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Giorgio Scerbanenco
I RAGAZZI DEL MASSACRO
Traduzioni TELEMATICHE
A cura di
Carlo Alifano
Prima edizione in questa collana:
febbraio 1994 Seconda edizione: maggio 1999
ISBN 88-11-66956-1
(c) Garzanti Editore s.p.a., 1968, 1994
arzanti Libri s.p.a., 1999
Printed in Italy
I ragazzi del massacro
Capitolo primo
La signorina Matilde Crescenzaghi fu Michele e Ada Pirelli, nubile, insegnava alla Scuola serale Andrea e Maria Fustagni a una classe mista di ragazzi dai 13 ai ven-t'anni, la maggior parte dei quali erano stati in riformatorio, o avevano il padre alcolizzato o la madre dedita al meretricio, vi erano diversi tubercolosi e alcuni eredoluetici. Meglio sarebbe stato che la classe fosse stata tenuta da un sergente maggiore della legione straniera, e non da lei, fragile, delicata signorina della piccola borghesia dell'Alta Italia.
" E' morta cinque minuti fa, " disse la suora.
Duca Lamberti guardoltre la sua spalla, verso il rozzo, appassionato viso di Mascaranti, e non disse nulla.
" La vuol vedere lo stesso? ", disse la suora. Sapeva che erano i poliziotti venuti per interrogare la maestrina, ma interrogare una morta un po' difficile.
" S " disse Duca.
Avevano gilevato le coperte, lei stava in un antiquato, patetico baby doll giallo, gistecchita, il viso alterato da una smorfia di sofferenza e dall'ematoma sotto l'occhio destro, l'armonia della fronte alterata anch'essa dal grosso ciuffo di capelli che bestialmente le avevano strappato, creando un'innaturale tragicomica calvizie, tutto il torace rigonfio, arrotondato a b┤te per l'ingessatura, fatta in fretta, tanto per arginare lo strazio di tutte quelle costole rotte, erano tante, se non tutte, e comunque il chirurgo non aveva avuto il tempo di contarle.
Ed era giarrivato l'omino con la bara a rotelle, come la chiamavano, che era un qualunque lettino a ruote, soltanto che invece delle lenzuola c'era un telone impermeabile grigio, per condurla gi in frigo, ad aspettare l'autorizzazione per l'autopsia e c'era anche l'agente in divisa che riconobbe Duca e porttimidamente la mano alla visiera nel saluto. Era giovanissimo e disse ingenuamente, con qualche cosa di commosso nella voce che poteva sembrare insolito in un poliziotto: " E' morta. " Mise le mani dietro la schiena, se le torse, una nell'altra, sudaticce, forse aveva scelto male a fare il poliziotto. " Ha gridato ancora: Direttore, poi morta. "
Duca si avvicina guardare gli altri orrendi guasti provocati dai criminali in quella misera creatura di ventidue anni, Matilde Crescenzaghi, fu Michele e Ada Pirelli, abitante in corso Italia 6, Milano, nubile, insegnante di varie materie e anche buona educazione, se possibile, alla scuola serale Andrea e Maria Fustagni, a Porta Venezia. Guarde vide il mignolo sinistro spezzato, glielo avevano appena legato a una piastrina di plastica, tanto perchnon si sparpagliasse ancora di pi perchera cosguasta e rotta da per tutto che avevano dovuto riparare subito i danni pigravi, come si vedeva dal grosso rigonfio di ovatta che aveva all'inguine, sotto il giallo dei calzoncini del baby doll che la madre le aveva subito portato all'ospedale appena era stata avvisata dalla polizia, e da altri vari impacchi che aveva qua e l martoriata come fosse andata sotto un treno.
" La madre in stato di choc, non sa ancora che morta, " disse la suora che li aveva seguiti.
Ed era morta, pochi minuti prima, gridando " Direttore ". Prima della guerra, almeno cosdicevano, qualcuno moriva gridando " Duce! " o " Mettetemi la camicia nera ". Molti, picomunemente, morivano gemendo " Mamma ". Lei era morta implorando " Direttore ", il direttore della scuola. Triste anche questo.
" Quando potrinterrogare la madre? ", disse Duca alla suora, levando, e sperper sempre, lo sguardo da quell'infelice essere umano.
" Lo chiederal professore, ma non credo prima di domani sera, " disse la suora.
" Grazie, " disse Duca. Uscirono, lui e Mascaranti, fuori dell'ospedale, sul bordo del marciapiede, si fermarono, avvolti nella nebbia gelida, come imbavagliati, si vedeva un solo lampione, e il lampeggiante azzurro dell'Alfa della polizia che li attendeva dall'altra parte della strada, il
resto era un buio grigio e ovattoso che attutiva anche i rumori, anzi li soffocava.
" Chi sa perchquel cretino si messo dall'altra parte, " disse Mascaranti, " poteva aspettarci qui davanti. Adesso dobbiamo attraversare la strada. " Con quella nebbia non si fidava ad attraversare neppure un fazzoletto per signorina.
" C'il senso unico, " disse Duca.
" Ah, " rise acido Mascaranti, " siamo solo noi della polizia a rispettare i regolamenti. "
Attraversarono cauti la larga via, nell'ottusa densa vaporositdella nebbia si accendevano ogni tanto i fari di un'auto che andava a dieci all'ora, e quando furono dall'altra parte della strada, vicino al lampeggiante azzurro dell'Alfa, Mascaranti disse: " Dottore, scusi, io vorrei bere qualche cosa, " era un poliziotto e aveva givisto tutto nella vita, per dopo aver visto quella ragazza morta, voleva bere, forse solo per non scoppiare di furore.
" Anch'io, " disse Duca.
Camminaronoularciapiede perrrivarell'angolo dove attraverso il polveroso ghiacciato della nebbia si leggeva la fosforescente scritta azzurrognola Tavola Calda.
" Non ha freddo, dottor Lamberti? ", disse Mascaranti.
S senza palt senza cappello, senza sciarpa, i capelli rasi con la macchinetta, immerso nel bagno gelido di quella nebbia, aveva un po' freddo, ma se non avesse visto quella ragazza, forse ne avrebbe avuto meno, o anche niente.
" S ho un po' freddo, " disse, mentre Mascaranti gli apriva la porta della Tavola Calda. " Io bevo una grappa, e tu? " disse a Mascaranti.
" Io due, " disse Mascaranti.
". Due grappe doppie, " disse Duca alla ragazza dietro
il banco. Guardil magro collo della ragazza che cercava la bottiglia di grappa nello scaffale, impratica e stanca, e poi ne trovuna e versil liquore in un grande bicchiere.
E bevendo, piano piano, ma di continuo, guardil grosso signore con la pancia, fermo davanti al jukebox muto, e che infine schiaccii due bottoni e cosgrasso, anziano e pelato, aveva scelto un disco di Caterina Caselli, mentre lui, d'improvviso, non vide pinulla, anche se aveva gli occhi aperti, neppure Mascaranti che beveva davanti a lui, piano piano come lui, ma di continuo; non vide nulla, cio di quello che aveva intorno, ma solo, nitido come su uno schermo panoramico, il corpo della ragazza morta, in baby doll giallo, cosantiquato, ma forse per lei modernissimo, le enormi fasciature - inutili ormai -. "L'hanno straziata, " diceva a se stesso fissando quella miserrima immagine stecchita sul lettino d'ospedale, in quel suo personale, privato e tristissimo schermo panoramico. Scrollil capo e findi bere la grappa. Se fosse caduta in una cantina piena di topi famelici non sarebbe stata ridotta molto peggio. " Erano forse belve. " Scrollancora il capo, e finalmente rivide il signore grasso davanti al jukebox, e rivide Mascaranti. " Andiamo, " gli disse.
Fuori navigarono nella nebbia guidati dal lampeggiante dell'Alfa.
" Dove andiamo? " disse Mascaranti.
" A scuola, " disse Duca.

La scuola serale Andrea e Maria Fustagni, vicino a piazzale Loreto, era in una vecchia villetta a due piani, di quello stile castelletto medievale, in cui un tempo si costruivano le ville all'estrema periferia della citt allora campagna, e adesso tutta palazzi a dieci, quindici, venti piani. La villetta era in una rientranza della via, che faceva quasi una specie di piazzetta, e davanti, immersi nella nebbia, la camionetta con gli abbaglianti accesi contro l'entrata della scuola, che incendiavano la targa di ottone scuola serale Andrea e Maria Fustagni, e i quattro militi, piun fotografo seduto sul marciapiede, i baveri del palttirati fino alle orecchie, che dormiva, pitre o quattro giovanotti che dovevano essere il pubblico, non c'spettacolo, per repugnante che possa essere, che non abbia il suo pubblico, pensDuca, scendendo dall'Alfa.
Il fotografo si svegli scattverso di lui e attraverso le fumate di nebbia lo guard guardl'Alfa. " Questura? " disse. " C'qualche cosa di nuovo? "
Duca non gli rispose e Mascaranti prese il fotografo per un braccio. " Vada via, non c'niente da fare qui. "
" Mi faccia fotografare dentro, una foto sola, " pregava davvero commosso il fotografo, " lo so che c'una lavagna tutta scritta di parolacce, e con tanti disegni sporchi, quella non la posso fotografare, perchnessuno la pubblica, permi basta il tavolino della maestrina, con la lavagna sullo sfondo, in modo che non distinguano i disegni e non si leggano le parole, almeno una foto, brigadiere, per favore, brigadiere. "
Mascaranti glielo portvia e Duca entrnella villetta, guidato da uno dei militi della camionetta. L'aula A era proprio a pianterreno: a sinistra della scala vi erano le due stanzine dei custodi che erano gil vecchi, stanchi, nervosi e desolati vicino alle scale che conducevano ai piani superiori dove vi erano le altre aule, vittime disfatte da quarantotto ore della catastrofe che era franata sul loro cammino; a destra vi era il salone che costituiva l'aula A - Cultura Generale - e davanti al quale un altro milite montava la guardia.
" Tornate pure nelle vostre stanze, non ho bisogno di voi, " disse Duca all'ometto e alla vecchina, i custodi. Intanto il milite aveva aperto la porta e lui, insieme con Mascaranti, entrnell'aula A, illuminata da due lunghi tubi fluorescenti che attraversavano diagonalmente il soffitto. Tutto era come due sere prima, come era stato trovato due sere prima dall'ometto e dalla vecchina, custodi della scuola. Vi era solo, in pi qualche particolare scientifico: davanti alle tre lunghe e strette finestre dell'aula era disteso un panno nero fissato con due sottili assi di legno messi a X. Questo era un accorgimento contro i fotografi e i giornalisti. Infatti l'aula era a pianterreno e le finestre davano direttamente sui pochi metri quadrati di terra ghiacciata chiamata giardinetto. Stando in piedi nel giardinetto, anche una persona di piccola statura poteva guardare nell'aula. E' vero che vi erano, prima la grata di ferro, poi i vetri e poi all'interno le serrande avvolgibili, ma un fotografo dall'esterno aveva rotto un vetro e aveva tentato di tirar su l'avvolgibile per fotografare l'interno, era stato preso e allontanato, ma per evitare altri casi come questi le finestre erano state addirittura accecate.
" La mappa, " disse Duca Lamberti, fermo davanti alla lavagna, mentre Mascaranti cercava nella sua borsa, e trovsubito, e gli dette subito il semplice, modesto foglietto bianco che era stato chiamato " mappa ".
Immobile, a tre passi dalla porta, Duca Lamberti tolse gli occhi dalla lavagna e guardgli altri segni " scientifici " che davano un aspetto inconsueto all'aula: erano dei cerchi, disegnati con vernice bianca, grandi alcuni come quello lasciato sul tavolo da un bicchiere umido, ed altri larghi come la circonferenza di una grossa damigiana. Dentro ogni circolo, con la stessa vernice bianca era scritto un numero, e ve ne erano una ventina, anzi, esattamente 22, come era scritto sul foglio dattiloscritto. La mappa, infatti, riportava quanto era stato ritrovato nell'aula, appena scoperto il massacro, e nel posto stesso in cui era stato ritrovato.
I circoli bianchi erano da per tutto, sul tavolino della maestra vicino alla lavagna; in terra; sui quattro tavolini che costituivano i banchi; sul muro, bianco, o quasi, e qui i cerchi erano disegnati con vernice nera.
" Una sigaretta, per favore, " disse Duca tendendo la mano verso Mascaranti, ma continuando a guardare i cerchi e adesso fissava quello dentro cui era scritto il numero 19.
" Ecco, dottore. " Mascaranti gli tese la sigaretta e glie-l'accese.
Duca Lamberti guardil foglio della mappa, al numero 19. Sotto il numero diciannove era scritto: Bottiglia liquore. Guardun altro cerchio, questo sul pavimento, con dentro il numero 4. Sulla mappa lesse: n. 4 - Crocetta d'oro, probabilmente di uno degli allievi. Il cerchio numero 4 era vicino a un disegno tracciato sul pavimento, sempre con la vernice bianca a rapida presa, e che non era un cerchio ma il contorno di una persona umana, il contorno di Matilde Crescenzaghi, la maestra.
Fumando senza togliere mai la sigaretta dalla bocca, finchnon la buttin terra quando il mozzicone fu troppo vicino alle labbra, Duca Lamberti controllelemento per elemento la mappa: n. 1, la figura umana, il contorno di Matilde Crescenzaghi; n. 19, la bottiglia di liquore.
" Una sigaretta, " chiese ancora.
Sedette a fumarla sulla dura, scomoda sedia dietro al tavolo che era stato la cattedra, e guardl'aula, cioi quattro comuni tavolini con quattro sedie ciascuno intorno che erano stati banchi di studio di quei singolari allievi.Guardancora la mappa n. 8 : urina. Non solo uno, ma piallievi - se il termine era compatibile -vevano fatto pipnell'angolo, trasformando un modesto, ma coscenzioso, zelante, umanitario luogo di studio in un nauseante stallatico.
Fumdue o tre bocate di seguito, senza guardare nMascaranti nl'agente in divisa sulla porta dell'aula. Poi guardancora la mappa n. 2 : slip. Gli slip della diplomata Matilde Crescenzaghi erano stati trovati appesi al muro a uno dei due ganci che sostenevano una grande carta geografica dell'Europa.
" Una sigaretta " non si accorgeva del passare del tempo se non dalle sigarette che si faceva dare da Mascaranti. Adesso doveva guardare bene la lavagna, quella che aveva scatenato l'offensiva dei fotografi e dei giornalisti, e che non era altro che squallida pornografia. Si alze anddavanti alla lavagna, la sigaretta tra le labbra, non aveva mai fumato cos di solito teneva la sigaretta tra le dita, ma anche lui era di carne sensibile e per vincere il furore e la disperazione fumava cos e non che servisse molto. Guardbene la lavagna. In un angolo, a sinistra, semicancellata, ma ancora leggibilissima, era rimasta una parola, IRELAND, scritta evidentemente, era chiaro, dalla maestra Matilde Crescenzaghi.
La parola IRELAND risaliva alla sera prima a quella del massacro, marted perchuna delle due ore di lezione del martedera dedicata alla geografia. Gli allievi, la sera prima avevano studiato l'Irlanda, probabilmente la maestra aveva spiegato comeesiste l'Irlanda indipendente, e ciol'IRELAND, e come vi sia l'Irlanda unita allaGranBretagna eciol'Irlanda settentrionale.

Qualunque cosa avessero capito gli allievi della spiegazione la sera prima, comunque la sera dopo, vicino al nome Ireland era stato disegnato un fallo, e tutto intorno, erano scritte tutte le possibili parole inerenti al soggetto disegnato, alcune, se non la maggior parte, nella dizione e nella pronunzia milanese. C'era solo un allievo, evidentemente romano, che aveva scritto pivolte il nome della parte femminile in romanesco. Tutte le zone erogene erano nominate, anche con qualche goffo tentativo di disegno, e vi erano anche delle frasi intere, ortograficamente scorrette quasi tutte, incitanti alle pivarie, normali, ma soprattutto anormali attivitsessuali. Tra tutte quelle squallide sozzerie, tracciate con grafia brutale, neurotica, spiccava, ingenuo, gentile, quel nome: IRELAND.
Numero 11: il reggiseno della maestrina, era stato appeso alla maniglia della finestra a sinistra della lavagna. La gonna, numero 6, era stata appesa all'attaccapanni interno dell'aula, insieme con il palte il pullover. Una calza - numero 21 - era stata fermata, con delle puntine, fra due dei quattro lunghi tavolini che costituivano i banchi di scuola: forse si erano divertiti a saltare la calza. E l'altra calza non era segnata sulla mappa, perchnon era stata trovata l nell'aula A, ma c'era un richiamo, con due stellette: una calza stata trovata nella tasca di uno degli allievi, Carolino Marassi, di anni 14, fu Paolo e fu Giovanna Carena. In quel disgustoso macello, Duca Lamberti, al nome Carolino, stupidamente rise. Carolino, orfano di padre e di madre, si era messo in tasca la calza della sua giovane maestra - la calza destra o la sinistra?, secondo Bertrand Russell per le calze, a differenza che per le scarpe, non possibile stabilire quale sia la destra o la sinistra, ma si pustabilire, per il baricentro - probabilmente gliela aveva sfilata lui stesso, strappandola dal reggicalze - mappa, n. 7 - il reggicalze era stato trovato in un cassetto di uno dei tavolini, come se l'allievo che se ne era impossessato, pensasse di utilizzarlo anche per il futuro - e dopo averla sfilata dalla gamba della martoriata, infelice maestra, se l'era messa in tasca, la calza, come pensando anche lui a un futuro eccitamento. E si chiamava Carolino.
Duca Lamberti guardtutto, millimetro quadrato per millimetro quadrato, camminquasi in punta di piedi tra i cerchi bianchi disegnati in terra, si fermdietro la lavagna dove erano state scritte altre sudicerie e restl dietro la lavagna, a finire di fumare la sigaretta.
" Dottor Lamberti, " disse Mascaranti.
Nell'aula surriscaldata la voce risuonstridula.
" S " disse Duca Lamberti da dietro la lavagna, e buttil mozzicone in terra.
" Niente, " disse Mascaranti.
Numero 3: la scarpa sinistra della maestra Matilde Crescenzaghi, era attaccata al retro della lavagna, e attaccata con che cosa? La mappa lo specificava: la scarpa sinistra attaccata Con della gomma da masticare. Dunque uno degli allievi, masticando gomma, aveva levato la scarpina alla sua maestra e l'aveva attaccata al retro della lavagna con la cicca che, appunto, stava masticando.
Duca Lamberti fece tutto il giro, il perimetro dell'aula A, seguito dallo sguardo di Mascaranti, e dell'agente in divisa, apra uno a uno i cassetti dei quattro tavoli: erano vuoti, la scientifica aveva portato via tutto, poi si accucci sedette sui talloni, davanti a un piccolo circolo in vernice bianca, il pipiccolo di tutti, guardsulla mappa, numero 18: cinquanta centesimi svizzeri. L in quel punto, era stata trovata la piccola moneta svizzera da mezzo franco. Agitil capo, come volesse dire di no, ma non voleva dire di no, cercava solo di sopravvivere. E cosaccucciato, seduto sui talloni, disse a Mascaranti: " La custode, " agitancora il capo come a dire di no, " lei, non il marito," disse, e si alze anda sedere al tavolo che serviva da cattedra, sulla sedia dove era stata seduta ogni sera, escluse le feste, la maestrina, ora morta.
E arrivsubito Mascaranti con la vecchina, la moglie del custode della scuola, e gliela condusse fino al tavolo, con quei capelli grigi, tagliati corti, alla maschietto, cosstonatamente in una donna della sua et
" Dalle una sedia, " disse Duca.
Lei sedette, piccola, impaurita, stanca.
" A che ora cominciano le lezioni? " le disse Duca.
" Al mattino, alle sei e mezza. "
" Come? Ma non una scuola serale? "
" S " disse la custode, " ci sono dei ragazzi che non possono venire la sera, e allora fanno lezione un'ora, dalle sei e mezza alle sette e mezza. Poi alle otto vengono quelli delle commerciali, stenografia, contabilit Nel pomeriggio ci sono quelli che studiano lingue. "
" Ma non una scuola serale? " Duca tese la mano verso Mascaranti, chiedendo una sigaretta.
" S il nome quello, ma lavora tutto il giorno. " La vecchina rispondeva nervosa e precisa.
" E alla sera? " domandDuca.
" Alla sera c'solo qui, l'aula A. " La vecchina cercava di non guardare la lavagna, coi suoi sconci disegni, ma per disgrazia era seduta proprio davanti.
" Cosa studiano qui, nell'aula A? " domandDuca.
" Mah, " disse la vecchina, amara, sprezzante, con fondo accento dialettale milanese, " cosa vuole che studino, l''I rattatuji della zona, " il raccattaticcio della zona, voleva dire, " sono le assistenti sociali, sa, quelle signorine o signore che vanno in giro con la borsa di pelle nera come i ragiun輆t, vanno a trovare tutte le famiglie povere da piazzale Loreto a Lambrate e dicono che i ragazzi devono andare a scuola serale invece che a giocare ai biliardini, e cosli mandano qui, ma non imparano niente, fanno solo ammattire la maestra, " strinse i denti, respirlungo, poi disse: " o l'ammazzano, e dopo vanno ancora a giocare ai biliardini, dove ci sono anche i vecchi sporcaccioni e loro ci vanno apposta per quello. "
Parlava chiaro, la vecchina coi capelli alla garconne, come dicevano una volta.
Le disse, gentilmente: " A che ora arrivano, questi dell'aula A?"
" Alle sette e mezza. " Respirancora a lungo, aveva ancora, e sempre, in mente, la maestrina Matilde Crescenzaghi, come l'aveva trovata lei, la prima che l'aveva vista dopo il massacro, totalmente nuda, in terra, quasi sotto la lavagna, il rigagnolo di sangue che le correva tra le cosce cosbianche sotto la squallida luce fluorescente, e quel singhiozzo che lei, la maestrina, emetteva, gli sgraffi bestiali su tutto il corpo. " Ma arrivano sempre prima, " spiegla vecchina coscienziosa, " mica per altro, non per studiare di pi non sono mica ragazzi che hanno voglia di studiare, aspettano solo le dieci e mezza per andare a far porcherie, e allora vengono qui presto per ritrovarsi tutti insieme e combinare le loro porcherie. Io ho anche avvertito due volte il commissariato che non mi piacevano questi ragazzi, ma venuto un agente, e sa che cosa mi ha detto? : < Io per conto mio li butterei tutti in un cesso e tirerei la catena, ma la legge dice che bisogna istruirli, e allora devono stare qui a scuola. > E io allora ho detto all'agente: E l'agente mi dice: Ed ecco cosa successo, loro hanno ammazzato e la polizia li ha messi dentro, ma quella povera maestrina morta perchla legge dice che bisogna istruirli. "
Amaramente perfetto. La vecchina coi capelli alla paggetto aveva riassunto, con modestia stilistica, ma con concretezza di concetti, uno dei pipesanti problemi sociali.
" Ma possibile che con tutto quello che hanno fatto, non si sentisse niente? " disse Duca, saltando il problema sociale. " Erano ubriachi marci, ne devono aver fatto del chiasso. "
" Vede, fino a quando non arriva la signorina maestra, do io ogni tanto un'occhiata in classe, o mio marito, per vedere cosa combinano. Si figuri che una sera che erano venuti molto prima della maestra, tentavano di far passare una ragazza per tenersela in classe, solo perchmio marito ha telefonato alla polizia l'hanno lasciata andare. Anche per questo il direttore voleva chiudere l'aula A, ma le assistenti sociali hanno protestato, hanno detto che se questi giovani non andavano a scuola andavano a far male, che bisognava avere pazienza, e il direttore, che un po' debole, ha lasciato stare. " La vecchina parlava con furia e con malinconia. " Doveva vedere due anni fa, quando venne da Bergamo una signorina maestra, piccola piccola, sembrava una monachina e vestiva un poco come le monache, di blu scuro con dei colletti bianchi. Resistette solo tre giorni, la terza sera corse da me piangendo: e nil direttore, nio siamo riusciti a sapere che cosa le avessero fatto, quelle teppe, anche se si puimmaginare. "
Con pazienza Duca disse: " E' molto interessante. " A nessuno era venuto in mente che con una scolaresca simile sarebbe stato meglio un uomo, un maestro maschio, magari scelto tra i sergenti della legione straniera, e quindi in grado di tenere in pugno simili allievi. Era mancanza di immaginazione, o mancanza di maestri uomini che si sacrificassero in quello spiacevole, ingrato, mal pagato lavoro, a cui invece si piegavano tante donne, non solo per necessit ma molte - come la morta - per una sincera passione per la loro missione? Chi sa, che cos'era. " Molto interessante, ma vorrei sapere come mai non si sentito nessun rumore. Erano scatenati, hanno rovesciato anche i tavoli, lei qui vicino all'aula... "
" Non si sente niente, dottore, lei non ha idea delle auto, dei tram, dei camion che passano per questo viale tutto il giorno, fino a verso le nove, " disse la vecchina recisa, interrompendolo. " Io e mio marito, certe volte dobbiamo parlare ad alta voce in cucina, se no non ci sentiamo. "
Duca assent una casa a pianterreno, come quella scuola, col tram a tre metri di distanza, i camion: giusto, nessuno poteva sentire niente. " E come ha scoperto quello che accaduto? " domandalla custode.
Quella rispose pronta: " Perchdopo le nove sono uscita nel giardinetto a ritirare il vaso di sempreverde che di giorno teniamo fuori, ma la notte, con questo freddo lo portiamo dentro, e mio marito uscito con me perchun vaso pesante, e quando abbiamo preso il vaso, in due, e lo abbiamo sistemato vicino alla scala che sta bene, ci siamo accorti che la luce dell'aula A era spenta, dal finestrino in alto, sopra la porta dell'aula, si vedeva solo buio. "
" La luce era spenta? " disse Duca. Incongruamente, nell'orrore di quel luogo pensal visino di Sara: la figlia di sua sorella cresceva, diveniva sempre pialta e lo chiamava " zioletto, zioletto, che cosa mi hai portato? " Doveva portare davvero qualche cosa alla piccola.
" Eh, s spenta. Mio marito ha detto : Stiiden o ron-fen? - studiano o ronfano? - ma io ho detto: Me pias minga, ndem a vede' - non mi piace, andiamo a vedere. Siamo entrati e abbiamo visto. " La vecchina ingoisaliva e guardin terra per non guardare la lavagna.
" Grazie, "'disse Duca. La lascilibera, guardMascaranti, cercdi non guardare piquei cerchi piccoli e grandi, nla lavagna. " Andiamo a casa, " disse; cioin Questura.
Arrivarono. MandMascaranti a mangiare qualche cosa, lui andsubito nel suo ufficio, se si poteva chiamare ufficio, e trovsulla scrivania un biglietto : " Ha telefonato due volte tua sorella, chiamala subito - C跫rua ", se si poteva chiamare scrivania, ma era piuttosto un tavolo rustico.
Formil numero. " Allora? " disse quando udla voce di sua sorella.
" Sara ha quasi quaranta di febbre, scotta come un ferro da stiro, " disse sua sorella Lorenza.
" Guardale in gola, se ha dei punti bianchi, o delle placche, > le disse Duca.
" L'ho gifatto, non ha niente, ma la febbre troppo forte, " lei disse, " vieni subito, Duca, ho tanta paura. "
Egli guardla grossa cartella grigia che aveva sul tavolo, erano le copie degli interrogatori degli undici ragazzi della scuola serale Andrea e Maria Fustagni, aula A, e doveva leggersele tutte. " Non aver paura, adesso ti mando Livia con delle suppostine da dare alla bambina, poi appena ho finito il lavoro vengo io. Intanto metti anche qualche pezzuola di acqua gelata sulla fronte della piccola. "
" Ma perchnon vieni? " Lei quasi piangeva.
" Cerco di fare il pipresto possibile, ma non ti spaventare, solo influenza. "
Telefona Livia. " Livia, " lei rispondeva sempre prontamente, con quella sua voce ansiosa e limpida.
" Oh, Duca. "
" Senti, Sara ha un po' di febbre. Io adesso non posso muovermi da qui. "
" Sei in Questura? "
" S Per favore, vai tu da Lorenza, prima passa in farmacia e prendi delle suppostine di Uniplus, gliene metti una subito, se dopo un'ora la febbre non diminuisce gliene metti un'altra. Senti, prendi anche del Luminalette, dagliene uno, dalle il ciuccio ma bagnalo di continuo nell'acqua, e senza zucchero. Appena ho finito vengo io, se c'qualche cosa, naturalmente telefonatemi. "
Ansiosa e limpida la voce di lei gli arrivall'orecchio: " S subito. "
" Grazie, cara. "
" Non niente di grave, vero? " lei disse.
" Non lo so, credo di no, vai presto, cara. "
" S caro. "
Duca depose il ricevitore, si alz andad aprire la finestra dello stanzino che era cospiccolo che la finestra era grande quasi la metdella parete. Ed entrsubito dell'aria a tre gradi sotto zero, e fuori non si vedeva niente, solo la nebbia, ma quell'aria gelida portava via i cattivi odori di legno vecchio, di cartacce vecchie, di fumo vecchio che stagnavano in un ufficio cospiccolo. La lascicosaperta e anda sedersi davanti al suo tavolino, tirandosi su i baveri della giacca, aprla cartella, abbastanza voluminosa.
Comincia leggere, ordinatamente, foglio per foglio. La cartella conteneva undici fascicoli, quanti erano i ragazzi della Scuola Serale, autori del massacro. Per ogni ragazzo erano date le generalite in tre quattro righe la biografia; in pivi era il parere del medico e dello psichiatra che lo avevano visitato. Infine vi era l'interrogatorio, desunto dalla registrazione col magnetofono. Ogni fascicolo, come Duca cronometr richiedeva una ventina di minuti di lettura, anche perchlui prendeva appunti, cioriassumeva in poche righe tutto il fascicolo.
Dopo il terzo fascicolo sentaprire la porta: era Mascaranti.
" Dottore, qui fa freddo da battere i denti, non lo sente? "
" Lo sento, " quasi batteva davvero i denti. " Chiudi pure. "
Mascaranti chiuse la finestra. " Dottore, posso aiutare? "
" S vai nell'ufficio di C跫rua, tanto lui a casa, mettiti in una poltrona, e cerca di dormire, poi ti chiamo io, " disse Duca. " Dormi bene, perchpoi c'da fare. "
" S dottore, " disse Mascaranti; sulla porta disse : " Una sigaretta? "
" No, " disse Duca, " tre pacchetti, Nazionali semplici, non esportazione, e due scatole di svedesi. "
" Tre pac..., " disse Mascaranti. Duca fumava cospoco.
" S hai capito benissimo, " disse Duca, continuando a leggere, non solo il viso, ma anche le mani livide per il freddo dopo essere stato pidi un'ora fermo con la finestra aperta, ma lo aveva fatto apposta, perchvoleva essere obiettivo: freddo! " Ma prima di andare a dormire trovami due bottiglie di anice lattescente. "
" Dottore, dove lo vado a trovare l'anice lattescente a quest'ora? " disse Mascaranti. L'anice lattescente una specialitsiciliana, solo pochi negozi specializzati lo vendono.
" Anice lattescente siciliano, " disse Duca, e continuava a leggere sotto la violenta luce del paralume, " lo trovi da , il primo ristorante siciliano di questa grande citt Due bottiglie. "
" S dottore, " disse Mascaranti, incerto, ma ubbidiente.
Al quinto fascicolo, suonil telefono. " Dottore, per lei, " disse il centralinista.
" Grazie, " disse Duca, poi sentla voce di sua sorella Lorenza. " Come va? "
" Male, la febbre non scende, le abbiamo messo due supposte, ma sempre sui quaranta, scende di un mezzo grado tenendole delle pezzuole sulla fronte, ho tanta paura, Duca, vieni subito. "
Sentche era innervosita. " Aspetta, " le disse, " ha scariche? "
" No. "
Duca strinse le labbra. Non era un pediatra e da oltre cinque anni, compresi i tre di carcere, non esercitava. In ogni caso poteva prescrivere un antibiotico generico. " Non posso venire, Lorenza, " tossper la reazione nervosa. Guardancora una volta la fotografia, molto grande, che era in fondo al fascicolo: rappresentava la maestra Matilde Crescenzaghi coscome era stata trovata dopo il massacro. Le fotografie hanno una luminositche la realtnon ha, la realtfuggente e sfuggente, la foto concretezza: per quanto medico e abituato alle sale di anatomia, quella foto avrebbe preferito non averla mai veduta. " Non posso venire, Lorenza, perdonami, " la voce gli raschiun poco, " manda Livia a prendere un antibiotico, la Leder-micina, danne venti gocce alla bambina. Intanto io cerco un pediatra. "
" Cosa deve prendere? "
" Le - der - mi - ci - na, " Duca sillab
" Ledermicina, " ripetLorenza.
" Intanto cerco un pediatra, io non me ne intendo molto, ma sta' tranquilla, non puessere niente di grave. "
" Duca, " lei lo interruppe, " c'Livia che vuole parlarti. "
" Duca, " sentla voce di Livia, " tu devi venire, la bambina sta molto male. " La voce non era soltanto ansiosa, era anche aspra, imperativa, Livia Ussaro non aveva sfumature: o ubbidiva, o comandava.
" Livia, non posso assolutamente, " disse secco, per vincere la debolezza che gli dava quel tono imperioso di lei. Doveva terminare tutto il suo lavoro entro la mattina dopo alle dieci, prima che arrivasse il giudice istruttore. Quando fosse arrivato il giudice istruttore, era finita. " Entro un'ora
ti mando un collega pediatra che ne sa molto pidi me. "
" Non barare, Duca! " lei disse aspra e inesorabile, " non si tratta solo di avere un medico capace, si tratta che tua nipote ha la febbre a quaranta, che tua sorella, sta per avere un collasso e tu resti lin ufficio per qualche sporca pratica, senza venire qui a dare almeno il tuo appoggio morale. " Era, come sempre, anche burocratica.
Aveva ragione Livia. Era proprio una sporca pratica. E aveva ragione di dire che egli rifiutava il suo appoggio morale: una kantiana come lei se ne era accorta subito, ma disse secco: " Adesso basta, fra un'ora sarlil pediatra, " e tronc Si rilassun secondo, poi formun numero. Gli rispose dopo varie chiamate una voce di donna innervosita. " Mi scusi, signora, se la disturbo a quest'ora, sono Lamberti, vorrei parlare con suo marito. "
" Mio marito dorme, " disse scortese la voce di donna, era la moglie del grande pediatra.
" Mi scusi, signora, una cosa urgente. "
" Vedr " disse scortese al massimo la voce.
Attese, parecchio, poi la voce di Gian Luigi, sbadigliante: " Ciao, Duca. "
" Scusa, Gigi, la mia nipotina ha la febbre a quaranta, io sono inchiodato qui in Questura e non posso muovermi, le ho fatto dare della Ledermicina e un paio di supposte di Uniplus, ma la febbre non scende. Fammi il favore, ti prego, valle a dare un'occhiata. "
Lo sentsbadigliare ancora. " Proprio stasera che ero riuscito ad andare a letto alle dieci. "
" Mi dispiace tanto, Gigi, ma fammi questo favore. " Findi leggere il quinto fascicolo, iniziil sesto ed era quasi alla fine quando entrMascaranti, aveva due bottiglie in braccio e in una mano teneva i pacchetti di sigarette e gli svedesi.
" Dove le metto? " disse Mascaranti.
" Qui in terra vicino a me, " disse Duca. " E adesso vai a dormire, ti chiamo io quando il momento. "
" S dottore. "
Passa leggere il settimo fascicolo, poi l'ottavo, e il nono; ogni fascicolo era corredato dalla fotografia di fronte e di profilo dell'interessato, come comuni delinquenti, e non erano belle facce. Prima di iniziare il decimo fascicolo aprla finestra, respirforte le ondate di nebbia che scivolavano dense per via Fatebenefratelli, e lasciando la finestra aperta tornal tavolo, lesse il decimo e poi l'un-decimo fascicolo, sempre prendendo appunti, e cosaveva finito la prima parte del suo lavoro. Si mise allora a controllare i suoi appunti, tirandosi su i baveri della giacca perchil gelo invadeva lo stanzino. I ragazzi per entrare a scuola dovevano suonare il campanello - questo valeva solo la sera - la custode andava ad aprire la porta e quindi poteva sapere chi era entrato, e aveva infatti testimoniato che la sera del massacro erano entrati undici ragazzi. Duca nel suo foglio di appunti ne aveva scritto il nome e riassunto i dati essenziali di ciascuno in ordine di et
13 anni CARLETTO ATTOSO. Padre alcolizzato; tubercoloso.
14 anni CAROLINO MARASSI. Orfano; ladruncolo. 14anni BENiTO ROSSI. Onesti genitori; tipo violento.
16 anni SILVANO MARCELLI. Padre in carcere; madre morta; eredoluetico.
16 anni FIORELLO GRASSI. Onesti genitori; nessun precedente; bravo ragazzo.
17 anni ETTORE DOMENICI. Madre prostituta; affidato alla zia; due anni di riformatorio.
17 anni MICHELE CASTELLO. Onesti genitori; due anni di riformatorio; due anni di sanatorio.
18 anni ETTORE ELLUSIC. Onesti genitori; vizio del gioco.
18 anni PAGLINO BOVATO. Padre alcolizzato; madre in carcere per lenocinio.
18 anni FEDERIGO DELL'ANGELETTO. Onesti genitori; prealcolizzato; tipo violento.
20 anni VERO VERINI. Padre in carcere; tre anni di riformatorio; maniaco sessuale.
Questi erano i protagonisti della notte dell'orrore. Al di ldi ogni dubbio la custode della scuola aveva testimoniato di averli visti entrare poco prima delle sette di sera, e firmato la sua testimonianza. Erano gistati interrogati, e la comune linea di difesa degli undici giovani delinquenti era stata semplice e puerile: ciascuno affermava che lui non aveva fatto nulla, erano stati gli altri compagni a seviziare la maestra, ma lui no. La scientifica aveva preso tutte le impronte possibili e presto si sarebbe saputo, razionalmente, il raggio d'azione dell'eccidio. Ma prima che al mattino alle dieci arrivasse il giudice istruttore, Duca voleva interrogarli lui, e soprattutto voleva vederli in faccia.
Rabbrivid e si ricordche la finestra era aperta, anda chiuderla, poi uscdal suo stanzino e anda svegliare Mascaranti che dormiva nella profonda poltrona nell'ufficio di C跫rua.
" Che ore sono? " disse Mascaranti, alzandosi ancora cospesante di sonno.
" Quasi le due, dobbiamo cominciare, " disse Duca.
" S dottore. "
Stavano in piedi uno davanti all'altro, nella sonnolenta luce del piccolo paralume sulla scrivania di C跫rua, Mascaranti vacillun momento per il sonno.
" Stai a sentire, Mascaranti, " disse Duca, " me li svegli
uno per volta, dopo che ne ho interrogato uno mi svegli l'altro: me li devi portare lche non stiano ancora in piedi dal sonno, come te. "
Mascaranti sorrise: " S dottore. "
" E me li devi portare nel mio ufficio, secondo l'ordine che ti do io. Comincia con Carletto Atteso, il pigiovane. "
" S dottore. "
" Mi fai portare su il ragazzo da due militi che faranno da testimoni. Poi svegli lo stenografo che stenografa tutto l'interrogatorio. "
" Ma prendiamo il registratore, dottore. "
" No, il registratore registra anche il panf degli schiaffi. Mi occorre lo stenografo, " disse Duca.
" Dottore, " disse Mascaranti, " il dottor C跫rua mi ha detto di avvertirla che se lei picchia uno di questi ragazzi, la butta fuori. "
" Va bene, mi butterfuori, ma adesso portami nel mio ufficio il ragazzo, ricordati: Carletto Atteso. "
" S dottore. "
Duca ritornnel suo stanzino, e riaprla finestra, stette a guardare la nebbia fosforescente per la luce dei lampioni, ma sempre pidensa, respirancora forte, richiuse la finestra, anda sedere dietro al tavolo. Certo, Gigi era andato a visitare la piccola Sara, se non avevano telefonato, voleva dire che non c'era niente di grave. Perforse era meglio che telefonasse lui. Formil numero, sentla voce di Livia. " Come va, Livia? "
La voce di lei, coscaldamente ansiosa, si irrigid " Va male, " era una voce quasi nemica. " Aspetta che c'il professore che ti vuole parlare. "
Attese, e mentre attendeva col ricevitore all'orecchio, la porta del suo ufficio si apred entrarono due militi che tenevano un ragazzo, lungo, ossuto, dal naso a becco, in mezzo a loro, e che sbatteva gli occhi, ancora assonnato, alla luce del paralume che in precedenza Duca aveva sistemato in modo che il fascio di luce colpisse coloro che entravano. E dopo entrMascaranti con lo stenografo, un giovane molto grasso con una barbetta teatrale.
" Pronto, Duca? "
" S Gigi, dimmi, " disse Duca guardando il ragazzo, era una specie di biondino, un biondo piuttosto misto, gli occhi erano in fuori, basedoviani, e avevano una certa aria resistente e cattiva che i normali ragazzi di tredici anni non hanno.
" Non niente di grave, per " disse Gigi, l'illustre pediatra, e a lui, Duca, non piacevano i per i ma, i se, " una bronchite un po' fortina, le ho gifatto un'iniezione e spero di fermarla. Non vorrei si trasformasse in polmonite. Quella che mi preoccupa, tua sorella, bisognerebbe che tu venissi qui, coslei si sente pitranquilla. "
Duca abbassil paralume in modo che la luce non colpisse in viso il ragazzo, fece cenno a Mascaranti di farlo sedere sulla sedia davanti al tavolo, il ragazzo sedette, sempre con la sua aria resistente e cattiva. Duca riprese a parlare nel ricevitore. " Gigi, d跐le un sedativo, " disse all'illustre pediatra. Tirfuori dalla grossa cartella la fotografia della defunta maestra Matilde Crescenzaghi, fu Michele e Ada Pirelli e la tese al ragazzo, al tredicenne Carletto Attoso: " Guarda questa foto, " disse coprendo il ricevitore con la mano, " ma guardala davvero, tienila con tutte e due le mani davanti agli occhi e guardala, intanto che io telefono, se no .ti spacco la faccia. " Nonostante il tono sordo e violento, il ragazzo ubbidmaterialmente, ciotenne la fotografia con tutte e due le mani, la guardma il suo atteggiamento rimase ugualmente ostile e senza paura.
" Pronto, pronto, Duca, " diceva il pediatra al telefono, " mi senti? "
" S ti sento. "
" Duca, non si tratta di sedativi, tua sorella non capace di star sola con la bambina cos d'altra parte anche per la piccola meglio se ci sei tu, se fra due o tre ore la respirazione diventa difficile, tu puoi farle l'iniezione di Leather, da sola lei si spaventa troppo."
Duca ascoltava e guardava il ragazzo che teneva la fotografia con le due mani, le palpebre abbassate sugli occhi all'infuori con un che di superiore, tanto piirritante quanto proveniva da uno sporco cucciolo.
" Gigi, sta' a sentire, " disse al telefono, " non posso assolutamente venire l Anche se mi dici che la bambina sta morendo io non vengo lo stesso perchnon servirei a nulla, mentre qui servo. Io non sono un pediatra, non sono pineppure un medico, se per le iniezioni, di' a Livia di trovare subito un'infermiera. E se per l'assistenza morale, di' a Lorenza che soffro piio a stare qui lontano da lei, che lei a stare sola. Mi dispiace, ora non ho altro tempo. Grazie. " Depose il ricevitore.
E per molto, forse quasi un minuto, stette a guardare la scenografia: il ragazzo seduto sulla dura sedia davanti al suo tavolo, con la fotografia tra le mani che fingeva di guardare, insensibile agli strazianti particolari di quell'immagine, e dietro i due militi, pronti a intervenire, perchla gente ha l'idea che i ragazzi siano sempre ragazzi, deboli e incapaci, ma i poliziotti sanno che anche un tredicenne puessere pericoloso come un adulto.
E a sinistra del tavolo c'era Mascaranti, in piedi, e a destra c'era lo stenografo con la barba alla Cavour seduto su uno sgabello appena appena sufficiente per il suo largo posteriore, col blocco di carta stenografica in mano e la penna a sfera. Tutto in uno stanzino di due e mezzo per tre e mezzo, che aveva pil'aria di un deposito di scope e altri utensili per pulizie, che di un ufficio.
E dopo aver guardato la scenografia e la scena, parl " Posa la fotografia, qui sul tavolo, ma tienila davanti a te, e continua a guardarla, intanto che io ti interrogo. "
Meccanicamente, con irritante ubbidienza, il ragazzo mise la fotografia sul tavolo e con le palpebre sui gonfi occhi finse di guardarla.
" Bravo, " disse Duca. " Ora, prima di interrogarti devo farti un piccolo discorsetto. Tu ti senti molto sicuro, non solo perchhai tredici anni, ma soprattutto perchsei tubercoloso, i certificati sono indiscutibili: vaste infiltrazioni biapicali con tendenza degenerante. " Quale poliziotto oserebbe sfiorare solo con un dito un inerme bambino tredicenne malato di tubercolosi? " Non ti posso spaccare la faccia come ti ho detto prima, era una minaccia vana, te lo confesso, ma posso fare di peggio e te lo dico subito che cosa. Tu lo sai che finisci al riformatorio, in qualunque modo vada, e allora io ti dico questo: se tu rispondi bene alle domande che ti faccio, io ti raccomando agli amici che ho al e sarai trattato un po' bene. Ma se tu cerchi di imbrogliare, i miei amici del < Beccaria > ti scrivono sul loro libro nero. Tu non sei ancora stato al , ma qualche tuo amico c'stato e certo ti avrspiegato cosa vuol dire essere sul libro nero. Al < Beccaria > ti cureranno molto bene la tubercolosi, diventerai grasso e sano, ma quelli cattivi, cioquelli scritti sul libro nero, non escono mai, sono condannati a due anni, e ne fanno tre, quattro, cinque, per indisciplina, ribellione, e arrivati alla maggiore etpassano al carcere normale per aggressione a un agente di custodia, perchvoi, non solo siete delinquenti, ma anche stupidi, e aggredite gli agenti di custodia. "
Carletto Atteso, imprevedibilmente, sollevle palpebre e alzlo sguardo su di lui. Era uno sguardo terribilmente sicuro. In rari casi, in un adulto, si trova tanta sicurezza e spavalderia, solo un tredicenne forse, poteva averla. " Io non ho fatto niente, " disse, e sicurezza e spavalderia aumentarono nel suo sguardo, " io sono troppo piccolo, avevo paura, erano scatenati, " adesso canzonava chiaramente.
Ma bisognava sopportare.
Duca prese il pacchetto di sigarette, lo apr ne levfuori una e gliela tese : " Fuma. "
Il ragazzo prese la sigaretta e lui gliel 'accese, accese una sigaretta anche per s poi disse: " Adesso cominciamo, ricordati del libro nero. "
Capitolo secondo
In un interrogatorio, quello che perde regolarmente l'interrogante, perch- a meno che non si adoperi la forza fisica - l'interrogato cammina placido sulle bugie e le invenzioni e la legge non pufargli nulla.
