanto, ovvero il Panciera, resosi conto dell'errore
perpetrato, cercava di rimediare alla gaffe baciandogli le mani.
adre, me deve perdon.. io me credevo che fosse dei nostri... Lei sa com'
fatto er cinema...Poi, cambiimprovvisamente tono di voce:
adre, le andrebbe de f'na particina? Tenuto conto che gici ha er costume
addosso, le potremo sganciun bel ducentomila tutto compreso
Una volta avevo bisogno di due concubine: una bella e una brutta. Non essendo
previste battute, non era neanche necessario che sapessero recitare,
l'importante perchfossero sul serio una bella e una brutta, coscom'era
scritto sulla sceneggiatura.Gli unici tenuti a parlare in quelle
scene,infatti, erano Aristippo e Antistene,rispettivamente i filosofi del
piacere e della rinunzia. Il primo dichiarava di poter amare solo le donne
molto belle, mentre il secondo sosteneva che le donne devono essere brutte,
perchpisono brutte e piamano i loro uomini senza riserve.
Convoco er Panciera.
enti,gli dissi i servono due ragazze, una bella e una brutta. La bella
ce l'ho gi me la mandano quelli di Miss Italia. Tu mi dovresti trovla
brutta.i ho proprio 'a persona giusta,rispose lui con la solita
prontezza ggi pomeriggio me la carico e ve la porto.
E infatti verso le quattro del pomeriggio lo scorsi, all'ingresso della De
Paolis, insieme a una ragazzotta bassina. Appena mi vide, malgrado fosse
ancora a cinquanta metri di distanza, si mise a urlare: ott ci ho 'a
brutta, ci ho 'a brutta dottSentendolo gridare e, soprattutto, notando
tutta la troupe girarsi di scatto per vedere chi era questa brutta, lo
raggiunsi di corsa e, dopo avergli fatto l'occhiolino perchla smettesse di
umiliare la ragazza, finsi di protestare.
a Panciera, la signorina non brutta!un'brutta!esclamlui, al
colmo dello stupore. peggio de cosndla trova?i scusi, signorina,
lo interruppi, cercando di metterci Una pezza a con ogni probabilitsaremo
costretti a truccarla da brutta...a nun c'bisognoinsister Panciera.
ta bene cos Com' Guardate che cosce che c'ha, dott
me parono du' presciutti, me parono'accordo,tagliai corto io llora la
prendiamo. pe' la paga, dottchiese ancora lui stanno bene
centomila la brutta e cinquecentomila la bella?Durante le riprese del film
32 dicembre, er Panciera ebbe una strana avventura. Era un pomeriggio
d'estate e avevamo appena terminato di girare in una villa sulla via
Trionfale. Ci saremmo dovuti trasferire a Villa Borghese per girare una
ripresina in un parco pubblico, ma avevamo solo tre ore di ucee temevamo
di non farcela.
econdo me,disse il mio aiuto troviamo un parco nelle vicinanze, o
rimandiamo tutto a domani.'Si potrebbe andare al Santa Maria della Piet嗷
propose il direttore di produzione.
l manicomio?chiesi io. il permesso?o abbiamo avuto altre volte
rispose lui. l parco bello. Provo a vedere se ci fanno entrare.Fu cos
che finimmo nel maggiore ospedale psichiatrico di Roma. Scegliemmo un
angolino piuttosto lontano dall'edificio principale in modo da non dare e non
ricevere faStidio.
a quell'ora, il parco era quanto mai suggestivo e il sole, che aveva gi
iniziato la sua discesa sull'orizzonte, tracciava tra i rami degli alberi
lunghe strisce di luce.
e vogliamo evidenziare i raggi,disse Danilo Desideri, il mio direttore
della fotografia, ovremmo fare un po' di fumo.' Chiamai subito er
Panciera.
anciera, fammi un piacere,gli dissi a' dietro quegli alberi e mettiti a
bruciare quante pifoglie secche puoi. Cerca di far molto fumo e mi
raccomando:
non farti vedere. Nasconditi dietro una siepe, buttati per terra, fa come ti
pare, ma non farti vedere.Er Panciera trovaddirittura un fossato dove
eclissarsi.
Prima si procurle foglie e poi, al mio via, comincia bruciarle.
La scena, era estremamente facile: si trattava di una ripresa senza sonoro. Un
attore doveva cambiarsi d'abito tra gli alberi e poi allontanarsi:
due ciak al massimo e tutti a casa. Quando terminammo, per nessuno si
ricorddi avvisare il Panciera. Dopo una mezz'oretta due infermieri videro
del fumo salire dal parco e, non sapendo del permesso accordatoci, andarono a
vedere che cosa stesse bruciando.
Trovarono er Panciera, in fondo a un fosso, tutto intento a bruciare foglie.
he stai a fa'?gli chiesero.
to a fa' er fumorispose giustamente er Panciera. perchlo fai?
erchm'ha detto er regista.uale regista?ccolo lreplicer
Panciera, uscendo dal fosso. E con suo grande stupore non vide pinessuno.
I due infermieri gli si avvicinarono e con molta gentilezza lo presero
sottobraccio, uno da una parte e uno dall'altra. Poi gli rifecero la domanda.
uale regista?er firmerispose er Panciera sempre piallarmato uale
film?2 Dicembre.Riuscimmo a liberarlo solo a tarda sera, quando, grazie
alla moglie, fummo avvisati che era stato internato.
L'anno scorso er Panciera lavorava sul set del film Mamba di Mario Orfini.
Il black mamba uno dei rettili pivelenosi del mondo.
La produzione se n'era fatti arrivare cinque dall'Africa equatoriale e li
aveva sistemati in una gabbia di vetro riscaldata a 40 gradi.
Ogni venti giorni, er Panciera procurava loro dei piccoli topolini bianchi
che i mamba divoravano in un solo boccone. Lui, in verit le mani dentro la
gabbia non le metteva mai, ma li consegnava all'uomo dei serpenti, un negro
della Tanzania chiamato Ubasci, che non parlava altra lingua al di fuori
dello swahili.
Un giorno er Panciera mi telefona da Cinecitt
ott ve chiamo da parte de' Orfini: dovete da vensubito a Cinecitt
he successo?chiedo io.
desso 'na cosa lunga da spiegpe' telefono, se venite qua v'a dico.
Vado a Cinecitte trovo er Panciera che mi aspettava fuori dal cancello,
sulla Tuscolana.
ott stamattina dovevamo gir'a scena der serpente che mozzica er conijo.
allora?llora sapete com'che succede sur sette: le luci a mezzogiorno
nunn'erano ancora pronte. Er serpente io ce l'avevO bbono bbono nella
vaschetta. Er conijo invece se lo passaveno de mano in mano tutte le ragazze
de la truppe. E dicevano a quant'carino, e fammelo tenpur'a mme, e
damoje quarche ccosa da magn嗷. Insomma, s'erano affezionate... chi, al
coniglio? ar conijo. E proprio pe' questo, quann' hanno capito che fine
doveva fa', nun ve dico e nun ve conto quello che successo.
ssassini!gridaveno. r conijo nun se tocca!eh, peravevano
ragione...lloracontinua lui o co' la massima gentilezza ho detto a le
ragazze: stronze, ma ve lo sapete magner conijo quanno annate ar
ristorante. Ebb come ve credete che l'ammazzeno er conijo? Cor cortello da
cucina l'ammazzeno! E nunn'mejo mord'un mozzico solo, d'un botto, che
scannati da'n cortello de cucina?
un ce stato gnente da fa': insomma, per farvela breve, nun vonno pilavor
e so' annati tutti ar bar. La contestazione era pigrave di quanto potessi
immaginare. Era stata chiamata anche la Protezione animali e qualcuno voleva
denunciare il produttore per crudeltverso le bestie. :
Feci di tutto per calmare i piesagitati. Promisi che avrei convinto il
regista ad addormentare il coniglio e a scaricare il veleno del mamba.
Quello che non potevo promettere era di convincere anche il mamba a non
mordere il coniglio. Sennonch proprio mentre noi si stava discutendo su come
salvare la vita al coniglio, accadde l'incredibile. Mario Orfini aveva girato
lo stesso la scena e il coniglio aveva ammazzato il serpente. So benissimo
che la cosa pusembrare inverosimile, eppure, cosa volete che vi dica, i
fatti erano andati cos non appena alzata la paratia di vetro che divideva le
due bestie, il coniglio s'era avventato sul mamba e l'aveva sballottolato a
destra e a sinistra fino a farlo morire d'infarto.
ra un conijo ferocissimo! dottmi disse er Pancera. praticamente 'na
belva!
