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IL GIOCATORE

F蝹or Dostoevskij





IL GIOCATORE









1.





Finalmente ritornavo dopo un'assenza di due settimane. Gida tre giorni i nostri si trovavano a Roulettenburg. Pensavo di essere atteso con chi sa quale ansia, e invece mi sbagliavo. Il generale mi accolse con una disinvoltura eccessiva, mi parl squadrandomi dall'alto in basso e mi mandda sua sorella. Era evidente che da qualche parte erano riusciti a procurarsi del denaro. Ebbi addirittura l'impressione che il generale mi guardasse con un certo imbarazzo. M跫ja Fil髹povna,
indaffaratissima, mi liquidcon poche parole; prese, per il denaro, lo conte ascoltil mio rapporto. A pranzo erano attesi Mezentz瓃, il francesino e un inglese; come sempre, quando c'era denaro, subito inviti a pranzo:

secondo l'uso moscovita. Polina Aleks跣drovna, vedendomi, mi chiese come mai fossi rimasto assente tanto a lungo. Ma non aspettnemmeno la risposta e se ne and Si capisce, l'aveva fatto apposta. Perdovevo parlarle a ogni costo. Molte cose si
erano accumulate.

Mi era stata assegnata una piccola stanza, al quarto piano dell'albergo: si sa qui che io appartengo al "seguito del generale". Da ogni cosa si capisce che essi sono riusciti a dare nell'occhio. Qui il generale creduto un ricchissimo magnate
russo. Ancora prima di pranzo, ha fatto in tempo, tra gli altri incarichi, a darmi due biglietti da mille franchi da cambiare, la qual cosa feci alla segreteria dell'albergo. Ora ci riterranno dei milionari, almeno per una settimana. Volevo prendere
Misha e N趔ja e portarli a fare una passeggiata, ma sulla scala mi chiamarono per conto del generale: si degnava di informarsi su dove avrei portato i bambini. Quest'uomo non puassolutamente guardarmi negli occhi: vorrebbe farlo, ma io, ogni
volta, gli rispondo con uno sguardo cosfisso, vorrei dire irriverente, che egli sembra confondersi. Con un discorso tronfio, legando alla meglio una frase dopo l'altra e, alla fine, impappinandosi completamente, mi fece capire che dovevo
passeggiare con i bambini lontano dal Casin nel parco. E, irritandosi, concluse bruscamente:

"Se no, a voi salta magari in mente di portarli al Casin alla roulette. Mi dovete scusare," aggiunse, "ma so che siete ancora un po' sventato e capace, Dio sa, di mettervi a giocare. In ogni caso, anche se io non sono il vostro mentore e non ho
alcuna intenzione di assumere una simile parte, ho tuttavia il diritto di pretendere che voi, per cosdire, non mi compromettiate..." "Ma sapete che non ho denaro," risposi in tutta calma, "e, per perderlo, bisogna averlo." "Lo avrete
immediatamente" rispose il generale, arrossendo leggermente; poi, rovistato nel suo scrittoio, consultun libriccino e risultche mi doveva circa centoventi rubli.

"Per poter fare questi conti" riprese, "serve cambiare i denari in talleri. Prendete per ora cento talleri, cifra tonda; il resto, naturalmente, non andrperduto." Presi il denaro in silenzio.

"Per favore, non offendetevi per quanto vi ho detto, siete cospermaloso... Se vi ho fatto un'osservazione, l'ho fatto, per cosdire, allo scopo di mettervi in guardia e, certamente, con un certo diritto..." Ritornando a casa con i bambini per il
pranzo, incontrai un'intera cavalcata: erano i nostri che andavano a visitare non so quali rovine... Due splendide carrozze e dei cavalli superbi!

Mademoiselle Blanche era in carrozza con M跫ja Fil髹povna e Polina; il francesino, l'inglese e il nostro generale andavano a cavallo. I passanti si fermavano a guardarli: l'effetto era raggiunto... ma il generale finirmale! Ho fatto il conto che,
aggiungendo ai quattromila franchi che ho portato io quelli che evidentemente sono riusciti a procurarsi, avranno in tutto sette o ottomila franchi; troppo pochi per mademoiselle Blanche.

Mademoiselle Blanche sta anche lei nel nostro albergo, insieme con la madre; e ci sta anche, non so bene dove, il nostro francesino.

I camerieri lo chiamano "monsieur le comte", la madre di Blanche viene chiamata "madame la comtesse", e magari lo sono veramente "comte" e "comtesse".

Sapevo giche "monsieur le comte" non mi avrebbe riconosciuto quando ci saremmo trovati a tavola per il pranzo. Il generale, naturalmente, non pensa presentarci o, almeno, a presentare me a lui; ma "monsieur le comte" stato in Russia e sa
benissimo che persona poco importante sia quello che essi chiamano "outchitel" (1). Egli, d'altra parte, mi conosce molto bene. Ma, se devo essere sincero, anche a pranzo sono capitato senza essere invitato: sembra che il generale si fosse
dimenticato di dare disposizioni al riguardo, se no senza dubbio mi avrebbero mandato a pranzare alla "table d'h矌e". Mi presentai cos di mia iniziativa, tanto che il generale mi gettun'occhiata poco soddisfatta. La buona M跫ja Fil髹povna mi
indicsubito un posto, ma l'incontro con mister Astley mi tolse d'impiccio e, senza volerlo, feci la figura di appartenere alla loro societ

Avevo incontrato questo strano inglese per la prima volta in Prussia, in treno, dove sedevamo l'uno di fronte all'altro, quando ero in viaggio per raggiungere i nostri; poi mi ero imbattuto in lui entrando in Francia e, infine, in Svizzera; poi un
paio di volte nel corso di quelle due settimane, ed ecco che ora lo avevo incontrato inaspettatamente a Roulettenburg. Non mi mai capitato in tutta la vita di conoscere un uomo pitimido, timido fino alla stupidite lui, naturalmente, se ne
rende conto perchstupido non lo affatto. Del resto, molto simpatico e tranquillo. Ero riuscito a farlo parlare durante il nostro primo incontro in Prussia. Mi disse che nell'estate era andato al Capo Nord e che aveva una gran voglia di
visitare la fiera di Niginij-N瓃gorod.

Non so come abbia conosciuto il generale: mi sembra che sia innamoratissimo di Polina. Quando lei entrata, il viso di lui si fatto di bracie. Era molto contento che a tavola gli sedessi vicino, e mi sembra che mi consideri gicome suo intimo
amico.

A tavola il francesino si dava molte arie: superbo e sprezzante con tutti. E a Mosca, mi ricordo, non faceva che bolle di sapone.

Parlsenza posa di finanze e di politica russa. Il generale, ogni tanto, osava contraddirlo ma con molta discrezione, unicamente quel tanto che bastava per non mettere a repentaglio la propria importanza.

Io ero in uno strano stato d'animo; si capisce, prima ancora di essere a metdel pranzo mi ero giposto la solita domanda di tutti i giorni: "Perchcontinuo a frequentare questo generale e non l'ho piantato da un pezzo?" Di tanto in tanto
guardavo Polina Aleks跣drovna, ma lei non badava assolutamente a me. Finii con l'irritarmi e decisi di diventare insolente.

E cominciai cosche a un tratto, senza nessun motivo e senza essere interpellato, mi intromisi nella conversazione altrui.

Avevo voglia, soprattutto, di attaccarmi con il francesino. Mi rivolsi al generale e di colpo, a voce alta e mi sembra anche interrompendolo, osservai che quell'estate era diventato quasi impossibile per i russi mangiare alle "tables d'h矌e". Il
generale mi gettuno sguardo stupito.

"Se siete uno che appena si rispetti" continuai, "immancabilmente vi sentirete insultare e dovrete sopportare le piumilianti mortificazioni. A Parigi, sul Reno, e persino in Svizzera, ci sono alle "tables d'h矌e" tanti di quei polaccuzzi e
francesini che simpatizzano tra loro che non possibile dire una parola, se siete russo." Dissi questo in francese. Il generale mi guard incerto se andare in collera o solo meravigliarsi che io mi fossi lasciato andare fino a quel punto.

"Vuol dire allora che da qualche parte qualcuno vi ha dato una lezione" disse il francesino, con incurante disprezzo.

"Io, a Parigi, prima ho attaccato lite con un polacco," gli risposi, "poi con un ufficiale francese che aveva preso le parti del polacco. Ma poi una parte dei francesi comincia spalleggiare me quando raccontai loro che volevo sputare nel caffdi
un monsignore." "Sputare?" chiese il generale con espressione incredula e guardandosi in giro. Il francesino, mi fissava con diffidenza.

"Proprio cos risposi. "Poichper due giorni fui convinto che avrei dovuto fare un salto a Roma per le nostre faccende, mi recai negli uffici dell'ambasciata del Santo Padre a Parigi per far vistare il mio passaporto. Lmi ricevette un abatino
sui cinquant'anni, secco e dalla fisionomia gelida che, dopo avermi ascoltato con cortesia ma con straordinaria freddezza, mi pregdi aspettare. Nonostante avessi fretta, naturalmente mi sedetti ad aspettare, tirai fuori l'"Opinion Nationale" e
cominciai a leggere alcune tremende invettive contro la Russia. Intanto avevo udito che qualcuno, dalla stanza vicina, era entrato dal monsignore e vidi il mio abate inchinarsi. Mi rivolsi a lui con la preghiera di prima: in tono ancora pi asciutto, mi pregnuovamente di attendere. Dopo un po' entrun altro sconosciuto ma per affari, un austriaco; gli diedero subito ascolto e lo accompagnarono di sopra. Allora cominciai a irritarmi, mi alzai mi avvicinai all'abate e gli dissi in
tono deciso che, visto che il monsignore riceveva, poteva sbrigare anche me. D'improvviso l'abate si spostin preda a un insolito stupore. Non poteva assolutamente capire come mai un russo qualunque avesse l'ardire di paragonarsi ai visitatori di
monsignore. Con tono insolente, come se provasse un vero piacere nel potermi offendere, mi squadrdalla testa ai piedi, esclamando: "Possibile che voi pensiate che monsignore lasci il suo caffper voi?" Allora presi a gridare, ma ancora piforte
di lui: "Sappiate che nel caffdel vostro monsignore io ci sputo! Se non la fate immediatamente finita con il mio passaporto, andrio stesso da lui..." "Come! proprio mentre c'da lui un cardinale!" urll'abatino, allontandosi da me con orrore:
poi si precipitalla porta e incrocile braccia facendo vedere che sarebbe morto piuttosto di lasciarmi passare. Allora gli risposi che io ero un eretico e un barbaro, "que je suis her彋ique et barbare", e che di tutti quei vescovi, arcivescovi,
cardinali, monsignori eccetera eccetera, me ne infischiavo altamente. In una parola, gli feci capire che non avrei ceduto. L'abate mi lanciun'occhiata piena di odio sconfinato, mi strappdi mano il passaporto e lo portdi sopra.

Dopo un minuto era givistato. Eccolo, signori, volete vederlo?" Tirai fuori di tasca il passaporto e mostrai il visto di Roma.

"Voi per.." cominciil generale...

"Vi ha salvato il fatto che vi siete dichiarato eretico e barbaro" osservridendo il francesino. "Cela n'彋ait pas si b皻e!" (2) "Cosdunque si devono trattare i nostri russi? Loro se ne stanno qui tranquilli, non osano nemmeno fiatare e sono
magari anche pronti a negare di essere russi. Per lo meno, a Parigi, nel mio albergo, avevano cominciato a trattarmi con molto piriguardo da quando avevo raccontato a tutti la mia lite con l'abate. Un grosso "pan" (3) polacco, il piostile verso
di me alla "table d'h矌e", era passato in seconda linea. I francesi sopportarono addirittura che io raccontassi di aver visto due anni prima un uomo contro il quale un cacciatore francese aveva sparato nel '12, soltanto per scaricare il fucile.
Quell'uomo era allora un ragazzino di soli dieci anni e la sua famiglia non aveva fatto in tempo a fuggire da Mosca." "Questo non possibile!" esclaminfuriato il francesino. "Un soldato francese non spara contro un ragazzo!" "Perla cosa successa" ribattei io. "Me l'ha raccontata un rispettabile capitano a riposo, e io stesso ho visto sulla sua guancia la cicatrice lasciata dal proiettile." Il francesino si mise a parlare in fretta e senza pismetterla.

Il generale stava giper spalleggiarlo, ma io gli raccomandai di leggere, per esempio, qualche brano dalle "Memorie" del generale Perovskij, che nel '12 era stato prigioniero dei francesi. Infine, M跫ja Fil髹povna si mise a parlare di non so pi che cosa per cambiare discorso. Il generale era molto scontento di me, perchio e il francese avevamo giiniziato ad alzare la voce. Ma a mister Astley mi sembrche fosse molto piaciuta la mia discussione con il francese; alzandosi da tavola mi
invita bere un bicchiere di vino. La sera mi riusc com'era da aspettarsi, di poter parlare per un quarto d'ora con Polina Aleks跣drovna. La nostra conversazione avvenne durante la passeggiata. Tutti erano andati nel parco, verso il Casin
Polina si era seduta su una panchina, di fronte alla fontana, e aveva lasciato che N趔enka andasse a giocare non lontano con altri bambini. Anch'io avevo lasciato andare Misha alla fontana e cosi rimanemmo finalmente soli.

Si capisce che iniziammo a parlare di affari. Polina andaddirittura in collera quando le consegnai in tutto settecento "gulden". Era sicura che gliene avrei portati da Parigi, in pegno dei suoi brillanti, almeno duemila e anche di pi

"Ho bisogno di denaro, a ogni costo" mi disse, "e occorre trovarlo. Se no, sono perduta." Cominciai a interrogarla su quello che era successo durante la mia assenza.

"Nient'altro che questo: abbiamo ricevuto da Pietroburgo due notizie, la prima che la nonna stava molto male e, dopo due giorni, che sembrava fosse gimorta. Queste notizie ci sono arrivate da Timof嶴 Petrovitch" aggiunse Polina, "e lui un uomo
molto preciso. Aspettiamo ora la notizia definitiva." "Cos qui, sono tutti in attesa?" chiesi.

"Naturalmente, tutto e tutti; da sei mesi sperano soltanto in questo." "Anche voi ci sperate?" domandai.

"Ma il fatto che io non le sono affatto parente, poichsono solo la figliastra del generale. Ma so con certezza che si ricorderdi me nel testamento." "Credo che anche a voi tocchermoltissimo" risposi confermando.

"Si, mi voleva bene; ma perchvoi lo credete?" "Ditemi," le risposi con un'altra domanda, "il nostro marchese anche lui dentro a tutti i segreti di famiglia?" "Ma voi perchve ne interessate?" chiese Polina, lanciandomi uno sguardo duro e severo.

"Sfido io! Se non mi sbaglio, il generale giriuscito a farsi prestar denaro da lui." "L'avete indovinata!" "Credete che gli avrebbe dato del denaro, se non avesse saputo della nonna? Avete notato che lui, a tavola, per ben tre volte, parlando
della nonna l'ha chiamata 'bab灦enka,' la 'baboulinka' (4)? Che razza di rapporti confidenziali e amichevoli!" "S avete ragione. Non appena saprche mi toccherqualcosa per testamento, subito chiederla mia mano. Era questo che volevate
sapere?" "Solo adesso chiederla vostra mano? Credevo che l'avesse fatto da un pezzo..." "Sapete benissimo che non cos" esclamcon rabbia Polina.

"Dove avete incontrato questo inglese?" aggiunse, dopo un minuto di silenzio.

"Ero certo che ora avreste chiesto di lui." E le raccontai dei miei precedenti incontri con mister Astley.

"E' timido e si accende facilmente: naturalmente, sargiinnamorato di voi!" "S innamorato di me" rispose Polina.

"Ed senza dubbio, dieci volte piricco del francese. Ma il francese possiede poi veramente qualche cosa? Non c'alcun dubbio al riguardo?" "Non c'alcun dubbio. Possiede non so quale 'ch漮eau'. Ancora ieri il generale ne parlava con sicurezza.
Ebbene, siete soddisfatto?" "Io, al vostro posto, sposerei senz'altro l'inglese." "Perch" chiese Polina.

"Il francese pibello, ma pivile; l'inglese soprattutto, onesto, e poi dieci volte piricco" risposi seccamente.

"Si, peril francese marchese e piintelligente" ribattlei con la massima calma.

"Ma proprio vero?" continuai, con il tono di prima.

"Verissimo!" A Polina le mie domande dispiacevano tremendamente, e mi accorgevo che voleva farmi irritare con il tono e la stranezza delle sue risposte; e glielo dissi subito.

"Sapete, mi diverte proprio vedere come vi infuriate. Non fosse altro che per il fatto che vi permetto di rivolgermi simili domande e di fare simili congetture, dovete pagarmela." "Mi ritengo in pieno diritto di farvi qualsiasi domanda," le risposi
con tutta calma, "precisamente perchsono pronto a pagarle come volete, e la mia vita adesso non la stimo proprio niente." Polina scoppia ridere.

"L'ultima volta, sullo Schlangenberg, mi avete detto che eravate pronto, alla mia prima parola, a buttarvi gia capofitto e mi sembra che lci sia un salto di circa mille piedi. Un bel giorno pronuncierquesta parola solo per vedere come
pagherete, e siate pur certo che non cambieridea. Voi mi siete odioso proprio perchvi ho concesso tante liberte ancora piodioso perchmi siete necessario. Ma, fino a che mi siete necessario, bisogna che vi tenga da conto." Fece per alzarsi.
Parlava con voce irritata. Negli ultimi tempi concludeva sempre i suoi colloqui con me con irritazione e astio, s con vero astio!

"Mi permettete di chiedervi che cos'questa mademoiselle Blanche?" chiesi, non volendo lasciarla andare via senza una spiegazione.

"Lo sapete benissimo che cos'mademoiselle Blanche. Niente di nuovo si aggiunto da allora. Mademoiselle Blanche diventersenza dubbio generalessa, naturalmente se le voci sulla morte della nonna verranno confermate, poichmademoiselle Blanche,
sua madre e il marchese, 'cousin' di terzo grado, sanno benissimo che noi siamo rovinati." "E il generale proprio innamorato?" "Ma ora non si tratta di questo. Ascoltate e tenete bene in mente:

prendete questi settecento fiorini, andate a giocare, e vincete alla roulette quanto pipotete; ho bisogno di denaro, a ogni costo." Detto questo, chiamN趔enka e andverso il Casindove si riuna tutta la nostra compagnia. Io girai a sinistra
per il primo sentiero che mi capit soprappensiero e meravigliato.

Quell'ordine di andare alla roulette mi aveva fatto l'effetto di un pugno in testa. Cosa strana: avevo di che riflettere e, invece, mi sprofondai nell'analisi dei miei sentimenti per Polina. In veritin quelle due settimane di assenza mi ero
sentito meglio di adesso, giorno del mio ritorno, anche se durante il viaggio avevo sofferto di una tremenda nostalgia di lei, mi ero agitato come un ossesso e persino in sogno l'avevo continuamente davanti a me. Una volta (successe in Svizzera),
addormentatomi in treno, mi ero messo, sembra, a parlare ad alta voce con Polina, facendo ridere tutti i miei compagni di viaggio. E ancora una volta, adesso, mi chiesi se la amavo. E ancora una volta non seppi rispondere, cio per meglio dire, per
la centesima volta risposi a me stesso che la odiavo. S lei mi era odiosa. C'erano dei momenti (e precisamente ogni volta che concludevamo i nostri colloqui) che avrei dato metdella mia vita per strozzarla. Giuro che se fosse stato possibile
affondare lentamente nel suo petto un acuminato coltello, credo che lo avrei afferrato con gioia. E nello stesso tempo giuro, su tutto quanto ho di pisacro, che se sullo Schlangenberg, la vetta di moda, lei mi avesse detto: "Buttatevi gi"
l'avrei fatto immediatamente e persino con volutt Lo sapevo. In un modo o nell'altro, la cosa doveva decidersi. Tutto questo lei lo capisce perfettamente, e il pensiero che io sia convinto sinceramente e profondamente della sua inaccessibilitper
me, dell'impossibilitdi realizzare le mie fantasie, questo pensiero, sono convinto, le procura un godimento straordinario; in caso contrario come potrebbe lei, tanto intelligente e prudente, essere con me in rapporti cossinceri e familiari? Mi
sembra che fino ad ora mi abbia considerato come quell'antica imperatrice che si spogliava davanti al suo schiavo, non ritenendolo un uomo. S molte volte non mi ha considerato un uomo...

Comunque avevo avuto da lei un incarico: vincere alla roulette a qualunque costo. Non avevo tempo di pensare: perchbisogna vincere con tanta urgenza e quali nuove considerazioni saranno nate in quel cervello eternamente in azione per i suoi
calcoli?

Oltre a questo era evidente che in quelle due settimane si era accumulato un sacco di fatti nuovi dei quali non avevo ancora idea. Bisognava indovinare tutto, vedere bene in fondo a ogni cosa e il pipresto possibile. Ma per il momento non avevo
tempo:

dovevo vincere alla roulette.





NOTE:

1. Precettore, in russo. La grafia vuole rendere la pronuncia francese.
2. "Non stata una cattiva idea!"
3. Signore, in polacco.
4. Nonnina. Deformazione grafica per rendere la pronunzia francese.




2.





Confesso che la cosa mi riusciva spiacevole; nonostante avessi ormai deciso di giocare, non volevo assolutamente farlo per gli altri. La cosa, anzi, mi sconcertava non poco, ed entrai nelle sale da giuoco con una sensazione molto fastidiosa. Fin
dalla prima occhiata, niente ldentro mi piacque. Non posso soffrire la servilitdei "feuilletons" dei giornali di tutto il mondo, e soprattutto quella dei nostri giornali russi, nei quali quasi ogni primavera gli articolisti trattano due
argomenti: innanzi tutto la straordinaria grandiosite lo sfarzo delle sale da giuoco delle cittsul Reno dove c'la roulette, e in secondo luogo i mucchi d'oro che, a sentire loro, giacerebbero sui tavoli. E sche non sono pagati per questo:
scrivono queste cose cos con una disinteressata compiacenza. Nessuna grandiosite nessuno sfarzo in queste sudicie sale; e, quanto all'oro, non solo non giace a mucchi sui tavoli, ma tanto se lo si vede qualche volta comparire. Naturalmente pu accadere nel corso della stagione che capiti qualche tipo originale, o un inglese o un qualche asiatico, un turco, come quest'estate, che di colpo perda o guadagni moltissimo; gli altri giocatori puntano piccole somme e, mediamente, sui tavoli si
trova sempre poco denaro.

Appena entrai nella sala da giuoco (era la prima volta nella mia vita) rimasi ancora un po' di tempo senza decidermi a giocare. E per di pila folla mi spingeva. Ma anche se fossi stato solo, anche allora, penso, me ne sarei andato subito e non
avrei cominciato a giocare. Confesso che il cuore mi batteva forte e che avevo perso tutto il mio sangue freddo; sapevo con certezza, e da molto tempo lo avevo deciso, che da Roulettenburg non me ne sarei andato cos semplicemente; nel mio destino
sarebbe sopravvenuto qualcosa di radicale e di definitivo. Cosdeve essere e cossar Per quanto sia ridicolo che io mi aspetti tanto dalla roulette, mi sembra ancora piridicola l'opinione comune, accettata da tutti, che assurdo e stupido
aspettarsi qualcosa dal gioco. Perchil gioco dovrebbe essere peggiore di qualsiasi altro mezzo per far quattrini come, per esempio, del commercio?

Vero che, su cento, uno solo vince, ma a me che importa?

Comunque decisi, per prima cosa, di osservare tutto attentamente e di non cominciare, per quella sera, niente di serio. Quella sera, se doveva succedere qualcosa, sarebbe successa come imprevisto, per caso; cosavevo deciso. Inoltre era necessario
che imparassi il gioco poich nonostante le mille descrizioni della roulette che io avevo sempre letto con avido interesse, non avevo capito assolutamente niente del suo meccanismo fino a che non avevo visto io stesso.

Innanzi tutto, ogni cosa mi sembrcoslurida, moralmente brutta e lurida! E non parlo di quelle facce avide e inquiete che a decine, anzi a centinaia, affollano i tavoli da giuoco. Non vedo proprio niente di sudicio in quel desiderio di guadagnare
pipresto e di pi e ho sempre ritenuto sciocco il pensiero di un moralista sazio e ben provvisto che, alla giustificazione di un tale che "si fanno solo piccole puntate" rispose: "Tanto peggio perchil guadagno misero". Come se guadagno misero
e guadagno consistente non fossero la stessa cosa. E' solo questione di proporzione. Quello che per Rotschild una miseria, per me una ricchezza; e, in quanto al fatto del guadagno e della vincita, gli uomini non solo alla roulette, ma
dappertutto e sempre, non fanno che strapparsi o vincersi l'un l'altro qualche cosa. Che, in generale, lucro e guadagno siano sporchi, un'altra faccenda, ma non qui il caso di risolverla. Dal momento che anch'io ero dominato al massimo dal
desiderio di vincere, cosquell'interesse e quell'interessata bruttura, mi erano, se volete, entrando nella sala, in certo qual modo pifamiliari e pivicini. Una delle cose pisimpatiche quando due persone non fanno tra loro complimenti, ma
agiscono in tutta franchezza e con il cuore in mano. E perch allora, ingannare se stessi? E' l'occupazione piinsulsa e piimprudente che ci sia! Particolarmente odiosa, fin dal primo sguardo, in tutta quell'accozzaglia di gente da roulette, era
quell'aria di rispetto per la propria occupazione, quella seriete direi quasi riverenza con cui tutti stavano intorno ai tavoli. Ecco perchqui si fa una netta distinzione tra il gioco detto di "mauvais genre" e quello permesso alla gente come si
deve. Esistono due giuochi: uno da gentiluomo e l'altro plebeo, interessato, il giuoco, insomma, che fa qualsiasi canaglia. Qui la distinzione molto rigida, ma com'vile, in fondo, questa distinzione! Il gentiluomo, per esempio, pupuntare
cinque o dieci luigi, raramente di pi del resto, puanche puntare un migliaio di franchi, se molto ricco, ma, in sostanza, per il gioco in se stesso, solo per divertimento, solo per osservare il meccanismo della vincita o della perdita; ma non
deve affatto interessarsi alla vincita in s Se vince pu per esempio, ridere forte, pufare a qualcuno di quelli che gli stanno intorno una sua osservazione, pupersino fare un'altra puntata e raddoppiare ancora, ma soltanto per curiosit per
osservare le "chances", per fare dei calcoli e mai per il volgare desiderio di vincere. In una parola, tutti quei tavoli da giuoco, le roulettes e il "trente et quarante", deve considerarli solo come un passatempo, organizzato esclusivamente per il
suo diletto.

Il profitto e il trucco sui quali fondato e organizzato il banco, egli non deve neanche sospettarli. E sarebbe addirittura assai bello, per esempio, che gli sembrasse che tutti gli altri giocatori, tutta quella gentucola che trema per un "gulden",
fossero dei ricconi e dei gentiluomini suoi pari e che giocassero unicamente per distrazione e per passatempo. Una simile assoluta ignoranza della realte quell'ingenuo modo di considerare gli uomini sarebbero certo estremamente aristocratici. Ho
visto come molte mammine spingevano avanti innocenti e raffinate "misses" di quindici o sedici anni, loro figliole, e come, fornitele di alcune monete d'oro, insegnavano loro come giocare. La signorina, sia che vincesse, sia che perdesse,
immancabilmente sorrideva e si allontanava molto soddisfatta. Il nostro generale si era accostato al tavolo con aria grave e dignitosa; un servitore si era precipitato a porgergli una sedia, ma egli non gli aveva badato; con grande lentezza estrasse
il borsellino, con altrettanta lentezza ne tirfuori trecento franchi d'oro, li puntsul nero e vinse. Non ritirla vincita e la lascisul tavolo. Usci di nuovo il nero; anche questa volta non prese il denaro e, quando la terza volta venne fuori
il rosso, aveva perso di colpo milleduecento franchi. Si allontancon un sorriso, senza perdere niente della sua dignit Sono convinto che si sentiva il cuore stretto e che, se la posta fosse stata due o tre volte pigrossa, non avrebbe saputo
restare indifferente e si sarebbe palesata la sua emozione.

Del resto, in mia presenza, un francese guadagne poi perdette una trentina di migliaia di franchi allegramente e senza dimostrare nessun turbamento. Il vero gentiluomo, anche se perdesse tutte le sue sostanze, non deve agitarsi. I denari devono
essere a tal punto piin basso della sua qualitdi gentiluomo da non mettere in conto che egli se ne dia pensiero. E' naturale che sarebbe molto aristocratico non notare affatto tutto il sudiciume di quella marmaglia e di quell'ambiente. A volte,
per non meno aristocratico il procedimento inverso, di osservare, ciodi guardare e anzi di scrutare a fondo, sia pure attraverso l'occhialino, tutta quella marmaglia; ma soltanto considerando quella folla e quel sudiciume come uno svago di
tipo particolare, come uno spettacolo organizzato per il divertimento dei gentiluomini. Potete anche voi farvi pressare in mezzo a questa folla, ma guardarvi intorno con l'assoluta convinzione di essere semplicemente un osservatore e di non
appartenervi per niente. Del resto, osservare con troppa insistenza, non molto conveniente:

neppure questo da gentiluomo, perch in ogni caso, lo spettacolo non merita una grande e troppo intensa osservazione. E, in genere, sono pochi gli spettacoli degni di un'attenta osservazione da parte di un gentiluomo! Comunque a me personalmente
sembrato che tutto cimeritasse un'attentissima osservazione, specialmente per chi sia venuto non solo per osservare, ma sinceramente e coscienziosamente si annoveri tra quella canaglia. Per quanto si riferisce alle mie intime convinzioni morali,
esse naturalmente non trovano posto nelle mie attuali considerazioni. Sia pure cos lo dico per liberarmi di coscienza. Ma una cosa voglio notare: che, in questi ultimi tempi, mi sembrato terribilmente odioso rapportare le mie azioni e i miei
pensieri a un qualsiasi metro morale... Ben altro mi dominava...

La gentaglia gioca veramente in maniera assai sporca. Non sono nemmeno molto alieno dal pensare che qui al tavolo da gioco accadano molte delle picomuni ruberie. I "croupiers" che, seduti alle estremitdel tavolo, controllano le puntate e pagano
le vincite, hanno un lavoro tremendo. Ma che razza di canaglie sono pure loro! Per la maggior parte sono francesi. Del resto, io qui osservo e noto non certo per descrivere la roulette; cerco di ambientarmi per me stesso, per sapere come regolarmi
nel futuro.

Ho osservato, per esempio, che non c'niente di picomune di una mano ignota che si allunghi improvvisamente da dietro il tavolo e vi prenda ciche avete guadagnato. Comincia una discussione, spesso si alza la voce ma vedete un po' se siete
capace di dimostrare, trovando dei testimoni, che la puntata vostra!

All'inizio tutto questo era per me arabo; indovinavo e distinguevo solo, alla bell'e meglio, che le puntate venivano messe sui numeri, sul pari o sul dispari, e sui colori. Del denaro di Polina Aleks跣drovna decisi di rischiare, per quella sera,
soltanto cento "gulden". Il pensiero che mi preparavo a giocare non per me mi sconcertava. La sensazione era incredibilmente sgradevole e provai il desiderio di liberarmene al pipresto. Mi sembrava sempre che, cominciando a giocare per Polina,
avrei compromesso la mia personale buona sorte. E possibile che non ci si possa avvicinare a un tavolo da giuoco senza essere subito contagiato dalla superstizione? Cominciai con il tirare fuori cinque federici d'oro (1), ciocinquanta "gulden" e
li puntai sul pari. La ruota gire venne fuori il tredici: avevo perduto! Con una certa qual morbosa sensazione, solamente per liberarmene in qualche modo e andarmene, puntai ancora cinque federici sul rosso: usci il rosso. Puntai nuovamente il
tutto: usci ancora il rosso. Ricevetti quaranta federici, ne puntai venti sui dodici numeri di centro, senza sapere che cosa ne sarebbe venuto fuori. Mi fu pagato il triplo.

Cosi i miei dieci federici erano diventati improvvisamente ottanta. Mi sentii cosa disagio, per una sensazione insolita e strana, che decisi di andarmene. Mi sembrche non avrei affatto giocato cosse avessi giocato per me. Tuttavia puntai
ancora una volta sul pari tutti gli ottanta federici e usci il quattro; mi sborsarono altri ottanta federici; e, afferrato tutto il mucchio dei centosessanta federici, andai a cercare Polina Aleks跣drovna.

Stavano tutti passeggiando non so in quale parte del parco e non riuscii a vederla che a cena. Questa volta il francese non c'era, e il generale si sfoga parlare e, tra l'altro, credette necessario osservarmi nuovamente che non avrebbe desiderato
vedermi al tavolo da giuoco. Secondo la sua opinione lo avrei compromesso molto se avessi perso una somma forte.

"Ma anche se vinceste moltissimo, sarei ugualmente compromesso" aggiunse in tono significativo. "Certo non ho il diritto di disporre delle vostre azioni, ma converrete voi stesso..." A questo punto, secondo la sua abitudine, non finil discorso.

Gli risposi in tono asciutto che avevo pochissimo denaro e che, di conseguenza, non potevo perdere in modo troppo appariscente, anche se mi fossi messo a giocare. Mentre salivo di sopra riuscii a consegnare a Polina la sua vincita e le dichiarai che
un'altra volta non avrei pigiocato per lei.

"E perch" chiese lei in tono preoccupato.

"Perchvoglio giocare per me" risposi, guardandola con stupore.

"E cosnon posso." "Siete dunque sempre fermamente convinto che la roulette sia la vostra unica via d'uscita e di salvezza?" mi chiese in tono ironico. Le risposi di nuovo di s con molta seriet le dissi che per quanto riguardava la mia
sicurezza di vincere senza fallo, la cosa poteva sembrare ridicola, d'accordo, ma che "mi si lasciasse in pace." Polina Aleks跣drovna insisteva perchdividessi a metcon lei la vincita della giornata e voleva darmi ottanta federici, proponendomi
di continuare a giocare a quel patto. Ma io rifiutai la metoffertami in modo fermo e definitivo e dichiarai che non potevo giocare per gli altri non perchnon volessi farlo, ma perchavrei senza dubbio perduto.

"E tuttavia io stessa, per quanto sciocco sia questo pensiero, spero ormai quasi soltanto nella roulette" mi disse pensierosa, "e percivoi dovete assolutamente continuare a giocare, facendo a metcon me e, si capisce, lo farete." E a questo punto
se ne andsenza ascoltare le mie ulteriori obiezioni.





NOTE:

1. Moneta tedesca, del valore di circa dieci gulden.




3.





Tuttavia ieri, per l'intera giornata, non mi disse una sola parola che si riferisse al giuoco. In generale, anzi, evitdi parlarmi.

Il suo modo di fare con me non cambiato. La stessa assoluta noncuranza nel trattarmi quando ci incontriamo, e perfino qualcosa di sprezzante e di astioso. In genere, lei non cerca di nascondere la sua avversione per me; lo vedo benissimo. Pernon
nasconde nemmeno che io le sono necessario e che, per qualche suo motivo, mi tiene buono. Tra di noi si sono stabiliti certi strani rapporti, sotto molti punti di vista per me incomprensibili, se si considera il suo orgoglio e la sua fierezza con
tutti. Lei sa, per esempio, che io l'amo pazzamente, mi permette perfino di parlarle della mia passione e, naturalmente, in nessun altro modo potrebbe esprimere di piil suo disprezzo che con questo permesso di rivelarle senza ostacoli e senza
divieti il mio sentimento.

"Significa" pensa lei, "che stimo tanto poco i tuoi sentimenti che mi proprio indifferente qualunque cosa tu dica e tu senta per me".

Anche prima mi parlava molto dei suoi affari, ma non era mai stata completamente sincera. Non solo, ma nella sua noncuranza verso di me c'erano, per esempio, raffinatezze di questo genere: lei sapeva, mettiamo, che conoscevo una data circostanza
della sua vita o che sapevo qualcosa che l'inquietava grandemente; lei stessa me ne raccontava persino alcuni particolari se aveva bisogno di servirsi di me per i suoi scopi, come uno schiavo o un galoppino; ma raccontava sempre e solo quel tanto
che deve sapere una persona che serva per commissioni e se ancora non mi era nota l'intera concatenazione degli avvenimenti, pur vedendo come mi inquietavo e mi tormentavo per le sue pene e le sue preoccupazioni, non si sarebbe comunque mai degnata
di calmarmi pienamente con un'amichevole franchezza; anche se, servendosi non di rado di me per commissioni non solo fastidiose ma persino pericolose, avrebbe dovuto, secondo il mio parere, essere sincera con me. Ma vale forse la pena di
preoccuparsi dei miei sentimenti, del fatto che io mi agito e forse mi tormento e mi inquieto tre volte pidi lei, per i suoi crucci e i suoi insuccessi?

Gida tre settimane ero al corrente della sua intenzione di giocare alla roulette. Mi aveva persino avvertito che avrei dovuto farlo al posto suo, perchper lei sarebbe stato sconveniente giocare. Dal tono delle sue parole mi ero subito reso conto
che doveva avere qualche seria preoccupazione e non il semplice desiderio di vincere denaro. Che cosa per lei il denaro in se stesso? Qui c'uno scopo, qui ci sono circostanze che io posso indovinare ma che, fino a questo momento, non conosco. Si
capisce, lo stato di sottomissione e di schiavitin cui mi tiene potrebbe darmi (e spesso me la d la possibilitdi interrogarla io stesso in modo chiaro e brutale. Poichper lei sono uno schiavo e ai suoi occhi niente altro che una nullit
cosnon c'motivo che si offenda della mia volgare curiosit Ma il fatto che, pur permettendomi di farle delle domande, non risponde. Certe volte non se ne accorge neppure. Ecco come stanno le cose tra di noi!

Ieri si parlato molto del telegramma spedito quattro giorni fa a Pietroburgo e che non ha avuto risposta. Il generale agitato e preoccupato, chiaro; si tratta, naturalmente, della nonna. Anche il francese inquieto. Ieri, dopo pranzo, per
esempio, essi conversarono a lungo e seriamente. Il tono del francese con tutti noi straordinariamente altero e noncurante. E' proprio giusto il proverbio: fallo sedere a tavola e sulla tavola metterpure i piedi. Anche con Polina indifferente
fino alla villania; perprende parte con piacere alle passeggiate comuni al Casin o alle cavalcate e alle gite fuori citt Da parecchio tempo conosco alcune delle circostanze che hanno legato il francese al generale:

in Russia essi avevano progettato di mettere su insieme una fabbrica, ma non so se il progetto sia andato a monte o se ancora se ne parli. Inoltre sono venuto per caso a sapere, in parte, un segreto di famiglia: il francese, l'anno scorso, davvero
venuto in aiuto al generale e gli ha dato trentamila rubli per coprire l'ammanco di cassa al momento delle sue dimissioni. E cosfacile capire che il generale nelle sue mani; ma adesso, proprio adesso, la parte principale in tutta la faccenda
la rappresenta mademoiselle Blanche, e sono certo che anche in questo non mi sbaglio. E chi questa mademoiselle Blanche? Qui da noi si dice che una francese dell'alta societche viaggia con la madre e che possiede una sostanza colossale. Si sa
anche che parente del nostro marchese, ma molto alla lontana, una cugina in secondo o terzo grado. Si dice pure che, prima del mio viaggio a Parigi, il francese e mademoiselle Blanche si trattassero molto picerimoniosamente e che fossero in
rapporti molto pifini e delicati; adesso, invece, la loro conoscenza, la loro parentela, l'amicizia si mostrano in una luce picruda, piintima, per cosdire. Probabilmente i nostri affari sembrano loro in coscattive condizioni che non
ritengono pinecessario fare troppi complimenti con noi e fingere. Gidall'altro ieri avevo notato come mister Astley osservava mademoiselle Blanche e sua madre. Mi sembrato che le conoscesse; e mi sembrato anche che il nostro francese avesse
giprima incontrato mister Astley. Del resto, mister Astley costimido, modesto e taciturno che di lui ci si pufidare: non porta certo le immondizie fuori della casa altrui.

Per lo meno, il francese lo saluta appena e quasi non lo guarda:

quindi non lo teme. Questo ancora lo capisco, ma perchanche mademoiselle Blanche quasi non lo guarda? Tanto piche ieri il marchese si tradito: ha detto all'improvviso, durante la conversazione, non so pia che proposito, che mister Astley enormemente ricco e che lui lo sa; appunto per questo mademoiselle Blanche dovrebbe guardare mister Astley. In complesso, il generale in uno stato di grande inquietudine. Si capisce quello che ora pusignificare per lui il telegramma che annunci
la morte della zia!

Anche se mi sembra sicuro che Polina eviti di parlare con me per partito preso, io stesso ho assunto un'aria fredda e indifferente; pensavo sempre che un bel momento sarebbe stata lei ad avvicinarsi a me. Ieri e oggi, in compenso, ho rivolto la mia
attenzione soprattutto a mademoiselle Blanche. Povero generale, perduto, senza scampo! Innamorarsi a cinquantacinque anni e di una passione cosviolenta, certamente una disgrazia! Aggiungete a questo la sua vedovanza, i figli, la propriet interamente rovinata, i debiti e, infine, la donna di cui gli capitato d'innamorarsi.