Duca fece cenno allo stenografo Cavour di cominciare e disse al ragazzo: " Come ti chiami? "
" Attoso Carletto. "
" E tuo padre? "
" Attoso Giovanni."
" E tua madre? "
" Marilena Dovati. "
" Quando sei nato? "
" Il quattro gennaio 1954. "
Erano tutte domande formali, solo per lo stenografo. Poi Duca cominci " Tre sere fa sei andato a scuola come tutte le sere? " Era una domanda per invogliare il ragazzo a mentire, e a cadere in contraddizione.
E il ragazzo, infatti, non rispose subito: l'esca di quella domanda era invogliante: avrebbe potuto infatti dire che non era andato a scuola, quella sera, e cosera fuori dalle grane. Ma non era uno sciocco, sapeva che la custode aveva gitestimoniato che lui era a scuola quella sera, e ricordava, oltre tutto, di aver gidetto, nel primo interrogatorio, che era stato a scuola.
" S ero a scuola, ma io non ho fatto niente, " disse il ragazzo.
Era la linea di difesa che avevano adottato tutti quei repugnanti undici. Duca prese da terra una delle bottiglie di anice lattescente, svitil tappo automatico, annusil liquore, sull'etichetta era segnato: Gr. 78. Era un liquore siciliano, il pipotente liquore del mondo, settantotto gradi significa che appena vi inumidite la lingua con quella roba, l'alcool evapora, il whisky o il gin diventano acque minerali, al confronto. Anche un buon bevitore, con quattro o cinque cucchiai di anice lattescente, parte per il mondo della follia e della violenza, perchuna particolaritdi questo superalcoolico che scatena un potente eretismo psichico: non addormenta, brucia il sistema nervoso ed erotico. I giovinastri che si drogano con stupidissime cose, evidentemente non conoscono l'anice lattescente, ve ne sono dei tipi anche a gradazione pidebole. Quello era il piforte.
" S lo so che non hai fatto niente, " disse quieto Duca. " Vuoi assaggiare un po' di questa roba? Ti fa passare il sonno. "
" Oh, no, troppo forte, " disse il ragazzo. C'era cascato. Erano furbi, ma non erano intelligenti.
" Come fai a sapere che forte? L'hai giassaggiato? " disse Duca, gentile.
" Io no, ma si vede che una roba forte. "
" Ah, s e da che cosa si vede? "
" Non lo so, forse la bottiglia, come quelle della grappa. "
" Potrebbe essere una bottiglia di sciroppo di cedro. Avanti, assaggiane un po'. "
Sotto lo sguardo fisso di Duca il ragazzo sentche stava scivolando per una strada sbagliata e per questo perse il controllo e sbagliancora: " No, no, no, " disse agitatamente, spaventato, aveva paura che lo volessero far bere per forza. " Mi fa troppo male. "
" E come fai a sapere che ti fa male? Allora l'hai bevuta? "
Un po' vinto, ma tutt'altro che del tutto, Carletto Atteso abbassil capo. " S quella sera, a scuola, " questo poteva confessarlo, non comprometteva nulla, " me lo hanno fatto ingoiare per forza. "
" Noi no, " disse pacato Duca, " non ti costringeremo a berlo. Io mi accontento che tu lo annusi, " e siccome il ragazzo sentiva forse per la prima volta il verbo annusare, lielo spiegpichiaramente: " Insomma mettiti la botti-lia sotto il naso e senti l'odore. "
Il ragazzo ubbide appena annusla bottiglia stappata, fece una smorfia.
" E' questo il liquore che ti hanno costretto a bere l'altra sera a scuola? " disse Duca.
Col viso pallido per la nausea, il ragazzo depose la bottiglia sul tavolo e disse: " S "
Duca si alz " Bravo, ogni tanto dici anche la verit " Si mise alle spalle del ragazzo, dietro la sedia sulla quale quello era seduto e gli mise le mani sulle spalle. " Non voltarti, e continua a guardare quella fotografia che hai davanti. Secondo la gente comune tu sei un povero ragazzo di tredici anni, traviato dalle cattive compagnie e dalla societdel benessere. Secondo me tu sei nato delinquente, come uno nasce biondo, perchun ragazzo della tua etnon purestare impassibile davanti a una fotografia come quella, un bambino come te dovrebbe mettersi a urlare e a vomitare a vedere la sua maestra ridotta in quel modo, ma tu non sei un bambino, sei un aspirante criminale e riuscirai perfettamente in questa carriera. Mi senti, delinquente? " e Duca premette un poco di pisulle spalle del ragazzo, magre, da tubercoloso. " E non voltarti, rispondi senza voltarti. "
" S sento, ma io non ho fatto niente, " disse il ragazzo.
" Certo, " disse Duca, " ma se senti, cerca di sentire bene anche questo. Io non voglio che tu confessi tutto quello che hai fatto. Non me ne importa nulla perchlo so quello che hai fatto, come ti avessi visto. Scommetto mille lire che sei stato tu a mettere una calza della tua maestra fissata tra un banco e l'altro con delle puntine, per saltarla, perchsei piccolino e ti piace ancora saltare la corda specialmente quando sei sbronzo di anice a 78 gradi. "
" No, io non ho fatto niente. "
" Va bene, giovane Carletto, " disse Duca, la voce che cominciava a divenire dura, e stando sempre alle spalle del ragazzo, con le mani sulle sue spalle. " Tu non hai fatto niente, ma io non voglio neppure saperlo quello che hai fatto o non hai fatto. Soltanto ho bisogno di un favore da te. Me lo vuoi fare? "
Il ragazzo si volse e lo guardincerto.
" Non voltarti! " urlDuca, e perfino Mascaranti sobbalza quell'urlo improvviso, insieme con lo stenografo e i due militi. " Non voltarti e guarda quella fotografia, e guardala davvero se no ti porto all'obitorio, nella cella dove la tua illusa maestra che pensava di renderti civile in attesa di autopsia, e ti lascio solo con lei tutta la notte, a lampade accese. "
Il ragazzo ansava. " La guardo, la guardo, " disse affrettatamente.
" Bravo, e mentre la guardi sta a sentire, " Duca torna parlare a voce bassa, " ti ho detto che ho bisogno di un favore da te. Voglio solo sapere una cosa da te: chi che ha portato a scuola la bottiglia di anice. Non ti chiederpiniente e ti lascio tornare a dormire subito. Anche se sei stato tu a dare il colpo di grazia alla maestra, non me ne importa, non te lo chiedo, l'unica cosa che ti chiedo questa: chi che ha portato in classe la bottiglia di anice? Poi sei libero. "
" Io non lo so, non ho visto, non potrei dirlo. " Il ragazzo rispondeva agitato, le mani di Duca che gli premevano sulle spalle, senza fargli male, perchnon si picchiano i bambini tubercolosi, lo rendevano molto agitato.
" Senti, stupido, aspetta e rifletti, prima di rispondere con certe sciocchezze, " disse Duca, " ricordati il libro nero. Ti ho chiesto una sola cosa, anche molto piccola, e non una confessione completa. Ma se tu non mi dici neppure questa piccola cosa, allora, guarda che per una ventina di anni non avrai pipace: ti mando al con un rapporto che passerai metdella tua adolescenza in cella di punizione, e altri dieci anni in una galera normale. Pensaci bene prima di cercare di prendermi in giro. Te lo ripeto: chi ha portato in classe la bottiglia di anice? "
Silenzio. Mascaranti che stava per accendersi una sigaretta, si fermcon l'accendino spento in mano. Il ragazzo fissava sempre l'impressionante fotografia che aveva davanti. Poi disse: "Fiorello Grassi." Semplicemente quel nome: Fiorello Grassi.
Duca torna sedere dietro il tavolo e guardil ragazzo dagli occhi gonfi, tenuti bassi sulla foto. In silenzio rilesse le note che aveva preso prima. E lesse : FIORELLO GRASSI -onesti genitori - nessun precedente - bravo ragazzo. Controllandosi, con tutta la forza di volontche aveva disse piano: " Io ho molta pazienza, ma non ne abusare, dimmi la verit " Fiorello Grassi era l'unico ragazzo pulito tra quegli undici avanzi di riformatorio. Almeno a giudicare dagli interrogatori, ed era stato C跫rua stesso a interrogarlo e a scrivere " bravo ragazzo ". Allora poteva darsi che il giovane delinquente Carletto Attoso, buttasse la colpa addosso all'unico bravo ragazzo, per salvare gli altri che erano criminali.
" E' la verit " gridil ragazzo, cominciava a essere stravolto. " E' entrato in classe e ha detto che aveva portata una cosetta da bere intanto che aspettavamo la maestra. "
" Proprio lui, Fiorello Grassi, non ti sbagli? " " No, lui, non mi sbaglio. " " E perchnon l'hai detto al primo interrogatorio? " Il ragazzo si era ripreso. " Perchnon me lo hanno domandato. "
D'improvviso, ancora una volta cosd'improvviso che il ragazzo impallid Duca urlcon tutta la sua voce: " No! Te l'hanno domandato, scritto qui, ti hanno chiesto: Chi ha portato la bottiglia di liquore in classe? te lo hanno chiesto con le mie stesse parole, " urlava sempre piforte: " e tu che cosa hai risposto? Hai risposto che non sapevi niente, che non avevi visto niente. "
Quelle urla scossero il ragazzo: era un semplice effetto della violenza delle onde sonore. " Non volevo tradire un compagno, io non faccio la spia, " disse quasi piangendo.
Duca abbassdi nuovo la voce. " Va bene, cerchi sempre d'imbrogliarmi. Fai pure, ma ricordati che passerai la tua giovinezza tra il riformatorio e il carcere, ti guariranno dalla tubercolosi, stai tranquillo, diventerai anche grasso, ma prima di essere libero avrai almeno trent'anni. " Fece un gesto ai due militi. " Portatemi via questo letame. "
E il ragazzo non era ancora uscito, accompagnato dai due militi, che Duca formil numero di telefono di casa sua.
" Come va? " disse quando udla voce di sua sorella Lorenza.
" Un po' meglio, dorme, e la febbre discesa. "
" Come respira? "
" Mi sembra bene. C'l'infermiera che la sorveglia sempre. "
" Lorenza, allora va a dormire. "
" S caro, aspetta un momento: c'Livia che ti vuol parlare. "
Poi Duca udla voce di Livia. " Stai tranquillo, Duca, la bambina sta meglio. "
" Grazie, Livia. "
" Quando potrai venire? " chiese Livia.
" Non domandarmelo, Livia, non lo so, molto tardi, un lavoro che devo fare e che non posso interrompere, per nessuna ragione. "
" Scusami, sai, prima ero un po' nervosa, la bambina stava molto male, " lei disse con dolcezza.
" Oh, cara, scusami tu. Ti telefono ancora fra un po'. " Depose il ricevitore, guardlo stenografo che aveva l'aria di uno che ha molto sonno, guardMascaranti, e gli disse: " Dopo il pigiovane, vediamo il pianziano. Portami su questo Vero Verini. " Respirfondo, Sara stava meglio.
Vero Verini era il pianziano ragazzo della scuola serale Andrea e Maria fustagni, e Duca aveva scritto le sue note caratteristiche: padre in carcere, tre anni di riformatorio, maniaco sessuale.
Mascaranti usce torndopo qualche minuto col ragazzo accompagnato dai due militi.
Era piccolo, e piche grasso, gonfio, con quei lunghi capelli sporchi e perfino crostosi di un castano rossiccio, dimostrava anche pidi trent'anni. Gli occhi gipiccoli, erano ancora pisocchiusi per il sonno interrotto.
" Siediti, " disse Duca.
Il vecchio ragazzo sedette.
" Pivicino al tavolo, " disse Duca.
Il vecchio ragazzo avvicinla sedia al tavolo, fino ad avere le ginocchia sotto il tavolo stesso.
" Cosva bene, " disse Duca. Prese il foglio dei suoi appunti. " Ti chiami Vero Verini, hai vent'anni, tuo padre, Giuseppe, in carcere da sette anni per rapina, tu sei stato in riformatorio per tre anni, a varie riprese, sempre per lo stesso reato, cio atti osceni in luogo pubblico, per luogo pubblico s'intendono i giardini, il parco, e perfino la finestra di casa tua, perchquando uno sta affacciato alla finestra e se passa una ragazza fa certe cose che non si dovrebbero fare, per lo meno affacciati a una finestra in costume adamitico, commette atto osceno. E' vero, questo?"
" No, " il vecchio ragazzo scosse il capo. " Io non ho fatto niente di quelle cose. Sono stati i poliziotti a dirlo, per rovinarmi. "
" Ah, s E perchi poliziotti avrebbero voluto rovinare una pattumiera come te? "
Testardo, senza paura, il vecchio ragazzo, fissandolo negli occhi, disse : " Perchsono cattivi e vogliono fare del male a tutti, anche ai bravi ragazzi. "
Duca sorrise, anche Mascaranti, anche lo stenografo Cavour, anche i due militi, ma loro un po' meno, sorrisero. E
Vero Verini, il vecchio ragazzo, nel vedere tutti quei sorrisi,come un attore soddisfatto di aver detto una bella battuta, sorrise anche lui.
" Va bene, " disse Duca, " sei un bravo ragazzo. Allora
se sei un bravo ragazzo risponderai a una mia domanda, una domanda sola, se rispondi a questa domanda, non te ne faraltre. Una sola domanda e poi ti mando a dormire. Hai capito? "
" S ho capito. "
" Una sola domanda, pensaci bene, e poi non te ne faccio pi E la domanda questa: "
Il vecchio ragazzo scosse il capo. " Non lo so, " disse subito.
" Ah, non lo sai? " Duca mosse la mano destra come per prendere la bottiglia di anice lattescente che era sul tavolo, ma fu come una mossa goffa - volutamente goffa - e la bottiglia si rovesci e siccome era stappata, il liquido si rovesciin terra, oltre il bordo del tavolo, e quasi tutto sulle ginocchia del vecchio ragazzo che tentistintivamente di scostarsi per evitare quella liquorosa e asprissi-ma doccia, ma, attraverso il tavolo, Duca lo afferrper un braccio e lo tenne immobile. " No, stai qui fermo. " Urlava. Mascaranti osservava immobile, si passuna mano sul viso, aveva paura anche lui quando Duca urlava.
" S " disse Vero Verini mentre gli ultimi fiotti danice lattescente, gli colavano col loro asprissimo aroma sui calzoni e dentro le scarpe, e stette fermo. Finalmente la bottiglia fu vuota e Duca la rimise in piedi. Nel piccolo ufficio l'odore di anice era intollerabile, gli occhi dello stenografo Cavour cominciarono a diventare rossi. Mascaranti si soffiil naso, uno dei militi sternuti, il vecchio ragazzo, invece, stava divenendo verde. La sera del massacro della maestra doveva aver bevuto parecchio di quell'anice lattescente, tanto che era stato un giorno all'infermeria per essere rimesso un po' a posto. Ora quel terribile odore, o sentore, che esalava anche dai suoi calzoni, dalle sue scarpe, imbibiti di quell'alcool, doveva torcergli di nuovo lo stomaco e gli occhi gli lacrimarono per il colpo di vomito in arrivo.
" Potremmo aprire la finestra, " disse Mascaranti, che fungeva da moderatore.
" No, povero ragazzo, fa freddo, fuori, con tutta quella nebbia, " disse Duca. " E' tubercoloso anche lui, non lo sai? " Dopo qualche secondo si rivolse ancora al vecchio ragazzo, gonfio, verde, il viso stravolto dalla nausea. " Ti chiedo ancora una volta di dirmi chi ha portato in classe la bottiglia di anice. Tu mi hai risposto che non lo sai. Forse non ti ricordi bene. Cerca di ricordarti, se ti ricordi chi stato a portare la bottiglia in classe, ti mando subito a dormire e, guarda, anche con un pacchetto di sigarette. " Gli mise davanti il pacchetto di sigarette con sopra la scatola di fiammiferi. " Cerca di ricordarti, " fin
Vero Verini si portla mano alla bocca, ebbe un pesante conato di vomito, poi disse, il viso congestionato: " S mi ricordo. "
" Che cosa ti ricordi? " disse Duca.
" Era lui, quello che ha portato la bottiglia. "
" Chi ? "
" Io l'ho visto che entrato con la bottiglia, era Fio-rello Grassi. "
Duca Lamberti restrigido, assolutamente immobile, senza guardare nulla, se non le mani che teneva appoggiate sul tavolo. " Grazie, vai pure, " disse al vecchio ragazzo. " Prendi le sigarette e i fiammiferi, " disse quando quel giovane rottame si alz i calzoni ancora fumanti di anice lattescente. " Lasciatelo riposare e trattatelo bene, " disse ai militi.
Quando i militi furono usciti con Vero Verini, Mascaranti disse: " Dottore, possiamo aprire un poco la finestra? "
" No, " disse Duca, " questo odore rammenta molte cose ai nostri ragazzi, quando li abbiamo arrestati erano ancora ubriachi fradici e per una settimana non vorranno neppur sentir parlare di anice lattescente. "
Bene, pensMascaranti, intanto avevano il voltastomaco anche loro. Si alze disse, paziente: " Le porto su Fiorello Grassi? " era l'indiziato numero uno: due ragazzi lo avevano accusato di essere stato lui a portare la bottiglia di anice.
" No, " disse Duca, " portami su un altro furbo, Ettore Domenici. "
" S dottore. "
" Siediti, " disse Duca al ragazzo. " Siediti bene vicino al tavolo, anche se in terra un po' bagnato, sai, ci caduta una bottiglia di anice lattescente, ne hai bevuta mai? "
" S signore, " disse Ettore Domenici, che le note di Duca Lamberti indicavano come diciassettenne, figlio di una prostituta, affidato alla zia, escluso nei due anni che aveva passato al riformatorio, avendo tentato di prendere a coltellate un cugino, anziano, impiegato e brav'uomo, che non gli voleva dare pisoldi. Era il tipo del vile giovane, vile quando ci sono due militi e due o tre poliziotti che lo sorvegliano, e che tentava di addolcire i poliziotti con un'ubbidienza assoluta, ma soltanto formale: in realtvoleva imbrogliarli. Anche lui, sbatteva le palpebre per il sonno.
" Raccontami un poco che cosa hai fatto quella sera, " disse Duca. Abbassil paralume in modo che il ragazzo non fosse abbagliato dalla luce e, nella penombra, potesse mentire pifacilmente. Gli piaceva sentirsi raccontare delle storie e illudere quei poveri sciagurati di essere riusciti a imbrogliarlo.
" Io non ho fatto niente, signore, io non c'entro. "
" S lo so che non hai fatto niente, ma raccontami allora che cosa hai visto fare. "
Il ragazzo, di fronte alla placiditdi quell'interrogatorio, comincia presumere di se a svalutare le capacitdell'inquirente. Disse con falsa mitezza: " Io non ho guardato neppure, avevo paura. "
" Senti, Ettore, la festa durata quasi due ore, " disse Duca pacato, " non possibile che' sei stato due ore col viso contro il muro, senza guardare niente. Fai il bravo, racconta un po' che cosa hai visto. "
" Non ho visto niente, " disse il ragazzo.
" Gi " disse Duca, si alz girintorno al tavolo, Mascaranti ingoisaliva perchpensche Duca lo avrebbe strangolato, e lui non avrebbe potuto impedirglielo, perchal dottor Duca Lamberti nessuno pensava di poter proibire alcunch e nello stesso tempo soffriva perchsapeva che se il dottor Duca Lamberti avesse toccato uno di quei ragazzi solo con qualche schiaffo, Sua MaestC跫rua avrebbe dovuto buttarlo fuori.
Ma Duca non fece nulla al ragazzo, gli si avvicinsoltanto, prese la bottiglia vuota che era sul tavolo, qualche goccia di anice era rimasta, se la verssul palmo e mise il palmo sotto il naso del detto Ettore Domenici. " Nel caso che tu non abbia sentito l'odore di anice che c'in questa stanza, prova ad assaggiare questa roba e dimmi se quella sera l'hai bevuta. " Gli mise la mano con quelle poche gocce di anice sulla bocca e sul naso e il ragazzo sub soltanto comincia tossire e tossendo disse: "... Io non volevo bere... ma mi hanno obbligato... Mi mettevano la bottiglia in bocca e mi dicevano: bevi."
" E chi che ti costringeva a bere? "
" Non lo so, erano in tanti, erano tutti... "
Quei ragazzi, pensDuca, avevano la capacitdi dire le doppie bugie. Non era vero che lo avessero costretto a bere, e anche fosse stato vero, non poteva essere vero che non riconoscesse e non ricordasse i compagni che lo avevano obbligato a bere. Era solo malinconica stupidit
" E tu non hai visto niente di quello che i tuoi compagni facevano alla vostra maestra? "
" No, non ho visto quasi niente... " il ragazzo toss per l'anice che gli era andato per traverso.
" Cosa vuol dire < quasi >? Vuole forse dire che hai visto qualche cosa? "
Ilagazzo tossancora, ma questa volta fingeva. " S signore, ho visto che la spogliavano, e avevo tanta paura e non ho piguardato. "
" Di solito alla tua etquando si vede una donna spogliata, si continua a guardare. "
" Ma io avevo paura, avevo visto che le avevano messo un fazzoletto in bocca per non farla gridare, e non volevo piguardare. "
" Ma se hai visto che le mettevano un fazzoletto in bocca, devi aver visto chi glielo metteva. "
" Io... "
La voce di Duca divenne pibassa e ringhiosa. " Vai avanti, farabutto. "
" Io... " il cosdetto ragazzo Ettore Domenici era rosso di paura, qualche volta la paura fa caldo, caldo di disperazione, e si diventa rossi. Poi si decise: " S l'ho visto, chi ha messo il fazzoletto in bocca alla maestra. "
" E chi era? "
" ... Non so, non voglio sbagliare, ma io credo di aver visto Fiorello. "
" Vuoi dire Fiorello Grassi, questo? " Duca prese dal fascicolo del primo interrogatorio il foglio intestato a Fiorello Grassi, con la fotografia.
" S signore, lui. " Il ragazzo abbassil capo.
Per due lunghi minuti Duca restin silenzio, e anche tutti gli altri che del resto non avevano mai parlato. Teneva gli occhi bassi anche lui, come il ragazzo, poi vinse il furore che lo bruciava. Disse : " Tu non sai, naturalmente, chi che ha portato in classe la bottiglia di anice"?
" No, non lo so. "
Altro silenzio, pibreve. Duca levpoi da un cassetto un foglio di carta, e un pennarello, mise foglio e pennarello davanti al ragazzo e gli disse: " Bene, l'interrogatorio finito. Adesso comincia l'esame scritto. "
Il ragazzo lo guardava incredulo, e accennperfino a sorridere.
" Adesso devi farmi due o tre disegnini che ti dirio, per esempio, " e gli disse che cosa doveva disegnare sul foglio, nel termine picrudo e volgare possibile.
Ettore Domenici divenne ancora rosso, di paura, non certo per il pudore offeso, il solo tono di voce di Duca gli dava paura.
" Non dirmi che non ne hai mai disegnato uno, " disse Duca.
Il ragazzo incerto fece il disegno richiesto.
" Adesso mi disegni la stessa cosa, ma in femminile, " disse Duca. " Hai capito o devo dirti la parola esatta? "
Ettore Domenici disegni fianchi di una donna e il soggetto richiesto.
" Adesso io ti detto delle parole e delle frasi, tu non devi far altro che scriverle. " Dettla prima parola e per quanto le orecchie di Mascaranti, e quelle dello stenografo e quelle dei militi, non fossero orecchie suscettibili, non abituate a simili espressioni, pure essi trasalirono a quel termine detto con tono cosnetto e chiaro. " Scrivi. "
" Scrivo? " disse il ragazzo, incredulo e impaurito.
" Quando ti dico di scrivere, tu devi scrivere, " Duca battun pugno sul tavolo.
" S signore. " Il ragazzo scrisse quel termine.
" E adesso scrivi questo, " Duca gli dettun secondo termine.
Il ragazzo fece cenno di se scrisse subito la parola dettata.
" Ora scrivi questa frase, " osservil diciassettenne che scriveva, ubbidientissimo. " E quest'altra, e adesso ancora queste due parole. "
Il foglio era pieno, di disegni osceni e di parolacce. " Portatelo via, " disse Duca. Quando il ragazzo fu uscito dette il foglio a Mascaranti: " Questo passalo alla scientifica, ai grafologi. Sono le stesse parolacce e gli stessi disegni che sono stati trovati sulla lavagna", nella scuola. Una perizia grafologica puindividuare i ragazzi che hanno fatto quei disegni e scritto, quelle parolacce sulla lavagna. "
" Va bene, dottore, " disse Mascaranti. " Chi le porto, adesso? Fiorello Grassi? "
" No, " disse Duca, " portami uno qualunque, ma non Fiorello Grassi. "
" S dottore, " disse Mascaranti, poi chiese, umilmente: " Potrei aprire un po' la finestra. Questo odore di anice... "
" Mi dispiace, apriremo le finestre solo quando avremo finito gli interrogatori. " Erano quasi le quattro del mattino.
Alle sei del mattino ne aveva interrogati altri quattro, un sedicenne eredoluetico col padre in carcere e la madre morta, cioSilvano Marcelli; poi un certo Paolino Bovato, dal padre alcolizzato e dalla madre in carcere per lenocinio. Aveva interrogato anche un altro diciottenne di origine slava, Ettore Ellusic, che aveva onesti genitori e nessun precedente, soltanto aveva il vizio del gioco e se la sua assistente sociale non lo avesse salvato, sarebbe giandato a finire in riformatorio. E poco prima delle sei aveva interrogato un quattordicenne, Carolino Marassi, proveniente da una famiglia onestissima ma che era rimasto orfano, aveva cominciato a rubacchiare qua e l e allora era stato in riformatorio un anno.
Nessuno dei quattro, quella sera, a scuola, aveva fatto nulla, naveva veduto nulla. Erano stati costretti a bere un bel po' di anice, e ad assistere al massacro. Avrebbero voluto fuggire dall'aula, ma i compagni cattivi lo impedivano. Nessuno, naturalmente, sapeva chi avesse portato in classe la bottiglia di anice. A tutti Duca aveva fatto riempire un foglio con quei disegni e quelle parole. Tutti, all'odore di anice che nel piccolo ufficio s'infittiva pipassava il tempo, invece che svanire, si alteravano in viso per il mal di stomaco, e uno, alla fine vomit Mascaranti fece pulire, ma l'aria nell'ufficio era adesso nauseante.
" Possiamo aprire un poco? " disse timidamente lo stenografo.
Duca prese da terra la seconda bottiglia di anice e la stapp poi la mise sul tavolo. " Tre giorni fa questi ragazzi si sono presi una sbronza di anice lattescente a quasi ottanta gradi. Sono ancora sotto choc etilico e questo odore li nausea. " Versl'intera bottiglia di anice sulla sedia dove si sarebbe seduto il prossimo ragazzo da interrogare, e in terra. " Siccome la legge non mi permette di interrogare questi delinquenti a calcioni in faccia, allora devo ricorrere ai metodi psicologici. Nessuno mi puaccusare di maltrattamenti a dei minori, l'anice un forte alcolico che pulisce, e questi ragazzi hanno un grande bisogno di pulizia. E con questo metodo psicologico qualcuno starmale di stomaco, ma qualche altro, oltre a star male di stomaco, finiranche per cedere. Sono quattro ore che tutti mi dicono che non hanno fatto niente, che non hanno visto niente e che non sanno niente. Ora vediamo se tutti saranno della stessa tempra. "
" S dottore, " disse lo stenografo.
" Chi le porto su, adesso? " disse Mascaranti.
" Voglio divertirmi, " disse Duca. " Portami su Fiorello Grassi. "
Il giovanotto era piccoletto, era quello che delle zie affettuose avrebbero definito un torello, appunto perchnonostante la bassa statura era largo e forte, e col naso corto, le nari, quasi le frogie, sembravano pigrandi.
" Siediti, " disse Duca.
Il ragazzo guardla sedia: nell'incavo del sedile c'era una pozza di anice lattescente che emanava un odore intollerabile.
" E' tutta bagnata, " disse il ragazzo.
Duca disse fissandolo: " Appunto, e tu ti siedi lo stesso. "
Il tono di voce convinse il torello che sedette con evidente disgusto sulla pozza di anice.
" E metti anche i piedi su quel bagnato che in terra, " disse Duca.
Il ragazzo ubbid Vi sono voci alle quali bisogna ubbidire.
Duca controllche il ragazzo avesse messo i piedi nel laghetto di anice sotto la sedia, poi disse, con voce asprigna ma bassa: " Ti chiami Fiorello Grassi, hai sedici anni, i tuoi genitori sono della brava gente, e l'assistente sociale e altre persone testimoniano che sei un bravo ragazzo. " Fece una pausa, poi riprese: " Pertre sere fa tu eri alla 'scuola serale, dove una maestra stata massacrata, cos guarda questa foto, " gli occhi del torello sbatterono osservando la fotografia, " ma naturalmente tu non hai visto nulla. Hai dichiarato qui, nel primo interrogatorio, che non hai visto nulla, che ti hanno costretto a bere quel liquore, ciol'anice sul quale sei seduto, e che ti hanno impedito di uscire per paura che facessi la spia e hai dovuto stare lfinchnon se ne sono andati tutti. Tu hai dichiarato questo, so no? "
Il ragazzo, aveva sedici anni, e aveva uno sguardo meno da farabutto degli altri: non rispose.
" Ti ho fatto una domanda e desidero una risposta, " disse Duca.
Anche questa volta il tono di voce convinse il giovane interrogato. " Io non ho visto nulla, mi hanno anche picchiato perchnon volevo fare come loro, e non ho fatto nulla. "
" Va bene, " disse Duca, " perci sono diversi tuoi compagni di quella sera che dicono che sei stato tu a portare la bottiglia di anice in classe e a costringere gli altri a bere e a fare i matti."
Fiorello Grassi chinil capo. Ecco, adesso si capiva, vedendolo cosa capo chino, per le rughine che gli si formavano sulla fronte, che sedici anni era la sua etufficiale, ma che mentalmente ne aveva diversi di pi era uno di quelli che psicologicamente invecchiano molto presto. " Lo sapevo che avrebbero dato la colpa a me, " disse con amarezza. " Ero certo. " E restava a capo chino.
Duca si alz aveva sentito nella risposta del ragazzo un'inflessione profondamente sincera. Le menzogne sono sempre una stonatura, una stecca, il ragazzo aveva detto invece qualche cosa di armonico, di intonato. Allora gli si avvicin ma non gli mise le mani sulle spalle, come aveva fatto col Carletto Attoso, anzi, gli passuna mano sul capo, negli spinosi capelli neri, cosfolti che era come carezzare una spazzola dura. " Io voglio salvarti, " disse al ragazzo, " anche tu come tutti gli altri rischi una dozzina di anni tra riformatorio e galera e altri cinque o sei anni tra casa di lavoro e sorveglianza speciale. Se tu mi dici la verit io posso aiutarti. "
Il ragazzo stava sempre a capo basso, e sembrava che non ascoltasse neppure.
" Tu hai detto un momento fa che eri certo che i tuoi compagni avrebbero accusato te di aver portato il liquore in classe e di aver spinto gli altri a fare quello che hanno fatto. Percheri certo? " Duca mise una mano sotto il mento del ragazzo, costringendolo cosad alzare il capo.
" Perch.. " disse Fiorello, alzando gli occhi su di lui, d'improvviso lucidi di lacrime, "... perchio non sono come gli altri. " Due lacrime scivolarono sulle guance del ragazzo.
" Che cosa vuoi dire che non sei come gli altri? " domandDuca, e mentre faceva la domanda, cap Era chiaro che cosa voleva dire, e avrebbe dovuto capirlo prima: quell'aria di torello era soltanto fittizia, c'era qualche cosa di troppo morbido nella voce, nei gesti delle mani, nelle espressioni.
Il ragazzo si mise a piangere forte: " Non sono come loro, ecco, e loro approfittano di me, danno sempre tutta la colpa a me, ma io non ho fatto niente, e sono stato costretto a stare l " Tra le lacrime ebbe anche un conato di vomito per l'aspro volatile odore dell'anice di cui era ormai imbibito, il corpo, le scarpe, la testa.
" Vieni, " disse Duca, lo prese per un braccio, lo fece alzare, lo condusse vicino alla finestra e aprla finestra. " Avrai un po' freddo, ma starai meglio, respira profondo. " Carezzil ragazzo sul capo, alla nuca. Dalla finestra entrava solo nebbia e notte, anche se erano quasi le sette del mattino. Si rivolse ai militi: " Per favore, pulite un poco, aprite la porta e fate corrente. " Carezzancora sulla nuca il ragazzo. " Non piangere cos adesso basta, fuma una sigaretta. "
Fiorello Grassi, scosse il capo. " No, grazie. "
Guardando oltre la finestra, nella nebbia e nella notte, d'un tratto Duca vide che i due fanali pivicini si erano spenti, la nebbia, per un momento fu solo una nera macchia d'inchiostro, poi si accese di qualche cosa di chiaro e di rosa: era il nuovo giorno che cominciava, e di attimo in attimo la nebbia si accendeva di rosa. " Vuoi un caff " disse al ragazzo, che continuava a singhiozzare.
" S grazie, " disse Fiorello. Quando il milite portsu il caff lo bevve avido, perchgli calmava il graffiare acidoso che sentiva allo stomaco. Poi disse: " Ho freddo. " Rabbrivid
Duca chiuse la finestra. " Andiamo a scaldarci al termosifone, " anche lui aveva freddo, andcol ragazzo in fondo alla stanza, dove c'era un grosso, antiquato ma generoso calorifero, e fece appoggiare il ragazzo col petto contro il termosifone mentre lui vi poggiava soltanto le mani. Il ragazzo non piangeva pi per un poco rabbrividsoltanto, poi restimmobile, incollato al termosifone.
" Dimmi che cosa successo, Fiorello, " gli disse a bassa voce, " dimmi quello che successo quella sera. "
Il ragazzo scosse il capo piegato, quasi appoggiato sul termosifone, come per aspirarne il calore. Disse qualche cosa di piche confessare tutto. Disse: " Io non faccio la spia. "
Mascaranti, lo stenografo Cavour, e i due militi, pur restando immobili e silenziosi, come lo erano da oltre quattro ore, sembrarono anche loro vibrare a quelle parole: " Io non faccio la spia. "
Duca carezzancora il capo del ragazzo: " Hai ragione, > disse. " Non bisogna mai tradire i compagni, anche quando sono cattivi compagni. Allora perdevi rassegnarti a stare con loro, coi cattivi, ad essere picchiato e deriso da loro. Cio vuol dire che rinunci per sempre a stare con i buoni, come la tua maestra, che anzi, li lasci massacrare, questi buoni, come stata massacrata la tua maestra, percht'importa soltanto che non ti dicano spia. Tutto qui, se qualcuno un giorno ammazza tua madre o tua sorella, tu non dici niente, perchnon fai la spia. E la tua povera maestra era come tua madre e tua sorella, perchcercava di educarti e di darti un po' di civilt non certo per il poco grasso stipendio che prendeva, ma soltanto per affetto, verso di te e verso tutti voi che l'avete uccisa e torturata. Ma quello che t'importa soltanto di non essere chiamato spia. "
Fiorello si rimise a piangere, la faccia sul piano del calorifero.
" E' inutile che piangi, Fiorello, " disse Duca allontanandosi da lui e passeggiando su e giper lo sgabuzzino. " Io lo so che non hai fatto nulla, quella sera, lo so che sei stato costretto a stare l a bere, a guardare, e lo so che avrai preso anche delle botte, se non ubbidivi subito. Tu quella sera non hai commesso davvero nulla. Ma adesso
che tu stai commettendo un delitto, in questo momento, perchtu sai la verite ti rifiuti di dirla, e in questo modo difendi gli assassini della tua maestra, e cosil vero assassino della tua maestra, sei tu, anche se non hai fatto niente, perchproteggi quelli che l'hanno uccisa. "
Adesso il ragazzo non piangeva pi ma non diceva neppure nulla. Dalla finestra, nonostante la nebbia, veniva un chiarore roseo che cominciava a vincere la luce dell'unica lampadina dell'ufficio.
" Vedi, Fiorello, " disse Duca fermandosi ancora vicino a lui, vicino al termosifone, " io non voglio che tu mi dica subito tutto. Tu devi scegliere da che parte vuoi stare, se dalla parte degli assassini, o dalla parte degli assassinati. E hai bisogno di tempo per riflettere, e io ti dartutto il tempo che vuoi perchso che nel tuo caso hai bisogno di tempo. Ma di una cosa voglio assicurarti, e cioche non ti costringermai a fare la spia, non devi aver paura di essere picchiato, minacciato, come ti dicono i tuoi compagni. Se tu parlerai, bene, e se non parlerai, pazienza: ma tu devi decidere da te, liberamente, secondo la tua coscienza. "
Il ragazzo si rimise a piangere, convulsamente, sopraffatto da quelle parole e anche dalla carezza di Duca sul capo, e alzil viso dal calorifero guardando Duca attraverso una nuova improvvisa colata di lacrime. " Io non faccio la spia, " disse.
" Tu farai quello che avrai voglia di fare, " disse Duca. " Torna a dormire, ora sei molto stanco, e se avrai voglia di parlare con me, lo potrai fare in ogni momento. Darordine ai militi che mi avvisino subito appena vorrai vedermi. "
" Io non faccio la spia, " pianse ancora il ragazzo.
Duca non lo ascoltneppure. " Tieni, " gli dette due pacchetti di sigarette e una scatola di fiammiferi. " Io lo so che sei un bravo ragazzo, e anche i tuoi genitori sono della brava gente che adesso soffre tanto per te. Pensa anche a
loro quando penserai se devi stare da una parte o dall'altra. "
Singhiozzando convulso il ragazzo, perchera un ragazzo, quasi un bambino, nonostante quell'aspetto fasullo di torello, prese le sigarette e si lasciportare via dai militi.
Mascaranti si alz andvicino alla finestra. " Il sole, " disse. Infatti la finestra si era tutta accesa di rosa nebbioso, la nebbia era divenuta rosa, e la luce della lampadina non si notava pi
" Chiamami un altro ragazzo, " disse Duca, dando un'occhiata alla sua lista, e non al sole che tentava invano di entrare dalla finestra. " Federico dell'Angeletto. "
Ma anche questo Federico dell'Angeletto, non disse niente, nchi aveva portato in classe l'anice, nchi aveva cominciato a infierire contro la maestra, lui non aveva visto nulla, lo avevano obbligato a restare in classe e a bere, cosche si era addormentato.
" Addirittura dormivi? " disse Duca a voce molto bassa. L'impudenza di certi individui oltrepassa ogni limite. Quello voleva far credere che dormiva mentre i suoi dieci compagni seviziavano e uccidevano la maestra.
" S " disse il ragazzo, Federico dell'Angeletto, " appena bevo un poco mi viene subito sonno. "
" S va bene, " disse Duca, " allora torna a dormire nella tua cella. "
Anche l'interrogatorio dell'undicesimo ragazzo, Michele Castello, diciassette anni, con due anni di riformatorio, dette lo stesso risultato. Lui non sapeva niente, non aveva visto niente. I suoi compagni lo avevano obbligato a bere e a stare l e richiesto di indicare quali erano questi compagni che lo avevano obbligato, rispondeva che era tanto impaurilo in quei momenti che non riusciva a ricordarli.
" Hai ragione, " gli disse Duca, facendo segno ai militi di portarselo via, " con una diecina di anni di galera ti verruna bella memoria, vedrai. "
Erano quasi le otto. Lo stenografo era disfatto dal sonno
e dalla stanchezza. Mascaranti resisteva ma doveva essere molto stanco anche lui.
" Ci rivediamo, " disse Duca, " nel pomeriggio, cosfirmo gli interrogatori. "
" S dottore, " disse lo stenografo.
" Torno fra un paio d'ore, " disse Mascaranti.
" No, per favore, fatti una dormita fino alle due, almeno, " disse Duca. Aspettche fossero usciti, poi formil numero di casa sua.
" Come va, Livia? " domandalla morbida eppure secca voce di lei, Livia Ussaro.
" E' tornata la febbre, " lei disse.
" Quanto? "
" Quarantuno, rettale. "
Significava quaranta e mezzo, lui pens " La respirazione? "
" Non molto bella, " la voce di lei era stanca, molto.
" L'infermiera ha fatto l'iniezione Leather? "
" S alle sei, sono due ore, ma non successo niente. "
Duca si accorse di avere la fronte sudata per quanto nello stanzino non facesse un gran caldo, infatti si passla mano sulla fronte e la ritirbagnata come l'avesse messa su uno straccio fradicio.
" Bisogna chiamare Gigi, " voleva dire il suo collega, il pediatra.
" L'ho gifatto. Viene subito, " disse Livia. " Ha detto che forse sarmeglio portarla all'ospedale e metterla sotto la tenda a ossigeno. "
Polmonite a poco pidi due anni: non irrimediabile, ma non neppure un'inezia. " Fammi telefonare da Gigi, appena viene, " disse Duca. " Io sono sempre qui. "
" Allora vuoi dire che non vieni a vedere la bambina? "
" Non posso. "
" Va bene, " lei disse seccamente.
" Aspetta, voglio parlare con Lorenza, " disse Duca.
" Dorme, ho dovuto darle un sonnifero, appena ha visto
che risaliva la febbre alla bambina si sentita male, voleva venire da te in Questura, allora le ho dato qualche pastiglia. "
Duca disse soltanto: " Grazie, " e depose il ricevitore, e solo in quel momento si accorse che nella stanza era entrato il suo capo, C跫rua, il suo vecchio amico, e amico di pap

C跫rua stava in piedi, appoggiato alla porta chiusa, tutto colorato di rosa dalla luce rossa del sole che entrava dalla finestra attraverso la nebbia.
" Scusa, non ti avevo sentito entrare, " disse Duca. " Buongiorno. "
" Buongiorno, " disse C跫rua, sedendo sullo sgabello davanti alla macchina per scrivere. Era sbarbato e aveva l'aria riposata, e cigli accadeva solo una volta alla settimana, al massimo. " Ho incontrato Mascaranti e mi ha detto che hai interrogato tutti quei ragazzi. "
" Cio vuoi dire che Mascaranti venuto subito a rifischiarti che ho maltrattato quei giovani criminali. "
" Potrebbe anche darsi, ma non ha importanza. Mascaranti ha il dovere di riferirmi tutto quello che fai. " Duca non rispose nulla, e C跫rua, con minacciosa bonariet continu " Mi ha detto che non hai toccato un capello a quei ragazzi, ma che hai fatto qualche cosa di peggio, li hai moralmente seviziati, con ogni genere di minacce, e hai recato offesa alla loro personalitumana anche innaffiandoli di anice lattescente. "
Duca ebbe un riso breve e secco.
" Non ridere, perchnon scherzo, " C跫rua cominciad alzare la voce. " Voglio vedere che fine facciamo tutti e due se la magistratura viene a scoprire che uso fai tu negli interrogatori dell'anice lattescente. "
Ancora Duca ebbe quel riso secco e subito troncato, quasi un tic, piche un modo di ridere.
" Duca, sei stanco, hai passato tutta la notte a interrogare quella melma, hai gli occhi rossi e gonfi, hai bisogno di andare a casa e di dormire. Adesso fra un paio d'ore arriva il giudice istruttore, gli consegnamo questi undici figli di buona donna, lui li manda un po' al Beccaria, un po' a San Vittore, e noi intanto abbiamo finito e ci rilassiamo. "
" Comodo, " disse Duca.
" Viene il momento in cui le cose scomode non piacciono pi In Sardegna, voglio dire al mio paese, invece di arrestare i banditi arrestano i commissari e i brigadieri. Io non voglio finire a San Vittore perchtu perdi la pazienza con uno di quei giovani sporcaccioni e gli rompi qualche dente. "
" Non li ho sfiorati neppure con un dito. "
" Bene, ma lasciamo perdere, " disse C跫rua, " vai a casa a dormire. "
Duca si alze gli andvicino. Si fissarono, cosin piedi, C跫rua piccolo, lui alto, magro. " Lasciami parlare qualche minuto di questi ragazzi, credo di aver scoperto qualche cosa. "
C跫rua rispose dopo parecchio: " Parla quanto vuoi. "
In piedi, Duca parl guardando ogni tanto lui, ogni tanto in terra, senza gestire, le mani e le braccia completamente immobili. " La teoria generale che questi ragazzi, una sera, d'improvviso, a causa di qualcuno di loro che ha portato una bottiglia di liquore, hanno perduto il controllo e hanno commesso quello che hanno commesso. Se accettiamo questa teoria, i ragazzi si faranno al massimo un anno o due di riformatorio perchavranno due attenuanti, una la minore et e due lo stato di irresponsabilitprovocato dall'alcool. "
" Pudarsi, " disse acido C跫rua, " e a te che te ne importa di quanto gli danno? Sono affari che riguardano la magistratura, non te. Tu li vorresti condannati tutti all'ergastolo, vero? "
" Non tutti. Me ne basta uno solo. "
C跫rua alzgli occhi su di lui. " Chi? "
" Non lo so ancora, ma lo sapr Lasciami il tempo, e ti diril nome e ti darle prove. "
Parlava troppo seriamente, pensC跫rua, doveva esser-ci qualche cosa di vero in quello che Duca diceva, ma gli rispose lo stesso acidamente: " E che cosa hai scoperto? Li ho interrogati io prima di te, e non c'era niente da scoprire, sono una massa di carogne e basta. A te hanno detto qualche cosa di pi "
Duca scosse il capo. " No, dieci mi hanno detto le stesse cose che hanno detto a te, ciohanno negato tutto. Ma uno ha detto qualche cosa di pi "
" Chi? "
" Uno di sedici anni, quello che non ha nessun precedente e che viene da buona famiglia. Si chiama Fiorello Grassi. "
" Ah, s mi pare di ricordarmelo. E cosa ti ha detto? "
" Intanto mi ha detto che un invertito. A te non l'aveva detto. "
" No, ignoravo questa raffinatezza, " disse C跫rua. " Ma a che ti serve? "
" Mi serve a stabilire che se c'qualcuno che davvero non ha partecipato al massacro della giovane maestra, lui. Se c'qualcuno che davvero stato costretto a stare l ad assistere, sotto le minacce, proprio lui. "
C跫rua riflett " Pudarsi, ma una scoperta che non ci serve a niente. Serve soltanto al ragazzo che siccome invertito potressere considerato innocente delle sevizie. "
" Serve anche a noi, " disse Duca. " Perchse lui non ha partecipato, vuol dire che non d'accordo con gli altri, e se non d'accordo con gli altri vuol dire che forse ci dirqualche cosa. "
" E perchdovrebbe dirtelo? " C跫rua alzle spalle. " Per simpatia? " disse irridente.