Ubasci poraccio sta avvilito:
je so' morti tutti li mamba che s'era portato dall'Africa e sta 'a piagne'
nelo sgabuzzino dell'attrezzi.. e ve giuro che 'na pena!a com'che sono
morti tutti questi mamba?erchnun so' abituati ar cinema, dott Er
cinema italianO troppo feroce, nunn'come la giungla dove se po' Camp
tranquilli! I serpenti so' bestie che nun se moveno mai:
se no na vorta ar mese se scomodano pe' magnasse n'animaletto. Magnano e
subito dopo se 'ntorcinano n'artra vorta. gli altri come sono morti?
empre d'infarto, dott Er regista ogni giorno li faceva StuzziCda Ubasci
co' la canna de bamb perchcosquelli s'arrizzavano tutti 'ncazzati.
Allora er regista diceva: ona questa, famone n'artra e a forza de di'
Famone n'artra je preso un coccolone a tutti quanti.Nel frattempo, al bar, i
erdidel cinema, ispettore della Protezione animali in testa, brindavano
alla vittoria del coniglio, tanto che io non potei fare a meno di far
presente agli amanti della natura che anche i rettili, poverini, erano
animali. Ma a quanto pare gli ambientalisti dividono gli esseri viventi in
due categorie: i simpatici (foche, panda, cani, gatti, conigli, quaglie...)
che vanno protetti, e gli antipatici (topi, serpenti, zanzare, scarafaggi...)
che possono pure morire.
desso stamo in crisi, dott nun ce so' piserpenti pe' continuer firme
proseguer Panciera. isogna aspettche n'arrivi quarcuno dall'Africa. Er
regista m'ha detto: Panci e trovame 'na biscia lunga un par de metri che
rassomija ar mamba, magari poi la pittamo de nero ma io 'ndlapijo?
non avevi un cognato allo zoo?o? E quanno mai.
Il Dubbio positivo

E stato come quando ci s'innamora: l'ho incontrata per caso a Milano e poi,
piano piano, ho capito che non ne potevo pifare a meno. Sto parlando della
filosofia, di questa strana scienza che, a essere sinceri, non so nemmeno io
bene che cosa sia, ma che a conti fatti ha cambiato il mio modo di vivere.
Ai tempi dei greci la filosofia s'identificava con il conoscere, nel senso
piampio del termine, poi col passare degli anni alcune delle branche che la
costituivano (come l'astronomia, la fisica, la politica e la medicina) si
sono messe in proprio, lasciando in casa solo l'etica, la logica e
l'ontologia.
L'inventore della parola ilosofiapare sia stato Pitagora; dopo di lui
molti altri hanno cercato una definizione che potesse in qualche modo
circoscrivere l'area d'interesse della materia; i risultati, per non sono
mai stati chiari.
Tanto per avere un'idea di quanti possano essere gli argomenti della
filosofia, ecco alcune definizioni prese da dizionari o da saggi
specialistici: cienza che studia i principi e la ragione ultima delle cose
(Palazzi), icerca di un sapere capace di procurare un effettivo vantaggio
(Zingarelli, iflessione dello spirito umano sul mondo che lo Circonda e su
se medesimo(De Ruggero), n qualcosa a metstrada tra la scienza e la
teologia(Russell).
Al liceo, la prima stupidaggine che s'impara che la filosofia quella
cosa, con la quale e senza la quale il mondo resta tale e quale il che
potrebbe, anche essere vero, se si restasse sempre adolescenti, spensierati e
soprattutto immortali. Col tempo invece ci si accorge che senza le grucce di
una qualche fede o il conforto dell'apatheia, ovvero del distacco dalle
passioni, si vive malissimo. Socrate sosteneva che coloro che ilosofano
dirittamentesono individui che i esercitano a morire' noi, invece che
siamo piallegri, ci serviamo della filosofia per migliorare la qualit
della vita. Alla fine scopriamo che entrambe le definizioni vogliono dire la
stessa cosa e che l'unica sostanziale differenza tra i due modi di concepire
la vita se sia preferibile mirare al massimo della felicito accontentarsi
del minimo della sofferenza.
A volte mi chiedo: ma i grandi della finanza, gli Agnelli, i De Benedetti, i
Gardini, i Berlusconi, si divertono sul serio a comprare e a vendere imperi
economici? Provano un senso di felicitquando tornano a casa, la sera, con
mille miliardi in pinel portafoglio? I capi della camorra e della mafia, i
Cutolo, i Liggio, i Rijna, trovano conveniente citare un mestiere che in
termini pratici vuol dire anche processi, carcere, guardie del corpo e
vendette trasversali su madri, spose e fratelli? I grandi uomini politici, i
De Mita, i Craxi, gli Andreotti, si sono mai chiesti se sia conveniente la
vita di un uomo di potere o quella di un padre di famiglia, magari semplice
impiegato comunale che perva a prendere ogni giorno la figlia a scuola? Ora
i suddetti signori, chi nel bene e chi nel male, non sono certo degli
sprovveduti, eppure finiscono tutti col sembrare ragazzini che si
accapigliano mentre stanno giocando a Monopoli. Vuoi vedere, mi chiedo, che
se avessero meditato un po' di pisui problemi della filosofia, campavano
meglio?
A scuola non ebbi tempo di apprezzare granchla filosofia. Dovendo portare
alla maturittutte le materie degli ultimi tre anni, fui costretto a
riassumerle al massimo, ragione per cui sostituii il troppo difficile Lamanna
con il piccolo Bignarni, un libricino dalla copertina marrone, severamente
proibito da tutto il corpo insegnante. Giunto pervicino agli esami, trovai
oneroso anche il Bignami e ripiegai Su alcuni appunti, da me definiti
intetici dove Talete, Anassimene ed Eraclito si erano via via ristretti
fino a diventare, rispettivamente, uello dell'acqua uello dell'ariae
uello del fuoco
Cominciai a capire qualcosa di filosofia solo dopo il divorzio. Ero ancora
innamorato di mia moglie e soffrivo molto la solitudine. Una sera in cui mi
sentivo particolarmente depresso ascoltai per caso, alla radio, una vecchia
canzone di Libero Bovio. e ne voglio i all'Americadiceva il poeta a sta
luntano assaie, me ne voglio addmaie, te pozzo ncuntrcchi Me voglio
scurd'o cielo, tutte 'e canzone e 'o mare, me voglio scurd'e Napule, me
voglio scurd'e mammema, me voglio scurd'e te.Il giorno dopo chiesi alla
IBM di essere trasferito il pilontano possibile.
Una volta a destinazione, capii di aver commesso un errore madornale: a
Milano mi sentivo doppiamente solo. Oltre ad aver perso l'amore, infatti,
avevo perso anche i riferimenti a cui ero abituato da sempre, OVvero la casa,
la citt i familiari e gli amici.
Appena arrivato, scesi in un albergo di via Fara; credo si chiamasse Royal, o
qualcosa del genere. Poi, verso sera, uscii e mi misi in cerca di una
trattoria. Essendo quella una zona di uffici, non trovai nessun locale aperto.
Camminai allora lungo una direzione che a naso, avrebbe dovuto portare verso
il centro. Non ricordo piin quale ristorante andai a finire, so solo che
all'uscita trovai una nebbia cosfitta, ma cosfitta, che sentii un passante
esclamare: ma una nebbia cosnon s'era vista mai. La nebbia mi
condiziona tal punto da farmi dimenticare perfino il nome dell'albergo
dov'ero alloggiato. Per un po' camminai senza meta, poi mi fermai e piansi in
silenzio.
Di tanto in tanto, i fari delle automobili mi passavano accanto, ora a
destra, ora a sinistra... Adesso che ci penso, dovevo stare al centro di una
carreggiata.
Non che a Milano i milanesi non fossero gentili con me (anzi!), ma lo erano
sempre e poi lo erano con tutti. Ecco un elenco sicuramente incompleto delle
persone gentili che incontravo ogni giorno sul percorso casa-ufficio: il
vicino di pianerottolo, il portiere, il barista, il giornalaio, il
parchegiatore, il benzinaio, il garagista, la receptionwt e la segretaria.
Capii subito che sarebbero stati ugualmente gentili anche se io fossi stato
un altro e questa mancanza di discriminazione nei miei confronti mi fece star
male. In altre parole, io cercavo una prova della mia esistenza e loro mi
sommergevano di cortesie indifferenziate.
Ricordo che una sera andai alla Rinascente e supplicai le commesse di
trattarmi in modo pipersonale. ignorine, vi prego,dissi loro, roprio
non potete farmi lo sconto, fatemi almeno pagare qualche cosina in pi
magari solo cento lire, purchla mia venuta, questa sera, lasci una traccia
nel vostro cuore. Niente da fare: mi scambiarono per un maniaco sessuale.