Mademoiselle Blanche bella. Ma non so se mi si capirquando dico che ha uno di quei visi che possono fare paura; io, per lo meno, ho sempre avuto paura di donne simili. Deve essere sui venticinque anni. E' alta di statura, con spalle larghe e
rotonde; il collo e il petto sono stupendi; la carnagione olivastra, i capelli neri come l'inchiostro di china e talmente folti che basterebbero per due acconciature. Ha gli occhi neri, con il bianco tendente al giallo, lo sguardo sfrontato, i
denti bianchissimi, le labbra sempre truccate; emana da lei odore di muschio. Veste in modo molto vistoso, ricco, ricercato, ma con molto buon gusto. Ha piedi e mani meravigliosi, e una profonda voce di contralto. A volte scoppia a ridere mettendo
in mostra tutti i denti, ma di solito ha l'aria taciturna e insolente, per lo meno in presenza di Polina e di M跫ja Fil髹povna. (Corre una voce strana: che M跫ja Fil髹povna parta per la Russia.) Mi pare che mademoiselle Blanche non abbia nessuna
istruzione e forse non sia neppure intelligente, perdiffidente e furba. Credo che nella sua vita non manchino le avventure. A volerla dire tutta, puanche darsi che il marchese non le sia affatto parente e che la madre non sia affatto sua
madre. Ma si sa che a Berlino, dove le abbiamo incontrate, lei e la madre avevano alcune conoscenze di gente perbene. Per quanto riguarda personalmente il marchese, anche se io dubito ancora che egli sia marchese, la sua appartenenza alla buona
societsia da noi, a Mosca, sia qua e lin Germania, sembra non si possa mettere in dubbio. Non so che posizione abbia in Francia. Dicono che possegga un "ch漮eau"!

Credevo che in quelle due settimane molta acqua sarebbe passata sotto i ponti; al contrario non so ancora con certezza se tra mademoiselle Blanche e il generale sia stato detto qualcosa di decisivo. E' certo che ora tutto dipende dal nostro
patrimonio, ossia se il generale sarin grado oppure no di mostrare loro molto denaro. Se, per esempio, arrivasse la notizia che la nonna non morta, sono convinto che mademoiselle Blanche sparirebbe immediatamente. Mi meraviglio e rido io stesso
nel costatare come io sia diventato pettegolo! Oh, come tutto questo mi disgusta! Con quale soddisfazione pianterei tutto e tutti! Ma posso forse allontanarmi da Polina, posso forse rinunciare a starle intorno a spiare? Lo spionaggio certo spregevole, ma a me che importa?

Ieri e anche oggi mister Astley mi sembrato strano. S sono convinto che egli innamorato di Polina! E' curioso e buffo pensare quante cose possa esprimere lo sguardo di un uomo timido e morbosamente pudico, preso dall'amore, e questo proprio
nel momento in cui quest'uomo preferirebbe sprofondare sotto terra piuttosto che dimostrare o esprimere qualunque cosa con la parola o lo sguardo. Mister Astley molto spesso ci incontra alle passeggiate. Si toglie il cappello e ci passa accanto,
morendo, si capisce, dal desiderio di unirsi a noi. Ma se lo si invita a farlo, subito rifiuta. Nei luoghi di ritrovo, al Casin dove suona la musica o davanti alla fontana, si ferma immancabilmente in un punto non lontano dalla nostra panchina e,
dovunque noi ci troviamo, sia nel parco, sia nel bosco, sia sullo Schlangenberg, basta soltanto alzare gli occhi, guardarsi intorno e immancabilmente da qualche parte, o dal sentiero pivicino o da dietro qualche cespuglio, ecco apparire mister
Astley. Mi sembra che cerchi l'occasione di parlare con me a tu per tu. Stamattina ci siamo incontrati e abbiamo scambiato due parole. A volte egli parla a scatti. Ancora prima di aver detto "Buongiorno" giesclamava:

"Ah, mademoiselle Blanche! Ho visto molte donne come mademoiselle Blanche!" Tacque, rivolgendomi un'occhiata significativa. Non so che cosa volesse dire perch alla mia domanda che cosa cisignificasse, fece un cenno con la testa, sorridendo
furbescamente, e aggiunse:

"Proprio cos A mademoiselle Polina piacciono molto i fiori?" "Non lo so, non lo so davvero" risposi.

"Ma come! Non sapete neanche questo?" esclamcon il pigrande stupore.

"Non lo so, non ci ho mai fatto caso" ripetei ridendo.

"Ehm... questo mi fa nascere un'idea particolare..." A questo punto mi fece un cenno con la testa e passoltre. Aveva perun'aria soddisfatta. Parliamo insieme in un pessimo francese.





4.





Oggi stata una giornata buffa, scandalosa, assurda. Ora sono le undici di notte. Sono seduto nella mia stanzetta e ripenso alle cose successe. E' cominciato cos che stamattina sono stato costretto ad andare alla roulette a giocare per Polina
Aleks跣drovna. Presi i suoi centosessanta federici ma a due condizioni: prima, che non avrei giocato a mezzo con lei, cio se avessi vinto, non mi sarei preso niente; seconda, che questa sera Polina mi avrebbe spiegato perchaveva cosbisogno di
vincere e quanto precisamente le serviva. A ogni modo, per non posso credere che sia soltanto per il denaro. E' evidente che il denaro le indispensabile, e al pipresto possibile, per qualche scopo particolare. Mi ha promesso di spiegarmelo, e
sono andato. Nelle sale da giuoco c'era una folla spaventosa. Che gente sfrontata, e come sono tutti avidi! Mi intrufolai tra la folla e mi sistemai proprio vicino al croupier; quindi cominciai un timido inizio di giuoco, puntando soltanto due o tre
monete. Intanto osservavo e notavo; mi sembrava che il calcolo in se stesso servisse molto poco e non avesse affatto quell'importanza che molti giocatori gli attribuiscono. Essi se ne stanno seduti davanti a foglietti di carta rigata, segnano i
colpi, contano, deducono le probabilit fanno calcoli e infine puntano e perdono come noi, semplici mortali, che giochiamo senza calcoli. In compenso ho tratto una conclusione che mi sembra giusta: realmente, nel susseguirsi delle probabilit favorevoli c' se non un sistema, un certo quale ordine, il che naturalmente, molto strano. Succede, per esempio, che dopo i dodici numeri di mezzo, escano fuori gli ultimi dodici; per due volte, mettiamo, la pallina cade su questi ultimi dodici
per poi passare sui primi dodici. Dopo essere caduta sui primi dodici, passa di nuovo sui dodici di centro, cade tre o quattro volte di seguito su questi, e di nuovo passa agli ultimi dodici di dove, dopo altri due colpi, torna ai primi; batte sui
primi; sui primi batte una volta e torna ancora per tre volte sui medi, e cosla faccenda prosegue per un'ora e mezzo o due ore.

Uno, tre e due; uno, tre e due. Divertentissimo. Certi giorni o certe mattine capita, per esempio, che il rosso si alterni con il nero e viceversa, questo senza nessun ordine, a ogni momento, cosicchpidi due o tre colpi di seguito non cadono sul
rosso o sul nero. Il giorno dopo o la sera dopo, esce di seguito soltanto il rosso; esce, per esempio, pidi dodici volte di fila e coscontinua infallibilmente per un certo tempo, magari per tutta la giornata. Molte cose mi spiegin proposito
mister Astley che aveva passato tutta la mattinata ai tavoli da giuoco, ma senza fare nemmeno una puntata. Per quanto mi riguarda, perdetti tutto, fino all'ultimo centesimo, e in pochissimo tempo. Avevo puntato sul pari, tutti insieme, venti
federici e vinsi; puntai di nuovo e di nuovo vinsi e cosancora per due o tre volte. Penso di aver avuto in mano, in forse cinque minuti, circa quattrocento federici. Sarebbe stato a questo punto il vero momento di andarmene, ma era nata in me una
sensazione strana, una specie di sfida al destino, un desiderio di dargli un buffetto e di mostrargli la lingua. Feci la pialta puntata ammessa, quattromila gulden, e persi. Allora, eccitatomi, tirai fuori tutto quanto mi era rimasto, feci
un'altra puntata come quella e persi di nuovo. A questo punto mi allontanai dal tavolo, come istupidito. Non capivo nemmeno quello che mi succedeva, e annunciai la mia perdita a Polina Aleks跣drovna soltanto poco prima del pranzo. Fino a quel
momento avevo girovagato per il parco.

A pranzo ero di nuovo in uno stato d'animo eccitato, proprio come tre giorni prima. Il francese e mademoiselle Blanche pranzavano con noi. Risultche mademoiselle Blanche si era trovata la mattina nelle sale da giuoco e aveva assistito alle mie
gesta.

Questa volta si mise a parlare con me con un po' pidi attenzione, mentre il francese, pisbrigativo, mi chiese semplicemente se avevo perduto del denaro proprio mio. Mi sembra che egli sospetti di Polina. Insomma, qui c'sotto qualcosa. Io
mentii subito e dissi che era denaro mio.

Il generale era oltremodo stupito: dove avevo preso tanto denaro?

Gli spiegai che avevo cominciato con dieci federici, che sei o sette colpi consecutivi mi avevano portato, raddoppiando sempre, a cinque o seimila gulden e che poi in due colpi avevo perduto tutto.

Tutto questo, naturalmente, era verosimile. Mentre davo queste spiegazioni, guardai Polina, ma niente potei capire dal suo viso.

Tuttavia mi aveva lasciato mentire e non mi aveva ripreso; da questo dedussi che dovevo proprio mentire e nascondere che giocavo per lei. In ogni caso, mi dicevo, in obbligo di darmi una spiegazione e prima mi ha promesso di rivelarmi qualche cosa.

Credevo che il generale mi avrebbe fatto qualche osservazione, ma rimase zitto; pernotai sul suo viso segni di agitazione e di inquietudine. Pudarsi che, data la sua situazione critica, gli fosse semplicemente penoso sentire che un cos rispettabile mucchietto d'oro fosse capitato e sfuggito in un quarto d'ora a un imbecille come me.

Sospetto che ieri sera tra lui e il francese sia avvenuto un colloquio molto animato. Essi hanno parlato a lungo e con foga di non so che cosa, dopo aver chiuso a chiave la porta. Il francese se ne andcon aria irritata, e stamattina presto tornato dal generale per continuare il colloquio di ieri.

Dopo aver sentito della mia perdita, il francese, in tono caustico e persino astioso, mi fece osservare che bisognava essere pigiudiziosi. Non so perchabbia soggiunto che, sebbene i russi giochino molto, tuttavia, secondo la sua opinione, non
sanno neanche giocare.

"Invece, secondo me, la roulette fatta soltanto per i russi" ribattei io e, quando il francese sorrise sprezzantemente a questo mio giudizio, gli feci osservare che la veritera certo dalla mia parte poich parlando dei russi come di giocatori,
li criticavo molto pidi quanto non li lodassi e che, per conseguenza, mi si poteva credere.

"Su che cosa basate la vostra opinione?" mi chiese il francese.

"Sul fatto che nel catechismo delle virte dei meriti del civilissimo uomo occidentale entrata storicamente, e quasi sotto l'aspetto di caposaldo, la capacitdi procurarsi capitali. Invece il russo non solo non capace di procurarsi dei
capitali, ma li sperpera a casaccio, in maniera scandalosa. Nonostante ci" aggiunsi, "anche a noi russi il denaro necessario e di conseguenza ci piace molto e ci sentiamo portati verso quei mezzi, come per esempio la roulette, che ci permettono
di arricchire di colpo, in due ore, senza alcuna fatica! Questo ci attrae molto e, poichgiochiamo senza riflettere e senza faticare, cosperdiamo!" "Questo in parte giusto!" osservil francese, soddisfatto.

"No, ingiusto, e dovreste vergognarvi di esprimervi cossul conto della vostra patria" ribattcon aria severa e autorevole il generale.

"Ma scusate" gli risposi, "non so davvero che cosa sia pidisgustoso: se l'irregolatezza dei russi o il metodo tedesco di accumulare denaro con un onesto lavoro." "Che idea assurda!" esclamil generale.

"Che idea russa!" esclamil francese. Io ridevo e avevo una voglia terribile di attaccar lite.

"Io preferirei trascorrere tutta la vita in una tenda kirghisa," esclamai, "piuttosto che inchinarmi all'idolo tedesco." "Quale idolo?" gridil generale, incominciando a infuriarsi sul serio.

"Il metodo tedesco di ammucchiare ricchezze. Non sono qui da molto tempo, perquello che ho giavuto modo di vedere e di costatare, rivolta il mio sangue tartaro. Giuro che non voglio virtcome queste! Ieri sono riuscito a fare nei dintorni un
giro di forse dieci miglia. Ebbene, precisamente come si legge nei libriccini moralisti tedeschi illustrati; ovunque, in ogni casa, c'il suo 'Vater' (1), straordinariamente virtuoso ed eccezionalmente onesto. Cosonesto che fa paura
avvicinarglisi. Io non posso soffrire gli uomini onesti che fa paura avvicinare. Ognuno di questi 'Vater' ha la propria famiglia, e la sera leggono tutti ad alta voce dei libri istruttivi. Sopra la casetta stormiscono olmi e castagni. Il sole
tramonta, c'la cicogna sul tetto e tutto insolitamente poetico e commovente... Voi, generale, non irritatevi, ma permettetemi di raccontare le cose in maniera un po' patetica... Io stesso mi ricordo che mio padre buon'anima, sotto i tigli del
giardinetto, leggeva anche lui alla sera, a me e a mia madre, libri di quel genere... Posso quindi giudicare di queste cose con cognizione di causa. Ebbene, ognuna di queste famiglie, qui, completamente sottomessa e schiava del padre.

Tutti lavorano come bestie, e tutti ammucchiano denaro come giudei. Mettiamo che il 'Vater' abbia gimesso da parte una certa quantitdi 'gulden' e punti sul figlio maggiore per trasmettergli il mestiere o il campicello; per questo non danno dote
alla figlia, e lei resta zitella. Sempre per questo vendono il figlio minore come servo o lo mandano a fare il soldato, e aggiungono questo denaro al capitale di famiglia. Davvero, qui si fa cos mi sono informato. Tutto questo si fa unicamente per
onest per un sentimento eccessivo di onest al punto che anche il figlio minore, venduto, crede di non essere stato venduto se non per onest e questo proprio l'ideale, quando la vittima stessa contenta di essere portata al sacrificio. E
poi? Poi succede che neppure per il figlio maggiore le cose vanno bene: lui ha una certa Amalchen alla quale unito con il cuore, ma che non pusposare perchnon sono ancora stati ammucchiati 'gulden' sufficienti. E allora pure loro aspettano
onestamente e si avviano anch'essi al sacrificio con il sorriso sulle labbra. E intanto le guance di Amalchen si sono incavate e sono avvizzite. Finalmente, dopo quasi vent'anni, il patrimonio si accresciuto e i 'gulden' sono stati ammucchiati in
modo leale e onesto. Il 'Vater' benedice l'ormai quarantenne figlio maggiore e la trentacinquenne Amalchen dal seno flaccido e dal naso rosso... E allora il 'Vater' piange, fa la morale e passa a miglior vita. Il figlio maggiore si trasforma a sua
volta in un virtuoso 'Vater' e ricomincia la stessa storia. Dopo una cinquantina o una sessantina di anni, il nipote del primo 'Vater' realizza effettivamente un notevole capitale e lo trasmette al proprio figlio, questo al suo, quest'altro al suo
e, dopo cinque o sei generazioni, viene fuori il barone Rotschild in persona oppure Hoppe e Co. o il diavolo sa chi. Ebbene, signori, non forse uno spettacolo meraviglioso? La fatica di un secolo o di due secoli, di generazione in generazione:
pazienza, ingegno, onest dirittura morale, carattere, fermezza, calcolo, cicogna sul tetto! Che volete di pi Niente pisublime di questo, ed proprio da questo punto di vista che costoro iniziano a giudicare il mondo intero e a condannare a
morte i colpevoli, cioquelli che appena appena non somigliano a loro. Ebbene, signori, ecco dunque di che si tratta:

io preferisco debosciarmi alla russa o arricchirmi alla roulette.

Non voglio essere Hoppe e Co. tra cinque generazioni. A me il denaro necessario per me stesso, e non considero me stesso come un indispensabile accessorio al capitale. So di aver detto un mucchio di spropositi, ma cos Queste sono le mie
convinzioni." "Non so se ci sia molto di vero in quello che avete detto," osservpensieroso il generale, "ma so con certezza che cominciate a fare lo spiritoso in maniera insopportabile, non appena vi si permette di uscire un pochino dai limiti..."
Ma, come sempre, non completla frase. Se il nostro generale cominciava a parlare di qualche cosa che fosse un tantino piserio dei soliti discorsi di ogni giorno non finiva mai di dire il suo pensiero. Il francese ascoltava con noncuranza, con
gli occhi spalancati. Non aveva capito quasi niente di ciche avevo detto.

Polina mi guardava con suprema indifferenza. Sembrava che, non soltanto non avesse sentito me, ma neppure una parola di quanto si era detto a tavola.





NOTE:

1. Padre.




5.





Era insolitamente pensierosa ma, non appena ci alzammo da tavola, mi chiese di accompagnarla a fare una passeggiata. Prendemmo con noi i bambini e ci avviammo nel parco, verso la fontana.

Poichmi trovavo in uno stato di particolare eccitazione, le lanciai in modo stupido e brusco la domanda: come mai il nostro marchese De-Grieux, il francesino, adesso non soltanto non la accompagnava, quando lei andava da qualche parte, ma nemmeno
le rivolgeva la parola per giornate intere?

"Perchun vigliacco" mi rispose stranamente. Non avevo mai sentito da lei un simile giudizio su De-Grieux e tacqui, temendo di comprendere la ragione della sua irritabilit

"Avete notato che oggi non va d'accordo con il generale?" "Voi volete sapere di che si tratta?" mi rispose in tono asciutto e seccato. "Sapete che il generale ha tutto il suo ipotecato presso di lui, tutta la propriet e che, se la nonna non
morir il francese entrerimmediatamente in possesso di tutto ciche sotto ipoteca." "Ah, dunque proprio vero che tutto ipotecato? L'avevo sentito dire, ma non sapevo che si trattasse proprio di tutto." "E come no?" "E allora addio,
mademoiselle Blanche!" osservai. "Allora non diventergeneralessa! Sapete? Mi sembra che il generale sia innamorato al punto da arrivare magari a uccidersi se mademoiselle Blanche lo dovesse piantare. Alla sua etpericoloso innamorarsi." "Sono
anch'io del parere che gli succederqualcosa" osservPolina Aleks跣drovna, pensierosa.

"Magnifico!" gridai io. "Non si potrebbe dimostrare in maniera pibrutale che lei acconsentiva a sposarlo solo per il denaro.

Neanche le convenienze sono state salvate, tutto fatto senza cerimonie. E' straordinario! E, a proposito della nonna, che cosa ci puessere di picomico e di piripugnante che il mandare un telegramma dietro l'altro per domandare se morta o no?
Eh? Che ve ne sembra, Polina Aleks跣drovna?" "Tutte queste sono sciocchezze" mi disse con disgusto, interrompendomi. "Io, invece, mi meraviglio che voi siate in cosallegra disposizione di spirito. Perchsiete cosi contento? Forse perchavete
perduto il mio denaro?" "Perchme l'avete dato da perdere? Ve lo avevo detto che non posso giocare per gli altri, e tanto meno per voi. Io vi obbedisco in qualsiasi cosa mi comandiate, ma il risultato non dipende da me. Vi avevo preavvertita che
non ne sarebbe venuto fuori niente di buono. Ditemi, siete molto abbattuta per aver perso tanto denaro? Perchve ne serve tanto?" "A che scopo queste domande?" "Voi stessa mi avevate promesso una spiegazione... Ascoltate: io sono perfettamente
convinto che quando comincera giocare per me (e ho dodici federici) vincer Allora quello che vi serve, prendetelo da me." Ella fece una smorfia sprezzante.

"Non andate in collera" continuai, "per questa mia proposta. Sono tanto consapevole di essere ai vostri occhi una nullitche potete benissimo prendere da me del denaro. Non potete offendervi per un mio regalo. Per di pi io ho perduto il vostro."
Mi diede una rapida occhiata e, accortasi che io parlavo in tono irritato e sarcastico, di nuovo mi interruppe:

"Non c'niente che possa interessarvi nelle mie faccende. Se volete saperlo, ho semplicemente un debito. Ho preso del denaro a prestito e vorrei restituirlo. Avevo la pazzesca e strana idea che avrei senz'altro vinto qui, al tavolo da giuoco. Non
capisco come mai avessi quest'idea, ma ci credevo. Chi sa, forse ci credevo perchnon mi restava nessun'altra possibilitdi scelta".

"Oppure perchavevate troppa necessitdi vincere. E' precisamente come quando chi sta per annegare si afferra a una pagliuzza. Converrete anche voi che, se non stesse per annegare, non scambierebbe una pagliuzza per un ramo di albero..." Polina si
stup

"E come mai" domand "avete anche voi la stessa speranza? Due settimane fa voi stesso mi avete parlato un giorno molto a lungo, della vostra assoluta convinzione di vincere, qui, alla roulette e volevate persuadermi a non considerarvi come un
pazzo; o allora scherzavate? Ma ricordo che parlavate cosseriamente che non era possibile prendere le vostre parole come uno scherzo." "Questo vero" risposi soprappensiero. "Sono ancora oggi convinto che vincer E vi confesso anche che voi,
ora, mi avete indotto a pormi questa domanda: perchmai la mia perdita di oggi, stupida e assurda, non ha lasciato in me nessun dubbio? Io sono ancora convinto che, non appena comincera giocare per me, vincercertamente." "Perchsiete tanto
convinto?" "A dire il vero, non lo so. So soltanto che ho necessitdi vincere e che anche per me questa l'unica via d'uscita. Ecco perchmi sembra di dover sicuramente vincere." "Ne avete dunque anche voi estrema necessitse siete cos fanaticamente sicuro?" "Scommetto che mettete in dubbio che io sia in condizione di avere una seria necessit" "Per me proprio lo stesso" rispose Polina, calma e indifferente.

"Se volete saperlo, ebbene, s dubito che possiate tormentarvi per qualcosa di serio. Potete tormentarvi, ma non seriamente.

Siete un uomo disordinato e incerto. Per che cosa avete bisogno di denaro? Tra tutte le ragioni che mi avevate esposto, non ne ho trovata nessuna abbastanza seria." "A proposito," la interruppi, "avete detto che dovete pagare un debito, dunque!
Forse al francese?" "Che domande sono queste? Oggi siete particolarmente rude. Sareste per caso ubriaco?" "Voi sapete che io mi permetto di parlare e di fare domande a volte molto sincere. Lo ripeto, sono il vostro schiavo: degli schiavi non si ha
vergogna e quello che dice uno schiavo non puoffendere." "Tutte sciocchezze! Non posso soffrire questa vostra teoria della schiavit" "Badate che io non vi parlo della mia schiavitperchdesidero essere vostro schiavo, ma ne parlo semplicemente
come di un fatto che non dipende assolutamente da me." "Ditemi francamente: perchvi occorre denaro?" "E a voi perchoccorre saperlo?" "Come volete" rispose lei, e alzalteramente il capo.

"Non potete soffrire la 'teoria della schiavit, ma esigete la schiavit 'rispondere e non discutere!' E sta bene, sia pure cos A che scopo mi serve il denaro, mi chiedete? Come, a che scopo? Il denaro tutto!" "Capisco, ma non bisogna, per
questo desiderio, ridursi in un simile stato di pazzia! Perchanche voi arrivate all'esaltazione, al fanatismo... Qui sotto c'qualcosa, c'uno scopo particolare.

Parlate senza tanti giri di parole, lo voglio!" Sembrava che cominciasse a irritarsi, e a me piaceva moltissimo che mi interrogasse con tanta foga.

"Si capisce che c'uno scopo," dissi io, "ma non saprei spiegarvi quale. Forse nient'altro che questo: con il denaro diventerper voi un altro uomo, e non uno schiavo." "Come? Come otterrete questo?" "Come l'otterr Come, non capite nemmeno come
potrottenere che non mi consideriate uno schiavo? Ecco quello che non voglio, tutti questi stupori e queste perplessit" "Avete detto che questa schiavitper voi una gioia. E io stessa pensavo che fosse cos" "Pensavate cos" esclamai con
una strana soddisfazione. "Ah com'bella tanta ingenuitda parte vostra! S s la schiavitche mi viene da voi per me una gioia. Ci puessere una gioia anche nell'estremo grado dell'avvilimento e dell'annullamento!" continuai come in
delirio. "Lo sa il diavolo... forse una gioia c'anche nello scudiscio quando vi colpisce e vi strappa brandelli di carne... Ma pudarsi che io voglia provare anche altri godimenti. Poco fa, a tavola, in vostra presenza, il generale mi ha fatto
una predica per quei settecento rubli che magari non mi darneppure. Il marchese De-Grieux mi guarda dall'alto in basso inarcando le sopracciglia e, nello stesso tempo, non si accorge di me. E io, per parte mia, ho quasi una voglia pazza di
prendere per il naso il marchese De-Grieux davanti a voi!" "Discorsi da bambino! In ogni situazione ci si pucomportare con dignit Se c'lotta, essa ci innalza e non ci abbassa." "Parole modello! Basta che voi supponiate che io, forse, non so
comportarmi con dignit Cio io sono magari un uomo degnissimo, ma non so comportarmi con dignit Capite che questo pusuccedere? Ma tutti i russi sono cos e sapete perch Perchi russi sono troppo variamente e riccamente dotati per potersi
trovare con facilituna forma decorosa. Si tratta di forma. Noi russi siamo, per la maggior parte, tanto riccamente dotati, che per avere una forma conveniente ci serve la genialit gi ma la genialitil pidelle volte manca perch in genere,
molto rara. Soltanto nei francesi e forse in alcuni altri popoli europei la forma cosben determinata da poter dare loro un aspetto dignitosissimo, pur essendo personalmente persone indegne. E' per questo che attribuiscono alla forma tanto
valore. Il francese sopporterun'offesa, una vera e propria offesa, senza batter ciglio, ma non sopportera nessun costo un buffetto sul naso perchquesto buffetto costituisce la violazione di una forma di convenienza, accettata e perpetuata.
Precisamente per questo le nostre signorine hanno un debole per i Francesi, perchi Francesi hanno una bella forma. Secondo me, per non esiste la forma, ma esiste soltanto il gallo, 'le coq gaulois'! Perquesto non lo posso capire perchnon
sono una donna. Forse anche i galli sono belli. Ma, in conclusione, ho detto un mucchio di sciocchezze, e voi non mi interrompete. Interrompetemi pispesso; quando parlo con voi, voglio dire tutto, tutto. Perdo ogni forma. E sono anche d'accordo
nel dire che non solo non ho forma, ma nemmeno alcuna dignit Ve lo dichiaro. E non mi importa affatto di non avere alcun merito. Ora tutto si fermato in me. E voi sapete perch

Nella mia testa non c'piun solo pensiero umano. Gida molto tempo non so piche cosa accada nel mondo, nin Russia, nqui.

Ecco, sono passato per Dresda, e non ricordo come sia Dresda. Voi sapete che cosa mi divora. Poichnon ho alcuna speranza e ai vostri occhi sono una nullit lo dico francamente: vedo ovunque soltanto voi, e tutto il resto mi indifferente. Perch e come vi ami non so. Sapete che forse non siete neppure molto bella?

Figuratevi, non so se siete bella o no, neppure di viso! Il vostro cuore certamente non bello, e che la vostra mente non sia nobile molto possibile." "Forse per questo contate di comperarmi con il denaro," disse lei, "perchnon credete alla mia
nobilt" "Quando mai ho pensato di comperarvi con il denaro?" esclamai.

"Vi siete imbrogliato e avete perso il filo del discorso. Se non me, pensavate di comperare con il denaro almeno la mia stima." "Ebbene no, non proprio cos Vi ho gidetto che trovo difficile spiegarmi. Voi mi schiacciate. Non andate in collera
per le mie chiacchiere. Voi capite perchcon me non si puandare in collera: perchio sono semplicemente pazzo. Ma, del resto, mi indifferente, anche se andate in collera. Quando sono lass nella mia stanzetta, mi basta ricordare e immaginare
il fruscio della vostra veste e mi vien voglia di mordermi le mani. E perchvi irritate con me? Perchdico che sono uno schiavo? Approfittate, approfittate della mia schiavit approfittatene! Sapete che un giorno o l'altro vi uccider Non vi
ucciderperchnon vi amerpio sargeloso di voi, ma vi uccidercos semplicemente perchqualche volta mi sento trascinato a divorarvi. Voi ridete..." "Non rido affatto" disse lei con sdegno. "Vi ordino di tacere." S'interruppe, riuscendo
appena a respirare per la collera. Vi giuro che non so se fosse bella, ma mi sempre piaciuto guardarla quando si fermava cos di fronte a me, e percimi piaceva provocare spesso la sua collera. Forse lei se ne era accorta e faceva apposta ad
arrabbiarsi. E glielo dissi.

"Che schifo!" esclamlei con un gesto di disgusto.

"Non me ne importa niente" continuai. "Sapete che anche passeggiare insieme noi due soli pericoloso? Molte volte mi sento invincibilmente tentato di picchiarvi, di sfregiarvi, di strangolarvi... E che credete? Che non si arrivera questo punto?

Voi mi porterete alla pazzia. Pensate che io tema lo scandalo? La vostra collera? Ma che m'importa della vostra collera? Io vi amo senza speranza e so che, dopo, vi amerei mille volte di pi Se un giorno vi uccider dovrcerto uccidere anche me,
ma lo faril pitardi possibile, tanto per aver tempo di provare l'intollerabile dolore della vostra mancanza. Volete che vi dica una cosa incredibile? Ogni giorno vi amo di pi anche se questo quasi impossibile. E dopo di cinon dovrei essere
fatalista?

Ricordate? L'altro giorno sullo Schlangenberg, eccitato da voi, ho mormorato: dite una parola e mi butternel precipizio. Se aveste detto quella parola mi sarei buttato. Possibile che crediate che non l'avrei fatto?" "Che stupide chiacchiere!"
esclamlei.

"A me non importa proprio niente se siano stupide o intelligenti" risposi. "Io so che davanti a voi devo parlare, parlare... e parlo. In vostra presenza perdo ogni amor proprio, e tutto mi indifferente." "A che scopo dovrei farvi saltar gidallo
Schlangenberg?" mi chiese in tono asciutto e particolarmente offensivo. "Sarebbe proprio inutile per me!" "Magnifico!" esclamai "A bella posta avete detto quel magnifico 'inutile' per schiacciarmi. Io vedo dentro di voi. Inutile, avete detto? Ma un
piacere sempre utile e un feroce, illimitato potere, sia pure su una mosca, anch'esso, nel suo genere, un piacere. L'uomo despota per natura e gli piace torturare. E a voi piace terribilmente..." Ricordo che essa mi osservava con un'attenzione
tutta particolare.

Senza dubbio il mio viso esprimeva, in quel momento, tutte le mie insensate, assurde sensazioni. Ora ricordo che effettivamente la nostra conversazione avvenne quasi parola per parola come io l'ho riportata. I miei occhi si erano iniettati di
sangue. Agli angoli delle labbra mi si era raggrumata la saliva. Per quanto si riferisce allo Schlangenberg lo giuro sul mio onore anche adesso:

se essa mi avesse ordinato di buttarmi gi io mi sarei buttato!

Se l'avesse detto solo per scherzo, se l'avesse detto con disprezzo, sputandomi addosso... ebbene, anche in questo caso mi ci sarei buttato!

"No, ma perch Io vi credo" disse Polina con quel modo che soltanto lei sa usare per dire le cose con tanto disprezzo e malignitche, vivaddio, avrei potuto ucciderla in quel momento.

Rischiava. Anche su questo non avevo mentito, dicendoglielo.

"Voi non siete un vigliacco?" mi chiese all'improvviso.

"Non lo so, puanche darsi che lo sia. Non so... da tanto tempo non ci ho pensato." "Se io vi dicessi: uccidete quell'uomo, lo uccidereste?" "Chi?" "Chi vorrio." "Il francese?" "Non interrogate, ma rispondete. Chi vi indicherio. Voglio sapere
se poco fa avete parlato seriamente." Aspettava una risposta con un'aria cosdura e impaziente che provai una strana impressione.

"Ma mi direte una buona volta che cosa succede qui?" esclamai.

Avete forse paura di me? Li vedo anch'io tutti i pasticci che ci sono qui... Voi siete la figliastra di un uomo rovinato e pazzo, ossessionato dalla passione per quel demonio di Blanche; poi c'questo francese con la sua misteriosa influenza su di
voi; ed ecco che ora voi mi fate una simile domanda in tono cosserio. Che io almeno sappia: altrimenti finircon l'impazzire e combinare qualche guaio. Oppure vi vergognate di degnarmi della vostra sincerit Possibile che vi vergogniate di me?"
"Non sto affatto parlando di questo. Vi ho fatto una domanda e aspetto la risposta." "Si capisce, uccider gridai, "chiunque voi mi ordiniate di uccidere, ma potete voi forse... me l'ordinerete, forse?" "E che cosa credete? Che avrei compassione di
voi? Vi darl'ordine e resterin disparte. Vi sentirete di farlo? Ma no, figuriamoci! Voi, magari, ucciderete per mio ordine, ma poi verrete a uccidere me perchho osato mandarvi." A queste parole fu come se qualcosa mi avesse colpito al capo. Si
capisce che anche allora consideravo la sua domanda come un mezzo scherzo, come una sfida; eppure lei aveva parlato troppo seriamente. Nonostante tutto ero sorpreso che lei si fosse cosscoperta, che si riservasse un tale diritto e un tale potere
su di me e che coschiaramente dicesse: "Va' alla rovina, e io me ne sto in disparte!" C'era in queste parole un non so che di coscinico e di cosfranco che mi pareva esagerato. Dopo una cosa simile, che concetto poteva avere di me? Si era ormai
oltrepassato il limite della schiavite dell'abiezione. Quando si ha un simile punto di vista si innalza l'uomo fino a s E, per quanto assurdo, per quanto incredibile fosse stata tutta la nostra conversazione, il mio cuore ebbe un sussulto.

All'improvviso lei scoppia ridere. Eravamo seduti su una panchina, davanti ai ragazzi che giocavano, proprio di fronte al posto in cui si fermavano le carrozze e scendeva la gente davanti al Casin

"Vedete quella grassa baronessa?" mi chiese. "E' la baronessa Wurmerhelm. E' arrivata solo da tre giorni. Guardate suo marito:

un prussiano lungo e secco con il bastone in mano. Vi ricordate come ci osservava l'altro ieri? Andate subito, avvicinatevi alla baronessa, toglietevi il cappello e ditele qualcosa in francese." "Perch" "Avete giurato che vi sareste buttato gi dallo Schlangenberg; avete giurato di essere pronto a uccidere a un mio ordine. Invece di tutti questi omicidi e queste tragedie, voglio soltanto ridere un po'. Andate, senza fare tante storie. Voglio vedere come il barone vi bastoner" "Voi mi
sfidate; credete che non lo far" "S vi sfido! Andate, lo voglio." "D'accordo, vado, anche se si tratta di una stravagante fantasia.

Una cosa sola, per non vorrei che ci fossero seccature per il generale e, da parte sua, per voi! Vi giuro che non mi preoccupo per me, ma per voi e anche... s.. anche per il generale. Ma che fantasia mai questa di mandare a offendere una
donna?" "Eh s a quanto vedo voi siete soltanto un chiacchierone" mi disse lei con disprezzo. "Avevate gli occhi iniettati di sangue, poco fa, ma probabilmente solo percha pranzo avete bevuto troppo vino. Credete forse che non capisca anch'io che
si tratta di una cosa stupida e volgare e che il generale si infurier Ma ho voglia di ridere. S voglia di ridere. E perch poi, dovreste offendere una donna? Piuttosto bastoneranno voi." Mi girai e in silenzio andai a eseguire il suo ordine.
Certo era una cosa stupida, certo non seppi cavarmela, ma ricordo che, quando cominciai ad avvicinarmi alla baronessa, qualcosa mi stuzzic e precisamente mi stuzzicil desiderio di una monelleria. E poi ero eccitato, terribilmente eccitato, come
se fossi ubriaco...





6.





Ecco che sono gipassati due giorni da quella stupida giornata.

Quante grida, quanto rumore, quante chiacchiere, quanto trambusto!

E che disordine, che confusione, che stupidite volgarit.. e tutto per causa mia. Pera volte viene da ridere... a me, per lo meno. Non so rendermi conto di ciche mi succede: se mi trovi veramente in uno stato di esaltazione o se semplicemente
sia uscito di senno e commetta sconvenienze fino a quando non mi legheranno. A volte mi sembra che la mia mente sia sconvolta. E a volte ho l'impressione di non essere lontano dall'infanzia, dai banchi della scuola, e di fare semplicemente delle
monellerie da scolaro.

E Polina, sempre Polina! Forse non ci sarebbero monellerie se non ci fosse lei. Chi sa, magari faccio tutto questo per disperazione (per quanto, del resto, sia stupido ragionare cos. E non capisco che cosa ci sia di bello in lei! Bella, per bella, sembra bella.

Fa impazzire anche gli altri.

E' alta e ben fatta, solo un po' sottile. Mi dl'impressione che si potrebbe farne un nodo o piegarla in due. La forma del suo piede lunga e sottile, crudele. Proprio crudele. I capelli hanno una sfumatura rossiccia, gli occhi sono veri occhi da
gatta... ma come sa usarli con orgogliosa fierezza! Quattro mesi fa, quando ero appena arrivato in casa loro, lei, una sera si trattenne a lungo in sala a discutere animatamente con De-Grieux. E lo guardava in un modo tale che poi, quando mi ritirai
in camera mia per coricarmi, mi immaginai che lei gli avesse dato uno schiaffo, glielo avesse appena dato e gli stesse cosdavanti a guardarlo...

Ecco, da quella sera mi sono innamorato di lei.

Ma veniamo ai fatti!

Per un sentiero uscii sul viale, mi sistemai nel bel mezzo e attesi il barone e la baronessa. A cinque passi di distanza mi tolsi il cappello e mi inchinai.

Ricordo che la baronessa indossava un abito di seta larghissimo, di colore grigio chiaro, con volanti, crinolina e strascico. E' piccola di statura e di una grassezza straordinaria, con un mento terribilmente carnoso e floscio, tanto che non le si
vede per niente il collo. La sua faccia paonazza. Gli occhi sono piccoli, maligni e sfacciati. Cammina come se facesse un onore a tutti. Il barone secco, alto. Il suo volto, come spesso si vede nei Tedeschi, storto e solcato da mille piccole
rughe; porta gli occhiali; sui quarantacinque anni. Le gambe gli cominciano quasi dal petto: segno di razza, dicono. E' tronfio come un pavone. Un po' goffo. Nell'espressione di quel viso c'qualcosa del montone che, a modo suo, sostituisce la
profonditdi pensiero.

Tutto questo mi passdavanti agli occhi in tre secondi.

Il mio inchino e il cappello tra le mani all'inizio attirarono appena la loro attenzione. Soltanto il barone aggrottlievemente le sopracciglia. La baronessa navigava direttamente verso di me.

"Madame la baronne," proferii con chiarezza a voce alta, scandendo bene ogni parola "j'ai l'honneur d'皻re votre esclave!" (1) Poi mi inchinai, misi il cappello e passai davanti al barone, girando cortesemente il viso verso di lui e sorridendo.

Era stata lei, Polina, a ordinarmi di togliermi il cappello, ma mi inchinai e feci la monelleria di mia iniziativa. Che diavolo mi ci ha spinto? Era come se volassi gida una montagna.

"Hein!" grido, per meglio dire, gracchiil barone volgendosi verso di me con irritato stupore.

Mi girai e mi fermai in ossequiosa attesa, continuando a guardarlo e a sorridere. Egli, evidentemente perplesso, inarcle sopracciglia sino al "nec plus ultra". Il suo volto diventava sempre piscuro. Anche la baronessa si girdalla mia parte e
anche lei mi guardcon indignato stupore.

"Hein!" griddi nuovo il barone con raddoppiato gracchiare e raddoppiato sdegno.

"Ja wohl! (2)" dissi strascicando le parole e continuando a guardarlo negli occhi.

"Sind Sie rasen? (3)" grid agitando il suo bastone e cominciando, mi sembra, ad avere un po' di paura. Forse lo turbava il vestito. Indossavo un abito decente, direi quasi elegante, da persona appartenente alla buona societ

"Ja wo-o-o-ohl!" gridai a un tratto, a tutta forza, strascicando la "o" come fanno i berlinesi che, in ogni momento, durante la conversazione, usano l'intercalare "ja wohl" e strascicano pimeno la "o" per esprimere varie sfumature di pensiero e di
sensazioni.

Il barone e la baronessa si girarono e si allontanarono quasi di corsa, spaventati. Tra il pubblico, alcuni si misero a commentare, altri a guardarmi perplessi. Per non me ne ricordo bene.

Mi girai e con il mio solito passo mi avviai verso Polina Aleks跣drovna. Ma non ero ancora arrivato a cento passi dalla panchina su cui lei era seduta che la vidi alzarsi e dirigersi con i bambini verso l'albergo.

La raggiunsi vicino alla scalinata.

"Ho eseguito... quella stravaganza..." le dissi, quando l'ebbi raggiunta.

"E con questo? Adesso sbrigatevela voi" mi rispose e, senza nemmeno guardarmi, comincia salire la scala.

Per tutta quella sera passeggiai nel parco. Attraverso il parco e poi attraverso un bosco raggiunsi addirittura un altro principato.

In una casetta di contadini mangiai una frittata e bevvi del vino:

e per questa idilliaca cena vollero un tallero e mezzo.

Soltanto alle undici tornai a casa. Subito fui chiamato da parte del generale.

I nostri occupano nell'albergo due appartamenti: quattro stanze in tutto. La prima, grande, un salone con un pianoforte. Attigua ce n'un'altra, pure grande: lo studio del generale. Qui egli mi aspettava, dritto in piedi nel bel mezzo, in un
atteggiamento straordinariamente maestoso. De-Grieux stava semisdraiato su un divano.

"Egregio signore, permettetemi di chiedervi che cosa avete combinato" cominciimmediatamente il generale, rivolgendosi a me.

"Desidererei, generale, che entraste subito in argomento" risposi io. "Probabilmente alludete al mio incontro di oggi con un tedesco..." "Con un tedesco? Ma quel tedesco il barone Wurmerhelm, una persona importante! Siete stato molto villano verso
di lui e la baronessa." "Ma niente affatto!" "Li avete spaventati, egregio signore" gridil generale.