Duca sorrise. " Mi ha detto che lui non fa la spia. Sai che cosa significa questo? "
" Significa che ha ragione di non fare la spia, " disse C跫rua. " Perchse fa la spia e dice chi sono i primi che hanno cominciato quel massacro, quando si ritrova al Beccaria i compagni che ha denunziato, gli fanno la pelle, o qualche cosa di peggio, e non la prima volta che succede. "
" Invece questo ragazzo parler lo sento, e scopriremo qualche cosa di molto diverso da quello che immaginiamo."
" Che cosa? "
" Senti, questa non soltanto un'orgia di ragazzi resi furiosi dall'alcool. Qui c'qualcuno, un adulto, che alle spalle di tutta questa mostruosa storia, anzi, io direi che l'ha organizzata. "
C跫rua stette zitto, poi disse: " Sediamoci, " poi disse ancora: " Che cosa vuoi dire? "
" Quello che ho detto, " anche Duca sedette, ma sul tavolo. " I ragazzi non c'entrano, sono dei delinquenti, capaci di fare anche di peggio di quello che hanno fatto, ma da soli non avrebbero mai saputo organizzare un simile scempio. "
" Che prove hai che c'qualcuno alle loro spalle? "
" Prove nessuna. Solo congetture. La prima la loro linea di difesa. I ragazzi hanno seviziato e ucciso la loro maestra, poi sono usciti dalla scuola e sono andati tranquillamente a casa. Adesso, cerca di capire: se fossero stati soli, se non avessero avuto nessuno a guidarli, dopo un simile bestiale assassinio, spaventati, avrebbero cercato di fuggire, sapendo bene che appena scoperto il cadavere della maestra la polizia sarebbe andata a cercarli proprio a casa. Perch allora, sono andati a dormire tranquillamente a casa? Perch secondo me, qualcuno che sa, li ha istruiti prima. Voglio dire ancora prima di commettere il delitto. "
C跫rua pens A lui personalmente non piaceva Duca Lamberti. Approfondiva troppo le cose, di un modesto borseggio al supermercato era capace farne un trattato di filosofia, lui preferiva il bianco e il nero, il fuori o dentro, non le sottigliezze whiteheadiane. Peraccettava la verit anche se arrivava da una strada diversa, piena di quelle sottigliezze a lui odiose. Sentche Duca aveva trovato un filo di verit " Tu vuoi dire, " disse lentamente per farsi capire meglio, " che non si trattato di un fatto avvenuto per caso, tra ragazzi esaltati dall'alcool, ma che stato volutamente organizzato da qualcuno fuori, da qualcuno che non minorenne, nallievo della scuola. Tu vuoi dire questo? "
" Io voglio dire questo: esattamente questo, " disse Duca. " E' stato tutto preparato scientificamente prima del delitto, forse da giorni, forse da settimane e mesi. Pensa alla linea di difesa di questi ragazzi. Escono fuggendo dalla scuola, dopo aver quasi sbranato una povera maestra, ubriachi fradici. Vengono arrestati poco dopo mezzanotte a casa loro, mentre smaltivano la sbornia, e interrogati rispondono tutti la stessa cosa, dicono tutti, cio che loro non hanno fatto niente, che erano stati costretti a mettersi in un angolo, mentre gli altri facevano tutto. Quindi sono tutti innocenti, uno per uno. E' una linea di difesa assurda, eppure incrollabile. Come possiamo noi dimostrare che il ragazzo che interroghiamo ha partecipato al massacro? Lui dice: gli altri, s sono colpevoli, io no. Non lo potremo dimostrare mai. Ora questa linea di difesa non la possono ideare una quasi dozzina di teppe come quelle, istupiditi dall'anice, non la possono ideare cosal momento, e poi trasmettersela dall'uno all'altro dopo il delitto. Questa linea di difesa stata studiata prima del delitto, e da qualcuno piintelligente e non ubriaco come quei ragazzi. "
Insolitamente, C跫rua approvcol capo. " E cosa vorresti fare? "
" Occorre che quei ragazzi rimangano qui, da noi. Se il giudice istruttore li manda un po' al Beccaria e un po' a San Vittore, non sapremo mai la verit nessuno di loro parlermai, e l'assassino, il vero assassino della maestra rimarrimpunito, che esattamente quello che vuole la persona che ha ideato il delitto. "
Questa volta C跫rua scrollil capo. " E come potrei fare io, secondo te, a impedire al giudice istruttore di assegnare i ragazzi al Beccaria o a San Vittore? "
" Non lo so, ma bisogna che i ragazzi restino qui, in Questura, a nostra disposizione. In due o tre giorni qualcuno parla, ne sono sicuro. Che gliene importa al giudice che i ragazzi stiano qui invece che al Beccaria? "
" Sai, pare che ci sia un codice di procedura penale, forse ne hai sentito parlare anche tu. "
Duca sorrise. " S ne ho sentito parlare. Ma l'importante di scoprire chi ha commesso un reato. "
" Lasciamo perdere le discussioni, " disse C跫rua alzandosi. " Non credo di poter convincere il giudice istruttore, ma lo tenter Chiederuna proroga di tre giorni, ti bastano? "
" Penso di s "
" Se riesco te lo faccio sapere. Adesso vai a casa a dormire, hai una faccia che non mi piace. "
" Grazie, " disse Duca. Quando C跫rua fu uscito si mise la giacca, usc fermun tasse anda casa. Sembrava una giornata di primavera, una primavera inverosimile, satura di nebbia, ma nebbia trasparente, che lasciava passare la luce del sole incendiando quella stessa nebbia. Ci si vedeva al massimo per cinque o sei metri di strada, ma quel non vedere oltre, era pieno di luce solare. In piazza Leonardo da Vinci la nebbia era ancora pifitta, eppure ancora piluminosa, e quasi non si vedeva la cima degli alberi del piazzale giardino.
Suonil campanello. Nessuno rispose, nqualcuno venne ad aprire. Allora aprcon la chiave e appena vide la piccola anticamera capche in casa non c'era nessuno: le case senza nessuno danno subito un senso di angoscia. Sperdi sbagliarsi e girper le tre stanzette e la cucina che formavano il piccolo appartamento. Non c'era nessuno, peggio ancora, nella camera di sua sorella Lorenza, c'era tutto il disordine che puesserci in una casa abbandonata in fretta, anzi, fuggendo: il lettino della piccola Sara per traverso, il contenitore per l'ipodermoclisi rovesciato a terra, e perfino, in anticamera, il ricevitore del telefono che non era stato riappeso sulla forcella, e che pendeva, emettendo il suo implacabile tu tu tu tu. Non era difficile immaginare che cosa fosse successo: la bambina si era improvvisamente aggravata e l'avevano portata d'urgenza all'ospedale.
Duca prese il ricevitore del telefono e lo depose sulla forcella. Poi pensun momento. Non c'era possibilitdi sbagliare: la bambina si era aggravata improvvisamente, Livia e Lorenza avevano chiamato l'ambulanza e l'avevano portata all'ospedale. L'ospedale non poteva essere che il Fatebenefratelli, quello dove lavorava l'amico Gigi, il pediatra. E intanto che pensava questo formil numero di telefono del Fatebenefratelli e chiese di Gigi.
" S dottor Lamberti, " disse la voce gentile della centralinista, " le passo subito il professore. "
" Grazie. " Attese, poi udil " pronto? " di Gigi e disse subito: " Che cosa successo? "
" Senti... " disse Gigi.
" Sento! " Duca quasi url " sento benissimo, che cosa successo? "
" Dove sei, in Questura? " disse Gigi.
" Che te ne importa dove sono, " urlDuca, " ti ho detto di dirmi che cosa successo. "
" Allora te lo dico, " disse Gigi, la voce gli si appassiva a ogni sillaba che diceva, " stamattina prima delle otto abbiamo dovuto portarla qui all'ospedale, ^'era stato un collasso. " Gigi riprese fiato, poi disse: " E' morta durante il tragitto. "
Duca non disse nulla, e neppure Gigi, per quasi un minuto, non dissero neppure: " Pronto, mi senti? " sapevano benissimo che si sentivano.
Poi Gigi disse: " Capita un caso cossu centomila, ma accade, " entrnei dettagli tecnici del collasso e Duca, come medico, li ascoltavidamente, e capche non era colpa di nessuno, che era semplicemente andata cos come una valanga, che non si poteva prevedere nulla, che nessuno oggi muore di polmonite, escluso un caso su centomila, e che Sara, la piccola Sara, la bambina di Lorenza era proprio quel caso su centomila.
" Grazie per quello che hai fatto, " disse Duca. " Vengo subito. "
" S meglio, " disse Gigi, " Lorenza non sta molto bene. "
" Vengo subito, " disse Duca. Depose il ricevitore. Stupidamente pensche doveva cercare un impresario delle pompe funebri, e poi parlare col parroco, e i fiori, poi la mente si rifiutdi pensare a quelle cose e guardando in terra si accorse che c'era una scarpina di lana della piccola Sara: nella fretta di portarla via, all'ospedale, cosin stato di collasso, le era sfuggita dal piede la scarpina e nessuno nell'orgasmo di quel momento se ne era accorto, e la scarpina era rimasta l Si chinper raccoglierla e in quel momento squillil telefono. Lo lascisuonare, prese la scarpina, ormai cosinutile, e se la mise nella tasca dei calzoni. Il telefono continuava a suonare, allora staccil ricevitore. " Pronto? " disse.
" Dottor Lamberti, sono Mascaranti. "
" Cosa vuoi? "
" Lei mi ha detto di telefonare appena c'era qualche cosa di nuovo. "
" Sbrigati: cosa vuoi? "
" Quel ragazzo, quello che non giusto, " disse Mascaranti.
" S avanti, ho capito, Fiorello Grassi. " Sentiva di essere molto nervoso, ma non riusciva a controllarsi.
" S lui, " disse Mascaranti, intimidito da quel tono nervoso, " questo ragazzo vuole parlare con lei, subito, ha detto subito, io l'ho visto, ha detto che vuole parlare con lei e che solo a lei dirquello che deve dire. "
Duca sentiva la scarpina di lana nella tasca dei calzoni, col tatto, e con l'udito sentiva quello che gli diceva Mascaranti al telefono: il ragazzo voleva parlare. Il ragazzo, nella sua cella, aveva riflettuto a quello che lui gli aveva detto, e adesso " avrebbe fatto la spia ". Questo significava scoprire la verit
" Va bene, " disse a Mascaranti. " Porta subito il ragazzo fuori dalla cella. Portalo su nel mio ufficio. Fagli bere o mangiare qualche cosa. Digli che vengo subito, subito, il tempo di... " s'incepp aveva letto troppa psicanalisi per non sapere che le emozioni bloccano quelli che si possono chiamare i circuiti concezionali.
Forse anche Mascaranti, senza sapere niente di psicanalisi, intula cosa e lo aiut " S dottore, stia tranquillo, lo porto subito fuori dalla cella, e lo tengo nel suo ufficio, finchlei non arriva. "
" Grazie. " Sarebbe andato subito in Questura, a parlare col ragazzo. Gli occorreva solo un quarto d'ora, per vedere sua sorella, e la bambina. Non di pi
Capitolo terzo
I figli non raccontano mai niente ai genitori. Parlano solo con gli amici, confessano tutto al primo che incontrano al bar o per la strada, ma al padre o alla madre non fanno mai nessuna confidenza.
Non di pidi un quarto d'ora. Il tempo di andare in tassal Fatebenefratelli, di domandare dove era la piccola Sara Lamberti, perchla bambina aveva il nome della mamma, che era una mamma illegale, non sposata,'il tempo di salire al reparto pediatrico nella stanzetta vicino all'infermeria dove era stata sistemata la morticina, e nella stanzetta c'era la piccola, gicomposta, nel suo lettino, c'era la mamma illegale che non piangeva neppure pi in una poltrona, che sembrava assopita, e lo era, per tutti i sedativi che le avevano dato e che apra metgli occhi quando lui le fece una carezza sulla fronte, poi li richiuse, poi li riaprgonfi di lacrime; e c'era Livia Ussaro vicino a lei, in piedi che lo fissava col suo viso che sembrava sempre abbronzato, anche in pieno inverno, e l'abbronzatura non era che un fondo di tinta che nascondeva pietosamente tutte le cicatrici che le tempestavano il viso, nonostante le varie plastiche fatte e tutto il tempo passato. E vi era anche il profumo del grande fascio di rose bianche che era sul comodino, vicino al letto della bambina che stava facendo l'ultima e definitiva nanna.
Duca Lamberti si chinsulla piccola e la bacisulla fronte. Non era ancora del tutto fredda, constatobiettivamente, da medico. Poi fece una carezza sulle guance gicospallide e un poco violacee. " Addio, Sara, " pens
Non pidi un quarto d'ora. Il tempo di abbracciare Lorenza e tenerla cosstretta tra le braccia finchlei non smise di singhiozzare convulsa, e non si riadagistordita
nella sua poltrona, stordita, oltre che dal dolore, da tutte le pastiglie che Gigi le aveva fatto prendere.
Il tempo di uscire un momento dalla stanza con Livia e di parlarle nel corridoio, tra le infermiere, i medici, gli inservienti che passavano.
" Livia, devo tornare subito in Questura, un lavoro che non posso abbandonare, resta qui vicino a Lorenza, fai tu tutto quello che occorre, io telefonerogni tanto. Non posso fare diversamente. "
Lei lo fisscoi suoi occhi freddi eppure commossi, col suo viso cosintenso e cosdisseminato di segni e di tagli. " Vai pure, penso io a Lorenza, " alzlentamente la mano e gli sfioruna guancia, tutta pungente di barba. " Non ti preoccupare, fario tutto quello che c'da fare. "
" Grazie. "
Non pidi un quarto d'ora: ancora tre minuti, il tempo di andare dal Fatebenefratelli alla Questura, di salire nel suo ufficietto, ansando per il ricordo della bambina distesa rigida nel lettino, aprire la porta e trovarsi davanti il milite di guardia, Mascaranti, e seduto in un angolo il giovane Fiorello Grassi, il ragazzo anormale che voleva parlargli, subito.

Il ragazzo era seduto davanti al tavolo che faceva da scrivania e aveva l'espressione totalmente alterata, gli occhi dilatati, continuava a passarsi la lingua sulle labbra, teneva una mano su un ginocchio, ma nonostante tenesse quella mano cos ancorata al ginocchio, la mano tremava lo stesso.
Duca Lamberti non sedette dall'altra parte del tavolo, prese una sedia e sedette accanto al ragazzo. " Sei troppo agitato, " gli disse, " se non ti senti di parlare, non fa niente. Fai quello che vuoi tu, io non ti obbligo, nessuno ti obblighermai a niente, nnoi della polizia, nal Beccaria, nil giudice. Puoi parlare se vuoi, e se non vuoi non parlare. " Di solito gli anormali gli erano odiosi, specialmente se cosgiovani, ma per ragioni profondamente oscure, quello gli ispirava compassione.
" Io non ho fatto niente, " disse Fiorello Grassi. Di colpo si buttaddosso a lui, appoggiandogli le mani sulle spalle e singhiozzando aspro: " Io non ho fatto niente. "
Benchil contatto con quel ragazzo anormale non gli fosse proprio molto gradito, Duca sentcossincero l'intenso pianto di lui, che lo sopport " Va bene, non hai fatto niente, io ti credo, vedrai che ti crederanno anche i giudici, tu sei un bravo ragazzo, sei incapace di fare del male, io lo so. "
" Io non ho fatto niente, " il ragazzo continuava a singhiozzare, ma le parole buone di Duca avevano reso i singhiozzi meno aspri. Si staccda lui, continuando a piangere, " ma io so chi stata la causa di tutto. "
Duca riflettbene, perchil ragazzo parlava e pronunziava molto chiaramente, e se aveva detto: " Io so chi stata ", invece che " stato ", non si trattava di una confusione di vocali, si trattava che lui voleva dire che era " stata " una donna, e non " stato " un uomo. " Se vuoi dire chi stata, ci faciliterai molto il lavoro, " disse fraterno al ragazzo.
" No, non lo dico, ho gidetto troppo. " Il ragazzo non piangeva pi ma le mani gli tremavano sempre. " Piuttosto mi ammazzo. "
" Hai detto che stata una donna, " disse Duca.
" No, non ho detto che stata una donna, " si rimise a piangere, disse convulso: " Sono un vigliacco, una spia, s stata una donna, stata una donna, stata una donna, ma non dico piniente, " cominciava a urlare, ad agitarsi sulla sedia, per la crisi isterica, e Duca dovette tenerlo fermo.
" Non gridare cos stai calmo, " gli carezzuna guancia rigata di lacrime.
Il ragazzo anormale sentl'influenza di quella carezza sulla guancia e abbasssubito la voce. " Va bene, non grido, ma non dico piniente, non farmi dire piniente, perchse no, appena posso, mi spacco la testa contro il muro. "
Duca lo accarezzancora sulla guancia. Aveva molti mezzi per costringere il ragazzo a dire tutto, perchera evidente che il ragazzo sapeva molte cose, se non ogni cosa, come tutti gli altri ragazzi, e nell'interesse della giustizia aveva il diritto di usare ogni mezzo lecito per farlo parlare. Che poi il ragazzo, in seguito alla sua confessione che per lui era una delazione infamante, si spaccasse la testa contro il muro appena solo in cella, questa non sarebbe stata una grande perdita per la societ un giovane invertito implicato nel mostruoso massacro di una povera maestrina, non che la societumana vada in fallimento, se lo perde. Ma Duca vinse il suo impulso amaro e disse pietosamente: " Ti ho detto di stare calmo. Non ti chiedo piniente, non voglio sapere piniente, " ancora lo carezz sui capelli, veramente impietosito.
" Adesso ti faccio mandare in infermeria, hai bisogno di riposo, di calma, e di qualche cura. Stai tranquillo, nessuno ti chiederpiniente. " Aveva esattamente capito che il ragazzo si sarebbe ucciso se fosse stato forzato a fare una confessione, e lui non voleva che morisse, perchera un ragazzo tarato, ma non era un delinquente.
" Non mandarmi insieme ai miei compagni, " gemette il ragazzo, " se sanno che ho detto che stata una donna mi ammazzano, peggio di come hanno ammazzato la maestra. "
" Ti proteggeremo, non aver paura, " disse Duca. Il ragazzo sentnella promessa di Duca una promessa sincera. Si asciuggli occhi con le mani, esausto, ma non piatterrito.
" Portalo in infermeria, " disse a Mascaranti, " non mandarlo con gli altri finchnon te lo dirio. "
" S dottore. "
, Il ragazzo usccon Mascaranti e il milite, Duca restsolo nel piccolo ufficio, non c'era quasi pinebbia, dalla finestra si vedevano distinti, anche se ancora un poco flou, gli alberi 'di via dei Giardini, e le donne dagli stivali dai vivaci colori. Ora aveva un po' di tempo per sua sorella Lorenza. Non troppo.
Tornall'ospedale Fatebenefratelli. Nella stanzetta c'era ancora la piccola Sara con un bavaglio legato sotto il mento perchla bocca non le restasse aperta. C'era ancora sua sorella seduta vicino al lettino, e c'era ancora Livia Ussaro in piedi vicino alla finestra. In silenzio Duca sedette vicino a Lorenza. Non c'era niente da dire, e nessuno disse niente. Le uniche voci venivano da oltre la porta, c'era una suora che gridava: " Ma insomma, io ho solo due mani, non posso mica fare tutto. "
" E' stata una donna, " disse Duca.
C跫rua disse: " Come fai a saperlo? "
" Me l'ha detto uno dei ragazzi. "
" Chi? "
" Quello di sedici anni, che non gli piacciono le donne. "
" Quello che tieni in infermeria da una settimana, " disse C跫rua cominciando ad arrabbiarsi. " Ricordati che qui la Questura di Milano, non un ospizio di beneficenza. " Abbassla voce, ma nello stesso tempo parlpirabbiosamente. " Non me ne importa niente che i suoi compagni lo picchino perchpensano che abbia parlato, voglio solo liberarmi da questa marmaglia e da tutta questa storia. "
Pacato, la stanchezza rende pacati, Duca disse : " Non ti interessa sapere chi ha spinto al massacro quei ragazzi? "
" No, non m'interessa. Ci sono molti casi piimportanti, ogni giorno qui a Milano avviene una rapina, sparano e ammazzano, questo piurgente. "
Duca aspettche C跫rua si fosse calmato, poi disse: " Quei ragazzi non avrebbero commesso niente se non ci fosse stata una donna a organizzare tutta la cosa. Io voglio sapere chi questa donna. "
" A me no, non me ne importa niente, " disse violento C跫rua. " La maestra stata seviziata e uccisa da quella marmaglia. Se c'un mandante salterfuori al processo e anche prima, per scoprirlo tu non devi fare nulla, prima del processo passeranno mesi e mesi, e in questi mesi e mesi vedrai che i giovanotti finiranno per parlare e dire chi Il mandante. " C跫rua alzle spalle. " Il nostro lavoro gitroppo complicato, non complicarlo ancora di pi "
S era vero, pensDuca, non occorreva affannarsi tanto: la veritsarebbe venuta fuori da sola, non c'era bisogno di sbracciarsi. Chiusi in galera o nel riformatorio, per tanti mesi, i ragazzi avrebbero finito per parlare. C跫rua aveva ragione. Perdisse: " M'interessava saperlo subito, chi era questa donna. "
" Ah, curiosit " disse C跫rua, irridente, ". fai il poliziotto semplicemente perchsei curioso, adesso l'ho capito. " Si tolse la giacca perchil suo ufficio era anche troppo riscaldato, e disse con voce normale e molto seria: " Non posso pitenere questi ragazzi qui in Questura. E' un abuso, mi hanno gitelefonato dal Palazzo di Giustizia. "
". S capisco, " disse Duca, " consegna pure questi ragazzi all'autoritgiudiziaria, ma avverti il magistrato di far sorvegliare bene Fiorello Grassi, altrimenti sarucciso dai suoi compagni, o si uccider "
C跫rua assent poi disse: " Perchsei tanto sicuro che sia una donna? Te l'ha detto un ragazzino di sedici anni che ha raccontato piballe in sedici anni, di quelle che ho raccontato io in cinquanta anni e oltre. Ti fidi troppo. "
" Non solo perchme l'ha raccontato un ragazzino, " disse Duca, " l'avevo giun po' intuito io. "
" E da che cosa? "
" Dall'isteria disordinata, irrazionale del delitto, " disse Duca.
" Che cosa hai detto? Guarda che io non sono molto intelligente, che cosa vuol dire isteria disordinata? " C跫rua lo guardava beffardo. " C'forse un'isteria ordinata? "
" Vuol dire questo, " disse Duca preciso, " che se tu, uomo e non isterico, odii una persona e vuoi ucciderla, non fai altro che andare da questa persona e spararle. Fai una cosa vietata dalla legge, ma fai una cosa razionale, cio odii e di conseguenza spari. Ma una donna isterica no, una donna isterica odia, ma cerca di saziare il suo odio indirettamente, senza pericolo personale, e nel modo picompleto possibile. A una donna isterica non basta la semplice morte della persona che odia, lei vuole una morte torturante e teatrale, perchle donne isteriche sono anche istrioniche. Conosci la radicale di isterico e di istrionico? Certo s ma non la ricordi. Viene dal greco yst廨ikos, e dal sanscrito ustera, che indica una parte profondamente femminile. "
" Credo di aver capito, vai avanti. "
" Una parte profondamente femminile, dicevo, " continuDuca, " e anche istrionico, per alcuni filologi ha la stessa radicale che si riallaccia a quella parte profondamente femminile. Una donna, insomma, quando vuole uccidere, non solo commette un delitto, ma mette in scena anche un'opera teatrale, una tragedia. Quello che successo nella scuola serale un'opera teatrale, macabra e terrificante, ma teatrale, istrionica e ho pensato anch'io che poteva essere stata una donna, la regista di questo sanguinoso lavoro teatrale. Oppure... "
C跫rua lo interruppe freddamente: " Oppure? " gli piaceva sempre meno la filosofia.
" Oppure un uomo che uomo solo in apparenza, ma che uomo non " disse Duca.
Si guardarono, poi C跫rua abbasslo sguardo. " Quel tuo ragazzo, Fiorello Grassi, appunto il caso, uomo solo in apparenza, ma uomo non " disse.
" Penso anche a lui, " disse Duca. " Le sorprese che possono dare gli invertiti sono infinite. Ma ci penso poco, perchlui dentro, e se stato lui il direttore del massacro, lo trovo sempre, ogni volta che voglio. Ma io voglio cercare la donna, adesso, prima che questa donna fugga. " Il viso di Duca s'illivid di segreta rabbia. " Voglio portartela qui, incartata nel lungo foglio di carta nel quale la obblighera scrivere la sua confessione, perchse non c'era questo mostro, quei ragazzi, per marmaglia che siano, non si sarebbero scatenati fino a quel punto e tanto meno in un'aula scolastica, con una maestrina neppure troppo piacente, quando da piazzale Loreto al Parco Lambro hanno tutti i posti che vogliono per organizzare certe festine senza correre quasi nessun pericolo di essere presi. Lasciamela cercare questa cosa che ha certo una forma umana, lasciamela cercare, te la trovo e te la porto qui, perchuna belva simile non deve girare liberamente, non giusto. "
C跫rua guardla mano di Duca che batteva sul tavolo, incidendo le parole, a palmo aperto, che battuna due tre quattro volte. Non aveva mai capito veramente perchDuca - e anche il padre di Duca - ci temessero tanto alle cose giuste, alla giustizia, perchvolessero rendere cosdifficile la vita, che era gitanto difficile, con quelle complicazioni di giusto e giustizia. Ma una cosa comprendeva: che doveva tenersi Duca coscome era, cambi跫lo non si poteva.
" Certo che te la lascio cercare questa donna, " disse stanco e sarcastico, " ricordati solo che rappresenti il braccio della legge, " ridacchisommesso, " e della giustizia. Non combinarmi storie che ci facciano perdere il posto. "
" Grazie, " disse Duca. " Ho bisogno anche di un'auto. "
" Fattela dare da Mascaranti. "
" Grazie, " disse Duca. " Sai che non mi piace guidare, avrei bisogno anche di un autista. "
" Guida Mascaranti, no? Come le altre volte. "
" Questa volta Mascaranti non va bene: vado a cercare donne, meglio che sia aiutato da una donna che mi farebbe anche da autista. Avevo pensato a Livia Ussaro. "
C跫rua si tirun po' su i calzoni tenuti da sottili bretelle rosse. " Per colpa tua ha la faccia gitutta sfregiata. Adesso vuoi combinarle qualche altro guaio. "
" No, un lavoro che le piace,, gliene ho giparlato, ha detto di s "
" Fatti guidare la macchina da chi vuoi, ma ufficialmente sei solo tu che fai l'indagine. ",
" Grazie, " disse Duca. Fece due passi verso la porta ma la voce di C跫rua lo ferm una voce completamente diversa, irriconoscibile da quella del burrascoso, aspro funzionario di polizia. " Come sta Lorenza? "
" Non bene, " disse Duca volgendosi solo un poco. Erano passati solo due giorni dal funerale della piccola, non poteva stare benissimo.
" Vorrei vederla, uno di questi giorni, " disse C跫rua.
" Puoi venire quando vuoi, sempre a casa, " disse Duca.
" Grazie, " disse C跫rua.

Duca usc anda cercare Mascaranti, e Mascaranti gli trovsubito una grossa duemilatrnera. Duca si mise al volante e uscdalla Questura nella mattinata gelida ma tutta sole, poteva sembrare una giornata di primavera assolata, se non fosse stato per il freddo. Guidpiano ma con molta rabbia nel traffico asfittico, andprima in via Giardini all'angolo con via Croce Rossa, parcheggila macchina sul marciapiede, sul parabrezza era ben visibile la scritta POLIZIA, caso mai a qualche vigile zelante fosse venuto il desiderio di dargli la multa ed entrnel negozio di articoli sportivi Ravizza, dove mostrla sua tessera e chiese una Beretta B 1, e gli dettero appunto una Beretta B 1, che era una rivoltellina per signora, piatta piatta e di un elegante colore bronzo vecchio. Gli dettero anche due scatole con i caricatori e Duca risalin macchina e guidfino a piazza Leonardo da Vinci. In terra, intorno agli alberi della piazza, era ghiacciato. Cossenza cappello e senza palt coi capelli rasi, aveva un po' di freddo.
" Guarda che faccia hai per il freddo, " disse Livia che era venuta ad aprirgli, " mettiti almeno il cappello. "
Lui richiuse la porta. " Dov'Lorenza? "
" In cucina, stiamo lavorando. " Livia abbassla voce, per non essere udita da Lorenza, dato che in un appartamento piccolo come quello l'anticamera troppo vicina alla cucina. " Ieri abbiamo lavato tutta la roba della bambina, stamattina era asciutta e la stiriamo e la mettiamo via. Ho gitelefonato al Brefotrofio, la prendono volentieri quella roba, molto bella. "
Duca non rispose nulla, entrin cucina, Lorenza stava stirando un grembiulino rosa a bordini bianchi, su una sedia vi era una grossa scatola di cartone, piena di roba gistirata e ordinatamente sistemata. Dall'altro lato del tavolo vi era un mucchio di altre cose da stirare, tutto il corredo della piccola Sara, dall'anno Zero fino all'anno Due, Due mesi e Quattordici giorni.
" Ciao, Duca, " disse Lorenza.
Lui le appoggiuna mano sulle spalle, poi si accese una sigaretta e sedette a capotavola aspirando il caldo odore del ferro da stiro e di tutte quelle piccole, minime vestimenta che emanavano un tepido aroma di detersivo.
" Lei stira, e io agucchio, " disse Livia, sedendo anche lei e prendendo una maglietta per esaminarla e scoprire qualche piccolo buco, da rammendare.
" Dammi una sigaretta, Duca, " disse Lorenza, riponendo ben stirato, nello scatolone, il grembiule rosa.
Le dette la sigaretta e gliel'accese, riuscendo a non guardarla in viso, perchnon ne aveva nessun bisogno, conosceva a memoria i segni che la dolorosa lacerazione per la morte della piccola avevano lasciato sulla sua faccia.
" E una anche a me, " disse Livia.
Lorenza tirfuori dal mucchio di roba da stirare una piccola tuta giallo arancio, un pigiamino estivo con un grosso Micky Mouse marrone stampato sul petto. Duca osservle due donne per un poco, poi disse: " Livia ed io andiamo a fare un giretto, hai bisogno che ti compriamo qualche cosa? "
" S " disse Lorenza, continuava a stirare a capo basso, passando delicata sul Micky Mouse col quale la piccola Sara aveva tanto giocato e riso, accarezzandolo sul grembiulino, " della mostarda ".
Duca disse: " Quella, la frutta, non la senape in pasta? "
" No, la mostarda, la frutta, se ci sono le ciliegie e i fichi, li preferisco, " disse Lorenza.
" S lo so io dove c'un posto che ha la mostarda buonissima, " disse Livia. Erano giorni che Lorenza non mangiava niente, lei che le era stata sempre vicino lo sapeva e il sano istinto di Lorenza le impediva di lasciarsi morire cos e cercava di sopravvivere al suo abisso di dolore tentando di risvegliare l'appetito con qualche cosa che le piacesse.
" Te la portiamo subito, " disse Duca. Si alz mise la sigaretta sotto il rubinetto del lavandino per spegnere la brace poi buttla sigaretta nel secchio della pattumiera. Poi subito dopo, quasi inconsultamente, se ne accese un'altra.
Lorenza dispose nella scatola la piccola tuta gialla stirata. " Non c'fretta, fate prima il vostro giretto, " sollevil viso e gli sorrise, poi lo riabbassper cercare un'altra cosa da stirare.
Duca e Livia uscirono, Livia si mise al volante della duemilatr " In via Vitruvio c'un salumiere molto buono, " disse.
Lui accenndi s Dal salumiere Livia ordindue etti di mostarda, poi anche un cestino pieno di maccheroni gratinati, caldi caldi, appena preparati. " Credi che li manger " disse Duca.
" Dopo la mostarda, s " disse Livia.
Ritornarono in piazza Leonardo da Vinci, Duca restin macchina, mentre Livia saliva, quasi volava, coi suoi pacchetti, da Lorenza, perchbisogna nutrirsi, qualunque cosa accada nella vita. E ritornquasi subito, si rimise al volante, domand " Dove devo andare? "
Duca accenndi s " Prima prendi questa, " le disse.
" Io non porto armi, " disse Livia.
" S lo immaginavo, " disse Duca, " allora scendi e vai dove ti pare, non con me. "
" Questo un ricatto, " disse lei.
" S un ricatto. O ti tieni questa rivoltella o scendi. "
" Non ho mai portato armi. Perchdovrei portarle ora? "
" Perchlo dico io, se no scendi, " disse Duca.
Livia lo fiss molto offesa e, se non con odio, con un profondo senso di delusione. " Devo subire un sopruso, non puoi piegarmi cos come una schiava. "
" Va bene, le discussioni filosofiche le faremo dopo, adesso guarda bene la rivoltella. Non aver paura, scarica. "
" Perchtu ritieni che io debba aver paura? " disse Livia, il sole impietoso di quella polare mattina, con la sua luce radente illuminava tutte, crudelmente, le sue cicatrici. Comunque, era pur sempre una donna molto faticosa con le sue domande troppo sottili.
" Scusami, hai ragione, ho sbagliato a parlare, non volevo dire che tu non dovevi aver paura, volevo solo dirti che non hai bisogno di stare attenta, perchla rivoltella scarica. Ma ti devo insegnare appunto a caricarla. " Duca prese dalla tasca della giacca la scatolina coi caricatori. " Guarda, semplice, tira quel piccolo gancio, questo, s "
Lei tir Venne fuori una scanalatura, con tanti cerchietti vuoti: il caricatore.
" Tu levi questo, " spiegDuca, " cioil caricatore vuoto, e ci metti dentro questo, cioil caricatore pieno. Guarda come. "
Attentamente, Livia guard
" Adesso, fai tu, come ho fatto io. "
" S " lei disse freddamente. Tolse il caricatore pieno, vi rimise quello vuoto, spinse in fondo, poi tir tolse di nuovo il caricatore vuoto, e vi mise quello pieno. " Va bene, cos "
" Va benissimo, per adesso stai attenta alla sicura, " disse Duca, eccola qui, spingi in fondo questa sbarretta rigata, in modo da coprire le righette rosse: quando si vedono le righette rosse stai attenta perchquesta roba spara anche da sola, soltanto a guardare il grilletto.
Lei spinse la sbarretta. " Cos "
" S cos Ora possiamo andare. "
" Dove andiamo? "
" Prima metti la Beretta e i caricatori nella borsetta, " disse Duca, " e fammi una promessa. La promessa di portare sempre questa rivoltella, e di usarla appena ti senti in pericolo, senza paura. "
Lei lo guard forse come la maestra guarda il suo allievo un po' bizzarro. " Perchmi parli cos "
" Perchvoglio che se tu partecipi al mio lavoro, tu possa difenderti. Se sei pacifista, lasciami fare da solo. " Forse se le avesse dato un'arma, quella volta che l'avevano sfregiata, avrebbe potuto difendersi e salvarsi. Non voleva che si ripetesse qualche cosa di simile.
Allora Livia Ussaro mise nella borsetta la Beretta B 1 e i caricatori, seccamente ma disciplinatamente, e ripet " Dove andiamo? "
" In via General Fara, vai alla Stazione Centrale, poi ti insegno la strada io. "
Lei mise in moto dolcemente, guidava molto bene. " Da chi andiamo? " domand
" Da un padre, " disse soltanto Duca.

Per quanto a lui, Duca, non piacesse, anche i criminali e i delinquenti avevano dei genitori. In un senso astratto e metafisico i genitori hanno sempre un po' colpa se i figli sono dei criminali. Praticamente ne hanno un po' meno, perchun uomo diviene criminale anche per colpa dell'ambiente, non lo soltanto per costituzione ereditaria. Ma una cosa certa: non esiste assolutamente il caso in cui il padre o la madre o tutti e due insieme non abbiano nessuna colpa di come cresce il figlio.
" Come, un padre? " disse Livia guidando.
" E' il padre di uno di quegli undici ragazzi che ho interrogato un po' di giorni fa, " spiegDuca. Pensancora una volta che nella cartella delle informazioni, questo padre, cioil padre di Federico dell'Angeletto, era definito genericamente "onesto genitore". Ma delle definizioni cossintetiche, Duca Lamberti si fidava pochissimo. In base a quali indagini era stata messa a Antonio dell'Angeletto la qualifica di " onesto genitore ", che comprendeva anche sua madre? L'aggettivo " onesto " impegnativo, Duca pensava che prima di definire qualcuno con questo aggettivo occorreva fare delle indagini un po' approfondite. " Adesso prendi via Galvani, e la seconda a sinistra via General Fara, " disse a Livia.
Non aveva molta fiducia nell'interrogare i genitori di quei ragazzi, in fondo sarebbe stato un lavoro inutile, ma le note caratteristiche di uno dei ragazzi lo avevano fatto riflettere. Federico dell'Angeletto era definito come prealcolizzato, a diciotto anni non una bella qualifica. Uno si pualcolizzare, cosgiovane, ma allora la predisposizione la prende dai genitori, ma i genitori erano definiti come " onesti ", e se vero che un alcolizzato puessere onestissimo, un funzionario come C跫rua non mette " onesti genitori " se non perchmale informato, altrimenti mette " padre alcolizzato ". Questa era la sua idea.
" Ecco via General Fara, fermati a quel portone vicino al fruttivendolo, e scendi con me. "
Entrarono nel portone odoroso di cantina, erano tutte case vecchie, avevano ancora pochi anni di vita, cadevano quasi da sole, nessuno pensava certo a migliorie con la sorte segnata sul piano regolatore, era una vecchia e povera Milano, ma genuina, c'erano perfino due " trani ", autentiche osterie che non avevano fatto nulla per tramutarsi in " bar ", avevano soltanto cambiato i tappeti verdi sui tavoli, con tavoli dal ripiano di plastica sul quale gli ubriachi si addormentavano ancora, come ai tempi del Porta, con la testa appoggiata al braccio, e c'erano le prostitute anziane che venivano anche loro a bere un bicchiere per rilassarsi, dopo un lungo battere per le vicine vie Fabio Filzi o Vittor Pisani, e c'era la fioraia stanca e gentile, dolcemente claudicante, che sotto un ombrellone davanti alla chiesa di San Gioachino vendeva fiori con lo stesso stile dell'epoca della scapigliatura, di Praga, di Rovani, di Boito. La fila di auto che parcheggiavano per tutta la lungh憴za della strada non toglieva nulla a questa genuinit le intruse erano loro.
" Il signor dell'Angeletto, " disse Duca alla portinaia chiusa in uno stanzino riscaldato da una stufa a carbone coke di cui si sentiva l'acido aroma, ingombro di vari pezzi di una " cucina americana ", di un televisore con sopra la radio e di un frigorifero, cosche vi era appena lo spazio per lei che non era molto snella, e per una sedia.
" Quarto piano, scala a destra. " Li guardsenza odio, ma anche senza umanit come essi fossero nemici potenziali, e doveva guardare tutti i suoi simili cos
Al quarto piano una donna alta ma disfatta apr e li guardallo stesso modo: non doveva essere un quartiere di calde relazioni sociali. Duca disse : " Il signor dell'Angeletto. "
" Non c' " aveva una voce agra e prepotente.
" Lei la moglie? "
" S perch " Guardava malamente Livia, senza paura di mostrarle la sua antipatia.
Duca le fece vedere la tessera. " Ho bisogno di parlargli. "
La tessera intimidla signora dell'Angeletto, la voce divenne meno sicura. " E' sceso un momento qui sotto, all'osteria. "
" L'osteria qui sotto? "
" S "
" Buongiorno, signora. "
La donna lo fermcon la sua voce improvvisamente addolcita e sofferente. " Mio figlio, che cosa gli faranno? "
" Un processo, " disse Duca.
" Lei lo ha visto? "
" S "
" Lo avete picchiato? " tutto il viso della donna, vicina al pianto, trem
" No, non lo abbiamo picchiato, " disse Duca. " Gli abbiamo dato delle sigarette e gli abbiamo fatto fare un bagno, ne aveva bisogno. "
La donna si mise a piangere, l sulla porta, nella penombra maleodorante della scala. " Io, io, io, io, io. " Poi si riprese, con violenza quasi. " Lo so che un delinquente, ma non dovete picchiarlo. "
" Stia calma, signora, nessuno lo toccher "
L'osteria era proprio a fianco del portone, vi entrarono, l'aria sapeva di segatura umida ma non era un odore spiacevole. Due tavoli erano occupati da quattro o cinque uomini insieme con una donna con un seno enorme. Un altro era occupato da un uomo solo che teneva un bicchiere di vino rosso in mano e guardava fisso davanti a s Parlavano tutti a bassa voce e c'era una curiosa quiete e solitudine, trattandosi di un'osteria.
" Il signor dell'Angeletto qui? " domandDuca.
" Chi? " disse una giovane ma stanca ragazza dietro il banco.
" Il signor Antonio dell'Angeletto, " disse Duca.
" Ah, Toni, " disse la ragazza, " quello lseduto da solo, " ebbe una smorfia di compatimento, sembrava pensasse: " E lo chiamano signore. "
" Polizia, " disse Duca, sedendo al tavolo del bevitore solitario, e invitando Livia con lo sguardo a sedersi dall'altra parte.
L'uomo smise di fissare il niente e lo guard guardLivia, non occorse mostrargli la tessera. Disse: " E' per mio figlio? "
" S " disse Duca. " Le devo fare una s▍a domanda e forse lei purispondere. "
" A me mio figlio non interessa pi " disse Antonio dell'Angeletto, con una certa nobiltdi comportamento e con una certa proprietdi parole. Probabilmente beveva molto, ma questo non gli aveva tolto la sua dignit Certo, quello che aveva fatto suo figlio alla scuola serale, doveva averlo predisposto ancora di pial bere.
" Interessa a noi, " disse Duca. " Voglio sapere se aveva un'amicizia femminile, ma non con una coetanea, con una donna pianziana di lui. "
Il bevitore solitario bevette un sorso del suo rosso violaceo vino. " Io non so niente, non mi ha mai detto niente, e io non avevo mai tempo di domandargli niente. Poi i figli non raccontano mai niente al padre o alla madre, solo agli amici, al primo che incontrano al bar, ma al padre e alla madre, no. " Gli occhi di nuovo gli si fissarono, come finti.
Allora Duca comprese perchC跫rua aveva fatto scrivere " onesti genitori ". Era davvero un onesto padre, onesto, infelice, disperato padre, neppure fiumi di vino rosso avrebbero inciso su quella cristallina onest " E' vero, " disse, " ma forse lei puindicarmi qualche suo amico di qui, di questo quartiere, che me lo possa dire se aveva una donna pianziana di lui. "
" Ce l'hanno tutti la vecchia, oggi le donne sono tutte... ", disse la parola esatta, poi si accorse di Livia e abbasslo sguardo. " Mi scusi, signorina, volevo dire che ce
e sono molte. "
" Non si preoccupi, " disse Livia, sorridendo, e allora anche lui alzil capo, gli occhi erano umidi.
" Scusi, signorina, scusi. "
" Lei mi deve dire il nome di qualche amico di suo figlio, " disse Duca. " Se riusciamo a scoprire questa donna molto importante anche per il suo ragazzo. "
Il vecchio tornad abbassare lo sguardo. " In casa non parlava quasi mai di niente, " disse. " Neppure dei suoi amici; veniva, mangiava, rubava un po' di soldi o di roba da vendere e se ne andava. Ma provi ad andare dal tabaccaio che pigi llo conoscono, anche il padrone, sanno certo molto pidi quello che so io. "
Era evidente la sua sincerit ed era evidente la sua disperazione. Uscirono.

Il tabaccaio non fu molto lieto della visita, al principio li aveva scambiati per una coppia venuta a riscaldarsi un poco dal gelo di fuori nel suo caldo e luminoso locale, ma quando vide la tessera di Duca il viso gli si veldi incertezza.
Il locale era vuoto, ma solo in apparenza: da una grande rientranza della sala dove era il biliardo e i tavolini da gioco venivano voci giovanili e schiocch髺 di biglie e qualche imprecazione di quelli che giocavano a carte. Un ragazzo stava manovrando il flipper, ogni tanto entrava qualcuno, a bere un caffo a comprare le sigarette.
" Qui veniva un ragazzo, " disse Duca, " Federico del-l'Angeletto, lei lo conosce, forse, ne hanno parlato tutti i giornali. "
Il giovane uomo dietro il banco, che aveva vicino una giovane donna da una grossa pancia, forse settimo, se non ottavo mese, non rispose nulla e servun pacchetto di sale grosso a una ragazzina che compranche una gomma da masticare, quella che fa le bolle.
" Veniva qui spesso, " disse Duca, una lieve minaccia nella voce, con la cortesia non si ottiene mai nulla. " Era il suo caff e quella marmaglia nella saletta che sta giocando, sono suoi amici. E' vero? "
Il tono convinse il giovane uomo. " S veniva qui, per me, se pagano, sono tutti buoni clienti, e lui pagava. Io che c'entro? "
" Non le ho detto che c'entra, " disse Duca. " State calmi, tutti e due, " guardla donna incinta, non bisognava spaventarla. " Voi non c'entrate per niente, volevo solo sapere se lo conoscete. "
" Certo che lo conosciamo, " disse la donna incinta, scattando di colpo, anche senza alzare la voce, " era il peggiore di tutti, e si visto da quello che ha fatto. E tu lo vuoi ancora difendere. " Se la prese col marito.
" Io non voglio grane, " disse lui cupamente rabbioso. " Sono capaci di levarci la licenza. "
" Te la levano se non rispondi alle domande che ti fanno, " lei disse febbrilmente e saggiamente.
" Quattro francobolli da cinquanta, " disse un vecchio che era entrato in quel momento. " Un caff " disse un altro vecchio entrato subito dopo l'altro. La donna che aspettava un bambino anda fare il caff suo marito dette i francobolli all'altro vecchio e allora Duca disse: " Voglio solo parlare con qualche amico di Federico. Se lui veniva qui, era perchaveva degli amici qui. Lei forse sa chi sono questi amici, e forse quale il piintimo. "
Il giovane uomo accenndi s poi ebbe una specie di smorfia. " S certo. " Ripetla smorfia. " Come intimit l'amico migliore di Federico, un'amica, la Luisella. "
" E dove questa Luisella? " disse Duca.
" Abita qui sopra. Lavora a casa con la macchina per fare le maglie. "
" Dove, qui sopra? "
" Qui sopra, " disse il tabaccaio, " il portone a destra, al primo piano. "
Uscirono, Duca e Livia, arrivarono al primo piano, Duca premette il bottone dell'antiquato campanello e un vecchio uomo, in maniche di camicia, sbracciato, come fosse estate, massiccio e rossiccio, venne ad aprire.
" Polizia. " Siccome era evidente che l'uomo non aveva alcuna intenzione di farlo entrare nonostante avesse ben guardato la tessera, Duca entrscostandolo e tenne il passo aperto per Livia. " Lei il padre di Luisella?"
