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LA SAGGEZZA DEL DESERTO

Detti dei Padri del deserto
Scelti e presentati da Thomas Merton

Titolo originale
The Wisdom of the Desert

TRADUZIONE DI
CATERINA LICCIARDI

Tea edizioni

Thomas Merton nacque a Prades, nei Pirenei francesi, nel 1915. Figlio di un pittore neozelandese e di una quacchera americana, studiin Francia, in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove si laurein lettere alla Columbia University. Da un entusiasmo giovanile per le idee comuniste, nel 1938 passalla religione cattolica. Durante il periodo della conversione, e sotto l'influenza della poesia di T.S. Eliot e della filosofia di J. Maritain, inizia scrivere versi, pubblicando nel 1944 la prima (Thirty Poems) di una decina di raccolte che continuperiodicamente a pubblicare per tutto l'arco della sua vita. Nel 1941 entrnel monastero trappista di Gethsemani, nel Kentucky, assumendo il nome di Father M. Louis. Le esperienze che lo condussero a questo passo sono narrate ne La montagna dalle sette balze, che, edito nel 1948, riscosse immediatamente un grande successo. Morimprovvisamente nel corso di un incontro tra monaci cristiani e orientali a Bangkok, nel 1968. Tra le altre sue opere, dedicate prevalentemente alla revisione in chiave moderna dei grandi temi della tradizione monastica medievale, si ricordano: Le acque di Siloe (1949), Semi di contemplazione (1949), Il segno di Giona (1952), Nessun uomo un'isola (1953), Mistici e maestri Zen (1967).




NOTA DELL'AUTORE

Questa antologia di detti dai Verba Seniorum non va intesa come un'opera di valore scientifico. Al contrario, un'edizione libera e informale di storie scelte qua e ltra le varie versioni originali latine, senz'ordine e senza l'individuazione delle fonti specifiche. Il libro si prefigge come unico scopo quello di stimolare ed edificare il lettore. In altre parole, essendo un monaco del ventesimo secolo, sento di potermi avvalere con una certa libertdei privilegi di cui godevano i monaci antichi; perciho costruito una raccolta tutta mia, senza criteri, intenzioni o propositi specifici, al solo scopo di conservare queste storie e goderne con gli amici. Cosnato il libro.

Quando la prima versione era giultimata, la affidai all'amico Victor Hammer, che ne approntuna bellissima edizione in tiratura limitata stampata a mano. In seguito decisi di ampliare un poco la sezione antologica e di riscrivere l'introduzione, in modo che la casa editrice New Directions potesse pubblicarne un maggior numero di copie. Questo tutto. Spero che il libro conservi ancora
la sua spontaneit la sua originalit il suo tono personale e non convenzionale. Lungi dal togliere qualcosa alla saggezza contenuta in questi detti, questa assenza di convenzionalitsargaranzia del loro spirito autentico e li rendervivi e freschi in tutta la loro concretezza e immediatezza. Mi auguro che coloro che avvertono l'esigenza di accostarsi a queste sentenze memorabili siano indotti, dopo aver assaporato l'acqua pura, a ripercorrere il ruscello fino alla sorgente.


Nota alla traduzione italiana

La fonte della scelta di Merton l'imponente raccolta dei Verba Seniorum, costituente i libri III嚨III delle Vitae Patrum (pubblicate nella Patrologia Latina, a cura di J.P. Migne, vol. LXXIII, Parigi, 1849, coll. 739066, che riproduce l'edizione seicentesca del Rosweyde); di essi possediamo versioni dovute a una pluralitdi autori, spesso anche ignoti. Merton attinge in particolare al libro III e al libro V delle Vitae Patrum. Il carattere personale e necessariamente selettivo dell'antologia induce talvolta l'autore anche a lievi omissioni e alterazioni della successione originaria. Al testo si sono aggiunte le indicazioni dei passi delle Scritture a cui i personaggi talvolta alludono (nel caso di episodi riportati in tutti i Vangeli, si citato quello di Luca). La versione inglese stata confrontata con l'originale latino; le rare divergenze tra la traduzione italiana e quella di Merton sono dovute all'esigenza di privilegiare la perspicuitdella fonte latina.


INTRODUZIONE
di Thomas Merton


LA SAGGEZZA DEL DESERTO

Nel quarto secolo dopo Cristo i deserti dell'Egitto, della Palestina, dell'Arabia e della Persia erano popolati da un genere di uomini che si lasciato alle spalle una strana reputazione. Erano i primi eremiti cristiani, che abbandonavano le cittdel mondo pagano per vivere in solitudine. Perchlo facevano? Le ragioni erano molte e varie, ma possono essere sintetizzate in una parola: la ricerca della salvezza. E cos'era la salvezza? Certo non un'aspirazione da perseguire nella piesteriore conformitagli usi e ai dettami di un gruppo sociale. A quei tempi la gente era diventata profondamente consapevole del carattere strettamente individuale della "salvezza". La societ- ciola societpagana, chiusa entro gli orizzonti e le prospettive della vita "in questo mondo" - era considerata da loro come un naufragio da cui ogni individuo doveva cercare scampo per sopravvivere. Non occorre qui soffermarsi a discutere la validitdi un simile punto di vista: ciche conta che si trattava di una realtdi fatto. Quegli uomini erano convinti che lasciarsi andare alla deriva, accettando passivamente i dogmi e i valori della societa essi nota, fosse un vero e proprio disastro. Il fatto che l'Imperatore ora fosse cristiano e che il "mondo" fosse giunto a riconoscere la croce come segno del potere temporale non faceva che confermarli nella loro decisione.

Quel che oggi pusembrarci pistrano che questa paradossale fuga dal mondo raggiunse le sue massime dimensioni (direi quasi il parossismo) quando il "mondo" diventufficialmente cristiano. Sembra che queste persone pensassero, come pochissimi pensatori moderni, ad esempio Berdyaev, che non poteva realmente esistere qualcosa di simile a uno "stato cristiano". Sembra che essi dubitassero che la Cristianite la politica potessero mai fondersi a un grado tale da produrre una societcompletamente cristiana. In altre parole, per essi la sola societcristiana che fosse dotata di spiritualite distaccata dal mondo era il Corpo Mistico di Cristo. Si trattava senza dubbio di punti di vista estremistici ed quasi scandaloso richiamarli alla mente in un'etcome la nostra, in cui la Cristianitaccusata da ogni parte di predicare il negativismo e il ritiro dal mondo, di non avere un sistema efficace per affrontare i problemi del tempo. Ma cerchiamo di non essere troppo superficiali. I padri del deserto, di fatto, affrontarono i "problemi della loro epoca" nel senso che essi erano tra i pochi uomini in anticipo sui tempi, e aprirono la strada allo sviluppo di un uomo e di una societnuovi. Essi rappresentano il momento che
i moderni filosofi del pensiero sociale (Jaspers, Mumford) chiamano della comparsa dell'"uomo assiale", il precursore del personalista moderno. Il diciottesimo e il diciannovesimo secolo con il loro individualismo pragmatico degradarono e deteriorarono l'ereditpsicologica dell'uomo assiale e ciche essa doveva ai padri del deserto e agli altri contemplativi e prepararono il terreno per il grande regresso alla mentalitmassificata che vige attualmente.

La fuga di questi uomini nel deserto non aveva un carattere puramente negativo nera puramente individualistica. Essi non erano ribelli contro la societ in veriterano in un certo senso "anarchici" e non si farmale a considerarli in questa luce: uomini determinati a non lasciarsi passivamente condurre a governare da uno stato in decadenza e convinti che si potesse vivere senza dipendere come schiavi dai valori convenzionalmente accettati. Tuttavia non intendevano porsi al di sopra della societ nla respingevano con fiero disprezzo, come se fossero superiori agli altri. Al contrario, una delle ragioni per cui fuggivano dal consorzio umano era che in esso gli uomini erano divisi tra quelli che avevano successo e imponevano agli altri la loro volonte quelli destinati a cedere e a subire le imposizioni altrui. I padri del deserto rifiutavano di essere dominati dagli uomini, ma non aspiravano a dominare sugli altri a loro volta. Nevadevano dalla societumana: il fatto stesso che abbiano pronunciato queste "parole" di ammonizione reciproca prova del fatto che erano socievoli in misura straordinaria. Ricercavano una societin cui tutti fossero veramente uguali, in cui l'unica autorital di sotto di Dio fosse l'autoritcarismatica della saggezza, dell'esperienza e dell'amore. Ovviamente riconoscevano l'autoritbenevola dei loro vescovi, ispirata a principi gerarchici: ma i vescovi erano molto lontani e parlarono poco di ciche accadeva nel deserto fino al grande conflitto destato dalle teorie di Origene alla fine del quarto secolo.

Ciche i padri ricercavano pidi ogni altra cosa era la loro vera identitin Cristo. Per far questo dovettero rifiutare completamente l'identitfalsa e formale costruita sotto la spinta delle convenzioni sociali nel "mondo". Cercavano la strada per arrivare a Dio, una strada che non era segnata su una carta geografica ed era scelta liberamente, non ereditata da altri che l'avevano disegnata in precedenza. Ricercavano un Dio che essi solo potevano trovare, non un Dio donato da qualcun altro in forma prestabilita e stereotipata. Non che essi rifiutassero alcuna delle formule dogmatiche della fede cristiana: le accettavano e vi aderivano nella forma pisemplice ed elementare. Ma erano riluttanti (almeno all'inizio, ai tempi in cui si affermla loro primitiva saggezza) a farsi coinvolgere nelle polemiche teologiche. La loro evasione verso gli aridi orizzonti del deserto significava anche il rifiuto di accontentarsi di argomentazioni, concetti e verbosittecniche.
Stiamo parlando esclusivamente di eremiti. C'erano anche cenobiti nel deserto cenobiti a centinaia e migliaia, che vivevano la "vita comunitaria" in monasteri enormi, come quello fondato a Tabenna da san Pacomio. Tra questi uomini regnava un ordine sociale e una disciplina quasi militare. Tuttavia il loro spirito era ancora decisamente animato dal senso della persona e della libert perchanche i cenobiti sapevano che la Regola era soltanto una struttura esteriore, una specie d'impalcatura con cui dovevano costruire la struttura spirituale della loro vita con Dio. Ma gli eremiti erano piliberi da ogni punto di vista. Non c'era nulla a cui dovessero "conformarsi", tranne la segreta, nascosta, imperscrutabile volontdi Dio, che poteva essere notevolmente diversa da una cella all'altra. molto significativo che il primo di questi Verba (il numero III) sia quello in cui l'autoritdi sant'Antonio chiamata in causa per enunciare il principio basilare della vita nel deserto: Dio l'autorite, a prescindere dalle manifestazioni della sua volont ci sono pochi o nessun principio: "Dunque, qualsiasi cosa vedi che la tua anima desidera in accordo con Dio, falla, e manterrai puro il tuo cuore".

Ovviamente, in un deserto privo di sentieri, un cammino simile era percorribile solo da un uomo accorto e in grado di cogliere le tracce del percorso. L'eremita doveva essere un uomo maturo nella fede, umile e distaccato da sa un livello addirittura terribile. I cataclismi spirituali che talvolta
colsero alcuni dei presuntuosi visionari del deserto sono i segni tangibili, simili a ossa biancheggianti nella sabbia, dei pericoli della vita solitaria. Un padre del deserto non poteva permettersi di essere illuminista, non poteva rischiare di attaccarsi al proprio io o di provare la pericolosa estasi della propria volontpersonale, non poteva mantenere la benchminima identificazione con il proprio io superficiale, transitorio, auto-costruito. Doveva perdersi nella realtinterna, nascosta di un io che era trascendente, misterioso, noto solo per met e perduto in Cristo. Doveva morire ai valori dell'esistenza transitoria come Cristo era morto a essi sulla Croce, e come lui risorgere dai morti alla luce di una saggezza completamente nuova. Di qui la vita di sacrificio, che cominciava dalla netta frattura che divideva il monaco dal mondo, dalla vita condotta nel segno del "pentimento", che gli insegnava a compiangere la demenza dell'attaccamento a valori inesistenti: una vita di solitudine e di fatica, di poverte di digiuno, di carite di preghiera, che metteva il vecchio io superficiale nella condizione di purificarsi e consentiva la graduale comparsa del vero io segreto in cui il credente e Cristo erano "un solo Spirito".

Alla fine, il risultato immediato di tutti questi sforzi era la "purezza di cuore" - una chiara e libera visione del reale stato delle cose, la comprensione istintiva che la propria realtinterna era ancorata a Dio, o piuttosto perduta in Lui per il tramite di Cristo. Il frutto di tutto questo era la quies:
la pace. Non pace del corpo e neanche contemplazione da parte dello spirito esaltato di un punto luminoso o della luce suprema. I padri del deserto per la maggior parte non cadevano in preda all'estasi. Quelli che lo fecero realmente hanno lasciato alle proprie spalle storie strane e devianti per creare confusione sul vero nocciolo del problema. La "pace" che questi uomini cercavano era semplicemente l'equilibrio e la stabilitdi un essere che non deve piguardare a se stesso, perchtrasportato dalla perfezione della libert E dove trasportato? Dovunque l'Amore in s o lo Spirito Divino, ritiene di poter andare. La pace, quindi, era una sorta di semplice assenza di luogo e di pensieri, lontana da ogni preoccupazione per un io falso o limitato. Raggiunta la pace nel possesso di un sublime "Nulla", lo spirito aderiva segretamente al "Tutto" - senza cercare di conoscere l'oggetto del possesso.

Certo i padri non erano ancora abbastanza interessati alla natura di questa pace per parlarne in termini simili, tranne in rarissimi casi, come quello di sant'Antonio, quando notava che "la preghiera del monaco non perfetta finchegli non dimentica se stesso e il fatto che sta pregando". E questo veniva detto casualmente, di sfuggita. D'altra parte i padri evitavano tutto ciche poteva essere elevato, esoterico, teoretico o di difficile comprensione: rifiutavano di parlare di tali argomenti. Per lo stesso motivo non volevano parlare di altre questioni, anche a proposito delle veritdella fede cristiana, cosa che spiega la laconicitdi questi detti. Dunque da numerosi punti di vista, i padri del deserto hanno molto in comune con i seguaci dello Yoga in India o con i monaci del Buddismo Zen della Cina e del Giappone. Se dovessimo cercare un fenomeno simile al loro nell'America del ventesimo secolo, dovremmo dare un'occhiata a luoghi insoliti, fuori mano. Fenomeni simili sono purtroppo estremamente rari ed ovvio che non fioriscono sui marciapiedi della Quarantaduesima Strada e di Broadway. Si puforse trovare qualche personaggio simile tra gli Indiani Pueblo o i Navaho, ma si tratterebbe di un caso del tutto diverso. La semplicite la saggezza primitiva di costoro sono radicate in una societprimitiva. Nei padri del deserto si trovano tutte le caratteristiche di una netta rottura con un contesto sociale convenzionale e accettato, operata per cercare scampo in un vuoto apparentemente irrazionale.