"Neppure per sogno. Gia Berlino mi aveva colpito l'orecchio quel 'ja wohl!' che i Tedeschi ripetono in ogni momento e che strascicano in modo cosodioso. Quando oggi ho incontrato nel viale il barone, improvvisamente quel 'ja wohl', non so perch mi tornato in mente e ha agito su me da eccitante. Per di pila baronessa gila terza volta che mi incontra, ha l'abitudine di venirmi addosso, come se fossi un verme che si puschiacciare con un piede. Anch'io, vorrete convenirne, ho il mio
amor proprio. Mi sono tolto il cappello e ho detto cortesemente (cortesemente, vi assicuro): 'Madame j'ai l'honneur d'皻re votre esclave.' Quando il barone si gire mi lanciil suo 'hein!' mi sentii spinto a gridare: 'Ja wohl!'. E lo gridai due
volte: la prima come al solito, ma la seconda strascicando le parole il pipossibile.

Ecco tutto." Confesso che ero terribilmente felice di quella spiegazione, monellesca al massimo. Avevo una voglia pazza di gonfiare quella storia nel modo piassurdo che potessi.

E quanto piandavo avanti, tanto pici prendevo gusto.

"Voi mi prendete in giro, eh?" gridil generale.

Si girverso De-Grieux e gli spiegin francese che io cercavo decisamente di provocare dei guai. De-Grieux fece un risolino sprezzante e alzle spalle.

"Oh, non pensate una cosa simile, non vero affatto!" gridai al generale. "Il mio gesto, certo, non stato bello, ve lo confesso con la massima sincerit Esso puanche essere definito una stupida e sconveniente monelleria, ma niente di pi E
sapete, generale, ne sono pentitissimo. Ma c'una circostanza che ai miei occhi mi libera persino dal pentimento. In questi ultimi tempi, da due o tre settimane, io non mi sento molto bene: sono nervoso, irritabile, stravagante e, in certi casi,
perdo completamente il dominio di me. Davvero, mi givenuto qualche volta un gran desiderio di rivolgermi al marchese De-Grieux e... ma non posso finire la frase: forse si offenderebbe. In una parola tutti questi sono i sintomi di una malattia.
Non so se la baronessa Wurmerhelm vorrtener presente questa circostanza quando le chiederscusa (perchho intenzione di chiederle scusa). Penso perdi no, tanto piche, a quanto mi risulta, negli ultimi tempi si cominciato ad abusare di una
simile circostanza nel mondo giudiziario: gli avvocati nelle cause penali hanno preso l'abitudine di giustificare molto spesso i loro clienti criminali con il fatto che essi, al momento del delitto, non ricordavano piniente e che questo una
specie di malattia. "Ha picchiato" dicono, "e non ricorda piniente." E figuratevi, generale, che la medicina li appoggia, affermando che esiste davvero una simile malattia, una specie di pazzia temporanea, durante la quale un individuo non ricorda
piniente o ricorda a met o ricorda per un quarto. Ma il barone e la baronessa sono gente della vecchia generazione, e per di pilatifondisti prussiani. Molto probabilmente essi ignorano i progressi del mondo medico-legale e percinon
accetteranno le mie spiegazioni. Che ne pensate, generale?" "Basta, signore!" disse il generale in tono aspro e con sdegno trattenuto. "Basta! Cercher una volta per sempre, di liberarmi dalle vostre ragazzate! Non dovrete scusarvi davanti al
barone e alla baronessa perchogni rapporto con voi, anche se basato soltanto sulla vostra preghiera di essere scusato sarebbe per loro troppo umiliante. Il barone, saputo che voi appartenete alla mia casa, si gispiegato con me al Casine vi
confesso che poco mancato che non esigesse soddisfazione da me. Capite a che cosa mi avete esposto, egregio signore? Sono stato costretto a chiedere scusa al barone e a dargli la mia parola che immancabilmente, da oggi, voi smetterete di
appartenere alla mia casa..." "Permettete, permettete, generale, ma stato proprio lui a esigere che io non appartenessi pialla vostra casa, come voi vi siete degnato di esprimervi?" "No, ma sono stato io stesso a ritenermi in obbligo di dargli
questa soddisfazione e, si capisce, il barone rimasto contento.

Noi ci separeremo, egregio signore. Voi dovete ancora ricevere da me questi quattro federici e tre fiorini, al calcolo di qui. Ecco il denaro ed ecco il foglietto con il conto: potete verificarlo.

Addio. Da questo momento siamo degli estranei. A parte seccature e dispiaceri, da voi non ho avuto altro. Chiamersubito il cameriere e lo avvertirche, da domani, non risponderpidelle vostre spese in albergo. Ho l'onore di essere il vostro
servitore." Presi il denaro, il foglio sul quale era stato fatto il conto a matita, mi inchinai al generale e molto seriamente gli dissi:

"Generale, la cosa non pufinire cos Mi dispiace molto che voi abbiate avuto delle seccature da parte del barone ma, scusatemi se ve lo dico, la colpa vostra. Come mai vi siete addossato di fronte al barone la responsabilitdel mio gesto? Che
significa l'espressione che io appartengo alla vostra casa? Nella vostra casa io sono semplicemente il precettore, nient'altro. Non sono vostro figlio, non sono sotto la vostra tutela, e voi non potete essere responsabile dei miei atti. Io sono una
persona giuridicamente responsabile. Ho venticinque anni, sono laureato, sono nobile e per voi un estraneo. Soltanto il mio illimitato rispetto per la vostra dignitmi trattiene dal pretendere ora da voi soddisfazione e ulteriori spiegazioni per il
fatto che vi siete arrogato il diritto di rispondere per me." Il generale fu tanto stupefatto che allargle braccia, poi, a un tratto, si rivolse al francese e gli riferrapidamente che io per poco non l'avevo sfidato a duello. Il francese si mise
a ridere forte.

"Ma non intendo perdonarla al barone," continuai io con assoluto sangue freddo, senza lasciarmi turbare dalla risata di De-Grieux, "e poichvoi, generale, accettando oggi di ascoltare le lamentele del barone e prendendo le sue parti, vi siete fatto
partecipe di tutta la faccenda, ho l'onore di dirvi che non pitardi di domani mattina esigerdal barone, a mio proprio nome, una formale spiegazione del motivo per il quale, avendo una questione con me, egli si rivolto, scavalcandomi, a
un'altra persona, come se io non fossi degno di rispondergli personalmente." Quello che prevedevo successe. Il generale nell'ascoltare questa nuova sciocchezza, si prese una terribile paura.

"Ma com'possibile che abbiate intenzione di continuare questa maledetta storia?" grid "Che cosa dunque volete ancora combinarmi? Badate, badate a quello che fate, egregio signore, o vi giuro che... Anche qui ci sono delle autorite io... io...
con il mio grado, basteruna parola... e anche il barone... Con una parola vi faremo arrestare e mandare via da qui per mezzo della polizia, affinchnon attacchiate pibrighe! Avete capito, signore?" E benchper lo sdegno gli mancasse quasi il
respiro, aveva tuttavia una tremenda paura.

"Generale," risposi con una calma per lui insopportabile, "non si puarrestare per violenza prima che la violenza sia avvenuta. Io non ho ancora cominciato le mie spiegazioni col barone, e voi non sapete assolutamente ancora in che modo e su quali
basi ho intenzione di affrontare la questione. Desidero soltanto chiarire la supposizione, per me offensiva, che io mi trovi sotto tutela di una persona che avrebbe un potere sulla mia libera volont Quindi vi agitate e vi inquietate inutilmente."
"Per amor di Dio, per amor di Dio, Aleks嶴 Iv跣ovitch, rinunciate a questo proposito insensato!" mormoril generale, cambiando di colpo in supplichevole il suo tono indignato, e prendendomi per le mani. "Suvvia, vi immaginate che cosa ne potrebbe
venir fuori? Di nuovo dispiaceri. Dovete convenire che qui io devo comportarmi in maniera particolare, soprattutto adesso! Oh, voi non conoscete tutte le circostanze! Quando ce ne andremo di qui, sono disposto a riprendervi con me. Ora lo faccio
solo cos.. in una parola...

voi lo capite il perch.." griddisperato. "Aleks嶴 Iv跣ovitch!

Aleks嶴 Iv跣ovitch!" Mentre mi avvicinavo alla porta, lo pregai vivamente ancora una volta di non inquietarsi, gli promisi che tutto sarebbe andato bene e nel modo picorretto, e mi affrettai a uscire.

A volte i russi all'estero sono troppo timorosi e hanno una gran paura di quello che possono dire gli altri, di come li possono guardare e se una cosa sarpio meno corretta... in una parola, si comportano come se fossero stretti nel busto e
specialmente quelli che hanno la pretesa di essere importanti... Quello a cui tengono di piuna certa qual forma prestabilita che, una volta fissata, essi seguono servilmente negli alberghi, nelle passeggiate, nelle riunioni, in viaggio... Ma il
generale si era lasciato sfuggire che oltre a questo c'erano alcune circostanze particolari per cui gli serviva comportarsi in maniera 'particolare'. Per questo di punto in bianco si era con tanta pusillanimitspaventato e aveva cambiato tono nei
miei confronti.

Ne presi atto e lo annotai. Certo egli, per storditaggine, poteva il giorno dopo rivolgersi a qualche autorite quindi dovevo realmente andare molto cauto.

D'altronde, poi, non volevo per nessun motivo irritare il generale, ma volevo fare arrabbiare Polina. Polina si era comportata con me in maniera tanto crudele e mi aveva spinto su una strada tanto sciocca che volevo proprio portarla al punto in cui
sarebbe stata lei stessa a pregare di fermarmi. La mia ragazzata poteva, infine, compromettere anche lei. Inoltre erano nate in me altre sensazioni ed erano spuntati altri desideri; se io, per esempio, mi annullo volontariamente davanti a lei,
questo non significa affatto che di fronte agli altri io debba sembrare un pulcino bagnato e che, di conseguenza, il barone possa picchiarmi con il bastone. Mi venne una voglia matta di prendere tutti in giro e di uscirne fuori, facendo una bella
figura! Che vedano un po'! Lei ha paura dello scandalo e mi chiamerdi nuovo.

E, se anche non mi chiamer vedrlo stesso che non sono un pulcino bagnato.. .

(Una notizia sbalorditiva: ho sentito proprio ora dire dalla bambinaia, che ho incontrato sulla scala, che M跫ja Fil髹povna partita oggi tutta sola per Karlsbad, con il treno della sera, per andare da sua cugina. Che novitquesta? La bambinaia
dice che si preparava da un pezzo; ma come mai nessuno lo sapeva? Puanche darsi, per che fossi io solo a non saperlo. La bambinaia si lasciata sfuggire che M跫ja Fil髹povna, due giorni fa, aveva avuto un colloquio un po' vivace con il
generale. Capisco. Certamente a causa di mademoiselle Blanche. S si sta avvicinando qualcosa di decisivo.)





NOTE:

1. "Signora, ho l'onore di essere vostro schiavo!"
2. "Ebbene".
3. "Ma siete pazzo?"




7.





La mattina dopo chiamai il cameriere e lo avvertii che mi facesse il conto a parte. La mia camera non era poi coscara da spaventarmi e da costringermi a lasciare subito l'albergo. Avevo sedici federici e l.. lforse mi aspettava la ricchezza!

Strano, non ho ancora vinto, ma gimi comporto, sento e penso come se fossi un riccone e non posso immaginarmi in un modo diverso.

Avevo deciso, nonostante l'ora mattutina, di andare da mister Astley all'H矌el d'Angleterre, non molto lontano dal nostro, quando all'improvviso entrin camera mia De-Grieux. Questo non era ancora mai successo e per di picon quel signore ero,
negli ultimi tempi, in rapporti molto tesi. Egli non nascondeva in nessun modo il suo disprezzo per me, anzi faceva di tutto per metterlo in evidenza; e io... io avevo i miei particolari motivi per non risparmiarlo. In una parola, lo odiavo. La sua
comparsa mi sorprese moltissimo. Subito capii che qualcosa stava bollendo in pentola.

Egli entrcon un'aria molto cortese e mi fece un complimento a proposito della mia stanza. Vedendo che avevo il cappello in mano si informse veramente uscissi a passeggio cosdi buon'ora.

Quando seppe che stavo per andare da mister Astley per un affare, riflett cape il suo viso prese un'espressione molto preoccupata.

De-Grieux era come tutti i francesi, cioallegro e gentile quando serviva e gli conveniva, ma insopportabilmente noioso quando mancava la necessitdi essere allegro e cortese. Il francese raramente cortese per natura; lo sempre, come a
comando, per calcolo. Se, per esempio, vede la necessitdi essere bizzarro, originale, un po' fuori del comune, la sua fantasia la pisciocca e innaturale, fatta di forme prestabilite e gida lungo tempo diventate banali. Allo stato naturale il
francese invece un insieme di qualitpiborghesi, meschine e comuni: in una parola l'essere pinoioso del mondo. Secondo me, soltanto i novellini e in particolar modo le signorine russe si lasciano incantare dai Francesi. Ma a ogni persona
perbene subito evidente e intollerabile quel burocratismo di forme prestabilite di gentilezza, di disinvoltura e di allegria da salotto.

"Vengo da voi per un affare," comincicon incredibile disinvoltura, anche se molto cortesemente, "e non vi nasconderche vengo da parte del generale come ambasciatore o, per meglio dire, come mediatore. Poichconosco molto male la lingua russa,
ieri non ho capito quasi niente, ma il generale mi ha spiegato ogni cosa dettagliatamente e vi confesso che..." "Ma ascoltate, monsieur De-Grieux," lo interruppi, "anche in questa faccenda vi siete assunto l'incarico di intermediario. Io, si sa,
sono un 'outchitel' e non ho mai preteso l'onore di essere amico di questa casa o di avere con essa relazioni particolarmente intime e percinon sono al corrente di tutte le circostanze; ma spiegatemi: possibile che voi facciate giparte di
questa famiglia? Perch infine, prendete sempre tanta parte in ogni cosa, e fate immancabilmente da mediatore in tutto..." Le mie domande non gli piacquero. Per lui erano troppo allusive, e lui non voleva tradirsi in nessun modo.

"Mi legano al generale, in parte certi affari e, in parte, alcune particolari circostanze" mi disse seccamente. "Il generale mi ha mandato a pregarvi di rinunciare ai vostri propositi di ieri sera.

Tutto quello che avete immaginato senza dubbio molto spiritoso, ma egli mi ha precisamente chiesto di farvi presente che la cosa non vi riuscir non solo, ma che il barone non vi ricevere, infine, che egli ha in ogni caso tutti i mezzi per
liberarsi da ulteriori seccature da parte vostra. Convenitene anche voi. A che scopo, ditemi, continuare? Il generale, poi, vi promette di riprendervi senz'altro in casa sua, alla prima occasione favorevole, e di pagarvi fino ad allora il vostro
stipendio, 'vos appointements'. Tutto questo mi sembra abbastanza vantaggioso, non vi pare?" In tutta calma gli spiegai che si sbagliava alquanto; che, forse, il barone non mi avrebbe fatto scacciare ma, al contrario mi avrebbe ascoltato, e gli
chiesi di confessare che egli era venuto per informarsi del modo con cui mi sarei preparato all'impresa.

"Oh, Dio mio, se il generale si interessa tanto, si capisce che gli farpiacere sapere che cosa farete e come. E' cosnaturale!" Cominciai a spiegarglielo, e lui si mise ad ascoltare, semisdraiato, con la testa un po' piegata verso la mia parte e
con una chiara, malcelata sfumatura di ironia sul viso.

Complessivamente si comportava con grande superbia. Cercavo con tutte le mie forze di fingere che consideravo la cosa da un punto di vista molto serio. Gli spiegai che, visto che il barone si era rivolto al generale lamentandosi di me come se fossi
un domestico del generale, in primo luogo con il suo gesto mi aveva privato del posto e in secondo luogo mi aveva trattato come persona che non in condizione di rispondere di se stessa e con la quale non mette conto di parlare. Certo, era giusto
che mi sentissi offeso; per tenendo conto della differenza di et della posizione in societeccetera eccetera (a questo punto mi trattenni a fatica dal ridere), non volevo macchiarmi di una nuova leggerezza, ossia di richiedere direttamente
soddisfazione al barone o anche soltanto di proporglielo. Tuttavia mi ritenevo in pieno diritto di porgere a lui, e specialmente alla baronessa, le mie scuse; tanto piche negli ultimi tempi mi sentivo realmente poco bene, nervoso e, per cosdire,
strano eccetera eccetera. Ma il barone con il suo gesto, offensivo per me, di essersi rivolto al generale e di avere insistito perchil generale mi togliesse il posto, mi aveva messo in una tale situazione che ormai non potevo pipresentare a lui
e alla baronessa le mie scuse, poichlui, la baronessa e tutto il mondo avrebbero certo pensato che ero andato a scusarmi per paura e per riavere il posto. Da tutto questo derivava che mi trovavo costretto a pregare il barone in primo luogo di
scusarsi con me nei termini pimoderati, dicendo per esempio che non aveva voluto assolutamente offendermi. E quando il barone avesse detto questo, allora io mi sarei sentite le mani libere e con tutta sinceritgli avrei presentato le mie scuse.
"In una parola," conclusi, "preghersoltanto il barone che mi sciolga le mani." "Ahim che eccesso di scrupolo e che raffinatezza! E perchdovrebbe egli scusarsi con voi? Vorrete convenire, monsieur...

monsieur... che voi ideate tutto questo a bella posta per irritare il generale... e forse avete qualche mira speciale... 'mon cher monsieur, pardon, j'ai oublivotre nom... monsieur Alexis? n'est ce pas?' (1)" "Ma permettete, 'mon cher marquis': a
voi che cosa importa?" "Mais le g幯廨al..." "Che cosa, il generale? Ieri sera accennava al fatto che deve mantenersi in una certa situazione... ed era cospreoccupato...

ma io non ho capito niente." "Qui si verifica, in realt una particolare circostanza" riprese De-Grieux con tono di preghiera nel quale affiorava sempre pil'irritazione. "Voi conoscete mademoiselle de Cominges?" "Volete dire mademoiselle
Blanche?" "S mademoiselle Blanche de Cominges... et madame sa m鋨e... ne converrete anche voi, il generale... in una parola, il generale innamorato, e puanche darsi che qui ci sia un matrimonio. E immaginatevi che intanto ci siano questi
scandali e queste storie..." "Non vedo qui nscandali, nstorie che riguardino il matrimonio..." "Mais le baron est si irascible, un caract鋨e prussien, vous savez, enfin il fera une querelle d'Allemand. (2)" "Ebbene, la fara me, non a voi,
poichio non appartengo pialla casa... (A bella posta mi sforzavo di essere il piassurdo possibile.) Ma scusate, proprio deciso che mademoiselle Blanche sposi il generale? Che cosa aspettano? Voglio dire, perchnascondere la cosa anche a noi
che siamo di casa?" "Io non posso... del resto la cosa non ancora del tutto...

Tuttavia... lo sapete, aspettano notizie dalla Russia: il generale deve sistemare i suoi affari..." "Ah, ah! la 'baboulinka!'" De-Grieux mi guardcon odio.

"In una parola," disse, interrompendomi, "io spero vivamente nella vostra innata cortesia, nella vostra intelligenza, nel vostro tatto... voi, sono certo, lo farete per questa famiglia nella quale siete stato accolto come un parente, siete stato
amato, rispettato..." "Permettete, sono stato scacciato! Voi, ecco, ora affermate che stato solo per le apparenze: ma convenite che, se vi dicessero:

'Io, certo, non voglio tirarti le orecchie, ma per le apparenze permetti che te le tiri...' quasi la stessa cosa..." "Se cos se nessuna preghiera influisce su di voi" comincia dire in tono severo e autoritario, "allora permettete che vi
assicuri che saranno prese le necessarie misure. Qui esistono delle autorit vi manderanno via oggi stesso... 'que diable! Un blanc-bec comme vous' (3) vuole sfidare a duello un personaggio autorevole come il barone! E voi pensate che vi lasceranno
tranquillo? Credetemi, nessuno qui ha paura di voi! E se sono venuto a pregarvi, l'idea venuta da me perchvoi rendevate inquieto il generale. E' mai possibile, mai possibile che pensiate che il barone non vi faccia semplicemente scacciare da
un servo?" "Ma io non ci andrpersonalmente;" risposi con molta calma, "vi sbagliate, monsieur De-Grieux; tutto avverrin modo molto pidecoroso di quanto non pensiate. Ora andrsubito da mister Astley e lo pregherdi essere il mio
intermediario, in una parola, 'mon second'! Quest'uomo mi vuole bene e certamente non rifiuter Egli andrdal barone, e il barone lo ricever Se io sono un 'outchitel', qualcosa, pare, come un dipendente, e, in sostanza, senza difesa, mister
Astley, invece, nipote di un lord, di un autentico lord (questo lo sanno tutti), di lord Peabroke, e il lord qui. Credetemi, il barone sargentile con mister Astley e lo ascolter E se non lo ascolter mister Astley considererla cosa come
un'offesa personale (voi sapete che gli inglesi sono ostinati) e manderal barone da parte sua un amico, e lui ha degli ottimi amici. Riflettete, ora, che forse le cose non andranno come voi pensate." Il francese era decisamente impaurito: in
realt tutto questo aveva l'apparenza della verite sembrava proprio che io fossi in grado di suscitare una questione.

"Ma ve ne prego," cominciin tono addirittura supplichevole, "lasciate perdere tutto! Si direbbe che vi faccia piacere che ne venga fuori uno scandalo! A voi non interessa la soddisfazione, ma lo scandalo! Ho detto che tutto questo sarebbe
divertente e spiritoso, il che a quanto pare, ciche voi desiderate, ma" concluse vedendo che io mi alzavo e prendevo il cappello, "sono venuto a consegnarvi due parole da parte di una persona:

leggetele. Sono incaricato di aspettare la risposta." Detto questo, tirfuori dalla tasca e mi consegnun bigliettino, piegato e sigillato con un'ostia.

Di mano di Polina c'era scritto:

"Mi sembrato che abbiate l'intenzione di... continuare questa storia. Vi siete arrabbiato e cominciate a fare delle ragazzate.

Ma qui ci sono delle circostanze particolari che, forse in seguito, vi spiegher ma voi, ve ne prego, smettetela e calmatevi. Che cosa sono queste sciocchezze? Mi siete necessario e avete promesso di ubbidirmi. Ricordate lo Schlangenberg. Vi prego
di essere ubbidiente e, se serve, ve lo ordino.

Vostra P.

P.S. Se siete in collera con me, per quanto accaduto ieri, perdonatemi."

Quando ebbi letto quelle righe fu come se tutto si confondesse davanti ai miei occhi. Le labbra mi si sbiancarono e cominciai a tremare. Il maledetto francese mi guardava con aria umile e distoglieva gli occhi da me come per non vedere il mio
turbamento.

Sarebbe stato meglio che mi avesse riso in faccia.

"Bene" risposi. "Dite a mademoiselle che stia tranquilla.

Permettetemi perdi domandarvi" aggiunsi in tono brusco, "perchavete aspettato tanto a consegnarmi il biglietto. Invece di parlare di sciocchezze, mi pare che sarebbe stato vostro dovere cominciare da questo... se veramente siete venuto con un
simile incarico." "Oh, io volevo... tutto l'insieme cosstrano che voi scuserete la mia naturale impazienza. Avevo voglia di conoscere, da voi personalmente, le vostre intenzioni. Non so, d'altra parte, che cosa ci sia nel biglietto e pensavo che
sarei sempre stato in tempo a consegnarvelo." "Capisco. Vi stato ordinato, senza tante cerimonie, di consegnarmelo solo in caso estremo e di non darmelo addirittura se vi riusciva di accomodare la faccenda a parole. E' cos Parlate francamente,
De-Grieux!" "Peut-皻re!" rispose, assumendo un'espressione discreta e rivolgendomi uno sguardo particolare.

Io presi il cappello; egli fece un cenno con il capo e usc Mi sembrche sulle sue labbra balenasse un sorriso ironico. E come poteva essere diversamente?

"Noi due, francesuccio, faremo ancora i conti, ci troveremo ancora di fronte" borbottavo, scendendo la scala. Non potevo ancora coordinare le idee, come se avessi ricevuto un colpo sulla testa; ma l'aria fresca mi rianimun poco.

Due minuti dopo, non appena cominciai a capire meglio, mi si affacciarono nitidamente due pensieri: primo, che per tali inezie, per simili incredibili minacce da scolaretto dette ieri a volo, era nato un cosgenerale scompiglio; secondo, qual era
mai il potere di quel francese su Polina. Una sua sola parola, e lei faceva tutto quello che egli voleva, scriveva un biglietto e addirittura mi pregava. Certo, i loro rapporti erano sempre stati per me un mistero da quando avevo cominciato a
conoscerli; perin questi ultimi giorni avevo notato in lei una decisa avversione e persino del disprezzo verso il francese, mentre egli nemmeno la guardava ed era addirittura scortese. Io l'avevo notato. Polina stessa mi aveva parlato di
avversione; si era gilasciata sfuggire delle confessioni notevoli... Significava semplicemente che egli la dominava e che la teneva, per cosdire, in catene...





NOTE.

1. "Caro signore, scusate, ho dimenticato il vostro nome... signor Alexis, non vero?"
2. "Ma il barone cosirritabile, un temperamento prussiano, sapete, finircol farne una questione dell'altro mondo!"
3. "Che diavolo! Uno sbarbatello come voi!"






8.





Sulla "promenade", come la chiamano qui, ossia sul viale dei castagni, incontrai il mio inglese.

"Oh! oh!" cominciegli, vedendomi, "io venivo da voi, e voi da me. Cos vi siete separato dai vostri?" "Ditemi, prima di tutto, come voi lo sapete," gli chiesi con stupore; "possibile che la cosa sia ginota a tutti?" "Oh no! Non a tutti, e non
vale neppure la pena che lo sia.

Nessuno ne parla." "E allora, come lo sapete?" "Lo so, cioho avuto occasione di saperlo. Ma adesso, dove andate? Io vi voglio bene e per questo venivo da voi." "Siete proprio un'eccellente persona, mister Astley," gli dissi (ero rimasto veramente
sorpreso: come l'aveva saputo?) "e, poichnon ho ancora preso il caffe voi, probabilmente, l'avete preso cattivo, andiamo al caffdel Casin ci sediamo l facciamo una fumatina e intanto io vi raccontertutto... e voi pure racconterete tutto
a me..." Il caffera a cento passi.

Ci servirono subito, ci mettemmo a sedere, io accesi una sigaretta, mister Astley non accese niente e, con gli occhi fissi su di me, si preparad ascoltarmi.

"Non andrin nessun posto, resterqui" cominciai a dire.

"Ero anch'io convinto che sareste rimasto" rispose mister Astley, in tono di approvazione.

Andando da mister Astley, non solo non avevo nessuna intenzione, ma di proposito non volevo dirgli niente del mio amore per Polina.

In tutti quei giorni non gliene avevo quasi fatto parola. Per di piegli era timidissimo. Fin dalla prima volta avevo osservato che Polina gli aveva suscitato un'impressione straordinaria, ma lui non pronunciava mai il suo nome. Ma, cosa strana,
non appena fui seduto ed egli ebbe puntato su di me il suo sguardo color dello stagno, mi venne improvvisamente voglia, non so perch di raccontargli tutto, ciotutto il mio amore in ogni sua sfumatura.

Parlai per una mezz'ora, provando uno straordinario piacere: era la prima volta che toccavo quell'argomento! Resomi conto che in certi punti particolarmente ardenti egli si turbava, accrescevo a bella posta il calore del mio racconto. Di una cosa mi
pento: di aver forse detto qualcosa di troppo sul francese...

Mister Astley ascoltava, seduto di fronte a me, immobile, silenzioso e guardandomi negli occhi; ma, quando cominciai a parlare del francese, mi interruppe improvvisamente e in tono severo mi chiese se avevo il diritto di accennare a quella
circostanza estranea. Mister Astley faceva le domande in modo molto strano.

"Avete ragione: temo di no" risposi.

"Di questo marchese e di miss Polina non potete dire niente di preciso, all'infuori di semplici supposizioni?" Di nuovo mi meravigliai di una simile categorica domanda da parte di un uomo costimido come mister Astley.

"No, niente di preciso" risposi. "Niente, naturalmente. Se le cose stanno cos avete agito male, non solo nel parlarne con me, ma anche nell'averci pensato." "Bene, bene, lo ammetto. Ma adesso non si tratta di questo" dissi, interrompendolo e
meravigliandomi dentro di me. A questo punto gli raccontai tutta la storia del giorno prima, in tutti i particolari, la pensata di Polina, la mia avventura con il barone, il mio licenziamento, l'incredibile viltdel generale e, infine, gli esposi
dettagliatamente la visita di De-Grieux, in ogni sfumatura; e, come conclusione, gli feci vedere il biglietto.

"Che cosa ne deducete?" gli chiesi. "Sono venuto da voi proprio per conoscere il vostro pensiero. Per quello che mi riguarda, mi sembra che ucciderei quel francesino... e pudarsi che lo faccia." "Anch'io" disse mister Astley. "In quanto a miss
Polina... sapete, noi entriamo a volte in rapporti anche con persone che ci sono odiose se a cici obbliga la necessit In questo caso possono esserci rapporti a voi sconosciuti che dipendono da circostanze estranee. Io penso che possiate star
tranquillo; in parte, si capisce. In quanto al suo modo di agire di ieri, certo esso strano, e non perchlei abbia desiderato liberarsi di voi e vi abbia spinto sotto la mazza del barone (e non capisco perchnon l'abbia usata, dato che l'aveva
tra le mani), ma perchuna tale pensata da parte di una cos.. di una coseccellente miss non corretta... Certo lei non poteva indovinare che voi avreste eseguito alla lettera il suo buffo desiderio..." "Sapete che cosa?" gridai a un tratto,
osservando attentamente mister Astley. "Ho l'impressione che abbiate gisentito parlare di tutto questo... e sapete da chi? Proprio da miss Polina!" Mister Astley mi guardcon stupore.

"I vostri occhi mandano lampi, e io leggo in essi il sospetto," disse, riprendendo subito la calma, "ma voi non avete il minimo diritto di manifestarlo. Non posso riconoscervi questo diritto, e mi rifiuto nel modo picategorico di rispondere alla
vostra domanda." "Ebbene, basta! Non importa!" gridai, agitandomi stranamente e senza capire come mai mi fosse venuta in mente quell'idea! Ma quando, dove, in che modo mister Astley avrebbe potuto essere scelto da Polina come uomo di fiducia? Negli
ultimi tempi, anzi, avevo perduto un po' di vista mister Astley, e Polina era sempre stata per me un mistero, un mistero a tal punto che ora, per esempio, preparatomi a raccontare tutta la storia del mio amore per lei ad Astley, all'improvviso,
durante il racconto, ero stato colpito dal fatto che non potevo dire quasi niente di preciso e di positivo sui miei rapporti con la fanciulla. Al contrario, tutto era fantastico, strano, infondato e persino inverosimile!

"S va bene, va bene; sono confuso, e molte cose non le posso ancora considerare come si deve" risposi, quasi ansimando. "Del resto, voi siete una brava persona. Adesso c'un'altra cosa: vi chiedo non il vostro consiglio, ma la vostra opinione."
Tacqui un momento e cominciai:

"Che pensate del fatto che il generale si sia tanto spaventato?

Perchdalla mia stupida monelleria tutti hanno tirato fuori una questione tanto grossa, grossa al punto che persino De-Grieux ha ritenuto indispensabile immischiarsene (e lui si immischia solo nei casi piimportanti), venuto in persona da me, mi
ha pregato, e supplicato... ha supplicato me, lui, De-Grieux? Infine, notate, venuto alle nove, anzi un po' prima delle nove, e il biglietto di miss Polina era ginelle sue mani. Quando, mi chiedo, stato scritto? Forse hanno svegliato miss
Polina per questo? Inoltre, proprio da questo capisco che miss Polina la sua schiava (poichmi chiede persino perdono!) e, a parte questo, che c'entra lei, personalmente, in tutto questo? Perchse ne interessa tanto?

Come mai si sono cosspaventati di un barone qualsiasi? E che cosa significa che il generale sposa mademoiselle Blanche de Cominges? Loro dicono che, in seguito a questa circostanza, devono tenere un contegno in un certo senso particolare, ma ormai
questo contegno giun po' troppo particolare, convenitene anche voi!

Che ne pensate? Dal vostro sguardo mi convinco che di questa faccenda ne sapete molto pidi me!" Mister Astley sorrise e scosse la testa.

"Effettivamente anche qui credo di saperne molto pidi voi" disse. "Qui tutta la faccenda riguarda solo mademoiselle Blanche, e io sono sicuro che questa l'assoluta verit" "E allora, mademoiselle Blanche?" gridai con impazienza (mi era balenata
all'improvviso la speranza che avrei scoperto qualcosa sul conto di Polina).

"Mi pare che mademoiselle Blanche abbia in questo momento un particolare interesse a evitare in tutti i modi un incontro con il barone e con la baronessa, tanto piun incontro sgradito o, peggio ancora, uno scandalo." "Ebbene? Ebbene?"
"Mademoiselle Blanche, due anni fa, gistata qui, durante la stagione, a Roulettenburg. E c'ero anch'io. Mademoiselle Blanche allora non si chiamava mademoiselle de Cominges, e sua madre, madame veuve Cominges allora non esisteva. Almeno non se
ne parlava. De-Grieux... neppure De-Grieux c'era. Ho la profonda convinzione che non solo essi non siano parenti fra loro, ma neppure conoscenti di lunga data. Marchese, De-Grieux lo diventato recentemente, e di questo sono certo a causa una certa
circostanza. Si pupersino supporre che abbia cominciato a chiamarsi De-Grieux da poco tempo. Conosco qui una persona che l'ha incontrato anche sotto un altro nome." "Ma ha realmente una cerchia di conoscenze serie?" "Oh, pudarsi. Persino
mademoiselle Blanche puaverla. Ma due anni fa mademoiselle Blanche, su richiesta di questa stessa baronessa, ricevette dalla polizia locale l'invito di lasciare la citt e la lasci" "Come mai?" "Ella era allora comparsa qui prima con un
italiano, un principe dal nome storico, un nome come Barberini o un qualcosa del genere.

Un uomo tutto anelli e brillanti, e nemmeno falsi. Andavano in giro in una splendida carrozza. Mademoiselle Blanche giocava al 'trente et quarante,' all'inizio con fortuna, poi la buona sorte le girle spalle. Me lo ricordo, e ricordo che una sera
perdette una somma enorme. Ma il peggio fu che 'un beau matin' il suo principe scomparve, non si sa dove; e scomparvero con lui cavalli e carrozza; scomparve tutto. Il debito in albergo era enorme.

Mademoiselle Zelma (da Barberini si era improvvisamente cambiata in mademoiselle Zelma) era all'estremo limite della disperazione.

Piangeva e strillava cosforte da farsi sentire per tutto l'albergo e nella furia si strappava persino i vestiti. C'era allora ospite nell'albergo un conte polacco (tutti i polacchi che viaggiano sono conti), e mademoiselle Zelma che si strappava
le vesti e si graffiava come una gatta il viso con le sue bellissime mani profumate, produsse su di lui una certa impressione.

Scambiarono qualche parola e a pranzo lei appariva giconsolata.

La sera egli arrival Casina braccetto con lei. Mademoiselle Zelma rideva forte, secondo la sua abitudine, e nel modo di comportarsi sembrava sicura e disinvolta. Era ormai entrata in quella categoria di signore che giocano alla roulette, le
quali, avvicinandosi al tavolo, spingono a spallate un giocatore per prendergli il posto. E' un particolare chic di queste signore. Le avrete certamente notate." "Oh, s" "Non merita neppure notarle. A dispetto del pubblico perbene, esse sono
inestirpabili, almeno quelle tra di loro che ogni giorno cambiano al tavolo da giuoco biglietti da mille franchi. Per non appena smettono di cambiar biglietti, sono pregate di allontanarsi. Mademoiselle Zelma continuancora a cambiare: ma il suo
giuoco era sempre pisfortunato. Notate che queste signore molto spesso giocano con fortuna: hanno una straordinaria padronanza di s Ma la mia storia finita... Un bel giorno, proprio come il principe, sparanche il conte. Mademoiselle Zelma si
presenta giocare la sera da sola; ma quella volta nessuno le offril braccio. In due giorni perdette tutto, definitivamente.

Puntato e perduto l'ultimo luigi d'oro, essa si guardattorno e vide accanto a sil barone Wurmerhelm che la osservava molto attentamente e con profonda indignazione. Mademoiselle Zelma non vide l'indignazione e, rivolgendosi al barone con il suo
ben noto sorriso, lo pregdi puntare per lei dieci luigi d'oro sul rosso.

In seguito a questo, su denuncia della baronessa lei ricevette la sera stessa l'invito a non farsi pivedere al Casin Se vi meravigliate che io sappia tutti questi piccoli e del tutto sconvenienti particolari perchli ho sentiti raccontare da
mister Feeder, un mio parente, che quella sera stessa accompagnnella sua carrozza mademoiselle Zelma da Roulettenburg a Spa. Ora capite: mademoiselle Blanchevuoleesseregeneralessa probabilmente per non ricevere piinviti del genere di quello
ricevuto due anni addietro dalla polizia del Casin Adesso non giuoca piperchpossiede, a quanto pare, un capitale che presta ai giocatori di qui, a interesse. Questo molto piconveniente.

Io ho persino il sospetto che anche quel disgraziato generale sia suo debitore. E che forse lo sia anche De-Grieux, oppure che De- Grieux sia in societcon lei. Converrete anche voi che, almeno fino al giorno del matrimonio, lei non vorrin nessun
modo attirare sopra di sl'attenzione del barone e della baronessa. In poche parole, nella condizione in cui si trova, uno scandalo la cosa che meno le converrebbe. Voi, poi, siete legato alla loro casa, e le vostre azioni potrebbero veramente
far nascere uno scandalo, tanto piche lei compare ogni giorno in pubblico al braccio del generale o con miss Polina. Capite ora?" "No, non capisco!" gridai, battendo sul tavolo con tanta forza che il cameriere arrivspaventato.

"Dite, mister Astley" ripetei furibondo, "se voi eravate al corrente di tutta questa storia e di conseguenza sapete a memoria chi sia questa mademoiselle Blanche de Cominges, come mai non avete avvertito almeno me, il generale e, soprattutto, miss
Polina che si faceva vedere qui al Casin in pubblico, sotto braccio a mademoiselle Blanche? E' possibile?" "Avvertire voi sarebbe stato inutile perchnon potevate farci niente" rispose con calma mister Astley. "E, del resto, avvertire di che
cosa? Il generale probabilmente sa di mademoiselle Blanche pidi quanto ne so io e tuttavia va a passeggio con lei e con miss Polina. Il generale un disgraziato. Ho veduto ieri mademoiselle Blanche che galoppava su un bellissimo cavallo in
compagnia di monsieur De-Grieux e di quel piccolo principe russo, e il generale che galoppava loro dietro su un cavallo sauro. Al mattino aveva detto che gli facevano male le gambe, ma la sua posizione in sella era buona. E proprio in quel momento
mi venuto all'improvviso in mente che quello era un uomo definitivamente rovinato. Per di pi tutto questo non mi riguarda e solo da poco tempo ho avuto l'onore di conoscere miss Polina. Ma del resto (si riprese di colpo mister Astley), vi ho gi detto che non posso ammettere che abbiate diritto a fare certe domande, sebbene vi sia sinceramente affezionato..." "Basta" dissi, alzandomi, "ora mi chiaro come il giorno che miss Polina al corrente di tutto quanto riguarda mademoiselle
Blanche, ma che non pustaccarsi dal suo francese e perciacconsente ad andare in giro con lei. Credetemi, nessun'altra forza l'avrebbe indotta a passeggiare con miss Blanche e a supplicarmi nel biglietto di non toccare il barone. Deve proprio
trattarsi di quella suggestione davanti alla quale ogni cosa si inchina! E tuttavia fu lei a spingermi contro il barone. Il diavolo mi porti se ci si capisce qualcosa!" "Voi dimenticate prima di tutto che questa mademoiselle de Cominges la
fidanzata del generale e in secondo luogo che miss Polina, figliastra del generale, ha un fratellino e una sorellina, veri figli del generale, ormai completamente abbandonati da quel pazzo e, sembra, anche da lui rovinati." "S s.. cos
Lasciare quei bambini significa abbandonarli del tutto, restare significa difendere i loro interessi e forse anche salvare qualche briciolo della propriet S s.. tutto civero! Ma per per Oh, capisco perchadesso tutti si interessano
tanto della 'baboulinka!'" "Di chi?" chiese mister Astley.

"Di quella vecchia strega di Mosca che non si decide a morire e a proposito della quale sono tutti in attesa del telegramma che annunci che sta per andarsene all'altro mondo." "Ma s certo, tutto l'interesse si concentrato su di lei. Tutto
dipende dall'eredit Quando l'ereditsarsicura, il generale si sposer miss Polina sarlibera e De-Grieux..." "Ebbene, e De-Grieux?" "A De-Grieux verrpagato il debito: egli qui aspetta soltanto questo." "Soltanto? Voi credete che aspetti
soltanto questo?" "Io non so altro" e mister Astley tacque ostinatamente.

"Io, invece, lo so, lo so!" ripetei con rabbia. "Aspetta anche lui l'ereditperchPolina riceverla dote e, non appena avri denari, gli si getteral collo. Tutte le donne sono uguali! E sono proprio le piorgogliose che si rivelano le schiave
piumili! Polina capace soltanto di amare appassionatamente: niente altro! Questa la mia opinione su di lei. Osservate, specialmente quando sola, soprappensiero: ha qualche cosa di predestinato, di fatale, di maledetto! Essa portata a tutti
gli orrori della vita e della passione... essa... essa... Ma chi che mi chiama?" esclamai a un tratto. "Chi grida? Ho sentito gridare in russo:

"Aleks嶴 Iv跣ovitch!" Una voce di donna, ascoltate, ascoltate!" Intanto ci stavamo avvicinando all'albergo. Da un pezzo, quasi senza accorgercene, avevamo lasciato il caff

"Ho sentito delle grida di donna, ma non so chi fosse a chiamare, parlava russo. Ora vedo da dove arriva la voce," mi indicmister Astley, "chi grida quella donna che sta seduta in una grande poltrona che alcuni domestici hanno portato ora sulla
scalinata.