L'uomo non aveva l'abitudine all'ubbidienza. " Perch " disse, invece di rispondere, guardando agramente lui e Livia.
" Perchvoglio parlare con Luisella, " disse Duca, ancora mitemente.
" Perch " disse il massiccio, gli occhi freddi.
Allora Duca perse la sua affaticata mitezza. " Piantala. Dov'tua figlia? "
Anche se la voce era bassa, il tono ebbe un certo effetto sul grosso uomo. " S " disse. " E' di l sta lavorando. "
Si sentiva infatti il tipek tipek della macchina da maglieria. Duca fece cenno a Livia di seguirlo e si diresse verso il tipek tipek. Era una stanza quasi buia, in piedi davanti al neurotico congegno c'era una ragazza minuta, scialba, biondiccia che li guardinquieta ma anche agra, come il padre.
" E' la polizia, sono venuti per parlare con te, " disse il massiccio.
" Anche lei della polizia? " disse agra la ragazza, a Duca, indicando Livia.
" S se non ti dispiace, " disse Duca. " Ferma quella macchina e rispondi alle domande. Conosci Federico dell'Angeletto?"
" Perch " lei disse.
Era un male di famiglia, che invece di rispondere alle domande, facessero altre domande. " Ti ho domandato se sei amica di Federico dell'Angeletto, e tu devi rispondere so no, e non facendo altre domande. "
Anche questa volta il tono ebbe efficacia e la ragazza rispose: " S lo conosco. "
" Ti ho detto di fermare la macchina, " disse Duca. Il tipek tipek si fermdi colpo. " Voglio sapere solo una cosa da te. Cerca di rispondere bene, perchimportante per il tuo ragazzo, se tu rispondi la verit forse lui si salva con poco, se invece imbrogli, peggio per lui, e anche per te. "
Lei lo guardava agra, cionella sua maniera.
" Vorrei sapere se Federico, oltre te, aveva qualche altra, " disse Duca, " una donna con diversi anni pidi lui, per esempio. "
Lei disse subito, seccamente: " No. "
" Non rispondere cosin fretta. Pensaci un poco bene. Sai, i ragazzi a quell'et ne hanno una, due, tre, cos "
" Forse ne avravute anche una ventina, ma io non lo so, " disse lei irridente.
" Allora senti, " disse Duca, " tu avrai conosciuto qualche amico di Federico. "
" Qualcuno. "
" Per esempio chi? "
" Ettore. Veniva sempre qui al bar a giocare con Federico. "
" Ettore, come? "
" Il cognome non me lo ricordo, ma quello che fuggito col padre dalla Jugoslavia. "
" Non per caso Ettore Ellusic? " domandDuca. Ettore Ellusic era uno degli undici che avevano partecipato al massacro della maestrina.
" Un nome cos " disse la ragazza, era un po' meno agra e pareva si stesse un poco sciogliendo. " Lui s che l'aveva l'amica anziana. "
" Come fai a saperlo? " disse Duca. Stavano tutti e quattro in piedi, nella stanza quasi buia e freddina, lui e Livia, la ragazza e suo padre.
" Ogni tanto ne parlava. Quando lei gli dava dei soldi lui veniva subito a giocarseli al bar qui sotto, con Federico e con gli altri amici. Aveva il vizio del gioco. "
" E che cosa diceva di questa donna? "
" La chiamava la zia. "
" Cerca di ricordarti tutti i particolari. "
" Diceva: la zia. "
" S me l'hai gidetto, ma che cosa diceva d'altro di lei? "
" Diceva la zia dSerajevo, perchera iugoslava come lui. "
" E poi? Non ti ha detto qualche altra cosa, il suo nome, che lavoro faceva? "
" Il nome no, diceva sempre la zia, la zia di Serajevo e noi ridevamo, ma il lavoro s diceva che traduceva dallo jugoslavo in italiano, non so che cosa. "
" Allora era una persona istruita. "
" Ah, s Ettore la chiamava anche la professoressa. "
" Prova a descriverla. "
" Ma io non l'ho mai vista, era lui, Ettore, che diceva che era lunga lunga. "
" Bionda? "
" Non mi ricordo se ha detto che era bionda. Mi ricordo solo che diceva che era lunga lunga. "
" Dimmi qualche cosa d'altro. "
La ragazza guardava in terra, riflettendo, si capiva che si era decisa a collaborare per aiutare il suo ragazzo. Poi alzgli occhi e fissDuca. " Qualche volta Ettore ha raccontato come lei faceva all'amore, ma questo non c'entra. "
" M'interessa anche questo, " disse Duca.
Il massiccio intervenne. " Mia figlia non obbligata a raccontare delle porcherie. Adesso basta, davvero. "
" No, non obbligata, " disse Duca gentilmente, " ma qualunque particolare puaiutarci a scoprire la verit "
" Non c'mica molto da raccontare, " disse la ragazza, " solo una storia curiosa. Ettore diceva soltanto che quella donna era vergine e voleva mantenersi cos e allora faceva all'amore in modo da restarlo, chi sa perch "
Duca annu " Non ti ricordi niente altro di lei? "
" No, " disse la ragazza. " Perdoveva avere molti soldi perchuna volta l'Ettore arrivato al bar che aveva quasi trecentomila lire. "
" Ma dai discorsi che faceva Ettore che idea ti sei fatta dell'etdi questa donna? Un po' meno di trenta, un po' pi O anche quaranta? "
" Ettore non ha mai detto l'et ma io penso che doveva essere sui quaranta. "
Duca guardl'orologio. " Grazie, " disse. " Forse torner ma spero di no. "
Anche se i dati erano pochi, Duca incaricMascaranti di cercare presso tutte le case editrici di Milano una traduttrice jugoslava sui quarant'anni. Neppure in due giorni Mascaranti la trov si chiamava Listza Kadi幯i e aveva trentotto anni. Abitava in un piccolo appartamento di due camere e cucinava i suoi pasti su un fornello a petrolio messo sul piano di marmo del comantiquato. Sullo stesso ripiano c'era anche la macchina per scrivere, per i suoi lavori di traduzione, perchlei scriveva in piedi, come gli amanuensi dell'antichit ed era lunga, lunga, proprio come diceva Ettore. Era anche nativa di Serajevo, era quindi la zia di Serajevo, era cioassolutamente lei.
Fece sedere Duca sulla poltroncina vicino alla finestra e lei, per s prese una sedia dalla stanza vicino, parlava un italiano perfetto, come raramente lo parlano gli italiani, escluso le " o " un po' troppo chiuse. Era magra, e certo non bella, pure gli occhi grandissimi, privi di ogni trucco, come del resto il viso, comprese le labbra senza rossetto, le davano una particolare bellezza di antichissimo affresco. Era bionda, ma un biondo spiacevole, paglierino.
" Lei conosce un ragazzo di nome Ettore Ellusic? " domandDuca.
" S " lei rispose prontamente, rigida sulla sedia.
" Sa che uno degli undici ragazzi, protagonisti dell'assassinio della maestra? "
" S lo so. "
" Da quanto tempo lo conosce? "
" Da quasi due anni. "
" Come lo ha conosciuto? "
" Conosco i genitori. L'ho aiutato a prendere la cittadinanza italiana, lui venuto in Italia coi suoi alla fine della guerra, non sa una parola di sloveno, e parla quasi in milanese. " Rispondeva nitidamente, ma gli occhi avevano paura, e forse qualche cosa di pidella paura: sembrava vergogna.
" Lei lo conosce da quasi due anni, quale la sua opinione su questo ragazzo? "
" E' un volgare mascalzone, " fu la risposta secca.
Duca aspett prima di fare un'altra domanda, poi disse: " Come mai lei lo definisce cos Mi stato detto della natura dei vostri rapporti. " Sapeva di essere crudele, ma sapeva che doveva parlare cosse voleva arrivare a qualche risultato.
Gli occhi di lei sembrarono vibrare, per la vergogna. " La natura dei rapporti non implica che io non sappia distinguere un mascalzone da un uomo onesto. "
Una risposta veramente limpida. Duca pensquasi un lungo minuto. " Questo ragazzo forse la ricattava? "
Lei scosse energicamente il capo. " Assolutamente no. "
" Non abbia paura di aggravare la sua condanna, " disse Duca. " E' imputato di concorso in omicidio, seguito a sevizie e violenza carnale, ricatto pio ricatto meno, non puassolutamente danneggiarlo. "
Lei sorrise mestamente. " Magari potessi scusarmi dicendo che mi ricattava. Ero io stessa che gli davo il denaro, altrimenti non sarebbe mai venuto a trovarmi. " Era una sinceritspoglia e cattiva, cattiva verso se stessa.
Duca sentche stava percorrendo una strada sbagliata, perdeva tempo lui, lo faceva perdere a lei e la faceva soffrire.
" Mi scusi, " disse alzandosi.
Anche lei si alz " Sono contenta di poter aiutare, sono sempre a vostra disposizione se posso essere utile. "
Anche queste parole erano sincere. Duca si avvicin alla finestra, non si capiva bene dove desse, perchla nebbia non permetteva di distinguere se sulla strada o su un cortile.
" Cerco una donna, non pimolto giovane, " disse senza guardarla, " ma potrebbe essere anche un uomo, non certo. Cerco una persona adulta, insomma, amica di uno di questi ragazzi, una persona di cui nessuno dei ragazzi ha parlato quando li abbiamo interrogati, -ma che sento che esiste, e che molto importante per scoprire la verit Forse questo ragazzo con lei parlava, forse puaverle detto qualche cosa che ci potrebbe aiutare a scoprire questa persona. Anche un particolare minimo, che a lei pusembrare senza importanza, potrebbe portarci a questa persona. "
Lei stava sempre rigida, la stanza era un poco fredda. " Capisco, " disse. " Non parlava molto, con me, gli ero utile, perchha il vizio del gioco e quando gli avevo dato dei soldi se ne andava subito. Ma qualche volta veniva qui che aveva bevuto, perchha anche il vizio di bere, e allora parlava un po' di pi Ricordo che una volta mi disse che c'era un suo amico che si drogava con una roba da prendere a gocce e che questa roba gliela passava una dottoressa che lui conosceva. Ettore mi disse che aveva preso anche lui quelle gocce, ma che era stato soltanto male di stomaco. "
" Ettore non le ha detto chi era questo amico che si drogava? "
" No, ha detto semplicemente che era un amico. "
" Lei pensa che questo suo amico possa essere uno degli undici ragazzi? "
" Non ho alcun modo per saperlo. "
Per quanto la traccia fosse vaga, poteva essere molto importante. " Cerchi di ricordare tutto quello che pusu questo fatto. Una sola parola, un solo particolare in pi possono essere decisivi. Per aiutare la memoria pensi a quel giorno in cui lui arrivato qui e le ha parlato di
questo suo amico, pensi al momento in cui lui entrato qui, e a tutto quello che accaduto dopo, fino a quando le ha raccontato quel fatto, di quelle gocce, di quel suo amico, di quella dottoressa. "
Lei ubbid ricordquel giorno, quando lui, Ettore Ellusic era arrivato, un po' ubriaco, forse ancora drogato, e aveva cominciato a parlare. " Forse non ricordo bene, eppure mi sembra che Ettore abbia detto che quella donna che dava la droga al suo amico, non era veramente una donna. " Lo guardfissamente. " Lei comprende? "
S comprendeva, non era difficile. Poteva essere un particolare importante, e poteva essere una sciocchezza. ". Si ricorda ancora qualche cosa? " insist
Lei tentancora di risucchiare dal passato qualche particolare ricordo di quella volta, ma la memoria taceva, non c'era altro. " Non ricordo piniente, " disse, mesta, come si sentisse colpevole per quella mancanza di memoria.
" Grazie, " disse Duca. " Mi stata molto utile. Spero di non doverla pidisturbare."
" Non si preoccupi. Io voglio essere utile alla giustizia, " lei disse burocratica.
Duca scese in strada e raggiunse, nel freddo intenso e nella nebbia, l'auto dove Livia l'aspettava al volante. Sedette vicino a lei.
" C'qualche cosa di nuovo? " disse Livia, mettendo in moto.
Duca scosse il capo. " Assai poco, " disse.
102
Assai poco, o quasi niente. Stava scoprendo, una dopo l'altra, diverse donne, collegate ai ragazzi assassini: una giovinastra che lavorava in casa con la macchina per maglieria, amica di Federico dell'Angeletto; una iugoslava, traduttrice e intellettuale, desiderosa di conservare la propria verginit amica di un altro dei ragazzi assassini, Ettore Ellusic; e infine adesso si trattava di trovare una dottoressa che forniva droga ad un altro di quei ragazzi, non identificato, e questa donna aveva una quarantina di anni e l'abitudine di preferire le altre donne. Non sarebbe stato facile trovarla, anche se doveva essere un tipo interessante. Comunque, intorno a quegli undici ragazzi, vi erano diverse donne, e una di esse doveva sapere la verit
" Cosa credi che possa fare, adesso? " disse ironico verso di s mentre Livia guidava dolcemente nella nebbia. " Per ogni ragazzo c'l'amica giovane e quella anziana, e magari qualche altra, alla fine ci troviamo con diecine di donne strepitanti che faranno solo confusione. "
" Perchdici questo? " disse Livia, un poco fredda.
" Perchvorrei piantare tutto. La maestrina stata uccisa da quei ragazzi, non vi sono dubbi. I minori resteranno chiusi in riformatorio, i maggiorenni verranno regolarmente processati. Che cosa sto cercando, in fondo? Il niente. Anche se trovo il mandante, l'istigatore di questo assassinio, che cosa cambia? Nulla. "
Lei era ferma davanti a un semaforo rosso. Disse, ancora pifredda: " Cambia che avrai scoperto il vero colpevole. Tu hai detto che quei ragazzi, per corrotti che siano, non avrebbero potuto commettere un massacro simile se non vi fossero stati spinti e guidati da una persona cosciente e sadica. "
" S l'ho detto, e lo penso ancora, " disse Duca. " Ma soltanto una mia teoria, che potrebbe essere infondatissima. Rischio di fare ricerche inutili, per settimane e settimane, e poi scoprire che avevo sbagliato tutto. " Non avrebbe mai potuto dirle che quella mattina, da quando si era svegliato, stava ricordando la piccola Sara, e si sentiva molto stanco. La scarpina di lana di Sara, dove era andata? Poteva essere ancora nella tasca del suo abito o forse Lorenza l'aveva trovata e messa da parte?
" Quando avrai scoperto di aver sbagliato tutto, allora smetterai, " disse Livia, " non prima. Altrimenti non fare il poliziotto, ma fai un altro mestiere. "
Ragionamento inconfutabile, pensDuca. La signorina Livia Ussaro faceva solo ragionamenti inconfutabili: se faceva il poliziotto continuava le ricerche, e se non voleva fare le ricerche, allora cambiasse mestiere. Si passuna mano sugli occhi per portarsi via l'immagine della bambina morta, e si riprese, ritornbrusco. " Allora andiamo da una delle assistenti sociali di quei ragazzi. Finora non sono state interrogate da nessuno. "
Le dette l'indirizzo: l'assistente sociale Alberta Romani, di anni 48, abitava in viale Monza, proprio al principio, la nebbia attutiva i rumori del traffico, ma il ronzio delle migliaia di auto che passavano lintorno faceva vibrare ugualmente l'aria, non solo per la strada, ma anche nell'appartamentino della casa nuova, dove abitava l'assistente sociale Alberta Romani, e dove questa li ricevette, non molto gentilmente, anche se corretta, guardandoli chiaramente come intrusi non graditi, e le tende chiare della saletta dove lei li ricevette ondeggiavano un poco non solo al soffio dell'aria che trapelava dalle finestre, ma sembrava anche al convulso ronzio del traffico.
" S lo immaginavo, polizia, " disse l'assistente sociale, quasi ironica, affondata nella poltrona, " non capivo perchnon mi aveste chiamata subito, cominciavo a essere in pensiero, " aveva un viso vecchissimo, brunastro, da sofferente epatica e di menopausa, ma forse da giovane doveva essere stata una bella ragazza. " Ma finalmente siete venuti, perfino con l'ausiliaria. "
NDuca, nLivia sorrisero, sorridere un lusso che i poliziotti ufficiali o ufficiosi come Livia non si possono permettere. Duca disse: " Desideravo solo farle poche domande. "
" Dica pure. " L'assistente sociale si accese una sigaretta, benchfosse evidente dal suo viso che il medico da anni le aveva proibito di fumare.
" Desideravo sapere prima di tutto quali sono i ragazzi che, grazie al suo intervento sono stati iscritti alla Scuola serale Andrea e Maria Fustagni. "
" E' molto facile dirlo. Tutti, " lei rispose aspirando golosa la sigaretta.
" Tutti e undici? "
" Per me sono tutti e diciotto, " lei disse, amara. " Io ho consigliato, diciotto ragazzi. Sette me ne hanno bocciati, e naturalmente hanno scelto i peggiori undici. "
Duca accenndi s Veramente i peggiori. Disse: " Ma vi sono altre due assistenti sociali nel quartiere. "
Alberta Romani alzuna spalla. " La capo assistente sono io. Le due signorine alle quali lei ha accennato dipendono da me, esse non possono dare giudizi o fare proposte, mi aiutano semplicemente nel mio lavoro. "
Non c'era pericolo di sfumature incomprensibili o di sottintesi misteriosi, in quello che diceva l'assistente sociale, pensDuca. " Allora lei conosce certamente tutti i ragazzi che ha raccomandato perchfossero iscritti alla scuola serale. "
" Non li conosco molto, " lei disse, " ma certo molto di pidella loro madre e del loro padre. "
Anche questa volta nDuca nLivia sorrisero. " Comincio con una domanda molto vaga e forse inutile. Fra questi undici ragazzi, secondo lei che li conosce, qual il peggiore? "
" E' una domanda molto difficile, " disse la donna. " Come posso dire chi il peggiore? Sono tutti uno peggio dell'altro, eppure sono tutti recuperabili. "
" C'sempre qualche cosa peggio di un'altra cosa, " disse Duca. " Lei conosce questi ragazzi, e lei pudirmelo. "
L'assistente sociale Alberta Romani scosse il capo. Il viso cossegnato, giallognolo, malaticcio, sembrilluminarsi di dentro, e anche la voce di lei divenne calda, perse il tagliente di prima. " No, non cos Non esiste un peggiore. Lei non conosce questi ragazzi, non conosce quello che hanno dentro, lei un poliziotto e vede solo le cose che fanno questi ragazzi: bevono, giocano d'azzardo, hanno malattie veneree, si fanno mantenere da donne anziane e anche da donne giovani, vanno alla caccia di vecchi signori non normali. Lei vede solo questi fatti, lei non vede quello che essi vorrebbero essere. Le ripeto: quello che essi vorrebbero essere. La polizia non s'interessa di queste cose. Ma sa che cosa vorrebbero essere? Lei non lo immagina. Uno di questi ragazzi, forse il peggiore, secondo la sua concezione del , sa che cosa mi ha chiesto? "
Duca la interruppe bruscamente: " Voglio sapere il nome di questo peggiore, prima che lei mi dica che cosa le ha chiesto."
Ancora pibruscamente l'assistente sociale disse: " No, non glielo dico, non vi sono peggiori tra i miei ragazzi. Sono ragazzi che potevano divenire utili alla societ molto pidi tanti figli di ricchi che prendono la laurea e poi di questa laurea non se ne fanno niente. Lei non li conosce, non puconoscerli, lei non ha parlato con loro come io ho parlato con essi. Lei ha indagato, non stato loro amico, un poliziotto non puessere amico di nessuno, altrimenti non un buon poliziotto. Io ho invece parlato e loro mi hanno detto quello che avevano veramente dentro, e quel ragazzo mi ha detto: (Signora, io voglio imparare a scrivere le parole delle canzoni, sa, mi vengono ogni tanto in mente molte parole, mi piacerebbe fare questo lavoro, anche perchsi guadagna molto, vero, signora?) E perchpotesse scrivere le parole delle canzoni senza errori di ortografia, ho raccomandato la sua iscrizione alla scuola serale. E' un assassino questo ragazzo che praticamente vuole scrivere poesie anche se le chiama < parole per le canzoni >? "
Duca avrebbe voluto dire che anche i peggiori delinquenti hanno qualche gusto delicato, alcuni sono vegetariani e non mangerebbero degli uccellini allo spiedo neppure sotto la tortura, ma ammazzano la mamma o la moglie. Altri amano i fiori, li coltivano amorosamente, vincono il primo premio a qualche concorso di floricoltura, ma nottetempo seviziano dei bambini e poi li uccidono. Ma non disse nulla, non fermquella valanga di parole e di commozione che era Alberta Romani, l'assistente sociale. Sentiva che non sarebbe stato inutile ascoltare anche la sua pidispersiva parola.
" Ed un assassino quell'altro ragazzo, " continula valanga, con voce alta ma un poco trepida per la commozione, " che venuto a portarmi i suoi soldi - pudarsi anche che li avesse rubati - e mi ha chiesto: < Signora, io voglio iscrivermi al Touring Club, voglio ricevere la rivista che parla di tanti paesi lontani dove vorrei andare, ma sono stato in riformatorio e forse non danno l'abbonamento a quelli che sono stati in riformatorio, allora se me lo fa lei, signora, e poi mi passa la rivista quando mi arriva >. E' un assassino, questo, al quale ho dovuto spiegare che anche se era stato in riformatorio poteva leggere < Le Vie del Mondo >? E' uno dei peggiori? Ed un assassino, quell'altro ragazzo, malato di tbc che ha paura di morire quando sputa sangue, e invece di andare all'ambulatorio viene da me, perchdice che vicino a me non ha paura di morire: un assassino? "
Duca alzla mano, per farle cenno di tacere. " La maestrina stata uccisa da quegli undici ragazzi, questo fuori di ogni dubbio anche se tutti e undici negano. E chi uccide un assassino. Ma forse hanno un'attenuante: qualcuno, adulto, cosciente e responsabile, volendo uccidere la maestrina, li ha spinti a uccidere. Questa la mia idea, e sono venuto a parlarle di questa idea piche a interrogarla. "
L'assistente sociale schiacciil mozzicone di sigaretta nel piattino della tazzina di caffche aveva davanti, stava a occhi bassi, l'espressione d'improvviso indurita. " Mi spieghi meglio questa idea, " disse.
" Subito, " disse Duca. Era un piacere parlare subito con una persona che capisce subito. " Io penso che i suoi undici ragazzi siano degli autentici delinquenti, dei veri criminali, ma li ritengo incapaci di organizzare da soli, con tanta precisione e sottigliezza, quel terribile safari con la loro maestra. Sono troppo ignoranti per un eccidio simile, e per organizzare da loro la linea di difesa che hanno organizzata e che permetterai giudici e alle giurie, con la scusa della minore et delle attenuanti di ambiente: miseria, alcolismo, malattie, di infliggere condanne minime, risibili. Fra qualche anno saranno tutti di nuovo liberi, e pochi anni, le assicuro. E tutto questo non puessere certo stato ideato da questi giovani bruti semianalfabeti che lei difende con tanto calore. C'qualcuno, " Duca si alze andall'altro angolo della stanza, vicino alla finestra, " c'una persona, amica di un ragazzo, o di pidi un ragazzo, che ha ideato, creato il massacro, istruendo in ogni particolare questi giovani criminali sul come compierlo, e come salvarsi una volta scoperti dalla polizia. " Duca torndavanti all'assistente sociale, ma
senza sedersi, si curvsemplicemente davanti a lei per parlarle quasi all'orecchio. " E questi ragazzi devono avere una grande paura di questa persona perchnessuno, anche se li ho interrogati piuttosto bruscamente, mi ha parlato di questa persona, nessuno ha avuto il coraggio di dirmene il nome. Ma forse lei che conosce quasi tutto di questi giovani, puaiutarmi a scoprire la verit a scoprire questa persona. I suoi ragazzi non hanno voluto dirmelo, ma forse lei lo pu "
Alberta Romani alzuna spalla e disse, ma con voce stanca: " Forse quelli che lei chiama i miei ragazzi non hanno potuto dirle il nome di nessuna persona, perchnessuna persona esiste. "
Allora Duca sedette di nuovo davanti all'assistente sociale, cercle sigarette, in tasca, non le aveva, Livia gli porse subito il pacchetto con l'accendino. " Mi sembra che lei si contraddica, signora, " disse pacato dopo aver acceso la sigaretta. " Prima mi ha descritto questi ragazzi come degli angeli sfortunati, profondamente buoni nell'intimo, anche se tarati dall'ambiente nel quale vivono. E d'improvviso nega che vi sia una persona adulta e responsabile che li abbia spinti al massacro della maestra. Cio ammette che questi giovani abbiano fatto tutto da loro, siano responsabili soltanto loro, che non vi sia nessun mandante, che abbiano seviziato e ucciso per il gusto di seviziare e uccidere. Non le sembra una contraddizione? "
Alberta Romani scosse il capo. " No. Sono ragazzi recuperabili, riadattabili, ma se nessuno li aiuta a recuperarsi, a riadattarsi, possono comm彋tere anche un massacro del genere, senza bisogno di essere spinti da nessuno. "
" Lei nega quindi che qualcuno li abbia guidati? Lei non conosce o non ha mai sentito parlare di nessuna persona adulta che possa aver istigato questi ragazzi al delitto? "
Stancamente, lei sembrava aver perso ogni entusiasmo, disse: " Non posso negarlo in assoluto, non conosco tutta la vita privata e tutte le amicizie di questi ragazzi, ma mi sembra improbabile che abbiano avuto un direttore, un organizzatore, un mandante. Perchqualcuno avrebbe avuto interesse a far uccidere cosselvaggiamente una povera maestra? Lei non si rende conto che a quei ragazzi, gisofferenti per molte tare fisiche e morali, basta un po' di liquore come quell'anice per scatenarsi peggio che bestie feroci. "
" Mi spiace contraddirla, signora, " disse Duca nervoso. " Ho riflettuto molto anche su questa famosa bottiglia di liquore. Tenga conto dei fatti, la prego. La bottiglia conteneva se no tre quarti di anice, i ragazzi erano undici, per quanto l'anice lattescente sia forte, una bottiglia in undici troppo poco, specialmente per una teppaglia come quella giabituata a bere. Quindi io ho pensato che dentro quella bottiglia di liquore sia stato versato un allucinogeno, un eccitante, insomma una droga. Purtroppo non lo
ossiamo provare: la bottiglia era vuota e la scientifica non pudire molto sulle bottiglie vuote. Inoltre, non ho avuto subito l'idea di far fare l'analisi delle urine ai ragazzi, e ormai sarebbe inutile, perchsono passati troppi giorni. Lei non crede che questa idea sia verosimile? "
" Proprio no, " disse l'assistente sociale. " Lei forse non sa che a quell'etnon occorre neppure un po' di liquore per scatenarsi come belve. Ha mai visto dei ragazzi che giocano alla guerra? Io s e ne ho avuto paura. E non c'era bisogno di anice o di droghe. "
Livia vide il viso di Duca irrigidirsi per l'ira, gli sfior Il ginocchio col proprio, per calmarlo, ma fu inutile. Duca disse con sprezzo: " Lei mi sta mentendo. " Alberta Romani ebbe la solita alzata di spalle. " La polizia pensa sempre che gli altri non dicano la verit "
" E in questo caso proprio cos lei non dice la verit " Duca abbassla voce, l'addolc " La prego, signora, ho la sensazione esatta che lei non mi dice tutto quello che sa. La conosco solo da poco, neppure da mezz'ora, ma sento che lei una persona profondamente onesta e che soffre ad essere cosreticente. La prego, mi dica tutto quello che sa, qualunque particolare puessere importante. Per esempio ho saputo che uno di questi ragazzi aveva per amica una dottoressa di circa quarant'anni che lo riforniva di droga. Lei conosce troppo bene questi ragazzi
per non sapere chi poteva essere soggetto al vizio della droga, ed eventualmente anche chi gliela forniva. Lei non punon saperlo, signora, dopo avermi detto che li conosce meglio della loro madre e del loro padre. "
Silenzio. L'aria era densa di questo silenzio. L'assistente sociale Alberta Romani, ebbe uno strano sorriso mentre fissava Duca, gli occhi un poco torbidi come in tutti i malati di fegato, che si velarono di lacrime, benchil sorriso continuasse e benchla voce sembrasse normale. " Non pensavo che i poliziotti fossero come lei. Forse lei non un poliziotto, vede troppo dentro. Lei non un vero poliziotto, ho indovinato? " Duca non rispose, lei attese, si passdue dita sugli occhi, asciugandosi la velatura di pianto, poi disse ancora: " Ho indovinato? "
A fatica, Duca rispose: " Ero medico, fino a qualche anno fa. "
" Ecco, medico, " lei disse, il viso gonfio di sofferenza segreta, di amarezza, " i medici vedono dentro, sentono, lei doveva essere un buon medico. "
Livia volse il viso da una parte e se lo riparcon una mano, per nascondere la commozione che quella donna e le sue parole, anche per come le pronunciava, le davano. S era un buon medico, avrebbe voluto dirlo anche lei.
" Non le chiedo perchnon fa piil medico, " disse pacata e molto stanca, affaticata, l'assistente sociale. " Vi saranno delle ragioni, " sorrise, " e non sono certo io che posso interrogare un poliziotto. " Sorrise. " Ho una sorella, specializzata in ostetricia, me ne intendo di medici, anch'io ho tentato di laurearmi in medicina, quando ero ragazza, ma mio padre non ha voluto, diceva che qui in Italia alle donne la laurea non serve a nulla, perchsi sposano giovani, hanno subito figli e devono stare a casa. Sa, mio padre non era un uomo molto fine, da ragazzo faceva il ciabattino, poi aprun negozio di calzature, ha avuto successo e cosanche i soldi per far studiare mia sorella. Ernesta, ma a me no, non ha voluto che andassi all'universitpidel primo anno. < Ti mando solo un anno, > mi disse, Naturalmente, anche se ce la misi tutta, venni respinta a due esami e cosmi accontentai del diploma di magistero, sono stata insegnante per molti anni, poi ho seguito il corso di assistente, sono stata anche in Germania, ho vissuto due settimane in un collegio di criminali, a Berlino ovest, una cosa incredibile, c'erano i figli dei peggiori delinquenti del dopoguerra, un ragazzo aveva per madre una donna che per liberarsi dall'amico che la sfruttava, lo aveva bruciato vivo inzuppando di benzina il letto nel quale lui dormiva. Nessuno di questi ragazzi aveva commesso furti o altri reati, erano socialmente sani, ma la lacerazione psichica per ciche erano i loro genitori - assassini, banditi, depravati, seviziatori, ricattatori - poteva guastarli fin nell'intimo della loro personalit Lei non pucredere che cosa ho visto, non aveva nulla del collegio, era un buon albergo circondato da un vasto giardino. Ogni stanza conteneva tre allievi, per ogni piano vi era un kap scelto fra quelli che avevano i genitori peggiori, quello che sembrava pivicino a guastarsi... "
Duca e Livia ascoltavano non solo con pazienza, ma quasi con fervore. Il mestiere di acchiappaladri fatto, come quello del cacciatore, di pazienza e di fervore. Se qualcuno parla, lasciatelo parlare, nel fiume delle sue parole si putrovare alla fine la pepita d'oro della verit ed essi attendevano di vederla rilucere in quella marea di parole.
" ... Naturalmente vi erano due reparti, quello maschile e femminile, ma era una divisione puramente notturna, era solo la sera, quando dovevano andare a dormire, che i due gruppi venivano divisi, ma tutto il giorno, alle lezioni, ai pasti, ai giochi, erano insieme. Lei non puimmaginare che perfezione di organizzazione, i ragazzi andavano da un'etminima di otto anni, al massimo di diciotto, ma non vi erano troppe divisioni di classi, nnello studio, nnei giochi, i pigrandi avevano il compito di sorvegliare i pipiccoli, di guidarli. Oltre allo studio, nel senso di cultura, oltre alla rieducazione psicologica, le due parti piimportanti del programma erano l'apprendimento di un mestiere, e i giochi. No, no, non si puimmaginare, era il paradiso per un'assistente sociale come me, ho visto una ragazza di dodici anni giperfetta infermiera e sotto sorveglianza del medico fare delle iniezioni a una sua compagna di sedici. Suo padre era un sadico, che aveva fatto scempio di una donna e che aveva tentato pivolte di abusare di lei fin da quando lei aveva sette anni. E i giochi. Al principio non credevo. La direttrice, percha capo di tutto era una donna, assistita da tre uomini e da un'altra donna, la direttrice mi spiegava: E mi ha portato a vedere. Ogni gioved in un grande cortile, venivano portate tre o quattro vecchie auto, o mobili rovinati o altro da demolire, ragazzi e ragazze si dividevano in squadre, da quelli di otto anni a quelli di diciotto, ciascuno armato di una lunga ascia e di una mazzuola di ferro. Essi dovevano demolire quelle cose, auto, sedie, armadi, non solo con violenza cieca, ma separando i vari elementi, la gomma dal legno, l'acciaio . dal bronzo, la stoffa dai vetri. Se avesse visto anche lei, dottore, " lo chiamdottore e gli sorrise, era facile a quel sorriso buono e malinconico, " questa ventina di ragazzi e ragazze armati con quelle asce e quelle mazze spesso pigrandi di loro che d'improvviso a un segnale dato, sa, alla tedesca, cominciavano a picchiare sulle cose da distruggere, disperatamente, ciecamente, sfogando la loro violenza e la loro aggressivit ma in modo intelligente e utile, e la squadra che per prima demoliva un'auto, dividendo accuratamente i vari materiali che la componevano, riceveva un premio speciale. Poteva sembrare una bizzarria, era invece un lavoro utile, i parchi di auto in demolizione si rivolgevano a questi ragazzi e avevano un lavoro perfetto, che nessuna macchina potrebbe uguagliare, e i dirigenti di quei parchi pagavano i ragazzi, che cosimparavano a sfruttare il loro istinto aggressivo e di violenza in modo da riceverne perfino un compenso. E vi erano molti altri giochi che usavano violenza e aggressivita scopo sociale, ma vi erano anche molte ore di studio, molte ore di apprendistato di un lavoro, e ore di conversazioni con la professoressa di psicologia. Ogni ragazzo era informato completamente sui delitti che aveva commesso suo padre o sua madre, e la professoressa spiegava il perchdi quei reati, spiegava perchloro, i figli, non dovevano commettere gli stessi errori, ma non dovevano neppure odiare o disprezzare i genitori. Era una cosa perfetta, dottore, una cosa alla tedesca, io sono convinta che nessuno di quei ragazzi o di quelle ragazze, pur essendo figli di criminali, di pervertiti, di sadici, finisca per seguire la strada seguita dai genitori. Essi sono stati riadattati completamente, e lavoreranno nella societcome ogni persona normale. C'era anche mia sorella, con me, siamo rimaste affascinate da quello che abbiamo visto, a noi piace vedere una pianta che minaccia di crescere storta e che invece, curata, riprende il suo diritto cammino. Mia sorella, Ernesta, anche se specializzata in ostetricia, fu tanto colpita, che chiese alla direttrice dell'istituto se era possibile che lei potesse lavorare l alla rieducazione di quei ragazzi... "
La pepita d'oro della verittardava a venire alla luce, c'erano tante tante parole, ma nessuna serviva, pensava Duca, ascoltando, eppure occorreva ascoltarle tutte.
" ... E le dissero certo, s molte grazie, abbiamo bisogno di aiuto, " continua raccontare l'assistente sociale Alberta Romani, " le fecero riempire tre o quattro moduli, sa come sono i tedeschi, le fecero una mezza dozzina di analisi, e tutte le risposte erano favorevoli, j j j poi le fecero anche l'analisi psicosessuale, e la risposta fu nein, nein, nein. "
Duca disse: " Perch " Forse la sua pazienza stava per essere premiata.
Alberta Romani si passuna mano sul viso e nell'attimo in cui il viso restnascosto disse: " Perchmia sorella lesbica. " Li guardsenza sorridere, anzi d'improvviso arrossendo, nel suo giallognolo colorito, e poi abbassando subito gli occhi. " E naturalmente non si puaffidare a una persona non normale l'educazione di ragazzi difficili come quelli. " Alzdi nuovo lo sguardo su loro due. " Non potrete crederlo, lo capisco, ma io fino a quel momento non sapevo di questa particolaritdi mia sorella. "
Per un momento Duca pensche quella donna beveva anche, poi pensche non gli interessava molto la di lei sorella, ma continuad ascoltarla.
" Questo accaduto tre anni fa, " disse la donna, " cossolo tre anni fa ho scoperto perchmia sorella non si sposava. Io non mi sono sposata e il perchsi vede dalla mia faccia, ma lei anche carina, molto carina, e io non capivo perchstesse tanto lontana dagli uomini, cosquella volta llo capii, sa, me lo spiegarono alla tedesca, molto gentilmente, ma chiaramente, parlarono di parisessualismo costituzionale, dissero che non c'era niente di male, assolutamente, ma che come educatrice di ragazzi difficili una pari-sessualista non andava bene. "
Duca accenndi s che comprendeva.
" Da quella volta sono rimasta sempre un poco in pensiero per mia sorella. Noi viviamo in case separate, ma almeno una volta alla settimana, al massimo ogni quindici giorni, ci vediamo, o vado a trovarla io, o mi telefona lei e ci vediamo in trattoria come due vecchi scapoli." E qualche mese fa venne a trovarmi a casa mia, una sera, e vidi che era molto in ansia e con molta fatica riuscii a farla parlare. E' una storia molto triste, dottore, mi scusi se non la racconterbene, ordinatamente, come vuole la polizia. "
Stava forse per arrivare la verit pensDuca. " Non importa, non abbia timore, racconti come le viene. "
" Mia sorella mi raccontche nel suo ambulatorio, che nello stesso quartiere dove c'la scuola serale, " spiegAlberta Romani, ergendosi sulla poltrona e fissandoli, forse per'vincere la sua vergogna, " anduna ragazza di ven-t'anni che attendeva un bambino. Le disse che, o lei l'aiutava a non avere il bambino, o si sarebbe uccisa. Mia sorella naturalmente disse di no e la mandvia. Ma la ragazza torne ritorn piangendo, mostrava i tubetti di sonnifero che aveva nella borsetta, si disperava, mia sorella sentche si sarebbe uccisa davvero e per questo, e anche per un'attrazione, ecco, un'attrazione morbida verso la ragazza, l'aiut E da questo aiuto nacque la loro amicizia. " Adesso perlei abbassgli occhi. " Ed nata anche la tragedia di mia sorella. "
" Quale tragedia? " disse Duca.
" Questa ragazza ha un fratello, e il fratello ha cominciato a ricattare mia sorella. Voleva soldi, e se mia sorella non glieli avesse dati, l'avrebbe denunciata per procurato aborto. Mia sorella aveva dei risparmi, un po' per volta glieli ha dovuti dare tutti, e non basta, questo ragazzo, in seguito a una grave ulcera allo stomaco si era abituato agli oppiacei e mia sorella dovette procurargli, forzatamente, delle soluzioni di laudano molto concentrate, alle quali era abituato. Per questo, quando lei mi ha detto che conosceva l'esistenza di una dottoressa che riforniva di droga uno dei ragazzi della scuola ho cercato, tentato, di mentirle: la dottoressa quarantenne che dava la droga al ragazzo mia sorella. Poi ho capito che presto o tardi lei sarebbe arrivato lo stesso alla verite ho preferito dirle tutto io. "
Era venuta alla luce la pepita della verit era molto grande, scintillava molto.
" Questo ragazzo al quale sua sorella forniva gli oppiacei era dunque uno della scuola serale? " chiese Duca all'assistente sociale.
" S " disse lei.
" Qual il suo nome? "
Fu evidente che disse con molta fatica il nome del ragazzo, per delinquente che fosse, era un suo ragazzo. " E' Paolino, " disse. " Paolino Bovato, s forse il peggiore di tutti, pensi a come ha ricattato mia sorella, ma adesso in carcere soffrirmolto per la mancanza di oppiacei, lei medico, conosce queste tossicosi, bisogna che si rendano conto che non possono disintossicarlo di colpo, bisogna dargli ancora le sue gocce... "
Si preoccupava che il ricattatore di sua sorella, avesse la sua droga. Duca allora le domand " Come si chiama la sorella di questo ragazzo? E dove posso trovarla? "
" Si chiama Beatrice, " disse subito lei, poi, una lunga pausa. " Vive a casa con mia sorella, " disse poi. Dette anche l'indirizzo: " Viale Brianza 2. " E specificancora: " Beatrice Bovato. Fa come l'infermiera di mia sorella, riceve le clienti, le tiene anche in ordine la casa. " Si alzdi scatto. " Qualunque cosa cerchiate, mia sorella non colpevole di nulla: soltanto la vittima. "
Viale Brianza 2. Sulla strada, mentre Livia si metteva al volante dell'auto, Duca disse: " Andiamo in viale Brianza 2. " Poi le mise una mano sul braccio. " No, tardi. Portami a far colazione in qualche posto. " Quando si sentiva cosvicino alla verit preferiva fermarsi, aveva paura di sbagliare. Ed era molto facile sbagliare, adesso.
Capitolo quarto
Lei era una prostituta veterana che riconosceva i poliziotti anche da trenta metri di altezza, e lui era un magro ragazzo di quattordici anni troppo cretino per vivere.
Lei lo portin una pizzeria del centro, le piaceva molto la pizza e in quel locale la facevano molto buona, era pieno, di giorno di sera, alla domenica e nei giorni feriali, dal fondo della sala si vedeva il forno, le fiamme dentro il forno come fosse un caminetto, e lei, Livia Ussaro, mangiava molto, molto piano, masticando pianissimo, non perchavesse qualche difficolt ma perchmasticando le piccole cicatrici che le ricamavano tutto il viso divenivano pievidenti, ma se faceva piano forse non erano troppo delineate.
Quel giorno, oltre alla pizza avevano anche del capriolo in umido. Ne erano ghiotti tutti e due e siccome era cucinato anche molto bene, pulirono scrupolosamente il piatto dello scurissimo sugo saporito, e bevettero parecchio vino bianco, ma poi si accorsero che stavano recitando la parte dei golosi, che s i cibi erano buoni e li avevano mangiati con gusto, ma in fondo non li avevano molto apprezzati, perchi loro pensieri erano lontani, altrove.
" Che cosa pensi della sorella dell'assistente sociale? " disse Livia mentre attendevano il conto.
" Non lo so, " disse Duca. " Cerco un mandante e lo trover Almeno spero. " Le sorrise.
" Io non credo che sia la sorella dell'assistente, " disse Livia.
" Non l'abbiamo ancora vista, non sappiamo ancora nulla, non possiamo avere opinioni, " disse Duca.
" Io credo lo stesso che una donna come quella non possa essere mandante di un delitto simile. "
" In tribunale dobbiamo portare un colpevole e delle prove, non quello che crediamo noi. "
" Va bene, allora andiamo subito da questa donna, " disse Livia, fervida.
" Subito no, " disse Duca, meno fervido. " Per oggi basta. Andiamo a casa mia, teniamo compagnia a Lorenza. " Non voleva immaginare Lorenza, sola nella casa sola. " Compriamo prima tante verdure; mi preparate un grosso minestrone di verdura, mi piace molto, piace molto anche a Lorenza, vi aiuto anch'io a pulire le verdure, e fino a domattina ti proibisco di parlare di quelle altre cose. " Le appoggiil pugno chiuso sul mento. " Se no te le do. "
Passarono il pomeriggio e la serata quasi come aveva voluto lui. Quasi. Comprarono un sacco di verdure, arrivarono in piazza Leonardo da Vinci, le scaricarono dall'auto, le portarono su a casa, Lorenza venne ad aprire e fu cosfelice nel vederli, coscontenta. " C'anche il dottor C跫rua, " disse a Duca. " Dice che ha l'influenza e che venuto ad attaccarmela. "
" Ciao, " disse C跫rua comparendo nell'anticamera.
Duca rispose " ciao ", mentre trasportava la cassetta piena di verdure in cucina.
" Sai che sarebbe un'idea, " disse C跫rua, " se ci mettessimo a vendere frutta e verdura invece che fare i poliziotti. " Lo seguin cucina e gli disse a bassa voce in modo che Lorenza e Livia non potessero sentire. " Ho chiesto tre settimane di licenza, vado in Sardegna, al mio paese, mi lasci portare anche Lorenza? "
" E perch " disse Duca, ma aveva gicapito, era molto facile da capire.
" Cossi svaga, un viaggio, un posto nuovo, qui a casa, senza nessuno, con te che sei sempre in giro, non le fa bene. "
Era molto vero. " Grazie, " disse Duca.
" Gliene ho giparlato io, " disse C跫rua, " lei mi ha detto che voleva il tuo permesso. "
Duca glielo dette, il permesso. Chiamsua sorella Lorenza nel suo studio, la fece sedere sul divanetto piccolo, le tirun po' i capelli, come quando erano bambini e glieli tirava davvero.
" Carrua mi ha detto che va in Sardegna per tre settimane e che vuole portare anche te. Vai pure, Lorenza, ti farbene. "
Ma sua sorella scosse subito il capo. " Non voglio piandare, Duca, voglio stare qui. "
" Questo sbagliato, Lorenza, " disse Duca, " devi cercare di distrarti, di allontanarti da qui. "
" No, Duca, " lei disse irrigidendosi.
Duca capche era inutile insistere. " Va bene. Fai come vuoi. "
Carrua si offese molto che Lorenza rifiutasse il suo invito. " Voi Lamberti siete della brutta gente, i maschi e le femmine, tu e tua sorella, e anche tuo padre. Non mi piacete e non so perchcontinuo a starvi intorno. Che cosa ci fa qui a Milano, sola in questa casa, la principessina tua sorella, invece di venire con me al sole di Sardegna? " Ma la sera fece la pace quando assaggiil minestrone con le cotenne ed era tutto cosdolcemente familiare, quei quattro amici seduti al tavolo in cucina, Duca, Lorenza, Livia, Carrua, col televisore acceso che trasmetteva le interminabili discorse politiche sulla pace, sulle strutturazioni sociali, sugli scioperi, sul totocalcio e l'enalotto. Era proprio un giorno come Duca aveva desiderato, un giorno che lo ammorbidtanto da tenere la mano di Livia nella sua, sotto il tavolo, come aveva fatto, un'altra volta sola nella sua vita, a un veglione di carnevale quando era studente.
Fu proprio, quasi proprio, ecco, come aveva voluto lui, ciofinchnon squillil telefono, verso le nove, quando stavano per mettersi a vedere un film western alla televisione, e Lorenza anda prendere la comunicazione e torndicendo che era la Questura e che volevano il dottor Carrua.
" Scusate, " C跫rua andal telefono, non si sentquasi nulla di quello che diceva, poi torn sedette al suo posto, davanti alla tazzina del caff alzuna spalla, fece un paio di smorfie con la bocca, annusil caff ne bevette un sorso, poi disse: " E' una storia che riguarda te, visto che ti interessi tanto di quei ragazzi. Pernon il caso di guastare la serata. "
" Che cosa successo? " disse duro Duca.