Prendiamo per esempio il mio vicino di casa, il dott. Gangemi, un anziano
signore che lavorava in una societdi assicurazioni. Lo incontravo tutte le
sere in ascensore. Avevamo gli stessi orari) e ogni volta, tra un ome sta?
e un ene, grazie e lei? riuscivamo a coprire il tempo necessario Per
passare dal pianoterra al terzo piano. Poi, A un certo punto, che mi fa
Gangemi? Sparisce, nel senso che non lo incontro piper giorni e giorni; io
giustamente pensO che sia malato, e chiedo sue notizie al portiere, un
brianzolo di Cant
mortorisponde il portiere.
morto! ! ! E com'morto?'infarto. quando successo?n mese
fa. com'che io non me ne sono accorto? morto durante un week-end.
Insomma il dottor Gangemi era morto senza farmelo sapere e il portiere, da
parte sua, non aveva sentito il dovere di tenermi informato. Se fosse stato
un portiere napoletano mi avrebbe atteso il giorno dopo, fermo come una
statua, sotto il portone, fin dalle prime luci dell'alba, se non altro per
essere il primo a darmi la triste notizia.
ngegn avete visto che successo?avrebbe detto, fingendo di credere che
gisapevo tutto.
he successo?avrei chiesto io.
a come: non sapete niente!si sarebbe stupito lui, sempre persenza
venire al fatto, in modo da prolungare al massimo l'attesa.
o adesso sto tornando da Roma...l dottor Gangemi...avrebbe cominciato
a dire, per poi bloccarsi all'improvviso come sopraffatto dalla commozione; e
qui, io, dalla sua faccia atteggiata al massimo cordoglio, avrei dovuto capire
tutto quello che era successo, anche perchlui (sempre per non
impressionarmi) la parola ortonon l'avrebbe mai pronunziata.
successa una disgrazia?Abbassamento di palpebre.
morto?Nuovo abbassamento di palpebre.
come morto?n infarto.n infarto?na cosa improvvisa, ingegn
si stava allacciando le scarpe, quand'caduto faccia a terra in camera da
letto. La moglie ha chiamato subito un'autoambulanza, ma non c'stato niente
da fare.
Anche il padre, pace all'anima sua, finito cosllacciandosi le
scarpe?issignore, tanto che io ho pensato: ma questi Gangemi perchnon
si comprano i mocassini?..
a tu pensa che coincidenza!na famiglia distrutta, ingegn una famiglia
distrutta, avrebbe esclamato. o proprio il giorno prima lo avevo incontrato
per le scale e gli avevo detto: ott ci sarebbe il condominio da pagare e
lui mi aveva risposto: bbi pazienza, Salvatore, ma adesso non ho tempo, ci
vediamo domani ora chi ce l'ha il coraggio di andare a dire alla vedova
che ci sarebbe il condominio da pagare! Ma voi, ingegnere mio, l'avreste
dovuto vedere nella camera ardente: Ges Ges e quant'era bello: stava li,
disteso come un patriarca, in mezzo ai fiori, sembrava che stesse dormendo!
Che poi, puveriello, diciamo la verit, che teneva? Se no, sessantatr
anni: tra due anni sarebbe andato in pensione. E invece... Ha lasciato una
proprieta Casavatore e due quartini sopra i Camaldoli, tutti e;
pera fitto bloccato. Ma che siamo su questa terra!he siamo!gli avrei
fatto eco io.
Certo che a Milano il portiere napoletano mi mancava, in compenso perla vita
di ogni giorno era diventata molto pifacile. Il lavoro si era di gran lunga
semplificato.
Mentre a Napoli non riuscivo a tornare a casa mai prima delle nove, a Milano,
alle sei, grazie alla puntualitmilanese mi ero gimesso il cappotto per
uscire.
Ogni cosa funzionava COme doveva funzionare: la metropolitana passava
puntuale, i clienti rispettavano gli appuntamenti, la Scala iniZiava alle
otto in punto e tutti i cittadini, ma dico tutti, facevano il proprio dovere.
Tanto che io, da bravo uomo del Sud, cominciai ad avere dei forti complessi
d'inferioritnei confronti dei milanesi: vuoi vedere, mi dicevo, che questi
qui sono piintelligenti di noi? E conseguentemente sentii il bisogno di
rivalutare l'immagine dei napoletani.
oi siete bravi,andavo dicendo a tutti nzi bravissimi! Attenzione per
la vita non solo produttivit anche immaginazione!E subito dopo, per
meglio sostenere la tesi dell'ozio, senza cadere nel macchiettismo, ricorrevo
a Bertrand Russell, oppure ai filosofi greci e alla loro diffidenza verso
ogni forma di produttivit
i tempi di Socrate chiunque veniva sorpreso a lavorare era considerato un
banausi e come tale era disprezzato da tutti gli uomini di pensiero. Banausi
in greco voleva dire manovale, ma anche volgare e ignobile. Peffino Fidia,
Prassitele e Policleto, i tre artisti pibravi di Atene, erano criticati per
il loro mestiere. Dicevano gli ateniesi: "S d'accordo, saranno pure bravi,
pernon possono negare che quando lavorano sudano come disgraziati!". E cos
anche noi, diretti discendenti dei greci, siamo cresciuti con una sana
diffidenza verso ogni forma di produttiviteccessiva. Ciascun popolo ha poi
un suo modo di concepire l'esistenza, una sua cultura di fondo che va
rispettata. Quando vedete un orientale fermo, immobile, che si guarda
l'ombelico e non fa niente, ma proprio niente, vi drebbe almeno Venire il
sospetto che quello lha capito una cosa che, forse, voi, nel vostro
stakanovismo, non avete ancora capito.Dentro di me ero il primo a non
credere all'esistenza di una vera e propria filosofia napoletana, degna di
essere raccontata. Poi, a poco a poco, a forza di parlarne, cominciai a
crederci. La napoletanitera per me il dialogo, i rapporti interpersonali,
la musica, il sentimento e tutte quelle manifestazioni umane di cui pi
sentivo la mancanza a Milano. La milanesit invece, era il rispetto per il
prossimo, la capacitdi mettersi in fila, la puntualite il senso civico.
Da pendolare nel lavoro divenni ben presto pendolare anche nei giudizi: mi
sorprendevo, sempre pispesso a parlar bene dei milanesi a Napoli e dei
napoletani a Milano. Piano piano, senza quasi accorgermene, misi in piedi una
teoria, secondo la quale l'umanitsarebbe costituita da due grandi trib
gli uomini di amore e gli uomini di libert collocando i primi intorno al
bacino del Mediterraneo e i secondi nell'area di influenza anglosassone.
Per trovare puntelli alle mie idee, cercai di documentarmi sui filosofi greci
e scoprii che in proposito i nostri antenati avevano gidetto tutto o quasi.
Una forte spinta, infine, a dedicarmi allo studio della filosofia, la ebbi da
due pazzi a piede libero, entrambi residenti a Napoli: i professori Riganti e
Barbieri.
Riganti era un ex professore di fisica del liceo Vittorio Emanuele e uno dei
soci pianziani del Circolo Napoli. Io pur senza avergli mai parlato di
persona, lo conoscevo di fama a causa della sua notoria avversione a
spostarsi dalla poltrona dove (dicono) si era seduto una decina di anni prima
il giorno in cui era andato in pensione. Anche arrivando molto presto al
Circolo, lo si trovava gial suo posto, con accanto Ciro, il capocameriere,
che gli leggeva i titoli dei giornali.
he si dice?chiedeva il professore.
a Cgil, la Cisl e la Uil hanno minacciato uno sciopero generalerispondeva
Ciro in piedi, sull'attenti, con il giornale spalancato tra le mani.
un me passa manco p'a capa! Vai avanti!rispondeva il professore senza
voltare lo sguardo.
l partito socialista vorrebbe indire un nuovo referendum per consentire...
un me passa manco p'a capa! Vai avanti!lo interrompeva Rigantiaccia
agli evasori fiscalileggeva ancora Ciro.
anno messla pena di morte?chiedeva Riganti, un pochino preoccupato.
eramente non ancora. allora nun me passa manco p'a capa! Vai avanti!