Anche se da me ci si potrebbe attendere l'affermazione che uomini come questi si trovano in alcuni dei nostri monasteri degli ordini contemplativi, non sarcosaudace da sostenerlo. In questo caso abbiamo a che fare spesso con uomini che abbandonano la societ"mondana" per adattarsi a un altro tipo di societ quello della comunitreligiosa in cui entrano, e abbandonano i valori, i concetti e le tradizioni dell'una per quelli dell'altra. E poichora abbiamo secoli di monachesimo alle spalle, questo colloca tutta la questione in una luce diversa. Le "norme" sociali di una comunitmonastica tendono anche a essere convenzionali, e vivere conformemente a esse non implica un salto nel vuoto, ma soltanto un mutamento radicale di abitudini e di modelli. Le parole e gli esempi dei padri del deserto sono divenuti a tal punto parte della tradizione monastica che il tempo li ha trasformati in stereotipi ai nostri occhi, e non siamo piin grado di notare la loro incredibile originalit Li abbiamo, per cosdire, seppelliti nella nostra routine, e cosci siamo garantiti contro ogni forma di emozione spirituale derivante dalla loro mancanza di convenzionalit Tuttavia spero, nel selezionare e nel pubblicare queste "parole", di averle potute presentare in una nuova luce e di aver reso evidente ancora una volta la loro freschezza.

I padri del deserto furono pionieri, senza altri esempi da seguire che quello di alcuni profeti, come san Giovanni Battista, Elia, Eliseo, e gli Apostoli, che pure servirono loro come modelli. Per il resto, scelsero la vita degli angeli e i sentieri che percorsero furono quelli difficili degli spiriti invisibili. Le loro celle erano la fornace di Babilonia in cui, tra le fiamme, essi ritrovavano se stessi con Cristo. Non sollecitavano il consenso dei loro contemporanei ncercavano di provocarne il dissenso, perchle opinioni altrui avevano smesso, per loro, di avere importanza. Non avevano costituito una dottrina sulla libert ma erano di fatto diventati liberi pagando il prezzo della libert

In ogni caso questi padri distillavano per se stessi una saggezza decisamente pratica e senza pretese,
al tempo stesso primitiva e senza et essa ci dla possibilitdi riaprire fonti inquinate o interamente ostruite dall'accumulo del ciarpame mentale proprio della nostra barbarie tecnologica. L'epoca nostra ha un disperato bisogno di questo tipo di semplicit ha bisogno di recuperare un po' dell'esperienza riflessa in queste righe: la parola da mettere in rilievo esperienza. Le poche e brevi frasi raccolte in questo volume da un punto di vista meramente informativo hanno un valore scarso o nullo. Sarebbe inutile sorvolare su queste pagine e prendere atto con leggerezza del fatto che i padri dissero questo e quello. Che vantaggio ci verra sapere soltanto che queste cose un tempo furono dette? Ciche conta che furono vissute, che derivano da un'esperienza esistenziale piprofonda, che rappresentano una scoperta dell'uomo, al termine di un viaggio interiore e spirituale che di gran lunga picruciale e infinitamente piimportante di un viaggio sulla luna.

Quale vantaggio puvenirci dal salire sulla luna se non siamo in grado di attraversare l'abisso che ci separa da noi stessi? questo il piimportante di tutti i viaggi di scoperta, e senza di esso tutto il resto non solo inutile, ma disastroso. A prova di cista il fatto che i grandi viaggiatori e colonizzatori del Rinascimento furono, per la maggior parte, uomini capaci di fare ciche facevano proprio percherano alienati da se stessi. Nel sottomettere mondi primitivi essi non facevano che imporre a essi, con la forza dei cannoni, la loro confusione e la loro alienazione. Superbe eccezioni come fra Bartolomeo della Casa, san Francesco Saverio, o padre Matteo Ricci, confermano solo la regola.

Questi detti dei padri del deserto sono tratti da una raccolta classica, i Verba Seniorum, nella Patrologia Latina del Migne (volume 73). I Verba si distinguono dalla restante produzione letteraria dei padri del deserto per la loro totale mancanza di artificio letterario, per la loro assoluta e onesta semplicit Le vite dei padri sono molto pimagniloquenti, drammatiche, stilizzate, sono ricche di eventi prodigiosi e di miracoli, recano la viva impronta delle personalitletterarie a cui le dobbiamo. Ma i Verba sono cronache semplici, senza pretese, che passano di bocca in bocca nella tradizione copta prima di essere affidati alla scrittura in siriaco, greco e latino.

Sempre semplici e concreti, facendo continuo riferimento all'esperienza dell'uomo plasmato dalla solitudine, questi proverbi e questi racconti erano intesi come risposte semplici a domande semplici. Chi andava nel deserto alla ricerca della "salvezza" chiedeva agli anziani una "parola" che lo potesse aiutare un verbam salutis, una "parola di salvezza". Le risposte non intendevano essere ricette generali, universali; piuttosto erano in origine chiavi concrete e precise per determinate porte, attraverso le quali dovevano passare, in un dato tempo, determinati individui. Soltanto pitardi, dopo essere state molto ripetute e molto citate, giunsero a essere considerate moneta corrente. Tenere a mente il loro carattere pratico e, si potrebbe dire, esistenziale, ci aiutera comprendere meglio questi detti. Ma da quando san Benedetto nella sua Regola prescrisse che le "parole dei padri" fossero lette spesso ad alta voce prima della Compieta, esse furono patrimonio della tradizione monastica.

I padri erano umili e silenziosi, e non avevano molto da dire; rispondevano alle domande in poche parole, in modo puntuale. Piuttosto che fornire un principio astratto, preferivano raccontare una storia concreta. La loro concisione rassicurante ed ricca di contenuto. Sono piilluminanti e appaganti questi detti laconici che i lunghi trattati ascetici pieni di dettagli relativi all'ascesa da un "grado" all'altro della vita spirituale. Queste parole dei padri non sono mai teoretiche nel senso moderno della parola, non sono mai astratte; trattano di cose concrete e delle mansioni quotidiane del monaco del quarto secolo. Ma ciche viene detto serve anche a un pensatore del ventesimo secolo. Le realtfondamentali della vita interiore sono:fede, umilt carit mansuetudine, prudenza, negazione di s Ma la qualitpirilevante delle "parole di salvezza" il loro senso comune.

Questo importante. I padri del deserto pitardi acquisirono la fama di fanatici per le storie raccontate da ammiratori indiscreti a proposito dei loro comportamenti ascetici. Di fatto erano ascetici, ma quando leggiamo le loro parole e consideriamo le loro idee sulla vita, scopriamo che erano tutt'altro che fanatici. Erano persone umili, tranquille, sensibili, che avevano raggiunto una profonda conoscenza della natura umana e una comprensione tale delle cose divine da rendersi conto che di Dio sapevano ben poco. Per questo non erano molto disposti a fare lunghi discorsi sull'essenza di Dio o anche a declamare sul significato mistico delle Scritture. Se parlano poco di Dio perchsanno che, quando si stati vicinissimi alla Sua dimora, il silenzio vale pidi molte parole. Il fatto che l'Egitto in quel tempo fosse in subbuglio per le controversie religiose e intellettuali era la ragione migliore per tenere la bocca chiusa. Era l'epoca dei Neoplatonici, degli Gnostici, degli Stoici e dei Pitagorici. Era l'epoca dei vari gruppi di Cristiani ortodossi ed eretici. Era l'epoca degli Ariani, a cui i monaci del deserto resistevano con veemenza. Era l'epoca dei discepoli di Origene (di cui alcuni monaci erano fedeli seguaci). In tutto questo frastuono, il deserto non aveva altro da offrire che un silenzio discreto e distaccato.

I grandi centri monastici del quarto secolo si trovavano in Egitto, Arabia e Palestina. Molte di queste storie riguardano eremiti di Nitria e Sceta, nell'Egitto settentrionale, vicino alle coste del Mediterraneo e a ovest del Nilo. C'erano anche colonie di monaci sul delta del Nilo. La Tebaide, vicino all'antica Tebe, nel retroterra lungo il Nilo, era un altro centro di attivit soprattutto dei cenobici. La Palestina aveva anticamente attratto monaci da
tutte le parti del mondo cristiano: il pifamoso di loro fu san Gerolamo, che visse e tradusse le Scritture in una spelonca a Betlemme. Inoltre c'era un'importante colonia di monaci nei pressi del Monte Sinai in Arabia, i fondatori di quel monastero di santa Caterina venuto recentemente alla ribalta con la "scoperta" delle opere d'arte bizantine che vi sono conservate.

Che tipo di vita conducevano i padri? Una parola di spiegazione ci puaiutare a comprendere meglio i loro detti. I padri del deserto sono generalmente menzionati con le espressioni "Abate" (abbas) o "Anziano" (senex). Un Abate non era, come ora, il superiore di una comunitreligiosa designato canonicamente, ma un monaco o un eremita provato da anni di vita nel deserto e che si era dimostrato servo di Dio. Con costoro, o accanto a loro, vivevano i "Fratelli" e i "Novizi" che ancora stavano imparando a condurre quella vita. I novizi avevano ancora bisogno della continua supervisione di un anziano e vivevano con lui per essere ammaestrati dalla sua parola e dal suo esempio. I fratelli vivevano per conto proprio, ma occasionalmente si rivolgevano per consigli all'anziano pivicino.

Quasi tutti i personaggi rappresentati in questi detti e in questi racconti sono "in cammino" verso la purezza di cuore ma non sono ancora arrivati. I padri del deserto, ispirati da Clemente, da Origene e dalla tradizione neo癥latonica, talvolta erano sicuri di potersi ergere al di sopra di tutte le passioni e di diventare inaccessibili alla collera, alla
lussuria, all'orgoglio e a tutto il resto. Ma in questi detti ben poco incoraggia la convinzione che la perfezione cristiana fosse questione di apatheia (impassibilit. L'elogio dei monaci che erano "al di sopra di tutte le passioni" in veritsembra provenire dai viaggiatori di passaggio nel deserto che tornavano in patria a scrivere libri su ciche avevano visto, piuttosto che da coloro che avevano trascorso nel deserto tutta la loro vita. Questi ultimi erano molto piinclini ad accettare le comuni realtdella vita e ad accontentarsi del proprio mediocre destino di uomini impegnati per tutta la vita a vincere se stessi. La saggezza dei Verba si manifesta nella storia del monaco Giovanni, che si vantava di essere "al di sopra di tutte le tentazioni": un anziano gli consiglidi pregare che Dio lo sottoponesse a qualche dura prova, se voleva che la sua vita continuasse a valere qualcosa.

Talvolta, tutti gli eremiti e i novizi si incontravano per la synaxis liturgica (Messa e preghiera in comune): in seguito potevano mangiare insieme e tenere una specie di capitolo incontrandosi per discutere problemi comuni. Poi ritornavano alla loro solitudine, in cui passavano il tempo lavorando e pregando.

Traevano il proprio sostentamento dal lavoro manuale, solitamente intrecciando cesti e stuoie con foglie di palma o canne e vendendoli nelle cittvicine. Talvolta nei Verba si tratta di questioni relative al lavoro o al commercio che gli era connesso. Carite ospitaliterano oggetto di primaria importanza e avevano la precedenza sul digiuno e sulle pratiche ascetiche individuali. I numerosissimi racconti che testimoniano questa cordialitcalorosa sarebbero sufficienti a far giustizia delle accuse mosse a questi uomini di odiare la loro specie. Anzi, c'era piamore vero, comprensione e cordialitnel deserto che nelle citt dove, allora come ora, ogni uomo pensava a s

Questo particolarmente importante perchla vera essenza del messaggio cristiano la carit l'unitin Cristo. I mistici cristiani di ogni tempo cercano e trovano non solo l'unificazione del proprio essere, non solo l'unione con Dio, ma l'unione reciproca nello Spirito di Dio. Creare un'unione con Dio che implicasse una completa separazione, nello spirito come nel corpo, da tutto il resto della specie umana sarebbe stato per un santo cristiano non solo assurdo, ma tutto l'opposto della santit L'isolamento in se stessi e l'incapacitdi staccarsi da se stessi per volgersi agli altri avrebbero significato l'incapacitdi ogni forma di auto礫rascendenza. Esser cosprigionieri del proprio io di fatto, una condizione infernale: una veritche Sartre, pur professandosi ateo, ha espresso nel modo pidisarmante nel suo dramma La porta chiusa.

Lungo tutti i Verba Seniorum si insiste ripetutamente sulla prioritdell'amore rispetto a ogni altro aspetto della vita spirituale al di sopra della conoscenza, della gnosi, dell'ascetismo, della contemplazione, della solitudine, della preghiera. L'amore di fatto la vita spirituale, e senza di esso
tutti gli altri esercizi spirituali, per quanto elevati, sono svuotati di contenuto e diventano pure illusioni: pielevati essi sono, pipericolosa l'illusione che ne deriva.

L'amore, senza dubbio, ha un significato molto piforte del mero sentimento, molto piforte dei favori e delle elemosine fatte in modo meccanico. L'amore significa identificazione interiore e spirituale con un fratello, in modo che egli non sia considerato come un "oggetto" a cui si "fa del bene". Il fatto che il beneficio recato ad altri come se fossero oggetti di valore spirituale scarso o nullo. Il nostro amore verso il prossimo lo rende uguale a noi stessi e fa sche lo si ami con immensa umilt discrezione, riservatezza e rispetto, senza permettersi di entrare nel tempio della sua soggettivit Da una simile forma di amore ogni brutalitautoritaria, ogni sorta di sfruttamento, di dominio e di compiacenza devono necessariamente essere assenti. I santi del deserto erano ostili a ogni espediente, sottile o grossolano, con cui gli "Spirituali" riuscivano a esercitare una sorta di tirannia su quelli che giudicavano inferiori a s gratificando cosil proprio io. Avevano rinunciato a tutto ciche sapeva di punizione e di vendetta, per quanto dissimulato potesse essere.