" Uno di quei ragazzi si ucciso, " disse C跫rua. " Era al Beccaria. E' riuscito a scappare sul tetto e si buttato gi Me lo ha telefonato Mascaranti. "
" E chi questo ragazzo? " domandDuca.
" Fiorello Grassi. E' morto sul colpo, naturalmente. "
Fiorello Grassi, quello che non era giusto, quello che forse avrebbe parlato, se non avesse avuto tanta paura di fare la spia. " E' sicuro che si tratta di suicidio? " disse Duca.
C跫rua alzancora una spalla. " Non so niente. "
Duca si alz " Voglio andare a vedere. "
C跫rua bevette un altro sorso di caffe si alzanche lui. " Curiositgiovanile. Vengo anch'io. "
" Tu resta con Lorenza, " disse Duca a Livia.
" S " disse Livia. Gli dette le chiavi dell'auto. Duca guidl'auto fino a piazza Filangieri, davanti al palazzo dell'Istituto di Rieducazione Cesare Beccaria. Era giavvenuto tutto, il ragazzo, Fiorello Grassi, si era buttato dal tetto, si era sfracellato quasi davanti al portone d'ingresso, quasi davanti alla seicento che era parcheggiata lvicino con al volante una matura signora che aveva urlato e poi era svenuta. Era accorsa la polizia, erano stati fatti i rilievi, le foto, era arrivato il procuratore e aveva dato il nulla osta per la rimozione della salma. Un'autopompa del Comune aveva accuratamente lavato ogni traccia, ma erano rimasti dei curiosi che sostavano sul luogo e si raccontavano che dal tetto del Beccaria si era buttato, o era caduto, ma altri dicevano invece che era stato spinto, un ragazzo di sedici anni, ma alcuni dicevano di tredici, e altri diciotto, poi se ne andavano, ma ne arrivavano altri che si fermavano a vedere e sentire, mantenendo cosal capannello sempre una certa massa, sia pur fluida, ed era tutta gente insensibile al freddo, all'umido, alla squallida luce della piazza. Duca scese dall'auto innervosito perchnon gli piaceva guidare, guardnervoso quella gente mormorante intorno al punto in cui un ragazzo di sedici anni si era insaccato ed era morto, ed entrnervoso, con C跫rua, nell'interno del palazzo.
Il direttore era molto gentile e aveva uno sguardo di acuta intelligenza, ma anche di rigida volont Spiega C跫rua e a Duca che i ragazzi stavano per entrare in refettorio per la cena quando uno dei sorveglianti si era accorto che Fiorello Grassi si stava allontanando in fondo al corridoio invece di restare in fila per entrare in refettorio. Prima, allora, l'aveva chiamato, poi, visto che il ragazzo continuava a fuggire ed era giscomparso per la scala di servizio, l'aveva inseguito, per era sceso per la scala, mentre Fiorello Grassi l'aveva salita. Quando il sorvegliante si era accorto dello sbaglio, il ragazzo aveva avuto tutto il tempo di salire sulla terrazza del tetto, scavalcando i cancelletti che ne chiudevano l'accesso. E quando il sorvegliante l'aveva raggiunto Fiorello gli aveva gridato: " Stai lontano, se no mi butto gi "
" E il sorvegliante che cosa ha fatto? " domandDuca.
" E' stato lontano, ma ha cercato di convincerlo di non stare lin piedi sul bordo del terrazzo che dava nel vuoto, " disse il direttore, " ma non ha avuto il tempo di parlare molto, il ragazzo forse non lo ascoltava neppure e d'improvviso si buttato gi "
Questo escludeva, pensDuca, che Fiorello fosse stato ucciso, spinto fuori dal terrazzo, da qualcuno dei suoi compagni della scuola serale. Si era ucciso. Perchsi era ucciso? Credeva di intuirlo ma non sarebbe stato facile saperlo con certezza.
" E' possibile vedere gli altri ragazzi della scuola serale? " disse Duca al direttore.
" Se proprio necessario, s ma preferirei evitare. Naturalmente tutti qui sanno che cosa successo e sono in agitazione, li abbiamo mandati a letto e abbiamo gispento le luci, preferirei non irritarli svegliandoli e sottoponendoli a interrogatorio. "
Prima ancora che C跫rua intervenisse, Duca disse : " Capisco, ma proprio necessario vederli. "
Gentilmente e stancamente il direttore lo accontent Ci vollero dieci minuti, poi in una sala vicina all'ufficio otto ragazzi erano in fila, in ordine di et le spalle appoggiate a una lunga parete.
C跫rua disse sottovoce a Duca: " Stai calmo. "
Come un ufficiale della legione straniera che passa in rassegna la sua masnada di avanzi di galera, Duca passdavanti ai ragazzi, lentamente, guardandoli negli occhi uno per uno, nella luce fioca e tristissima del salone. E arrivato in fondo alla fila tornindietro. Li conosceva tutti, conosceva il loro nome, sapeva la loro ete soprattutto li conosceva dentro. In fondo erano trasparenti, alcuni erano nati delinquenti, altri lo erano soltanto divenuti, altri forse erano recuperabili.
" Come ti chiami? " disse fermo davanti al primo, il pigiovane, pur sapendo esattamente il suo nome.
" Carletto Atteso. "
Era il tredicenne impudente, tubercoloso, l'unico che non avesse nello sguardo neppure il pilieve lume di timore, di soggezione, e che guardava fisso negli occhi, quasi irridente, non solo i tre sorveglianti che avevano accompagnato i ragazzi, non solo il direttore dell'istituto, che pure non aveva assolutamente-un'espressione bonaria, ma anche lui, Duca, lo guardava fisso, pilivido e tubercoloso che mai sotto la livida luce fluorescente che si rifletteva sul lungo tavolone dal piano lucido di cera in mezzo alla sala.
" Quanti anni hai? "
" Quattordici, " disse Carletto.
" No, tredici, " corresse Duca, comprendendo benissimo che il ragazzo voleva deriderlo con risposte inesatte.
" Ah, s tredici, " disse il delinquente junior, quasi beffardo.
" Lo sai che cosa successo a Fiorello Grassi? " gli domandDuca, non cadendo nel tranello di arrabbiarsi che il ragazzo gli tendeva.
" S "
" Che cosa gli accaduto? "
" Si buttato dal terrazzo. "
" E sai perchsi buttato? " Intanto Duca guardava anche gli altri ragazzi, tutti in fila, tutti piuttosto ansiosi in viso, escluso quel piccolo criminale che stava interrogando.
" Io no. "
Duca fece due passi avanti e si fermd'improvviso davanti a un ragazzo tozzo, gli occhi torbidi, come fosse ubriaco, e sofferenti, e anche trepidi di paura. " Come ti chiami? " Ma lo sapeva, come si chiamava.
" Bovato Paolo. "
" Quanti anni hai? "
" Quasi diciotto. "
" Tu lo sai perchsi ucciso il tuo compagno Fiorello? " La voce di Duca, bassa e fredda nella sala fredda, cosvasta che sembrava vuota anche se vi erano tutti quei ragazzi e quei sorveglianti dall'aria stanca e nervosa, e quei dirigenti e poliziotti come lui, sembrava come uscire da un nastro magnetico, registrata, spersonalizzata, e questo evidentemente faceva impressione al ragazzo.
" No, non lo so. "
Era evidente che mentiva, era evidente che sapeva, come sapevano tutti gli altri, ma era evidente che qualche cosa li terrorizzava, li spingeva a mentire. Un'omertcoscompleta, totale, poteva essere spiegata solo col terrore. Duca allora andin fondo alla fila. Il ragazzo che aveva davanti si passuna mano sulle guance ispide, piche di barba di peluria brunastra e abbasssubito lo sguardo. " Come ti chiami? " Lo conosceva molto bene, era una domanda puramente formale.
" Ellusic Ettore. "
" Eri amico di Fiorello? "
" Andavo a scuola con lui. "
" Ma lo vedevi anche fuori scuola? "
" No... " Sguardo sempre basso, collo torto, gesti infantili della mano sul viso, come se continuasse ad accarezzarsi.
" No, o s "
Il ragazzo aveva dei bellissimi occhi, l'origine slava si vedeva da quegli occhi.
" Ogni tanto, " disse, " per caso. "
" E dove vi vedevate? " E siccome il ragazzo taceva e nella sua rozza furberia tentava chiaramente di sfuggire a qualunque domanda, Duca lo aiut " Forse t'incontravi con lui in un bar tabaccheria di via General Fara, insieme con un altro della scuola serale che si chiama, se non sbaglio, Federico dell'Angeletto, e che ha per amica una ragazza che si chiama Luisella e che lavora a maglia in un appartamento proprio nello stesso stabile dove c'il bar tabaccheria. E' vero? " Duca mise una mano sulla spalla del ragazzo, e con la mano strinse all'attaccatura della manica, finchquello non ebbe una smorfia e non alzi bellissimi occhi slavi verso di lui perchallentasse la stretta.
" S vero. "
" Allora vero anche che andavi in quel caffa giocare, e Fiorello veniva con te? "
" Ogni tanto. " Il ragazzo aveva il vezzo di quell' " ogni tanto ", e lo diceva con un tono come se volesse dire: ma, quasi mai, o forse mai.
" E cosa facevate, l dal tabaccaio, tu e Fiorello? "
" Cos "
" Che cosa significa < cos>? "
" Niente. C'era il flipper. "
" Giocavate al flipper? "
" S cos "
" Solo al flipper? O anche alle carte? " Alle sue spalle Duca sentiva la presenza di C跫rua e del direttore dell'istituto di rieducazione. Era una presenza tanto pipesante, quanto pisilenziosa. E sentiva anche la presenza dei tre sorveglianti, stanca e irritata, e sentiva che nessuno gradiva quella noiosa e agra rivista di giovani delinquenti che mentivano o che in ogni caso deformavano e alteravano la realt
" Anche alle carte, " disse il ragazzo. Poi aggiunse, precauzionalmente: " Ogni tanto. "
" Giocavate di soldi? "
" Cos Chi perdeva pagava da bere. "
" Soltanto? O anche di soldi? "
" Non si pugiocare di soldi nei locali pubblici. "
" Lascia perdere. Giocavi di soldi o no? "
" Ogni tanto. "
" Giocava anche Fiorello? "
" No, lui no, non gli piacevano le carte. "
" E allora che veniva a fare lal bar? " disse Duca.
D'improvviso, prima che il ragazzo dai begli occhi slavi potesse rispondere, si udnella sala un secco, metallico ridere, metallico e isterico.
" Cosa c'da ridere?
" disse Duca dirigendosi verso il centro della fila dove c'era un ragazzo molto magro, molto lungo, gli occhi rotondi e in fuori e il mento disseminato di lunghi peli che erano il suo personale tentativo di barba. Gli occhi chiari del ragazzo cominciarono a volgersi intimiditi di qua e di l e in basso.
" Come ti chiami? " disse Duca non avendo ottenuto risposta alla prima domanda.
" Marassi Carolino, " disse subito il ragazzo, burocraticamente.
" Quanti anni hai? "
" Quattordici. "
" Perchti sei messo a ridere, un momento fa? " Duca attese, nessuna risposta. " Perch "
" Non lo so. "
Con dolcezza, Duca insist " No, tu lo sai. "
Allora il ragazzo, forse preso da quella dolcezza cosimprevista, rise ancora, fissandolo con una certa ingenuitinfantile, perchin fondo aveva solo quattordici anni e non doveva essere bacato. " Percha Fiorello piaceva Fric, per questo andava al bar, anche se non giocava. "
Duca insistcol tono dolce. " Chi Fric? "
" Federico. " Il ragazzo rise, lo sguardo era malizioso, l'argomento doveva piacergli, aveva l'aria del ragazzo sporco e sporcaccione, ma non bacato, non corrotto.
" Federico che cosa? Conosci il cognome? "
Il ragazzo aveva il riso facile, disse ridendo: " Federico dell'Angeletto. "
" E Fiorello andava in quel bar in via General Fara, per stare con questo Federico? " Duca mise una mano sulla spalla del ragazzo, ma paternamente, non minaccioso. " Erano molto amici? In che senso erano amici? "
Alle spalle di Duca, C跫rua toss non era ovviamente un colpo di tosse naturale. Voleva soltanto avvertirlo di non approfondire troppo quel punto dell'interrogatorio.
E il ragazzo che aveva quel nome insolito di Carolino questa volta non rise, voltil viso quasi tutto di profilo, sia per non guardare, sia per non essere guardato. Poi disse, con una serietche aveva qualche cosa di allucinante: " Erano fidanzati."
E mentre lui non rideva; nella grande lugubre sala, gli altri sette ragazzi, nonostante la presenza dei tre sorveglianti, del direttore, della polizia, si misero a ridere, e anche se non ridevano molto forte, il salone era cosgrande che le risa echeggiarono, di finestra in finestra, di muro in muro. Rise Carletto Atteso il protervo; rise Benito Rossi il grossone, muscoloso, quello che presumibilmente aveva spezzato le costole alla giovane maestra e signorina Matilde Crescenzaghi, fu Michele e Ada Pirelli; rise Silvano Marcelli, sedicenne eredoluetico, e rise Ettore Domenici, il diciassettenne dalla madre che batteva nei paraggi di viale Tunisia; e r鮀e Michele Castello il diciassettenne dedito - non avendo voglia di lavorare - ai signori anziani e generosi; e risero Ettore Ellusic dagli occhi di slavo e Paolino Bovato dagli occhi torbidi di intossicato di oppio. Risero tutti e sette, escluso Carolino Marassi che aveva detto la frase che aveva suscitato tanta ilarit " Erano fidanzati ", ed erano tutti i ragazzi della scuola serale Andrea e Maria Fustagni, esclusi Federico dell'Angeletto e Vero Verini che essendo maggiorenni, erano nelle vicine carceri di San Vittore, ed escluso Fiorello Grassi che, per motivi non ancora chiariti e del tutto suoi personali, si era buttato dal tetto dell'Istituto di Rieducazione Cesare Beccaria. Risero tutti, ma risero solo per tre secondi, poi sotto lo sguardo di Duca, si tacquero di colpo.
" Allora, " disse Duca, appena si spense l'eco del ridere, al ragazzo che si chiamava Carolino, e che non aveva riso, " tu che sai tante cose, sul tuo compagno Fiorello, forse sai anche perchsi ucciso, perchsi buttato dal tetto di questa casa. "
Il ragazzo non rispose, e Duca non ripetla domanda, lasciche il silenzio dopo quella precisa domanda si gonfiasse, e fosse pisignificativo di qualsiasi risposta. Poi volse le spalle a quel ragazzo, e cosa tutta la fila di quegli sciagurati e si avvicinal direttore dell'istituto.
" Ho finito, purimandare i ragazzi, " disse. I sorveglianti portarono via quei singolari adolescenti e la grande sala sembrallora ancora pigrande. Duca guardC跫rua, stando in piedi, dall'alto in basso. " Non sapremo mai niente, tutto tempo buttato via. " Parlava a voce molto bassa. " Ciascuno di questi ragazzi sa tutta la verit ma non parla. Sono stati addestrati e preparati al massacro che hanno fatto della loro maestra, e poi a eludere la legge. Con questi ridicoli interrogatori non scopriremo mai nulla. Volevo soltanto sapere perchFiorello si era ucciso, e i ragazzi lo sanno, ma certo non lo diranno finchcontinueremo a interrogarli secondo i regolamenti. "
" Perchlei come vorrebbe interrogarli? " disse il direttore dell'istituto, ma senza ironia, solo stanco.
" Con la frusta? " disse C跫rua, cattivamente.
Duca scosse il capo, e riuscanche a sorridere. " Io credo che ci sia solo un altro tentativo da fare per scoprire il mostruoso individuo che ha spinto questi ragazzi all'assassinio della loro maestra. "
" E quale? " domandC跫rua, sempre cattivo.
" Affidarmi uno di questi ragazzi, " disse Duca, preciso. " Per esempio Carolino Marassi, ancora il meno guasto. "
" Affidartelo come? " disse C跫rua. Anche la voce era irridente, non solo lo sguardo.
" Me lo date in consegna per qualche giorno, " disse Duca, paziente, sotto l'irrisione di C跫rua. " Lo tengo io, con me, giorno e notte, gli parlo, e finisco per fargli dire la verit Questi ragazzi non parlano anche perchhanno paura di qualcuno. Se io riesco a convincere uno di questi ragazzi che non ne deve aver paura, che anzi deve aiutarmi a scoprire e ad arrestare questo qualcuno, allora abbiamo fatto il nostro lavoro. Ma per far questo ho bisogno di tenere un ragazzo con me, di ispirargli fiducia, di convincerlo che fa meglio a dare ascolto a me che a questo < altro > che lo domina come domina tutti i suoi compagni. "
Silenzio. Il direttore del Beccaria si passuna mano sul viso, C跫rua guardava in terra, poi disse, ma senza cattiveria, anzi, la voce era perfino turbata: " Lo sai che esistono dei regolamenti? La magistratura ha affidato i ragazzi alla direzione di questo istituto. Un qualunque poliziotto come te o me, non puprendersi uno di questi ragazzi e portarselo via, per interrogarlo, magari a legnate. "
Il direttore rise, un po' nervosamente. Duca non rise. " Non lo toccher mai, " disse.
" Ma, e se ti scappasse? Se si uccidesse, come ha fatto Fiorello Grassi? Che faresti? " disse C跫rua.
" Non lo lascerscappare, nuccidersi, " disse Duca.
" Ah, certo, " disse C跫rua agro, " tu sei il demiurgo che comanda al futuro, e se vuoi che una cosa non succeda, non succeder "
Il direttore si alz sorrise a Duca. " Se dipendesse da me, le lascerei subito uno di questi ragazzi, credo anch'io che sia questa l'unica via che ci resta per scoprire la verit Ma difficile che un magistrato se la senta di dare il suo consenso a un'operazione cospoco ortodossa. "
" Si puprovare. " Duca appoggitutte e due le mani sul lungo tavolo, e guardtutti e due. " Perchnon proviamo? Lasciatemi quel ragazzo solo pochi giorni, neppure una settimana, e troveril vero colpevole. "
Anche C跫rua si alz " Pudarsi che lo troveresti, ma non avrai mai il ragazzo, il magistrato non te lo concedermai. "
Caldamente e rabbiosamente Duca battuna mano sul tavolone. " Prova a chiederlo, " e alzla voce.
" Certo che provo a chiederlo, " disse C跫rua stizzito e tornando cattivo, " e domani vengo a dirti in che modo mi hanno risposto di no! "
Viale Brianza, numero 2. Livia ferml'auto, era stata dal parrucchiere il giorno prima e si era fatta tagliare i capelli, quasi da uomo, poi sopra i capelli aveva messo una grossa parrucca dai capelli lunghi che le piovevano sulle spalle e intorno al viso, nascondendo cosun po' delle piccole cicatrici. Non era una giornata milanese, c'era molto sole, anche se faceva molto freddo, e lei ne approfittava e si era messa dei grandi occhiali da sole, che coprivano anch'essi un po' di cicatrici.
" Perchnon scendi? " disse a Duca.
" Perchdovrei scendere? " lui pens guardandola attraverso il lungo velario di capelli che le copriva il viso. Non serviva a niente, nessuno s'interessava a niente, nessuno voleva sapere la verit una maestrina era morta, undici ragazzi anche se negavano, l'avevano seviziata, torturata e uccisa, ma data la loro etsarebbero stati condannati a pene ridicole. Che vi fosse un mandante, il vero autentico responsabile del massacro, non importava a nessuno, che una dottoressa fornisse oppiacei a uno di quei ragazzi e convivesse con la sorella di questo ragazzo, non interessava ugualmente nessuno, polizia e magistrati erano sepolti da tonnellate di pratiche e non avevano tempo per raffinatezze. Che senso aveva quindi venire lin viale Brianza 2 per interrogare una professoressa in ostetricia e la sua infermiera e amica? Nessuno, perchnon interessava nessuno.
" Perchnon scendi? " ripetLivia.
Era coscomicamente bella, con quei lunghi capelli che sembravano due tendine sul viso, e quei grandi occhiali scuri, che egli s'inteneriva a guardarla. " Scendi anche tu, e andiamo su insieme, " le disse. " E fammi vedere la rivoltella. "
Ubbidiente, lei aprla borsetta e ne tirfuori la piccola Beretta. " Visto? "
S visto. Pochi possono immaginare quanto possano essere facili le occasioni in cui occorre difendersi sparando, anche per una donna. Scesero insieme dall'auto che restsotto il segnale di sosta vietata, la portinaia disse che la professoressa Romani stava al terzo piano e che l'ascensore era guasto. Salirono i tre piani, suonarono il campanello sotto la targa Ernesta Romani, e niente altro, nun Dott. o un Prof., soltanto Ernesta Romani, e venne ad aprire una giovane donna.
Non c'era bisogno di domandarle chi fosse, lo si vedeva subito: era la sorella di Paolino Bovato, anzi sembrava lo stesso Paolino Bovato dagli occhi torbidi per l'effetto del laudano e oppiacei vari, e solo vagamente c'era qualche cosa di femminile in lei, un po' per le labbra cosrosse, un po' per le belle, lunghe gambe che uscivano dal grembiule bianco di infermiera.
Perchla situazione fosse subito chiara, Duca entrcon Livia nella striminzita anticamera e mostril suo tesserino. " Polizia. " Rimise il tesserino in tasca. " Devo parlare con la professoressa Romani. "
La sorella di Paolo Bovato li portnella solita cameretta che fa da sala d'aspetto, con le vecchie riviste sfogliate e risfogliate su un tavolinetto anonimo, e su una parete un placido quadretto tutto rossastro che avrebbe dovuto essere un bosco in montagna d'autunno.
La professoressa Romani, la sorella dell'anziana assistente sociale, entrun istante dopo. Era molto differente da Alberta Romani: era pialta, evidentemente pinervosa, impressionabile, irritabile della sorella. Portava dei grandi occhiali perfettamente rotondi, dalla sottilissima montatura in oro che davano al suo viso, pur non molto giovane, un'aria da studentessa americana, quelle che si vedono nei film.
" Prego, " disse, invitandoli a entrare nello studio. Disse ancora: " Prego, " per invitarli a sedere sulle poltroncine di metallo davanti alla sua scrivania, di metallo anch'essa e, come una maestra che ha fatto un'interrogazione, sembrattendere che i suoi due allievi rispondessero.
Duca non disse nulla, guardava gli occhiali della professoressa in ostetricia, la bellissima sottilissima montatura in oro, e quella forma perfettamente rotonda che gli dava un'immediata sensazione di alta classe. Neppure Livia naturalmente disse nulla. Lei guardava in basso, si guardava le ginocchia, forse la gonna era un po' troppo corta, per una donna che faceva l'autista a un poliziotto, forse s era troppo corta.
Il silenzio, evidentemente innervosla professoressa. " Polizia? " disse, la voce trepida di ansia, eppure altera.
Duca accenndi scol capo, poi disse, pacato, lentamente, distendendosi meglio sulla poltroncina cosscomoda: " Ho giinterrogato sua sorella, a proposito dell'assassinio della maestra della scuola serale. Sua sorella una persona di molto buon senso ed ha parlato con molta sincerit Cosho saputo che la ragazza che tiene qui in casa come infermiera non un'infermiera, ma una giovane alla quale lei ha praticato un intervento che il codice non giudica legale. Sua sorella mi ha anche detto che lei fornisce, o per lo meno ha fornito fino a una diecina di giorni fa, dell'oppio o dei suoi derivati, al fratello della ragazza che ci ha aperto la porta qualche minuto fa, e che la ricatta. "
Lei, la professoressa Ernesta Romani, sembrava calma, e anzi, ogni tanto accennava col capo di s come per confermare che quello che diceva Duca era esatto. " Il procurato aborto e la somministrazione di allucinogeni sono reati per i quali previsto l'arresto immediato, " continuDuca, " ad ogni modo non sono venuto per questo, almeno per il momento. Io desidero solo farle qualche domanda riguardante i ragazzi della scuola serale. Per esempio su Paolino Bovato. Anche la sua infermiera, essendo la sorella di Paolino Bovato, potrrispondere su questo punto. "
" Vuole che gliela chiami? " disse Ernesta Romani.
" Sarebbe meglio. "
La professoressa si alz aprla porta che dava su un corridoio e chiam " Beatrice. " Attese pochi secondi, poi la ragazza arrivsulla porta. " Entra. La polizia ti vuole interrogare. "
Tutte e due vestite di bianco, la ragazza col lungo grembiule, la professoressa col camice da uomo, sedettero dietro la scrivania e attesero. Non sembrava avessero paura, ma forse l'avevano lo stesso.
" Quasi due settimane fa, come sapete benissimo, una giovane maestra stata massacrata da un gruppo di ragazzi della scuola serale Andrea e Maria Fustagni. Questi ragazzi sono gli autori materiali dell'assassinio, ma noi abbiamo motivo di credere che essi siano stati spinti al delitto da una persona che li ha istruiti e organizzati per compierlo. Una persona della quale questi ragazzi, oltre tutto, devono avere anche molta paura, perchessi non la nominano mai, non ne parlano mai e anche interrogati a lungo rispondono di no, che non conoscono nessuno e che non sanno nulla. " Duca parlava quasi svogliatamente, come un professore che spiega per la millesima volta la stessa lezione. " Ora lei, professoressa, conosce molto bene uno di questi ragazzi, Paolino Bovato; e anche lei, signorina Beatrice, lo conosce molto bene perchsuo fratello. E per questo forse potrete rispondere alla domanda che vi faccio: sapete se Paolino Bovato o qualche suo compagno di scuola avessero un'amicizia continuata con una persona adulta? Voglio dire questo: i ragazzi fanno amicizia con i coetanei, con gli adulti o le persone anziane hanno solo brevi rapporti, per momentaneo interesse. Qui si tratta invece di amicizia. Uno di questi ragazzi, potrebbe essere lo stesso Paolino, conosce un adulto per il quale prova amicizia e soggezione e che lo ha istigato a commettere insieme coi suoi compagni, l'assassinio della maestra, che cioil mandante del delitto, il vero colpevole. Voi dovreste conoscere le compagnie che frequentava Paolino, e darmi forse qualche indicazione utile. "
La sorella di Paolino, Beatrice Bovato, accennsubito di no col capo, poi con voce bassa ma calda d'ira, disse: " E' uno sporcaccione e un delinquente, mio fratello, e non dice niente di quello che fa e dove va e con chi. E' peggio del padre, avevo dieci anni quando tentdi usarmi violenza, la mamma ci aveva lasciati soli in casa e mi salvai solo perchriuscii a dargli uno spintone e lui anda finire sulla stufetta a carbone, si bruciil didietro e allora mi lasciperdere. Non lo so che amici abbia, sono andata a servizio a tredici anni, e non ho pivoluto tornare a casa, se no mia madre mi mandava per la strada a fare quel mestiere. Non ne so nulla io, di Paolino, non posso conoscere i suoi amici, nniente. So soltanto che ricomparso un anno fa, per ricattare me e la professoressa, perchun delinquente e sarstato lui a organizzare tutto quel macello con la povera maestra. E' capacissimo, non ha bisogno di aiuto o di consigli. "
Non c'era molto amor fraterno in quel discorso, ma c'era molta verit Duca vide la professoressa che metteva una mano sulla spalla della ragazza, una bella mano quasi maschile, dalle unghie cortissime e quadrate.
" Quindi neppure lei saprmolto sulle amicizie di Paolino, " disse alla professoressa.
Ernesta Romani levla mano dalla spalla della ragazza. " Credo di capire ciche lei ha bisogno di sapere e forse posso esserle utile. "
Duca strinse lentamente la mano a pugno, a quelle parole, mentre Livia ritorna guardarsi le ginocchia. Proprio in quel momento un camion passrombando per la strada. Ernesta Romani aspettche il rombo cessasse, poi disse: " Una volta, quando Paolino venne qui per avere la solita razione di oppiacei, si sentiva talmente male che bevette quasi mezzo bicchiere di laudano, subito, e poi dovetti farlo stare disteso sul lettino un po' di tempo perchsi riprendesse. " Raccontava, bene, nitidamente, ordinatamente, con una voce perun po' incerta, nmaschile, nfemminile. " In quello stato di rilassamento chimico, non controllano molto quello che dicono, e Paolino mi raccontche era stato in Svizzera con un suo amico, gli era piaciuta tanto la Svizzera, si era fermato solo un giorno, dal mattino alla sera, ma avevano conosciuto, lui e il suo amico, due ragazze italiane che facevano le cameriere in un grande albergo, due belle ragazze. Lui voleva tornare in Svizzera, era un po' difficile per lui, diceva, cossenza passaporto, senza carta di identit e ancora minorenne, ma ci sarebbe tornato, con quel suo amico, voleva rivedere le due ragazze, avrebbero passato il confine a qualunque costo, pur di stare ancora con quelle ragazze, del resto c'era un signore gentile che li aveva accompagnati quella volta al confine e che forse li avrebbe accompagnati altre volte, poi continuava a ripetere che quelle ragazze erano molto belle, una bionda, una bruna, a lui piaceva la bruna. Io l'ascoltavo, ne avevo disgusto e provavo voglia di ridere, disgusto per quel ragazzo di diciassette anni, gisfatto dentro in ogni senso, fisico e morale, e voglia di ridere per le stupide cose che diceva sulle due ragazze. "
Duca aspettche la professoressa Romani parlasse ancora, ma lei aveva finito. Allora le disse: " Quanto tempo fa accaduto questo? "
" L'estate scorsa, credo fine luglio o i primi di agosto. "
" Non le ha detto qualche particolare su quel signore gentile che li aveva accompagnati al confine? "
" No, mi sembra proprio di no, ma capii da quello che raccontava che doveva averli portati al confine in macchina. "
Era molto probabile. In macchina si va da per tutto, facilmente. " E non le disse neppure da che parte avevano passato il confine? Dalle parti di Cannobbio? Di Luino, di Ponte Tresa? " Cercava di aiutare la sua memoria, ma lei scosse il capo.
" No, non me lo disse. Anche se era in stato quasi stuporoso, stato molto prudente. "
Comprendeva. Si alz " Grazie, " disse.
" Non so se le sono stata utile, " disse Ernesta Romani, " spero di s "
" Forse s " disse Duca. Guardle due donne in piedi, la sorella di Paolino Bovato e la professoressa. Ne provmolta piet Usccon Livia, salin auto. " Portami in Questura. "
Fu una storia lunga, anche se lei guidava bene, il traffico era convulso, spiacevole, irritante, i guidatori si guardavano con odio, i semafori erano sempre rossi e lui ebbe tutto il tempo di pensare. Paolino Bovato. Il suo amico. Tutti e due andavano in Svizzera - come? Non avevano nessun documento - e c'era un signore che li aveva accompagnati in Svizzera, probabilmente in auto. Ma in auto i due ragazzi non potevano passare il confine senza documenti. Forse era un discorso senza senso che Paolino aveva fatto sotto l'effetto dell'oppio. E poi che nesso aveva questa storia con quello che lui stava cercando? Pensava con gli occhi chiusi e li aprsoltanto quando lei disse: " Siamo arrivati. "
Erano nel cortile della Questura. " Aspettami qui, "
isse a Livia. Saldi corsa le scale, camminrapido per il corridoio, qualche cosa si accendeva e spegneva nella sua mente, era come un segnale di attenzione, gli capitava ogni tanto quando rifletteva intorno a qualche cosa ed era vicino a trovare la soluzione migliore, la decisione pigiusta.
Aprla porta del suo ufficio. Era odoroso di cera e molto pulito, la vecchia donna delle pulizie lo considerava evidentemente un ufficio molto importante e lustrava le povere cose che lo arredavano con tutto il suo impegno: ciascuno si pone gli ideali che preferisce.
Con una chiavetta apruno dei cassetti della scrivania e tirfuori il grosso fascicolo, sulla copertina non vi era scritto niente, ma lui non aveva bisogno di titoli per sapere che cosa c'era dentro. Dentro c'era prima di tutto quella fotografia, la voltsubito, preferiva non ricordarla, poi c'erano le cartelline, undici, ciascuna intestata a uno degli undici ragazzi. Lerano in ordine alfabetico, Atteso Carletto, Bovato Paolo, Castello Michele, e cos via. Risfoglia una a una tutte le carte. Cercava qualche cosa, ma non sapeva che. Sapeva di aver detto a Livia di attenderlo che sarebbe tornato subito, ma dopo oltre mezz'ora era arrivato a cartella nove, e senza aver trovato niente. Non trovniente neppure nella decima e nella undicesima. Ma forse quando non si sa che cosa si cerca difficile trovarlo.
Era rimasto un solo foglietto, non ricordava pineppure che cosa era, poi capleggendolo: era la mappa. La descrizione di tutto quello che era stato trovato nell'aula A della scuola serale Andrea e Maria Fustagni. Numero 1 Maestra, naturalmente. Numero 2 Slip. Numero 3 Scarpa sinistra, e cosvia, numero 11 Reggiseno, numero 16 Pezzo orecchio, numero 18 Cinquanta centesimi svizzeri.
Rilesse: numero 18 Cinquanta centesimi svizzeri. Uno dei ragazzi, durante il massacro, aveva perduto una monetina svizzera. Una monetina svizzera potete averla in regalo, o perchsiete stati a Chiasso o a Lugano a comprare sigarette, cioccolato o maglie di lana. Era molto probabile che qualcuno di quei ragazzi fosse stato in Svizzera, e allora uno di questi qualcuno era Paolino Bovato, era lui che aveva raccontato alla professoressa Romani di essere stato in Svizzera, con un amico.
Mentre richiudeva il fascicolo nel cassetto pensdue domande. La prima era: chi era questo amico di Paolino che era stato con lui in Svizzera? La seconda era: che cosa erano andati a fare in Svizzera? Poi mentre si avviava alla porta se ne fece una terza: e quel signore perchli aveva accompagnati in Svizzera?
Era uscito e stava per chiudere la porta quando sentil telefono. Ritornin ufficio e sollevil ricevitore. Era C跫rua.
" E' da questa mattina che ti cerco. "
" Eccomi. "
" Scendi che ho una buona notizia. "
Duca scese quietamente senza ansia, all'ufficio di C跫rua. Secondo la filosofia cinese non si pumai sapere se una notizia buona. La notizia di aver vinto alla lotteria sembra buona, ma se per andare a incassare la vincita uno finisce sotto un filobus e muore, una notizia buona per modo di dire.
" Sei un uomo pieno di fascino, " gli disse C跫rua appena entr " Affascini tutti, donne, uomini, vecchi funzionari come me e perfino integerrimi direttori di istituti di rieducazione, voglio dire il direttore del Beccaria. "
Duca sedette davanti alla scrivania, credeva di capire.
" Non sei curioso di sapere che cosa successo? " continuC跫rua.
" S sono curioso. " Meglio rispondergli cos Ma era stanco, piche curioso.
" Tu, quella sera che siamo stati al Beccaria per il suicidio di Fiorello Grassi, hai detto che avresti avuto bisogno di portarti a casa uno di quei ragazzi rinchiusi nell'istituto, per interrogarlo meglio, per convincerlo meglio a dire la verit Te ne ricordi, almeno? "
" Certo, me ne ricordo. " Ebbe un brivido, e nello stesso tempo aveva caldo. Forse influenza, pens Lo commoveva quando C跫rua tentava di canzonarlo. E sorrise per farlo contento.
" Bene. Allora io ho chiesto al magistrato se ci concedeva di prelevare uno di quei ragazzi e di portarlo a spasso per qualche giorno per interrogarlo meglio, e lui, saputo che l'avrei affidato a te, questo ragazzo, ha detto di s Ti conosce, mi ha detto che non ha mai approvato la tua condanna per eutanasia, lui ti avrebbe assolto, e mi ha firmato subito l'ordine di affidamento. Eccolo qua. Ma prima di dartelo devo spiegarti qualche cosa. "
Duca accenndi s che spiegasse pure.
" Se questo ragazzo ti scappa, tu perdi il posto, ti butto fuori io, con le mie mani, " C跫rua disse vibratamente, non scherzava. " Se gli succede qualche cosa, se si rompe una gamba, se qualcuno lo ferisce o te lo porta via, perdi il posto e vai anche in galera. "
Ancora, Duca accenndi s Perfettamente logico.
" E qualunque cosa succeda a questo ragazzo che faccia perdere il posto anche a me, " C跫rua aveva continuato ad alzare il tono di voce, " perchsono io che ho raccomandato questa tua trovata del prenderti uno di quei ragazzi e portarlo in giro per Milano, allora non solo perdi il posto e vai in galera, ma prima ti rompo la faccia con queste mani. "
Era giusto, pensDuca, e accennancora di s
" Forse hai capito quello che voglio dire, " disse C跫rua.
" Certo, " disse Duca.
" Allora con questo foglietto puoi andare al Beccaria. Il direttore, anche lui affascinato da te, ti consegneruno qualsiasi di quei ragazzi, a tua scelta. Mi pare che avevi accennato a uno che ha un nome curioso. "
" S Carolino. Carolino Marassi. "
Carolino Marassi usc ma molto incredulo, dal portone del Beccaria, a fianco di Duca. Guardla piazza, nel suo paltoncino dalle maniche troppo corte per lui, che gli lasciavano scoperto un lungo tratto di polso, bluastro per il freddo e qua e lbuio di sporcizia. C'era la nebbia, avrebbe potuto fuggire benissimo, Duca non lo teneva per mano, ma era diffidente, aveva paura di un tranello, magari le strade che davano nella piazza erano bloccate dai poliziotti e lui gli cadeva tra le braccia come uno stupido. Prima di fuggire voleva capire qualche cosa di quella storia, e non ne capiva ancora nulla.
" Sali, " gli disse Duca e gli tenne aperta la portiera posteriore dell'auto. Lui sedette accanto a Livia che era al volante. " Andiamo a casa mia. "
Carolino guardava le strade coi suoi occhi rotondi, al-l'infuori, chiarissimi: via Torino, piazza Duomo, corso Vittorio, San Babila. Pensava intensamente, ma i pensieri non si mettevano in ordine: come cavalli spaventati andavano da tutte le parti senza requie. Perchquel poliziotto era venuto a prenderlo? Perchlo portava a casa sua? Perchnon lo sorvegliava meglio? Anche adesso, in auto, gli volgeva le spalle, non si curava per niente di lui, e Carolino se avesse voluto avrebbe potuto aprire di colpo la portiera e buttarsi gi tanto andavano molto piano con quel traffico.
" Questo Carolino, " disse Duca. Senza volgersi verso di lui disse: " Questa Livia, la mia autista. "
Carolino alzuna spalla, si sfregle mani che nel tepore che c'era nell'auto cominciavano a disgelarsi e pensirritato che scherzo era dirgli di quella ragazza che era l'autista. Non aveva voglia di scherzi.
" Strada facendo fermati davanti a una macelleria, " disse Duca a Livia. E lei fermquasi subito perchne aveva vista una poche decine di metri in l " Scendiamo pure tutti, " disse Duca, ed entrnella macelleria per primo, senza curarsi se il ragazzo lo seguiva o no.
Ma Carolino lo segu a fianco dLivia, coslungo e magro, quei capelli di un castano sporco, anche di sporcizia, corti e diritti, era alto quasi quanto lei.
" Quattro costate, spesse, " disse Duca.
Il macellaio gli sorrise amicale, poi dette uno sguardo senza sorriso alla straccioneria di Carolino.
" E' con me, " disse Duca.
Carolino guardava in terra, torvo, sapeva di essere vestito male e se ne vergognava, lin quel negozio.
" Poi anche un chilo e mezzo di bollito, " disse Duca.
" Le do del biancostato straordinario, vedr " disse il macellaio.
Duca tese il pacchetto delle sigarette a Carolino. " Fuma. " Gli accese la sigaretta. " Adesso dobbiamo cercare un salumiere, " disse a Livia risalendo in macchina.
Il salumiere non era molto distante. " Eccolo, " disse Livia fermando.
" Se non vuoi scendere, " disse Duca a Carolino, " puoi restare in macchina intanto che noi facciamo la spesa. " Il ragazzo, malvestito, si vergognava.
Carolino meditsulle parole, poi disse: " S resto in macchina. " Guardil poliziotto e la sua autista entrare nella salumeria, che era piena di gente: sarebbero stati lun po', di sicuro. Poi guardla chiavetta che pendeva dalla messa in moto, il poliziotto non l'aveva portata via. Allora qualche pensiero smise di galoppare atterrito nella sua mente e si raduncon qualche altro. Cominciava a capire una cosa. Lo mettevano alla prova: volevano vedere se fuggiva. Per fuggire, poteva, anche in quel momento, con quell'auto. Certo che sapeva guidare, non aveva bisogno di patente, ndi avere diciotto anni, e poteva andarsene con quell'auto. Ma quanto sarebbe andato lontano? Non avrebbe fatto in tempo neppure a trovare un ciapparoeud per vendergli le ruote con tutte le gomme, che lo avrebbero beccato. E una volta ripreso, l'avrebbe pagata cara. Non sarebbe fuggito cosda stupido, senza una lira. Se ci fosse stata l'occasione buona, allora s avrebbe tentato, se no, niente.
" Adesso andiamo davvero a casa, " disse Duca a Livia uscendo dalla salumeria. Salin macchina con lei senza neppure guardare se nell'interno c'era il ragazzo o no, poi vide che c'era. " Hai fame? " gli disse.
" S un po', " rispose il ragazzo subito, istintivamente, la fame abitava da anni e anni nel suo stomaco, forse da quando era nato, mai aveva potuto sloggiarla del tutto.
" Siamo quasi arrivati, " disse Duca.
Attraverso la nebbia che con la sera diveniva pifitta l'auto lentamente attraversvia Pascoli e fermin piazza Leonardo da Vinci.
" Vieni, Carolino, " disse Duca. Di sopra Lorenza venne ad aprire. " C'un mio amico che resta a cena con noi, " le disse. " Questa mia sorella. Vieni Carolino. " Lo portin bagno. Chiuse la porta e april rubinetto della vasca, quello dell'acqua calda. " Spogliati e metti tutta' la roba in terra, in quell'angolo. " Il ragazzo andubbidiente nell'angolo e comincia spogliarsi. Duca si accese una sigaretta, e gliela dette. " Pidocchi niente, vero? "
Carolino scosse il capo. " No, pidocchi no, cimici s "
" Persolo nei letti, nei materassi. "
" S ma sono tante, e qualcuna resta addosso. Io perne ho poche. "
" Meglio cos " disse Duca. Chiuse l'acqua calda, il vapore acqueo inondava lo stanzino come nebbia. Aprun poco il rubinetto dell'acqua fredda. Accese una sigaretta per s Dopo la terza boccata il ragazzo era l svestito e gisudato. " Come ti piace il bagno, caldo o freddo? "
Carolino scosse il capo. " Non l'ho mai fatto. Solo la doccia quando ero al Beccaria. Era quasi fredda, e non mi piaceva. "
" Allora prova col piede a sentire se ti va bene, " disse Duca. Il ragazzo prove disse che gli piaceva coscalda. " Entra piano piano, non di colpo. " Guardquel lungo ragazzo che entrava nella vasca, era tutto ossa e tutto punzecchiature di cimici. " Distenditi, cos Stai bene? "
" S " disse il ragazzo.
" Aspettami lcos torno subito. " Duca fece una bracciata di tutta la roba che il ragazzo si era tolto di dosso, comprese le scarpe, uscdal bagno, corse nel terrazzino della cucina, dove vi era la buca della spazzatura e, indumento per indumento butttutto dentro la buca, le scarpe fecero un gran rumore.
" Cosa fai? " gli disse sua sorella affacciandosi sulla terrazza.
" Disinfestazione, " disse Duca. Ritorndi corsa nel bagno. Il ragazzo era rosso, ma l'acqua stava gidiventando molto scura. " Guarda, questo un guanto di spugna, ne hai mai visti? "
" No. "
" Lo metti cos come un guanto, poi con l'altra mano prendi il sapone e lo sfreghi sul guanto finchnon si imbevuto tutto di sapone, allora col guanto ti passi la mano su tutto il corpo per fare tanta schiuma. "
Gli spiegogni particolare e stette a guardare. Il ragazzo capiva subito e si puliva con coscienza, ma bisogncambiare l'acqua e ci volle del tempo prima che uscisse veramente pulito, i capelli improvvisamente schiariti, imbionditi, e da fuori Lorenza grid " Duca, posso mettere gila pasta? "
" Fra dieci minuti siamo pronti, " disse Duca. Fece mettere il suo pigiama al ragazzo, non gli era poi tanto lungo,
bastrimboccare i calzoni e le maniche, piuttosto era largo, come se si fosse preparato per una lezione di judo.
Al dodicesimo minuto erano a tavola tutti e quattro, in cucina, e Lorenza servle fettuccine col rag " Dagliene ancora, " le disse Duca, e sua sorella vuotlo scolapasta fumante sul piatto del ragazzo.
Carolino guardla montagnola di pasta che aveva davanti, la guarddivenire rossa e ancora pialta man mano che Lorenza vi versava il rag e poi la bianca neve del formaggio. Ma era incerto, si vergognava, anche se Livia e Lorenza gli sorridevano, o non lo guardavano per niente. Duca che gli era vicino gli mescolle fettuccine, gli mise la forchetta in mano: " Mangia, e non preoccuparti di niente. "
Carolino arrossdi pi ma comincia mangiare, guardava solo sul piatto, la presenza delle due donne lo metteva a disagio e lo rendeva ancora pidiffidente. Ma aveva tanta fame, a un certo punto non si preoccuppidi come teneva la forchetta, se metforchettata gli rimaneva fuori della bocca se la succhiava su voracemente. Duca accese la radiolina, perchtutti tacevano, e il chiacchiericcio a transistori sembrpiacere a Carolino, che mangiquasi seguendo il ritmo della discorsa che stava facendo quello del radiogiornale. Il piatto di fettuccine che aveva fatto dare a Carolino era enorme, ma Duca immaginava facilmente l'appetito di chi esce da certi istituti. Infatti la montagna di pasta al ragfu subito finita.
" Mettici un uovo, sulla sua costata, " disse Duca a Lorenza che stava davanti ai fornelli.
" S me l'avevi gidetto, " disse Lorenza.
Un istante dopo Carolino ebbe davanti la grossa costata con sopra l'uovo che ancora friggeva. Guardincredulo verso Duca.
" Bevi un po' di vino, " lo invitDuca riempiendogli il bicchiere. Carne e uova: il ragazzo forse non aveva mai visto tanta carne nel suo piatto da quando era nato. Pur essendo tutto ossa, non era tubercoloso, ma continuando col cibo dei riformatori o dell'orfanotrofio lo sarebbe diventato facilmente. Carolino non sapeva neppure da che parte assalire tutta quella carne e quell'uovo, ma l'istinto lo aiut assalprima la carne, voracemente, prima col coltello, poi quando ebbe scalzata tutta la carne, prese l'osso con le mani e non vi lasciattaccato quasi niente. E dopo con un pezzo di pane e la forchetta fece sparire l'uovo.