Le portano dietro le valigie, segno che appena arrivato il treno." "Ma perchchiamare me? Ecco che ricomincia a gridare. Guardate, ci fa dei segni..." "Vedo, s che fa dei segni" rispose mister Astley.

"Aleks嶴 Iv跣ovitch! Aleks嶴 Iv跣ovitch! Ah, Signore, che razza di tontolone!" si sentiva gridare disperatamente dalla scalinata dell'albergo.

Raggiungemmo quasi di corsa la scalinata. Salii sul ripiano e...

le braccia mi caddero dallo stupore, e i piedi rimasero inchiodati a terra!





9.





Sul pianerottolo superiore dell'alta scalinata dell'albergo, portata su per i gradini in una poltrona e circondata da servitori, cameriere e dal numeroso, ossequiente personale dell'albergo, alla presenza del capo cameriere in persona uscito a
incontrare l'illustre ospite arrivata con tanto trambusto e fracasso, con la sua servitparticolare e una gran quantitdi bauli e di valigie, troneggiava... la nonna! S era proprio lei, la terribile, ricchissima settantacinquenne Antonida
Vass骴evna Tarassevitcheva, proprietaria e gran signora moscovita, la 'baboulinka,' sul conto della quale si spedivano e si ricevevano telegrammi; era quella vecchia sempre sul punto di morire ma che non moriva mai e che, d'improvviso, era piombata
in persona tra di noi, come una tegola sulla testa. Era apparsa, benchsenza l'uso delle gambe e portata come sempre negli ultimi cinque anni in poltrona, ardita, battagliera, contenta di s eretta sul busto, come suo solito, gridando forte e
imperiosamente, rampognando tutti, proprio come io avevo avuto l'onore di vederla due volte da quando ero entrato come precettore in casa del generale.

Naturalmente rimasi davanti a lei come impietrito dallo stupore.

Gia cento passi di distanza, mentre la portavano dentro sulla poltrona, lei mi aveva visto con il suo occhio di lince, mi aveva riconosciuto e mi chiamava con il nome e con il patronimico che lei, com'era sua abitudine, aveva imparato una volta
per sempre.

"E proprio lei si aspettavano di vedere chiusa nella bara dopo aver lasciato l'eredit" mi passa volo nella mente. "Lei che vivrpia lungo di noi e di tutto l'albergo! Mio Dio, ma che succederora ai nostri, che succederal generale? Quella,
adesso, mettersottosopra tutto!" "Dunque, b輆iushka, perchte ne stai limpalato con gli occhi sbarrati?" continuava a gridare la nonna. "Salutare, dare il benvenuto non sai, eh? O ti dai delle arie e non vuoi farlo?

Senti, Potapytch," disse rivolta a un vecchietto canuto in frac e cravatta bianca con una rosea calvizie, il suo maggiordomo che l'accompagnava nel viaggio, "senti, non mi riconosce! Mi avevano giseppellita! Mandavano un telegramma dietro l'altro:
morta o non morta? So tutto! E io, invece, vedi... sono qui, e vivissima." "Ma scusate, Antonida Vass骴evna, perchdovrei desiderarvi del male?" le risposi allegramente, riavendomi dallo stupore. "Sono rimasto semplicemente sorpreso... e come
potevo non esserlo... un avvenimento cosinatteso..." "E che c'da meravigliarsi? Sono salita in treno e sono partita.

In treno si sta bene, non ci sono scossoni. Eri andato a passeggio?" "S ero andato a far due passi verso il Casin" "Qui bello" disse la nonna, guardandosi intorno. "Fa caldo, e gli alberi sono coperti di foglie. Mi piace! I nostri sono in
casa? E il generale?" "Oh s sono in casa; a quest'ora sono certamente tutti in casa." "Anche qui hanno le loro ore fisse e tutte le altre cerimonie? Si danno molte arie. E hanno la carrozza, ho sentito dire, 'les seigneurs russes'! Hanno
sperperato tutto e poi, via all'estero! E Prask瓃ja con loro?" "S Polina Aleks跣drovna con loro." "E anche il francesino? Bene, ma li vedrtutti da me, Aleks嶴 Iv跣ovitch; indicami la strada per andare direttamente da lui. E tu, ti trovi
bene, qui?" "Coscos Antonida Vass骴evna." "Tu, Potapytch, di' a questo babbeo di cameriere che mi diano un appartamento comodo, grazioso, non in alto, e fa' trasportare subito i bagagli. Ma perchtutti vogliono portarmi? Perchtanti
strisciamenti? Che schiavi! E chi c'lcon te?" chiese, rivolgendosi di nuovo a me.

"E' mister Astley" risposi.

"Quale mister Astley?" "Un viaggiatore, una mia buona conoscenza; conosce anche il generale." "Un inglese. Ecco perchmi guarda fisso e a denti stretti. Del resto, gli inglesi mi piacciono. Su, portatemi di sopra direttamente al loro appartamento;
dove si trova?" Portarono su la nonna; io precedevo per l'ampio scalone dell'albergo. Il nostro corteo faceva molto effetto. Tutti quelli con i quali ci imbattevamo, si fermavano e ci guardavano con tanto d'occhi. Il nostro albergo considerato il
migliore, il picaro e il piaristocratico qui alle acque. Per le scale e lungo i corridoi si incontrano sempre dame elegantissime e inglesi dall'aspetto imponente. Molti chiedevano informazioni gi al capo cameriere, il quale, a sua volta, era
rimasto assai colpito.

Naturalmente, a tutti quelli che lo interrogavano, egli rispondeva che si trattava di una straniera importante, di 'une russe, une comtesse, grande dame,' che avrebbe occupato lo stesso appartamento occupato la settimana prima dalla grande 'duchesse
de N.' L'aspetto autoritario e imperioso della nonna, trasportata in poltrona, faceva un grande effetto. Ogni volta che incontrava una persona nuova, la misurava subito con uno sguardo curioso, e di ognuna mi chiedeva informazioni ad alta voce. La
nonna era di costituzione robusta e, sebbene non si alzasse dalla poltrona, si capiva, guardandola, che doveva essere di alta statura. Aveva la schiena diritta come un'asse e non si appoggiava alla spalliera.

La sua grossa testa dai capelli bianchi, dai tratti marcati e forti, stava eretta; guardava in maniera quasi insolente con aria di sfida; e si vedeva che sguardo e gesti erano perfettamente naturali. Nonostante i suoi settantacinque anni, aveva un
viso abbastanza fresco, e anche i denti erano ancora in buone condizioni. Indossava un abito di seta nera e aveva in testa una cuffietta bianca.

"Quella donna mi interessa moltissimo" mi sussurrmister Astley, salendo con me.

"Lei al corrente dei telegrammi" pensai. "Conosce anche De- Grieux, ma sembra conoscere ancor poco mademoiselle Blanche." Subito lo comunicai a mister Astley.

Che peccatore sono mai! Non appena passato il primo momento di stupore, mi rallegrai moltissimo per il fulmine a ciel sereno che stava per colpire il generale. Era come se qualcosa mi eccitasse, e camminavo davanti a tutti con straordinaria allegria.

I nostri alloggiavano al terzo piano; io non annunciai nessuno e neppure bussai; semplicemente spalancai la porta, e la nonna fu portata dentro in trionfo. Nemmeno a farlo apposta, si trovavano tutti riuniti nello studio del generale. Erano le
dodici e stavano progettando, sembra, una gita, un po' in comitiva, un po' a cavallo; c'erano anche degli invitati loro conoscenti. Oltre al generale e a Polina con i bambini e le loro bambinaie, c'erano nello studio: De-Grieux, mademoiselle
Blanche, vestita da amazzone, sua madre madame veuve Cominges, il piccolo principe e anche un certo dotto viaggiatore, un tedesco che vedevo da loro per la prima volta. La poltrona della nonna fu portata direttamente nel bel mezzo dello studio, a
tre passi dal generale.

Mio Dio, non dimentichermai quell'impressione! Prima che noi entrassimo, il generale stava raccontando qualcosa, e De-Grieux lo contraddiceva. Bisogna notare che mademoiselle Blanche e De-Grieux gida due o tre giorni, non so perch facevano la
corte al piccolo principe 'la barbe du pauvre g幯廨al'; e la compagnia, anche se un po' artificiosamente, sembrava di umore allegro e gioiosamente familiare. Vedendo la nonna, il generale rimase di stucco, spalancla bocca e si ferma metdi
una parola. Mi fisscon gli occhi sbarrati come incantato dallo sguardo di un basilisco. Anche la nonna lo guardava in silenzio, immobile... ma che sguardo trionfatore, provocante e ironico era il suo! Si fissarono cos per almeno dieci secondi,
tra il profondo silenzio di tutti i presenti. De-Grieux sulle prime era rimasto pietrificato, ma ben presto una inquietudine straordinaria comparve sul suo viso. Mademoiselle Blanche con le sopracciglia sollevate e la bocca aperta, guardava la nonna
con aria strana. Il principe e lo scienziato osservavano la scena, profondamente perplessi. Gli occhi di Polina espressero un enorme stupore, e a un tratto si fece pallida come un cencio; dopo un attimo, per il sangue le risalal viso e le inond le guance. S era una catastrofe per tutti! Io non facevo altro che spostare il mio sguardo dalla nonna a tutti i presenti, e viceversa. Mister Astley se ne stava in disparte, calmo e dignitoso come sempre.

"Dunque, eccomi qui invece del telegramma!" disse finalmente la nonna, interrompendo il silenzio. "Non mi aspettavate, eh?" "Antonida Vass骴evna... zia... ma in che modo..." balbettl'infelice generale. Se la nonna avesse continuato a tacere ancora
per qualche secondo, forse gli sarebbe venuto un colpo.

"Come, in che modo? Sono salita sul treno e sono partita. Che ci sta a fare la ferrovia? Voi tutti pensavate che io avessi tirato le cuoia e vi avessi lasciato l'eredit So benissimo che tu da qui spedivi telegrammi. E credo che avrai speso
parecchio per farlo... Non costano certo poco. E io, invece, gambe in spalla, ed eccomi qui. E' questo quel tal francese? Monsieur De-Grieux mi sembra." "Oui, madame" rispose De-Grieux "croyez, je suis si enchant..

votre sant.. c'est un miracle... vous voir ici, une surprise charmante...(1)" "Gi gi 'charmante:' ti conosco, buffone, e non ti credo, ecco, neanche tanto cos" e gli mostril dito mignolo "E questa, chi " esclamrivolgendosi e indicando
mademoiselle Blanche.

L'eccentrica francese, vestita da amazzone, con il frustino in mano, l'aveva evidentemente colpita. "E' di qui?" "E' mademoiselle Blanche de Cominges, e questa sua madre, madame de Cominges; abitano in questo albergo" riferii io.

"E' sposata la figlia?" chiese la nonna, senza fare tanti complimenti.

"Mademoiselle de Cominges nubile" risposi nel modo pirispettoso e, a bella posta, a mezza voce.

"E' allegra?" Non capii subito la domanda.

"Non ci si annoia con lei? Capisce il russo? De-Grieux, per esempio, da noi, a Mosca, era riuscito a dire malamente qualcosa nella nostra lingua." Le spiegai che mademoiselle Blanche de Cominges non era mai stata in Russia.

"Bonjour!" disse la nonna, volgendosi all'improvviso bruscamente verso mademoiselle Blanche.

"Bonjour, madame" rispose mademoiselle Blanche con un inchino cerimonioso ed elegante, affrettandosi, sotto l'apparenza di una straordinaria modestia e cortesia, a dimostrare con l'espressione del viso e di tutta la persona il suo stupore per una
cosstrana domanda e un cosstrano comportamento.

"Oh, ha abbassato gli occhi, fa smancerie e cerimonie; si vede subito che tipo una qualche attrice. Io, qui all'albergo, mi sono fermata gi disse a un tratto, rivolta al generale. "Sartua vicina: sei contento o no?" "Oh, zia! Credete ai
sentimenti sinceri... della mia contentezza" rispose il generale. Si era in parte ripreso e poich quand'era il caso, sapeva parlare bene, gravemente e con pretesa di un certo effetto, cominciava a dilungarsi anche adesso. "Eravamo cosinquieti e
preoccupati per le notizie della vostra salute...

Abbiamo ricevuto dei telegrammi cosdisperati, ed ecco che a un tratto..." "Frottole, frottole!" lo interruppe la nonna.

"Ma come mai," interruppe a sua volta, alzando la voce, il generale che si era sforzato di non notare quel 'frottole', come mai vi siete decisa a un simile viaggio? Sarete d'accordo anche voi che alla vostra ete nelle vostre condizioni di
salute... per lo meno una cosa cosinattesa... che rende ben comprensibile il nostro stupore. Ma io sono coscontento... e noi tutti (e comincia sorridere di un sorriso entusiastico e tenero) cercheremo con tutte le nostre forze di rendervi
questo soggiorno il pipossibile piacevole..." "Be', basta adesso; tutte chiacchiere inutili. Secondo il tuo solito hai cominciato a dire delle stupidaggini. So benissimo io come passare il tempo. Del resto non starlontana da voi: io non porto
rancore. Come mai, vuoi sapere? Ma che c'da meravigliarsi?

Nel pisemplice dei modi. E perchtutti si meravigliano?

Buongiorno, Prask瓃ja. Che fai qui?" "Buongiorno, nonna" rispose Polina, avvicinandosi a lei. "Siete in viaggio da molto?" "Ecco, questa la domanda piintelligente di tutte, invece di tanti 'ah! ah!'. Ecco, senti: dopo essere stata a letto un bel
po', ed essermi curata e curata... ho finito con il cacciare via i dottori e ho fatto venire il sacrestano di San Nicola. Quello aveva guarito una donnetta dalla mia stessa malattia, con un tritume di fieno. Ebbene, ha fatto bene anche a me: dopo
due giorni feci una gran sudata e mi alzai dal letto. Poi si riunirono di nuovo i miei tedeschi e, inforcati gli occhiali, hanno cominciato a sputar sentenze: "Se voi ora" hanno detto, "andaste all'estero, alle acque, a fare la cura, gli ingorghi
scomparirebbero definitivamente". "E perchno?" mi sono chiesta.

E quegli stupidi intriganti eccoli a frignare: "Ma come potrete arrivarci?" Figuriamoci! In un giorno mi sono preparata e venerddella settimana scorsa ho preso con me una ragazza, Potapytch, e il domestico F蝹or; ma questo F蝹or, a Berlino, l'ho
cacciato perchho visto che non avevo affatto bisogno di lui e che anche sola soletta sarei arrivata... Prendo uno scompartimento riservato, e in tutte le stazioni ci sono facchini che, per venti copeche, ti portano dove vuoi. Ma che po' po' di
appartamento occupate!" concluse, guardandosi attorno. "E con quale denaro, b輆jushka? Hai tutto ipotecato... Soltanto con questo francesino che debito hai? Perchio, vedi, so tutto, so tutto!" "Io, zietta..." prese a dire il generale tutto
confuso, "io mi meraviglio, zietta... Io penso di poter fare a meno del controllo di chiunque... e poi le spese non superano le mie possibilite noi qui..." "Non superano le tue possibilit hai detto? Ma allora i bambini li hai spogliati di tutto
quello che avevano, eh, tutore?" "Dopo di questo... dopo simili parole..." cominciil generale in tono indignato "io non so pi.." "Non sai, non sai! Immagino che qui non ti sarai mai allontanato dalla roulette! Hai fatto bancarotta?" Il generale
era cossbalordito che per poco non rimase soffocato dall'impeto della sua indignazione.

"Alla roulette! Io, con la mia posizione? Io? Ma, zietta, ritornate in voi... forse non vi sentite ancora bene..." "Frottole, frottole! Immagino che non riusciranno a distaccartene!

Io s che andra vedere che cos'questa roulette, ci androggi stesso. Tu, Prask瓃ja, dimmi che cosa c'qui da visitare, Aleks嶴 Iv跣ovitch ci darqualche indicazione e tu, Potapytch, segna tutti i posti dove dobbiamo andare. Che cosa c'da
vedere, qui?" chiese a un tratto, rivolgendosi di nuovo a Polina.

"Qui vicino ci sono le rovine di un castello, e poi c'lo Schlangenberg." "Che cos'questo Schlangenberg? Un boschetto, o che altro?" "No, non un boschetto, ma una montagna; c'una 'pointe...'" "Che cos'questa 'pu跣t??" "Il punto pialto della
montagna, un posto recintato. Da lassc'un panorama stupendo..." "E si potrtrascinare la poltrona fin l Riusciranno a tirarla su, o no?" "Be', si possono trovare dei portatori" risposi io.

In quel momento si avvicin per salutare la nonna, Fed瓋sja, la bambinaia, che portava i bambini del generale.

"Su, su, niente sbaciucchiamenti! Non mi piace baciare i bambini:

sono tutti mocciosi. E tu, come ti trovi qui, Fed瓋sja?" "Qui ci sto bene, molto, molto bene, m輆ushka Antonida Vass骴evna" rispose Fed瓋sja. "E voi come state, m輆ushka? Siamo rimasti tanto in pena per voi!" "Lo so, tu sei un'anima semplice. E chi
sono tutti questi? Ospiti, forse?" chiese, rivolgendosi di nuovo a Polina. "Chi quel mingherlino con gli occhiali?" "E' il principe Nilskij, nonna" le sussurrPolina.

"Ah, un russo? E io credevo che non capisse. Ma forse non ha sentito. Mister Astley l'ho givisto. Ma eccolo di nuovo qui" lo scorse la nonna. "Buongiorno!" lo salut rivolgendosi improvvisamente verso di lui.

Mister Astley si inchinin silenzio.

"Ebbene, che mi dite di bello? Raccontatemi qualcosa... Polina, traducigli quello che dico..." Polina tradusse.

"Dico che vi vedo con molto piacere e mi rallegro che siate in buona salute" rispose mister Astley in tono serio e con molta prontezza. Queste parole furono tradotte alla nonna e, evidentemente, le piacquero.

"Come sanno rispondere sempre bene gli Inglesi" osserv "Non so perch ma mi sono sempre piaciuti; non c'confronto con i Francesi! Venite a trovarmi" disse, rivolgendosi di nuovo a mister Astley. "Cercherdi non darvi troppa noia. Traduci
Polina, e digli che io sto qui sotto, qui sotto... sentite? qui sotto...

sentite" ripeta mister Astley, accennando con il dito in gi

Mister Astley fu molto contento dell'invito.

La nonna esaminPolina dalla testa ai piedi con uno sguardo attento e soddisfatto:

"Tu mi piaceresti, Prask瓃ja" disse all'improvviso, "sei un'ottima ragazza, la migliore di tutti, ma hai un carattere che... uh!

Anch'io, per ho un caratterino... Girati un po': non hai per caso una treccia finta nei capelli?" "No, nonna, sono capelli miei." "Bene, bene... non mi piace la sciocca moda di oggigiorno. Sei molto bella. Se fossi un uomo mi innamorerei di te.
Perchnon prendi marito? Ma adesso ora che me ne vada. Ho voglia di fare una passeggiata dopo tanto treno, sempre treno... E tu, sei ancora arrabbiato?" disse, rivolta al generale.

"Ma figuratevi, zietta, non ci pensate neppure!" rispose il generale, riprendendosi. "Capisco, alla vostra et.." "Cette vieille est tomb嶪 en enfance!" (2) mi sussurrDe-Grieux.

"Ecco, ora qui voglio vedere tutto. Mi cederesti Aleks嶴 Iv跣ovitch?" continu rivolta al generale.

"Oh, s quanto volete... ma anch'io... e Polina e monsieur De- Grieux... tutti noi, insomma, ci faremo un piacere di accompagnarvi".

"Mais, madame, cela sera un plaisir" disse De-Grieux con un incantevole sorriso.

"Gi gi'plaisir'... Sei buffo, b輆jushka. Denaro, per non te ne dar aggiunse all'improvviso, rivolta al generale. "E adesso voglio scendere nel mio appartamento: voglio dargli un'occhiata e poi andremo dappertutto. Su, sollevatemi!"
Sollevarono di nuovo la nonna e tutti si avviarono in folla giper le scale, al seguito della poltrona. Il generale camminava come stordito da una mazzata sulla testa. De-Grieux rimuginava qualche cosa. Mademoiselle Blanche avrebbe voluto restare
ma poi, chi sa perch decise di andare con tutti gli altri. Subito le tenne dietro il principe e di sopra, nell'appartamento del generale, rimasero soltanto il tedesco e madame veuve Cominges.





NOTE:

1. "S signora, e, credetemi, sono felice... la vostra salute un miracolo... e vedervi qui una piacevole sorpresa..."
2. "Questa vecchia rimbambita!"




10.





Alle terme - e, a quanto pare, in tutta l'Europa - i direttori d'albergo e i capi camerieri nell'assegnare ai clienti le camere sono guidati non tanto dalle esigenze e dai desideri di questi quanto dal primo colpo d'occhio e, bisogna dirlo,
difficilmente sbagliano. Ma alla nonna, chi sa perch avevano dato un appartamento coslussuoso da sembrare persino esagerato: quattro stanze arredate splendidamente, con il bagno, camere per i domestici, una stanzetta particolare per la cameriera
eccetera eccetera...

Effettivamente quelle stanze erano state occupate la settimana prima da non so quale "grande duchesse" il che, naturale, veniva subito riferito ai nuovi ospiti per dare pivalore all'appartamento. Portarono o, per meglio dire, spinsero la nonna
per tutte le stanze, e lei le osservcon severa attenzione. Il capo cameriere, un uomo gianziano dalla testa pelata, la accompagnava con deferenza in questa prima visita.

Non so per chi prendessero la nonna ma, a quanto pare, per una persona importante e, soprattutto, ricchissima. Nel registro scrissero subito: "Madame la G幯廨ale,princesse de Tarassev鮅cheva" nonostante la nonna non sia mai stata principessa. La
servit lo scompartimento riservato, quell'inutile montagna di cassette, valigie e persino i bauli arrivati insieme con la nonna, avevano probabilmente dato inizio al suo prestigio; e la poltrona, il tono, la voce imperiosa della vecchia, le sue
domande stravaganti fatte con la pigrande disinvoltura e con l'aria di non ammettere repliche, in una parola, tutta la figura della nonna diritta, brusca, autoritaria, avevano completato il generale senso di reverenza verso di lei.

Durante la visita, la nonna ordinava all'improvviso di fermare la poltrona, indicava qualche oggetto dell'arredamento e con inaspettate domande si rivolgeva all'ossequioso e sorridente capo cameriere che quasi quasi cominciava ad avere un po' di
paura. La nonna rivolgeva le sue domande in francese, lingua che perparlava alquanto male, cosicchspesso io dovevo tradurre. Le risposte del capo cameriere non erano, per la maggior parte, di suo gradimento e le sembravano poco soddisfacenti.
Anche lei, poi, faceva un mucchio di domande che non si riferivano all'oggetto in questione, ma a Dio sa che cosa.

A un certo punto, per esempio, si era fermata davanti a un quadro, copia piuttosto mal riuscita di un famoso originale di soggetto mitologico.

"E' il ritratto di chi?" Il capo cameriere le dichiarche probabilmente si trattava di qualche contessa.

"Come mai non lo sai? Vivi qui e non sai. Perchsi trova qui?

Perchha gli occhi storti?" A tutte queste domande il capo cameriere non potrispondere in modo soddisfacente e si smarrpersino.

"Che scemo!" dichiarla nonna in russo.

La portarono oltre. La stessa storia si ripetcon una statuina di Sassonia che la nonna osserva lungo e poi ordindi portare via, non si sa per quale motivo. Infine si appiccical capo cameriere:

quanto costavano i tappeti della camera? dove li tessevano? Il capo cameriere promise di informarsi.

"Che razza di asini!" borbottla nonna, e dedictutta la sua attenzione al letto.

"Che baldacchino lussuoso! Disfate il letto!" Il letto fu disfatto.

"Ancora, ancora, togliete tutto! Via le federe, via i cuscini, sollevate i piumini!" Tutto fu capovolto. La nonna osservava con attenzione.

"Bene! Non ci sono cimici. E adesso via questa biancheria! Portate la mia e il mio guanciale. Pertutto qui troppo lussuoso; che serve a me, vecchietta come sono, un appartamento cos Da sola mi annoio. Aleks嶴 Iv跣ovitch, vieni a trovarmi il
pispesso possibile, quando avrai finito le tue lezioni ai bambini." "Da ieri non sono pial servizio del generale" risposi io, "e vivo nell'albergo completamente per conto mio." "E perch" "Alcuni giorni fa arrivato qui un importante barone
tedesco con la baronessa, sua consorte, da Berlino. Ieri, alla passeggiata, mi sono rivolto a lui in tedesco, senza seguire la pronunzia berlinese." "Be', e con questo?" "Il barone l'ha considerata un'insolenza e ha fatto le sue lamentele al
generale, e il generale ieri mi ha licenziato." "Ma tu l'hai forse ingiuriato questo barone? E se anche l'avessi offeso, poco male!" "Oh no! Anzi, il barone ha alzato il bastone su di me." "E tu, bavoso, hai permesso che trattassero cosil tuo
precettore?" chiese rivolgendosi al generale. "E l'hai anche cacciato dal posto! Siete tutti dei babbei, dei veri babbei, a quanto vedo..." "Non inquietatevi, zietta," rispose il generale con una certa sfumatura altera e familiare insieme, "so
trattare da me i miei affari. Inoltre Aleks嶴 Iv跣ovitch non vi ha riferito le cose fedelmente." "E tu l'hai inghiottita?" chiese, rivolgendosi a me.

"Volevo sfidare il barone a duello" risposi il pimodestamente e tranquillamente possibile, "ma il generale si opposto." "E perchti sei opposto?" chiese la nonna rivolta di nuovo al generale. "E tu, b輆jushka, vattene, verrai quando ti si
chiamer" disse al capo cameriere, "non il caso che te ne stia la bocca spalancata... (Non posso sopportare questo muso di Norimberga...!)" Il cameriere s'inchine usc senza, naturalmente, aver capito il... complimento della nonna.

"Ma scusate, zietta, sono forse possibili i duelli?" rispose il generale con un sorrisetto ironico.

"E perchnon sono possibili? Gli uomini sono dei galli; quindi devono combattere. Siete tutti dei grandi babbei, a quanto vedo, e non sapete far rispettare la vostra patria. Su, alzate! Potapytch, disponi che siano sempre pronti due portatori:
trovali e impegnali. Non ne servono pidi due; si tratta di portarmi solo per le scale perch quando siamo sul piano, nella strada, c'solo da spingere. Diglielo, e pagali in anticipo: saranno pirispettosi. Tu mi starai sempre vicino e tu,
Aleks嶴 Iv跣ovitch, durante la passeggiata, mi indicherai quel barone: vorrei proprio vedere che razza di 'von'-baron Be', dov'questa roulette?" Le spiegai che le roulettes sono poste nelle sale del Casin Poi iniziarono le domande: ce ne sono
molte? Sono numerosi i giocatori? Giocano per l'intero giorno? Come funzionano? Risposi che la miglior cosa era vedere con i propri occhi, perchspiegare tutto era piuttosto difficile.

"Be' allora mi si porti direttamente l Va' avanti, Aleks嶴 Iv跣ovitch!" "Ma, zietta, possibile che non vi riposiate nemmeno dal viaggio?" chiese premuroso il generale. Era quasi spaventato e tutti, con un'aria imbarazzata, si scambiavano delle
occhiate.

Probabilmente si sentivano a disagio e persino un po' si vergognavano di accompagnare la nonna direttamente al Casindove, si capisce, poteva commettere qualche stravaganza e, per di pi in pubblico; tuttavia tutti si offrirono spontaneamente di
accompagnarla.

"E perchdovrei riposarmi? Non sono stanca; sono stata ferma cinque giorni. E poi vedremo le sorgenti e le acque minerali che ci sono qui, e dove sono. E poi... quella... come hai detto, Prask瓃ja... quella 'pu跣t'... o come?" "'Pointe,' nonna."
"Bene, se 'pointe,' sia 'pointe.' E che altro c'ancora?" "Ci sono molte cose, nonna" disse Polina con un certo imbarazzo.

"Ma, insomma, vedo che non lo sai nemmeno tu! Marfa, verrai con me" disse alla sua cameriera.

"Perchanche lei, zia?" interruppe preoccupato il generale.

"Questo non possibile. E anche Potapytch difficilmente lo lasceranno entrare." "Sciocchezze! Siccome una domestica bisognerebbe piantarla? E' anche lei una creatura viva; ormai una settimana che stiamo viaggiando, e anche lei ha voglia di
vedere qualche cosa. Con chi potrebbe farlo, se non con me? Da sola non oserneppure mettere il naso fuori della porta..." "Ma, nonna..." "Ti vergogni a uscire con me? E allora rimani in casa, nessuno ti chiede niente. Guarda un po' che generale!
Ma sono anch'io una generalessa. E perchdovrei trascinarmi dietro un simile codazzo?

Andra visitare tutto con Aleks嶴 Iv跣ovitch..." Ma De-Grieux insistdecisamente perchtutti la accompagnassero e usle frasi picortesi a proposito del piacere di accompagnarla eccetera eccetera. Tutti si mossero.

"Elle est tomb嶪 en enfance," ripetDe-Grieux al generale, "seule, elle fera des b皻ises (1)". Di pinon sentii, ma evidentemente egli aveva dei progetti e, forse, gli erano addirittura tornate delle speranze.

Il Casinera lontano un mezzo miglio dall'albergo. La nostra strada passava per un viale di castagni, fino al piazzale, girato il quale ci si trovava davanti all'ingresso del Casin Il generale si era un po' calmato, poichil nostro corteo, anche
se discretamente eccentrico, era tuttavia decoroso e corretto. E poi non c'era niente di sorprendente nel fatto che alle terme fosse venuta una persona malata e debole, priva dell'uso delle gambe.

Ma, evidentemente, egli temeva il Casin perchuna persona malata, dalle gambe paralizzate e per di pivecchia, sarebbe andata alla roulette? Polina e mademoiselle Blanche camminavano ai due lati della poltrona che procedeva davanti a tutti.

Mademoiselle Blanche rideva, era allegra ma con discrezione, e a volte, molto cortesemente, scherzava con la nonna tanto che questa, alla fine, la elogi Polina, dall'altro lato della poltrona, era costretta ogni momento a rispondere alle
innumerevoli domande della nonna, domande di questo genere: "Chi quello lche passa? E quella lin carrozza? E' grande la citt

E' grande il giardino? Che alberi sono questi? E che monti sono quelli? Ci sono delle aquile qui? Che cos'quel tetto cosbuffo?" Mister Astley, che camminava vicino a me, mi sussurrche da quella mattina si aspettava molte cose. Potapytch e
Marfa seguivano da vicino la poltrona: Potapytch in marsina e cravatta bianca ma con il berretto, e Marfa, zitella sulla quarantina dalle guance rosse, ma che cominciava ormai a farsi grigia, in cuffia, abito di percalle e con un paio di
scricchiolanti scarpe di pelle di capretto. Molto spesso la nonna si girava e scambiava con loro qualche parola. De-Grieux e il generale erano rimasti un po' indietro e discutevano con grande foga di non so che cosa. Il generale era assai abbattuto;
De-Grieux parlava in tono deciso.

Magari cercava di fargli coraggio o gli dava qualche consiglio. Ma la nonna aveva ormai pronunciato la frase fatale: "Denaro non te ne dar. Forse a De-Grieux questa notizia sembrava incredibile, ma il generale conosceva bene la vecchia. Io
osservai che De- Grieux e mademoiselle Blanche continuavano a scambiarsi strizzatine d'occhio. Il principe e il viaggiatore tedesco li vidi proprio in fondo al viale; erano rimasti indietro e se ne andavano da un'altra parte.

Al Casinentrammo trionfalmente. Il guardaportone e i camerieri ci manifestarono la stessa reverenza che giaveva manifestato il personale dell'albergo. Ci guardavano, per con curiosit La nonna, per prima cosa, ordindi portarla in giro per
tutte le sale; lodalcune cose, di fronte ad altre rimase perfettamente indifferente; di tutto chiedeva informazioni. Infine entrammo nelle sale da giuoco. Il cameriere, che stava di guardia vicino alla porta chiusa, sbalordito, la spalanc immediatamente.

La comparsa della nonna vicino alla roulette produsse una profonda impressione sul pubblico. Al tavolo da giuoco della roulette e all'altra estremitdella sala dove si trovava il tavolo con il "trente et quarante", si affollavano forse
centocinquanta o duecento giocatori, in varie file. Quelli che erano riusciti a farsi strada fino al tavolo, di solito si tenevano ben fermi al loro posto e non lo cedevano fino a quando non avevano perduto tutto; poichnon permesso rimanere come
semplici spettatori a occupare inutilmente un posto di giuoco. Nonostante che intorno al tavolo siano anche sistemate delle sedie, pochi tra i giocatori si siedono, specialmente quando c'molta folla, perchin piedi si sta pifitti e di
conseguenza si guadagna posto e si possono piagevolmente fare le puntate. La seconda e la terza fila si pigiavano dietro alla prima, aspettando e sorvegliando il loro turno; ma nell'impazienza a volte allungavano la mano oltre la prima fila per
fare le loro puntate. Perfino dalla terza fila si ingegnavano cosad allungare le puntate; per questo non passavano dieci e neppure cinque minuti senza che a un'estremitdel tavolo non avvenisse qualche 'storia' per poste controverse. La polizia
del Casin del resto, abbastanza indulgente. La ressa, naturale, non si puevitare; anzi si contenti dell'affollamento di pubblico perchuna cosa che conviene; ma otto "croupiers" che siedono attorno al tavolo, tengono attentamente
d'occhio le poste, fanno i conti e, quando nascono controversie, sono loro che le risolvono. Nei casi estremi chiamano la polizia, e la faccenda si conclude in un minuto. Gli agenti si trovano nella sala stessa, in abiti borghesi, confusi tra la
gente, per cui non possibile riconoscerli. Essi tengono specialmente d'occhio i ladruncoli di professione che alle roulettes si incontrano in gran numero, per la straordinaria comoditdi esercitare il loro mestiere. Infatti in qualsiasi altro
posto bisogna rubare dalle tasche o forzare le serrature, cosa che, in caso di insuccesso, finisce sempre in modo alquanto spiacevole. Qui, invece, basta semplicemente avvicinarsi alla roulette, cominciare a giocare e poi, a un tratto, pubblicamente
e in modo palese, prendere la vincita di un altro e mettersela in tasca; se poi nasce qualche lite, il lestofante insiste a voce alta e decisa che la puntata era la sua. Se la cosa fatta con furbizia e i testimoni tentennano, il ladro molto spesso
riesce ad impadronirsi del denaro sempre che, si capisce, la somma non sia molto notevole. In caso contrario, essa viene certamente fin da prima notata dai "croupiers" o da qualcuno degli altri giocatori. Ma se la somma non molto cospicua, il vero
proprietario a volte rinuncia a proseguire la discussione, timoroso di uno scandalo e si ritira. Ma se si riesce a smascherare il ladro, lo si porta subito fuori con grande chiasso.

La nonna guardava tutte queste cose da lontano, con straordinaria curiosit Le era molto piaciuto che si mettessero fuori i ladruncoli. Il "trente et quarante" suscitin lei pochissima curiosit la interessmaggiormente la roulette con quella
pallina che rotolava. Espresse, infine, il desiderio di osservare il gioco pida vicino. Non so come fu, ma i lacche alcuni altri personaggi pieni di zelo (in prevalenza polacchi che hanno perso tutto e che offrono i loro servigi ai giocatori
fortunati e a tutti gli stranieri) trovarono e liberarono immediatamente un posto per la nonna nonostante l'affollamento, proprio al centro del tavolo, vicino al croupier principale e vi spinsero la sua poltrona. Molti visitatori, che non giocavano,
ma che in disparte osservavano il giuoco (specialmente inglesi con le loro famiglie), fecero subito ressa intorno al tavolo per poter guardare la nonna al di sopra delle teste dei giocatori. Molti occhialini vennero puntati dalla sua parte. I
"croupiers" sentirono nascere qualche speranza: una giocatrice cosstraordinaria pareva promettere qualcosa di non comune. Una donna di settantacinque anni con le gambe paralizzate e che aveva voglia di giocare rappresentava certo un caso fuori del
comune. Mi feci anch'io strada tra la folla e andai a mettermi vicino alla nonna. Potapytch e Marfa erano rimasti indietro, da una parte, in mezzo alla gente. Il generale, Polina, De-Grieux e mademoiselle Blanche rimasero pure loro da parte, tra gli
spettatori.

La nonna prima si mise a osservare i giocatori. Mi rivolgeva a mezza voce brusche, rapide domande: quello chi chi quella? Le piacque in modo particolare, all'estremitdel tavolo, un uomo molto giovane, che faceva un giuoco molto sostenuto;
puntava migliaia di franchi e ne aveva givinti, si sussurrava in giro, circa quarantamila che gli stavano davanti in mucchi di oro e di biglietti di banca. Era pallido; gli occhi gli sfavillavano e le mani gli tremavano; puntava ormai senza nessun
calcolo, quello che la mano riusciva ad afferrare, eppure vinceva, vinceva, ammucchiava, ammucchiava... I lacchgli si affaccendavano attorno, gli spingevano sotto la poltrona, gli facevano un po' di largo perchavesse pispazio, perchla gente
non gli premesse addosso, e tutto questo in attesa di una ricca ricompensa. Certi giocatori danno loro a volte una parte della vincita senza nemmeno contare, ma cos per la gioia, quanto con la mano possono pigliare dalla tasca. Vicino al giovane
si era gisistemato un polacchino, che si dava da fare in tutti i modi, e in tono rispettoso, ma senza pausa, gli sussurrava qualcosa, probabilmente indicandogli come puntare, dando consigli e guidando il gioco e, si capisce, in attesa anche lui di
un regalo! Ma il giocatore quasi non lo guardava, puntava a casaccio e continuava ad ammucchiare. Era visibilmente smarrito.

La nonna lo osservper qualche minuto.

"Digli," esclamimprovvisamente agitandosi e spingendomi, "digli che la smetta, che prenda al pipresto il denaro e se ne vada.

Perder ora perdertutto!" si affannava, senza quasi pirespirare per l'agitazione. "Dov'Potapytch? Mandagli Potapytch!

Ma diglielo, diglielo, dunque!" mi urtava. "Dov' insomma, Potapytch? 'Sortez, sortez!'" cominciquasi a gridare lei stessa al giovanotto. Mi chinai e le sussurrai in tono deciso che lnon si poteva gridare e che non era permesso neppure alzare
un po' la voce perchquesto disturbava i calcoli, e che ci avrebbero cacciati via.

"Che rabbia! E' un uomo che si perde... ma si vede che lui che lo vuole... Non posso piguardarlo, mi mette in agitazione... Che babbeo!" e la nonna si girin fretta dall'altra parte.

L a sinistra, all'altra metdel tavolo, si notava tra i giocatori una giovane signora e vicino a lei una specie di nano.

Chi fosse quel nano non so: se un suo parente o se lo tenesse cos per fare colpo. Quella signora l'avevo givista prima:

compariva ogni giorno al tavolo da giuoco, all'una del pomeriggio, e se ne andava alle due in punto: giocava ogni giorno per un'ora.

La conoscevano tutti e si affrettavano a porgerle una poltrona.

Ella tirava fuori di tasca un po' d'oro, qualche banconota da mille franchi e cominciava a puntare calma, fredda, calcolatrice, segnando con la matita su un foglio di carta le cifre, e cercando di trovare un sistema secondo il quale, a un certo
punto, si raggruppavano le possibilit Puntava somme notevoli. Ogni giorno vinceva mille, duemila franchi, non mai pidi tremila e, subito dopo aver vinto, se ne andava. La nonna la osserva lungo.

"Be', quella non perder Quella non perder Chi Non lo sai?

Di dove viene?" "E' una francese, dev'essere una di quelle..." sussurrai io. "Ah, dal volo si conosce l'uccello. Si vede che ha l'unghietta aguzza.

Spiegami adesso che cosa significa ogni giro e come bisogna puntare." Le spiegai come potevo che cosa significassero le numerose combinazioni delle puntate, "rouge et noir", "pair et impair", "manque et passe" e, infine, le varie sfumature nel
sistema dei numeri; la nonna ascoltava attenta, ricordava, chiedeva di nuovo e imparava. A ogni sistema di puntata si poteva subito portare un esempio, cosicchera possibile imparare e ricordare molto facilmente e in fretta. La nonna rimase molto
contenta.

"E che cos'lo zero? Ecco, quel croupier ricciuto, quello piimportante, ha gridato ora: zero! E perchha rastrellato tutto quanto era sul tavolo? Tutto per sha preso quel bel mucchio? Che significa questo?" "Lo zero, nonna, il guadagno del
banco. Se la pallina cade sullo zero tutto quello che stato puntato spetta al banco, senza calcolo. In verit si concede ancora un colpo alla pari, ma il banco non paga niente." "Ma guarda un po'! E io non ricevo niente?" "No, nonna, ma se voi
prima avete puntato sullo zero, allora, se esce lo zero, vi pagano trentacinque volte la posta." "Come? Trentacinque volte? Esce spesso? E perch allora, questi tonti non puntano?" "Ci sono trentasei probabilitcontro, nonna." "Sciocchezze,
sciocchezze! Potapytch, Potapytch! Aspetta, ho del denaro con me, ecco!" Ella tirfuori dalla tasca un borsellino molto gonfio e ne prese un federico.

"Tieni, punta subito sullo zero." "Nonna, lo zero uscito soltanto adesso," dissi io, "e ora per un bel po' non uscir Perderete molto; aspettate almeno un po'..." "Storie! Punta, ti dico!" "Permettete, ma forse non uscirpifino a sera,
potreste perdere anche mille federici: gisuccesso." "Sciocchezze! Sciocchezze! Se hai paura del lupo, non puoi andare nel bosco. Che? Hai perso? Punta ancora!" Perdemmo anche il secondo federico e puntammo il terzo. La nonna stava ferma a fatica
al suo posto, divorava con occhi febbrili la pallina saltellante per le dentellature della ruota che girava.