Una sera, approfittando del fatto che con lui c'erano due persone che
conoscevo, BebMaglione e il comandante Bagnulo, mi unii anch'io alla
conversazione. Dopo le presentazioni di rito, il professore fece venire
quattro caffdal bar e Bebprese lo spunto dalla qualitdel suo espresso
per comunicarci un progetto che aveva in mente da tempo.
o, uno di questi giorni mi voglio aprire tre torrefazioni:
una la piazzo al Vomero, una alla Ferrovia e una a Fuorigrotta. Poi prendo un
furgoncino con autista e ogni mattina, alle sette in punto, le rifornisco di
cafftutte e tre. com'che hai fatto questa pensata?chiese il
comandante Bagnulo.
erchconosco i Matarazzo, ma non quelli di Napoli che non contano niente:
io conosco quelli veri, i Matarazzo del Brasile, quelli con i soldi!E
mentre diceva oldistruSciava il pollice con l'indice, facendo il gesto
che allude al denaro. o se voglio li posso chiamare pure in questo momento.
A proposito che ora Le nove? Benissimo! a quest'ora in Brasile saranno le
cinque del pomeriggio.
Non me ne importa niente.
Adesso li chiamo e gli dico: "Mandatemi dieci quintali di caff tutta roba
extra e di prima qualit. poi come fai a controllare che il personale non
ti freghi?gli chiese il comandante.
che ci vuole: io ci metto le casse elettroniche!rispose ridendo Beb
ggi con le casse elettroniche non ti possono scippare nemmeno cento lire.
Gli impiegati lavorano e io me ne sto tranquillo tranquillo al Circolo a
parlare, la sera alle otto, massimo alle nove, mi faccio un giretto con la
Mercedes e ritiro gli incassi.Proprio in quel momento il professore si
accorse che io avevo girato pivolte il cucchiaino nel caff
ngegnere, scusatemi se vi faccio una domanda, mi disse sorridendo erch
girate cosa lungo?er far sciogliere lo zucchero.llora sentite un
consiglio: col cucchiaino, fate solo un'andata e un ritorno, in linea retta,
senza girare tante volte lungo la parete della tazzina. Anzi, se proprio
volete fare una cosa buona, non muovetevi affatto: aspettate un paio di
minuti e vedrete che lo zucchero si scioglierda solo. perchnon mi
dovrei muovere? Me lo dite per farmi risparmiare fatica?o, solo per far
durare pia lungo l'Universo.i scusi, ma non ho capito. adesso ve lo
spiegorispose il professore, sempre con la massima cortesia.
uando Dio cacciAdamo ed Eva dal paradiso terrestre, sapete cosa disse?
Non lo sapevo e lui non si fece pregare per riferirmelo. isse: "Tu uomo
lavorerai con sudore e tu donna partorirai con dolore!". Poi, quando li vide
uscire dal cancello gettloro l'ultimo anatema: "E tutti e due sarete
perseguitati nei secoli dei secoli dal Secondo Principio della
Termo-dinamica!". Ora io immagino che voi il Secondo Principio lo abbiate
studiato a scuola, o mi sbaglio?erto che l'ho studiatorisposi con
sicurezza, pur non ricordandone nulla.
olto bene,si congratullui llora, con il vostro permesso, io adesso
vorrei farlo conoscere anche agli amici Quindi si voltverso Bebe il
comandante e li Costrinse a prestare attenzione, dopo di che, scandendo le
parole a una a una, declamad alta voce il Secondo Principio della
Termodinamica: gniqualvolta la materia si trasforma in energia, una parte
di questa energia diventa non piutilizzabile e va ad aumentare il Disordine
dell'ambiente. La misura del Disordine si chiama Entropia
Ne seguun silenzio imbarazzante. Bebera disperato:
gettuno sguardo verso il biliardo, come a dire: uanto sarebbe stato
meglio se ce ne fossimo andati a giocare a boccette!
'homo,continuil professor Riganti, ormai inarrestabile roppo
frettolosamente definito sapiens dagli antropologi, estrae il petrolio e lo
trasforma, prima in benzina e poi in energia cinetica. Cosfacendo, s'illude
di aver messo ordine nel suo angolino, senza rendersi conto che invece ha
solo incrementato il Disordine; e gi perchuna parte dell'energia
contenuta dal petrolio si dispersa nell'aria sotto fma di anidride
carbonica e come tale non piutilizzabile dal punto di vista energetico.
Attenzione adesso a quello che dico: "In ogni trasformazione il Disordine che
si crea sempre maggiore dell'Ordine che si creato".a dove sta tutto
questo disordine?chiese Bagnulo un po' spazientito, guardandosi intorno.
ta intorno a noi e anche dentro di noi: se nessuno se ne accorge perch
man mano che lo produciamo, lo mettiamo sotto i tappeti.otto i tappeti?
ripetBagnulo, guardando, ancora una volta, i tappeti del Circolo.
come certe domestiche quando fanno le pulizie in Casa. Noi prendiamo il
Disordine e lo scarichiamo nei paesi del terzo mondo, oppure lo portiamo in
soffitta, ciol'atmosfera, o, peggio ancora, lo ficchiamo in qualche cavit
della terra, lasciandolo in ereditai nostri posteri poi un giorno, magari
per mancanza di vento, il Disordine ristagna un pochino, puaccadere che una
cittcome Milano si trasformi improvvisamente in una camera a gas. uesto
perpuaccadere solo a Milano, non a Napoli?chiese Bebper
tranquillizzarsi. .
uccederanche a Napoli il giorno in cui tutti i poveri incoscientemente,
pretendessero di avere un'automobile a perch i poveri non possono avere
l'automobile?o che non la possono avere: l'automobile e, deve rimanere
un privilegio dei pochi. Il giorno in cui l'avranno tutti come se non
l'avesse nessuno: non si potrpicircolare e l'aria diventer
irrespirabile. allora? allora aveva ragione Pascal quando diceva:
'infelicitdel mondo dipende dal fatto che nessuno vuole restare a casa
sua".Se fino ad allora avevamo capito poco, la massima di Pascal fincol
confonderci definitivamente le idee: il professore se ne accorse e comincia
formulare domande semplici, a cui, peraltro, rispondeva lui stesso.
erchgli uomini non vogliono restare a casa?
hanno bisogno di distrarsi. E perchhanno bisogno di distrarsi? Per evitare
di pensare alla morte. E che fanno per non pensare alla morte? Corrono dietro
al denaro e al potere, come se denaro e potere potessero garantire loro
l'immortalit Ergo: il saggio non si muove ma si allena a morire e questo i
santoni indiani lo avevano gicapito un migliaio di anni fa.nsomma,
concluse Beb facendo gesti scaramantici, oi ci dovremmo allenare a
morire?issignore,assentil professore rima abituandoci all'idea e pOI
sottovalutandone l'importanza. come si fa?i comincia a pensare alla
morte come a un semplice sfratto di casa, con una certa nostalgia per ciche
si lascia e un piZZiCo di CurioSitper quello che si andra conoscere. Anzi
sapete che vi dico? Secondo me, un uomo veramente curioso, per essere
all'altezza del suo desiderio, dovrebbe desiderare la morte come il mezzo pi
veloce per giungere alla Verit
Io, per esempio, pipassa il tempo e pila desidero.BebMaglione e il
comandante Bagnulo si guardarono a vicenda ma non dissero nulla.
na cosa certa,continuil professore l trapasso non sara doloroso.
Non si mai sentito di un moribondo che ha gettato un urlo terribile proprio
nell'attimo fatale. In genere ci si trasferisce senza accorgersene, come
quando si passa dalla veglia al sonno. E poi, alla fin fine, diciamo la
verit
questa morte che sarmai!e ho ben capito il vostro pensiero,disse il
comandante er allenarsi a morire, noi non dovremmo mai uscire di casa?l
filosofo non esce.ndare al Circolo percome restare in casaafferm
Bebche di sicuro passava molte piore al Circolo che non a casa sua, dove
si dice avesse una moglie terribile.
asa o Circolo non fa differenza,acconsentil professore 'importante
non muoversi. perl'immobilitanche sinonimo di mortecercai di
obiettare.
olo quando l'Ordine coincide con il Disordine, e questo accadrsoltanto
l'ultimo giornorispose il professore, dOpodichprese una delle tazze vuote
che stavano sul tavolino e la mostrin giro. uardate questa tazza: se io
adesso ci verso dentro un po' di latte e un po' di caff che cosa ne viene
fuori?n caffelattesi azzarda dire Beb
ravo, e percherchcosche si fa il caffelatterispose Bebche in
questi dialoghi socratici non si sentiva molto a suo agio.
erchla Natura tende sempre all'omologazione,sentenziil professore
uindi le molecole di caffe di latte entrando nella tazza, non resteranno
separate, le une di fronte alle altre, come due eserciti contrapposti, ma si
mischieranno tra loro e in pochi attimi formeranno un miscuglio di colore
intermedio chiamato caffelatte. Altra considerazione: il caffe il latte,
dopo essersi mischiate non potranno mai pitornare com'erano in origine.