" Bevi, " disse Duca riempiendogli il bicchiere di nuovo. Il ragazzo lo vuotd'un colpo. Duca gliene riempun terzo. " Questo bevilo un po' per volta, " gli disse:
Carolino arross Curioso veder arrossire uno di quei ragazzi. La radio adesso trasmetteva canzonette, Duca ne seguiva il tempo battendo con le dita sulla tavola. Lorenza e Livia parlavano a bassa voce. La piccola cucina era calda, l'aria densa di sapidi aromi. Carolino era lucido di sudore, ogni tanto beveva un sorso del vino, ma stava sempre a occhi bassi.
" Sigaretta? " gli disse Livia. Gli tese il pacchetto attraverso la tavola.
Carolino guardtutti quei piccoli segni che la ragazza aveva in viso, che cosa erano? Ma era bella lo stesso, anche con tutti quei segni. Vide davanti a sun fiammifero acceso, era Duca che glielo tendeva. Accese la sigaretta, la fumlentamente, Duca gliene diede un'altra, fumanche quella, adesso non teneva pigli occhi bassi, guardava qua e l ma senza mai fissare negli occhi nessuno, ogni tanto le labbra gli si schiudevano a un tentativo di sorriso, i tre bicchieri di vino lo avevano reso meno diffidente. Poi comincia sbattere le palpebre mentre finiva la sigaretta.
" Hai sonno? " gli disse Duca.
Carolino schiaccila sigaretta nel posacenere, ora non sapeva perch vedeva il poliziotto attraverso una nebbia, e uduna voce di donna, doveva essere quella della ragazza che aveva tutti quei piccoli segni sul viso: " Ma certo che ha sonno". Un'altra voce di donna gli disse quasi vicino all'orecchio: " Che cos'hai? " Poi sentla mano del poliziotto sulla spalla. " Vieni, Carolino. E' solo un po' stanco. " La mano del poliziotto gli prese il braccio, glielo tenne senza rudezza, paternamente. Carolino si alz si lasciguidare dal poliziotto attraverso la nebbia della stanchezza, non capiva dove andava, non sapeva perchaveva tanto sonno. Forse era ubriaco. Udancora la voce del poliziotto: " Mettiti qui, a letto. " Lui accenndi s senza neppure vedere dove era il letto, ma il poliziotto lo fece sedere e poi distendere sul letto, lo copr lui sentla mano del poliziotto. " Sei stanco, devi dormire. " Il cuscino era morbido, il materasso anche, le lenzuola lisce, non raspavano come quelle dell'istituto. Non seppe mai se il poliziotto avesse spento la luce o se era lui che si era addormentato di colpo.

Si sveglisazio di sonno, e non perchqualche rumore l'avesse svegliato. Dalle persiane della finestra guardle righe di luce e dal tipo di luce capche doveva esserci molta nebbia. Poi d'improvviso capche non era al Beccaria, ricordtutto, da quando il poliziotto lo aveva portato fuori dall'istituto, a quando gli era venuto cossonno e si mise di scatto a sedere per vedere dove si trovava. Era una piccola stanza, molto semplice, ma che a lui parve sontuosa, c'era un armadio, un com due sedie in legno chiaro, un comodino e niente altro, assolutamente nessun altro mobile, ma a lui sembrmolto arredata, piena di roba. Sul comodino c'era un paralume giallo e una piccola sveglia che segnava le undici e quaranta. Non aveva mai dormito tanto, sbadigli ma aveva gile idee chiare e un'idea doveva essergli cresciuta nella mente durante la notte: il poliziotto voleva imbrogliarlo. Lo trattava cosbene perchstava per fargliela. Nessuno fa niente per niente e Carolino pensche cosa voleva il poliziotto in cambio di tutte le sue moine: voleva sapere la verit
Stava fresco.
Saltgidal letto a piedi nudi, apri vetri, aprle persiane, richiuse subito i vetri per il gelo, e non vide nulla, o quasi. La finestra dava sul cortile, ma la nebbia era tanta che distinse solo i balconi e le finestre ai lati.
" Buongiorno, Carolino. "
Carolino sussult vide il poliziotto che aveva in mano un gran pacco e una scatola e che buttava pacco e scatola sul letto. " Buongiorno, signore. "
" Non dire signore, " disse Duca, " non siamo al riformatorio. "
" S signore. " Sorrise lui stesso per avere ripetuto signore. Seguil poliziotto che lo portin bagno. " Lavati bene, non aver paura di sciupare il sapone. " Lo lascisolo in bagno e andin cucina dove erano Lorenza e Livia. Quando sentil ragazzo uscire dal bagno tornda lui, lo portnella camera dove aveva dormito e april grosso pacco. Vi era dentro tutto quello che occorreva per rivestirlo, dai calzini alle maglie, alla camicia, alla cravatta. E vi era un abito grigio chiaro, e nella scatola vi erano le scarpe.
Carolino guardtutta quella roba, intuendo che era per lui. Guardil poliziotto, e il poliziotto gli disse: " Guarda un po' se questa roba ti va bene, l'abbiamo presa a occhio. " Aveva mandato Livia alla Rinascente, a comprare tutto quello che occorreva per rivestire il ragazzo - forse un giorno l'amministrazione della Questura gli avrebbe rifuso le spese, o anche no - e Livia aveva l'occhio buono, e gusto.
Aiutandolo un poco a vestirsi perchprobabilmente Carolino non aveva mai portato abiti del genere, stringendogli in giusto modo la cintura, facendogli il nodo della cravatta con garbo, il ragazzo si trasformava sotto le sue mani quasi come se stesse lavorando della plastilina. Era divenuto un giovane signore, se non fosse stato per i capelli coslunghi, che andavano da una parte e dall'altra. Livia aveva occhio, anche se non aveva preso nessuna misura del ragazzo tutto gli andava abbastanza bene, naturalmente escluse le maniche un po' corte perchCarolino aveva le braccia lunghe in confronto alle spalle. " Mi sembra che stai bene, " gli disse Duca. " Ti mancano un paio di cose, un taglio ai capelli e un po' di barba, almeno per portar via questi lunghi peli, e un bel palt Poi sei a posto. "
E quando nel pomeriggio, dopo essere stato dal barbiere e indossando un caldo soprabito grigio chiaro appena comprato, Carolino si vide in uno specchio sotto i portici di corso Vittorio, sentcome se quella persona che vedeva riflessa non fosse lui. Anche le sue mani, trattate da una graziosa manicure non erano pile sue. Guardil poliziotto, guardla ragazza che era con lui, quella con tutti i segnini sul viso, poi abbasslo sguardo.
Quel giorno il poliziotto lo portal cinema. Il giorno dopo lo porta mangiare in un ristorante di campagna, vicino a un piccolo lago che persi vedeva appena per la nebbia. Il poliziotto era sempre accompagnato dalla ragazza, doveva essere la fidanzata, o un'ausiliaria, lui non riusciva a capire bene. Tutte e due erano gentili, ma non lo annoiavano mai con troppe domande, gli davano quello che gli occorreva, dal mangiare alle sigarette, non avevano l'aria di sorvegliarlo, benchpotesse darsi che stessero molto attenti a ogni sua mossa. La voglia di fuggire gli prudeva addosso peggio che i parassiti al Beccaria, ma era un ragazzo intelligente. Non poteva credere che un poliziotto lo avesse fatto uscire dal riformatorio cos gratuitamente e che cos gratuitamente, lo nutrisse e lo portasse a spasso. C'era qualche cosa in quel poliziotto che gli piaceva molto, e dei poliziotti e affini non gli era mai piaciuto nulla, ed era che lo trattava come una persona qualsiasi, e non come un avanzo di galera. Lo aveva trattato male quella notte che lo aveva interrogato, perneppure uno schiaffo. Adesso, vicino a lui, si sentiva uno qualsiasi, uno dei tanti che non avevano avuto mai a che fare con la polizia. Occasioni di fuggire ne aveva quante ne voleva, dal mattino alla sera e anche la notte, bastava che aprisse la finestra della stanza da letto, era al primo piano e lui sapeva saltare ben altro che il primo piano.
Al quinto giorno, era pomeriggio, la ragazza era scesa di macchina ed era entrata in un negozio a fare delle compere, il poliziotto per la prima volta comincia fargli delle domande. Nella macchina si stava al caldo, fuori, dai vetri dei finestrini, si vedevano emergere dalla nebbia i visi lividi dei passanti. " Sei mai stato in Svizzera? "
" No. "
" Sai se c'stato qualche altro tuo compagno? "
" Non lo so. "
" Lo sai che quella sera, quando avete ucciso la maestra, uno di voi ha perduto un monetino da mezzo franco svizzero? "
" No, non lo sapevo. "
Duca aveva cominciato a interrogarlo cosimprovvisamente, pensando di poterlo cogliere forse alla sprovvista. Forse. Quella gente non era mai presa alla sprovvista, le risposte di Carolino lo dimostravano. Ma non perse la pazienza, non poteva piperderla perchl'aveva giperduta da tanto tempo. " Va bene, " gli disse. " Tu non sai nulla. Vediamo se posso aiutarti a sapere qualche cosa. Oggi il quinto giorno che sei con me, quasi libero, ben vestito, mangi bene, non ti manca niente. Fra altri cinque giorni dovrai tornare al Beccaria, me ne dispiace molto, perchse tu mi avessi aiutato, io potevo evitare di farti tornare al Beccaria. Conosco della gente che garantirebbe per te, s'impegnerebbe a mantenerti e ti troverebbe un lavoro. In questo modo tu non torneresti al Beccaria. Hai ancora cinque giorni per pensarci. Io non do consigli, neppure ai ragazzini come te, ma questa volta te ne do uno. Aiutaci a mettere in galera quella sporcacciona o quello sporcaccione che hanno combinato tutto quel macello alla scuola e tu ritorni un essere civile invece che un cliente di riformatori e galere. Adesso non rispondermi niente, pensaci su. "
Carolino vide emergere dalla nebbia il viso segnato della ragazza del poliziotto, la portiera dell'auto si apr entruna raffica di vento freddo che stava spazzando la nebbia, poi il sorriso di lei, e lei si mise al volante. " Che traffico per comperare due libri! " e posil pacchetto coi libri sul sedile dietro, vicino a dove era seduto Carolino. " Che faccia scura hai, Duca, " disse poi avviando l'auto.
" Ho litigato col mio amico, " accenncol capo a Carolino. " Non ci vuole aiutare, non ci vuol dire neppure una parola. Lo credevo intelligente. Peccato. "
Carolino non era abituato a sentir parlare cosun poliziotto, con quel tono canzonatorio e affettuoso, e si chiuse ancora di piin se stesso, nella sua diffidenza. Volevano soltanto spremerlo come un limone, fargli dire tutto quello che sapeva e poi l'avrebbero ributtato in riformatorio. Ma non gliel'avrebbero fatta. " Ma intelligente! " disse calorosamente Livia, guidando cauta. Ma per il vento, la nebbia cominciava a sollevarsi e ogni tanto appariva qualche polverosa scia di sole. "E' molto intelligente! "
No, non gliel'avrebbero fatta, era inutile che si sforzassero. Non la beveva. Il giorno dopo - era il sesto, il poliziotto non gli domandniente, il giorno dopo ancora lo stesso. Lo portavano a spasso per tutta Milano, giravano la cittcome turisti che non l'avessero mai vista. Perch Doveva esserci un motivo, per andare perfino sul tetto del Duomo - del resto lui non c'era mai stato - per andare al cinema quasi tutti i pomeriggi, per scendere la sera al bar a vedere la televisione. I poliziotti non fanno niente per niente. Anche per questo non era tranquillo e la notte dormiva pochissimo: i giorni passavano veloci, sesto, settimo, ottavo. Ancora due giorni e lo avrebbero rimandato al Beccaria, e anche se avesse parlato lo avrebbero lo stesso buttato di nuovo al Beccaria.
Era l'ottavo giorno, verso l'una, erano a tavola, tutti e quattro, Duca, Livia, Lorenza, e Carolino. Il ragazzo stava a capo basso sulla minestra di pasta e fagioli, quando Duca disse: " Sono rimasto senza sigarette. "
" Meglio, " disse Livia, " a tavola non si fuma. "
" Va bene, ma meglio mandarle a prendere per dopo, " disse Duca, levun biglietto da diecimila dalla tasca e lo tese al ragazzo. " Carolino, scusa, quando hai finito la minestra, vammi a prendere le sigarette. "
" Ho finito, " disse Carolino alzandosi. Prese il biglietto da diecimila e lo mise con gesto goffo e impacciato nella tasca interna della giacca.
" Torna presto, se no ti si fredda la carne, " disse Lorenza.
" Subito, " disse Carolino.
Usc C'era il sole, anche se l'aria non era molto limpida, gli alberi di viale Pascoli, anche se senza una foglia, illuminati da quel sole erano come rivestiti, quasi coperti da invisibili foglie d'oro. Carolino, da figlio, nipote e bisnipote di contadini sentiva istintivamente odore di primavera, anche in quel freddo e in quel pulviscolo di nebbia che galleggiava nell'aria. Gli sarebbe piaciuto essere in campagna, con gli altri ragazzi della fattoria, andare a caccia di nidi, o a giocare sul torrente dall'acqua ancora gelida, come quando era vivo suo padre, ma adesso suo padre era morto ed era meglio non pensarci.
" Due pacchetti di esportazioni, " disse alla vecchia donna dietro il banco, poi disse: " E una china liscia. " Bevette la china, pensando a quello che pensava sempre.
A fuggire. Non resisteva pidalla voglia. Sentiva che forse era sbagliato, probabilmente lo avrebbero ripreso subito e allora avrebbe passato dei guai. E poi bisognava decidere dove andare. Non aveva molti posti da scegliere, solo due, in fondo. Tornare al paese, e farsi nascondere dai suoi amici, e poi c'era anche una ragazza che l'avrebbe aiutato. Ma quanto avrebbe potuto durare? La polizia sarebbe certamente andata a cercarlo l e anche non l'avesse trovato, lui non poteva passare gli anni nascosto nei campi o nei fienili del suo paese.
L'altro posto era pisicuro, ma non gli piaceva. Beveva un piccolo sorso di china e pensava, dove andare. Naturalmente pensava anche di non fuggire, di tornare dal poliziotto. Sentiva che era la soluzione pigiusta. Ma tornare dal poliziotto voleva dire tornare al Beccaria. Per quanti anni? Certo fino a diciotto, dopo quello che era successo alla scuola. E poi la Casa di Lavoro, che delizia, metprigione e metfabbrica. Fino a ventun anni, minimo, sarebbe stato in gabbia. Sette anni. Alla sua eterano pilunghi di sette secoli.
" Quanto " dette il biglietto da diecimila lire alla tabaccaia. Gli tremava un po' la mano perchaveva deciso. D'improvviso aveva fermato il ballo dell'incertezza e del dubbio. Prese il resto e usc
Fuori, per ebbe ancora un attimo di indecisione. La casa del poliziotto era a neppure cento metri, bastava svoltare l'angolo per essere in piazza Leonardo da Vinci. Bastava che la raggiungesse e la mano avrebbe smesso di tremargli e il cuore di battergli in quel modo. Ma rivide la facciata del Beccaria, rivide gli stanzoni e i corridoi e risentl'odore asprigno dei disinfestanti e allora anddall'altra parte, verso il centro. Fuggiva.
Una piccola auto nera, una modesta 1100, era ferma dall'altra parte del marciapiede. Il ragazzo aveva appena fatto una ventina di metri che Mascaranti scese dalla 1100. Il robusto poliziotto disse all'altro non meno robusto poliziotto che era al volante: " Io lo seguo a piedi, tu vienici dietro con questo cocchio reale. "
" Signors " disse il giovane agente scherzoso.
Carolino camminava piuttosto in fretta, senza volgersi mai indietro. Non aveva mai supposto che lo seguissero, non avrebbe mai pensato che da otto giorni Mascaranti seguiva lui e Duca che lo portava a passeggio, che non vi era mai stato un momento, ndi giorno, ndi notte in cui non fosse stato sorvegliato. Di notte la 1100 parcheggiava vicino alla casa di Duca e un collega di Mascaranti faceva il turno fino all'alba, quando compariva Mascaranti a sostituirlo. Aveva avuto tutta la sensazione della libertdi fuggire, ma solo la sensazione. E per quanto furbo, era un ragazzo e non aveva potuto prevedere questo.
Infatti non si volse mai. Camminava normalmente, nsvelto, ntroppo piano, fece tutto viale Pascoli dalla parte del sole, per riscaldarsi, perchfaceva parecchio freddo. Era vestito bene, ben pettinato, e percinessuno lo guardava, escluso Mascaranti che lo seguiva, ed escluso l'altro agente che guidava la 1100. Arrivato in piazza Isaia Ascoli comincia rallentare il passo e si fermdel tutto davanti al bar tabaccheria.
Carolino si accese una sigaretta e coscontrollche le mani gli tremavano ancora. Era a metstrada e le indecisioni erano tornate a spumeggiare dentro di lui. Gli era venuta in mente un'altra soluzione: tornare dal poliziotto e dirgli tutto quello che sapeva. Che cosa sarebbe successo? Ci penssu un momento. Il poliziotto avrebbe ascoltato e una volta che lui non gli era piutile, lo avrebbe rimandato al Beccaria. O forse no? Il poliziotto aveva detto che se lui parlava non lo avrebbe pirimandato al Beccaria, che sarebbe stato in casa di persone che avrebbero garantito per lui, e avrebbe lavorato e cosavrebbe finalmente cominciato a vivere da persona civile, non da barbone a b跐ia in galera o nei riformatori. E quel poliziotto gli piaceva, aveva un'aria sincera, aveva un'aria sincera la sorella del poliziotto e la ragazza, anche se aveva il viso toccato da tutti quei segni: dopo averla vista tutti i giorni per otto giorni, aveva capito cosa erano quei segni, una malattia fatta da bambina, non ricordava il nome, ma aveva conosciuto un ragazzo che l'aveva fatta e gli era rimasto il viso cos Sfregi non potevano essere perchne aveva troppi, su tutto il viso, come era possibile che qualcuno l'avesse sfregiata cos E gli sembravano tutte persone buone, che volevano aiutarlo sinceramente. Era meglio che tornasse da loro.
Poi la paura del riformatorio fu piforte di lui. Non ci si poteva mai fidare dei poliziotti. Riprese a camminare. Percorse tutta via Nino Bixio, attraversla circonvallazione, poi andando sempre diritto anche i bastioni, e percorsa un'ultima vietta si trovin piazza Eleonora Duse, passdavanti a uno dei portoni che davano sulla quieta piazzetta, ma non entrsubito. Seguiva il sistema che gli era stato insegnato, di non farsi vedere dalla portinaia. La cosa non era molto difficile perchla portinaia che stava quasi sempre nel suo appartamentino usciva sulla verandina a vedere chi era, solo quando sentiva il tlin del campanello del mezzo cancelletto a metdell'androne. Bastava con la mano fermare la molla del campanellino e non suonava pi Carolino lo fece bravamente e con perizia, il campanellino non emise alcun suono e la verandina era vuota, senza portinaia.
Dovette salire fino all'ultimo piano, sulle scale c'era meno pericolo d'incontrare gente, che in ascensore. E poi salancora, oltre l'ultimo piano, era una mansarda, sul pianerottolo si apriva un'unica porta, su una targhetta era" scritto Domenici. Premette il bottone del campanello.
Passparecchio tempo. Forse non c'era nessuno. Suonancora. Allora una voce bassa, calda di donna, un po' arrochita, disse dietro la porta: " Chi "
" Sono Carolino. "
Ancora del tempo, quasi un minuto, Carolino ripet" Sono Carolino, " e solo allora la porta si apr

La donna che aprla porta forse non aveva neppure quarant'anni, ma ne dimostrava diversi di pi per il viso solcato da profonde rughe che il trucco non riusciva certo a livellare e per gli occhi coperti da quel grande paio di occhiali scurissimi che rendevano ancora pievidente quei solchi flaccidi, polverosi di creme. Le gambe, invece, che si vedevano fino a diversi centimetri sopra il ginocchio, per la cortissima gonna, erano belle e di tono giovanile nelle calze argento a striscioni che seguivano la sinuositdel polpaccio.
" Entra. "
Carolino entr Risentl'odore forte e stagnante di tutti i profumi che lei usava, di tutte le sue creme e rossetti e lacche, odore che galleggiava nel caldo dato da una stufa a cherosene. E seguendola oltre l'anticamerina quasi buia nella sala accanto risentl'odore stantio di fumo. Marisel-la fumava sempre e svuotava gli enormi posacenere disseminati per l'ambiente un po' da per tutto, anche in terra, naturalmente, soltanto quando erano pieni da straripare.
Marisella guardil ragazzo e gli disse: " Non eri al Beccaria? " Poi si accese una sigaretta, guardava attenta Carolino, quasi non lo riconosceva, per l'abito nuovo, i capelli tagliati, la camicia bianca, le scarpe nuove, lucide. Non capiva il cambiamento di costume e non le piaceva. Poi uno del Beccaria deve stare al Beccaria, e non le piaceva che stesse fuori.
" Mi hanno fatto uscire, " disse Carolino. Adesso che era lle mani non gli tremavano pi Bene o male che fosse, ormai era l Marisella avrebbe fatto qualche cosa per non farlo tornare al Beccaria.
" Raccontami tutto bene, " disse Marisella. La saletta dal soffitto inclinato, aveva una parete tutta a vetri che dava su un tetto-terrazzo ingombro di vasi da fiori senza fiori, alcuni senza piante, solo terriccio chiazzato qua e ldal biancore di qualche mozzicone di sigaretta. Nonostante lo squallore di quella pretesa a giardino pensile, un po' di sole, un po' di azzurro, qualche folata di nebbia, davano un colore crepuscolare, decadente, eppure vivo a quella terrazza.
"... E allora mi ha portato a casa sua, mi ha preso l'abito, la camicia, tutto nuovo... " raccontava Carolino, seduto sul bracciolo di una poltrona, mentre Marisella stava ferma, in piedi, voltando le spalle al finestrone perchla luce vivida non le illuminasse il viso. E piCarolino raccontava, pilei stava ferma, rigida, non fumava neppure pi teneva la sigaretta tra le dita, il braccio rigido lungo il corpo, immobile, tanto che la sigaretta si spense.
" Il poliziotto voleva sapere tutto, " continuava a raccontare Carolino, " mi aveva fatto uscire dal Beccaria per quello, ma io non gli ho detto neanche una parola. " La guard soddisfatto, di essere stato capace di resistere alle lusinghe del poliziotto e cercando in lei un cenno anche lievissimo di approvazione, e lei infatti gli disse: " Bravo ", ma un " bravo " detto cos senza sorridere, sotto il buio di quegli occhiali scurissimi, in un viso senza espressione e con una voce senza espressione, lasciimpaurito Carolino, invece che confortarlo.
"... Poi mi avrebbe tenuto ancora un paio di giorni e dopo mi avrebbe rimesso dentro e io al Beccaria non voglio tornare... " continua spiegare.
Attraverso gli occhiali lei lo guardcon odio, tanto il ragazzo non poteva vedere. Ed era venuto da lei, proprio da lei, penscon odio.
" Non ti venuto in mente che avrebbero potuto seguirti? " disse al ragazzo, ma senza tono di rimprovero.
" E perch " disse Carolino, spontaneo. Era giin casa di un poliziotto e non riusciva ad ammettere che vi fossero altri poliziotti che lo avessero seguito.
" Perchnon ti lasciano scappare cosfacilmente, " spieglei paziente, aveva raccolto tutto il suo controllo, tutta la sua istrioneria, perchsolo lei sapeva che il momento era pericolosissimo. " Non sono stupidi, il loro mestiere lo sanno, tu sei scappato e loro ti hanno seguito, per vedere dove andavi. " E quell'idiota era venuto proprio da lei.
Carolino si ribellancora a quella che gli sembrava un'assurdit " Ma avrei potuto scappare quando volevo, in tutti questi giorni... "
" Appunto, e loro erano pronti a seguirti ogni momento, come hanno fatto oggi, " lei spiegpacata, perchpic'pericolo, pibisogna essere pacati.
Carolino, restun poco in silenzio, trangugiando a fatica lo spinoso boccone: sembrava incredibile. " Ma sei sicura? " domandingenuo.
" Sono sicura, " lei disse. " Ma guardiamo dal terrazzo. " Aprla porta finestra tutta di vetro, uscseguita da Carolino, si avvicinal parapetto, accanto a un piccolo comignolo decorativo, e senza sporgersi guardnella piazza sottostante, piazza Eleonora Duse.
Una prostituta veterana sa riconoscere un poliziotto anche da trenta metri di altezza. Studiun momento la piazzetta quasi del tutto ingombra di auto in sosta, escluso un anello di spazio lasciato libero per il traffico, e disse: " Eccoli l quei due vicino alla 1100. "
Carolino guard Egli non era un veterano del riformatorio, nveterano di qualsiasi cosa, perchaveva solo quattordici anni, ma in qualche anno di cattive compagnie e col suo spirito di osservazione, riconosceva molto facilmente un comune mortale da un poliziotto, anche a distanza. Ed ebbe paura, vedendo quei due fermi vicino alla 1100. Anche a quell'altezza distinse il taglio della giacca di uno dei due, un po' abbondante, che voleva dire poliziotto di prima classe, un piccolo capo (ed era Mascaran-ti), e il suo compagno invece col giacchino stretto stretto sulle robuste membra, che voleva dire un poliziotto scartina, quelli che guidano le auto, i furgoni cellulari, che fanno gli appostamenti insieme col poliziotto di prima classe. Carolino si tirsubito indietro dal parapetto come temendo che i due poliziotti potessero vederlo. Non poteva sbagliare e non era suggestionato da Marisella. " E adesso? " fece, fu piun fare che un parlare, un guardare ansioso la prostituta veterana, movendo le labbra come boccheggiando. E adesso? pens e poi lo disse: " E adesso? "
Lei, Marisella Domenici, non rispose, rientrnella saletta, guardl'ora all'orologio da polso: quasi le due. " Adesso ci penser " disse al ragazzo che le veniva dietro. " Se vuoi bere o mangiare qualche cosa, vai in cucina. "
" No, " disse Carolino. Gli occhi torbidi di paura, guardava la donna e fuori sul terrazzo, avendo come sulla pelle quei due poliziotti che aveva visto. Si accese una sigaretta, ma incerto, senza voglia.
" Io vado un momento di l " disse lei. Apruna porta ed entrnella sua stanza da letto. Era stanca, come sempre appena alzata, perchsi era svegliata quasi all'una, e la tensione nervosa per l'imprevista visita, l'aveva stancata ancora di pi Sedette sul letto, april comodino, dentro era pieno di tubetti e flaconcini di medicinali, depressivi e eccitanti, per ogni evenienza. Ne scelse uno, prese una pastiglia dal bottiglino, bevette un po' d'acqua stantia dal bicchiere che era sul tavolino e trangugicon una smorfia la pastiglia. Poi si distese sul letto, sempre tenendo gli occhiali, attendendo l'effetto energetico della medicina.
" Maledetto. " Pensava a Carolino. Aveva portato la polizia fin l da lei. Mai la polizia sarebbe arrivata da sola fino a lei. " Maledetto, " continuava a pensare. Adesso non aveva scampo. La polizia avrebbe scoperto subito che in quella casa abitava lei, Domenici, non era difficile - rise amara, e forte - c'era la targhetta sulla porta e l'avrebbe ricercata. Lei non era in condizioni di resistere agli interrogatori, coi nervi in quello stato, ben presto le avrebbero fatto dire tutto.
La pastiglia cominciava a fare effetto, lievi onde di energia e di benessere le salivano dallo stomaco al cervello, il cuore batteva forte, la circolazione era veloce, il viso cominciava a bruciarle un poco. Forse c'era un mezzo per salvarsi. Non che ne fosse molto sicura, ma si alzdi scatto, andad aprire uno dei cassetti del com dentro, fra le altre cose c'era una scatola, e dentro la scatola che aprfebbrilmente c'era un coltello a serramanico.
Un tempo nella scatola c'era anche una rivoltella, un regalo che lei aveva fatto a Francone, ma Francone era morto in galera e la polizia si era tenuta la rivoltella, e lei adesso era una donna sola, con quel ricordo di Francone dentro che le bruciava e quell'altro ricordo fuori, il coltello. Lui era bravo, schiacciava dov'era la molla, la lama usciva e lui aveva gicolpito.
Provanche lei. La prima volta si spavent ebbe un soprassalto, perchsenza avvedersene teneva il coltello rivolto verso di se la lama le striscisu un braccio. Rise acremente per la paura. Riprov come le spiegava Francone, a vibrare il colpo un attimo prima di far scattare la molla, "... in modo, " diceva lui quieto e appassionato per l'argomento, " in modo che la violenza del colpo che dai, va insieme alla violenza della lama che scatta, e cosla lama entra tutta, anche in un toro. "
Lei sorrise al ricordo delle spiegazioni di Francone, e prove riprovmolte volte a colpire l'aria col coltello, la pastiglia le dava sempre pienergia, e anche felicit Era felice. Sapeva di non doversi fidare troppo di quella felicit ma sapeva che la rendeva sveglia, pronta, acuta. Mise il coltello nella borsetta che era su una sedia, si mise la pelliccia che prese dall'armadio, un'imitazione rosso cupo, corta come la minigonna, una cosa vistosissima su lei giabbastanza vistosa con quegli occhiali e quelle labbra cosdipinte.
" Stai calmo che ti porto fuori dai guai, " disse a Carolino, tornando nella saletta. Andin cucina e si versmezzo bicchiere di cognac. " Ne vuoi? " disse al ragazzo che l'aveva seguita. Carolino fece di no e lei toss bevette un altro sorso. " Tu esci fuori da qui, subito, per i tetti, ti ricordi, l'hai fatto un'altra volta. "
Carolino fece di s ricordava. Dal terrazzo di quella mansarda si saltava facilmente su un terrazzo vicino, da qui a un altro, a un altro ancora, poi si forzava una porticina scardinata che dava su una scala e in fondo alla scala c'era un cortile che usciva in via Borghetto, dall'altra parte dell'isolato. " Ma l'altra volta era buio, adesso giorno, mi possono vedere dalle finestre, " obiett
" Pudarsi, " lei disse, " ma se ti vedono, non metterti a scappare, se no finita. Spieghi che tu abiti in via Borghetto, e che per scommessa con un amico, hai fatto il giro di tutti i terrazzi, sei un ragazzo, e ti crederanno. "
Certo, era una buona scusa, pensCarolino, Marisella era furba, con lei sarebbe stato al sicuro.
" Cosquei beccamorti ti aspettano qui sotto in piazza Duse, e tu intanto sei dall'altra parte, in via Borghetto. "
Sorrisero tutti e due, lei per la pastiglia che agiva, lui per ingenuit " Io intanto esco normalmente, dal portone, prendo l'auto, quei due fetenti mi vedono, ma sono una delle tante persone che entrano e che escono da questo portone, non sanno che tu sei venuto da me, perchnon sanno neppure che siamo amici, loro aspettano te, non me. " Le piaceva che il ragazzo annuisse, le dava la sensazione che fosse un piano perfetto. " Con la macchina vado ad aspettarti all'angolo con viale Majno, ti carico su appena esci dal palazzo di via Borghetto, e filiamo via. "
Carolino annuancora, ma aveva sempre un po' di paura, ancora.
" Su, nasone, vai, meglio muoversi subito, " lei disse. Tornarono nella saletta, lei aprla porta-finestra. " Forza. "
Carolino esit " Ci sei davvero, in viale Majno? "
" E perchnon devo esserci? " lei disse. " Se beccano te, beccano anche me, lo sai. "
Sentche lo aveva rassicurato, guardil ragazzo calarsi nel terrazzo sottostante, che era un semplice tetto senza nessuna mansarda. Poi lo vide alle prese col filo spinato al confine con l'ulteriore terrazzo che aveva, s una mansarda, ma era un lavoro facile. Adesso doveva andare lei. Chiuse tutte le serrande, spense la stufa, controlldi non lasciare niente di compromettente - no, davvero, ormai non aveva pinulla che potesse comprometterla - uscsul pianerottolo, richiuse la porta, scese le scale che portavano all'ultimo piano dove era l'ascensore e pochi istanti dopo usciva dal portone che dava in piazza Duse. Capche i fetenti vicino alla 1100 la guardavano e imprimevano la sua immagine nella propria memoria, facessero pure, e andcalma alla sua 600 posteggiata in via Salvini, l'apr sal mise in moto, uscda via Salvini, s'incolonncon le altre macchine in corso Venezia, gira destra e imboccviale Majno.
Oltrepassata via Borghetto si fermnella rientranza all'angolo col nuovo palazzo. Guardl'orologio, si accese una sigaretta, nell'aprire la borsetta controlldi avere quel coltello, fumqualche boccata, poi riguardl'orologio. Erano passati un minuto e qualche cosa. Dovette attendere quasi dieci minuti, aveva gipaura che Carolino avesse commesso qualche errore, poi lo vide venire dal fondo di via Borghetto. Camminava in fretta, quasi correva, era come volesse avvisare la gente che lui stava fuggendo, lei pens Un cretino. Gli aprla portiera e lui saltdentro, appunto come uno inseguito.
" E' successo qualche cosa? Come mai hai messo tutto questo tempo? " lei chiese.
" Non lo so... " Carolino ansava, " ... una vecchia mi ha visto quando sono passato per la sua terrazza, era proprio la guardare... Ha aperto la finestra e ha gridato al ladro, e io sono corso via. "
Cretino, lei pens Troppo cretino per vivere. E avvil'auto nervosamente.
Capitolo quinto
A che serve arrestare un mostro? A che serve punirlo? A che serve ucciderlo? E a che serve che viva?
Livia guardil suo orologino. Quasi le due. Poi guardla piccola scacchiera tra se Duca. Dovevano passare il tempo in attesa che Carolino tornasse da comprare le sigarette. E giocavano a scacchi.
" Sta a te, " disse Duca. Lui non guardl'orologio.
Lei mosse. Pensava a Carolino. Era uscito da quasi un'ora. Le piaceva molto giocare a scacchi con Duca, ma il viso di Carolino era nella sua mente, magro, ossuto, il grosso naso aquilino, gli occhi chiari in fuori, con un'espressione incerta, di paura e anche di sfida.
" E' una strana difesa, l'hai inventata tu? " disse Duca, con ironia sorniona, appena lei mosse.
" E' inutile che prendi in giro, " lei disse, " la moderna difesa Benoni, tu... "
Lo squillo del telefono la interruppe. Lorenza che era in anticamera disse: " Rispondo io. " Dopo un momento venne in cucina. " E' Mascaranti. "
Duca si alz andall'apparecchio, ascolt Disse: " Capisco, " poi disse: " Vengo subito. " Tornin cucina. GuardLivia con una sfumatura di tristezza. " Carolino fuggito. Mascaranti l'ha seguito e l'ha visto entrare in uno stabile di piazza Duse. Adesso sta sorvegliando e il ragazzo non ancora uscito. Dobbiamo andare subito, prima che esca. " Intanto aveva rimesso i piccoli pezzi degli scacchi nella loro piccola cassetta. " Hai perso la scommessa, " e tese la mano.
Lei anda prendere la borsetta e gli dette mille lire.
" Non credevo che Carolino sarebbe fuggito, " la sua voce era rattristata. " Mi sembrava un bravo ragazzo. "
" E' un bravo ragazzo, " disse Duca. " Ma tu non sei stata in riformatorio, o in carcere o in un orfanotrofio, e non puoi capire che cosa significa per un ragazzo come quello, la libert Possono anche ammazzare qualcuno pur di rimanere liberi. "
Con l'auto arrivarono in pochi minuti in piazza Duse. Erano le due appena passate. Mascaranti disse: " Non ancora uscito. "
" Bisogna aspettare, " disse Duca, " almeno fino a quando chiude il portone, " ciofino alle nove. " Intanto io vado dalla portinaia, " disse a Livia di attenderlo ed entrnello stesso portone dove poco meno di un'ora prima era entrato Carolino.'La portinaia al tlin del campanello del mezzo cancelletto mise fuori la testa dalla porta del suo appartamento che dava sulla verandina. Duca sali tre gradini del rialzo ed entrnella verandina. Mostrla tessera e la donna disse subito che stava finendo di lavare i piatti a di scusare. Era giovane, chiacchierina, la mano sinistra era ancora nel lungo guanto di gomma giallino per le faccende di casa.
" Il registro degli inquilini, " disse Duca.
La donna ritornnel suo appartamentino e dopo un poco arrivcol registro, si era tolto anche l'altro guanto, e il davantino bagnato e si mostrin tutta la sinuositdella sua linea, sottolineata da un pullover molto aderente.
Incominciando a leggere il registro, a capo basso, Duca domand " Ha visto passare quasi un'ora fa un ragazzo alto, magro, con- un grosso naso aquilino? "
La giovane donna finse di pensare intensamente. " No... ero a tavola, sa, anche le custodi mangiano, lascio aperta la porta che da qui nella gabbiola, ma sa, non sempre sono con l'occhio l Potrebbe essere entrato, senza che l'abbia visto, per quanto avrei dovuto sentire il campanello, per quanto quel tlin ormai l'ho nelle orecchie, che me lo sogno anche la notte."
Duca continua leggere senza piascoltarla. La portinaia non aveva visto passare il ragazzo, quindi non poteva dire da chi fosse andato, da quale inquilino. Il registro era fitto di nomi e anche di cancellature. Pur continuando a leggere fece un'altra domanda alla loquace custode: " Sono tutti inquilini tranquilli? " Era una domanda molto vaga, e la risposta poteva essere vaghissima.
Invece la risposta fu curiosa. " Anche troppo, " disse la portinaia. " Al primo e al secondo piano ci sono gli uffici, e l alle sette di sera tutto chiuso. Gli altri inquilini sono tutta gente anziana, la pigiovane quella che abita in soffitta ma l'amministratore lo chiama attico, ma saranche lei sui cinquanta. Ci sono solo le domestiche che sono giovani, ma con quelle meglio non chiacchierare, e danno sempre un sacco di fastidi. "
Duca era arrivato alla fine del registro e dei vari nomi trovati in quelle usatissime pagine, uno gli ricordava qualche cosa: Domenici. Forse non conosceva nessuna signora Maria Domenici di professione casalinga, ma il nome lo aveva sentito dire, e non molto tempo prima: era un nome " nuovo ", visto da poco. Si alz
" Senta, " disse alla giovane custode sulla porta del ve-randino, " se vede passare quel ragazzo alto, magro, col naso grosso, ha anche un abito grigio chiaro, non gli dica che un poliziotto ha chiesto di lui. Ha capito? "
" E perchdovrei dirglielo? " rispose lei confidenziale. " Lo so che le cose che mi dice la polizia non devo andare in giro a dirle. "
" Grazie, " interruppe Duca, e usc Vi sono degli assetati di dialogo coi propri simili, qualunque dialogo, e con qualunque simile. Attraversla piazzetta e dopo un cenno di saluto a Mascaranti sedette nell'auto accanto a Livia. " A casa, " disse, intendeva in Questura. Diceva " a casa ", anche quando intendeva casa sua in piazza Leonardo da Vinci, ma la sfumatura della voce era differente, e Livia l'aveva notata subito, senza bisogno che lui glielo spiegasse.
Quando lei fermnel cortile della Questura, Duca scese e le disse: " Fai in tempo a fare un giretto e guardare le vetrine. Non ti allontanare troppo, per "
Salnel suo ufficio, april solito cassetto, tirfuori la solita cartella e trovsubito quel nome, Domenici, quel nome "nuovo" che aveva nella mente: Ettore Domenici, anni 17, madre prostituta, affidato alla zia, due anni di riformatorio. Era uno degli undici ragazzi del massacro ed erano queste le riassuntive note caratteristiche sintetizzate nervosamente dal nervoso C跫rua.
Questo Ettore Domenici, doveva avere oltre al padre, anche una madre, e questa madre poteva essere quella Maria Domenici che abitava in piazza Eleonora Duse, ammenochnon si trattasse di un'omonimia. Ma un'omonimia non poteva essere, giocando con una matita rosso-blu, mentre pensava, perchsarebbe stato un poco strano che Carolino fosse andato in quel palazzo di piazza Duse, dove abitava proprio un'omonima della madre di un suo collega in riformatorio. Concomitanza troppo difficile.
Ma se questa Domenici di piazza Duse era la madre del giovane corrigendo Ettore Domenici, allora era anche una prostituta, e se era una prostituta qualche documentazione su di lei doveva esserci in archivio.
Schizzin archivio con molte speranze. Naturalmente l'archivio era il luogo pibuio di tutta la Questura e le poche lampade fluorescenti che rigavano il soffitto, non facevano altro che accentuare quel buio con la loro cadaverica luce. E naturalmente l'archivista capo era l'uomo pinervoso e pinemico dei poliziotti che potesse esistere. " Questi poliziotti credono di arrestare ladri e assassini frugando nei miei schedari, e se non ci riescono danno la colpa a me. Ma vadano... " e indicava in colorito napoletano varie cose che quei poliziotti avrebbero fatto meglio a fare.
" Buongiorno dottor Lamberti, " disse l'archivista capo, senza alzarsi, e senza alzare neppure il capo dalla macchina per scrivere sulla quale pestava lentamente.
" Maria Domenici, prostituta, " disse Duca, sapendo che il vecchio archivista amava la concisione. Non era uno che volesse dialogare coi suoi simili, come la portinaia di piazza Duse. Probabilmente meno simili gli erano intorno e piera felice.
" Mi scusi, dottor Lamberti, " disse l'archivista alzandosi, era alto, magrissimo e un po' ingobbito, gli occhiali erano enormi, " ma lei naturalmente non sa di questa donna nla paternit nil luogo di nascita, nl'et cosse nello schedario ci sono ventisette Marie Domenici che fanno la prostituta, lei cosa fa? " Intanto lo guidper i lunghi e tenebrosi corridoi composti dalle scaffalature metalliche degli schedari.
Duca non sapeva che cosa avrebbe fatto se vi fossero state ventisette Marie Domenici tra le quali scegliere. Sperche fossero un po' meno di ventisette.
" E' fortunato, dottor Lamberti, " gli disse l'archivista porgendogli un cartoncino estratto da uno degli abissali scaffali. " Ci sono solo due Domenici prostitute, e una sola si chiama Maria. "
Duca lesse la scheda avidamente. C'erano tutti i dati di Maria Domenici, anche il suo nome d'arte, Marisella, oltre al nome di ragazza, Faluggi. C'era il nome dell'uomo che l'aveva sposata e che aveva riconosciuto un figlio che lei aveva avuto da un altro, rimasto ignoto all'ufficiale dello stato civile. Il coniuge di Marisella si chiamava Oreste Domenici detto Francone (vedi scheda personale, anche sotto Francone), aveva annotato puntigliosamente l'archivista. Era una scheda nutrita perchvi erano elencati tutti i suoi " fermi " in seguito alla sua professione vera e propria, pile condanne, quattro in tutto, per un totale di sette anni, per hobbies vari da lei praticati: furto, accol-tellamento di una collega di marciapiede, traffico di stupefacenti e consumo in proprio degli stessi.
Ma per quanto nutrita non se ne deduceva molto. Trovil coraggio di rivolgersi ancora all'archivista: " Per favore mi dia anche la scheda di questo Domenici Oreste, detto Francone. " Riusca ottenerla e corse nel suo ufficio a studiarsele. Le lesse tre volte, prese degli appunti, c'era tutto, eppure non si faceva luce. Le cifre, i nudi fatti, non significano molto. Sono i particolari, le sfumature i " niente " che danno luce alla realt Comunque prese appunti sui fatti. Il signor Oreste Domenici detto Francone aveva esercitato fin dall'adolescenza la professione di sfruttatore e di lenone. Si era sposato una prima volta a ventisei anni, aveva ovviamente prostituito sua moglie - cosa per la quale era stato condannato -, quindi l'aveva " venduta " ad un collega per la somma - la cosa risaliva a prima della guerra - di duemila lire. Oltre i quaran'tanni Francone aveva ampliato la sua attivitdedicandosi agli stupefacenti, ed aveva scontato diversi anni di carcere anche per questo. Anche recentemente,, ciol'anno prima, 1967, era stato messo in carcere per traffico di stupefacenti provenienti dalla Svizzera. Tra le molte cose inerenti al signor Domenici c'era questa: il 27 settembre 1960 aveva sposato Maria Faluggi - divenuta cosMaria Domenici - e aveva riconosciuto il di lei figlio naturale Ettore di anni nove. Per nel 1964, gli era stata tolta la patria potestperchun padre del genere meglio perderlo, e il turbolento ragazzo, suo figlio legalizzato, era stato affidato alla zia, cioalla signora Faluggi vedova Novarca, cioalla sorella della madre del ragazzo.
Infine, inerentissima al signor Oreste Domenici detto Francone, vi era la notizia che era morto di polmonite nel carcere di San Vittore a Milano, il giorno 30 gennaio 1968. Si trovava nel carcere per il motivo, consueto in quegli ultimi anni, di contrabbando e spaccio di stupefacenti.
Tutto era elencato, vi erano tutte le date, i nomi, gli indirizzi, le et ma tutto questo non diceva molto, diceva soltanto che Oreste Domenici era un cattivo soggetto, come la scheda di sua moglie Marisella diceva soltanto che era una prostituta. Quelle schede erano come i bilanci, c'scritto tutto fino all'ultimo centesimo, ma pochi sanno che nella voce " Spese di gestione ", sono comprese le trecento-mila lire al mese da passare a una certa signora X di cui pochi sanno che l'amica di un direttore generale.
Duca prese ancora qualche appunto dai puntigliosi cartoncini, poi chiamun milite e glieli dette perchli restituisse all'archivio. Si alz Non c'era quasi pinebbia, il vento finiva di portar via le ultime filacce. Non poteva interrogare Oreste Domenici, perchera morto. Non poteva interrogare Marisella, perchera meglio aspettare che insieme con Carolino combinasse qualche cosa, perchera evidente che Carolino era andato a trovare Marisella, e se era andato a trovarla voleva dire che la conosceva, e che aveva una ragione per fuggire e rifugiarsi da lei.
Non sarebbe poi stato di nessuna utilittornare in riformatorio e interrogare ancora il figlio di Marisella, Ettore Domenici. Tutti quei ragazzi avevano detto di non sapere niente, anche Carolino, e avrebbero continuato a dirlo, compreso Ettore Domenici. Con chi avrebbe potuto parlare per rivestire e dare colore alle nude e pallide informazioni di quelle schede?
Dopo un momento, la risposta gli arrivprecisa e chiara. Controllgli appunti che aveva preso, c'era anche un indirizzo: via Padova 96.
" Portami in via Padova 96, " disse a Livia, salendo in auto accanto a lei. Le mise una mano sul ginocchio, strinse un poco, per un attimo ricordandosi di lei.
" Ti prego, " lei disse. " Ti desidero troppo per sopportarlo. Da parecchi giorni. Ma tu, finchnon sarai uscito da queste ricerche, non ti ricorderai di me. " Era sempre molto esplicita lei, la signorina Livia Ussaro, non usava mai understatement degli inglesi, lei diceva tutto e molto chiaramente.