La caritdei padri del deserto non si presenta a noi in forma di effusioni poco persuasive. L'estrema difficolte la grande importanza del compito di amare gli altri ovunque riconosciuta e non mai minimizzata. difficile amare veramente gli
altri se amare deve essere inteso nel senso pieno del termine. L'amore richiede una completa trasformazione interiore, perchsenza di questa non possibile arrivare a identificarsi con un nostro fratello. Dobbiamo diventare, in un certo senso, la persona che amiamo. E ciimplica una specie di morte del nostro essere, del nostro io. Per quanto ci sforziamo, opponiamo resistenza a questa morte: reagiamo con rabbia, con le recriminazioni, con le pretese, con gli ultimatum; cerchiamo qualsiasi pretesto adatto per litigare e per abbandonare questo compito difficile. Ma nei Verba Seniorum leggiamo che l'Abate Ammone passquarant'anni a pregare per vincere la collera o piuttosto, ciche pisignificativo, per esserne liberato. Leggiamo che l'Abate Serapione vendette il suo ultimo libro, una copia dei Vangeli, e diede il denaro ai poveri vendendo in tal modo "Proprio le parole che gli dicevano di vendere tutto e dare ai poveri". Un altro Abate rimproverava severamente alcuni monaci che avevano fatto imprigionare un gruppo di ladroni e in seguito ai suoi rimproveri gli eremiti, pieni di vergogna, irruppero nel carcere per liberare i prigionieri. Ripetutamente leggiamo di abati che rifiutano di associarsi al biasimo generale nei confronti di questo o quel delinquente, come l'Abate Mos quel grande e nobilissimo negro che durante un'austera assemblea camminava con un canestro di sabbia, lasciando che la sabbia si spandesse attraverso i molti buchi, e che disse: "I miei peccati scorrono a profusione come questa sabbia
e ancora vengo a giudicare i peccati di un altro". Se si protestava cos c'era evidentemente qualcosa contro cui protestare. Alla fine del quinto secolo Sceta e Nitria erano diventate rudimentali cittmonastiche, con leggi e pene. Tre sferze erano appese a un albero di palma fuori dalla chiesa di Sceta: una per punire i monaci colpevoli, una per i ladri e una per i vagabondi. Ma c'erano molti monaci come l'Abate Mosche non erano d'accordo, e costoro erano i santi, che rappresentavano il primitivo "anarchico" ideale del deserto. Forse il caso pimemorabile di tutti fu quello di due vecchi confratelli che avevano vissuto insieme per anni senza mai un litigio: decisero di "mettersi a discutere, come il resto degli uomini", ma semplicemente non ci riuscirono.

La preghiera era il vero e proprio cuore della vita del deserto e consisteva nella salmodia (preghiera cantata recitazione dei Salmi e di altre parti delle Scritture che ognuno doveva conoscere a memoria) e nella contemplazione. Ciche oggi chiameremmo preghiera contemplativa si riferisce alla quies, ovvero alla "pace". Questo vocabolo illuminante rimasto nella tradizione monastica greca nella forma hesychia, cio"dolce riposo". La quies una condizione di silenzio assorto, ritmato dalla ripetizione a voce sommessa di una frase isolata della Scrittura la pifamosa la preghiera del pubblicano: "Signore GesCristo, Figlio di Dio, abbi pietdi me peccatore!" In forma concisa questa preghiera diventava "Signore, piet" (Kyrie
eleison), ripetuta intimamente centinaia di volte al giorno finchdiventava spontanea e istintiva come respirare.

Quando ad Arsenio viene ingiunto di fuggire dal cenobio, di stare in silenzio e di riposare ( fuge, tace, quiesce), questo un invito alla "preghiera contemplativa". Quies un termine pisemplice e meno pretenzioso, ed quello che meno si presta ad essere frainteso. Si adatta alla semplicitdei padri del deserto molto meglio di "contemplazione" e offre meno occasioni per il narcisismo o la megalomania spirituale. Nel deserto non si rischiava certo di cadere nel quietismo. I monaci erano tenuti occupati, e se la quies era il compimento di tutto ciche cercavano, la corporalis quies ("pace del corpo") era uno dei loro pigrandi nemici. Ho tradotto corporalis quies con "una vita tranquilla" in modo da non dare l'impressione che nel deserto fosse lecito affannarsi. Non lo era. Il monaco doveva stare tranquillo il pipossibile in un solo luogo. Alcuni padri disapprovavano persino coloro che cercavano lavoro al di fuori delle loro celle e lavoravano per gli agricoltori della valle del Nilo durante la stagione estiva.

In conclusione, in queste pagine incontriamo parecchie personalitgrandi e semplici. Anche se i Verba sono talvolta attribuiti soltanto a un senex (anziano) non identificato, pispesso sono attribuiti per nome al santo che li pronunci Incontriamo l'Abate Antonio, che non altro che il grande sant'Antonio. il padre di tutti gli eremiti, e
la sua biografia, opera di sant'Atanasio, fece ardere di vocazioni monastiche tutto il mondo romano. Ma la prossimitdi questa figura al suo pensiero originale ci ricorda che egli non l'Antonio di Flaubert ntroviamo qui una personalitsimile a quella del Pafnuzio di Anatole France. Antonio certamente raggiungeva l'apatheia dopo battaglie lunghe e piuttosto spettacolari con i demoni. Ma alla fine concludeva che neanche il diavolo era pura malvagit dal momento che Dio non pucreare il male e tutte le sue opere sono buone. Pusorprendere sapere che sant'Antonio, fra tutti, pensasse che il diavolo aveva qualcosa di buono. E questo non era semplice sentimentalismo. Questo episodio mostra che in Antonio non c'era piposto per la paranoia. Possiamo fare un'utile riflessione sul fatto che il moderno uomo獻assa tornato a proiettare con fanatica visceralittutto il male che ha in ssul "nemico" (chiunque esso sia). I solitari del deserto erano molto pisaggi.

Inoltre in questi Verba incontriamo altri personaggi come sant'Arsenio, l'austero e silenzioso straniero che andnel deserto dalla lontanissima corte degli Imperatori di Costantinopoli e che non voleva lasciarsi vedere in faccia da nessuno. Incontriamo il nobile Poemen, l'impetuoso Giovanni il nano, che aspirava a "diventare un angelo".

Non meno affascinante la figura dell'Abate Pastor, che appare forse pispesso di tutti. I suoi detti si distinguono per la loro umiltpratica, per la loro consapevolezza della fragilitumana e per il loro solido senso comune. Pastor, sappiamo, era egli stesso molto umano, e si dice di lui che quando i suoi fratelli sembrarono diventare freddi con lui e preferirono la conversazione con un altro eremita, egli diventcosgeloso che dovette andare da uno degli anziani a farsene rimproverare.

Questi monaci insistevano nel rimanere umani e "normali". Questo pusembrare paradossale, ma molto importante. Se riflettiamo per un istante, ci accorgeremo che fuggire nel deserto per porsi al di fuori della norma significa soltanto portarsi il mondo dentro come implicito modello di riferimento. Il risultato non sarebbe altro che la contemplazione di s e il confronto di se stessi con i modelli negativi del mondo che si abbandonato. Alcuni monaci del deserto, effettivamente, facevano questo: e il solo risultato del loro conflitto interiore fu la pazzia. Gli uomini semplici che vissero la loro vita fino a una bella ettra rocce e sabbie fecero cossolo percherano venuti nel deserto per essere se stessi, come erano normalmente e per dimenticare un mondo che li allontanava da se stessi. Non ci puessere nessun'altra ragione valida per ricercare la solitudine e per lasciare il mondo. Coslasciare il mondo di fatto, aiutarlo a salvarsi salvando se stessi. Questo il punto di arrivo, ed importante.

Gli eremiti copti che lasciavano il mondo come per salvarsi da un naufragio non intendevano semplicemente salvarsi. Sapevano di essere nell'impossibilitdi fare del bene ad altri finchsi aggiravano fra i relitti. Ma una volta che avevano messo piede sulla terraferma, le cose cambiavano. Allora non avevano solo il potere ma anche l'obbligo di trarre in salvo il mondo intero dietro a s

Questa la loro paradossale lezione per il nostro tempo. Sarebbe forse troppo dire che il mondo ha bisogno di un altro movimento come quello che portquesti uomini nei deserti dell'Egitto e della Palestina. La nostra certamente un'epoca di solitari e di eremiti. Ma accontentarsi di imitare la semplicit l'austerite la preghiera di queste anime primitive non una risposta completa e soddisfacente. Noi dobbiamo andare oltre e superare tutti coloro che, da allora, sono andati oltre i limiti che si erano posti. Noi dobbiamo liberarci, a modo nostro, dai lacci di un mondo che sta naufragando. Ma il nostro mondo diverso dal loro. I nostri lacci sono pistretti. Il rischio che corriamo molto pipreoccupante. Il tempo che abbiamo a disposizione, forse molto pibreve di quanto pensiamo. Non possiamo fare esattamente ciche fecero loro. Ma dobbiamo essere decisi e ostinati nella nostra determinazione di spezzare tutte le catene spirituali, e respingere il predominio delle imposizioni esterne per trovare il nostro vero io, per scoprire e far crescere la nostra inalienabile libertspirituale e usarla per costruire sulla terra il regno di Dio. Qui non il caso di discutere che cosa possa comportare la nostra grande e misteriosa vocazione. Non lo sappiamo ancora. Mi basti dire che abbiamo bisogno
di imparare da questi uomini del quarto secolo come ignorare il pregiudizio, sfidare le costrizioni esterne e lanciarsi senza paura nell'ignoto



ALCUNI DETTI DEI PADRI DEL DESERTO

I

L'Abate Pambo interrogl'Abate Antonio dicendo: Che dovrei fare? Il vecchio gli rispose: Non fidarti della tua rettitudine, non pentirti di un'azione gicompiuta, e controlla la tua lingua e il tuo ventre.

II

L'Abate Giuseppe di Tebe disse: Vi sono tre categorie di uomini degne di essere onorate al cospetto di Dio. La prima quando un uomo debole colto dalle tentazioni e le affronta rendendo grazie a Dio. La seconda quando uno compie con purezza tutte le sue azioni di fronte a Dio e non fa nulla per compiacere gli uomini. La terza poi quando uno rispetta e vive secondo i precetti di un padre spirituale, e rinuncia a tutti i propri desideri.


III

Un confratello interrogun anziano dicendo: Quale cosa cosbuona da essere compiuta e tale che io viva in essa? Il vecchio disse Solo Dio conosce ciche buono. Tuttavia ho sentito dire che uno interrogfra i Padri il grande Abate Nistero, che era amico dell'Abate Antonio, e gli disse: Quale azione cosbuona che io possa compierla? Ed egli rispose: Le azioni sono tutte uguali. La scrittura dice: Abramo fu ospitale, e Dio era con lui [Gn., 18]. Elia amava la quies, e Dio era con lui. Davide era umile, e Dio era con lui. Dunque ciche vedi che la tua anima desidera in conformita Dio, fallo, e abbi cura del tuo cuore.

[nota: Si preferito non tradurre la parola quies (= pace, riposo) per non privarla, con una resa necessariamente univoca, della ricchezza di sfumature che essa possiede nel gergo petristico e che Merton illustra nell'introduzione. Fine nota.]

IV

Disse ancora l'Abate Pastor: Povert tribolazione e saggezza: queste sono le pratiche della vita eremitica. Infatti scritto: se si considerano questi tre uomini: No Giobbe e: Daniele, Norappresenta coloro che non possiedono nulla, Giobbe quelli che sono nella tribolazione, Daniele coloro che sanno distinguere il bene dal male.
Se un uomo fa queste tre cose, Dio abita in lui [Ez., 14, 141.

V

L'Abate Pastor disse: Se un monaco odia due cose, puesser libero da questo mondo. Il confratello allora disse: Quali sono? E il vecchio rispose: L'assenza di tormento corporale e la vanagloria.


VI

Dell'Abate Pambo raccontavano che proprio quando stava per morire disse ai santi che gli stavano accanto: Da quando sono giunto in questo luogo di eremitaggio, ho costruito la mia cella e vi ho abitato, non ricordo di aver mangiato pane se non quello derivante dal lavoro delle mie mani, ndi aver pronunciato parole di cui mi sia pentito fino a questo momento. E vado dal Signore come se non avessi neppure iniziato a servire Dio.


VII

Un confratello chiese a un anziano: Come viene all'uomo il timor di Dio? E l'anziano rispose: Se un uomo vive in umilte in poverte non giudica gli altri, in questo modo si manifesta in lui il timor di Dio.

VIII

Un giorno alcuni confratelli uscirono dal monastero per visitare gli eremiti che vivevano nel deserto. Giunsero da uno che li ricevette con gioia; vedendo che erano stanchi, li invita mangiare prima dell'ora stabilita e mise davanti a loro tutto il cibo che aveva a disposizione. Ma quella notte, quando tutti avrebbero dovuto dormire, l'eremita udi cenobiti parlare tra loro e dire: Questi eremiti mangiano pidi noi del monastero. Ora, all'alba gli ospiti partirono per visitare un altro eremita. E quando stavano per partire, il loro ospite disse: Salutatelo per me, e dategli questo messaggio: Sta' attento a non bagnare le verdure. Quando raggiunsero l'altro eremo consegnarono questo messaggio. E il secondo eremita comprese il significato delle parole. Cosfece sedere i visitatori e fece loro intrecciare canestri e sedutosi con loro lavorsenza sosta. E alla sera, quando venne l'ora di accendere la lampada, aggiunse una dose supplementare
di salmi al numero abituale. Dopodichdisse loro: Solitamente qui non mangiamo tutti i giorni, ma poichvoi siete venuti ugualmente, giusto oggi fare un po' di cena per cambiare. Quindi diede loro pane secco e sale e aggiunse: Ecco un banchetto speciale per voi. Oltre a ciservun po' di salsa di aceto, sale e olio e la diede loro; dopo cena si alzarono ancora e ripresero a recitare i salmi, e continuarono a pregare quasi fino all'alba; a questo punto l'eremita disse: Bene, non possiamo finire tutte le nostre preghiere abituali, poichsiete stanchi a causa del vostro viaggio. Sarmeglio che vi riposiate un po'. E cosquando giunse la prima ora del giorno, tutti volevano partire, ma egli non voleva lasciarli andare. Continuava a dire: State un po' con me. Non posso lasciarvi andare cospresto; la caritrichiede che vi trattenga per due o tre giorni. Ma essi, udendo ci aspettarono che si facesse buio e poi con il favore della notte partirono.