Morale:
il Disordine aumentato, e in modo irreversibile.Il comandante Bagnulo
lancicon lo sguardo un S o s a Bebperchtrovasse una scusa qualsiasi per
sciogliere la seduta: era chiaro che non ne poteva pidel Secondo Principio
della Termodinamica e che avrebbe pagato qualsiasi cosa per andarsene. Io
invece ero sempre piinteressato al problema. cosa c'entra il caffelatte
con la fine dell'Universo?'entrarispose il professore, tutto contento
che almeno uno di noi lo avesse seguito. erch prima o poi, l'Universo
diventerun immenso cappuccino. La materia infatti prima o poi destinata a
polverizzarsi: perfino il protone, l'invisibile protone, tra alcuni anni, 10
per l'esattezza, non riuscira mantenersi integro, e allora tutte le materie
esistenti formeranno un unico pastone, del tutto omogeneo, e non ci sarpi
diversitalcuna tra un punto e l'altro dell'Universo. Quel giorno, non
esistendo differenze di temperatura, potenziale energetico, di forze
elettromagnetiche, gravitazionali, nucleari forti, nucleari deboli o di altro
tipo, la materia non avrpinessun motivo per spostarsi da un posto
all'altro dello spazio e tutto sarperfettamente immobile, la entropia avr
raggiunto il suo massimo valore e il Disordine verra coincidere con
l'Ordine. ovvero con la Morte. noi che dobbiamo fare?chiese Beb
on ci dobbiamo muovererispose il professore.
utto questo,esclamil comandante Bagnulo erchl'ingegnere ha girato
tre volte il cucchiaino nel caffPoi, voltandosi verso di me con tono
severo: ngegn avete visto che guaio avete combinato?
s voi scherzate... e poi ve ne accorgerete!lo ammonil professore.
l Secondo Principio non perdona:
guai a sottovalutarlo, a credere che si tratti solo di un processo fisico dai
tempi lunghissimi. Lui, il maledetto, vi frega in tutti i campi, giacch
l'omologazione sempre in agguato.
Noi oggi stiamo parlando in italiano, domani, su queste stesse poltrone, i
nostri nipoti parleranno in inglese. Anzi, tutto il mondo parlerin inglese,
perchcosesige il Secondo Principio. Non esisteranno pii dialetti, le
lingue nazionali, i costumi, le feste, le musiche folcloristiche, la
tarantella, il sirtaki, il flamenco. In tutto il mondo imperverseril rock
americano o un altro ritmo che nel frattempo lo avrsostituito e noi saremo
costretti a ballarlo, ci piaccia o no. Non potremo pibere il nostro caff
ristretto, ma saremo obbligati a bere il cafflungo, quello internazionale.
Useremo tutti lo stesso tipo di detersivo. Non esisteranno picibi regionali
perchmangeremo tutti da MacDonald.
Nessuno sarpiin grado di distinguere un esquimese da un brasiliano,,
perfino le razze scompariranno e avremo tutti lo stesso tipo di pelle (pio
meno color caffelatte), coscome indosseremmo tutti gli stessi tipi di
jeans. La pubblicitsaril veleno preparato dall'omologazione e la
televisione il bicchiere dentro il quale ce lo faranno bere.cusatemi
professore,lo interruppe il comandante, alzandosi in piedi a ci stanno
chiamando dalla sala gioco: io e Bebabbiamo uno scopone lasciato in sospeso
Con i coniugi Filomarino.Bebnom se lo fece dire due volte e si alzanche
lui di scatto.
eccato, profess蚧 si scusa conversazione era molto interessante, ma..
come si dice.. il dovere ci chiama!Restammo soli: io e il professor
Riganti. ono due bravissime personedisse lui alludendo ai disertori.
oro non lo sanno, ma sono due degni esempi di immobilitdinamica .ome
sarebbe a dire?eb da una decina di anni che dichiara di voler aprire
tre torrefazioni: una al Vomero, una alla Ferrovia e una a Fuorigrotta. Lo
dice sempre ma non lo fa mai. Il termine tecnico per definirlo "immobilit
dinamica". Di tanto in tanto minaccia anche di telefonare in Brasile ma
nessuno gli ha mai visto tirare fuori un gettone di tasca. Il comandante
Bagnulo invece un immobile di ritorno., i ritorno? lui una volta
era un devastatore: aveva un cabinato di dodici metri, il famoso Re dei Mari,
con due diesel che appestavano l'aria, e imperversava per tutto il Golfo.
per questo che lo chiamano il comandante?issignore, e anche per un'altra
ragione: Bagnulo era il pigrande rompicoglioni del Circolo. Si piazzava
all'angolo del terrazzo e controllava i movimenti di tutte le imbarcazioni
che entravano nel porticciolo. Non c'era manovra che gli andasse bene. Come
il proprietario della barca metteva piede a terra, lui se lo metteva sotto e
gli impartiva sul posto una lezione di nautica.
Hai fatto una schifezza di attracco, gli diceva uante volte ti debbo dire
che quando c'il libeccio la corrente ti porta a terra allora santiddio usa
tutti e due i motori! Altrimenti che te la sei comprata a fare una barca con
due motori?" Questo era Bagnulo. Poi, cinque o sei anni fa, girando con il Re
dei Mari intorno all'isola di Procida, non si accorse di una secca e cola
picco con tutta la barca.uale secca?chiesi io. uella prima del porto
venendo da Ischia? proprio quella li: e infatti adesso, al Circolo,
tutti la chiamano la secca Bagnulo. Si dice anche che nelle prossime carte
nautiche verrindicata proprio con questo nome. E inutile dire che il
poverino dopo il naufragio non ebbe piil coraggio di farsi vedere in giro.
Adesso tornato:
saranno una decina di mesi, ma non dfastidio a nessuno- Non ha pila barca
e si disinteressa in modo totale delle barche degli altri. Pratica anche lui
l'immobilitdinamica. A volte persi stanca di starmi a sentire e trova
scuse puerili per allontanarsi.L'altro personaggio che m'incoraggisulla
strada della filosofia fu il professor Barbieri, un signore piuttosto avanti
con gli anni (sessanta che sembravano settanta), domiciliato a Napoli in via
Sant'Eligio al Mercato. Barbieri, piche professore di lettere, amava
considerarsi un io ovvero un educatore globale. Il suo mestiere ideale
sarebbe stato quello di passeggiare su e giper il bosco di Capodimonte, con
una dozzina di discepoli intorno (enestanti, altrimenti non li voglio, ai
quali insegnare l'arte sottile del Dubbio positivo. Purtroppo per lui gli
abitanti del Mercato erano tutte persone dedite al commercio all'ingrosso e,
come tali, amanti delle certezze assolute e dei pagamenti in contanti. Ci
premesso, il professore si ridusse a dare ripetizioni a due ragazzini
pestiferi che ricambiavano in pieno il suo odio.
ontinuo a tenerli,mi disse un giorno erchsono rispettivamente figli
del salumiere e del fruttivendolo. La dignit nel mio caso, abdica in favore
dell'appetito e induce il cervello alla rassegnazione.Di Barbieri mi parl
per la prima volta un farmacista, in treno, durante uno dei miei tanti viaggi
Milano-Napoli.
ei deve assolutamente conoscerlo: le assicuro che non se ne pentir Poi
tra voi napoletani sono certo che vi capireste a volo.
Pensi che io, grazie al suo aiuto, ho imparato anche ad ascoltare.
Un tempo non ero cos volevo parlare sempre io. Parlavo e non imparavo mai
nulla. Per forza: non davo mai il tempo agli altri d'insegnarmi qualcosa!Non
avendo Barbieri un telefono, fui costretto a presentarmi a casa sua senza
preavviso. Suonai il campanello e un vocione m'invita entrare. La porta era
aperta. Dentro faceva pifreddo che fuori. Lui stava seduto dietro una
scrivania e mangiava un piatto di pasta e ceci fra cataste di libri e di
carte.
Indossava un cappotto e sotto il cappotto un pigiama. isturbo?chiesi io,
alquanto imbarazzato. rancamente s ma dal momento che siete gientrato,
accomodatevi.iete voi il professor Barbieri?orserispose lui e cosi
dicendo, con una sola parola mi anticiptutte le sue idee.