" Scusami, " le disse, ritirando la mano, si vergogndel suo gesto: l'aveva tormentata senza saperlo.
In via Padova 96 abitava la signora Faluggi vedova Novarca, che era una donna piccola, secca, dai capelli ancora quasi neri, irreprensibile in un abito grigio a puntini bianchi e con sul petto una catenella che sosteneva un medaglione in cui, senza alcuna possibilitdi errore, doveva esserci la fotografia del defunto marito, il signor Novarca. Questa donna era la sorella di Marisella.
" Ormai sono abituata ai poliziotti, " disse la signora Faluggi. " Da anni, appena il tribunale mi ha affidato la custodia di Ettorino, vengono qui poliziotti. Io non volevo prenderla quella grana, che se li costudiscano gli altri certi ragazzi, va bene, sono la zia del ragazzo, la sorella di sua madre, l'unica e ultima parente, ma che vuol dire? " Duca ascoltava seduto composto sulla dura poltroncina, nell'antiquato salotto della vedova Novarca, mentre lei parlava fluente, con dolce intonazione milanese, e piche intonazione, con le parole che erano un misto di meneghino e di italiano, e anche la sintassi era mista. " Io sono sorella di quella poveretta, ma chi sa perch siamo pidifferenti che una tartaruga e una giraffa. Ma quelle donne dell'assistenza sociale hanno insistito tanto: E io sono un po' una vecchia rimbambita, mi sono lasciata commuovere e ho accettato la custodia di quel ragazzo. Mamma mia! Da allora la polizia stata di casa, qui da me, o venivano per portarmi via l'Ettorino al Beccaria, perchne aveva combinata qualcuna, o venivano per riportarmelo a casa finita la vacanza al riformatorio. Oppure venivano a domandarmi dove era l'Ettorino, perchavevano da tirargli le orecchie, ma io non lo sapevo dove era percherano due o tre giorni che non tornava pia casa e io mica potevo andargli appresso a cercarlo. E lei, signor brigadiere, che cosa ha bisogno di sapere? Dica pure, non si faccia scrupoli, io con la polizia sont pan e but鋨, sono pane e burro, dico per scherzare, ma anche se scherzo non ne ho nessuna voglia, sapesse i magoni che ho mandato giper quel ragazzo e per quella sciagurata della madre. Ho fatto di tutto perchquel figliolo disgraziato si raddrizzasse, ma come quello che voleva far diventare olio l'aceto, e non c'ancora riuscito. "
Duca ascolttutto quello che lei spontaneamente e di cuore e disordinatamente gli raccontava, ma quando lei tacque, come stanca, come esaurita, eppure con tanto sorriso in quel giovanile viso pieno di rughe, non sapeva molto di pidi quello che sapeva prima che lei parlasse.
" Il ragazzo abitava qui con lei, per legge? " cominciallora a interrogarla.
" S certo, per legge doveva abitare qui, " disse lei, piccola e secca, con secca precisione. " Non poteva uscire dopo le nove di sera, di giorno doveva lavorare come fattorino dal salumiere qui del piazzale, che uno dei migliori salumieri di Milano, e la sera doveva andare alla scuola serale. Ma la legge tutta una cosa da ridere. "
Come pubblico funzionario Duca non poteva condividere ufficialmente quella teoria, ma la condivideva ufficiosamente. Le leggi devono essere rispettate, altrimenti sono cose da ridere, come diceva la donnetta a lui davanti, signora Faluggi vedova Novarca.
" Mio nipote ogni tanto faceva il bravo, " riprese lei tranquilla e amara, " faceva le commissioni per il salumiere, mi aiutava un po' in casa, di giorno, e la sera andava alla scuola serale... e io credevo che si stesse ravvedendo e gli spiegavo che se lui faceva il bravo, gli sarebbe andata meglio. Ma era fiato sprecato. "
" Perch "
" Perchpoi ritornava da capo. Scompariva da casa, notte e giorno, non andava a scuola serale, io avvertivo la polizia - perchsono obbligata a farlo, Ettorino sotto la mia tutela - e il poliziotto al telefono mi rispondeva: , e riattaccava, con tutti i delinquenti che hanno da sorbirsi, figuriamoci se hanno tempo per un minorenne affidato alla zia. Perogni tanto arrivava un poliziotto. " Alberta Romani? " domandDuca.
" Certo, Alberta Romani, l'assistente della zona, " disse la piccola donna, " e mi domandava se il ragazzo, ciose mio nipote era tornato, e io rispondevo di no, e l'assistente mi diceva: , cosbuona quella donna l ma coi delinquenti la bontinutile. Una volta venne perfino la maestra della scuola serale. "
" La signorina Crescenzaghi? " disse Duca.
" S la signorina Matilde. "
" Quella che stata trovata morta nell'aula della scuola? " insistDuca.
Gli occhi della vecchina dai capelli ancora neri si accesero di ira. " Quella che stata massacrata da quella masnada di farabutti, s " lei specific
Anche Duca era del medesimo identico parere, ma non desiderava esprimersi cosdrasticamente. " E cosa le disse la signorina Matilde Crescenzaghi? " domand
" Cosa vuole che mi dicesse? Mi disse che mio nipote da pidi due settimane non andava alla scuola serale, ed era venuta a vedere se era malato. Era una maestra coscienziosa, buona, angelica, s'interessava di tutti i suoi allievi, e ha fatta quella fine l poveretta. "
Forse era l'ora in cui si avvicinava l'alba della verit
Duca sentche l'irruente ed estroversa vedova Novarca stava per rivelare qualche cosa di essenziale.
" E lei che cosa rispose alla signorina Crescenzaghi? " le chiese.
" La verit " disse prontamente la piccola donna. " Anch'io non vedevo mio nipote da pidi due settimane. E lei allora mi chiese se sapevo dove potesse essere andato e io gli risposi che lui andava sempre nello stesso posto, da sua madre e dal suo patrigno, quello che aveva sposato sua madre. "
Duca precis " Ciosuo nipote andava dalla madre, Maria Domenici, da sua sorella? "
" S da mia sorella e dal marito di mia sorella. "
" E cosa andava a fare? "
" Con una madre come quella, e con un padre legale peggio ancora, cosa vuole che andasse a fare? Cose pulite non di sicuro. "
Gi con la madre prostituta e il padre lenone e spacciatore di droghe, era difficile che Ettore Domenici facesse passeggiate istruttive allo Zoo, o visite ai musei e alle pinacoteche, pensDuca. " Sa se suo nipote sia andato qualche volta in Svizzera? "
" Come fa a saperlo? " disse la piccola donna.
" Non lo so, lo domando. "
" Una volta torncon diversi pacchetti di sigarette e mi disse che li aveva presi in Svizzera. "
" Ma lei lo sa che suo nipote non solo non ha passaporto, ma anche sotto vigilanza, e che quindi, se stato in Svizzera, puesserci stato solo oltrepassando il confine illegalmente? " Duca ammirava sempre di pil'irascibile e impulsiva donnetta.
" Certo che lo so, ma col padre e con la madre che ha, non difficile fare delle cose illegali, qualunque cosa. "
" Per esempio traffico di stupefacenti? " disse Duca.
" Ho detto qualunque cosa. Certo mio nipote non veniva a raccontarlo a me. "
" Comunque lei sapeva e intuiva qualche cosa: perchnon ha avvisato la polizia? Lei ha in custodia questo ragazzo che suo nipote, viene a sapere che se ne va in Svizzera a combinare porcherie, e sta zitta? "
Lei stette zitta parecchio, anche in quel momento. Poi, con ira repressa e voce bassa, disse: " Anche la maestrina mi fece la stessa domanda. "
" La signorina Matilde Crescenzaghi? "
" S lei, la maestrina. Mi disse: ma lei deve denunziare queste cose. E io le risposi che me ne fregavo, " disse nettamente la parola, " che mio nipote era un delinquente, che lo sarebbe rimasto per sempre, e che se anche il tribunale me lo aveva affidato in custodia, io non ne volevo sapere niente. "
" E la maestra Crescenzaghi cosa le rispose? "
Lei sorrise. " Oh, poverina! Restcosmale. Mi disse che nessun ragazzo colpevole, che bisogna saperlo educare, e che per educarlo bisogna punirlo quando lo merita. Per questo adesso bisognava denunziarlo alla polizia perchnon tornasse pidalla madre e dal marito di sua madre. , mi disse la povera maestrina. Proprio due giorni prima era stata ll'assistente sociale a dirmi. Duca Lamberti diritto sulla diritta sedia non si era mai mosso e non si mosse ancora. Quando si vicini al fiume della veritsi sta rigidi, immobili, e quella donna gli avrebbe detto, senza saperlo, la verit Lo sentiva.
" E cosa successe? " chiese alla piccola donna.
" Lei della polizia, lo sa meglio di me che cosa poteva succedere. La maestrina disse alla polizia che mio nipote non andava a scuola serale da una quindicina di giorni, e che temeva che fosse andato a stare con la madre e col marito di sua madre, e combinasse con loro brutte cose. Fu una denunzia regolare, la maestrina quando faceva una cosa la faceva per bene. Lei voleva proteggere mio nipote dall'influenza della madre e del suo compagno, e non credeva che non ci fosse piniente da proteggere. Quattro giorni dopo erano in galera tutti, mio nipote, mia sorella e suo marito. Per poco non mettono in galera anche me perchnon avevo fatto la denunzia. Gliel'ho detto che io con la polizia sono pane e burro. E' venuta fuori tutta una storia di contrabbando di stupefacenti dalla Svizzera, coslunga che non la ricordo pineppure bene. Il marito di mia sorella portava mio nipote e un suo amico della scuola serale vicino al confine svizzero. Li faceva passare perchdue ragazzi danno meno nell'occhio, quelli andavano nel bar di un albergo dove c'erano due cameriere che gli davano la droga che loro portavano in Italia, ripassando il confine con fuori il marito di mia sorella che li aspettava. Pensi che avevano giinsegnato ai due ragazzi a drogarsi, a me Ettorino, in qualche momento mi sembrava un po' confuso, ma non avrei mai pensato che prendesse gli stupefacenti. " Diceva " prendere gli stupefacenti ", nel suo linguaggio ingenuo di persona troppo lontana da simili mondi.
Duca Lamberti, anche se sapeva gila verit che aveva appreso dalle sue parole, l'ascoltfinchlei ebbe parole, e appena la piccola donna tacque, la ringrazie la salut Dieci minuti dopo era in Questura, nell'ufficio di C跫rua, davanti alla scrivania di C跫rua, insieme con Livia.
Erano le sei di sera, ma non era ancora buio, nonostante il freddo e la nebbia, la primavera urgeva come aria in un colorato pallone per bambini che sta per scoppiare.
" Adesso sappiamo perchla maestrina Matilde Crescenzaghi stata uccisa. " Con C跫rua, Duca parlava possibilmente a bassa voce. " Lo hai gicapito: stata una vendetta. Matilde Crescenzaghi che insegna alla scuola serale Andrea e Maria Fustagni, nell'aula A, per diversi giorni non vede comparire alle lezioni uno dei suoi allievi, Ettore Domenici, giovane di diciassette anni, e si preoccupa per lui, come per tutti gli altri suoi allievi. Vuol sapere perchnon viene a scuola. Allora'va dalla zia del ragazzo, che ha la custodia legale del nipote e la zia le rivela delle cose per cui la giovane maestra si sente costretta a fare una denunzia. In seguito a questa denunzia, il ragazzo, Ettore Domenici, torna in riformatorio; sua madre e il marito Oreste Domenici vengono arrestati per contrabbando e spaccio di stupefacenti, con l'aggravante di essersi valsi dell'aiuto di un minore. Mentre pochi mesi dopo la madre di Ettore Domenici viene rimessa in libert suo marito, Oreste Domenici detto Francone, muore in carcere il gennaio di quest'anno. "
Faceva molto caldo nell'ufficio. C跫rua tese il pacchetto delle sigarette a Livia, ma lei fece cenno di no. Anche Duca rifiut Lui si accese allora la sigaretta, poi disse: " Secondo te Marisella Domenici ha voluto vendicarsi della maestra che aveva denunziato lei e suo marito... E come ha fatto a vendicarsi? " Lo guardava con acida benevolenza.
Odiava le persone che creano problemi o lavoro, dove si puandare via lisci e senza fatica. E Duca era una di quelle.
" Istigando quei ragazzi a uccidere la loro maestra, " disse sordamente Duca, sentendo il sarcasmo di C跫rua.
" E come fai a provare che lei ha istigato undici ragazzi? " disse C跫rua, con odio, e anche con simpatia. " Istigare undici persone un bel lavoro, gifaticoso istigarne una sola. " Lo irrideva sempre.
Duca stava a capo molto basso, le mani intrecciate sulle ginocchia, vedeva le gambe di Livia, al suo fianco, erano belle, lo aveva ginotate altre volte, ma in quel momento gli piacquero di pi Questo non gli impeddi parlare con rabbia, anche se sempre a bassa voce. " Io penso che la madre di Ettore Domenici, sia rimasta male che suo marito fosse stato arrestato e fosse morto in carcere per colpa della maestrina che aveva fatto la denunzia. Quell'uomo, Francone, l'aveva sposata, aveva dato il nome al figlio che lei aveva avuto da un altro, la sfruttava facendole fare la prostituta, ma tutto rimaneva in famiglia, in seguito Francone aveva cominciato a lavorare nelle droghe, e cosi guadagni erano molto buoni. Con la morte di Francone, in carcere, lei si era ritrovata sola, senza protettore, piuttosto anziana per trovarne un altro come si deve, e senza tutti i bei soldi che entravano in casa col traffico degli stupefacenti. Nella sua solitudine, nella miseria imminente, Marisella Domenici deve aver pensato pivolte di vendicarsi della maestrina che con la sua denunzia aveva causato tutta quella rovina. Le prostitute sono vendicative. "
C跫rua mormorsfottente. " Come fai a saperlo? "
Duca continua guardare le gambe di Livia, e si controll " Sono stato sei mesi in un ambulatorio di malattie celtiche. Visitavo decine di prostitute al giorno. Erano furiose di aver preso la gonorrea, gridavano che se trovavano quel figlio di qui e di lche le aveva contagiate, lo avrebbero sbranato. E lo dicevano sul serio. "
" Va bene, va bene! " C跫rua finalmente alzla voce innervosito. " Tu sai tutto, su tutto, anche sulla vendicativitdelle meretrici, con documenti e statistiche, ma se arrestiamo questa donna, di che cosa l'accusiamo? Di aver detto a undici giovani delinquenti della scuola serale: (Ammazzate la vostra maestra >? E che prove diamo al giudice che li ha istigati davvero, quei ragazzi? Le tue sottili intuizioni? S va bene, ci credo anch'io a quello che dici. Marisella ha voluto vendicarsi della maestrina e l'ha fatta ammazzare da 'quei ragazzi. Ma in tribunale non ha nessuna importanza quello che credo io o che credi tu: in tribunale vogliono le prove, e prove per una storia del genere non esistono, esistono soltanto dei sospetti, delle deduzioni, dei ragionamenti, cose che non servono niente in un processo. "
Duca allora alzil capo e guardC跫rua, con estrema pazienza. " Quando io comincio un lavoro, voglio andare fino in fondo. Lasciami andare in fondo a questo lavoro, ti prego. "
Dopo un momento, ma in silenzio, C跫rua si alz Attraversil suo ufficio, in diagonale, un'andata e un ritorno, un'andata e un ritorno. Era sensibile al " ti prego " di Duca, alla sua preghiera, era cosraro che Duca pregasse. Un'altra andata, un altro ritorno e si fermalle spalle di Livia. " Che cosa vorresti fare? " disse a Duca, gentilmente.
" Grazie, " disse Duca, grazie per quella gentilezza. " Arrestare Marisella, e farla parlare. "
" Ma lei non parler Le prostitute non parlano. Io non sono stato mai in ambulatori per malattie celtiche, ma lo so che non parlano, che non confessano. "
Paziente, Duca disse: " Non sfottere. Sto parlando seriamente. Lasciami arrestare quella donna. Voglio andare in fondo a questo lavoro. "
C跫rua appoggiuna mano sulla spalla di Livia. " Lei crede che Duca abbia ragione? "
" Non lo so, " disse immediatamente lei, "*i"/4 ni. " Ma lo lascerei fare. "
C跫rua con la mano strinse un poco pif " ' <
lio di Livia. " Certo. Lo lascerfare, " disse, > ir """..et m una sua privata angoscia. Andalla sua poliioiu r ?.. ltutti e due, Duca e Livia, che aveva davanti
arte della scrivania. " Certo, lo lascio semprr "
cerfare anche questa volta. " GuardDin .1 , l.i la sua simpatia paterna. " Ma ricordati di ari i-si I tanto quella donna, ma di ritrovare anche quel i >.i- 14 ti sei preso dal riformatorio per tenertelo in > 4

arlo coi tuoi nuovi sistemi polizieschi per SC"M
*
it Dov'quel ragazzo adesso? In casa di qu< : >
n piazza. Eleonora Duse? Benissimo. E' andato il.i i. .!" l'una del pomeriggio, sono le sei di sera e non e "n <
scito da quella casa di piazza Duse, Mascaranti i-pre ldi guardia, ma il ragazzo non uscito aiu-ni.i i >-vami il ragazzo, non dirmi che te lo sei perso, tro\.m i, perchquesta la cosa piimportante, e se non nu lo trovi non te lo perdono pi "
Il ragazzo, cioCarolino, doveva essere in quel palazzo di piazza. Eleonora Duse, nella mansarda di Marisella Domenici. " Fai presto, " disse Duca a Livia che guidava, ma verso le sette di sera il traffico diviene sempre picaldo e perfino il breve tragitto da via Fatebenefratelli a piazza Duse pudurare venti minuti, e ne basterebbero cinque.
Nella piazzetta, Mascaranti era sempre l col suo amico. Carolino non era uscito. Adesso era buio, i lampioni erano giaccesi e pioveva nebbia dalle alte luci. La portinaia estroversa che voleva dialogare coi suoi simili disse a Duca che non aveva visto uscire nessun ragazzo vestito di grigio, alto, dal grande naso, ma che invece era uscita la signora Domenici.
" Ah, la si vede subito con quella pelliccia rossa, " disse la portinaia.
Ci volle quasi un'ora per chiamare un fabbro, aprire la porta della mansarda e poter entrare, Duca, Mascaranti, e Livia. Frugarono tutti e tre, ma non c'era molto da frugare, l'appartamento era piccolo, trovarono solo molti mozziconi, cassetti pieni di sonniferi, tranquillanti e stimolanti d'ogni genere, tutti permessi dalla legge. Di quelli vietati dalla legge, naturalmente, nessuno.
Duca aprle finestre che davano sulla terrazza. Raggiunse il parapetto della terrazza e guardnella mansarda vicina, attraverso i due piccoli comignoli di terracotta del tetto accanto. Una cosa era certa. Carolino era entrato in quell'appartamento per parlare con Marisella. In quello stabile non vi era nessun altro che lui conoscesse. Era entrato, ma non era uscito. E nell'appartamento non c'era nessuno, adesso. Carolino, allora, doveva essere uscito da quell'appartamento, da un'altra parte. L'unica altra parte era la via delle terrazze e mansarde tra loro collegate, anche se divise da filo spinato.
Verso le otto Duca seppe da una anziana signora abitante, insieme con cinque gatti, una mansarda vicino a quella di Marisella, che un ragazzo con un abito grigio chiaro era passato attraverso la sua terrazza tanto che lei aveva gridato al ladro per fermarlo, ma quello era scappato via. Quel ragazzo non poteva essere che Carolino. Attraversando tutte le terrazze, Duca raggiunse via Borghetto.
Adesso la situazione era chiara, pens in macchina vicino a Livia. Carolino era andato da Marisella Domenici. Marisella aveva capito che Carolino era seguito dalla polizia e lo aveva fatto fuggire da via Borghetto attraverso le terrazze. Lei se ne era uscita tranquilla dal portone di piazza Duse, tanto la polizia, cioMascaranti, non sapeva ancora che lei, come Marisella Domenici, era da sospettare. E poi? Dove era andato Carolino? Dove era andata Marisella? Erano andati insieme o avevano preso vie diverse?
Non si poteva sapere. Una cosa era certa: egli aveva perduto Carolino. Il ragazzo di cui rispondeva, e per averlo aveva compromesso un alto funzionario della Questura come C跫rua, il direttore del Beccaria, e il magistrato che aveva autorizzato l'uscita di Carolino dal riformatorio. Questo ragazzo era scomparso, e non si poteva immaginare neppure dove fosse andato.
" Proviamo a andare un poco al cinema, > propose Duca.
Mangiarono dei panini nel bar vicino al cinema, in galleria del Corso, poi andarono a vedere un film poliziesco, c'erano due giovanotti che massacravano un'intera famiglia, poi trovavano pochissimi dollari in casa di quella famiglia e cossenza soldi, dopo pochi giorni venivano presi dalla polizia, poi dopo qualche anno di carcere venivano impiccati.
" No, " disse Duca a Livia uscendo dal cinema, " non ho voglia di discutere con te della pena di morte. " Lei invece ne aveva molta voglia, dopo aver visto il film.
Alteramente lei gli camminava vicina, uscirono dalla galleria, percorsero corso Vittorio fino alla piazzetta San Carlo dove avevano lasciato l'auto, alteramente gli rispose: " Io non volevo affatto discutere. Io ti ho detto soltanto che non capivo come mai un paese coscivile come gli Stati Uniti, conservano ancora la pena di morte che una barbarie. "
Non gliene importava niente ndegli Stati Uniti, ndelle barbarie, a lui. Dette duecento lire all'uomo del parcheggio e salaccanto a Livia. " Non andiamo a casa, " intendeva casa-casa, piazza Leonardo da Vinci, come lei capsubito dal tono in cui lo disse, " andiamo in giro, andiamo dove vuoi, ma non lasciarmi solo. "
La sentrespirare a fondo. " Perchnon vuoi andare a casa a dormire? "
" Lo puoi immaginare. Carolino. "
Sorrisero, per quel nome. Un sorriso aspro.
Livia guidattraverso San Babila, imbocccorso Venezia. " Lo ritroverai, presto. "
" Certo, " disse Duca irridente. " Dimmi anche la frase storica: E gli chiudeva la gola vedere come Livia resisteva a quegli sguardi villani, un lieve sorriso di scherno sulle labbra, e luce di scherno negli occhi: guarda, guarda pure, sono proprio cicatrici, interessante, vero?
Le toccun braccio, le disse con voce appena udibile: " Qui vicino c'un albergo. "
" L'avevo visto, " lei disse con voce normale, " deve essere comodo. Andiamo. "
Rispose, cio proprio come egli immaginava che avrebbe risposto quell'entitche si chiamava Livia Ussaro. " Deve essere comodo, andiamo. " Ed era la prima volta che sarebbe stata in albergo con lui.
L'albergo era comodo, davvero accogliente, avendo visto la tessera di polizia di Duca il portiere dette la camera migliore, il valletto arrivprontamente con la birra scura per lui e il gelato per lei. Lui si mise subito a bere la birra e lei a mangiare il gelato, seduti distanti, lei sul divano lui su uno sgabellino d'angolo davanti a una specchiera.
Nonostante la finestra chiusa, saliva da corso Buenos Aires il fluente rumore del traffico, che andava perdiminuendo.
" Mi hai portata qui solo perchquesta notte non riuscirai a dormire, vero? " lei disse d'improvviso, con molta tranquillit
" S " lui disse, non tranquillo, cupo. " La prima volta con te immaginavo qualche cosa di diverso. "
" Diverso come? "
" Non in un albergo di corso Buenos Aires, a Milano. "
" Non c'niente di anormale nello stare in un albergo di corso Buenos Aires, a Milano. "
Inutile discutere con una giocatrice di scacchi. " Forse hai ragione. Si sta bene anche qui. >
Livia findi mangiare il gelato, senza piparlare. Egli teneva in mano il bicchiere di birra, senza bere. Infine disse: " Non solo ho perduto quel ragazzo, ma non posso fare niente per ritrovarlo, per cercarlo. " Il pensiero era sempre l a quel ragazzo.
" Non esiste situazione in cui non si possa fare niente, " disse la giocatrice di scacchi.
Ah, gi aveva dimenticato che stava parlando con un trattato di morale e dialettica, piche con un essere umano. " Dove lo vado a cercare? " disse pergentile. Girava forse per Milano chiamando: " Carolino, dove sei? " Andava da C跫rua, gli diceva di aver perduto il ragazzo e che desse l'allarme a tutti i reparti per farlo cercare? Cosandava tutto a finire sui giornali, e perdeva il posto non solo lui, ma anche C跫rua.
" Non so dove tu possa cercarlo, " disse Livia. " So che tu devi cercarlo, e che cercarlo la cosa che devi fare. "
Era spietato, ma era vero. Si alz anda posare il bicchiere sul tavolo davanti a Livia. Poi sedette sul divano accanto a lei. Cercare un ragazzo in una cittdi due milioni di abitanti, ammesso che Carolino fosse ancora a Milano. Cercarlo senza nessun punto di partenza.
" Hai ragione, " le disse. " Cominciamo a immaginare cosa puaver pensato quella donna, Marisella, quando Carolino andato a casa sua e lei si accorta che il ragazzo era seguito dalla polizia. "
Non doveva averle fatto piacere. Aveva dovuto sentirsi in pericolo. Lo provava il fatto che aveva fatto fuggire Carolino attraverso le terrazze delle mansarde. Adesso bisognava vedere se erano fuggiti divisi o se si erano ritrovati per continuare insieme la fuga. Era molto picomprensibile che avessero continuato la fuga insieme. Carolino era andato da Marisella per essere aiutato, e l'unico modo di aiutarlo era quello di sottrarlo alla polizia.
" Ora sta a sentire; " disse a lei, che gli stava vicino rigida, come lui le stava rigido vicino. " Nascondere un ragazzo, un minorenne, non facile. Nessuno vuole prendersi questa responsabilit I minori scottano. Marisella ha certamente molti amici, ma dobbiamo fare un'ipotesi; che nessuno le sia tanto amico da ospitarle un minore, e che lei non si fidi abbastanza di nessuno dei suoi amici per affidare ad essi un minorenne che scotta come Carolino. "
" Questa deduzione giusta, " disse Livia, rigida.
" Se giusta, " disse Duca, rigido anche lui, ma solo di tensione che gli si agitava dentro, gonfiandolo, " allora questa donna ha portato il ragazzo in un nascondiglio isolato, in un rifugio senza amici, vuoto di persone che possano vedere, curiosare, informarsi, ciosenza portinai, vicini, negozianti, benzinari, dirimpettai... E un rifugio come questo, non esiste in una citt al massimo alla sua estrema periferia, molto pifacilmente in campagna, anche vicino alla citt ma non in un paese, un paese piccolo il luogo pipericoloso che esista per nascondersi, in un piccolo paese un non-paesano come un polipo gigante a passeggio per piazza del Duomo: tutta la popolazione subito informata della sua presenza. Quindi questa donna e Carolino, non sono a Milano, non sono in un paese vicino, ma non sono neppure lontani da Milano. "
" Perchnon sono lontano da Milano? " disse Livia. Gli appoggiuna mano sul braccio e lentamente la sua rigidezza si sciolse. Scivolsul suo petto, appoggiil capo sulle sue ginocchia, si distese sul divanetto, piegando le gambe.
" Perch " disse Duca, appoggiuna mano sul viso di lei, la sua mano era grande e quasi le copriva il viso e sentil suo caldo, ora irregolare respiro che gli scaldsubito il palmo, " perchse una donna intelligente, e lo deve essere, se conosce la polizia, e deve conoscerla, avravuto paura dei posti di blocco. Io non ho chiesto a C跫rua dei posti di blocco, ma lei questo non lo sa e deve aver pensato che le strade sarebbero state sorvegliate, quindi non si allontanata molto da Milano. E' stata lontana dai grandi incroci, gira per le strade secondarie, per le stradine comunali, " Duca adesso le carezzi capelli, come si fa a una bambina, e con gli stessi sentimenti, " diretta a un luogo preciso, che lei conosce dove poter nascondere Carolino, anche per parecchi giorni. "
" Allora, " lei disse, " dobbiamo cercare un luogo vicino a Milano, ma in campagna, non vicino ai piccoli paesi, dove qualcuno possa nascondersi anche per diverso tempo. "
Semplice, lui pens Strinse un poco i capelli di lei, senza avvedersene. " Non si mai trovato niente e nessuno con deduzioni di questo genere. Ho tentato, per farti piacere, ma non serve. Devi convincerti che non esiste nessuna base di partenza per iniziare delle ricerche. Non posso fare niente. Ho perduto il ragazzo, e l'ho perduto. E' inutile che mi faccia illusioni: non ho nessuna traccia da seguire, di nessun genere. "
" Non tirarmi i capelli, " lei disse.
" Scusa, " disse Duca. Torna posarle delicatamente la mano sul viso, a risentire il suo delicato, irregolare respiro, irregolare perchnon era abituata, in fondo, a stare distesa sulle gambe di un uomo. " E ho perduto tutto. Domattina dovrandare da C跫rua e dirgli che ho perso Carolino, e dovrdargli insieme anche il tesserino, cosoltre che ex medico, saranche ex poliziotto. Ed meglio che vada da C跫rua domattina molto presto, pipresto meglio "
" Perch "
Duca non glielo spiegsubito, vi sono cose troppo tristi da spiegare, e allora ci vuole tempo. " Perchnon sono sicuro in quale modo questa donna voglia aiutare Carolino, e come voglia nasconderlo. Potrebbe darsi che voglia nasconderlo per sempre. "
Livia Ussaro, la raziocinante giocatrice di scacchi, si staccdalla dolcezza di quella mano che le pesava sul viso. Si rimise seduta accanto a lui. Aveva compreso esattamente, ma Duca le chiarancora meglio il concetto, mentre lei si ravviava i capelli.
" Forse, se potesse, quella donna ucciderebbe tutti gli undici ragazzi che conoscono la veritsu di lei, anche se per il momento non hanno ancora parlato. Non lo fa, solo perchnon pu Ma Carolino in mano sua, lei putemere che. finisca per parlare ancora prima degli altri. E se lo uccide, non solo non parla pilui, Carolino, ma anche gli altri ragazzi che vengono a sapere ben presto la notizia della morte di Carolino, avranno un motivo di piper tacere. " Scosse il capo. Aveva perduto, lo sentiva, e quando uno perde deve rassegnarsi. Aveva freddo, benchla stanza fosse riscaldata, e molto. Il freddo innaturale dell'angoscia, vedeva il magro viso di Carolino, il suo lungo naso, i suoi occhi in fuori basedoviani, la vaga aria di tisico che aveva... e se lo era lasciato sfuggire, e lui era andato allo sbaraglio. Guardl'orologio: quasi le due. Carolino era ancora vivo?
" Prendi un sonnifero, " disse Livia, " ne ho nella borsetta. Qualche volta non posso dormire neanche io. "
Lui disse di no. Era un poco anche lui un raziocinante giocatore di scacchi, non gli piaceva il sonno artificiale, il sonno chimico.
" Non ti serve a niente stare con gli occhi aperti a pensare, " lei disse, ma fu inutile, lui non prese il sonnifero. Alle quattro erano sul letto, abbracciati, ma vestiti, sulle coperte, lui aveva anche le scarpe.
" Che ore sono? " le chiese, il viso nascosto nel suo collo, la cravatta che lo stringeva, la rivoltella che gli pesava sul fianco.
" Le quattro ", lei rispose.
Le quattro. Dove era a quell'ora Carolino? Ed era ancora vivo?
Livia si staccda lui, scese dal letto. " Ho freddo qui sopra le coperte. " Si tolse il pullover, la gonna e nello sfilarsi la gonna qualche cosa cadde a terra, Duca sussult " Che cos' "
" La rivoltella, " lei disse. " Mi hai detto di tenerla nel reggicalze e io la tengo nel reggicalze. "
Egli sorrise respirando forte; era un ridere affaticato e amaro. Le aveva detto, pensmentre cominciava a spogliarsi, di tenere la rivoltella nel reggicalze, e lei l'aveva sempre tenuta religiosamente l Si levcon sollievo le scarpe, con sollievo disfece il nodo della cravatta, si tolse la camicia, la maglia, continuando a respirare forte in quell'amaro sorriso e ridere che lo scuoteva.
" Non ridere, basta. " Livia Ussaro rabbrividiva sotto le lenzuola fredde. " Non ridere cos "
" Rido come mi pare. "
" Smettila, se no mi alzo e vado via. "
La voce di lei era severa e implorante. Egli smise di ridere, si rifugicontro di lei. " Scusami. "
" Dormi, " lei disse, " e scaldami. " L'amore lo avrebbero fatto un'altra volta, lei lo sapeva. Egli la scald ma non dormiva, le faceva solletico sul collo con la guancia ispida di barba non rasa, e il suo respiro era un soffio caldo sul seno che le impediva di dormire. Ogni tanto lui si muoveva un poco, solo qualche millimetro, non di pi ma lei capiva.
" Sono le cinque e un quarto passate, " gli diceva. Egli voleva sapere che ora era, e voleva continuare a pensare dove poteva essere Carolino a quell'ora.
In un posto che non doveva essere molto lontano da Milano, ma che non doveva essere neppure in un paese vicino a Milano, perchi piccoli paesi sono pericolosi per nascondersi, lei ferml'auto e disse a Carolino, con nervoso sorriso delle labbra sottili, sciupate, che il rossetto non rendeva certo pigiovani, anzi: " Qui siamo al sicuro. "
Carolino scese insieme con lei. Erano appena passate le tre, la campagna, piatta, era nebbiosa e solare. Non vi erano alberi, era terra senza verde, non coltivata, attraversata da una parte all'altra dell'orizzonte, dalle lunghissime gambe di gigante degli altissimi tralicci che sorreggevano i fili della corrente ad alta tensione. Non vi erano paesi vicini, solo a una certa distanza, cominciavano le risaie che si distinguevano dal resto della pianura per la spessa coperta di nebbia che le ricopriva. Carolino non capneppure che quelle lontane nuvole di nebbia fluttuanti sulla campagna nascondevano le risaie, ngliene sarebbe importato se lo avesse saputo. Guardcon piinteresse una lunga baracca di legno, dalle finestrine e dalle entrate tutte sbarrate, e lesse il cartello, quasi del tutto slavato ma ancora leggibile: ENEL - Elettrodotto Magentino - settore 44 -Vietato l'ingresso ai non addetti ai lavori - Attenzione ai tralicci - Pericolo di morte.
Carolino guardun po' di nebbia che si avviluppava addosso a un vicino traliccio, guardun comignolo di lamiera che usciva dal tetto della lunga baracca di legno chen tempo lontano aveva ospitato gli operai dell'elettrodotto, e infine guardlei, Marisella Domenici.
" Vieni, " disse lei, " qui non c'proprio nessuno. " Ed era proprio cos a pochi chilometri da Milano, in una zona pullulante di paesi, paesini e frazioni, lnon c'era nessuno, non c'era niente, ncase, nstrade e quello per il quale erano arrivati lera solo un sentiero tracciato dai trattori che avevano portato fin li materiali per costruire i tralicci. Lei si fermdavanti a una delle porte sprangate della lunga baracca e gli sorrise. La porta doveva essere sprangata da lungo tempo, perchuna sostanziosa tela di ragno si sviluppava tutto intorno alla cornice. Lei dette solo un calcio, e la porta si aprda sola, con tutta la tela di ragno. " Entra, " lei disse materna alle sue spalle, schiudendo intanto la borsetta, la mano diretta a prendere per il momento solo il pacchetto delle sigarette, ma sentendo con piacere il lungo freddo coltello vicino al pacchetto delle sigarette. " E' Francone che ha scoperto questo posto, fino dall'anno scorso, " lei disse entrando dietro di lui e lasciando aperta la porta perchentrasse un po' di luce nella baracca. " Lo hanno dimenticato tutti, forse nessuno sa piche esiste, sai, era la baracca per gli operai che lavoravano a quei fili dell'alta tensione, finito il lavoro hanno lasciato qui tutto, anche le stufe, anche i lumi a petrolio e il petrolio, guarda su quel tavolo, ci deve essere il lume. " Si accese la sigaretta, nel buio della baracca odorosa di polvere, la breve luce dell'accendino riveldue lunghi tavoli e delle sedie rovesciate in terra. E mentre riponeva l'accendino nella borsetta, pensava a Francone, che era morto, e che tutto con la sua morte era finito, anche lei, ma lei non sarebbe morta in una lurida galera, lei non si sarebbe fatta mai prendere, e cos posando l'accendino, prese il coltello, perchdoveva distruggere uno dei testimoni della sua vendetta e le pastiglie tonificanti che aveva ancora preso in auto mentre guidava fin l le davano ora abbastanza energia per vibrare il colpo alle spalle di quel giovane testimone, che oltre tutto odiava perchera giovane, perchera sano mentre lei 鋨a vecchia e finita, e vibrinfatti quel colpo con tutta la sua forza, e Carolino che stava guardando il tavolone polveroso sul quale lei aveva detto che doveva esservi il lume da accendere, si volse di colpo, senza un grido e senza provare dolore e senza capire quello che era successo. Solo per istinto, mentre si voltava, la mano fu guidata dove lei aveva vibrato il colpo perforando la giacca, il pullover, la camicia, la maglia, e trovando il coltello, la mano istintivamente lo afferre lo strappvia dal corpo.
Allora grid col coltello sanguinante in mano, guardando lei, e sentendo d'improvviso oltre il dolore il caldo del sangue che gli scorreva sulle reni.
" ...Ma io... " rantolstupidamente guardandola, col coltello gocciolante sangue in mano, " ... Io, che vuoi? "
Lei gli si buttaddosso per strappargli il coltello e colpirlo ancora, e allora lui cap quella donna voleva ucciderlo. Non ebbe nessun pensiero, non fece nessun ragionamento, non vide neppure niente, e non tanto perchnella polverosa baracca fosse buio, ma perchera cieco di paura, di sfinimento, di dolore, e colpcon una ginocchiata la donna. Del tutto per caso la ginocchiata, violentissima, arrivesattamente sotto il mento, mentre lei gridava, la lingua in fuori: " Brutta cimice, brutta cimice! " e le chiuse di colpo le mascelle, e la lingua tra i denti, la storde le ferla lingua cosche lei cadde in terra mugolando un attimo e subito zittendosi per i sensi perduti, la bocca infiorata di sangue.
Nel silenzio, Carolino la guardin piedi, sovrastando su di lei, un momento, e tenendosi istintivamente una mano alle reni dove era stato colpito, e la mano anche se non usciva pimolto sangue, s'intrise subito di sangue, poi usczoppicando e ansimando fuori dalla baracca, la voglia di gridare aiuto aiuto, ma la luciditmentale che stava sopraggiungendo gli consiglidi non gridare, e di cercare solo di salvarsi.
Vicino alla baracca era ferma l'auto. Un raggio di sole che veniva da molto lontano, e attraversava la nebbia, illuminava scenograficamente la macchina. Sbattgli occhi al riflesso del sole, e pensa come poteva salvarsi. Non pensava ancora perchMarisella aveva voluto ucciderlo, pensava soltanto che doveva andare lontano da lei, e andare da qualcuno che l'aiutasse, perchera ferito, il dolore alle reni diveniva sempre pibruciante.
Salsull'auto. Intorno non c'era niente, solo quegli alti tralicci, e quelle lontane bolle di nebbia sulle risaie, e il cielo azzurro attraverso i banchi di nebbia. Mise in moto l'auto, non aveva bisogno di patente, ndi maggiore et sapeva guidare benissimo. Soltanto non sapeva dove andare, pensava guidando, ogni tanto la vista oscurata da violente vertigini. Al primo paese? Certo. E poi? Dal dottore? All'ospedale? Lo avrebbero subito preso e portato al Beccaria, all'infermeria.
Uscito dalla stradina sassosa, entrsulla provinciale Magenta-Milano, diretto verso Milano, guidando a venti all'ora, con una sola mano, perchl'altra se la teneva alle reni, dove sentiva, non solo male, ma come un perdere conoscenza e vita.
Molte altre auto lo superarono, strombazzando perchlui andava troppo piano e sorpassandolo, il guidatore guardava verso di lui e pur nel rapidissimo sguardo si accorgeva che al volante era un ragazzo, ragazzo anche se sembrava uomo, e alla fine qualcuno si sarebbe accorto che lui era davvero un ragazzo che non aveva ancora l'etper guidare, e si sarebbe fermato, lo avrebbe fermato, avrebbe visto che lui era anche ferito e stava male, lo avrebbe portato all'ospedale e llo avrebbe preso la polizia.
Tutto ciche pensava di fare per salvarsi, finiva invece in un posto solo: polizia, e polizia voleva dire Beccaria, e Beccaria ciche non voleva, a costo della vita. Preferiva morire cos dissanguato, su uno stradone, piuttosto che tornare laggi
Mentre guidava cospiano e mentre pensava per cercare la salvezza, vide che piavanti, ed era segnalato, c'era un parcheggio. Lascicoscautamente lo stradone, cautamente entrnel brullo sassoso spazio chiamato parcheggio e dove non vi era nessuna altra macchina, e questo lo rese felice, e lo rese felice anche la molta nebbia che c'era, attraverso cui il sole non riusciva pia passare e in mezzo alla quale egli si sentiva protetto perchnascosto.
Sempre tenendosi una mano alle reni, dove era stato ferito, striscicol sedere sul sedile e si tolse dal posto di guida. Era pericoloso per un minore stare davanti al volante. Invece al posto vicino al volante avrebbe sempre potuto dire che aspettava pap E mentre pensquesta cosa, soddisfatto di aver trovato un rifugio in quell'abbandonato parcheggio dove probabilmente nessuno aveva mai parcheggiato, nascosto dalla nebbia, un colpo di sonno lo atterr la perdita di sangue e la dolenza continua gli dettero sonno, era sonno, anche se sembrava uno svenimento.
Ma si svegliava ogni tanto, quando sullo stradone passava un pullman a tutto clacson, o quando alla sua destra, oltre un lutulento canale di cui si sentivano i miasmi, passava un treno che riempiva l'aria di un boato pieno di furore che faceva vibrare tutta l'utilitaria e lui che vi era dentro. E svegliandosi sentiva quella dolenza alle reni, e istintivamente si lamentava, e aprendo gli occhi cercava di capire in quale mondo vivesse, e che ora fosse in quel mondo, e vi riusciva, e ricordava di essere sulla strada verso Milano, di essere ferito, accoltellato; e di non avere alcuna speranza. Non aveva
paura di morire, a quattordici anni la morte un concetto senza senso, qualche cosa che riguarda gli altri, non noi. Aveva solo paura di tornare al Beccaria, e non perchin fondo vi fosse stato cosmale, ma per una specie di questione di principio e nello stesso tempo di terrore cieco, senza motivo.
Poi comincia svegliarsi sempre di pi a riemergere sempre pifrequentemente da quel malsano torpore, e cominciun nuovo tormento. Non solo erano molte ore che non beveva, ma la perdita di sangue aveva aumentato la disidratazione, labbra e lingua erano secche, doveva andare in qualche posto a bere, lo stomaco gli bruciava, ma capche non avrebbe potuto entrare in nessun bar o osteria o posto qualunque, perchtutti si sarebbero accorti che era ferito e allora sarebbe stata la fine.
Resistette ancora alla sete, adesso era tutto buio, chi sa quanto tempo era notte, resistette finchla sete non divenne spasmodica, torturante, si sentiva la lingua gonfia fino ad impedirgli di respirare normalmente. Infatti rantolava, solo che non se ne accorgeva, rantolava solo in quel posteggio desolato, nella bassa e umida pianura milanese del magentino e rantolando gli arriv insieme alle tante immagini di acqua che scorreva da ogni parte, rubinetti, cascate, fontane, l'immagine di quel poliziotto.
I poliziotti a lui non piacevano, ma quello, anche se era molto poliziotto, gli era sembrato awicinabile e comunicabile, come gli altri poliziotti per lui non erano mai stati. Poi era un poliziotto col quale aveva vissuto in casa di lui diversi giorni, un poliziotto che aveva una sorella, un poliziotto che aveva una ragazza, un poliziotto che gli aveva comperato tutto nuovo, dalle calze alla cravatta, dalla camicia alle scarpe, e questo, abitualmente, non lo facevano i poliziotti.
Se c'era qualcuno che potesse dargli da bere, pens era quel poliziotto. Non poteva andare in nessun locale, ferito in quel modo, naveva le forze per girare per la campagna alla ricerca di qualche canale, di qualche fonte d'acqua. Solo quel poliziotto gli avrebbe dato da bere, pensrantolando e rabbrividendo, ora anche per la febbre che stava insorgendo, e cosrantolante e rabbrividente striscidi nuovo col sedere sul sedile e tornal volante, e mise in moto, poi stacclentamente la frizione e uscdal posteggio, a dieci all'ora, accese le mezze luci, perchera notte fonda, e pensche doveva andare in piazza Leonardo da Vinci, da quel poliziotto, cosavrebbe potuto bere, e non solo questo, era l'unico poliziotto dal quale non aveva paura di andare. Piazza Leonardo da Vinci, pensava guidando, Milano piazza. Leonardo da Vinci, e doveva arrivarci senza incidenti, doveva arrivare da quel poliziotto, unico essere al mondo, anche se egli il giorno prima lo aveva sfuggito, col quale sentiva di poter comunicare, e poter chiedere aiuto, senza timore e senzaiffidenza.
Riuscad arrivare a Milano, piazza Leonardo da Vinci, davanti a quel portone, e stava albeggiando, ma aveva dimenticato che quando sta albeggiando i portoni sono chiusi, i portinai dormono quando albeggia.
Poteva andare a telefonare, conosceva il nome del poliziotto, Duca Lamberti. Doveva andare in qualche posto aperto a quell'ora, e all'alba quasi tutto chiuso, per comprare un gettone e telefonare, tutte cose superiori alle sue forze, ormai, e infatti svenne, scivollentamente sul sedile, gemette pur svenuto perchnel movimento la ferita di coltello alla schiena si mosse, si mossero le labbra della ferita, e per quel muoversi delle labbra della ferita il sangue fino ad allora trattenuto ricomincia sgorgare abbondante, fluente, ma lui non se ne accorse neppure.
Si mosse solo quando sentquella voce, era la voce del poliziotto, il poliziotto che l'aveva tirato fuori dal Beccaria, che l'aveva portato a spasso, e lavato e vestito a nuovo. " Carolino, Carolino. "
E lui disse soltanto: " Ho sete, ho tanta sete, " non disse che era ferito, perchnon se ne ricordava pi sentiva solo la sete.
Duca era arrivato davanti al portone di casa e aveva trovato quell'auto ferma, aveva guardato dentro e aveva visto Carolino disteso sul sedile davanti, pareva dormisse, ma aveva capito subito che non dormiva. Lo aveva scosso e allora aveva visto la macchia scura alla giacca, in fondo alle spalle, aveva pensato subito al sangue, e mentre Carolino rispondeva: " Ho sete, ho tanta sete, " toccava quella macchia, ed era una macchia umida che lascisulle sue dita tracce rossastre.