Perdemmo anche il terzo. La nonna era fuori di s non riusciva a stare ferma, battpersino un pugno sul tavolo quando il croupier proclam"trente-six" invece dell'atteso zero.

"Guarda un po'!" esclamava infuriata la nonna. "Quando uscirquesto maledetto zeruccio? Voglio morire, se non starqui ad aspettare che venga fuori lo zero. E' quel maledetto crupieruccio dai capelli ricci che fa in modo che non esca mai! Aleks嶴
Iv跣ovitch, punta due monete d'oro alla volta! Ne perdi tanti che, se anche uscirlo zero, non prenderai nulla." "Nonna!" "Punta, punta! Non denaro tuo." Puntai due federici. La pallina vola lungo sulla ruota, infine prese a saltellare sui
dentelli. La nonna tratteneva il respiro, stringendo il mio braccio. A un tratto: tac!

"Zero!" proclamil croupier.

"Vedi, vedi!" disse la nonna, rivolgendosi verso di me, raggiante e soddisfatta. "Te lo dicevo, te lo dicevo! E' proprio il Signore che mi ha suggerito di puntare due marenghi d'oro. E adesso, quanto ricever Perchnon pagano? Potapytch, Marfa,
dove sono andati? E i nostri dove si sono cacciati? Potapytch, Potapytch!" "Nonna, dopo..." le bisbigliai. "Potapytch vicino alla porta, qui non lo lasciano venire. Guardate, nonna, vi danno il denaro, prendetelo!" Gettarono alla nonna un pesante
rotolo sigillato in carta azzurra con cinquanta federici e le contarono ancora venti federici sciolti. Ammucchiai tutto davanti alla nonna con la paletta.

"Faites le jeu, messieurs! Faites le jeu, messieurs! Rien ne va plus (2)" annunciava il croupier, avvertendo di puntare e preparandosi a far girare la roulette.

"O Signore! Siamo in ritardo! Ora gireranno! Punta, punta!" si affannava la nonna. "Non perdere tempo, fa' presto..." gridava quasi fuori di s urtandomi a tutta forza.

"Ma dove devo puntare, nonna?" "Sullo zero, sullo zero! Di nuovo sullo zero! Punta il pipossibile! Quanto abbiamo in tutto? Settanta federici? Non c'da rimpiangerli, puntane venti per volta!" "Tornate in voi, nonna! Magari non esce piper
duecento volte! Vi assicuro che perderete un capitale!" "Storie, storie... Punta! Ecco, mi fischiano le orecchie... So quello che faccio..." replicla nonna, tremando tutta per la frenesia.

"Secondo il regolamento non permesso puntare pidi dodici federici alla volta sullo zero, nonna; ecco, li ho puntati." "Come, non permesso? Non mi racconti mica delle storie, vero?

'Mussi Mussi" e urtil "croupier" che stava seduto proprio alla sua sinistra e si preparava a far girare la roulette.

"Combien zero? douze? douze?" Mi affrettai a spiegargli la domanda in francese.

"Oui, madame" confermcortesemente il croupier, "cospure ogni singola puntata non deve oltrepassare i quattromila fiorini per volta: il regolamento" aggiunse come chiarimento.

"Be', non c'niente da fare... puntane dodici!" "Le jeu est fait (3)" gridil croupier. La ruota si mise a girare e venne fuori il tredici! Avevamo perduto!

"Ancora! Ancora! Punta ancora!" gridava la nonna. Ormai non la contraddicevo pie, stringendomi nelle spalle, misi ancora dodici federici. La ruota gira lungo. La nonna ne seguiva il moto, tremando addirittura. "Ma possibile che creda veramente
di far di nuovo zero!" pensai, guardandola con meraviglia. Una risoluta convinzione di vincere le illuminava il viso, l'attesa sicura che tra poco avrebbero gridato: zero! La pallina saltin una casella.

"Zero!" annunziil croupier.

"Cosa?" gridla nonna, rivolgendosi a me in preda a una frenetica esultanza.

Ero anch'io un giocatore; lo sentii in quel preciso momento. Le gambe e le braccia mi tremavano, ebbi l'impressione di ricevere una mazzata sulla testa! Certo era stato un caso raro che in una decina di volte fosse saltato fuori per tre volte lo
zero; ma non c'era niente di particolarmente straordinario. Ero stato io stesso testimonio di come due giorni prima lo zero era uscito tre volte di seguito, e uno dei giocatori che segnava diligentemente su un foglietto i colpi, aveva osservato, a
voce alta, che non pitardi del giorno precedente questo stesso zero era capitato una volta sola nel giro di ventiquattro ore.

Alla nonna, come alla giocatrice che aveva vinto la somma pialta, il pagamento fu effettuato con particolare, deferente attenzione. Le spettavano giusto quattrocentoventi federici esatti, cioquattromila fiorini e venti federici. I venti federici
glieli passarono in oro e i quattromila in banconote.

Questa volta la nonna non chiamPotapytch; era ben diversamente occupata. Non si agitava neppure e, apparentemente, non tremava.

Essa, se cosci si puesprimere, tremava dentro. Si era concentrata tutta in un solo pensiero: l'aveva preso di mira!

"Aleks嶴 Iv跣ovitch! Ha detto che si possono puntare soltanto quattromila fiorini? Su, prendi, punta questi quattromila sul rosso!" ordinla nonna.

Era inutile provare a dissuaderla. La ruota si mise a girare.

"Rouge." proclamil croupier.

Di nuovo una vincita di quattromila fiorini, in tutto, quindi, otto.

"Quattromila dalli a me e gli altri quattro puntali di nuovo sul rosso!" ordinla nonna.

Ne puntai altri quattromila.

"Rouge!" proclamdi nuovo il "croupier".

"Dodicimila in tutto! Dammeli. Versa l'oro qui, nel borsellino, e i biglietti nascondili. E adesso basta. A casa! Spingete indietro la poltrona!"







NOTE.

1. "Da sola, fardelle sciocchezze."
2. "Puntate, signori, puntate! Basta, non si pupipuntare!"
3. "Il gioco fatto!"




11.







La poltrona fu fatta rotolare verso la porta, all'altra estremitdella sala. La nonna era raggiante. Tutti i nostri le si affollarono intorno congratulandosi con lei. Per quanto eccentrico fosse il comportamento della nonna, il suo trionfo
compensava molte cose, e il generale stesso non aveva pitimore di compromettersi in pubblico per i suoi rapporti di parentela con una donna cosstrana. Con un sorriso indulgente e familiarmente allegro, come se facesse divertire un bambino, si
felicitcon lei. Del resto, come tutti gli altri spettatori, era rimasto visibilmente colpito. Tutt'intorno la gente parlava e indicava la vecchia signora. Molti le passavano accanto per osservarla pida vicino. Mister Astley, in disparte, parlava
di lei con due suoi conoscenti inglesi, mentre alcune signore spettatrici la guardavano con solenne perplessitcome un prodigio. De-Grieux si profondeva in sorrisi e in rallegramenti.

"Quelle victoire! (1)" esclamava.

"Mais, madame, c'etait du feu (2)" aggiunse con un sorriso incantevole mademoiselle Blanche.

"Sissignori, mi ci sono buttata e ho vinto dodicimila fiorini! Ma che dodici! E l'oro? Con l'oro sono quasi tredicimila. E quant'in moneta nostra? Saranno seimila rubli, no?" Risposi che, al cambio del momento, erano circa settemila e che, magari,
si sarebbe arrivati anche a otto.

"Uno scherzo, ottomila! E voi, citrulli, ve ne state qui senza far niente! Potapytch, Marfa, avete visto?" "M輆ushka, ma come avete fatto? Ottomila rubli..." esclamMarfa, agitandosi tutta.

"Prendete, eccovi cinque marenghi per ciascuno..." Potapytch e Marfa si precipitarono a baciarle la mano.

"Anche ai portatori date un federico. Dagli un marengo d'oro ciascuno, Aleks嶴 Iv跣ovitch. Perchquesto domestico fa tanti inchini? E anche quell'altro? Si congratulano? Da' anche un federico a loro." "Madame la princesse... un pauvre expatri..
malheur continuel...

les princes russes sont si genereux...(3)" mormorava, girando attorno alla poltrona, un individuo dal soprabito logoro, il panciotto variopinto, con i baffi, il berretto a sghimbescio e con un sorriso strisciante sulle labbra...

"Dagli un federico anche a lui. No, dagliene due... Ma adesso basta, altrimenti con questa gente non la finiamo pi Alzatemi, portatemi via! Prask瓃ja" disse rivolgendosi a Polina Aleks跣drovna, "domani ti comprerun vestito e ne compreruno
anche a quella mademoiselle... come si chiama?... mademoiselle Blanche, vero? Traduci quello che ho detto, Prask瓃ja!" "Merci, madame" rispose mademoiselle Blanche con un grazioso inchino, atteggiando la bocca a un sorriso canzonatorio scambiato con
il generale e con De-Grieux. Il generale era un po' confuso e si rallegrmoltissimo quando arrivammo al viale.

"E Fed瓋sja? Immagino come ora si meraviglierFed瓋sja," disse la nonna, ricordandosi della bambinaia del generale che lei ben conosceva. "Anche a Fed瓋sja bisognerregalare un abito. Ehi, Aleks嶴 Iv跣ovitch, Aleks嶴 Iv跣ovitch, da' qualcosa a
questo mendicante!" Per la strada passava uno straccione con la schiena curva, e ci guardava.

"Quello, forse, non neppure un mendicante, nonna, ma solo un poco di buono qualsiasi..." "Ma su, su... dagli un gulden!" Mi avvicinai e glielo diedi. Egli mi guardcon una strana perplessit tuttavia prese il gulden in silenzio. Puzzava di vino.

"E tu, Aleks嶴 Iv跣ovitch, non hai ancora tentato la sorte?" "No, nonna." "Eppure ti brillavano gli occhi... l'ho visto." "Ma in seguito tentersicuramente, nonna!" "E punta subito sullo zero! Vedrai... A quanto ammonta il tuo capitale?" "Venti
federici in tutto, nonna!" "Poco. Ti imprester se vuoi, cinquanta federici. Ecco questo rotolo, prendilo, ma tu, b輆jushka, non aspettare, a te non ne dar" disse all'improvviso, rivolta al generale.

Questi si senttutto rimescolare, ma non fiat De-Grieux fece il viso scuro.

"Que diable, c'est une terrible vieille! (4)" disse tra i denti al generale.

"Un mendicante, un mendicante, di nuovo un mendicante!" gridla nonna. "Aleks嶴 Iv跣ovitch, da' anche a lui un gulden." Questa volta c'eravamo imbattuti in un vecchio canuto, con una gamba di legno, che indossava una specie di soprabito a lunghe
falde di color turchino e aveva un bastone in mano. Sembrava un vecchio soldato. Ma quando gli porsi un gulden, fece un passo indietro e mi guardcon aria minacciosa.

"Was ist's der Teufel (5)" grid aggiungendovi una decina di insulti.

"Che razza di imbecille!" esclamla nonna, agitando una mano.

"Portatemi oltre! Mi venuta fame! Ora si mangersubito, poi mi riposerun po' e poi di nuovo l" "Volete giocare ancora, nonna?" gridai.

"E che cosa credevi? Che se voi state qui a inacidire io debba restare a guardarvi?" "Mais, madame..." si avvicinDe-Grieux, "les chances peuvent tourner, une seule mauvaise chance et vous perdrez tout... Surtout avec votre jeu... c'彋ait terrible!
(6)" "Vous perdrez absolument (7)" cinguettmademoiselle Blanche.

"E a voi che importa? Non perdo mica del vostro... perdo del mio!

e dov'quel mister Astley?" mi chiese.

"E' rimasto al Casin nonna." "Peccato; una persona tanto simpatica!" Arrivati a casa, la nonna, incontrando sulla scala il capo cameriere, lo chiama se si vantdella vincita; fece quindi venire Fed瓋sja, le regaltre federici e ordindi
servire il pranzo. Fed瓋sja e Marfa, per tutta la durata del pranzo, si profusero in ringraziamenti davanti a lei.

"Io vi guardavo, m輆ushka," cinguettava Marfa, "e chiedevo a Potapytch che cosa mai voleva fare la madre nostra. E sul tavolo quanto denaro, quanto denaro. Santi benedetti! In tutta la vita non avevo mai visto tanto denaro, e lintorno erano seduti
soltanto signori. Di dove vengono, chiesi a Potapytch, tutti questi signori? E pensavo: 'Aiutala tu, santa Madre di Dio!' Pregavo per voi, m輆ushka, mi sentivo mancare il cuore, ecco...

mancare il cuore e tremavo, tremavo tutta! 'Signore, aiutala!' pregavo, e il Signore, ecco, vi ha aiutata! E ancora adesso, m輆ushka, come tremo, come tremo tutta..." "Aleks嶴 Iv跣ovitch, dopo pranzo, verso le quattro, preparati, andremo. E adesso,
intanto, addio, e non dimenticarti di mandarmi a chiamare un dottorucolo qualsiasi: bisogna pur bere anche le acque. Se no, magari me ne dimentico." Lasciai la nonna quasi inebetito. Cercavo di immaginare quello che sarebbe successo di tutti i
nostri e quale piega avrebbe preso la faccenda. Vedevo chiaramente che loro (il generale soprattutto) non erano ancora riusciti a riprendersi neanche dalla prima impressione. Il fatto della comparsa della nonna invece del telegramma che annunciasse
la sua morte, aspettato da un'ora all'altra (e quindi anche dell'eredit, aveva tanto scombussolato tutto il sistema dei loro propositi e delle decisioni prese che essi, con autentica perplessite con una specie di sbalordimento che si era
abbattuto su tutti, pensavano alle prossime gesta della nonna alla roulette. E intanto questo secondo avvenimento non era meno importante del primo perch nonostante la nonna avesse per ben due volte dichiarato che non avrebbe dato denaro al
generale, tuttavia, chi sa, non si doveva ancora perdere completamente la speranza. E non la perdeva De-Grieux, interessato in tutte le faccende del generale. Io ero convinto che neppure mademoiselle Blanche, anche lei molto interessata (e sfido io!
Si trattava di diventare generalessa e di una cospicua eredit), non avrebbe perso le speranze e avrebbe usato tutta la seduzione delle sue moine con la nonna, in contrasto con quella ostinata e fiera Polina, incapace di essere affettuosa con
chiunque. Ma adesso, adesso che la nonna aveva compiuto simili gesta alla roulette, adesso che la personalitdella vecchia si era rivelata loro in modo costipico ed evidente (una vecchia bisbetica, ambiziosa e "tomb嶪 en enfance"), adesso, s
forse tutto era perduto; contenta come un bambino di aver trovato qualcosa su cui gettarsi e per cui darsi da fare, si sarebbe rovinata. Mio Dio, pensavo (perdonami, Signore), con il pimaligno dei miei sorrisi, ogni federico che la nonna ha
puntato poco fa stata una ferita nel cuore del generale, ha mandato in bestia De-Grieux e ha fatto infuriare mademoiselle de Cominges, che si vedeva passare davanti alla bocca il cucchiaio pieno. Ed ecco un'altra circostanza: anche dopo la
vincita, quando la nonna per la gioia distribuiva denaro a tutti e scambiava ogni passante per un mendicante, anche in quei momenti le era sfuggito contro il generale: "Ma a te, del resto, denaro, non ne dar" Questo significava che si era fissata
su quel pensiero, che vi si era intestardita e l'aveva giurato a se stessa; era molto, molto pericoloso!

Queste considerazioni passavano per la mia testa mentre salivo dall'appartamento della nonna, per lo scalone, all'ultimo piano dov'era la mia cameretta. Tutto cioccupava vivamente il mio pensiero; sebbene, com'logico, potessi giprima
indovinare quali erano i fili pievidenti e importanti che legavano davanti a me gli attori, tuttavia non conoscevo in modo definitivo le pieghe e i segreti del gioco. Polina non era mai stata con me pienamente fiduciosa. Se pure capitava, a dire
il vero, che a volte mi aprisse quasi involontariamente il suo cuore, avevo osservato che spesso, anzi quasi sempre, dopo queste confidenze, o volgeva in riso tutto quello che era stato detto, o lo ingarbugliava e, con intenzione, dava a tutto un
falso aspetto.

Oh, molte cose lei nascondeva! In ogni caso io sentivo che stava avvicinandosi il finale di quella situazione tesa e misteriosa.

Ancora un altro colpo, e tutto si sarebbe concluso e chiarito.

Della mia sorte, benchinteressato com'ero a tutto questo, non mi preoccupavo quasi per niente. Che strano stato d'animo il mio: in tasca ho venti federici, sono lontano, in un paese straniero, senza un posto e senza mezzi di sostentamento, senza
speranze, senza progetti e non me ne preoccupo! Se non fosse il pensiero di Polina, mi abbandonerei del tutto al prossimo, comico scioglimento, e ci riderei su di gusto. Ma Polina mi turba; la sua sorte si sta decidendo, questo l'ho preavvertito ma,
lo confesso, non affatto la sua sorte che mi inquieta. Ho voglia di penetrare i suoi segreti, vorrei che lei venisse da me a dirmi: "Ma io ti amo!" e se no, se questa follia non neppure pensabile, allora...

che cosa mai mi resta da desiderare? So forse io quello che desidero? Sono io stesso come smarrito; vorrei soltanto essere vicino a lei, nella sua aureola, nella sua luce, in eterno, per sempre, per tutta la vita. Oltre a questo, non so niente! Ma
posso forse allontanarmi da lei?

Al terzo piano, nel loro corridoio, sentii come un urto. Mi voltai e, a venti passi o poco pi vidi Polina che usciva da una porta.

Sembrava che mi avesse aspettato e spiato; subito mi chiama s

"Polina Aleks跣drovna!" "Pipiano!" mormor

"Figuratevi," le dissi in un bisbiglio, "che poco fa ho sentito come un urto al fianco... Mi volto... e vedo voi! come se da voi emanasse un fluido elettrico!" "Prendete questa lettera!" disse Polina con fare preoccupato e con il viso accigliato,
certamente senza avere sentito quello che le avevo detto, "e consegnatela personalmente a mister Astley, subito. Il pipresto possibile, vi prego. Non serve risposta. Lui stesso..." Non finla frase.

"A mister Astley?" chiesi con stupore.

Ma Polina era giscomparsa dietro la porta.

"Ah! Sono dunque in corrispondenza!" pensai. Corsi subito a cercare mister Astley prima nel suo albergo, dove non lo trovai, poi al Casindove percorsi invano tutte le sale, infine, stizzito e quasi in preda alla disperazione, lo incontrai, mentre
rientravo, a cavallo tra un gruppo di signori e dame inglesi. Lo chiamai con un cenno, egli si ferm e io gli consegnai la lettera. Non facemmo in tempo nemmeno a scambiarci un'occhiata. Ma io sospetto che mister Astley abbia a bella posta
prontamente fatto partire il cavallo.

Mi tormentava forse la gelosia? Ma io ero in uno stato d'animo abbattutissimo. Non volevo neppure sapere che cosa si scrivessero.

Dunque, era il suo uomo di fiducia! "Amico, certo, lo pensavo, "questo evidente (ma quando ha fatto in tempo a diventarlo?), ma c'poi amore, l Certo che no", mi sussurrava la ragione. Ma si sa che in simili casi la ragione da sola non
basta. In ogni caso c'era da chiarire anche questo. La faccenda andava complicandosi spiacevolmente.

Non ebbi tempo di entrare nell'albergo che il portiere e il capo cameriere, uscito dalla sua stanza, mi avvertirono che mi cercavano e che giben tre volte avevano mandato a chiedere dov'ero; e mi si pregava di andare al pipresto
nell'appartamento del generale. Ero di pessimo umore. Nello studio del generale trovai, oltre a lui, naturalmente De-Grieux e mademoiselle Blanche, sola, senza la madre. La madre era decisamente una comparsa che si usava soltanto per figura; ma
quando si trattava di un affare vero e proprio, allora mademoiselle Blanche agiva da sola. E chi sa poi se quell'altra sapeva qualcosa degli affari della sua sedicente figliola!

Essi, i tre, discutevano con calore su non so che cosa, e persino la porta dello studio era stata chiusa, il che non succedeva mai.

Avvicinandomi alla porta, sentii delle voci concitate: la parlata insolente e maligna di De-Grieux, le grida insultanti e furibonde di Blanche e la voce piagnucolosa del generale, che evidentemente si giustificava di qualche accusa. Al mio apparire
tutti e tre sembrarono frenarsi e assumere un contegno diverso. De-Grieux si liscii capelli e mutil viso irato in un viso sorridente, di quel brutto sorriso francese, ufficialmente amabile, che io odio tanto. Il generale, abbattuto e smarrito,
cercdi assumere un aspetto dignitoso, ma come meccanicamente. La sola mademoiselle Blanche non aveva quasi mutato il suo aspetto che sprizzava sdegno e si limita tacere, puntando su di me uno sguardo di impaziente attesa. Noterche lei si era,
fino a quel momento, comportata con me con una noncuranza inverosimile all'eccesso, non rispondendo addirittura ai miei saluti: semplicemente non mi notava.

"Aleks嶴 Iv跣ovitch" comincia dire il generale in tono di affettuoso rimprovero, "permettetemi di farvi osservare che strana, straordinariamente strana... in una parola, la vostra condotta verso di me e la mia famiglia... in una parola straordinariamente strana!" "Eh! ce n'est pas 蓷! (8)" interruppe De-Grieux in tono di stizza e di disprezzo. (Decisamente egli dirigeva tutto!) "Mon cher monsieur, notre cher g幯廨al se trompe (9), assumendo un simile tono" (continuil suo
discorso in russo) "ma egli voleva dirvi...

cioavvertirvi o, meglio ancora, pregarvi vivamente di non rovinarlo... s di non rovinarlo! Uso proprio quest'espressione..." "Ma in che modo, in che modo?" lo interruppi.

"Scusate, voi vi incaricate di far da guida (o come dovrei dire?) a quella vecchia, cette pauvre, terrible vieille," continuDe- Grieux confondendosi anche lui, "ma quella perdertutto, si rovinercompletamente! Avete visto anche voi, siete stato
spettatore del suo modo di giocare! Se comincera perdere, non si allontanerpida quel tavolo per ostinazione, per rabbia, e giochertutto, giochertutto... e in simili casi non pipossibile rifarsi, e allora... allora..." "E allora,"
intervenne il generale, "allora voi avrete rovinato tutta la famiglia! Io e la mia famiglia siamo i suoi eredi; non ha parenti pistretti. Vi dirfrancamente: i miei affari sono malandati, molto malandati. Voi stesso in parte lo sapete... Se lei
perderuna somma considerevole, o magari anche tutto il suo patrimonio (oh Dio!), che sarallora di noi, dei miei bambini?" Il generale si gira guardare De-Grieux. "E di me!" (A questo punto diede un'occhiata a mademoiselle Blanche che con aria
sprezzante si girdall'altra parte.) "Aleks嶴 Iv跣ovitch, salvateci, salvateci!" "Ma come, generale, come posso... Che cosa conto io, qui?" "Rifiutate, rifiutate di accompagnarla!" "E allora troverun altro!" esclamai io.

"Ce n'est pas 蓷, ce n'est pas 蓷" interruppe di nuovo De-Grieux, "que diable! No, non lasciatela, ma almeno consigliatela, esortatela, distraetela... E, infine, non permettete che perda troppo, cercate di allontanarla in qualche modo..." "Ma come
far Se ve ne incaricaste voi, monsieur De-Grieux" lo interruppi con l'aria piingenua possibile.

A questo punto notai uno sguardo rapido, infuocato e interrogativo di mademoiselle Blanche a De-Grieux. Sul viso di De-Grieux balenqualcosa di sincero che egli non era riuscito a nascondere.

"Ma il fatto proprio questo, che lei adesso non mi vorrebbe!" gridgesticolando De-Grieux. "Se... poi..." De-Grieux lanciun rapido e significativo sguardo a mademoiselle Blanche.

"O mon cher monsieur Alexis, soyez si bon...(10)" disse con un affascinante sorriso mademoiselle Blanche in persona, facendo un passo verso di me, afferrandomi entrambe le mani e stringendomele forte. Il diavolo mi porti! Quel viso diabolico sapeva
trasformarsi in un attimo. In quell'istante esso prese un'espressione supplichevole dolcissima, infantilmente sorridente e persino birichina; verso la fine della frase essa mi strizzfurbescamente un occhio, di nascosto a tutti; voleva forse
confondermi in un colpo solo? E la cosa non le riuscneppure male, a parte il fatto che era tremendamente volgare.

Dopo di lei, saltsu il generale, proprio saltsu:

"Aleks嶴 Iv跣ovitch, perdonate se poco fa ho cominciato a parlare coscon voi... ma non volevo affatto dire quello... Io vi prego, vi supplico, mi inchino davanti a voi, alla russa: voi solo, voi solo potete salvarci! Io e mademoiselle de Cominges
vi supplichiamo... voi capite, vero, voi capite?" implorava, indicandomi con lo sguardo mademoiselle Blanche. Faceva veramente pena.

In quel momento risuonarono tre colpi leggeri e rispettosi alla porta; fu aperto; aveva bussato il cameriere del piano e dietro di lui, a qualche passo, stava Potapytch. Li aveva mandati la nonna, con l'ordine di trovarmi e farmi andare
immediatamente da lei; "E' arrabbiata" cominciPotapytch.

"Ma sono soltanto le tre e mezzo!" "Non ha potuto nemmeno dormire, ha continuato a rigirarsi di qua e di l poi di colpo si alzata, ha chiesto la poltrona e mi ha mandato a chiamarvi. Adesso sulla scala..." "Quelle m嶲鋨e (11)" gridDe-Grieux.

In realttrovai la nonna gisulla scala, fuori di sdall'impazienza perchio non c'ero ancora. Non aveva resistito fino alle quattro.

"Su, alzatemi!" grid e ci avviammo di nuovo alla roulette.





NOTE:

1. "Che vincita!"
2. "Ma che fuoco, signora!"
3. "Signora principessa... un povero emigrante... disgrazie continue... i principi russi sono tanto generosi..."
4. "Diavolo, una vecchia terribile!"
5. "Che significa ci.. diavolo!"
6. "Ma signora, la fortuna pucambiare... un solo colpo sfortunato e perderete tutto... specialmente con il vostro modo di giocare: era terribile!"
7. "Perderete certamente!"
8. "Non si tratta di questo!"
9. "Caro signore, il nostro buon generale si sbaglia."
10. "Oh, mio caro signor Alexis, siate cosbuono..."
11. "Che strega!"




12.





La nonna era in uno stato d'animo impaziente e irritato, si capiva che la roulette le stava fissa in mente. A tutto il resto era indifferente e, in generale, molto distratta. Lungo la strada, per esempio, non mi rivolse nessuna domanda. Solo alla
vista di una lussuosa carrozza che era passata accanto a noi come un turbine, alzuna mano e chiese: "Che cos' Di chi sono i cavalli?" ma credo che non abbia nemmeno sentito la mia risposta; il suo fantasticare era continuamente interrotto da
rapidi movimenti del corpo e da brusche e impazienti uscite. Quando, ormai givicini al Casin le indicai da lontano il barone e la baronessa Wurmerhelm, lei li guarddistrattamente e, con assoluta indifferenza, disse: "Ah!" e, giratasi
rapidamente verso Potapytch e Marfa che venivano dietro, brontol

"Be', perchvi siete appiccicati a me? Non posso portarvi ogni volta! Tornate a casa! Mi basti anche tu" aggiunse rivolta a me, quando quelli, dopo essersi frettolosamente inchinati, si avviarono verso casa.

Al Casinla nonna era ormai attesa. Le fu subito liberato lo stesso posto dell'altra volta, vicino al croupier. Mi sembra che questi croupiers, sempre coscomposti e con l'aria di comuni impiegati ai quali quasi perfettamente indifferente che il
banco vinca o perda, non lo siano poi completamente e che, senza dubbio, siano forniti di istruzioni appropriate per attirare i giocatori e per meglio controllare l'interesse dello stato: per la qual cosa, naturalmente, ricevono ricompense e premi.
Per lo meno, la nonna era giconsiderata una vittima. Poi, quello che i nostri supponevano, successe.

Ecco come and

La nonna si buttdifilato sullo zero e ordindi puntare subito dodici federici alla volta. Puntammo, una, due, tre volte: lo zero non usciva.

"Punta, punta!" mi diceva con impazienza, dandomi degli spintoni.

Io ubbidivo.

"Quante volte abbiamo gipuntato?" chiese infine, facendo scricchiolare i denti dall'impazienza.

"Abbiamo fatto la dodicesima, nonna, e perduto gicentoquarantaquattro federici. Vi ripeto, nonna, che magari fino a questa sera..." "Taci!" mi interruppe la vecchia. "Punta sullo zero e metti sul rosso mille fiorini. To', ecco il denaro." Uscil
rosso, e lo zero fece cilecca. Ci restituirono mille fiorini.

"Vedi, vedi!" bisbigliava la nonna. "Ci hanno ridato quasi tutto quello che abbiamo puntato. Punta di nuovo sullo zero: punteremo ancora una decina di volte e poi lasceremo stare." Ma alla quinta volta la nonna si era gistufata.

"Manda al diavolo quello schifoso zeruccio. Su, punta tutti i quattromila fiorini sul rosso" mi ordin

"Nonna! Sartroppo... e se il rosso non esce?" le dissi quasi supplicando. Poco mancche non mi picchiasse. (E, del resto, mi dava tali spintoni che era quasi come se mi battesse.) Non c'era niente da fare: puntai sul rosso tutti i quattromila
fiorini vinti poco prima. La ruota comincia girare. La nonna sedeva calma e si era alzata con fierezza, senza il minimo dubbio sulla vittoria.

"Zero!" esclamil croupier.

All'inizio la nonna non capma, quando vide che il croupier rastrellava i suoi quattromila gulden insieme con tutto quello che c'era sul tavolo e seppe che lo zero, che cosa lungo non era uscito e sul quale avevamo puntato quasi duecento
federici, era saltato fuori quasi a bella posta non appena lei l'aveva ingiuriato e abbandonato, mandun "ah!" e battle mani cosforte che l'udirono per tutta la sala. Qualcuno, lattorno, si mise a ridere.

"Santi benedetti! Proprio quel dannato saltato fuori!" urlla nonna. "Dannato d'un dannato! Sei tu! Sei proprio tu!" url scagliandosi contro di me, e scotendomi. "Sei tu che mi hai dissuasa!" "Nonna, io vi ho detto come stavano le cose; ma come
posso rispondere di tutte le probabilit" "Te le dario le probabilit" sussurrminacciosamente. "Vattene via!" "Addio, nonna!" e mi girai per andarmene.

"Aleks嶴 Iv跣ovitch! Aleks嶴 Iv跣ovitch, rimani! Dove vai? Su, ma perch perch Guarda un po'... si arrabbiato! Scemo! Sta' qui, vieni, sta' qui, non arrabbiarti, sono io una sciocca! Su! Dimmi che cosa bisogna fare adesso!" "Io, nonna, non vi
do pinessun consiglio, perchpoi date la colpa a me. Giocate come vi pare: ordinate, e io punter" "Su, su! Su, punta ancora quattromila gulden sul rosso! Ecco il portafogli, prendi!" Tirfuori il portafogli dalla tasca e me lo porse. "Su,
presto, prendi, ci sono ventimila rubli in contanti." "Nonna..." balbettai, "una puntata cos.." "Voglio morire, se non mi rifaccio. Punta!" Puntammo e perdemmo.

"Punta, punta, puntali tutti ottomila!" "Non si punonna, la puntata pialta di quattro..." "E allora puntane quattro!" Questa volta vincemmo. La nonna riprese animo.

"Vedi, vedi!" mi disse, dandomi uno spintone. "Puntane di nuovo quattro!" Puntammo e perdemmo; poi perdemmo ancora, e ancora.

"Nonna, tutti i dodicimila se ne sono andati!" riferii.

"Lo vedo che se ne sono andati tutti," disse con una specie di furore tranquillo, se cosci si puesprimere, "vedo, b輆jushka, vedo," borbottava, guardando davanti a s immobile e come pensierosa, "eh! voglio morire, ma punta ancora quattromila
gulden." "Ma non c'pidenaro, nonna: qui nel portafogli ci sono le nostre cartelle al cinque per cento e delle lettere di cambio, ma niente denaro." "E nel borsellino?" "Soltanto alcuni spiccioli, nonna." "Non c'qui un cambiavalute? Mi hanno
detto che i nostri valori si possono cambiare, no?" mi domandin tono deciso.

"Oh s quanto si vuole! Ma nel cambio perderete tanto che persino un ebreo si spaventerebbe!" "Sciocchezze! Avrla rivincita! Accompagnami. Chiamate subito quegli scemi!" Spinsi la poltrona, vennero i portatori e uscimmo dal Casin

"Presto, presto, presto!" ordinava la nonna. "Mostragli la strada, Aleks嶴 Iv跣ovitch... prendi la via pibreve. E' lontano?" "Due passi, nonna." Ma alla svolta dal piazzale sul viale incontrammo parte della nostra compagnia: il generale, De-Grieux
e mademoiselle Blanche con la mamma. Polina Aleks跣drovna non era con loro e mister Astley neppure.

"Su, su, su! Senza fermarsi!" gridava la nonna. "Che cosa fate qui? Non ho tempo di stare qui con voi!" Io camminavo dietro; De-Grieux corse da me.

"Ha perduto appena adesso tutto quello che aveva vinto e ci ha rimesso dodicimila fiorini dei suoi. Ora andiamo a cambiare dei titoli al cinque per cento" gli sussurrai in fretta.

De-Grieux battil piede in terra e si precipita comunicare ogni cosa al generale. Noi continuammo a spingere la nonna.

"Fermatela, fermatela!" mi sussurril generale, furioso.

"Provate un po' voi a fermarla..." gli dissi piano.

"Zietta!" si avvicinil generale, "zietta... noi ora... noi ora..." e la voce gli tremava e gli veniva meno; "noleggeremo dei cavalli e andremo fuori citt.. C'una vista stupenda... la 'pointe...' venivamo a invitarvi." "Va' a farti benedire con
la tua 'pu跣t'!" esclamla nonna, allontanandolo con un gesto irritato della mano.

"Lc'un villaggio... prenderemo il t.." continuil generale, ormai in preda alla disperazione.

"Nous boirons du lait sur l'herbe fra蟃he (1)" aggiunse De-Grieux con un odio furioso.

"Du lait, de l'herbe fra蟃he", ecco in che cosa consiste l'ideale idillico del borghese parigino; in questo, com'noto, sta il suo modo di vedere "la nature et la v廨it!

"Va' a quel paese con il tuo latte! Bevitelo tu, che a me ha fatto venire il mal di pancia. Ma perchvi siete appiccicati cos" gridla nonna. "Vi ho detto che non ho tempo!" "Siamo arrivati, nonna!" esclamai. "E' qui." La spingemmo davanti a una
casa dove si trovava l'ufficio di un banchiere. Andai a cambiare; la nonna rimase in attesa davanti all'ingresso; De-Grieux, il generale e Blanche stavano in disparte, non sapendo che cosa fare. La nonna li guardirosamente, ed essi presero la
strada per il Casin

Mi proposero un cambio cossvantaggioso che non ebbi il coraggio di eseguire l'operazione e tornai dalla nonna a chiedere istruzioni.

"Ah, briganti!" si mise a gridare, battendo le mani. "Ma non importa, cambia lo stesso!" mi ordinin tono deciso. "No...

aspetta, chiamami il banchiere." "Forse qualcuno degli impiegati, nonna?" "S anche un impiegato, indifferente. Ah, che briganti!" Uno degli impiegati acconsenta uscire, dopo aver saputo che chi lo pregava era una vecchia contessa inferma che
non poteva camminare. La nonna per un bel pezzo, a voce alta e adirata, gli rinfaccila sua furfanteria e mercanteggicon lui in un misto di russo, francese e tedesco, mentre io la aiutavo a tradurre.

L'impiegato ci guardava con espressione seria e scuoteva la testa in silenzio. Egli fissava la nonna con una curiositcosinsistente che rasentava la scortesia; infine prese a sorridere.

"Be', vattene!" gridla nonna. "Che i miei quattrini ti restino in gola! Cambia qui, Aleks嶴 Iv跣ovitch, non abbiamo tempo, se no si potrebbe andare da un altro..." "L'impiegato dice che gli altri danno ancora meno." Non ricordo con precisione il
conteggio di allora, ma fu spaventoso. Cambiai circa dodicimila fiorini in oro e in biglietti, presi il conto e lo portai alla nonna.

"Su, su, su... E' inutile star la fare conti!" esclam agitando le mani. "Presto, presto, presto!" "Non puntermai pisu quel maledetto zero e neppure sul rosso" dichiar mentre ci avvicinavamo al Casin

Questa volta provai con tutte le mie forze a convincerla a puntare il meno possibile, assicurandola che, se la fortuna avesse cambiato giro, avremmo sempre avuto il tempo di puntare una grossa cifra. Ma lei era cosimpaziente che, sebbene sulle
prime fosse stata d'accordo, non fu pipossibile frenarla durante il giuoco.

Aveva appena cominciato a vincere puntate di dieci, venti federici che giaveva ripreso a darmi degli spintoni dicendo:

"Su, su... ecco! Su, ecco! Ecco che abbiamo vinto; se ci fosse stato un quattro al posto del dieci, avremmo preso quattromila gulden, e adesso? Sempre tu, sempre tu!" E, per quanto mi irritassi guardando il suo gioco, decisi alla fine di tacere e di
non darle piconsigli.

All'improvviso accorse De-Grieux. Erano tutti e tre vicini; notai che mademoiselle Blanche stava un po' in disparte con la mamma e faceva moine al principe. Il generale era evidentemente in disgrazia, quasi messo al bando. Blanche non voleva nemmeno
guardarlo, sebbene egli la riempisse di cortesie. Povero generale!

Impallidiva, arrossiva, trepidava e quasi non seguiva neppure il gioco della nonna. Blanche e il principotto alla fine se ne andarono; il generale li segu

"Madame, madame" sussurrava con voce melata De-Grieux alla nonna, spingendosi avanti fino al suo orecchio. "Madame, questa puntata non va... no, no... non possibile..." diceva in un russo storpiato. "No!" "E come, allora? Su, insegnamelo!" esclam la nonna, rivolgendosi a lui. De-Grieux improvvisamente si mise a parlare in fretta in fretta in francese, comincia dare consigli, ad affannarsi, a dire che bisognava aspettare la buona sorte, a fare conteggi di non so quali cifre... La nonna non
ci capiva niente. Egli si rivolgeva continuamente a me perchio traducessi; puntava il dito sul tavolo, indicava e infine, afferrata la matita, gistava per iniziare a far dei conti su un foglietto, quando la nonna perse la pazienza.

"Su, vattene, vattene! Non dici che sciocchezze! Madame, madame, e tu stesso non capisci niente. Vattene!" "Mais, madame" cinguettDe-Grieux, riprendendo a ragionare e a spiegare. Era veramente molto preoccupato.

"Su, punta una volta come dice lui" mi ordinla nonna, "e vedremo: forse uscirdavvero." De-Grieux voleva soltanto dissuaderla dalle grosse puntate; proponeva di puntare sui numeri, singoli e a gruppi. Puntai, secondo la sua indicazione, un
federico su ciascun numero della serie dispari, compresi tra i primi dodici, e cinque federici su ciascuno dei gruppi di cifre comprese tra il dodici e il diciotto e il ventiquattro; in tutto sedici federici.

La ruota prese a girare.

"Zero" proclamil croupier.

Avevamo perso tutto.

"Che imbecille!" gridla nonna, rivolgendosi a De-Grieux. "Che razza di indegno francesuccio sei! E danche consigli, quel mostro! Vattene, vattene! Non capisce niente e vuole ficcare il suo naso..." Terribilmente offeso, De-Grieux alzle spalle,
guardcon aria sprezzante la nonna e si allontan Cominciava egli stesso a vergognarsi di essersi impicciato in quella faccenda; era stato troppo impaziente.

Nello spazio di un'ora, per quanto ci battessimo, avevamo perduto tutto.

"A casa!" gridla nonna.

Non pronuncipiuna parola fino al viale. Nel viale, quando gici avvicinavamo all'albergo, comincia lasciarsi sfuggire una serie di esclamazioni.

"Che sciocca! Che scioccona! Sei proprio una stupida, stupidissima vecchia!" Non appena fummo entrati nell'appartamento grid

"Portatemi il t e preparate subito i bagagli. Partiamo!" "Dove volete andare m輆ushka?" chiese Marfa.

"E a te che importa? Il grillo stia tranquillo nel suo buco!

Potapytch, raccogli tutto, prepara il bagaglio. Torniamo a Mosca!

Quindicimila rubli d'argento mi sono giocata!" "Quindicimila rubli, m輆ushka? Oh, mio Dio!" gridPotapytch, unendo con aria contrita le mani e credendo, probabilmente, di rendersi gradito con quel gesto.

"Su, su, stupido! Mettiti anche a piagnucolare, adesso! Taci!

Preparatevi! Il conto, presto, il conto!" "Il prossimo treno parte alle nove e mezzo, nonna" la informai per arrestare la sua frenesia.

"E adesso che ore sono?" "Le sette e mezzo." "Che rabbia! Ma non importa! Aleks嶴 Iv跣ovitch, non ho pinemmeno una copeca. Eccoti ancora due obbligazioni, corri laggie cambiami anche queste. Altrimenti non so con che cosa partire." Mi avviai.
Dopo mezz'ora, rientrato all'albergo, trovai i nostri dalla nonna. La notizia che essa stava per partire per Mosca li aveva colpiti, a quanto pare, ancora di pidelle sue perdite al giuoco. E' vero che con la partenza si salvava il suo patrimonio,
ma che sarebbe ora successo al generale? Chi avrebbe pagato De- Grieux? Mademoiselle Blanche, si capisce, non avrebbe aspettato che morisse la nonna ma, senza dubbio, avrebbe tagliato la corda con il piccolo principe o con qualcun altro. Erano tutti
intorno a lei, la consolavano e cercavano di dissuaderla. Polina, anche questa volta, non c'era. La nonna imprecava furiosamente contro tutti.