In seguito, quando entrai piin confidenza, fu lui stesso a darmi una
spiegazione di quella prima risposta dubitativa. l saggio non nega e non
afferma, non si esalta e non si abbatte, non crede nall'esistenza di Dio, n
alla sua esistenza. Il saggio non ha certezze, ha solo ipotesi pio meno
probabili. allora che fa?chiedevo io.
spetta.Presi l'abitudine di andare a fargli visita la prima domenica di
ogni mese.
Arrivando in treno da Milano, mi facevo prestare la macchina da mia sorella e
lo portavo a pranzo a Torre del Greco, alla Casina Rossa. In cambio di una
zuppa di pesce e di un litro di Gragnano, lui m'insegnava il Dubbio positivo.
Il suo pensatore preferito era Brisone, un filosofo socratico del tutto
introvabile nei manuali di filosofia.
risone di Eraclea? Mi meraviglio che non lo conosciate! Fu il fondatore
dello zeticismo: ebbe come allievi Pirrone di Elide e Anassarco, e tanto vi
dovrebbe bastare. che cos'lo zeticismo?a scuola di pensiero di
coloro che "cercano sempre e non trovano mai".
Zetetes infatti, in greco, vuol dire "cercatore".a che gusto c'a
cercare e a non trovare?obiettavo.
a gioia non sta sulla vetta ma nella salita, altrimenti gli scalatori si
farebbero depositare dagli elicotteri direttamente sul cocuzzolo delle
montagne. qual era l'insegnamento di Brisone?rimo: l'epocho
sospensione del giudizio, secondo: l'afasia o rifiuto del parlare, e terzo:
l'atarassia o assenza dell'angoscia.Con un capo famiglia che non prendeva
decisioni per nessun motivo al mondo, a mandare avanti la casa pensava la
signora Assunta, la moglie, una sarta specializzata in abiti da prima
comunione. I rapporti tra i due erano ormai di pura coabitazione: in pratica
si sopportavano a vicenda.
Di tanto in tanto lei cercava di giustificarlo.
on pensatene male,mi diceva a l'ateo solo per spaventare la gente, ma
di animo buono. Purtroppo gli piace meravigliare il prossimo e cosfacendo
finisce col farsi prendere in giro. Una volta invece, credetemi, era una
persona tanto intelligente.ia moglie non distingue gli atei dagli
agnosticiribatteva lui un po' schifato. o tentato pivolte di spiegarle
che differenza passa tra chi non crede e chi non sa, ma quando quella lnon
vuole capire una cosa non c'niente da fare: lei considera atei perfino i
musulmani.A proposito di Fede, un giorno il professore mi portin camera
da letto a vedere il ritratto del suo Santo protettore.
Si trattava di una cornice a cassettone, stile impero, con all'interno un
punto interrogativo fatto tutto di lampadine colorate. Pisotto, su una
mensoletta, due lumini sempiterni, di quelli che si usano nei cimiteri.
Barbieri pigiun pulsante e le lampadine del punto interrogativo
cominciarono ad accendersi e a spegnersi.
hiedo scusa,disse la signora Assunta a io quel tabernacolo ce l'ho
sullo stomaco! Anzi, se proprio debbo dire la verit lo odio!on datele
retta, ingegn piuttosto non distraetevi e seguitemiintervenne Barbieri.
l Punto Interrogativo il simbolo del Bene, coscome quello Esclamativo
il simbolo del Male. Quando sulla strada vi imbattete nei Punti
Interrogativi, nei sacerdoti del Dubbio positivo, allora andate sicuro che
sono tutte brave persone, quasi sempre tolleranti, disponibili e
democratiche. Quando invece incontrate i Punti Esclamativi, i paladini delle
Grandi Certezze, i puri dalla Fede Incrollabile, allora mettetevi paura
perchla Fede molto spesso si trasforma in violenza. E badate bene che io
qui non sto parlando solo di Fede religiosa, ma anche di Fede politica e di
Fede sportiva, di qualsiasi tipo di Fede insomma. Gli integralisti islamici, i
tifosi di calcio, i brigatisti neri o rossi, appartengono tutti a una stessa
razza, quella che ritiene di essere la sola a possedere la Verit come se
poi potesse esistere davvero una Veritunica e incontrovertibile. Il vubbio
invece una divinitdiscreta, un amico che bussa con gentilezza alla
vostra porta. Il Dubbio espone con calma le sue idee ed pronto a cambiarle
radicalmente non appena qualcuno gli dimostrerche sono sbagliate.
erdonatemi il gioco di parole, professore, ma ho qual che dubbio sul
dubbiorisposi io. rendiamo per esempio Cristoforo Colombo: solo la
certezza di trovare le Indie al di ldell'Atlantico lo indusse a partire. E
fu proprio questa certezza a dargli la forza di procedere sino in fondo. Poco
importa poi che i calcoli fossero sbagliati: lui partlo stesso e fincon
lo scoprire l'America. Io credo che nessuna con quista sia mai possibile senza
un minimo di fede. perchmai?replicBarbieri. on il Dubbio la
molla di ogni curiosit A proposito: la parola Dubbio, io la pronuncio con
la D maiuscola, voi invece usate la minuscola. chi ve l'ha detto che uso
la minuscola?o capisco dal tono: voi dite "dubbio", moscio moscio, senza
nessun entusiasmo, non dite "Dubbio" coscome lo dico io, forte e chiaro. E
badate bene che la D una lettera da non sottovalutare: Dio, il Diavolo, il
Dubbio, il Dopo sono tutti concetti che cominciano per D.l Dopo? Che
cos'il Dopo?l Dopo la domanda numero uno, quella che ci angoscia. A
proposito, ingegn anche Domanda incomincia per D. Ma sentiamola pure questa
Domanda:
che cosa accadrDopo? Vivremo una nuova vita Dopo? O ci annienteremo nel
Nulla? qual la risposta?a risposta "non lo so".n po'
deludente!erchmai? Che senso ha credere alla cieca, quando basta
aspettare qualche anno per conoscere la verit Perchaver Fede in qualcosa
che Dopo potrebbe rivelarsi non vera?erchanche la Fede presenta i suoi
vantaggi, toglie l'ansia ad esempio, e perch alla fin fine, pure il Dogma
comincia per D.Un giorno, dopo aver pranzato come sempre alla Casina Rossa,
andammo a farci una passeggiata al Vesuvio. Lavista dall'Osservatorio era di
quelle che facevano venire voglia di piangere. Ogni cosa sembrava che fosse
stata tirata a lucido solo per noi: il panorama ci appariva come una
cartolina ricordo, i mammelloni vesuviani sembravano pezzi solidificati di
panna montata di colore rossastro, e Capri, Ischia e Procida galleggiavano
felici.
ome si fa a non credere in Dio di fronte a uno spettacolo simile?
esclamai. mai possibile che a costruire tutta questa roba sia stato solo
il,Caso e nient'altro che il Caso?l problema non si ponerispose
Barbieri. l Caso o il, Destino, il Big Bang o Nostro Signore, non fa alcuna
differenza. Un giorno lo verremo a sapere.
Quando io combatto ' la Fede, non lo faccio perchnon credo all'esistenza di
Dio, ma perchdesidero "non riposarmi" sul dogma. Preferisco vivere
dubitando piuttosto che archiviare Dio come un dato acquisito. Vivo piio in
compagnia dell'idea di Dio che non un cattolico osservante. si puvivere
senza certezze? se si capaci di sperare. D'altra parte voi siete in
grado di nominarmi una sola cosa della cui esistenza possiate essere certo?
on ho capito la domandarisposi io, non sapendo dove volesse arrivare.
i potete citare un solo episodio, per quanto piccolo, che secondo voi sia
realmente accaduto?ripetBarbieri. on lo so... per esempio, che oggi, a
tavola, tutti e due abbiamo mangiato una spigola...erchlei se l'gi
dimenticata?chiesi io a mia volta, visto che, non solo se l'era mangiata
tutta, ma si era anche e fatto portare la testa per spolparsela con l'abilit
di un chirurgo.
erto che non l'ho dimenticata! E colgo l'occasione per ringraziarvi. Ma
siamo davvero sicuri che abbiamo mangiato una spigola?erchnon dovremmo
esserlo?oi prima mi avete detto di credere in Dio..? ci credo.
mmagino che il vostro Dio sia Onnipotente.e Dio, anche
Onnipotente.bbene, un Dio Onnipotente, volendo, non potrebbe aver creato
un mondo giin funzione?n che senso "giin funzione"?nsomma,
ribattBarbieri un po' spazientito l nostro mondo, il cielo, il mare,
l'universo, tutto questo spettacolo che ci sta intorno, non potrebbe essere
stato creato proprio in questo preciso momento?