" Sali al volante e andiamo al Fatebenefratelli, " disse a Livia.
Senza spostare Carolino di un millimetro Livia si mise al volante della piccola auto, Duca saldietro e arrivarono al Fatebenefratelli che l'aurora arrossava i tetti di Milano e in quella luce rossastra Carolino arrivin sala operatoria, due giovani medici del turno di notte e due infermiere, mentre Duca assisteva seduto su uno sgabello, se lo contesero, spogliandolo, lavandolo, anestetizzandolo, gli ricucirono la ferita, gli riempirono le vene di plasma e lo gonfiarono con un'ipodermoclisi, finchle labbra di lui che erano divenute raspose come paglietta di ferro per la disidratazione, non si rammollirono, inumidite e vivificate e ripresero un rosso sano colore.
" Ancora un millimetro e la coltellata gli staccava un rene, " disse uno dei due giovani volonterosi aspiranti chirurgo del turno di notte. Carolino ricucito e non pidivorato dalla sete, incosciente, vivo anche se in pericolo, viaggisu un lettino a rotelle per i corridoi dell'ospedale fino alla sua stanzetta. Le due infermiere lo trasbordarono sul letto, poi se ne andarono, dopo aver calato le taparelle della finestra quasi tutte perchil sole rosso della fredda aurora non entrasse cossfacciatamente.
Con le taparelle calate, il sole entrsolo a righe, righe che tagliavano in tante strisce le figure di Livia e di Duca, seduti ai lati del letto dove Carolino dormiva il suo chimico sonno, ignaro di essere passato tanto vicino alla morte, ignaro di ogni cosa, fortunatamente per lui, abbandonato al benessere dell'idratazione soddisfatta e dell'anestetico.
" Non c'pipericolo? " disse Livia, tutto il viso tagliato dalle strisce di sole rosso che venivano dalle taparelle.
" Non lo so, forse, s " disse Duca.
" Quando si sveglier " disse Livia.
" Tra un paio d'ore, " disse Duca.
" Quando potrparlare? " lei disse, incalzante. Quel ragazzo preso a coltellate doveva avere molte cose da dire e queste cose avrebbero aiutato Duca a scoprire la verit e la veritera l'unica cosa che interessava a Duca e a lei, anche se poi non serviva a nulla.
" Meglio non forzarlo, " disse Duca, " non prima di sera. "
Dall'aurora alla sera lungo, vi sono molte ore, ma Duca e Livia si mossero solo a turno dal letto del ragazzo, una volta si alzava Duca, andava in corridoio a fumare una sigaretta, e una volta lei, Livia. Alle nove, avvertito da Duca, venne C跫rua. GuardCarolino dormente sul letto e fissDuca, chiedendogli con lo sguardo: che cosa successo?
" Qualcuno gli ha dato una coltellata, " disse Duca. " Non so chi non ho potuto ancora parlargli. "
Parlavano a bassa voce, guardando Carolino, non guardandosi loro. C跫rua disse: " E' in pericolo? "
" Ho paura di s ma bisogna lasciar passare almeno ventiquattro ore, " disse Duca.
" E se muore? " disse C跫rua.
Duca non rispose, ma adesso si fissarono, molto stanchi tutti e due.
" Ti ho chiesto che cosa facciamo se il ragazzo muore, " disse C跫rua.
Duca non rispose. Quando uno muore non c'niente da fare, se non seppellirlo.
" Siamo responsabili di aver mandato in giro un minore a farsi accoltellare, lo sai? " disse C跫rua, e parlava con voce tanto bassa, cosinsolita in lui.
S lo sapeva. Duca non rispose neppure questa volta.
" Cerca che non muoia, " disse C跫rua. Lo sguardo gli si accese, come gli dicesse: se no ti strangolo con queste mani.
Duca annu Va bene, avrebbe cercato che non morisse.
Poco prima delle dieci Carolino aprgli occhi, ma si capiva che ancora non era cosciente. Poi si riaddorment ma di un sonno leggero, ogni tanto si voltava nel letto, poi sospirava e si stirava allungando le lunghe gambe. Poco dopo le dieci e mezzo aprancora gli occhi, li fisssu Livia che era seduta da quella parte, e le sorrise.
" Come ti senti, Carolino? " disse Livia, avvicinando il viso a quello del ragazzo per parlargli all'orecchio, perchegli non dovesse fare lo sforzo di udirla. Ma egli non udlo stesso, richiuse di nuovo gli occhi e Duca che lo osservava capche non si era riaddormentato: ma era svenuto. Teneva il polso del ragazzo tra le dita, e se ne accorse anche dalle pulsazioni.
" Vai a cercare Parrelli, " disse Duca, " sta collassando. "
Il polso di Carolino resistfinchnon arrivil giovane luminare del Fatebenefratelli, il professor Gian Luca Parrelli.
" Meglio fargli un'endovena di Ornicox e metterlo sotto la tenda a ossigeno, cossiamo pisicuri, " disse il giovane luminare.
Entro mezzogiorno il respiro di Carolino riprese un ritmo meno affaticato e il cuore comincia pulsare con una energia normale. All'una Carolino aprgli occhi, guardoltre la tenda il gentile viso di donna che gli sorrideva, era il viso di Livia, e sorrise anche lui, ignaro di essere sempre sotto la lunga buia ala della morte.
Vi rimase due giorni, e per due giorni Duca e Livia gli stettero vicino, senza che lui lo sapesse, continuando a domandarsi chi lo aveva accoltellato, e continuando a pensare che Carolino non doveva morire. Nel pomeriggio del secondo giorno riprese coscienza, guardLivia e guardDuca.
" E' l'infermeria del Beccaria? " disse a Duca.
Duca scosse il capo. " Non lo vedi che una camera d'ospedale? "
" Ho sete, " disse Carolino.
Gli dette da bere, e ci volle ancora un giorno perchil ragazzo si riprendesse e potesse parlare. Ma prima voleva fumare.
" Non si pu Carolino, " disse Duca, " fai gifatica a respirare anche se non fumi. Domani. "
Volle almeno tenere la sigaretta in mano, spenta, se la metteva in bocca, spenta, faceva come se aspirasse e parlava. C'era anche Mascaranti, venuto per stenografare e testimoniare.
" Chi ti ha colpito col coltello? "
Il viso pallido, molto, molto dimagrito in quei pochi giorni, la sigaretta spenta tra le labbra, Carolino disse: " Lei. "
" Chi, lei? " disse Duca, pianissimo.
" Marisella. "
" Marisella Domenici? " " S "
" La madre di Ettore Domenici, tuo compagno di scuola? "
" S "
" Perchti ha tirato un colpo cos "
Carolino si tolse la sigaretta dalla bocca, l'estremitche aveva tenuta tra le labbra era umida e scuriccia. " Non lo so, " disse. Non lo sapeva davvero.
" Lo sappiamo noi, " disse Duca. " Aveva paura che tu raccontassi tutto alla polizia. "
" Ma io gliel'ho detto che non avevo raccontato niente alla polizia. "
" Lei non ti ha creduto. Ha pensato che una volta o l'altra avresti raccontato tutto a noi, " disse Duca.
" Ma se sono scappato per andare da lei. Se avevo voglia di raccontare la storia alla polizia non scappavo. " Non riusciva ancora a convincersi che Marisella non si era fidata di lui. Perchnon si era fidata? Perchaveva tentato di ucciderlo?
" Allora adesso devi dirmi tutto quello che sai, " disse Duca.
Egli fece cenno di s si rimise in bocca la sigaretta un poco tormentata anche dalle sue dita.
" Chi stato il primo che ha aggredito la vostra maestra? " disse Duca, studiava il viso del ragazzo, per cogliere i primi segni di stanchezza, ogni tanto gli teneva il polso. E vide il viso del ragazzo divenire leggermente rosso. " Chi stato? " ripet pensando che forse Carolino resisteva ancora all'idea di tradire un suo compagno. Anche nei picorrotti c'era questa balorda idea dell'onore.
Carolino non esitava per questo, guardava Duca, guardava Livia, guardava Mascaranti pronto a scrivere e non parlava solo perchnon voleva pensare a quella sera.
" Chi stato il primo ad aggredirla? " ripetDuca.
Carolino fece di scol capo. " Lei. "
Duca attendeva il nome di un ragazzo, di uno degli undici ragazzi che avevano massacrato la maestra, il nome di un uomo, insomma. Non pensava alla parola " lei ". Che c'entrava lei in un atto di violenza contro una donna? " Lei, chi? " domand ma era come se gisapesse chi era questa lei, ed era infatti quella lei che pensava.
" Marisella, " disse Carolino.
Difficile da credere. Anche Mascaranti stenografquel nome, ma con la sensazione di scrivere qualche cosa di sbagliato.
" Vuoi dire che la madre del tuo compagno Ettore era l in classe, quella sera? " disse Duca. Una donna nell'Aula A di una scuola serale. Aveva pensato a una donna che istigasse quei ragazzi, che li spingesse al delitto, ma non che fosse llei, in classe, con gli altri ragazzi, durante il massacro.
C'era, invece, Carolino lo spiegbene. C'era con un vecchio paltblu, in quella sera di nebbia densa, cosdava meno nell'occhio e sembrava abbastanza la madre di un allievo della scuola serale, e sotto il paltaveva la bottiglia di anice lattescente siciliana, quella forte che evapora sulla lingua con un po' di gocce di un amfetaminico che la rendevano ancora pienergetica.
Era entrata molto semplicemente dalla porta, senza essere vista dalla portinaia. La portinaia, quando le lezioni erano cominciate, chiudeva la porta della scuola, ovviamente, perchnessuno potesse pientrare senza che lei lo vedesse. Ma la serratura a scatto poteva essere aperta dall'interno, non solo da lei, ma da chiunque altro volesse uscire.
Suo figlio Ettore l'aveva aiutata. Era in classe coi suoi compagni e la giovane maestra Matilde Crescenzaghi era dietro il tavolo che fungeva da cattedra e aveva iniziato la sua lezione di geografia, quella sera era arrivata all'Irlanda, era intenzione della giovane maestra di spiegare che cosa era l'Irlanda, che cosa l'Eire, e la ragione storica, religiosa, della differenza.
Il giovane Ettore Domenici, suo figlio, si era alzato dal banco, all'ora fissata, ed era uscito dalla classe. " Vado al gabinetto, " aveva detto. Dicevano tutti cos e ogni volta, alla parola " gabinetto " c'era qualcuno che rideva nervoso, tutto ciche riguarda le funzioni fisiologiche dell'organismo, provoca nei bambini, nei minorati, negli anormali, un anormale interesse. D'altra parte la giovane maestra Matilde Crescenzaghi non poteva far nulla contro quel ridere neurotico. I gabinetti erano al piano di sopra, i ragazzi ne approfittavano ampiamente anche per andarvi a fumare, e ogni volta che uscivano dalla classe dicevano: " Vado al gabinetto. "
Il giovane Ettore Domenici non era andato al gabinetto al piano di sopra, ma era venuto ad aprire la porta a lei, rapidamente e silenziosamente, in modo che lei era entrata senza che la portinaia la vedesse e allora era andata, seguendo il figlio, verso l'aula A. Ettore, suo figlio, aveva aperto la porta dell'aula.
" Signorina, " aveva detto, " c'la mia mamma che vuole parlarle. "
La signorina Matilde Crescenzaghi, si era subito alzata, interrompendo la sua spiegazione sull'Irlanda. Le visite dei genitori e dei parenti degli allievi erano molto rare, e comunque non erano previste in quel modo improvviso. D'altra parte quella madre era entrata ormai in aula e voleva parlare con lei, la maestra di suo figlio, e lei aveva il dovere di ascoltarla. " Si accomodi, signora, " aveva detto la giovane maestra, andandole incontro e tendendole la mano. Era sempre importante e interessante parlare coi genitori dei propri allievi, soprattutto con le madri.
Lei non aveva risposto al saluto, non aveva stretto la mano che le era stata tesa, aveva levato in silenzio da sotto il paltoncino blu la bottiglia di anice lattescente corretta con un preparato amfetaminico e l'aveva posata sul tavolo, vicino ai quaderni, al registro e alla scatoletta con dentro le penne a sfera e le matite rosso-blu.
Finalmente vedeva in faccia la donna che le aveva fatto morire Francone, il suo uomo. Non aveva mai visto la maestra di suo figlio, non era il tipo di madre che andava a informarsi dalle maestre sull'andamento degli studi del figlio. Sapeva solo una cosa: che quella ragazza aveva denunziato lei e Francone e li aveva fatti andare in galera e che Francone era morto in galera, mentre se fosse stato libero lei l'avrebbe fatto curare nella migliore clinica e Francone non sarebbe morto, e lei non sarebbe rimasta sola, e finita tutta la vita, perchormai era troppo vecchia per poter vivere da sola.
Nel silenzio pesante di tutta la classe, di tutti gli undici ragazzi che seguivano la scena, silenzio che era tanto piinquietante, quanto fuori per il continuo passaggio di tram e auto e camion, vi era frastuono, lei sputcon violenza in viso alla giovane maestra Matilde Crescenzaghi, ed era tanto quel silenzio interno, nel frastuono che veniva dalla strada, che gli undici ragazzi sentirono il sibilo spruzzante di quello sputo, e ascoltarono, ma rimasero rigidi, come rigidi gierano prima.
La fronte colpita vicino al naso dallo sputo, la signorina Matilde Crescenzaghi guardun attimo la donna dai pesanti occhiali neri che aveva davanti, e solo un attimo dopo si copril viso con un braccio, senza dire nulla, psichicamente stordita dalla sorpresa, incapace perfino di gridare.
" Hai fatto andare in galera mio marito e me, brutta lurida sporcacciona, " lei mormorava soffiando come una gatta arrabbiata e tale veramente era, piena di furore perchdoveva sfogare la sua amarissima solitudine da quando era morto Francone, contro qualcuno, e questo qualcuno era per lei la giovane maestra, mentre Matilde Crescenzaghi non capiva neppure le sue parole, perchlei non aveva voluto fare del male a nessuno, lei aveva soltanto detto alla polizia che il suo allievo Ettore Domenici, un po' cattivo in superficie, ma di fondo buono, come si esprimono le redentrici di giovani traviati, questo Ettore Domenici, da parecchio tempo non veniva pia scuola, e la polizia aveva preso atto della comunicazione che questo bravo discolo non andava a scuola e aveva facilmente scoperto che il bravo discolo invece di andare a scuola andava in Svizzera e aiutato dal buon padre addottivo Oreste Domenici d彋to Francone e dalla sua brava mamma Marisella di professione meretrice, faceva contrabbando di oppio e poi aiutava i genitori anche nello spaccio. Alla polizia non piace che i minori siano interessati al traffico e allo spaccio delle droghe e perciaveva arrestato Francone e Marisella, ma la giovane maestra non aveva mai pensato di denunziare loro due: aveva voluto soltanto che il suo allievo tornasse a scuola, invece che fare quelle brutte cose.
" Signora! Lei non deve fare cos E davanti agli allievi! ", la giovane Matilde Crescenzaghi, con lo sputo appena asciugato con la manica dell'abito, riprese un poco della sua dignit del suo coraggio. " Non faccia cosdavanti ai ragazzi. " La sua sola preoccupazione erano i ragazzi e i ragazzi stavano l dietro i banchi, in piedi, si erano alzati appena lei aveva ricevuto lo sputo in faccia, stavano in silenzio e preparati.
Ettorino l'aveva detto che sua madre sarebbe venuta la fare una scenata, per vendicarsi che la maestra aveva mandato in galera il padre che poi era morto nell'infermeria del carcere. Ettorino, guidato da sua madre, aveva aizzato i suoi compagni contro la maestra, contro la spia della polizia. A nessuno dei ragazzi importava che il padre di Ettorino fosse morto in galera, ma tutti odiavano la maestra spia ed erano sordamente soddisfatti che Marisella fosse venuta la sputarle in faccia.
" Sta' zitta, cretina, spia, " disse lei e le sputancora in viso, e nello stesso tempo l'afferrcon la sinistra per i capelli e con la destra la colpal volto in modo cosviolento che piche uno schiaffo, fu come una martellata.
Matilde Crescenzaghi, giovane maestra, in quel modo comprese. Comprese che non si trattava pidi una discussione, di una lite, sentche quella donna voleva distruggerla. Non le vedeva lo sguardo per gli occhiali cosneri che lei portava, ma ne sentiva ugualmente emanare la terrifica violenza di uccidere. E allora istintivamente grid
Cio tentdi gridare, perchaveva appena aperto la bocca che lei si era tolta la sciarpa dal collo e gliela spingeva in bocca, spegnendo ogni suo grido, e quasi anche il respiro. E con la sinistra sempre la teneva per i capelli mentre con l'altra un po' la colpiva in viso, in testa, al collo, un po' finiva di stiparle la bocca con la sciarpa e intanto le gridava con sorda voce per non essere udita dalla custode, schifose ingiurie, che erano certamente piadatte a lei, vecchia e sdrucita prostituta dei viali milanesi, che non alla candida maestrina.
Vero Verini, uno dei ragazzi, ma aveva vent'anni ed era ben conosciuto alla polizia come maniaco sessuale oltre che per il padre in carcere e i tre anni di riformatorio rise, rise senza suono alla vista di quella violenza che di colpo
lo faceva sentire a cavallo della tigre, i mugolii della giovane maestra che si dibatteva inutilmente contro una belva come Marisella, eccitata oltre che dall'odio cieco, anche dalle droghe, eccitavano lui come se fosse lui a commettere quella violenza, e non seppe soffocare completamente un grido sordo di spasmo sessuale quando vide che la madre di Ettorino, oltre a colpire la giovane maestra, andava anche spogliandola, stracciandole di dosso la maglietta scura,
Il reggiseno, colpendola anche con ginocchiate e calci per farla star ferma, e tirandole gila gonna, fincharrivsuo figlio Ettorino, che strappil reggicalze, poi le mutandine di quella che un tempo gilontano era una maestra, e che non si dibatteva quasi pi giprossima fortunatamente al collasso nel quale cadde nello stesso istante in cui il ragazzo la butta terra e le fu sopra.
Lei guardava, in piedi, dall'alto, attraverso gli occhiali scurissimi, la bocca distorta dall'eccitazione e dall'odio. Questa era la sua vendetta, a questo aveva pensato per tanto tempo, da quando era morto Francone, a come poteva vendicarne la morte. Cos facendo fare scempio di quella donna, di quella spia.
E tutta l'aula A guardava, in quel modo silenzioso e assorto su cui lei aveva contato che guardassero, pio meno anormali, tarati, di scarso controllo sui propri istinti, se non nessuno. Guardava Carletto Atteso, aveva solo tredici anni ma aveva givisto delle donne nude e non gli era ignoto nulla dei rapporti sessuali, normali e no, ma la vista di una donna nuda che subiva atto di violenza era spettacolo che vedeva per la prima volta. Guardava f鮀so, l in terra, nel silenzio frusciante per il respiro greve di Ettorino e del mugolio morente della maestra e si accorse appena della madre di Ettorino che gli porgeva la bottiglia e che gli disse: " Bevi. "
Obbedmeccanicamente, con lo sguardo sempre fisso lin terra e si portla bottiglia alle labbra.
" Bevi piano, forte, " gli disse lei.
Per quanto bevesse piano, comincisubito a tossire, colpi di tosse secchi, staccati, innaturali, mentre lo sguardo non gli si schiodava dalla scena.
Anche Vero Verini, il ventenne guardava, con la stessa intensit ma non si limita guardare, uscdal banco, un po' lento, intorpidito, arrivdove la maestrina giaceva in terra, gli occhi dilatati, dal terrore, fluttuanti nelle lacrime, e Ettorino si stava rialzando, prima in ginocchio, poi in piedi, e prese la bottiglia che la madre teneva in mano e si bagnle labbra di quella roba, osservando senza ridere il suo compagno di studi Vero Verini che stringeva con brutale violenza la maestra.
E guardava anche Paolino Bovato, curvo sul suo banco per vedere meglio oltre il banco, i due in terra, un po' di sciarpa che usciva dalla bocca della maestra, e lei che dibatteva il capo per non essere baciata o meglio essere fatta ludibrio del maniaco sessuale- che sadicamente la stringeva come per strozzarla.
" No, non strozzarla, " disse lei accorgendosene, ma era come parlare a un cane che sta addentando la preda. Non la strozzma le fece perdere la conoscenza, e fu un bene per Matilde Crescenzaghi, un vero bene, che dursolo pochi minuti perchquando riprese i sensi vide su di sil viso di Carletto Atteso, quello che lei considerava un bambino, un viso per niente infantile, deformato da un ghigno bestiale. Chiuse gli occhi.
Ma i ragazzi no, non chiudevano gli occhi. Guardava anche Carolino Marassi, intento, lui una volta aveva visto la sorella di un suo amico, in macchina, ma era buio, la ragazza era tutta vestita, e aveva sentito, piche vedere, adesso invece lc'era la luce, la maestra era nuda, ogni tanto si divincolava ancora e allora scopriva ancora di pila nudit ma le espressioni prima di Ettorino, poi di Vero, poi di Cadetto, lo spaventavano un poco, e nello stesso tempo gli facevano venir voglia di ridere.
" Avanti, vai tu. " La madre di Ettorino lo spinse verso la maestra che tentava di sollevarsi, in quel momento, in ginocchio, lentamente, come in un film al rallentatore, forse istintivamente pensando di fuggire, ma egli resistsolo un attimo perchpoi si trovbuttato contro la maestra e lei invece di spingerlo indietro, o di sfuggirgli, come aveva fatto con gli altri, lo abbraccie con lo sguardo, non potendo parlare per la bocca ostruita dalla sciarpa, gli disse di salvarla, di portarla via di l ed era l'unico al quale potesse dire questo, il meno tarato, il meno marcio e Carolino stava per gridare, per dire qualche cosa, forse: " Basta! Basta! " spinto da quello sguardo straziante di martoriata creatura umana, ma una pesante mano lo sollev lo strappdalla maestra che lo abbracciava, era la mano di Ettore Ellusic, il figlio di onesti genitori, che viveva onestamente un po' di gioco, barando nelle tabaccherie di via General Fara, un po' facendosi mantenere dalle donne, giovani o anziane.
" Ma va' a prendere il biberon, cretino, " gli disse il compagno di studi Ettore Ellusic, e fu come buttato via.
" C'tempo anche per te, " gli disse lei, " intanto bevi. "
Carolino bevette. E senza tossire.
" Bevi anche tu, " disse lei a un altro ragazzo seduto composto dietro il suo banco e che guardava anche lui, ma in un modo diverso da come guardavano gli altri.
" Con quello non c'niente da fare, un finocchio, " disse Ettorino alla madre, ora aveva capito la vendetta della genitrice e le tre o quattro sorsate di anice lattescente corretto amfetamina gli facevano apprezzare quella vendetta.
" E' il Fiorello della classe, " disse Ettorino, rise, sempre piano, neppure lui che era stato il primo massacratore riusciva a staccare lo sguardo dalla scena, e parlava e rideva senza guardare nsua madre, nFiorello Grassi, ma la giovane maestrina e il suo seviziatore di turno che adesso era Benito Rossi, giovane, ma violento e che esplicava appunto la sua violenza su quel poco che rimaneva di disgraziata creatura umana che era la giovane maestra.
" Anche un finocchio pubere, " disse lei e tese la bottiglia a Fiorello Grassi. Fiorello non aveva nulla da dividere con gli altri, non aveva niente di rassomigliante con loro, neppure lontanamente, non aveva genitori ladri o prostitute, non era un luetico nladro lui, non era mai stato in riformatorio, l'unica colpa che aveva - e non era sua - era di essere una donna con una superficiale apparenza maschile. Questo gli aveva dato molti fastidi, anche con la polizia, ma lui non era un delinquente.
" Una signora ti ha offerto da bere e tu devi bere, " disse allora Ettorino, e disse " signora " alludendo a sua madre, ma sorridendo lui stesso del disadatto termine, e aveva afferrato Fiorello per un orecchio, come uno scolaro riottoso e lo costringeva ad alzarsi. " Avanti, bevi, finocchio. "
E' noto che gli invertiti sono altamente paurosi della violenza fisica, e anche Fiorello lo era. Prese subito la bottiglia che lei gli tendeva e bevette, tossconvulsamente, ma Ettorino lo costrinse a bere ancora lo stesso.
" Su, bevete, ragazzini. " Delirante figura umana, con quegli occhiali scuri, il paltblu scuro, aggirantesi con quella bottiglia in mano nella turpitudine di quello che stava accadendo e che lei aveva provocato e anzi creato, riducendo esseri umani gimolto vicini alle bestie ancora pibestie; lei offriva da bere a Federico dell'Angeletto, che era gibevuto per conto suo ancora prima di venire a scuola, al torvo tredicenne Carletto Atteso che aveva bisogno di bere per riprendere nuove energie e proseguire il massacro della maestra che odiava, come odiava ogni autorit e ogni legge, ogni regola. E offriva da bere ai giovani leoni Paolino Bovato, precoce consumatore d'oppio, e a Michele Castello che da tempo concupiva la giovane maestra, e ora finalmente aveva potuto realizzare le sue torbide immaginazioni e bevendo e ghignando piano piano attendeva di rirealizzarle, guardando con la bottiglia in mano, in qualche momento attraverso il vetro chiaro della bottiglia, la sua maestra che si divincolava contro il seviziatore di quel momento, ma ora era un divincolare senza speranza, una specie di movimento meccanico sotto la torturante bestialitdi ciche stava subendo, e poi restitula bottiglia alla madre di Ettore, senza smettere di guardare, gocciolando anice da un angolo della bocca, mentre guardava.
E lei andgirando con quella bottiglia per tutta l'aula A, corrompendo con le parole e con l'alcool, aizzando, spingendo il pitimido o quello meno ubriaco, aiutata dal figlio, sorridendo a quello che lei chiamava finocchio, ma costringendolo ugualmente a bere. Disegnper prima lei delle oscenitsulla lavagna, fu lei a tendere una calza della maestra Matilde Crescenzaghi tra un banco e l'altro e a spingere quei giovani signorini a saltarla, e chi vi riusciva avrebbe avuto un altro sorso di anice lattescente. Fu lei a fermare il sedicenne Silvano Marcelli, sempre di onesti genitori anche lui, che voleva uscire per andare di sopra al gabinetto. " Ma sei matto? Se incontri qualcuno finita, falla qui. " Fu lei a consigliare ogni tanto di fare pipiano, ma fu lei a togliere la sciarpa dalla bocca della maestrina, comprendendo che ormai essa non avrebbe potuto pigridare o lamentarsi troppo forte e a mettersela in tasca, fradicia di saliva e di sangue, perchnon rimanesse alcuna traccia di lei.
E fu lei, quando la bottiglia fu finita e quando anche l'ultimo sfrenato si era seduto in terra e guardava come ebete intorno, a dare l'ordine di andarsene, a spiegare che doveva andarsene a casa a dormire e che alla polizia loro dovevano dire - ciascuno - che non avevano fatto nulla, che erano stati gli altri e che questo era l'unico sistema per salvarsi. E Ettorino aggiunse con la bottiglia di anice vuota in mano, che se qualcuno avesse tradito sua madre, avesse fatto il suo nome, lui lo avrebbe ucciso, pezzetto per pezzetto, come sbranato. Ma le minacce erano un di pi si trattava di gente che non aveva amicizia per la polizia, che avrebbe coperto anche il pinefando delitto pur di fare dispetto al poliziotto, alla legge.
E fu lei, che prima di uscire dall'aula A insieme coi ragazzi, guardi resti dell'essere umano di cui si era vendicata e che ancora sussultavano, un braccio tentava ancora, strisciando in terra, di sollevare il corpo: erano il suo trionfo, quei resti umani gementi senza voce e firmil suo trionfo sferrando un bestiale calcio addosso a lei, maestra Matilde Crescenzaghi, nella zona pubica, provocando un'ulteriore emorragia che poi, come aveva stabilito il medico, aveva causato la morte che lei, appunto, voleva causare.
Carolino non era un oratore, ma aveva raccontato con la precisione dell'adolescente che non trascura i particolari, e aveva detto ogni particolare.
Duca si alze non disse nulla. Anche Livia si alz lo stomaco gonfio di nausea e la mente di orrore. Anche Mascaranti si alze richiuse il suo blocchetto stenografico, lo stomaco un po' sconvolto anche lui.
" Grazie, " disse Duca. Posuna mano sulla fronte di Carolino.
" Io non voglio andare al Beccaria, " disse Carolino, aveva parlato per quello, forse ora la polizia, quel poliziotto buono che gli carezzava la fronte, non lo avrebbe pimandato in polizia.
" Tu non tornerai pial Beccaria, " disse Duca. Gli fece un'altra carezza. " Te lo giuro. " Non aveva mai detto in vita sua " te lo giuro ", e neppure " parola d'onore " e neppure " promessa ". Ma in quel momento disse " Te lo giuro ", d'impulso.

" Adesso bisogna trovare subito quella donna, " disse C跫rua. Aveva un po' di fonda nausea anche lui. Il resoconto stenografico di Mascaranti su quello che aveva raccontato Carolino, lo aveva toccato. C'massacro e massacro, era stato in Russia e aveva visto massacri numericamente ben peggiori di quello di una sola donna, come la maestra Matilde Crescenzaghi. Eppure il numero non contava in un massacro, contava il modo e lo spirito del massacro. E l'essere pisanguinario che lui avesse mai conosciuto era quella donna, Marisella Domenici. Forse solo Use Koch, la iena di Buchenwald che in tempo di guerra si faceva fare i paralumi con la pelle delle ragazze ebree fatte prigioniere dai nazisti, forse solo quella aveva superato Marisella. " Avrai tutti gli uomini e i mezzi che vuoi, ma devi trovarmela subito. "
Nel vecchio, caldo, sontuoso ufficio, la notte, l era calda e quieta e sulla poltrona davanti alla scrivania di C跫rua, Duca stava rilassato quasi dormendo e quasi infelice.
" Sto parlando con te, Duca, " disse C跫rua, con affaticata pazienza.
" S lo so, " disse Duca.
" E allora rispondi. "
Duca si tira sedere un po' meno abbandonato sulla poltroncina. " Perchvuoi cercare quella donna? Non c'nessun bisogno di cercarla. "
" Ah, s " disse C跫rua. Piche nervoso era inquieto. " Cosa devo fare? Lasciarla girare liberamente per l'Alta Italia? Disinteressarmi di lei? "
Duca accenndi s e C跫rua attese di calmarsi prima di rispondere. Anche se erano soli nell'ufficio non era una buona ragione per mettersi a urlare in quella insolita notte milanese, metprimavera e metinverno, un po' bisognava aprire le finestre, e un po' bisognava accendere la stufa elettrica, perchil riscaldamento centrale era guasto. Quindi non urlma disse con voce alterata ma bassa: " Duca, non scherzare. Questa donna ha compiuto una mostruosit un mostro in circolazione, noi dobbiamo arrestarla al pipresto possibile. "
" Ah, ecco, " disse Duca, " tu vuoi arrestarla. Io no. " Si alz e lui, s avrebbe voluto urlare, di furore. Era sempre molto difficile essere sinceri, profondamente sinceri. " Io non voglio arrestarla. Io voglio la morte di quella donna. " Si volse e torna guardare in viso C跫rua. " Tu vuoi arrestare Marisella Domenici. E sai che cosa succede ad arrestarla? Che arriva il giudice istruttore, e poi arrivano gli avvocati difensori. C'una sola speranza per gli avvocati difensori: far dichiarare matta la loro difesa. Ci riescono facilmente; solo una matta pufare una strage simile in un'aula scolastica, per di piuna tossicomane e una luetica, e Marisella Domenici se la cava con l'internamento in manicomio. Per qualche anno. Poi i manicomi sono pieni, troppo pieni, non c'posto, bisogna sfoltire, creare posti liberi per matti veramente pericolosi e rimandare a casa quelli meno. La matta Marisella Domenici fra sette, otto anni al massimo ancora in circolazione. " Duca torna sedere sulla poltroncina davanti alla scrivania. " Invece un'infelice maestra restersottoterra, dopo una morte disumana, e undici ragazzi, anche se erano gicorrotti, cresceranno ancora picorrotti e delinquenti che mai per la spaventosa lezione di sadismo che lei ha dato ad essi. E tu la vuoi arrestare soltanto. Arrestala pure. Non hai bisogno di me per farlo. "
C跫rua rispose subito, e con imprevedibile moderazione. " S io voglio soltanto arrestarla. Io sono un acchiappaladri, il mio mestiere di arrestare i ladri e i delinquenti, e li arresto. Ma anche se volessi ammazzare quella donna, e forse a pensarci bene potrebbe venirmene la voglia, non risusciterei quella povera maestra. "
Malamente, troppo infelice per essere cortese, Duca disse: " Vai a fare questi ragionamenti ai comizi contro la pena di morte. Non a me. "
" Va bene, non ti faccio nessun discorso. Ti chiedo soltanto un favore: di dirmi che cosa faresti tu al mio posto, invece di cercare questa donna e consegnarla alla giustizia, Se non ti senti di farmi questo favore, pazienza. "
Con C跫rua persi poteva sempre parlare, anche con profonda sincerit " Ti dico subito che cosa farei: per cercarla niente, non smuoverei neppure il picitrullo dei nostri agenti, non farei neppure una telefonata, e se la vedessi passare per la strada non la seguirei neppure, anzi, andrei dall'altra parte. "
C跫rua lo guard " Io ho paura che al manicomio ci vai a finire tu, " ma glielo disse sapendo di dire solo una battuta: Duca parlava molto seriamente, e doveva seguire un suo ragionamento.
" Che cosa successo, in fondo? " La voce di Duca divenne ancora pibassa. " Abbiamo trovato un ragazzo accoltellato che ci ha raccontato come stata massacrata una giovane maestrina. E allora dobbiamo dirlo alla gente. Bisogna chiamare i giornalisti, fare una conferenza stampa, spiegare quello che successo, dare ai cronisti la foto di Marisella Domenici, suggerire nomi suggestivi, come la iena della scuola serale, e soprattutto spiegare tutta la verit veramente tutta, tutto quello che ha raccontato Carolino, tutti i particolari, anche i piorridi, l'opinione pubblica deve sapere che non si tratta soltanto di un delitto un poco piferoce degli altri, ma che si tratta di qualche cosa di mostruoso e di nefando che deve essere veramente punito. Lo sai come si dice oggi, vero? Bisogna sensibilizzare l'opinione pubblica, tutti devono conoscere tutti i particolari del massacro, non soltanto quattro gatti come noi, tu, io, Mascaranti, l'anatomista dell'obitorio e pochi altri. "
C跫rua accenndi s " E' giusto, e io lo far Domattina alle otto ci sarla conferenza stampa. Ma, e con questo? Con le conferenze stampa non arrestiamo questa donna. O cosa speri? Di inferocire la gente e di provocare un linciaggio appena qualcuno incoccerquesta donna? "
Duca sorrise, la rabbia di C跫rua dava a lui la calma. " No, niente linciaggio, " disse.
" E allora? Che cosa speri dalle conferenze stampa e dai giornali? " disse C跫rua.
" Sono medico, " disse Duca. " Ho conosciuto un po' di donne drogate, anormali, tendenti al sadismo. Devi pensare a quella donna, a Marisella Domenici, cosa avverrin lei,, appena su tutti i giornali leggerche stata scoperta, che Carolino ha raccontato tutto, in ogni particolare, quanto avvenuto quella sera, di lei che ha stracciato gli abiti alla maestra, e l'ha denudata e dato inizio al massacro per mezzo del figlio - pensa, il figlio - di lei che girava tra questi giovani delinquenti aizzandoli con le parole e stordendoli con la sua infernale bevanda, di lei che ha studiato e premeditato questo massacro per settimane e mesi, di lei che infine ha colpito con un calcio bestiale quella povera ragazza finendo cosquel mostruoso assassinio... Cosa credi che avverrnella sua mente quando leggersui giornali queste cose su di lei? "
C跫rua non rispose.
" Pensa che una drogata, una donna vecchia, corrosa dalla lue, che si sente sola perchil suo ultimo sfruttatore, suo marito, morto, e che non pensava di essere mai scoperta coscompletamente. Tu lo sai che quella gente spera sempre di farla franca, ma quando dai giornali saprche la polizia sa tutto, che non ha scampo, che presto o tardi finiranno per prenderla, che non pupigirare per procurarsi droga, cosa pensi che avrvoglia di fare? "
226
Gida qualche istante C跫rua aveva capito. " Si uccider "
" Esattamente. La troveranno in qualche posto piena di sonnifero, o si butterda qualche palazzo. Senza nessun bisogno di cercarla. Non occorre smuovere neppure mezzo agente per arrestarla: si arresterda sola. "
C跫rua si alz " E se si uccidesse davvero? Se prima che io riesca ad arrestarla, quella si ammazza, proprio come hai detto tu, saresti contento? "
Duca lo fiss " S " disse, e se non capiva C跫rua chi avrebbe potuto capire? Non gli piaceva che nessuno morisse, neppure il piferoce delinquente, ma non poteva permettere che un feroce delinquente rimanesse vivo e libero per commettere altri delitti. " Ma non ne sono sicuro. "
" Mi spiegherai meglio il tuo pensiero un'altra volta, adesso meglio che vai a riposare, " disse C跫rua.
Lei lesse il giornale in auto, cioprima guardla sua fotografia, data abbastanza in grande, poi lesse i titoli e sottotitoli, poi, anche se con molto sforzo, lesse il testo. Chiusa nella piccola macchina presa a noleggio, la prima sensazione che ebbe non fu di paura, ma di contrariet dove sarebbe andata a dormire, e dove sarebbe andata a prendere le sue polveri e le sue pastiglie?
Col suo nome cosin grande su tutti i giornali, perchne prese altri e altri e altri, a ogni edicola, quasi, nascondendosi dietro i suoi occhiali e nella sua pelliccia rossa, cosdifferente dallo squallido personaggio senza occhiali che compariva sui giornali, con tutti quei titoli, nessuno pidegli amici poteva avere il coraggio di aiutarla e dopo la morte di Francone ne aveva cospochi di amici, perchaveva cospochi soldi e cospoche possibilitdi procurarsene.
Erano le nove passate, era buio, in quella zona vicino a Sesto era ancora pibuio perchlei istintivamente aveva abbandonato le grandi strade appena letto il primo giornale. E dopo quel primo senso di contrariet ebbe un momento di paura. Tutta la polizia certo la stava ricercando, e tutti coloro che avevano letto i giornali e visto la fotografia la odiavano, erano pronti a rincorrerla, se la riconoscevano, a consegnarla alla polizia, forse a linciarla.
Ma la paura durun breve momento, molto breve. Ragionava lucidamente, anche nella sua distorta e allucinata mente, sapeva che non aveva nulla da temere dalla polizia, dalla legge: l'avrebbero arrestata, poi probabilmente mandata in manicomio, e non sarebbe stata a lungo neppure l Avevano buttato fuori dal manicomio dei veri pazzi furiosi, e probabilmente dopo un po' avrebbero buttato fuori anche lei. Questo non poteva farle paura.
Ciche veramente le fece orrore era che aveva nella borsetta solo pochi grammi di polvere, e che quelli erano i suoi ultimi grammi di polvere. In carcere o al manicomio non le avrebbero certo dato niente. L'avrebbero svezzata, per mesi e mesi avrebbe sofferto l'inferno senza le sue droghe, e quando fosse stata disassuefatta, sarebbe stata anche una donna finita, decrepita.
Continua pensare a questo, chiusa nella sua auto, tutti i giornali che aveva letto cosattentamente ammucchiati sul sedile dietro, in quel buio e solitario angolo della periferia sestese. Ragionava sempre lucidamente, in qualunque occasione, anche in quella, e lucidamente comprese che non aveva pila forza di vivere, che era finita, in fondo, si era trascinata a vivere fin da quando le era morto Francone, da allora non aveva avuto pivoglia di vivere e aveva resistito solo perchtrovava la polvere e un po' di compagnia. Ma adesso, con tutti quei titoli sui giornali, non avrebbe avuto picompagnia, nniente, e neppure la forza di sfuggire alla polizia, di vivere come una belva braccata.
Non penssubito di morire. Prima pensdi prendere quegli ultimi grammi di roba e dopo, quando si sarebbe svegliata e riemersa dal torpore allucinato, avrebbe pensato al da farsi. Poi pensche era meglio finirla subito, non aveva nessuno scampo, in nessun modo, e ragionando lucidamente mise in moto l'auto e lentamente si avviverso la grande strada che portava a Monza. Piche una strada era una striscia luminosa, un fiume di luce dei fari di auto, pullman e moto che passavano. Guidando piano s'immise dalla strada secondaria in questa principale dirigendosi verso Monza. Il traffico stava rallentando a quell'ora, non vi erano pile file continue di auto e lei potaumentare gradatamente la velocit Non la diminuneppure quando vide il grosso e ingombrante pullman che veniva dall'altro lato, anzi, l'aumentancora e d'un tratto gli si buttaddosso, proprio contro i fari, deliberatamente.
Duca arrivall'ospedale neppure un'ora dopo, la polizia stradale aveva avvisato la Questura dell'incidente. Marisella Domenici era ancora in sala operatoria, ma un assistente che uscdalla sala per fumarsi una sigaretta glielo disse: " La macchina accartocciata che non si sa come l'abbiamo tirata fuori, ma lei ha solo due costole rotte e un polso fratturato. Inverosimile. "
Essendo medico, Duca capdi fare una domanda stupida, ma la fece ugualmente perchvoleva essere sicuro: " E' in pericolo? "
" E come si fa a essere in pericolo solo con due costole rotte? Quella campa molto pidi lei e di me. "
Duca uscdall'ospedale e salsull'auto. " Andiamo da C跫rua, " disse.
Livia innestla marcia. " E' morta? "
" No, viva. Ha solo due costole rotte. " Ripetla stessa frase a C跫rua, appena arrivato in Fatebenefratelli. " E' viva. Ha solo due costole rotte. Ora puoi arrestarla. "
C跫rua gli fece ancora quella spietata domanda. " Tu preferivi che fosse morta, che si fosse ammazzata? "
Fece segno di s che lo preferiva. Disse umilmente: " L'ho sempre preferito, " disse, " fino a quando la Stradale non ci ha avvertito dell'incidente. "
" E poi? " insistC跫rua.
Duca disse fino in fondo la verit " Poi sono corso all'ospedale sperando invece che fosse viva. "
C跫rua ebbe un risolino piccolo ma rumoroso. " E perchvolevi invece che fosse viva? "
Lui scherzava, ma Duca no. " Non lo so. "
" E adesso sei contento che sia viva? " disse C跫rua, senza scherzare pi paterno.
" Non lo so. Forse s "
Duca tornda basso e salin auto accanto a Livia. " Vai dove ti pare, ma da nessuna parte precisa, " le disse. Le circondle spalle con un braccio, c'era quella domanda che lo innervosiva: perchdoveva essere contento che una feroce assassina come quella donna, fosse viva, invece che morta? Viva, invece che scomparsa dalla faccia della terra? Perch
Doveva chiederlo a Livia, a Livia Ussaro, la sua Minerva personale e privata. " Senti, perch " comincia spiegarle. Lei si sarebbe appassionata al problema.
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Giorgio Scerbanenco
Al servizio di chi mi vuole
Al servizio di chi mi vuole un romanzo vero per uomini veri, che parla di guerra e di pace. E' l'immaginosa e generosa storia dell'assalto a un deposito di armi in Florida, tra giungle tropicali, ca-sematte piene di munizioni, ragazze facili con soldati che fanno festa...
Il protagonista Olisse Ursini, due metri di parfriulano con un debole per le minorenni, le missioni impossibili e le cause lontane (che c'entra lui con Cuba?) ma profondamente vicine ai suoi ideali. PerchUlisse non un mercenario, ma un idealista che presta il suo coraggio e la sua passione per il combattimento a chi ne ha bisogno per salvarsi dalle dittature e dai soprusi contro la libert E' grazie a romanzi come questo che l'opera di Giorgio Scerbanenco mantiene intatte la sua forza e la sua attualit Come scrive nella sua prefazione Andrea G. Pinketts, anche "Scerbanenco, proprio come il protagonista di questo romanzo, era "al servizio di chi mi vuole". Anche lui mercenario, ma delle emozioni, delle parole. E allora piche mercenario, condottiero per gli scrittori della mia generazione che ha guidato sul campo minato della scrittura".
Al servizio di chi mi vuole, pubblicato per la prima volta nel 1970, seguito in appendice dal romanzo breve Lupa in convento.
Giorgio Scerbanenco
Venere privata
Le piccole dee della societdei consumi muoiono nei prati di periferia, ed quasi sempre inutile indagare. L'omertsalva gli sfruttatori. Ma Duca Lamberti pensa che sia necessario insistere, comunque. "Pine schiacci e pice ne sono. E va bene, tenerezza mia, ma forse bisogna schiacciarli lo stesso". Venere privata, pubblicato per la prima volta nel 1966, il primo romanzo della serie dedicata a Duca Lamberti.
"Il mondo di Scerbanenco un mondo completamente nero e immobile. I romanzi di Scerbanenco non conoscono nessun movimento, nessuno svolgimento. L'unico svolgimento riguarda il lettore, cui Scerbanenco somministra la realtdei fatti a piccole dosi, poco per volta. Ma la realt l'orribile nera realtc'da sempre, sempre quella e continuerad essere quella dopo che il teatrino del bene avrchiuso il sipario. A chi, cittadino di questo disperatissimo mondo, non abbia propensione al suicidio, non restano che due vie: o la completa distrazione o l'assuefazione. La vita una droga, o la combatti con altre droghe o l'assumi fino in fondo". (dalla prefazione di Luca Doninelli)
iorgio Scerbanenco *
Traditori di tutti
Notte di nebbia a Milano. Una macchina ferma sull'orlo del Naviglio: all'interno un uomo e una donna, anzianotti, hanno mangiato e bevuto troppo, lui specialmente. Una ragazza spinge la macchina piano...un tonfo, qualche spruzzo, neanche una bollicina. Per Duca Lamberti, ex medico e poliziotto a mezzo tempo, tutto comincia una mattina di primavera: sulla porta, un giovanotto, lo manda l'avvocato Sompani... Ma Sompani non quello annegato due giorni fa nel Naviglio?
"Le storie di Duca Lamberti, come il loro protagonista, segnano una rottura nella tradizione. Sono storie italiane, rispecchiano la nuova realtdi un paese impegnato in una difficile trasformazione, ma sono perfettamente in grado, nella loro originalit di confrontarsi con i grandi modelli dell'hard boiled statunitense". (dalla prefazione di Carlo Oliva)
Finito di stampare il 12 aprile 1999
dalle Industrie per le Arti Grafiche Garzanti-Verga s.r.l.
Cernusco s/N (MI)
E 60407349
I RAGAZZI DEL MASSACRO EDIZIONE II GIORGIO SCERBANENCO
GARZANTI LIBRI S P A
Ogni esemplare di quest'opera
che non rechi il contrassegno
della SocietItaliana degli Autori ed Editori
deve ritenersi contraffatto






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