"Toglietevi dai piedi, diavoli! A voi che importa? Perch barba di caprone, ti intrufoli qui?" gridava la nonna a De-Grieux. "E tu, donnetta, che vuoi?" disse a mademoiselle Blanche, "perchmi giri intorno?" "Diantre!" mormormademoiselle Blanche
con gli occhi scintillanti di ira ma, di colpo, scoppiin una risata e usc

"Elle vivra cent ans!" grid mentre varcava la soglia, al generale.

"Ah, dunque, tu fai conto sulla mia morte?" urlla nonna al generale. "Vattene! Cacciali fuori tutti, Aleks嶴 Iv跣ovitch! Che importa a voi? Mi sono mangiata il mio, non il vostro!" Il generale si strinse nelle spalle, si curve usc De-Grieux lo
segu

"Chiamare subito Prask瓃ja!" ordinla nonna a Marfa.

Dopo cinque minuti Marfa torncon Polina. In tutto questo tempo Polina era rimasta in camera sua con i bambini e sembra che, a bella posta, avesse deciso di non uscirne per tutto il giorno.

Aveva un viso serio, triste e preoccupato.

"Prask瓃ja," comincia dire la nonna, "vero ciche ho saputo indirettamente poco fa, che quell'imbecille del tuo patrigno vuole sposare quella sciocca farfallina d'una francese, quell'attrice o peggio ancora? Dimmi, vero?" "Di sicuro non lo
so, nonna," rispose Polina, "ma, a quanto dice la stessa mademoiselle Blanche che non ritiene necessario nasconderlo, concludo che..." "Basta!" la interruppe la nonna energicamente. "Capisco tutto! Ho sempre creduto che da lui c'era da aspettarselo,
l'ho sempre considerato l'uomo pivuoto e pileggero del mondo. Si dtante arie perchgenerale (era colonnello e stato promosso quando era giin pensione) e si crede chi sa chi. Io, mia cara, so tutto, so che mandavate a Mosca un telegramma
dopo l'altro:

'Tirerpresto le cuoia, quella vecchia nonna?' Aspettavate l'eredit senza denaro quella vigliacca donnetta... come si chiama? de Cominges o non so come... non lo prenderebbe neanche come lacch e per di picon i denti finti. Dicono che lei
abbia un mucchio di denaro, lo presta a interesse, denaro ammucchiato onestamente. Io, Prask瓃ja, non accuso te; non sei stata tu a mandare i telegrammi; e il passato non voglio ricordarlo. So che tu hai un caratterino di quelli... una vespa! Se
pungi, dove pungi gonfia, ma mi fai pena perchalla buon'anima di Katerina, tua madre, io volevo bene. Vuoi? Pianta qui tutti e parti con me.

Ecco, qui non hai dove ficcarti e che tu resti qui con lui non sta bene. Aspetta!" continula nonna, interrompendo Polina che gistava per rispondere, "non ho ancora finito. Da te non pretenderniente. La mia casa a Mosca, tu lo sai, un
palazzo; tu potresti occupare un piano intero e non scendere da me per delle settimane, se il mio carattere non ti va a genio. Su, vuoi, oppure no?" "Permettete che prima vi chieda se volete davvero partire subito." "Scherzo io forse, m輆ushka? L'ho
detto, e partir Oggi ho speso quindicimila rubli, alla vostra stramaledetta roulette. Nei dintorni di Mosca, cinque anni fa, ho fatto promessa di ricostruire in pietra la chiesa di legno e adesso qui ho sperperato tutto. Ora, m輆ushka, andra
ricostruire la chiesa." "E le acque, nonna? Eravate venuta per la cura delle acque, vero?" "Ma smettila con le tue acque! Non farmi irritare, Prask瓃ja: lo fai apposta, vieni o no?" "Vi sono molto, molto grata, nonna," disse Polina, commossa, "per
il rifugio che mi offrite. Avete in parte indovinato la mia situazione. Vi sono cosgrata che, credetemi, verrda voi, e forse anche presto; ma ora ci sono dei motivi... importanti... e non posso prendere una decisione cossu due piedi. Se voi
foste rimasta almeno due settimane..." "Sicch non vuoi?" "Sicch non posso. E non posso, in ogni caso, lasciar qui fratello e sorella perch.. perchpueffettivamente succedere che restino abbandonati... Allora, se mi prenderete con i piccoli,
nonna, verrcertamente da voi e, credetemi, saprmeritarmelo!" aggiunse con calore. "Ma senza i bambini impossibile, nonna!" "Su, non piagnucolare!" (Polina non ci pensava neppure di piagnucolare e poi lei non piangeva mai!) "Anche per i pulcini
si troverun posto: il pollaio grande. E poi ora che vadano a scuola. Dunque, adesso non vuoi partire? Ebbene, Prask瓃ja, guarda! Io vorrei il tuo bene; ma, vedi, lo so perchnon parti.

Io so tutto, Prask瓃ja! Non ti portera niente di buono, quel francesuccio." Polina si fece di fiamma. Io sussultai. (Lo sanno tutti! Io solo, dunque, non so niente!) "Su, su... non accigliarti. Non stara tirarla tanto in lungo...

Bada soltanto che non succeda qualche guaio, capisci? Tu sei una ragazza intelligente; mi dispiacerebbe per te. Ma adesso basta, non vorrei piavervi qui davanti! Va', addio!" "Io, nonna, vi accompagnerancora" disse Polina.

"Non serve, non disturbarti; e poi mi siete venuti tutti a noia." Polina bacila mano alla nonna, ma quella la ritire bacila fanciulla sulla guancia.

Passandomi vicino, Polina mi lanciun rapido sguardo, ma subito distolse gli occhi. "Suvvia, addio anche a te, Aleks嶴 Iv跣ovitch!

Manca solo piun'ora alla partenza. Anche tu ti sarai stancato di stare con me penso. Tieni, prendi questi cinquanta federici." "Vi ringrazio umilmente, nonna, ma mi vergogno..." "Su, su!" gridla nonna in tono cosenergico che non osai
protestare e accettai.

"A Mosca, quando correrai di qua e di lsenza posto, vieni da me; ti raccomandera qualcuno. Su, vattene!" Mi ritirai in camera mia e mi stesi sul letto. Credo di essere rimasto per una mezz'ora supino, con le mani intrecciate dietro la testa. La
catastrofe ormai era scoppiata, c'era di che preoccuparsi. Decisi che l'indomani avrei parlato seriamente a Polina. Ah! Il francesuccio? Dunque, era vero! Ma che cosa poteva esserci, per Polina e De-Grieux! Mio Dio, che confronto!

Tutto questo era semplicemente incredibile. Balzai d'un tratto dal letto, fuori di me, per andare subito a cercare mister Astley e costringerlo, a qualsiasi costo, a parlare. Egli, senza dubbio ne sapeva pidi me. Mister Astley? Ecco un altro
mistero per me!

Ma, improvvisamente, sentii bussare alla mia porta. Guardo: Potapytch.

"B輆jushka, Aleks嶴 Iv跣ovitch, la signora vi vuole!" "Che c' Parte, no? Al treno mancano ancora venti minuti." "E' inquieta, b輆jushka, non pustar ferma. 'Presto, presto!' ripete, ciovuole voi, b輆jushka: per amore di Cristo, non indugiate."
Mi precipitai gi La nonna l'avevano giportata nel corridoio.

Nelle mani teneva il portafogli.

"Aleks嶴 Iv跣ovitch, cammina avanti, andiamo!" "Dove, nonna?" "Voglio morire, se non mi rifar Avanti, march, senza tante domande! Lsi giuoca sino a mezzanotte, eh?" Ero rimasto di stucco, riflettei, ma presi subito una decisione.

"Come volete, Antonida Vass骴evna, ma io non ci andr" "E perch Che significa? Avete tutti le smanie?" "Come credete, ma poi dovrei rimproverare me stesso: non voglio!

Non voglio essere nspettatore, npartecipe. Dispensatemi, Antonida Vass骴evna. Ecco i vostri cinquanta federici: addio!" E, deposto il rotolo dei federici su un tavolino, vicino al quale si trovava la poltrona della nonna, mi inchinai e me ne
andai.

"Che assurdit" mi gridalle spalle la nonna. "Non venire, pazienza: troverla strada da sola; Potapytch, vieni con me! Su, sollevate la poltrona, portatemi!" Non trovai mister Astley e tornai a casa. Sul tardi, gidopo la mezzanotte, seppi da
Potapytch come si era conclusa la giornata della nonna. Aveva perduto tutto quanto avevo poco prima cambiato, cio in moneta nostra, ancora diecimila rubli. Le si era di nuovo appiccicato quel piccolo polacchino al quale aveva dato prima due
federici, e l'aveva guidata durante tutto il gioco. All'inizio, prima del polacchino, stava giper far puntare Potapytch ma ben presto l'aveva mandato via; e proprio allora si era precipitato il polacchino. Come a farlo apposta, egli capiva il
russo e persino, alla bell'e meglio, lo parlava, in un misto di tre lingue, cosicchriuscivano quasi a capirsi a vicenda. La nonna per tutto il tempo lo insolentsenza piete, sebbene quello non facesse che "strisciare ai piedini della pani"
tuttavia "non si poteva certo confrontarlo con voi, Aleks嶴 Iv跣ovitch" raccontava Potapytch. "Voi vi trattava proprio come un signore, e quello...

quello l'ho visto io, con i miei occhi, Dio mi fulmini se mento, le rubava il denaro dal tavolo. Lei stessa lo pescdue volte sul fatto e l'ha insolentito, insolentito con ogni sorta di parolacce, b輆jushka, e una volta, davvero, non dico bugie....
una volta gli tirpersino i capelli tanto che tutt'intorno scoppiuna risata.

Tutto, b輆jushka, ha perduto: tutto ciche voi le avete cambiato.

Adesso l'abbiamo portata qui, la matushka; soltanto un bicchiere d'acqua ha chiesto, si fatta il segno della croce e subito andata a letto. Sarstata stanca, perchsi addormentata immediatamente. Che Iddio le mandi sogni d'angelo! Oh, questo
estero!" concluse Potapytch. "Lo dicevo io, che non portava bene!

Potessimo tornare presto nella nostra Mosca! Che cosa ci manca nella nostra casa a Mosca? Il giardino, dei fiori come qui non se ne vedono, il profumo, i meli pieni di germogli, lo spazio... no:

bisognava venire all'estero! Oh-oh-oh!"





NOTE:

1. "Berremo del latte sull'erbetta fresca!"




13.





E' passato ormai quasi un mese da quando non ho pitoccato queste mie note, iniziate sotto l'influsso di impressioni forti s ma disordinate. La catastrofe, la cui imminenza avevo allora previsto, si abbattrealmente, ma cento volte piviolenta
e inaspettata di quanto io non pensassi. E' stata una cosa strana, scandalosa e addirittura tragica, almeno per me. Mi sono capitati alcuni casi quasi miracolosi; cos almeno, mi sembrano tuttora anche se, a considerarli da un altro punto di vista
e, soprattutto, giudicando dal vortice in cui allora mi aggiravo, essi erano forse soltanto non del tutto comuni. Ma per me la cosa pimiracolosa il modo con cui io mi sono comportato in tutti quegli avvenimenti. Non riesco ancora oggi a capire
me stesso! E tutto volato via come un sogno; anche la mia passione - e sche era intensa e sincera - dove mai andata a finire? Davvero, a volte mi balena quest'idea: "Ma non sono forse impazzito allora e non sono stato tutto questo tempo in
qualche manicomio dove forse mi trovo ancora oggi, cosche tutto cimi sembrato e anche adesso mi sembra soltanto?" Ho raccolto e riletto i miei foglietti. (Chi sa, forse per convincermi di non averli scritti in un manicomio?) Ora sono solo
soletto. L'autunno si avvicina, le foglie ingialliscono. Me ne sto in questa triste cittadina (oh, come sono tristi le cittadine tedesche!) e, invece di riflettere sul passo che sto per compiere, vivo sotto l'influsso di sensazioni appena spente, di
ricordi freschi, sotto l'influsso di tutto il fresco turbine che allora mi ha trascinato in quel vortice e che di nuovo mi ha scagliato fuori, chi sa dove. Mi sembra, ogni tanto, di aggirarmi ancora in quello stesso turbine e che da un momento
all'altro si scatenerun'altra volta la tempesta che mi afferrer passandomi accanto, con la sua ala, e io uscirdi nuovo dall'ordine e dal senso della misura e girer girer girer..

Del resto, forse mi fermerin qualche posto e smetterdi girare se dara me stesso, per quanto possibile, esatto conto di tutto quello che successo in questo mese. La penna mi attrae di nuovo e spesso, la sera, non so proprio che cosa fare.
Strano, pur di occuparmi in qualche modo, prendo nella locale, cattiva biblioteca, i romanzi di Paul de Kock (in traduzione tedesca) che quasi non posso soffrire, ma li leggo, e mi stupisco di me stesso:

come se avessi paura che un libro serio o qualsiasi seria occupazione potesse spezzare l'incanto di ciche appena passato. Mi proprio coscaro quel brutto sogno con tutte le impressioni rimastemi, da temere persino che, sfiorandolo con
qualcosa di nuovo debba dissolversi come fumo? Mi dunque coscaro tutto questo? S certamente mi caro, e forse anche tra quarant'anni lo ricorder..

E, cosmi metto a scrivere. Del resto, tutto si puraccontare ora, in parte, anche pibrevemente: le impressioni non sono piquelle...

Per prima cosa, concludiamo il discorso sulla nonna. Il giorno dopo, ella perse tutto, definitivamente. Cosdoveva accadere:

chi, tra le persone come lei, capita una volta su quella strada, come se scivolasse in slitta da una china nevosa, sempre piin fretta, sempre piin fretta... Gioctutto il giorno, fino alle otto di sera; io non fui presente al suo gioco e so
soltanto quello che ho sentito dire.

Potapytch rimase di guardia vicino a lei al Casinper tutta la giornata. I polaccucci che guidavano la nonna si allontanarono pivolte durante il giorno. Ella inizicon lo scacciare il polacco del giorno prima, quello che aveva tirato per i
capelli, e ne prese un altro, il quale, per risultquasi peggiore del primo.

Scacciato anche questo e ripreso il primo - che non si era allontanato e durante tutto il tempo dell'esilio era rimasto sempre ldietro la poltrona sporgendo continuamente avanti la testa - si lasciprendere da vera disperazione. Il secondo
polacco scacciato non voleva andarsene neppure lui, a nessun costo; uno si sistema destra, l'altro a sinistra. Durante tutto il tempo non fecero che litigare e scambiarsi ingiurie per le puntate e le mosse; si dicevano a vicenda lajdaki (1) e
altri complimenti polacchi, poi si riappacificavano, gettavano via il denaro senza alcun ordine, prendevano decisioni a casaccio.

Attaccata di nuovo lite, essi puntavano ognuno dalla propria parte, uno, per esempio, sul rosso e l'altro sul nero. Finche stordirono e confusero tanto la nonna che lei, quasi con le lacrime agli occhi, si rivolse al "croupier", un vecchietto,
pregandolo di difenderla e di scacciarli. Infatti furono subito mandati via, nonostante le loro grida e le loro proteste; strillavano tutti e due insieme, e cercavano di dimostrare che la nonna era in debito verso di loro, che li aveva imbrogliati,
che aveva agito nei loro riguardi in modo disonesto e basso.

L'infelice Potapytch mi racconttutto questo con le lacrime agli occhi la sera stessa della perdita, e lamentandosi che essi si fossero riempite le tasche di denaro, assicurava di aver visto con i suoi occhi come rubavano senza scrupolo e come ogni
minuto si mettevano quattrini in tasca. Se uno, per esempio, otteneva dalla nonna cinque federici per le sue fatiche, subito li puntava alla roulette, vicino alla puntata della nonna. La nonna vinceva e lui gridava che a vincere era stata la sua
puntata e che quella della nonna aveva perso. Quando li stavano scacciando, Potapytch si fece avanti e riferche essi avevano le tasche piene d'oro. La nonna pregsubito il croupier di intervenire e, per quanto i due polaccucci gridassero (come
due galli afferrati di sorpresa) arrivla polizia e subito le loro tasche furono vuotate a vantaggio della nonna. La nonna, fino a che non ebbe perso tutto godette per l'intera giornata, presso i "croupiers" e presso i dirigenti del Casin di una
palese autorit A poco a poco la sua fama si era diffusa per la citt Tutti i frequentatori delle terme di tutte le nazioni, quelli comuni e quelli piimportanti, accorrevano a vedere "une vieille comtesse russe tomb嶪 en enfance" (2) che aveva
perduto "parecchi milioni".

Ma la nonna ebbe ben poco vantaggio dal fatto di essere stata liberata dai due polacchi. Al posto loro comparve immediatamente, a offrirle i suoi servigi, un terzo polacco che parlava perfettamente in russo, vestito da gentiluomo sebbene un po'
somigliante a un lacch con un enorme paio di baffi e pieno di boria. Anch'egli baci"i piedini della pani", ma verso la gente che era intorno si comportava in modo insolente, impartendo disposizioni in tono dispotico; in una parola, prese
immediatamente un atteggiamento non da servo, ma da padrone della nonna. Continuamente, a ogni mossa, si rivolgeva a lei e giurava con i piterribili giuramenti che era anche lui un 'onorato' pan e che non avrebbe preso nemmeno una copeca del
denaro della nonna.

E ripeteva cosspesso tali giuramenti che quella fincon lo smarrirsi del tutto. Ma poichpare che, all'inizio, questo pan avesse corretto il suo giuoco e avesse incominciato a vincere, la nonna stessa non poteva pistaccarsene. Un'ora pitardi
i due piccoli polacchi di prima che erano stati allontanati dal Casinriapparvero dietro la sedia della nonna, rinnovando l'offerta dei loro servigi, se non altro come galoppini. Potapytch giurava che "l'onorato pan" scambiava con i due strizzatine
d'occhio e passava persino qualcosa nelle loro mani. Poichla nonna non aveva pranzato e non aveva quasi mai lasciato la poltrona, uno dei polacchi si rese effettivamente utile: corse nella sala da pranzo del Casine le portprima una tazza di
brodo e poi anche del tDel resto, correvano tutti e due. Ma verso la fine della giornata, quando a tutti era ormai chiaro che la nonna perdeva il suo ultimo biglietto di banca, dietro la sua sedia stavano ormai sei polacchini, mai visti n conosciuti prima. Quando poi la nonna stava perdendo le sue ultime monete, tutti loro non solo non la ascoltavano pi ma neanche le badavano; si spingevano al di sopra della sua testa per arrivare al tavolo, prendevano il denaro, ne disponevano e
lo puntavano, discutevano e gridavano intrattenendosi amichevolmente con "l'onorato pan" che sembrava si fosse addirittura dimenticato dell'esistenza della nonna. Persino quando la nonna, dopo aver definitivamente perso tutto, si preparava verso le
otto di sera a tornare all'albergo, tre o quattro piccoli polacchi non si decidevano ancora a lasciarla e correvano intorno alla poltrona gridando a tutta forza e assicuravano, parlando velocissimamente, che la nonna li aveva ingannati e che doveva
loro qualche cosa. E cosarrivarono fino all'albergo da dove, finalmente, furono cacciati a spintoni.

Secondo il conto di Potapytch, la nonna aveva perso in quel giorno circa novantamila rubli, oltre al denaro perso il giorno prima.

Tutti i titoli - obbligazioni al cinque per cento, prestiti interni, azioni - che aveva portato con s li aveva cambiati uno dopo l'altro. Io mi meravigliavo, pensando come avesse potuto resistere quelle sette o otto ore seduta in poltrona e quasi
senza spostarsi dal tavolo, ma Potapytch raccontche per ben tre volte aveva effettivamente cominciato a vincere forte e, trascinata dalla speranza, non aveva pipotuto allontanarsi. Del resto, i giocatori sanno benissimo come si possa restare
magari una giornata intera allo stesso posto giocando a carte, senza girare gli occhi na destra, na sinistra.

Intanto anche da noi, all'albergo, erano accadute quel giorno cose d'importanza decisiva. Gidalla mattina, prima delle undici, quando la nonna era ancora in casa, i nostri, cioil generale e De-Grieux, si erano decisi al passo estremo. Saputo che
la nonna non voleva pipartire ma che, anzi, si preparava ad andare al Casin si presentarono da lei in conclave (a eccezione di Polina) per parlarle definitivamente e anche sinceramente. Il generale, trepidante e sentendosi quasi venir meno in
vista delle conseguenze per lui terribili, esagerpersino: dopo mezz'ora di preghiere e di suppliche e dopo aver francamente confessato tutto, cioi debiti e anche la passione per mademoiselle Blanche (egli si era smarrito completamente), il
generale dico, prese di colpo un tono minaccioso e comincia inveire contro la nonna e a pestare i piedi, gridando che lei disonorava la famiglia, che era diventata lo scandalo di tutta la citte arrivinfine a queste parole: "Voi disonorate il
nome russo, signora, e per questo c'la polizia!" La nonna lo caccivia con il bastone (un autentico bastone) Il generale e De-Grieux si consultarono ancora due o tre volte quella mattina, e precisamente su questo: non sarebbe stato proprio
possibile far intervenire la polizia? Dire che, ecco, una disgraziata, una rispettabile vecchia era impazzita, stava perdendo al gioco gli ultimi soldi eccetera? In una parola, non era possibile ottenere una tutela o una interdizione? De-Grieux si
limitava a stringersi nelle spalle e rideva in faccia al generale che ormai non sapeva piquello che diceva e correva su e giper lo studio. Infine De-Grieux fece un gesto di rinuncia e scomparve chi sa dove. A sera si seppe che aveva lasciato
l'albergo definitivamente, dopo aver avuto un colloquio risolutivo e misterioso con mademoiselle Blanche. Per quanto riguarda mademoiselle Blanche lei, fin dal mattino, aveva preso dei provvedimenti decisivi: si era completamente liberata dal
generale e non gli permetteva neppure pidi presentarsi davanti a lei.

Quando il generale le corse dietro al Casine la incontrsottobraccio al principe, tanto lei quanto madame veuve Cominges finsero di non conoscerlo. E neppure il principe lo salut Per tutto quel giorno mademoiselle Blanche sonde si lavoril
principe perchfinalmente si dichiarasse. Ma ahim

Si era crudelmente ingannata nei suoi calcoli sul principe! Questa piccola catastrofe accadde alla sera; di colpo si scoprche il principe era povero in canna e che contava proprio su di lei per avere quattrini in prestito contro cambiali da
giocare alla roulette. Blanche, indignata, lo caccivia e si chiuse nella sua camera.

La mattina di quello stesso giorno ero andato da mister Astley o, per meglio dire, lo avevo cercato, ma non ero riuscito in nessun modo a trovarlo. Non c'era nin casa, nal Casin nal parco.

Quella volta non aveva pranzato nel suo albergo. Lo vidi a un tratto, verso le cinque, che dalla stazione ferroviaria andava verso l'albergo d'Angleterre. Camminava in fretta e vidi che era preoccupato sebbene fosse molto difficile scorgere sul suo
viso segni di preoccupazione o di qualsiasi turbamento. Mi tese cordialmente la mano con la sua abituale esclamazione: "Ah!" ma senza fermarsi e continuando, a passi piuttosto frettolosi, il suo cammino. Mi attaccai a lui, ma egli seppe rispondermi
in un modo tale che non riuscii a chiedergli niente. Inoltre, chi sa perch sentivo un tremendo senso di vergogna a parlare di Polina; e neppure lui mi disse, a quel proposito, una parola. Gli raccontai della nonna; mi ascoltattento e serio e si
strinse nelle spalle.

"Perdertutto!" gli dissi.

"Oh, certo!" mi rispose. "Anche poco fa, quando io partivo, andata a giocare, e perciero sicuro che sarebbe finita cos Se avrtempo, andrun attimo al Casina vedere, perchuna cosa curiosa..." "Dove siete stato?" chiesi, sorpreso di non
averglielo ancora domandato.

"Sono stato a Francoforte." "Per affari?" "S per affari." Che cosa potevo chiedergli di pi Tuttavia continuavo a camminargli vicino, ma egli a un tratto svoltnella strada dove sorgeva l'albergo Des Quatre Saisons, mi salutcon un cenno del
capo e spar Tornando a casa, mi resi a poco a poco conto che, se anche avessi parlato con lui per due ore, non avrei saputo niente perch.. non avevo niente da chiedergli! Gi proprio cos In nessun modo avrei ora potuto formulare la mia
domanda.

Per tutto quel giorno Polina o passeggicon i bambini e la bambinaia nel parco, o rimase in casa. Da un pezzo ormai lei evitava il generale e non parlava quasi mai con lui, almeno su argomenti seri. L'avevo notato gida un pezzo. Ma, sapendo in
che situazione si trovasse quel giorno il generale, pensai che non avrebbe potuto evitarla, cioche tra di loro sarebbe stata necessaria qualche importante spiegazione di carattere familiare.

Perquando io, rientrando all'albergo dopo il mio colloquio con mister Astley, incontrai Polina con i bambini, il suo viso rifletteva la piserena tranquillit come se tutte le tempeste familiari non l'avessero nemmeno sfiorata. Al mio saluto
rispose con un cenno del capo. Entrai in camera mia pieno di stizza.

Naturalmente, io evitavo di parlarle e non mi ero pitrovato con lei dopo l'incidente con il barone Wurmerhelm. Per di pifacevo il sostenuto e mi davo delle arie ma, quanto piil tempo passava, tanto piribolliva in me una vera indignazione.
Anche se lei non mi amava affatto, non si poteva, mi sembra, calpestare cosi miei sentimenti e accogliere con un simile disprezzo le mie confessioni! Lei sapeva che io l'amavo veramente; lo ammetteva e mi permetteva di parlarle cos In verit
tutto era cominciato tra di noi in modo alquanto strano. Qualche tempo prima, circa un due mesi, avevo notato che Polina voleva fare di me il suo amico, il suo confidente e che, in parte, ci si provava. Ma la cosa, chi sa perch non aveva avuto
allora buon esito e, in cambio, erano rimasti tra noi gli strani rapporti odierni; per questo appunto avevo preso a parlare coscon lei. Ma se il mio amore le ripugnava, perchnon proibirmi senz'altro di parlargliene?

Non me lo vietava; a volte, anzi, mi induceva lei stessa a toccare quell'argomento e... naturalmente lo faceva per beffa. Lo so con certezza, perchavevo osservato molto bene che le faceva piacere, dopo avermi ascoltato e stuzzicato fino alla
sofferenza, sconcertarmi improvvisamente con qualche uscita che rivelava il massimo disprezzo e la pigrande indifferenza. Eppure sapeva benissimo che senza di lei io non potevo vivere. Ecco adesso erano passati tre giorni dall'incidente con il
barone, e io non riuscivo pia sopportare la nostra separazione. Quando l'avevo incontrata poco fa vicino al Casin il cuore aveva preso a battermi con tanta violenza che ero impallidito. Eppure nemmeno lei avrebbe potuto cavarsela senza di me! Io
le ero necessario; ma possibile, possibile che lo fossi soltanto come il buffone Balakirev (3)?

Lei aveva un segreto: questo era chiaro! Il suo colloquio con la nonna mi aveva ferito dolorosamente il cuore. Eppure mille volte l'avevo invitata a essere sincera con me, e lei sapeva benissimo che io ero pronto a sacrificarle la mia testa. Ma lei
se ne faceva gioco sempre, quasi con disprezzo e, invece del sacrificio della vita che io le offrivo, pretendeva da me delle gesta sul tipo di quelle con il barone! Non era forse una cosa disgustosa? Possibile che per lei tutto il mondo fosse
racchiuso in quel francese? E mister Astley? A questo punto la cosa diventava incomprensibile e intanto, mio Dio, come mi tormentavo!

Arrivato a casa, in un impeto di rabbia, presi la penna e le scrissi quanto segue:

"Polina Aleks跣drovna, vedo chiaramente che arrivato lo scioglimento che, naturale, riguarderanche voi. Per l'ultima volta vi ripeto: vi serve, oppure no, la mia testa? Se vi sarutile per qualsiasi cosa, disponete di me; intanto io sono
nella mia camera e, almeno per un bel pezzo, non me ne allontaner Se vi servir scrivetemi o fatemi chiamare."

Sigillai il biglietto e glielo mandai tramite il cameriere del mio piano, con l'ordine di consegnarlo personalmente. Non aspettavo risposta ma, dopo tre minuti, il cameriere torncon la notizia che la signorina "aveva dato ordine di salutarmi".

Dopo le sei fui chiamato dal generale.

Era nel suo studio, vestito come se si preparasse ad andare da qualche parte. Cappello e bastone erano posati sul divano. Mi sembr entrando, che egli stesse in mezzo alla stanza con le gambe larghe, la testa bassa e che parlasse tra se sad
alta voce. Ma non appena mi vide si gettverso di me quasi gridando, tanto che io, istintivamente, indietreggiai e quasi volli fuggire; ma egli mi prese per tutt'e due le mani e mi trascinverso il divano, si mise a sedere, fece sedere me su una
poltrona di fronte a lui e, senza lasciare le mie mani, con le labbra tremanti, le lacrime che gli brillavano tra le ciglia e con voce implorante mi disse:

"Aleks嶴 Iv跣ovitch, salvatemi, salvatemi, abbiate piet" Per un bel po' non riuscii a capire niente: lui parlava, parlava, parlava e continuava a ripetere: "Abbiate piet Abbiate piet" Finalmente indovinai che egli aspettava da me forse un
consiglio o, per meglio dire, abbandonato da tutti, angosciato e triste, si era ricordato di me e mi aveva fatto chiamare solo per parlare, parlare, parlare...

Era quasi impazzito o, per lo meno, al culmine dello smarrimento.

Giungeva le mani ed era pronto a gettarsi ai miei piedi (che cosa credete?) perchio andassi subito da mademoiselle Blanche a pregarla e a consigliarla di tornare a lui e di sposarlo.

"Ma via, generale" esclamai, "fino a oggi mademoiselle Blanche non si neppure accorta di me. Che posso fare io?" Ma le obiezioni erano inutili: egli non capiva quello che gli si diceva. Si mise a parlare anche della nonna in modo del tutto
sconclusionato: era sempre dell'idea di far chiamare la polizia "Da noi, da noi" comincia gridare, ribollendo all'improvviso di indignazione, "da noi, in uno stato bene organizzato dove esiste un'autorit una vecchia cosla metterebbero subito
sotto tutela!

S egregio signore, s.." continuava, cadendo di colpo in un tono di rimprovero, balzando in piedi e mettendosi a passeggiare per lo studio, "voi non sapevate ancora, egregio signore" fece, rivolgendosi a un immaginario egregio signore in un
angolo, "e adesso lo sapete... s.. s.. che da noi simili vecchie le mettono al giogo, al giogo, sicuro... che il diavolo le porti!" E si abbandonava di nuovo sul divano ma, dopo un attimo, quasi singhiozzando e ansimando, si affrettava a
raccontarmi che mademoiselle Blanche non l'aveva sposato proprio perch invece del telegramma, era arrivata la nonna e che ormai era evidente che egli non avrebbe avuto l'eredit Gli sembrava che di tutto questo io non fossi affatto al corrente.
Cominciai a parlare di De- Grieux, ma egli fece un gesto di disperazione:

"E' partito! Tutto quanto possiedo ipotecato da lui: sono povero in canna! Di quei denari che portaste... di quei denari non so quanto rimasto... mi sembra un settecento franchi e niente altro; tutto le poi... non so, non so!" "Ma come
farete a pagare il conto dell'albergo?" gli chiesi io, spaventato. "E poi, che accadr" Egli mi guardpensieroso, ma ebbi l'impressione che non capisse e addirittura non mi sentisse. Provai a parlargli di Polina Aleks跣drovna e dei bambini. Egli
rispose alla svelta s.. s..

ma subito si rimise a parlare del principe, del fatto che Blanche ora sarebbe partita con lui e allora... allora... "Che mi resta da fare, Aleks嶴 Iv跣ovitch?" si rivolse d'un tratto a me. "Ve lo giuro sul nome di Dio! Che cosa posso fare? Dite, non
ingratitudine, questa? Non ingratitudine?" Infine si mise a piangere a dirotto.

Con un uomo simile non c'era niente da fare, era pericoloso anche lasciarlo solo, poteva magari accadergli qualcosa. Riuscii in ogni modo a liberarmene, ma avvertii la bambinaia che andasse ogni tanto a dargli un'occhiata e, inoltre, parlai con il
cameriere del piano, un ragazzo molto giudizioso, e mi promise che, da parte sua, lo avrebbe tenuto d'occhio.

Avevo appena lasciato il generale che comparve da me Potapytch a chiamarmi da parte della nonna. Erano le otto, e lei era appena tornata dal Casindopo l'ultima, definitiva perdita. Andai da lei: la vecchia era seduta in poltrona, evidentemente
sfinita e sofferente. Marfa le stava porgendo una tazza di tche le faceva bere quasi a forza. La voce e il tono della nonna erano decisamente cambiati.

"Buongiorno, b輆jushka Aleks嶴 Iv跣ovitch" mi disse, chinando la testa con un'espressione grave, "scusate se vi ho disturbato ancora una volta, perdonate a una vecchia. Io, mio caro, ho lasciato tutto l quasi centomila rubli. Avevi ragione, ieri,
a non venire con me! Ora sono senza quattrini, non ho piun soldo.

Non voglio aspettare oltre: alle nove e mezzo partir Ho mandato a chiamare mister Astley o come si chiama, per chiedergli tremila franchi per una settimana. Ebbene, convincilo tu a non pensare a chi sa che cosa e a non rifiutare. Io, ragazzo mio,
sono ancora abbastanza ricca. Possiedo tre campagne e due case. E ho ancora del denaro: non l'avevo portato tutto con me. Questo lo dico, affinchegli non abbia dubbi di nessun genere... Ah, eccolo! Si vede che una brava persona." Mister Astley
si era affrettato a venire alla prima chiamata della nonna. Senza pensarci su e senza far tante parole, le consegnimmediatamente tremila franchi contro una cambiale che la nonna firm Concluso l'affare, egli salute si affretta uscire.

"E ora vattene anche tu, Aleks嶴 Iv跣ovitch. E' rimasta poco pidi un'ora: voglio coricarmi. Mi fanno male le ossa. Non rimproverarmi, sono una vecchia stupida. Adesso non accuserpii giovani di sventatezza, e anche quel disgraziato del vostro
generale, commetterei peccato se lo accusassi... Ma denaro non gliene dar come vorrebbe lui perch secondo me, troppo stupido; perio, vecchia stupida, non sono piintelligente di lui. E' proprio vero che Iddio severo anche con i vecchi e
punisce l'arroganza. Be', addio! Alzami, Marfusha!" Io, per volevo accompagnare la nonna. Inoltre ero in una specie di attesa: mi sembrava che da un momento all'altro dovesse succedere qualcosa. Non riuscivo a rimanere fermo in camera mia.

Uscivo ogni tanto nel corridoio e andai persino un minuto fuori a passeggiare nel viale. La mia lettera a lei era chiara e decisiva, e l'attuale catastrofe senza dubbio definitiva. All'albergo sentii parlare della partenza di De-Grieux. Infine, se
mi avesse respinto come amico, forse non mi avrebbe respinto come servo. Le ero necessario, magari anche soltanto per fare il galoppino: come no?

Verso l'ora della partenza del treno, corsi alla stazione e feci salire la nonna. Presero tutti posto in uno scompartimento riservato, per famiglia.

"Ti ringrazio, b輆jushka, per la tua disinteressata simpatia," mi disse, accomiatandosi da me, "e ripeti a Prask瓃ja quello che le ho detto ieri: io l'aspetter" Tornai a casa. Passando davanti all'appartamento del generale, incontrai la governante
e m'informai di lui. "Eh, b輆jushka, non c'male!" mi rispose quella, in tono triste. Io, per entrai lo stesso, ma sulla porta dello studio mi fermai stupefatto, mademoiselle Blanche e il generale ridevano allegramente insieme.

La veuve Cominges stava anche lei l seduta sul divano. Il generale era evidentemente fuori di sdalla gioia, balbettava una serie di stupidaggini, una dietro l'altra, e prorompeva in lunghe risate nervose che gli increspavano il viso in una
enorme quantitdi rughe, mentre gli occhi quasi scomparivano. Seppi perdalla stessa Blanche che lei, cacciato il principe e venuta a conoscenza delle lacrime del generale, aveva pensato di consolarlo ed era venuta a trovarlo. Ma non sapeva, il
povero generale, che in quel minuto la sua sorte era gistata decisa e che Blanche aveva gicominciato a preparare i bagagli per partire l'indomani, con il primo treno del mattino, alla volta di Parigi.

Dopo essere rimasto un po' sulla soglia dello studio del generale, decisi di non entrare e mi allontanai non visto. Risalito in camera mia e aperta la porta, notai a un tratto, nella penombra, una figura, seduta su una sedia, in un angolo, vicino
alla finestra. Essa non si alzal mio apparire. Mi avvicinai rapidamente, guardai e... mi sentii mancare il respiro: era Polina!





NOTE:

1. Farabutti.
2. "Una vecchia contessa russa rimbambita."
3. Celebre buffone dei tempi di Pietro il Grande.




14.





Mandai un grido.

"Che c' Che c'" domandlei in tono strano. Era pallida, e aveva un'espressione cupa.

"Come, che c' Voi? Qui, da me?" "Se io vengo, vengo tutta. E' la mia abitudine. Lo vedrete subito:

accendete una candela." Accesi la candela. Lei si alz si avvicinal tavolo e mise davanti a me una lettera dissigillata.

"Leggete!" mi ordin

"Questa... questa la calligrafia di De-Grieux!" esclamai, afferrando la lettera. Le mani mi tremavano, e le righe saltellavano davanti ai miei occhi. Ho dimenticato le precise espressioni della lettera, ma eccola, se non proprio parola per parola,
almeno pensiero per pensiero.

"Mademoiselle," scriveva De-Grieux, "sfavorevoli circostanze mi costringono a partire immediatamente. Voi certo avrete notato che a bella posta ho evitato di avere con voi una spiegazione definitiva fino a quando non si fossero chiarite tali
circostanze.

L'arrivo della vecchia (de la vieille dame), vostra parente, e il suo assurdo comportamento hanno messo fine alle mie perplessit I miei affari dissestati mi impediscono di continuare a nutrire le dolci speranze delle quali mi ero permesso di
pascermi per qualche tempo. Mi rammarico di quello che accaduto, ma spero che nella mia condotta non troverete niente d'indegno di un gentiluomo e di un onest'uomo (gentilhomme et honn皻e homme). Avendo perso quasi tutto il mio denaro nei crediti
concessi al vostro patrigno, mi trovo nell'assoluta necessitdi approfittare di quello che mi resta: ho gidato istruzioni ai miei amici di Pietroburgo affinchdispongano immediatamente per la vendita della proprietipotecata a mio favore;
sapendo, per che quella testa vuota del vostro patrigno ha sperperato anche il denaro di vostra propriet ho deciso di condonargli cinquantamila franchi e gli restituisco per questa somma una parte delle ipoteche sulla sua propriet affinchvoi
abbiate la possibilitdi riavere tutto ciche avete perduto, esigendo da lui, per via legale, quello che vi appartiene. Spero, mademoiselle, che allo stato attuale delle cose, il mio gesto vi sarmolto utile. Spero anche che, cosagendo, io
assolva pienamente il dovere di un uomo onesto e nobile. Siate certa che il ricordo di voi rimarrper sempre impresso nel mio cuore."

"Ebbene, tutto questo molto chiaro," dissi, rivolgendomi a Polina, "possibile che voi vi aspettaste qualcosa d'altro?" aggiunsi con indignazione.

"Io non mi aspettavo niente," mi rispose lei, apparentemente calma, mentre qualcosa sembrava tremarle nella voce, "da un pezzo ero certa di tutto, leggevo nel suo pensiero e sapevo quello che pensava. Egli credeva che io cercassi... che io avrei
insistito..." Si ferme, senza completare la frase, si morse un labbro e tacque. "A bella posta raddoppiai il mio disprezzo per lui," riprese a dire, "in attesa di quello che avrebbe fatto. Se fosse giunto il telegramma dell'eredit gli avrei
sbattuto in faccia il debito di quell'idiota del mio patrigno e l'avrei cacciato via! Da un pezzo, da un pezzo mi era diventato odioso!

Oh, non era piquell'uomo di prima, mille volte migliore.

Adesso... adesso... oh, con quale felicitsbatterei su quel suo muso da vigliacco questi cinquantamila franchi e ci sputerei...

s ci sputerei sopra!" "Ma il documento, la carta che riguarda l'ipoteca dei cinquantamila franchi da lui restituita, l'avril generale, no?

Prendetela e ridatela a De-Grieux!" "Oh, non si tratta di questo! Non si tratta di questo!" "S vero, non si tratta di questo! E poi, di che cosa capace adesso il generale? E la nonna?" gridai all'improvviso.

Polina mi guardava con un'espressione distratta e impaziente.

"Che c'entra la nonna?" chiese con stizza. "Io non posso andare da lei... E non voglio chiedere perdono a nessuno" aggiunse irritata.

"Che fare, dunque?" gridai. "Ma come, come potevate amare questo De-Grieux? Oh, il miserabile, il miserabile! Se volete, lo ucciderin duello. Dov' adesso?" "E' a Francoforte, dove si fermertre giorni." "Ditemi una sola parola e io, domani
stesso, partircon il primo treno!" dissi, in preda a uno sciocco entusiasmo.

Lei si mise a ridere.

"Sarebbe magari capace di dire: "Prima restituitemi i cinquantamila franchi!" E poi, perchdovrebbe battersi? Che assurdit" "E allora dove, dove trovare questi cinquantamila franchi?" ripetevo, digrignando i denti, come se fosse stato possibile
raccattarli da terra. "Ascoltate: mister Astley?" chiesi, mentre una strana idea cominciava a prender forma nel mio cervello.