IX

Un anziano disse: La vita del monaco consiste in questo: lavoro, obbedienza, meditazione, ed tale che egli non deve giudicare, nrecare oltraggio, nlamentarsi. Infatti scritto: Voi che amate il Signore, odiate il male [Sal., 97, 10]. La vita del monaco consiste in questo: non frequentare gli ingiusti, non guardare il male con i propri occhi, non
essere curioso, non considerare e non prestare ascolto ai fatti degli altri, non rubare, ma dare pidel dovuto; non avere cuore superbo npensieri malvagi; non riempire il ventre, ma fare tutto con criterio. Ecco, essere monaco consiste in tutto questo.


X

Un anziano disse: Elimina la fiducia in te stesso, controlla la tua lingua e il tuo ventre, e astieniti dal vino. E se uno parla con te di qualsiasi argomento, non litigare con lui. Ma se dice bene, dagli il tuo assenso. Se invece dice male, digli: Tu sai quel che dici. Non litigare con lui a proposito di ciche ha detto, e allora la tua anima sarin pace.

XI

L'Abate Antonio disse: Come i pesci, se restano per lungo tempo a secco, muoiono, cosanche i monaci, se restano a lungo fuori della cella o si trattengono con la gente profana, vengono distolti dalla meditazione che si sono prefissi. Bisogna dunque che come il pesce si getta in mare cosanche noi corriamo in cella, per evitare, attardandoci fuori casualmente, di dimenticarci di badare alla nostra
anima.


XII

L'Abate Arsenio, quando abitava ancora alla corte imperiale, pregil Signore dicendo: Signore, guidami alla salvezza. Ed ecco che gli giunse una voce che diceva: Arsenio, allontanati dagli uomini, e ti salverai. Sempre lui, avviandosi alla vita monastica, pregdi nuovo pronunciando le stesse parole. E uduna voce che diceva: Arsenio fuggi, sta' in silenzio e ricerca la quies, giacchda questo deriva l'assenza di peccato.


XIII
Un confratello anddall'Abate Mosa Sceta, chiedendogli un colloquio. Il vecchio gli rispose: Va', siedi nella tua cella e la tua cella ti insegnertutto.


XIV

Un anziano vide uno che rideva e gli disse: Siamo destinati a render conto di tutta la nostra vita davanti al Signore del cielo e della terra; e tu ridi?



XV

Dicevano dell'Abate Agatone che si mise per tre anni una pietra in bocca, finchnon impara tacere.

XVI

Un confratello interrogl'Abate Isidoro, il pianziano di Sceta, dicendo: Perchi demoni ti temono costanto? Il vecchio gli disse: Da quando sono diventato monaco, cerco di non lasciare che la collera salga fino alle mie labbra.

XVII

L'Abate Anastasio aveva un libro scritto su pergamena finissima, che valeva diciotto soldi, e in esso aveva sia il Vecchio che il Nuovo Testamento in versione integrale. Una volta un fratello venne a trovarlo e vedendo il libro se ne andcon esso. Cosil giorno in cui l'Abate Anastasio andper leggere il proprio libro e trovche non c'era pi capche il fratello l'aveva preso. Ma non gli manddietro nessuno, per chiederne notizia, per timore che il fratello potesse aggiungere una bugia al furto. Poi il fratello scese nella cittpivicina
per vendere il libro. E il prezzo che chiese fu di sedici soldi. Il compratore disse: Dammi il libro, affinchpossa scoprire se vale tanto. Con ci il compratore portil libro da vedere a sant'Anastasio e disse: Padre, da' un'occhiata a questo libro, per favore, e dimmi se pensi che dovrei comprarlo per sedici soldi. Vale dunque costanto? L'Abate Anastasio disse: Si, un bel libro, vale tutto quel prezzo. Cosil compratore ritorndal fratello e disse: Ecco il tuo denaro. Ho mostrato il libro all'Abate Anastasio che ha detto che bello e che vale almeno sedici soldi. Ma il fratello disse: tutto ciche ha detto? Ha fatto altre osservazioni? No, disse il compratore, non ha detto altro. Beh! disse il fratello, ho cambiato idea, e dopo tutto non voglio vendere questo libro. Allora anddi corsa dall'Abate Anastasio e lo supplicin lacrime di riprendersi il libro. Ma l'Abate non volle accettarlo, dicendo: Va' in pace, fratello, te ne faccio dono. Ma il fratello disse: Se non lo riprenderai, non avrmai pipace. Dopo quell'episodio il fratello abitcon l'Abate Anastasio per il resto della sua vita.

XVIII

Disse ancora l'Abate Macario: Se volendo rimproverare qualcuno sei indotto alla collera, soddisfi una tua passione; non perdere te stesso per salvare un altro.

XIX

Disse ancora l'Abate Iperichio: bene mangiare carne e bere vino piuttosto che divorare le carni dei propri fratelli denigrandoli.

XX

Un'altra volta a Sceta fu portata una brocca di vino nuovo perchne fosse dato ai confratelli un calice per ciascuno. Un confratello entrando vide che gli altri ricevevano il vino e fuggnella cripta, che croll Avendo sentito rumore, gli altri accorsero e trovarono il confratello che giaceva a terra mezzo morto; e presero a rimproverarlo, dicendo: Ti sta bene, perchhai peccato di superbia. Ma l'Abate, consolandolo, disse: Perdonate il mio figliolo: ha fatto bene. E, in nome di Dio, questa cripta non sarricostruita finchvivo io, affinchil mondo sappia che a Sceta crollata una cripta per un calice di vino.

XXI

Un monaco, lungo un sentiero, si imbattnelle ancelle di Dio. Dopo averle viste cambistrada. E la Badessa gli disse: Se tu fossi stato un monaco
perfetto, non ci avresti osservate a tal punto da riconoscere che eravamo donne.

XXII

Un confratello rinuncial mondo e diede ai poveri ciche possedeva, ma mantenne poche cose in suo possesso. Si recpoi dall'Abate Antonio. Il vecchio, quando l'ebbe saputo gli disse: Se vuoi diventare monaco, vai al villaggio, compra della carne, mettila sul tuo corpo nudo e costorna qui. Una volta che il fratello ebbe fatto ci i cani e gli uccelli lacerarono il suo corpo. Giunto dal vecchio questi gli chiese se aveva fatto ciche gli aveva ordinato. E mentre quello gli mostrava il proprio corpo straziato, sant'Antonio disse: Coloro che rinunciano al mondo e vogliono tenere del denaro vengono assaliti e sbranati dai diavoli proprio in questo modo.

XXIII

L'Abate Teodoro di Fermo aveva tre bei libri. Recatosi dall'Abate Macario gli disse: Ho tre libri e traggo giovamento dalla loro lettura. Ma anche i fratelli li chiedono per leggerli, e anch'essi ne traggono giovamento. Dimmi dunque: che debbo fare? E il vecchio rispondendo disse: Certamente le tue sono buone azioni, ma meglio di tutto non possedere nulla. Dopo aver inteso queste parole egli se ne and vendette i libri menzionati sopra e diede ai poveri il denaro ricavatone.

XXIV

L'Abate Ammone disse di aver passato quattordici anni a Sceta pregando Dio giorno e notte di dargli la forza di vincere la collera.

XXV

L'Abate Pastor disse che la virtdel monaco si manifesta nella tentazione.

XXVI

Un anziano diceva: Per questo non facciamo progressi, perchnon conosciamo i nostri limiti e non abbiamo pazienza nel compiere l'opera che abbiamo intrapreso, ma vogliamo entrare in possesso della virtsenza alcuno sforzo.


XXVII

Un anziano disse: Come un albero non pudare frutto se trapiantato parecchie volte, cosneppure un monaco che cambia spesso la sua sede pudare frutto.

XXVIII

Un anziano disse: La cella di un monaco la famosa fornace di Babilonia, [Dn., 3, 197] dove tre fanciulli trovarono il figlio di Dio, ma anche la colonna della nube dalla quale Dio parla Mos[Es., 14, 19].

XXIX

Un giorno uri fratello anddall'Abate Teodoro di Fermo e passtre giorni a chiedergli di ascoltare la sua parola. Ma quello non gli rispose ed egli se ne andtriste. Allora un suo discepolo disse all'Abate: Padre, perchnon hai parlato? Ecco che se n'andato via triste. E il vecchio disse: Credimi, non gli ho parlato perchun mercante e vuole vantarsi delle parole altrui.



XXX

Un altro fratello interroglo stesso vecchio, l'Abate Teodoro, e inizia parlare e a fare domande su cosa dovesse ancora fare. Il vecchio gli disse: Non hai ancora trovato una nave, nhai collocato su di essa i tuoi bagagli, nhai intrapreso la navigazione, e sei gigiunto nella cittdove avevi stabilito di giungere? Solo dopo esserti occupato di cidi cui parli, soltanto allora parlane.

XXXI

Un giorno un giudice della provincia sentparlare dell'Abate Mose si reca Sceta per vederlo; quando annunciarono al vecchio il suo arrivo, egli si levper fuggire in una palude; quel giudice con i suoi lo incontre gli chiese: Dicci' o vecchio, dov'la cella dell'Abate Mos Ed egli rispose loro: Perchvolete cercarlo? stolto ed eretico. Il giudice, quando giunse alla chiesa, disse ai chierici: Sentendo parlare dell'Abate Mos sono venuto a vederlo; ed ecco che mi venne incontro un vecchio diretto in Egitto al quale domandai dov'la cella dell'Abate Mos ed egli ci disse: Perchlo cercate? stolto ed eretico. Ma i chierici ascoltandolo si rattristarono e dissero: Com'il vecchio che vi ha parlato in questi termini di quel santo? Ed essi risposero: Porta un abito vecchissimo, alto e scuro. E i chierici dissero: proprio l'Abate Mospoichnon voleva che lo vedeste, per questo vi ha parlato cosdi s Il giudice se ne andrafforzato nella fede.

XXXII

L'Abate Poemen disse: Se Nabuzardan, il pieccellente fra i cuochi, non fosse venuto a Gerusalemme, il tempio del Signore non sarebbe bruciato [2 Re, 25, 81]. Se non si fosse insinuata nell'anima la voracit i sensi dell'uomo non sarebbero stati infiammati dalle tentazioni del demonio.

XXXIII

Un fratello forestiero anddall'Abate Silvano, sul monte Sinai, e vedendo che i confratelli lavoravano, disse loro: Perchvi occupate di un cibo che perisce? Maria infatti ha scelto la parte buona [Lc., 10, 382]. Allora il vecchio disse al suo discepolo Zaccaria: Dagli un libro da leggere e prima di tutto mettilo in una piccola cella. Ma all'ora nona quel fratello guardava nella strada se per caso il vecchio lo mandasse a chiamare per mangiare. E dopo che fu trascorsa l'ora nona anddal vecchio dicendogli: Forse oggi i confratelli non hanno pranzato,
padre? Quando il vecchio rispose di s quello disse: Perchnon mi hai fatto chiamare? Allora l'Abate Silvano gli rispose: Tu sei un uomo spirituale e non hai bisogno di questo cibo; noi invece, in quanto fatti di carne e ossa, abbiamo bisogno di mangiare e percilavoriamo, mentre tu hai scelto la parte buona. Infatti tu leggi tutto il giorno e non vuoi ricevere il cibo materiale. Dopo aver udito queste parole, quello inizia pentirsi e a dire: Perdonami, padre. Allora Silvano gli rispose: Dunque Marta necessaria a Maria, infatti grazie a Marta anche Maria viene lodata.

XXXIV

Uno dei monaci, Serapione, che possedeva soltanto un Vangelo, lo vendette e diede il ricavato agli affamati, lasciando una parola degna di essere ricordata: Ho venduto disse proprio quel libro che continuamente mi diceva: Vendi ciche possiedi e dallo ai poveri.

XXXV

Uno dei confratelli, essendo stato offeso da un altro, anddall'Abate Sisois e, raccontandogli l'offesa subita, aggiunse: Voglio vendicarmi, o padre.
Il vecchio inizia chiedergli di lasciare a Dio la vendetta. Ma quello disse: Non desisterse prima non sarstato vendicato adeguatamente. Il vecchio gli rispose: Poichhai deciso questo una volta per tutte nel tuo animo, preghiamo ancora; e alzandosi in piedi inizia pregare: Dio, ormai non ci serve piche tu ti occupi di noi, perch come dice questo fratello, vogliamo e possiamo vendicarci da soli. Avendo udito ci quel fratello, gettatosi ai piedi del vecchio, chiese perdono, promettendo che non avrebbe mai litigato con colui contro il quale era in collera.

XXXVI

Un fratello interrogl'Abate Sisois dicendo: Se i ladroni o i selvaggi mi attaccheranno con l'intenzione di uccidermi e io potravere la meglio, mi ordini di ucciderli? Egli rispose: Non farlo assolutamente, ma demanda tutto a Dio. Infatti confida che ogni avversitche ti toccherti giunge per i tuoi peccati, giacchdevi attribuire tutto alla giustizia distributiva di Dio.

XXXVII

Sul monte detto Atzlibeo c'era un grande eremita, che fu assalito dai ladri. Ma poichegli aveva gridato, altri confratelli, accorsi dai luoghi vicini, li acchiapparono. Quando furono condotti in citt il giudice li mandin prigione. Allora quei confratelli iniziarono ad affliggersi perchproprio grazie a loro i ladroni erano stati consegnati al giudice. Andando dall'Abate Poemen, gli riferirono il fatto. Egli scrisse all'eremita dicendo: Se ricordi da dove ha avuto origine il primo tradimento capirai anche la ragione del secondo. Infatti se non fossi stato tradito dai tuoi pensieri, non avresti mai perpetrato il secondo tradimento consegnando quegli uomini ai giudici. L'eremita, colpito da quelle parole, si levdi colpo e andin citt e facendo scarcerare pubblicamente i ladri li liberdalla tortura.