Supponiamo per un attimo che ognuno di noi sia nato adesso: alle 15.32 di
oggi, con una memoria prememorizzata nel cervello, grazie alla quale crediamo
di aver givissuto.n questo caso la spigola..... crediamo di averla
mangiata, ma nella realtnon mai esistita: solo una delle tante immagini
che la nostra memoria ha avuto in dotazione nel momento di nascere.a
impossibile!ossignore, improbabile.
tre su quattro

Quando uno scrittore produce un libro di ricordi, il minimo che gli si pu
chiedere di ricordare, e, magari, di non dire bugie. Eppure, non cos
facile come sembra, se non altro perchil passato non sta mai fermo un
attimo: mobile come una bandiera in una giornata di vento. Visto con gli
occhi del presente, tende continuamente a modificarsi, fino a diventare
quello che Sant'Agostino definiva l presente del passato Io in questo
momento, mi sento come un impiegato che ha avuto quattro settimane di ferie e
ne ha fatte gitre. Un po penso agli anni vissuti, e un po', non senza
qualche preoccupazione, a quelli ancora da vivere. Ho la sensazione di star
seduto su una sedia, in uno spazio piccolissimo, praticamente un corridoio di
passaggio, e di gettare uno sguardo in due camere attigue: una sulla destra,
enorme, piena zeppa di ricordi buttati alla rinfusa, e una sulla sinistra,
non molto bene illuminata, nella quale riesco nota: ella nostra mente
convivono il presente del passato, che la memoria, il presente del
presente, che l'intuizione, e il presente del futuro, che l'attesa.
Sant'Agostino, Le confessioni, libro XXI, cap. XX.
La copertjna di questo libro vUole essere per l'appunto una foto della
memoria.
con alcuni oggetti che si ricordano meglio, e altri, invece, che tendono a
sparire. Fine nota.
a malapena a scorgere delle ombre. Di fronte a me un grande orologio segna il
tempo, mentre, impercettibilmente, le pareti del mio corridoio si spostano da
destra verso sinistra. Non che io le veda spostarsi, sia chiaro, ma sta di
fatto che pipassa il tempo, pidiventa grande la camera del passato mentre
quella del futuro rimpicciolisce. La camera dei ricordi rassomiglia a un
gigantesco negozio di bric-bruc:
una radio Allocchio Bacchini, il diploma di primo classificato negli 800 metri
ai campionati campani del '51, un orologio Wyler-Vetta con le lancette verdi,
fosforescenti, la mia prima bicicletta da uomo (la Bianchi modello Splendor,
verniciata in nero e filettata d'oro), una notte trascorsa a passeggiare con
gli amici parlando di futili (e se tu vincessi un milione che cosa faresti?)
massimi sistemi (ma secondo te Dio esiste?), una frittata di maccheroni
mangiata a Coroglio, al Lido delle Sirene con mammche mi conserva la fetta
con la crosta picotta perchsa che quella che pimi piace.
Nell'altra stanza invece, quella del futuro, non riesco a distinguere nulla.
Vorrei tanto vederci le prove di un ultimo amore, possibilmente meno sofferto
dei precedenti oppure il manifesto di quel film che avrei sempre voluto
girare e non ho ancora girato, o la copertina di quel libro che avrei sempre
voluto scrivere e che non ho mai scritto. Vorrei un televisore magico con il
quale poter rivedere anno dopo anno, giorno dopo giorno, tutta la mia vita.
Chissche effetto mi farebbe, vedermi agire senza impulsi, idee ed emozioni
che non appartengono pial mio modo di pensare? Sono davvero io quel
biondino che si strugge d'amore mentre aspetta la fidanzata all'uscita della
scuola? Mi batterebbe ancora il cuore durante l'esame di maturit Ripeterei
certe goliardate, come farsi rinchiudere nella gabbia delle scimmie, sotto la
scritta Mandrillus Parthenopeus? Cosa potrei dire a mia discolpa se fossi
costretto a risentire le mie conversazioni politiche del '46 quando, Dio solo
sa perch tifavo Monarchia? E i litigi con i genitori? E le bugie alle
amanti? E il coretto dei Black Brothers con Arbore, Benigni, Andy Luotto e
Fabrizio Zampa, tutti e quattro camuffati da negri?
Se invece di rivedere una giornata del passato, provassi a sbirciarne una del
futuro? Potrei conoscere in anticipo tutte le difficolte le gioie che mi
aspettano: che so io...
una recensione... un particolare riconoscimento professionale... una festa di
compleanno... il viso di un nipotino non ancora nato... Facendo attenzione
pera non spingermi troppo in avanti, per non imbattermi in una data
tremenda, dopo la quale lo schermo non darebbe piimmagini in movimento...
No, no, non credo che, se anche possedessi un video del genere, avrei mai il
coraggio di usarlo.
Certo, quando mi rendo conto di come sono trascorse in fretta le prime tre
settimane, non posso non provare un senso di angoscia pensando alla quarta:
qui non si fa in tempo a dire Buon Natale che subito ti arriva addosso la
Pasqua, e poi ancora il Natale e poi ancora la Pasqua, finchun brutto
giorno incontri un compagno di scuola che ti dice: eri ho ritirato la carta
d'argento
che cos'gli chiedi.
ome,si stupisce lui on sai cos'la carta d'argento?
Tutti possono avere la carta d'argento, basta avere sessant'anni. Guarda che
sul serio una grande comodit sui treni ti fanno lo sconto del 30 per
cento. io che c'entro?vorresti dirgli, ma te ne manca il coraggio.
he cos'il tempo?si chiede Sant'Agostino, quindi aggiunge e nessuno m
lo chiede, lo so, ma se dovessi spiegarlo a chi me lo chiede, finirei col non
saperlo
E il Presente?
Esiste sul serio il Presente? Se vero che il passato non esiste, perchnon
pi e se altrettanto vero che il Futuro non esiste, perchnon ancora,
come fa il Presente a esistere, quando solo una separazione tra due cose
che non esistono?
uesistere un qualcosa la cui condizione d'esistenza quella di cessare
d'esistere?E indubbio che ci sono due concetti di tempo: quello fisico
(tempo esterno), che dovrebbe essere uguale per tutti, e quello psichico
(tempo interno), che diverso da persona a persona e che varia col variare
degli avvenimenti. Il tempo psichico un connotato personale, come il colore
degli occhi o dei capelli, ma anche una grandezza accidentale: basta
confrontare la giornata di un venditore di detersivi a domicilio con quella
di un ergastolano per capire come possa variare il tempo.
Sant'Agostino lo definiva n'estensione dell'Animo Umano.A proposito di
tempo psichico, credo che possa essere illuminante un episodio capitatomi
quando lavoravo in IBM. A Napoli avevamo una sede eccezionale: primo e ultimo
piano di uno dei pibei palazzi di via Orazio, vista panoramica sul Golfo.
Unico difetto: un ascensore moscio o per dirla in linguaggio tecnico on
adeguato alla dinamicitdell'azienda Ogni giorno c'era qualcuno degli
impiegati che protestava per 'estenuante attesa al pianerottolo del primo o
del sesto piano D'altra parte l'edificio, a suo tempo, era stato progettato
per un uso esclusivamente abitativo.
Venne subito creata una task-force di esperti. Da Milano arrivarono un
architetto e un geometra dell'Ufficio Gestione Sedi, che nel giro di una
settimana misero a punto un progetto per un secondo ascensore da costruire
nel cortile del fabbricato. Nel frattempo don Attilio, il portiere dello
stabile, fu incaricato di rilevare quante persone prendevano l'ascensore tra
le 8.30 e le 19, compito questo che il brav'uomo porta termine con molto
scrupolo, riempiendo di segni un quaderno a quadretti dalla copertina nera.
ngegn guardate se faccio bene,mi disse un giorno, mostrandomi il
quaderno o disegno un'asta per ogni inquilino che vedo salire e una croce
per ogni IBM.Poi, dopo una breve pausa, mi guardcon aria di sconforto e
aggiunse: na croce, ingegn una croce!
Alla fine del rilevamento fu indetta una riunione per valutare i costi
dell'operazione e per convincere qualche condomino ancora riluttante a non
opporsi al progetto.
Erano presenti tutte le funzioni interessate. Si stava discutendo dei
permessi comunali, quando dal fondo della sala don Attilio chiese la parola.
eramente, avrei una proposta da fare: posso parlare?ica puregli
rispose il direttore.
hiedo scusa se m'intrometto, ma io, al posto vostro, invece di spendere
tutti questi milioni per un secondo ascensore, mi comprerei due begli
specchi. Uno lo piazzerei al primo piano e un altro al sesto: cosla gente
si guarda, il tempo passa e nessuno se ne accorge.Questa fu la soluzione
adottata e da quel momento nessuno pisi lamentdelle attese.