I suoi occhi lampeggiarono.

"Ebbene, proprio tu, vuoi che ti lasci per andare da quell'inglese?" disse, fissandomi con uno sguardo penetrante e sorridendo amaramente. Per la prima volta mi aveva dato del "tu".

Mi sembrche, per l'agitazione del momento, fosse stata presa da una vertigine: ad un tratto si sedette sul divano, spossata.

Fu come se il fulmine mi avesse colpito: stavo le non credevo ai miei occhi, non credevo alle mie orecchie! Dunque, mi amava! Era venuta da me e non da mister Astley! Lei, da sola, una fanciulla, era venuta da me in una stanza d'albergo, senza
timore di compromettersi agli occhi di tutti e io... io ero ldavanti a lei... e ancora non avevo capito!

Uno strano pensiero mi balenalla mente.

"Polina, dammi soltanto un'ora! Aspettami qui un'ora sola e...

ritorner E' indispensabile! Vedrai. Resta qui, resta qui!" Mi precipitai fuori della stanza, senza rispondere al suo stupefatto sguardo interrogativo; mi gridqualcosa, ma io non tornai...

S a volte il pensiero pistrano, il pensiero apparentemente piimpossibile, si conficca con tanta forza nella testa che lo prendi, alla fine, per qualcosa di attuabile... Ma non basta: se l'idea legata a un forte, appassionato desiderio,
allora magari la prendi per qualcosa di fatale, di indispensabile, di predestinato, qualcosa che non punon essere e non punon accadere! Forse qui interviene ancora una qualche combinazione di presentimenti, un qualche straordinario sforzo di
volont un autoavvelenamento della propria fantasia o qualche altra cosa che non so; ma a me quella sera (che mai pidimenticher accadde un fatto prodigioso. Sebbene esso possa essere perfettamente giustificato con l'aritmetica, tuttavia resta
per me tuttora miracoloso. E perch perchquella certezza era penetrata cosprofondamente, cossaldamente nel mio animo e ormai da tanto tempo? Certo io ci pensavo, ripeto, e non come a un caso che puaccadere tra molti altri (e quindi pu anche non accadere), ma come a qualcosa che non possa assolutamente non accadere!

Erano le dieci e un quarto; entrai nel Casincon ferma speranza ma, nello stesso tempo, in uno stato di agitazione come non avevo mai provato. Nelle sale da giuoco c'era ancora abbastanza gente, sebbene molto meno che la mattina.

Dopo le dieci, ai tavoli da giuoco rimangono solo i giocatori veri, disperati, per i quali alle terme non esiste che la roulette, che sono venuti solo per essa, che quasi non si accorgono di quello che accade intorno a loro, che di niente si
interessano durante tutta la stagione, che non fanno altro che giocare dalla mattina alla sera e che sarebbero anche pronti a giocare tutta la notte fino all'alba, se fosse possibile... E si allontanano sempre con dispetto quando, a mezzanotte, si
chiude la roulette. E allorchil capo croupier, poco prima dell'ora fissata, annunzia: "Les trois derniers coups, messieurs! (1)" sono a volte capaci di perdere in queste ultime tre puntate tutto quello che hanno in tasca, ed proprio allora che
subiscono le perdite maggiori. Andai al tavolo dove poco prima era stata la nonna. Non c'era molta gente, quindi potei subito occupare un posto in piedi vicino al tavolo. Proprio davanti a me, sul tappeto verde, era disegnata la parola: "Passe".

"Passe" la serie di cifre dal diciannove incluso al trentasei.

La prima serie, invece, dall'uno al diciotto incluso, costituisce il "Manque"; ma a me che importava? Io non feci nessun calcolo, non sapevo neanche su quale numero fosse caduta la pallina all'ultimo colpo e non mi preoccupai di saperlo, prima di
puntare, come avrebbe fatto ogni giocatore appena appena un po' calcolatore. Tirai fuori i miei venti federici e li gettai sul Passe che era davanti a me.

"Vingt deux!" gridil croupier.

Avevo vinto, e puntai di nuovo tutto: quello di prima e la vincita.

"Trente et un!" proclamil croupier. Di nuovo vincita! Avevo quindi ottanta federici. Li spostai tutti sulle dodici cifre centrali (vincita tripla, ma con due probabilitsfavorevoli); la ruota gire uscil ventiquattro. Mi furono pagati tre
rotoli da cinquanta federici e dieci monete d'oro; in tutto, con quello che avevo prima, mi ritrovai duecento federici.

Ero come in preda alla febbre; spostai tutto quel mucchio di denaro sul rosso, e di colpo tornai in me! Solo una volta, in tutta quella sera, durante tutto il gioco, la paura mi percorse con il suo brivido gelido che mi fece tremare le braccia e le
gambe. Con orrore sentii e compresi immediatamente che cosa avrebbe significato ora per me perdere! Era in gioco tutta la mia vita!

"Rouge!" gridil croupier.

Ripresi fiato; un formicolio infuocato mi corse per tutto il corpo. Fui pagato in biglietti di banca; erano cos in tutto, quattromila fiorini e ottanta federici (allora potevo ancora fare dei conti!).

Poi, ricordo, puntai altri duemila fiorini sulle cifre di centro e perdetti; puntai il mio oro e gli ottanta federici e perdetti. La frenesia s'impadrondi me: afferrai gli ultimi duemila fiorini che mi erano rimasti e li puntai sui dodici primi
cos a casaccio, senza fare alcun calcolo! Ci fu un attimo di attesa molto simile, penso, come impressione, all'impressione provata da madame Blanchard (2) quando, a Parigi, precipitdal pallone aerostatico.

"Quatre!" gridil croupier. In tutto, con la posta di prima, mi ritrovai di nuovo seimila fiorini. Avevo gil'aspetto del vincitore; ormai non temevo piniente; gettai quattromila fiorini sul nero. Una decina di persone si precipitarono, dopo di
me, a puntare sul nero. I croupiers si scambiavano occhiate e parlottavano tra loro. Attorno si parlava e si aspettava.

Uscil nero. Non ricordo pi a questo punto, ni calcoli, nl'ordine delle mie puntate. Ricordo soltanto, come un sogno, che avevo ormai vinto, mi pare, sedicimila fiorini; improvvisamente, in tre colpi sfavorevoli, ne persi dodicimila; quindi
spostai gli ultimi quattromila sul Passe (ma ormai non provavo quasi piniente; aspettavo soltanto, quasi macchinalmente, senza pensieri) e vinsi di nuovo; poi vinsi altre quattro volte di seguito.

Ricordo che raccoglievo i quattrini a migliaia, ricordo anche che pispesso degli altri uscivano i dodici numeri di mezzo, ai quali mi ero attaccato. Essi venivano fuori regolarmente, senza fallo, tre o quattro volte di fila, poi sparivano per due
volte per riapparire per altre tre o quattro consecutive. Questa meravigliosa regolaritsi verifica a volte a ondate ed questo, precisamente, che sconcerta i giocatori di professione, i quali fanno i calcoli matita alla mano. E quali tremende
beffe del destino si verificano a volte in questi casi!

Credo che dal mio arrivo non fosse passata pidi mezz'ora. A un tratto il croupier mi informche avevo vinto trentamila fiorini e, poichil banco non pupagare di piper un solo colpo, avrebbero chiuso la roulette sino al mattino. Presi tutto
l'oro, lo ficcai in tasca, agguantai tutti i biglietti e mi spostai subito a un altro tavolo, in un'altra sala, dove funzionava un'altra roulette; dietro di me si precipittutta la folla; lmi fecero subito posto, e io ripresi a puntare, a
casaccio e senza fare calcoli. Non capisco che cosa mi abbia salvato!

A volte, per cominciava a spuntare nel mio cervello un calcolo.

Mi sentivo legato a certe cifre e a certe combinazioni, ma ben presto le abbandonavo e riprendevo a puntare quasi inconsapevolmente. Dovevo essere molto distratto; tanto che i croupiers parecchie volte dovettero correggere il mio gioco.

Facevo degli sbagli grossolani. Avevo le tempie fradice di sudore e le mani che tremavano. Si erano precipitati, a offrirmi i loro servigi, piccoli polacchi, ma io non ascoltavo nessuno. La fortuna continuava! All'improvviso si alzarono intorno a me
voci sonore e risate. "Bravo, bravo!" gridavano tutti, mentre alcuni battevano addirittura le mani. Strappai anche ltrentamila fiorini, e il banco fu di nuovo chiuso fino al giorno dopo!

"Andatevene, andatevene!" sussurrava una voce alla mia destra. Era un ebreo di Francoforte; era rimasto per tutto il tempo vicino a me e qualche volta, sembra, mi aveva aiutato nel giuoco.

"Per amor di Dio, andatevene!" mi sussurrun'altra voce all'orecchio sinistro. Gettai una rapida occhiata. Era una signora modestamente ma decorosamente vestita, sui trent'anni, dal viso stanco, di un pallore malato, ma che ricordava una
meravigliosa bellezza passata. In quel momento mi stavo riempiendo le tasche di banconote che addirittura sgualcivo e raccoglievo l'oro rimasto sulla tavola. Dopo aver afferrato l'ultimo rotolo di cinquanta federici riuscii, del tutto inosservato, a
metterlo nella mano della pallida signora; mi era venuto un invincibile desiderio di fare cose ricordo che le dita sottili e magroline di lei mi strinsero con forza la mano in segno di viva gratitudine. Tutto questo accadde in un attimo.

Dopo aver raccolto tutto, passai rapidamente al "trente et quarante". Al "trente et quarante" partecipa un pubblico aristocratico. Non si tratta qui di roulette, ma di un gioco con le carte. Il banco risponde per centomila talleri alla volta. La
posta pialta ugualmente di quattromila fiorini. Io non conoscevo affatto il gioco, e non conoscevo nessuna combinazione tranne il rosso e nero che c'erano anche l A questi appunto mi attaccai. Tutto il Casinsi affolllintorno. Non mi
ricordo se durante quel tempo pensassi una sola volta a Polina. Sentivo soltanto un irresistibile godimento nell'arraffare e rastrellare i biglietti di banca che si ammucchiavano davanti a me.

Sembrava proprio che fosse il destino a spronarmi. Questa volta, come a farlo apposta, accadde un fatto che, del resto, si ripete abbastanza spesso nel gioco. Succede, per esempio, che la fortuna si attacchi al rosso e non lo lasci piper dieci o
anche quindici volte di seguito. Avevo sentito dire due giorni prima, che il rosso, la settimana scorsa, era uscito ventidue volte consecutive; nemmeno alla roulette si ricordava un caso del genere, e se ne parlava con stupore. Tutti, si capisce, in
questo caso abbandonano il rosso e, dopo la decima volta, per esempio, quasi nessuno osa pipuntare su di esso. Ma neppure sul nero, opposto al rosso, punta piun bravo giocatore, perchil giocatore esperto sa che cosa significhi questo
'capriccio del caso'. Sembrerebbe, per esempio, che dopo la sedicesima volta che uscito il rosso, il diciassettesimo colpo dovrebbe infallibilmente cadere sul nero. E sul nero si gettano, infatti, in folla, i novellini che raddoppiano, triplicano
le puntate e... perdono in maniera spaventosa!

Ma io, per non so quale strano capriccio, avendo osservato che il rosso era uscito sette volte di seguito, apposta mi ci attaccai.

Sono convinto che per metsi trattasse di amor proprio: volevo stupire gli spettatori con un rischio pazzesco e- oh, strana sensazione! - ricordo benissimo che a un tratto, e realmente senza nessuna spinta dell'amor proprio, una tremenda sete di
rischio si impadrondi me. Probabilmente, passando attraverso tante impressioni, l'anima non si sazia, ma soltanto si eccita e pretende sensazioni sempre piforti, fino alla spossatezza definitiva. E, davvero non mento, se il regolamento del gioco
avesse consentito di puntare cinquantamila fiorini in un sol colpo, li avrei certamente puntati. Intorno si gridava che era una pazzia, che il rosso era uscito giper la quattordicesima volta!

"Monsieur a gagndejcent mille florins (3)" risuonvicino a me la voce di qualcuno.

Di colpo mi riscossi. Come? Avevo vinto quella sera centomila fiorini? E a che scopo me ne servivano di pi Mi gettai sui biglietti di banca, li spiegazzai ficcandomeli in tasca senza contarli, raccolsi tutto il mio oro, tutti i rotoli e mi
precipitai fuori del Casin Mentre attraversavo le sale, tutti ridevano guardando le mie tasche rigonfie e il mio passo irregolare per il peso dell'oro. Credo che raggiungesse pidi mezzo pud (4). Alcune mani si allungarono verso di me; io
distribuivo a manciate quanto riuscivo ad afferrare. Due ebrei mi fermarono vicino all'uscita.

"Siete audace! Siete molto audace!" mi dissero. "Ma partite domani mattina senza indugio, partite pipresto che potete, se no perderete tutto, tutto..." Non li ascoltavo nemmeno. Il viale era buio, tanto da non poter distinguere la propria mano.
Per arrivare all'albergo c'era da percorrere un mezzo miglio. Non ho mai avuto paura ndei ladri, ndei briganti, neppure quando ero piccolo, e non ci pensavo neppure adesso. Non ricordo, del resto, a che cosa pensassi per strada; non avevo
pensieri. Sentivo soltanto una terribile sete di successo, di vittoria, di potere... non so come esprimermi.

Balenava davanti a me l'immagine di Polina; ricordavo e mi rendevo conto che andavo da lei, che tra poco l'avrei incontrata e le avrei raccontato tutto, le avrei mostrato... Ma in quel momento quasi quasi non ricordavo quello che lei mi aveva detto
poco prima, e perchero andato l e tutte quelle recenti sensazioni, provate non pidi un'ora e mezzo prima, gimi sembravano passate da chi sa quanto tempo, remote, invecchiate, alle quali non avremmo pifatto cenno perchda adesso tutto
sarebbe ricominciato da capo. Quasi all'estremitdel viale, fui preso a un tratto dalla paura: "E se ora mi uccidessero e mi depredassero?" A ogni passo il terrore raddoppiava. Andavo quasi di corsa. Improvvisamente, in fondo al viale, brillil
nostro albergo, illuminato da innumerevoli luci scintillanti. Grazie a Dio, ero a casa!

Salii di corsa al mio piano e aprii in fretta la porta. Polina era l seduta sul mio divano, davanti alla candela accesa, a braccia conserte. Mi guardstupefatta: in quel momento avevo, senza dubbio, un aspetto molto strano. Mi fermai davanti a
lei e presi a gettare sul tavolo tutto quel mucchio di denaro.





NOTE:

1. "Le ultime tre puntate, signori!"
2. Aeronauta francese precipitata dal pallone nel 1819.
3. "Il signore ha giguadagnato centomila franchi!"
4. Equivalente a chilogrammi 16,38.




15.





Ricordo che lei mi guardava con una fissittremenda, ma senza muoversi dal suo posto, senza cambiare posizione.

"Ho vinto duecentomila franchi" gridai, buttando sul tavolo l'ultimo rotolo.

L'enorme mucchio di biglietti e di rotoli d'oro occupava tutto il tavolo e non potevo distoglierne lo sguardo; a tratti, dimenticavo perfino Polina. Ora mi mettevo a riordinare quei mucchi di biglietti di banca, riunendoli tutti insieme, ora
disponevo in un solo mucchio l'oro; ora lasciavo tutto e mi mettevo a camminare a passi rapidi per la stanza, soprappensiero; poi a un tratto mi avvicinavo di nuovo al tavolo e riprendevo a contare il denaro. Di colpo, come ritornando in me stesso,
mi lanciai verso la porta e la chiusi in fretta con due giri di chiave. Poi mi fermai davanti alla mia piccola valigia.

"Devo mettere tutto nella valigia fino a domani?" chiesi, girandomi a un tratto verso Polina, come ricordandomi improvvisamente di lei. Lei sedeva ancora immobile, allo stesso posto, ma mi seguiva attentamente con lo sguardo. Il suo viso aveva una
certa strana espressione; quell'espressione non mi piacque! Non sbaglio, se dico che in essa c'era dell'odio...

Mi avvicinai alla fanciulla.

"Polina, ecco venticinquemila fiorini: sono cinquantamila franchi, e anche pi Prendeteli, e domani sbatteteglieli sul viso." Lei non mi rispose.

"Se volete, glieli porterio stesso domattina presto. Va bene?" Si mise improvvisamente a ridere, e rise a lungo.

Io la guardavo stupefatto e con un senso di tristezza. Quel modo di ridere era molto simile al suo recente ridere di me, frequente e ironico, che seguiva sempre le mie piappassionate dichiarazioni. Finalmente smise e si accigli mi guard severamente, di traverso.

"Io non prenderil vostro denaro" dichiarin tono sprezzante.

"Come? Perch" chiesi. "Polina, ma perch" "Non prendo il denaro per niente." "Ma io ve lo offro come amico. Vi offro la mia vita." Lei mi rivolse un lungo sguardo indagatore, come se volesse passarmi da parte a parte.

"Voi pagate bene," disse sorridendo, "l'amante di De-Grieux non vale cinquantamila franchi..." "Polina, ma come potete parlare coscon me?" gridai in tono di rimprovero. "Sono forse De-Grieux, io?" "Vi odio! S.. s.. non vi amo pidi quanto non
amassi De- Grieux" gridcon gli occhi lampeggianti.

A questo punto si copril viso con le mani e fu presa da un attacco isterico. Mi precipitai verso di lei.

Capii che durante la mia assenza le era accaduto qualche cosa: era proprio fuori di s

"Comprami! Vuoi? Vuoi? Per cinquantamila franchi, come De-Grieux?" proruppe, singhiozzando convulsamente. La presi tra le braccia, le baciai le mani e i piedi e caddi in ginocchio davanti a lei..

L'attacco isterico stava passando. Lei aveva posato le mani sulle mie spalle e mi fissava; sembrava che volesse leggere qualcosa sul mio viso. Mi sentiva, ma evidentemente non ascoltava quello che le dicevo. Un'espressione inquieta e pensierosa le
era apparsa sul volto. Temevo per lei: mi pareva proprio che la sua ragione si alterasse. Ora, di colpo, cominciava ad attirarmi dolcemente a s e un sorriso fiducioso sfiorava il suo viso; poi, altrettanto improvvisamente, mi respingeva e
riprendeva a fissarmi con uno sguardo fosco.

All'improvviso mi gettle braccia al collo.

"Perchtu mi ami, mi ami?" diceva. "Perchtu... tu volevi batterti con il barone per me!" E di nuovo scoppiin una risata, come se qualcosa di buffo e di grazioso le fosse balenato al pensiero. Piangeva e rideva insieme. Che cosa dovevo fare? Ero
io stesso come febbricitante. Ricordo che lei comincia parlare, ma io non riuscivo a capire quasi niente. Era una specie di delirio, il suo, una specie di balbett髺, come se volesse comunicarmi in fretta qualcosa, un delirio che, interrotto a
tratti dal riso pigioioso, cominciava a spaventarmi. "No, no, sei caro, sei caro!" ripeteva. "Mio fedele!" e di nuovo mi posava le mani sulle spalle, di nuovo mi scrut continuando a ripetere: "Tu mi ami... mi ami... mi amerai?" Io non
distoglievo gli occhi da lei; non l'avevo ancora mai vista in quegli slanci di tenerezza e di amore; vero che si trattava di delirio, ma... notando il mio sguardo appassionato, a un tratto si mise a ridere maliziosamente e, di punto in bianco,
prese a parlare di mister Astley.

Del resto, lei parlava continuamente di mister Astley (specialmente quando, poco prima, si era sforzata di raccontarmi qualche cosa), ma che cosa precisamente dicesse non riuscii a capire; mi sembra perfino che ridesse di lui; ripeteva di continuo
che egli aspettava... e mi chiedeva se sapevo che ora egli si trovava certamente sotto la finestra.

"S s.. sotto la finestra... Apri, guarda, guarda... Egli qui, qui!" E mi spingeva verso la finestra, ma non appena facevo un movimento per avvicinarmici, scoppiava in una risata e io le restavo vicino, mentre lei si precipitava tra le mie
braccia.

"Partiremo? Ce ne andremo domani?" chiedeva, seguendo un suo inquieto pensiero. "Ebbene, ebbene," continuava, facendosi pensierosa, "faremo in tempo a raggiungere la nonna? Che ne pensi?

A Berlino, io credo, potremo raggiungerla. Che cosa credi che dirquando l'avremo raggiunta e lei ci vedr E mister Astley? Be', quello non si buttergidallo Schlangenberg, che ne pensi?" e scoppia ridere. "Ora ascolta: sai dove andrla
prossima estate?

Vuole andare al Polo Nord per ricerche scientifiche e portarmi con s ah, ah, ah! Dice che noi russi, senza gli europei, non sappiamo niente e non siamo capaci di niente... Ma buono anche lui! Lo sai che egli scusa il generale? Dice che
Blanche... che la passione... be', non so, non so..." ripeta un tratto, come distraendosi e perdendo il filo del discorso. "Poveretti, come li compiango... e anche la nonna... Su, ascolta, ascolta: perchdovresti uccidere De-Grieux? E' possibile
che tu pensassi di ucciderlo? Sciocco! Potevi davvero credere che io ti avrei permesso di batterti con De-Grieux? Ma tu non uccideresti nemmeno il barone," aggiunse, mettendosi a ridere, "oh, quanto eri buffo, allora, con il barone; io vi guardavo
entrambi dalla panchina... e che poca voglia avevi di andare quando ti ho mandato! Come ho riso allora, come ho riso!" concluse, scoppiando di nuovo in una risata.

A un tratto riprendeva a baciarmi e ad abbracciarmi, premendo con appassionata tenerezza il suo viso al mio. Io non pensavo ormai pia niente, non sentivo piniente. La testa mi girava.

Penso che fossero circa le sette di mattina quando mi risvegliai; il sole illuminava la stanza. Polina era seduta vicino a me e si guardava stranamente intorno, come se uscisse dal buio e cercasse di riordinare i suoi ricordi. Anche lei si era
appena svegliata e fissava il tavolo e i denari. La testa mi pesava e mi faceva male.

Volevo prendere Polina per mano; lei di colpo mi respinse e balzin piedi. Spuntava una giornata grigia; prima dell'alba era piovuto. Polina si avvicinalla finestra, l'aprmise fuori la testa e il petto e, appoggiandosi con le mani e puntando i
gomiti al davanzale, rimase cosdue o tre minuti, senza girarsi verso di me e senza ascoltare quello che le dicevo. Con terrore pensai:

"Che accadr ora? Come finirtutto ci" A un tratto si staccdalla finestra, si avvicinal tavolo e, guardandomi con un'espressione di odio infinito, mi disse con le labbra tremanti di furore:

"Be', ora dammi i miei cinquantamila franchi!" "Polina, di nuovo, di nuovo?" cominciavo a dirle.

"Hai cambiato idea, forse? Ah, ah, ah! Forse gili rimpiangi?" I venticinquemila fiorini, contati fin dalla sera, erano posati sul tavolo; li presi e glieli porsi.

"Adesso sono miei, no? E' cos E' cos" mi chiese con cattiveria, tenendo in mano il denaro.

"Ma sono sempre stati tuoi!" dissi io.

"Ebbene, eccoteli i tuoi cinquantamila franchi!" Alzil braccio e me li sbattaddosso. Il fascio mi colpdolorosamente in viso e si sparpaglisul pavimento. Fatto questo, Polina uscdi corsa dalla stanza.

So bene che in quel momento lei era fuori di s anche se non riesco a capire quella follia momentanea. Vero per che ancora oggi, dopo un mese, ancora ammalata. Ma tuttavia, quale fu la causa di quello stato e, soprattutto, di quel gesto?
Forse l'orgoglio offeso? O la disperazione per essersi decisa a venire da me? L'avevo forse indotta a credere che mi vantavo della mia fortuna e che, proprio come De-Grieux, volevo liberarmi di lei dopo averle regalato cinquantamila franchi? Ma non
stato cos lo so, in coscienza. Penso che la causa sia stata, in parte, la sua vanit la vanitle aveva suggerito di non prestarmi fede e di offendermi, sebbene tutto cifosse, anche per lei, poco chiaro. In questo caso, certo, io pagavo per
De-Grieux ed ero incolpato senza essere colpevole. Vero anche che tutto era stato solo delirio; vero che io sapevo che lei delirava e non avevo tenuto conto di questa circostanza. Forse lei non puadesso perdonarmelo? S adesso, ma allora? Il
suo delirio e il suo male erano poi cosgravi da farle dimenticare completamente quello che faceva venendo da me con la lettera di De-Grieux? Lei dunque sapeva ciche faceva.

In fretta e furia raccolsi alla bell'e meglio il mio mucchio di biglietti e d'oro, lo ficcai nel letto, lo coprii e uscii dieci minuti dopo Polina. Ero certo che era corsa in camera sua, e volevo, di nascosto, entrare nel loro appartamento e,
nell'anticamera, chiedere alla bambinaia notizie sulla salute della signorina. Quale non fu il mio stupore quando, incontrata la governante sulle scale, seppi che Polina non era ancora tornata e che la bambinaia stava appunto venendo da me per
cercarla.

"Proprio adesso," le dissi, "proprio adesso uscita di camera mia... non pidi dieci minuti fa. Dove mai si sarcacciata?" La governante mi guardcon espressione di rimprovero.

Intanto era venuta fuori tutta una storia che gicircolava per l'albergo. Dal portiere e dal capo cameriere si sussurrava che la Fr酳lein (1) alle sei di mattina era fuggita dall'albergo sotto la pioggia e si era avviata di corsa in direzione
dell'albergo d'Angleterre. Dalle loro parole e allusioni capii che essi gisapevano che lei aveva passato tutta la notte nella mia camera.

Del resto, si chiacchierava su tutta la famiglia del generale; era noto che questi, il giorno prima, era quasi impazzito e piangeva in modo tale che tutto l'albergo lo sentiva. Si raccontava inoltre che la vecchia arrivata all'improvviso era sua
madre, venuta apposta dalla Russia per impedire al figlio il matrimonio con mademoiselle Blanche de Cominges e, in caso di disubbidienza, per privarlo dell'eredit poicheffettivamente lui non aveva ubbidito, la contessa, sotto i suoi stessi
occhi, aveva perduto apposta alla roulette il suo denaro, affinchnon gli rimanesse piniente. "Diese Russen!" (2) ripeteva indignato il capo cameriere, scuotendo la testa. Gli altri ridevano. Il capo cameriere intanto preparava il conto. La mia
vincita era ginota; Karl, il cameriere del mio piano, fu il primo a rallegrarsi con me. Ma io avevo ben altro per la testa! Mi precipitai all'albergo d'Angleterre.

Era ancora presto; mister Astley non riceveva nessuno; saputo, per che c'ero io, uscnel corridoio e si fermdavanti a me, fissandomi in silenzio con il suo sguardo color dello stagno e in attesa che io parlassi. Gli chiesi subito di Polina.

"E' ammalata" mi rispose mister Astley, continuando a fissarmi in viso e senza distogliere gli occhi da me.

"Allora veramente qui da voi?" "Si, da me." "E dunque voi... voi avete intenzione di tenerla presso di voi?" "Oh s ho quest'intenzione." "Mister Astley, questo provocheruno scandalo: non possibile.

Inoltre lei proprio malata; non ve ne siete forse accorto?" "Oh s me ne sono accorto e ve l'ho anche detto che malata. Se non fosse stata malata non avrebbe passato la notte da voi." "Allora sapete anche questo?" "Lo so. Ieri stava venendo
qui, e io l'avrei accompagnata da una mia parente ma, dato che era malata, si sbagliata ed venuta da voi." "Ma figuratevi! E allora mi rallegro con voi, mister Astley. A proposito, mi fate venire un'idea: non siete per caso stato tutta la notte
sotto la mia finestra? Miss Polina me la faceva aprire tutti i momenti per vedere se eravate lsotto e rideva a pinon posso." "Davvero? No, io non ero sotto la finestra, ma aspettavo nel corridoio andando su e gi" "Ma bisogna pur curarla,
mister Astley!" "Oh s Ho gimandato a chiamare il dottore e, se dovesse morire, mi renderete conto della sua morte." Rimasi stupefatto.

"Di grazia, mister Astley, ma che volete dire?" "Ed vero che ieri avete vinto duecentomila talleri?" "In tutto soltanto centomila fiorini." "Ecco, vedete! Allora, partite stamattina stessa per Parigi... " "Perch" "Tutti i russi, avendo denaro,
vanno a Parigi" spiegmister Astley con la voce e il tono di chi legge un libro.

"Che andrei a fare adesso, d'estate, a Parigi? Io la amo, mister Astley, lo sapete anche voi..." "Davvero? Io sono convinto di no. Per di pi se rimarrete qui, perderete certamente tutto e non avrete pii mezzi per andare poi a Parigi." "Bene,
addio! Pera Parigi non ci vado. Pensate, mister Astley, a quello che succederadesso da noi. In una parola, il generale...

e adesso quest'avventura con miss Polina... faril giro di tutta la citt" "S di tutta la citt quanto al generale, credo che non ci pensi: ha ben altro per la testa! E quanto a quella famiglia si pugiustamente dire che ormai non esista pi"
Camminavo e sorridevo dentro di me della strana sicurezza di quell'inglese che io sarei partito per Parigi. "Egli, per vuole uccidermi in duello," pensavo, "se Polina muore; ma guarda un po' che storia!" Giuro che mi dispiaceva per Polina ma,
strano, fin dal primo istante in cui, il giorno prima, avevo toccato il tavolo da giuoco e preso a rastrellare mucchi di quattrini, il mio amore era passato come in secondo piano. Questo lo dico ora, ma allora ancora non me ne rendevo chiaramente
conto. Possibile che io sia davvero un giocatore, possibile che io amassi Polina in modo cosstrano? No, io l'amo ancora adesso, lo vede Iddio! E quando, uscito da mister Astley, andavo verso casa, soffrivo sinceramente e accusavo me stesso... Ma a
questo punto mi capituna stranissima e molto assurda storia.

Andavo in tutta fretta dal generale quando improvvisamente, non lontano dal loro appartamento, una porta si apre qualcuno mi chiam Era madame veuve Cominges che mi chiamava per ordine di mademoiselle Blanche. Entrai nell'appartamentino di
mademoiselle Blanche.

Era un quartierino di due stanze. Dalla camera da letto giungevano le risa e gli strilli di mademoiselle Blanche. Ella stava alzandosi da letto.

"Ah, c'est lui! Viens donc, b皻e! E' vero 'que tu as gagnune montagne d'or et d'argent? J'aimerais mieux l'or! (3)" "Ho vinto" risposi io, ridendo.

"Quanto?" "Centomila fiorini." "Bibi, comme tu es b皻e! Ma avvicinati, non sento nulla. Nous ferons bombance, n'est-ce pas? (4)" Entrai da lei. Era coricata sotto una coperta di raso rosa, da sotto la quale sporgevano due splendide spalle brune e
ben modellate, spalle che si vedono soltanto in sogno, velate appena da una camicia di batista bianca ornata di candidi pizzi che si accordavano magnificamente con la sua pelle abbronzata.

"Mon fils, as-tu du coeur? (5)" esclama voce alta vedendomi, e scoppia ridere. Rideva sempre molto gaiamente e anche, a volte, con grande spontaneit

"Tout autre... (6)" fui llper dire, parafrasando Corneille.

"Ecco, vedi, 'vois-tu,'" cominciimprovvisamente a cinguettare "in primo luogo, cercami le calze e aiutami a infilarle; poi, si tu n'es pas trop b皻e, je te prends Paris (7). Lo sai, vero, che parto per Parigi?" "Subito?" "Tra mezz'ora." Infatti
tutto era stato messo via. Le valigie erano pronte. Il caffera stato servito da un pezzo.

"Eh bien! Se vuoi, verrai a Parigi. 'Dis donc qu'est-ce que c'est qu'un outchitel? Tu 彋ais bien b皻e quand tu 彋ais outchitel!' (8) Dove sono le calze? Infilamele, su!" Tirfuori un piedino veramente incantevole, piccolo, bruno, non deformato come
quasi tutti quei piedini che appaiono cospiccoli negli stivaletti. Io mi misi a ridere e cominciai a infilare la calza di seta. Mademoiselle Blanche, intanto, seduta sul letto, continuava a cicalare.

"'Eh bien, que feras-tu, si je te prends avec?' In primo luogo, 'je veux cinquante mille francs'. Me li darai a Francoforte. 'Nous allons Paris'; lvivremo insieme 'et je te ferai voir des 彋oiles en plein jour' (9). Lvedrai delle donne come
non ne hai mai certamente viste!" "Aspetta, sicchio dovrei darti cinquantamila franchi... e allora che mi rester" "'Et cent cinquante mille francs', li hai dimenticati? Per di piacconsento a vivere nel tuo appartamento un mese, due... chi sa!

Noi, naturalmente, ci mangeremo in due mesi questi centocinquantamila franchi. Vedi 'je suis bonne enfant' e te lo dico prima, 'mais tu verras des 彋oiles (10)'" "Possibile? Tutto in due mesi?" "Come? La cosa ti spaventa? Ah, 'vil esclave!' (11) Ma
non sai che un mese solo di quella vita vale di pidi tutta la tua esistenza?

Un mese solo e 'apr鋊, le d幨uge! Mais tu ne peux comprendre, va!' Vattene, vattene, non lo meriti! 'Ah, que fais-tu? (12)'" In quel momento io stavo calzando l'altro piedino, ma non potei trattenermi e lo baciai. Lei lo tirvia e comincia
percuotermi il viso con la punta del piede. E infine mi caccivia.

"'Eh bien, mon outchitel, je t'attends, si tu veux (13)'; tra un quarto d'ora parto!" mi gridalle spalle.

Tornando nella mia camera, era gicome se avessi le vertigini.

Non era mica colpa mia se Polina mi aveva sbattuto in faccia un fascio di biglietti e ancora ieri mi aveva preferito mister Astley! Alcuni dei biglietti di banca erano ancora sparpagliati sul pavimento; li raccolsi. In quel momento si aprla porta
e apparve il capo cameriere in persona (che prima non mi guardava nemmeno) con un invito: non mi sarebbe piaciuto trasferirmi al piano di sotto, nel magnifico appartamento occupato sino ad allora dal conte V.?

Riflettei un momento.

"Il conto!" gridai. "Parto subito, tra dieci minuti." "Se ha da essere Parigi, ebbene, Parigi sia!" pensai. "Si vede che era scritto cos" Un quarto d'ora dopo sedevamo davvero tutti e tre in uno scompartimento per famiglia: io, mademoiselle
Blanche e madame veuve Cominges. Mademoiselle Blanche rideva, guardandomi, fino alle convulsioni. Veuve Cominges le faceva eco; non dirche io mi sentissi allegro. La mia vita si spezzava in due ma, dal giorno prima, mi ero abituato a puntare tutto
su una carta. Forse era proprio vero che non avevo resistito al peso del denaro e avevo perso la testa. "Peut-etre, je ne demandais pas mieux!" (14) Mi sembrava che per un po' di tempo, ma solo per un po' di tempo, lo scenario cambiasse. "Ma tra un
mese sarqui e allora... e allora ce la vedremo ancora, mister Astley!" No, come adesso ricordo, anche allora ero oppresso da una terribile tristezza, anche se ridevo a gara con quella sciocchina di Blanche!

"Ma che hai? Come sei stupido! Oh come sei stupido!" esclamava Blanche, interrompendo le sue risate e cominciando a rimproverarmi sul serio. "Ma s ma s spenderemo i tuoi duecentomila franchi ma in compenso 'tu seras heureux, comme un petit roi
'(15); ti fario il nodo alla cravatta e ti farconoscere Hortense. E, quando avremo speso tutto il denaro, tu ritornerai qui e farai di nuovo saltare il banco. Che cosa ti hanno detto quegli ebrei? La cosa piimportante l'audacia, e tu ce
l'hai; pidi una volta mi porterai dei denari a Parigi. 'Quant moi, je veux cinquante mille francs de rente et alors...(16)'" "E il generale?" le chiesi.

"Il generale, lo sai anche tu, va ogni giorno, a quest'ora, a prendere un mazzo di fiori per me. Stavolta gli avevo chiesto a bella posta di portarmi i fiori pirari. Il poveraccio ritornerma l'uccellino sarvolato via! Vedrai che ci voler dietro. Ah ah, ah! Ne sarmolto contenta. A Parigi mi farmolto comodo; il suo conto, qui, lo paghermister Astley..." Ed ecco in che modo partii allora per Parigi.





NOTE:

1. Signorina
2. "Questi russi!"
3. "Ah, eccolo! Vieni dunque, scioccone! E' vero che hai guadagnato una montagna d'oro e d'argento? Io preferirei l'oro..."
4. "Caro, come sei sciocco! Faremo baldoria, non vero?"
5. "Hai coraggio, ragazzo mio!"
6. "Tutt'altro..."
7. "Se non sei troppo sciocco, ti porto a Parigi con me..."
8. "Ebbene, dimmi: cos'un 'outchitel'? Eri proprio stupido quando facevi l''outchitel'..."
9. "Be', che farai se ti porto con me? Voglio per prima cosa cinquantamila franchi. Andremo a Parigi... e ti farvedere le stelle in pieno giorno."
10. "Io sono una brava ragazza... ma tu vedrai delle stelle!"
11. "Ah, vile schiavo!"
12. "E poi il diluvio! Ma tu non puoi capire, va'... Ma cosa stai facendo!"
13. "Ebbene, mio 'outchitel', ti aspetto, se vuoi..."
14. "Probabilmente non chiedevo di meglio!"
15. "Tu sarai felice come un piccolo re..."
16. "Quanto a me, io voglio cinquanta mila franchi di rendita e allora..."




16.





Che dirdi Parigi? Fu tutto un delirio, una pazzia. Vissi a Parigi solo poco pidi tre settimane, e in quel periodo di tempo sfumarono completamente i miei centomila franchi. Parlo solo di centomila, poichgli altri centomila li avevo dati a
mademoiselle Blanche in denaro liquido: cinquantamila a Francoforte e, tre giorni dopo, a Parigi, una cambiale per altre cinquantamila, cambiale che una settimana dopo lei si fece pagare da me, "et les cents mille francs qui nous restent tu les
mangeras avec moi, mon outchitel!" (1) Continuava sempre a chiamarmi precettore. E' difficile immaginarsi in questo mondo una categoria di persone picalcolatrici, piavare e pispilorce di quella alla quale apparteneva mademoiselle Blanche. Ma
questo per ciche riguarda il suo denaro. Per ciche riguarda invece i miei centomila franchi, mi dichiarin seguito che essi le erano serviti per una prima sistemazione a Parigi, "cosora mi sono messa su un piede decoroso, una volta per
sempre, e ormai per un bel pezzo nessuno mi butterpigi cosalmeno ho deciso" aggiunse. Del resto, quei centomila franchi si pudire che io non li vidi neanche; il denaro, lo teneva sempre lei e nel mio borsellino, nel quale lei ogni giorno
curiosava, non si accumulavano mai pidi cento franchi e, quasi sempre, molti di meno.

"Ma via, a che ti serve il denaro?" mi diceva a volte con l'aria piinnocente del mondo, e io non discutevo. In compenso, con quel denaro sistemin modo molto confortevole il suo appartamento e quando poi mi trasfernella nuova dimora, mi disse,
mostrandomi le stanze: "Ecco che cosa si pufare con l'economia e il buon gusto, sia pure con i mezzi pimiseri".

Quella miseria costava, per esattamente cinquantamila franchi!

Con i rimanenti cinquantamila mise su carrozza e cavalli; inoltre organizzammo due balli, ciodue serate alle quali presero parte Hortense, Lisette e Cl廩patre, donne notevoli sotto molti aspetti e tutt'altro che brutte. Queste due serate io fui
costretto a sostenere la stupidissima parte del padrone di casa, a ricevere e a intrattenere alcune goffissime mercantesse, arricchite, ignoranti e sfrontate fino all'inverosimile, vari tenentini e miseri scrittorucoli e nullitda rivista che
comparivano in frac alla moda e guanti gialli, con una superbia e una prosopopea cossmisurate, che sarebbero state inammissibili persino da noi, a Pietroburgo; e questo gimolto. Essi avevano persino l'idea di farsi beffe di me, ma io mi
ubriacai di champagne e andai a rifugiarmi in una stanza lontana. Tutto questo mi rivoltava al massimo grado. "C'est un outchitel," diceva di me mademoiselle Blanche, "il a gagncent mille francs (2) e senza di me non saprebbe come spenderli. Dopo
fardi nuovo il precettore: non c'qualcuno che sappia di un posto? Bisogna fare qualcosa per lui." Avevo cominciato a ricorrere molto spesso allo champagne perchmi sentivo sempre oppresso dalla tristezza e mi annoiavo tremendamente. Vivevo
nell'ambiente piborghese e pimercantile che si possa immaginare, dove ogni soldo veniva contato e misurato. Blanche non aveva nessuna inclinazione per me, nelle due prime settimane me ne accorsi; in verit mi mandava vestito elegantemente e
ogni giorno mi annodava lei stessa la cravatta, ma in cuor suo mi disprezzava sinceramente. A cinon badavo per niente. Triste e annoiato, avevo preso l'abitudine di andarmene al Ch漮eau des Fleurs dove ogni sera, regolarmente, mi ubriacavo e
imparavo il can can (che laggisi balla in maniera indecente), e, in seguito, acquistai anche una certa notorietin questo genere.

Infine Blanche impara conoscermi: in precedenza, non so come mai, si era messa in mente che io, durante la nostra convivenza, le sarei andato dietro con carta e matita in mano, e avrei sempre fatto i conti di quanto aveva speso e rubacchiato; e,
naturalmente, era convintissima che per ogni dieci franchi ci sarebbe stata tra noi battaglia. Per ogni mio attacco, da lei precedentemente immaginato, aveva gipreparato le obiezioni ma, non vedendo nessun attacco da parte mia, all'inizio si era
messa lei stessa a obiettare. E a volte con molta foga ma, vedendo che io tacevo- quasi sempre sdraiato sul divano con lo sguardo immobile, fisso al soffitto - fincon il restare addirittura stupefatta. Sulle prime pensche io fossi semplicemente
uno sciocco, un "outchitel" e interrompeva senz'altro le sue spiegazioni pensando probabilmente: "Tanto uno stupido, inutile mettergli la pulce nell'orecchio, se non ci capisce da s. Succedeva che si allontanasse, ma dopo dieci minuti era gi di ritorno (questo accadeva nel periodo delle spese pipazze, spese assolutamente non adatte alle nostre possibilit per esempio, cambii cavalli e comperper sedicimila franchi una pariglia).