XXXVIII

Il discepolo di un filosofo aveva peccato e poichvoleva essere perdonato, il filosofo gli disse: Non ti perdono se per tre anni non porterai i pesi degli altri. Quando ritorndopo tre anni dopo aver scontato la sua colpa, il filosofo gli disse: Non ti perdono ancora, se per altri tre anni non pagherai coloro che ti oltraggiano e ti insultano. Una volta che il giovane ebbe adempiuto anche a questo, e gli furono rimesse le sue colpe, il maestro gli disse: Ora vieni ed entra in Atene, per impararvi la sapienza. Lc'era un vecchio saggio, che sedeva presso la porta e insultava tutti quelli che entravano per metterli alla prova. Ma quando fece la stessa cosa con il giovane che entrava in quel momento, questi si mise a ridere fragorosamente. Allora il vecchio gli disse: Che fai? Io ti insulto e tu ridi? Il giovane gli rispose: Non vuoi che rida, dopo che per tre anni ho pagato la gente per subire quel che oggi subisco da te gratuitamente? Allora il vecchio gli disse: Entra dunque in citt poichne sei degno. L'Abate Giovanni era solito raccontare questa storia e vi aggiungeva di suo: Questa la porta di Dio, attraverso la quale, fra molte tribolazioni e oltraggi, i nostri padri sono entrati lietamente nella Sua citt

XXXIX

Un giorno nella Valle delle Celle si celebrava una festa e i confratelli mangiavano in comunit Lc'era un confratello che disse a quello che serviva in tavola: Non mangio cibo cucinato ma solo sale [nota]. Quello che serviva chiamun altro confratello in presenza di tutta la comunitdicendo: Quel confratello non mangia cibo cucinato; portagli del sale. 鵡a uno degli anziani si alze gli disse: Sarebbe stato meglio che tu mangiassi carni da solo nella tua cella, piuttosto che queste parole fossero udite in presenza di costanti confratelli.
[nota: Il sale era usato per condire il pane secco.]

XL

Un confratello aveva peccato e il presbitero gli ordindi uscire dall'assemblea. Allora Bessarione si alze usccon lui dicendo: Anch'io sono un peccatore.

XLI

Un giorno a Sceta si scoprche un confratello aveva peccato; gli anziani si riunirono e mandarono a chiamare l'Abate Mos dicendogli di venire; ma quello non volle andare. Allora il presbitero lo manda chiamare dicendo: Vieni, poichla comunitdei confratelli ti attende. E quello, levatosi, and Tuttavia portando con suna cesta vecchissima, la riempdi sabbia e se la trascindietro. Quelli gli andarono incontro dicendo: Che significa, o Padre? E il vecchio rispose loro: I miei peccati scorrono a profusione alle mie spalle e io oggi sono venuto a giudicare i peccati altrui? Allora essi, sentendolo, non dissero nulla al confratello, e anzi lo perdonarono.


XLII

Un fratello interrogl'Abate Pastor dicendo: Che fare, giacchla mia anima stretta dall'angoscia quando siedo in preghiera? Il vecchio gli rispose: Non disprezzare e non condannare nessuno, non biasimare nessuno: Dio ti darla pace e la tua meditazione non sarturbata.

XLIII

Un anziano disse: Non giudicare un fornicatore se sei casto, poichcome lui trasgredirai la legge. Infatti colui che disse: Non fornicare, disse anche: Non giudicare.

XLIV

Uno dei Padri raccontche un vecchio stava nella sua cella lavorando con impegno, e indossava una stuoia di giunco. Poichsi era recato dall'Abate Ammone, l'Abate Ammone gli vide indossare la stuoia di giunco e gli disse: Questo non ti serve a nulla. Il vecchio gli disse: Tre pensieri mi tormentano: uno che mi spinge ad allontanarmi da qualche parte in solitudine; l'altro, che mi induce a cercare una terra straniera dove nessuno mi conosca; il terzo, che mi spinge a rinchiudermi nella mia cella, per non vedere nessuno, e a mangiare dopo due giorni. L'Abate Ammone gli disse: Non ti serve fare nessuna di queste tre cose; piuttosto stai nella tua cella, mangia poco ogni giorno, e tieni sempre in mente le parole di quel pubblicano che si leggono nel Vangelo [Lc., 18, 13]:[nota] cospotrai salvarti.
[nota: La formula " Signore, abbi pietdi me peccatore! " la base della " preghiera di Ges", ripetuta pivolte e recitata da tutti nell'ambito del monachesimo orientale.]

XLV

Si raccontava che l'Abate Giovanni il nano una volta disse a un suo confratello pianziano: Vorrei essere tranquillo come gli angeli, che non fanno nulla e servono Dio senza sosta; e, spogliandosi delle vesti, se ne andin solitudine. Trascorsa una settimana, torndal confratello, e, mentre batteva alla porta, quello prima di aprire gli rispose dicendo: Chi E quello disse: Sono Giovanni. A sua volta il confratello gli ribattdicendo: Giovanni diventato un angelo e non pifra gli uomini. Ma quello continuava a battere alla porta dicendo: Sono io. L'altro non gli apr ma lo lascibattere. Poi aprendo gli disse: Se sei uomo, hai bisogno di darti da fare ancora per vivere; se invece
sei un angelo perchchiedi di entrare in una cella? Quello pentendosi disse: Perdonami, o fratello, perchho peccato.

XLVI

L'Abate Pastor disse: Se una cassa piena di abiti viene abbandonata per lungo tempo, gli abiti contenuti in essa marciscono; cossono anche i pensieri nel nostro cuore. Se non li metteremo in atto concretamente, nel tempo si deformeranno e marciranno.

XLVII

Un'altra volta disse: Se ci sono tre monaci che vivono insieme, dei quali uno sappia meditare bene, l'altro sia debole di salute e renda grazie per questo, e il terzo li serva entrambi di buona volont questi tre sono simili, come se adempissero a un'unica mansione.

XLVIII

Disse ancora: Malvagitnon caccia affatto malvagit se uno ti ha fatto del male, tu fagli del bene, per distruggere la sua malvagitcon le tue opere buone.

XLIX

Disse ancora: Chi si lamenta, non un monaco; chi fa il male in cambio del male, non un monaco; chi cede all'ira, non un monaco.

L

Un confratello anddall'Abate Pastor e gli disse: Mi vengono molti pensieri e sono in pericolo per causa loro. Il vecchio lo mandall'aria aperta e gli disse: Dilata il tuo petto e trattieni l'aria al suo interno. Quello rispose: Non posso farlo. Allora il vecchio gli disse: Se non puoi far questo, non puoi neppure impedire ai pensieri di entrarvi, ma tuo dovere resistere a essi.

LI

Un'altra volta l'Abate Pastor raccontche l'Abate Ammone aveva detto: C'un uomo che per tutta
la vita porta con suna scure, ma non riesce ad abbattere un albero; ce n'un altro che abituato a tagliare alberi e con pochi colpi abbatte l'albero. La scure il discernimento.

LII

Un fratello interrogl'Abate Pastor dicendo: Alla mia anima nuoce il fatto che io viva con il mio padre spirituale. Che mi ordini dunque, di restare ancora da lui? L'Abate Pastor sapeva che l'anima di quel fratello subiva danno a causa del suo padre spirituale e si stupiva che quello gli chiedesse se doveva restare. Gli disse: Se vuoi, resta. Quello se ne ande rimase da lui. Ma andun'altra volta dicendo all'Abate Pastor: Ho un peso nell'anima. E l'Abate Pastor non gli disse: Allontanati da lui. Venne una terza volta e disse: Credimi, non starpicon lui. Il vecchio gli disse: Ecco, ora sei salvo, va' e non stare picon lui. Infatti l'Abate Pastor disse a quel fratello: Chi vede la sua anima danneggiata, non ha bisogno di fare domande. Quando si tratta di pensieri nascosti, giusto porre domande, in modo che gli anziani possano esaminarli; ma in caso di peccati manifesti, non bisogna porre domande, bensstroncarli immediatamente.


LIII

L'Abate Palladio disse: Bisogna che l'anima, volgendosi nella direzione della volontdi Cristo, o impari coscienziosamente ciche non sa o insegni apertamente ciche ha appreso. Ma se, pur avendone la possibilit rifiuta entrambe le cose, affetta da follia. Infatti l'inizio dell'allontanamento da Dio l'avversione per la dottrina e il disinteresse per cidi cui sempre ha fame l'anima che ama Dio.

LIV

Un anziano disse: Se uno rimasto in un luogo e non ha prodotto frutti, proprio il luogo a respingerlo, perchnon stato reso fertile.

LV

A un vecchio fu chiesto: Cosa significa ciche si legge, la "via stretta e angusta" [Lc., 13, 24]? Il vecchio rispose dicendogli: La "via stretta e angusta" questa: che l'uomo faccia violenza ai suoi pensieri e stronchi i suoi desideri a causa di Dio. Questo anche quanto scritto dagli apostoli: Ecco, abbiamo abbandonato tutto e ti abbiamo seguito [Lc., 18, 28].


LVI

Un anziano disse: Siamo condannati non perchin noi si insinuano pensieri cattivi, ma perchfacciamo cattivo uso dei nostri pensieri. Infatti per colpa dei nostri pensieri ci accade di naufragare, ma al contrario a causa loro possiamo anche ricevere un premio.

LVII

Diceva un anziano: C'un uomo che, pur mangiando molto, ha ancora fame; c'anche un altro uomo che mangia poco ed sazio. Ebbene, riceve maggior ricompensa quello che mangia molto e ha ancora fame, di quello che mangia poco ed sazio.

LVIII

Gli altri confratelli lodavano unanimemente un fratello in presenza dell'Abate Antonio; ma quando il vecchio lo ebbe messo alla prova, scoprche non tollerava le offese. E il vecchio gli disse: Tu sei simile a un edificio, che, pur avendo una bella porta d'ingresso, tuttavia viene espugnato dai ladri per la porta di servizio.


LIX

Un fratello chiese all'Abate Poemen: Che dovrei fare, o padre, giacchsono turbato dalla tristezza? Il vecchio gli disse: Non stimare nessuno una nullit non condannare nessuno, non sottrarre nulla a nessuno, e Dio ti darla pace.

LX

Uno dei fratelli chiese ad un anziano: Padre, gli uomini santi sanno sempre quando la potenza di Dio in loro? E l'anziano replic No, non si sa sempre. Infatti una volta un grandissimo eremita aveva un discepolo che commise uno sbaglio e gli disse: Muori! All'istante il discepolo cadde morto. E l'eremita, sopraffatto dal terrore, pregil Signore dicendo: Signore GesCristo, ti prego di riportare in vita il mio discepolo e d'ora in poi starattento a come parlo. Allora immediatamente il discepolo fu riportato in vita.

LXI

Uno degli anziani era solito dire: All'inizio, quando ci trovavamo, eravamo soliti parlare di qualcosa di buono per le nostre anime. Continuando cos siamo saliti fino al cielo. Ma adesso quando ci troviamo passiamo il tempo a criticare tutto e ci trasciniamo l'un l'altro nell'abisso.

LXII

Alcuni anziani dissero: Se vedrai un giovane salire al cielo di sua volont afferralo per un piede, e scaraventalo a terra, poichcinon gli serve.

LXIII

L'Abate Bessarione morendo diceva: Un monaco dev'essere tutt'occhi, come il Cherubino e il Serafino.

LXIV

L'Abate Pastor disse ancora: Allontanati da ogni uomo che quando discorre polemizza continuamente.


LXV

Un anziano disse: Applicati al silenzio, non concepire vani pensieri, e sii intento nella tua preghiera sia quando riposi sia quando ti alzi nel timor di Dio. Facendo questo, non avrai timore degli assalti dei malvagi.

LXVI

Uno degli anziani disse: Quando gli occhi di un animale sono coperti, allora gira intorno alla macina; se invece ha gli occhi scoperti, non gira intorno al perimetro della macina; cosanche il diavolo, se sopraggiunge a coprire gli occhi dell'uomo, lo umilia in ogni sorta di peccato. Ma se gli occhi dell'uomo non sono chiusi, egli pusfuggire pifacilmente al demonio.

LXVII

Dei fratelli, venuti a comprare del lino dalla Tebaide, dissero a un altro: In quell'occasione vedremo il beato Arsenio. Giunti alla sua spelonca, il suo discepolo Daniele glieli annunci Ed egli gli disse: Va', o figliolo, e, ricevutili, rendi loro onore, ma lascia che io contempli il cielo e congedali, giacchnon vedranno il mio volto.


LXVIII

I santi padri si radunavano e parlavano di ciche sarebbe accaduto all'ultima generazione e uno di loro specialmente, chiamato Squirione, disse: Noi adesso seguiamo i comandamenti di Dio. Poi i padri gli chiesero: Che cosa sardi quelli che verranno dopo di noi? Egli replic Forse una metdi loro si atterrai comandamenti di Dio e cercheril Dio eterno. E i padri chiesero: E quelli che verranno dopo di questi, che cosa faranno? Egli rispose con queste parole: Gli uomini di quella generazione non metteranno in pratica i comandamenti di Dio e dimenticheranno i suoi precetti. Allora il male trabocchere la caritdi molti si raffreddere saranno sottoposti ad una terribile prova; quelli che risulteranno meritevoli in questa prova, saranno migliori di noi e migliori dei nostri padri. Saranno pifelici e di virtpiprovata e perfetta.

LXIX

Raccontavano dell'Abate Arsenio che la sua cella distava trentadue miglia dal centro abitato e che egli non ne usciva, ma altri gli facevano le commissioni. Ma quando la localitdi Sceta fu designata per ospitare un eremo, se ne andpiangendo e dicendo: la gente del mondo ha fatto perire Roma e i monaci Sceta.


LXX

Un giorno Abramo, discepolo dell'Abate Sisois, gli disse: Padre, ormai sei vecchio, andiamo un po' pivicini al mondo abitato. L'Abate Sisois gli rispose: Andiamo dove non c'una donna. Il discepolo ribatt E dov'un luogo senza donne, se non nel deserto? Il vecchio disse: Allora portami nel deserto.