Uno dei modi per essere sicuri dell'esistenza del tempo quello di osservare
qualcosa che si muove. Supponiamo che davanti a me passi, ancheggiando, una
bella ragazza, e che io possa dire che prima era alla mia destra e che dopo
si portata alla mia sinistra. Il prima e il dopo in questo caso, potrebbero
costituire una discreta prova dell'esistenza del tempo. Eppure, malgrado io
l'abbia vista passare, non saprmai quanto tempo ffettivamenteabbia
impiegato a percorrere quei pochi metri.
La ragazza passata davanti a me e io l'ho continuamente fotografata, con la
retina, a intervalli regolari di un ventesimo di secondo. Attaccando una
dietro l'altra tutte queste immagini, il mio cervello alla fine potrdire di
aver istola ragazza passare, coscome uno spettatore che ha appena
assistito a La carica dei seicento sicuro di aver istoErrol Flynn.
fiondarsi al galoppo sul nemico. In effetti sia la ragazza che Errol Flynn,
presi istante per istante, erano del tutto immobili, anche se colti in
posizione diverse. E solo l'assemblaggio dei fotogrammi, operato dal
cervello, che restituisce l'idea del movimento.
Quanto detto pudarci un'idea della soggettivitdel movimento e quindi
anche del tempo: se la sensibilitdel mio occhio fosse stata molto pi
lenta, supponiamo per esempio, non superiore al decimo di secondo, io avrei
visto la ragazza passarmi davanti, freneticamente, come in una comica di
Ridolini. Se, al contrario, avessi avuto la sensibilitvisiva di una zanzara,
che mi dicono altissima, l'avrei vista procedere pian piano, come se
camminasse al rallentatore.
E per questo motivo che quando cerchiamo di schiiacciare una zanzara alla
parete non la becchiamo mai: la bestiola, nel suo mondo visto alla moviola,
vedravvicinarsi il nostro giornale con estrema lentezza e avrtutto il
tempo che vuole per evitarlo, anzi, potranche avvertire qualche compagna
distratta.
uarda che sta arrivando un giornale!ul serio? "Repubblica"!amma
mia: "Repubblica"! E cosa mi consigli di fare?on lo so...
andiamo piin alto, cosnessuno potrpidarci noia.E se ne volano via.
A questo punto non posso fare a meno di chiedermi: ma qual il vero tempo
dell'Universo? Quello dell'uomo o quello della zanzara? E gi perchla
zanzara, pur vivendo pochissimi giorni, ha una visione del tempo talmente
rallentata che le sembrerdi vivere tantissimo.
Chiamiamo in aiuto Bergson, Einstein e Fellini e vediamo se uno di questi tre
illustri signori, tra filosofia, scienza e poesia, possa darci una mano a
capire meglio che cos'il tempo.
Secondo Bergson, l'occhio che vede la ragazza, ma la mente che edeil
movimento.6 Infatti, dice il filosofo, se mentre guardo un pendolo vengo
preso dal sonno, di chi la colpa? Dell'ultima oscillazione? No di certo,
altrimenti mi sarei addormentato fin dalla prima. E ovvio quindi che a farmi
addormentare stata la regolaritdel movimento, e che il fenomeno non si
sarebbe verificato se in soccorso dell'occhio non fosse arrivata la memoria,
e ciola mente, a ricordare tutte le oscillazioni precedenti. La durata,
conclude Bergson, non un qualcosa di esterno che si possa misurare, come si
fa per lo spazio, ma una sintesi mentale.
Einstein va oltre: pensa che non solo il tempo psichico, quello interno, sia
relativo, ma che anche il tempo fisico, quello esterno, possa variare in
funzione della velocitcon cui l'orologio viaggia nello spazio, e per farlo
capire ai non matematici racconta il paradosso dei gemelli.
C'erano una volta due gemelli che non si perdevano mai di vista:
per venti anni erano stati sempre insieme, a scuola alle feste e in vacanza,
poi un bel giorno uno di loro viene assunto in una banca come sportellista e
l'altro s'imbarca su una navicella spaziale. L'astronauta, una volta partito,
non fa che girare vorticosamente tra le stelle, finchuna sera, dopo venti
anni, preso dalla nostalgia, torna a casa e trova che il fratello ha compiuto
quarant'anni ed diventato direttore di banca. Lui, invece, ha solo ventuno
anni, e questo perch(sempre secondo Einstein) quando ci si sposta a
velocitcosalte, pressochuguali a quella della luce, venti anni possono
corrispondere a un anno soltanto. Ma chiariamo bene il concetto: non che
l'astronauta crede che sia passato solo un anno; per lui davvero trascorso
solo anno, nel senso che la sua pelle, i suoi capelli e tutto il resto
risultano invecchiati di un anno soltanto. In altre parole durante il viaggio
tutti i tempi biologici del suo corpo sono stati rallentati, come se
all'interno delle cellule ci fossero tanti orologetti che hanno subo un
rallentamento per effetto della velocit
Se non ci credete, studiatevi la formula riportata nella nota.' Se abbiamo
avuto qualche problema a definire la durata del tempo entro periodi
relativamente brevi, figuriamoci quali difficoltincontreremmo se ci
spostassimo col pensiero agli estremi confini del Creato, al opo del dopo
ovvero ai bordi dell'infinito.
Prima che io nascessi c'era Garibaldi, e prima di Garibaldi c'era Lorenzo il
Magnifico, e prima di Lorenzo il Magnifico c'era Epicuro, e prima di Epicuro
la preistoria, e prima della preistoria le ere paleontologiche" e prima
ancora il big bang, e prima del big bang..? E qui mi fermo senza pisapere
che cosa inventarmi. L'unica risposta che mi viene in mente io. che
pera questo punto diventa una spiegazione fin troppo ccomoda. a che
faceva Diosi chiede Sant'Agostino prima di creare il Cielo e la Terra?E
subito risponde: on faceva nulla
Agli stessi risultati arriivo io se provo a inoltrarmi nel futuro. Corro con
l'immaginazione avanti, sempre piavanti, chiedendomi di continuo:
he cosa accadrddopo la mia morte, e dopo la morte di tutti gli uomini, e
dopo la morte dell'Universo? Puessere che alla fine di tutto questo
baraccone non ci sia nulla di organizzato? Insomma che non ci sia niente, ma
proprio niente di niente, e che non possiamo far niente per evitare tutto
questo niente? Pensa come ci resterebbe male Berlusconi!
E allora, mi chiedo ancora, tutti i capolavori, i panorami, i grandi uomhini:
Socrate, Capri, Ges Tot la Nona di Beethoven, Chaplin, Dostoevskij,
ShakespeOalre, mor che a nullo amato amar perdona Leonardo da Vinci e
compagnia bella che sarebbero nati a fare? Solo per prendere in giro
l'umanit Mi rifiuto di pensarlo.
Federico Fellini, nel finale del film I clovvn, avanza Un'ipotesi: ci
ritroveremo tutti, perlomeno quelli che si vogliono bene, in un'altra
dimensione, probabilmente in una dimensione musicale.
C'un pagliaccio che racconta: na volta facevo un numero con un compagno
che si chiamava Fru-Fru: fingevamo che lui fosse morto. Io entravo e
chiedevo: ov'Fru-Fru? E il direttore mi rispondeva: on lo sai che
morto?". ome sarebbe a dire morto?protestavo io.Mi deve ancora
restituire le dieci salsicce che gli ho prestato l'anno scorso!E il
direttore: "Eppure morto
Allora io mi mettevo a girare per tutta la pista e gridavo Fru-Fru...
Fru-Fru...
ma nessuno mi rispondeva. "E se fosse morto davvero," pensavo "come faccio a
trovarlo? Uno non pumica sparire cos da qualche parte deve pur stare." A
questo punto mi viene un'idea: provo a suonare la canzone del nostro numero,
ebbene, non appena attacco una nota, ecco che lui mi appare, come per
incanto, e mi risponde suonando
Che io provi a fantasticare dell'inizio dei tempi oppure della fine del
mondo, le difficoltsono sempre le stesse; la ragione non ce la fa a venirmi
dietro. Forse potrei tentare con l'intuizione, come se la ragione fosse solo
la rincorsa e l'intuizione il balzo necessario per giungere alla veritA
meno che, stanco di cercare invano, non mi riposi nella Fede.
Ma cercare Dio desiderando, come diceva il professor Barbieri, il mio folle
amico del Dubbio, non forse meglio che trovarselo precotto e a buon mercato
con la Fede?







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