"Allora, Bibi, non sei arrabbiato?" diceva, avvicinandosi a me.

"No-o-o! Mi secchi!" le rispondevo, spostandola con la mano, ma la cosa le sembrava cosstrana che subito mi si sedeva vicino.

"Vedi, se mi sono decisa a spendere tanto, perchsi trattava di un'occasione. Si possono rivendere per ventimila franchi." "Ci credo, ci credo; sono cavalli bellissimi, e tu hai adesso una superba pariglia; ti farcomodo, e questo basta."
"Allora non ti arrabbi?" "Ma perch Tu agisci saggiamente nel procurarti certe cose che ti sono indispensabili. Tutto questo ti servirin seguito. Mi rendo conto che hai realmente bisogno di sistemarti su questo piede; altrimenti non arriverai al
milione. Qui i nostri centomila franchi sono soltanto un inizio, una goccia nel mare." Blanche, che meno di ogni altra cosa si aspettava da me simili ragionamenti, invece di chi sa quali strilli e rimproveri, sembrcadere dalle nuvole.

"E costu... costu ecco come sei! 'Mais tu as l'esprit pour comprendre! Sais-tu, mon gar蔞n' (3), benchtu sia 'outchitel' avresti dovuto nascere principe! Allora non rimpiangi che da noi il denaro sfumi cospresto?" "Ma che sfumi anche pi presto!" "'Mais... sais-tu... mais dis donc', sei forse ricco? Ma lo sai che disprezzi un po' troppo il denaro! 'Qu'est ce que tu feras apr鋊, dis donc? (4)'" "Dopo andra Homburg e vincerdi nuovo centomila franchi." "'Oui, oui, c'est 蓷, c'est
magnifique!' (5) E io so che tu vincerai senza fallo e che li porterai qui. Dimmi, ma tu farai in modo che io ti amerdavvero? Ebbene, poichsei cos per tutto questo tempo ti amere non ti farneppure una infedelt Vedi, in questo tempo,
anche se non ti ho amato, 'parce que je croyais que tu n'est qu'un outchitel (quelque chose comme un laquais, n'est ce pas?)', ti sono stata tuttavia fedele, 'parce que je suis bonne fille. (6)'" "Eh, storie! Non ti ho forse visto, la volta scorsa,
con Albert, quell'ufficialucolo bruno?" "Oh, oh, ma tu..." "Bugie, bugie! Ma tu credi che io mi arrabbi? Me ne infischio: 'il faut que jeunesse se passe (7)'. Come puoi scacciarlo, se c'era prima di me e lo ami? Per a lui, denaro non devi darne:
intesi?" "Allora non ti arrabbi nemmeno per questo? 'Mais tu es un vrai philosophe!'" gridentusiasta. "Eh bien, je t'aimerai, je t'aimerai, tu verras, tu seras content! (8)'" E infatti, da allora sembressersi legata a me, persino di amicizia, e
cospassarono i nostri ultimi dieci giorni. Le "stelle" promesse non le vidi, ma sotto certi aspetti lei mantenne la parola data. Per di pimi fece conoscere Hortense, una donna piche notevole nel suo genere e che nella nostra cerchia veniva
chiamata "Ther鋊e-philosophe"...

Del resto, non il caso di dilungarsi su questo; tutto cipotrebbe costituire un racconto a parte, con una coloritura particolare, che io non voglio inserire in questo racconto. Fatto sta che con tutte le mie forze desideravo che tutto cifinisse
al pipresto. Ma i nostri centomila franchi bastarono, come giho detto, quasi per un mese, cosa di cui sinceramente mi meravigliai; almeno per ottantamila franchi della somma, Blanche aveva fatto degli acquisti per s e noi non spendemmo pidi
ventimila franchi, e tuttavia bastarono. Blanche, che verso la fine era ormai quasi del tutto sincera con me (per lo meno in qualcosa non mi mentiva) mi confessche almeno su di me non sarebbero ricaduti i debiti che era stata costretta a fare.
"Non ti ho fatto firmare nconti, ncambiali" mi diceva, "perchmi facevi pena; un'altra, per l'avrebbe fatto certamente e ti avrebbe mandato in prigione. Vedi, vedi, come ti ho amato e come sono buona! Solo questo matrimonio del diavolo che
cosa mi verra costare!" E ci fu davvero un matrimonio in casa. Capitproprio verso la fine del nostro mese, e bisogna pensare che per esso siano stati spesi gli ultimi resti dei miei centomila franchi; e con questo si concluse la faccenda cioil
nostro mese, dopo di che io diedi formalmente le mie dimissioni.

Accadde cos una settimana dopo che ci eravamo sistemati a Parigi, arrivil generale. Venne direttamente da Blanche e fino dalla prima visita si stabilquasi del tutto da noi. Un quartierino suo, in verit da qualche parte lo aveva. Blanche lo
accolse gioiosamente, con strilli e risate, e gli si gettal collo, la cosa si svolse in tal modo che fu lei stessa a non lasciarlo piandare via, ed egli doveva seguirla ovunque: sul boulevard, nelle passeggiate in carrozza, a teatro e in visita
dai conoscenti. Per quest'uso il generale andava bene: aveva un aspetto ancora imponente e decoroso, era quasi alto di statura, con baffi e basette tinti (un tempo aveva servito nei corazzieri), con un bel viso, sebbene un po' flaccido. I suoi modi
erano eccellenti, il frac sapeva indossarlo con molta disinvoltura. A Parigi comincia portare le sue decorazioni. Passeggiare per il boulevard a fianco di un uomo simile non solo era possibile ma, se cosci si puesprimere, perfino
"raccomandabile". Il buono e fatuo generale era contentissimo di tutto questo; senza dubbio non se lo aspettava quando era comparso da noi al suo arrivo a Parigi.

Allora si era presentato quasi tremante di paura: credeva che Blanche si sarebbe messa a strillare e l'avrebbe fatto cacciare via, e perci vista la piega che aveva preso la faccenda, era andato in visibilio, e tutto quel mese lo passin uno stato
di euforia insensata; e in questo stato lo lasciai. Fu lche seppi in tutti i particolari che, dopo la nostra improvvisa partenza da Roulettenburg, era stato colpito, quella mattina stessa, da una specie di colpo apoplettico. Era caduto a terra
privo di sensi e per una settimana intera era stato come pazzo e aveva continuato a vaneggiare. Lo stavano curando quando, un bel momento, aveva piantato tutto, era salito in treno ed era partito per Parigi. E' naturale che l'accoglienza di Blanche
si dimostrla migliore medicina; ma le tracce della malattia gli durarono a lungo, nonostante lo stato di gioia e di esaltazione in cui si trovava.

Ragionare, o anche solo intrattenere una conversazione un po' seria, non gli era possibile; in quel caso si limitava ad aggiungere a ogni parola un "Hm!" e a scuotere la testa, e cosse la cavava. Spesso rideva, ma di un riso isterico e morboso,
quasi convulso; altre volte se ne stava seduto per ore intere cupo come la notte, con le folte sopracciglia aggrottate. Di molte cose non si ricordava neppure; era diventato distratto fino alla sconvenienza e aveva preso l'abitudine di parlare da
solo.

Soltanto Blanche poteva rianimarlo, e quegli attacchi di umore cupo, quando si ficcava in un angolo, indicavano soltanto che da molto tempo non aveva visto Blanche, o che Blanche era andata da qualche parte senza prenderlo con s oppure che era
uscita senza fargli una carezza. D'altra parte, non avrebbe egli stesso saputo dire che cosa desiderasse e non si rendeva egli stesso conto di essere coscupo e triste. Dopo essere rimasto seduto un'ora o due (lo notai un paio di volte, quando
Blanche stava fuori l'intera giornata, probabilmente con Albert), egli cominciava a un tratto a guardarsi intorno, ad agitarsi, a dare occhiate di qua e di l e sembrava che si sforzasse di ricordare qualcosa o di cercare qualcuno; ma non vedendo
nessuno e non ricordando che cosa avesse voluto cercare, ricadeva in quello stato di apatia fino al momento in cui compariva Blanche, allegra, vivace, elegante, con la sua risata argentina; correva da lui, cominciava a stuzzicarlo e lo baciava
persino, cosa, per con cui raramente lo premiava. Una volta il generale nel vederla si rallegrtanto che si mise addirittura a piangere, e io ne rimasi assai stupito.

Blanche, fin dal momento in cui egli era comparso in casa nostra, aveva cominciato a difenderlo davanti a me. Diventava addirittura eloquente; ricordava che aveva tradito il generale per causa mia, che era quasi ormai la sua fidanzata, che gli aveva
dato la sua parola; che per lei egli aveva abbandonato la famiglia e che, infine, avendo io servito in casa sua, avrei dovuto sentire tutto cie... come mai non mi vergognavo... Io tacevo sempre, e lei ciarlava a tutto spiano. Una volta, alla fine,
scoppia ridere, e la cosa fincosche, mentre prima lei aveva pensato che fossi un imbecille, si fermsul concetto che fossi invece un uomo buono e giudizioso. In una parola, ebbi la buona sorte di meritare, proprio in ultimo, la piena
benevolenza di quella degna ragazza.

(Blanche era del resto un'ottima ragazza; nel suo genere, si capisce; io non l'avevo apprezzata cos all'inizio.) "Tu sei un uomo intelligente e buono" era solita dirmi negli ultimi tempi, "e io... mi dispiace soltanto che tu sia cosstupido!
Niente, mai niente riuscirai a combinare! Un vrai russe, un calmouk (9)". Pivolte mi manda portare a passeggio il generale, proprio come un cagnolino con il lacch Io poi lo portavo anche a teatro, al Bar-Mabille e nei ristoranti. Per queste
cose Blanche ci passava il denaro necessario, sebbene il generale ne avesse di suo e gli piacesse molto tirare fuori il portafogli davanti alla gente. Una volta dovetti quasi usare la forza per impedirgli di comperare una spilla da settecento
franchi di cui si era innamorato al Palais Royal e che a ogni costo voleva regalare a Blanche. Che cosa ne avrebbe fatto, lei, di una spilla da settecento franchi? E il generale, in tutto, non ne possedeva pidi mille... che non potei mai sapere da
dove gli fossero venuti. Penso da mister Astley, tanto piche era stato lui a pagare per loro il conto dell'albergo. In quanto poi a come il generale mi considerasse durante questo periodo, mi sembra che nemmeno lui sospettasse i miei rapporti con
Blanche. Sebbene avesse sentito confusamente dire che io avevo vinto un capitale, credeva senza dubbio che in casa di Blanche io fossi una specie di segretario o, forse, anche, di servitore. Almeno, egli mi parlava sempre dall'alto in basso come
prima, da superiore, e a volte mi dava persino qualche lavata di capo.

Una mattina fece ridere a crepapelle me e Blanche, in casa nostra, mentre prendevamo il caff Era un uomo per niente permaloso, ma quel giorno, a un tratto, se la prese con me, per che cosa? Ancora oggi non lo capisco. Ma certo non lo capiva
neanche lui. In una parola, cominciun discorso senza capo ncoda, '" batons- rompus"; diceva che io ero un ragazzaccio, che mi avrebbe insegnato lui... mi avrebbe fatto capire... e via di seguito. Ma nessuno riusca capire che cosa avesse in
mente. Blanche rideva a pinon posso: finalmente riuscimmo a calmarlo e a portarlo a passeggio. Molte volte tuttavia notavo che diventava triste, che soffriva evidentemente di nostalgia per qualcuno, nonostante la presenza di Blanche. In quei
momenti, due volte comincilui stesso a parlare con me, ma non riuscmai a spiegarsi in modo sensato; ricordava la sua carriera, la moglie morta, la sua propriet i suoi affari. Si fermava su qualche parola, se ne rallegrava e la ripeteva cento
volte al giorno, sebbene quella parola non esprimesse affatto ni suoi sentimenti, ni suoi pensieri. Provavo a parlargli dei suoi bambini; ma egli se la cavava in fretta e passava subito a un altro argomento: "S s i bambini, avete ragione, i
bambini!" Una volta sola si commosse, mentre stavamo andando a teatro. "Sono dei bambini disgraziati!" disse a un tratto. "Proprio cos signore, sono dei bambini di- sgra-ziati!" E poi parecchie volte, in quella sera, ripetle parole: bambini
disgraziati. Quando un giorno mi capitdi parlargli di Polina, diventfurioso: "E' una donna ingrata," esclam "una donna ingrata e cattiva! Ha disonorato la famiglia!

Se qui ci fossero delle leggi, l'avrei piegata io! S signore, proprio cos" Per quanto riguarda De-Grieux, non voleva nemmeno sentirne parlare. "Mi ha rovinato," diceva, "mi ha derubato, mi ha assassinato! E' stato il mio incubo per due anni
interi! Per mesi e mesi l'ho sognato tutte le notti! E'... .. .. Oh, non parlatemi mai pidi lui!" Mi ero accorto che loro due stavano combinando qualche cosa ma, come al solito, tacevo. Blanche me lo annunciper prima, giusto una settimana
prima che ci separassimo. "Il ya du chang(10)" prese a cinguettare. "La baboutchka adesso davvero ammalata e morircertamente. Mister Astley ha mandato un telegramma:

convieni anche tu che egli pur sempre l'erede di lei. E, se anche non lo fosse, non impedirebbe niente. Prima di tutto ha la sua pensione, e, in secondo luogo, abiternella stanza vicina alla mia e sarcompletamente felice. E io sar'madame la
g幯erale.' Entrernella buona societ(era questo il costante sogno di Blanche), e in seguito saruna possidente russa, 'j'aurais un ch漮eau, des moujiks et puis j'aurais toujours mon milion (11)'" "Gi ma se lui comincera esser geloso, a
esigere... sa Iddio che cosa, capisci?" "Oh no, no, no! Come oserebbe? Ho preso le mie misure, non preoccuparti. Gli ho gifatto firmare alcune cambiali a nome di Albert. Basterun nonnulla, e sarcastigato. Ma non oser" "Be', sposati..." Le
nozze furono celebrate senza particolare solennit in forma familiarmente modesta. Furono invitati Albert e qualcuno fra i piintimi. Hortense, Cl廩patre e le altre furono decisamente lasciate da parte. Lo sposo si interessava straordinariamente
del proprio stato. Blanche stessa gli annodla cravatta, lei stessa lo impomat e nella sua marsina con il panciotto bianco egli aveva l'aria "tr鋊 comme il faut".

"Il est pourtant tr鋊 comme il faut (12)" mi dichiarBlanche, uscendo dalla stanza del generale, come se l'idea che il generale era "tr鋊 comme il faut" l'avesse colpita. Io mi interessavo cospoco dei particolari e partecipavo a tutto in qualit di spettatore cossvogliato che molte cose le ho dimenticate.

Ricordo solo che Blanche non era affatto de Cominges, come pure la madre di lei, per niente veuve de Cominges, ma du-Placet. Perchfino a quel momento fossero state de Cominges, non lo so. Ma il generale fu molto contento anche di questo e
du-Placet gli piacque ancora di piche de Cominges. La mattina delle nozze egli, gitutto vestito, andava su e giper la sala ripetendo continuamente con straordinaria seriete aria grave: "Mademoiselle Blanche du- Placet! Blanche du-Placet!" E
una certa espressione soddisfatta di silluminava il suo viso.

In chiesa, davanti al "maire" e a casa, durante il rinfresco, egli sembrava non solo gioioso e soddisfatto, ma persino orgoglioso. A tutt'e due era accaduto qualcosa. Anche Blanche aveva assunto un'aria di particolare dignit

"Ora devo comportarmi in modo del tutto diverso," mi disse in tono straordinariamente serio, "mais vois-tu, non avevo neppure pensato a una cosa noiosissima; figurati che non sono ancora riuscita a imparare il mio nuovo cognome: Zagorjanskij,
Zagorjanskij, 'madame la g幯廨ale de Zago-Zago, ces diables des noms russes, enfin madame la g幯廨ale quatorze consonnes! Comme c'est agr嶧ble, n'est-ce-pas?'" (13) Finalmente ci lasciammo e Blanche, quella stupida Blanche, nel separarsi da me
versanche qualche lacrimuccia. "Tu 彋ais bon enfant" diceva piagnucolando. "Je te croyais b皻e et tu en avais l'air (14), ma citi si conf" E, strettami definitivamente la mano, esclamall'improvviso:

"Aspetta!" corse nel suo salottino e dopo un minuto mi portdue biglietti da mille franchi. Non avrei mai creduto una cosa simile!

"Ti saranno utili; tu sei forse un outchitel molto sapiente, ma sei un uomo molto sciocco. Pidi duemila non te ne darassolutamente perchtanto li perderai al giuoco. Addio, dunque!

'Nous serons toujours bons amis' e, se vincerai di nuovo, ritorna senza fallo da me, 'et tu seras heureux! (15)'" A me, personalmente, restavano ancora circa cinquecento franchi; inoltre possiedo un magnifico orologio che ne vale mille, dei gemelli
in brillanti eccetera, tanto da poter tirare avanti abbastanza senza preoccupazioni. Mi sono fermato in questa cittadina per raccogliermi e, soprattutto, per aspettare mister Astley. Ho saputo con certezza che egli passerdi qui e si fermer ventiquattro ore, per un affare. Mi informerdi tutto e poi... poi andrdifilato a Homburg. A Roulettenburg non ci andrse non forse il prossimo anno. In realtsi dice che porti male tentare la fortuna due volte di seguito allo stesso tavolo e
poi, a Homburg, si fa un giuoco piserio.







NOTE:

1. "E i centomila franchi che ci rimangono, li mangeremo insieme, mio outchitel!"
2. "E' un outchitel, ha guadagnato centomila franchi."
3. "Ma tu sei abbastanza di spirito per capire! Sappi, ragazzo mio..."
4. "Ma sai... ma dimmi dunque... Dopo che cosa farai?"
5. "Ah, bene, magnifico!"
6. "Perchcredevo che tu non fossi che un outchitel (qualcosa come un lacch nevvero?)... perchio sono una brava ragazza."
7. "Bisogna che la gioventsi sfoghi!"
8. "Ma tu sei un vero filosofo! Ebbene, io ti amer ti amer vedrai, sarai contento!"
9. "Un vero russo, un calmucco."
10. "C'qualche novit"
11. "Avrun castello, dei contadini, e poi avrsempre il mio milione."
12. "Eppure ha l'aria davvero distinta!"
13. "La generalessa Zago... Zago... questi indiavolati nomi russi; insomma, la signora generalessa dalle quattordici consonanti. Bello, no?"
14. "Eri un bravo ragazzo. Ti credevo uno sciocco e ne avevi tutta l'aria."
15. "Saremo sempre buoni amici... ritorna da me, e sarai felice."




17.





Ecco, ormai un anno e otto mesi che non ho pidato uno sguardo a queste memorie e soltanto ora, oppresso dall'angoscia e dal dolore come sono, ho pensato di distrarmi e le ho rilette per caso. Le avevo interrotte al momento in cui stavo per
andare a Homburg. Mio Dio! Con che cuore leggero, relativamente parlando, avevo scritto allora le ultime righe! O, per meglio dire, non a cuor leggero, ma con quale sicurezza in me stesso, con quali incrollabili speranze! Dubitavo, forse, in qualche
modo di me? E ecco che passato un anno e mezzo e sono diventato, a mio parere, peggio di un mendicante! Ma che mendicante! Me ne infischio della mendicit Mi sono semplicemente rovinato! Del resto, non c'quasi niente con cui poter fare
confronti, e proprio inutile farsi la morale. Niente ci puessere di piassurdo, al giorno d'oggi, della morale! Oh, gli uomini soddisfatti di se stessi, con quale orgoglioso compiacimento sono pronti, quei chiacchieroni, a pronunciare la loro
sentenza! Se sapessero fino a che punto io stesso capisco tutto quanto c'di ripugnante nella mia attuale situazione, non muoverebbero certo la lingua per darmi insegnamenti. E poi, che cosa possono dirmi di nuovo, che io ginon sappia? Ma si
tratta forse di questo? Il fatto che basta un giro di ruota per cambiare tutto, e quegli stessi moralisti verrebbero per primi (ne sono convinto) a rallegrarsi amichevolmente con me. E allora non mi volterebbero le spalle come fanno adesso. Ma me
ne infischio di tutti loro! Che cosa sono io, adesso? Uno zero. Che cosa posso essere domani? Domani posso risuscitare dai morti e ricominciare a vivere! Posso ritrovare in me l'uomo, fino a che non ancora perduto!

Allora andai davvero a Homburg ma... poi fui di nuovo a Roulettenburg, fui a Spa, fui anche a Baden, dove andai come cameriere del consigliere Hinze, un mascalzone che fu gimio padrone qui. S perchho fatto anche il lacchper cinque mesi
interi! Questo accadde subito dopo la prigione (perchsono stato anche in prigione a Roulettenburg, per un debito fatto qui. Uno sconosciuto pagper me il riscatto. Chi? Mister Astley? Polina?

Non lo so, ma il debito, duecento talleri, fu pagato, e io riebbi la libert. Dove dovevo andare? Cosentrai al servizio di questo Hinze. E' un uomo giovane e fatuo, gli piace oziare, e io so parlare e scrivere in tre lingue. All'inizio andai da
lui come una specie di segretario, a trenta gulden al mese, ma finii con il diventare un vero servitore; tenere un segretario comincicon l'essere una spesa superiore alle sue possibilite mi diminulo stipendio; non sapendo dove andare, rimasi e
mi trasformai da me stesso in lacch Non mangiavo nbevevo a sufficienza al suo servizio ma, in compenso, in cinque mesi raggranellai settanta fiorini. Una sera, a Baden, gli dichiarai che volevo lasciarlo e, quella sera stessa, andai alla
roulette. Oh, come batteva il mio cuore! No, non era il denaro che m'importava... Allora volevo soltanto che l'indomani tutti quegli Hinze, quei capi camerieri, quelle magnifiche signore di Baden, che tutta quella gente, insomma, parlasse di me,
raccontasse la mia storia, mi ammirasse, mi lodasse e si inchinasse davanti alla mia nuova vittoria. Erano tutti sogni, tutte fantasie infantili ma... chi sa? Avrei forse anche incontrato Polina, le avrei raccontato la cosa, e lei si sarebbe resa
conto che io sono superiore a tutti questi assurdi colpi del destino... Oh, non sono i quattrini che m'importano!

Sono convinto che li avrei sperperati di nuovo con una Blanche qualsiasi e che avrei di nuovo girato Parigi per tre settimane con una pariglia di cavalli di mia propriet da sedicimila franchi.

Perchso con certezza che non sono avaro; credo, anzi, di essere prodigo; intanto, per con quale ansia, con quale mancamento di cuore ascolto il grido del croupier: "trente et un, rouge, impair et passe", oppure: "quatre, noir, pair et manque"!
Con quale cupidigia guardo il tavolo da gioco sul quale sono sparsi i luigi, i federici, i talleri, e le pile d'oro quando dai rastrelli dei croupiers vengono sparpagliate in mucchi ardenti come brace, oppure le alte pile di monete d'argento,
sistemate attorno alla ruota! Mentre ancora sono lontano due sale da quella da gioco e riesco appena a sentire il tintinnio delle monete mi sento rabbrividire.

Oh, quella sera in cui puntai i miei settanta fiorini sul tavolo da giuoco fu anch'essa una sera memorabile! Cominciai con dieci fiorini e nuovamente dal passe. Per il passe ho una superstizione.

Perdetti. Mi rimanevano sessanta gulden in monete d'argento. Ci pensai su un momento e scelsi lo zero. Mi misi a puntare sullo zero cinque gulden alla volta; alla terza puntata ecco, lo zero esce. Poco mancche non morissi dalla gioia nel ricevere
centosettantacinque gulden. Non ero stato cosfelice quando ne avevo vinto centomila. Subito ne puntai cento sul rouge: vinsi.

Tutti i duecento sul rouge: vinsi. Tutti i quattrocento sul noir:

vinsi. Tutti gli ottocento sul manque: vinsi! Calcolando quanto avevo prima, possedevo, ora, millecinquecento fiorini, e tutto questo in meno di cinque minuti! S in momenti simili si dimentica ogni insuccesso passato! Sicuro, perchio ottenni
questo rischiando pidella vita! Ecco, avevo osato rischiare ed ero di nuovo tra gli uomini!

Mi presi una stanza, mi ci rinchiusi e fin verso le tre rimasi a contare il mio denaro. Al mattino, quando mi svegliai, non ero piun lacch Decisi di partire quello stesso giorno per Homburg; lnon avevo fatto il servitore e non ero stato in
prigione! Mezz'ora prima che partisse il treno, andai per fare due puntate, non di pi e perdetti millecinquecento fiorini. Tuttavia mi trasferii a Homburg, e ormai un mese che soro qui...

Certo vivo in ansia continua, gioco puntando poste minime e aspetto non so che cosa, faccio calcoli e passo intere giornate al tavolo da gioco osservandone l'andamento; perfino in sogno vedo il gioco, eppure mi sembra di essere diventato di legno,
quasi mi fossi impantanato nella melma. Lo deduco dall'impressione che ho provato imbattendomi in mister Astley. Non ci eravamo pivisti da allora e ci incontrammo per caso: ecco come fu. Camminavo per il giardino e pensavo che ormai ero quasi
senza denaro, ma che possedevo, per cinquanta gulden e che all'albergo, dove occupo una stanzetta, avevo due giorni prima regolato il conto. Mi restava dunque la possibilitdi andare una sola volta alla roulette; se avessi vinto, sia pure poco,
avrei potuto continuare il giuoco; se avessi perso, sarei stato costretto ad andare di nuovo a fare il lacch nel caso che non avessi subito trovato dei russi ai quali servisse un precettore. Immerso in questi pensieri, facevo la mia passeggiata
quotidiana attraverso il parco e il bosco fino al principato vicino. A volte giravo cosper quattro ore e tornavo a Homburg stanco e affamato. Ero appena uscito dal giardino nel parco quando, a un tratto, vidi mister Astley seduto su una panchina.
Egli mi vide per primo e mi chiam Gli sedetti vicino. Notando in lui un certo distacco, frenai subito la mia gioia; se no mi sarei rallegrato moltissimo nel vederlo.

"Dunque siete qui! Lo pensavo che vi avrei incontrato" mi disse.

"Non disturbatevi a raccontare: so tutto, so tutto. Conosco tutta la vostra vita di quest'anno e questi otto mesi." "Ah, come seguite i vecchi amici!" gli risposi. "Vi fa onore che non li dimentichiate... Aspettate, per.. mi fate venire un'idea.

Siete stato voi a riscattarmi dal carcere di Roulettenburg dove ero rinchiuso per un debito di duecento gulden? E' stato uno sconosciuto a pagare per me..." "No, oh no! Non sono stato io a riscattarvi dal carcere di Roulettenburg dove vi trovavate
per un debito di duecento gulden, ma sapevo che eravate in carcere per un debito di duecento gulden..." "Vuol dire, dunque, che sapete chi ha pagato per me?".

"Oh no, non posso proprio dire di sapere chi vi ha riscattato." "E' strano: dei nostri russi nessuno mi conosce, e i russi di qui magari non mi riscatterebbero neppure; da noi, in Russia, che gli ortodossi riscattano gli ortodossi. E io credevo
proprio che l'avesse fatto qualche originale inglese, cos per stravaganza!" Mister Astley mi ascoltava con un certo stupore. Mi sembra che egli credesse di trovarmi triste e abbattuto.

"Mi fa molto piacere, tuttavia, vedere che avete conservato perfettamente la vostra indipendenza di spirito e perfino la vostra allegria" disse con un'aria abbastanza simpatica.

"Cio dentro di voi vi rodete di stizza perchnon sono ntriste, nabbattuto" risposi ridendo.

Egli non capsubito ma, dopo che ebbe capito, sorrise.

"Mi piacciono le vostre osservazioni. Riconosco in queste parole il mio intelligente amico di una volta, entusiasta e cinico nello stesso tempo; soltanto i russi possono riunire in s nello stesso tempo, qualitcoscontrastanti. Infatti l'uomo
ama vedere il suo migliore amico umiliato davanti a lui; sull'umiliazione fondata per lo pil'amicizia. E questa una veritche tutte le persone intelligenti conoscono, ma in questo caso, ve lo assicuro, io sono sinceramente contento che voi
non siate abbattuto. Dite, non avete intenzione di lasciare il gioco?" "Oh, al diavolo il gioco! Lo pianterei subito, purch.." "Purchpoteste rifarvi? Pensavo proprio cos non proseguite, lo so, l'avete detto involontariamente, quindi avete
detto la verit

Oltre che del giuoco, vi occupate di qualcosa?" "No, di niente altro." Egli comincia esaminarmi. Io non sapevo niente, non guardavo quasi i giornali ed effettivamente in tutto quel tempo non avevo aperto un libro.

"Vi siete fatto di legno," osserv "non solo avete rinunciato alla vita, agli interessi vostri e a quelli della societ ai doveri di un cittadino e di un uomo, ai vostri amici (e di amici ne avevate), non solo avete rinunciato a ogni altro scopo
tranne che a quello di vincere al gioco, ma avete anche rinunciato a tutti i vostri ricordi. Vi rammento in un momento ardente e intenso della vostra vita; ma sono sicuro che avete dimenticato tutte le vostre migliori impressioni di allora; i vostri
sogni, quelli di adesso, i vostri quotidiani desideri non vanno oltre al 'pair et impair, rouge et noir', ai dodici numeri medi e cosdi seguito, Ne sono sicuro!" "Basta, mister Astley, ve ne prego, non ricordatemelo!" esclamai con stizza e quasi
con astio. "Sappiate che non ho dimenticato niente; soltanto momentaneamente ho scacciato tutto questo dalla mia testa, anche i ricordi, fino a quando non avrsistemato radicalmente la mia situazione; allora... allora vedrete che risorgerdai
morti!" "Voi sarete qui ancora tra dieci anni" mi disse. "Scommetto con voi che vi ricordertutto questo, se sarancora vivo, proprio su questa stessa panchina!" "Basta, via!" lo interruppi con impazienza. "E per dimostrarvi che non ho dimenticato
il passato, permettete che vi chieda dov'ora miss Polina. Se non siete stato voi a riscattarmi, stata certamente lei. Da allora non ne ho saputo piniente!" "No, oh no! Non credo che sia stata lei a riscattarvi. Ora lei in Svizzera, e voi mi
farete un grande favore se smetterete di chiedermi di miss Polina" dichiarin tono deciso e anche un po' seccato.

"Questo significa che lei ha ferito profondamente anche voi!" dissi, ridendo involontariamente.

"Miss Polina la migliore creatura tra tutte le creature pidegne di rispetto ma, vi ripeto, mi farete un grandissimo favore se smetterete di chiedermi di lei. Voi non l'avete mai conosciuta e il suo nome sulle vostre labbra io lo considero
un'offesa al mio senso morale." "Davvero? Per avete torto; di che altro potrei parlarvi se non di questo? Giudicate anche voi. Appunto in questo stanno tutti i miei ricordi. Del resto, non preoccupatevi: non ho proprio bisogno dei vostri affari
intimi, segreti... Io m'interesso soltanto, per cosdire, della situazione esteriore di miss Polina, soltanto dell'attuale ambiente di lei. E questo si pucomunicare in due parole." "D'accordo, purchcon queste due parole tutto sia concluso. Miss
Polina stata a lungo malata; vissuta per un certo periodo con mia madre e mia sorella nell'Inghilterra del nord. Sei mesi fa, sua nonna, ve la ricordate, vero? Quella vecchia pazza more lasci a lei personalmente, un patrimonio di settemila
sterline.

Ora miss Polina viaggia con la famiglia di mia sorella che si sposata. Il fratellino e la sorellina, anch'essi messi al sicuro dal testamento della nonna, studiano a Londra. Il generale, suo patrigno, morto un mese fa a Parigi, di un colpo
apoplettico.

Mademoiselle Blanche lo trattava bene, ma tutto ciche lui ha ereditato dalla nonna riuscita a farselo intestare. Ecco tutto, mi sembra." "E De-Grieux? Non sta forse viaggiando anche lui in Svizzera?" "No. De-Grieux non sta viaggiando in Svizzera
e non so dove si trovi; inoltre, una volta per sempre, vi avverto di evitare simili allusioni e indegni accostamenti, altrimenti avrete da fare con me." "Come! Nonostante i nostri amichevoli precedenti rapporti?" "S nonostante i nostri amichevoli
rapporti." "Vi chiedo mille scuse, mister Astley. Ma permettete: qui non c'niente di offensivo e di ignobile: non accuso di niente miss Polina. Inoltre un francese e una signorina russa, parlando in generale, costituiscono un tale accostamento che
nio, nvoi mister Astley, riusciremo a risolvere o a comprendere definitivamente".

"Se non pronuncierete il nome di De-Grieux insieme a quell'altro nome, vi pregherdi spiegarmi che cosa intendete dire con l'espressione: 'un francese e una signorina russa'. Che 'accostamento' questo? Perchproprio un francese e proprio una
signorina russa?" "Vedete, vi ha interessato. Ma questo un argomento vasto, mister Astley. Bisognerebbe conoscere preventivamente molte cose. Del resto, una questione importante, per quanto a prima vista possa sembrare una cosa buffa. Il
francese, mister Astley, una forma bella, ben definita. Voi, come inglese, potete non essere d'accordo su questo; neanch'io, come russo, lo sono, magari anche soltanto per invidia; ma le nostre signorine possono essere di un'altra opinione. Voi
potete giudicare Racine manierato, artificioso e cincischiato e, probabilmente, non vi metterete mai a leggerlo. Anch'io lo giudico manierato, artificioso e cincischiato e, da un certo punto di vista, perfino ridicolo; ma egli affascinante, mister
Astley, e, soprattutto, un grande poeta, sia che noi lo vogliamo o no. La forma nazionale del francese, ciodel parigino, cominciata a diventare una forma elegante quando noi eravamo ancora degli orsi. La rivoluzione ha ereditato dalla nobilt
Ora il pivolgare francesuccio puavere modi, tratti, espressioni e anche pensieri di una forma pienamente elegante, senza partecipare a questa forma ncon l'iniziativa, ncon l'anima, ncon il cuore; tutto questo gli toccato in eredit Per
se stesso puessere pivuoto del vuoto e pivile di qualsiasi vilt Ebbene, mister Astley, vi dirora che non esiste essere al mondo pifiducioso e pischietto di una buona, intelligente e non troppo sofisticata signorina russa. Un De- Grieux
che compaia a recitare una qualche parte, che compaia mascherato, puconquistarne il cuore con straordinaria facilit egli ha una forma elegante, mister Astley, e la signorina scambia questa forma per la sua stessa anima, per la forma naturale
dell'anima e del cuore di lui, e non per una veste toccatagli in eredit Con vostro grandissimo dispiacere devo confessarvi che gli inglesi sono, per la maggior parte, spigolosi e ineleganti, e i russi possiedono sufficiente sensibilitper
riconoscere la bellezza, di cui sono avidi. Ma per distinguere la bellezza di un'anima e l'originalitdella persona, serve, senza confronto, piindipendenza e libertdi giudizio di quanto non ne abbiano le nostre donne e tanto pile nostre
signorine e, in ogni caso, serve una maggiore esperienza. A miss Polina (perdonatemi, ma ciche detto detto!) serve molto, molto tempo per decidersi a preferire voi a quel mascalzone di De-Grieux. Lei vi apprezzer vi diventeramica, vi
apriril suo cuore; ma in quel cuore regnertuttavia l'odioso mascalzone, il laido, meschino usuraio De-Grieux. E questo succeder tanto per dire, per testardaggine, e per amor proprio, perchquello stesso De-Grieux le era apparso un giorno
circondato dall'aureola del marchese elegante, del liberale deluso e della persona che si era rovinata (sarcos) per aiutare la famiglia di lei e il generale dalla testa vuota.

Tutte le truffe sono state scoperte dopo; ora datele di nuovo il De-Grieux di prima: ecco che cosa le serve! E, quanto pilei odia il De-Grieux di oggi, tanto pisente nostalgia di quello di prima, sebbene egli sia esistito solo nella sua
immaginazione. Voi siete produttore di zucchero, mister Astley?" "S faccio parte della societdel noto zuccherificio Lowell e Co." "Ecco, vedete, mister Astley, da una parte il raffinatore di zucchero, dall'altra l'Apollo del Belvedere: tutto
questo non va molto d'accordo. E io non sono neppure un raffinatore di zucchero, io sono semplicemente un piccolo giocatore di roulette e ho fatto perfino il lacch il che, senza dubbio, ginoto a miss Polina perchella ha, a quanto pare, un
ottimo servizio di polizia." "Siete esasperato, e percidite tutte queste assurdit mi rispose mister Astley con calma, dopo un momento di riflessione.

"Inoltre nelle vostre parole non c'nessuna originalit" "D'accordo! Ma l'orrore della cosa sta proprio in questo, nobile amico mio, che tutte le mie accuse, per quanto invecchiate, volgari e per quanto degne di un vaudeville, sono tuttora vere.

Malgrado tutto, voi e io non abbiamo ottenuto niente!" "Questa un'abominevole sciocchezza... perch.. perch..

sappiate dunque" disse mister Astley con voce tremante, "sappiate, uomo ingrato e indegno, meschino e sciagurato, che io sono venuto a Homburg precisamente per suo incarico, per vedervi, parlarvi a lungo e a cuore aperto e poi riferirle tutto: i
vostri sentimenti, i vostri pensieri, le vostre speranze e... i vostri ricordi!" "Possibile? Possibile?" gridai, mentre una pioggia di lacrime cadde dai miei occhi. Non potevo trattenerle e questo mi succedeva, credo, per la prima volta nella vita.

"S uomo sciagurato, lei vi amava e posso rivelarvelo perch tanto, voi siete un uomo perduto! Non basta, ma se anche vi dirche vi ama tuttora, voi continuerete ugualmente a restare qui. S vi siete rovinato con le vostre mani. Avevate qualche
buona attitudine, un temperamento vivace ed eravate tutt'altro che cattivo; avreste potuto perfino essere utile alla vostra patria che ha tanto bisogno di uomini, ma voi non vi muoverete di qui, e la vostra vita finita. Io non vi accuso. A mio
parere, tutti i russi sono coso, almeno, tendono a esserlo. Se non la roulette, sarun'altra cosa del genere. Le eccezioni sono molto rare. Non siete voi il primo a non capire che cosa sia il lavoro (non parlo del vostro popolo). La roulette un giuoco squisitamente russo. Finora siete stato onesto e avete preferito andare a fare il lacchpiuttosto che rubare... ma mi spaventa il pensare a quello che potraccadere in futuro! E ora basta, addio!

Avrete certo bisogno di denaro. Eccovi, da parte mia dieci luigi, di pinon vi do, perchtanto li perderete al giuoco. Prendeteli e addio! Prendeteli!" "No, mister Astley, dopo tutto ciche stato detto oggi..." "Pren-de-teli!" grid "Sono
convinto che siete ancora un galantuomo e do a voi come un amico pudare a un vero amico. Se potessi essere sicuro che voi abbandonaste subito il giuoco, Homburg, e che tornaste nella vostra patria, sarei pronto a darvi immediatamente mille
sterline per iniziare una nuova vita. Ma non vi do mille sterline, vi do soltanto dieci luigi perchmille sterline o dieci luigi sono per voi, al momento, la stessa cosa, poichcomunque li perdereste. Prendete, e addio!" "Li prenderse mi
permettete di abbracciarvi nel dirvi addio!" Ci abbracciammo sinceramente, e mister Astley si allontan

No, egli non ha ragione! Anche se sono stato pungente e sciocco riguardo a Polina e a De-Grieux, egli lo stato riguardo ai russi. Di me non dico niente. Del resto... del resto non questo il momento. Sono tutte parole, parole, parole... e servono
fatti!

Qui l'importante adesso la Svizzera. Domani stesso... oh, se potessi partire domani stesso! Di nuovo rinascere, risuscitare!

Bisogna dimostrare loro... Sappia Polina che io posso ancora essere un uomo. Basta soltanto... Adesso, per tardi, ma domani... Oh s ho un presentimento e non puessere diversamente! Ora ho quindici luigi e ho cominciato con quindici gulden!
Se si comincia con prudenza... E' possibile, possibile che io sia proprio cosbambino? E' possibile che io non capisca che sono un uomo perduto? Ma perchnon potrei risorgere? S

Basta essere almeno una volta nella vita cauto e paziente: ecco tutto! Basta, almeno una volta nella vita, dimostrare carattere e, in un'ora, posso cambiare il mio destino! L'essenziale il carattere. Basta ricordare che cosa mi accaduto in
questo senso sette mesi fa a Roulettenburg prima della mia definitiva perdita!

Oh, quello fu un notevole caso di fermezza avevo allora perduto tutto, tutto... Esco dal Casino, guardo nella tasca del panciotto trovo ancora un gulden. "Ah, avrdunque di che pranzare!" pensai ma, dopo aver fatto cento passi cambiai idea e tornai
indietro.

Puntai quel gulden sul manque (quella volta ero fissato per il manque) e, in verit c'qualcosa di particolare nella sensazione che provi quando solo, in un paese straniero, lontano dalla patria e dagli amici, senza sapere che cosa mangerai oggi,
punti l'ultimo, proprio l'ultimo, l'ultimissimo gulden! Vinsi e dopo dieci minuti uscii dal Casincon centosettanta gulden in tasca.

E' un fatto! Ecco che cosa pusignificare a volte l'ultimo gulden! E che cosa sarebbe accaduto se allora mi fossi perso d'animo, se non avessi avuto il coraggio di decidermi?

Domani, domani tutto finir








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