LXXI

Raccontavano di un vecchio che moriva a Sceta: i confratelli circondarono il suo letto, lo vestirono e iniziarono a piangere; ma quello aprgli occhi e si mise a ridere, e rise ancora una seconda volta e una terza. I fratelli vedendolo gli chiesero: Dicci, o padre, perchmentre noi piangiamo tu ridi? Ed egli rispose loro: La prima volta ho riso perchvoi temete la morte, la seconda perchnon siete pronti a morire; la terza perchdalla fatica approdo al riposo, e voi piangete. Dopo aver detto questo, immediatamente chiuse gli occhi per morire.

LXXII

L'Abate Lot anddall'Abate Giuseppe e gli disse: Padre, secondo le mie capacitmi attengo a una piccola regola, e a un piccolo digiuno, pratico la preghiera, la meditazione e la pace interiore, e secondo le mie capacitmi sforzo di rendere puri i miei pensieri; dunque che altro debbo fare? Allora il vecchio alzandosi tese le mani al cielo e le sue dita diventarono come dieci lampade di fuoco, ed egli gli disse: Se vuoi, diventa tutto un fuoco.

LXXIII

Dicevano dell'Abate Sisois che se non abbassava le mani quando era in preghiera, la sua mente era trascinata ad altezze superiori. Dunque, se capitava che un confratello pregasse con lui, si affrettava ad abbassarle, affinchla sua mente non fosse in preda al rapimento e non vi indugiasse.

LXXIV

Uno dei padri diceva: Come impossibile che un uomo veda il proprio volto nell'acqua torbida, cosanche l'anima, se non stata purificata da pensieri estranei, non pupregare Dio assorta nella contemplazione.


LXXV

Un fratello andda un eremita e uscendo dalla sua cella disse: Perdonami, o padre, perchti ho impedito di adempiere alla tua regola. Quello rispose dicendogli: La mia regola di accoglierti in modo ospitale e di farti andare in pace.

LXXVI

Un fratello disse all'Abate Pastor: Se dara un mio fratello un po' di pane o qualcos'altro, i demoni macchieranno quel gesto, perchsembri che stato compiuto per piacere agli uomini. E il vecchio gli disse: Anche se una simile azione fosse compiuta per piacere agli uomini, tuttavia nostro dovere offrire ai fratelli cidi cui hanno bisogno. E gli raccontquesta storia. Due uomini facevano i contadini e vivevano in un villaggio. Uno di loro, seminando raccolse frutti scarsi e di cattiva qualit l'altro, trascurando la semina, non raccolse assolutamente nulla. Qualora venisse la carestia, chi dei due putrovare scampo? Il confratello rispose: Colui che fece il raccolto, per quanto scarso e brutto. Il vecchio gli disse: Cosanche noi gettiamo pochi semi, anche se impuri, per non morire in tempo di carestia.


LXXVII

L'Abate Iperichio disse: Dovere del monaco l'obbedienza: chi la possiede, saresaudito nelle sue richieste e starfiducioso davanti al Crocifisso; infatti proprio cosil Signore arrivato alla croce, essendosi reso obbediente fino alla morte [Fil., 2, 8 ].

LXXVIII

Un giorno degli anziani andarono dall'Abate Antonio, e con loro c'era anche l'Abate Giuseppe L'Abate Antonio, volendo metterli alla prova, iniziun discorso sulle Sacre Scritture. E comincia chiedere ai pigiovani cosa significasse questa o quella frase. E ognuno cercava di rispondere nel miglior modo possibile. Ma quello continuava a dire loro: Non avete ancora trovato. Dopo essersi rivolto a loro disse all'Abate Giuseppe: Tu cosa dici che significa questa frase? Quello rispose: Non lo so. E l'Abate Antonio disse: In veritsolo l'Abate Giuseppe ha trovato la strada, perchnon sa rispondere.

LXXIX

L'Abate Giovanni di Tebe disse: Prima di tutto
il monaco deve avere umilt infatti questo il primo comandamento del Salvatore, che dice: Beati i poveri di spirito, poichdi essi il regno dei cieli [Mt., 5, 3].

LXXX

Un giorno l'Abate Macario, passando di ritorno dalla palude nella sua cella, recava con sdei rami di palma, ed ecco per la strada gli venne incontro il diavolo con una falce per la mietitura. Lo avrebbe voluto colpire con quella falce, ma non ci riusc e gli disse: O Macario, da te subisco grande violenza, perchnon posso avere la meglio su di te. Infatti qualsiasi cosa tu faccia, la faccio anch'io: digiuni e anch'io non mangio affatto, vegli e anch'io non dormo affatto. C'una sola cosa in cui mi sei superiore; l'Abate Macario chiese: Quale? Il diavolo rispose: La tua umilt a causa della quale non riesco ad avere la meglio su di te.

LXXXI

All'Abate Pastor fu chiesto da un confratello: Come devo comportarmi nel luogo dove abito? Il vecchio rispose: Sii prudente come uno straniero, e,
dovunque tu sia, non pretendere che le tue parole si impongano quando sei presente, e starai in pace.

LXXXIl

L'Abate Pastor disse: Sempre e senza sosta l'uomo deve respirare l'umilte il timor di Dio, come l'aria che inspira ed espira con le narici.

LXXXIII

L'Abate Alonio disse: L'umiltla terra nella quale Dio ci ha incaricati di compiere il sacrificio.

LXXXIV

A un anziano fu chiesto cosa fosse l'umilt Quello rispose: Se perdonerai a un fratello che ha peccato contro di te prima che egli ti manifesti il suo pentimento.


LXXXV

Un fratello chiese a uno degli anziani Cos'l'umilt Il vecchio gli rispose: Far bene a coloro che ti fanno del male. Il fratello allora disse: Se un uomo non riesce ad arrivare a tanto, che deve fare; Il vecchio rispose: Fugga scegliendo il silenzio.

LXXXVI

A un fratello apparve il diavolo trasformato in angelo della luce e gli disse: Sono l'arcangelo Gabriele e sono stato inviato presso di te. Allora egli rispose: Vedi un po' se per caso non sei stato mandato presso qualcun altro; infatti non merito che mi si mandi un angelo. Da quel momento il diavolo scomparve.

LXXXVII

Di un altro anziano raccontarono che continua digiunare per settanta settimane mangiando una volta alla settimana. InterrogDio a proposito di un passo delle Scritture e Dio continuava a non svelargliene il significato. Allora egli si disse: Ecco, ho fatto tanta fatica e non m'servito a nulla andra chiederlo a un confratello. Dopo che usc e chiuse la porta per andarsene, gli fu inviato un angelo del Signore, che gli disse: Le tue settanta settimane di digiuno non ti hanno avvicinato a Dio, ma ora che ti sei umiliato al punto da andare dal tuo confratello ti sono stato inviato a spiegarti il senso del passo; e svelandogli il senso di ciche chiedeva, si allontanda lui.

LXXXVIII

L'Abate Pastor disse: Qualsiasi fatica ti toccher la supererai con il silenzio.

LXXXIX

Sincletica, memorabile per la sua santit disse: Fatica sia la grande lotta degli empi che si convertono a Dio, sia l'indicibile gioia che la segue. Infatti coloro che vogliono accendere un fuoco vengono dapprima aggrediti dal fumo e versano lacrime per il fastidio che ne hanno, e cosottengono ciche vogliono. Infatti sta scritto: il nostro Dio fuoco che consuma; dunque necessario che anche noi accendiamo in noi stessi il fuoco divino con lacrime e fatica.


XC

Nella parte pimeridionale dell'Egitto c'era un eremita famosissimo, perchviveva in un luogo deserto come unico membro della comunit Ed ecco che, per opera di Satana, una donna di malaffare, sentendo parlare di lui, prese a dire ai giovani: Cosa mi darete se faccio desistere dai suoi propositi questo vostro eremita? Quelli stabilirono di darle una somma di denaro. Uscita di sera, come se si fosse persa, giunse alla cella dell'eremita; e poichpicchiava alla porta della cella, egli usc al vederla fu turbato e disse: Come sei arrivata fin qui? Ella con tono supplicante disse: Sono arrivata qui perchmi sono persa. Egli, mosso a pietnel profondo, la fece entrare per il piccolo ingresso della cella ed entregli stesso nella parte piinterna, chiudendo la porta. Ma ecco che la disgraziata si mise a gridare, dicendo: Padre, qui le bestie feroci mi divoreranno. Egli fu nuovamente turbato e temendo il giudizio di Dio diceva: Da dove mi viene questo turbamento? Aprendo la porta, la fece entrare. Allora il diavolo comincia stimolare come con delle frecce il cuore di lui nei confronti di lei. Ma egli, resosi conto che erano i pungoli del diavolo, si diceva: Le vie del nemico sono tenebra [Sal., 35, 6] mentre il figlio di Dio luce. Dunque alzandosi accese la lucerna. E poichardeva di desiderio, diceva: Chi fa questo, va nel tormento [Gal., 5, 10]. Metti dunque alla prova te stesso, verificando se puoi sopportare il fuoco eterno. E
metteva un dito sulla lucerna. Ma una volta che il dito aveva preso fuoco e bruciava, egli non se ne accorgeva, perchtroppo forte era il fuoco del desiderio carnale. Facendo cosfino al mattino, si brucitutte le dita. Quella disgraziata, avendo visto ciche egli faceva, fu quasi pietrificata dalla paura. Al mattino i giovani recandosi dal monaco dicevano: venuta una donna ieri sera tardi? Ma quello rispose: S ecco dove dorme. Entrando la trovarono morta. E dissero: Padre, morta. Allora egli, scostando il mantello che indossava, mostrloro le mani dicendo: Ecco ciche mi ha fatto questa figlia del demonio, ha distrutto tutte le mie dita. Narrando loro l'accaduto disse: Sta scritto: non ricambiare il male con il male [1 Tes., 5, 15; 1 Pt., 3, 9]. E pregando, la risuscit Ed ella, convertitasi, trascorse nella castitil resto della sua vita.

XCI

L'Abate Pastor raccontche l'Abate Giovanni il nano aveva pregato il Signore e il Signore lo aveva liberato da tutte le sue passioni; fu cosche egli divenne impassibile. In questa condizione andda uno degli anziani e disse: Al tuo cospetto vedi un uomo che completamente in pace e non ha pitentazioni. L'anziano disse: Va' e prega il Signore di suscitare in te qualche battaglia che ti sproni, perchl'anima matura solo attraverso le battaglie.
E quando le tentazioni ripresero egli non pregdi essere liberato dai conflitti, ma disse solo. Signore, dammi la forza di superarli.

XCII

Una volta l'Abate Macario era in viaggio da Sceta verso un luogo chiamato Terenuzin, e anda passare la notte in una piramide dove i corpi dei pagani erano stati deposti anni prima. Trascinfuori una delle mummie e se la mise sotto il capo come cuscino. I diavoli, vedendo la sua spavalderia, accorsero infuriati e decisero di spaventarlo. E cominciarono a chiamare dagli altri corpi, come se chiamassero una donna: Signora, vieni con noi alle terme. Un altro demone, come se fosse il fantasma della donna, griddal corpo che l'anziano stava usando come cuscino: Questo intruso mi tiene sotto la sua testa e non posso venire con voi. Ma l'anziano, lungi dall'essere spaventato, comincia picchiare il cadavere, dicendo: Alzati, e vai a nuotare se sei capace. Udendo questo i demoni gridarono: Hai vinto! e fuggirono alla rinfusa.

XCIII

Si racconta che quando l'Abate Milido viveva in
Persia con due discepoli, i figli dell'Imperatore parteciparono a una grande caccia stendendo reti per un raggio di quaranta miglia, decisi ad uccidere qualunque cosa vi capitasse dentro. Ed ecco che l'anziano fu trovato nelle reti con i suoi due discepoli. Quando lo videro tutto scarmigliato (orribile spettacolo!), gli chiesero meravigliati se fosse un uomo o una specie di spirito. Egli rispose: Sono un uomo, e peccatore, e sono venuto qui per piangere sui miei peccati e per adorare il figlio del Dio vivente. A queste parole essi risposero: Dio non esiste; non c'altro Dio al di fuori del sole, dell'acqua e del fuoco. Adorali, e fa' loro sacrifici. Egli disse: No, non lo far queste sono solo creature e voi vi sbagliate. Dovreste riconoscere il vero Dio che ha fatto queste cose e ogni altra cosa ancora. Essi dissero schernendolo: Un criminale condannato e crocifisso ciche tu chiami Dio! L'anziano rispose: Colui che fu crocifisso ha distrutto la morte ed Lui che io chiamo il vero Dio. Allora lo presero e lo appesero con una targa e gli lanciarono frecce da diverse parti; mentre facevano questo l'anziano disse loro: Domani, proprio a quest'ora, vostra madre perderi suoi figli. Essi risero di lui e il giorno dopo ripartirono per continuare la caccia. Accadde che un cervo maschio incappasse nelle loro reti e che essi lo rincorressero a cavallo, e, avvicinandosi al cervo da lati opposti, scoccassero le loro frecce e si colpissero l'un l'altro al cuore. Cosmorirono, secondo le parole dell'anziano.


XCIV

Un giorno alcuni ladri andarono al monastero da un anziano e gli dissero: Siamo venuti a prendere tutto ciche sta nella tua cella. Ed egli rispose: Prendete ciche vi pare, o figlioli. Allora presero tutto quel che trovarono nella cella e se ne andarono. Tuttavia dimenticarono lun piccolo altare, che era nascosto nella cella. Il vecchio, prendendolo, rincorse i ladri gridando e dicendo: Figlioli, prendete ciche avete dimenticato. Ed essi, ammirando la tolleranza del vecchio, riportarono tutto nella sua cella e si pentirono, dicendosi l'un l'altro: Costui veramente un uomo di Dio.

XCV

Un anziano aveva un discepolo di provata virt ma un giorno, essendo di cattivo umore, lo caccifuori. Il discepolo aspettava seduto fuori. Aprendogli la porta il vecchio lo trove gli chiese perdono, dicendo: Sei tu il padre mio poichla tua umilte la tua pazienza hanno vinto la meschinitdel mio cuore. Entra: d'ora innanzi tu sei l'anziano e il padre, io invece il giovane e il discepolo perchcon il tuo comportamento ti sei mostrato superiore alla mia vecchiaia.

XCVI

Un fratello chiese ad un anziano: Ci sono due fratelli, dei quali uno medita nella sua cella, protraendo il digiuno per sei giorni e imponendosi molte sofferenze, l'altro si dedica agli ammalati. Quale dei due compie l'azione pigradita a Dio? Il vecchio rispose: Anche se quel fratello che digiuna per sei giorni si appendesse per il naso, non potrebbe essere all'altezza di quello che si dedica agli infermi.

XCVII

L'Abate Agatone ammoniva spesso il suo discepolo dicendo: Non acquistare niente per te stesso che tu possa esitare a dare a un tuo fratello qualora te lo chieda, perchcossaresti considerato trasgressore del comandamento di Dio. Se qualcuno te lo chiede, daglielo, e se qualcuno lo vuole in prestito, non girarti dall'altra parte.

XCVIII

Un fratello interrogun anziano, dicendo: Se un fratello mi deve un po' di denaro, pensi che dovrei chiedergli di restituirmelo? L'anziano gli disse: Chiediglielo solo una volta, e con umilt Il fratello disse: Supponi che glielo chieda una volta e che non mi restituisca niente. Cosa dovrei fare? Allora l'anziano disse: Non chiederglielo pi Il fratello disse ancora: Ma cosa posso fare? Non riesco a liberarmi dalla mia ansia, se non vado a chiederglielo. L'anziano gli disse: Dimentica le tue ansie. L'importante non rattristare il tuo fratello, giacchsei un monaco.


XCIX

Quando la gente andava a comprare dall'Abate Agatone ciche egli aveva fabbricato con il lavoro delle sue mani l'abate vendeva tranquillamente. Il prezzo di un setaccio era cento soldi e un cesto ne costava duecentocinquanta. Quando venivano a comprare, egli diceva loro il prezzo e prendeva tutto ciche gli davano, in silenzio, senza neppure contare le monete, perchdiceva: A che mi serve discutere con loro e magari indurli al peccato di giurare il falso per poi magari, se avessi del denaro in pi darlo ai fratelli? Dio non vuole da me elemosine di questo genere e non gli piace che io, per fare le mie offerte, induca qualcuno al peccato. Allora uno dei confratelli gli disse: E come avrai mai una scorta di pane per la tua cella? Ed egli rispose: Che bisogno ho io, nella mia cella, del pane degli uomini?


C

C'era un anziano che, se qualcuno diceva cose malvage su di lui, andava di persona a offrirgli doni, quando costui abitava vicino. Se invece abitava a una certa distanza, gli mandava doni tramite un altro.

CI

L'Abate Antonio impartiva all'Abate Ammone questo insegnamento: Devi fare sempre piprogressi nel timore di Dio. E portandolo fuori dalla cella gli mostrun sasso dicendo: Va' a insultare quel sasso e battilo senza sosta. Quando l'Abate Ammone ebbe fatto ciche gli era stato comandato, sant'Antonio gli chiese se il sasso avesse risposto. Ammone rispose di no. Allora l'Abate Antonio disse: Anche tu devi arrivare a non offenderti pidi niente.

CII

L'Abate Pastor disse: Proprio come il fumo fa uscire le api dall'alveare in modo che il miele venga loro sottratto, cosuna vita comoda priva l'anima dell'uomo del timor di Dio e cancella tutte le sue opere buone.


CIII

Un filosofo chiese a sant'Antonio: Padre, come puoi essere cosfelice quando sei privato della consolazione dei libri? Antonio rispose: Il mio libro, o filosofo, la natura, e ogni volta che voglio leggere le parole di Dio, il libro davanti a me.

CIV

Una volta un giudice della provincia venne a trovare l'Abate Simone; l'anziano prese la cintura che indossava e salsu una palma da datteri come se fosse un raccoglitore di datteri. Ma quello, avvicinandosi, gli chiese: Dov'l'eremita che abita in questa parte del deserto? Egli rispose: Non ci sono eremiti qui intorno. Cosquello se ne and In un'altra occasione un altro giudice venne a trovarlo e i suoi compagni, correndogli avanti, dissero: Padre, preparati. Un giudice che ha sentito parlare di te per strada e viene a chiederti una benedizione. L'anziano disse: Puoi star certo che mi preparer E indossando tutti i suoi indumenti prese pane e formaggio in mano, si sedette all'ingresso della cella e comincia mangiare. Il giudice e i suoi assistenti arrivarono, lo videro mangiare, gli si rivolsero con disprezzo e chiesero: questo l'eremita di cui abbiamo sentito tanto parlare? Si volsero immediatamente e ritornarono da dove erano venuti.



CV

L'Abate Giuseppe chiese all'Abate Pastor: Dimmi come posso diventare monaco. L'anziano rispose: Se vuoi riposare in pace in questa vita e anche nell'altra, ogni volta che hai un conflitto con un altro di': Chi sono io? e non giudicare nessuno.

CVI

Un giorno l'Abate Antonio conversava con dei confratelli e un uomo che stava cacciando nel bosco si avvicina loro. Vide che l'Abate Antonio e i confratelli erano allegri e li disapprov L'Abate Antonio disse: Metti una freccia nel tuo arco e scoccala. Ed egli lo fece. Allora l'anziano disse: Adesso lanciane un'altra, poi un'altra, poi ancora un'altra. Il cacciatore disse: Se piego il mio arco tutte le volte, si romper L'Abate Antonio rispose: Cosanche del lavoro di Dio. Se ci sforziamo oltre misura i fratelli presto verranno meno. giusto perci di tanto in tanto, allentare i loro sforzi.

CVII

Uno dei santi padri disse ai monaci che gli chiedevano conto della rinuncia: Figli miei, dovremmo
odiare ogni riposo in questa vita e odiare anche i piaceri del corpo e le gioie del ventre. Non cerchiamo onore dagli uomini: cosnostro Signore GesCristo ci daronori in cielo, riposo nella vita eterna e gioia grande con i Suoi angeli.

CVIII

L'Abate Zenone raccontava che una volta, quando era in cammino verso la Palestina, si era seduto sotto un albero, essendo stanco del viaggio. Era proprio vicino a un campo di cocomeri. In cuor suo pensdi alzarsi e di mangiare un cocomero per recuperare energie. Infatti egli disse non sarebbe stato gran cosa prenderne uno. Ma, rivolto a se stesso, disse: Quando i ladri vengono condannati subiscono la tortura. Cosanch'io dovrei mettermi alla prova e vedere se sono in grado di sopportare i tormenti che sopportano i ladri. E alzatosi immediatamente restin piedi sotto il calore del sole per cinque giorni e bruciil suo corpo. Allora disse nella sua mente: Non potrei sopportare le torture, percinon devo rubare, ma lavorare con le mie mani come consuetudine e vivere del frutto della mia fatica, come dice la Sacra Scrittura: Se mangerai del lavoro delle tue mani sarai benedetto e il bene sarcon te [Gn., 26, 32]. Questo, in verit ciche cantiamo ogni giorno al cospetto di Dio.


CIX

Gli anziani e tutti i monaci che abitavano nel deserto di Sceta si riunirono in assemblea e decisero che padre Isacco fosse ordinato presbitero per servire la Chiesa in quel luogo solitario, in cui, in determinati giorni e ore, i monaci del deserto si riunivano per il culto. Ma l'Abate Isacco, udendo la decisione che era stata presa, fuggin Egitto e si nascose in un campo tra i cespugli, poichsi riteneva indegno dell'onore del sacerdozio. Molti monaci si misero in cammino dietro lui per prenderlo. Quando alla sera si fermarono in quello stesso campo a riposare, stanchi del viaggio (nel frattempo era sopraggiunta la notte), lasciarono libero l'asino che portava i bagagli e lo mandarono a pascolare. L'asino, mentre mangiava, giunse nel luogo dove l'Abate Isacco si era nascosto. Sul far del giorno i monaci, cercando l'asino, arrivarono dove il vecchio si era nascosto. Sorpresi di come Dio li avesse favoriti, lo presero e stavano per legarlo e portarlo via prigioniero. Ma il venerabile anziano non lo permise, dicendo: Ora non posso pioppormi a voi, dal momento che forse la volontdi Dio che io, per quanto indegno, riceva gli ordini del sacerdozio.


CX

C'erano due confratelli che vivevano insieme in una cella; la loro umilte pazienza fu lodata da molti padri. Un sant'uomo, sentendone parlare, volle metterli alla prova e vedere se possedevano la vera e perfetta umilt Cosanda trovarli. Essi lo ricevettero con gioia e tutti insieme recitarono le loro preghiere e i loro salmi, come d'abitudine. Poi il visitatore uscdalla cella e vide il piccolo orto dove coltivavano le verdure. Afferrando il suo bastone vi si avventsopra con tutta la sua forza e comincia distruggere ogni pianta che spuntava, cosicchpresto non ne rimase nulla. Vedendolo, i due confratelli non pronunciarono una parola. Non mostrarono nemmeno facce tristi o corrucciate. Ritornando alla cella finirono le loro preghiere per i vespri e gli resero onore dicendo: Signore, se vuoi possiamo raccogliere un cavolo che rimasto e cucinarlo per mangiarlo, perchadesso ora di cena. Allora l'anziano si inchindavanti a loro dicendo: Rendo grazie al mio Dio, poichvedo che il Suo santo Spirito riposa in voi.

CXI

Uno dei confratelli chiese a un anziano: Sarebbe giusto se io tenessi due monete per me, nel caso mi ammalassi? L'anziano, leggendo nei suoi pensieri che egli voleva tenerle, disse: Tienile. Il fratello, ritornando alla sua cella, comincia lottare con i suoi pensieri, dicendo: Mi chiedo se il padre mi ha dato la sua benedizione oppure no. Alzandosi, torndal padre e gli rivolse queste parole: In nome di Dio, dimmi la verit perchsono tutto ansioso per queste due monete. L'anziano gli disse: Dal momento che ho visto i tuoi pensieri e il tuo desiderio di tenere quelle monete, ti ho detto di tenerle. Ma non bene tenere pidi quello che ci serve per il corpo. Ora queste due monete sono la tua speranza. Ma se le perdessi, Dio non si prenderebbe forse cura di te? Lasciate ogni preoccupazione a Dio, allora, perchegli si prendercura
di voi.

CXII

C'erano due anziani che abitavano insieme in una cella e non avevano mai avuto motivi di litigio l'uno con l'altro. Perciuno disse all'altro: Ors litighiamo almeno una volta, come gli altri. L'altro disse: Non so come iniziare a litigare. Il primo disse: Prenderquesto mattone e lo metterqui in mezzo a noi. Poi dir mio. Dopo di citu dirai: mio. questo ciche porta alla lite e alla contesa. Percimisero il mattone in mezzo. Uno disse: mio. L'altro rispose al primo: Io credo che sia mio. Il primo disse ancora: Non tuo, mio.
Cosl'altro rispose: Beh, allora, se tuo, prenditelo! Cosessi, dopo tutto, evitarono di litigare.

CXIII

L'Abate Marco una volta disse all'Abate Arsenio: bene o non bene avere nella tua cella qualcosa che ti dia piacere? Per esempio una volta venni a sapere che un confratello aveva un piccolo fiore selvatico nella sua cella e lo strappalla radice. L'Abate Arsenio disse: Bene, giusto. Ma ogni uomo dovrebbe agire secondo il proprio percorso spirituale. E se uno non riuscisse a stare senza quel fiore, dovrebbe ripiantarlo.

CXIV

Una volta chiesero all'Abate Agatone: Che cos'meglio: praticare l'ascetismo del corpo o vigilare sullo spirito? L'anziano disse: L'uomo come un albero. Le opere del corpo sono come le foglie dell'albero, ma la capacitdi vigilare sullo spirito come i frutti. Dunque, poichscritto che ogni albero che non porta buon frutto deve essere tagliato e gettato nel fuoco, dobbiamo aver cura di produrre questo frutto, che la disciplina dello spirito. Ma abbiamo anche bisogno delle foglie per
coprirci e adornarci: e cisignifica opere buone, fatte con l'aiuto del corpo. L'Abate Agatone fu saggio nella comprensione e instancabile nel lavoro e pronto a tutto, si appliccon energia al lavoro manuale e fu parco nel cibo e nel vestiario.


CXV

Lo stesso Abate Agatone aveva detto: Un uomo irascibile, anche se dovesse risuscitare i morti, non piacerebbe a Dio per la sua iracondia.

CXVI

C'era un anziano che aveva osservato stretto digiuno per cinquant'anni e diceva: Ho gettato alle fiamme la lussuria, l'avarizia e la gloria. L'Abate Abramo, sentendogli dire ci gli si rivolse con queste parole: Davvero hai fatto ciche dici? Egli replic L'ho fatto. Allora l'Abate Abramo disse: Supponi di andare nella tua cella e di trovare una donna distesa sulla tua stuoia. Puoi pensare che non sia una donna? Egli rispose: No, ma lotto con i miei pensieri in modo da non toccarla. L'Abate Abramo disse: Allora tu non hai ucciso la fornicazione: la passione viva, ma come costretta. Supponi dunque di trovarti in cammino per una strada tra
sassi e cocci rotti e di vedere dell'oro: Puoi pensare a esso come agli altri sassi? E quello rispose: No, ma resisto ai miei pensieri in modo da non raccoglierlo; Allora l'Abate Abramo disse: Vedi, la passione viva ma come costretta. E riprese: Supponi di sentir parlare di due fratelli dei quali uno ti ama e dice bene di te e l'altro dice ogni male di te. Vengono da te: li ricevi entrambi nello stesso modo? Ed egli rispose: No, ma sono tormentato dentro e cerco di essere giusto e buono con quello che mi odia come lo sono con l'altro. L'Abate Abramo disse: Le passioni sono vive, allora, ma nei santi sono solo, in una certa misura, controllate.

CXVII

All'inizio della sua conversione l'Abate Evagrio andda un anziano e disse: Padre, dimmi una parola che possa salvarmi. L'anziano disse: Se vuoi essere salvato, ogni volta che vai a trovare qualcuno, non parlare, finchnon lui a chiederti qualcosa. Evagrio fu profondamente colpito da queste parole, fece penitenza davanti all'anziano e gli diede soddisfazione dicendo: Credimi, ho letto molti libri, ma non ho mai trovato da nessuna parte tanta dottrina. Parte fece molti passi avanti.


CXVIII

Un giorno degli anziani vennero a Sceta e l'Abate Giovanni il nano si trovava con loro. Mentre stavano pranzando, uno dei presbiteri, un anziano venerando, si alzper dare a ciascuno una piccola coppa d'acqua da bere e nessuno l'accettda lui tranne Giovanni il nano. Gli altri ne furono stupiti e successivamente gli chiesero: Com'che tu, l'ultimo di tutti, hai osato accettare i servizi di quell'uomo venerando? Egli replic Ebbene, quando mi alzo per dar da bere agli altri, sono felice che tutti ne prendano; perciin quest'occasione ho preso da bere, perchil presbitero potesse essere gratificato e non intristirsi perchnessuno accettava da lui la coppa. A questo punto tutti ammirarono la sua capacitdi scegliere ciche era giusto.

CXIX

Un giorno due fratelli stavano seduti con l'Abate Poemen e uno lodava l'altro dicendo: un bravo fratello: odia il male. L'anziano disse: Che significa: odia il male? Il fratello non seppe che cosa rispondere e allora disse: Dimmi tu, padre, che cosa vuol dire odiare il male. Il padre disse: Odia il male colui che odia i suoi peccati, considera ogni fratello come un santo e come un santo lo ama.

CXX


L'Abate Giovanni aveva l'abitudine di dire: Abbiamo deposto un fardello leggero, che consiste nel
rimproverare noi stessi, e abbiamo scelto invece
di portare un fardello pesante, che consiste nel giustificare noi stessi e condannare gli altri.

CXXI


Uno degli anziani aveva finito di fabbricare i suoi canestri e aveva gimesso i manici quando udil suo vicino dire: Che fare? Il mercato sta per cominciare e non ho niente con cui fare i manici per i miei canestri. Immediatamente l'anziano tolse i suoi manici e li diede al fratello con queste parole: Ecco, questi non mi servono; prendili e mettili sui tuoi canestri. Nella sua grande caritegli vide che il lavoro del fratello era finito mentre il suo era rimasto incompleto.


CXXII

Uno degli anziani disse: Proprio come l'ape, dovunque vada, fa il miele, cosil monaco, dovunque vada, se va a fare la volontdi Dio produce sempre la dolcezza delle opere buone.

CXXIII

L'Abate Giovanni disse: Il monaco dev'essere simile a un uomo, che, seduto sotto un albero, guarda in alto e si accorge di ogni sorta di serpenti e di animali feroci che lo assalgono. Dal momento che non pulottare contro tutti, sale sull'albero e si sottrae alla loro vista. Il monaco tutte le volte dovrebbe fare lo stesso. Quando il nemico suscita cattivi pensieri, egli dovrebbe fuggire pregando il Signore, e cossi salver

CXXIV

L'Abate Mosdisse: Un uomo che vive lontano dagli altri come l'uva matura. E un uomo che vive insieme agli altri uva acerba.


CXXV

Un nobile di alto lignaggio che nessuno conosceva venne a Sceta, portando con sdell'oro e chiese al presbitero di quel luogo di consegnarlo ai fratelli. Il presbitero disse: I fratelli non hanno bisogno di nulla di simile. Il nobile insistette e non si diede per vinto. Cosmise il cesto pieno d'oro all'ingresso della chiesa e disse al presbitero: Chi ne ha bisogno, puservirsene. Ma nessuno toccquell'oro e alcuni nemmeno lo guardarono. Allora l'anziano disse al nobile: Il Signore ha accettato la tua offerta. Ora vai e dalla ai poveri [Lc., 18, 22].

CXXVI

L'Abate Mathois disse: meglio un lavoro facile che richiede molto tempo per finirlo che un lavoro difficile che presto fatto.

CXXVII

I padri erano soliti dire: Se una tentazione sorge nel luogo dove abiti nel deserto, non lasciare quel luogo nel momento della tentazione, poich se lo lasci, dovunque tu vada troverai sempre la stessa tentazione che ti attende. Ma sii paziente finch la tentazione non passata, perchla tua fuga non sia di scandalo agli altri che abitano nello stesso luogo e porti loro tribolazione.

CXXVIII

L'Abate Zenone, discepolo dell'Abate Silvano, disse: Non abitare in un posto famoso, non diventare discepolo di un uomo famoso e non mettere fondamenta quando ti costruisci la cella.

CXXIX

Sia che tu fugga il pilontano possibile dagli uomini sia che tu rida del mondo e degli uomini che vi abitano, ritieniti uno stolto in molte cose.

CXXX

Teofilo, memorabile per la sua santit vescovo di
Alessandria, era in viaggio per Sceta e i fratelli,
radunatisi, dissero all'Abate Pambo: Di' una parola o due al vescovo, affinchla sua anima in questo luogo possa essere moralmente edificata. L'anziano rispose: Se per lui non edificante il mio silenzio, non c'speranza che lo siano le mie parole.

CXXXI

Uno degli anziani disse: Un monaco non dovrebbe chiedere come agisce questo e come vive quello. Domande simili ci allontanano dalla preghiera e ci portano a sparlare e a spettegolare. Non c'niente di meglio del silenzio.

CXXXII

Il beato Macario disse: Questa la verit se un monaco tiene nella stessa considerazione il disprezzo e la lode, la poverte la ricchezza, la fame e la saziet non morirmai.

CXXXIII

Due fratelli andarono da un anziano che abitava da solo a Sceta. Il primo disse: Padre, ho imparato a memoria tutto l'Antico e il Nuovo Testamento. L'anziano gli disse: Hai riempito l'aria di parole. L'altro disse: Ho copiato l'Antico e il Nuovo Testamento e li ho nella mia cella. E a costui l'anziano replic Hai riempito di pergamena la tua finestra, ma non conosci colui che disse: Il regno di Dio non nelle parole ma nella potenza? E ancora: non quelli che ascoltano la legge saranno giustificati davanti a Dio, ma quelli che la mettono in pratica. Percii fratelli gli chiesero quale fosse la via della salvezza ed egli disse loro: L'inizio della salvezza il timor di Dio e l'umiltunita alla pazienza.

CXXXIV

Dissero di un anziano venerando di Sceta che ogni volta che i fratelli costruivano una cella usciva con gran gioia e metteva le fondamenta, e non andava via finchla cella non era finita. Una volta, uscendo a costruire una cella, si rattristmoltissimo. I fratelli dissero: Perchsei triste, padre? Egli replic Figli miei, Sceta sardistrutta, perchvi ho visto un fuoco ardente e i fratelli uscivano con rami di palma per spegnerlo. Il fuoco fu riacceso e di nuovo i fratelli tagliarono rami di palma e lo spensero. Ma la terza volta cominciad ardere e invase l'intera Sceta, e non potpiessere spento. Ecco perchsono triste e desolato.

CXXXI

L'Abate Hor disse al suo discepolo: Bada di non portare mai in questa cella le parole di un altro.

CXXXVI

L'Abate Mosdisse: Un uomo dovrebbe essere come un morto con il suo compagno, perchmorire a un amico cessare di giudicarlo in qualsiasi cosa.

CXXXVII

Alcuni fratelli dissero all'Abate Antonio: Vorremmo che tu ci dicessi una parola di salvezza. Allora I l'anziano disse: Avete udito le Scritture; dovrebbero bastarvi. Ma essi dissero: Vogliamo udire qualcosa anche da te, padre. L'anziano rispose loro: Avete udito il Signore dire: se un uomo ti colpisce sulla guancia sinistra, mostragli anche l'altra [Lc., 6, 29]. Gli dissero: Questo non lo possiamo fare. Disse loro: Se non potete porgere l'altra guancia almeno sopportate pazientemente di essere percossi sulla prima. Ed essi risposero: Non possiamo fare neppure questo. Egli disse: Se non potete fare neanche questo, almeno non andate a percuotere gli altri pidi quanto vorreste che essi vi percuotessero. Essi dissero: Non possiamo fare neppure questo. Allora l'anziano disse al suo discepolo: Va' a cucinare del cibo per questi fratelli, perchsono molto deboli. Infine disse loro: se non potete fare neanche questo, come posso aiutarvi? Tutto ciche posso fare pregare per voi.


CXXXVIII

Un anziano disse: Un uomo che sa guardare la morte in faccia, ogni volta supererla sua codardia.

CXXXIX

Un soldato chiese a un anziano se Dio avrebbe perdonato un peccatore. Ed egli gli disse: Dimmi, caro, se il tuo mantello lacero lo getterai via? Il soldato rispose dicendo: No, lo rammendere lo rimetteraddosso. L'anziano gli disse: Se tu ti prendi cura del tuo mantello, vuoi che Dio non sia misericordioso con te che sei la sua immagine?

CXL

Una volta l'Abate Silvano si allontanper qualche tempo dalla sua cella e il suo discepolo Zaccaria con altri fratelli spostil recinto dell'orto e lo ampli Quando l'anziano torne vide questo, prese la sua pelle di pecora e part Ma essi si gettarono ai suoi piedi e lo pregarono di dir loro perchlo faceva. L'anziano disse: Non tornerin questa cella finchnon rimetterete il recinto dov'era prima. Essi lo fecero immediatamente ed egli torn

CXLI

Una volta due fratelli andarono da un anziano che aveva l'abitudine di non mangiare tutti i giorni. Ma quando vide i fratelli, li invitcon gioia a mangiare con lui, dicendo: Il digiuno ha la sua ricompensa, ma colui che mangia per caritadempie a due comandamenti: mette da parte la propria volonte sazia la fame dei suoi fratelli.

CXLII

A Sceta seguivano la regola di digiunare una settimana prima della Pasqua. Ma accadde che in quella settimana alcuni fratelli giungessero dall'Abate Mos provenendo dall'Egitto, ed egli cucinasse per loro delle verdure. Quando videro il fumo uscire dalla sua cella, i chierici della chiesa di Sceta esclamarono: Guardate, c'Mosche infrange la regola e cucina cibo nella sua cella. Quando arriverqui, gli diremo qualcosa. Ma quando venne il sabato, i chierici videro il venerando Abate Mose gli dissero: Abate Mos hai infranto il comandamento degli uomini, ma hai seguito strettamente il comandamento di Dio.

CXLIII

Uno degli anziani disse: Prega attentamente e correggerai presto i tuoi pensieri.

CXLIV

Un fratello chiese all'Abate Pambo: Perchi diavoli mi impediscono di fare il bene ai miei fratelli? E l'anziano gli disse: Non parlare cos Dio forse bugiardo? Perchnon ammetti onestamente che sei tu a non voler essere misericordioso? Dio non disse forse tanto tempo fa: Ti ho dato potere sui serpenti, sugli scorpioni e su tutte le forze del nemico? [Lc., 10, 19] E allora, perchnon calpesti lo spirito del male?

CXLV

L'Abate Pastor disse: Non abitare in un posto dove ti accorgi che gli altri ti invidiano, perchlnon potrai crescere.

CXLVI

L'Abate Pastor disse: Se un uomo ha fatto del male e non lo nega ma dice: Ho fatto del male, non rimproverarlo, perchbloccherai lo slancio della sua anima. E se gli dici: Non essere triste, fratello, ma guarda al futuro, lo induci a cambiare la sua vita.

CXLVII

L'Abate Iperichio disse: Un monaco che non riesce a frenare la sua lingua quando in collera, non potrneppure controllare la passione della lussuria.

CXLVIII

L'arcivescovo Teofilo, memorabile per la sua santit in punto di morte disse: Abate Arsenio, tu sei un uomo felice, perchhai sempre tenuto quest'ora davanti agli occhi.

CXLIX

Quando uno ebbe chiesto all'Abate Agatone di accettare un dono in denaro per farne uso, il padre
rifiutdicendo: Non ne ho bisogno, dal momento che vivo del lavoro delle mie mani. Ma quando l'altro riprese a offrire il dono dicendo: Almeno prendilo per i bisognosi, Agatone rispose: Questo sarebbe un doppio motivo di vergogna, poichriceverei denaro senza averne bisogno, e dando via il denaro di un altro peccherei di vanit

CL

Il beato Macario raccontdi squesta storia, dicendo: Quand'ero giovane e vivevo da solo nella mia cella, contro la mia volontmi portarono a fare il chierico del villaggio e dal momento che non volevo rimanere l fuggii in un altro villaggio dove un laico pietoso mi aiuta vendere il prodotto del mio lavoro. Accadde che una giovane donna si mise nei guai e rimase incinta. E, quando i genitori le chiesero chi era il responsabile, ella disse: Quell'eremita ha commesso il crimine. Cosi suoi genitori vennero a prendermi, mi appesero dei vasi al collo e mi condussero per le strade percuotendomi e insultandomi, dicendo: Questo monaco ha violentato nostra figlia. E dopo che mi ebbero quasi ucciso a furia di bastonate, uno degli anziani disse loro: Per quanto tempo avete intenzione di percuotere questo monaco straniero? Ma poichegli cercava di prendersi cura di me che ero rosso di vergogna, questi presero a insultare anche lui dicendo: Che ha fatto lui, l'uomo che stai cercando di difendere? Non lo lasceremo andare a nessuna condizione finchnon avrprovveduto alla ragazza e finchqualcuno non garantirper lui nel caso che si nasconda. Cosquando feci cenno all'anziano di fare come gli dicevano, egli si fece garante e mi portvia. Poi, ritornando nella mia cella, gli diedi tutti i cesti che trovai da vendere, per procurare cibo a me e alla mia compagna. E dissi a me stesso: Beh, Macario, adesso hai una moglie e devi lavorare pisodo per essere in grado di mantenerla. Coslavorai giorno e notte per darle da vivere. Ma quando per la poveretta venne l'ora di partorire, fu tormentata per alcuni giorni dalle doglie del parto e non potdare alla luce il suo bambino. E quando le fu chiesto conto, disse: Ho attribuito il crimine a quell'eremita, ma lui era innocente, poichstato il giovane della porta accanto a mettermi in questo stato. Allora colui che mi aveva aiutato, udendo ci si rallegre venne a raccontarmi tutto e a chiedermi di perdonarli tutti quanti. Udendo questo e temendo che la gente venisse a importunarmi, me ne venni alla svelta in quest'altro luogo. Fu questo il motivo per cui giunsi in questa parte del mondo.

fine







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